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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Termini Imerese, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Riccardo Pappalardo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2839 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi dell'anno 2019 vertente TRA Pi.Pi., cod. fisc. (...), nato a B. il (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Gu.Ra., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti; - parte opponente - CONTRO Agenzia Delle Entrate-Riscossione (già Ri. S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. D'A.Ma., che la rappresenta e difende giusta procura in atti; - parte opposta - E NEI CONFRONTI DI Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della P.M., in persona dell'Assessore pro-tempore, rappresentato e difeso exlege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici è domiciliato; -terzo chiamato- Oggetto: Opposizione a cartella di pagamento. FATTO Con atto di citazione notificato in data 11.09.2019 Pi.Pi. ha proposto opposizione avverso la cartella di pagamento n. (...) - emessa da Ri. S.p.a. per un importo di Euro 841.519,43 (o Euro 817.708,73 in caso di pagamento entro sessanta giorni dalla notifica) e notificatagli il 9.07.2019 - conseguente al mancato pagamento della sanzione irrogata con ordinanza ingiunzione n. 11/2020 del 17.11.2010 dall'Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della P.M. della Regione Siciliana. In particolare, il Pipia, a fondamento della propria opposizione, ha dedotto: (i) la nullità della cartella per difetto e/o carenza di motivazione; (ii) l'inesistenza e la nullità della cartella per difetto di notificazione (risultando essa priva della relata di notifica e della sottoscrizione del messo notificatore, e non risultando nella stessa l'identità del notificatore e la data di notifica della cartella); (iii) la mancata indicazione della data di consegna dei ruoli (sicché non è dato evincersi il rispetto del termine di cui all'art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973 da parte del concessionario della riscossione); (iv) l'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento; (v) l'erronea applicazione della maggiorazione di cui all'art. 27 L. n. 689 del 1981. Ha chiesto, pertanto, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, che venga dichiarata la nullità della cartella di pagamento e, in subordine, la riduzione del relativo importo. Con comparsa di costituzione e risposta del 30.01.2020 si è costituita Ri. S.p.a. (adesso, Agenzia Delle Entrate-Riscossione) la quale ha chiesto preliminarmente di essere autorizzata a chiamare in causa l'Autorità che ha irrogato la sanzione, configurandosi nel caso di specie un'ipotesi di litisconsorzio necessario. L'Agente della riscossione, inoltre, ha eccepito l'inammissibilità dell'opposizione (proposta oltre il termine perentorio di venti giorni decorrente dalla notifica della cartella) e, nel merito, ha chiesto la reiezione di tutte le domande formulate da parte opponente, in quanto infondate. Autorizzata la chiamata di terzo, con comparsa di costituzione del 22.06.2020 si è costituito in giudizio l'Assessorato regionale, eccependo preliminarmente l'incompetenza territoriale del Tribunale adito e contestando nel merito le deduzioni di parte opponente. L'Ente regionale ha sottolineato, inoltre, la legittimità della pretesa, depositando l'ordinanza ingiunzione n. 11/2010 del 17.11.2010 da cui trae origine il credito vantato ed evidenziando che tale ordinanza è stata confermata dalla sentenza n. 5204/2014 (R.G. n. 16835/2010), passata in giudicato, emessa dal Tribunale di Palermo all'esito del giudizio di opposizione. Non essendo state formulate richieste istruttorie, la causa, dopo la concessione dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. Da ultimo, assegnato il procedimento ad altro Giudice, le parti hanno precisato le conclusioni con le note di trattazione scritta ex art. 127-ter c.p.c. depositate in sostituzione dell'udienza del 29.06.2023, sicché, con ordinanza del 12.07.2023, la causa è stata posta in decisione con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190, comma 1, c.p.c.. DIRITTO Costituisce ius receptum (cfr. Trib. Roma, 1.02.2021, n. 1763) il principio per cui, in relazione alla cartella esattoriale notificata ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie, sono ammissibili, a seconda dei casi, tre rimedi: a) l'opposizione nelle forme previste dalla L. n. 689 del 1981 e dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 150 del 2011 per contestare le sanzioni per cui sia mancata la notificazione dell'ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione al codice della strada, al fine di consentire all'interessato di recuperare l'esercizio del mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori; b) l'opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., allorché si contesti la legittimità dell'iscrizione a ruolo per la mancanza di un titolo legittimante o si adducano fatti estintivi (ad es. la prescrizione o l'avvenuto pagamento) asseritamente sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo; c) l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. quando si contesti la regolarità formale della cartella esattoriale o si adducano vizi di forma del procedimento esattoriale, compresi i vizi strettamente attinenti alla notifica della cartella e quelli riguardanti i successivi avvisi di mora (cfr. Cass. n. 562/2000; Cass. n. 21793/2010; Cass. n. 19801/2014). Sono riconducibili a questa fattispecie, pertanto, i vizi che riguardano, ad esempio, la mancata sottoscrizione della cartella esattoriale, l'omessa notifica della cartella stessa (cfr. Cass., Sez. II, 4.09.2019, n. 22094), etc.. Il caso qui in esame va ricondotto, limitatamente al motivo di opposizione concernente le maggiorazioni applicate ai sensi dell'art. 27 L. n. 689 del 1981, al rimedio dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615, comma 1, c.p.c., trattandosi di una contestazione che riguarda fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo e comunque sopravvenuti rispetto alla notificazione dell'ordinanza ingiunzione. Con riguardo ai restanti motivi di opposizione (attinenti alla legittimità della cartella esattoriale) deve applicarsi, invece, la disciplina relativa all'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 1, c.p.c.. L'opponente, infatti, con tali doglianze, non ha contestato la legittimità dell'atto presupposto (sulla quale, comunque, si è già pronunciato il Tribunale di Palermo nella sentenza sopra richiamata), né ha allegato fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dall'Amministrazione, ma, al contrario, si limita a contestare la legittimità della cartella di pagamento per vizi relativi alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo. Al lume di queste premesse, non merita accoglimento, dunque, l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo con riferimento al c.d. foro erariale, e ciò in virtù di quanto disposto dall'art. 7, comma 1, R.D. n. 1611 del 1933 (a norma del quale "Le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'Amministrazione dello Stato, per i giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori, nonché per i giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari e a quelli di cui agli artt. 873 del codice di commercio e 94 del codice di procedura civile. Rimangono ferme inoltre nei casi di volontario intervento in causa di una Amministrazione dello Stato e nei giudizi di opposizione di terzo"). Sicché il giudice territorialmente competente è quello del luogo dell'esecuzione individuato ai sensi dell'art. 27 c.p.c., e la competenza territoriale, nel caso di specie - non contenendo la cartella esattoriale la dichiarazione di residenza o domicilio della parte istante di cui all'art. 480, comma 3, c.p.c. -, si radica nel luogo in cui la cartella esattoriale è stata notificata, ossia presso il luogo di residenza dell'obbligato (cfr. Cass., Sez. IV, 4.04.2018, n. 8402). Tutto ciò premesso, con riguardo agli asseriti vizi formali attinenti alla cartella di pagamento, deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'opposizione, essendo stata proposta oltre il termine perentorio di venti giorni dalla notificazione della cartella. Sul punto, giova ricordare che l'opponente ha l'onere di provare il momento in cui abbia avuto conoscenza legale o di fatto dell'atto esecutivo che assume viziato, non potendosi altrimenti verificare il rispetto del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione (v., ex multis, Cass. n. 3205/2016. Si v. anche Cass. n. 7051/2012, secondo cui "colui il quale propone opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ., ha l'onere di indicare e provare il momento in cui abbia avuto la conoscenza, legale o di fatto, dell'atto esecutivo che assume viziato, non potendosi altrimenti verificare il rispetto da parte sua del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione"). Nondimeno, nel caso di specie, sebbene parte opponente non abbia indicato il momento di ricevimento della cartella, è pacifico (non essendo stato oggetto neppure di contestazione) che la notifica della cartella di pagamento si sia perfezionata per l'opponente in data 9.07.2019 (v. relazione di notificazione prodotta da Agenzia delle Entrate-Riscossione) e che la citazione sia stata notificata solamente l'11.09.2019, ossia sessantaquattro giorni dopo: ben oltre il termine di cui all'art. 617, comma 1, c.p.c.. Solo per completezza, va soggiunto che le predette censure, oltre ad essere inammissibili, sono anche manifestamente inconsistenti sotto il profilo giuridico. Va evidenziato, infatti, che la cartella di pagamento risulta adeguatamente motivata e contiene tutti gli elementi prescritti dalla legge, in conformità con il modello approvato con Decreto Ministeriale (cfr. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2), e ha indicato compiutamente l'atto presupposto (peraltro già noto all'opponente, avendo questi proposto opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione dinanzi al Tribunale di Palermo). Quanto alla doglianza concernente la mancata indicazione del termine entro il quale è possibile proporre l'impugnazione, essa è smentita dalla piana lettura della cartella, la quale riporta compiutamente tale informazione a pag. 3 di 10, nel paragrafo denominato "Impugnazione della cartella". Priva di pregio è poi la censura relativa alla "sommaria e sintetica indicazione globale dell'importo dovuto", in quanto la cartella, oltre ad indicare l'importo totale, distingue correttamente l'importo dovuto a titolo di sanzione principale (euro 305.340,87), quello dovuto a titolo di maggiorazione ex art. 27 L. n. 689 del 1981 (euro 488.545,39), nonché quello dovuto per gli oneri di riscossione (euro 47.633,17). Non coglie nel segno neppure il motivo di opposizione con cui si eccepisce l'inesistenza/nullità della cartella impugnata per vizi relativi alla sua notificazione, posto che dagli atti di causa risulta pacificamente che la cartella è stata recapitata all'opposto in data 9.07.2019 dal messo notificatore L.P.M. presso l'indirizzo di residenza dell'odierno opponente, sito in B. (P.), via C. n. 161 (indirizzo pienamente coincidente con quello indicato dall'opponente nell'atto di citazione), mediante consegna a mani di P.M., la quale si è qualificata figlia convivente dell'opponente Pi.Pi.. Il messo notificatore, poi, ha dato notizia dell'avvenuta notificazione della cartella di pagamento all'odierno opponente a mezzo di apposita lettera raccomandata del 12.07.2019. Ciò chiarito, la circostanza lamentata dall'opponente - ossia che la relata apposta sul frontespizio della copia della cartella notificata fosse "in bianco" - è un dato ininfluente giacché, come già evidenziato, la cartella è indubitabilente giunta alla conoscenza dello stesso (il quale, del resto, non ha mai contestato di aver ricevuto l'atto). Con riguardo, poi, al preteso vizio relativo alla violazione dell'art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973, si osserva che il termine di decadenza dettato dalla predetta disposizione trova applicazione soltanto per i crediti aventi natura tributaria e non anche per le somme richieste, come nel caso di specie, a titolo di sanzioni amministrative e per le relative maggiorazioni, essendo la riscossione di tali somme assoggettata all'unico termine prescrizionale di cinque anni (v., ex plurimis, Cass. Sez. III, 08.11.2018, n. 28529, in cui si afferma che "L'esecuzione forzata intrapresa sulla base di una ordinanza - ingiunzione per la riscossione di sanzioni amministrative, benché si svolga secondo le norme previste per l'esazione delle imposte dirette (in ragione del rinvio ad esse contenuto nella L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 1), non è soggetta alla decadenza stabilita dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, per l'iscrizione a ruolo deicredititributari, ma soltanto alla prescrizione quinquennale dettata dalla citata L. n. 689 del 1981, art. 28"). Ancora sul punto - e solo per completezza di disamina - va infine sottolineato che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie, derivante da sentenza passata in giudicato (che ha determinato la definitività della pretesa dell'Amministrazione), si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio iudicati (cfr. Cass., Sez. Un., 17.11.2016, n. 23397). Con riguardo, infine, alla contestazione in ordine all'assenza di sottoscrizione, è bene ricordare, invece, che "la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte dell'organo competente non comporta l'invalidità dell'atto quando non è in dubbio la riferibilità di questo all'ente da cui promana, giacché l'autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell'atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge; mentre, aisensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto ministeriale, che non prevede la sottoscrizione ma solo la sua intestazione" (v., ex plurimis, Cass., Sez. I, 16.12.2022, n. 37006. Cfr. anche, da ultimo, Cass. Sez. Trib., 11.05.2023, n. 12770, secondo cui "l'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l'invalidità dell'atto, la cui esistenza non dipende tanto dall'apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l'apposito modello approvato con D.M., che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma solo la sua intestazione e l'indicazione della causale, tramite apposito numero di codice"). L'opposizione è infondata, invece, con riferimento alla contestazione relativa alla determinazione dell'importo richiesto. Difatti, come comprovato dall'estratto di ruolo prodotto dal concessionario della riscossione, l'importo di Euro 841.519,43 è l'evidente risultato della sommatoria dell'importo della sanzione (euro 305.340,87), della maggiorazione per il ritardato pagamento ex art. 27 L. n. 689 del 1981 (euro 488.545,39), e degli oneri di riscossione previsti per legge (euro 47.633,17). L'opponente, più specificamente, contesta la determinazione della somma dovuta quale maggiorazione per il ritardato pagamento ex art. 27 L. n. 689 del 1981. Tuttavia, la somma riportata nella cartella di pagamento è, con tutta evidenza, corretta: ciò è facilmente riscontrabile mediante un semplice calcolo aritmetico. Infatti, a norma dell'art. 27 cit., la maggiorazione semestrale del 10% sulla somma dovuta si applica dal momento in cui la sanzione è divenuta esigibile (i.e. dalla di scadenza del termine entro cui l'Amministrazione ha ordinato il pagamento) fino al momento in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. Non è condivisibile, dunque, la tesi di parte opponente secondo cui la predetta maggiorazione è dovuta solamente dalla data di pubblicazione della sentenza del Tribunale di Palermo che ha rigettato l'opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione, giacché l'applicazione della maggiorazione non è un effetto della sentenza che dà ragione all'Autorità sulla pretesa sanzionatoria "principale", ma, al contrario, trattandosi di sanzione accessoria (che si aggiunge alla sanzione principale), è l'effetto di un'autonoma fattispecie, operante sul piano del diritto sostanziale, in caso di ritardo colpevole del soggetto nel pagamento della sanzione oltre il semestre dal momento di esigibilità della stessa. Ciò posto, nel caso in esame, l'ordinanza ingiunzione è stata notificata al debitore in data 22.11.2010 - ed ha assegnato all'ingiunto, per il pagamento, il termine di 90 giorni dalla data di notifica (ossia, termine entro il 21.02.2011) - ed il ruolo è stato trasmesso all'esattore in data 25.03.2019. Dal 21.02.2011 al 25.03.2019 sono decorsi 16 semestri e, in tale periodo, non risulta (né è stato allegato dalle parti) che l'efficacia esecutiva del provvedimento sanzionatorio sia stata sospesa. Considerato, dunque, che per ogni semestre è dovuta una maggiorazione pari a Euro 30.534,087 (cioè il 10% di Euro 305.340,87) e che nel predetto intervallo di tempo sono decorsi 16 semestri, la somma dovuta per la maggiorazione è pari ad Euro 488.545,39 (ossia Euro 30.534,087 moltiplicati per 16 semestri), così come correttamente indicato nella cartella di pagamento. In conclusione, alla luce di tutto quanto evidenziato, l'opposizione deve essere rigettata, in quanto in parte inammissibile e in parte infondata. In base al principio della soccombenza, espresso dall'art. 91 cod. proc. civ., le spese del giudizio vanno poste a carico di parte opponente e si liquidano, tenuto conto sia del valore della lite - ossia Euro 841.519,43 (per cui, trattandosi di controversia superiore ad Euro 520.000,00, si impone l'applicazione dello scaglione da Euro 260.000,01 a Euro 520.000,00, oltre la maggiorazione del 30% di cui all'art. 6 del D.M. n. 55 del 2014) - sia dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. Più specificamente, con riguardo ad Agenzia delle Entrate-Riscossione, in considerazione di tutte le fasi effettivamente svolte - applicando i parametri medi per le fasi di studio e introduttiva, e i minimi per la fase decisionale - le spese di lite da corrispondere in favore di Agenzia delle Entrate-Riscossione vanno liquidate in complessivi Euro 11.653,20, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge. Con riguardo, invece, all'Assessorato regionale - in considerazione delle fasi effettivamente svolte da quest'ultimo (fase di studio e introduttiva) e applicando i parametri minimi (in considerazione dell'essenzialità dell'atto difensivo depositato) - le spese di lite da corrispondere in suo favore vanno liquidate in complessivi Euro 3.823,30, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Termini Imerese, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così provvede: RIGETTA l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall'Assessorato Regionale; RIGETTA l'opposizione proposta da Pi.Pi. avverso la cartella di pagamento n. (...), per le ragioni illustrate in parte motiva; CONDANNA Pi.Pi. al pagamento delle spese del giudizio in favore di Agenzia Delle Entrate-Riscossione, liquidate in complessivi Euro 11.653,20, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge; CONDANNA Pi.Pi., al pagamento delle spese del giudizio in favore dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della P.M., liquidate in complessivi Euro 3.823,30, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge; Così deciso in Termini Imerese il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario, Dott.ssa M. Margherita Urso, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3426 del R.A.G.C. relativo all'anno 2017, posta in decisione all'udienza del 02.02.2023 e vertente TRA (...) nato a Misilmeri il (...) e (...), nata a Misilmeri il (...) CF: (...), entrambi residenti in Misilmeri, (...), elettivamente domiciliati in Bagheria, via (...), presso lo studio dell'Avvocato (...), che li rappresenta e difende per mandato in calce all'atto di citazione, - attori - E (...), nato a Ficarazzi il (...), ivi residente in Viale (...); (...), nata a Palermo il (...), residente in Ficarazzi Viale (...); (...) nato a Palermo il (...) residente in Ficarazzi, Via (...), tutti elettivamente domiciliati in Palermo, Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che li rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - convenuti - E (...) nato a Ficarazzi (PA) il (...) ed e ivi residente in via (...), assistito e difeso congiuntamente e disgiuntamente dall'Avv. (...) giusto mandato in atti, elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore sito in Ficarazzi (PA) (...), - convenuto - E NEI CONFRONTI DI (...), nata a Villabate il (...), - convenuta contumace - avente oggetto: costituzione servitù coattiva valore della controversia: Euro 25.000,00 CONCLUSIONI DELLE PARTI Tutte le parti concludono come al verbale di udienza del 02.02.2023, cui si rinvia integralmente MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con l'atto di citazione introduttivo del giudizio e quello in rinnovazione, i signori (...) e (...) hanno convenuto innanzi a questo Tribunale i signori (...) e (...), nonché i signori (...), (...) e (...), rassegnando le seguenti conclusioni: "- Condannare i convenuti signori (...) e (...), a consentire ai concludenti l'accesso e l'uso del fabbricato rurale, sito in Misilmeri, contrada (...), in catasto al foglio (...), particella (...), di are 1,31, ed a consegnare la chiave dell'ingresso a detto fabbricato rurale, dando atto che i concludenti non si oppongono al pari uso dei predetti convenuti o di terzi, e condannare sempre i predetti convenuti a consentire l'esercizio del passaggio pedonale agli concludenti, dalla strada vicinale Quattrociocchi sino al fondo di essi concludenti, ed al magazzino, contrassegnati in catasto al foglio (...), particelle (...), del C.T. e foglio (...), particella (...) del NCEU anche nel tratto che attraversa il fondo di essi convenuti contrassegnato al foglio (...), particella (...), sempre del Comune di Misilmeri, eliminando qualsiasi ostacolo che lo impedisca; -In subordine, per l'occorrenza, ritenere e dichiarare che i convenuti signori (...), (...) e (...), sono obbligati a garantire i concludenti dall'evizione subita sul diritto alla casa rurale e sul diritto di passaggio pedonale a mezzo di un viottolo che parte dalla strada vicinale (...) per accedere al terreno venduto, oggetto dell'atto di compravendita del 22 luglio 2004 in notar (...), con conseguente riduzione del corrispettivo della vendita e condannare essi convenuti al pagamento di una somma non inferiore ad euro 20.000,00, sia a titolo di riduzione del corrispettivo, sia a titolo di risarcimento del danno, anche ai sensi dell'articolo 2043 cod.civ.; - Sempre per l'occorrenza, ove non risultassero di proprietà dei convenuti signori (...), e comunque non trasferiti il diritto alla casa rurale ed il diritto di passaggio pedonale a mezzo di un viottolo che parte dalla strada vicinale (...) per accedere al terreno venduto, oggetto dell'atto di compravendita del 22 luglio 2004 in notar (...), condannare essi convenuti (...), al pagamento di una somma non inferiore ad euro 20.000,00, in favore degli concludenti, sia a titolo di riduzione del corrispettivo, sia a titolo di risarcimento del danno, anche ai sensi dell'articolo 2043 cod.civ.; - Solo per l'occorrenza, a mente del combinato disposto degli articoli 1418 secondo comma, 1325 n.3 e 1470 cod.civ., ritenere e dichiarare la nullità parziale del contratto di compravendita del 22 luglio 2004, in notar (...), tra gli odierni concludenti ed i convenuti signori (...), (...) e (...), nella parte in cui ha trasferito i diritti sul fabbricato rurale, e l'esercizio della servitù di passaggio pedonale, di cui al detto contratto di compravendita e condannare i signori (...), (...) e (...), in solido, a corrispondere agli concludenti la somma di Euro.20.000,00 (euro ventimila/00) o quell'altra maggiore o minore somma, che risulterà dovuta, anche ai sensi deU'art.2043 cod.civ.". A fondamento delle domande, assumevano che, con atto del 22 luglio 2004 in notar (...), rep.n.24323, trascritto a Palermo il 29 luglio 2004 ai numeri 37730 e 23802, prodotto (doc.1 atto di citazione), i convenuti signori (...), (...) e (...), (...) hanno venduto ai signori (...) e (...), la piena proprietà del magazzino sito in Misilmeri, c.da (...), in catasto al foglio (...), particella (...), confinante da tre lati col terreno oggetto della medesima vendita, nonché l'appezzamento di terreno agricolo, sito nel medesimo comune, e contrada, esteso are 80 e centiare 01, segnato in catasto al foglio (...), particelle (...), confinante con il magazzino prima venduto, con proprietà (...), con proprietà (...), con (...) e con strada di collegamento all'autostrada Palermo Catania. Nel predetto atto risultava che i convenuti, (...), (...) e (...) hanno altresì trasferito agli attori il diritto sulla casa rurale esistente sul fondo (...) ed il diritto di passaggio pedonale a mezzo di un viottolo che parte dalla strada vicinale (...) per accedere al terreno venduto. Il fabbricato rurale costituiva pertinenza del fondo rustico, mentre la servitù di passaggio pedonale è utile, quale accesso dalla stradella pubblica, per le attività agricole del fondo venduto. Il corrispettivo convenuto e pagato dagli attori era stato di Euro.55.000,00, come risulta quietanzato nell'atto di compravendita. Da qualche anno, tuttavia, il convenuto signor (...), proprietario del fondo confinante, unitamente al coniuge, signora (...), ha impedito agli attori l'utilizzo del fabbricato rurale, sul quale hanno diritto, a servizio del fondo agricolo, ed hanno altresì impedito il passaggio attraverso il viottolo pedonale che si diparte dalla strada vicinale (...) e perviene al fondo acquistato, oggetto dell'atto di vendita, mutando lo stato dei luoghi. Il convenuto signor (...) assumeva, infatti, di essere esclusivo proprietario del fabbricato rurale di cui trattasi ed all'uopo lo aveva chiuso, e parimenti, aveva chiuso il viottolo sul quale si esercitava il passaggio pedonale giusta il diritto di servitù trasferito agli attori. Per tali motivi, gli attori avevano adito questo Tribunale, stante il comportamento antigiuridico del convenuto, in violazione dei diritti reali dei predetti attori e, in violazione, del principio generale di cui all'articolo 2043 c.c.. Gli attori rappresentavano di avere invitato bonariamente i convenuti con la lettera raccomandata a.r., prodotta in atti, al fine di consentire l'accesso al fabbricato rurale pertinenziale e l'esercizio del passaggio, ma tale richiesta restava inevasa. Anche il tentativo di mediazione civile restava infruttuoso, come risulta dal verbale di mediazione dell'ADR (...), pure prodotto (doc.3 atto di citazione). I predetti convenuti, regolarmente invitati, come risulta al verbale medesimo, non si presentavano senza giustificato motivo. Gli attori hanno accertato che, con atto dell'11 agosto 2003, in notar (...), prodotto (doc.4 atto di citazione), i convenuti signori (...) e (...), hanno acquistato da potere del signor (...) la proprietà di un appezzamento di terreno, nel piano contrada (...), confinante nel suo insieme con proprietà eredi (...), con strada, con la proprietà (...) (dante causa dei concludenti) e con la proprietà (...) (dante causa dei concludenti); in catasto al foglio (...), particella (...). Nel predetto atto si legge "..che sono compresi nella vendita tutti i diritti alla parte venditrice spettanti, in forza del citato titolo di provenienza,...sul vano rurale semidiruto con spiazzo.......censito nel catasto al foglio (...), particella (...)". È di tutta evidenza che oggetto della vendita è il trasferimento della proprietà dell'appezzamento di terreno ivi descritto, mentre sono trasferiti, come agli attori, i diritti sul fabbricato rurale, a servizio del fondo. Il diritto è pari a quello trasferito agli attori e consiste nell'uso del fabbricato rurale per il deposito dei frutti del fondo appena raccolti e di attrezzi agricoli. Per quanto sopra, pertanto, i convenuti, (...) e (...), dovevano consentire agli attori l'uso del fabbricato rurale e l'esercizio della servitù di passaggio, non opponendosi al pari esercizio di questo, anche ove fosse pure a favore di terzi. Gli attori esponevano, altresì, di avere acquistato la proprietà del magazzino, del terreno e dei diritti sul fabbricato rurale e la servitù di passaggio pedonale con atto pubblico di compravendita, debitamente trascritto, dai convenuti signori (...)-(...) e, pertanto, dovevano essere garantirli dall'evizione altrui. Infatti, il comportamento dei convenuti signori (...)-(...) pregiudicava i diritti reali acquistati con l'atto di compravendita del 22 luglio 2004, loro trasferiti e costituiva una vera e propria evizione, pur parziale. Per questi motivi, avevano convenuto in giudizio i Sigg. (...), (...) e (...), i quali si costituivano in giudizio con comparsa di costituzione e risposta, contestando le domande attrici perché infondate in fatto e in diritto. Nessuno si costituiva per i Sigg. (...) e (...) e, all'udienza del 14 febbraio 2018, il G.I. autorizzava gli attori a rinnovare l'atto di citazione ai medesimi convenuti e fissava, all'uopo, l'udienza del 19 settembre 2018. Nessuno si costituiva per i predetti convenuti e, pertanto, ne veniva dichiarata la contumacia. Concessi alle parti i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., la causa veniva, pertanto, istruita con l'escussione dei testi e con l'espletamento della CTU, redatta dall'Arch. (...). Dopo la nomina del CTU, si costituiva, irritualmente e tardivamente, il convenuto (...), con comparsa di costituzione e risposta, con la quale spiegava domande riconvenzionali ed eccezioni riconvenzionali di accertamento. Il Tribunale autorizzava l'Arch. (...) ad avvalersi della forza pubblica per accedere ai luoghi oggetto di causa, stante gli impedimenti illegittimi frapposti dal suddetto convenuto. Espletata la CTU, la causa veniva, pertanto, rinviata all'udienza del 02.02.2023 per la precisazione delle conclusioni. Alla predetta udienza, la causa - sulle conclusioni rassegnate dalle parti - veniva posta in decisione, con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Premesso quanto sopra, in diritto, si rendono necessarie le seguenti considerazioni. Sulla dichiarazione di morte della convenuta (...): Con la comparsa conclusionale, tempestivamente depositata, il procuratore costituito ha dichiarato il decesso della Sig.ra (...), avvenuto in data 17.11.2022, come da certificato di morte, ivi allegato, chiedendo l'interruzione del giudizio. Sul punto si osserva che l'art. 300 c.c. così dispone: "Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell'articolo precedente. Se la parte è costituita personalmente, il processo è interrotto al momento dell'evento. Se l'evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall'altra parte, o è notificato ovvero è certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all'articolo 292. Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera o è notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, esso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell'istruzione.". Dalla lettura della norma, si palesa che in caso di morte di una delle parti, il procuratore può: - dichiararlo in udienza; - notificarlo alle altre parti. Dalla dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, a meno che non vi sia: - la costituzione volontaria degli eredi; - la riassunzione ai sensi dell'art. 163 bis La lettura della norma, come anticipato, chiarisce tassativamente le ipotesi di interruzione nella fattispecie concreta analizzata, tuttavia, sul punto è intervenuta anche la cassazione a dissipare ogni dubbio: "La dichiarazione, da parte del procuratore, di uno degli eventi che, a norma dell'art. 300 c.p.c., comportano l'interruzione del processo, deve essere finalizzata al conseguimento di tale effetto o corredata dei necessari requisiti formali (quali la formulazione in udienza o in atto notificato alle altre parti), sicché non determina interruzione del processo la dichiarazione contenuta nella comparsa conclusionale, nella quale il difensore si sia limitato a chiedere la fissazione di apposita udienza istruttoria, riservandosi in tale sede di dichiarare l'evento" (cfr. Cass. civ. Sez. II, 28/09/2015, n. 19139). Nella sostanza, la comparsa conclusionale, non ha le caratteristiche per poter assolvere il conseguimento dell'effetto interruttivo previsto tassativamente dalla norma, proprio perché non ci troviamo in udienza e perché la stessa non è notificata alle altre parti. Condividendo questo assunto, anche il giudice di Pace di Vallo Della Lucania ha affermato, in merito alla dichiarazione di morte pervenuta solo con la comparsa conclusionale che "Tale dichiarazione non ha valenza interruttiva del processo, perché non ha i requisiti formali di valenza. Difatti, al Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 19139/2015 ha ribadito il principio, già espresso in altre sentenze n. 15131/200, n. 8357/2007, secondo cui la dichiarazione da parte del procuratore di uno degli eventi che, a norma dell'art. 300 c.p.c., comportano l'interruzione del processo deve essere finalizzata al conseguimento di tale effetto, il quale pertanto, non si verifica se la dichiarazione stessa e stata resa per uno scopo meramente informativo, in difetto del detto elemento intenzionale o dei necessari requisiti formali, quali la formulazione in udienza o in atto notificato alle altre parti e senza astensione dell'attività difensiva, con la conseguenza che non determina interruzione del processo la dichiarazione che risulti soltanto dalla comparsa conclusionale depositata, che costituisce un tipico atto difensivo non equiparabile alla dichiarazione resa in udienza o alle notificazioni con le suddette finalità". Per quanto sopra, questo Decidente ritiene di condividere l'orientamento giurisprudenziale sopra esposto e, pertanto, il giudizio non deve essere dichiarato interrotto, malgrado il decesso della convenuta, (...). Sulla tardiva costituzione del convenuto, (...): Preliminarmente, deve essere dichiarata la decadenza del convenuto (...) dal proporre domande riconvenzionali, anche di mero accertamento, ed eccezioni non rilevabili d'ufficio, reiterate in comparsa conclusionale, perché tardivamente costituitosi. Parimenti, va dichiarata inammissibile la produzione documentale del convenuto, posta a fondamento di detti accertamenti riconvenzionali, per essere stata depositata irritualmente dopo la scadenza del termine di cui all'art.183 VI comma n.2 c.p.c. non avendo, peraltro, formulato alcuna istanza di rimessione in termini. Sul diritto di servitù vantato dagli attori: Passando alla trattazione del giudizio nel merito, è opportuna una breve esposizione dei principi generali in tema di servitù. Ai sensi dell'articolo 1027 c.c., la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l'utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario. È essenziale, pertanto, questa relazione (rapporto di servizio) tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente. Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui. Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo). Il proprietario del fondo dominante (cioè del fondo che accresce la propria utilità) può dunque pretendere dal titolare del fondo servente (cioè del fondo che subisce il peso), che questi non impedisca il conseguimento in fatto di quelle utilità. Le servitù si possono costituire in due modi: per ordine della legge (servitù coattive ex art. 1032 c.c.) o per volontà dell'uomo (servitù volontarie ex art. 1031 c.c.). Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell'autorità giudiziaria, su domanda dell'interessato; la sentenza determina anche l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell'autorità amministrativa. Un modo di "acquisto a titolo originario", proprio solo delle servitù, è la cosiddetta "destinazione del padre di famiglia" (art. 1062), inteso come il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti ad un medesimo proprietario. Se i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore dell'altro. Questo modo di acquisto vale solo per le servitù apparenti, cioè per quelle servitù che presentano segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo. A tal proposito, può benissimo trattarsi del viottolo formatosi per effetto del quotidiano calpestio da parte del titolarità dei fondi in capo ad uno stesso soggetto. Come sopra precisato, l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia ha luogo se due fondi, attualmente divisi, siano stati posseduti dallo stesso proprietario, che ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù (art. 1062), ma l'atto di destinazione è valutato alla stregua di fatto giuridico, non essendo rilevante la volontà del proprietario quanto l'effettiva realizzazione dello stato di cose da cui risulta inequivocabilmente l'esistenza di una servitù, cioè il vincolo a carico di un fondo ed a vantaggio di un altro, esistendo opere permanenti dirette all'esercizio della servitù. In sostanza, si deve realizzare una situazione tale che se i due fondi fossero stati di due diversi proprietari, sarebbe esistita una servitù. Poiché tuttavia nemini res sua servit, tale condizione, finché i fondi saranno di proprietà di un unico soggetto, non potrà realizzarsi, tanto ciò vero che la destinazione opera immediatamente e la servitù nasce automaticamente se il proprietario aliena un fondo mantenendo la proprietà dell'altro ovvero, in caso di fondo unico, lo divide alienandone solo una parte e riservando a sé l'altra. In tal caso non sarà necessario ricorrere all'art. 1051 c.c., perché la servitù si considera già nata, pur a prescindere dal pagamento di un'indennità. Ai sensi dell'art. 1061 cod. civ., poi, è possibile acquistare una servitù apparente, oltre che per "destinatio pater familias", per usucapione, cioè, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e per la presenza di altri requisiti. Quindi, riuscendo a dimostrare che la servitù in questione esiste da almeno 20 anni, ossia che il sentiero, ovvero il viottolo di accesso alla pubblica via, già da un ventennio ha acquistato le caratteristiche di visibilità, permanenza e destinazione specifica, allora si potrà affermare l'esistenza del diritto di passaggio e, quindi, della servitù. Il requisito dell'apparenza della servitù discontinua, come quella di passaggio, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio tali da rivelare in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente per l'utilità del fondo dominante, dovendo le dette opere, naturali od artificiali che siano, rendere manifesto trattarsi non di un'attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza l'animus utendi iure servitutis, bensì d'un onere preciso, a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto d'una determinata servitù (cfr. tra le tante, Cass. n. 2994/04; Cass. n. 6207/98; Cass. 18.10.91 n. 1120, Cass. 23.11.87 n.8640, Cass. 27.5.81 n. 3479, Cass. 7.7.78 n. 3408, Cass. 15.6.76 n.2226). Trattandosi di servitù di passaggio, poi, non è sufficiente, al fine di cui sopra, la sola esistenza dell'opera, che può essere stata realizzata anche soltanto per l'utilità del proprietario del fondo sul quale insiste, ma è necessario che tale opera risulti specificamente destinata, senza incertezze od ambiguità, all'esercizio della servitù e ciò in particolare deve evincersi o dalla struttura del tracciato del sentiero, o da opere esistenti sull'uno come sull'altro dei due fondi, che consentano di verificare la strumentalità del sentiero stesso rispetto alle esigenze del fondo da considerare dominante. Più specificamente, quando le opere insistenti sul fondo reputato servente, quali la struttura ed il tracciato del sentiero, risultino di per sé preordinate all'utilità del fondo stesso, l'apparenza della servitù in favore del fondo assunto dominante non può manifestarsi se non attraverso altre opere visibili e permanenti, diverse dal sentiero, insistenti sul fondo servente o sullo stesso fondo dominante e tali da rivelare la destinazione del sentiero anche al servizio di quest'ultimo (cfr, tra le tante, Cass. n. 2994/04; Cass. n. 6207/98; Cass. 18.10.91 n. 1120, Cass. 23.11.87 n.8640, Cass. 27.5.81 n. 3479, Cass. 7.7.78 n. 3408, Cass. 15.6.76 n.2226). Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui. Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo). Il proprietario del fondo dominante (cioè del fondo che accresce la propria utilità) può dunque pretendere dal titolare del fondo servente (cioè del fondo che subisce il peso), che questi non impedisca il conseguimento in fatto di quelle utilità. Le servitù si possono costituire in due modi: per ordine della legge (servitù coattive ex art. 1032 c.c.) o per volontà dell'uomo (servitù volontarie ex art. 1031 c.c.). Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell'autorità giudiziaria, su domanda dell'interessato; la sentenza determina anche l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell'autorità amministrativa. Con riferimento alla fattispecie in esame, si osserva che alla luce delle risultanze della relazione di consulenza tecnica d'ufficio principale dell'1.06.2021 e di quella integrativa del 13.11.2022, nonché della prova per testi espletata, la domanda formulata, in via principale, dagli attori merita accoglimento. Va infatti rilevato che gli attori, per titolo, hanno diritto sul fabbricato rurale ed hanno altresì diritto all'esercizio della servitù di passaggio pedonale, come descritti nell'atto di compravendita. A mente dell'articolo 1476 primo comma n.3) cod.civ. "Le obbligazioni principali del venditore sono.....3) quella di garantire il compratore dall'evizione..." Ne discende che i convenuti signori (...)-(...) devono garantire gli odierni concludenti, a mente della norma testé citata. Gli attori, invero, hanno assolto all'onere della prova documentale in ordine alla tutela invocata per i diritti reali azionati, e cioè il diritto di uso sul fabbricato rurale richiamato nel loro titolo di proprietà ed il diritto di servitù di passaggio pedonale per accedere dalla via (...) di Misilmeri al fondo vendutogli dai signori (...)-(...). In effetti, il convenuto costituito, signor (...), proprietario del fondo confinante, come quello dei signori (...) - (...), ha tentato di confondere lo stato dei luoghi, da lui stesso modificato, con nuove costruzioni (peraltro eseguite senza alcun titolo abilitativo urbanistico, accertato dal CTU, che hanno chiuso l'accesso al fabbricato rurale dalla via Quattrociocchi, lo hanno inglobato nella nuova costruzione realizzata dal medesimo convenuto e parimenti hanno impedito il passaggio pedonale dalla via (...) al fondo venduto ai concludenti dai signori (...)-(...). La situazione dello stato dei luoghi è risultata, di recente, stravolta dal convenuto, come accertato dal CTU. La prova per testi espletata ha però confermato il sito e l'ubicazione del fabbricato rurale per cui è causa e l'uso dello stesso. All'udienza del 22 ottobre 2020 il teste (...) ha confermato che circa sei prima il signor (...) ha chiuso con muri e porte il fabbricato rurale sito in contrada (...) di Misilmeri, che era utilizzato come deposito dei frutti raccolti nei terreni circostanti, compreso quello del signor (...) e prima di tali opere il fabbricato era aperto all'uso di tutti i confinanti, compreso il signor (...), e prima di lui i proprietari signori (...). Il teste ha precisato che svolge lavoro di bracciante agricolo ed ha lavorato nei fondi del padre; in particolare ha precisato che il signor (...) nel recintare il terreno che confina con il fabbricato rurale, lo ha incorporato alla sua proprietà; contestualmente alle opere di chiusura del piccolo fabbricato rurale, il (...) ha recintato il suo terreno confinante ed ha inglobato il viottolo pedonale che era di servizio anche al terreno del signor (...), già di proprietà dei signori (...), ed in questa occasione il (...) ha pure edificato un fabbricato abusivo, nel suo terreno, a confine col fabbricato rurale, impedendo l'esercizio del passaggio per la raccolta degli agrumi. Il viottolo conduceva dai fondi alla strada comunale (...), ed una volta operata la recinzione dal (...) non si può più accedere al fabbricato ed alla via comunale; ha confermato che il signor (...) ha invitato bonariamente i signori (...) e (...) ad eliminare detti impedimenti, ma non ha avuto alcun esito positivo e ancora oggi è impedito l'accesso al viottolo ed al fabbricato rurale, anzi il teste ha aggiunto che ormai non è più un fabbricato rurale ma viene utilizzato come abitazione. Il teste (...), escusso all'udienza del 15 novembre 2022, ha confermato il capitolato di cui alla lettera a) della memoria 183 VI comma n.2 degli attori; in particolare, il teste ha precisato che quando lavorava, portava le cassette dei limoni all'intero della casetta che era aperta "i limoni li raccoglievo dal fondo del signor (...) anche il figlio dell'attore portava i limoni all'interno della casetta; quando si raccoglievano 20-30 casse veniva il camion e se li portava per la vendita" anche la circostanza sub B) della medesima memoria è stata confermata dal teste, che ha aggiunto "il sig. (...) ha chiuso tutto ed anche il viottolo che non esiste più"; il viottolo pedonale portava alla casetta; infine ha confermato la circostanza sub c) della memoria 183 VI comma n.2 c.p.c. ed ha così dichiarato: "riconosco dalla foto che mi viene esibita indicata con il numero 6 a pag. 11 della CTU il fabbricato rurale oggetto di causa". Il fabbricato rurale sul quale gli attori e terzi, vantano per titolo il diritto di uso, è quello rappresentato dal CTU alla data del 10 aprile 2010, mentre le fotografie n.7-8-9 rappresentano i luoghi così come li ha mutati il ctu e in particolare nella fotografia n.8 è di tutta evidenza che il fabbricato rurale è stato inglobato dal convenuto: c'è sempre lo stesso palo della luce a confermare che quello è il fabbricato rurale. Non c'è più la porta, è stata chiusa con un muro, il tutto è stato sopraelevato e inglobato nella proprietà (...). Il teste (...) ha confermato di conoscere i luoghi perché vi lavorava, portando i limoni raccolti nel fondo (...) lungo il viottolo pedonale che costeggi la proprietà (...)-(...), per depositarli nel piccolo magazzino, con apertura sulla via (...) dalla quale erano prelevati dal camion per portarli al mercato. Il teste non ha avuto esitazioni a riconoscere il fabbricato rurale nella predetta foto n.6, al 2010. Nella relazione del CTU (cfr. pag. 10), si legge "il fabbricato è stato oggetto di ampliamento planivolumetrico per circa 60 mq. Coperti, con modificazione della sagoma dell'edificio (che oggi presenta un perimetro irregolare rispetto all'originario perimetro rettangolare); l'eliminazione dell'ingresso del fabbricato dalla strada vicinale (...) (vedi foto aprile 2010); apertura di finestre ed installazione di impianto di aria condizionata (vedi foto n. 6, 7, 8, 9)" La conferma finale si ha negli accertamenti compiuti nella relazione ci consulenza tecnica del 13.11.2022. La aereofotogrammetria dei luoghi acquisita alla data del 20.10.1997 rappresenta solo il piccolo fabbricato rurale senza costruzioni circostanti che lo inglobano. Parimenti quella al 24.05.2003. Solo nella aereofotogrammetria al 18.04.2008 risulta l'edificazione nel fondo (...), ma ancora dal fabbricato rurale si intravede un tracciato di viottolo pedonale che sale verso il fondo a monte per arrivare a quello degli attori. Nella aereofotogammetria al 25.09.2013 risulta che oltre al fondo (...) con la edificazione di immobili risulta modificato ed ampliato il fabbricato rurale. Alla pagina 15 (ultimo rigo) e 16 (righi 1 -22) della relazione tecnica principale, il ctu descrive le opere che occorrono per l'uso del fabbricato rurale oggetto dell'atto di compravendita in favore degli attori (rigo 12) tale ripristino potrà avvenire tramite tompagnatura muraria delle pareti interne che garantiranno la separazione del detto fabbricato dalla superfetazioni edilizie che ne hanno ampliato volumi e supefici. Si precisa che l'orientamento dei due lati corti del fabbricato (m.6,15) conformemente alle risultanze catastali, dovranno essere mantenuti in direzione nord sud; mentre i lati lunghi (m.7,55) dovranno essere mantenuti sulla direttrice est ovest. Su lato est del fabbricato, sulla parte che aggetta dal muro di confine sulla via (...), dovrà essere ripristinata la porta in ingresso, già peraltro visibile della foto acquisita datata aprile 2010 foto 6) il tutto come rappresentato nell'elaborato dello scrivente che si allega sub 15. Per ripristinare il passaggio pedonale, dalla via pubblica Quattrociocchi almeno sino al confine con la particella 321, che era già di proprietà del concludente signor (...), all'atto dell'acquisto del fondo, occorrerà: - L'abbattimento parziale del muro posto a delimitazione tra la particella 1525 di proprietà dei signor (...)-(...) e la strada vicinale (...); - L'eliminazione di siepi, alberi e colture; - L'eliminazione parziale degli eventuali muri delle recinzioni posti a delimitazione dei confini; A pagina 14 il CTU (righi 16-18) ha individuato in un metro la larghezza del viottolo pedonale, lungo il limite ovest delle particelle 1525 e 1526 in concreto lungo il limite del confine con la particella 55 e fino al confine con la particella (...). Al di là delle diverse ipotesi, prospettate dal CTU, si osserva che gli accertamenti tecnici sullo stato dei luoghi al 2010, la modifica operata e non contestata dal convenuto e le risultane della prova testimoniale che ha confermato anche l'esercizio dell'uso del fabbricato e del viottolo in conformità al titolo di proprietà, convergono nell'accertamento del diritto e della tutale invocata dagli attori, secondo gli accertamenti della CTU. Alla luce delle superiori argomentazioni, deve concludersi per l'accoglimento delle domande proposte, in via principale, dagli attori. Precisamente, i convenuti (...) e (...) devono essere condannati a consentire agli attori l'accesso e l'uso del fabbricato rurale, sito in Misilmeri, contrada (...), in catasto al foglio (...), particella (...), di are 1,31, ed a consegnare la chiave dell'ingresso a detto fabbricato rurale, dando atto che gli attori non si oppongono al pari uso dei predetti convenuti o di terzi. I convenuti, (...) e (...), devono essere condannati a consentire l'esercizio del passaggio pedonale agli attori, dalla strada vicinale Quattrociocchi sino al fondo di essi istanti, ed al magazzino, contrassegnati in catasto al foglio (...), particelle (...), del C.T. e foglio (...), particella (...) del NCEU anche nel tratto che attraversa il fondo di essi convenuti contrassegnato al foglio 1, particella (...), sempre del Comune di Misilmeri, eliminando qualsiasi ostacolo che lo impedisca, ed in particolare secondo le prescrizioni della consulenza tecnica d'ufficio contenute alle pagine 14 punto 4.4 righi 6-18, raffigurato come prima ipotesi a pag. 15, (relativamente al ripristino del viottolo pedonale) ed alle pagine 15 e 16 e relativo grafico pag. 17 (per il ripristino dell'uso del fabbricato rurale) sempre della relazione di consulenza tecnica d'ufficio dell'1.06.2021. Con l'accoglimento della domanda principale contenuta al numero 1 dell'atto di citazione, non occorrerà l'esame della domanda successiva e subordinata, proprio in virtù di tale rapporto di subordinazione tra le medesime domande. Alla luce di ciò le eccezioni sollevate dai convenuti signori (...), (...) e (...) sono irrilevanti. A ciò si aggiunga che parte attrice ha depositato il verbale negativo (cfr. verbale di mediazione dell'ADR (...), del 28.04.2016), con il quale è stato chiuso il procedimento di mediazione promosso dai Sigg. (...) - (...), da cui risulta che i convenuti, (...) - (...), non sono comparsi, senza alcun giustificato motivo. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo di non partecipare alla mediazione da parte dei predetti convenuti, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova delle doglienze rappresentate da parte attrice. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del DM n. 147/2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. In merito alla liquidazione delle spese, si precisa che si applicano i compensi medi relativi allo scaglione compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00. Il compenso deve, tuttavia, essere aumentato del 30%, stante la presenza di più parti aventi la stessa posizione processuale. In merito alla posizione dei convenuti (...) - (...), si osserva che, stante, l'accoglimento della domanda principale degli attori in danno dei convenuti, (...) - (...), appare opportune compensate le spese, nei confronti dei predetti convenuti, (...) - (...). P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, nella contumacia della Sig.ra (...), definitivamente pronunciando, così provvede: - Preliminarmente dichiara decaduto il convenuto, (...), dal proporre domande riconvenzionali anche di accertamento ed eccezioni non rilevabili d'ufficio, nonché dal produrre documentazione oltre i termini di cui all'art. 183 VI comma n.2 c.p.c. ritenendo inammissibile quella prodotta; - Condanna i convenuti, (...) e (...), a consentire agli attori l'accesso e l'uso del fabbricato rurale, sito in Misilmeri, contrada (...), in catasto al foglio (...), particella (...), di are 1,31, ed a consegnare la chiave dell'ingresso a detto fabbricato rurale, dando atto che gli attori non si oppongono al pari uso dei predetti convenuti o di terzi; - Condanna sempre i convenuti, (...) e (...), a consentire l'esercizio del passaggio pedonale agli attori, dalla strada vicinale Quattrociocchi sino al fondo di essi istanti, ed al magazzino, contrassegnati in catasto al foglio (...), particelle (...), del C.T. e foglio (...), particella (...) del NCEU anche nel tratto che attraversa il fondo di essi convenuti contrassegnato al foglio 1, particella (...), sempre del Comune di Misilmeri, eliminando qualsiasi ostacolo che lo impedisca, ed in particolare secondo le prescrizioni della consulenza tecnica d'ufficio contenute alle pagine 14 punto 4.4 righi 6-18, raffigurato come prima ipotesi a pag. 15, (relativamente al ripristino del viottolo pedonale) ed alle pagine 15 e 16 e relativo grafico pag. 17 (per il ripristino dell'uso del fabbricato rurale) sempre della relazione di consulenza tecnica d'ufficio dell'1.06.2021; - Visto l'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 148/2011, condanna i convenuti, (...) e (...), in solido tra loro, al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato, stante la mancata adesione al procedimento di mediazione; - Condanna i Sigg. (...) e (...) al pagamento, in solido tra loro, in favore degli attori, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 6.947,21 di cui Euro 347,11 per spese non imponibili ed Euro 6.600,10 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - Compensa tra le altre parti le spese di lite; - Pone definitivamente a carico dei convenuti, (...) e (...), in solido tra loro, le spese e gli onorari di CTU già liquidati con separato decreto. Così deciso in Termini Imerese il 15 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZIONE UNICA CIVILE in persona del Giudice, dott.ssa Maria Margiotta, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia iscritta al n. 2931 del registro generale affari civili dell'anno 2017 TRA (...) S.P.A., a mezzo della mandataria (...) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Ma. in forza procura generale alle liti in atti, presso il cui studio sito a Palermo, via (...), è elettivamente domiciliata ATTRICE E (...) (cf: (...)), nato a P. l'(...) (...) (cf: (...)), nata a P. il (...) entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Gi.Ci. in forza di procura alle liti in atti, presso il cui studio sito a Ficarazzi, corso (...), sono elettivamente domiciliati CONVENUTI E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ro.Fr. in forza di procura alle liti in atti, presso il cui studio sito a Vibo Valentia, piazza del Lavoro n. 3, è elettivamente domiciliata INTERVENIENTE Avente ad oggetto: azione revocatoria ordinaria; RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) S.p.a., a mezzo della mandataria (...) S.p.a. (già (...) S.p.a.), conveniva in giudizio (...) e (...), coniugi in regime di separazione dei beni, al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia nei propri confronti, ex art. 2901 c.c., dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale (ai rogiti del notaio (...) del (...), rep. (...), racc. (...), trascritto il 28.11.2012 al n. 51974/41436), avente ad oggetto la nuda proprietà di un fabbricato sito a M., contrada (...) n. 50, composto da due appartamenti, l'uno al piano terra di due vani e accessori, l'altro al primo piano di quattro vani ed accessori, con lastrico solare al secondo piano e con terreno di pertinenza e terreno limitrofo (meglio descritti in atti), acquistati dal (...) con atto di compravendita del 18.6.1997, allegando il pregiudizio derivante dalla liberalità in oggetto per le ragioni di credito vantate nei confronti del convenuto, di cui quest'ultimo era a conoscenza. Parte attrice deduceva, nello specifico: - di essere creditrice di (...) S.r.l. nonché di (...) personalmente - quale garante in virtù della fideiussione prestata dallo stesso il 4.1.2011 - della somma di Euro 93.709,77, quale saldo debitore, al 26.07.2017, del contratto di mutuo chirografario n. (...) dell'importo di Euro 100.000,00 concesso dall'istituto di credito alla predetta società 4.1.2011; - di essere altresì creditrice di (...) S.r.l. nonché di (...) personalmente - quale garante in virtù della fideiussione prestata dallo stesso il 6.12.2010 fino alla concorrenza di Euro 110.000,00, oltre interessi moratori nella misura prevista nei rapporti creditizi garantiti - della somma di Euro 107.774,90, di cui Euro 80.709,47 quale saldo debitore, alla data del 26.07.2017, del conto corrente n. (...) aperto il 20.12.2010 (sul quale il 23.10.2010 era stato concesso un affidamento di Euro 70.000,00), e della somma di Euro 27.065,43, quale saldo debitore, al 26.07.2017, del conto corrente n. (...) aperto il 3.12.2010, affidato il 23.12.2010 per gli importi di Euro 10.000,00, Euro 4.000,00 e Euro 2.000,00; - che tutti i saldi sopra richiamati risultavano dagli estratti conto conformi alle scritture contabili, alla data del 26.7.2017; - che con lettera raccomandata a/r del 18.4.2013 (...) S.p.a. aveva comunicato il recesso dai due contratti di conto corrente e la risoluzione del mutuo chirografario invitando contestualmente il debitore all'immediato rientro dalle suddette esposizioni. Regolarmente costituitisi nel presente giudizio, (...) e (...) eccepivano preliminarmente il difetto di legittimazione passiva di quest'ultima atteso che, pur avendo partecipato all'atto di costituzione del fondo patrimoniale, non rivestiva alcuna posizione debitoria nei confronti dell'istituto di credito. Contestavano per il resto le deduzioni avversarie, negando la configurabilità del consilium fraudis sul presupposto che l'atto (stipulato il 27.11.2012) fosse antecedente alla diffida con cui (...) S.p.a. aveva comunicato il recesso dai contratti di conto corrente, nonché la risoluzione del mutuo chirografario concesso (del 18.4.2013). Rilevavano, inoltre, l'assenza del pregiudizio alle ragioni del creditore, contestando l'ammontare del credito vantato da parte attrice, oggetto del procedimento monitorio n. 3070/2017 R.G. e del successivo giudizio di opposizione ancora pendente (n. 3853/2017 R.G.), nonché la validità della fideiussione prestata da (...). Con comparsa depositata il 25.4.2019, interveniva nel presente giudizio (...) S.P.A., quale cessionaria del credito vantato da (...) S.p.a., facendo proprie le difese spiegate dalla banca cedente. La causa è stata istruita mediante produzioni documentali e con ordinanza del 10.1.2023 - resa in seguito all'udienza cartolare del 9.1.2023, sostituita dalle note scritte depositate dalle parti ex art. 127 ter c.p.c. -, è stata assunta in decisione assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Così ricostruiti i fatti di causa, deve osservarsi che l'azione revocatoria è lo strumento predisposto dal legislatore per tutelare le ragioni dei creditori che siano state lese da atti dispositivi posti in essere dal debitore il quale abbia sottratto i propri beni alla garanzia patrimoniale, rendendo in ogni caso più gravosa la soddisfazione del diritto di credito. Si tratta, dunque, di un rimedio con finalità conservative volto alla ricostituzione della consistenza patrimoniale del debitore: il creditore, una volta ottenuta la dichiarazione di inefficacia, potrà promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto (art. 2902 c.c.). È opportuno precisare che il positivo esperimento della revocatoria è privo di effetti restitutori e non comporta, quindi, il (re)ingresso del bene oggetto dell'atto dispositivo nel patrimonio del debitore, dando luogo l'eventuale pronuncia di accoglimento (costitutiva) ad un'inefficacia relativa e sopravvenuta di tale atto rispetto al creditore che attiva il rimedio di cui all'art. 2901 c.c. (cfr. Cass., n. 15096/2017). L'atto revocato conserva dunque la propria efficacia traslativa in capo al (terzo) acquirente ed erga omnes, restando tuttavia il primo soggetto all'azione esecutiva intrapresa dal creditore fino alla concorrenza del debito del suo dante causa. Passando adesso brevemente in rassegna i presupposti richiesti dal legislatore per l'esperimento della tutela conservativa in esame, tra quelli soggettivi viene innanzitutto in rilievo la sussistenza di un rapporto di debito-credito e dunque la qualifica di creditore in capo al soggetto agente, con la precisazione che può trattarsi anche di credito sottoposto a termine o a condizione, essendo sufficiente altresì un credito meramente eventuale o un'aspettativa di credito, da accertare incidentalmente ad opera del giudice adito (si veda sul punto Cass., n. 7357/2019: "in tema di azione revocatoria ordinaria, l'art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste dicredito litigioso, è idoneo a determinare, sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito, l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore"; Cass. n. 11755/2018: "ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata"). Sempre sul piano soggettivo, va annoverato il cd consilium fraudis, ossia l'intento frodatorio e dunque la consapevolezza del carattere pregiudizievole dell'atto; tale requisito si atteggia diversamente a seconda che l'atto sia a titolo gratuito, senza che il terzo abbia sopportato alcun sacrificio, ovvero a titolo oneroso; nel primo caso il consilium fraudis dovrà sussistere solo in capo al debitore, mentre, nel secondo, si richiede anche l'intento fraudolento del terzo. Non è necessario, ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria, che il credito sia sorto anteriormente all'atto dispositivo, dovendo tuttavia sussistere al momento della proposizione della domanda (così Cass., n. 2347/2019), con la precisazione che il requisito dell'anteriorità va riscontrato con riferimento al momento in cui il credito è sorto e non a quello successivo in cui viene accertato giudizialmente (in questo senso, ex multis, Cass., n. 23326/2018; Cass., n. 17356/2011; Cass., n. 2748/2005). In tale ipotesi, peraltro, l'art. 2901 c.c. prevede, per così dire, un rafforzamento del presupposto soggettivo. Invero, ove si tratti di atto a titolo gratuito, è necessario che lo stesso sia stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare la soddisfazione del credito e quindi che il soggetto abbia contratto il debito con l'intenzione di rendersi insolvente; nel caso di atto a titolo oneroso, ancora una volta è chiamato in causa il terzo avente causa del debitore, essendo richiesta la partecipatio fraudis, cioè la sua compartecipazione alla dolosa preordinazione (cfr. Cass., n. 1286/2019). Passando all'esame dei presupposti oggettivi, viene in evidenza il cd eventus damni, da intendere come "pregiudizio alle ragioni del creditore, tale da determinare l'insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale" (in questi termini, si veda Cass., n. 3538/2019, che quanto al profilo temporale dell'accertamento fa riferimento al momento "in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio ed in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all'atto di disposizione"). Quanto ai soggetti passivamente legittimati, accanto al debitore deve annoverarsi anche il terzo avente causa, beneficiario dell'atto dispositivo del patrimonio. Venendo al caso sub iudice, parte attrice ha agito per la revocatoria dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale posto in essere dai coniugi convenuti in giudizio che, secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, è assoggettabile alla revocabilità di cui all'art. 2901 c.c.. Invero, "il fondo patrimoniale non costituisce adempimento ad un dovere giuridico perché non è obbligatorio per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, suscettibile di revocatoria" (cfr. Cass., n. 26223/14). Ciò chiarito, va a questo punto dato conto dell'infondatezza dell'eccezione mossa dai convenuti in relazione al difetto di legittimazione passiva di (...), stante la sua estraneità al rapporto debitorio. Deve, a tale riguardo, evidenziarsi che "nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorché non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all'accoglimento della domanda revocatoria" (così, Cass., n. 19330/2017). Ed ancora, come ribadito dalla giurisprudenza più recente, "la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla sua costituzione in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva va riconosciuta ad entrambi i coniugi, anche se l'atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell'art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto costitutivo, con la precisazione che anche nell'ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia (cfr. Cass., n. 5768/2022). Ciò posto, la domanda proposta da (...) S.p.A. a mezzo della mandataria va accolta, sussistendo nel caso di specie i presupposti applicativi dell'actio pauliana. Deve, invero, ritenersi provata la qualifica di debitori degli odierni convenuti, non cogliendo nel segno i rilievi inerenti l'incertezza del credito vantato nei confronti della banca; si è, infatti, già evidenziato che "ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata" (cfr, ex multis, Cass., n. 11755/2018). Dirimente, per ciò che qui rileva, è l'indirizzo interpretativo di legittimità secondo il quale "poiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l'indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell'art. 295 c.p.c., per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l'accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico - giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d'altra parte da escludere l'eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito" (Cass., n. 11573/2013). Tale principio di diritto non fa altro che confermare la natura meramente conservativa e non anche recuperatoria dell'azione intrapresa da parte attrice, che ha indotto la stessa giurisprudenza ad accordare la tutela in oggetto anche nell'ipotesi dell'esistenza di una mera ragione di credito o di un credito meramente eventuale, nozione nella quale rientra il credito in contestazione, cioè quello litigioso (cfr., ex multis, Cass., n. 12975/2020; Cass., n. 4212/2020; Cass., n. 1893/2012). Pera altro verso, va detto che, essendo la costituzione del fondo patrimoniale un atto a titolo gratuito idoneo ad incidere riduttivamente sulla garanzia generica dei creditori di cui all'art. 2740 c.c., è indubbio che - ove sussistano tutti i presupposti di accoglimento dell'azione promossa (credito verso il debitore, atto di disposizione patrimoniale a titolo gratuito successivo all'insorgenza di tale credito, "eventus damni" e "consilium fraudis", ossia la cd "scientia damni" da parte del debitore) - la stessa vada revocata ex art. 2901 c.c. nei confronti del creditore procedente, in quanto idonea a rendere i beni conferiti aggredibili solo alle determinate condizioni previste dall'art. 170 c.c.. Il debitore deve, invero, ritenersi, anche ex art. 2729 c.c., pienamente consapevole di assottigliare con la disposizione patrimoniale in questione la garanzia costituita dai suoi beni, rendendo più difficoltosa la possibilità per il creditore di vedere soddisfatte le proprie ragioni (cfr., in argomento, anche Cass., S.U., n. 3406(1975). Peraltro, nell'ipotesi di fideiussione prestata a garanzia di apertura di credito - come nella fattispecie per cui è causa - , la giurisprudenza ha chiarito che "prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse a un'apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all'apertura di credito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) e al fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento. Ciò in quanto l'insorgenza del credito va apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (confr. Cass. civ. 15 febbraio 2011, n. 3676; Cass. civ. 29 gennaio 2010, n. 2066; Cass. civ. 9 aprile 2009, n. 8680)" (in questi termini, Cass., n. 22878/2012; Cass., n. 10522/2020; Cass., n. 1414/2023: "In tema di azione revocatoria ordinaria, il credito derivante da un contratto di apertura di credito regolata in conto corrente è qualificabile quale credito litigioso, ai fini della valutazione dell'anteriorità rispetto ad atti dispositivi effettuati dal correntista, dal momento in cui la banca accredita sul conto la somma messa a disposizione e non da quando l'obbligo di restituzione diviene esigibile"). Ad avviso di chi giudica l'attrice ha, inoltre, dimostrato l'anteriorità dell'insorgenza dei crediti, indipendentemente dal loro accertamento, rispetto all'atto di disposizione sopra considerato. Ed infatti, la costituzione del fondo patrimoniale è avvenuta in data 27.11.2012, mentre il rapporto di credito in favore della (...) S.r.l. e la prestazione della fideiussione da parte di (...) sono sorti antecedentemente, come risulta dalla documentazione in atti, a nulla rilevando che la (...) ha comunicato solo in data successiva, ossia con raccomandata del 18.4.2013, il recesso dai due contratti di conto corrente e la risoluzione del mutuo chirografario (cfr. memoria ex art. 183, co VI, n. 2, c.p.c. dell'istituto di credito e relativi allegati). Va, poi, affermata la configurabilità dell'intento frodatorio e dunque la consapevolezza del carattere pregiudizievole dell'atto che, trattandosi di atto a titolo gratuito, deve sussistere solo in capo al debitore. Ebbene, la circostanza che il fabbricato oggetto della costituzione del fondo patrimoniale fosse l'unico bene di proprietà del debitore - come emerge dalla documentazione ipotecaria in atti (cfr. all. n. 7 alla memoria 183, co VI, n. 2, c.p.c. dell'attrice), consente di affermare la sussistenza dello stato psicologico rilevante ai fini della declaratoria di inefficacia dell'atto. A ciò si aggiunga che, dagli atti di causa, è emerso che (...) s.r.l., amministrata da (...) - il quale ha peraltro assunto la veste di garante in relazione alle obbligazioni della società - ha subito un primo protesto il 20.11.2012, il secondo per altro titolo in pari data, il terzo il 4.12.2012, e via via fino al ventitreesimo del 12.6.2014 (cfr. visura (...) del 2.3.2017 allegata alla memoria ex art. 183, co VI, n. 2, c.p.c. dell'attrice). Ed ancora, l'estratto analitico del mutuo chirografario evidenzia il (quasi) regolare rispetto del piano di ammortamento fino alla rata n. 20, scaduta il 30.09.2012, non risultando pagata alcuna di quelle successive. Inoltre, il c/c n. (...), già quasi al limite del fido, non risulta movimentato a partire dal 3.7.2012 - l'importo risulterà superato poco dopo con l'addebito delle competenze -. Del pari, il c/c n. (...), già quasi al limite del fido, non risulta movimentato a partire dal 9.11.2012 - l'importo risulterà superato poco dopo con l'addebito delle competenze -. Ebbene, alla luce di tali circostanze, deve affermarsi che (...) era consapevole del credito vantato dalla banca attrice nei confronti della società e, quindi, del pericolo attuale (già manifestatosi) di non poter far fronte alle obbligazioni assunte, emergendo ictu oculi la connotazione frodatoria della destinazione al fondo patrimoniale degli unici beni immobili di sua proprietà. Passando all'esame dei presupposti oggettivi, parte convenuta nega la sussistenza dell'eventus damni sul presupposto che l'atto dispositivo in contestazione non abbia reso più incerta o difficile la soddisfazione del credito, essendo (...) un lavoratore dipendente con contratto a tempo indeterminato (cfr. buste paga allegate alla memoriae x art. 183, co. 6, n. 2 dei convenuti) e risultando, pertanto, il credito garantito dall'intero patrimonio mobiliare dell'odierno convenuto. Sul punto si osserva che, ai fini della configurazione del c.d. eventus damni, non è necessario che il patrimonio del debitore abbia subito una cospicua diminuzione (di tipo quantitativo) essendo, per converso, sufficiente una sua mera alterazione di carattere qualitativo. "Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, per la sussistenza del pregiudizio non è necessario un danno effettivo, ma è sufficiente un pericolo di danno, derivante ad esempio da una minore aggredibilità dei beni del debitore o da maggiore incertezza o difficoltà nell'esazione coattiva del credito; in particolare va rilevato che non è necessaria la sussistenza di una diminuzione quantitativa dei beni (il cui valore oggettivo può restare anche immutato) ma è sufficiente che si produca un mutamento qualitativo il quale comporti ad esempio una maggiore occultabilità dei medesimi come nel caso di sostituzione di beni immobili con beni mobili" (cfr. Cass., n. 4578/1999). A nulla rileva, perciò, che (...) sia un lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato, posto che l'eventus damni sussiste non solo quando l'atto di disposizione provochi l'impossibilità dell'esecuzione, ma anche quando renda più dispendiosa o più incerta l'esazione coattiva del credito, come nel caso in esame; in sostanza deve sussistere la "pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore". (cfr., ex multis, Cass., n. 26310/2021). In forza delle argomentazioni che precedono, la domanda di parte attrice va accolta, con condanna dei convenuti soccombenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite che si liquidano in dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, valori prossimi ai medi, avuto riguardo all'attività difensiva svolta. È opportuno, infine, precisare che l'intervento spiegato da (...) S.P.A., pur ammissibile, non muta i rapporti tra le parti originarie, tenuto conto del disposto dell'art. 111 c.p.c., non avendo peraltro l'interveniente domandato l'estromissione dell'istituto di credito, sulla quale in ogni caso nessuna delle parti ha dedotto alcunché. Perciò la sentenza sarà pronunciata nei confronti della parte originaria, che assurge a sostituto processuale, pur facendo stato anche nei confronti del successore a titolo particolare (cfr. Cass., n. 8884/2000), lasciando a carico dell'interveniente le spese di lite dalla stessa anticipate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni diversa domanda eccezione e difesa: dichiara l'inefficacia, nei confronti di (...) S.p.A. a mezzo della mandataria, dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale concluso il 27.11.2012 da (...) e (...) (rep. (...), racc. (...), trascritto il 28.11.2012 ai nn. (...)); condanna (...) e (...), in solido tra loro, a rifondere all'attrice le spese di lite e le liquida in Euro 2.600,00, oltre iva, cpa e rimborso forfettario, come per legge; lascia a carco di (...) S.P.A. le spese dalla medesima anticipate. Così deciso in Termini il 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE di TERMINI IMERESE Il giudice monocratico nella persona della dott.ssa Francesca Incandela ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.2356 del Ruolo Generale affari contenziosi civili dell'anno 2020 TRA (...), (C.F.(...)), elettivamente domiciliata in VIA (...), 11 90141 PALERMO presso lo studio dell'avv. CA.RO., che lo rappresenta e difende per mandato in atti ATTRICE CONTRO COMUNE DI FICARAZZI, (C.F.(...)) in persona del Sindaco p.t. CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: lesione personale MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Fatti controversi. Con atto di citazione ritualmente notificato in data 16 settembre 2020, la sig.ra (...) ha convenuto in giudizio il Comune di Ficarazzi in persona del Sindaco pro tempore, chiedendone la condanna, ai sensi degli artt. 2051 e 2043 c.c., al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza di un sinistro, accertati e quantificati nel corso del giudizio anche equitativamente, oltre interessi e rivalutazione monetaria. A fondamento delle domande così spiegate l'attrice ha esposto che in data 18 giugno 2016 alle ore 13,00 circa, si trovava a percorrere a piedi la Via (...), strada comunale urbana sita nel Comune di Ficarazzi, non munita di marciapiedi in entrambi i lati, con direzione verso la propria abitazione sita al civico 139 della detta via, quando improvvisamente rovinava a terra a causa a buca non visibile sul margine sinistro della strada. A seguito dell'infortunio, era stata condotta dai sanitari del 118 presso il Pronto Soccorso dell' Ospedale "(...)" di (...) -, ove le era stata diagnosticata la frattura "la frattura composta dello stiloide radiale sinistro, un trauma facciale, un trauma ad entrambe le ginocchia". Successivamente, veniva nuovamente refertata in data 19/06/2016 per il distacco della protesi dentaria a seguito del trauma contusivo avvenuto il giorno prima. Il Comune di Ficarazzi, sebbene ritualmente citato non si è costituito e ne è stata dichiarata la contumacia all'udienza del 21 luglio 2021. Alla medesima udienza, il Giudice ammetteva le prove orali articolate dall'attrice. Assunte le prove orali veniva disposta ctu al fine di quantificare i danni subiti dall'attrice ed all'esito, ritenuta la causa matura per la decisione veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni ed assunta in decisione all'udienza del 16.1.2023 con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. Merito della lite. Così chiariti i fatti posti a fondamento del presente giudizio, e ricostruito brevemente il suo svolgimento, giova osservare, in punto di diritto, in conformità all'ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità - avallato anche dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 156/1999 - che la disposizione di cui all'art. 2051 c.c., in tema di responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia, deve ritenersi applicabile alla Pubblica Amministrazione anche rispetto all'obbligo di manutenzione delle strade e alla tutela della sicurezza dei cittadini, risultando irrilevante la circostanza che le dimensioni dell'infrastruttura siano ridotte al punto da consentire una vigilanza costante (cfr. Cass. civ. n. 24529/2009 e n. 20754/2009). I giudici di legittimità hanno, invero, precisato, al riguardo, che, in tema di responsabilità della P.A. per danni subiti da utenti di beni demaniali, la presunzione sancita dall'art. 2051 c.c. non si applica tutte le volte in cui non sussista la possibilità di esercitare sul bene la custodia (intesa come potere di fatto sulla cosa), possibilità da valutare non solo in base all'estensione dell'intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assumendo al riguardo determinante rilievo la natura, la posizione e l'estensione della specifica area in cui si è verificato l'evento dannoso, le dotazioni e i sistemi di sicurezza e di segnalazione di pericoli disponibili (cfr., in questi termini, Cass. n. 1257/2018). Con più specifico riguardo al compito di manutenere le strade comunali, mette conto evidenziare che, a norma dell'art. 14 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada), tra i compiti istituzionale del Comune rientra quello provvedere alla manutenzione, alla gestione e alla pulizia delle strade di sua proprietà. La definizione di strada pubblica include anche il marciapiede (si v., a tal proposito, l'art. 3, n. 33, del Codice della strada, in cui si statuisce che per marciapiede si intende la "parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni"). Sicché, in definitiva, il Comune deve considerarsi titolare del diritto di proprietà sia sulle strade che sui marciapiedi facenti parte delle strade comunali, sui quali, pertanto, ha il compito non soltanto di verificarne la sicurezza, ma anche di mantenerli in condizioni adeguate di efficienza, provvedendo alla manutenzione e alla pulizia, secondo i criteri di corretta e diligente gestione. La Suprema Corte ha, infatti, espressamente chiarito come l'eventuale affidamento a soggetti terzi dei compiti di manutenzione delle strade non possa valere a sottrarre al Comune proprietario la sorveglianza ed il controllo sulle strade medesime, e quindi ad esonerarlo dalla responsabilità da custodia, posto che in tale ipotesi il contratto d'appalto costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del codice della strada emanato con D.Lgs. n. 285 del 1992 (cfr. Cass. civ. n. 1691/2009, in motivazione). Ciò posto, secondo l'ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato "cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'articolo 2051 c.c. (ex multis, Cass. n. 4476/2011). Consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato. Si tratta, dunque, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, Cass. n. 12027/2017) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno (cfr. Cass. civ. n. 5808/2019, n. 30775/2017 e n. 11225/2017). In altri termini, in base al criterio generale in materia di riparto dell'onere probatorio sancito dall'art. 2697 c.c., applicato alla fattispecie della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni riportati dagli utenti della strada, è onere del danneggiato provare l'evento dannoso e il nesso causale che lega la sua verificazione al bene di pertinenza della p.a. (cfr., tra le tante, Cass. civ. n. 24881/2008 e n. 390/2008). E segnatamente, occorre dimostrare che il fatto dannoso si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (così Cass. civ. n. 30775/2017, n. 11526/17, n. 2660/2013 n. 15389/2011), che deve quindi presentarsi come "causa" dell'incidente e non come mera "occasione" dello stesso (cfr. Cass. civ. n. 10938/2018 e n. 23919/2013). La Corte di nomofilachia ha avuto occasione di puntualizzare che in tema di responsabilità civile ex art. 2051 c.c., la custodia si concretizza non solo nel compimento sulla cosa degli interventi riparatori successivi, volti a neutralizzare, in un tempo ragionevole, gli elementi pericolosi non prevedibili, che si siano comunque verificati, ma anche in un'attività preventiva, che, sulla base di un giudizio di prevedibilità "ex ante", predisponga quanto è necessario per prevenire danni eziologicamente attinenti alla cosa custodita; ne consegue che il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità può rinvenirsi anche nella condotta del terzo, o dello stesso danneggiato, purché si traduca in un'alterazione imprevista ed imprevedibile, oltre che non tempestivamente eliminabile o segnalabile, dello stato della cosa (Cass. civ. n. 1725/2019). Pertanto, si è affermato che "in tema di responsabilità, quale custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., dell'ente proprietario di una strada, ai fini della prova liberatoria che quest'ultimo deve fornire per sottrarsi alla propria responsabilità occorre distinguere tra la situazione di pericolo connessa alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze e quella dovuta ad una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa, poiché solo in quest'ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare quando l'evento dannoso si sia verificato prima che il medesimo ente proprietario abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo espletata con diligenza per tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile condizione di pericolo determinatasi" (Cass. civ. n. 11096/2020). Alla stregua dei suddetti principi, in merito alla dinamica dell'infortunio per cui è causa, può dirsi provato il fatto storico così come allegato nell'atto introduttivo del giudizio alla luce delle risultanze probatorie acquisite. Difatti, la caduta dell'attrice nella via (...), strada comunale urbana sita nel Comune di Ficarazzi, priva di marciapiede in ambo i lati, può considerarsi fatto provato alla luce delle prove testimoniali rese all'udienza del 17 marzo 2022. Ed invero la ricostruzione della dinamica del sinistro, così come esposta dall'attrice, ha trovato conferma nelle dichiarazioni della di parte attrice (...), la quale ha così risposto alle domande: "..preciso che il giorno del sinistro, io mi trovavo alla guida della mia auto e vedevo la Sig.ra (...) che si trovava sul lato sinistro perché si stava recando a casa";" conosco la strada perché la percorro quasi ogni giorno per arrivare a casa mia;infatti io abito in una traversa che si trova in fondo alla via (...)"; "posso dire che ho visto cadere la Sig.ra (...) e mi sono avvicinato per capire cosa fosse successo";" mi riferiva che era caduta perché aveva inciampato in una buca che si trovava lì vicino; si lamentava perché aveva dolori alle braccia e poi ho visto che il volto era ferito; ricordo che sono arrivate altre persone per prestarle soccorso; io poi sono andato via";" Il teste escusso, della cui attendibilità non v'è ragione di dubitare, ha quindi riconosciuto il luogo oggetto del sinistro ed ha visto l'attrice cedere (si veda verbale dell'udienza del 17 marzo 2022). Si aggiunga che le fotografie allegate al ricorso corrispondono alla descrizione dello stato dei luoghi offerta in citazione e confermata dal teste escusso. Inoltre, il C.T.U. incaricato nel corso del giudizio ha accertato la riconducibilità eziologica al predetto incidente delle lesioni (" frattura composta dello stiloide radiale sinistro;" trattata con intervento di "riduzione incruenta della frattura di polso e successiva applicazione di apparecchio gessato (...), riposo e (...)") refertate all'attrice presso il Presidio Ospedaliero (...) di (...) (cfr. pag. 1-3 relazione del c.t.u., dott. Fi.Cu., depositata in data 24.11.22). Alla luce delle risultanze probatorie, deve, quindi, riconoscersi che l'attrice ha ottemperato all'onere probatorio di cui era gravata, avendo dimostrato sia l'evento dannoso, sia la sua riconducibilità causale ad un bene di pertinenza del Comune di Ficarazzi che, in quelle circostanze, si presentava in uno stato di cattiva manutenzione, tale da costituire un concreto pericolo per l'utenza. Non è stata, invece, data prova -stante la contumacia dell'ente convenuto- con riferimento al dinamismo eziologico del danno dell'intervento di alcun fattore esogeno, imprevedibile e straordinario, rispetto al bene demaniale de quo. In altre parole, non si ravvisano circostanze che presentino i caratteri del "caso fortuito", tali, cioè, da interrompere il nesso causale tra la cosa e l'evento lesivo e, pertanto, idonee ad escludere la responsabilità del custode. Per ciò che attiene alla condotta del danneggiato, la Suprema Corte ha chiarito che: la condotta che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 co. 1 c.c. richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicchè quanto più la situazione di danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisce un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale connotandosi per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass., 6-3 n. 9315 del 3/4/2019). Applicando tali principi al caso di specie, tenuto conto del fatto che il sinistro si è verificato in pieno giorno, precisamente alle ore 13.00 del 18.6.2016 cfr. atto di citazione e dichiarazioni del teste nonché del fatto che l'attrice stava procedendo a piedi, e quindi ad una velocità assai ridotta, avendo quindi la possibilità - con l'utilizzo della normale diligenza e prudenza che deve comunque essere richiesta all'utente delle strade di uso pubblico (cfr. anche Corte Cost. n. 156/1999) - di percepire la presenza dell'insidia ed evitare la caduta, deve essere individuato un concorso di responsabilità di R.M. in ordine alla causazione dell'evento, quantificabile nella misura del 30%. Non può invero ragionevolmente affermarsi che l'utilizzo della normale diligenza da parte dell'attrice avrebbe del tutto scongiurato l'evento dannoso e le sue conseguenze. La valutazione in ordine al generale dovere di attenzione che incombe su ogni utente della strada, deve infatti, imprescindibilmente, muovere dal ragionevole affidamento che i pedoni ripongono sulla sicura percorribilità dei luoghi aperti al pubblico transito, specie in assenza di segnalazioni di segno contrario. Allora, in considerazione di quanto appena esposto, e in virtù del primo comma dell'articolo 1227 c.c. (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, sulla base del richiamo compiuto dall'articolo 2056 c.c.), deve essere individuato un concorso di responsabilità dell'attrice, quantificabile nella misura del 30% e nella stessa misura dovrà, pertanto, essere diminuito il risarcimento dovuto per i danni subiti dalla stessa in conseguenza del sinistro. Consegue che, in parziale accoglimento della domanda formulata in ricorso, il Comune di Ficarazzi (quale ente proprietario del bene demaniale, di cui aveva la disponibilità materiale e giuridica) va condannato a risarcire l'attrice (...) dei danni sofferti in conseguenza del fatto illecito, nella misura del 70% della loro entità. Passando, a questo punto, alla quantificazione dei danni subiti, il CTU incaricato nel corso del giudizio ha accertato che l'attrice, in conseguenza del sinistro, ha riportato un'inabilità temporanea totale di giorni 30, un'inabilità temporanea parziale al 50% di 20 giorni; nonché un danno alla salute permanente pari al 4% dell'integrità psico-fisica totale. Riguardo alla quantificazione di quest'ultima voce di danno, le conclusioni alle quali è pervenuto il c.t.u. incaricato vanno condivise. In punto di diritto non pare invero superfluo rammentare che, come hanno avuto occasione di chiarire le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nelle ormai note sentenze emesse nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008, il danno biologico, quale lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.), va ricondotto nell'alveo del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. e ha una portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private (il cui art. 138, punto 2, lettera a) statuisce che: "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato"), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Nella nozione di danno biologico sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti ai profili dinamico-relazionali della vita del soggetto danneggiato. La voce di danno c.d. da sofferenza soggettiva interiore, sulla scorta dei più recenti arresti della Suprema Corte, mantiene, invece, la sua autonomia e non è conglobabile nel danno alla salute, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi (in tal senso, Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019 e, di recente, Cass. n. 25164/2020, la quale ha posto in evidenza che tale pregiudizio di carattere non patrimoniale va tenuto distinto da quello alla salute, in quanto non è suscettibile di accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto -pur potendole influenzare- dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato). Nella liquidazione, avente natura essenzialmente equitativa, del danno dinamico-relazionale, questo giudice ritiene di prendere le mosse dal criterio, ormai consolidato in giurisprudenza, del cosiddetto "punto tabellare", in base al quale l'ammontare del danno viene calcolato in relazione all'età della parte lesa ed al grado di invalidità. Orbene, in base al parametro di riferimento rappresentato dalle tabelle elaborate per l'anno 2022 dal Tribunale di Milano (il cui utilizzo, per tutti i postumi non connessi alla circolazione stradale, è stato generalizzato da Cass. civ. nn. 12408 e 14402/2011- di recente cfr. anche Cass. n. 17018/2018 e n. 1553 del 22/01/2019-), spetta a R.M., a titolo di danno non patrimoniale di carattere permanente tenuto conto della invalidità del 4% e dell'età del soggetto all'epoca del sinistro (sessantaquattro anni compiuti), la somma complessiva di Euro 3.900,00 secondo i valori attuali, - tenuto conto delle sofferenze che, secondo l'"id quod plerumque accidit", l'attrice ha patito in conseguenza delle lesioni riportate a causa del sinistro e dei postumi permanenti che ne sono conseguenza diretta -, utilizzando il "valore punto" di Euro 1.423,53, da moltiplicare per il grado di invalidità (4) e per il coefficiente (0,685) corrispondente all'età della persona danneggiata spetta a (...), a titolo di danno biologico permanente Con riferimento, invece, al periodo di inabilità temporanea, così come accertato dal CTU, si liquida - sempre sulla scorta delle c.d. tabelle milanesi - la somma di Euro 99,00 al giorno, per un totale di Euro 3.960,00 in valori attuali (ossia Euro 2.970,00 per ITT + Euro 990,00 per ITP). La sommatoria degli importi appena indicati (Euro 7.860,00), costituisce - ad avviso di questo giudice - un ristoro esaustivo del danno non patrimoniale patito dall'attrice in conseguenza del sinistro, comprensivo quindi del "danno biologico/dinamico-relazionale" e di quello "da sofferenza soggettiva interiore". Non ricorrono, infatti, nella vicenda in esame, i presupposti per accordare il sollecitato incremento del risarcimento standard previsto dalle citate tabelle nell'ottica della invocata "personalizzazione". In proposito, preme osservare che, secondo il più recente insegnamento della Suprema Corte, può essere riconosciuta una variazione in aumento del risarcimento solo ove vengano allegate e provate circostanze eccezionali e specifiche e non per tener conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, venendo in rilievo in siffatta evenienza conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno (si vedano: Cass. n. (...); n. (...); n. (...); n. (...), n. (...) e, di recente, n. (...) già ci., la quale ha pure precisato che la personalizzazione del danno non può costituire lo strumento per ovviare alla carenza di prova in punto di danno alla capacità lavorativa, tanto più che la lesione alla capacità lavorativa generica è ricompresa nell'ambito del danno alla salute e quella relativa alla capacità lavorativa specifica, da valutarsi nell'ambito del danno patrimoniale, esula dalla sfera del danno biologico). Deve essere, invece, accordata all'attrice, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, la somma di Euro 1.000,00 per le spese documentate che il CTU ha reputato congrue, valutazione che questo giudice condivide, e riferibili all'evento traumatico per cui è causa. Invero, nell'ambito delle proprie conclusioni il ctu ha soggiunto che "in considerazione del trauma contusivo-escoriativo facciale, risulta verosimile e probabile che il distacco della protesi dentaria sia da imputare alla caduta a terra, per il cui ripristino, tenuto conto che si tratta di perdita di protesi già vetusta, sembra equo riconoscere la somma di EU:1000,00" (v. rel. ctu in atti). Per stabilire quanto dovuto a titolo di risarcimento, però, bisogna operare una riduzione delle predette somme alla misura del 70%, in proporzione al grado di responsabilità accertato, per giungere così ad Euro 2.730,00 per il danno non patrimoniale di carattere permanente, ad Euro 2.772,00 per il danno non patrimoniale da inabilità temporanea (per un totale di Euro 5.502,00) e ad Euro 700,00 per il danno patrimoniale. Ora, poiché i danni sopra liquidati sono espressi per una voce (danno non patrimoniale) in valuta attuale e per un'altra voce (danno patrimoniale) in valuta dell'epoca d'insorgenza, appare necessario rendere omogenei gli anzidetti importi, sia al fine di stabilire l'ammontare della somma risarcitoria concreta al momento della decisione sia onde conteggiare correttamente gli interessi, che - secondo l'insegnamento della Suprema Corte - debbono calcolarsi dal giorno dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione. Per questa ragione occorre tenere presente che è necessaria una "devalutazione" nominale delle voci liquidate in valuta attuale, rapportandole all'equivalente della data d'insorgenza del danno (18 giugno 2016), per renderle omogenee alle altre voci espresse nella valuta del tempo dell'evento di danno e procedere quindi alla rivalutazione (che riconduce all'identica valuta attuale le somme nominalmente devalutate, mentre adegua alla valuta attuale le somme espresse in valuta del tempo d'insorgenza), applicando gli interessi alle somme che man mano che si incrementano per effetto della rivalutazione (con cadenza mensile alla stregua della mensile variazione degli indici ISTAT) e tenendo puntualmente nota del montante progressivo del credito capitale per l'inserimento di nuove voci di danno in tempi diversi, mentre i corrispondenti interessi, di tempo in tempo applicati sulla variabile base secondo il tasso vigente all'epoca di riferimento, si accantonano e si cumulano senza rivalutazione. In merito agli interessi da ritardato pagamento si rileva che le somme sin qui liquidate, se da un lato costituiscono l'adeguato equivalente pecuniario, al momento della statuizione, della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprendono l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Orbene, tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore pari all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione. Tale "interesse" va poi applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n. 1712/1995 (poi ribadito, tra le altre, da Cass., n. 2796/2000, n. 7692/2001, n. 5234/2006, n. 16726/2009 e n. 18028/2010) sulla "somma capitale" originaria rivalutata di anno in anno. Procedendo alla stregua dei criteri appena enunciati, a partire dal danno complessivamente subito sopra indicato in valori attuali, si determina il "danno iniziale", inteso come danno finale devalutato alla data del sinistro; questo dunque viene successivamente rivalutato fino alla data della sentenza, al contempo calcolando gli interessi ponderati via via maturati. Si arriva in tal modo a determinare l'importo esatto degli interessi da corrispondere per la mancata completa disponibilità del risarcimento dovuto. Occorre poi considerare che la decorrenza degli interessi va conteggiata sugli esborsi dalla data della relativa spesa, sulla invalidità permanente dalla data di cessazione della inabilità temporanea e su quest'ultima dalla data del fatto. Pertanto, la somma spettante a (...) a titolo di danno non patrimoniale, con rivalutazione e interessi ponderati a tutt'oggi, ammonta ad Euro 5.810,78 (di cui Euro180,60per interessi), cui vanno sommati Euro 700,00 a titolo di danno patrimoniale, per un totale di Euro 6.510,78. Il Comune convenuto contumace dev'essere, quindi, condannato al pagamento in favore di parte attrice della suddetta somma, sulla quale sono, inoltre, dovuti gli interessi legali dalla data della presente sentenza (momento in cui il debito di valore diventa debito di valuta) fino al soddisfo. 3. Spese di lite Infine, in considerazione dell'esito della lite, si ravvisano fondati motivi per disporre la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo, con condanna del Comune convenuto a rifondere in favore dell'erario la restante parte, stante l'ammissione dell'attrice al gratuito patrocinio. Le spese di CTU, liquidate come da separato decreto, si pongono definitivamente a carico del convenuto. P.Q.M. Il Tribunale di Termini Imerese, disattesa ogni contraria istanza e deduzione e definitivamente pronunciando; in accoglimento delle domande proposte dall'attrice condanna il Comune di Ficarazzi al pagamento nei confronti di (...) della somma di Euro 6.510,78; dispone la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo nei rapporti tra (...) e COMUNE DI FICARAZZI, condannando il Comune di Ficarazzi a rifondere la restante parte in favore dell'attrice, da liquidarsi in Euro 2540,00 oltre I.(...) e C.P.A. nella misura legalmente dovuta oltre spese generali al 15%; ; pone le spese di CTU definitivamente a carico del convenuto Comune di FICARAZZI; Così deciso in Termini Imerese il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso, all'udienza del 06.04.2023, sulle conclusioni precisate da entrambe le parti, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3553 del R.A.G.C. relativo all'anno 2021 e vertente TRA (...), nato a Palermo il (...) e residente in Bagheria Via (...) elettivamente domiciliato in Bagheria corso (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende per mandato in calce all'atto introduttivo del giudizio, - opponente - E (...), nata a Palermo il (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Palermo, Via (...), in forza del mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - opposto - avente oggetto-, opposizione avverso decreto ingiuntivo n. 1024/21, emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 31.10.2021, pubblicato in data 05.11.2021 e notificato in data 19.11.2021, CONCLUSIONI DELLE PARTI Entrambe le parti concludono riportandosi ai rispettivi atti difensivi e come da verbale di causa del 06.04.2023 cui si rinvia integralmente MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con atto di citazione notificato a mezzo pec il 16.12.2021, il sig. (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1024/21, emesso in data 31.10.2021, pubblicato in data 05.11.2021 e notificato in data 19.11.2021, con il quale il Tribunale di Termini Imerese ingiungeva, in danno dell'opponente ed in favore del Sig. (...), la somma di Euro 4.342,02 per canoni di locazione ed oltre le spese del monitorio. A fondamento dell'opposizione, il Sig. (...) eccepiva: 1) violazione del principio del "ne bis in idem" in quanto le spese legali erano state già liquidate nella procedura R.G. 2617/19; 2) mancanza di sottoscrizione delle quietanze di pagamento degli oneri condominiali: 3) mancata detrazione dai canoni di locazioni scaduti del deposito cauzionale; 4) mancato conteggio della somma di Euro 2.000,00 versata dal (...) nel periodo novembre 2019 - agosto 2020. Per tutti questi motivi, l'opponente chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto limitatamente all'importo eccedente la somma di Euro 474,26, quale somma effettivamente dovuta, per la quale dichiarava la disponibilità al pagamento. Si costituiva con comparsa di costituzione e risposta, la sig.ra (...) contestando l'opposizione ex adverso proposta, in quanto infondata in fatto ed in diritto. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Con ordinanza riservata emessa in data 10.08.2022, questo Giudice rilevava, preliminarmente, l'irritualità dell'atto introduttivo, atteso che - trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per canoni di locazione -l'opposizione doveva essere introdotta con ricorso e non già con atto di citazione; concedeva, comunque, la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto; onerava parte opposta per l'introduzione del procedimento di mediazione e rinviava la causa all'udienza del 17.11.2022 per la prosecuzione. Il procedimento di mediazione si concludeva con verbale negativo del 14.11.2022, per la mancata comparizione personale del Sig. (...). All'udienza del 17.11.2022, venivano concessi alle parti i termini per il deposito di memorie integrative e documenti, fissando l'udienza del 08.02.2023, per la discussione. Alla predetta udienza, stante il carico di ruolo, il Giudice fissava l'udienza del 06.04.2023 per la stessa attività. Premesso quanto sopra, le domande di parte opponente non meritano accoglimento e, ciò per le seguenti considerazioni. In merito duplicazione del titolo e la violazione del principio del "ne bis in idem": Con il primo motivo di opposizione, il Sig. (...) ha eccepito la duplicazione del titolo in violazione del principio del "ne bis in idem". L'opposta, costituendosi nel presente giudizio, ha provato che non sussiste alcuna duplicazione. Ed invero, a seguito del procedimento di sfratto R.G. 2617/19 istruito per il mancato pagamento degli oneri condominiali 2016 - 2019 da bilancio preventivo per complessivi Euro 1.903,00, stante la mancata comparizione dell'intimato, il Giudice in persona della Dott.ssa Cusenza convalidava lo sfratto liquidando le spese legali. Si procedeva pertanto alla notifica della convalida insieme al precetto per rilascio. La difesa della Sig.ra (...) ha rappresentato che, a seguito della notifica della convalida di sfratto, il debitore contattava il difensore della proprietaria per rientrare dalla posizione debitoria; pertanto, non veniva richiesta al Tribunale di Termini Imerese l'emissione del decreto ingiuntivo; subentrava poi la pandemia da COVID-19 e nelle more il sig. (...) corrispondeva alla sig.ra (...) gli oneri condominiali indicati nella citazione per sfratto per morosità omettendo di: - corrispondere le spese legali del procedimento di sfratto; - pagare gli oneri condominiali successivi al luglio 2019; - pagare i conguagli degli oneri condominiali relativi agli anni 2015 - 2019; - pagare i canoni di locazione relativi ai mesi di febbraio, marzo e aprile 2021; Per questi motivi, non veniva richiesta alcuna ingiunzione di pagamento in dipendenza del procedimento di sfratto e, pertanto, non poteva sussistere alcuna duplicazione di titolo. Per quanto sopra, deve ritenersi legittima la richiesta di condanna del sig. (...) al pagamento delle spese legali come liquidate nell'ordinanza di convalida di sfratto. In riferimento alla prova dei pagamenti degli oneri condominiali da parte del proprietario: In riferimento alla prova del pagamento degli oneri condominiali, parte opposta ha allegato, anche nel procedimento monitorio, quietanza timbrata e sottoscritta dall'amministratore, corredata dal documento di identità, oltre al bonifico eseguito dalla proprietaria (cfr. allegati 1.8, 1.9 e 1.10 a seguito dell'integrazione documentale richiesta dal Tribunale). Pertanto anche questa eccezione non merita accoglimento ed appare totalmente infondata; il proprietario, come documentato e provato, ha corrisposto al Condominio gli oneri di competenza del sig. (...), conduttore dell'immobile oggetto di locazione, riferiti a conguagli anni precedenti, acqua e oneri successivi al luglio 2019. In merito ai canoni di locazione dovuti e alle somme corrisposte dal sig. (...) nel periodo 2019 - 2020: Il sig. (...), come richiesto nell'ingiunzione di pagamento si è reso moroso delle mensilità del canone di locazione di febbraio, marzo e aprile 2021 per un importo complessivo di Euro 1.200,00. Come risulta agli atti di causa, l'immobile de quo è stato rilasciato nel mese di maggio 2021 e, pertanto, lo stesso potrà essere imputato solo alla mensilità di maggio 2021, peraltro, non richiesta nell'ingiunzione. In merito ai conferimenti versati dal (...) nel periodo novembre 2019 - agosto 2020, per un importo complessivo di Euro 1.200,00 e non già di Euro 2.000,00, come risulta dalla documentazione allegata dall'opponente, gli stessi devono essere imputati agli oneri condominiali come da "preventivo" e consumi acqua di cui era stata accertata la morosità nel procedimento di sfratto R.G. 2617/19 che ammontavano a Euro 1.903,00. A tal fine, l'opposta ha depositato la lettera di diffida di pagamento datata ottobre 2018 a firma del legale della Sig.ra (...); tutti i prospetti degli oneri condominiali da "preventivo", quote acconto acqua 2017 e prospetto scadenze da "preventivo" anni 2018 e 2019 depositati nel procedimento di sfratto (cfr. allegati 2, 3 e 4) Per quanto sopra esposto, le somme indicate nell'ingiunzione di pagamento sono dovute dal sig. (...) alla sig.ra (...). I versamenti eseguiti nel periodo novembre 2019 - agosto 2020 sono stati imputati a fronte degli "oneri condominiali come da preventivo" già richiesti nel procedimento di sfratto per morosità R.G. 2617/19 concluso con la convalida di sfratto con soccombenza delle spese legali. Ad oggi, come documentalmente provato con tutte le allegazione del presente giudizio, il sig. (...) deve alla sig. (...): - le spese legali del procedimento di sfratto; - gli oneri condominiali successivi al luglio 2019; - i conguagli degli oneri condominiali relativi agli anni 2015 - 2019; - i canoni di locazione relativi ai mesi di febbraio, marzo e aprile 2021; per complessivi Euro 4.342,01 oltre spese liquidate nel procedimento monitorio. In proposito, mette conto evidenziare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. per tutte, Cass. S.U. 13533/2001; 9351/2007). Simile principio generale non subisce alcuna deroga in caso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, atteso che, come noto: "il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non e ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità o di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione" (cfr. Cass. SS.UU. n. 7448/93); esso, pertanto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, "si configura come un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione in cui il giudice deve statuire sulla pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e sulle eccezioni sollevate dalla controparte" (cfr. ex multis, Cass. Civ. n. 9787/97). Inoltre, la peculiarità del giudizio di opposizione fa sì che la posizione processuale delle parti risulti invertita, in particolare, l'opponente (attore in senso formale) è in realtà il convenuto sostanziale mentre l'opposto (convenuto in senso formale) è l'attore in senso sostanziale (cfr. Cass. 11625/95). In tale giudizio, quindi, alla luce della suddetta inversione di posizioni processuali, incombe sulla parte opposta - creditore o attore in senso sostanziale - l'onere di provare il fondamento della sua pretesa. A riguardo, deve nondimeno dirsi che se è vero che l'opposizione vale solo ad invertire l'onere di instaurazione formale del contraddittorio, senza influire né modificare la posizione delle parti quanto ad onere di allegazione e di prova e che da tale assunto discende che, precipuamente, il creditore - opposto deve allegare e provare il proprio credito nel giudizio principale, in maniera certamente più completa ed esaustiva di quanto abbia già fatto nel corso della procedura di ingiunzione, inevitabilmente soggetta ad oneri e cognizioni sommarie, ciò deve essere modulato in ragione delle difese spiegate in giudizio dall'opponente. Alla luce delle superiori argomentazioni, risulta provata la pretesa creditoria vantata dalla Sig.ra (...); deve, pertanto, concludersi per il rigetto dell'opposizione promossa da (...) e per la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano applicando i parametri aggiornati dal DM n. 147/2014, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. Mancata partecipazione al procedimento di mediazione: A ciò si aggiunga che parte opposta ha depositato il verbale negativo (cfr. verbale del 14.11.2022), con il quale è stato chiuso il procedimento di mediazione promossa dalla Sig.ra (...) da cui risulta che il Sig. (...) non si è presentato all'incontro di mediazione, senza giustificato motivo, benché ritualmente convocato dall'Organismo prescelto, e l'esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo della mancata partecipazione del Sig. (...) al procedimento di mediazione, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della sua resistenza ad oltranza, e legittimi l'interesse dell'attore ad ottenere quanto richiesto in atto di citazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione disattesa, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta dal Sig. (...) avverso il decreto ingiuntivo portante il n. 1024/21, emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 31.10.2021, pubblicato in data 05.11.2021 e notificato in data 19.11.2021; - per l'effetto, conferma integralmente il predetto decreto ingiuntivo, dichiarandolo definitivamente esecutivo; - visto l'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 148/2011, condanna il Sig. (...) al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione; - condanna il Sig. (...) al pagamento, in favore della Sig.ra (...), delle spese del presente procedimento che liquida in complessivi Euro 2552,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Termini Imerese il 6 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 950 del R.A.G.C. relativo all'anno 2019, posta in decisione all'udienza cartolare del 01.12.2022, e vertente TRA (...), nato (...), C.F.: (...) e (...), nata (...) quale procuratrice speciale del signor (...), nato (...), C.F.: (...), rappresentati e difesi dall'avv. Fa.Lo., giusta procura in atti, - attori - E Condominio "(...)", sito a Casteldaccia (PA) in via (...) - C.F. (...) - amministrato dalla Pellitteri & Campanella Soc. Coop., in persona del suo legale rappresentante, Geom. An.Pe., con sede ed uffici a Bagheria(PA) in via (...) - ed elettivamente domiciliato in Bagheria (PA), via (...), presso lo studio dell'Avv. Pa.La., che lo rappresenta e difende per mandato in atti, - convenuto - avente oggetto: opposizione delibera condominiale valore del procedimento: Euro 25.000,00 MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa breve premessa, si osserva che, con atto di citazione i signori (...) e (...), n. q. di proprietari di unità immobiliari facenti parte del Condominio "(...)", sito a Casteldaccia (PA) in via (...), impugnavano la delibera assembleare assunta dal condominio il 21.02.2019. Gli attori contestavano l'invalidità della convocazione assembleare, l'inosservanza dell'art. 66 disp. Att.c.c. - art. 1136 c.c., l'invalidità delle decisioni adottate, la riconferma dell'amministratore e violazione dell'art. 1129, c. 14 c.c.. Quindi, chiedevano dichiararsi nulla e/o annullabile la Delibera Assembleare del 21.02.2019, l'annullamento del rendiconto anno 2018 ed, infine, la revoca dell'amministratore. Costituendosi nel presente giudizio il Condominio "(...)" rilevava l'improcedibilità, l'inammissibilità e l'infondatezza delle argomentazioni e delle domande tutte spiegate dagli attori eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità del presente giudizio, atteso che non era stata esperita la procedura di mediazione. Nel merito, contestava tutto quanto ex adverso dedotto perché infondato in fatto ed in diritto, chiedendone il rigetto. Nel corso del giudizio venivano concessi i termini ex art. 183, comma VI, c.p.c.; la causa veniva poi istruita con l'espletamento della CTU contabile e, nelle more veniva assegnata a questo GOP la quale fissava l'udienza del 01.12.2022 per la precisazione delle conclusioni. Con successivo decreto reso in data 22.11.2022, il Tribunale disponeva - per la predetta udienza - la trattazione cartolare, assegnando ad entrambe le parti, termine sino a cinque giorni prima per il deposito di note scritte. All'udienza cartolare del 01.12.2022, sulle conclusioni rassegnate da entrambe le parti, con le note scritte, tempestivamente depositate, il Tribunale poneva la causa in decisione, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Preliminarmente, si evidenzia che i poteri dell'amministratore alla costituzione in giudizio non esulano quelli di cui all'art. 1130 c.c.. I giudici di legittimità hanno testualmente affermato che "in tema di condominio negli edifici", l'amministratore può resistere all'impugnazione della delibera assembleare, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso". (Cass. n. 1451 del 2014; Cass. n. 27292 del 2005). In definitiva, quindi, l'amministratore può conferire direttamente mandato ad un avvocato di sua fiducia per far emettere un decreto ingiuntivo relativo al pagamento degli oneri condominiali e resistere all'eventuale opposizione o al giudizio per far osservare il regolamento, o all'impugnativa di una decisione assembleare. Giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. n. 1451/14). Pertanto, la difesa in giudizio delle delibere dell'assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell'amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell'art. 1131 c.c. (Cass. 20 marzo 2017 n. 7095). In merito, la Cassazione, con la sentenza n. 8309 pubblicata il 23 aprile 2015, ha espresso un preciso e dettagliato orientamento in base al quale non occorre una delibera dell'assemblea condominiale per la nomina di un difensore, per cui l'amministratore può incaricare un avvocato di fiducia senza bisogno di alcuna autorizzazione, né preventiva, né successiva. In ogni caso, quando la materia esula le attribuzioni dell'amministratore questi ne deve dare "notizia" all'assemblea. Ebbene, nel caso de quo, chiaramente l'amministratore aveva i pieni poteri per la difesa nel giudizio di impugnazione di delibera assembleare. In ogni caso, nell'assemblea del 20.02.2020, prodotta unitamente alle note di trattazione scritta del 03.11.2020, è stato posto all'ordine del giorno la ratifica dell'incarico al legale di fiducia Avv. Patrizia Lanza e, quindi, notiziata l'assemblea del mandato già conferito. L'assemblea con i voti favorevoli di 7 su 10 presenze poi ha approvato e ratificato. Per quanto esposto, l'eccezione va rigettata. Parte attrice contesta che l'amministratore "si era riservato di impugnare la delibera adottata dall'Assemblea Condominiale il 20.02.2020". Tale eccezione non merita accoglimento, in quanto l'Amministratore di condominio non è un soggetto legittimato a potere impugnare le delibere assembleari. Ai sensi dell'art. 1137, secondo e terzo comma, c.c.: "Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa. Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti". Quindi, solo i Condomini possono impugnare le delibere assembleari. Parte attrice contesta che l'Amministratore non ha dato prova di avere convocato tutti i comproprietari delle singole unità immobiliari. Ebbene, anche questa doglianza non merita accoglimento, atteso che - come risulta agli atti versati da parte convenuta - tutte le convocazioni sono state regolarmente recapitate ai condomini. Quanto messo in dubbio dagli istanti è relativo unicamente alle unità immobiliari cointestate tra marito e moglie conviventi in tale ipotesi ha inviato unico plico con all'interno le due convocazioni. Infatti, l'amministratore ha provveduto con una missiva di convocazione cointestata ove all'interno della busta/plico sono state inserite comunque convocazioni intestate a ciascun singolo comproprietario, ciò al fine di limitare i costi di spedizione. Nessun condomino ha contestato tale circostanza dando acquiescenza all'operato dell'amministratore. L'art. 66, terzo comma, disp. att. c.c. specifica che "in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati". Spetta, pertanto, a chi non è stato convocato, oppure lo è stato tardivamente far valere il vizio di omessa o tardiva comunicazione dell'avviso di convocazione e ciò dovrà essere fatto entro trenta giorni dalla comunicazione del verbale. Per quanto detto, l'eccezione va rigettata. A confutazione dell'eccepita inosservanza dell'art. 66 disp. Att. c.c. - art. 1136 c.c., parte convenuta ha dimostrato che la convocazione al signor (...) è stata spedita il 13.02.2019, dal 14.02.2019 la stessa è stata in giacenza, come da avviso di ricevimento prodotto, in quanto il destinatario in tale data era assente. La data della prima convocazione era il 20.02.2019, pertanto, la convocazione è avvenuta entro i termini di legge. Secondo la Cassazione, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma, per cui è dal momento in cui la comunicazione giunge all'indirizzo del destinatario, sia pure assente, che la stessa entra nella conoscenza del ricevente e ciò avviene dal tempo del rilascio dell'avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale e non già con il momento in cui la missiva fu consegnata; il mittente non è tenuto a provare tale conoscenza essendo sufficiente che dimostri l'avvenuto recapito all'indirizzo del destinatario (Cass. 3 novembre 2016 n. 22311). Inoltre, nel caso de quo, ulteriormente, si evidenzia che il terzo comma dell'art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile specifica che, "l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza". Ebbene, la prima adunanza era prevista per il giorno 20.02.2019, l'amministratore ben 7 giorni prima (il 13.02.2019) ha affidato la spedizione all'agenzia autorizzata (...) la quale già il giorno dopo (14.02.2019) ha effettuato la consegna (servizio molto più efficiente di (...) SpA) ma, purtroppo, il signor (...) non era in casa. Hanno lasciato l'avviso di giacenza, sul quale risulta che dal giorno successivo (15.02.2019), come da avviso di giacenza in atti, la raccomandata poteva essere ritirata presso i loro sportelli (e non dopo 2 giorni), pertanto il 15.02.2019 il signor (...), nonostante la sua assenza del giorno di consegna, poteva prendere coscienza della convocazione. Il predetto (...) delegava per il ritiro della raccomandata la sorella (...) che addirittura abita in un altro Comune rispetto a quello di residenza del fratello e addirittura nemmeno limitrofo. È chiaro che la raccomandata è stata poi ritirata il 19.02.2019 e che il termine dei cinque giorni è stato pertanto ampiamente rispettato. Per quanto detto l'eccezione va rigettata. Parimenti inammissibile è la domanda di revoca dell'amministratore. Il nuovo art. 64 delle disposizioni di attuazione del codice civile modificato dalla succitata legge n. 220 del 2012, recita: "Sulla revoca dell'amministratore, nei casi indicati dall'undicesimo comma dell'articolo 1129 e dal quarto comma dell'articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente". E' il Collegio che provvede in materia. Per quanto detto, la domanda di revoca nel presente giudizio è inammissibile. Addirittura, poi, viene chiesta la revoca dell'amministratore in quanto l'amministratore non avrebbe convocato l'assemblea straordinaria condominiale per decidere su due proposte di mediazione obbligatorie presentate dai sig.ri (...) e (...) nelle procedure di mediazione n. 975/19 e n. 991/19. Anche questa eccezione non merita accoglimento, in quanto parte convenuta ha prodotto copia della delibera assembleare del 22/23 gennaio 2020 con la quale l'assemblea autorizza l'amministratore a partecipare l'amministratore alle suddette mediazioni; ed ha altresì prodotto copia dei moduli di adesione nei quali viene allegato il predetto verbale assembleare. Le spese idriche ripartite nel rendiconto contestato (anno 2018) sono per il periodo da aprile 2016 a maggio 2017. Parte attrice sostiene che l'assemblea ha approvato nel rendiconto dell'anno 2018 spese idriche degli anni 2004, 2005 e 2006. Tale contestazione non merita accoglimento. Preliminarmente, a confutazione dell'accusa nei confronti dell'amministratore condominiale di non aver indetto l'assemblea nell'ambito di due procedimenti di mediazione si rileva che, invece, lo stesso si è sempre attivato con tempestività, all'uopo si è già prodotto in giudizio la Delibera assembleare del 22-23.01.2020 e moduli di adesione mediazioni. In questa sede appare necessario evidenziare che nel periodo in oggetto anche a seguito del periodo lookdown sono intervenuti decreti che hanno sospeso i termini per tutte le scadenze relative ai Condomini. Precisamente, è intervenuto l'articolo 63 del "Decreto agosto" DL n. 104/2020 convertito, con modificazioni, con alcune semplificazioni per quel che riguarda i procedimenti delle assemblee condominiali. La misura è volta ad agevolare lo svolgimento delle assemblee condominiali durante l'emergenza COVID-19 e viene posta in essere attraverso una serie di modifiche all'articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. In particolare, sospendi i termini di Rendiconto, approvazione e adeguamenti antincendio. Al Decreto Agosto è stato aggiunto, infine, il nuovo articolo 63-bis (Disposizioni urgenti in materia condominiale) che sospende, fino alla cessazione dello stato di emergenza da Coronavirus: 1. il termine per la redazione del rendiconto consuntivo; 2. la convocazione dell'assemblea per l'approvazione. E' inoltre rinviato di 6 mesi, dal termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri, il termine per procedere agli adeguamenti antincendio previsti per gli edifici di civile abitazione. Per quanto detto, è chiaro che, a causa della pandemia, per legge è stata paralizzata ogni attività assembleare. Se risultano sospesi i termini per le attività più importanti del Condominio, chiaramente, risultano sospese le attività di importanza inferiore. Nulla può essere eccepito all'amministratore il quale ha agito con la dovuta diligenza. A nulla vale l'assemblea straordinaria tenutasi il 27.07.2020 in quanto riguardante materia urgente e comunque delibera che prevedeva un quorum deliberativo di solo 1/3 anziché 1/2. Nel corso del giudizio veniva disposta la Consulenza Tecnica d'Ufficio. Invero il Dr. (...) non ha riscontrato alcuna violazione di legge da parte dell'Amministratore del Condominio, oggi convenuto, nel presente giudizio. L'unica difformità è stata individuata nella tenuta del registro di contabilità del Condominio che deve essere stato tenuto nel rispetto dei principi espressi dall'art. 1130 c.c.. Il Consulente, sul punto precisa: "... che il registro di contabilità del condominio prodotto dalla convenuta (allegato F) non è stato tenuto nel rispetto dei principi espressi dall'art. 1130 c.c. per le seguenti discrepante: a) contabilizzazione di operazione cassa di entrate ed uscite effettuate nel 2017 (08/11/2017-15/11/2017-27/11/2017-13/12/2017-14/12/2017-15/12/2017 - 29/12/2017); b) contabilizzazione di operazione cassa di entrate ed uscite effettuate nel 2019 (02/01/2019-03/01/2019-04/01/2019-07/01/2019-11/01/2019-16/01/2019-24/01/2019-25/01/2019); c) mancanza del numero progressivo di registrazione e mancata annotazione nei documenti contabili". Sul punto, si osserva quanto segue. In tema di rendiconto condominiale è noto che l'amministratore di condominio, ai sensi dell'art. 1130 bis c.c., nell'ambito della sua attività di rendicontazione, sia tenuto a redigere, tra i vari elaborati contabili, anche il famoso "registro di contabilità", che rappresenta il presupposto del suo consuntivo. A ben vedere, però, il registro di contabilità, di per sé, è conosciuto, soprattutto, per essere un documento contabile riferito allo stato di avanzamento delle opere edili, redatto con gli importi corrispondenti alle lavorazioni eseguite, fermo restando che quello indicato nell'art. 1130 bis c.c. ha una funzione del tutto diversa. Peraltro, mentre il direttore dei lavori ha delle norme specifiche da seguire, per la compilazione del registro di contabilità, tipo quelle dettate dal recente DM 49/2018, l'amministratore di condominio, al contrario, come spesso accade, non è destinatario di indicazioni normative dettagliate sul come redigere il suo registro di contabilità. Nello specifico, infatti, le uniche istruzioni dettate dal legislatore nel merito sono quelle contenute nell'art. 1130 punto sette c.c., che obbligano l'amministratore di condominio ad annotare nel registro di contabilità condominiale i singoli movimenti di entrata e uscita, da riportare in ordine cronologico, entro trenta giorni dalla data di effettuazione ed, a scelta, anche con modalità informatizzate. In pratica, il registro di contabilità condominiale è da intendersi come un documento utile a monitorare le disponibilità liquide del condominio e l'andamento della gestione. Tali uniche e brevi considerazioni, alla luce del dispositivo dell'art. 1130 punto sette c.c., fanno propendere per l'identificazione del "registro di contabilità condominiale" con il più famoso "registro prima nota cassa", escludendo similitudini con il cosiddetto libro giornale aziendale. Si osserva nel merito che la prima nota cassa, al pari del registro condominiale, non ha valore di documento fiscale a differenza del libro giornale, che soggiacendo a regole più rigide, di tipo societario, come il metodo della partita doppia, può assumere valore giuridico-fiscale quando è regolarmente numerato e bollato prima dell'uso e contiene tutte le operazioni di gestione di un'impresa (Ris. Min. Fin. n. 9/101 del 09/08/79). In ambito aziendale, il registro prima nota cassa, che serve a tenere la contabilità in modo ordinato e chiaro, è un documento propedeutico al libro giornale e può anche essere utile a verificare l'andamento finanziario in termini di attivo e passivo. Sotto tale profilo anche il registro di contabilità condominiale, che risponde a criteri di trasparenza gestionale, rappresenta un documento utile a monitorare le risorse ed a verificare, periodicamente, l'attivo e passivo del condominio, costituendo il presupposto economico-contabile dal quale deriva il consuntivo finale dell'amministratore. D'altronde, sia il registro prima nota cassa che il registro di contabilità condominiale, sono scritture elementari a forma libera, che non devono rispettare delle regole precise, ma possono tenersi anche in formato elettronico, attraverso l'utilizzazione, per esempio, del programma "excel", dal quale possono essere ricavati gli stampati dei prospetti contabili. In sintesi, i dati da riportare nel registro prima nota cassa sono il giorno, mese e anno in cui avviene l'operazione, da annotare in ordine di data crescente, con la descrizione della stessa operazione ed il relativo importo, in entrata o in uscita (cioè incasso o spesa). Per tali ragioni, il registro di prima nota cassa o prima nota contabile, come dir si voglia, risulta essere un documento contabile conforme, nel contenuto, a quanto richiesto dall'art. 1130 punto sette c.c., con l'unica differenza fondata sul fatto che nel registro di contabilità condominiale l'amministratore può registrare le operazioni entro i successivi trenta giorni, rispetto alla data del movimento. In particolare il registro di contabilità condominiale può essere inteso come un documento contabile a cadenza mensile e con effetto retroattivo, e cioè può essere aggiornato dall'amministratore dopo il verificarsi delle operazioni contabili che, però, devono essere tutte registrate, con la data effettiva nella quale è avvenuta la movimentazione. Pertanto, non sussiste alcun vincolo per l'amministratore a registrare il movimento di gestione nello stesso giorno in cui e avvenuto, anche se e consigliabile farlo giornalmente, per evitare problematici lavori di ricostruzione dei movimenti di denaro, soprattutto nel caso dei conferimenti in contanti da parte dei condòmini. È ovvio che il registro di contabilità condominiale non può corrispondere all'estratto del conto corrente intestato al condominio, dovendo annoverare anche i movimenti in contanti, oltre a quelli bancari o postali. In ogni caso, i dati minimi da annotare nel registro di contabilità condominiale, possono essere così sintetizzati: numero operazione, data, importo pagato e destinatario del pagamento o importo incassato e soggetto che lo ha corrisposto, descrizione dell'operazione. Per quanto riguarda, invece, la tenuta del registro di contabilità condominiale, possiamo dire che il periodo di riferimento segue l'anno gestionale dell'amministratore e quindi è da intendersi annuale, come la durata del suo incarico, sebbene debba essere sottoposto ad aggiornamento mensile. In conclusione, è di tutta evidenza che l'insieme delle prescrizioni legislative relative agli adempimenti e alle regole da rispettare nella gestione condominiale confermano la necessità, per l'amministratore, di conseguire delle specifiche competenze in materia contabile e di dotarsi di una propria organizzazione del lavoro. Alla luce delle superiori argomentazioni, deve concludersi per il rigetto delle domande formulate dall'attore perché infondate in fatto ed in diritto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del DM n. 147/2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. P.Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione respinta, così provvede: - rigetta tutte le domande formulate da parte attrice perché infondate in fatto ed in diritto; - condanna i Sigg. (...) e (...) quale procuratrice speciale del signor (...), in solido tra loro, al pagamento in favore del Condominio "(...)", sito a Casteldaccia(PA) in via (...) n. 25/27- C.F. (...) - amministrato dalla (...) Soc. Coop., in persona del suo legale rappresentante, Geom. (...), delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 5.077,00 per compensi professionali, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge; - pone definitivamente a carico degli attori, in solido tra loro, i compensi di CTU già liquidati con separato decreto. Così deciso in Termini Imerese il 18 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Laura Di Bernardi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 848 dell'anno 2017 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente tra (...), nato a (...) il (...) (C.F. (...) ), residente in (...) (P.) in via A. n. 24 e (...), nato ad A. (F.) il (...) (C.F. (...) ) residente in (...), in via dei (...) n. 8 ed, ai fini del presente giudizio, entrambi elettivamente domiciliati in Palermo, in via (...), presso lo studio dell'avv. Fr.Am. (C.F. (...) ) del Foro di Palermo, che li rappresenta e difende giusta procura alle liti rilasciata in calce all'originale dell'atto di citazione, il quale dichiara, ai sensi dell'art. 176, comma 2, c.p.c. di voler ricevere le comunicazioni al fax: (...) o all'indirizzo PEC: (...); PARTI ATTRICI contro (...), con sede a T. in Piazza delle D. L. n. 2, C.F.: (...), in persona del procuratore, Sig. (...) - quale successore a titolo particolare della R.-(...) Ltd., Rappresentanza G.D.I., con sede a (...), giusti atti di "ricognizione e ripetizione di cessione di ramo di azienda" autenticati dal Notaio (...) di M. in data (...), Repertorio n. (...) e Repertorio n. (...), Raccolta n. (...)e registrati presso il Registro delle Imprese di Trento in data 23 dicembre 2015 ai n.n. (...) e (...), rappresentata e difesa, giusta procura speciale autonoma allegata in calce all'originale della comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Ma.Gi. (C.F.: (...) - fax n. (...) - pec: (...)) del Foro di Palermo ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, sito a Palermo in Via (...); PARTE CONVENUTA e nei confronti di (...), nato a (...) (P.) il (...) (c.f. (...)), ivi residente in via (...) n. 41 e (...) nato a (...) (P.) il (...) (c.f. (...) ), quivi residente in via (...) n. 43 entrambi rappresentati e difesi, in forza di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'avv. Pa.Mo. (c.f. (...) - pec (...)), sia unitamente che disgiuntamente con l'avv. (...) (c.f. (...) - pec (...)), tutti elettivamente domiciliati, ai fini del presente giudizio, in Cefalù, nella via (...), nello studio dell'avv.to Sa.Fi.; PARTI CONVENUTE e (...) Soc. coop. a.r.l., P.IVA:(...), in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. (...) -proc.re-, elett.te domiciliato in Palermo, Viale (...) presso lo studio del Prof. Avv. Au.An. (C.F. (...) , PEC: (...), FAX n. (...)), dal quale è rappresentata e difesa in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; PARTE CONVENUTA OGGETTO: lesione personale MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) e (...) convenivano in giudizio (...) e (...), nonché la (...), ora "(...)", e la (...) Soc. Coop. a.r.l., per chiederne la condanna al risarcimento dei danni materiali e personali, quantificati complessivamente in Euro 519.700,00, subiti a seguito del sinistro stradale occorso il 25 gennaio 2016. In particolare, gli attori esponevano che, il 25 gennaio 2016, alle ore 08.00 circa, (...), alla guida dell'autovettura (...), targata (...), (assicurata per la RCA con la (...)) con a bordo il figlio (...), lato passeggero, entrambi muniti di cintura di sicurezza, procedevano a regolare andatura di marcia, lungo la S.P. 21, tenendo la destra, con direzione da (...) verso la S.S. 113, quando, giunti all'altezza della proprietà "(...)", posta alla loro destra, si trovavano improvvisamente sbarrata la carreggiata dalla macchina agricola "(...)", targata (...), condotta da (...) e di proprietà di (...) (coperta da polizza stilata con la subagenzia (...) di (...)). Esponevano, ancora, che (...) si immetteva nel flusso circolatorio, con manovra di retromarcia, uscendo da un cancello ed intercettando la direttrice dell'autovettura procedente al margine destro della semi-carreggiata. (...), inoltre, che (...), conducente, pur avendo posto in essere le manovre del caso (suonando e sterzando), cionondimeno impattava lateralmente con il montante destro del veicolo "(...)", munito di un cassone anomalo, fuori sagoma, artigianale e non omologato, agganciato posteriormente alla macchina agricola, sollevato di oltre un metro dalla sede stradale, che copriva la fanaleria del trattore, alterando, per l'effetto, la sagoma della (...). Quest'ultimo veicolo, con a bordo gli attori, dopo la collisione con il cassone sporgente dalla sagoma della macchina agricola, finiva sulla sinistra nella scarpata adiacente la carreggiata, subendo il totale tranciamento del parabrezza, del montante e del tetto lato destro. In conseguenza di quanto innanzi rappresentato, gli odierni attori riportavano lesioni fisiche, per la cura delle quali, subito dopo, venivano trasportati a mezzo 118, rispettivamente, (...) all'ospedale civico di Termini Imerese (Ref. n. 1537/16) per "trauma cranico con escoriazioni in regione frontale, contusione mano destra con ferita lacero contusa suturata, trauma distorsivo rachide cervicale con prognosi di giorni 15" e successivi accertamenti, e Pansarella Antoine al pronto soccorso dell'ospedale civico di Palermo A.R.N.A.S. di Palermo (Ref. n. 8709/2016) con prognosi riservata, ove i sanitari di turno accertavano "politrauma", come meglio specificato nell'atto di citazione. Più in particolare, all'anamnesi veniva rilevata "ferita lacero-contusa in sede obitraria destra" e gli stessi sanitari disponevano l'immediato ricovero del paziente in osservazione breve intensiva. Durante il ricovero, venivano eseguiti gli accertamenti ematochimici e strumentali del caso e veniva praticata terapia medica. Inoltre, l'otorino refertava "frattura delle ossa nasali. Assenza di ematoma del setto nasale. Oroscopia negativa". Ancora, il chirurgo maxillo-facciale prescriveva dieta morbida e divieto di soffiare il naso e programmava successivi controlli ambulatoriali. Non venivano invece rilevati problemi di pertinenza di chirurgia toracica. Il paziente (...) veniva dimesso il 29 gennaio 2016 in cura ambulatoriale con prognosi di quindici giorni e con prescrizione di terapia medica. Successivamente, il 26 febbraio 2016 eseguiva una visita oculistica ambulatoriale ove veniva rilevato un edema maculare in occhio destro per cui veniva prescritta una terapia medica e richiesto un accertamento strumentale. Il 7 marzo 2016, (...) effettuava un'ulteriore visita ambulatoriale, all'esito della quale permaneva la deviazione del setto nasale a destra e una lieve ipertrofia dei turbinati inferiori per cui veniva richiesta TC massiccio facciale ed eseguiva dieci sedute di terapia fisica dal 8 marzo 2016 al 29 marzo 2016. Il C.T.P., dott. (...), quantificava per (...) un periodo di inabilità temporanea totale di gg. 25 e parziale di gg. 10, con postumi invalidanti in misura del 4/5% (quattro/cinque per cento). Gli attori chiarivano, inoltre, che, dai rilievi foto planimetrici eseguiti a seguito del sinistro, da parte dei C.C. di Termini Imerese, veniva accertato l'esatto punto d'urto nella sede stradale (Rif. Prot. (...) e (...) trasmessa in data 5 maggio 2016 all'Intestato Tribunale). In particolare, gli attori lamentavano: 1. il mancato rispetto degli obblighi ex artt. 145 comma 6 e 154, commi 1 e 3, lett. C c.d.s.; 2. l'inidoneità dei requisiti della macchina agricola ex art. 112 commi 1 e 4 C.d.s.; 3. la necessità dell'applicazione dell'art. 141 D.Lgs. n. 209 del 2005 al terzo trasportato. Alla luce dei fatti rappresentati, le parti attrici chiedevano, in via principale, che venisse dichiarata l'esclusiva responsabilità di (...) nella causazione del sinistro per cui è causa e di condannare lo stesso al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito; che venisse condannata la Società (...) e i signori (...) e (...) al ristoro delle spese sostenute da (...) per un importo di ammontare pari a Euro 517.000,00, relativamente ai postumi invalidanti, al periodo di inabilità temporanea totale e parziale, al danno morale, alla personalizzazione del danno, alle spese mediche sostenute e da sostenere, nonché, Euro mille per spese di abbigliamento e telefono cellulare. Domandavano, inoltre, che venisse ordinato alla Società (...) di depositare le perizie dei propri CTP (...) e (...) relativamente al danno materiale e fisico subito da (...); nonché, di ordinare ai convenuti (...) e (...) di depositare la fattura di acquisto del cassone dalla ditta (...) (sita in (...) in via (...)), della sua omologazione e delle dichiarazioni CE di conformità e di revisione. Chiedevano, poi, che venisse acquisito, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., copia integrale del rapporto di intervento con schizzi planimetrici e sommarie informazioni rilasciate dai conducenti a firma del Vice Brigadiere (...) dei C.C. Termini Imerese. Domandavano, infine, che venisse disposta, da una parte, C.T.U. medico-legale sulla persona di (...) al fine di accertare la natura, il nesso eziologico e l'entità dei postumi invalidanti, il periodo di inabilità sia totale che parziale, la congruità delle spese mediche sostenute e da sostenere, dall'altra, la C.T.U. per la ricostruzione della cinematica dell'evento alla luce dello stato dei luoghi e delle dimensioni dell'arteria, della macchina agricola (...), del cassone e del cancello. In via istruttoria, gli attori chiedevano ammettersi l'interrogatorio formale del convenuto (...). Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio, con distrazione delle stesse in favore del procuratore antistatario. Si costituiva la convenuta (...) Soc. coop. a.r.l., con comparsa di costituzione e risposta del 16 giugno 2017, la quale contestava la ricostruzione dei fatti, per come fornita dalle parti attrici. Evidenziava, in particolare, che, il 25 gennaio 2016, alle ore 7:30 circa, (...), alla guida della macchina agricola (...), targata (...), di proprietà di (...), mentre percorreva la strada provinciale n. 21, all'altezza del KM 13,9000, effettuava una svolta a destra, segnalando per tempo l'intenzione di svolgere tale manovra. Ultimata la manovra, mentre si trovava fermo davanti al cancello, in attesa di entrare in un'area privata, sopraggiungeva da tergo (...), il quale, alla guida dell'autovettura (...), targata (...), non si avvedeva in tempo della manovra effettuata dal conducente della macchina agricola, urtando violentemente la parte posteriore della stessa. Chiedeva, preliminarmente, di accertare e dichiarare l'inoperatività della garanzia per la RCA in riferimento alla polizza stipulata con la (...) da (...). Domandava, nel merito, di ritenere e dichiarare l'infondatezza in fatto ed in diritto delle domande spiegate dagli attori nei confronti dell'odierna convenuta, e, per l'effetto, di rigettarle integralmente. In subordine, in caso di rigetto della superiore domanda, di ritenere e dichiarare, la esclusiva responsabilità o, in ulteriore subordine, la prevalente responsabilità di (...), ex art. 1227 c.c., nella causazione del sinistro de quo. Chiedeva, pertanto, in tale evenienza, di rigettare le richieste risarcitorie formulate dagli attori e/o di ritenere integralmente risarcito il danno con la somma già corrisposta dalla convenuta in sede stragiudiziale, e comunque di ritenere e dichiarare la (...) S.p.a. obbligata al ristoro dei danni riportati dal terzo trasportato sul veicolo in sua garanzia per la RCA. In ulteriore subordine, di ammettere, a ristoro parziale, la domanda avversa soltanto nella misura che risulterà processualmente provata. Con vittoria di spese di lite. Si costituiva la convenuta (...), nella qualità di successore a titolo particolare della (...) (...) Ltd., assicuratore per la r.c.a. dell'autovettura di parte attrice ((...) targata (...)), con comparsa di costituzione e risposta del 19 giugno 2017, la quale rilevava, in via preliminare, che le uniche pretese risarcitorie di cui all'atto introduttivo del giudizio rivolte nei confronti della (...) (e quindi ad essa riferibili) erano unicamente quelle avanzate dall'attore (...) (rivolte nei confronti di tutte "le parti convenute"), trasportato sull'autovettura (...), ai sensi dell'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle Assicurazioni Private). Rilevava, altresì, che nessuna domanda era stata invece formulata nei suoi confronti dall'altro attore, (...), proprietario e conducente della predetta autovettura (...), non potendo quest'ultimo promuovere l'azione di c.d. indennizzo diretto nei confronti del proprio assicuratore ex artt. 145 e 149 Cod. Ass., trattandosi di una procedura non applicabile al caso di specie ai sensi dell'art. 42, comma 2-ter, del D.L. n. 159 del 2007, convertito il L. n. 222 del 2007, in quanto sinistro in cui era rimasto coinvolto un veicolo agricolo. Prendendo posizione soltanto sulle domande risarcitorie avanzate, ai sensi dell'art. 141 Cod. Ass., dall'attore (...), contestava, anzitutto, le di lui pretese risarcitorie in quanto inammissibili, illegittime, infondate, e comunque non provate, oltre che manifestamente ingiustificate e sproporzionate nel loro ammontare, in quanto determinate in maniera arbitraria e generica, per non avere specificato (a differenza dell'altro attore (...)) quali lesioni avrebbe riportato né quali postumi invalidanti (temporanei e permanenti) gli sarebbero residuati e senza quantificare singolarmente le pretese relative a ogni singola voce di danno, ma formulando un'unica complessiva richiesta forfettariamente determinata, non consentendo di valutare i parametri e i criteri adottati per la loro determinazione. Chiariva, altresì, che l'unico elemento da cui era possibile ricavare l'asserita entità dei danni lamentati da (...) (sulla cui base si presume sia stato calcolato il preteso risarcimento) era la relazione del suo CTP (Dott. (...)) rinvenuta nel fascicolo degli attori e priva di qualsiasi valenza oggettiva, in quanto mera allegazione di parte, atteso che il predetto attore non si era mai reso disponibile a sottoporsi agli accertamenti medico-legali dinanzi a un medico fiduciario della (...). In merito alle conseguenze fisiche subite da (...), a seguito dell'evento per cui è causa, contestava la quantificazione dei postumi effettuata dal CTP di parte attrice e, ancor di più, la pretesa risarcitoria quantificata nell'importo di ammontare pari a Euro 517.000,00 avanzata dal già menzionato attore, in quanto smentita dalla documentazione medica, come meglio specificato nell'atto di citazione. Relativamente alla perizia del CTP, dott. Rigoglioso Vincenzo, evidenziava che gli ulteriori e sopravvenuti disturbi, da cui derivava la spropositata valutazione dei postumi invalidanti (temporanei e permanenti) effettuata dal consulente di parte attrice (postumi quantificati senza specificare la percentuale di danno biologico riconosciuta per ogni lesione riscontrata), non erano eziologicamente riconducibili all'evento per cui è causa, in quanto non riscontrati nell'immediato seguito di esso, né negli accertamenti svolti nelle settimane successive, ma soltanto molti mesi dopo l'accadimento del sinistro. Per cui, visto il notevole lasso temporale, avrebbe dovuto necessariamente ritenersi interrotto il nesso di causalità con l'evento di cui si controverte. Ragion per cui di tali presunti problemi fisici dell'attore (...) non avrebbe potuto certamente rispondere la (...). Rappresentava, inoltre, che (...), nel verbale di sommarie informazioni redatto dai Carabinieri, aveva precisato che, al momento del sinistro, si era "divincolato dalla cintura di sicurezza" e si era "chinato in avanti", ammettendo quindi di non indossare il predetto dispositivo di protezione e di aver assunto una posizione che lo aveva esposto a un maggiore rischio di urtare contro la parte del veicolo davanti a sé. Le superiori circostanze, avendo esposto l'attore (...) a un maggiore rischio di cagionarsi lesioni, per aver assunto una posizione non corretta all'interno dell'abitacolo dell'autovettura, integravano, inoltre, un concorso di colpa dello stesso nella causazione delle lesioni riportate in conseguenza del sinistro, rilevanti ai sensi dell'art. 1227 c.c. nell'eventuale liquidazione risarcitoria, dovendosi applicare una decurtazione proporzionale al grado di colpa a lui ascrivibile. Contestava, inoltre, l'infondatezza della pretesa attorea diretta a ottenere il risarcimento del danno morale e la personalizzazione del danno, in quanto non provata, nonché le ulteriori pretese relative alla rifusione delle spese mediche sostenute e da sostenere e di Euro 1.000,00 per spese di abbigliamento e telefono cellulare, parimenti non provate. Chiedeva, pertanto, di dichiarare che, tenuto conto che l'attore (...) non aveva formulato alcuna domanda risarcitoria nei confronti della (...) - (...) Ltd., ora (...), fosse tenuta indenne da qualsiasi pretesa risarcitoria del predetto attore. Chiedeva, poi, di rigettare ogni pretesa risarcitoria avanzata dall'attore (...), in quanto inammissibile, illegittima, infondata e non dovuta, oltre che non provata in ordine sia al nesso eziologico con l'evento che all'an e al quantum, e di condannare lo stesso al pagamento delle spese e dei compensi di causa. In subordine, ove fosse riconosciuto il risarcimento in favore del succitato attore (...), di ridimensionare le sue pretese risarcitorie all'effettivo ammontare del danno emerso in corso di causa, tenendo conto del grado di colpa a costui ascrivibile nella determinazione delle lesioni, e rigettando, in ogni caso, qualsiasi sua pretesa risarcitoria per lesioni, patologie e/o disturbi non riconducibili eziologicamente all'evento di cui si controverte. Infine, chiedeva il rigetto delle ulteriori richieste risarcitorie di (...) in ordine al danno morale e alla personalizzazione del danno, in quanto infondate, nonché, ai lamentati danni patrimoniali per spese mediche, di abbigliamento e telefono cellulare e per gli occhiali, in quanto infondate e non provate. In via istruttoria chiedeva ammettersi l'interrogatorio formale dell'attore (...). Si costituivano i convenuti (...) e (...), con comparsa di costituzione e risposta del 3 ottobre 2017, i quali contestavano, in fatto e in diritto, quanto dedotto dagli attori, da una parte, stante l'infondatezza, l'illegittimità, la nullità, l'indeterminatezza della domanda avversaria, nonché, dall'altra, l'apodittica e incompleta ricostruzione del fatto. Nel dettaglio, rappresentavano che (...), mentre si trovava alla guida della macchina agricola L. di proprietà di (...), stava percorrendo la S.P. 21 e, giunto all'altezza della proprietà (...), effettuava una svolta a destra, segnalando per tempo l'intenzione di effettuare tale manovra. Nel frattempo, sopraggiungeva da tergo (...), il quale, alla guida dell'autovettura (...) tg. (...), non avvedendosi della manovra, quasi interamente effettuata dal conducente della macchina agricola, tamponava violentemente la parte posteriore (angolo sinistro) del cassone. Evidenziava, altresì, che (...) non procedeva ad una velocità moderata tanto da non poter evitare l'impatto con il cassone agganciato al trattore, sebbene questo avesse completato la manovra di svolta a destra, come dimostrato dalla documentazione in atti e che quest'ultimo colpiva da tergo il mezzo condotto dal convenuto. A riprova di quanto innanzi rappresentato, evidenziava che, al fine di evitare la collisione, sarebbe stato sufficiente effettuare una lieve sterzata a sinistra. Ed ancora, a sostegno del proprio comportamento improntato alle regole di diligenza, prudenza e perizia, chiariva che l'Autorità, intervenuta sul luogo del sinistro, non aveva contestato a (...) alcuna violazione delle norme del codice della strada, e che, in ordine alla regolarità amministrativa del trattore, che nessuna irregolarità era stata parimenti contestata e che, in ogni caso, ove quest'ultima fosse stata sussistente, non avrebbe inciso sulla dinamica del sinistro. Alla luce dei fatti sopra rappresentati, preliminarmente chiedevano di dichiarare l'improcedibilità del presente procedimento non essendosi svolta la negoziazione assistita, come condizione di procedibilità. In via principale di ritenere e dichiarare infondate, anche parzialmente, in fatto ed in diritto, tutte le domande ed eccezioni spiegate da parte attrice contro i convenuti (...) e (...). In via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, di mantenere indenni i succitati convenuti, condannando la compagnia (...) a manlevarli integralmente da qualsivoglia condanna, ivi compresa quella inerente alle spese di lite. Domandavano, altresì, la condanna della compagnia (...) alla rifusione delle spese e competenze di lite. Istruita la causa con la disposizione di consulenza tecnica d'ufficio, all'udienza indicata in epigrafe, le parti concludevano come da verbale di causa al contenuto del quale si rimanda. La causa veniva in decisione senza termini. Orbene, ciò posto nei fatti, si ritiene che la domanda di risarcimento del danno proposta da parte di (...) vada rigettata nel quantum e che, invece, vada accolta quella avanzata da parte di (...); domande aventi entrambe ad oggetto la declaratoria di responsabilità di (...) nella causazione del sinistro oggetto della presente controversia, il quale si immetteva nel flusso circolatorio, con manovra di retromarcia, uscendo da un'area privata, intercettando la direttrice dell'autovettura in transito sulla sua semi-careggiata. Segnatamente, va, a riguardo, evidenziato che, a mente dell'art. 145, comma 6, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, "Negli sbocchi su strada da luoghi non soggetti a pubblico passaggio i conducenti hanno l'obbligo di arrestarsi e dare la precedenza a chi circola sulla strada". Secondo il consolidato intendimento della giurisprudenza, per poter ritenere applicabile l'art. 145, comma 6, del codice della strada, che impone a chi si immette su una strada da luogo non soggetto a pubblico passaggio di dare la precedenza a chi circola sulla strada, deve accertarsi l'uso concreto del luogo da cui proviene il veicolo, a nulla rilevando la funzione che gli era stata riservata (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. III, (data ud. 13/05/2002) 13/05/2002, n. 6811). Più in particolare, occorre avere riguardo se il luogo da cui si sbocca sia soggetto anche, solo di fatto, al transito abituale di un numero indeterminato o indiscriminato di persone che si serva di esso col passarvi "uti cives" e "non uti singuli". Si ha la prima ipotesi quando il passaggio venga esercitato da un numero indiscriminato di persone esercitanti una facoltà corrispondente all'uso della pubblica via. Per converso, si ha la seconda ipotesi quando il passaggio venga esercitato da particolari categorie di persone che della strada si giovano o per effetto di una particolare autorizzazione ovvero perché appartenenti ad una particolare categoria ovvero ancora per lo svolgimento di particolari attività. In tale seconda ipotesi il passaggio è effettuato non in ragione della facoltà che normalmente spetta a qualsiasi cittadino di transitare per la via pubblica, ma in ragione di un'autorizzazione che può essere esplicita, come nel caso di accesso consentito a soggetti individualmente identificati, ovvero implicita, come nel caso di accesso consentito a soggetti, non individualmente identificati, ma svolgenti particolari attività. Orbene, nel caso di specie, avuto riguardo alla dinamica del sinistro, occorre preliminarmente precisare, in relazione alla natura del mezzo agricolo coinvolto che si accingeva ad uscire dalla stradella agricola, che il passaggio del veicolo "(...)" condotto da (...) e di proprietà di (...) veniva esercitato per lo svolgimento di particolari prestazioni inerenti l'attività lavorativa. Tal che, in considerazione del disposto dell'art. 145 comma 6 del codice della strada, della presumibile conoscenza dei luoghi da parte del convenuto (...) nonché della circostanza che quest'ultimo "ha eseguito una leggera manovra in retromarcia ed impegnato la carreggiata stradale del veicolo (...) targato (...), con posizione in pianta di circa 70 rispetto la corsia di marcia del veicolo attoreo" (cfr. pag. 14 della relazione peritale in atti), deriva che il medesimo ha posto in essere una manovra imprudente, che, come tale, è eziologicamente rilevante nella causazione del sinistro. A tal proposito, l'esperto nominato ha rilevato che il veicolo condotto da (...) vada annoverato nell'ambito dei veicoli cosiddetti trattrici agricole i quali sono macchine a motore con o senza piano di carico munite almeno di due assi, prevalentemente atte alla trazione, concepite per tirare, spingere e portare prodotti agricoli o sostanze di uso agrario, nonché azionare determinati strumenti, eventualmente equipaggiate con attrezzature portate o semiportate da considerare parte integrante della trattrice agricola e che le sporgenze e gli ingombri che eccedono la sagoma della macchina agricola devono essere segnalati con pannelli retro riflettenti di colore giallo rosso (cfr. pag. 14 e ss. della relazione peritale in atti). Ha peraltro evidenziato che le macchine agricole semoventi devono essere munite di uno o più dispositivi supplementari a luce lampeggiante gialla o arancione, secondo i dettami imposti dalla legge, e che "Il dispositivo supplementare deve rimanere in funzione anche quando non è obbligatorio l'uso dei dispositivi di segnalazione visiva e di illuminazione". In merito, poi, alla condotta tenuta da (...) ha rappresentato che: "E' doveroso inoltre far presente che, il veicolo nell'affrontare l'ingresso al fondo, avrebbe dovuto fermarsi prima con le dovute indicazioni di emergenza (luci lampeggianti, frecce, ecc..), ed accertarsi che nessun veicolo sopraggiungesse dalla strada ed effettuare l'ingresso in sicurezza". In tema di circolazione stradale è responsabile del fatto lesivo causato ad un terzo il conducente la cui condotta è tale da innescare un fattore causale originario di rischio di collisione da parte di veicoli che potevano sopraggiungere (nel caso di specie consistita nell'effettuazione di retromarcia). Da qui, dunque, la responsabilità del conducente del superiore veicolo. Ed ancora, nella dinamica della causazione del sinistro di cui si controverte, efficacia causale deve, tuttavia, anche attribuirsi alla condotta tenuta da (...) il quale, nonostante la scarsa visibilità creata dai raggi solari abbaglianti e dalla segnaletica verticale, avrebbe cionondimeno dovuto moderare la velocità in maniera adeguata in modo da scongiurare la verificazione dell'evento occorso o quanto meno contribuire a ridurre le conseguenze pregiudizievoli verificatesi nel caso concreto (cfr. pag. 17 della relazione peritale in atti). Con la conseguenza che la condotta colposa del conducente (...) del veicolo (...) targato (...), sopraggiunto, seppure da sola non sufficiente a determinare l'evento per non essere qualificabile come atipica ed eccezionale, va, tuttavia, considerata come sinergica nella verificazione dell'evento per cui è causa. In una materia come la circolazione stradale, imperniata sul principio di affidamento, occorre, difatti, che ciascuno possa e debba confidare nel corretto comportamento altrui, nel fatto che ciascuno osservi le regole cautelari proprie delle rispettive attività svolte: ciascuno è tenuto ad osservare la propria regola cautelare riferibile al proprio modello di agente ed alla propria attività e ha l'obbligo di contenere i rischi prevedibili ed evitabili che scaturiscono dal proprio comportamento, senza doversi anche "preoccupare" di evitare i rischi che possono derivare dall'altrui comportamento illecito. Tale principio, però, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis Tribunale Frosinone, 13/07/2021, n.1221). Nel caso di scontro tra veicoli, l'accertamento dell'intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa, dunque, il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente, onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente. Come previsto dal codice della strada, il conducente del veicolo al quale spetti il diritto di precedenza, per andare esente da responsabilità deve, dunque, a sua volta, guidare nel rispetto di tutte le regole di prudenza e diligenza, come espressamente previste dal codice della strada, in forza delle quali gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione (art. 140), devono regolare la velocità del veicolo in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza, in particolare, il conducente deve, altresì, ridurre la velocità e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l'incrocio con altri veicoli, in prossimità degli attraversamenti pedonali (art. 141) e, approssimandosi ad una intersezione o intercettando la traiettoria di altro veicolo, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti (art. 145) (cfr. Tribunale Milano sez. X, 23/07/2020, n.4631). Nella vicenda in esame, pertanto, va ravvisata la mancanza di prova che ciascuno dei conducenti si sia attenuto alle norme di comune prudenza, oltre che al codice della strada, giacché il mezzo agricolo L. 5-100H ha ritenuto comunque di uscire in retromarcia senza adottare tutte le precauzioni previste per tale manovra - essendo a riguardo noto che ai sensi dell'art. 154 C.D.S. il conducente che intenda eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, cambiare direzione o corsia, invertire il senso di marcia, fare retromarcia, voltare a destra o a sinistra, impegnare un'altra strada, deve "a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi"-, mentre gli attori non hanno dimostrato di aver mantenuto una velocità adeguata allo stato dei luoghi né di essersi posti a loro volta in condizione di porre in essere manovre di emergenza né di averne tentate (la velocità non era congrua rispetto ai prevedibili tempi di frenata). Orbene, con riguardo a tale evenienza, il perito nominato dal Tribunale ha rilevato che "Per quanto riguarda la velocità di marcia del veicolo (...) tg. (...), di proprietà (...), si premette che non risultano visibili nelle fotografie prodotte tracce di frenata così come accertato anche dai Carabinieri; in base agli elementi a disposizione del CTU, non è possibile risalire alla velocità esatta mantenuta dall'autovettura convenuto. Si presume in base ai danni strutturali presenti sul mezzo che la velocità fosse elevata". Alla luce delle superiori considerazioni, risultano, dunque, ravvisabili, ai sensi dell'art. 1227 c.c., profili colposi sia nella condotta del conducente (...) della macchina agricola, il quale effettuava la manovra di retromarcia, senza adottare le cautele opportune per evitare danno agli utenti della strada, in violazione del succitato art. 154, sia nella condotta di (...), il quale avrebbe dovuto moderare la velocità in maniera adeguata. Tale colpa va poi diversamente distribuita tra i predetti nella misura del 60% a carico di (...) e nella misura del 40% a carico di (...). Per quanto adesso attiene alla doglianza di parte attrice in merito alla irregolarità amministrativa della macchina agricola munita di un cassone anomalo, fuori sagoma, artigianale e non omologato, si ritiene che la stessa non possa trovare accoglimento atteso che nessuna prova a riguardo è stata fornita da parte degli attori. Sul punto, i convenuti (...) e (...) hanno rappresentato che nessuna delle predette irregolarità è stata agli stessi contestata, e, che, anche ove fossero state sussistenti, ciò non avrebbe inciso sulla dinamica del sinistro né avrebbe modificato la gradazione della responsabilità tra le parti. Del pari infondata si ritiene pertanto l'eccezione di inoperatività della copertura assicurativa sollevata da parte della convenuta (...). Venendo adesso alla questione relativa all'applicabilità dell'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 ("Codice delle Assicurazioni private") giova rammentare che secondo il più recente intendimento della giurisprudenza di legittimità, da ultimo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 35318 del 30 novembre 2022, "La tutela rafforzata riconosciuta dall'art. 141 cod. ass. al trasportato danneggiato presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli, pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi, e si realizza mediante l'anticipazione del risarcimento da parte dell'assicuratore del vettore e la possibilità di successiva rivalsa di quest'ultimo nei confronti dell'impresa assicuratrice del responsabile civile; nel caso, invece, in cui nel sinistro sia stato coinvolto un unico veicolo, l'azione diretta che compete al trasportato danneggiato è esclusivamente quella prevista dall'art. 144 cod. ass., da esercitarsi nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile". Inoltre, anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata della superiore normativa, si può oramai affermare che il legislatore, con il citato articolo 141, abbia voluto rafforzare la posizione del terzo trasportato, consentendogli di agire in giudizio direttamente nei confronti dell'impresa di assicurazione del vettore, senza, peraltro, precludergli la possibilità di agire nei confronti degli altri soggetti coinvolti nel sinistro e delle rispettive imprese di assicurazione. A tale riguardo basti fare riferimento al contenuto dell'ordinanza n. 440 del 23 dicembre del 2008, la quale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 141 del Codice delle assicurazioni sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 Cost.., chiarendo, a riguardo, che è ben possibile accedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, in base alla quale è possibile ritenere che detta norma si limiti in realtà "a rafforzare la posizione del trasportato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente anche nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso". Nel superiore senso si pone, inoltre, la prevalente giurisprudenza secondo cui "scopo della norma è quello di fornire al terzo trasportato uno strumento aggiuntivo di tutela, al fine di agevolare il conseguimento del risarcimento del danno nei confronti dell'impresa assicuratrice, risparmiandogli l'onere di dimostrare l'effettiva distribuzione della responsabilità tra i conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro" (cfr: Cassazione civile 30 luglio del 2015 n. 16181), con la precisazione che, in ragione della sopra richiamata giurisprudenza, il terzo trasportato, che si avvalga, ai sensi dell'art. 141 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, dell'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazioni del veicolo sul quale viaggiava al momento del sinistro, deve provare di avere subito un danno a seguito di quest'ultimo ma non anche le concrete modalità dell'incidente allo scopo di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti, trattandosi di accertamento irrilevante ai fini di cui all'art. 141 cit.. Il legislatore, cioè, ha agevolato la tutela del terzo trasportato, sottraendolo all'onere probatorio in ordine alla responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, essendo, lo stesso trasportato, tenuto solo a provare la propria posizione di trasportato e l'entità dei danni patiti. In applicazione delle succitate coordinate ermeneutiche e interpretative deriva che del danno occorso a (...) terzo trasportato risponde la (...) in quanto assicuratore del veicolo (...), targato (...), salva la possibilità di successiva rivalsa di quest'ultimo nei confronti dell'impresa assicuratrice del responsabile civile. Venendo adesso alla quantificazione dei danni risarcibili, 0ccorre rammentare che, alla luce della oramai consolidata giurisprudenza in materia (a partire dalle note Corte cost. 233/2003; Corte di Cass. a SS.UU. n. 26972/2008), il danno non patrimoniale assume natura unitaria ed omnicomprensiva, con la conseguenza che esso va inteso come omnicomprensivo di qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze modificative in peius della precedente situazione del danneggiato derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, in sede di compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni. Da ciò consegue che il pregiudizio di natura non patrimoniale è da intendersi omnicomprensivo delle varie voci (danno biologico, danno morale, danno esistenziale) che assumono natura meramente descrittiva; pertanto, il cd. "danno morale" (più correttamente, la personalizzazione del danno) non è una voce autonomamente risarcibile e le eventuali peculiari caratteristiche del caso concreto (in passato considerate rilevanti ai fini del cd. danno morale) possono essere apprezzate solo sotto il profilo della personalizzazione del danno ed al fine di rendere il più possibile integrale il risarcimento, sempre che l'attore abbia svolto una adeguata attività assertiva e probatoria che giustifichi la liquidazione di un ulteriore aumento, in via personalizzata, del credito risarcitorio. Ed infatti, la determinazione della percentuale di invalidità e la sua liquidazione tenuto conto dell'età della vittima appare di per sé indicativa del pregiudizio di natura non patrimoniale che subisca ogni soggetto di pari età che riporti un pari grado di menomazione, apparendo necessario, ai fini del riconoscimento di un aumento a titolo di personalizzazione, che vengano adeguatamente allegate e provate - nel corso del giudizio - ulteriori circostanze idonee a dimostrare che, nella fattispecie concreta, il danneggiato abbia riportato delle conseguenze lesive diverse ed ulteriori rispetto al pregiudizio patito da analogo soggetto di analoga età. Orbene, dalla relazione del CTU - le cui conclusioni, adeguatamente motivate e supportate dai necessari rilievi di competenza specifica, questo giudice ritiene di condividere - e dalla documentazione medica in atti, emerge che gli attori, a seguito del sinistro per cui è causa, hanno riportato i seguenti danni: - per quanto attiene a (...), "Dalla documentazione sanitaria esibita e dal dato anamnestico riferito il nesso causale risulta verosimile e le lesioni riscontrate sono compatibili a trauma cranio-cervicale da impatto sul parabrezza; pertanto a seguito del trauma del 25.1.16 il sig. P.F. ha riportato un " trauma cranio non commotivo e un trauma distorsivo del rachide cervicale e ferita lacero-contusa allamano dx", trattati con sutura, collare, terapia medica e riposo. La durata dell'inabilità temporanea assoluta si protrasse per venti gg mentre la inabilità temporanea parziale al 50% si protrasse per altri dieci gg.. Per quanto concerne i postumi residuati si è rilevato quanto descritto nella obiettività. Trattasi di postumi stabilizzati per i quali si riconosce una invalidità permanente del 2% inteso quale danno alla salute. Sono documentate spese sanitarie agli atti in Euro 320,00, che sono congrue"; - per quanto attiene a (...), "Dalla documentazione sanitaria esibita e dal dato anamnestico riferito il nesso causale risulta verosimile e le lesioni riscontrate sono compatibili a trauma facciale da impatto sul parabrezza; pertanto a seguito del trauma del 25.1.16 il sig. (...) ha riportato la "frattura delle ossa proprie del naso", trattata con terapia medica e riposo. La durata dell'inabilità temporanea assoluta si protrasse per venti gg. mentre la inabilità temporanea parziale al 50% si protrasse per altri dieci gg.. Per quanto concerne i postumi residuati si è rilevato quanto descritto nella obiettività. Trattasi di postumi stabilizzati per i quali si riconosce una invalidità permanente del 3% inteso quale danno alla salute. Non sono documentate spese sanitarie agli atti". Venendo, adesso, alla liquidazione del danno come sopra accertato, trattandosi di sinistro verificatosi nel mese di gennaio 2016 occorre fare riferimento alla L. n. 57 del 2001, la quale, in relazione ai "postumi da lesioni pari o inferiori" al 9%, dispone (sempre all'art. 5) che - appunto nell'ipotesi di "danno biologico permanente" - deve essere liquidato a titolo di risarcimento "un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità" e che "tale importo è calcolato in base all'applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente di cui all'allegato A annesso alla presente legge. La legge, (aggiornata al D.M. del 8 giugno 2023) dispone altresì che per "il danno biologico temporaneo è liquidato un importo di Euro 50,79 per ogni giorno di inabilità assoluta", laddove "in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno". Premesso che al 4 comma l'art. 5 della L. n. 57 del 2001 precisa anche che "fatto salvo quanto previsto dal comma 2, il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato", deve peraltro rilevarsi che la suddetta legge stabilisce che i criteri in essa contemplati - che in ogni caso non riguardano le invalidità permanenti di grado superiore al 9% - sono applicabili ai sinistri accaduti dopo l'entrata in vigore della legge stessa, che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo del 2001. L'entità del danno biologico da invalidità permanente si ottiene allora moltiplicando il "valore unitario di danno" per il numero che esprime il grado di invalidità e (ove operante) per il "coefficiente di adeguamento" corrispondente all'età del danneggiato in relazione alla legge suddetta come integrata giusta D.M. sopra richiamato che ha aggiornato i parametri contenuti nella stessa. Nella fattispecie in esame, considerata l'invalidità permanente del 2% e l'età all'epoca del sinistro - anni 70 - il danno da postumi stabilizzati sofferto da R.G. deve essere liquidato in Euro 1.341,29. In applicazione dei citati criteri, il danno derivante dalla inabilità temporanea va liquidato in Euro 1.015,80 per la ITT (20X 50,79), in Euro 253,95 per la ITP al 50%(10X 50,79), il tutto per un ammontare pari ad Euro 1.269,75. A tale danno occorre aggiungere quello patrimoniale sopra liquidato per le spese mediche, pari ad Euro 320,00. Il tutto, danno patrimoniale e non patrimoniale, per un valore complessivo di Euro 2.931,04. Di seguito si riporta la tabella di riferimento: Calcolo Danno Biologico di Lieve Entità Tabella di riferimento 2022-2023 Età del danneggiato alla data del sinistro 70 anni Percentuale di invalidità permanente 2% Punto base danno permanente Euro 870,97 Giorni di invalidità temporanea totale 20 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 10 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 0 Indennità giornaliera Euro 50,79 CALCOLO del RISARCIMENTO: Danno biologico permanente Euro 1.341,29 Invalidità temporanea totale Euro 1.015,8 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 253,95 Totale danno biologico temporaneo Euro 1.269,7 Spese mediche Euro 320,00 TOTALE GENERALE: Euro 2.931,04 Per quanto, invece, attiene a (...), applicando i criteri sopra indicati ed, in particolare, considerata l'invalidità permanente del 3% e l'età all'epoca del sinistro - anni 42 - il danno da postumi stabilizzati sofferto da quest'ultimo deve essere liquidato in Euro 2.633,81; il danno derivante dalla inabilità temporanea va liquidato in Euro 1.015,80 per la ITT (20X 50,79), in Euro 253,95 per la ITP al 50%(10X 50,79), il tutto per un ammontare pari ad Euro 1.296,75. Non vi sono, invece, spese mediche documentate in atti. Ne deriva, dunque, che il danno va complessivamente determinato nella somma di Euro 3.903,56. Si riporta di seguito la tabella di riferimento: Calcolo Danno Biologico di Lieve Entità Tabella di riferimento 2022-2023 Età del danneggiato alla data del sinistro 42 anni Percentuale di invalidità permanente 3% Punto base danno permanente Euro 870,97 Giorni di invalidità temporanea totale 20 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 10 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 0 Indennità giornaliera Euro 50,79 CALCOLO del RISARCIMENTO: Danno biologico permanente Euro 2.633,81 Invalidità temporanea totale Euro 1.015,80 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 253,95 Totale danno biologico temporaneo Euro 1.269,75 TOTALE GENERALE: Euro 3.903,5 Non può trovare, poi, accoglimento la istanza risarcitoria relativa alle spese sostenute per l'acquisto dell'abbigliamento e del cellulare, tenuto conto che gli stessi non appaiono in alcun modo provati: agli atti non vi è alcun preventivo di spesa, fattura, né alcun documento idoneo a tal fine. Non può, inoltre, nella fattispecie in oggetto, neppure trovare accoglimento la richiesta di personalizzazione, in assenza di adeguata attività assertiva (svolta in via del tutto generica nei termini per le preclusioni assertive) ed in totale mancanza di riscontri probatori sul punto. Più in particolare, nessuna personalizzazione del danno, in mancanza di allegazione di elementi specifici a riguardo, può essere riconosciuta in conformità al principio giurisprudenziale a mente del quale le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un "fatto costitutivo" della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dall'attore (ovviamente con ogni mezzo di prova, e quindi anche attraverso l'allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici, come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), senza potersi, peraltro, risolvere in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014; Cassazione civile 7513 del 2018). Orbene, ciò precisato, si ritiene, per quanto attiene alla posizione dell'attore (...) che, tenuto conto delle somme sopra liquidate, del riconoscimento di un concorso di colpa di quest'ultimo pari alla misura del 40%, e delle somme da esso già ricevute, nessuna somma a titolo di risarcimento del danno vada allo stesso riconosciuta. Segnatamente risulta dalla documentazione in atti che il predetto attore ha ricevuto, con assegno del 13 gennaio 2017, da parte della (...)C., la somma pari ad Euro 2.000,00 (di cui Euro 350,00 a titolo di spese legali e, dunque, di Euro 1.650,00) a titolo di danni non patrimoniali e la somma di Euro 1.000,00 a titolo di ulteriori danni materiali. Ora, considerando la somma come sopra liquidata, pari all'importo di Euro 2.931,00, il concorso di colpa pari alla misura del 40%, con conseguente riduzione della somma da liquidare nella misura di 1.758,00, si ritiene che la somma ricevuta da parte del predetto attore sia congrua. Per quanto invece attiene alla posizione di (...), si ritiene che il danno a quest'ultimo spettante sia liquidabile nella misura integrale di Euro 3.903,5 senza che assuma rilevanza in ordine alla posizione di quest'ultimo la diversa distribuzione delle colpe dei soggetti coinvolti nel sinistro. Ciò in conformità ai principi sopra enunciati nonché a quanto in più occasioni ribadito dalla Corte di Cassazione secondo cui "in caso di scontro tra autoveicoli, il trasportato a titolo di cortesia, per ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale, può avvalersi della presunzione ex art. 2054, comma 1, c.c. nei confronti del proprietario e del conducente dell'altro veicolo, salva azione di regresso di questi ultimi nei confronti del primo conducente secondo le rispettive colpe, ex art. 2055 c.c., ove abbiano risarcito per intero il danno, e fermo restando che l'azione per il conseguimento dell'intera posta risarcitoria, proposta dal danneggiato avverso il conducente di uno solo dei veicoli coinvolti, non implica di per sé una remissione tacita del debito del corresponsabile, né una rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima una volontà inequivoca del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la parte del debito gravante su quest'ultimo" (cfr: Ordinanza n. 15313 del 20/06/2017). Nel caso di specie per altro il terzo trasportato ha indirizzato la propria azione nei confronti di tutti i soggetti citati in giudizio in solido tra di loro. Tanto precisato, occorre, altresì, evidenziare che le somme sin qui liquidate, se da un lato costituiscono l'adeguato equivalente pecuniario, al momento della statuizione, della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprendono l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Orbene, tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore prossimo all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione; ciò in quanto nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno infatti corrisposti interessi per il cui calcolo non si deve utilizzare necessariamente il tasso legale, ma un valore tale da rimpiazzare il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene perduto. Tale "interesse" va poi applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle S.U. della Suprema Corte con sentenza 17/2/1995, n. 1712 (ribadito da Cassazione sez. II civile sentenza 3/12/1997 n. 12262, nonché da Cassazione civile sez. III, 10 marzo 2000 n. 2796) sulla "somma capitale" originaria rivalutata di anno in anno. Ne deriva dunque che, effettuando le sopra indicate operazioni, a (...) spetta una somma pari ad Euro 4.017,38 (il capitale devalutato alla data del sinistro è pari ad Euro 3.288,54 mentre quello rivalutato è pari ad Euro 4.017,38 di cui Euro 113,88 a titolo di interessi). Sulla somma come sopra liquidata sono inoltre dovuti gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo. Tenuto conto dell'esito complessivo del presente giudizio, si ritiene che le spese di lite, per quanto attiene ai rapporti tra la compagnia assicuratrice (...), i convenuti (...) e (...) e l'attore (...), in ragione del rigetto della pretesa risarcitoria avanzata da parte di quest'ultimo, vadano poste, in conformità al principio della soccombenza, a carico di quest'ultimo nonché liquidate sulla base del valore della causa determinato come da richiesta risarcitoria da quest'ultimo avanzata pari all'importo di Euro 2.700,00. Per quanto attiene alla posizione di (...), si rileva che, nonostante l'eccessivo divario tra il chiesto e il liquidato, quest'ultimo non può comunque essere considerato come parte soccombente. Ciò in ossequio anche al recente intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite la quale ha appunto chiarito, affermando un principio di diritto, che "L'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. " (cfr: Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 32061 del 2022). Si ritiene, tuttavia, che, proprio in ragione della superiore sproporzione, avendo l'attore richiesto un risarcimento del danno pari alla somma di Euro 517.000,00, sussistano gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione di tali spese. Le spese di CTU tecnica, liquidate come da separato decreto, si ritiene che, per le ragioni anzidette, nonché tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio e della necessità di operare tale accertamento tecnico di ufficio, vadano compensate tra tutte le parti. Le spese di ctu medica sulla persona dell'attore (...) vanno, inoltre, per le ragioni di cui sopra, compensate. Vanno, invece, poste a carico di (...), stante la sua soccombenza, le spese della consulenza medica ad esso afferente, liquidate come da separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: -Rigetta la richiesta di risarcimento del danno avanzata da parte di (...) in quanto infondata nel quantum; -condanna la (...) al pagamento, in favore di (...), della complessiva somma di Euro 4.017,38 (di cui Euro 113,88 per interessi) a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali da quest'ultimo subiti, oltre interessi legali decorrenti dalla data di questa decisione fino al soddisfo; - condanna (...) al pagamento delle spese di lite nei confronti della Società (...) che liquida nella misura di Euro 1.702,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; - condanna (...) al pagamento delle spese di lite nei confronti dei convenuti (...) e (...) che liquida nella misura di Euro 1.702,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; - compensa le spese di lite tra (...) e gli altri convenuti con particolare riguardo alla convenuta (...); -compensa tra le parti le spese della ctu tecnica; -dispone la compensazione della ctu medica effettuata nei confronti di (...); -condanna (...) al pagamento delle spese della consulenza medica afferente alla sua persona, liquidate come da separato decreto. Così deciso in Termini Imerese l'1 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4012 del R.A.G.C. relativo all'anno 2018, al quale sono stati riuniti i procedimenti portanti i 4242/2018 e 877/2019 R.G, posta in decisione all'udienza del 09.11.2022 e vertente TRA (...) nato a (...) il (...), C.F: (...), residente in P. alla Via M. R. n. 9, rappresentato e difeso dall'Avv. Ro.Ba., giusta procura in calce all'atto di citazione, - attore - (...), nata ad A. il (...), c.f. (...) e (...), nata a P. il (...) C.F. (...) , entrambe rappresentate e difese dall'avv. Sa.Ma. ed elettivamente domciliate presso il suo studio, sito in Palermo nella Via (...), giusta procura in atti, per il procedimento portante il n. 4242/2018 R.G., - attrici - (...) nata a P. il (...) C.F. (...), ivi residente in Via (...) N. 11 attrice, già costituita in atti, rappresentata e difesa dall'Avv. Sa.Ca. e dall'Avv. Gi.Ab. con studio in Palermo Via (...), giusta procura in atti, per il procedimento portante il n. 877/2019 R.G., - attrice - E Condominio (...), con sede in (...) di R. (P.) - Viale H. n. 20 (Part. I.V.A.: (...)), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, Sig. F.A. nato a P. il (...), C.F.: (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Si.Ca., del foro di Caltanissetta ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Caltanissetta alla Via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - convenuto - avente oggetto: opposizione delibera condominiale valore della controversia: Euro 22.000,00 MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (L. 18 giugno 2009, n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa breve premessa, si osserva che, con atto di citazione del 22.11.2018, notificato in pari data, il Sig. (...), nella qualità di proprietario di una unità immobiliare sita all'interno del Villaggio Vastello Residence, citava in giudizio il Condominio (...), avanti il Tribunale Civile di Termini Imerese, deducendo l'invalidità della deliberazione assunta dall'assemblea del Condominio in data 09.09.2018 per: a) violazioni nella redazione del verbale assembleare; b) tardività dell'approvazione del bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018; c) violazione dell'art. 1130 bis c.c. per lesione del diritto di visione dei documenti; d) violazione dell'art. 130 bis c.c. per violazione dei criteri di certezza e congruità del rendiconto ed assenza della nota sintetica esplicativa; e) violazione degli artt. 1130 bis, 1135 e 1136 c.c. per assenza nel rendiconto del fondo cassa piscina; g) annullabilità del bilancio preventivo 2018. Chiedeva, inoltre, l'attore la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata, stante il grave ed irreparabile pregiudizio derivante dalla sua esecuzione e la condanna del Condominio al pagamento in favore dell'erario di un importo pari al valore del contributo unificato, per violazione dell'art. 8, comma 4 bis, L. n. 28 del 2010. Con atto di citazione notificato in data 14.12.18, le Sigg.re (...) e (...) proponevano impugnazione avverso la medesima delibera assembleare del 9.09.2018, deducendone l'invalidità per violazioni formali del verbale assembleare e degli artt. 1130 bis e 1135 c.c. in ordine ai criteri di certezza e congruità del rendiconto, nonché errori di contabilizzazioni e rendicontazioni, e chiedendone la sospensione per evitare il futuro ed irreparabile pregiudizio che potrebbe essere arrecato ai condomini dissenzienti, atteso che "l'errato bilancio preventivo 2018 sarà con tutta probabilità preso a spunto per il successivo consuntivo 2018". Con atto di citazione notificato in data 7.06.2019, la Sig.ra M.C. proponeva impugnazione avverso la medesima delibera assembleare del 09.09.2018, deducendone l'invalidità per mancata convocazione dei condomini, irregolarità delle deleghe e del quorum deliberativo, approvazione del rendiconto oltre i termini di legge e violazione del giudicato cautelare, irregolarità delle voci di bilancio, chiedendo anch'essa la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata nelle more di accertarne la nullità e/o l'annullamento. Il Condominio convenuto si costituiva in giudizio contestando tutto quanto ex adverso dedotto, perché infondato in fatto ed in diritto e chiedendone il rigetto. Si costituiva, in data 29.11.2018, il Condominio convenuto, con comparsa di costituzione e risposta, con la quale eccepiva, in via preliminare, la nullità dell'atto di citazione per la nullità della notifica del predetto atto introduttivo; nel merito, contestava le domande ex adverso dedotte perché infondate in fatto ed in diritto. Chiedeva, altresì, la riunione del presente procedimento ai fascicoli, portanti i nn.4242/2018 e 877/2019 R.G.. Con Provv. del 18 ottobre 2019 la causa veniva riunita ai fascicoli nn. 4242/2018 e 877/2019 R.G.. Con ordinanza del 16.04.2021, il Tribunale sospendeva - in via cautelare - l'efficacia della delibera impugnata di approvazione del bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018 sulla base della documentazione allegata dalle parti (in particolar modo degli atti del procedimento penale R.G.N.R. 1981/19 pendente innanzi al Tribunale di Termini Imerese contro l'amministratore di Condominio, sig. A., per il reato di cui all'art. 646 c.p. commesso durante lo svolgimento delle sue funzioni di amministratore del condominio (...), ed avuto riguardo in particolare agli esiti della consulenza tecnica della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese; con la medesima ordinanza, concedeva alle parti i termini ex art. 183, VI comma c.p.c., rinviando la causa all'udienza del 05.11.2021. Avverso l'Ordinanza di sospensione il Condominio convenuto proponeva Reclamo dinanzi il Tribunale di Termini Imerese, in composizione collegiale. Con ordinanza riservata, emessa in data 18.07.2022, il Tribunale di Termini Imerese, in composizione collegiale, rigettava il reclamo, confermando l'ordinanza impugnata. Esaurita la fase istruttoria nel procedimento di merito, il fascicolo veniva assegnato a questo GOP la quale, all'udienza del 06.04.2022 ,rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni al 09.11.2022. Nelle more, il Tribunale di Termini Imerese - in composizione collegiale - rigettava il reclamo proposto dal Condominio reclamante avverso l'Ordinanza del 16.04.2021. Alla calendata udienza del 09.11.2022, sulle conclusioni di tutte le parti, il Tribunale poneva la causa in decisione assegnando i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Violazioni formali del verbale assembleare: Gli atti di causa e le risultanze istruttorie hanno esaurientemente dimostrato l'invalidità del verbale assembleare impugnato per violazioni formali, e ciò sotto molteplici profili. Preliminarmente, si osserva che nel verbale assembleare non risulta l'indicazione dei delegati, non potendosi peraltro evincere chi ha votato per conto dei deleganti. Invero, dalla verifica delle deleghe depositate e dal raffronto con l'allegato 1 del verbale assembleare è emerso che: 1) Sono assenti 13 deleghe di altrettanti condomini deleganti. 2) 19 deleghe sono senza data. 3) Il condomino (...) risulta assente pur essendovi la delega (pag. 1 del doc. 1 di parte convenuta). 4) La condomina (...) risulta presente, quando invece ha firmato la delega (pag. 21 del doc. 2 di parte convenuta). Quanto su evidenziato è indicativo del disordine e della stesura approssimativa del verbale impugnato. Ora, se si tiene conto delle dimensioni del condominio (136 unità abitative) l'imprecisione nella verifica delle presenze/deleghe assume una particolare gravità. Ciò in quanto, l'avere omesso nel verbale i nomi dei delegati costringe, per una corretta verifica dei quorum deliberativi, a far riferimento esclusivamente alle deleghe che risultano incomplete. Da un'attenta lettura della documentazione versata in atti, risulta evidente che non sono stati annotati i nominativi dei soggetti delegati. Tra l'altro, le deleghe mancanti e le deleghe incomplete sopra indicate rappresentano un totale di 244,774 millesimi che, com'è intuibile, sono idonei ad alterare sensibilmente i quorum deliberativi. Ed ancora, non risulta essere stato allegato al verbale né il riparto consuntivo di gestione esercizio 2017 né il rendiconto di gestione 01/01/2018-10/03/2018, presenti invece in allegato alla convocazione e oggetto di discussione e approvazione del 1 punto all'ordine del giorno. Tali riparti infatti non compaiono neanche nell'elencazione dei prospetti contabili di pag. 4-5 dell'atto di costituzione di parte convenuta. Da quanto sopra esposto, appare evidente che, o il riparto consuntivo di gestione esercizio 2017 e il rendiconto di gestione 01.01.2018-10.03.2018 sono stati sottoposti a votazione unitamente agli altri prospetti contabili del 1 punto all' o.d.g. (in tal caso risulta palese sia l'omessa allegazione alla delibera, che l'incauta e illegittima riproposizione a votazione del suddetto riparto, in quanto già sospeso dall'Autorità Giudiziaria), oppure il riparto consuntivo di gestione esercizio 2017 e il rendiconto di gestione 01.01.2018-10.03.2018 non sono stati sottoposti a votazione (in tal caso si è operato un taglio ai prospetti contabili originali senza però comunicare nulla ai condomini che, in assemblea, erano convinti di votare il documento completo ricevuto in allegato alla convocazione). Sono più che evidenti le diverse implicazioni derivanti dalle due ipotesi, sia in termini di correttezza amministrativa e contabile che in termini di legittimazione alla riscossione delle quote dei riparti. Infine, per stessa ammissione di parte conenuta, è pacifico che nel verbale assembleare è stato omesso del tutto l'intervento del Sig. (...), il quale proponeva l'istituzione di un gruppo di lavoro per la verifica del rendiconto presentato. A tale proposta è seguita una votazione per appello nominale il cui esito è stato anch'esso tralasciato nella verbalizzazione. Sul punto va osservato che la liceità di una verbalizzazione sintetica e contenente una breve e succinta descrizione delle attività svolte in assemblea non può comportare l'integrale omissione dell'esito di una votazione per appello nominale. Tanto più che detto verbale è stato impugnato anche dalla moglie del sig. (...), sig.ra (...) proprietaria anch'essa, in comunione di beni col marito, dell'unità abitativa. Ed è proprio in tale opposizione, prodotta dallo stesso condominio, che la sig.ra (...) lamenta la medesima doglianza (cfr. doc. 13 pag. 5 n.2.4 allegato alla comparsa del condominio convenuto). Alla luce di quanto precede, è evidente che il verbale impugnato, risultando incompleto e irrimediabilmente viziato, dovrà essere annullato con la conseguente invalidità della relativa delibera. Annullamento delle delibere riguardanti i punti nn. 1 e 2 dell'ordine del giorno e violazione dell'art. 1130 bis c.c. per lesione del diritto di visione dei documenti: L'attore ha poi insistito nella richiesta di annullamento delle delibere contenenti l'approvazione del Rendiconto Consuntivo (Ordinario e Straordinario) 2017 e del Rendiconto Preventivo. In questa sede, si rileva solamente che dagli atti del giudizio è rimasto documentalmente provato che l'amministratore non ha consentito all'attore di consultare, verificare e prendere copia della documentazione contabile oggetto del rendiconto da approvare nel consesso del 09.09.2018. Invero, nonostante le ripetute richieste, alla data del consesso l'attore non ha potuto visionare giustificativi di spesa per complessivi Euro 8.053,33, nonchè gli estratti conto del c.c. parte attrice ha provato che il conto corrente in questione non era intestato a nessuna associazione (come asserito dal Condominio convenuto) bensì al Condominio (...) (...). Le stesse risultanze istruttorie hanno, altresì, provato la condotta ostruzionistica del precedente amministratore, il quale non ha provveduto a consegnare i documenti all'attore, malgrado le numerose richieste scritte (cfr. pec in atti). Constatato quanto sopra, è evidente la violazione del diritto attoreo di verificare ed avere copia della documentazione contabile a supporto, con la conseguenza che la relativa delibera, emessa in spregio a tale diritto, deve essere annullata dall'autorità giudiziaria. Il principio sopra richiamato ed il relativo diritto sono stati reiteratamente oggetto di pronunzie di legittimità e di merito in conformità e a tutela delle relative posizioni giuridiche lese. Ed infatti "La violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare a sua richiesta secondo adeguate modalità di tempo e di luogo la documentazione attinente ad argomenti posti all'ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale determina l'annullabilità delle delibere ivi successivamente approvate, riguardanti la suddetta documentazione, in quanto la lesione del suddetto diritto all'informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari". (Cass. Civ.13350/2003, Cass. Civ.11940/2003; Cass.Civ.12650/2008). Tra l'altro, "la mancata disponibilità della documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo da parte dei condomini comporta la violazione, da parte dell'amministratore, dell'obbligo di rendiconto" (Cass. II civ. 19.9.2014 n. 19800). Nella fattispecie, dall'inosservanza del detto onere non potrà che discendere la declaratoria di annullamento della Delib. del 9 settembre 2018. Nullità del rendiconto per violazione degli artt. 1130 bis, 1135 e 1136 c.c., ed assoluta assenza del rendiconto del fondo cassa piscina: Dagli atti di causa è altresì rimasta incontestata, anzi esplicitamente ammessa da parte convenuta, l'assoluta omissione nel rendiconto impugnato delle voci di entrata e di uscita inerenti alla "costruzione della piscina" nonché l'omesso riferimento al fondo speciale ed al relativo conto corrente bancario ivi dedicato. L'omissione in parola, costituendo una palese violazione dell'art. 1130 bis, in combinato disposto con gli artt. 1135 e 1136 c.c., ha altresì esplicato effetti negativi sulla cosciente manifestazione del consenso da parte dei condomini presenti in assemblea i quali sono stati chiamati a deliberare l'approvazione del rendiconto in assenza di una partecipazione informata sul reale stato patrimoniale del condominio. Alla luce di quanto precede emerge palesemente come la delibera impugnata sia del tutto invalida sotto ogni profilo ed andrà, quindi, dichiarata nulla. Ed ancora, si osserva che è risultata dimostrata l'infodatenzza dell'assunto di parte convenuta, secondo cui "?il bilancio relativo alle entrate ed alle spese di costruzione della piscina e i movimenti del conto corrente acceso per la costruzione della piscina stessa, non sono atti di competenza dell'assemblea condominiale" (comparsa del convenuto). Ed invero, il contratto d'appalto stipulato dall'Amministratore del Condominio con la Ditta R. srl per la costruzione della piscina, nonché il decreto ingiuntivo da questa promosso nei confronti del Condominio e non nei confronti di un'associazione, smentiscono palesemente le argomentazioni del Condominio convenuto e testimoniano come detti atti sono al contrario di competenza assembleare. Risulta, pertanto, provata la responsabilità dell'allora Amministratore di sottrarsi alla rendicontazione delle cennate voci, esponendo i condomini al danno derivante dall'inosservanza delle obbligazioni contrattuali assunte per la costruzione della piscina. Nullità del rendiconto per inosservanza dell'art. 1130 bis c.c.: violazione dei criteri di legittimità, certezza e congruità, assenza della nota sintetica esplicativa: Le risultanze istruttorie hanno altresì provato che il rendiconto 2017 è stato redatto in violazione dei criteri di certezza, congruità, linearità e corrispondenza con le entrate e uscite dichiarate e sostenute. Invero, la situazione patrimoniale rappresentata non era coerente con il dato effettivo della cassa condominiale, risultando omesse plurime voci, come acclarato dalla CTP a firma dello Studio Bonura & Partners. Peraltro, le "giustificazioni" formulate dal condominio convenuto sono state seccamente smentite dalla documentazione, versata in atti da parte attrice. Pertanto, è evidente la violazione dell'art. 1130 bis c.c. in merito all'assenza in rendiconto della nota sintetica esplicativa. Detto elemento, espressamente richiamato dall'art. 1130 bis c.c. costituisce di per sé un elemento imprescindibile, voluto dal Legislatore, per la ricostruzione ed il controllo della gestione dell'Amministratore da parte di ogni condomino. Tant'è che giurisprudenza di merito afferma che "l'omissione della nota sintetica determina l'incompletezza del rendiconto". L'invalidazione della delibera per questa sola (ed assorbente) ragione, sebbene potrebbe assumere un sapore formalistico, appare invece l'approdo più conforme alla lettera e allo spirito della legge"(Trib. Torino 4 luglio 2017 n. 3528, nonché Trib. Bologna, Sez. 2 civile, sent.16.08.2016). Le predette considerazioni trovano applicazione anche per le posizioni delle altre parti attrici, che hanno promosso due distinti procedimenti, portanti i nn. 4242/2018 e 877/2019 R.G., riuniti al presente procedimentto. In particolare le Sigg.re (...) e (...), con il proprio atto di citazione, hanno lamentato la genericità, l'indeterminatezza e l'incertezza della delibera impugnata. Ed invero, le predette attrici hanno lamentato che non si tratta di mere irregolarità formali quanto piuttosto di errori che inficiano la volontà condominiale, della impossibilità di comprendere quale diritto avesse chi abbia espresso il voto, ma ancor prima quale diritto avesse chi abbia dato delega o chi abbia partecipato. Vizi ed irregolarità si riverberano nella assoluta incertezza della compagine condominiale sia in tema di rilevazione delle presenze che di quorum deliberativo, con la consequenziale invalidità della delibera. Mette conto, poi, evidenziare che le argomentazioni del convenuto non hanno trovato alcun riscontro probatorio, al fine di confutare le doglianze di parte attrice, in merito alla validità del rendiconto impugnato e, in particolare, nell'assenza del registro di contabilità. Anche le predette attrici hanno lamentato la mancanza del rendiconto previsto dalla nuova formulazione dell'art. 1130 c.c. Il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, che compongono il rendiconto, perseguono certamente lo scopo di soddisfare l'interesse del condomino ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, e così da consentire in assemblea l'espressione di un voto cosciente e meditato. Come precisato dalla Suprema Corte (Cass. sez. 6.2. del 20.12.2018 n. 33038/2018) i tre elementi - registro di contabilità, riepilogo finanziario e nota esplicativa - sono inscindibili e devono contestualmente essere inseriti nel complesso documento, cosicché la mancanza di uno di essi comporta la invalidità del rendiconto, poiché non consente ad esso di assolvere la precipua funzione di informativa ai condomini sulla concreta ed effettiva situazione patrimoniale, sulle spese effettuate e sulle entrate incamerate. Il richiamato orientamento giurisprudenziale è seguito in maniera uniforme dai Giudici di merito (recentissima, Trib. Genova sez. III del 17.5.2021 n. 1131; Trib. Roma sez. V del 12.11.2020 n. 15828; Trib. Civitavecchia del 7.1.2021 n. 9). In particolare, il registro di contabilità è necessario poiché esso contiene le voci di entrata e di uscita, (ossia le variazioni positive o negative della cassa) elencate in ordine cronologico. Tali movimenti devono essere registrati obbligatoriamente entro 30 giorni dalla loro effettuazione. Considerata l'obbligatorietà del conto corrente condominiale e l'obbligo di farvi transitare tutte le operazioni di entrata e di uscita, è evidente lo stretto legame tra questo documento e il conto corrente condominiale. Questa condizione, se rispettata, rende effettiva ed immediata la possibilità di un controllo di correttezza del rendiconto ed, eventualmente, consente di ricostruire la gestione condominiale anche in assenza del rendiconto stesso. La mancanza del registro, come sopra specificato e come rilevato nella odierna fattispecie, determina la invalidità del rendiconto e l'annullamento della delibera impugnata. Anche questo Tribunale, in altro giudizio tra le medesime parti (ed altre), relativo alla opposizione alla approvazione del rendiconto condominiale del 2017, con sentenza n. 271/2020 nel giudizio 578/2018 ha accolto il motivo di opposizione proposto dagli attori relativo alla mancanza del registro di contabilità ed alla relativa nullità del rendiconto approvato senza tale indispensabile elemento ed in spregio alla norma. Sotto ulteriore altro profilo, ancora sul rendiconto, si richiama l'ordinanza del 12.9.2022, emessa da questo Tribunale, in composizione collegiale, con la quale è stato rigettato il reclamo proposto dal Condominio avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Termini Imerese, in 16.04.2021. Con detto provvedimento, il Collegio richiama la relazione di perizia della dott.ssa G. nel procedimento penale in danno dell'ex amministratore A. e deducendo in ordine al fumus boni iuris precisa quanto segue: "in relazione agli esercizi 2014-2018 (?) tra il totale delle spese rendicontate a consuntivo dall'amministrazione A. (Euro 295.073,42) ed i rispettivi giustificativi validamente considerati (Euro 206.368,08), si ravvisa una differenza complessiva di Euro 88.705,34"; che, in risposta al secondo quesito formulato al consulente, "tra il totale degli addebiti contabilizzati (Euro 421.343,15) e quelli validamente documentati (Euro 70.427,34), sussiste una differenza complessiva di Euro 350.915,81. In particolare, si segnala che tutti i prelevamenti eseguiti nel suddetto periodo a mezzo carta Postamat (Euro 37.420,00) risultano privi di giustificazione alcuna. Nel medesimo periodo, aggiunge il consulente, sono stati altresì eseguiti bonifici per complessivi Euro 13.000,00 effettuati in favore dello stesso amministratore (...), per compenso relativo agli esercizi 2013 e 2014, anch'essi non documentati; che, in risposta al terzo ed ultimo quesito, nel "Rendiconto di cassa" riferito all'esercizio dell'anno 2016 "tra il totale delle quote complessivamente rendicontate (Euro 94.235,88) e le pertinenti rimesse registrate sul c/c n.(...) nell'anno 2016 (Euro 45.206,72), sussiste una differenza complessiva di Euro 49.029,16". Infine, per quanto concerne la "(...)", il consulente precisa che "Il totale dei versamenti eseguiti nell'anno 2016 sul c/c n.(...) ("(...)") è pari a 37.050,00; tuttavia in relazione a tale ultimo rapporto, si ribadisce la totale assenza tra i documenti di bilancio della rendicontazione inerente la c.d. "(...)" (a carattere straordinario). Ad ogni buon conto, aggiunge la dott.ssa (...), anche nel caso si volesse per ipotesi assimilare tale ultima gestione a quella ordinaria, tra il totale delle quote complessivamente rendicontate (Euro 94.235,88) e le rimesse complessivamente registrate sul c/c n.(...) e sul c/c n.(...) nell'anno 2016 (Euro 86.256,72), sussisterebbe comunque una differenza complessiva di Euro 7.979,16" - mostrano come l'esistenza dei superiori ammanchi relativamente anche agli esercizi 2017 e 2018 - ove accertata - indubbiamente inficerebbe la validità della delibera di approvazione del bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018 impugnata". Le medesime considerazioni trovano applicazione per l'attrice (...) la quale ha impugnato la delibera condominiale, deducendo i medesimi motivi di opposizione. A fronte di tali contestazioni, il convenuto ha dedotto con generiche ed irrilevanti argomentazioni, non supportate da un valido riscontro probatorio e, comunque, smentite dalla produzione documentale allegata dalle parti attrici. Anche per questo motivi, la predetta delibera deve essere annullata. In definitiva, si osserva che la produzione documentale offerta dalla parte ricorrente, a sostegno delle proprie domande, è risultata di per sé idonea a fornire la prova piena di quanto dedotto e lamentato, e ciò anche in ossequio al principio generale di cui all'art. 2697 c.c., a norma del quale "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.". In linea di principio l'onere di provare un fatto ricade su colui che invoca quel fatto a sostegno della sua versione. In questo senso va interpretato l'art. 2697 c.c. che accolla su chi vuol far valere un diritto in giudizio l'onere di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (c.d. fatti costitutivi). Viceversa, chi contesta la rilevanza di quei fatti ha l'onere di provarne l'inefficacia o gli altri fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere (c.d. fatti impeditivi, modificativi ed estintivi). Di contro, le contestazioni sollevate da parte convenuta sono risultate alquanto generiche e prive di idoneo supporto probatorio. Mancata partecipazione al procedimento di mediazione: per ultimo, si rileva che il Condominio non si è presentato all'incontro, benché ritualmente convocato dall'Organismo prescelto, e l'esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. P. 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo della mancata partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. n. 28 del 2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova delle doglienze rappresentate da parte attrice. Condanna per lite temeraria: Le parti attrici, (...) e (...), hanno chiesto la condanna per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., stante il comportamento tenuto dal Condominio convenuto. Sul punto, la giurisprudenza di merito osserva che "l'applicazione dell'art. 96 co. 3 c.p.c. deve rivestire carattere eccezionale, cioè confinato nell'ambito di gravi violazioni e non semplicemente nella allegazioni di fatti o situazioni che rappresentano la pretesa di una parte e che, come tali, vengono sottoposte al vaglio di un organo giurisdizionale chiamato a valutarne la fondatezza o meno; tale discorso vale, a maggior ragione, nell'ambito dei contratti d'appalto, per loro natura suscettibili di variazioni in corso d'opera, spesso soggetti a contrapposte interpretazioni e caratterizzati da una disciplina assai articolata." (cfr. exmultis Corte appello Trento sez. II, 15.07.2020, n.153; Corte appello P. sez. II, 11.06.2020, n.885). Recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che: "la condanna ex art. 96, comma terzo, applicabile in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi primo e secondo c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale". La sua applicazione, pertanto, non richiederebbe il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì una condotta oggettivamente valutabile alla stregua dell'abuso del processo (cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 27623 del 21 novembre 2017). Nel caso in esame, tenuto conto del compartamento processuale tenuto dal Condominio convenuto, sussistono i presupposti per accogliere la domanda, condannando il convenuto al pagamento di una somma anche in favore delle Sigg.re (...) e (...). A tal fine, appare equo liquidare, in favore del Prof. (...), delle Sigg.re (...), (...) e (...), la complessiva somma di Euro 1.000,00 ciascuno, a titolo di risarcimento danno per lite temeraria. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del D.M. n. 147 del 2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. P.Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione respinta, così provvede: - dichiara nullo il rendiconto presentato dall'amministratore all'assemblea del 09.09.2018, annullando la relativa delibera, anche in considerazione dell'ammissione implicita del Condominio convenuto, circa l'assenza del fondo cassa piscina, costituente fondo speciale ex art. 1130 bis c.c., 1135 e 1136 c.c., nonché della nota sintetica esplicativ a, per tutti i motivi esposti; - visto l'art. 96, 3 comma, c.p.c., condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore del Prof. (...), delle Sigg.re (...), (...) e (...), della complessiva somma di Euro 1.000,00 ciascuno, a titolo di risarcimento per lite temeraria, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo; - condanna il C.(...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore del Prof. (...), dei compensi relativi al procedimento di mediazione che si liquidano in complessivi Euro 3.043,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio convenuto, in ottemperanza dell'Ordinanza del Tribunale di Termini Imerese n.1177/2021 r.g., al pagamento in favore del Prof. (...) delle spese del relativo procedimento che liquida in complessivi Euro 3.503,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore del Prof. (...) delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 5.341 ,00 di cui Euro. 264,00 per spese vive ed Euro 5.077,00 per compensi, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore delle Sigg.re (...) e (...), dei compensi relativi al procedimento di mediazione che si liquidano in complessivi Euro 3.043,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario; - condanna il Condominio convenuto, in ottemperanza dell'Ordinanza del Tribunale di Termini Imerese n.1177/2021 r.g., al pagamento in favore delle Sigg.re (...) e (...) delle spese, competenze ed onorari del relativo procedimento che liquida in complessivi Euro 4.553,90 (Euro 3.503,00 + Euro 1.050,90 aumento del 30% per presenza di più parti aventi la stessa posizione, ai sensi dell'art. 4 D.M. n. 147 del 2022)per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge con distrazione in favore del procuratore antistatario; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore delle Sigg.re (...) e (...) delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 6.864,10 di cui Euro. 264,00 per spese vive ed Euro 6.600,10 (Euro 5.077.00 + Euro 1.523,10 aumento del 30% per presenza di più parti aventi la stessa posizione, ai sensi dell'art. 4 D.M. n. 147 del 2022) per compensi professionali, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge con distrazione in favore del procuratore antistatario; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento in favore della Sig.ra (...), da distrarre in favore dell'Erario, dei compensi relativi al presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 4.290,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento in favore della Sig.ra (...) degli onorari relativi al procedimento di reclamo N. 1177 RG 2021 giusta Ordinanza del Tribunale di Termini Imerese in funzione Collegiale che si liquidano in complessivi Euro 3.503,00, per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - visto l'articolo 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla L. n. 148 del 2011, condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione. Così deciso in Termini Imerese il 21 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Giorgia Marcatajo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2384 dell'anno 2016 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente tra COMUNE DI MISILMERI, in persona del Sindaco pro tempore, con sede in Misilmeri, piazza Comitato 1860 n. 26, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro La Tona, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Bagheria, Corso Butera n. 513 contro SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in P., Via U. G. n. 2, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Sc., ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Gi.Lo. in Piana degli Albanesi, Via (...) MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato, il Comune di Misilmeri proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 536/2016, emesso dal Tribunale Civile di Termini Imerese, in data 26-27 maggio 2016 e notificato in data 13 giugno 2016, con il quale, su richiesta della società Cooperativa Sociale "(...)", veniva ingiunto al Comune di Misilmeri il pagamento in favore di detta società della somma di Euro. 29.226,28 oltre interessi moratori fino al soddisfo e le spese giudiziali del procedimento ( Euro 1.250,00 per onorari ed Euro 286,00 per spese borsuali). L'odierno opponente contestava il credito vantato dalla Cooperativa Sociale opposta sotto il profilo del quantum, in quanto assumeva, a fondamento dell'opposizione, che il Consorzio avrebbe erroneamente calcolato le proprie spettanze, per il servizio di assistenza dallo stesso prestato, sulla scorta della convenzione sottoscritta con il Comune di Palermo, anzichè, come doveroso, secondo il proprio "Regolamento per l'accesso ai servizi e agli interventi socio - assistenziali" (art. 68 sub e), approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 21.01.2007, secondo i costi di ricovero ivi previsti. Più in particolare, deduceva il Comune: - che, in ossequio ai criteri contemplati nel proprio Regolamento, il Consorzio aveva regolarmente emesso le fatture relative ai servizi prestati per l'anno 2014 (in favore del minore, (...), e della di lui madre, (...), il cui ricovero era stato disposto con decreto del Tribunale per i Minorenni di Palermo del 27.01.2014 e del 07.04.2014); - che, invece, a partire dal gennaio 2015, il Consorzio (...), unilateralemnte e senza alcun preavviso, avrebbe fatturato costi di ricovero più alti rispetto al dovuto, secondo i parametri previsti dal Patto di accreditamento stipulato dalla cooperativa sociale con il Comune di Palermo; - che, erroneamente, in un primo momento, non ravvedendosi dell'errore, lo stesso avrebbe regolarmente pagato le fatture n. (...), (...), (...), (...), (...) (relative alle rette gennaio-maggio 2015); - che ravvisato l'errore, con nota prot. N. (...) del 24.09.2015, comunicava alla società opposta di vantare un credito di Euro 11.759,62 nei suoi confronti (per le prestazioni erogate in eccesso nei mesi precedenti) e, per l'effetto, chiedeva emettersi note di credito relative alle fatture n. (...) (giugno), (...) (luglio) e (...) (agosto) per l'intero importo, ed emettersi la sola fattura di Euro 660,08 per i mesi di settembre, ottobre e novembre 2015, avendo per il resto già anticipato quanto dovuto. Chiedeva, quindi "in via preliminare, 1) sospendere immediatamente, con provvedimento da emettersi preventivamente all'udienza di comparizione delle parti, la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 536/2016 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 26-27/05/2016, rilasciato in forma esecutiva in data 07/06/2016 e così notificato in data 13/06/2016; nel merito 2) revocare, annullare, dichiarare nullo o inefficace il decreto ingiuntivo n. 536/2016 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 26-27/05/2016, notificato in data 13/06/2016, con questo atto opposto; 3) accertare e dichiarare che la società cooperativa sociale "Consorzio T." ha percepito per il periodo Gennaio-Maggio 2015 importi superiori a quelli dovuti e per l'effetto dichiarare la compensazione delle relative somme con il credito eventualmente vantato da parte opposta; condannare parte opposta per responsabilità ex art. 96 c.p.c.; il tutto con vittoria di spese, competenze, ed onorari, come per legge". Con memoria di costituzione e risposta depositata in data 27.11.2016, si costituiva in giudizio la società cooperativa opposta, contestanto tutto quanto ex adverso dedotto, perché infondato in fatto ed in diritto, e chiedendo pertanto, il rigetto dell'opposizione e la conferma integrale del decreto ingiuntivo opposto. In via subordinata, in caso di revoca del decreto ingiuntivo opposto, chiedeva comunque accertarsi la debenza della somma di Euro. 29.226,28, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e rivalutazione monetaria, per l'assistenza prestata al nucleo mamma-bambino nei mesi di giugno-dicembre dell'anno 2015, in virtù dell'indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. del Comune. Con ordinanza emessa in data 22.02.2017, il Giudice titolare del procedimento, rilevata l'insussistenza di gravi motivi, rigettava l'istanza di sospensione delle provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto e concedeva, su richiesta, i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c.. Senza alcuna attività istruttoria, la causa veniva, quindi, rinviata per la precisazione delle conclusioni. Riassegnata a questo Giudice a causa del mutamento di funzioni del Giudice titolare del procedimento, la causa veniva variamente differita per la precisazione delle conclusioni. L'opposizione è infondata e va rigettata per i motivi che qui di seguito si espongono. Preliminarmente, va osservato che - in base ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr., per tutte, Cass. civ. sez. un., n. 13533/2001) - al creditore che deduce un inadempimento da parte del debitore spetta di dimostrare, secondo i criteri di distribuzione dell'onere della prova contenuti nell'art. 2697 c.c., il fatto costitutivo del credito, laddove al debitore spetta di provare il fatto estintivo dello stesso o di una sua parte, per cui il primo è tenuto unicamente a fornire la prova dell'esistenza del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, mentre, a fronte di tale prova, dovrà essere onere del debitore dimostrare di avere adempiuto alle proprie obbligazioni. Questo principio non soffre deroga in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, che - come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 22123/2009, n. 8718/2000 e n. 11417/1997) - si configura come atto introduttivo di un giudizio ordinario di cognizione, nel quale va anzitutto accertata la sussistenza della pretesa fatta valere dall'ingiungente opposto (che ha posizione sostanziale di attore) ed, una volta raggiunta tale prova, deve valutarsi la fondatezza delle eccezioni e delle difese fatte valere dall'opponente (che assume posizione sostanziale di convenuto). Ora, nella prospettazione dell'odierna opposta, il Comune sarebbe debitore della somma di Euro 29.226,28, quale retta di ricovero del minore, (...), e della di lui madre, (...), per le mensilità di giugno-dicembre 2015. L'opponente, pur ammettendo la sussistenza dell'an (seppur eccependone la compensazione), ha contestato il quantum, rilevando l'erroneità dei parametri applicati per i costi di ricovero ed invocando l'applicabilità dei criteri di cui al proprio Regolamento comunale (cit.). Ciò posto, va osservato che - secondo la giurisprudenza di legittimità - la fattura emessa dal presunto creditore è utilizzabile come prova scritta ai soli fini della concessione del decreto ingiuntivo, ma non costituisce idonea prova dell'ammontare del credito nell'ordinario giudizio di cognizione che si apre con l'opposizione, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte creditrice (così Cass. civ. n. 10860/2007). Ne consegue che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, l'esistenza del credito o, come nella fattispecie, del suo preciso ammontare, dovrà essere dimostrata con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto (così Cass. civ. n. 5915/2011). Tanto premesso, va osservato che l'opposta, già in sede monitoria, ha assolto al suddetto onere probatorio attraverso il deposito in giudizio dei decreti emessi dal Tribunale dei Minorenni di Palermo che hanno disposto il ricovero presso i locali della Cooperativa Sociale "(...)" del minore e della madre, ponendo l'onere della retta a carico del Comune di Misilmeri, in quanto domicilio di residenza dei beneficiari del provvedimento. In merito, va osservato, infatti, che gli oneri economici relativi all'affidamento di minori a famiglie per ragioni socio-assistenziali, quand'anche siano stati disposti in data antecedente all'entrata in vigore della L. n. 328 del 2000, devono essere sostenuti, ex art. 6 comma 4 della predetta legge, dal Comune nel quale i minori avevano la residenza al momento in cui la prestazione assistenziale ha avuto inizio (Cass. 08/02/2019, n. 3791). In particolare, l'art. 6 comma 4 della L. n. 328 del 2000 prevede che "per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica". L'onere ricade, pertanto, sul Comune di residenza degli esercenti la potestà genitoriale dei minori nel momento in cui ha inizio la prestazione assistenziale e tale competenza permane anche se il minore è ospitato in strutture o si trova presso famiglia affidataria in Comuni diversi da quello di residenza degli esercenti la potestà genitoriale. Ora, secondo la Suprema Corte, "di fronte all'ordine del Giudice ed all'obbligo ope legis del Comune, non rileva la necessità di un rapporto diretto, o magari di una convenzione tra Cooperativa e Comune, nè si applicano le disposizioni sui contratti della pubblica Amministrazione. Nè sussistono problematiche di contabilità, trattandosi di prestazione dovuta ex lege (Cass. n. 19036/2010). Ciò detto, la fonte del credito azionato dal Consorzio è rappresentata, dunque, dai decreti del Tribunale per i Minorenni di Palermo, con i quali il minore e la madre sono stati collocati presso la Cooperativa opposta, con oneri a carico del comune di residenza (M.) che deve, per i su esposti motivi, ritenersi obbligato ex lege. Peraltro, deve riconoscersi che il Comune non ha neppure contestato l'obbligazione posta a suo carico, né la natura del credito vantato dalla Cooperativa. Venendo al quantum oggetto di contestazione, va evidenziato che, nella prospettazione offerta dall'odierna opposta, le tariffe stabilite con proprio regolamento dal Comune di Misilmeri non sarebbero sufficientemente adeguate agli standards dei servizi erogati dal Consorzio (...), sottoposto al controllo dell'Amministrazione comunale di Palermo attraverso un accordo di accreditamento. Secondo il Comune opponente, invece, l'opposta avrebbe, unilateralmente e senza preavviso, fatturato costi più elevati rispetto a quanto previsto nel proprio regolamento comunale (art. 68 sub e) del Regolamento comunale per l'accesso ai servizi e agli interventi socio-assistenziali) e non avrebbe dato prova dell'asserito livello dei propri standard qualitativi. Orbene, la materia de qua va inquadrata nell'ambito della normativa che qui di seguito si riporta. L'obbligazione comunale alla corresponsione delle rette di ricovero oggetto del presente giudizio trova origine e fondamento giuridico nel volere espresso del Legislatore, ed in particolare nella disciplina pubblicistica della tutela del diritto all'assistenza ed alla salute di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost. La legge quadro regionale n. 22/86 e la succitata L. n. 328 del 2000 regolano la materia statuendo l'obbligo della P.A. competente di assicurare le prestazioni assistenziali obbligatorie a favore delle categorie sociali protette, senza soluzione di continuità. L'art. 54 della L. n. 22 del 1986 conferisce espressamente al Presidente della Regione Sicilia, il potere di adottare linee guida per la realizzazione dei servizi sociali de quibus. Alla luce della normativa sopra citata, appare fondato (anche se non contestato) l'an debeatur dell'obbligazione sorta in capo al Comune opponente, il quale, come già detto, ha contestato il "quantum debeatur" assumendo - a fondamento dell'opposizione - il proprio "regolamento per l'accesso ai servizi e agli interventi socio - assistenziali". Orbene, detto regolamento deve ritenersi illegittimamente adottato in palese contrasto con la normativa regionale e con le linee guida contenute nella L. n. 328 del 2000, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e, pertanto, va disapplicato. L'opponente, del tutto erroneamente, sostiene che nella fattispecie all'esame dovrebbero trovare applicazione, "per analogia", gli standard qualitativi previsti dal D.P.R.S. n. 158 del 1996 "schema di convenzione inerente case d'accoglienza per donne in difficoltà" (richiamati, peraltro, dal proprio regolamento comunale). Tale assunto, tuttavia, non è condivisibile in quanto il beneficiario del servizio, nella fattispecie de qua, non è un adulto, bensì un minore con la madre. Ed invero, come risulta dalla documentazione in atti, il ricovero presso la struttura è stato ordinato dal Tribunale per i Minorenni a protezione e tutela del minore. Pertanto, la tipologia del servizio impone per legge, oltre che per evidenza, standard qualitativi minimi ben più alti di quelli cui il Comune di Misilmeri rimanda nel proprio erroneo regolamento, con applicazione di ulteriori figure professionali ed in quantità superiore rispetto alla tutela prevista per gli adulti. Ed invero, il patto di accreditamento sottoscritto dal Consorzio (...) con il Comune di Palermo individua correttamente le figure professionali e la quantità di personale minima da impiegare (all.5 monitorio) e i conseguenti costi del servizio. Peraltro, il Consorzio (...), opera nel territorio del Comune di Palermo ed è tenuto, pena la revoca delle autorizzazioni all'esercizio dell'attività, al rispetto ed alla stretta osservanza degli standard qualitativi imposti dal Comune di Palermo, adottati in corretta applicazione degli standard minimi previsti dal Legislatore Nazionale e Regionale. A nulla rileverebbe, come anche evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, un eventuale convenzione tra il comune obbligato e la società cooperativa ai fini dell'individuazione degli standard qualitativi dei servizi da prestare, essendo la cooperativa opposta comunque vincolata ai controlli da parte del comune in cui opera. Il patto di accreditamento col comune di Palermo impone, da una parte, il rispetto degli standard qualitativi minimi del settore e, dall'altra, la corretta retribuzione dovuta. A tale standard deve conformarsi il Consorzio (...), così come precisato dalla giurisprudenza amministrativa: "Per quanto concerne l'affidamento dei servizi a enti e alle cooperative sociali, l'erogazione dei servizi alla persona può avvenire mediante diversi strumenti, rimessi alla scelta discrezionale, ma motivata, dell'amministrazione, tra i quali, l'autorizzazione e accreditamento (art. 11, L. n. 328 del 2000), specificandosi, altresì, che attraverso l'autorizzazione e l'accreditamento vengono individuati gli operatori economici (appartenenti al terzo settore) che possono erogare il servizio, mentre è l'utente finale che sceglie la struttura cui rivolgersi, sulla base della qualità del servizio offerto (concorrenza nel mercato). Nel dettaglio, mentre il sistema autorizzatorio è previsto per l'offerta dei servizi residenziali e semiresidenziali e quindi attiene alle strutture, l'accreditamento richiede l'osservanza di standard qualitativi ulteriori e, quindi, si pone come un atto di abilitazione di secondo grado, essendo riferito alla attività e, più precisamente, all'accertata qualità delle prestazioni erogate" (cfr. Tar Campania n.424/2017). Pertanto, è il Comune di Palermo che deve procedere all'accreditamento della struttura ed alla determinazione della tariffa perché operante sul proprio territorio ed è al Comune di Palermo che sono demandati i controlli sugli standard qualitativi del servizio. L'assunto di parte opponente è, pertanto, errato così come errato è il richiamo alla normativa citata in atto di opposizione, non essendo pertinente alla tipologia del servizio richiesto al Comune di Misilmeri, trattandosi di un servizio che trova origine e fondamento nella L. n. 328 del 2000. La fattispecie di cui oggi trattasi rientra nel servizio così detto "centro anti violenza", ricovero "mamma-bambino" che non è stata prevista nel D.P.R.S. n. 158 del 1996 e, pertanto, non necessita l'iscrizione ex art. 26 all'albo regionale, come notorio a tutti gli operatori del settore e come chiarito dalla stessa Regione Sicilia con espressa nota prot.(...) del 10.2.2010. In quella sede la Regione Sicilia invitava tutti i "Comuni affidatari" a vigilare sulla corretta applicazione dei ben più alti standard qualitativi del servizio, così come correttamente impone il Comune di Palermo, sul cui territorio il Consorzio (...) opera ed alle cui direttive è tenuto, pena la revoca della licenza. Invero, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 11 L. n. 328 del 2000, per i servizi non espressamente previsti dal Legislatore Regionale le strutture devono attivarsi mediante patti di accreditamento con il Comune sul cui territorio operano. Al medesimo Comune è demandata la vigilanza sugli standard qualitativi dei servizi. Le eccezioni spiegate dal Comune di Misilmeri circa la non iscrizione del Consorzio (...) all'albo regionale, quindi, non meritano rilievo sia perché l'iscrizione all'albo regionale, è necessaria per i servizi di cui alla L. n. 22 del 1986 e D.P.R.S. n. 158 del 1996 e non anche per i servizi di cui alla L. n. 328 del 2000 (che all'art. 11, comma 3, statuisce:"I comuni provvedono all'accreditamento, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera c), e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell'àmbito della programmazione regionale e locale"), sia perché, in ogni caso, con D.R. Siciliana n. 5 dell'8 gennaio 2020, poi, il Consorzio (...) è stato regolarmente autorizzato all'iscrizione all'albo regionale Siciliano. Il medesimo provvedimento (art.3) chiarisce che l'ente è obbligato ad assicurare nell'espletamento dell'attività autorizzata il rispetto degli standard organizzativi di cui al D.P.R.S. n. 96 del 2015 e che compete al Comune territorialmente competente esercitare l'opportuna vigilanza per la verifica del mantenimento dei requisiti in conformità agli standard regionali (art. 4). Ed infatti, con il recente D.P.R.S. n. 96 del 2015 che, tra i vari servizi, disciplina anche il ricovero di un minore in centro "anti-violenza" (con o senza mamma), il legislatore regionale ha determinato standards del servizio ovviamente più elevati di quelli del servizio "Donne in difficoltà" cui fa riferimento il Comune di Misilmeri "per analogia" nel proprio regolamento ( e non appare casuale alla scrivente che, proprio a partire dall'anno 2015, il Consorzio (...) abbia invocato i costi di ricovero più elevati, avendo presumibilmente il comune di appartenenza adeguato i propri standard alle nuove disposizioni). Il citato decreto, richiamando sia la L. 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", sia la L.R. n. 3 del 2012 "Norme per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere" (che prevede l'istituzione dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza ad indirizzo segreto per donne vittime di violenza), apporta alcune rettifiche allo standard "Casa di accoglienza per gestanti e ragazze madri" sia in termini di denominazione, che di requisiti strutturali e organizzativi, nonché amplia l'offerta dei servizi socio-assistenziali rivolti alle donne vittime di violenza, così come previsti dagli artt. 7 e 8 della L.R. n. 3 del 2012. In particolare, con il D.P.R.S. n. 96 del 2015, sono stati approvati gli standards strutturali e organizzativi delle seguenti tipologie di servizio: Centro antiviolenza; Casa di accoglienza ad indirizzo segreto e strutture di ospitalità in emergenza; Casa di accoglienza per gestanti e madri con figli. I suddetti standard, di cui all'allegato 1, costituiscono parte integrante del presente decreto (art. 1). L'allegato 1 del suddetto decreto elenca minuziosamente i servizi che devono essere offerti, le figure professionali che vanno impiegate e persino i requisiti strutturali dell'immobile e la disposizione degli spazi all'interno della struttura. Ai sensi dell'art. 3, poi, gli standard approvati devono essere intesi come standard minimi che vanno applicati sia per l'iscrizione all'albo regionale (art. 26, L.R. n. 22 del 1986), sia per l'iscrizione all'albo comunale (art. 27, L.R. n. 22 del 1986). Lo stesso Legislatore regionale nel D.P.R.S. n. 96 del 2015 precisa poi: "Per gli enti già iscritti all'albo ex art. 26, L.R. n. 22 del 1986, è previsto un periodo massimo di tre anni per l'adeguamento agli standard regionali approvati con il presente decreto. "Nel caso di enti del privato sociale già accreditati pressoi Comuni per tipologie di servizio normate con il presente decreto, ma non inserite nei precedenti standard regionali, agli stessi potrà essere riconosciuto dai Comuni il periodo di transizione previsto per gli enti già iscritti all'albo regionale" (artt. 5-6). Come emerge dalla stessa norma, quindi, il servizio era precedentemente svolto mediante patti di accreditamento con i comuni nel cui territorio la struttura operava, senza che fosse necessaria l'iscrizione all'albo regionale. Del tutto pretestuosa deve, dunque, ritenersi la tesi sostenuta dal comune opponente, che, alla richiesta di pagamento delle rette, ha opposto la circostanza della mancata iscrizione all'albo regionale della struttura di ricovero. Peraltro, dalla documentazione prodotta, si può dedurre che il Consorzio aveva regolarmente presentato apposita istanza, nel periodo di transizione concesso dal Legislatore Regionale anche per il servizio mamma-bambino e, pertanto, operava nel pieno rispetto della normativa in materia. In seguito alla richiesta, risultando ampiamente rispettati tutti gli standard dal Consorzio (...), con il succitato decreto, la Regione Sicilia ne ha decretato l'iscrizione all'albo anche per i servizi ivi regolamentati. A fronte di ciò, del tutto carenti di prova sono risultate altresì le allegazioni e contestazioni del Comune relative alla qualità delle prestazioni rese, trattandosi di contestazioni generiche, prive di qualsivoglia supporto probatorio. In definitiva, il credito ingiunto deve ritenersi fondato nel quantum poiché rispondente ai parametri vigenti. Quanto poi alla censura inerente la presunta erronea applicazione in fase monitoria degli interessi previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002, va osservato che le difese sul punto svolte dal Comune opponente non sono meritevoli di accoglimento. Ed invero, l'art. 1 comma 1 del D.Lgs. n. 231 del 2002 prevede che "Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale." e al successivo art. 2 comma 1 chiarisce che "Ai fini del presente decreto si intende per: a) "transazioni commerciali", i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo". Ne consegue l'applicabilità degli interessi de quibus ai rapporti per cui è causa. L'opposizione va quindi rigettata ed il decreto opposto integralmente confermato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo in ossequio ai parametri di cui al D.M. n. 44 del 2021. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: - rigetta l'opposizione proposta avverso il decreto ingiunto ingiuntivo n. 536/2016 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 26-27/05/2016 e, per l'effetto, conferma integralmente il decreto ingiuntivo opposto. - condanna il Comune di Misilmeri, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento delle spese di lite in favore della Società Cooperativa Sociale "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in complessivi Euro 5.810,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Termini Imerese il 30 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE Il giudice monocratico nella persona della dott.ssa Francesca Incandela ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3695 del Ruolo Generale affari contenziosi civili dell'anno 2018 TRA (...), (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in VIA (...) 90144 PALERMO presso lo studio dell'avv. IS.GA., che lo rappresenta e difende per mandato in atti ATTRICE CONTRO (...) S.R.L., (C.F. (...)) elettivamente domiciliata in VIA (...) PALERMO, presso lo studio dell'avv. RO.DA. che lo rappresenta e difende per mandato in atti CONVENUTA OGGETTO: risoluzione contrattuale MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 30/10/2018 (...), premettendo: a) di avere venduto e trasferito alla società (...) S.r.l. gli immobili specificatamente indicati in citazione, per il prezzo convenuto di Euro 350.000,00, da corrispondersi nel modo seguente: l'immediato pagamento di Euro 150.000,00, il pagamento con dilazione di Euro 50.000,00 da corrispondere a formale richiesta di parte venditrice e il saldo di Euro 150.000,00 da corrispondere con il ricavato di un mutuo bancario e in ogni caso entro tre anni dalla data di stipula (13/09/2017); b) di avere formalizzato la richiesta del pagamento di Euro 50.000,00 con lettera raccomandata del 14/03/2018, con esito negativo; c) di avere notificato il 19/04/2018 atto extragiudiziario di "diffida e messa in mora" volendo risolvere il contratto di vendita, in uno al risarcimento dei danni patiti per inadempimento di non scarsa importanza; chiedeva dichiararsi risolto il contratto di compravendita per inadempimento imputabile alla convenuta, con il risarcimento del danno che quantificava nella misura che il giudice riterrà di giustizia. La Società convenuta, costituitasi in giudizio, rilevava, in via preliminare l'improcedibilità dell'azione; sempre in via preliminare l'improponibilità della stessa per irregolarità della diffida ad adempiere; nel merito, contestava la fondatezza della domanda attorea, sostenendo che l'inadempimento non fosse di "non scarsa importanza" e comunque non colpevole, per essere l'obbligata impossibilitata a corrispondere la cifra per causa a lei non imputabile, chiedendone il rigetto. Sulle conclusioni di cui in premessa la causa è stata posta in decisione. In punto di diritto, come affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 13533 del 2001, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione); anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (nell'affermare il principio di diritto che precede, le sezioni unite Sentenza n. 458/2018 pubbl. il 28/03/2018 RG n. 267/2015 hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell'inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l'adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento). In tema di responsabilità del debitore, poi, l'articolo 1218 c.c., richiamato dal disposto di cui all'articolo 1453 c.c., prevede che "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile". Norma quest'ultima che, in tema di risarcimento del danno, è stata interpretata nel senso di ritenere che sia il danneggiato a dovere fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore; l'articolo 1218 c.c., che pone una presunzione di colpevolezza dell'inadempimento, difatti, non modifica l'onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l'accertamento di tale inadempimento, allorché si tratti di accertare l'esistenza del danno (Cassazione civile sezione lavoro 10 ottobre del 2007 n. 21140). Ora ciò premesso in punto di diritto, vanno affrontate preliminarmente le eccezioni di improcedibilità ed impropronibilità dell'azione. In primo luogo, l'eccezione di improcedibilità della domanda formulata da parte convenuta in comparsa, in maniera del tutto generica e non motivata, risulta infondata poiché la materia del presente giudizio non rientra tra quelle elencate dall'art. 5 comma I bis del D.lgs. 28/2010, per cui è prevista la mediazione obbligatoria, né può includersi fra i casi in cui è prevista la negoziazione assistita obbligatoria ("Nelle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti. Per coloro che intendono proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme che non eccedano 50mila euro"). Sempre in via preliminare, neppure l'eccezione di improponibilità per irregolarità della diffida ad adempiere ai sensi dell'art. 1454c.c. coglie nel segno. Ed infatti, l'art. 1454 del c.c. rubricato come diffida ad adempiere, è qualificabile come il rimedio sinallagmatico apprestato a favore del contraente adempiente, affinché quest'ultimo non subisca le conseguenze derivanti dall'inadempimento altrui, consentendo allo stesso di ottenere la risoluzione del contratto senza necessità di adire l'autorità giudiziaria competente. In altri termini, la diffida ad adempiere è una delle tre forme di risoluzione stragiudiziale del contratto ed è annoverata fra le ipotesi di risoluzione di diritto, perché al verificarsi della fattispecie regolamentata nei primi due commi dell'art. 1454 c.c., il contratto è "risolto di diritto". Nel caso di specie l'attore agisce per ottenere la risoluzione del contratto per mezzo della pronuncia dell'autorità giudiziaria (c.d. risoluzione giudiziale) non già per ottenere la risoluzione di diritto (altrimenti non avrebbe adito l'autorità giudiziaria), talché l'eccezione risulta infondata e va rigettata. Venendo all'esame del merito, va ribadito che l'attrice ha allegato, a fondamento della domanda di risoluzione, l'inadempimento del contratto di compravendita da parte della convenuta per il mancato pagamento di una parte del prezzo, producendo la fonte del rapporto obbligatorio costituita dal contrato di compravendita del 13/09/2017 (doc. 1 all'atto di citazione). Parte convenuta, sul punto non ha contestato l'inadempimento, eccependo tuttavia la mancanza del requisito della "non scarsa importanza" e della colpa, essendo lo stesso asseritamente derivante da causa a lei non imputabile, per il verificarsi di controversie intercorrenti tra le parti dell'odierno giudizio nonché per fatti imputabili a terzi. Orbene, dall'analisi letterale della fonte negoziale del rapporto (doc.1 all'atto di citazione), il pagamento della cifra per cui è causa è stato convenuto "non appena la parte venditrice ne farà formale richiesta" (cfr. pt. 8 del contratto stipulato in data 13/09/2017), tale formale richiesta è pacificamente pervenuta alla parte convenuta a mezzo di raccomandata a/r del 14.03.2018 (v. doc.2 alla citazione), con la quale il venditore ha richiesto il pagamento della somma di Euro 50.000,00, assegnando il congruo termine di 15 giorni dal ricevimento della stessa. Ordunque, tanto premesso, può ritenersi che dalla documentazione versata in atti, provate oltre che non contestate risultano essere le inadempienze cui sarebbe, secondo la ricostruzione fornita dall'attrice, incorsa colpevolmente parte convenuta. Per ciò che concerne il requisito della "non scarsa importanza" dell'inadempimento, non può revocarsi in dubbio che il mancato pagamento del prezzo in violazione dell'art. 8 pt. C) del contratto stipulato (doc. 1 allegato alla citazione), costituisca inadempimento della società alle obbligazioni assunte, che deve senz'altro ritenersi di non scarsa importanza a tenore del disposto dell'art. 1455 c.c., in quanto idonea ad incidere, alterandolo, sul sinallagma negoziale, risolvendosi nell'inadempimento dell'obbligazione primaria del compratore. Inadempimento, a sua volta, in chiave comparativa, all'evidenza, del tutto prioritario e prevalente. Per altro verso, l'inadempimento rappresenta una condotta posta in essere in palese violazione degli obblighi di buona fede che devono improntare la condotta delle parti nella fase di esecuzione del contratto, tenuto conto del fatto che l'odierna convenuta era a conoscenza di dover pagare a semplice richiesta del venditore, come dalla stessa concordato in sede di stipula del contratto ed in considerazione del lasso di tempo trascorso tra la data di stipula del contratto (13.09.2017) e la data di formale richiesta di pagamento del prezzo (14.3.2018). Non rileva poi il tardivo pagamento della somma nella pendenza del giudizio avvenuto in data 06/08/2019 (cfr. documentazione allegata alla nota di deposito del 31.10.2019 ritenuta ammissibile dal giudice poiché sopravvenuta), poiché ai sensi dell'art. 1453, comma 3, c.c. il debitore inadempiente non può più adempiere dopo che sia stata chiesta la risoluzione a meno che il creditore, nell'ambito delle facoltà connesse all'esercizio dell'autonomia privata accetti l'adempimento della prestazione avvenuto successivamente alla proposizione della domanda di risoluzione, rinunciando agli effetti della stessa prendendo atto dell'adempimento per quanto tardivo del conduttore. Nel caso di specie il creditore, con pec del 30.10.2019 del procuratore dell'attrice Avv. Ga.Is., ha espressamente rifiutato il pagamento restituendo l'intera somma, avendo ritenuto l'inadempimento di non scarsa importanza. Né, in ordine al profilo della colpa, si ritiene che colgano nel segno le doglianze sollevate da parte del convenuto in ordine alle controversie sia penali che non, pendenti fra le parti, stante che la documentazione versata in atti non risulta idonea a provare i fatti rappresentanti. Aggiungasi che (...) srl, con il contratto del quale si lamenta l'inadempienza, si è impegnata direttamente, nei riguardi dell'attrice, al pagamento della somma di 50.000 a semplice formale richiesta, e che rispetto a questo obbligo non ha, tuttavia, provato di avere utilizzato la massima diligenza imposta dalla natura del caso, anche in ragione delle sue particolari risorse economiche, rendendosi, dunque, responsabile dell'in attuazione di esso. Infine riguardo l'eccezione sollevata dalla convenuta, la quale non avrebbe provveduto al pagamento di quanto dovuto alla Sig.ra (...), "non già per volontà e per colpa della medesima bensì a causa del mancato adempimento delle obbligazioni gravanti sui fratelli (...) e sulla società "(...)" (v. pag. 10 comparsa di costituzione e risposta), si rammenta quella giurisprudenza di legittimità a mente della quale "il debitore che non possa eseguire la prestazione dovuta a causa del comportamento di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, può invocare la conseguente impossibilità della prestazione come motivo di esclusione della sua responsabilità, solo se l'attività del terzo sia prevista come condizione, diversamente restando soggetto all'obbligo del risarcimento, salva la rivalsa nei confronti del terzo stesso, se quest'ultimo si era obbligato in base ad un autonomo rapporto (cfr: cassazione civile 10 febbraio del 1984 n. 1024). In senso analogo, poi, si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11717 del 05/08/2002 secondo cui "In materia di responsabilità contrattuale, l'art. 1218 cod. civ. è strutturato in modo da porre a carico del debitore, per il solo fatto dell'inadempimento, una presunzione di colpa superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell'impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore. Peraltro, perché l'impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l'uso della diligenza spiegata per rimuovere l'ostacolo frapposto da altri all'esatto adempimento". Nel caso di specie, al di là di mere allegazioni, non è stata fornita la prova della propria assenza di colpa con l'uso della diligenza spiegata per rimuovere l'ostacolo frapposto da altri all'esatto adempimento, neppure articolando richieste istruttorie sul punto, non avendo le parti depositato le memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c.. In altri termini, le superiori circostanze sono sufficienti a fondare la declaratoria di risoluzione del contratto oggetto di causa ai sensi dell'art. 1453 c.c., senza che possa pervenirsi a differenti conclusioni in relazione al fatto che la convenuta fosse impossibilitata ad adempiere per dovere ancora riscuotere alcuni crediti da soggetti terzi estranei al contratto. Dalla pronuncia di risoluzione discenderebbe il diritto della LO CASCIO al risarcimento dei danni scaturenti dalla condotta inadempiente della controparte. Purtuttavia, le suddette istanze risarcitorie vanno disattese, non avendo l'attrice fornito in giudizio alcun elemento utile a provare la sussistenza e - a fortiori - l'entità dei pregiudizi patrimoniali il cui ristoro è stato richiesto. Invero, "in tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore; l'art. 1218 c.c., che pone una presunzione di colpevolezza dell'inadempimento, infatti, non modifica l'onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l'accertamento di tale inadempimento, allorché si tratti di accertare l'esistenza del danno (Cass. civ. n. 21140/2007). Ciò in quanto, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, "è onere del danneggiato fornire al giudice del merito i necessari elementi di prova funzionali a dimostrare, sul piano processuale, tanto l'esistenza quanto l'entità delle conseguenze dannose risarcibili asseritamente subite a seguito del prodursi di un evento di danno connotato dal carattere del contra ius e del non iure, non essendo legittimamente predicabile, in seno al sottosistema civilistico della responsabilità, alcuna fattispecie di danni in re ipsa" (Cass. civ. n. 22890/2012). Nella fattispecie che ci occupa, parte attrice non ha dato prova, com'era suo onere, dei danni asseritamente subiti a causa dell'inadempimento della convenuta. Dalla dichiarazione di risoluzione del contratto in oggetto discendono inoltre gli effetti restitutori ex lege previsti a carico di entrambe le parti (attori e convenuto). Infine, in considerazione dell'accoglimento solo parziale delle domande attoree e, quindi, della reciproca soccombenza delle parti, si ravvisano fondati motivi per disporre la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo, con condanna della convenuta a rifondere la restante parte in favore dell'attrice. P.Q.M. disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando così provvede: - dichiara risolto per grave inadempimento il contratto concluso il 13/9/2017 tra (...) e Strada dei Templi S.r.l. con i conseguenti effetti restitutori a carico di tutte le parti; - rigetta la domanda di risarcimento avanzata da (...); - dispone la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo nei rapporti tra l'attrice e la convenuta, condannando quest'ultima a rifondere la restante parte in favore di parte attrice, che si liquida in Euro 5.061,7 (di cui Euro 586,42 per esborsi ed Euro 4.475,3 per compenso professionale), oltre I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta. Così è deciso in Termini Imerese il 13 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario, Dott.ssa (...) Margherita Urso, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3961 del R.A.G.C. relativo all'anno 2017, posta in decisione all'udienza cartolare del 12.10.2022 e vertente TRA (...), nato a V. di (...) (P.) il (...) CF. (...) ed ivi residente in via V. n. 26, , nella qualità di erede del Sig. (...), ai fini del presente procedimento elettivamente domiciliato in Palermo, in Corso (...), presso lo studio dell'Avv. Paolo Merendino che lo rappresenta e difende, giusto mandato rilasciato a margine dell'atto di citazione, - attore - E (...), nato a P. il (...), CF: (...), residente in Via del (...) (già Via P.) n. 27, - convenuta contumace - avente oggetto: servitù di passaggio valore del procedimento: indeterminato MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (L. 18 giugno 2009, n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che, con atto di citazione regolarmente notificato, l'attore (...) conveniva in giudizio la signora (...), deducendo: - di essere proprietario di un appezzamento di terreno, esteso are 14,00 circa, sito a (...) nella Contrada (...), identificato in Catasto al Foglio (...) - particella (...) (già particella (...)), giusta atto di compravendita in Notar (...) del 03.01.1984; - che la dante causa (...) (nata a (...) l'(...)) era divenuta proprietaria del detto bene in virtù di denunzia di successione n. 43 - vol. 204, rettificata con susseguente denunzia n. 183 - vol. 206, per morte del padre (...) (nato a (...) il (...) ed ivi deceduto il 26.05.1980); - che l'appezzamento di terreno acquistato dallo stesso attore, così come dichiarato dalla venditrice (...) a pag. 3 dell'atto di compravendita, "ha il diritto della servitù di passaggio con automezzi attraverso la stradella esistente sulla limitrofa proprietà dei coniugi (...)"; - che i coniugi (...) (nato a P. il (...) ed ivi deceduto) ed (...) (nata a C. il (...)) erano proprietari dell'appezzamento di terreno, esteso are 15,00 circa, sito a (...) nella Contrada (...), identificato in Catasto al foglio (...), particella (...), acquistato da potere di (...) (sorella di (...)), giusta atto di compravendita in Notar (...) dell'8.07.1983, confinante con il fondo dell'attore; - che nell'atto di compravendita stipulato tra la signora (...) (venditrice) ed i coniugi (...)/(...) (acquirenti) trovava conferma l'esistenza della detta servitù di passaggio in favore del fondo dell'attore, stante che a pag. 3 del detto atto di compravendita si precisava "Il terreno in oggetto è gravato da servitù di passaggio con motofurgone a favore del terreno di (...)"; - che con atto di compravendita in Notar (...) del 25.07.2006, i signori C.E. (divenuto proprietario a seguito del decesso del padre (...)) ed (...) avevano venduto alla convenuta (...) la piena proprietà del FONDO (...) (foglio (...) - particella (...)), con annessa casa per civile abitazione; - che a pag. 2 del detto atto di compravendita si precisava "Quanto sopra viene venduto con ogni accessione, accessorio, pertinenza e dipendenza, con le eventuali servitù attive e delle passive solo quelle legalmente costituite, in breve con ogni altro diritto, azione eragione, nulla escluso, gravato da servitù di passaggio a favore del limitrofo fondo già di proprietà (...), oggi aventi causa"; - che successivamente all'acquisto la convenuta (...) aveva edificato un corpo di fabbrica in muratura, con tettoia in lamiera, nonché altri piccoli corpi di fabbrica in muratura ed in legno, quali pertinenze della propria villetta, proprio in corrispondenza della porzione di terreno gravata da servitù di passaggio con mezzi meccanici in favore della particella (...) (già particella (...)) di proprietà dell'attore, così da restringere l'ampiezza della detta stradella da mt. 3,00 circa a mt. 1,50 circa, e quindi da non consentire in alcun modo il passaggio con mezzi meccanici, ma solamente a piedi; - che lo stesso attore, proprietario del fondo dominante, per alcuni anni, aveva concesso in affitto, in forma verbale, il proprio appezzamento di terreno ad un imprenditore agricolo della zona (certo signor (...)) che ogni anno vi aveva coltivato zucchine, ma che a seguito degli interventi eseguiti dalla convenuta sul fondo (...) era risultato impossibile l'accesso con mezzi meccanici al fondo dominante che, pertanto, è raggiungibile solo a piedi e quindi in stato di abbandono; - che l'impossibilità di raggiungere il fondo con mezzi meccanici e, conseguentemente, di provvedere ad una proficua coltivazione dello stesso, aveva determinato per il signor (...) danni non patrimoniali derivanti dallo stress e dai disagi, nonché danni patrimoniali (lucro cessante) derivanti dalla mancata percezione di un reddito. L'attore (...), ritenuto quanto sopra, chiedeva, ai sensi dell'art. 2058 c.c., la condanna della convenuta (...) al ripristino dello stato dei luoghi ed alla demolizione delle opere murarie che restringono il detto passaggio, riportandolo all'ampiezza originaria di mt. 3,00. Lo stesso attore, inoltre, ai sensi dell'art. 2043 c.c., chiedeva la condanna della convenuta (...) al risarcimento dei danni patrimoniali (lucro cessante) e non patrimoniali (stress e disagi) patiti a causa della impossibilità di raggiungere il fondo con mezzi meccanici e, conseguentemente, di provvedere alla coltivazione. Il Giudice dichiarava la contumacia della convenuta (...), regolarmente citata in giudizio e non costituitasi. Assegnati i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., la causa veniva istruita con l'ammissione e l'espletamento della CTU richiesta da parte attrice. La causa subiva diversi rinvii e, nelle more, veniva assegnata a questo GOP la quale fissava l'udienza cartolare del 12.10.2022 per la precisazione delle conclusioni; indi, sulle conclusioni rassegnate dall'attore, poneva la causa in decisione, assegnando all'attore termine di giorni 30 per il deposito di comparse conclusionali, senza ulteriore termine per il deposito di memorie di replica. Premesso tutto quanto sopra esposto, nel merito, le domande di parte attrice meritano accoglimento e ciò per le seguenti considerazioni. Al fine di inquadrare la fattispecie, è opportuna una breve esposizione dei principi generali in tema di servitù. Ai sensi dell'articolo 1027 c.c., la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo (...)) per l'utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario. È essenziale, pertanto, questa relazione (rapporto di servizio) tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente. Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui. Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo). Il proprietario del fondo dominante (cioè del fondo che accresce la propria utilità) può dunque pretendere dal titolare del fondo (...) (cioè del fondo che subisce il peso), che questi non impedisca il conseguimento in fatto di quelle utilità. Le servitù si possono costituire in due modi: per ordine della legge (servitù coattive ex art. 1032 c.c.) o per volontà dell'uomo (servitù volontarie ex art. 1031 c.c.). Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell'autorità giudiziaria, su domanda dell'interessato; la sentenza determina anche l'indennità dovuta al proprietario del fondo S.. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell'autorità amministrativa. Un modo di "acquisto a titolo originario", proprio solo delle servitù, è la cosiddetta "destinazione del padre di famiglia" (art. 1062 c.c.), inteso come il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti ad un medesimo proprietario. Se i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore dell'altro. Questo modo di acquisto vale solo per le servitù apparenti, cioè per quelle servitù che presentano segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo. A tal proposito, può benissimo trattarsi del viottolo formatosi per effetto del quotidiano calpestio da parte del proprietario del fondo dominante sul fondo (...). Va però rilevato che ai sensi dell'art. 1061 cod. civ. è possibile acquistare una servitù apparente, oltre che per "destinatio pater familias", per usucapione, cioè, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e, talora, di altri requisiti. Servitù apparenti sono quelle che presentano opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. L'attore (...), ritenuto quanto sopra, chiedeva, ai sensi dell'art. 2058 c.c., la condanna della convenuta (...) al ripristino dello stato dei luoghi ed alla demolizione delle opere murarie che restringono il detto passaggio, riportandolo all'ampiezza originaria di mt. 3,00. La predetta norma prevede che il danneggiato possa chiedere il risarcimento in forma specifica che consiste nel ripristino della situazione così come era prima che avvenisse l'illecito. L'art. 2058 c.c. dispone che il "danneggiato può chiedere la reintegrazione del danno in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile, tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore". L'istituto in esame mira all'esatto ripristino (cioè non solo per equivalente monetario) della situazione patrimoniale del danneggiato (ad es. mediante la restituzione delle cose sottratta o la ricostruzione, o sostituzione, delle cose danneggiate). Più esattamente, la norma in esame individua in capo al responsabile del fatto dannoso l'obbligazione di ricostituire la situazione di fatto antecedente alla procurata lesione, consentendo all'attore pregiudicato di attuare l'interesse vantato senza doversi accontentare del mero equivalente pecuniario. La giurisprudenza è giunta ad affermare espressamente che la disciplina della reintegrazione in forma specifica ha carattere generale, quantunque dettata con specifico riferimento alla responsabilità aquiliana: dunque è configurabile, nel nostro ordinamento, un'azione generale di reintegrazione in forma specifica, fondata sul disposto dell'art. 2058 c.c. e distinta dalla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. Si tratta di una azione inibitoria generale ed atipica, esperibile a tutela di quelle situazioni per le quali non sia stato previsto un rimedio processuale ad hoc. In primo luogo, la giurisprudenza ha individuato le situazioni dominicali, o possessorie, o di detenzione qualificata cui garantire un sistema di tutela rispondente a quello già offerto mediante l'esercizio di rimedi di riduzione in pristino reali e tipici. In quest'ottica si è utilizzato l'art. 2058 c.c. per ampliare l'ambito della tutela reale tipica, fino ad includervi situazioni di appartenenza, che, per difetto dei necessari presupposti fattuali, non ne avrebbero altrimenti beneficiato. Volgendo lo sguardo alla casistica, è possibile individuare, al riguardo, le seguenti ipotesi: a) l'art. 2058 c.c. è stato applicato a sostegno ed integrazione del divieto generale di immissio in alienum per rimuovere il danno arrecato al titolare di una situazione di appartenenza riguardata da una esternalità continuata. La tutela è stata estesa al possesso, affermando che l'azione di riduzione in pristino spetta anche a chi abbia subito lo spoglio senza essere titolare di un diritto reale sulla cosa (Cass. 16 marzo 1988, n. 2472, in Foro it., 1990, I, c. 239); b) considerato che la reintegrazione in forma specifica può consistere in concreto "nella restituzione della cosa sottratta, nel rifacimento di quanto illecitamente disfatto o nell'eliminazione di quanto illecitamente fatto", se ne è fatta applicazione per rafforzare la tutela concessa al nudo proprietario nei confronti dell'usufruttuario che non abbia rispettato l'originaria destinazione economica del bene oggetto di usufrutto. Il comportamento abusivo - in quest'ottica - non comporta unicamente la cessazione dell'usufrutto ex art. 1015 c.c., ma costituisce titolo per chiedere ed ottenere la condanna al risarcimento del danno subito dal proprietario mediante il ripristino dell'originario stato dei luoghi; c) la reintegrazione in forma specifica si è concretata in ordine di demolizione nel caso di violazione di un divieto di sopraelevazione, previsto da regolamento condominiale, da parte di un condomino (App. Napoli, 28 marzo 1968, in Dir e giur., 1969, p. 918). In secondo luogo la giurisprudenza ha concesso il rimedio della reintegrazione in forma specifica in funzione suppletoria della stessa tutela reale tipica, ogniqualvolta questa non fosse in concreto esperibile per intervenuta prescrizione dell'azione o difetto di altro requisito di legge (Cass. 26 luglio 1962, n. 21246; Cass. n. 38/1978; Cass. 16 marzo 1988, n. 2472; Trib. Milano, 7 aprile 1988, in Giur. it., 1988, I, 2, p. 398). Ancora la giurisprudenza ha assicurato la tutela ex art. 2058 c.c. ai diritti della personalità ed al diritto alla salute, che, anzi, postulano una protezione in forma specifica proprio in considerazione della loro natura, a prescindere dall'onerosità e con il solo limite logico della possibilità (Cass. 22 gennaio 1985, n. 256, in Giur. it., 1986, I, 1, p. 129). Con riferimento alla fattispecie in esame , si rendono necessarie le seguenti considerazioni. In via istruttoria, è stata disposta C.T.U., al fine di verificare ed accertare: "a) lo stato dei luoghi oggetto di causa; 2) i corpi di fabbrica presenti sulla porzione di terreno identificata in Catasto al foglio (...) - particella (...) di proprietà della convenuta (...), gravata della servitù di passaggio con mezzi meccanici in favore della particella (...) (già particella (...)) di proprietà dell'attore (...), restringendo la carreggiata da ml. 3.00 a ml. 1.50; c) le opere di demolizione e rimozione necessarie per ripristinare l'ampiezza originaria della carreggiata, quantificandone i costi; d) i danni patrimoniali (lucro cessante) patiti dall'attore (...) a seguito della mancata coltivazione del fondo.". A tale proposito si precisa che parte attrice, unitamente alla memoria ex art. 183 n. 2 c.p.c., aveva depositato una perizia asseverata redatta dall'Arch. (...) in data 14.05.2018, con relativi allegati (fotografie dei luoghi, stralcio aerofotogrammetrico, estratto di mappa, visura catastale storica), con la quale era stato ripercorso l'iter dei trasferimenti di proprietà delle due particelle (fondo dominante e fondo (...)) che costituiscono l'oggetto del presente giudizio, esaminando il contenuto dei relativi atti e confermando quanto già dedotto e lamentato da parte attrice in atto di citazione. Il detto tecnico di parte, sulla scorta del sopralluogo effettuato in data 07.05.2018, aveva confermato "La stradella di accesso al lotto dei coniugi C. era originariamente di ml. 3.00 che permetteva di accedere con mezzi agricoli e permettere la coltivazione del fondo; dopo l'acquisto la signora L.S. ha realizzato dei corpi di fabbrica adiacente al fabbricato esistente realizzando una tettoia in lamiera e altri piccoli fabbricati in muratura e legno invadendo la porzione di terreno gravata della servitù di passaggio con mezzi meccanici in favore della particella (...) (già particella (...)) restringendo la carreggiata da ml. 3.00 a ml. 1.50 e impedendo di fatto il passaggio con mezzi meccanici ma permetteva l'accesso solamente a piedi, trasformando l'originario passaggio carrabile in pedonale, delimitato con muretto in c.a. e rete metallica oltre i suddetti fabbricati realizzati sulla porzione di terreno gravato della servitù di passaggio con mezzi meccanici larga ml. 3.00. A causa della difficoltà di accedere con mezzi meccanici al terreno il fondo dei coniugi C. versa in totale abbandono. Come si evince dalle foto allegate la carreggiata è stata ristretta da ml. 3.00 a ml. 1.50 non permettendo l'accesso con mezzi meccanici". Il CTU designato dal Giudice, il Geom. (...), ha correttamente accertato e confermato, alla luce della documentazione in atti, ma anche sulla scorta dello stato dei luoghi, che - sul fondo della convenuta (...) - grava una servitù di passaggio con mezzi meccanici a beneficio del fondo di proprietà dell'attore (...). Tuttavia, lo stesso CTU ha precisato che nei due atti pubblici di compravendita, nei quali si attesta la presenza di tale servitù, non è allegata alcuna planimetria che possa consentire di identificare esattamente l'area interessata dalla detta servitù. Il CTU, alla luce di quanto sopra, in un primo momento si è limitato a confermare l'esistenza di tale servitù, omettendo, per le ragioni sopra precisate, di determinare l'esatto posizionamento del tracciato e, conseguentemente, i corpi di fabbrica ricadenti sull'area interessata dalla servitù ostruendone il passaggio. Ovviamente, da tale conclusione ne è derivata, per il CTU, l'impossibilità di rispondere al QUESITO 3: "accertare le opere di demolizione e rimozione necessarie per ripristinare l'ampiezza originaria della carreggiata, quantificandone i costi". Il Giudice, con ordinanza del 04.12.2020, ha disposto il richiamo del CTU per integrare la propria relazione sulla scorta delle direttrici suggerite dal CTP, Arch. (...), nelle proprie osservazioni. Il CTU, a seguito del detto richiamo, ha rappresentato quanto segue: "Lungo il tracciato dell'ipotetica servitù di passaggio con carreggiata pari a m. 3,00 indicato da parte attrice, posizionato sul lato ovest della proprietà di parte convenuta, insistono un muretto di recinzione in c.a. con sovrastante ringhiera costituita da pannelli lignei, una recinzione composta da paletti in ferro (conficcati direttamente nel terreno) e maglia metallica oltre ad una scala in c.a. con sottostante vano adibito a ripostiglio e porzioni della parte di edificio totalmente abusivo e privo di istanze di condono edilizio, il tutto meglio evincibile nella planimetria allegata alla presente nonché nell'elaborato fotografico. Alla luce di quanto sopra esposto, per realizzare la carreggiata di m. 3,00 lungo il tracciato indicato da parte attrice, occorre procedere con la demolizione/rimozione di tutte quelle opere presenti (vedi elaborato grafico) con la non possibilità di utilizzo delle restanti aree, in quanto essendo le stesse totalmente abusive e prive di qualsiasi istanza di condono edilizio, sulle stesse non possono essere eseguite ulteriori opere per il ripristino dell'involucro edilizio e quindi ciò significa che la demolizione comprenderebbe l'intera porzione di edificio totalmente abusiva e priva di richieste di condono edilizio, per una superficie pari a mq. 118 circa; tali demolizioni stravolgerebbero totalmente la conformazione dell'attuale edificio con un aggravio di costi e spese quantificabili approssimativamente in Euro 35.000,00. Per evitare quanto sopra indicato, lo scrivente CTU ha individuato un possibile tracciato alternativo per la servitù di passaggio (vedi planimetria allegata n. 1) posizionato sul lato est della proprietà di parte convenuta, sulla quale sono presenti delle strutture precarie in legno e ferro oltre un forno/barbecue in muratura e delle aiuole con arbusti di diversa dimensione, la cui demolizione avrebbe dei costi quantificabili approssimativamente in Euro 2.500,00, notevolmente inferiori a quelli prima indicati, tali demolizioni non comprometterebbero l'utilizzo dell'edificio; inoltre lo scrivente precisa che l'accesso a detto tracciato può avvenire o utilizzando l'attuale varco d'accesso esistente o realizzandone uno ex novo. Oltre i costi per le demolizioni occorre aggiungere i costi per la realizzazione del basamento in cemento nelle aree occupate dalle suddette aiuole e la riproposizione della pavimentazione uguale a quella esistente, il tutto per un importo approssimativo di Euro 7.500,00". Alla luce delle superiori conclusioni, deve ritenersi che, agli atti, non vi sia alcuna planimetria che consenta di identificare esattamente il tragitto interessato dalla detta servitù di passaggio con mezzi meccanici; tuttavia, si ritiene che quattro elementi provino che la detta servitù ricade nel punto indicato dall'attore: a) la venditrice (...) (dante causa dell'attore) a pag. 3 dell'atto di compravendita in Notar (...) del 03.01.1984, dichiara che il fondo "ha il diritto della servitù di passaggio con automezzi attraverso la stradella esistente sulla limitrofa proprietà dei coniugi (...) (n.d.r. oggi proprietà (...)), facendo quindi riferimento ad una stradella già esistente; quella indicata dall'attore in atto di citazione è l'unica stradella esistente sui luoghi; b) la presenza, lungo la linea di confine, del viottolo ampio ml. 1,50 che consente attualmente all'attore l'esercizio del passaggio a piedi sul fondo della convenuta; si ribadisce che questo è l'unico passaggio esistente sui luoghi; c) la prassi/consuetudine, per ovvie ragioni di opportunità, secondo cui le servitù di passaggio vengono esercitate lungo la linea di confine dei fondi e non nella parte centrale; d) ma soprattutto, la mancata contestazione da parte della convenuta (...) che, pur avendo ricevuto regolarmente l'atto di citazione notificato, non ha ritenuto di costituirsi e, conseguentemente, di contestare quanto dedotto dall'attore (...). Pertanto, alla luce delle quattro suddette osservazioni, si deve affermare che il tragitto sia quello indicato dalla parte attrice in atto di citazione. Per ultimo, va evidenziato che l'attore (...), con lettera raccomandata A/R inviata il 13.07.2017, aveva invitato la convenuta a ripristinare lo stato dei luoghi, ma la predetta lettera è rimasta in giacenza presso l'ufficio postale di Misilmeri. Inoltre, lo stesso attore, con istanza inoltrata il 18.09.2017, aveva esperito il tentativo di conciliazione innanzi all'Organismo di Mediazione-Conciliazione (...) srl (procedimento n. 516/17), con sede a (...), ma in data 24.10.2017 era stato redatto il verbale negativo stante l'assenza della signora (...) che aveva lasciato in giacenza presso l'ufficio postale di Misilmeri la lettera di convocazione inviata tramite raccomandata r.r. Sul punto si osserva che, consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo 29.07.2015). Per l'ultimo, l'attore ha chiesto il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti per il comportamento tenuto dalla convenuta, per avere impedito al Sig. C. di raggiungere il fondo con mezzi meccanici e, conseguentemente, di provvedere alla coltivazione. Sul punto, si osserva che, al fine di ottenere il risarcimento del danno, tuttavia, è necessario che chi ha subito lo spoglio dimostri quale tipo di danno ha ricevuto e che lo quantifichi, non potendosi ritenere che il pregiudizio sia automaticamente riconosciuto dal giudice. Tale ultimo principio è stato ribadito di recente dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 31642/2021, nella quale è stato affermato che lo spogliato del diritto, che agisca per conseguire il risarcimento dei danni, è soggetto al normale onere della prova in tema di responsabilità per fatto illecito; pertanto, qualora non abbia provato il pregiudizio sofferto, non potrà emettersi in suo favore condanna al risarcimento con liquidazione equitativa dei danni. Applicando i suesposti principi alla fattispecie in esame, mette conto evidenziare che l'attore ha sicuramente fornito la prova di avere subito, sicuramente, un danno patrimoniale, così come accertato dal CTU e quantificato in complessivi Euro 1.926,48 per ciascun anno di mancato guadagno e fino al ripristino del passaggio. In merito al danno non patrimoniale, ritiene questo Tribunale di potere liquidare all'attore, in via equitativa, la somma di Euro 2.000,00 oltre interessi legali dalla maturazione del credito sino all'effettivo soddisfo. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, ponendo definitivamente a carico di parte convenuta le spese e gli onorari di CTU, nonché le spese di mediazione sostenute dall'attore. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, nella contumacia della Sig.ra (...), così provvede: - Ai sensi dell'art. 1079 c.c., dichiara che l'appezzamento di terreno, esteso are 14,00 circa, sito a (...) nella Contrada (...), identificato in Catasto al foglio (...) - particella (...) (già particella (...)), oggi di proprietà dell'attore (...), gode della servitù di passaggio anche con mezzi meccanici, per un'ampiezza/carreggiata di mt. 3,00, gravante sull'appezzamento di terreno, esteso are 15,00 circa, sito a (...) nella Contrada (...), identificato in Catasto al foglio (...), particella (...), oggi di proprietà della convenuta (...), lungo il tracciato posizionato sul lato ovest della proprietà di parte convenuta; - Conseguentemente, ai sensi dell'art. 2058 c.c., condanna la convenuta (...) al ripristino dello stato dei luoghi ed alla demolizione delle opere murarie che restringono il detto passaggio, riportandolo all'ampiezza originaria di mt. 3,00; - Ai sensi dell'art. 2043 c.c., condanna la convenuta (...) al risarcimento dei danni patrimoniali (lucro cessante) e non patrimoniali (stress e disagi) patiti dall'attore (...), a causa della impossibilità di raggiungere il fondo con mezzi meccanici e di provvedere alla coltivazione, nella misura indicata dal CTU, pari ad Euro 1.926,48 per ciascun anno di mancato guadagno e fino al ripristino del passaggio, per i danni patrimoniali, oltre alla somma di Euro 2.000,00, liquidata in via equitativa, per i danni non patrimoniali, oltre gli interessi legali dalla maturazione del credito, sino all'effettivo soddisfo; - Condanna la convenuta, al pagamento in favore dell'attore delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 8.161,00 di cui Euro 545,00 per spese non imponibili ed Euro 7.616,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - Condanna la convenuta, al pagamento in favore dell'attore delle spese di mediazione che liquida in complessivi Euro 3.743,00 di cui Euro 48,00 per spese non imponibili ed Euro 3.695,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - Visto l'articolo 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla L. n. 148 del 2011, condanna la convenuta al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato, stante la mancata adesione al procedimento di mediazione; - Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese e gli onorari di CTU. Così deciso in Termini Imerese il 29 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE Contenzioso Civile e Volontaria CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dr.ssa Claudia Musola ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3120 /2015 promossa da: (...) S.N.C., (C.F.: (...)), elettivamente domiciliata in Cefalù, Piazza Dr. (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di citazione ATTORE Contro (...) SOC. COOP., (P. IVA: (...)), elettivamente domiciliata in Palermo, Via (...) presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta giusta procura in calce alla comparsa di costituzione CONVENUTA OGGETTO: contratti bancari CONCLUSIONI: all'udienza del 10.3.2022, celebrata secondo le modalità previste dall'articolo 83 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, comma 7, lettera h), le parti concludevano come da note telematiche dalle stesse depositate al contenuto delle quali si rimanda integralmente. MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione, ritualmente notificato il 9.11.2015, la società (...) S.n.c. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Termini Imerese, il Banco (...) Soc. Coop. E sul presupposto di essere titolare di un rapporto bancario con la convenuta (conto corrente affidato distinto originariamente al n. 30653 e successivamente al n.112766) denunciava, in relazione ad esso, come l'Istituto di credito avesse trattenuto e addebitato sul c/c interessi a tassi ultralegali, la capitalizzazione trimestrale degli interessi sulle partite debitorie, le commissioni di massimo scoperto con relativa capitalizzazione trimestrale degli importi nonché altre commissioni e spese non dovute. Su tali presupposti parte attrice chiedeva, preliminarmente, di accertare la nullità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per violazione dell'art. 1283 c.c. nonché per mancanza della forma scritta e della specifica sottoscrizione. Nel merito chiedeva di accertare e dichiarare l'illegittima applicazione, sul conto corrente in oggetto, di interessi ultralegali, capitalizzazione trimestrale degli interessi, commissioni di massimo scoperto (anch'esse capitalizzate trimestralmente insieme alle spese di tenuta conto), commissioni e spese egualmente non dovute e indebite e, conseguentemente, di accertare il saldo del conto corrente alla data della notifica della citazione, previa espunzione delle illegittime contabilizzazioni, nonché dichiarare che, sino alla data di chiusura del conto, la convenuta fosse tenuta ad applicare, sulle eventuali partite debitorie, interessi al tasso legale con esclusione di capitalizzazione degli interessi e contabilizzazione di commissioni o spese non legittimamente pattuite. Quindi, formulava le seguenti istanze: "ritenere e dichiarare, per i motivi sopra esposti, nulla la clausola del contratto del conto corrente bancario in oggetto che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per violazione dell'art. 1283 c.c. e, comunque, per mancanza della forma scritta e della specifica sottoscrizione prevista; conseguentemente, ritenere e dichiarare illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori applicata al rapporto dalla banca convenuta dalla data di apertura del conto sino alla sua chiusura; ritenere e dichiarare, ancora, che, in difetto di valida convenzione in tal senso, sulle partite debitorie non maturano interessi convenzionali ma interessi legali; ritenere e dichiarare, ancora, indebito il pagamento sia della commissione di massimo scoperto che delle altre commissioni variamente denominate ed applicate dalla banca nonché illegittima la loro capitalizzazione trimestrale; conseguentemente, determinare alla data della notifica della presente citazione il saldo del conto corrente in oggetto non tenendo conto delle illegittime contabilizzazioni effettuate dalla banca; ordinare alla banca convenuta, in costanza di rapporto ed a partire dal saldo del conto corrente sopra determinato, di applicare interessi al tasso legale sulle eventuali partite debitorie, di non applicare alcun tipo di capitalizzazione degli interessi e di non applicare alcuna commissione di massimo scoperto o altre commissioni e/o spese variamente denominate; con riserva di chiedere, alla chiusura del conto, la ripetizione delle somme eventualmente indebitamente trattenute oltre gli interessi legali, nella misura di cui all'art. 1284 c.c. così come modificato dall'art. 17 del D.L. 132/2014 convertito nella legge 162/2014, dalla chiusura del conto al soddisfo". Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 19.01.2016 si costituiva in giudizio il (...), eccependo preliminarmente: - che il rapporto di c/c n. (...), poi n. (...), si è mantenuto per tutta la sua durata oltre i limiti dell'affidamento, per cui le rimesse ed i versamenti eseguiti dalla correntista dovevano ritenersi pagamenti aventi natura solutoria e, pertanto, soggetti all'azione di ripetizione di indebito dal momento del loro addebito sul conto corrente; - che la richiesta di parte attrice di rideterminare il saldo del conto dalla data di accensione del rapporto, nonché la domanda di restituzione di importi versati o trattenuti dalla Banca per addebiti asseritamente ingiustificati a era preclusa dalla intervenuta prescrizione quinquennale (a ritroso dal 02/11/2010) e dalla prescrizione decennale (a ritroso dal 02/11/2005), precisando che, ai sensi dell'art. 2948 n. 4 c.c., i crediti relativi agli interessi si prescrivono nel termine di cinque anni anche con specifico riferimento all'anatocismo e che a tale termine quinquennale soggiace anche l'ipotetico diritto del correntista alla restituzione degli interessi; - l'inammissibilità della domanda per l'avvenuta decadenza del diritto di impugnazione degli estratti conto, con conseguente preclusione di ogni contestazione in ordine alle condizioni applicate ai rapporti oggetto del giudizio nonché alle operazioni registrate sui conti. Nel merito la convenuta rilevava: - La piena validità della pattuizione delle condizioni economiche applicabili al c/c n. (...), poi n. (...), trattandosi di lettere contratto sottoscritte su nuova modulistica e conformi alle disposizioni del T.U.L.B; -che i tassi debitori ultralegali, le c.m.s., i corrispettivi per disponibilità creditizia, le indennità di sconfinamento ed ogni altra condizione economica applicata dalla Banca era stata regolarmente pattuita e specificamente approvata dalla correntista mediante la sottoscrizione delle relative lettere contratto, anche ai sensi degli artt.1341 e 1342 c.c.; - di aver prodotto la lettera contratto dell'11/11/2002 di accensione del rapporto di conto corrente n. (...), nonché le successive lettere contratto di modifica delle condizioni economiche e di concessione di affidamento, tutte regolarmente sottoscritte dalla società attrice e pertanto i contratti di accensione del rapporto di conto corrente e di conto anticipi sono perfettamente validi ed efficaci; - l'infondatezza del rilievo di controparte sulla ipotizzata nullità della commissione di massimo scoperto e delle altre voci contrattuali di cui sopra, essendo state operate in forza della documentata pattuizione contrattuale e sulla massima esposizione debitoria nel trimestre di riferimento; - la piena legittimità delle indennità di sconfinamento, del corrispettivo di disponibilità creditizia, delle commissioni di istruttoria veloce espressamente predeterminate e pattuite, nonché .della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, espressamente prevista dal rapporto di conto corrente, acceso in epoca successiva alla data di entrata in vigore della Delibera del C.I.C.R. del 09/02/2000, ovvero in data 11/11/2002. Ed ancora, la convenuta rilevava l'inammissibilità della richiesta di condanna della banca alla restituzione dell'indebito in costanza di rapporto di c/c attivo, atteso che soltanto con la chiusura del conto si determinano, in modo definitivo, i debiti ed i crediti delle parti del rapporto di conto corrente bancario, con la conseguenza che, soltanto alla chiusura, il saldo a quel momento portato dal c/c diviene esigibile. Sul piano istruttorio la convenuta si opponeva all'ammissione di C.T.U. in quanto generica, infondata ed a carattere meramente esplorativo poiché in violazione dei principi in materia di onere probatorio. Nella ipotesi di rideterminazione del saldo del rapporto di conto corrente, la Banca chiedeva che il saldo venisse rielaborato secondo i tassi fissi di interesse concordati e secondo le condizioni economiche espressamente pattuite (nei limiti del tetto massimo tempo per tempo previsto dalla L.108/96), operando la compensazione dell'importo creditore per la Banca risultante da detto conteggio, con le somme eventualmente accertate a credito del correntista, in considerazione della avvenuta applicazione , per la durata del rapporto, tassi di interesse inferiori rispetto a quelli previsti contrattualmente. Quindi, parte convenuta concludeva chiedendo di "...Rigettare in toto la domanda avversaria in quanto prescritta, inammissibile, infondata in fatto ed in diritto e tardiva... Ritenere e dichiarare che la Banca, in conseguenza della pretesa restitutoria avversaria, ha, in ogni caso, diritto di richiedere la rielaborazione del conto secondo i tassi fissi di interesse concordati, nei limiti del tetto massimo tempo per tempo previsto dalla L.108/96, compensando eventuali somme a debito con quelle accertate a credito della Banca". All'udienza dell'8.02.2016 venivano concessi, su richiesta delle parti, i termini di cui all'art. 183 sesto comma c.p.c. e il G.I. comminava a parte convenuta la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8 D.Lgs. 28/2010 per mancata partecipazione al procedimento di mediazione. Con provvedimento fuori udienza del 14/12/2016 si ammetteva C.T.U. contabile al fine di determinare, sulla base della documentazione versata in atti, con riferimento al conto corrente e all'apertura di credito per cui è controversia, il saldo di ciascuno dei predetti rapporti, attenendosi ai criteri ivi indicati. Il 02.08.2017 il C.T.U. depositava la consulenza tecnica richiesta rispondendo ai quesiti posti e alle osservazioni delle parti. All'udienza del 28.01.2021, trattata secondo modalità cartolare, le parti precisavano le rispettive conclusioni come da relativo verbale e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Con ordinanza istruttoria del 26.04.2021, resa fuori udienza, considerate le difese delle parti, si disponeva la rimessione sul ruolo della causa per effettuare accertamenti ex novo, sulla base di nuovo quesito e pertanto veniva disposta nuova C.T.U. con conseguente nomina di nuovo consulente tecnico; Il 18.11.2021 il C.T.U. depositava la consulenza tecnica richiesta rispondendo ai quesiti posti. Infine, all'udienza del 10.03.2022, celebrata secondo modalità cartolare, le parti precisavano le rispettive conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Qualificazione della domanda Preliminarmente, alla luce delle eccezioni di inammissibilità sollevata dalla convenuta, appare opportuno chiarire che la domanda attorea va correttamente qualificata come azione di accertamento negativo; parte attrice, infatti, nelle proprie conclusioni non ha formulato una domanda di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., che sarebbe stata preclusa essendo il conto corrente dedotto ancora aperto alla data di instaurazione del procedimento, ma si è solo riservata "di chiedere, alla chiusura del conto, la ripetizione delle somme eventualmente indebitamente trattenute oltre gli interessi legali". E' principio ormai noto quello secondo cui il correntista non può attivare un'azione di ripetizione dell'indebito bancario qualora il rapporto sia ancora in essere (Cfr. Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/2010), mentre non è precluso il diritto di agire in giudizio onde verificare la regolarità degli addebiti eseguiti dall'Istituto di Credito. Ed infatti, nel caso in cui il conto corrente sia ancora in essere al momento della notificazione della citazione, è inammissibile qualsiasi domanda di ripetizione di indebito, fondata sul presupposto della nullità di alcune delle clausole del contratto in quanto l'annotazione in conto corrente di una posta, relativa a commissioni o ad interessi in ipotesi illegittimamente addebitati, comporta unicamente un incremento del debito del correntista o, nel caso di affidamento, una riduzione del credito in ipotesi disponibile, ma in alcun caso si risolve in un trasferimento patrimoniale ed in una rimessa solutoria e quindi in un pagamento, oggetto di possibile ripetizione. Nella fattispecie in esame, tuttavia, parte attrice, riconoscendo come pacifica la circostanza della sussistenza del rapporto di conto corrente in essere tra le parti, ha formulato solo la domanda tendente ad ottenere l'accertamento dell'effettivo rapporto di dare-avere tra le parti con rideterminazione del saldo, alla luce degli addebiti eventualmente risultati all'esito illegittimi; pertanto, l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Istituto di credito convenuto, in relazione ad una pretesa azione di ripetizione dell'indebito, è infondata in assenza di una domanda in tal senso. Ciò posto, si rileva che parte attrice, preliminarmente, ha chiesto dichiararsi la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e, conseguentemente, ritenere e dichiarare illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori. Nella comparsa conclusionale, alla luce delle determinazioni cui è pervenuto il Ctu, in merito all'applicazione da parte della convenuta di interessi superiori al "tasso soglia", l'attrice ha evidenziato la rilevabilità d'ufficio della pattuizione o dell'applicazione in concreto di tassi usurai richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale " la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che ... prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art.1421 c.c., qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta di interessi, senza che ciò si traduca in una violazione dei principi della domanda e del contraddittorio". Parte convenuta, evidenziando l'assenza di alcuna domanda sul tasso soglia nell'atto introduttivo, ha ritenuto preclusa la richiesta pronuncia di nullità delle relative pattuizioni ritenendo come tale pronuncia, seppur ufficiosa, debba comunque essere vincolata ad uno specifico onere di parte attrice di "indicare specificamente le circostanze in fatto addotte a sostegno della domanda, in tal modo perimetrando il campo d'esame e rimettendo al convenuto l'onere di contestare, con pari specificità, le medesime circostanze". Orbene, sul punto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "In tema di interessi usurari, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura, pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano la inefficacia "ex nunc" delle clausole dei contratti stessi, sulla base del semplice rilievo - operabile anche d'ufficio dal giudice - che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato precedentemente' (Cassazione civile sez. I, 28/06/2017, n.16188). Sussiste, quindi, l'interesse ad agire del correntista a ottenere, anche prima della chiusura del conto, l'accertamento giudiziale della nullità delle clausole contrattuali riguardanti la misura e la capitalizzazione degli interessi e il ricalcolo del saldo, depurato delle appostazioni illegittime. Sulla scorta di tale orientamento, si premette fin d'ora che appaiono condivisibili e recepibili le conclusioni cui è pervenuto il Ctu da ultimo nominato, Dott. Antonio Sardo, in relazione alla verifica del superamento del tasso-soglia nell'ambito del rapporto di conto corrente esaminato, sia ab origine che per determinati periodi durante lo svolgimento del rapporto (usura sopravvenuta), con i conseguenti effetti sul ricalcolo del saldo finale. Eccezione di prescrizione. In via preliminare parte convenuta ha eccepito l'intervenuta prescrizione delle domande avverse relativamente al periodo antecedente al quinquennio o, in subordine, al decennio rispetto alla avvenuta notifica dell'atto di citazione, affermando che "il ricalcolo del saldo del conto, non può, comunque, estendersi oltre il decennio anteriore alla data di notifica dell'atto di citazione avvenuta il 02/11/2005". Sul punto occorre precisare che, nell'ambito di un rapporto di conto corrente, si prescrivono solo le c.d. rimesse solutorie, ossia quelle operate su un conto in passivo, che si riferiscono a pagamenti effettuati dal correntista a titolo di interessi, spese, ecc., e non le c.d. rimesse ripristinatorie, ossia quelle che non soddisfano il creditore, ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d'indebitamento del correntista. Queste hanno luogo in caso di affidamento bancario, per cui in tal caso i versamenti del correntista hanno solo funzione ripristinatoria della provvista che può essere continuamente riutilizzata, con conseguente assenza di effetto solutorio. Dunque, posta tale differenza, il termine di prescrizione decorre, da un lato, dalla data dell'effettuazione delle singole rimesse solutorie, dall'altro, in caso di rimesse ripristinatorie, dalla data di chiusura del conto corrente. L'azione del correntista di accertamento negativo, quale è quella proposta dall'attrice, che chiede di ricalcolare il saldo dei conti correnti per cui è causa, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale. Ai fini della valida proposizione dell'eccezione non è necessario che la banca indichi specificamente le rimesse prescritte, né il relativo "dies a quo", emergendo la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti dagli estratti-conto, della cui produzione in giudizio è onerato il cliente, sicché la prova degli elementi utili ai fini dell'applicazione della prescrizione è nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione" (Cass. civ. 10 luglio 2018, n. 18144). Ed ancora, recentemente la Secondo la Suprema Corte ha ribadito che la banca - in subjecta materia -deve solo eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall'annotazione delle singole rimesse, senza dunque alcun onere di indicare il dies a quo del decorso della prescrizione, di specificare le singole rimesse, né di provare l'inesistenza di un contratto di apertura di credito (Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 5610 del 28 febbraio 2020). Infine, è stato osservato che, in tema di contratti bancari, la parte convenuta nel giudizio avente ad oggetto la ripetizione di poste anatocistiche o comunque d'importi relativi ad addebiti non dovuti, di cui eccepisce la prescrizione, non ha alcun onere di provare la natura solutoria delle rimesse, mentre, al contrario, è onere di chi agisce in giudizio dimostrare che il rapporto di conto corrente sia assistito da un'apertura di credito o da un contratto di affidamento, in mancanza della qual cosa le rimesse effettuate nel corso del rapporto devono intendersi tutte di natura solutoria e come tali, sottoposte a prescrizione decennale dalla data di ogni singolo versamento. Occorre dunque distinguere a seconda che il contratto risulti affidato o meno: in caso di conto non affidato, tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente. Ne deriva che grava sull'attore in ripetizione, al fine di poter considerare detti versamenti alla stregua di meri atti di ripristino della disponibilità - come tali, non aventi lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca e, dunque, inidonei al decorso della prescrizione - l'onere di provare l'esistenza di un affidamento. Per quanto concerne l'individuazione della data dalla quale far decorrere il termine prescrizionale, appare condivisibile il criterio esposto dal Ctu a pag. 9 della "risposta alle osservazioni", imperniato nell'individuare il dies a quo per il computo della prescrizione delle rimesse solutorie nella data del verbale di mediazione del 27.11.2015, propedeutico all'instaurazione del presente procedimento, quale primo atto valido ai fine interruttivi della prescrizione. La scrivente, infatti, ritiene di aderire al principio di diritto, pure menzionato dal Consulente, enunciato dalle SSUU della Corte di Cassazione secondo il quale "Ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione d'indebito oggettivo, il termine "domanda", di cui all'art. 2033 c.c., non va inteso come riferito esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende, anche, gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell'art. 1219 c.c." (Cassazione civile, sez. un., 13/06/2019, n.15895). Alla luce delle superiori affermazioni, deve essere confermata la quantificazione delle competenze irripetibili operata dal Ctu che, per il periodo intercorrente dal 31.12.2003 (primo estratto conto versato in atti) e il 27.1.2015, risulta essere pari ad Euro 2.084,50. Tale conclusioni sono state confermate anche a seguito delle osservazioni mosse, sul punto, dal Dr. Spina, Ctp di parte convenuta, il quale, eccependo l'inesatta individuazione del periodo prescrizionale aveva chiesto il ricalcolo di interessi e competenze prescritti. Metodologia applicata e conclusioni Orbene, per una migliore intelligenza dei risultati cui è pervenuto il Ctu, occorre una breve premessa sulla metodologia utilizzata e sui criteri applicati, così come indicate dal G.I. nell'elaborazione del quesito di cui all'ordinanza del 26.6.2021. Il Dott. Sardo ha precisato che, "alfine di accertare la sussistenza di usura genetica, si è proceduto alla verifica del superamento della soglia antiusura secondo il criterio del T.E.G., calcolando il tasso effettivo globale (TEG pattuito) sulla base delle istruzioni della Banca d'Italia per tempo vigenti.". Nel precisare la formula matematica utilizzata per il calcolo del TEG, il consulente ha chiarito di aver considerato, fra gli oneri su base annua, le commissioni, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese collegate all'apertura dei rapporti e di aver escluso imposte e tasse, spese per ogni scritturazione, costi di tenuta conto e/o rimborsi forfettari. Il TEG così determinato è stato confrontato con il tasso soglia del trimestre corrispondente alla data di pattuizione per la categoria di operazioni attinente alla tipologia del rapporto esaminato. Il consulente, quindi, su precisa indicazione del Giudice Istruttore, ha proceduto al ricalcolo del saldo finale di ciascun rapporto di conto corrente di cui è controversia, tenendo conto del primo saldo disponibile desumibile dall'estratto conto più remoto versato in atti. Inoltre, per il ricalcolo finale sono state applicate le condizioni contrattuali sottoscritte all'apertura del rapporto di c/c e le successive modifiche contrattuali, nonché le condizioni sottoscritte per le variazione/concessione di affidamento rinvenute in atti o quelle di maggior favore praticate dalla banca. Per quanto riguarda la costruzione del rapporto dare/avere tra le parti, condotta sul conto corrente in esame, acceso in data 11/11/2002, il Consulente ha dichiarato di essersi avvalso esclusivamente degli atti e dei documenti presenti nel fascicolo processuale, utilizzando per la rideterminazione del saldo i criteri forniti dal G.I. Sul punto appare doveroso precisare che non risulta condivisibile la richiesta, avanzata da parte attrice con le note scritte per l'udienza del 10.3.2022 e ribadita da ultimo nella memoria conclusiva, di integrare il quesito posto al Ctu in relazione alle modalità di ricalcolo degli interessi al tasso legale e non al tasso "convenzionale", considerato che il quesito già formulato con ordinanza del 26.4.2021 appare esaustivo e conforme ai dettati giurisprudenziali secondo i quali "vanno esclusi dal ricalcolo del saldo del conto corrente gli importi relativi alle commissioni di massimo scoperto ed alle spese quando non siano state rinvenute le relative pattuizioni". Ed infatti, la contestazione attorea appare destituita di fondamento in quanto solo in assenza di pattuizioni scritte ed esplicite (anche in relazione al tasso degli interessi) il Consulente avrebbe dovuto applicare i tassi legali richiesti. La consulenza del Dott. (...) riporta alle pagg. 5 e ss. le condizioni contrattuali convenute in data 11.11.2002 alla data di accensione del C/C in esame, nonché le modifiche successivamente intervenute. La documentazione presa in esame dal Consulente soddisfa il requisito della forma scritta previsto dall'art. 117 t.u.b., finalizzato alla tutela della trasparenza dell'operazione bancaria nei confronti del contraente debole, in ossequio al principio introdotto dalle SSUU con la sentenza n. 898/2018 che, seppur affermato in materia di intermediazione mobiliare, è indubbiamente valevole anche per i contratti bancari, per i quali è previsto il medesimo requisito di forma. In relazione ai "iteri utilizzati per il ricalcolo del saldo, dalla documentazione sottoposta all'esame del Consulente è emerso che "il contratto di accensione del rapporto di conto corrente del 11/11/2002, pur indicando i valori per il tasso debitore per utilizzi entro ed extra fido, non indica il valore dell'affidamento in conto. La concessione di credito per Euro 15.000,00 in data 29/11/2009, non indica il valore dei tassi debitori per utilizzi entro fido ed extra fido". Alla luce di tali precisazioni, appare condivisibile il criterio adottato dal Consulente il quale, al fine di sopperire alla carenze evidenziate, ha ricalcolato il rapporto di conto corrente da tale periodo applicando il tasso sostitutivo fino alla successiva modifica contrattuale. Venendo al tema del superamento del tasso-soglia, la verifica svolta in sede di consulenza, con applicazione della formula TEG già illustrata, ha evidenziato il superamento del tasso soglia usura (ab origine) per le seguenti contrattazioni/variazioni: - Condizioni contrattuali convenute in data 11/11/2002; - Proposta di modifica unilaterale del contratto del 13/05/2009; - Apertura di credito n. (...) del 16/11/2012; - Apertura di credito n. (...) dello 01/04/2014. Inoltre, è stato rilevato il superamento del tasso debitore per utilizzi entro fido nel primo e secondo trimestre dell'anno 2009, il superamento del tasso debitore per utilizzi in assenza di fido in relazione alla proposta di modifica unilaterale del 30/06/2012 ed il superamento del tasso debitore per utilizzi extra fido in tutte le contrattazioni/variazioni versate in atti. Infine, la consulenza ha, altresì tenuto conto, in relazione al ricalcolo del saldo disponibile, dell'eccezioni di prescrizione sollevata da parte convenuta, con i limiti e la decorrenza temporale già evidenziati. L'applicazione dei summenzionati criteri nella ricostruzione del rapporto bancario intrattenuto dall'attrice con la banca convenuta ha consentito al Consulente di pervenire alle seguenti considerazioni conclusive: "1) Per il conto corrente bancario n. 112766 (all'origine n. 30653) il saldo da estratto conto è pari ad Euro -29.900,15 mentre il saldo ricalcolato ha segno positivo ed è pari ad Euro 14.116,97; 2) Le rimesse aventi natura solutoria ammontano a Euro 57.136,55 e assorbono le competenze irripetibili pari ad Euro 2.074,50; 3) La differenza tra saldi, per effetto delle competenze irripetibili, ammonta ad Euro 41.942,62 a favore di parte attrice". Alla luce di quanto premesso, le conclusioni rassegnate dal Consulente d'ufficio vanno integralmente condivise in quanto immuni da vizi giuridici e tecnici e, pertanto, possono essere assunte a fondamento dell'odierna decisione (cfr. Cass. 3492/2002 e 8669/1994). La Corte Suprema di Cassazione ha ripetutamente affermato che il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, sicché non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui dichiari di condividere il merito, limitandosi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall'esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (cfr., per tutte, Cass. n. 7364/2012, Cass. n. 10222/2009 e Cass. n. 10668/2005). Il CTU ha, inoltre, compiutamente risposto alle osservazioni mosse da parte attrice, per mezzo dell'avv. Lo Verde, e da parte convenuta, per mezzo del CTP, Dott. Spina; tenuto conto della completezza e del pregio della relazione, nonché della esaustiva risposta alle osservazioni mosse, questo Tribunale non ha ritenuto la sussistenza di motivi per richiedere ulteriori chiarimenti al Ctu. La domanda attorea, quindi, va accolta secondo quanto precisato in dispositivo. Infine, deve essere rigettata la richiesta, formulata da parte convenuta, di revoca dell'ordinanza di condanna, ai sensi dell'art.8 D.Lgs. n. 28/2010, per la mancata partecipazione alla procedura di mediazione. In tema di mediazione obbligatoria, il c. 2 bis dell'art. 5 del D.Lgs. 28/10 richiede, perché la condizione di procedibilità possa dirsi avverata, che il primo incontro si concluda senza accordo. Tale incontro è disciplinato dall'art. 8 che prevede, tra l'altro, che ad esso "le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato". La condizione di procedibilità, quindi, può dirsi realizzata solo quando le parti (a ciò giuridicamente tenute) si sono materialmente incontrate davanti ad un mediatore. L'ipotesi di mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione è disciplinata dall'art. 8, c. 4 bis, che prevede, come conseguenza dell'assenza delle parti, l'applicazione di una sanzione pecuniaria e la rilevanza di tale comportamento ex art. 116 c.p.c. Si richiama, sul piano teleologico, la ratio dell'istituto: se bastasse la sola presentazione della domanda all'organismo di mediazione e non fosse necessaria la presenza delle parti medesime, la mediazione non potrebbe mai realizzare il suo fine, che consiste nel creare le condizioni perché si riattivi la comunicazione tra i litiganti, al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto. In sostanza, basterebbe adempiere solo formalmente all'obbligo della mediazione, presentando la domanda ma senza usufruire in concreto delle potenzialità dell'istituto, per svuotarlo completamente di ogni significato. Ecco allora che il legislatore, per evitare che ciò si verifichi, ha fatto ricorso ad un incentivo forte: l'improcedibilità della domanda. Alla luce di quanto premesso, la comunicazione inviata da parte convenuta all'Organismo di mediazione, con la quale la Banca ha espresso la propria volontà di non aderire alla domanda di mediazione, non assurge a valida giustificazione, in quanto tale comportamento si pone in conflitto con la ratio deflattiva tipica dell'istituto in questione, che richiede espressamente la presenza delle parti. Neppure appare meritevole di accoglimento l'eccezione di incompetenza territoriale dell'Organismo adito, atteso che il procedimento si è svolto presso gli uffici di (...) siti in Termini Imerese, come si evince dal verbale negativo prodotto in atti. Spese di lite. Quanto alle spese processuali, le stesse seguono la soccombenza e sono da porsi a carico di parte convenuta, come liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al DM Giustizia n. 55 del 2014 ("scaglione da Euro 26.001,00 a Euro 52.000,00"- valori medi). Le spese delle espletate CCTTUU contabili, così come già liquidate nel corso del giudizio, vengono poste definitivamente a carico di parte convenuta. P.Q.M. definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza e difesa, 1. esaminato il conto corrente per cui è causa, n. 112766 (all'origine n. 30653), accerta e dichiara che il suo saldo, con effetto dal momento dell'indagine del CTU dott. Sardo, al netto delle competenze irripetibili, è pari a Euro 12.042,47 a credito per parte attrice; 2. condanna la convenuta a rimborsare all'attrice le spese processuali del giudizio, che liquida in euro 7.254,00 per onorari, oltre ad euro 354,00 per esborsi, ed oltre IVA, CPA e spese forfettarie 15%; 3. pone le spese delle CCTTUU, liquidate come da separati decreti, definitivamente a carico di parte convenuta, con obbligo di rifusione a favore di chi le ha anticipate. Termini Imerese, 30 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERMINI IMERESE CONTENZIOSO CIVILE E VOLONTARIA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Claudia Musola ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3885 /2016 promossa da: (...) S.P.A., in persona dell'amministratore pro tempore, (P.I. (...)), elettivamente domiciliata in Termini Imerese, Via (...), presso lo studio dell'avv. Sa.Ch. che la rappresenta e difende, congiuntamente e disgiuntamente, con gli avv.ti Ro.Vi. e Gi.Mo. come da procura in atti; ATTRICE contro (...) (C.F. (...)), nata (...), elettivamente domiciliata in Palermo, via (...), presso lo studio del Prof. Avv. Gi.Am., difesa e rappresentata dall'avv. An.Sc. come da procura in atti; CONVENUTA OGGETTO: assicurazione contro i danni-pagamento somme CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da note scritte depositate telematicamente per l'udienza del 19/1/2022, che qui si intendono richiamate. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione del 29.02.2016, notificato in data 08.03.2016, la società (...) S.p.A. conveniva in giudizio (...) innanzi al Tribunale di Milano, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 8.520,00, quale titolo di premio annuale del contratto di assicurazione n. 130/14/2131 asseritamente sottoscritto per la copertura dei rischi professionali derivanti dalla attività di medico chirurgo dalla stessa svolta, per il periodo dal 24 settembre 2014 al 24 settembre 2015 e, sempre asseritamente, rinnovatosi ai sensi dell'art. 9 del contratto anzidetto in assenza di formale disdetta della contraente. In via preliminare, parte attrice chiedeva altresì emettersi ordinanza di ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c., ovvero, ricorrendone i presupposti, ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.. Con comparsa di costituzione e risposta del 30.06.2016, si costituiva in giudizio (...) eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento obbligatorio di mediazione, previsto dall'art. 5 comma 1 del D. Lgs. 28/2010, nonché l'incompetenza per territorio del Tribunale di Milano adito in favore del Tribunale di Termini Imerese, quale foro generale del convenuto ai sensi dell'art. 18 c.p.c., ovvero foro del luogo di residenza dell'assicurato, competente ai sensi del contratto di assicurazione de quo. Nel merito, eccepiva invece l'infondatezza delle richieste avanzate da controparte per carenza di prova scritta del contratto di assicurazione sottoscritto, l'inammissibilità della prova testimoniale articolata per contrasto con gli artt. 2725 cod. civ. e 244 c.p.c., nonché l'insussistenza dei presupposti per l'emissione delle chieste ordinanze anticipatone di condanna. All'udienza del 05 ottobre 2016, (...) S.p.A. aderiva all'eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Milano in favore del Tribunale di Termini Imerese e, pertanto, con ordinanza resa in pari data nel giudizio portante il n. 13680/2016 di R.G., il Tribunale di Milano dichiarava la propria incompetenza in favore del Tribunale di Termini Imerese, disponendo la cancellazione della causa dal ruolo, con assegnazione del termine di mesi tre per la riassunzione. Con atto di citazione in riassunzione del 29 novembre 2016, notificato in data 16 dicembre 2016, (...) S.p.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Termini Imerese (...), riproponendo le medesime domande spiegate con l'atto di citazione del 29 febbraio 2016 e chiedendo, dunque, di condannare parte convenuta al pagamento della somma di Euro 8.520,00 a titolo di premio annuale non corrisposto del contratto di assicurazione asseritamente esistente tra le parti. Parte attrice insisteva altresì nelle chieste ordinanze ex artt. 186 ter e 186 quater c.p.c. per sussistenza dei presupposti di legge. Si costituiva, in data 27.03.2017, (...) con comparsa di costituzione e risposta con la quale chiedeva, in via preliminare, dichiararsi l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione di cui al D. Lgs. 28/2010; nel merito, il rigetto delle domande avanzate da parte attrice per l'inammissibilità e l infondatezza delle stesse, anche con riguardo alla emissione delle ordinanze anticipatorie di condanna ex art. 183 ter e 186 quater c.p.c.. A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 19.04.2017, il Giudice assegnava alle parti termine per l'esperimento del procedimento obbligatorio di mediazione ritenuto che "avuto riguardo ai rapporti e alle domande oggetto della presente controversia (contratto di assicurazione), va esperito obbligatoriamente - a pena di improcedibilità della domanda - il procedimento di mediazione di cui al D. Lgs. 28/2010", e rinviava per la prosecuzione del giudizio all'udienza 23.10.2017. All'udienza del 29 gennaio 2018 parte attrice rappresentava di aver provveduto al deposito della documentazione inerente all'espletata mediazione, chiedendo la concessione dei termini previsti dall'art. 183, comma sesto, c.p.c. Parte convenuta insisteva nell'eccezione di improcedibilità del procedimento, già formulata all'udienza del 23 ottobre 2017, rilevando la mancata partecipazione personale di parte attrice nell'ambito della procedura di mediazione o, ad ogni modo, di un difensore munito di idonea procura espressamente all'uopo conferita, aderendo in subordine alla richiesta dei termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c.. Con provvedimento del 29.01.2018 il Giudice, riservando all'esito del giudizio ogni ulteriore determinazione, concedeva i termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 183, sesto comma, c.p.c., le quali ritualmente venivano depositate dalle parti costituite. Con memoria ex art. 183, comma sesto, c.p.c. n. 1 del 06 marzo 2018, parte attrice depositava "documento di richiamo alla polizza assicurativa sottoscritto in data 23.09.2014"; con memoria del 05.04.2018 la convenuta contestava specificatamente la produzione di tale documento (doc. D di controparte) in quanto irrituale e inconferente, nonché depositato in fotocopia. Disconosceva, altresì, la firma in esso apposta. All'udienza del 20 giugno 2018 la convenuta (...), comparsa personalmente, confermava il disconoscimento della propria firma contenuta nel documento prodotto in copia da parte attrice e il Giudice concedeva un rinvio per trattative di bonario componimento della controversia, in esito alle quali (...) S.p.A. insisteva per la verificazione della scrittura prodotta, ai sensi degli artt. 216 ss. c.p.c.. Con ordinanza del 05.03.2020, il Tribunale disponeva consulenza tecnica d'ufficio grafologica al fine di valutare comparativamente la sottoscrizione disconosciuta (di cui all'allegato D della memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. di parte attrice) e quelle apposte da (...) sulla carta d'identità e nelle scritture eventualmente dalla stessa redatte sotto dettatura del CTU nominato. A seguito dell'inizio delle operazioni peritali e della richiesta del consulente tecnico d'ufficio di produrre il documento oggetto di verificazione in originale, parte attrice dichiarava di essere nell'impossibilità di provvedere a tale onere e, pertanto, il Tribunale "alla luce delle argomentazioni del consulente, per cui può giungersi ad un giudizio di mera probabilità e non di certezza e la prova non sarebbe comunque raggiunta" riteneva non sussistere i presupposti per la prosecuzione delle operazioni peritali. Nessuna ulteriore attività istruttoria veniva nel giudizio espletata. La causa, originariamente assegnata ad altro Giudice, veniva successivamente assegnata a questo Giudice, che fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 19 gennaio 2022, disponendone lo svolgimento in modalità cartolare. All'esito della detta udienza il Giudice assegnava i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica e tratteneva la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di improcedibilità della domanda per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione da parte dell'attrice. La giurisprudenza di merito che via via si è formata in tema di mediazione obbligatoria si è ormai consolidata nell'affermare che alla mediazione cd. obbligatoria prevista dall'art. 5 del DLgs 28/2010 sia richiesta la partecipazione personale della parte coinvolta nel contenzioso o, in alternativa, di un suo rappresentante munito di speciale procura per parteciparvi (tra le numerose pronunce, Trib. Firenze, 21/4/2015; Trib. Ferrara, 28/7/2016; Trib. Reggio Emilia, 26/6/2017, nonché C. Appello Milano, 10/5/2017; C. Appello Napoli, 9/5/2018; C. Appello Ancona, 23/5/2018; Trib. Salerno, 11/3/2020). Nel caso in esame, parte attrice ha prodotto la procura speciale, sottoscritta dalla legale rappresentante di (...) S.p.A. e rilasciata agli avv.ti (...), (...) e (...), con espressa delega a rappresentare la società attrice nel procedimento di mediazione promosso davanti all'organismo di mediazione Conciliando Med di Termini Imerese, superando così l'eccezione di improcedibilità. Passando all'esame del merito, la domanda di parte attrice non è meritevole di accoglimento. L'art. 1882 disciplina la fattispecie giuridica dell'assicurazione, che è un contratto in base al quale una parte, denominata assicuratore, si obbliga, in cambio di una somma di denaro, denominata premio, a risarcire l'altra parte, denominata assicurato, del danno a questi prodotto da un sinistro. Pertanto, l'obbligazione principale, gravante sull'assicurato è quella del pagamento del premio. Il premio è il corrispettivo del rischio e si traduce in una somma di denaro che il contraente deve pagare all'impresa di assicurazione, in un'unica soluzione oppure, come nel caso di specie, in più rate. Il suo calcolo tiene conto di tutti gli elementi che caratterizzano il contratto ed anche, tra l'altro, del numero degli assicurati. Il contratto di assicurazione, inoltre, come tutti i contratti, ex art. 1372 c.c., assume forza di legge tra le parti contraenti. Ciò posto, il contratto di assicurazione, ai sensi dell'art. 1888 c.c. e dell'art. 166 D. Lgs. n. 209/2005, è soggetto all'obbligo di forma scritta "ad probationem". Secondo quanto riconosciuto dalla Suprema Corte, "Il certificato di assicurazione attesta l'esistenza della garanzia assicurativa, e obbliga l'assicuratore, per il periodo in essa indicato, unicamente nei confronti del terzo danneggiato. Nei rapporti tra le parti, il contratto di assicurazione deve, invece, essere provato - ai sensi dell'art. 1888 cod. civ. - attraverso la produzione in giudizio della polizza sottoscritta dalla società di assicurazione o da un suo agente munito di rappresentanza" (cfr. Cass. Civ., n. 12322 del 10.6.2005). Inoltre, in tema di prova testimoniale, l'unitarietà della disciplina risultante dagli artt. 2725 cod. civ. e 2729 cod. civ. esclude l'esistenza di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta "ad probationem" ovvero "ad substantiam", sicché quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista, per un certo contratto, la forma scritta "ad probationem", la prova testimoniale (e quella per presunzioni) che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l'esistenza del contratto, è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento (cfr. Sez. II, n. 24306 del 16/10/2017; Sez. III, n. 17986 del 14/08/2014). Nel caso di specie, non solo la compagnia assicuratrice non ha prodotto la polizza relativa al contratto di assicurazione di cui si discute ma ha espressamente ammesso che non è stato completato correttamente l'iter per il perfezionamento del contratto, in quanto il proprio agente non ha provveduto a restituire a parte attrice la polizza debitamente quietanzata comprensiva di condizioni contrattuali e dei cd. simpli (Polizza assicurativa, Condizioni contrattuali e informativa privacy) debitamente sottoscritti dalla convenuta. Tale assunto risulta confermato altresì dal tenore della comunicazione inviata a mezzo mail da (...) S.p.A. al proprio agente (allegato sub. doc. E), nella quale viene espressamente precisato che "la mancata restituzione dei simpli comporta la NON regolarità della polizza". In ossequio ai principio sopra esposto, non è quindi condivisibile, in assenza di polizza sottoscritta, il rilievo mosso da parte attrice secondo il quale "la conclusione del contratto di assicurazione può essere desunta anche da documenti diversi dalla polizza stessa", con espresso riferimento al "documento di richiamo alla polizza", non essendo ammissibile, in ossequio ai principio sopra esposto, la prova presuntiva del contratto assicurativo soggetto, ex lege, all'obbligo di forma scritta "ad probationem". Peraltro, in sede di operazioni peritali parte attrice ha dichiarato di non essere in grado di reperire l'originale del documento "Contratto - polizza professionale del 23.09.2014", la cui sottoscrizione è stata oggetto di verificazione, decadendo così dalla possibilità di avvalersene. Sul punto, infatti, è stato osservato che "Nel caso di disconoscimento dell'autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata prodotta in copia fotostatica, la parte che l'ha esibita in giudizio e intende avvalersene deve produrre l'originale che è necessario per la procedura di verificazione ex art. 216 c.p.c., giacché solo sull'originale è possibile effettuare efficacemente la predetta verifica. A sua volta, la parte che ha disconosciuto la sottoscrizione di scrittura privata prodotta in fotocopia deve reiterare il disconoscimento con riferimento all'originale della medesima scrittura, successivamente acquisito in giudizio, per impedire che la ridetta scrittura si abbia per riconosciuta in causa" (Tribunale Vicenza, 01/12/2020, n. 2126). Orbene, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. ex plurimis, Cass. Civ., n. 9351 del 19.4.2007; Cass. Sez. Un. n. 13533 del 30.10.2001). La documentazione prodotta dall'attrice, a prescindere da ogni questione sulla autenticità della sottoscrizione, non è idonea al perfezionamento del contratto. Ciò posto, nella fattispecie in esame, la società assicuratrice non ha fornito la prova di un titolo contrattuale idoneo a far sorgere l'obbligazione di pagamento del premio da parte dell'assicurato, atteso che non ha dimostrato il perfezionamento del contratto di assicurazione n. 130/14/2131 per la copertura dei rischi professionali derivanti dalla attività professionale svolta dalla convenuta. Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono da liquidare, come da dispositivo, ai sensi del D.M. 55/2014 come modificato dal D.M. 37/2018, tenuto conto del valore della controversia (scaglione da 5.201,00 a 26.000,00-compensi medi) e dell'attività defensionale effettuata (riduzione per la fase istruttoria in quanto solo parzialmente espletata). P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: - RIGETTA la domanda di pagamento della somma di Euro 8.520,00 proposta da (...) SPA; - CONDANNA (...) S.p.A. al pagamento delle spese del presente giudizio a favore della convenuta, che liquida nella misura di Euro 3.600,00,00 oltre Spese Generali, CPA e IVA. Così deciso in Termini Imerese il 17 maggio 2022. Depositata in cancelleria il 17 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso, all'udienza del 14.04.2022, sulle conclusioni precisate da parte attrice, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 550 del R.A.G.C. relativo all'anno 2018 e vertente TRA (...) nato (...), C.F. (...), residente in Palermo alla Via (...) n. 9, rappresentato e difeso dall'Avv. Ro.Ba., giusta procura in calce all'atto di citazione, - attore - E Condominio (...), con sede in Campofelice di Roccella (PA) - Viale (...) n. 20 (Part. I.V.A.: (...)), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, Sig. (...) nato (...), C.F.: (...), residente in Campofelice di Roccella al Viale (...) n. 20, rappresentato e difeso dall'Avv. Si.Ca., del foro di Caltanissetta ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Caltanissetta alla Via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - convenuto - Avente oggetto: opposizione delibera condominiale MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa breve premessa, si osserva che, con atto di citazione ritualmente notificato, il Prof. (...), nella qualità di proprietario di una unità immobiliare sita all'interno del Villaggio (...), citava in giudizio il predetto Condominio, avanti il Tribunale Civile di Termini Imerese, deducendo l'invalidità della deliberazione assunta dall'assemblea del Condominio in data 08.10.2017 per: a) mancato raggiungimento del quorum e violazione dell'art. 1123 c.c. per la costituzione del fondo cassa morosi; b) violazione dell'art. 1130 bis, 1135 e 1136 c.c. per assenza di un rendiconto del fondo cassa piscina; c) violazione dell'art. 1130 bis e 1135 c.c. per assenza della relazione del professionista. Chiedeva, inoltre, l'attore la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata, stante il grave ed irreparabile pregiudizio derivante dalla sua esecuzione e la condanna del Condominio al pagamento in favore dell'erario di un importo pari al valore del contributo unificato, per violazione dell'art. 8, comma 4 bis L. 98/2013. Il Condominio convenuto non si costituiva in giudizio e, all'udienza del 06.07.2018, il Tribunale si riservava sulla richiesta di sospensiva della delibera impugnata. Con ordinanza riservata, il Giudice sospendeva la delibera impugnata, concedeva termini ex art. 183, VI, comma c.p.c. e rinviava la causa all'udienza del 30.11.2018. Si costituiva, in data 29.11.2018, il Condominio convenuto, con comparsa di costituzione e risposta, con la quale eccepiva, in via preliminare, la nullità dell'atto di citazione per la nullità della notifica del predetto atto introduttivo; nel merito, contestava le domande ex adverso dedotte perché infondate in fatto ed in diritto. La causa veniva rinvita all'udienza del 03.05.2019 per la discussione orale, assegnando termine sino al 03.04.2019 per il deposito di note conclusive e sino al 17.04.2019 per il deposito di note conclusive. La causa veniva rimessa sul ruolo e veniva poi fissata altra udienza ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c.. Successivamente, la causa subiva diversi differimenti e, in data 10.02.2022, veniva assegnata a questo G.O.P. la quale rinviava l'udienza già fissata per il giorno 04.04.2022 al 14.04.2022. All'udienza del 14.04.2022, stante il carico di ruolo, questo G.O.P. revocava il provvedimento la discussione orale e, sulle conclusioni rassegnate da entrambe le parti, il Tribunale poneva la causa in decisione, senza assegnare ulteriori termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Nullità della notifica dell'atto di citazione: Va preliminarmente evidenziato che non merita accoglimento l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per la nullità della notifica. Invero, parte attrice ha depositato il duplicato dell'avviso di ricevimento della comunicazione dell'avvenuto deposito dell'atto introduttivo, da cui risulta che l'atto di citazione è stato regolarmente notificato al Condominio convenuto. Nel merito, va osservato che le domande di parte attrice meritano accoglimento e ciò per le seguenti considerazioni. La delibera è "inesistente" nel caso in cui manchi degli elementi essenziali, tanto che non sia possibile identificarla e qualificarla come atto giuridico. È "nulla" la delibera contraria alla legge, con oggetto impossibile o illecito, cioè contrario alla legge o all'ordine pubblico, quella con oggetto non rientrante nella competenza dell'assemblea, nonché la delibera che incide sui diritti dei singoli condomini, su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino. È "annullabile", invece, la delibera viziata per difetti formali, come quella adottata in mancanza del quorum costitutivo o deliberativo o con l'irregolare convocazione dei condomini, in generale quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'Assemblea, quelle affette da irregolarità nel procedimento di convocazione. Solo questa ultima figura di vizio, l'annullabilità, è prevista dal Legislatore, che all'art. 1137 c.c. prevede: "Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di Condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria". Le ipotesi di nullità e di inesistenza, invece, sono elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza. La distinzione ha ovviamente risvolti sul piano pratico. In primo luogo, è importante inquadrare correttamente il vizio che inficia la delibera che si vuole impugnare, poiché la legge prevede procedure e termini diversi a seconda del tipo di invalidità. Nei casi di inesistenza - in verità, molto rari - e di nullità, infatti, il condòmino che ritiene di essere stato danneggiato dalla decisione può agire in qualsiasi momento e chiedere che vengano adottati i provvedimenti opportuni nel suo interesse, e la pronuncia fa venir meno tutti gli effetti che si sono verificati ad origine (ha effetto "ex tunc"); l'annullabilità, invece, ai sensi dell'art. 1137 c.c., può essere fatta valere solo impugnando la delibera entro 30 giorni dalla sua adozione per il caso di condomino presente all'Assemblea o, nel caso in cui fosse assente, entro 30 giorni dalla comunicazione del verbale d'Assemblea. Ancora, la nullità può essere rilevata d'ufficio dal Giudice, mentre l'annullabilità deve essere eccepita dalla parte. Inoltre, la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, a prescindere se fosse presente o assente all'Assemblea, ovvero se fosse favorevole o contrario alla delibera; diversamente, l'annullamento, come già detto, può essere richiesto solo dal condomino assente all'Assemblea, ovvero dal contrario o dall'astenuto. Il fondamento della distinzione tra deliberazioni nulle e annullabili è rinvenibile nella sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 4806/2005, che ha affermato che "sono da ritenersi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell'Assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all'oggetto"; sono, invece, annullabili "le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'Assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informatone in Assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto". A norma dell'art. 66 disp. att. c.c. l'avviso di convocazione dell'assemblea, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione e che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione la deliberazione assembleare è annullabile. Ciò significa che l'avviso di convocazione deve essere non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, con la conseguenza che la mancata conoscenza, da parte dell'avente diritto, entro il termine previsto dalla legge, costituisce motivo di invalidità delle delibere assembleari, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come confermato dal nuovo testo dell'art. 66, terzo comma, disp. att., c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220 (cfr. Tribunale Lucca, 06.09.2019, n. 1216). Applicando i suesposti principi alla fattispecie in esame, deve ritenersi che la delibera oggi impugnata deve essere annullata, in quanto, come risulta dalla documentazioni in atti, è stata adottata in violazione della normativa sopra richiamata. Violazione dell'art. 1123 c.c.: Con riferimento ai motivi di opposizione, l'attore lamenta che, con la delibera impugnata, il Condominio abbia costituito un fondo cassa morosi, senza rispettare il quorum previsto dall'art. 1123 c.c.. Ed invero, da un'attenta analisi del contenuto di tale delibera, si evince facilmente che le singole voci indicate altro non sono che le situazioni debitorie di taluni condomini (specificatamente individuati), così come vi sono pure indicate le causali delle somme dovute e le unità immobiliari cui si riferiscono. E' evidente che si tratta, quindi, di un fondo cassa per coprire la morosità di taluni condomini, distribuendo la loro quota di partecipazione alle spese condominiali tra i condomini virtuosi. Non rilevano, invece, le difese del Condominio convenuto il quale, con riguardo alla tabella nella quale è riportato l'importo di Euro 24.708,52, "Non si tratta di morosità per oneri condominiali non corrisposti (il cui ammontare e invece evidenziato nel rendiconto 2016...), bensì delle spese necessarie per promuovere azioni monitorie nei confronti di taluni condomini non in regola con i pagamenti e per promuovere azioni esecutive...". Per quanto sopra esposto, si ritiene che il "Riparto preventivo Gestione Straordinaria Decreti Ingiuntivi 01/01/2017 - 31/12/2017" costituisce un fondo cassa morosi e, pertanto, la delibera con la quale è stata approvata tale voce di spesa in palese violazione del quorum deliberativo necessario, deve essere annullata. Sul punto si osserva che, a differenza del fondo cassa per i lavori straordinari, la cui costituzione obbligatoria per legge è deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio, per la creazione del fondo cassa morosi, che serve a "coprire" le quote non versate dai condomini che fruiscono di servizi comuni, è necessario il voto unanime dei condomini proprietari. Prima della riforma del condominio (legge 220/2012), sulla scia di alcuni pronunciamenti della Cassazione, nei casi di effettiva urgenza, anche per deliberare a favore del fondo morosi era sufficiente la maggioranza prevista dall'articolo 1136, comma 2, del Codice civile. I giudici (Cassazione 5 novembre 2001, n. 13631) avevano osservato che "in mancanza di diversa convenzione adottata all'unanimità quale espressione dell'autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell'articolo 1123 del Codice civile e, pertanto, non e consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d'effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde le somme necessarie, come nel caso d'aggressione in executivis da parte di creditori del condominio, può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione d'un fondo cassa ad hoc tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante ab externo, alle azioni dei terzi". Con la riforma, che in tema di morosità ha accresciuto i poteri dell'amministratore, l'unanimità è tornata a essere l'unica via per approvare il fondo morosi. L'articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile prevede, infatti, che "i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini". Ciò significa, con riferimento al caso in oggetto, che in prima battuta l'azienda erogatrice del gas dovrà rivolgersi ai due condomini morosi e, soltanto se il tentativo non andasse a buon fine, all'intero condominio. L'amministratore ha sei mesi di tempo, che decorrono dalla chiusura annuale dell'esercizio, per agire nei confronti dei condomini inadempienti e, senza l'autorizzazione dell'assemblea, può ottenere nei loro confronti un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. È necessario produrre al giudice il verbale dell'assemblea condominiale con le delibere di approvazione del bilancio consuntivo o preventivo e di eventuali spese straordinarie; i prospetti di ripartizione delle spese, nonché le eventuali diffide inviate dall'amministratore al condomino moroso. Nel frattempo, sono i condomini "in regola" a pagare le loro quote e, per quanto concerne il riscaldamento centralizzato, la ripartizione è effettuata in proporzione ai rispettivi millesimi. Sempre l'amministratore, in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, ma soltanto se la conformazione dell'impianto permette il distacco. L'interruzione non può riguardare i servizi essenziali, vale a dire quelli la cui mancanza possa pregiudicare il diritto costituzionale alla tutela della salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione. Infine, riguardo alla possibilità per i condomini adempienti di recuperare le quote di spesa "anticipate" ai morosi, qualora questi ultimi continuino a non pagare dopo aver ricevuto il decreto ingiuntivo, l'iter legislativo prevede il pignoramento dei beni e la loro vendita all'asta. È compito dell'amministratore ripartire tra i condomini creditori il ricavato ottenuto dalla vendita dei beni, sempre in base ai millesimi di riferimento. Violazione degli artt. 1130 bis - 1135 e 1136 c.c.: In merito, poi, al rendiconto approvato, si osserva. Il Tribunale di Torino, nella sentenza n. 3528/2017 ha rammentato che l'art. 1130-bis c.c. prevede che la redazione del rendiconto condominiale annuale debba contenere una serie di specifiche voci contabili, indispensabili alla ricostruzione e al controllo della gestione dell'amministratore da parte di ogni condomino. Citiamo alcuni degli elementi imprescindibili nella redazione del rendiconto condominiale. In un rendiconto condominiale esempio devono esserci: - il registro di contabilità; - riepilogo finanziario condominio; - una nota di accompagnamento sintetica, esplicativa della gestione annuale. La mancanza di uno solo di questi documenti, secondo la pronuncia del Tribunale piemontese, rende invalida la delibera assembleare che lo approva. Con riferimento alla fattispecie in esame, si osserva che il rendiconto oggetto di causa ed allegato alla delibera in contestazione, risulta come - nel rendiconto impugnato - non si fa riferimento alcuno al fondo cassa piscina, con le voci di entrata e di spesa relative alla costruzione di detto manufatto, né si fa riferimento alcuno al conto corrente bancario ivi dedicato. Parimenti, non risulta la relazione del Professionista. A fronte di tali contestazioni, il convenuto ha dedotto con generiche ed irrilevanti argomentazioni, non supportate da un valido riscontro probatorio e, comunque, smentite dalla produzione documentale allegata dall'attore. Anche per questo motivi, la predetta delibera deve essere annullata. In definitiva, si osserva che la produzione documentale offerta dalla parte ricorrente, a sostegno delle proprie domande, è risultata di per sé idonea a fornire la prova piena di quanto dedotto e lamentato, e ciò anche in ossequio al principio generale di cui all'art. 2697 c.c., a norma del quale "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si e modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.". In linea di principio l'onere di provare un fatto ricade su colui che invoca quel fatto a sostegno della sua versione. In questo senso va interpretato l'art. 2697 c.c. che accolla su chi vuol far valere un diritto in giudizio l'onere di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (c.d. fatti costitutivi). Viceversa, chi contesta la rilevanza di quei fatti ha l'onere di provarne l'inefficacia o gli altri fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere (c.d. fatti impeditivi, modificativi ed estintivi). Di contro, le contestazioni sollevate da parte convenuta sono risultate alquanto generiche e prive di idoneo supporto probatorio. Mancata partecipazione al procedimento di mediazione: A ciò si aggiunga che parte attrice ha depositato il verbale negativo del 22.01.2018 (in atti), con il quale è stato chiuso il procedimento di mediazione promossa dal Prof. Battaglia da cui risulta che il Condominio non si è presentato all'incontro, benché ritualmente convocato dall'Organismo prescelto, e l'esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale - evitabile--evitabile - in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo della mancata partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova delle doglienze rappresentate da parte attrice. Condanna per lite temeraria: L'attore ha chiesto la condanna per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., stante il comportamento tenuto dal Condominio convenuto. Sul punto, la giurisprudenza di merito osserva che "l'applicazione dell'art. 96 co. 3 c.p.c. deve rivestire carattere eccezionale, cioè confinato nell'ambito di gravi violazioni e non semplicemente nella allegazioni di fatti o situazioni che rappresentano la pretesa di una parte e che, come tali, vengono sottoposte al vaglio di un organo giurisdizionale chiamato a valutarne la fondatezza o meno; tale discorso vale, a maggior ragione, nell'ambito dei contratti d'appalto, per loro natura suscettibili di variazioni in corso d'opera, spesso soggetti a contrapposte interpretazioni e caratterizzati da una disciplina assai articolata." (cfr. ex multis Corte appello Trento sez. II, 15.07.2020, n. 153; Corte appello Palermo sez. II, 11.06.2020, n. 885). Recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che: "la condanna ex art. 96, comma terzo, applicabile in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi primo e secondo c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuali. La sua applicazione, pertanto, non richiederebbe il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì una condotta oggettivamente valutabile alla stregua dell'abuso del processo (cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 27623 del 21 novembre 2017). Nel caso in esame, tenuto conto del compattamento processuale tenuto dal Condominio convenuto, sussistono i presupposti per accogliere la domanda. A tal fine, appare equo liquidare, in favore del Prof. (...) la complessiva somma di Euro 2.000,00 a titolo di risarcimento danno per lite temperaria. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del DM n. 55/2014, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. P.Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione respinta, così provvede: - annulla la delibera dell'assemblea del giorno 08.10.2017 per tutti i motivi esposti; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore del Prof. (...), della complessiva somma di Euro 2.000,00 a titolo di risarcimento per lite temeraria, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo; - visto l'art. 96, 3 comma c.p.c., condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro tempore al pagamento, in favore del Prof. (...), dei compensi relativi al procedimento di mediazione che si liquidano in complessivi Euro 1.260,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore del Prof. (...) delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 5.099,00 di cui Euro 264,00 per spese vive ed Euro 4.835,00 per compensi, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge; - visto l'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 148/2011, condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro tempore al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione. Così deciso in Termini Imerese il 16 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario, Dott.ssa M. Margherita Urso, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4018 del R.A.G.C. relativo all'anno 2019, posta in decisione all'udienza cartolare del 07.04.2022 e vertente TRA (...), nata a P. (P.), l'(...), residente in A. M. (P.), in Via (...), C.F. (...), elettivamente domiciliata, ai fini del presente atto, in Palermo, Via (...), presso lo studio dell'Avv. Ra.Ca., che la rappresenta e difende, per mandato posto in calce all'atto di citazione, - attrice - E Comune di Altavilla Milicia, in persona del Sindaco pro tempore, con sede in Altavilla Milicia (PA), in Via (...), 60 - 90010, P.IVA (...), - convenuto contumace - avente oggetto: condannatorio ex art. 2051 c.c. valore del procedimento: Euro 3.559,55 MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (L. 18 giugno 2009, n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con atto di citazione regolarmente notificato la Sig.ra (...) conveniva in giudizio il Comune di Altavilla Milicia innanzi a questo Tribunale, rassegnando le seguenti conclusioni: "Disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa anche in via istruttoria ed incidentale; - Accertare e dichiarare la responsabilità del Comune di Altavilla Milicia, in persona del Sindaco pro tempore, in via principale ex art. 2051 c.c. o, in via subordinata, ex art. 2043 c.c. per i danni cagionati alla Sig.ra (...); - C., conseguentemente, il Comune di Altavilla Milicia, in persona del Sindaco pro tempore, al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ammontanti ad Euro 6.040,56 (seimilaquaranta/00) patiti dalla Sig.ra (...) a seguito del sinistro occorso, o alla maggiore o minore somma che il giudice vorrà determinare in via equitativa, oltre interessi e rivalutazionemonetaria fino al soddisfo. Con condanna di parte convenuta al pagamento delle spese, diritti e compensi professionali, oltre iva e c.p.a..". A fondamento delle domande, l'attrice esponeva che, il 12.06. 2019, intorno alle ore 20.30 circa, mentre si trovava nel Comune di Altavilla Milicia quando, percorrendo a piedi Via D., a seguito delle pessime condizioni di manutenzione della strada, della visibilità ridotta per la scarsa illuminazione e della presenza di ingente immondizia e fogliame sul manto stradale, inciampava in una buca e cadeva rovinosamente al suolo. L'odierna attrice, stesa al suolo dolorante, veniva immediatamente soccorsa dalla Sig.ra (...). Ebbene, in seguito all'evento occorso, la Sig.ra (...) si dirigeva presso la Guardia Medica di Bagheria, che certificava la presenza di "una ferita escoriata al 1/3 medio della gamba dx" e, pertanto, veniva prescritta terapia antibiotica, con proseguimento della medicazione opportuna dal medico curante. Qualche giorno dopo, tuttavia, riscontrando numerosi fastidi alla ferita, l'attrice accedeva all'Ospedale di Termini Imerese, il quale rilevava la presenza di un'infezione alla parte interessata e che le causava gravi sofferenze fisiche e morali e la costringeva (e la costringe tutt'oggi) a ricorrere alle cure mediche necessarie per far fronte a quanto causato dal sinistro occorso. Con lettera di costituzione in mora e diffida inviata a mezzo e con invito alla negoziazione assistita, la Sig.ra (...) invitava il Comune di Altavilla Milicia all'integrale ristoro di tutti i danni patrimoniali e non, patiti dall'odierna attrice. Entrambe, però, restavano prive di riscontro. Dunque, la parte attrice si vedeva costretta ad adire il Tribunale di Termini Imerese al fine di accertare e dichiarare in via principale, ai sensi dell'art. 2051 c.c., o in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c., la responsabilità della parte convenuta. Nessuno si costituiva per il Comune convenuto, malgrado la regolare notifica dell'atto di citazione. C. i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., ammesse le prove testimoniali, nelle more, la causa la causa veniva assegnata a questo G.O.P.. Istruita la causa con l'escussione dei testi, veniva ammessa la consulenza medico - legale e, all'uopo, veniva nominato il Dott. (...). Espletata la CTU, la causa veniva rinviata all'udienza del 07.04.2022 per la decisione e la discussione orale ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., assegnando termine sino a dieci giorni prima per il deposito di note conclusive. Con successivo decreto del 28.03.2022, il Tribunale disponeva, per l'udienza del 07.04.2022, la trattazione scritta assegnando termine sino a cinque gironi prima per il deposito di note scritte. All'udienza cartolare del 07.04.2022, il Giudice - stante il carico di ruolo - preso atto delle note conclusive e delle note scritte, tempestivamente depositate da parte attrice, revocava il provvedimento reso all'udienza del 08.07.2021, nella parte in cui veniva disposta la discussione orale, poneva la causa in decisione, senza assegnare i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Ciò posto, deve, preliminarmente, darsi atto della proponibilità in rito della domanda risarcitoria di parte attrice, alla luce dell'invito alla stipulazione di convenzione di negoziazione assistita, inoltrata al convenuto, con lettera in atti, nonché del verificarsi della condizione di procedibilità di cui all'art. 3 D.L. n. 132 del 2014 (conv., con modificaz., dalla L. n. 162 del 2014) e stante l'esperimento ante causam (con esito negativo) del procedimento di negoziazione assistita previsto dalla disposizione in argomento (cfr. documentazione allegata all'atto di citazione). A fronte degli elementi probatori emersi in corso di causa, si ritiene acclarato il danno, il nesso eziologico tra il danno stesso e la mancanza di adeguato controllo da parte del Comune convenuto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c.. Sotto il profilo probatorio, si osserva che le domande di parte meritano accoglimento e ciò per le seguenti argomentazioni. Alla luce delle risultanze istruttorie, si evidenzia che il giorno del sinistro, l' attrice veniva immediatamente soccorsa dalla Sig.ra (...), la quale, all'udienza istruttoria del 08.07.2021, confermava che aveva visto cadere rovinosamente al suolo la Sig.ra (...) "...a causa del fogliame e della presenza di una buca coperta dal predetto fogliamente e, pertanto, non visibile; preciso che vi era scarsa illuminazione e il manto stradale era disastrato e non era illuminato....". È pertanto evidente che qualunque pedone, normalmente diligente, avrebbe potuto imbattersi nella medesima insidia o trabocchetto, insistente su quel tratto di strada liberamente calpestabile. Come è noto, secondo il costante orientamento della Suprema Corte (cfr. tra le tante Cass. (...) 4279/2008; Cass. (...) 17377/2007), la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la condotta del custode nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo, quindi, considerarsi custode chi, di fatto, ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Dunque, la responsabilità dell'ente proprietario si deve sempre presumere, a meno che questi riesca a dimostrare che la caduta del pedone sia stata imprevedibile e non tempestivamente evitabile o non segnalabile, c.d. "caso fortuito" (cfr. Cass. sent. n. 999/2014). In definitiva, nessuna prova liberatoria è stata fornita dal convenuto il quale si è limitato a dire che non sussiste il pericolo occulto. Di contro, mette conto evidenziare che parte attrice ha assolto l'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c., ai sensi del quale "chiunque chieda l'attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che voglia fare valere in via d'azione o di eccezione deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa". Pertanto, l'attrice ha assolto l'onere probatorio a sostegno dei fatti esposti in atto di citazione avendo provato che il Comune, senza alcun dubbio, è responsabile dei danni subiti a seguito del sinistro per cui è causa. Sul punto, si segnala un'ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione VI (sottosezione III), n. 1896 del 3 febbraio 2015, con la quale la Suprema Corte interviene in materia di danni da insidia stradale, con particolare riferimento alla responsabilità da cose in custodia della Pubblica Amministrazione. La pronuncia chiarisce una volta di più un principio di ordine generale inerente alla distribuzione tra le parti dell'onere della prova, nell'ambito della fattispecie speciale di responsabilità disciplinata dall'art. 2051 c.c.. La Cassazione, in particolare, precisa che la prova del caso fortuito - che consente l'esonero da responsabilità risarcitoria e che si identifica in un fattore estraneo alla sfera soggettiva del custode idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la cose e l'evento lesivo - incombe al custode, ma presuppone che il danneggiato abbia fornito in via prioritaria la prova del nesso di causalità tra l'evento dannoso lamentato e la cosa in custodia. La natura oggettiva (o "semi-oggettiva") della responsabilità da cose in custodia, ricorrendo i presupposti per l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova soltanto dell'elemento soggettivo della colpa del custode e non anche del nesso di causalità, che invece deve essere fornita. Solo allorché tale onere sia stato assolto, incomberà a parte convenuta dimostrare il caso fortuito, nei termini sopra specificati, ai fini della liberazione dall'obbligazione risarcitoria. È erroneo, in particolare, l'assunto in base al quale l'affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l'onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta "insidia", riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito. Il danneggiato, invece, è tenuto a fornire positiva prova anche il nesso di causalità tra il danno e la res e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l'attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell'intrinseca pericolosità ad essa connaturata, atteso che - in assenza di una simile caratteristica della cosa - il nesso causale non può per definizione essere predicato. La oggettiva pericolosità (c.d. "insidiosità") della res, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell'indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all'ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode. Il custode è responsabile dei danni provocati dal bene di cui è titolare, pertanto il custode risponde delle lesioni subite dal danneggiato, fatta salva l'ipotesi in cui in cui dimostri il caso fortuito. Ebbene, considerato che parte attrice ha fornito la prova del nesso di causalità tra l'evento dannoso lamentato e la cosa in custodia, il Comune convenuto avrebbe dovuto provare la presenza di un caso fortuito che avrebbe interrotto la causalità tra l'evento ed il comportamento colposamente omissivo dell'ente e nel caso in esame ciò non è avvenuto, tanto più che il Comune di Altavilla Milicia non si è costituito. Deve, pertanto, escludersi che la fattispecie in esame sia riconducibile alla responsabilità ex art. 2043 c.c. E', infatti, ormai superato l'orientamento giurisprudenziale che ai fini dell'attribuzione di responsabilità (ponendo un regime estremamente favorevole alla PA) riteneva non sufficiente una colpa generica della PA, ma necessario che il difetto di manutenzione si traducesse in un'insidia, trabocchetto o tranello, cioè un pericolo non visibile, non prevedibile, non controllabile, come tale idoneo a determinare una responsabilità per violazione del principio del neminem ledere di cui all'art. 2043 c.c.. La responsabilità ex art. 2051 c.c. integra una vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva, che trova piena giustificazione nei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode, responsabilità esclusa solamente dal caso fortuito, ovvero da elemento esterno recante i caratteri di inevitabilità ed imprevedibilità. L'evento dannoso a carico della signora (...), così come è emerso in seguito alle risultanze probatorie, è eziologicamente connesso alla esistenza di una situazione di pericolo (non segnalata), in cui la mancata messa in opera di una corretta manutenzione del manto stradale, da parte dell'Ente a ciò deputato, è stata fattore causale dei debilitanti postumi della caduta. È altresì da sottolineare la raggiunta dimostrazione circa il grado di pericolosità rappresentato dallo stato dei luoghi. Infatti, in sede di istruttoria è emerso che l'occorso incidente si è verificato a causa di quella che si può ben definire insidia o trabocchetto, essendo le condizioni del manto stradale tali che, da un punto di vista oggettivo, non era possibile rendersi conto del pericolo; da un punto di vista soggettivo, l'insidia rappresentata dalla buca, non era in alcun modo prevedibile, con l'uso della ordinaria diligenza in quanto, alla luce dei fattori obiettivi sopra ricordati, era totalmente impossibile per chiunque si fosse trovato a compiere la stessa azione materiale dell'attrice, poter razionalmente prevedere e, dunque, evitare la situazione di pericolo. Alla luce delle superiori argomentazioni, deve essere riconosciuta la responsabilità del Comune di Altavilla Milicia, nella qualità di custode della strada pubblica. In ordine al nesso eziologico tra l'evento dannoso ed i danni fisici riportati dall'attrice, il Decidente ritiene di condividere le conclusioni alle quali è giunto CTU nominato nel presente giudizio il quale, a conclusione della relazione peritale, ha affermato: "tenuto conto dei postumi permanenti di natura oggettiva cicatriziale rilevati a carico dell'arto inferiore dx e causalmente riconducibili esclusivamente agli esiti dell'evento traumatico de quo, secondo criterio analogico applicato alle voci tabellari di riferimento indicate ai barèmes valutativi attualmente in uso in ambito di responsabilitàcivile (B.C. ed altri, III ed. 2001) si ritiene equo riconoscere complessivamente all'attrice una invalidità permanente pari al due (2%) oltre ad un periodo di malattia - compatibile con i normali termini di guarigioni per lesioni in specie - quantificabile in giorni 10 di ITA, giorni 10 di ITP al 75% ed ulteriori giorni 10 di ITP al 50% e giorni 30 di ITP al 25%". Come precisato da quattro sentenze gemelle emesse dalla Corte di Cassazione a sezioni unite (le nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008), il danno biologico, quale lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.), va ricondotto nell'alveo del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. e ha una portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private (i cui artt. 138 e 139 statuiscono che "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito"), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Nella nozione di danno biologico sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti ai profili dinamico-relazionali della vita del soggetto danneggiato nonché ogni aspetto concernente la sofferenza morale, non necessariamente transeunte, conseguente all'evento lesivo, risarcibile - ex art. 185 c.p. - allorché cui tale evento configuri un illecito penale (e ciò anche nell'ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge e, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato: cfr. Corte Cost. n. 233/2003; Cass. civ. nn. 7281, 7282 e 7283 del 2003). E invero, secondo le sezioni unite della Suprema Corte, il danno non patrimoniale costituisce una categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate e il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 26972/2008). Pertanto, è fonte di ingiustificate duplicazioni di risarcimento l'attribuzione di distinte poste risarcitorie (liquidate, magari, l'una in percentuale dell'altra) a titolo di danno biologico, di danno morale e di quel pregiudizio - scaturente dalle alterazioni alla vita di relazione, dalla perdita di qualità della vita, dalla compromissione delle dimensioni esistenziali della persona - che nella elaborazione di dottrina e giurisprudenza aveva preso la definizione di "danno esistenziale" (la cui autonoma configurazione deve essere definitivamente superata, giacché attraverso questa si finisce per portare, contro la volontà del legislatore, il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno). Alla luce delle considerazioni che precedono, posto che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale (nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre), sarà compito del giudice quello di procedere ad un'adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Nella liquidazione, avente natura essenzialmente equitativa, di una tale voce di danno, questo giudice ritiene di prendere le mosse dal criterio, ormai consolidato in giurisprudenza, del cosiddetto "punto tabellare", in base al quale l'ammontare del danno viene calcolato in relazione all'età della parte lesa ed al grado di invalidità. Al riguardo i giudici di legittimità hanno precisato che "qualora la lesione ad una persona derivi dalla circolazione di veicoli a motore o natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi aredittuali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle attività produttive (art. 139, comma 5, D.Lgs. n. 209 del 2005), salvo l'aumento da parte del giudice, in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato" (Cass. civ. n. 12408/2011). Alla luce delle risultanze della perizia medico legale e, tenuto conto, delle Tabelle di Milano, il relativo risarcimento corrisponderebbe ad un importo così determinato: Età del danneggiato alla data del sinistro 71 anni Percentuale di invalidità permanente 2% Punto base danno permanente Euro 814,27 Giorni di invalidità temporanea totale 10 g Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 10 g. Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 10 g. Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 30 g. Indennità giornaliera Euro 47,49 CALCOLO del RISARCIMENTO: Danno biologico permanente Euro 1.245,02 Invalidità temporanea totale Euro 474,90 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 356,18 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 237,45 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 356,18 Totale danno biologico temporaneo Euro 1.424,71 Danno morale (33,33%) Euro 889,82 Il danno risarcibile è pertanto pari ad Euro 3.559,55 Tali somme, trattandosi di debito di natura risarcitoria, e dunque di valore, devono essere maggiorate, in assenza di specifica prova sull'entità del pregiudizio sofferto, della rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT (così da reintegrarne il valore iniziale, compensando la successiva perdita del potere d'acquisto della moneta) dalla data dell'evento (15.05.2018), nonché del lucro cessante, anch'esso in via equitativa, attraverso l'attribuzione degli interessi legali i quali, al fine di evitare l'ingiustificata locupletazione della parte creditrice vengono calcolati sul capitale originario rivalutato anno per anno dalla data dell'evento dannoso fino alla presente sentenza (v. Cass. S.U. 1712/1995 rv. 490480). Nel caso di specie, facendo applicazione di tali principi, la somma corrispondente al danno non patrimoniale deve essere riportata al valore ("devalutata") alla data del fatto ad essa deve essere poi sommato l'importo del danno patrimoniale, anch'esso devalutato alla data del fatto. Dunque, l'importo finale pari ad Euro 3.559,55, quale credito di valore, deve essere rivalutato, riconoscendo gli interessi legali per il ritardo nella liquidazione, calcolati con decorrenza dal fatto sulla somma originaria, rivalutata anno per anno. Seguendo la progressione periodica annuale, tale somma valutata all'attualità, somma in cui consistono i danni subiti da parte attrice in occasione del fatto e sulla quale, invece, decorreranno - in quanto debito di valuta - i chiesti interessi legali dalla data della presente decisione fino al saldo. Al pagamento di tale somma, in convenuto, Comune di Misilmeri, va dunque condannato al pagamento della complessiva somma di Euro 3.559,55, oltre interessi e rivalutazione come sopra specificato. Quanto alle spese, le stesse seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo con i parametri di cui al DM Giustizia n. 55 del 2014, con riferimento ai valori medi dello scaglione (fino ad Euro 5.200,00) pertinente all'effettivo valore della controversia (individuato con riferimento alla somma accordata e non a quella domandata). Va poi rilevato che la Sig.ra (...) è stata ammessa al beneficio del G.P., giusta delibera del C.O.A. di Termini Imerese del 18.10.2019 e, pertanto, i compensi devono essere ridotti alla metà, ai sensi dell'art. 130 del D.P.R. n. 115 del 2002. Le spese e gli onorari già liquidati al CTU con separato decreto, devono essere posti definitivamente a carico del Comune di Altavilla Milicia. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, nella contumacia del Comune di Altavilla Milicia, definitivamente pronunciando, così provvede: - accoglie le domande formulate dalla Sig.ra (...) per tutte le argomentazioni esposte in parte motiva; - dichiara la responsabilità del Comune di Altavilla Milicia, in persona del Sindaco pro tempore, nella causazione dell'evento dannoso sofferto dalla sig.ra (...); - per l'effetto, condanna il Comune di Altavilla Milicia, in persona del Sindaco pro tempore, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, conseguenti alle lesioni subite dall'attrice che liquida in complessivi Euro 3.559,55, oltre interessi legali e rivalutazione, come sopra specificato, dal fatto (12.06.2019), sino all'effettivo soddisfo; - condanna il Comune di Altavilla Milicia, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento in favore della Sig.ra (...) della complessiva somma di Euro 3.559,55, oltre interessi legali e rivalutazione, come sopra specificato, dal fatto (12.06.2019), sino all'effettivo soddisfo, per tutte le causali esposte in parte motiva; - condanna il Comune di Altavilla Milicia in persona del Sindaco pro tempore alla refusione, in favore dell'Erario delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 1.215,00 per compensi professionali, oltre spese generali IVA e CPA come per legge; - pone definitivamente a carico del Comune di Altavilla Milicia le spese ed i compensi del CTU. Così deciso in Termini Imerese l'11 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2022.

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