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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario, Dott.ssa M. Margherita Urso, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 913 del R.A.G.C. relativo all'anno 2023, posta in decisione all'udienza cartolare del 23.05.2024 e vertente TRA (...) rappresentato e difeso dall'Avv. (...) de Foro di Palermo ed elettivamente domiciliato presso il suo Studio in Palermo, via (...) e presso il domicilio digitale (...) giusta procura redatta su foglio separato, da intendersi comunque in calce all'atto di citazione, - attore - E (...), con sede legale in Ravenna, via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) presso il quale elegge domicilio in Palermo, Via (...), giusta procura allegata, - convenuta - E NEI CONFRONTI DI (...), in persona del suo Procuratore, Dott.ssa (...) con sede legale in Milano, via (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) del Foro di Catania ed elettivamente domiciliata presso il suo Studio sito in Palermo alla via (...), giusta procura in calce all'originale della comparsa di costituzione e risposta, - terza chiamata - avente oggetto: condannatorio da sinistro stradale valore del procedimento: Euro 45.128,50 CONCLUSIONI DELLE PARTI Tutte le parti concludono come da verbale di causa dell'udienza cartolare del 23.05.2024, cui si rinvia integralmente, MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con atto di citazione ritualmente notificato il Sig. (...) conveniva in giudizio, innanzi a questo Tribunale, la (...) e la società (...) al fine di ottenere la condanna, in solido, delle convenute al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti a seguito del sinistro occorso in data 23.06.2022 alle ore 02:30 c.ca, lungo la S.S. 121 e, più specificamente, in Mezzojuso (PA) Contrada (...) (Km 225+900). A fondamento delle domande, l'attore assumeva che - nelle predette circostanze di spazio e di tempo - alla guida della propria autovettura modello RANGE ROVER, tg. (...), durante la percorrenza del predetto tratto di strada, a causa di un'interruzione con deviazione si trovava obbligato a percorrere una strada secondaria, oggetto di lavori di manutenzione appaltati alla società (...) odierna convenuta, giusto contratto del 21 ottobre 2009, rep. 7953, racc. n. 4132, registrato in Roma in data 27 ottobre 2009. Lamentava l'attore che, a causa dell'assenza di idonea segnaletica stradale attestante la non percorribilità di un tratto di strada in prossimità di una diramazione stradale, totalmente priva di illuminazione, impattava contro alcune installazioni del cantiere appaltato e gestito dalla convenuta. Intervenuta prontamente sul posto, la Polizia Locale procedeva alla redazione del verbale di incidente stradale. Assumeva, altresì, l'attore che a seguito del sinistro de quo, subiva delle lesioni all'arto inferiore, così come descritte dalla visita medico-legale effettuata: 'ferita lacero contusa ginocchio destro. Presenza di cicatrice chirurgica. Limitazione funzionale ginocchio destro" e diverse contusioni zona scapolo-omerale, oltre al danneggiamento grave ed irreparabile della parte anteriore della sua vettura. A causa dei gravi danni riportati dall'autovettura, il sig. (...) si vedeva costretto a noleggiare un'auto sostitutiva e, in seguito, si rivolgeva ad amici per richiedere, in prestito, un mezzo sostitutivo. In data 14 febbraio 2023, l'attore vendeva l'autovettura oggetto del sinistro per un importo pari ad euro 500,00. Con nota del 6 luglio 2022, il sig. (...) provvedeva ad inoltrare formale richiesta di apertura del sinistro alla convenuta la quale, con nota di riscontro del 25 luglio 2022, declinava ogni forma di responsabilità. Con nota del 26 luglio 2022, parte attrice rinnovava la richiesta di apertura del sinistro, trasmettendo alla Società il verbale di accertamento del sinistro unitamente al fascicolo fotografico. La convenuta (...) Ltd, dietro segnalazione della (...) procedeva all'apertura del sinistro prot. P-0950-22-01105. In data 16 settembre 2022, il perito incaricato dalla convenuta (...) Ltd. procedeva a redigere apposita perizia effettuando la propria ricostruzione delle dinamiche del sinistro ed offrendo una stima del danno patrimoniale subito dall'attore. In data 21 novembre 2022, il sig. (...) diffidava le convenute al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito a causa del sinistro. Confidando nella possibilità di comporre bonariamente la vicenda, in data 13 dicembre 2022, il sig. (...) invitava le convenute ad aderire alla procedura di mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010 e ss.mm.ii. La predetta procedura si concludeva con esito negativo. Per tutti questi motivi, l'attore si trovava costretto a promuovere il presente giudizio. Con comparsa di risposta regolarmente depositata telematicamente il 25.05.2023, si costitutiva in giudizio la compagnia di assicurazioni, eccependo preliminarmente l'inammissibilità della citazione diretta, ad opera dell'attore, della Compagnia Assicurativa, trattandosi di ipotesi in cui il danneggiato non è legittimato ad evocare direttamente in giudizio l'Assicuratore. Con comparsa di risposta, la (...) si costituiva in giudizio contestando la domanda attorea e chiedendo di poter chiamare in causa la (...), quale assicuratore, per essere dalla stessa manlevata in ipotesi di condanna. Con decreto di differimento udienza del 30.05.2023, questo Tribunale autorizzava la chiamata in causa della (...) ad opera della società convenuta, differendo la prima udienza del 13.09.2023 al 16.11.2023, onde consentire l'integrazione del contraddittorio. La (...) regolarmente chiamata in causa dall'assicurata, con seconda comparsa di costituzione e risposta, si costituiva in giudizio nuovamente riportandosi alle proprie difese ed associandosi alla difesa dell'assicurato; in ordine al merito, contestava la domanda spiegata ai danni della società (...) mentre in punto di garanzia assicurativa, eccepiva l'inoperatività della polizza. Assegnati a tutte le parti i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., con ordinanza riservata del 21.11.2023, il Tribunale ammetteva l'interrogatorio formale deferito all'attore dalla (...), nonché la prova testimoniale formulata dalla difesa della convenuta (...) mentre venivano rigettate le istanze istruttorie dell'attore, ovvero le prove testimoniali e la CTU medico - legale. Espletata l'istruttoria, la causa veniva rinviata all'udienza del 23.05.2024 per la precisazione delle conclusioni, disponendo - per la predetta udienza - la trattazione scritta ed assegnando alle parti termine sino alle ore 8.00 del 23.05.2024 per il deposito di note scritte. Alla predetta udienza, sulle conclusioni rassegnate da entrambe le parti, con le rispettive note scritte, il Giudice poneva la causa in decisione, assegnando i termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. - Condizione di procedibilità: In via preliminare, si rileva che l'attore - prima di intraprendere il presente giudizio - non ha promosso il procedimento di negoziazione assistita ma il procedimento di mediazione che si è concluso con verbale negativo (cfr. verbale negativo del 16.01.2023). Invero, il quadro normativo di riferimento è costituito dall'art. 3, Decreto-Legge 12 settembre 2014, n. 132 il quale dispone, tra l'altro: "1. Chi intende esercitare in giudico un'anione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolatone di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'articolo 5, comma 1 -bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza...". Con riferimento alla fattispecie in esame, occorre valutare se possa considerarsi assolta la condizione di procedibilità a seguito dell'esperimento del tentativo di mediazione in luogo della procedura di negoziazione assistita obbligatoria. A tal fine occorre muovere dalla considerazione che i due istituti sono entrambi finalizzati alla risoluzione delle controversie in via stragiudiziale. In particolare, per ciò che concerne la negoziazione assistita, l'art. 2, D.L. 132/2014 precisa che "la convenzione di negoziamone assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96." Tramite l'introduzione di questo tipo di convenzione non si vuole che le parti si obblighino a pervenire ad una definizione stragiudiziale della controversia, ma soltanto che esse si impegnino a "cooperare in buona fede e con lealtà" per tentare di definire bonariamente la loro controversia. Si tratta di un contratto che impegna le parti a negoziare al fine di trovare una composizione della lite. Il procedimento di mediazione disegnato dal D.Lgs. 28/2010 prevede l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. La mediazione presenta, quindi, alcuni caratteri dei mezzi autonomi di composizione della lite (nella parte in cui l'eventuale conciliazione raggiunta è frutto, come nella transazione, dell'accordo delle parti) ed altri caratteri dei mezzi eteronomi di risoluzione delle controversie (considerato che, come accade in sede processuale, vi è l'intervento di un terzo, che però in questo caso non giudica). Per quel che concerne i rapporti tra il procedimento di negoziazione assistita ed il procedimento di mediazione obbligatoria, l'art. 3, D.L. 132/2014, prevede l'obbligatorietà del procedimento della negoziazione assistita in relazione alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti o di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti Euro 50.000,00, fuori dei casi previsti dall'articolo 5, comma 1 -bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Per converso, l'art. 3, co. 5, primo periodo del D.L. n. 132 del 2014, convertito nella L. n. 162 del 2014, prevede che " restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di mediazione e conciliazione, comunque denominati...". Dall'interpretazione congiunta dei due commi si ricava che l'art. 3 cit. "impone espressamente il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e procedure stragiudiziali obbligatorie, per legge o per previsione contrattuale o statutaria, salvo che la controversia non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex lege, perché in tal caso solo questa procedura va esperita" (Tribunale di Verona, 23.12.2015). Dunque, il legislatore ha inteso accordare prevalenza al procedimento di mediazione obbligatoria nelle ipotesi di potenziale cumulo tra la negoziazione assistita e la mediazione, sicché, tutte le volte in cui la controversia rientri tanto tra quelle indicate dal D.L. n. 132/2014 quanto tra quelle contenute nell'art. 5 comma 1 bis del D.Lgs. n. 28/2010, chi intenda agire in giudizio sarà tenuto a proporre solo la domanda di mediazione, perdendo così la negoziazione il carattere dell'obbligatorietà, mentre con riferimento ad altre procedure obbligatorie di conciliazione, il legislatore del D.L. n. 132/2014 sceglie di non attribuire maggiore importanza all'una o all'altra, stabilendo che esse convivano (cfr. Tribunale di Verona, 12.5.2016). Tale opzione trova la sua ratio nella stessa struttura del procedimento di mediazione, che, prevedendo l'intervento di un soggetto terzo estraneo alle parti in lite e dotato del potere di sottoporre alle parti una proposta conciliativa, risulta maggiormente articolato rispetto a quello di negoziazione assistita e non totalmente demandato all'autonomia negoziale delle (...). Ne discende che, ove la mediazione non sia obbligatoria, mentre lo sia la negoziazione assistita, non rientra nel potere delle parti scegliere l'una piuttosto che l'altra, ma esse sono obbligate ad esperire la negoziazione assistita, indipendentemente dalla potenziale efficacia dell'una o dell'altra. Tuttavia, la Corte d'Appello di Roma Sez. V ha così statuito: "La mediazione obbligatoria deve ritenersi utilmente effettuata anche nel caso in cui è previsto il diverso procedimento della negoziazione assistita in quanto la mediazione obbligatoria, comportando la presenza di un terzo imparziale quale il mediatore, offre maggiori garanzie rispetto alla negoziazione assistita." (cfr. sentenza del 13.11.2023 n. 7272). Ebbene, questo Tribunale ritiene di condividere questo principio di diritto e, pertanto, malgrado l'attore abbia promosso il procedimento di mediazione in luogo della negoziazione assistita, deve ritenersi soddisfatta la condizione di procedibilità. - Relativamente all'an debeatur, In questa sede, appare opportuno ricordare che, ai sensi dell'art. 2697 c.c., chiunque chieda l'attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che faccia valere in via d'azione o di eccezione deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa. Orbene, nella vicenda che ci occupa, è indubbio che l'onere probatorio incombente su parte attrice non può ritenersi assolto alla luce delle deposizioni testimoniali rese dai testi escussi durante l'istruttoria, nonché dalla documentazione versata in atti. - Sull'istruttoria resa in corso di causa: L'istruttoria resa in corso di causa ha fornito elementi utili che contrastano con le circostanze esposte in atto di citazione. Ed invero, all'udienza del 21.03.2024, venivano escussi i testi (...) e (...), dipendenti della (...) i quali hanno fornito una descrizione dei luoghi dove si sarebbe verificato il sinistro certamente diversa da come prospettata dall'attore. In particolare, il teste (...), dipendente della società (...) con mansione di addetto alla segnaletica stradale, ha così riferito: "preciso che io ero addetto a quel cantiere e che erano presenti sia la segnaletica orizzontale gialla che indicava la presenta del cantiere nonché i new jersey". Relativamente alla presenza dei segnali luminosi, il teste (...) ha precisato che, trattandosi di una deviazione laterale, non era necessario mettere le luci. La presenza della segnaletica orizzontale gialla e dei new jersey è stata altresì confermata dalle dichiarazioni del teste (...), addetto operaio, intervenuto sui luoghi il giorno successivo al sinistro per cui è causa. In buona sostanza, dall'assunzione della suddetta prova è emerso che, nella zona interessata dal sinistro, era stata collocata segnaletica orizzontale gialla che indicava comunemente la presenza del cantiere ed erano stati collocati anche i new jersey, dalle dimensioni non indifferenti. E' emerso, altresì, che "l'ANAS dà le direttive al Direttore di cantiere, il quale predispone un foglio con le quali vengono indicati i segnali da collocare, quali i limiti di velocità ed altro; come devono essere apposti i segnali, le strisce e le deviazioni", ed inoltre, "che noi controlliamo, periodicamente e soprattutto durante gli orari di lavoro, se i segnali sono stati apposti o se sono stati tolti" (teste (...), confermando dunque che la convenuta ha posto in essere tutte le cautele e le misure necessarie cui era obbligata e volte ad evitare il danno. Ed ancora, con riferimento al luogo in cui sarebbe avvenuto il sinistro, i testi hanno precisato che "si trattava di una deviazione laterale, per la quale non e necessario mettere le luci" (teste (...). Ed invero, così come già evidenziato e provato documentalmente (cfr. doc. 1 e 2 planimetria cantierizzazione), in quel tratto di strada non sussisteva alcun obbligo di segnalazione luminosa, essendo prescritta, ai sensi dell'art. 21 C.d.S., soltanto la presenza di segnaletica gialla orizzontale, regolarmente apposta dalla società convenuta, come indiscutibilmente emerso in giudizio. A tal ultimo riguardo, dunque, risulta del tutto ininfluente il rilievo della Polizia Stradale circa l'assenza di segnali luminosi, non essendo previsto che vi fossero. Ed ancora, nella vicenda in esame dovrà essere considerata la circostanza che trattasi di strada su cui insisteva il limite di circolazione di 30 Km/h, sicuramente non rispettato dall'odierno attore. A tal riguardo, si richiamano le dichiarazioni spontanee rese sia da (...) dipendente dell'Istituto di vigilanza operante sul cantiere della (...) il quale proprio nell'immediatezza dei fatti ha così riferito: "... a distanza ho visto un mezzo abbatteva i blocchi in plastica entrando dentro il cantiere e finendo la corsa sul guardrail...", sia dallo stesso (...)". ho imboccato il tratto chiuso urtando violentemente le barriere in plastica e dei manufatti in cemento e rovinando verso l'area del cantiere" (cfr. allegato n.3 della comparsa di costituzione della Compagnia). In buona sostanza, il (...) finiva con l'uscire dalla sede stradale destinata alla percorrenza nell'unico senso di marcia dei veicoli, oltrepassando la linea longitudinale gialla delimitante la carreggiata ed urtava il muretto tipo new jersey delimitanti il cantiere della (...). È probabile, pertanto, che la velocità di percorrenza del (...) su quel tratto di strada fosse realmente eccessiva, e - comunque - non adeguata allo stato dei luoghi. A conferma di ciò, è sufficiente considerare l'entità dei danni fisici e materiali riportati dal proprio veicolo. Tale circostanza, unitamente al fatto che il sinistro de quo si sia verificato su un tratto di strada ove insiste il limite di velocità di 30 Km/h, certamente ignorato dal conducente del veicolo, contrasta con la dinamica prospettata dall'attore. Giova, inoltre, evidenziare che un'andatura meno elevata avrebbe consentito al (...) di mantenere il pieno controllo del mezzo e di compiere ogni e più opportuna manovra d'emergenza per evitare o prevedere il sinistro come, ad esempio, rallentare la propria marcia, ovvero schivare l'eventuale ostacolo. Per tali motivi la domanda dovrà dirsi rigettata per essere il fatto interamente ascrivibile alla condotta di guida del (...), unico responsabile nella causazione del sinistro de quo. - Condotta del conducente: Da quanto emerso dall'istruttoria, appare evidente, dunque, che il sinistro è stato causato dalla condotta imperita dell'attore, il quale ha violato le più elementari regole dettate dal Codice della Strada che impongono, in presenza di linea gialla che attesta la presenza di un cantiere, una condotta di guida maggiormente prudente, specie tenuto conto dell'ora notturna in cui è avvenuto il sinistro e dunque della non ottimale visibilità che imponeva una andatura ancor più moderata. Al riguardo, in particolare, la giurisprudenza ha ritenuto che nelle ore notturne il conducente dovrebbe adottare una velocità di percorrenza addirittura al di sotto dei limiti di legge (tra le tante, Trib. Vicenza 25.2.2011, secondo cui "il limite massimo di velocità imposto per la percorrenza di determinati tratti stradali può essere raggiunto dai veicoli ivi transitanti solamente in presenza di condizioni di guida ottimali, la cui carenza, impone, pertanto, di procedere ad una velocità al di sotto del limite imposto e parametrata alle specifiche condizioni, soggettive ed oggettive, caratterizzanti il procedere del veicolo)". Nel caso concreto, invece, è emerso che l'attore, nonostante l'ora notturna, procedeva ad una velocità tutt'altro che moderata, peraltro, in violazione del prescritto limite di 30 km orari, tanto che veniva sanzionato per eccesso di velocità dalla Polizia stradale intervenuta sui luoghi. Al riguardo, la Cassazione è concorde nel ritenere che "in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost, sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro" (Cass. civ. n. 34886/2021). Pertanto, dalle concrete circostanze di tempo e di luogo, deve ritenersi che l'evento fosse assolutamente evitabile ove l'attore avesse adottato una condotta di guida prudente e che, dunque, debba escludersi ogni responsabilità della odierna convenuta, la quale, al contrario, ha adottato tutte le rituali regole tecniche di cui alle prescrizioni ministeriali e al Codice della Strada, rispettando altresì le precise prescrizioni imposte dall'A.N.A.S. nell'ordinanza di autorizzazione versata in atti. Quanto sopra risulterebbe già sufficiente ad escludere la responsabilità della (...) nel sinistro in oggetto. Con riferimento alla fattispecie in esame, va evidenziato che nessuna prova liberatoria è stata fornita dall'attore, al fine di superare la presunzione di colpa concorrente. Infatti, il Sig. (...) non ha provato di avere tenuto un comportamento prudente e consono alle condizioni stradali. In particolare, l'attore avrebbe dovuto provare di avere tenuto un comportamento prudente e diligente, tale da escludere il suo comportamento colposo, ex art. 1227 c.c.. Invero, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. Al fine di definire il concetto di "nesso di causalità", vale a dire il rapporto tra l'evento dannoso e la condotta omissiva o commissiva del danneggiante, la dottrina e la giurisprudenza civilistica hanno mutuato i principi elaborati nel diritto penale, in particolare i postulati di cui agli artt. 40 e 41 c.p., a mente dei quali non vi può essere punizione se l'evento dannoso non è conseguenza dell'azione od omissione del danneggiante. A tal proposito, l'applicazione dei principi penalistici è frutto della elaborazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 576/2008) "sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenna del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non). Tuttavia, il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'art. 41 cod. pen., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto". Nondimeno, all'interno di tali serie causali, è necessario dare rilievo esclusivamente a quelle che risultano capaci di determinare quell'evento (principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale), in relazione ad un dato statistico o probabilistico preventivamente valutabile: in buona sostanza, tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale, rapportato ad una valutazione ex ante o in astratto, integra il caso fortuito, quale causa non prevedibile: da tanto derivando che l'imprevedibilità, da un punto di vista oggettivizzato, comporta pure la non evitabilità dell'evento. Nell'effettuare una tale valutazione viene in rilievo il binomio "attenzione-percezione": la Corte di Cassazione, in alcune recenti pronunce, si è soffermata su questi aspetti ponendo in evidenza gli estremi di una valutazione di sussistenza od insussistenza del nesso di causalità fondata sull'attenzione allo stato dei luoghi ed attribuendo alla aspettativa che deriva dalla percezione del contesto specifica rilevanza. Il mancato comportamento di autotutela, per essere valutato quale causa concorrente od esclusiva idonea ad escludere il nesso di causalità, presuppone la prova che il soggetto - al quale viene imputato di non essersi posto nelle condizioni di evitare il rischio e di aver invece elettivamente deciso di correrlo - abbia già percepito una situazione di rischio e l'addebito è, appunto, quello di non aver evitato il rischio percepito scegliendo comportamento più prudente. Appare, dunque, evidente che anche il danneggiato può svolgere un ruolo determinante nella causazione dell'evento; pertanto, in relazione alla condotta dallo stesso tenuta, il risarcimento può essere proporzionalmente diminuito ovvero completamente escluso: in particolare, "quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (espressamente in tali termini: Cass. 06/05/2015, n. 9009; in precedenza, peraltro, già Cass. 10300/07). In altri termini, se e vero che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi con quella entri in contatto (Cass. 17/10/2013, n. 23584), è altrettanto vero che l'imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde anch'essa a criteri di ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata.". Il mancato comportamento di autotutela, per essere valutato quale causa concorrente od esclusiva idonea ad escludere il nesso di causalità, presuppone la prova che il soggetto - al quale viene imputato di non essersi posto nelle condizioni di evitare il rischio e di aver invece elettivamente deciso di correrlo - abbia già percepito una situazione di rischio e l'addebito è appunto quello di non aver evitato il rischio percepito scegliendo un comportamento più prudente. Dall'espletata istruttoria espletata nel corso del presente giudizio non può certamente dirsi in ogni caso provata l'asserita responsabilità in capo alla società convenuta. Ed invero, l'evento lesivo è esclusivamente addebitabile alla condotta di guida imprudente dello stesso conducente (...), il quale se si fosse uniformato alle regole più comuni del Codice della Strada, considerata la presenza del cantiere segnalato avrebbe potuto evitare o almeno ridurre i danni. In assenza di un valido supporto probatorio, la domanda di risarcimento del danno, formulata dall'attore non può essere accolta. Fermo restando l'esclusivo onere probatorio incombente sull'attore stesso ex art. 2967 c.c., sia con riferimento al fatto storico come descritto in citazione, che alle riferite conseguenze lesive, ove eziologicamente riconducibili all'evento, va evidenziata la palese accidentalità delle lesioni lamentate, non potendo le stesse ritenersi riconducibili al sinistro come prospettato in atto di citazione. Pertanto, in assenza di elementi obiettivi idonei ad asseverare quanto dedotto in citazione, questo Decidente non potrà che disattendere totalmente quanto richiesto. Alla luce delle superiori considerazioni, la pretesa risarcitoria in ordine all'asserite lesioni dovrà dirsi rigettata. Da ciò consegue che tutte le altre questioni restano assorbite dalla pronuncia di rigetto della domanda attorea per le argomentazioni sopra esposte. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al DM Giustizia n. 55 del 2014, integrato da DM 147/2022 (scaglione da Euro 26.001,00 ad Euro 52.000,00 valori minimi), tenuto conto dell'attività effettivamente svolta. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, così provvede: - rigetta le domande formulate da (...), perché infondate in fatto ed in diritto; - condanna il Sig. (...) al pagamento, in favore della (...), delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 3.809,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Sig. (...) al pagamento, in favore della società (...) delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 3.809,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Termini Imerese il 12 settembre 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Termini Imerese in persona del Giudice Dott. Rosario La Fata ha pronunziato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n.r.g. 3930 2017 TRA Ri. SPA, (C.F. (...)), con l'Avv. Lo.Ma. ATTORE CONTRO SOCIETA Al. SRL, (C.F. (...)), in persona dell'amministratore unico Ba.Gi., con l'Avv. Bi.Pi. CONVENUTA E Ba.Gi., (C.F. (...)), nq di amministratore unico della Al. srl CONVENUTO CONTUMACE MOTIVI DELLA DECISIONE - IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, Ri. S.p.a. ha convenuto in giudizio la Società Al. S.r.l. e Ba.Gi., nq di amministratore unico, chiedendo all'intestato Tribunale di dichiarare, ai sensi dell'art. 2901 c.c., l'inefficacia relativa dell'atto di dotazione del "Tr." del 28 gennaio 2013, ai rogiti del Notaio En.Ch. (Rep. (...); Racc. (...)). A fondamento della domanda spiegata, parte attrice ha, innanzitutto, dedotto di essere creditrice della Società Al. S.r.l. dell'importo di Euro 1.187.028,86, derivante dal mancato pagamento di numerose cartelle esattoriali, riferite a ruoli formati ed emessi da diversi enti impositori sin dall'anno 2002, regolarmente notificate alla società convenuta in data antecedente alla costituzione del fondo. Nel merito, l'attore ha rappresentato che il fondo ha considerevolmente diminuito la garanzia patrimoniale generica ed è stato posto in essere dalla società debitrice nella piena consapevolezza di arrecare pregiudizio alle proprie ragioni creditorie. Costituendosi in giudizio a mezzo di comparsa di risposta tempestivamente depositata, la società Al. S.r.l, in via preliminare, ha eccepito la prescrizione quinquennale dell'azione revocatoria, maturata, a suo dire, a causa dell'omessa notifica dell'atto di citazione al trustee, nonché la nullità e/o l'inammissibilità della domanda, proposta dall'attrice avverso il negozio istitutivo del trust, anziché contro gli atti dispositivi, e senza, peraltro, l'individuazione dei singoli beni, mobili o immobili, oggetto del trasferimento da revocare. La convenuta ha, poi, contestato la sussistenza dei presupposti sostanziali dell'azione revocatoria. Segnatamente, secondo la convenuta, il credito azionato da Ri. s.p.a. non è stato correttamente quantificato posto che si discosta in misura significativa dall'esposizione debitoria esistente alla data dell'istituzione del trust ed include illegittimamente anche importi di cartelle annullate, sgravate o mai notificate. Inoltre, per la convenuta, il trust non ha causato alcun pregiudizio ai creditori in quanto, per un verso, a seguito dell'operazione negoziale è rimasto immutato l'assetto proprietario dei beni, ai quali è stato soltanto impresso un vincolo di destinazione, a scopo di garanzia, funzionale a garantire la realizzazione di un progetto di riconversione industriale. Per altro verso, la convenuta ha osservato che il proprio patrimonio residuo sarebbe stato comunque sufficiente a soddisfare i crediti affidati alla gestione di Ri. spa. Da ultimo, la convenuta ha dedotto la carenza di prova dell'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2901 c.c. Sulla scorta di tali motivi, la convenuta ha chiesto all'intestato Tribunale di: i) accertare la disintegrità del contraddittorio e la prescrizione dell'azione revocatoria; ii) dichiarare la nullità o l'inammissibilità della citazione; iii) rigettare, nel merito, la domanda. La causa, istruita mediante l'interrogatorio formale di Ba.Gi., rimasto contumace, sulla scorta delle conclusioni rassegnate nelle note sostitutive di udienza, è stata posta in decisione in data 14 luglio 2023, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi. Ciò posto, in via preliminare, va respinta l'eccezione di prescrizione dell'azione revocatoria sollevata dalla società Al. srl sul presupposto che il trustee non sia stato convenuto in giudizio. A riguardo, si rileva che Ri. s.p.a, nell'atto introduttivo, ha citato a comparire davanti a questo Tribunale la società Al. s.r.l., in persona dell'amministratore unico Ba.Gi., e, subito dopo, Ba.Gi., nq di amministratore unico della società Al. srl (cfr pag. 5 della citazione), provvedendo ad eseguire la notifica nei confronti di entrambi. Ebbene, un'interpretazione coerente con il tenore dell'atto e la volontà del suo autore porta a ritenere che Ri. spa abbia inteso chiamare in giudizio due soggetti: una persona giuridica, da identificare nella società Al. srl; una persona fisica, da identificare in Ba.Gi.. Ciò si fonda sul fatto che se Ri. spa avesse inteso rivolgersi esclusivamente alla Al. srl allora non avrebbe avuto bisogno di aggiungere il nominativo di Ba.Gi. tra i soggetti citati. Da tale prospettiva, la specificazione della qualità di amministratore unico della Al. srl deve ritenersi effettuata in vista della descrizione delle funzioni svolte dalla persona fisica Ba.Gi. e non certo per operare un riferimento diretto alla società da egli amministrata, già indicata immediatamente prima nel corpo della citazione. Una volta appurato che Ba.Gi. è stato convenuto in giudizio quale persona fisica, peraltro rimasta contumace, può certamente escludersi la rilevanza dell'omessa indicazione del suo ruolo di trustee agli effetti della regolare instaurazione del contraddittorio. Ed invero, un problema di litisconsorzio avrebbe potuto porsi nell'ipotesi in cui il trustee fosse stato un soggetto diverso dai convenuti, e non evocato in giudizio; non certo nel caso, come quello di specie, in cui la qualifica di trustee è rivestita da uno dei convenuti. In altri termini, poichè nella figura di Ba.Gi. convergono la qualità di amministratore unico della Al. srl e di trustee, deve ritenersi che la vocatio in ius della persona fisica Ba.Gi. sia valsa ad integrare la chiamata in giudizio del trustee. In tal senso è orientata anche la giurisprudenza di legittimità, che, sia pure con riferimento ad una fattispecie differente, ma sovrapponibile a quella in esame, ha chiarito che: "quando una medesima persona fisica cumuli in sé la qualità di parte in proprio e quella di erede di altro soggetto, deceduto prima dell'inizio del giudizio, non è necessario provvedere all'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti quale erede, ove la stessa, avendo già acquisito la qualità ereditaria, sia stata comunque citata nella causa in proprio, ravvisandosi nella specie l'unicità della parte in senso sostanziale (diversa essendo la situazione della morte della parte avvenuta nel corso del giudizio, la quale, in seguito alla interruzione ai sensi dell'art. 299 c.p.c. e art. 300 c.p.c., comma 2, comporta la necessità della citazione in riassunzione - o della prosecuzione del processo - degli eredi in tale qualità, seppur già costituiti nel processo in nome proprio)" (cfr Cass. n. 5444/2021). A quanto già osservato, si aggiunga che l'attore, nella memoria n. 1 ex art. 183 comma VI c.p.c., ha operato una legittima precisazione della domanda introduttiva, specificando espressamente che ha inteso rivolgersi a Ba.Gi. proprio nella sua qualità di trustee. Le considerazioni esposte sono sufficienti per concludere che il contraddittorio sia stato regolarmente instaurato e che la domanda revocatoria, essendo stata proposta entro i 5 anni dalla costituzione del trust, non sia caduta in prescrizione. Sempre in via preliminare va respinta l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per la mancata elencazione dei beni del trust. Sul punto, basti osservare che la revocatoria ha ad oggetto non il bene ma il negozio con cui si dispone del bene. Ne consegue che, ai fini della validità e della completezza della domanda, occorre soltanto l'indicazione del negozio da revocare e non anche dei singoli beni che ne formano oggetto, la cui specificazione è necessaria, semmai, nell'ambito della procedura espropriativa. Nella specie, l'atto di citazione reca la puntuale indicazione del negozio da revocare, individuato nell'atto pubblico del 28 gennaio 2013 in Notar E.C.D. (Rep. (...)), sicchè la sua validità non può essere messa in discussione. A chiusura dell'esame delle questioni preliminari, va osservato che, contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto nella comparsa conclusionale, l'attore ha depositato in giudizio l'atto pubblico di cui ha chiesto la revoca. Nel merito, la domanda di parte attrice è fondata e merita accoglimento. Giova evidenziare, in diritto, che l'azione revocatoria, disciplinata dall'art. 2901 c.c., costituisce un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale generica che attribuisce al creditore il diritto potestativo di far dichiarare giudizialmente l'inefficacia relativa degli atti di disposizione compiuti dal debitore in pregiudizio delle sue ragioni, in modo tale da poter assoggettare ad esecuzione, o misure cautelari, i beni distratti. È bene tenere presente che la revocatoria ordinaria non ha effetti restitutori poichè non comporta il (re)ingresso del bene nel patrimonio del debitore ma soltanto l'incapacità del negozio di sottrarre il bene alla soddisfazione coattiva del creditore presso il terzo acquirente. L'atto revocato, dunque, è inopponibile al creditore revocante, che potrà egire in executivis, ma conserva la propria efficacia reale rispetto al terzo acquirente ed ai creditori non revocanti. Venendo ai presupposti dell'azione revocatoria, si osserva che l'art. 2901 c.c. richiede, innanzitutto, il possesso, da parte dell'attore, della qualità di creditore. Non deve trattarsi necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile, essendo idoneo a legittimare l'esercizio dell'azione anche un credito sottoposto a termine o a condizione ovvero un credito meramente eventuale o un credito litigioso (cfr Cass. 7357/2019 e Cass 11755/2018). Altro presupposto, di natura oggettiva, della revocatoria è rappresentato dall'eventus damni, che, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ricorre "non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (...)" (Cass. 19207/18). L'eventus damni, inoltre, deve essere conseguenza diretta del negozio impugnato, deve essere accertato al tempo del compimento dell'atto - restando, quindi, irrilevanti le successive vicende patrimoniali del debitore (cfr Cass. 3538/2019) - e deve sussistere fino alla proposizione dell'azione. Il positivo esperimento dell'azione revocatoria è subordinato, altresì, alla sussistenza dell'elemento soggettivo, che si atteggia diversamente a seconda che l'atto dispositivo sia anteriore o posteriore al sorgere del credito ovvero sia a titolo gratuito od oneroso. Nel caso dell'anteriorità dell'atto dispositivo, l'art. 2901 c.c. richiede il consilium fraudis, ovvero la finalità di precostituire una situazione di insolvenza in vista della successiva assunzione dell'obbligazione. Invece, nel caso della posteriorità dell'atto dispositivo, l'art. 2901 c.c. richiede la scientia damni, ovvero la conoscenza del pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni dei creditori. La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato che "In tema di condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore ("scientia damni"), essendo l'elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza, cui va equiparata la agevole conoscibilità, nel debitore e, in ipotesi di atto a titolo oneroso, nel terzo di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l'azione, e senza che assumano rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore ("consilium fraudis") ne' la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore. (...)" (Cass 7262/00). Sull'altro versante, si osserva che, se l'atto è a titolo gratuito, l'elemento soggettivo va accertato soltanto in capo al debitore mentre, se è a titolo oneroso, l'elemento soggettivo va accertato anche in capo al terzo. A riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che la distinzione tra onerosità e gratuità è strettamente legata alla presenza di una contropartita in favore del disponente (cfr Cass. 3697/20; Cass. 9320/19). Se, infatti, il disponente ricava dall'atto un'utilità economica, anche indiretta, allora l'atto sarà a titolo oneroso; se, invece, non viene compensato in alcun modo, allora l'atto sarà a titolo gratuito. Con particolare riferimento alla materia della revocatoria del trust, importanti principi possono trarsi dalla sentenza n. 1338/18 della Corte di legittimità. Qui la Suprema Corte, dopo aver ricostruito le fonti e le principali caratteristiche del trust, ha sostenuto che la natura, onerosa o gratuita, del trust, va stabilita tenendo conto del rapporto fra il disponente ed il beneficiario e non del rapporto fra il disponente ed il trustee ovvero fra il trustee ed il beneficiario. Nello specifico, secondo la Cassazione, il trust dovrà considerarsi a titolo oneroso se il rapporto sottostante tra disponente e beneficiario è di garanzia o solutorio; il trust sarà, invece, a titolo gratuito se viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente ed in mancanza di un vantaggio patrimoniale. La distinzione è importante in quanto si riflette sul litisconsorzio a livello processuale. Ed invero, se l'atto istitutivo è oneroso allora lo stato soggettivo del beneficiario entra a far parte degli elementi costitutivi della fattispecie e, dunque, egli diviene litisconsorte necessario insieme al trustee nel giudizio revocatorio; se invece l'atto istitutivo è a titolo gratuito, lo stato soggettivo del beneficiario non è elemento costitutivo della fattispecie, sicchè litisconsorti necessari saranno soltanto il disponente ed il trustee (cfr Cass 13388/18). La Corte di Cassazione ha, altresì, ritenuto assoggettabile a revocatoria non solo l'atto di dotazione ma anche l'atto istitutivo del trust. Il ragionamento della Suprema Corte muove dal presupposto che il trust è un fenomeno complesso, in cui l'atto dispositivo, da identificare nell'intestazione del bene conferito al trustee, non risulta essere isolato e autoreferente bensì dipendente dall'atto istitutivo, da cui recupera la sua ragion d'essere e causa giustificatrice. Ciò comporta che "l'inefficacia dell'atto istitutivo, come prodotta dall'esito vittorioso di un'azione revocatoria, reca con sé, dunque, pure l'inefficacia dell'atto dispositivo" posto che "la peculiare proprietà del trustee non potrebbe "sopravvivere" all'inesistenza, o al caducarsi, dell'atto che viene nel concreto a conformare tale diritto". Da qui, l'ammissibilità della domanda di revoca dell'atto costitutivo del trust, che, essendo diretta "a colpire il fenomeno del trust sin dalla sua radice", è idonea a produrre l'effetto tipico dell'inefficacia relativa del trasferimento e dell'assoggettabilità dei beni conferiti all'azione esecutiva del creditore revocante (cfr Cass 13883/20). È stato, altresì, sostenuto che i due effetti che connotano il trust rispetto ai beni che ne formano oggetto, quello di destinazione e quello segregativo, non risultano confacenti all'obbligo di mantenimento della garanzia patrimoniale generica gravante sul debitore ex art. 2740 c.c. e recano, quindi, pregiudizio alle ragioni dei creditori, impossibilitati ad agire esecutivamente sui beni conferiti (cfr Cass. 24986/19). Fatte queste premesse in diritto, nel caso di specie, si rileva che Ri. spa ha chiesto la revocatoria dell'atto pubblico del 28 gennaio 2013 in Notar En.Ch. (Rep. (...); Racc. (...)), con cui la società Al. srl ha trasferito e posto sotto il controllo del trustee Ba.Gi. i beni ed i diritti specificati nell'allegato "A", con l'obbligo di perseguire le finalità indicate nell'atto costitutivo e con l'obbligo di retrocessione dei conferimenti a favore del disponente. Contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta, l'azione di Riscossione ha avuto di mira l'atto di dotazione e non l'atto istitutivo del Tr.. Ciò lo si ricava agevolmente dall'esame del numero di repertorio, che, per l'atto istitutivo, è il n. 181.856 mentre, per l'atto di dotazione, è il n. 181.857 (cfr atto pubblico del 28 gennaio 2013 di cui al doc. 5 della produzione di parte attrice). In ogni caso, la deduzione della convenuta è assolutamente ininfluente in quanto, come già argomentato, non sussiste alcun ostacolo ad ammettere la revocatoria dell'atto istitutivo del trust. Analizzando, ora, il contenuto del negozio, ciò che innanzitutto emerge è la stretta relazione intercorrente tra i soggetti partecipanti al trust. Ed invero, all'interno dell'operazione negoziale, la società Al. srl ha rivestito contemporaneamente la qualità di disponente e di beneficiaria mentre, come trustee, è stato nominato l'amministratore unico e legale rappresentante della società Al. srl. Il rilievo non è di poco momento in quanto consente di concludere che il Tr., per effetto della corrispondenza soggettiva tra disponente e beneficiario (c.d trust autodestinato), abbia natura di atto a titolo gratuito e non a titolo oneroso, con evidenti riflessi sul piano dell'elemento soggettivo della revocatoria, da accertare solo in capo al disponente, e del litisconsorzio necessario, sussistente solo tra il debitore disponente ed il trustee. Una volta ricostruiti i tratti essenziali del negozio compiuto, occorre verificare la sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 2901 c.c. Sul punto, si osserva che Ri. spa ha agito, in forza dell'art. 49 D.P.R. n. 602 del 1973, per la tutela di crediti erariali dall'importo complessivo, indicato in citazione, di Euro 1.187.028,86, poi rimodulato in Euro 1.612.991,91 con la memoria n. 2 ex art. 183 comma VI c.p.c. I crediti presupposti, come indicato in citazione, si fondano sugli estratti di ruolo, depositati unitamente alla prova dell'avvenuta notifica delle cartelle esattoriali, e si collocano lungo un ampio arco temporale, che va dal 2002 al 2015. Ebbene, la documentazione prodotta dall'attore, recante gli elementi identificativi del credito (l'ente creditore, il debitore con il relativo codice fiscale, l'elenco dei tributi con il relativo codice, l'importo dovuto) nonchè il numero e la data di notifica delle cartelle esattoriali, restituiscono una prova adeguata del credito tutelato dalla revocatoria. A riguardo, va puntualizzato che le contestazioni svolte dal convenuto in merito ai presunti vizi di alcune cartelle esattoriali sono del tutto irrilevanti in quanto afferiscono a profili estranei alla revocatoria, in cui conta solo verificare la "non pretestuosità" del credito. A ciò si aggiunga che una conferma dell'esistenza del credito è ricavabile dalle stesse allegazioni della società convenuta, la quale non ha mai negato l'an ma soltanto il quantum dell'esposizione debitoria così come ricostruita da parte attrice (cfr. pag 5 della comparsa). In ordine all'eventus damni, si osserva che l'atto di dotazione ha certamente comportato la lesione della garanzia patrimoniale generica dell'attore, il quale, in conseguenza e per effetto del trust, si è trovato nell'impossibilità di procedere all'espropriazione dei beni conferiti ed intestati al trustee Ba.Gi.. Si consideri, poi, che la convenuta non ha adempiuto all'onere della prova posto a suo carico, consistente nella dimostrazione della capienza del proprio patrimonio residuo alla data della costituzione del trust. A riguardo, si osserva che nessuna informazione utile o affidabile può trarsi dalla documentazione prodotta dalla convenuta in allegato alla memoria n. 2 ex art. 183 comma VI c.p.c., contenente la riproduzione dei bilanci del 2012, del 2013, del 2014, dei mastrini, e di una perizia di stima di un terreno. Più precisamente, i documenti contabili depositati non rivestono alcuna utilità dal momento che sono volti a rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria complessiva di un'impresa nell'anno di esercizio e non a fornire un elenco di beni utilmente assoggettabili ad espropriazione da parte del creditore revocante. Si precisa, inoltre, che i bilanci, oltre a non individuare i singoli beni dell'impresa, non permettono neppure di risalire al loro valore di mercato posto che la contabilizzazione avviene sulla base del criterio del "costo storico" al netto degli ammortamenti, e non del valore venale. Ulteriormente, si osserva che i bilanci non consentono di individuare il patrimonio "residuo" in quanto esprimono il valore finale di tutti i beni della società, senza fare distinzione rispetto ai beni conferiti nel trust. Ciò lo si può agevolmente verificare attraverso l'esame del bilancio al 31 dicembre 2013, successivo alla conclusione del trust, e del bilancio del 31 dicembre 2012, antecedente alla costituzione del trust, che attribuiscono sostanzialmente lo stesso valore alle immobilizzazioni immateriali. Ancora, si osserva che non è neppure possibile tentare di ricostruire, sia pure approssimativamente, il valore del patrimonio residuo della società "per differenza", vale a dire partendo dal raffronto tra l'atto di dotazione ed i bilanci. Ed invero, a tal fine, sarebbe stato necessario acquisire contezza del valore di mercato dei beni conferiti nel trust, che, però, non risulta esplicitato nell'atto pubblico, in cui è indicato l'importo, evidentemente non attendibile, di 140.000 Euro per la repertoriazione. Del tutto inidonea è, altresì, la perizia di stima prodotta in atti, che fa riferimento ad un lotto di terreno dal valore di circa Euro 50.000, ben lontano dal coprire l'esposizione debitoria della società, ascendente ad oltre Euro 1.000.000,00. Nessuna rilevanza rivestono, poi, ai fini della ricostruzione del patrimonio residuo della società, i documenti denominati "progetto ricerca piattaforma" e "progetto ricerca sperimentale ascensori", allegati alla nota di deposito del 9 marzo 2019 della convenuta, in cui sono indicate le spese per materiali e consulenze affrontate in vista della realizzazione di prototipi industriali. Alla luce di quanto esposto, deve concludersi che la società Al. srl non ha fornito elementi idonei a saggiare la consistenza qualitativa e quantitativa del proprio patrimonio residuo alla data del trust. Quanto all'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2901 c.c., si osserva che, nella specie, poiché i crediti fatti valere da Ri. spa coprono un ampio arco temporale, in parte antecedente ed in parte successivo all'atto di dotazione del 28 gennaio 2013, ai fini dell'accoglimento dell'azione deve ritenersi ammessa, alternativamente, la prova della scientia damni e consilium fraudis. In vista dell'accertamento dell'elemento soggettivo, assumono sicura rilevanza le dichiarazioni rese da Ba.Gi. nel corso dell'interrogatorio formale svoltosi all'udienza del 3 febbraio 2021. In tale occasione Ba.Gi., chiamato a confermare l'esistenza di debiti verso Ri. spa anteriori alla data della costituzione trust, ha espressamente sostenuto: "ora non ricordo bene, ma credo di sì, avevo già dei debiti all'epoca della costituzione del trust". Ebbene, la superiore dichiarazione, unitamente alla prova della notifica delle plurime cartelle esattoriali emesse da Ri. spa, comprova il requisito della scientia damni poichè dà conto della consapevolezza ovvero della agevole conoscibilità da parte della società della propria esposizione debitoria al tempo della costituzione del trust, a cui si accompagna la certa conoscenza/conoscibilità del pregiudizio che sarebbe derivato al creditore revocante dal compimento del trust, atto ex sé lesivo delle ragioni dei creditori. Va, a questo punto, precisato che la conclusione raggiunta non si pone in contrasto con il tenore della sentenza n. 1012 del 30 novembre 2022 di questo Tribunale, depositata dalla società convenuta in data 13 dicembre 2022, in cui è stato esaminato il tema della validità del Tr., escludendone la nullità per frode alla legge. Ciò deriva dal fatto che la frode alla legge è un istituto da tenere distinto sia dal consilium fraudis, sia dalla scientia damni. In particolare, la frode alla legge sussiste quando un negozio realizza uno scopo contrario ad una norma imperativa, pur senza violarla formalmente, ed è sanzionata con la nullità per illiceità della causa. Il consilium fraudis, invece, riflette il concetto di frode ai creditori, ossia di atto dolosamente preordinato ad impedire il soddisfacimento delle ragioni dei creditori. La scientia damni, infine, evoca la conoscenza o la conoscibilità del pregiudizio causato dall'atto ai creditori. Poiché i tre istituti giuridici sono destinati ad operare in ambiti differenti, è possibile sostenere che una pronuncia che esclude l'elusione di norme imperative non ha alcuna rilevanza nell'ambito del giudizio revocatorio, in cui non si discute del rispetto dei valori fondamentali ed irrinunciabili tutelati a livello legislativo bensì della salvaguardia dei creditori contro gli atti compiuti in frode o in pregiudizio ai loro interessi. E nella specie, se, per un verso, non paiono essere state fornite prove sufficienti della dolosa preordinazione del trust ai danni dei creditori, per altro verso, una volta accertata la conoscenza della propria esposizione debitoria da parte della società, per il tramite delle dichiarazioni del suo legale rappresentante, può ritenersi raggiunta la prova, anche solo presuntiva, della scientia damni. Alla luce delle argomentazioni svolte, vanno ritenuti sussistenti tutti i presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria proposta da Ri. spa avverso l'atto di dotazione del Tr. del (...), ai rogiti del Notaio En.Ch. (Rep. (...); Racc. (...)). Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo sulla base dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, aggiornato alle modificazioni apportate con il D.M. n. 147 del 1922, tenuto conto del tenore dell'attività processuale in concreto svolta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede: ACCOGLIE l'azione revocatoria ordinaria proposta ai sensi dell'art. 2901 c.c. da Ri. spa e, per l'effetto, DICHIARA l'inefficacia relativa dell'atto di dotazione del Tr. del 28 gennaio 2013, ai rogiti del Notaio En.Ch. (Rep. (...); Racc. (...)); CONDANNA la società Al. S.r.l. e Ba.Gi., in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore dell'attrice, che si liquidano in Euro 13.768,00 per compensi ed otre spese vive ed oltre rimborso spese generali, IVA e CPA nella misura legalmente dovuta, da distrarsi a favore del procuratore antistatario; Così deciso in Termini Imerese il 14 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE di TERMINI IMERESE Il giudice monocratico nella persona della dott.ssa Francesca Incandela ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.3678 del Ruolo Generale affari contenziosi civili dell'anno 2018 TRA MO.GI., elettivamente domiciliata in VIA (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende per mandato in atti ATTRICE CONTRO (...) S.P.A. elettivamente domiciliati in VIA (...), presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende per mandato in atti; CONVENUTA E (...) S.P.A., elettivamente domiciliata in VIA (...), presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende per mandato in atti. CONVENUTA OGGETTO: Somministrazione. Conclusioni delle parti: All'udienza del 07/07/2023 le parti concludevano come da verbale in pari data al quale si rinvia. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Fatti controversi. Con atto di citazione ritualmente notificato in data 10.08.2018, dr. Mo.Gi. conveniva in giudizio (...) s.p.a. e (...) s.p.a. innanzi al Giudice di Pace di Termini Imerese, chiedendo la condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni asseritamente patiti alle attrezzature del proprio ufficio medico in conseguenza degli sbalzi di energia elettrica verificatisi nei periodi meglio indicati in citazione. In particolare l'attore esponeva che: - tra le parti intercorreva da tempo un contratto di somministrazione di energia elettrica (doc. 1 allegato all'atto di citazione); - a partire dal mese di giugno 2015 si erano verificati continui sbalzi di tensione che avevano causato danneggiamento di alcune apparecchiature dello studio medico (acqua spray, ablatori, compressori ecc.); - che a seguito di ali sbalzi l'attore, con comunicazione del 19.1.2016, aveva denunziato l'accaduto e contestualmente chiesto la verifica del gruppo di misura; - che tale richiesta era stata riscontrata da (...) s.p.a., con nota del 19.1.16 (doc. 2 allegato all'atto di citazione) e successiva trasmissione del rapporto di verifica di tensione (...), (doc. 4 allegato all'atto di citazione); - che, in conseguenza degli sbalzi di tensione riscontrati aveva, subito i danni patrimoniali quantificati in euro 1.153,91 quali danni alle apparecchiature in uso allo studio medico, nonchè un danno da perdita di chance quantificato in euro 3.840,00. Chiedeva, perciò, parte attrice la condanna di (...) s.p.a. al risarcimento dei danni patiti, come sopra indicati, vinte le spese. Si costituiva con comparsa di risposta unicamente (...) S.p.A. eccependo, preliminarmente l'incompetenza per territorio e per valore del Giudice adito, nonché l'improcedibilità dell'azione esperita a causa del mancato avvio della conciliazione obbligatoria c.d. (...), nonché chiedendone il rigetto nel merito. All'udienza successiva del 24.10.2018 l'attore aderiva all'eccezione di incompetenza per valore ed il Giudice di Pace adito dichiarava la propria incompetenza per valore e la competenza del Tribunale di Termini Imerese, assegnando alle parti il termine perentorio di novanta giorni per la riassunzione davanti a detto Tribunale. L'attore riassumeva tempestivamente il giudizio innanzi a codesto Tribunale dall'attore, e ribadiva le proprie domande già spiegate nell'originario atto di citazione. A seguito della riassunzione si costituivano in giudizio, a mezzo dello stesso procuratore, sia (...) che (...) spiegando le medesime difese: in via preliminare eccependo l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatoria (essendo la procedura di conciliazione esperita esclusivamente nei confronti del Distributore, dichiarata archiviata in data 29.10.2018 per l'inammissibilità della domanda perché presentata oltre i termini di legge); inammissibilità dell'atto di citazione per mancata adozione della forma telematica ai fini della riassunzione, con violazione e/o falsa applicazione dell'art. 16-bis D.L. n. 179/2012; nel merito, deducendo la mancanza di presidi di protezione posti all'origine dell'impianto di parte attrice; l'imprevedibilità dell'evento, provocato da cause non controllabili, dunque, non imputabili, atteso anche il carattere fisiologico del fenomeno degli sbalzi di corrente; la mancanza del nesso di causalità tra inadempimento e danno e la mancanza della prova dei danni pretesi. Chiedevano, quindi, la declaratoria di improcedibilità della domanda ovvero l'inammissibilità della stessa e, nel merito, il rigetto della domanda; in subordine la riduzione della pretesa risarcitoria; con vittoria delle spese di lite. (...) s.p.a. eccepiva (oltre a quanto già sollevato anche da E.), inoltre, la propria carenza di legittimazione passiva poichè, svolgendo il ruolo di venditore dell'energia elettrica (ente che, ai sensi dell'articolo 2 del D.Lgs. n. 79/99, acquista e vende energia senza essere esercente di attività di produzione né di distribuzione), cioè quale rivenditore privo di rete distributiva, non aveva alcuna responsabilità rispetto all'evento dedotto in causa. Mutato il Giudicante ed escussi i testi ammessi, parte attrice all'udienza dell'8.05.2023 chiedeva la nomina di C.T.U., rappresentando tuttavia che "attualmente lo studio è stato totalmente trasferito e non è possibile effettuare una consulenza sui macchinari" chiedendo "allora una ctu per valutare se i componenti sostituiti di cui alle fatture siano compatibili con uno sbalzo di tensione". Ritenuta la causa matura per la decisione, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 07.07.2023, assunte le quali, veniva trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini ai sensi dell'art. 190 c.p.c. 2. Questioni preliminari e/o pregiudiziali. Orbene, prima di esaminare il merito dell'opposizione è necessario analizzare l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatario di conciliazione. A tal proposito, giova precisare che per le controversie in materia di gas ed energia elettrica, dal 01 gennaio 2017 è in vigore l'obbligo di esperimento del tentativo di conciliazione a pena di improcedibilità della domanda giudiziale. Va, sul punto, richiamata la Delib. n. 209 del (...) con la quale, l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico ha approvato il "Testo integrato in materia di procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra clienti o utenti finali e operatori o gestori nei settori regolati dall'Autorità" (Testo Integrato Conciliazione-TICO), contenuto nell'allegato della delibera. Tale disciplina, in attuazione della legge istitutiva dell'Autorità (L. n. 481 del 1995, art. 2 co. 24, lettera b), e del Codice del consumo (art. 141 co. 6 lett. c), definisce la procedura per l'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso il Servizio Conciliazione quale condizione di procedibilità per l'azione giudiziale. Ai sensi della Delibera n. (...), (Testo Integrato in materia di procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra clienti o utenti finali e operatori o gestori nei settori regolati dall'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico - testo integrato conciliazione - c.d. "T.") "il Cliente o Utente finale che intende attivare la procedura può presentare la domanda di conciliazione, direttamente o mediante un delegato, anche appartenente alle associazioni dei consumatori o di categoria, dal quale decida di farsi rappresentare, solo dopo aver inviato il reclamo all'Operatore o Gestore e questi abbia riscontrato con una risposta ritenuta insoddisfacente o siano decorsi 50 giorni dall'invio del predetto reclamo" ma entro un anno dall'invio del reclamo stesso" (cfr. art. 6.1 e 6.2 della Delibera). Va osservato che, il mancato espletamento del tentativo di conciliazione di cui al combinato disposto degli artt. 2, comma 24, lett. b) della L. 14 novembre 1995, n. 481 e 141, comma 6, lett. c) del Codice del Consumo non comporta automaticamente l'improcedibilità della domanda, posto che secondo l'orientamento giurisprudenziale che si condivide, può essere concesso un termine per l'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, in linea con quanto previsto, normativamente, per altre fattispecie in cui l'espletamento della procedura della mediazione o di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (v. sul punto Cass. 8241/2020, che afferma, sia pure con riguardo alla materia delle telecomunicazioni, conclusivamente, deve ritenersi, in continuità con quanto già affermato da questa Corte sul punto, che il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni, dia luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda). A fronte di ciò, il giudizio non si chiude con una pronuncia in rito, ma il giudice deve sospendere il giudizio e fissare un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo, per poi proseguire il giudizio dinanzi a sé. D'altronde l'interpretazione qui proposta risulta, invero, assolutamente coerente con la funzione del procedimento conciliativo in parola quale emerge dall'intero sistema delineato dalla delibera su menzionata, che è quella di dotare, ovviamente in chiave deflattiva, l'utente di uno strumento che sia potenzialmente idoneo alla risoluzione delle controversie eventualmente sorte nel corso del rapporto contrattuale con il fornitore senza doversi sobbarcare i costi connessi alla tutela giurisdizionale. A ciò si aggiunga, infine, che una diversa soluzione ermeneutica contrasterebbe irrimediabilmente, dato il tenore testuale delle disposizioni sopra riportate, con l'esigenza imposta dall'art. 24 Cost. di interpretare in senso restrittivo le norme che, come in questo caso, producono l'effetto di limitare l'accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti. A fronte di ciò, deve prendersi atto come nel caso di specie l'attore, dopo aver comunque tentato (invano) il tentativo di conciliazione, abbia provveduto di sua sponte e prima del giudizio, all'invio dell'invito alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita in data 10.03.2017, assolvendo all'intento deflattivo cui la norma mira, attivandosi al fine di trovare una soluzione alternativa della controversia che ci occupa. Per tale motivo l'eccezione non merita accoglimento e va rigettata. Quanto alla questione afferente il deposito cartaceo dell'atto di citazione in riassunzione, giova menzionare l'orientamento della Corte d'appello di Reggio Calabria, che in un caso analogo ha affermato: "L'art. 16-bis, D.L. n. 179/2012 sancisce l'obbligo per le parti costituite di depositare gli atti processuali ed i documenti solo con modalità telematica: il riferimento è pertanto a tutti gli atti endoprocessuali, essendo esclusi gli atti introduttivi, per i quali il deposito telematico continua ad essere facoltativo. Ciò posto, l'atto di riassunzione deve essere considerato un atto introduttivo e, in quanto tale, ammissibile anche se depositato in modalità cartacea. Diversamente opinando, la suddetta normativa risulterebbe in contrasto con gli artt. 24 Cost., 47 Carta di Nizza; 19 Trattato UE e 6 CEDU, poiché produrrebbe un'illegittima compressione del diritto di azione" (cfr. Corte d'Appello Reggio Calabria Sez. lavoro, 24/12/2020). Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Palermo: "La norma che nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, obbliga le parti già costituite al deposito degli atti processuali e dei documenti, con modalità esclusivamente telematiche, deve essere letta ed applicata secondo la logica della flessibilità e, comunque, nel sistema dei valori processuali implicati: in particolare, l'obbligatorietà della forma (telematica invece che cartacea) deve essere necessariamente inquadrata nell'ambito del sistema delle invalidità degli atti del processo civile, di cui agli artt. 156 ss. c.p.c., per il quale non può essere dichiarata l'inammissibilità di un atto processuale per nullità-invalidità, quando ha raggiunto il suo scopo. Nel caso di specie, il deposito del ricorso in riassunzione essendo un atto con il quale si prosegue un giudizio già pendente, avrebbe dovuto essere effettuato obbligatoriamente in forma telematica; tuttavia, è stato notificato in forma cartacea e portato alla cognizione piena della controparte, dunque ha comunque raggiunto il suo scopo, vale a dire la instaurazione regolare e tempestiva del contraddittorio, attraverso la sua piena e tempestiva conoscenza di talché non può dichiararsi l'inammissibilità del ricorso" (v. Tribunale Palermo Ord., 18/05/2016). Ancora, la Suprema Corte, nel caso di giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della sentenza di secondo grado, ha affermato quanto segue: "Il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della sentenza di secondo grado può essere introdotto in forma cartacea e non telematica, non avendo il relativo atto natura endoprocessuale, atteso che il giudizio di rinvio per motivi di merito integra una nuova ed autonoma fase, che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria ed è funzionale all'emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad una precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti" (cfr. Cass. civ. Sez. II Sent, 12/05/2016, n. 9772). I citati orientamenti, che si condividono, sposano la tesi dell'inapplicabilità di una sanzione processuale in ossequio al raggiungimento dello scopo e per la carenza di esplicita sanzione di nullità. Sulla base di tali considerazioni deve pertanto ritenersi che l'inosservanza delle modalità telematiche di deposito dell'atto di riassunzione da parte dell'attore rappresenti una mera irregolarità formale in quanto non ha in alcun modo leso il diritto di difesa delle convenute, ritualmente costituite in questo giudizio e, di conseguenza, tale vizio non è tale da rendere nullo l'atto di riassunzione con il quale parte attrice ha tempestivamente riassunto la causa. Per tali motivi, l'eccezione va rigettata. 3. Merito della lite. Va in primo luogo chiarito che, la società (...) S.p.A., per quel che rileva nel caso di specie, è la società del gruppo (...)che si occupa della vendita di energia elettrica nel mercato tutelato, mentre (...) S.p.A. (già E. S.p.A.) è la società del gruppo (...) che a decorrere dal 01 gennaio 2008, esercita esclusivamente le attività inerenti la distribuzione dell'energia. Dunque, la convenuta (...), erogando prestazioni aventi ad oggetto la sola compravendita di energia elettrica, non può essere chiamata a rispondere dei danni patiti dal consumatore finale in conseguenza dell'interruzione di energia elettrica, il cui risarcimento, invece, spetta alla società che distribuisce detta energia (nella fattispecie E. s.p.a.), essendo l'unico soggetto responsabile della regolarità della somministrazione. Né (...) s.p.a. può essere chiamata a rispondere dell'operato del terzo (E. S.p.A.) ai sensi dell'art. 1228 c.c., essendo univoco anche sul punto l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in proposito, secondo cui "in caso di mancata erogazione di energia elettrica dovuta a malfunzionamento della rete di trasmissione, le società che limitano la propria attività alla mera compravendita dell'energia non possono essere chiamate a rispondere, a norma dell'art. 1228 c.c., del danno derivato agli utenti finali, poiché non sono dotate di effettivi e concreti poteri direttivi e di controllo sui soggetti cui è affidata la gestione della rete di trasmissione dell'energia e del relativo trasporto sino al punto di contatto con le singole utenze individuali, i quali pertanto non possono essere considerati ausiliari delle prime ai sensi della citata disposizione codicistica" (Cass. Civ. Sez. 3, Ordinanza n. 1581 del 23/01/2018). Per tale motivo va dichiarato il difetto di legittimazione passiva della convenuta (...) s.p.a. Ciò detto, va chiarito l'esatto inquadramento normativo della fattispecie. Sul punto, è fondata la qualificazione offerta dall'attore. Se per un verso è vero che la produzione di energia elettrica secondo l'orientamento più diffuso in giurisprudenza (ex pluris Cass. sentenza, n. 3935 04/04/1995, ordinanza n. 32498 del 12/12/2019), integra una causa di responsabilità di natura extracontrattuale da svolgimento di attività pericolo ai sensi dell'art. 2050 c.c.; per altro verso, quest'ultima norma trova applicazione qualora a subire un danno sia un terzo e non già, come nel caso di specie, nel caso in cui a subire un danno sia il contraente. In tale ultima ipotesi, evidentemente, si controverte sull'inadempimento della prestazione contrattuale di fornire energia elettrica, con conseguente applicazione della disciplina prevista dal codice civile per la responsabilità da inadempimento agli artt. 1218 e ss c.c. Risulta, infatti, circostanza pacifica tra le parti, oltre che documentalmente provata, la sussistenza di un rapporto contrattuale di somministrazione di energia elettrica (v. doc. 1 allegato all'atto di citazione); tale accordo, tipizzato dal legislatore, è disciplinato dagli artt. 1559 e ss. c.c., dove è sancito che essa ha ad oggetto la prestazione periodica o continuativa di cose. Chiarita dunque la natura contrattuale del rapporto intercorrente tra le parti, deve richiamarsi la regola relativa all'onere della prova, così come delineato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, secondo cui "il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 30/10/2001 n. 13533). Ciò posto, l'attore dr. Mo. ha fornito adeguata prova del titolo del suo diritto (v. contratto di fornitura allegato all'atto di citazione) nonché dell'avvenuto sbalzo di tensione di fornitura di energia elettrica (v. docc.3 e 4 allegati all'atto di citazione); al contrario (...) non ha fornito in giudizio la prova dell'avvenuto adempimento ovvero del fatto che l'inadempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; anzi la stessa, qualificando l'azione di parte attrice ai sensi dell'art. 2050 c.c., si è limitato ad eccepire la mancanza di qualsivoglia "condotta colposa" addebitabile nonché la mancanza del nesso causale, sostenendo che il lamentato evento (lo "sbalzo di energia"), costituisce un fatto talmente ricorrente da essere connaturato alla prestazione di fornitura; deducendo altresì la mancanza di un impianto a norma dell'attore, in assenza della prova sul punto. Su tal punto la Suprema Corte è granitica nel ritenere che: "poiché spetta al debitore - a norma dell'art. 1218 c.c. - dimostrare di non aver potuto tempestivamente adempiere la prestazione dovuta per cause a lui non imputabile, per vincere tale presunzione a suo carico egli non può limitarsi a eccepire la semplice difficoltà della prestazione o il fatto ostativo del terzo, ma deve provare di avere impiegato la necessaria diligenza per rimuovere gli ostacoli frapposti all'esatto adempimento", (Cfr. Cass. III, 18/11/02 n. 16211). Nel caso che ci occupa (...) non ha assolto all'onere probatorio sulla stessa gravante, limandosi ad allegare l'imprevedibilità dello sbalzo di tensione di energia, senza null'altro allegare e men che meno provare. Deve conseguentemente ritenersi che l'interruzione della somministrazione di energia sia imputabile a (...), tenuta nell'adempimento della prestazione a garantire la continua erogazione di energia, con responsabilità di quest'ultima per i danni derivanti dall'inadempimento in parola. Invero, dalle prove orali e dalla produzione documentale può ragionevolmente desumersi che il danno ai macchinari, per i periodi allegati in citazione, è stato conseguenza diretta ed immediata dello "sbalzo energetico" (cfr. dichiarazioni rese alle udienze del 17.4.2023 e 8.5.2023). Invero, dall'esame dei teste escussi e dalla produzione documentale versata in atti è risultato pienamente provato che dal mese di giugno del 2015 si sono verificati bruschi e continui sbalzi di tensione elettrica nonché il concomitante danneggiamento di alcune apparecchiature dello studio medico di parte attrice (acqua spray, ablatori, compressori, ecc.), tali da richiedere la loro sostituzione e/o riparazione, come da fatture in atti, pure riferibili al periodo in contestazione (v. doc.5 allegato all'atto di citazione). Tali circostanze sono state infatti confermate dalla teste Ca.Ro., all'udienza del 17.04.2023, la quale nel confermare i capitolati di prova, affermava: "E' vero, succedeva che la poltrona non funzionava più ed io dovevo disdire gli appuntamenti e contattare il nostro tecnico di riferimento". Sub 10): "che io sappia l'impianto elettrico era a norma, nel quadro elettrico v'era una spia che segnava l'andamento costante della corrente elettrica, non ricordo bene se fosse una spia o un dispositivo diverso", A.D.R.: "quando io vedevo la poltrona che non funzionava, contattavo il tecnico e lo mettevo al corrente del problema e constatava lui cosa non andasse", "la mia scrivania era abbastanza vicina alla poltrona e quando non funzionava il dottore me lo faceva presente" a.d.r. "quando non funzionava la poltrona, io ed il dottore facevano delle prove insieme per capire se si potesse rimediare la giornata lavorativa". Anche il teste Ca., escusso all'udienza del dì 08.05.2023, nel confermare i capitolati di prova precisava "si ricordo di essere andato lì più volte ad effettuare interventi di riparazione e sostituzione di ricambi delle attrezzature". Sub 3): "ricordo che quando andavo lì trovavo la tensione molto bassa svolgo la mansione di tecnico service per l'azienda, a seconda del guasto posso risalire allo stress lavorativo cui viene sottoposto il componente sostituito" (cfr. dichiarazioni rese alle udienze del 17.4.2023 e 8.5.2023). In ordine agli impianti attorei, devi ritenersi lo stesso abbia dato altresì prova dell'adeguatezza del proprio impianto, versando in atti: dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico; verbali di verifica dell'impianto elettrico dal 2013 al 2018; verifiche periodiche delle apparecchiature elettromedicali (v. doc. allegati alla memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. n. 3), neppure specificamente contestati dalla convenuta costituita. Di contro (...), che ne era onerata, non ha dimostrato nè l'adempimento della prestazione nè l'impossibilità dello stesso per la presenza di una causa ad essa non imputabile, né ha dato prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, poiché era suo onere prevedere rimedi anche tecnici per impedire e/o prevenire sbalzi di energia (sul punto non ha dedotto alcunché). Circa la quantificazione dei danni, sono state prodotte in giudizio le sette fatture: n. (...), (euro 93,84); n. (...), (euro 99,94); n. (...), (euro 110,72); n. (...), (euro 69,54); n. (...), (euro 251,20); n. (...), (euro 117,64); n. (...), (euro 411,23) - peraltro neppure specificamente ed esaustivamente contestate dalle (...). Tale documentazione appare congrua, anche in considerazione del dato cronologico e delle risultanze delle prove testimoniali, a comprovare la misura risarcitoria richiesta ed ammontante ad euro 1.153,91, essendo il giudice libero di trarre il proprio convincimento da parametri diversi, di cui l'espressione "prudente apprezzamento" adoperata dal legislatore rappresenta la sintesi. In conclusione, alla luce delle ragioni di fatto e di diritto appena esposte, la domanda proposta in giudizio da parte attrice nei confronti di (...) S.P.A. va accolta, e, per l'effetto, tale ultima parte va condannata a pagare, in favore dell'attore, l'importo di Euro 1.153,91, oltre I.V.A. Su tale importo, vanno poi calcolati gli interessi legali dal dì degli esborsi al saldo. Quanto al danno da perdita di chance, di cui l'attore ha fornito una quantificazione, la giurisprudenza più recente della suprema corte afferma: "Chi agisce per ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance è tenuto ad allegare e provare l'esistenza dei suoi elementi costitutivi, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni, ed eventualmente ricorrendo anche ad un calcolo di probabilità. In questo senso il danno da chance perduta consiste "non nella perdita di un vantaggio, economico e/o non economico, che sia certo e attuale, ma nella perdita della concreta possibilità di conseguire un vantaggio sperato". (cfr. Cassazione civile sez. III, 05/09/2023, n. 25910). Nel caso di specie l'attore non ha né allegato né provato tale danno, talché la domanda va rigettata. 4. Spese di lite. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite si ritiene equo porre a carico della parte attrice le spese sostenute da (...) s.p.a. che, per i motivi di cui sopra, non era legittimata a resistere al giudizio. Quanto invece alla regolamentazione delle spese di lite tra la parte attrice ed (...) s.p.a., in considerazione dell'esito complessivo del giudizio, che ha visto il parziale accoglimento delle domande attoree, le spese di lite vanno compensate per un terzo nei rapporti tra l'attore e E-distribuzione spa e per la parte residua vanno poste a carico della parte soccombente (...) s.p.a. È opportuno evidenziare che, ai sensi dell'art. 5, primo comma, D.M. 55/2014, ai fini della liquidazione dei compensi a carico del soccombente, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni deve aversi riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: - dichiara il difetto di legittimazione passiva di (...) S.p.A.; - accerta e dichiara la responsabilità di (...) S.P.A. nella verificazione dell'evento occorso ai danni di GI.MO. dal giugno 2015 al 12.7.2016; - condanna (...) s.p.a., in personale del legale rapp.te pro tempore, al pagamento a titolo risarcitorio in favore dell'attore della somma di euro 1.153,91 oltre interessi legali dal dì degli esborsi al saldo; - rigetta la domanda attorea volta al risarcimento del danno da perdita di chance; - pone a carico della parte attrice le spese di lite sostenute da (...) s.p.a., che liquida in complessivi euro 2.552,00 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; - compensa per un terzo le spese di lite tra l'attore e la convenuta (...) e condanna, per il residuo, (...) a rifondere le spese di lite nei confronti dell'attore, che si liquidano nella misura di euro 1.709,84, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Termini Imerese il 13 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Termini Imerese in persona del Giudice Dott. Rosario La Fata ha pronunziato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n.r.g. 3157 2019 TRA GU.PR., (C.F. (...)) e RO.PA. (C.F. (...)), con l'Avv. Gu.Ma.; OPPONENTE CONTRO TI. SPV S.R.L., (C.F. (...)), con l'Avv. Co.Lu.; OPPOSTO CONCLUSIONI: le parti hanno concluso come da note scritte depositate in sostituzione dell'udienza del 13 luglio 2023. MOTIVI DELLA DECISIONE - IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, Pr.Gu. e Pa.Ro. hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 693 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 13 luglio 2019 con cui è stato ingiunto di pagare alla TI. SPV srl (di seguito Ti.), quale cessionaria del credito, l'importo di euro 9.467,10, oltre interessi di mora e spese, per l'esposizione debitoria maturata in relazione al rapporto di conto corrente n. 0300556094, assistito da una linea di credito, instaurato con (...) spa. A fondamento dell'opposizione, gli opponenti hanno innanzitutto contestato la nullità del contratto di conto corrente e del contratto di affidamento in virtù del difetto di forma scritta ai sensi dell'art. 117 tub. Inoltre, per l'ipotesi della produzione della necessaria documentazione contabile e contrattuale da parte della Ti., essi hanno rilevato: i) l'illegittimità dell'esercizio dello ius variandi; ii); l'illegittima applicazione di interessi anatocistici e di commissioni di massimo scoperto; iii) la difformità del taeg dichiarato rispetto al taeg effettivamente applicato; iv) la nullità delle clausole relative agli interessi moratori; v) l'usura sopravvenuta. Sulla scorta di tali motivi, gli opponenti hanno chiesto all'intestato Tribunale la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Costituendosi in giudizio con comparsa di risposta tempestivamente depositata, la Ti. ha chiesto il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, evidenziando la genericità delle eccezioni degli opponenti e l'assenza di contestazioni in merito all'esistenza dei rapporti bancari. Rigettata la richiesta di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo ed esperita la mediazione obbligatoria, la causa, sulla base delle conclusioni rassegnate nelle note sostitutive di udienza, è stata posta in decisione in data 14 luglio 2023, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi. In via preliminare, va ritenuta la tardività della contestazione relativa ai vizi del procedimento di mediazione espletato in corso di causa giusta ordinanza a verbale del 12 maggio 2021, che avrebbero dovuto essere fatti valere dall'opponente entro, e non oltre, la prima udienza successiva, come espressamente previsto dall'art. 5 del dlgs 28/10. Ne consegue che, non essendo stata sollevata l'eccezione di improcedibilità per vizi del procedimento di mediazione nelle note scritte depositate in vista dell'udienza del 3 febbraio 2022, la condizione di procedibilità della domanda deve ritenersi incontrovertibilmente avverata. Nel merito, l'opposizione merita accoglimento. Giova ricordare, in punto di diritto, che l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il Giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l'onere di contestare il diritto azionato, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (Cass. n. 2421 del 2006). La prova del credito, pertanto, spetta al creditore opposto (Cass. n. 21101 del 2015; Cass. n. 17371 del 2003) il quale, peraltro, può avvalersi di tutti gli ordinari mezzi previsti dalla legge (Cass. n. 5915 del 2011; Cass. n. 5071 del 2009). Con particolare riferimento ai rapporti bancari, è opinione consolidata che l'istituto di credito, ovvero il cessionario, che agisce per il recupero del credito, ha, ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di produrre i contratti bancari e di dimostrare il processo di formazione del saldo passivo. Quanto alla prova dei contratti, si ricorda che non è possibile avvalersi del principio di non contestazione, della testimonianza o della confessione. E ciò in quanto i citati mezzi di prova non sono utilizzabili per fornire la dimostrazione dei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, tra cui rientrano i contratti bancari in virtù della chiara previsione di cui all'art. 117 commi I-III Tub (cfr ex multis Cass 2855/22). Ciò significa che, in mancanza della scrittura privata sottoscritta da entrambe le parti, ovvero dal solo cliente (cfr 2555/23), e contenente le condizioni applicabili al rapporto, il contratto deve ritenersi nullo per mancanza del prescritto requisito formale. In merito al quantum debeatur, l'istituto di credito, ovvero il cessionario, adempie al proprio onere probatorio mediante la produzione degli estratti conto a partire dall'apertura del rapporto (Cass 20221/15) non essendo sufficiente, in caso di contestazione, l'estratto conto certificato ex art. 50 Tub (cfr Cass. 14640/18; Cass 9695/11). Nella specie, la Ti. non ha adempiuto all'onere probatorio posto a suo carico. Ciò si fonda sul fatto che l'opposta non ha prodotto né il contratto di conto corrente n. 0300556094, né il contratto di affidamento, sottoscritti dal Provenza e dalla Parisi. Inoltre, l'opposto ha prodotto soltanto gli ultimi tre estratti conto antecedenti al passaggio a sofferenza di un rapporto asseritamente ultradecennale (il primo dal 31 dicembre 2013 al 31 marzo 2014; il secondo dal 31 marzo 2014 al 30 giugno 2014; il terzo dal 30 giugno 2014 al 31 luglio 2014) e l'estratto del rapporto ad incagli dal 28 luglio 2014 al 29 settembre 2015, da ritenersi del tutto insufficienti, per la loro carenza e frammentarietà, ai fini di una ricostruzione attendibile del saldo passivo. Ad una diversa conclusione non si può giungere valorizzando l'estratto conto certificato ex art. 50 Tub, che, a fronte delle contestazioni dell'opponente, riveste valore meramente indiziario e che, comunque, non fornisce alcuna indicazione in merito al processo di formazione del saldo passivo, impedendo, quindi, lo svolgimento di una compiuta verifica sulle poste addebitate. Conseguentemente, non sussistendo i fatti costitutivi del credito azionato, il decreto ingiuntivo opposto, in accoglimento dell'opposizione, va revocato. Le spese di lite, in virtù del principio di soccombenza, vanno poste a carico della Ti. e si liquidano come in dispositivo sulla base dei parametri previsti dal D.M. 55/14, aggiornato alle modificazioni apportate con il D.M. 147/22 tenuto conto della semplicità delle questioni decise e del tenore dell'attività processuale svolta, senza operare l'incremento del 30% ai sensi dell'art. 4 comma II D.M. 55/14. In virtù del separato decreto del 10 novembre 2023, con cui è stata disposta la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato degli odierni opponenti, le spese di lite afferenti al periodo antecedente al 1 maggio 2021 vanno liquidate in favore dell'erario mentre quelle successive vanno liquidate in favore degli odierni opponenti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede: REVOCA il decreto ingiuntivo n. 693 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 13 luglio 2019; DICHIARA l'insussistenza del credito fatto valere dalla TI. SPV srl nei confronti di Provenza Guido e Parisi Rosa per le causali di cui in parte motiva; CONDANNA l'opposta al pagamento delle spese del giudizio di opposizione, che si liquidano in complessivi euro 4.237,00 per compensi, oltre spese vive, DISPONENDO che euro 1.696,00 per compensi, oltre spese vive ed oltre rimborso spese generali, iva e cpa, nella misura legalmente dovuta, siano corrisposte in favore dell'erario ed euro 2.541,00 per compensi, oltre spese vive ed oltre rimborso spese generali, iva e cpa, nella misura legalmente dovuta siano corrisposte a favore degli opponenti. Termini Imerese 10 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...) del R.A.G.C. relativo all'anno 2019, posta in decisione all'udienza del 08.06.2023, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, e vertente TRA (...), nato a G.I. (R.) il (...) C.F. (...), residente in (...) nella Via P.A. n. 5, ivi elettivamente domiciliato in Via (...) presso lo studio dell'Avv. Al.Ge. che lo rappresenta e difende per mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, - attore - E Condominio "(...)" (Cod. Fisc. (...)) sito in (...) di (...) Via T. della V. nr. 16, in persona del suo Amministratore pro tempore Rag. (...) nato a (...) il (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Gi.Di., - convenuto - avente oggetto: opposizione delibera condominiale valore della causa: indeterminabile MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (L. 18 giugno 2009, n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con atto di citazione notificato il 27.12.2019, il Sig. (...) conveniva in giudizio il Condominio "(...)" e, premettendo di essere proprietario, di un'unità abitativa all'interno del Condominio "(...)" di (...), deduceva che in data 16.06.2019 l'Assemblea condominiale deliberava a maggioranza assoluta la collocazione dei contenitori per la raccolta differenziata nell'area adiacente al cancello condominiale senza la costruzione di nuovi manufatti fissi o mobili. Chiedeva, pertanto, previa sospensione dell'efficacia della delibera assembleare, che venisse dichiarata la nullità della deliberazione assembleare del 16.06.2019 del Condominio "(...)" ordinando al Condominio la collocazione di detti contenitori in altra sede distante non meno di 30 metri dall'abitazione attorea. Si costituiva il condominio "(...)", il quale contestava tutte le domande ex adverso formulate in quanto infondate in fatto e in diritto. Assegnati ad entrambe le parti i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., la causa veniva istruita con la prova testimoniale dedotta da entrambe le parti. Veniva ammessa ed espletata la CTU e la causa, ormai matura per la decisione, veniva rinviata all'udienza del 08.06.2023. Alla predetta udienza, sulle conclusioni rassegnate da entrambe le parti, la causa veniva posta in decisione, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c., per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Premesso quanto sopra, passando alla trattazione del giudizio, nel merito, si rendono necessarie le seguenti considerazioni. Il CTU ha, preliminarmente, accertato che la distanza dai contenitori all'ingresso dell'unità di proprietà dell'attore è di mt. 13,50 e quindi superiore a quanto previsto dall'Art. 25 del regolamento comunale per la raccolta differenziata e la gestione dei rifiuti urbani assimilabili del comune di Campofelice di Roccella. Lo stesso CTU ha preso in esame n. 2 ipotesi individuate con le lettere a) e b) nella propria relazione, concludendo che l'unica ipotesi possibile è la prima, ovvero (soluzione A): "1) Mantenimento dei contenitori in adiacenza al cancello condominiale, al fine di facilitare le operazioni di svuotamento dei contenitori. Inoltre, nella posizione in cui si trovano, risultano ben riparati dalle raffiche di vento. 2) Pulizia dei contenitori, specialmente, il giorno del ritiro organico e secco differenziato. 3) Aumento del numero di contenitori, vista la quantità di villette, in modo da evitare l'eventuale abbandono per terra di qualsiasi genere di rifiuti; 4) Al fine di evitare il conferimento rifiuti in orari non previsti, si potrebbe installare un cancelletto automatico con timer/orologio di apertura e chiusura del cancello dalle ore 22:00 alle ore 6:00, come da regolamento previsto per il conferimento, fornendo all'operatore che si occupa della raccolta, la chiave o il codice di accesso per poter accedere nella zona contenitori; in questo caso, durante le ore diurne, i contenitori rimarrebbero vuoti e puliti. (Si all'allegato n.1 - foto n.6)". Il CTU ha pure precisato che non ha riscontrato alcun cattivo odore e che i contenitori erano ben puliti. Infine, ha rappresentato di aver richiesto presso l'ufficio tecnico del Comune di Campofelice di Roccella, il parere di fattibilità tecnica e urbanistica per la collocazione di una struttura precaria (quale ad es. prefabbricato in legno lamellare o altro tipo di lamierato), utile a riparare i contenitori dei rifiuti, sia presso l'attuale ubicazione, che in caso di ripristino della collocazione degli stessi in corrispondenza dei parcheggi veicolari. Con nota 20180/2022 il Comune di Campofelice di Roccella faceva presente che l'area ricade nella fascia ad immodificabilità assoluta di cui all'art.15 lett. a) della L.R. n. 78 del 12 giugno 1976, per cui nulla edificazione è consentita. Il Geom. (...), così concludeva: "Inoltre, lo stesso CTU, al fine di poter individuare un'eventuale terza soluzione, ha richiesto ulteriore parere di fattibilità tecnica e urbanistica per i lavori di apertura della recinzione e del muretto, con installazione di un cancelletto pedonale, al fine di poter individuare un'ulteriore zona dove collocare i mastelli condominiali, facilitando l'operazione di svuotamento dei contenitori da parte della ditta autorizzata direttamente dall'esterno del condominio. Nonostante l'ufficio gestione integrata dei rifiuti abbia rilasciato parere favorevole con la nota n.23187/2022, l'ufficio tecnico, con nota 22589/2022 avvisava che l'area ricade nella fascia ad immodificabilità assoluta di cui all'art.15 lett. a) della L.R. n. 78 del 12 giugno 1976. Pertanto, in risposta al quesito C, nulla è consentito. (cfr. allegato n.3 - documentazione comune di Campofelice di Roccella)." Per quanto sopra esposto, appare evidente che la soluzione prospettata dal CTU è l'unica condivisibile. In merito all'attività istruttoria resa in corso di causa, si rendono necessarie le seguenti considerazioni. I testimoni indicati da parte attrice hanno confermato le circostanze articolate in atto di citazione e nella memoria ex art. 183, VI comma, n. 2 c.p.c.; i testi, (...) (fratello dell'attore) e (...) (nipote dell'attore), hanno confermato che prima i cassonetti si trovavano in fondo al parcheggio e che poi, successivamente, sono stati allocati di fronte l'abitazione di (...); hanno poi confermato la presenza dei cattivi odori, soprattutto, nelle giornate di forte vento (cfr. verbale di udienza del 13.04.2022). All'udienza del 27.01.2022, veniva sentito - in sede di interrogatorio formale - il Sig. (...), nella qualità di amministratore del Condominio convenuto, il quale così dichiarava: "preciso che trattasi di un Condominio che si trova di fronte al mare e sono frequenti le mareggiate; preci1so altresì che sono frequenti forti raffiche di vento; preciso che la collocazione attuale dei recipienti risulta opportuna in quanto i recipienti sono più ri1parati rispetto a questi eventi atmosferici; preciso che in passato i predetti recipienti che si trovavano posizionati in altri punti, sono stati travolti dalle mareggiate e dalle forti raffiche di vento". L'amministratore del Condominio ha spiegato il motivo per il quale si era reso necessario spostare i contenitori dall'allocazione originaria, poiché: "l'ubicazione dei contenitori era stata contestata da parte della (...) e dal Comune, tanto è vero che mi veniva notificata una nota, non ricordo con esattezza l'anno, con la quale mi sollecitavano di spostare i contenitori; preciso, tuttavia, che prima di ricevere tale sollecito, i dipendenti della (...) si lamentavano dell'ubicazione dei contenitori in quanto avevano difficoltà ad entrare nel residence per prelevare i rifiuti; infatti per tale servizio, vengono utilizzati grossi autotrasporta1tori che aveva difficoltà ad entrare ed a muoversi all'interno del residence; peraltro, i dipendenti della avevano difficoltà a passare con i mezzi, con il rischio di danneggiare le auto parcheggiate all'interno; e poi, soprattutto in estate, il parco del residence è frequentato da bambini, ed il passaggio degli automezzi poteva risultare lesivo dell'integrità e dell'incolumità dei bambini; preciso, che si era reso necessario istituite un senso unico, costringendo i mezzi a fare un lungo giro per recuperare i bidoni, evitando così di danneggiare le auto; mentre posizionando i contenitori vicino al cancello, i mezzi della (...) non entrano più all'interno del residence ma restano fuori per prelevare i rifiuti; preciso che il terreno del residence non è piano ma è costituito da brecciolino, trattasi più precisamente di un terreno non pianeggiante e, considerato, che si trova di fronte al mare il terreno non è uniforme ma risulta con avvallamenti". Il Sig. (...) ha poi confermato che le abitazioni del Condominio convenuto si trovano di fronte al mare e che sono frequenti le mareggiate, così come le forti raffiche di vento; ha poi precisato che: "la collocazione attuale dei recipienti risulta opportuna in quanto i recipienti sono più riparati rispetto a questi eventi atmosferici; preciso che in passato i predetti recipienti che si trovavano posizionati in altri punti, sono stati travolti dalle mareggiate e dalle forti raffiche di vento". Tale circostanza veniva confermata anche dal Responsabile del Centro di Protezione Civile, teste escusso all'udienza del (cfr. verbale in atti); il teste ha infatti precisato che, negli anni precedenti, a causa di violentissimo vento di maestrale e conseguente mareggiata, i cassonetti erano stati scaraventati verso le abitazioni e che i rifiuti erano stati sparsi in tutta l'area sud-est del condominio e non si era verificato alcun grave danno alle persone solo ed esclusivamente perché, dato il periodo autunnale, il condominio era pressoché disabitato. Il teste, (...), Responsabile della ditta (...) che gestisce la raccolta dei rifiuti nel Comune di Campofelice di Roccella ha riferito che l'attuale collocazione dei contenitori è l'unica possibile anche in relazione all'Ordinanza Sindacale n. 11 del 14.03.2018 (in atti) che prescrive che i mezzi della raccolta dei rifiuti non possono entrare all'interno dei Residence, ma solo in prossimità del cancello d'ingresso. Lo stesso teste ha pure affermato che, se qualche operatore entra all'interno del Residence, lo fa assumendosi la responsabilità personale in quanto tale ingresso risulta illegittimo. E' altresì emerso che il Condominio è dotato di un servizio di pulizia, come riferito dal teste, (...), nella qualità di titolare di una piccola azienda di servizi per la pulizia e disinfestazione dei bidoni della spazzatura condominiali. Il teste ha precisato che presta la sua attività al Condominio (...) per il periodo giugno - settembre; anche il teste, (...), confermando le circostanze di cui alla memoria ex art. 183, VI comma, n. 2 c.p.c. del Condominio convenuto, ha così precisato: "confermo la circostanza; posso precisare che tutti i giorni il Comune per la raccolta della differenziata; poi c'è una ditta privata che provvede alla pulizia dei contenitori per igienizzarli e spruzzano pure profumarli; posso precisare che la ditta raccoglie i bidoni proprio nel punto dove c'è la raccolta dell'acqua cioè i tubi; svuotano i contenitori; fanno i sacchi di differenziata e, una volta vuoti, li puliscono". Il teste, (...), ha poi precisato: "i bidoni prima non avevano un'allocazione stabile; spesso li trovavamo in mezzo al residence spostati dal vento e la spazzatura per terra; poi li abbiamo sistemati in un punto riparato; appena si entra c'è un sentiero ed inizia il parcheggio ed i bidoni si trovano all'angolo dietro la protezione del cancello; riconosco la piantina che mi viene esibita; posso precisare che, da come si evince dalla piantina, con il giallo è indicata l'attuale postazione dei bidoni, che sono coperti dal cancello di ingresso, come ho sopra precisato, il conducente del camion ha il telecomando per aprire il cancello; entra all'interno del cancello fa cinque metri poi, all'interno del residence, svuota i bidoni per la differenziata e poi va via; prima però dell'attuale postazione dei bidoni, il camion era costretto ad entrate all'interno del residence per1correre tutti il perimetro del residence con grave pericolo per le auto ivi parcheggiate e per i bambini che giocano; infatti è capitato che cinque auto so1no state danneggiate dal camion; per superare questo problema, abbiamo indetto un'assemblea condominiale ed abbiamo deciso di posizionare i bi1doni dietro il cancello per facilitare la raccolta della spazzatura al camion; prima i bidoni non erano allocati una posizione definita perché non c'era obbligo della differenziata" (cfr. verbale di udienza del 26.05.2022). L'attore, prima dell'escussione del teste (...), ne ha eccepito l'attendibilità in quanto portatore di un interesse attuale e concreto nel presente giudizio. Ebbene, dalle dichiarazioni rese dal teste, non ritiene il Decidente di poter ravvisare elementi che possano far pensare ad un interesse personale del teste all'esito del presente giudizio. La predetta eccezione deve, pertanto, essere rigettata. Tutti i testi hanno confermato che nessun cattivo odore promana dai contenitori dei rifiuti anche perché regolarmente puliti. Sotto il profilo documentale, va evidenziato che il Condominio ha prodotto la lettera del 17.09.2018, con la quale l'amministratore del Condominio informava i condòmini concludendo che "... il deliberato assembleare del 29.04.2018 circa la collocazione dei contenitori dei rifiuti è conforme a quanto previsto dal Regolamento Comunale per la raccolta differenziata e la gestione dei rifiuti solidi urbani del Comune di Campofelice di Roccella e pertanto il deliberato assembleare è legittimo e valido e applicabile". Inoltre, nella stessa lettera, l'amministratore specificava quanto disposto dall'Ordinanza Sindacale n. 11 del 14.03.2018, ed in particolare: - I contenitori sono concessi al condominio in comodato d'uso gratuito e devono essere tenuti ed esposti in condizione di normale pulizia e cura del condominio stesso; - I contenitori, nelle giornate e negli orari di prelevamento previsti dall'apposito calendario, vanno posti, a cura del condominio, nelle immediate vicinanze del singolo numero civico, posizionandoli sul limite tra la proprietà pubblica e quella privata (marciapiede, soglia, davanti al cancello del passo carraio, etc.) in luogo accessibile agli operatori o ai mezzi di raccolta, senza arrecare pregiudizio alla pubblica viabilità; - Con deroga eccezionale, per evitare che i passanti possano depositare in modo incontrollato e illecito i rifiuti, sarà cura dell'Amministrazione del condominio autorizzare e concordare con il gestore del servizio l'eventuale accessibilità dei mezzi di raccolta all'interno delle aree condominiali in cui sono posizionati i contenitori; tali aree dovranno essere ubicate nelle immediate vicinanze del passo carraio, in modo da evitare che i mezzi della società addetta al servizio debbano percorrere strade o tratti di esse". Dalla documentazione in atti, dalle risultanze probatorie emerse in corso di causa e, per ultimo, dalla relazione peritale, risulta evidente che la soluzione sempre prospettata dal sig. (...) e cioè quella di collocare i cassonetti nel viale di fronte al parcheggio delle autovetture, è impraticabile in quanto costringerebbe il mezzo della ditta (...) ad entrare all'interno del Condominio con serio pregiudizio per la pubblica incolumità. Infatti, come è emerso dalle risultanze istruttorie, la soluzione prospettata dall'attore è stata temporaneamente praticata, con esiti negativi in quanto ci si è resi conto del conseguente rischio in quanto il pietrisco che pavimenta i viali interni spesso veniva lanciato dalla pressione delle ruote dei mezzi della (...) sulle stesse pietre con serio pregiudizio per l'incolumità delle persone e, specialmente, dei bambini che, ovviamente, spesso si ritrovano a giocare nei predetti viali. In ogni caso, proprio il Sig. (...), Responsabile della Ditta (...) (sentito come teste nel giudizio), in più occasioni ha fatto presente che i propri mezzi non possono circolare all'interno dell'area condominiale per ragioni di sicurezza e che i contenitori dovevano essere collocati in prossimità dell'ingresso per consentire ai mezzi e agli operatori un agevole ritiro dei rifiuti. Infatti, i contenitori (come si evince dalle riproduzioni fotografiche versate in atti) sono collocati in una idonea area all'interno del condominio che rimane pressoché "nascosta", in prossimità dell'ingresso e tra il cancello e la strada pubblica da cui accedono i mezzi della raccolta dei rifiuti. Peraltro questa zona, al contrario di quella indicata dallo (...), è illuminata e consente un agevole deposito della spazzatura che, per Ordinanza sindacale, deve essere effettuato dalle ore 22,00 in poi. Peraltro, come si evince dalla nota del Responsabile dell'Ufficio A.R.O. del Comune di Campofelice di Roccella, Arch. (...), del 27.12.2019 prot.n. (...), "a seguito di sopralluogo, si è potuto accertare che i contenitori per la raccolta dei rifiuti sono collocati in maniera ottimale e conforme a quanto previsto con O.S. n. 11/2018 e successive note.". A ciò si aggiunga che, come si evince dalla documentazione prodotta (Rendiconto condominiale 2019 e Bilancio preventivo 2020), la pulizia dei cassonetti nei mesi di Giugno, Luglio, Agosto e Settembre viene effettuata ogni settimana dalla ditta "(...)", come confermato dal teste (...) (n.q. di titolare dell'omonima ditta). Per quanto sopra, si può affermare che, sia la distanza dei contenitori dalle unità abitative (compreso quella di proprietà di parte attrice) che l'attenzione posta nella pulizia degli stessi, garantisce che dai predetti cassonetti non fuoriesce alcun cattivo odore, come verificato dal CTU nominato. Inoltre, contrariamente a quanto prospettato dall'attore, non può essere costruito alcun manufatto per contenere e/o riparare i cassonetti in quanto vige il vincolo di inedificabilità assoluto entro i 150 mt. dalla battigia e il luogo indicato nell'atto di citazione di parte attrice è senza alcun dubbio entro la predetta distanza. Alla luce delle superiori argomentazioni, deve concludersi per il rigetto delle domande formulate dall'attrice perché infondate in fatto ed in diritto. Per tali ragioni, il Condominio convenuto ha chiesto la condanna di parte attrice al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Sul punto si osserva che: "L'applicazione dell'art. 96 co. 3 c.p.c. deve rivestire carattere eccezionale, cioè confinato nell'ambito di gravi violazioni e non semplicemente nella allegazioni di fatti o situazioni che rappresentano la pretesa di una parte e che, come tali, vengono sottoposte al vaglio di un organo giurisdizionale chiamato a valutarne la fondatezza o meno." (cfr. Corte appello Trento sez. II, 15.07.2020, n.153). Ed ancora: "In tale ottica, non è sufficiente che parte attrice abbia portato avanti tesi giuridiche che il giudice abbia ritenuto errate, ma è necessario che la controparte deduca e provi la consapevolezza dell'infondatezza ovvero il mancato utilizzo del minimo di diligenza ordinaria." (cfr. Corte appello Napoli sez. VIII, 13.02.2020, n.679). Applicando i suesposti principi alla fattispecie in esame, ritiene questo Decidente che non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda formulata dal Condominio convenuto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, applicando i parametri del D.M. n. 55 del 2014, con le tabelle aggiornate con D.M. n. 147 del 2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione respinta, così provvede: - rigetta le domande di parte attrice perché infondate in fatto ed in diritto; - rigetta la domanda di condanna per lite temeraria avanzata dal Condomino convenuto, perché infondata in fatto ed in diritto; - condanna l'attore al pagamento, in favore del Condominio "(...)", in persona del suo Amministratore pro tempore Rag. (...), delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 5.431,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - pone definitivamente a carico dell'attore le spese ed i compensi liquidati al CTU. Così deciso in Termini Imerese il 31 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Termini Imerese, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Riccardo Pappalardo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2839 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi dell'anno 2019 vertente TRA Pi.Pi., cod. fisc. (...), nato a B. il (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Gu.Ra., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti; - parte opponente - CONTRO Agenzia Delle Entrate-Riscossione (già Ri. S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. D'A.Ma., che la rappresenta e difende giusta procura in atti; - parte opposta - E NEI CONFRONTI DI Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della P.M., in persona dell'Assessore pro-tempore, rappresentato e difeso exlege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici è domiciliato; -terzo chiamato- Oggetto: Opposizione a cartella di pagamento. FATTO Con atto di citazione notificato in data 11.09.2019 Pi.Pi. ha proposto opposizione avverso la cartella di pagamento n. (...) - emessa da Ri. S.p.a. per un importo di Euro 841.519,43 (o Euro 817.708,73 in caso di pagamento entro sessanta giorni dalla notifica) e notificatagli il 9.07.2019 - conseguente al mancato pagamento della sanzione irrogata con ordinanza ingiunzione n. 11/2020 del 17.11.2010 dall'Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della P.M. della Regione Siciliana. In particolare, il Pipia, a fondamento della propria opposizione, ha dedotto: (i) la nullità della cartella per difetto e/o carenza di motivazione; (ii) l'inesistenza e la nullità della cartella per difetto di notificazione (risultando essa priva della relata di notifica e della sottoscrizione del messo notificatore, e non risultando nella stessa l'identità del notificatore e la data di notifica della cartella); (iii) la mancata indicazione della data di consegna dei ruoli (sicché non è dato evincersi il rispetto del termine di cui all'art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973 da parte del concessionario della riscossione); (iv) l'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento; (v) l'erronea applicazione della maggiorazione di cui all'art. 27 L. n. 689 del 1981. Ha chiesto, pertanto, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, che venga dichiarata la nullità della cartella di pagamento e, in subordine, la riduzione del relativo importo. Con comparsa di costituzione e risposta del 30.01.2020 si è costituita Ri. S.p.a. (adesso, Agenzia Delle Entrate-Riscossione) la quale ha chiesto preliminarmente di essere autorizzata a chiamare in causa l'Autorità che ha irrogato la sanzione, configurandosi nel caso di specie un'ipotesi di litisconsorzio necessario. L'Agente della riscossione, inoltre, ha eccepito l'inammissibilità dell'opposizione (proposta oltre il termine perentorio di venti giorni decorrente dalla notifica della cartella) e, nel merito, ha chiesto la reiezione di tutte le domande formulate da parte opponente, in quanto infondate. Autorizzata la chiamata di terzo, con comparsa di costituzione del 22.06.2020 si è costituito in giudizio l'Assessorato regionale, eccependo preliminarmente l'incompetenza territoriale del Tribunale adito e contestando nel merito le deduzioni di parte opponente. L'Ente regionale ha sottolineato, inoltre, la legittimità della pretesa, depositando l'ordinanza ingiunzione n. 11/2010 del 17.11.2010 da cui trae origine il credito vantato ed evidenziando che tale ordinanza è stata confermata dalla sentenza n. 5204/2014 (R.G. n. 16835/2010), passata in giudicato, emessa dal Tribunale di Palermo all'esito del giudizio di opposizione. Non essendo state formulate richieste istruttorie, la causa, dopo la concessione dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. Da ultimo, assegnato il procedimento ad altro Giudice, le parti hanno precisato le conclusioni con le note di trattazione scritta ex art. 127-ter c.p.c. depositate in sostituzione dell'udienza del 29.06.2023, sicché, con ordinanza del 12.07.2023, la causa è stata posta in decisione con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190, comma 1, c.p.c.. DIRITTO Costituisce ius receptum (cfr. Trib. Roma, 1.02.2021, n. 1763) il principio per cui, in relazione alla cartella esattoriale notificata ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie, sono ammissibili, a seconda dei casi, tre rimedi: a) l'opposizione nelle forme previste dalla L. n. 689 del 1981 e dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 150 del 2011 per contestare le sanzioni per cui sia mancata la notificazione dell'ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione al codice della strada, al fine di consentire all'interessato di recuperare l'esercizio del mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori; b) l'opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., allorché si contesti la legittimità dell'iscrizione a ruolo per la mancanza di un titolo legittimante o si adducano fatti estintivi (ad es. la prescrizione o l'avvenuto pagamento) asseritamente sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo; c) l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. quando si contesti la regolarità formale della cartella esattoriale o si adducano vizi di forma del procedimento esattoriale, compresi i vizi strettamente attinenti alla notifica della cartella e quelli riguardanti i successivi avvisi di mora (cfr. Cass. n. 562/2000; Cass. n. 21793/2010; Cass. n. 19801/2014). Sono riconducibili a questa fattispecie, pertanto, i vizi che riguardano, ad esempio, la mancata sottoscrizione della cartella esattoriale, l'omessa notifica della cartella stessa (cfr. Cass., Sez. II, 4.09.2019, n. 22094), etc.. Il caso qui in esame va ricondotto, limitatamente al motivo di opposizione concernente le maggiorazioni applicate ai sensi dell'art. 27 L. n. 689 del 1981, al rimedio dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615, comma 1, c.p.c., trattandosi di una contestazione che riguarda fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo e comunque sopravvenuti rispetto alla notificazione dell'ordinanza ingiunzione. Con riguardo ai restanti motivi di opposizione (attinenti alla legittimità della cartella esattoriale) deve applicarsi, invece, la disciplina relativa all'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 1, c.p.c.. L'opponente, infatti, con tali doglianze, non ha contestato la legittimità dell'atto presupposto (sulla quale, comunque, si è già pronunciato il Tribunale di Palermo nella sentenza sopra richiamata), né ha allegato fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dall'Amministrazione, ma, al contrario, si limita a contestare la legittimità della cartella di pagamento per vizi relativi alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo. Al lume di queste premesse, non merita accoglimento, dunque, l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo con riferimento al c.d. foro erariale, e ciò in virtù di quanto disposto dall'art. 7, comma 1, R.D. n. 1611 del 1933 (a norma del quale "Le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'Amministrazione dello Stato, per i giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori, nonché per i giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari e a quelli di cui agli artt. 873 del codice di commercio e 94 del codice di procedura civile. Rimangono ferme inoltre nei casi di volontario intervento in causa di una Amministrazione dello Stato e nei giudizi di opposizione di terzo"). Sicché il giudice territorialmente competente è quello del luogo dell'esecuzione individuato ai sensi dell'art. 27 c.p.c., e la competenza territoriale, nel caso di specie - non contenendo la cartella esattoriale la dichiarazione di residenza o domicilio della parte istante di cui all'art. 480, comma 3, c.p.c. -, si radica nel luogo in cui la cartella esattoriale è stata notificata, ossia presso il luogo di residenza dell'obbligato (cfr. Cass., Sez. IV, 4.04.2018, n. 8402). Tutto ciò premesso, con riguardo agli asseriti vizi formali attinenti alla cartella di pagamento, deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'opposizione, essendo stata proposta oltre il termine perentorio di venti giorni dalla notificazione della cartella. Sul punto, giova ricordare che l'opponente ha l'onere di provare il momento in cui abbia avuto conoscenza legale o di fatto dell'atto esecutivo che assume viziato, non potendosi altrimenti verificare il rispetto del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione (v., ex multis, Cass. n. 3205/2016. Si v. anche Cass. n. 7051/2012, secondo cui "colui il quale propone opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ., ha l'onere di indicare e provare il momento in cui abbia avuto la conoscenza, legale o di fatto, dell'atto esecutivo che assume viziato, non potendosi altrimenti verificare il rispetto da parte sua del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione"). Nondimeno, nel caso di specie, sebbene parte opponente non abbia indicato il momento di ricevimento della cartella, è pacifico (non essendo stato oggetto neppure di contestazione) che la notifica della cartella di pagamento si sia perfezionata per l'opponente in data 9.07.2019 (v. relazione di notificazione prodotta da Agenzia delle Entrate-Riscossione) e che la citazione sia stata notificata solamente l'11.09.2019, ossia sessantaquattro giorni dopo: ben oltre il termine di cui all'art. 617, comma 1, c.p.c.. Solo per completezza, va soggiunto che le predette censure, oltre ad essere inammissibili, sono anche manifestamente inconsistenti sotto il profilo giuridico. Va evidenziato, infatti, che la cartella di pagamento risulta adeguatamente motivata e contiene tutti gli elementi prescritti dalla legge, in conformità con il modello approvato con Decreto Ministeriale (cfr. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2), e ha indicato compiutamente l'atto presupposto (peraltro già noto all'opponente, avendo questi proposto opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione dinanzi al Tribunale di Palermo). Quanto alla doglianza concernente la mancata indicazione del termine entro il quale è possibile proporre l'impugnazione, essa è smentita dalla piana lettura della cartella, la quale riporta compiutamente tale informazione a pag. 3 di 10, nel paragrafo denominato "Impugnazione della cartella". Priva di pregio è poi la censura relativa alla "sommaria e sintetica indicazione globale dell'importo dovuto", in quanto la cartella, oltre ad indicare l'importo totale, distingue correttamente l'importo dovuto a titolo di sanzione principale (euro 305.340,87), quello dovuto a titolo di maggiorazione ex art. 27 L. n. 689 del 1981 (euro 488.545,39), nonché quello dovuto per gli oneri di riscossione (euro 47.633,17). Non coglie nel segno neppure il motivo di opposizione con cui si eccepisce l'inesistenza/nullità della cartella impugnata per vizi relativi alla sua notificazione, posto che dagli atti di causa risulta pacificamente che la cartella è stata recapitata all'opposto in data 9.07.2019 dal messo notificatore L.P.M. presso l'indirizzo di residenza dell'odierno opponente, sito in B. (P.), via C. n. 161 (indirizzo pienamente coincidente con quello indicato dall'opponente nell'atto di citazione), mediante consegna a mani di P.M., la quale si è qualificata figlia convivente dell'opponente Pi.Pi.. Il messo notificatore, poi, ha dato notizia dell'avvenuta notificazione della cartella di pagamento all'odierno opponente a mezzo di apposita lettera raccomandata del 12.07.2019. Ciò chiarito, la circostanza lamentata dall'opponente - ossia che la relata apposta sul frontespizio della copia della cartella notificata fosse "in bianco" - è un dato ininfluente giacché, come già evidenziato, la cartella è indubitabilente giunta alla conoscenza dello stesso (il quale, del resto, non ha mai contestato di aver ricevuto l'atto). Con riguardo, poi, al preteso vizio relativo alla violazione dell'art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973, si osserva che il termine di decadenza dettato dalla predetta disposizione trova applicazione soltanto per i crediti aventi natura tributaria e non anche per le somme richieste, come nel caso di specie, a titolo di sanzioni amministrative e per le relative maggiorazioni, essendo la riscossione di tali somme assoggettata all'unico termine prescrizionale di cinque anni (v., ex plurimis, Cass. Sez. III, 08.11.2018, n. 28529, in cui si afferma che "L'esecuzione forzata intrapresa sulla base di una ordinanza - ingiunzione per la riscossione di sanzioni amministrative, benché si svolga secondo le norme previste per l'esazione delle imposte dirette (in ragione del rinvio ad esse contenuto nella L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 1), non è soggetta alla decadenza stabilita dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, per l'iscrizione a ruolo deicredititributari, ma soltanto alla prescrizione quinquennale dettata dalla citata L. n. 689 del 1981, art. 28"). Ancora sul punto - e solo per completezza di disamina - va infine sottolineato che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie, derivante da sentenza passata in giudicato (che ha determinato la definitività della pretesa dell'Amministrazione), si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio iudicati (cfr. Cass., Sez. Un., 17.11.2016, n. 23397). Con riguardo, infine, alla contestazione in ordine all'assenza di sottoscrizione, è bene ricordare, invece, che "la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte dell'organo competente non comporta l'invalidità dell'atto quando non è in dubbio la riferibilità di questo all'ente da cui promana, giacché l'autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell'atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge; mentre, aisensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto ministeriale, che non prevede la sottoscrizione ma solo la sua intestazione" (v., ex plurimis, Cass., Sez. I, 16.12.2022, n. 37006. Cfr. anche, da ultimo, Cass. Sez. Trib., 11.05.2023, n. 12770, secondo cui "l'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l'invalidità dell'atto, la cui esistenza non dipende tanto dall'apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l'apposito modello approvato con D.M., che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma solo la sua intestazione e l'indicazione della causale, tramite apposito numero di codice"). L'opposizione è infondata, invece, con riferimento alla contestazione relativa alla determinazione dell'importo richiesto. Difatti, come comprovato dall'estratto di ruolo prodotto dal concessionario della riscossione, l'importo di Euro 841.519,43 è l'evidente risultato della sommatoria dell'importo della sanzione (euro 305.340,87), della maggiorazione per il ritardato pagamento ex art. 27 L. n. 689 del 1981 (euro 488.545,39), e degli oneri di riscossione previsti per legge (euro 47.633,17). L'opponente, più specificamente, contesta la determinazione della somma dovuta quale maggiorazione per il ritardato pagamento ex art. 27 L. n. 689 del 1981. Tuttavia, la somma riportata nella cartella di pagamento è, con tutta evidenza, corretta: ciò è facilmente riscontrabile mediante un semplice calcolo aritmetico. Infatti, a norma dell'art. 27 cit., la maggiorazione semestrale del 10% sulla somma dovuta si applica dal momento in cui la sanzione è divenuta esigibile (i.e. dalla di scadenza del termine entro cui l'Amministrazione ha ordinato il pagamento) fino al momento in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. Non è condivisibile, dunque, la tesi di parte opponente secondo cui la predetta maggiorazione è dovuta solamente dalla data di pubblicazione della sentenza del Tribunale di Palermo che ha rigettato l'opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione, giacché l'applicazione della maggiorazione non è un effetto della sentenza che dà ragione all'Autorità sulla pretesa sanzionatoria "principale", ma, al contrario, trattandosi di sanzione accessoria (che si aggiunge alla sanzione principale), è l'effetto di un'autonoma fattispecie, operante sul piano del diritto sostanziale, in caso di ritardo colpevole del soggetto nel pagamento della sanzione oltre il semestre dal momento di esigibilità della stessa. Ciò posto, nel caso in esame, l'ordinanza ingiunzione è stata notificata al debitore in data 22.11.2010 - ed ha assegnato all'ingiunto, per il pagamento, il termine di 90 giorni dalla data di notifica (ossia, termine entro il 21.02.2011) - ed il ruolo è stato trasmesso all'esattore in data 25.03.2019. Dal 21.02.2011 al 25.03.2019 sono decorsi 16 semestri e, in tale periodo, non risulta (né è stato allegato dalle parti) che l'efficacia esecutiva del provvedimento sanzionatorio sia stata sospesa. Considerato, dunque, che per ogni semestre è dovuta una maggiorazione pari a Euro 30.534,087 (cioè il 10% di Euro 305.340,87) e che nel predetto intervallo di tempo sono decorsi 16 semestri, la somma dovuta per la maggiorazione è pari ad Euro 488.545,39 (ossia Euro 30.534,087 moltiplicati per 16 semestri), così come correttamente indicato nella cartella di pagamento. In conclusione, alla luce di tutto quanto evidenziato, l'opposizione deve essere rigettata, in quanto in parte inammissibile e in parte infondata. In base al principio della soccombenza, espresso dall'art. 91 cod. proc. civ., le spese del giudizio vanno poste a carico di parte opponente e si liquidano, tenuto conto sia del valore della lite - ossia Euro 841.519,43 (per cui, trattandosi di controversia superiore ad Euro 520.000,00, si impone l'applicazione dello scaglione da Euro 260.000,01 a Euro 520.000,00, oltre la maggiorazione del 30% di cui all'art. 6 del D.M. n. 55 del 2014) - sia dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. Più specificamente, con riguardo ad Agenzia delle Entrate-Riscossione, in considerazione di tutte le fasi effettivamente svolte - applicando i parametri medi per le fasi di studio e introduttiva, e i minimi per la fase decisionale - le spese di lite da corrispondere in favore di Agenzia delle Entrate-Riscossione vanno liquidate in complessivi Euro 11.653,20, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge. Con riguardo, invece, all'Assessorato regionale - in considerazione delle fasi effettivamente svolte da quest'ultimo (fase di studio e introduttiva) e applicando i parametri minimi (in considerazione dell'essenzialità dell'atto difensivo depositato) - le spese di lite da corrispondere in suo favore vanno liquidate in complessivi Euro 3.823,30, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Termini Imerese, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così provvede: RIGETTA l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall'Assessorato Regionale; RIGETTA l'opposizione proposta da Pi.Pi. avverso la cartella di pagamento n. (...), per le ragioni illustrate in parte motiva; CONDANNA Pi.Pi. al pagamento delle spese del giudizio in favore di Agenzia Delle Entrate-Riscossione, liquidate in complessivi Euro 11.653,20, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge; CONDANNA Pi.Pi., al pagamento delle spese del giudizio in favore dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della P.M., liquidate in complessivi Euro 3.823,30, oltre spese generali, iva e cpa, se dovuti, come per legge; Così deciso in Termini Imerese il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Giorgia Marcatajo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...) dell'anno 2012 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi promossa da SOCIETÀ INVESTITRICE, in persona dell'Amministratore unico e legale rappresentante protempore, (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) (C.F (...); pec: (...)) ed elettivamente domiciliata in (...), presso la sede della società; parte attrice contro BANCA in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti (...) e (...) (PEC (...).) parte convenuta e nei confronti di con sede legale in (...), e, per essa, quale mandataria la MANDATARIA con sede sociale in (...), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) (pec: (...)) ed elettivamente domiciliata nel suo studio in (...), che interviene e si costituisce in giudizio in quanto attuale titolare, in forza di contratto di cessione concluso in data 03/12/2021 del diritto di credito vantato dalla BANCA nel presente procedimento; interveniente OGGETTO: Contratti bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario, anticipazione bancaria, conto corrente bancario, sconto bancario). MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione, regolarmente notificato, la parte attrice indicate in epigrafe rappresentava di avere intrattenuto presso la BANCA- Filiale di Termini Imerese - una serie di rapporti, e segnatamente: A. Contratto di mutuo ipotecario n. (...), stipulato in data 10 luglio 2001, dell'importo di Euro 619.748,27 (pari a Lire 1.200.000.000), successivamente modificato, con atto integrativo e quietanza di finanziamento, per la riduzione dell'importo finanziato da Euro 619.748,27 ad Euro 495.798,62; rapporto garantito da ipoteca iscritta su immobile di proprietà della società attrice presso la Agente riscossione, in data 17 luglio 2001, ai nn. (...)/3608; B. Contratto per operazioni su strumenti finanziari derivati "interest rate swap" (IRS) stipulato in data 12 luglio 2001, per la durata decennale (dal 31/12/2001 al 30/06/2011) e con un parametro di tasso definito nella misura del 5,50%; C. Conto Corrente ordinario n. (...), risalente al gennaio 1998, con facoltà di scoperto per Euro 50.000,00; D. Contratto di mutuo ipotecario n. (...), stipulato in data 26 settembre 2006, dell'importo di Euro 1.000.000,00; E. Contratto quadro per operazioni su strumenti finanziari derivati "interest rate swap" (IRS) IN & OUT (FLT/FXD) 1567869, stipulato in data 21 settembre 2006; F. Contratto su strumenti finanziari derivati SWAP "..." (KO CONTINUOUS), riguardante n. 2 contratti SWAP, rispettivamente datati 15 dicembre 2006 e 29 marzo 2007, collegati al predetto conto corrente n. 280157/4752, che la BANCA aveva fatto sottoscrivere a LEGALE RAPPRESENTANTE, a copertura di un prefinanziamento di Euro 500.000,00, come anticipazione del mutuo sopra indicato al superiore punto D); G. Conto Corrente di corrispondenza n. (...)/4752, del quale la società attrice non aveva alcun documento contrattuale, ma soltanto una serie di estratti conto che riportavano la prima operazione a far data dal 14 dicembre 2006; H. Contratto di conto anticipi fatture n. (...) (già n. (...)), avente a oggetto un contratto di conto anticipi fatture contrassegnato dapprima con il n. (...) e poi proseguito con il n. (...), risalente al 24 febbraio 2000; ed in particolare, lamentava: con riguardo al CONTRATTO IRS (LETT. B) al CONTRATTO IRS IN & OUT (LETT. E) e ai CONTRATTI IRS EBS CLAY (LETT. F) - Assenza della natura di investitore qualificato della SOCIETÀ INVESTITRICE e la violazione degli obblighi di informativa; - Assoluta inadeguatezza degli strumenti finanziari offerti; - Risolubilità e/o invalidità dei contratti in questione; - Risoluzione per inadempimento contrattuale; - Nullità dei contratti per difetto di forma scritta; - Nullità per violazione di norme imperative e/o per difetto di causa; -Annullabilità per violazione degli artt. 1439 e/o 1428 e 1429 c.c.; - Superamento del tasso soglia usura; con riguardo al CONTO CORRENTE N. (...) (LETT. C) - CONTO CORRENTE N. (...) (LETT. G) -CONTO ANTICIPI FATTURE N. (...) (LETT. FI) - L'illegittimità, invalidità e comunque l'inefficacia dei tassi di interesse passivi ultra-legali applicati dalla Banca senza alcuna pattuizione scritta, con conseguente violazione dell'art. 1284 c.c. e degli artt. 117 e 118 T.U.B; - L'illegittimità, invalidità e comunque inefficacia delle commissioni di massimo scoperto applicate dalla Banca in assenza di qualunque pattuizione scritta, fermo restando il difetto di causa delle stesse; - L'illegittimità, invalidità e comunque inefficacia di tutte le spese non pattuite per iscritto che la Banca ha applicato ai rapporti per cui è causa; - L'illegittimità, invalidità e comunque inefficacia di tutte le operazioni contabilizzate dalla Banca con "giorni valuta", anziché con effetto dalla data di operazione; - L'illegittimità, invalidità e comunque inefficacia dell'attribuzione di tutti gli interessi anatocistici indebitamente applicati e richiesti dalla BANCA; - La necessità, per ciascun rapporto, di verificare l'effettivo sconfinamento del c.d. tasso soglia usura operato dalla BANCA, con conseguente ricostruzione dello stesso senza applicazione di alcun interesse passivo e/o costo aggiuntivo, in conformità alle disposizioni di legge in materia; per tutti i rapporti già menzionati la necessità del "ricalcolo e ripetizione di tutte le somme indebitamente percepite dalla banca per interessi, spese, commissioni e quant'altro, a seguito dell'illegittimo addebito delle stesse a tutti i rapporti in parola". Alla luce dei fatti rappresentati, parte attrice avanzava, in atto di citazione, le seguenti conclusioni: "Accertare e dichiarare l'illegittimità, invalidità e/o inefficacia dei contratti per operazioni su strumenti finanziari derivati interest rate swap (IRS), meglio indicati al superiore punto 1, lett. B), E) ed F) conclusi tra la SOCIETÀ INVESTITRICE e la BANCA, nonché l'illegittimità dei conseguenti addebiti che la stessa Banca convenuta ha effettuato in danno della società attrice, per tutti i motivi sopra evidenziati -Accertare e dichiarare altresì la illegittimità, invalidità e/o inefficacia delle obbligazioni determinanti la corresponsione di interessi passivi applicati in misura ultralegale dalla BANCA ai rapporti di conto corrente n. (...), n. (...) e conto anticipi fatture n. (...), per le ragioni tutte sopra esposte. - Accertare e dichiarare inoltre illegittime, invalide e/o inefficaci e comunque non dovute le commissioni di massimo scoperto applicate dalla BANCA- in aggiunta agli interessi passivi di cui sopra - ai rapporti di conto corrente n. (...), n. (...) e conto anticipi fatture n. (...), per gli ulteriori motivi sopra indicati. - Accertare e dichiarare parimenti non dovute le spese/commissioni di tenuta conto (ad eccezione delle imposte) applicate dalla BANCA ai rapporti di conto corrente n. (...), n. (...) e conto anticipi fatture n. (...), per le causali sopra specificate. - Accertare e dichiarare ulteriormente illegittima l'applicazione di interessi anatocistici che la BANCA ha operato nei rapporti di conto corrente n. (...), n. (...) e conto anticipi fatture n. (...), per le ragioni sopra esposte. - Accertare e dichiarare infine l'intervenuto superamento del tasso soglia usura nei contratti per operazioni su strumenti finanziari derivati interest rate swap (IRS), meglio indicati al superiore punto 1, lett. B), E) ed F) posti in collegamento con i contratti di mutuo meglio indicati al superiore punto 1, lett. A) e D), nonché nei rapporti di conto corrente n. (...), n. (...) e conto anticipi fatture n. (...), per i motivi sopra evidenziati. - Per l'effetto, rideterminare il saldo effettivo dei rapporti bancari in parola per tutta la loro durata e sin dalla loro apertura, procedendo alla rideterminazione/liquidazione degli stessi, con gli interessi passivi calcolati al tasso sostitutivo ex art. 117 TUB. (calcolando altresì l'incidenza degli interessi passivi relativi ai contratti IRS, meglio indicati al superiore punto 1, lett. B), E) ed F) una volta giro contati sui conti correnti ordinari n. (...) e n. (...), nonché l'incidenza degli interessi passivi relativi al conto anticipi n. (...), una volta giro contati sul conto corrente ordinario n. (...)), ovvero senza alcuna applicazione di interessi passivi (in caso di superamento del tasso soglia usura), eliminando le somme addebitate a titolo di commissioni di massimo scoperto e di spese (ad eccezione delle imposte), applicando la valuta effettiva alla data di esecuzione dell'operazione quale data di decorrenza dei relativi interessi e con sterilizzazione di ogni effetto anatocistico indebitamente praticato dalla Banca. - Conseguentemente, condannare la BANCA alla restituzione in favore della SOCIETÀ' INVESTITRICE della complessiva somma di 527.608,50, oltre interessi legali dal dovuto al soddisfo, ovvero di quella maggiore o minore somma indebitamente percepita dalla Banca convenuta, nella misura che il Tribunale riterrà dovuta all'attrice. -In via subordinata, condannare la BANCA alla restituzione in favore della SOCIETÀ' INVESTITRICE della complessiva somma di e 527.608,50, oltre interessi legali dal dovuto al soddisfo, ovvero di quella maggiore o minore indebitamente percepita dalla Banca convenuta, che il Tribunale riterrà dovuta all'attrice, anche a seguito dell'espletata CTU contabile, per effetto dell'ingiustificato arricchimento dalla stessa perpetrato". Col favore delle spese di lite in favore del procuratore antistatario. Si costituiva in giudizio la BANCA, contestando la fondatezza in fatto e in diritto dell'avverso atto di citazione. In merito ai contratti IRS sottoscritti da parte attrice, parte convenuta evidenziava, anzitutto, che gli stessi erano stati stipulati con funzione di copertura del rischio e non speculativa, in quanto collegati a due mutui, e che, la loro stipulazione era conseguita a una libera scelta del correntista al quale erano noti la natura, lo scopo e il rischio dei superiori contratti. Riguardo la contestazione di parte attrice sulla propria natura di operatore qualificato, parte convenuta rappresentava che il legale rappresentante della società attrice aveva espressamente dichiarato, come documentato in atti, di essere un operatore qualificato e che, in quanto tale, aveva le competenze per comprendere la natura dell'interest rate swap, nonché lo scopo ed il rischio del contratto. Sul conto n. (...), parte convenuta evidenziava, diversamente da quanto sostenuto da parte attrice, in merito all'invalidità dei tassi ultra-legali applicati in mancanza di pattuizione scritta, che esisteva un regolare contratto di conto corrente ordinario contenente l'analitica indicazione dei tassi applicati, come da documentazione in atti. In merito al conto n. (...), parte convenuta rappresentava che lo stesso era un conto transitorio creato per il prefinanziamento del mutuo del 2006 e che non recava movimentazioni se non quelle correlate al suddetto prefinanziamento e agli interessi, oltre che all'erogazione finale del mutuo. Rappresentava altresì che il superiore conto era stato estinto nel 2007 e che gli interessi addebitati erano stati determinati sulla scorta delle pattuizioni rinvenute nel mutuo e pertanto non occorreva uno specifico contratto. Infine, riguardo il conto anticipi n. (...), parte convenuta, evidenziando che lo stesso era disciplinato solo dal contratto di conto corrente di corrispondenza, rappresentava che, in un rapporto siffatto, non venivano addebitati interessi, poiché essi venivano trimestralmente giro contati sul conto corrente di corrispondenza cui era collegato il conto anticipi e i saldi periodici erano costituiti dal solo capitale. Alla luce dei fatti rappresentati, parte convenuta evidenziava che era errato sostenere, come affermato da parte attrice, che quest'ultima aveva maturato un credito in conseguenza dei ricalcoli, dal momento che i saldi non potevano mutare rispetto alle risultanze degli estratti conto. L'istituto di credito convenuto rappresentava, poi, che non erano state pattuite commissioni di massimo scoperto con riguardo ai conti n. (...) e n. (...), invece, per quanto attiene al conto n. (...), le stesse erano state indicate in contratto, considerato che costituivano il corrispettivo dell'obbligo della Banca di tenere a disposizione del correntista una determinata somma di denaro. Sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi, parte convenuta rappresentava che la stessa si poneva come naturale conseguenza della periodica chiusura del conto corrente e che, in ogni caso, poteva comunque ritenersi sussistente un uso normativo legittimante la capitalizzazione trimestrale, uso altresì avallato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità fino al 1999, a seguito dell'inaugurazione di un nuovo orientamento, per effetto del quale, il pagamento degli interessi capitalizzati risultava irripetibile ai sensi dell'art. 2034 c.c., in quanto corrisposto nonostante il mutato orientamento. Alla luce dei fatti rappresentati, parte convenuta ribadiva che non doveva ripetere nulla da parte attrice, considerato che, alla data del 30.04.2012, il conto corrente n. (...) presentava un saldo negativo di euro 189.699,74 e il conto n. (...) presentava un saldo negativo di euro 74.732,42, da ciò derivandone un credito in suo favore per la complessiva somma di euro 264.432,16. Parte convenuta eccepiva, infine, la prescrizione delle domande avversarie, avendo parte attrice avanzato le proprie pretese in relazione a interessi, commissioni e spese addebitati sui rapporti bancari in data anteriore al 03.04.2002 e avendo quest'ultima notificato l'atto di citazione il 03.04.2012. Parte convenuta chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande avversarie in quanto infondate e comunque prescritte. Domandava, poi, emettersi ordinanza ingiunzione ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c. nei confronti di parte attrice. In via riconvenzionale, chiedeva condannarsi parte attrice al pagamento della somma di euro 264.432,16, il tutto oltre interessi convenzionali dal 01.05.2012. Con vittoria di spese di lite. Con comparsa di costituzione e risposta del 29 dicembre 2021, si costituiva in giudizio la CESSIONARIA - a seguito di cessione del credito da parte della conclusa in data 03 dicembre 2021, con la quale CESSIONARIA acquistava pro soluto, ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli art.li 1, 4 e 7.1 della Legge sulla Cartolarizzazione n. 130/99 e dell'art. 58 del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), un portafoglio di crediti qualificabili come "deteriorati" in base alle disposizioni di Banca d'Italia - nella qualità di successore a titolo particolare nei rapporti giuridici già di titolarità della BANCA cedente, tra cui quello vantato nei confronti della SOCIETÀ' INVESTITRICE, la quale si riportava a tutte le istanze, richieste, deduzioni ed eccezioni già formulate e articolate dalla cedente. Nella memoria ex articolo 183, comma VI, n. 1 c.p.c., parte attrice contestava l'eccezione preliminare di prescrizione, sollevata da parte della Banca convenuta, evidenziando l'infondatezza della stessa alla luce dei principi della sentenza della Cassazione civile n. 24418/2010 - richiamata dalla stessa controparte - avuto riguardo al fatto che l'istituto bancario non avrebbe fornito la prova della propria contestazione, come sarebbe stato suo onere, invece, effettuare in applicazione del principio dell'onere probatorio ex art. 2697, comma 2, c.c., nonché, avrebbe erroneamente interpretato i principi espressi dalla Suprema Corte in materia di prescrizione decennale dell'azione di ripetizione in relazione ai rapporti bancari assistiti da affidamento e/o per finanziamenti di qualsiasi natura, considerato che i rapporti bancari per cui è causa erano assistiti da affidamento. La causa veniva istruita con l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio e, a seguito di diversi richiami del CTU, resi necessari dai sopravvenuti mutamenti giurisprudenziali nel corso del giudizio, la causa veniva riassegnata a questo Giudice, ed acquisiti ulteriori chiarimenti dal CTU, veniva posta in decisione con l'assegnazione dei termini di cui all'articolo 190 c.p.c.. Tanto premesso nei fatti, preliminarmente occorre precisare, in punto di diritto, che, in tema di azione di accertamento negativo e/o ripetizione dell'indebito, è ben noto l'orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito, in forza del quale, il correntista che agisca per ottenere l'accertamento negativo del credito derivante da un rapporto di conto corrente è onerato di depositare sia il contratto di conto corrente sia l'estratto conto dell'intero periodo al quale si riferisce la domanda. La Suprema Corte ha, di recente, affermato che "Nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione della somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l'onere di provare l'inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza potere invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione" (Cass. Sez. VI, ordinanza del 13 dicembre 2019, n. 33009). La giurisprudenza di merito, conformemente a tale orientamento, sostiene che, in applicazione del fondamentale principio della distribuzione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., quando il correntista intende, previa contestazione delle risultanze del saldo di conto corrente, domandare la ripetizione dell'indebito, è tenuto a dimostrare i fatti costitutivi del diritto alla ripetizione dell'indebito, ossia la nullità del titolo e l'avvenuta annotazione delle poste contestate, e quindi deve produrre, quantomeno, i seguenti documenti: il contratto di conto corrente - soprattutto per i contratti conclusi a partire dal 09.07.1992 in poi (ovvero dall'entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 che ha imposto l'obbligo di stipulazione per iscritto dei contratti bancari a pena di nullità), per dimostrare che esso contiene la pattuizione di clausole illegittime o la mancata pattuizione per iscritto di talune condizioni poi applicate al contratto (come ad esempio il tasso di interesse ultra legale o la commissione di massimo scoperto); gli estratti conto integrali del rapporto di conto corrente, quale documento contenente la dettagliata indicazione dei movimenti del rapporto, indispensabili alla verifica delle poste che sono state addebitate e accreditate in conto e quindi alla determinazione del saldo finale, in modo da consentire la ricostruzione del rapporto sulla base di dati certi e senza la possibilità di ricorrere a criteri presuntivi di raccordo o ad accertamenti esplorativi (Cfr. Corte d'Appello di Lecce, sez. I, 31 maggio 2019, n. 558; Trib. Roma sez. XVII, 19 settembre 2018, n. 17579). Nel caso di specie, l'attore ha depositato la seguente documentazione: copia del contratto di mutuo ipotecario n. (...) del 10 luglio 2001, copia del contratto integrativo di mutuo ipotecario n. (...) con quietanza di finanziamento del 09 agosto 2001, copia del contratto per operazioni su strumenti finanziari derivati IRS del 12 luglio 2001, copia del contratto di mutuo ipotecario n. (...) del 26 settembre 2006, copia del contratto per operazioni su strumenti finanziari derivati interest rate swap (IRS) IN & OUT (FLT/FXD) (...) del 21 settembre 2006, copia del contratto su strumenti finanziari derivati EBS CLEY SWAP TRANSACTION BULLISH (KO CONTINUOUS) del 15 dicembre 2006, copia del contratto su strumenti finanziari derivati EBS CLEYSWAP TRANSACTION BULLISH (KO CONTINUOUS) del 29 marzo 2007, copia del contratto del conto anticipi fatture n. (...), copia estratti conto ordinario e scalare relativi ai conti n. (...), n. (...) e n. (...). Per rispondere al quesito, l'esperto nominato ha proceduto alla ricostruzione della posizione debitoria dell'attore con riferimento ai diversi contratti richiamati nell'atto di citazione, esclusivamente sulla base della documentazione presente in atti. In questi ultimi ha rinvenuto: il c/c ordinario n. (...), per il periodo 03/10/1997 - 18/04/2012, (valuta 02/10/1997 -31/03/2012) con mancanza di tutti gli scalari e del riepilogo competenze per i periodi chiusi al 30/06/1999, al 31/03/2001, al 30/06/2001, al 30/09/2001 ed al 31/12/2001; il c/c ordinario n. (...), per il periodo 15/12/2006 - 02/07/2007, (valuta 14/12/2006 - 30/06/2007) con mancanza di tutti gli scalari; il conto corrente anticipo n. (...), per il periodo 03/12/2002 - 02/04/2012, (valuta 02/12/2002 - 31/03/2012). Nella documentazione è inoltre presente il contratto di mutuo del 12/07/2001 e il contratto di mutuo del 21/09/2006 completi dei connessi atti di erogazione e quietanza e delle contabili bancarie relative alle singole rate, oltre al contratto per gli strumenti derivati EBS Cley SWAP TRANSACTION BULLISH del 15/12/2006 e 29/03/2007. Sul punto, la banca convenuta, sin dall'atto di costituzione, ha contestato il difetto di prova delle censure mosse, invocando l'applicazione del principio suddetto. Orbene, va rilevato, sempre secondo la giurisprudenza, che "Nell'azione di accertamento negativo di un credito, relativamente all'onere della prova, la regola generale prevede che qualora l'attore proponga domanda di accertamento negativo di un diritto del convenuto e questo ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria, ma formuli, a sua volta, domanda riconvenzionale per conseguire il riconoscimento del diritto negato da controparte, ambedue le parti hanno l'onere di provare le rispettive e contrapposte pretese, restando soccombente chi non assolva tale onere" (Trib. Lecce, 12 ottobre 2015, n. 4840), oltre al fatto che, in via generale, "Chi propone una domanda riconvenzionale, di natura creditoria, deve provare l'esistenza e l'entità del credito" (App. Lecce, 12 dicembre 2019, n. 1362). Nel caso in esame, si rileva che parte attrice ha prodotto in giudizio la documentazione innanzi richiamata relativa ai rapporti per cui è causa. Ha anche prodotto una consulenza tecnica di parte - a supporto delle proprie contestazioni - dove sono espressamente riportate le uniche condizioni contrattuali previste. La Banca, viceversa, non ha dato dimostrazione di differenti pattuizioni rispetto a quelle indicate dal correntista. Ciò posto, sempre in via preliminare, deve ritenersi invece parzialmente fondata l'eccezione di prescrizione formulata dalla banca convenuta per i motivi che qui di seguito si espongono. Ed invero, sul punto, si rammenta che la prescrizione decennale della ripetizione dell'indebito decorre dalla data del pagamento e, quindi, per le operazioni solutorie (ovvero quelle effettuate extra fido o senza fido, ovvero caratterizzate da sconfinamenti sporadici) dalla data del versamento, mentre per le operazioni non solutorie dalla chiusura del conto. Da detto dies a quo decorre la possibilità di esercitare il diritto del correntista di ripetere l'indebito e l'inattività produce la prescrizione del diritto, sempre se eccepita specificamente dalla banca: se la banca non eccepisce e prova l'esistenza delle operazioni solutorie non si verifica alcuna prescrizione. Infatti, come si è detto, i dies a quo per il decorso del termine prescrizionale decennale sono due, in quanto, fanno capo a due differenti diritti sostanziali: uno per le operazioni solutorie e l'altro per quelle non solutorie (ovvero extra fido). Vi è, pertanto, la necessità di una specifica eccezione sulla prescrizione decennale delle operazioni solutorie extrafido perché il giudice possa esaminare detta eccezione per il periodo dei dieci anni precedenti alla data della citazione o dell'atto interruttivo (cfr. Cassazione civile n. 24418 del 2010). Si riporta, di seguito, il principio espresso dalla sopra richiamata pronuncia, a Sezioni Unite, la quale ha, appunto, evidenziato che "l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del "solvens" con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens". Questi, in particolare, sono i passaggi della motivazione della predetta pronuncia che necessitano di essere riportati: a) "perché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. Senza indulgere in inutili disquisizioni sulla nozione di pagamento nel linguaggio giuridico e sulla sua assimilazione o distinzione dalla più generale nozione di adempimento, appare indubbio che il pagamento, per dar vita ad un'eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l'accipiens); e lo sì può dire indebito - e perciò ne consegue il diritto di ripeterlo, a norma dell'art. 2033 c.c. - quando difetti di una idonea causa giustificativa"; b) "Non può, pertanto, ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l'attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. Né tale conclusione muta nel caso in cui il pagamento debba dirsi indebito in conseguenza dell'accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione al quale è stato effettuato, altra essendo la domanda volta a far dichiarare la nullità di un atto, che non si prescrive affatto, altra quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione di una prestazione eseguita: sicché questa corte ha già in passato chiarito che, con riferimento a quest'ultima domanda, il termine di prescrizione inizia a decorrere non dalla data della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso (Cass. 13 aprile 2005, n. 7651)", c) "I rilievi che precedono sono sufficienti a convincere di come difficilmente possa essere condiviso il punto di vista della ricorrente, che, in casi del genere di quello in esame, vorrebbe individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista. L'annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Occorre allora aver riguardo, più ancora che al già ricordato carattere unitario del rapporto di conto corrente, alla natura ed al funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata"; d) "Come agevolmente si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli. Se, pendente l'apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, l'eventuale azione di ripetizione d'indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione. Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere". Sebbene, inoltre, più di recente, la Corte di Cassazione, in punto di onere di allegazione in merito all'eccezione di prescrizione sollevata da parte dell'istituto bancario, abbia chiarito che "l'elemento qualificante dell'eccezione di prescrizione è l'allegazione dell'inerzia del titolare del diritto, che costituisce, appunto, il fatto principale, al quale la legge riconnette l'invocato effetto estintivo", la stessa pronuncia, tuttavia, pone su di un piano assolutamente simmetrico la posizione del correntista, che agisca per la domanda di ripetizione, e quella della banca, che eccepisca la prescrizione, ritenendo, del pari, che il correntista potrà, a sua volta, limitarsi ad indicare l'esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato; fermo restando che la Banca, dal canto suo, potrà limitarsi ad allegare l'inerzia dell'attore in ripetizione, e dichiarare di volerne profittare. Di tal che "il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell'onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente". Orbene, essendo emersa dalla documentazione in atti e dall'espletata ctu la natura solutoria delle rimesse, si ritiene fondata l'eccezione di prescrizione sollevata limitatamente al periodo intercorrente dal terzo trimestre del 1998 al primo trimestre 2002. E ciò, ancora, anche facendo richiamo ai principi espressi da una parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. 20933/2017) sulla presunzione, in mancanza di elementi contrari, della natura ripristinatoria delle rimesse qualora si verta in ipotesi di contratto di apertura di credito, e, dunque, tenuto conto della natura affidata del conto, come rilevato da parte dell'esperto nominato, nonché, del contrario principio a mente del quale "in difetto di prova che il conto sia "affidato", tutte le rimesse, avvenute nel decennio anteriore alla notificazione dell'atto introduttivo, si presumono "solutorie" e si prescrivono in dieci anni dalla data dell'addebito integrante pagamento" (cfr. Tribunale di Torino del 24.11.2014). Sono, infatti, rimesse solutorie le sole rimesse che intervengono - in tutto o in parte - su conto scoperto e non affidato, oppure su conto affidato, ma con un passivo oltre il limite dell'affidamento. Nel caso di specie, tuttavia, provata é l'esistenza di un contratto di apertura di credito, tale da far ritenere, i versamenti operati dal cliente, come mero ripristino della disponibilità accordata. Il "contratto di apertura di credito" non richiede, invero, la forma scritta imposta in generale ai contratti bancari dall'art. 117 del Testo Unico Bancario, avendo lo stesso una connessione funzionale ed operativa con un sottostante contratto di conto corrente concluso in forma scritta (cfr. Cassazione civile n. 7763 del 27 marzo 2017) e la prova dello stesso potendo essere anche fornita per facta concludentia, ovvero in ragione della stabilità, della non occasionalità dell'esposizione a debito, dell'entità del saldo debitore, dell'assenza di tracce sensibili di un rientro del correntista, dell'utilizzo, negli estratti conto e negli scalari, di espressioni quali "scoperto nei limiti del fido", "APC fiduciaria" o simili, nonché, dell'applicazione di tassi debitori differenziati e del pagamento di assegni emessi dal cliente senza copertura (cfr. Cassazione civile Sentenza n. 2915 del 11/03/1992; Trib. Pistoia n. 830 del 23.9.2015; Trib. Napoli n. 17/2014; Trib. Torino 1.3.2015; Tribunale di Milano Ord. 8/04/2015 R.G. 44847/2014; Tribunale Alessandria 21.2.2015). Ed ancora, "in tema di contratti bancari, perché vi sia apertura di credito in conto corrente, non rileva il mero fatto della situazione di scoperto di conto, con una pluralità di adempimenti agli ordini trasmessi, bensì la pattuizione -generalmente formale, ma pur sempre realizzabile per "facta concludentia" -di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive. Poiché tale obbligo può emergere dallo stesso contegno della banca nella gestione del conto, ne discende che la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente" (cfr. Cassazione civile n. 3842 del 23/04/1996). Sul punto, l'esperto nominato ha rilevato: "Ho preliminarmente proceduto all'individuazione dei versamenti di natura solutoria secondo le indicazioni della citata sentenza (cfr. Tabella F per il conto n. 2318). Per quanto riguarda l'individuazione della soglia relativa all'affidamento concesso, necessaria per la determinazione dell'eventuale sfioramento che determina la natura solutoria del successivo versamento, ho considerato come tale la base di calcolo della commissione di massimo scoperto riportata nella documentazione agli atti. Per i periodi in cui gli scalari non erano presenti agli atti o non era possibile operare la detta ricostruzione ho proceduto a considerare l'importo del trimestre precedente. L 'individuazione dei versamenti solutori è stata operata per il periodo precedente al 20/03/2002, termine iniziale del decennio antecedente all'atto di citazione. Per il periodo decennale successivo al 20/03/2002 non ho quindi proceduto ad alcuna individuazione di versamenti solutori ed il saldo iniziale di tale periodo è stato rideterminato eliminando l'effetto relativo ai versamenti solutori precedenti. A seguito dell'individuazione dei versamenti solutori ho proceduto a determinare, per ciascun trimestre, la misura delle competenze per le quali l'azione di ripetizione può considerarsi prescritta. L'individuazione della misura delle competenze indebitamente addebitate dalla banca e per le quali si è ormai prescritta l'azione di ripetizione è stata effettuata a partire dall'anno 1998. La prima colonna di tale tabella riporta il periodo per il quale ho proceduto all'individuazione dei versamenti solutori. La seconda colonna riporta l'importo dei versamenti solutori individuati secondo quanto indicato alla Tabella F. La terza colonna riporta gli interessi e competenze addebitati dalla banca nel periodo considerato. Nella quarta colonna è riportata la misura degli interessi e competenze addebitate dalla banca che risultano "assorbite" dall'importo dei versamenti solutori riportato nella seconda colonna della tabella. Tali importi sono quindi ottenuti paragonando le somme indicate nella terza colonna ("Interessi e competenze banca') con gli importi dei versamenti solutori. Se i versamenti solutori individuati sono maggiori degli importi calcolati ed addebitati dalla banca come competenze, queste ultime si intenderanno come somme legittimamente addebitate in quanto prescritte. Qualora l'importo dei versamenti solutori dovesse essere inferiore alle competenze sarà da considerare prescritta solo la parte pari a tali versamenti. L 'individuazione di interessi e competenze ormai prescritte, nel senso sopra indicato, impone quindi un ricalcolo di quanto rielaborato per tenere conto del legittimo addebito e quindi dell'irripetibilità di tali importi. Per i periodi oggetto di analisi e riportati nella superiore tabella ho quindi proceduto a ripristinare le somme addebitate come competenze che erano state azzerate per eliminare il meccanismo della capitalizzazione, nella rielaborazione relativa al quesito, evitando così l'eliminazione delle somme prescritte in virtù dell'individuazione dei versamenti solutori" (cfr. pagg. 28-30 della prima relazione tecnica in atti del 10 dicembre 2015). Tanto esposto, l'esperto nominato ha, dapprima, effettuato una operazione di ripristino degli interessi e competenze addebitate dalla banca ed ormai soggetti a prescrizione e, successivamente, ha proceduto alla rielaborazione di tutti i conti oggetto di contenzioso. Il CTU ha, in particolare, in un primo momento, proceduto in accordo alla seguente procedura: "Le spese e le commissioni di massimo scoperto originarie sono state eliminate ed i tassi contrattuali sono stati sostituiti con quelli ex art. 117 del TUB. La data valuta è stata resa uguale a quella dell'operazione mentre è stato eliminato l'anatocismo fino al 30/06/2000. Tale ultima operazione, per i motivi illustrati, non ha riguardato i conti anticipi, oggetto comunque di ricalcolo per l'applicazione del 117 del TUB e la rettifica della valuta. Gli interessi calcolati fino al 30/6/2000 sono stati sommati al saldo finale mentre quelli successivamente calcolati sono stati capitalizzati trimestralmente dal 1/7/2000 fino alla chiusura del rapporto. Per i trimestri in cui il tasso contrattuale ha determinato uno sfioramento della soglia a seguito della verifica effettuata utilizzando il calcolo con la formula di Banca d'Italia, ho proceduto a sostituire il tasso con quello soglia. Sono state ripristinate le competenze di importo inferiore alla misura dei versamenti solutori per il periodo fino al 20/03/2002" (cfr. prima consulenza tecnica depositata, su incarico del Giudice, dott.ssa Marino, in data 10.12.2015). Da ciò, dunque, dovendosi desumere la natura affidata dei rapporti bancari in oggetto, con la conseguente fondatezza della superiore eccezione di prescrizione, per quanto attiene agli addebiti antecedenti il 20.03.2002, considerata, altresì, l'interruzione della prescrizione del diritto di credito vantato da parte attrice a seguito della notifica dell'atto di citazione avvenuta il 20/03/2012. Con ordinanza di rimessione in istruttoria del 06 agosto 2018, il Tribunale, poi, tenuto conto della tempestiva eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta, incaricava l'esperto nominato di rieffettuare i conteggi in relazione ai rapporti di conto corrente, oggetto del presente procedimento, in considerazione anche della sopravvenienza della pronuncia delle SS.UU del 20.06.2018 in tema di commissioni di massimo scoperto. Al fine di rispondere al quesito, l'esperto nominato ha preliminarmente proceduto a verificare l'eventuale superamento del tasso soglia separatamente per gli interessi e per la commissione di massimo scoperto, secondo quanto indicato al punto A del quesito. Ha rilevato che, dalle allegate tabelle alla relazione tecnica, la CMS effettiva ha superato quella soglia nei trimestri chiusi al 30/6/2007 e 30/6/2009 solo per il conto corrente ordinario n. 2318. Ha quindi proceduto alla verifica della sussistenza di un margine tra gli interessi effettivamente addebitati e quelli calcolati applicando il tasso soglia, alla luce dei principi espressi nella circolare della Banca d'Italia n. (...) del 2/12/2005 richiamata nel quesito. Nel trimestre chiuso al 30/6/2009, gli interessi addebitabili applicando il tasso soglia restano inferiori allo sforamento applicato alla CMS. Stante la ragione del superamento (concreta applicazione della CMS) il rimedio indicato nel quesito appare quello dell'applicazione del tasso soglia per il trimestre di riferimento. Stante la mancata applicazione della commissione di massimo scoperto nella rielaborazione, alla luce di quanto indicato nel precedente quesito, non ha proceduto ad alcun ulteriore calcolo in quanto le competenze applicate in tale periodo sono comunque inferiori alla soglia di legge degli interessi e della CMS. Una volta effettuata la detta verifica, ha proceduto a ripristinare le competenze originarie nei trimestri in cui i versamenti solutori hanno superato le competenze addebitate. A seguito del ripristino delle somme prescritte nei relativi trimestri, ha elaborato due ipotesi, delle quali, si ritiene di dovere accogliere la seconda (avuto riguardo a quella riveduta e corretta nella terza relazione tecnica depositata dal CTU in data 15.12.2018, che, come detto, ha tenuto conto anche dei mutamenti giurisprudenziali in tema di CMS, oltre che della prescrizione). Ed invero, quanto alla scelta della 2 ipotesi, va osservato che le ragioni che inducono questo Giudice ad optare per la seconda delle ipotesi prospettate si rinvengono nelle osservazioni effettuate in precedenza dal CTU nella seconda relazione depositata in atti (quella depositata in data 07.11.2016), il quale, a pag. 20, in merito alle "operazioni in mancanza di fondi", ha rilevato che "Per il periodo dal 1/7/2009 fino al termine sono addebitate spese relative ad "operazioni in mancanza di fondi" calcolate moltiplicando un importo fisso per il numero di tali operazioni. Non è possibile però ricostruire tecnicamente quali siano queste operazioni e a cosa siano correlate. Per questa ragione non è possibile verificare, sia con riferimento al periodo dal 1/7/2009 e fino al 28/12/2011 che per quello dal 29/12/2011 al 1/10/2012, se le stesse siano o meno coerenti con quanto previsto dalla normativa richiamata. In particolare, con riferimento al primo periodo, posso evidenziare che non sembrano correlate alla durata dell'utilizzazione fondi visto che si indica un numero finito di operazioni ma che i prelevamenti risultano effettivi in quanto il saldo è a debito per tutto il periodo considerato. Per il periodo dal 29/12/20011 e fino al 1/10/2012 non si tratta comunque di addebiti conformi alle specifiche normative richieste in quanto non sono commissioni onnicomprensive e proporzionali alla somma ed alla durata né hanno le caratteristiche di una commissione di istruttoria veloce. Stante l'impossibilità di analizzare con esattezza il criterio alla base della scelta delle "operazioni" che sono alla base del calcolo di tali spese ho preferito procedere comunque all'elaborazione di due diverse ipotesi di calcolo per tenere conto sia della possibile validità secondo le nonne richiamate che della nullità, qualora nel corso delle fasi successive del contenzioso fossero chiarite al G. U. nel dettaglio le modalità di calcolo di tali spese. In ogni caso devo sottolineare che la differenza di importo fra le due ipotesi non è rilevante" (si rimanda alla pag. 20-21 di 53 della relazione tecnica depositata in data 07.11.2016, cit.) Alla luce delle predette considerazioni del CTU, la scrivente ritiene, pertanto, di dover optare per la seconda delle ipotesi prospettate nella relazione del 15.12.2018, ovvero per quella che, nel rideterminare il saldo del c.c. n. 2318, elimina dal computo anche le spese relative ad operazioni in mancanza di fondi. Ne deriva che, a seguito della rielaborazione del conto corrente n. 2318, il CTU in merito ha concluso che: "I tassi applicati sono quelli convenzionali, il meccanismo di capitalizzazione è stato eliminato fino al 30/6/2000 e ripristinato successivamente. Le spese sono state mantenute, mentre la commissione di massimo scoperto originaria è stata eliminata fino al dì 01/07/2009 e, da questo periodo in poi, sono state eliminate anche le commissioni di disponibilità fondi. Tutte le operazioni sono state considerate alla data valuta e nei trimestri in cui i versamenti solutori hanno superato la misura degli interessi addebitati si è proceduto al ripristino di questi ultimi. Le competenze dei conti anticipi sono state rielaborate eliminando la CMS e giro contate su tale conto ordinario, dove hanno partecipato al saldo finale." (Ipotesi II, pag. 7 della terza relazione tecnica in atti depositata il 15 dicembre 2018). L'esperto nominato è così pervenuto alle seguenti conclusioni: "saldo debitore alla data del 03/04/2012 pari ad - 116.123,10. L'ammontare del saldo debitore del conto corrente n. (...) riportato sull'estratto conto bancario al 03/04/2012 è pari ad - 189.613,16 e pertanto la differenza a favore del correntista rispetto al saldo evidenziato dalla banca è pari ad E 73.493,03" (cfr. pagg. 5 - 9 della relazione tecnica del 15/12/2018). In merito invece al conto anticipi n. (...), come osservato dal CTU nella prima relazione in atti "Per quanto riguarda la presenza dei conti anticipi ed il loro ruolo nella rielaborazione pare opportuno precisare il funzionamento del conto anticipi su fatture. Il conto anticipi su fatture accoglie l'addebito della entità dell'anticipazione delle fatture commerciali da presentare all'incasso da parte del titolare del conto corrente, al netto dello scarto di garanzia trattenuto dalla banca (oscillante di solito tra il 20% ed il 30%). Contestualmente a tale addebito sul conto anticipi, viene effettuato l'accredito sul conto corrente ordinario, fornendo così la disponibilità delle somme al titolare dello stesso. Per tutta la durata dell'anticipo su tale conto speciale si producono interessi periodici che vengono di norma contestualmente giro contati anch'essi al conto corrente ordinario, come nel caso oggetto della presente indagine. Il conto corrente ordinario accoglie quindi le somme addebitate sul conto anticipi nel quale si producono soltanto gli interessi calcolati sulle somme oggetto dell'anticipazione. Appare pertanto evidente che sul conto anticipi si calcolano soltanto le competenze relative al fido concesso ed utilizzato con riferimento alle operazioni di sconto (c.d. castelletto anticipazioni). Tali competenze vengono giro contate al conto corrente ordinario con la stessa data valuta in cui sono addebitate sul conto anticipi. Per questa ragione appare chiaro come nel conto anticipi non operi alcun meccanismo di capitalizzazione. Sul conto corrente ordinario invece gli interessi capitalizzati sono di duplice provenienza, visto che, oltre alle competenze calcolate sullo stesso conto corrente ordinario, si trovano le competenze giro contate dal conto anticipi. Come meglio precisato nella descrizione delle fasi della rielaborazione effettuata, il rapporto tra il conto corrente ordinario ed il conto anticipo documenti ha comportato quindi un accorgimento particolare nelle operazioni di ricalcolo. Per il conto anticipo fatture, come già illustrato, le competenze trimestrali rielaborate alla luce delle diverse condizioni applicate per la perizia ed addebitate vengono immediatamente riaccreditate in pari data, o comunque entro lo stesso trimestre con contestuale addebito delle stesse nel c/c ordinario. In questo modo, come già brevemente illustrato, gli interessi trimestrali calcolati per tali conti anticipo documenti non producono interessi in questi ultimi, bensì nel c/c ordinario n. (...), al quale vengono stornati nella stessa data in cui si effettua il calcolo. L 'anatocismo pertanto non opera nell'ambito di tale conto anticipo, ma sul c/c ordinario nel quale producono interessi non solo le competenze proprie di tale conto ma anche quelle provenienti dal conto anticipi" (cfr. pag. 25-26; cit.). Come chiarito dal CTU, quindi, nei rapporti di dare/avere tra le parti dovrà tenersi conto anche della somma imputata a capitale del predetto conto anticipi (ovvero quella di Euro 74.732,42). Per quanto, invece, attiene i contratti derivati stipulati con la Banca convenuta, relativamente alla dedotta circostanza di non essere un investitore qualificato ed alla asserita violazione degli obblighi di informativa da parte dell'istituto di credito convenuto, si ritiene che la relativa censura di parte attrice debba ritenersi infondata. Ed invero, in merito, si rileva che parte attrice ha rappresentato che essa stessa ed il suo legale rappresentante LEGALE RAPPRESENTANTE non rivestivano, al momento dell'instaurazione del presente procedimento, né rivestivano all'epoca dell'investimento, alcun ruolo di "operatore qualificato". Giova rappresentare che la giurisprudenza di legittimità, con ordinanza n. 20179 del 22 giugno 2022, si è espressa sulla definizione di operatore qualificato e sui relativi limiti alla sua tutela nei servizi di investimento. Nei contratti di intermediazione finanziaria, la dichiarazione formale di cui all'art. 31, comma 2, Regolamento Consob n. 11522 del 1998, sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l'intermediario dall'obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche, gravando sull'investitore l'onere di provare elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell'intermediario. Di conseguenza, evidenzia la Cassazione, dal punto di vista probatorio l'esistenza dell'autodichiarazione è sufficiente ad essere valutata come prova presuntiva del carattere di investitore qualificato in capo alla persona giuridica, incombendo su quest'ultima l'onere di allegare e provare le peculiari circostanze dalle quali possa emergere che l'intermediario conosceva, o avrebbe potuto conoscere con l'ordinaria diligenza, la mancanza di competenze ed esperienze pregresse in capo all'investitore. La natura di operatore qualificato deriva dalla contemporanea presenza di due requisiti: uno di natura sostanziale, ossia l'esistenza di specifiche competenze ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari in capo al soggetto (società o persona giuridica); l'altro, di carattere formale, relativo alla formale dichiarazione sottoscritta dal soggetto di possedere le competenze e l'esperienza richieste. Tali requisiti esonerano l'intermediario dall'obbligo di compiere ulteriori verifiche, in assenza di elementi che facciano presumere il contrario e che emergano dalla documentazione già in suo possesso. Resta, pertanto, a carico di chi deduca detta discordanza l'onere di provare circostanze determinate dalle quali sia desumibile la mancanza dei requisiti sopraindicati e la conoscenza da parte dell'intermediario delle circostanze o almeno la loro agevole conoscibilità in base ad elementi oggettivi. La dichiarazione di operatore qualificato, rilasciata dal rappresentante legale di una società, deve essere qualificata come dichiarazione "di scienza" o di "giudizio" e non di "volontà". Infatti, tale dichiarazione è preliminare alla conclusione del contratto e, la sua funzione, è quella di determinare quelli che sono gli obblighi formali dell'intermediario finanziario nel rapporto con il cliente in ragione della competenza ed esperienza dell'investitore. Concludendo, per la dimostrazione dell'appartenenza della società investitrice alla categoria di operatore qualificato l'intermediario dovrà semplicemente produrre in giudizio la già citata dichiarazione autoreferenziale ai sensi dell'art. 31 Regolamento Consob 11522/98. Sul punto, si rammenta che la società attrice non ha assolto all'onere probatorio sulla stessa incombente di provare elementi contrari rispetto alla documentazione già in possesso dell'intermediario, né, segnatamente, ha dimostrato le peculiari circostanze dalle quali poteva emergere che l'intermediario conosceva, o avrebbe potuto conoscere con l'ordinaria diligenza, la mancanza di competenze ed esperienze pregresse in capo alla società stessa. Anzi, al contrario, se, per un verso, parte attrice ha affermato di non essere in possesso della natura di investitore qualificato, per altro verso, ha al contempo prodotto in giudizio la copia della dichiarazione di operatore qualificato del rappresentante legale della società, LEGALE RAPPRESENTANTE. In ultimo, a riprova della esperienza e competenza di parte attrice a comprendere la natura dell'interest rate swap, nonché lo scopo ed il rischio dello stesso, si evidenzia, come correttamente rilevato da parte convenuta, che la SOCIETÀ' INVESTITRICE aveva sottoscritto nell'arco di cinque anni quattro contratti IRS, donde poter presumere una certa esperienza e conoscenza dei relativi strumenti finanziari. Tal che ne deriva il rigetto della superiore domanda. Quanto, invece, alla censura di parte attrice, inerente l'asserita inadeguatezza degli strumenti finanziari offerti da parte dell'istituto di credito convenuto, va osservato quanto segue. Sul punto, si evidenzia che l'intestato Tribunale, con provvedimento del 11 febbraio 2016, a scioglimento della riserva assunta il 03 febbraio 2016, incaricava l'esperto nominato, quanto ai contratti di swap di: "valutare se le modalità di funzionamento dei contratti derivati, meglio specificati nell'atto di citazione alle lettere B), E) ed F) potevano astrattamente - sulla base di una valutazione ex ante e tenuto conto dell'andamento dei mercati all'epoca della stipulazione dei contratti - essere convenienti per la parte attrice e consentirle di realizzare un concreto vantaggio; - - In particolare, verificare, sempre con valutazione ex ante, se i suindicati contratti erano idonei assolvere alla funzione di copertura del conto corrente e degli affidamenti precedentemente sottoscritti dalla parte attrice, ovvero se abbiano aumentato il rischio di subire perdite". Al riguardo, il CTU ha rappresentato: "I primi due punti possono essere trattati insieme. Per comodità si riporterà di seguito una breve descrizione dei contratti già riportata nella relazione originaria. Per ciascuno dei contratti esprimerò quindi la valutazione richiesta rifacendomi ai criteri indicati". Sul contratto del 12/7/2001 (IRS n. 12200). Sul punto, l'esperto nominato ha rilevato: "Al fine di esprimere una valutazione sulla convenienza per la parte attrice e sulla possibilità di conseguire un concreto vantaggio, appare opportuno fare riferimento al concetto di avversione al rischio da parte dell'imprenditore che ha stipulato il mutuo e poi approfondire se, sulla base delle informazioni in possesso della banca al momento della proposta, il rischio da cui l'imprenditore intendeva cautelarsi fosse o meno probabile. Come è possibile verificare dai dati la soglia del 5,50% era sicuramente molto elevata e nessuna previsione periodica ha mai considerato la possibilità che la stessa fosse superabile. Il rischio da cui si è coperta la società con il contratto derivato appariva quindi, alla data della stipula, piuttosto improbabile e pertanto difficilmente si sarebbe potuto realizzare un concreto vantaggio. Per queste ragioni il contratto derivato non ha diminuito il rischio di subire perdite aumentando invece quello di eventuali addebiti (cfr. pagg. 8-12 della relazione tecnica del 07 novembre 2016). In merito, l'esperto nominato ha pertanto concluso che il contratto del 12/7/2001 astrattamente non poteva essere considerato conveniente per la parte attrice, fatte salve le considerazioni specifiche sull'avversione al rischio del soggetto sottoscrittore, e ha aumentato il rischio di subire perdite. Sul contratto del 21/09/2006. Sul punto, l'esperto nominato ha rilevato: "In questo caso il contratto derivato appare adeguato in funzione del rischio di volatilità. Al momento della stipula del contratto la caduta dei tassi conseguenti alle crisi finanziarie del 2008 non era perfettamente prevedibile e comunque il quadro restava di sostanziale stabilità. Anche dopo le crisi il quadro è rimasto stabile ma con livelli assoluti di tassi più bassi non prevedibili al momento della stipula. Tale contratto poteva quindi astrattamente essere considerato conveniente per la parte attrice e consentirle di realizzare un concreto vantaggio e non ha aumentato il rischio di subire perdite che si è concretizzato solo a seguito del crollo dei tassi che ha costituito la conseguenza di uno shock non prevedibile" (cfr. pagg. 12-15 della relazione tecnica del 07 novembre 2016). In merito, l'esperto nominato ha, pertanto, concluso che il contratto del 21/09/2006 astrattamente poteva essere considerato conveniente per la parte attrice, fatte salve le considerazioni specifiche sull'avversione al rischio del soggetto sottoscrittore, e non ha aumentato il rischio di subire perdite. Sui contratti del 15/12/2006 e del 29/3/2007. Sul punto, l'esperto nominato ha rilevato: "Si tratta cioè di strumenti derivati che dovrebbero coprire dal rischio valutario, mentre non risulta che il citato contratto di finanziamento abbia un funzionamento in valuta. In questo caso le caratteristiche stesse del contratto derivato che prevede la regolazione di flussi in funzione dell'andamento del mercato valutario e la mancanza, per quanto a mia conoscenza sulla base dei documenti nel fascicolo di causa, di qualsiasi operazione in valuta estera o di operatività della società in tal senso consentono di affermare che parte attrice non poteva conseguire un concreto vantaggio ed aumentava comunque la possibilità di essere esposti a perdite" (cfr. pag. 15 della seconda relazione tecnica del 07 novembre 2016, su integrazione quesito da parte del Giudice, dott. Ga.). In merito, l'esperto nominato ha pertanto concluso che i contratti del 15/12/2006 e del 29/3/2007 astrattamente non potevano essere considerati convenienti per la parte attrice e hanno aumentato il rischio di subire perdite. Con il superiore provvedimento del 11 febbraio 2016, il Tribunale incaricava altresì l'esperto nominato al fine di "Indicare se, all'epoca della stipulazione dei contratti per cui è causa, erano disponibili altri strumenti finanziari idonei a perseguire l'interesse della parte attrice e meno rischiosi". Sul punto, il CTU nominato ha affermato che: "Per poter rispondere a tale parte del quesito sarebbe quindi necessario conoscere quali erano i prodotti derivati presenti nel "portafoglio commerciale" della banca che li ha proposti per capire se ve ne fossero alcuni più adeguati alle esigenze specifiche del cliente. Non sono in possesso di tale informazione e pertanto non posso procedere a rispondere compiutamente al quesito" (cfr. pag. 16 della relazione tecnica del 07 novembre 2016). Il Tribunale incaricava poi l'esperto nominato al fine di "Calcolare gli incassi percepiti dalla parte attrice ed i pagamenti dovuti in esecuzione dei contratti in questione, sin dalla data della loro stipulazione". Il CTU ha chiarito, sul punto, che gli addebiti effettivi, che sono il differenziale negativo tra la somma dovuta dalla società e quella dovuta dalla banca, ammontano ai seguenti importi: 1. Contratto del 12/7/2001, la somma complessiva è pari ad Euro 70.952,98. 2. Il contratto del 21/09/2006, la somma complessiva è pari ad Euro 43.835,91. 3. Contratti del 15/12/2006 e del 29/3/2007, la somma complessiva è pari ad Euro 8.041,67. Va peraltro osservato quanto ai primi due contratti che il CTU ha precisato che gli stessi in quanto funzionalmente collegati al contratto di mutuo, non avevano alcun fine speculativo, quanto quello di copertura del relativo rischio connaturato al finanziamento. Per quanto concerne la censura di parte attrice relativamente alla risolubilità e/o invalidità delle operazioni riguardanti gli interest rate swap si ritiene che anch'essa debba ritenersi infondata. Nel caso di specie, il presunto inadempimento della Banca, che parte attrice lamenta (pur non formulando nelle proprie conclusioni alcuna specifica domanda al riguardo, circostanza questa che basterebbe, da sola , ad esonerare il Giudice dalla disamina della relativa censura) e che sarebbe stato produttivo del danno sofferto, si è sostanziato nella proposta di strumenti finanziari inadeguati al profilo del cliente ed alla propria situazione economica, nonché nella mancata comunicazione di informazioni sul rischio concernente tali strumenti finanziari. L'esperto nominato ha chiarito, nella relazione tecnica in atti, "Come un derivato sia uno strumento finanziario i cui rendimenti ed i cui valori sono derivati da, o dipendono da, qualcos'altro che generalmente viene chiamato attività principale o sottostante. Il motivo principale per cui vengono utilizzati tali prodotti è legato alla copertura del rischio (hedging) al fine di neutralizzare l'andamento avverso del mercato, bilanciando le perdite sull'attività sottostante con i guadagni derivanti dallo strumento finanziario. Ovviamente tali prodotti finanziari possono essere utilizzati anche con fini meramente speculativi, per trarre profitto da una previsione sull'andamento del sottostante, o per operazioni di arbitraggio con le quali si mira a sfruttare un momentaneo disallineamento tra l'andamento del mercato sottostante e quello del derivato. In questi ultimi casi si tratta comunque di strumenti specificatamente strutturati per tale scopo e senza alcun legame e correlazione con altre attività o passività detenute dal sottoscrittore del prodotto. Più nello specifico, lo schema del negozio alla base di uno strumento derivato prevede il regolamento, in una data futura, del differenziale tra il prezzo corrente (rendimento) di una attività di riferimento e il prezzo predeterminato nel contratto in una data futura. Invece del regolamento dei flussi di cassa può avvenire una vera e propria consegna o acquisto di un bene reale o finanziario ad un prezzo definito dal contratto detto prezzo d'esercizio". Ebbene, dalla disciplina normativa recata nel T.U.B., si evince che l'idoneità dell'informazione debba essere valutata in relazione all'adeguatezza dell'operazione, nonché rispetto alle caratteristiche soggettive del cliente. L'obbligo informativo é sempre sussistente in capo all'intermediario, a tutela degli interessi del cliente, ma il suo contenuto concreto può atteggiarsi in modo diverso a seconda che l'intermediario abbia a che fare con un investitore occasionale, ovvero con un risparmiatore aduso agli investimenti finanziari oppure ancora con un esperto speculatore. La scrivente ritiene che, salva l'ipotesi di un vero e proprio contratto di gestione di portafoglio o di uno specifico accordo fra le parti - ipotesi queste ultime in ogni caso non ricorrenti nel caso di specie -l'obbligo di salvaguardia degli interessi del cliente debba essere inteso con riferimento, oltre che alla fase della trattativa e della conclusione del contratto quadro, alla sola fase di esecuzione dello specifico ordine di investimento ricevuto, sia esso di acquisto che di vendita, ma non anche con riferimento all'intera durata dell'eventuale investimento posto in essere. Con la conseguenza che l'intermediario non ha alcun obbligo di seguire l'andamento dell'investimento e di fornire al cliente informazioni o indicazioni sull'opportunità o meno di continuare in quel determinato investimento talora anche pluriennale. Si arriverebbe altrimenti ad imporre all'intermediario degli obblighi ulteriori e ben più gravosi rispetto a quelli contrattualmente assunti. Sul punto, si ritiene di dovere condividere il seguente orientamento, "Laddove un soggetto societario abbia stipulato una serie di contratti di interest swap rate con un intermediario finanziario preceduti da un accordo normativo generale e corredati da dichiarazioni sottoscritte del legale rappresentante circa il possesso della necessaria competenza in materia finanziaria, deve - da un lato - riconoscersi l'esonero dagli obblighi informativi sulla natura e sul grado di rischio dell'operazione e - dall'altro - la insussistenza di alcun obbligo di verifica da parte dell'intermediario della veridicità di siffatta assunzione di responsabilità da parte del contribuente" (cfr. Tribunale Cuneo, Sentenza, 09/02/2009, n. 106; in senso conforme, Tribunale Forlì, Sentenza, 11/07/2008). Quanto alle caratteristiche soggettive del cliente cui parametrare il contenuto delle informazioni che l'intermediario deve fornire, va ribadito che la SOCIETÀ INVESTITRICE aveva sottoscritto la dichiarazione attestante il possesso dei requisiti di operatore qualificato di cui all'art. 31 comma 2 Reg. Consob n. 11522. Ebbene, come di recente chiarito, dalla giurisprudenza di legittimità, con ordinanza del 4 aprile 2018, n. 8343, nella vigenza dell'art. 31 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, la dichiarazione formale sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza e dell'esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l'intermediario dall'obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull'investitrice l'onere di provare che, invece, elementi in contrario emergevano dalla documentazione già in possesso dell'intermediario medesimo, dei quali questi avrebbe dovuto tenere conto. Pertanto, quanto all'onere probatorio in ordine alla qualifica ed alle caratteristiche soggettive del cliente, come già innanzi chiarito, l'esistenza della menzionata dichiarazione integra una presunzione semplice della qualità di investitore qualificato in capo alla persona giuridica. Nel caso di specie, si ribadisce che parte attrice non ha assolto all'onere della prova sulla stessa incombente, ma si é invece limitata ad allegare di non aver mai avuto esperienza nell'ambito della negoziazione degli strumenti finanziari prima della stipula dei contratti oggetto di causa, senza tuttavia dimostrare che l'Istituto di Credito convenuto conoscesse tale circostanza o avrebbe potuto conoscerla usando l'ordinaria diligenza. Al contrario, elementi quali la struttura societaria della SOCIETÀ' INVESTITRICE, l'avere la stessa intrapreso operazioni quali il contratto di mutuo per il quale era sorta la necessità di garantirsi dalla variabilità dei tassi di interesse previsti con la stipula dei contratti di Interest Rate Swap in esame, nonché lo stesso elevato numero (quattro) di contratti finanziari stipulati, hanno senz'altro concorso ad infondere nella convenuta il convincimento di trattare con un operatore qualificato. Tanto premesso, richiamate le superiori osservazioni sulla portata degli obblighi di comportamento degli intermediari finanziari in relazione alla tipologia dei servizi resi alla clientela, si deve verificare, quali informazioni erano in concreto esigibili dalla Banca e se gli investimenti erano adeguati al profilo della società attrice. Nel caso di specie, l'attrice aveva stipulato i contratti finanziari per cui é causa al fine di porsi al riparo dal rischio della variabilità degli interessi dovuti in virtù del contratto di mutuo intercorso con la Banca convenuta. D'altronde, posto che i contratti finanziari sono caratterizzati dall'alea, quindi da un elevato rischio, che deve permanere per tutta la durata del rapporto, dalla documentazione in atti e dalla stessa CTU si evince che l'attrice non ha subito solo perdite a seguito della stipula dei contratti di Interest Rate Swap, avendo questi ultimi avuto anche un andamento positivo per la società cliente. Vanno, per l'effetto, rigettate anche le domande di parte attrice tendenti ad ottenere la declaratoria di nullità dei contratti di Interest Rate Swap per difetto di forma scritta, tenuto conto della produzione in atti dei contratti suddetti, nonché per violazione di norme imperative e/o per difetto di causa. In merito alla lamentata nullità ai sensi dell'art. 1418 comma 1 c.c. nonché per violazione del combinato disposto degli artt. 1418 comma 2 e 1325 n. 2 c.c., si ritiene di dovere condividere il seguente orientamento: "L'inottemperanza dei suddetti doveri di informazione del cliente non può dare luogo a nullità, bensì a responsabilità precontrattuale, nel caso in cui le violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipula del contratto di intermediazione, ovvero a responsabilità contrattuale, qualora si verifichino nella fase dell'esecuzione. Ed invero, la violazione delle norme di comportamento dei contraenti genera una responsabilità precontrattuale o contrattuale, ma non influisce sulla struttura del contratto e non è pertanto atta a provocarne la nullità" (cfr. Tribunale Bologna, Sez. II, Sentenza, 05/02/2008, n. 275). In applicazione delle coordinate interpretative innanzi richiamate ne deriva, per l'ulteriore effetto, il rigetto della domanda di parte attrice diretta ad ottenere l'annullamento dei contratti di Interest Rate Swap per violazione degli artt. 1439 e/o 1428 e 1429 c.c., tenuto conto della tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase pre negoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell'atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili 19 dicembre 2007, n. 26725). In ordine, infine, alla doglianza di parte attrice sul superamento del tasso soglia, relativamente agli interest rate swap, il Tribunale, con provvedimento del 11 febbraio 2016, ha incaricato l'esperto nominato al fine di verificare "se l'istituto di credito ha correttamente applicato ai rapporti le condizioni prescritte dai contratti di swap sottoscritti e, con particolare riguardo agli eventuali interessi passivi maturati con esclusivo riferimento ai singoli contratti di SWAP (a prescindere dal loro collegamento con i relativi contratti di mutuo), accerti se il tasso di interesse concordato fosse sin dall'origine superiore al tasso soglia; in caso di riscontro positivo, ricalcoli i rapporti di dare ed avere tra le parti, eliminando dal computo le somme addebitate a titolo di interessi passivi; accerti, inoltre, se nel corso dei rapporti di Swap si sia verificato o meno il superamento del tasso soglia usura per tutti o per singoli periodi di riferimento; e, in caso positivo, proceda al ricalcolo dei rapporti di dare ed avere applicando, per i periodi in cui si è registrato il superamento, il tasso soglia previsto dai decreti ministeriali". A tal riguardo l'esperto nominato ha rilevato: "Le condizioni di tutti i contratti derivati sono state rispettate mentre, per quanto riguarda la verifica dell'eventuale superamento del tasso soglia devo evidenziare che non è possibile procedervi in quanto i contratti derivati non sono inquadrabili in nessuna delle categorie di finanziamento riportate nei decreti citati. Essi, d'altronde, non costituiscono in alcun modo una operazione di finanziamento e, anche a voler procedere ad una verifica del tasso di interesse calcolandolo secondo la formula dell'interesse semplice per ciascuna delle scadenze previste e sul nozionale indicato (operazione che porta comunque a tassi sempre oscillanti tra il 2% ed il 3% annuo nei casi dei flussi negativi) oppure come interesse semplice dato dalla somma complessivamente versata sul nozionale iniziale (con tassi comunque sempre inferiori al 10%), non sarebbe poi possibile concludere in alcun modo sul superamento della soglia perché non è dato individuare quest'ultima sulla base della normativa" (cfr. pagg. 18-19 della relazione tecnica del 07 novembre 2016). Tornando, più nello specifico, alle doglianze riguardanti il conto corrente n. (...) (LETT. C), il conto corrente n. (...) (LETT. G) e il conto anticipi fatture n. (...) (LETT. H) si rileva che, nel caso di specie, parte attrice ha spiegato sia un'azione di accertamento giudiziale di clausole nulle e/o di addebiti illegittimi, sia di ripetizione dell'indebito. Tanto precisato, si rinvia alle risultanze della consulenza tecnica di ufficio sopra riportate, per quanto concerne l'illegittima corresponsione della commissione di massimo scoperto, l'illegittima corresponsione di commissioni, spese e oneri accessori, la rielaborazione del saldo del conto corrente, anche in considerazione della data di contabilizzazione delle operazioni per tutti i rapporti di cui è causa, la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, la restituzione delle somme indebitamente richieste. Si evidenzia, inoltre, che la ctu appare immune da vizi logico-giuridici (avendo, inoltre, l'esperto nominato compiutamente risposto a tutte le osservazioni dei consulenti di parte, nonché avendo altresì compiutamente risposto a seguito dei successivi richiami del Tribunale rispettivamente con i provvedimenti del 10 febbraio 2016, 03 agosto 2018 e del 23 ottobre 2020). Alla luce delle conclusioni cui addiviene il CTU, sia sulla verifica del tasso soglia che sulle condizioni contrattuali, la scrivente, come già sopra argomentato, ritiene di privilegiare la seconda delle ipotesi prospettate dal CTU negli ultimi due elaborati peritali. Ne consegue che, per tutti i rapporti per cui è causa, può ritenersi che il saldo finale del conto corrente n. (...) sia complessivamente pari ad euro Euro -116.123,10 a debito di parte attrice (Ipotesi II, pag. 7 della terza relazione tecnica in atti depositata il 15 dicembre 2018). Per il conto anticipi n. (...) resta confermato invece il credito della Banca convenuta di Euro 74.732,42. Sulle somme così determinate, inoltre, decorrono interessi dalla data della domanda sino al soddisfo. Solo in caso di mancata determinazione di tali interessi potrà, inoltre, trovare applicazione l'art. 1284 c.c., il quale è stato modificato nel 2014 con l'inserimento del comma 4, di questo tenore: "se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali". Concludendo, si rimanda alle statuizioni di cui al dispositivo. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno, pertanto, compensate in ragione di un terzo, mentre, per i restanti due terzi, vanno poste a carico della parte attrice, nonché liquidate tenuto conto del valore della causa (determinato sulla base della domanda) e dell'attività espletata dalle parti, secondo i parametri previsti dal D.M. 55 del 2014. Nella liquidazione delle spese occorre inoltre tenere anche conto della natura documentale della causa. Le spese della C.T.U., già liquidate come da separati decreti, vanno poste definitivamente a carico di tutte le parti, in solido tra loro. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa, definitivamente pronunciando sui rapporti di dare/avere tra la SOCIETÀ INVESTITRICE e la BANCA (e per essa, quale cessionaria, CESSIONARIA in persona del suo legale rappresentante pro tempore): - dichiara che, sul conto corrente n. 2318 intestato alla SOCIETÀ' INVESTITRICE s.r.l., alla data della domanda, il saldo (negativo) del rapporto è pari alla somma di euro - 116.123.10 (a carico della parte attrice); - dichiara che per il conto anticipi n. (...) il saldo in favore della BANCA ammonta ad euro 74.732,42; - in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della BANCA, condanna la SOCIETÀ INVESTITRICE in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore della BANCA in persona del legale rappresentante pro-tempore (e, per essa, quale cessionaria, CESSIONARIA) della complessiva somma di euro 190.855,52, oltre interessi dalla data della domanda sino al soddisfo; - rigetta le ulteriori domande proposte da parte della SOCIETÀ s.r.l.; - compensa, per un terzo, le spese di lite tra la SOCIETÀ e la BANCA, condannando la prima al pagamento in favore della seconda, in persona del rappresentante legale pro tempore, dei restanti due terzi di tali spese che liquida, ai sensi del D.M. n. 55/2014 nella misura di euro 10.218,60, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge; - compensa tra le altre parti le spese di lite; - PONE definitivamente a carico di entrambe le parti, in solido tra loro, le spese di ctu, già liquidate come da separati decreti. Così deciso in Termini Imerese il 24 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario, Dott.ssa M. Margherita Urso, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3426 del R.A.G.C. relativo all'anno 2017, posta in decisione all'udienza del 02.02.2023 e vertente TRA (...) nato a Misilmeri il (...) e (...), nata a Misilmeri il (...) CF: (...), entrambi residenti in Misilmeri, (...), elettivamente domiciliati in Bagheria, via (...), presso lo studio dell'Avvocato (...), che li rappresenta e difende per mandato in calce all'atto di citazione, - attori - E (...), nato a Ficarazzi il (...), ivi residente in Viale (...); (...), nata a Palermo il (...), residente in Ficarazzi Viale (...); (...) nato a Palermo il (...) residente in Ficarazzi, Via (...), tutti elettivamente domiciliati in Palermo, Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che li rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - convenuti - E (...) nato a Ficarazzi (PA) il (...) ed e ivi residente in via (...), assistito e difeso congiuntamente e disgiuntamente dall'Avv. (...) giusto mandato in atti, elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore sito in Ficarazzi (PA) (...), - convenuto - E NEI CONFRONTI DI (...), nata a Villabate il (...), - convenuta contumace - avente oggetto: costituzione servitù coattiva valore della controversia: Euro 25.000,00 CONCLUSIONI DELLE PARTI Tutte le parti concludono come al verbale di udienza del 02.02.2023, cui si rinvia integralmente MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con l'atto di citazione introduttivo del giudizio e quello in rinnovazione, i signori (...) e (...) hanno convenuto innanzi a questo Tribunale i signori (...) e (...), nonché i signori (...), (...) e (...), rassegnando le seguenti conclusioni: "- Condannare i convenuti signori (...) e (...), a consentire ai concludenti l'accesso e l'uso del fabbricato rurale, sito in Misilmeri, contrada (...), in catasto al foglio (...), particella (...), di are 1,31, ed a consegnare la chiave dell'ingresso a detto fabbricato rurale, dando atto che i concludenti non si oppongono al pari uso dei predetti convenuti o di terzi, e condannare sempre i predetti convenuti a consentire l'esercizio del passaggio pedonale agli concludenti, dalla strada vicinale Quattrociocchi sino al fondo di essi concludenti, ed al magazzino, contrassegnati in catasto al foglio (...), particelle (...), del C.T. e foglio (...), particella (...) del NCEU anche nel tratto che attraversa il fondo di essi convenuti contrassegnato al foglio (...), particella (...), sempre del Comune di Misilmeri, eliminando qualsiasi ostacolo che lo impedisca; -In subordine, per l'occorrenza, ritenere e dichiarare che i convenuti signori (...), (...) e (...), sono obbligati a garantire i concludenti dall'evizione subita sul diritto alla casa rurale e sul diritto di passaggio pedonale a mezzo di un viottolo che parte dalla strada vicinale (...) per accedere al terreno venduto, oggetto dell'atto di compravendita del 22 luglio 2004 in notar (...), con conseguente riduzione del corrispettivo della vendita e condannare essi convenuti al pagamento di una somma non inferiore ad euro 20.000,00, sia a titolo di riduzione del corrispettivo, sia a titolo di risarcimento del danno, anche ai sensi dell'articolo 2043 cod.civ.; - Sempre per l'occorrenza, ove non risultassero di proprietà dei convenuti signori (...), e comunque non trasferiti il diritto alla casa rurale ed il diritto di passaggio pedonale a mezzo di un viottolo che parte dalla strada vicinale (...) per accedere al terreno venduto, oggetto dell'atto di compravendita del 22 luglio 2004 in notar (...), condannare essi convenuti (...), al pagamento di una somma non inferiore ad euro 20.000,00, in favore degli concludenti, sia a titolo di riduzione del corrispettivo, sia a titolo di risarcimento del danno, anche ai sensi dell'articolo 2043 cod.civ.; - Solo per l'occorrenza, a mente del combinato disposto degli articoli 1418 secondo comma, 1325 n.3 e 1470 cod.civ., ritenere e dichiarare la nullità parziale del contratto di compravendita del 22 luglio 2004, in notar (...), tra gli odierni concludenti ed i convenuti signori (...), (...) e (...), nella parte in cui ha trasferito i diritti sul fabbricato rurale, e l'esercizio della servitù di passaggio pedonale, di cui al detto contratto di compravendita e condannare i signori (...), (...) e (...), in solido, a corrispondere agli concludenti la somma di Euro.20.000,00 (euro ventimila/00) o quell'altra maggiore o minore somma, che risulterà dovuta, anche ai sensi deU'art.2043 cod.civ.". A fondamento delle domande, assumevano che, con atto del 22 luglio 2004 in notar (...), rep.n.24323, trascritto a Palermo il 29 luglio 2004 ai numeri 37730 e 23802, prodotto (doc.1 atto di citazione), i convenuti signori (...), (...) e (...), (...) hanno venduto ai signori (...) e (...), la piena proprietà del magazzino sito in Misilmeri, c.da (...), in catasto al foglio (...), particella (...), confinante da tre lati col terreno oggetto della medesima vendita, nonché l'appezzamento di terreno agricolo, sito nel medesimo comune, e contrada, esteso are 80 e centiare 01, segnato in catasto al foglio (...), particelle (...), confinante con il magazzino prima venduto, con proprietà (...), con proprietà (...), con (...) e con strada di collegamento all'autostrada Palermo Catania. Nel predetto atto risultava che i convenuti, (...), (...) e (...) hanno altresì trasferito agli attori il diritto sulla casa rurale esistente sul fondo (...) ed il diritto di passaggio pedonale a mezzo di un viottolo che parte dalla strada vicinale (...) per accedere al terreno venduto. Il fabbricato rurale costituiva pertinenza del fondo rustico, mentre la servitù di passaggio pedonale è utile, quale accesso dalla stradella pubblica, per le attività agricole del fondo venduto. Il corrispettivo convenuto e pagato dagli attori era stato di Euro.55.000,00, come risulta quietanzato nell'atto di compravendita. Da qualche anno, tuttavia, il convenuto signor (...), proprietario del fondo confinante, unitamente al coniuge, signora (...), ha impedito agli attori l'utilizzo del fabbricato rurale, sul quale hanno diritto, a servizio del fondo agricolo, ed hanno altresì impedito il passaggio attraverso il viottolo pedonale che si diparte dalla strada vicinale (...) e perviene al fondo acquistato, oggetto dell'atto di vendita, mutando lo stato dei luoghi. Il convenuto signor (...) assumeva, infatti, di essere esclusivo proprietario del fabbricato rurale di cui trattasi ed all'uopo lo aveva chiuso, e parimenti, aveva chiuso il viottolo sul quale si esercitava il passaggio pedonale giusta il diritto di servitù trasferito agli attori. Per tali motivi, gli attori avevano adito questo Tribunale, stante il comportamento antigiuridico del convenuto, in violazione dei diritti reali dei predetti attori e, in violazione, del principio generale di cui all'articolo 2043 c.c.. Gli attori rappresentavano di avere invitato bonariamente i convenuti con la lettera raccomandata a.r., prodotta in atti, al fine di consentire l'accesso al fabbricato rurale pertinenziale e l'esercizio del passaggio, ma tale richiesta restava inevasa. Anche il tentativo di mediazione civile restava infruttuoso, come risulta dal verbale di mediazione dell'ADR (...), pure prodotto (doc.3 atto di citazione). I predetti convenuti, regolarmente invitati, come risulta al verbale medesimo, non si presentavano senza giustificato motivo. Gli attori hanno accertato che, con atto dell'11 agosto 2003, in notar (...), prodotto (doc.4 atto di citazione), i convenuti signori (...) e (...), hanno acquistato da potere del signor (...) la proprietà di un appezzamento di terreno, nel piano contrada (...), confinante nel suo insieme con proprietà eredi (...), con strada, con la proprietà (...) (dante causa dei concludenti) e con la proprietà (...) (dante causa dei concludenti); in catasto al foglio (...), particella (...). Nel predetto atto si legge "..che sono compresi nella vendita tutti i diritti alla parte venditrice spettanti, in forza del citato titolo di provenienza,...sul vano rurale semidiruto con spiazzo.......censito nel catasto al foglio (...), particella (...)". È di tutta evidenza che oggetto della vendita è il trasferimento della proprietà dell'appezzamento di terreno ivi descritto, mentre sono trasferiti, come agli attori, i diritti sul fabbricato rurale, a servizio del fondo. Il diritto è pari a quello trasferito agli attori e consiste nell'uso del fabbricato rurale per il deposito dei frutti del fondo appena raccolti e di attrezzi agricoli. Per quanto sopra, pertanto, i convenuti, (...) e (...), dovevano consentire agli attori l'uso del fabbricato rurale e l'esercizio della servitù di passaggio, non opponendosi al pari esercizio di questo, anche ove fosse pure a favore di terzi. Gli attori esponevano, altresì, di avere acquistato la proprietà del magazzino, del terreno e dei diritti sul fabbricato rurale e la servitù di passaggio pedonale con atto pubblico di compravendita, debitamente trascritto, dai convenuti signori (...)-(...) e, pertanto, dovevano essere garantirli dall'evizione altrui. Infatti, il comportamento dei convenuti signori (...)-(...) pregiudicava i diritti reali acquistati con l'atto di compravendita del 22 luglio 2004, loro trasferiti e costituiva una vera e propria evizione, pur parziale. Per questi motivi, avevano convenuto in giudizio i Sigg. (...), (...) e (...), i quali si costituivano in giudizio con comparsa di costituzione e risposta, contestando le domande attrici perché infondate in fatto e in diritto. Nessuno si costituiva per i Sigg. (...) e (...) e, all'udienza del 14 febbraio 2018, il G.I. autorizzava gli attori a rinnovare l'atto di citazione ai medesimi convenuti e fissava, all'uopo, l'udienza del 19 settembre 2018. Nessuno si costituiva per i predetti convenuti e, pertanto, ne veniva dichiarata la contumacia. Concessi alle parti i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., la causa veniva, pertanto, istruita con l'escussione dei testi e con l'espletamento della CTU, redatta dall'Arch. (...). Dopo la nomina del CTU, si costituiva, irritualmente e tardivamente, il convenuto (...), con comparsa di costituzione e risposta, con la quale spiegava domande riconvenzionali ed eccezioni riconvenzionali di accertamento. Il Tribunale autorizzava l'Arch. (...) ad avvalersi della forza pubblica per accedere ai luoghi oggetto di causa, stante gli impedimenti illegittimi frapposti dal suddetto convenuto. Espletata la CTU, la causa veniva, pertanto, rinviata all'udienza del 02.02.2023 per la precisazione delle conclusioni. Alla predetta udienza, la causa - sulle conclusioni rassegnate dalle parti - veniva posta in decisione, con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Premesso quanto sopra, in diritto, si rendono necessarie le seguenti considerazioni. Sulla dichiarazione di morte della convenuta (...): Con la comparsa conclusionale, tempestivamente depositata, il procuratore costituito ha dichiarato il decesso della Sig.ra (...), avvenuto in data 17.11.2022, come da certificato di morte, ivi allegato, chiedendo l'interruzione del giudizio. Sul punto si osserva che l'art. 300 c.c. così dispone: "Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell'articolo precedente. Se la parte è costituita personalmente, il processo è interrotto al momento dell'evento. Se l'evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall'altra parte, o è notificato ovvero è certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all'articolo 292. Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera o è notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, esso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell'istruzione.". Dalla lettura della norma, si palesa che in caso di morte di una delle parti, il procuratore può: - dichiararlo in udienza; - notificarlo alle altre parti. Dalla dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, a meno che non vi sia: - la costituzione volontaria degli eredi; - la riassunzione ai sensi dell'art. 163 bis La lettura della norma, come anticipato, chiarisce tassativamente le ipotesi di interruzione nella fattispecie concreta analizzata, tuttavia, sul punto è intervenuta anche la cassazione a dissipare ogni dubbio: "La dichiarazione, da parte del procuratore, di uno degli eventi che, a norma dell'art. 300 c.p.c., comportano l'interruzione del processo, deve essere finalizzata al conseguimento di tale effetto o corredata dei necessari requisiti formali (quali la formulazione in udienza o in atto notificato alle altre parti), sicché non determina interruzione del processo la dichiarazione contenuta nella comparsa conclusionale, nella quale il difensore si sia limitato a chiedere la fissazione di apposita udienza istruttoria, riservandosi in tale sede di dichiarare l'evento" (cfr. Cass. civ. Sez. II, 28/09/2015, n. 19139). Nella sostanza, la comparsa conclusionale, non ha le caratteristiche per poter assolvere il conseguimento dell'effetto interruttivo previsto tassativamente dalla norma, proprio perché non ci troviamo in udienza e perché la stessa non è notificata alle altre parti. Condividendo questo assunto, anche il giudice di Pace di Vallo Della Lucania ha affermato, in merito alla dichiarazione di morte pervenuta solo con la comparsa conclusionale che "Tale dichiarazione non ha valenza interruttiva del processo, perché non ha i requisiti formali di valenza. Difatti, al Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 19139/2015 ha ribadito il principio, già espresso in altre sentenze n. 15131/200, n. 8357/2007, secondo cui la dichiarazione da parte del procuratore di uno degli eventi che, a norma dell'art. 300 c.p.c., comportano l'interruzione del processo deve essere finalizzata al conseguimento di tale effetto, il quale pertanto, non si verifica se la dichiarazione stessa e stata resa per uno scopo meramente informativo, in difetto del detto elemento intenzionale o dei necessari requisiti formali, quali la formulazione in udienza o in atto notificato alle altre parti e senza astensione dell'attività difensiva, con la conseguenza che non determina interruzione del processo la dichiarazione che risulti soltanto dalla comparsa conclusionale depositata, che costituisce un tipico atto difensivo non equiparabile alla dichiarazione resa in udienza o alle notificazioni con le suddette finalità". Per quanto sopra, questo Decidente ritiene di condividere l'orientamento giurisprudenziale sopra esposto e, pertanto, il giudizio non deve essere dichiarato interrotto, malgrado il decesso della convenuta, (...). Sulla tardiva costituzione del convenuto, (...): Preliminarmente, deve essere dichiarata la decadenza del convenuto (...) dal proporre domande riconvenzionali, anche di mero accertamento, ed eccezioni non rilevabili d'ufficio, reiterate in comparsa conclusionale, perché tardivamente costituitosi. Parimenti, va dichiarata inammissibile la produzione documentale del convenuto, posta a fondamento di detti accertamenti riconvenzionali, per essere stata depositata irritualmente dopo la scadenza del termine di cui all'art.183 VI comma n.2 c.p.c. non avendo, peraltro, formulato alcuna istanza di rimessione in termini. Sul diritto di servitù vantato dagli attori: Passando alla trattazione del giudizio nel merito, è opportuna una breve esposizione dei principi generali in tema di servitù. Ai sensi dell'articolo 1027 c.c., la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l'utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario. È essenziale, pertanto, questa relazione (rapporto di servizio) tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente. Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui. Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo). Il proprietario del fondo dominante (cioè del fondo che accresce la propria utilità) può dunque pretendere dal titolare del fondo servente (cioè del fondo che subisce il peso), che questi non impedisca il conseguimento in fatto di quelle utilità. Le servitù si possono costituire in due modi: per ordine della legge (servitù coattive ex art. 1032 c.c.) o per volontà dell'uomo (servitù volontarie ex art. 1031 c.c.). Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell'autorità giudiziaria, su domanda dell'interessato; la sentenza determina anche l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell'autorità amministrativa. Un modo di "acquisto a titolo originario", proprio solo delle servitù, è la cosiddetta "destinazione del padre di famiglia" (art. 1062), inteso come il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti ad un medesimo proprietario. Se i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore dell'altro. Questo modo di acquisto vale solo per le servitù apparenti, cioè per quelle servitù che presentano segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo. A tal proposito, può benissimo trattarsi del viottolo formatosi per effetto del quotidiano calpestio da parte del titolarità dei fondi in capo ad uno stesso soggetto. Come sopra precisato, l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia ha luogo se due fondi, attualmente divisi, siano stati posseduti dallo stesso proprietario, che ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù (art. 1062), ma l'atto di destinazione è valutato alla stregua di fatto giuridico, non essendo rilevante la volontà del proprietario quanto l'effettiva realizzazione dello stato di cose da cui risulta inequivocabilmente l'esistenza di una servitù, cioè il vincolo a carico di un fondo ed a vantaggio di un altro, esistendo opere permanenti dirette all'esercizio della servitù. In sostanza, si deve realizzare una situazione tale che se i due fondi fossero stati di due diversi proprietari, sarebbe esistita una servitù. Poiché tuttavia nemini res sua servit, tale condizione, finché i fondi saranno di proprietà di un unico soggetto, non potrà realizzarsi, tanto ciò vero che la destinazione opera immediatamente e la servitù nasce automaticamente se il proprietario aliena un fondo mantenendo la proprietà dell'altro ovvero, in caso di fondo unico, lo divide alienandone solo una parte e riservando a sé l'altra. In tal caso non sarà necessario ricorrere all'art. 1051 c.c., perché la servitù si considera già nata, pur a prescindere dal pagamento di un'indennità. Ai sensi dell'art. 1061 cod. civ., poi, è possibile acquistare una servitù apparente, oltre che per "destinatio pater familias", per usucapione, cioè, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e per la presenza di altri requisiti. Quindi, riuscendo a dimostrare che la servitù in questione esiste da almeno 20 anni, ossia che il sentiero, ovvero il viottolo di accesso alla pubblica via, già da un ventennio ha acquistato le caratteristiche di visibilità, permanenza e destinazione specifica, allora si potrà affermare l'esistenza del diritto di passaggio e, quindi, della servitù. Il requisito dell'apparenza della servitù discontinua, come quella di passaggio, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio tali da rivelare in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente per l'utilità del fondo dominante, dovendo le dette opere, naturali od artificiali che siano, rendere manifesto trattarsi non di un'attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza l'animus utendi iure servitutis, bensì d'un onere preciso, a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto d'una determinata servitù (cfr. tra le tante, Cass. n. 2994/04; Cass. n. 6207/98; Cass. 18.10.91 n. 1120, Cass. 23.11.87 n.8640, Cass. 27.5.81 n. 3479, Cass. 7.7.78 n. 3408, Cass. 15.6.76 n.2226). Trattandosi di servitù di passaggio, poi, non è sufficiente, al fine di cui sopra, la sola esistenza dell'opera, che può essere stata realizzata anche soltanto per l'utilità del proprietario del fondo sul quale insiste, ma è necessario che tale opera risulti specificamente destinata, senza incertezze od ambiguità, all'esercizio della servitù e ciò in particolare deve evincersi o dalla struttura del tracciato del sentiero, o da opere esistenti sull'uno come sull'altro dei due fondi, che consentano di verificare la strumentalità del sentiero stesso rispetto alle esigenze del fondo da considerare dominante. Più specificamente, quando le opere insistenti sul fondo reputato servente, quali la struttura ed il tracciato del sentiero, risultino di per sé preordinate all'utilità del fondo stesso, l'apparenza della servitù in favore del fondo assunto dominante non può manifestarsi se non attraverso altre opere visibili e permanenti, diverse dal sentiero, insistenti sul fondo servente o sullo stesso fondo dominante e tali da rivelare la destinazione del sentiero anche al servizio di quest'ultimo (cfr, tra le tante, Cass. n. 2994/04; Cass. n. 6207/98; Cass. 18.10.91 n. 1120, Cass. 23.11.87 n.8640, Cass. 27.5.81 n. 3479, Cass. 7.7.78 n. 3408, Cass. 15.6.76 n.2226). Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui. Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo). Il proprietario del fondo dominante (cioè del fondo che accresce la propria utilità) può dunque pretendere dal titolare del fondo servente (cioè del fondo che subisce il peso), che questi non impedisca il conseguimento in fatto di quelle utilità. Le servitù si possono costituire in due modi: per ordine della legge (servitù coattive ex art. 1032 c.c.) o per volontà dell'uomo (servitù volontarie ex art. 1031 c.c.). Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell'autorità giudiziaria, su domanda dell'interessato; la sentenza determina anche l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell'autorità amministrativa. Con riferimento alla fattispecie in esame, si osserva che alla luce delle risultanze della relazione di consulenza tecnica d'ufficio principale dell'1.06.2021 e di quella integrativa del 13.11.2022, nonché della prova per testi espletata, la domanda formulata, in via principale, dagli attori merita accoglimento. Va infatti rilevato che gli attori, per titolo, hanno diritto sul fabbricato rurale ed hanno altresì diritto all'esercizio della servitù di passaggio pedonale, come descritti nell'atto di compravendita. A mente dell'articolo 1476 primo comma n.3) cod.civ. "Le obbligazioni principali del venditore sono.....3) quella di garantire il compratore dall'evizione..." Ne discende che i convenuti signori (...)-(...) devono garantire gli odierni concludenti, a mente della norma testé citata. Gli attori, invero, hanno assolto all'onere della prova documentale in ordine alla tutela invocata per i diritti reali azionati, e cioè il diritto di uso sul fabbricato rurale richiamato nel loro titolo di proprietà ed il diritto di servitù di passaggio pedonale per accedere dalla via (...) di Misilmeri al fondo vendutogli dai signori (...)-(...). In effetti, il convenuto costituito, signor (...), proprietario del fondo confinante, come quello dei signori (...) - (...), ha tentato di confondere lo stato dei luoghi, da lui stesso modificato, con nuove costruzioni (peraltro eseguite senza alcun titolo abilitativo urbanistico, accertato dal CTU, che hanno chiuso l'accesso al fabbricato rurale dalla via Quattrociocchi, lo hanno inglobato nella nuova costruzione realizzata dal medesimo convenuto e parimenti hanno impedito il passaggio pedonale dalla via (...) al fondo venduto ai concludenti dai signori (...)-(...). La situazione dello stato dei luoghi è risultata, di recente, stravolta dal convenuto, come accertato dal CTU. La prova per testi espletata ha però confermato il sito e l'ubicazione del fabbricato rurale per cui è causa e l'uso dello stesso. All'udienza del 22 ottobre 2020 il teste (...) ha confermato che circa sei prima il signor (...) ha chiuso con muri e porte il fabbricato rurale sito in contrada (...) di Misilmeri, che era utilizzato come deposito dei frutti raccolti nei terreni circostanti, compreso quello del signor (...) e prima di tali opere il fabbricato era aperto all'uso di tutti i confinanti, compreso il signor (...), e prima di lui i proprietari signori (...). Il teste ha precisato che svolge lavoro di bracciante agricolo ed ha lavorato nei fondi del padre; in particolare ha precisato che il signor (...) nel recintare il terreno che confina con il fabbricato rurale, lo ha incorporato alla sua proprietà; contestualmente alle opere di chiusura del piccolo fabbricato rurale, il (...) ha recintato il suo terreno confinante ed ha inglobato il viottolo pedonale che era di servizio anche al terreno del signor (...), già di proprietà dei signori (...), ed in questa occasione il (...) ha pure edificato un fabbricato abusivo, nel suo terreno, a confine col fabbricato rurale, impedendo l'esercizio del passaggio per la raccolta degli agrumi. Il viottolo conduceva dai fondi alla strada comunale (...), ed una volta operata la recinzione dal (...) non si può più accedere al fabbricato ed alla via comunale; ha confermato che il signor (...) ha invitato bonariamente i signori (...) e (...) ad eliminare detti impedimenti, ma non ha avuto alcun esito positivo e ancora oggi è impedito l'accesso al viottolo ed al fabbricato rurale, anzi il teste ha aggiunto che ormai non è più un fabbricato rurale ma viene utilizzato come abitazione. Il teste (...), escusso all'udienza del 15 novembre 2022, ha confermato il capitolato di cui alla lettera a) della memoria 183 VI comma n.2 degli attori; in particolare, il teste ha precisato che quando lavorava, portava le cassette dei limoni all'intero della casetta che era aperta "i limoni li raccoglievo dal fondo del signor (...) anche il figlio dell'attore portava i limoni all'interno della casetta; quando si raccoglievano 20-30 casse veniva il camion e se li portava per la vendita" anche la circostanza sub B) della medesima memoria è stata confermata dal teste, che ha aggiunto "il sig. (...) ha chiuso tutto ed anche il viottolo che non esiste più"; il viottolo pedonale portava alla casetta; infine ha confermato la circostanza sub c) della memoria 183 VI comma n.2 c.p.c. ed ha così dichiarato: "riconosco dalla foto che mi viene esibita indicata con il numero 6 a pag. 11 della CTU il fabbricato rurale oggetto di causa". Il fabbricato rurale sul quale gli attori e terzi, vantano per titolo il diritto di uso, è quello rappresentato dal CTU alla data del 10 aprile 2010, mentre le fotografie n.7-8-9 rappresentano i luoghi così come li ha mutati il ctu e in particolare nella fotografia n.8 è di tutta evidenza che il fabbricato rurale è stato inglobato dal convenuto: c'è sempre lo stesso palo della luce a confermare che quello è il fabbricato rurale. Non c'è più la porta, è stata chiusa con un muro, il tutto è stato sopraelevato e inglobato nella proprietà (...). Il teste (...) ha confermato di conoscere i luoghi perché vi lavorava, portando i limoni raccolti nel fondo (...) lungo il viottolo pedonale che costeggi la proprietà (...)-(...), per depositarli nel piccolo magazzino, con apertura sulla via (...) dalla quale erano prelevati dal camion per portarli al mercato. Il teste non ha avuto esitazioni a riconoscere il fabbricato rurale nella predetta foto n.6, al 2010. Nella relazione del CTU (cfr. pag. 10), si legge "il fabbricato è stato oggetto di ampliamento planivolumetrico per circa 60 mq. Coperti, con modificazione della sagoma dell'edificio (che oggi presenta un perimetro irregolare rispetto all'originario perimetro rettangolare); l'eliminazione dell'ingresso del fabbricato dalla strada vicinale (...) (vedi foto aprile 2010); apertura di finestre ed installazione di impianto di aria condizionata (vedi foto n. 6, 7, 8, 9)" La conferma finale si ha negli accertamenti compiuti nella relazione ci consulenza tecnica del 13.11.2022. La aereofotogrammetria dei luoghi acquisita alla data del 20.10.1997 rappresenta solo il piccolo fabbricato rurale senza costruzioni circostanti che lo inglobano. Parimenti quella al 24.05.2003. Solo nella aereofotogrammetria al 18.04.2008 risulta l'edificazione nel fondo (...), ma ancora dal fabbricato rurale si intravede un tracciato di viottolo pedonale che sale verso il fondo a monte per arrivare a quello degli attori. Nella aereofotogammetria al 25.09.2013 risulta che oltre al fondo (...) con la edificazione di immobili risulta modificato ed ampliato il fabbricato rurale. Alla pagina 15 (ultimo rigo) e 16 (righi 1 -22) della relazione tecnica principale, il ctu descrive le opere che occorrono per l'uso del fabbricato rurale oggetto dell'atto di compravendita in favore degli attori (rigo 12) tale ripristino potrà avvenire tramite tompagnatura muraria delle pareti interne che garantiranno la separazione del detto fabbricato dalla superfetazioni edilizie che ne hanno ampliato volumi e supefici. Si precisa che l'orientamento dei due lati corti del fabbricato (m.6,15) conformemente alle risultanze catastali, dovranno essere mantenuti in direzione nord sud; mentre i lati lunghi (m.7,55) dovranno essere mantenuti sulla direttrice est ovest. Su lato est del fabbricato, sulla parte che aggetta dal muro di confine sulla via (...), dovrà essere ripristinata la porta in ingresso, già peraltro visibile della foto acquisita datata aprile 2010 foto 6) il tutto come rappresentato nell'elaborato dello scrivente che si allega sub 15. Per ripristinare il passaggio pedonale, dalla via pubblica Quattrociocchi almeno sino al confine con la particella 321, che era già di proprietà del concludente signor (...), all'atto dell'acquisto del fondo, occorrerà: - L'abbattimento parziale del muro posto a delimitazione tra la particella 1525 di proprietà dei signor (...)-(...) e la strada vicinale (...); - L'eliminazione di siepi, alberi e colture; - L'eliminazione parziale degli eventuali muri delle recinzioni posti a delimitazione dei confini; A pagina 14 il CTU (righi 16-18) ha individuato in un metro la larghezza del viottolo pedonale, lungo il limite ovest delle particelle 1525 e 1526 in concreto lungo il limite del confine con la particella 55 e fino al confine con la particella (...). Al di là delle diverse ipotesi, prospettate dal CTU, si osserva che gli accertamenti tecnici sullo stato dei luoghi al 2010, la modifica operata e non contestata dal convenuto e le risultane della prova testimoniale che ha confermato anche l'esercizio dell'uso del fabbricato e del viottolo in conformità al titolo di proprietà, convergono nell'accertamento del diritto e della tutale invocata dagli attori, secondo gli accertamenti della CTU. Alla luce delle superiori argomentazioni, deve concludersi per l'accoglimento delle domande proposte, in via principale, dagli attori. Precisamente, i convenuti (...) e (...) devono essere condannati a consentire agli attori l'accesso e l'uso del fabbricato rurale, sito in Misilmeri, contrada (...), in catasto al foglio (...), particella (...), di are 1,31, ed a consegnare la chiave dell'ingresso a detto fabbricato rurale, dando atto che gli attori non si oppongono al pari uso dei predetti convenuti o di terzi. I convenuti, (...) e (...), devono essere condannati a consentire l'esercizio del passaggio pedonale agli attori, dalla strada vicinale Quattrociocchi sino al fondo di essi istanti, ed al magazzino, contrassegnati in catasto al foglio (...), particelle (...), del C.T. e foglio (...), particella (...) del NCEU anche nel tratto che attraversa il fondo di essi convenuti contrassegnato al foglio 1, particella (...), sempre del Comune di Misilmeri, eliminando qualsiasi ostacolo che lo impedisca, ed in particolare secondo le prescrizioni della consulenza tecnica d'ufficio contenute alle pagine 14 punto 4.4 righi 6-18, raffigurato come prima ipotesi a pag. 15, (relativamente al ripristino del viottolo pedonale) ed alle pagine 15 e 16 e relativo grafico pag. 17 (per il ripristino dell'uso del fabbricato rurale) sempre della relazione di consulenza tecnica d'ufficio dell'1.06.2021. Con l'accoglimento della domanda principale contenuta al numero 1 dell'atto di citazione, non occorrerà l'esame della domanda successiva e subordinata, proprio in virtù di tale rapporto di subordinazione tra le medesime domande. Alla luce di ciò le eccezioni sollevate dai convenuti signori (...), (...) e (...) sono irrilevanti. A ciò si aggiunga che parte attrice ha depositato il verbale negativo (cfr. verbale di mediazione dell'ADR (...), del 28.04.2016), con il quale è stato chiuso il procedimento di mediazione promosso dai Sigg. (...) - (...), da cui risulta che i convenuti, (...) - (...), non sono comparsi, senza alcun giustificato motivo. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo di non partecipare alla mediazione da parte dei predetti convenuti, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova delle doglienze rappresentate da parte attrice. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del DM n. 147/2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. In merito alla liquidazione delle spese, si precisa che si applicano i compensi medi relativi allo scaglione compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00. Il compenso deve, tuttavia, essere aumentato del 30%, stante la presenza di più parti aventi la stessa posizione processuale. In merito alla posizione dei convenuti (...) - (...), si osserva che, stante, l'accoglimento della domanda principale degli attori in danno dei convenuti, (...) - (...), appare opportune compensate le spese, nei confronti dei predetti convenuti, (...) - (...). P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, nella contumacia della Sig.ra (...), definitivamente pronunciando, così provvede: - Preliminarmente dichiara decaduto il convenuto, (...), dal proporre domande riconvenzionali anche di accertamento ed eccezioni non rilevabili d'ufficio, nonché dal produrre documentazione oltre i termini di cui all'art. 183 VI comma n.2 c.p.c. ritenendo inammissibile quella prodotta; - Condanna i convenuti, (...) e (...), a consentire agli attori l'accesso e l'uso del fabbricato rurale, sito in Misilmeri, contrada (...), in catasto al foglio (...), particella (...), di are 1,31, ed a consegnare la chiave dell'ingresso a detto fabbricato rurale, dando atto che gli attori non si oppongono al pari uso dei predetti convenuti o di terzi; - Condanna sempre i convenuti, (...) e (...), a consentire l'esercizio del passaggio pedonale agli attori, dalla strada vicinale Quattrociocchi sino al fondo di essi istanti, ed al magazzino, contrassegnati in catasto al foglio (...), particelle (...), del C.T. e foglio (...), particella (...) del NCEU anche nel tratto che attraversa il fondo di essi convenuti contrassegnato al foglio 1, particella (...), sempre del Comune di Misilmeri, eliminando qualsiasi ostacolo che lo impedisca, ed in particolare secondo le prescrizioni della consulenza tecnica d'ufficio contenute alle pagine 14 punto 4.4 righi 6-18, raffigurato come prima ipotesi a pag. 15, (relativamente al ripristino del viottolo pedonale) ed alle pagine 15 e 16 e relativo grafico pag. 17 (per il ripristino dell'uso del fabbricato rurale) sempre della relazione di consulenza tecnica d'ufficio dell'1.06.2021; - Visto l'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 148/2011, condanna i convenuti, (...) e (...), in solido tra loro, al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato, stante la mancata adesione al procedimento di mediazione; - Condanna i Sigg. (...) e (...) al pagamento, in solido tra loro, in favore degli attori, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 6.947,21 di cui Euro 347,11 per spese non imponibili ed Euro 6.600,10 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - Compensa tra le altre parti le spese di lite; - Pone definitivamente a carico dei convenuti, (...) e (...), in solido tra loro, le spese e gli onorari di CTU già liquidati con separato decreto. Così deciso in Termini Imerese il 15 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZIONE UNICA CIVILE in persona del Giudice, dott.ssa Maria Margiotta, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia iscritta al n. 2931 del registro generale affari civili dell'anno 2017 TRA (...) S.P.A., a mezzo della mandataria (...) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Ma. in forza procura generale alle liti in atti, presso il cui studio sito a Palermo, via (...), è elettivamente domiciliata ATTRICE E (...) (cf: (...)), nato a P. l'(...) (...) (cf: (...)), nata a P. il (...) entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Gi.Ci. in forza di procura alle liti in atti, presso il cui studio sito a Ficarazzi, corso (...), sono elettivamente domiciliati CONVENUTI E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ro.Fr. in forza di procura alle liti in atti, presso il cui studio sito a Vibo Valentia, piazza del Lavoro n. 3, è elettivamente domiciliata INTERVENIENTE Avente ad oggetto: azione revocatoria ordinaria; RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) S.p.a., a mezzo della mandataria (...) S.p.a. (già (...) S.p.a.), conveniva in giudizio (...) e (...), coniugi in regime di separazione dei beni, al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia nei propri confronti, ex art. 2901 c.c., dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale (ai rogiti del notaio (...) del (...), rep. (...), racc. (...), trascritto il 28.11.2012 al n. 51974/41436), avente ad oggetto la nuda proprietà di un fabbricato sito a M., contrada (...) n. 50, composto da due appartamenti, l'uno al piano terra di due vani e accessori, l'altro al primo piano di quattro vani ed accessori, con lastrico solare al secondo piano e con terreno di pertinenza e terreno limitrofo (meglio descritti in atti), acquistati dal (...) con atto di compravendita del 18.6.1997, allegando il pregiudizio derivante dalla liberalità in oggetto per le ragioni di credito vantate nei confronti del convenuto, di cui quest'ultimo era a conoscenza. Parte attrice deduceva, nello specifico: - di essere creditrice di (...) S.r.l. nonché di (...) personalmente - quale garante in virtù della fideiussione prestata dallo stesso il 4.1.2011 - della somma di Euro 93.709,77, quale saldo debitore, al 26.07.2017, del contratto di mutuo chirografario n. (...) dell'importo di Euro 100.000,00 concesso dall'istituto di credito alla predetta società 4.1.2011; - di essere altresì creditrice di (...) S.r.l. nonché di (...) personalmente - quale garante in virtù della fideiussione prestata dallo stesso il 6.12.2010 fino alla concorrenza di Euro 110.000,00, oltre interessi moratori nella misura prevista nei rapporti creditizi garantiti - della somma di Euro 107.774,90, di cui Euro 80.709,47 quale saldo debitore, alla data del 26.07.2017, del conto corrente n. (...) aperto il 20.12.2010 (sul quale il 23.10.2010 era stato concesso un affidamento di Euro 70.000,00), e della somma di Euro 27.065,43, quale saldo debitore, al 26.07.2017, del conto corrente n. (...) aperto il 3.12.2010, affidato il 23.12.2010 per gli importi di Euro 10.000,00, Euro 4.000,00 e Euro 2.000,00; - che tutti i saldi sopra richiamati risultavano dagli estratti conto conformi alle scritture contabili, alla data del 26.7.2017; - che con lettera raccomandata a/r del 18.4.2013 (...) S.p.a. aveva comunicato il recesso dai due contratti di conto corrente e la risoluzione del mutuo chirografario invitando contestualmente il debitore all'immediato rientro dalle suddette esposizioni. Regolarmente costituitisi nel presente giudizio, (...) e (...) eccepivano preliminarmente il difetto di legittimazione passiva di quest'ultima atteso che, pur avendo partecipato all'atto di costituzione del fondo patrimoniale, non rivestiva alcuna posizione debitoria nei confronti dell'istituto di credito. Contestavano per il resto le deduzioni avversarie, negando la configurabilità del consilium fraudis sul presupposto che l'atto (stipulato il 27.11.2012) fosse antecedente alla diffida con cui (...) S.p.a. aveva comunicato il recesso dai contratti di conto corrente, nonché la risoluzione del mutuo chirografario concesso (del 18.4.2013). Rilevavano, inoltre, l'assenza del pregiudizio alle ragioni del creditore, contestando l'ammontare del credito vantato da parte attrice, oggetto del procedimento monitorio n. 3070/2017 R.G. e del successivo giudizio di opposizione ancora pendente (n. 3853/2017 R.G.), nonché la validità della fideiussione prestata da (...). Con comparsa depositata il 25.4.2019, interveniva nel presente giudizio (...) S.P.A., quale cessionaria del credito vantato da (...) S.p.a., facendo proprie le difese spiegate dalla banca cedente. La causa è stata istruita mediante produzioni documentali e con ordinanza del 10.1.2023 - resa in seguito all'udienza cartolare del 9.1.2023, sostituita dalle note scritte depositate dalle parti ex art. 127 ter c.p.c. -, è stata assunta in decisione assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Così ricostruiti i fatti di causa, deve osservarsi che l'azione revocatoria è lo strumento predisposto dal legislatore per tutelare le ragioni dei creditori che siano state lese da atti dispositivi posti in essere dal debitore il quale abbia sottratto i propri beni alla garanzia patrimoniale, rendendo in ogni caso più gravosa la soddisfazione del diritto di credito. Si tratta, dunque, di un rimedio con finalità conservative volto alla ricostituzione della consistenza patrimoniale del debitore: il creditore, una volta ottenuta la dichiarazione di inefficacia, potrà promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto (art. 2902 c.c.). È opportuno precisare che il positivo esperimento della revocatoria è privo di effetti restitutori e non comporta, quindi, il (re)ingresso del bene oggetto dell'atto dispositivo nel patrimonio del debitore, dando luogo l'eventuale pronuncia di accoglimento (costitutiva) ad un'inefficacia relativa e sopravvenuta di tale atto rispetto al creditore che attiva il rimedio di cui all'art. 2901 c.c. (cfr. Cass., n. 15096/2017). L'atto revocato conserva dunque la propria efficacia traslativa in capo al (terzo) acquirente ed erga omnes, restando tuttavia il primo soggetto all'azione esecutiva intrapresa dal creditore fino alla concorrenza del debito del suo dante causa. Passando adesso brevemente in rassegna i presupposti richiesti dal legislatore per l'esperimento della tutela conservativa in esame, tra quelli soggettivi viene innanzitutto in rilievo la sussistenza di un rapporto di debito-credito e dunque la qualifica di creditore in capo al soggetto agente, con la precisazione che può trattarsi anche di credito sottoposto a termine o a condizione, essendo sufficiente altresì un credito meramente eventuale o un'aspettativa di credito, da accertare incidentalmente ad opera del giudice adito (si veda sul punto Cass., n. 7357/2019: "in tema di azione revocatoria ordinaria, l'art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste dicredito litigioso, è idoneo a determinare, sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito, l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore"; Cass. n. 11755/2018: "ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata"). Sempre sul piano soggettivo, va annoverato il cd consilium fraudis, ossia l'intento frodatorio e dunque la consapevolezza del carattere pregiudizievole dell'atto; tale requisito si atteggia diversamente a seconda che l'atto sia a titolo gratuito, senza che il terzo abbia sopportato alcun sacrificio, ovvero a titolo oneroso; nel primo caso il consilium fraudis dovrà sussistere solo in capo al debitore, mentre, nel secondo, si richiede anche l'intento fraudolento del terzo. Non è necessario, ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria, che il credito sia sorto anteriormente all'atto dispositivo, dovendo tuttavia sussistere al momento della proposizione della domanda (così Cass., n. 2347/2019), con la precisazione che il requisito dell'anteriorità va riscontrato con riferimento al momento in cui il credito è sorto e non a quello successivo in cui viene accertato giudizialmente (in questo senso, ex multis, Cass., n. 23326/2018; Cass., n. 17356/2011; Cass., n. 2748/2005). In tale ipotesi, peraltro, l'art. 2901 c.c. prevede, per così dire, un rafforzamento del presupposto soggettivo. Invero, ove si tratti di atto a titolo gratuito, è necessario che lo stesso sia stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare la soddisfazione del credito e quindi che il soggetto abbia contratto il debito con l'intenzione di rendersi insolvente; nel caso di atto a titolo oneroso, ancora una volta è chiamato in causa il terzo avente causa del debitore, essendo richiesta la partecipatio fraudis, cioè la sua compartecipazione alla dolosa preordinazione (cfr. Cass., n. 1286/2019). Passando all'esame dei presupposti oggettivi, viene in evidenza il cd eventus damni, da intendere come "pregiudizio alle ragioni del creditore, tale da determinare l'insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale" (in questi termini, si veda Cass., n. 3538/2019, che quanto al profilo temporale dell'accertamento fa riferimento al momento "in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio ed in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all'atto di disposizione"). Quanto ai soggetti passivamente legittimati, accanto al debitore deve annoverarsi anche il terzo avente causa, beneficiario dell'atto dispositivo del patrimonio. Venendo al caso sub iudice, parte attrice ha agito per la revocatoria dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale posto in essere dai coniugi convenuti in giudizio che, secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, è assoggettabile alla revocabilità di cui all'art. 2901 c.c.. Invero, "il fondo patrimoniale non costituisce adempimento ad un dovere giuridico perché non è obbligatorio per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, suscettibile di revocatoria" (cfr. Cass., n. 26223/14). Ciò chiarito, va a questo punto dato conto dell'infondatezza dell'eccezione mossa dai convenuti in relazione al difetto di legittimazione passiva di (...), stante la sua estraneità al rapporto debitorio. Deve, a tale riguardo, evidenziarsi che "nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorché non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all'accoglimento della domanda revocatoria" (così, Cass., n. 19330/2017). Ed ancora, come ribadito dalla giurisprudenza più recente, "la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla sua costituzione in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva va riconosciuta ad entrambi i coniugi, anche se l'atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell'art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto costitutivo, con la precisazione che anche nell'ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia (cfr. Cass., n. 5768/2022). Ciò posto, la domanda proposta da (...) S.p.A. a mezzo della mandataria va accolta, sussistendo nel caso di specie i presupposti applicativi dell'actio pauliana. Deve, invero, ritenersi provata la qualifica di debitori degli odierni convenuti, non cogliendo nel segno i rilievi inerenti l'incertezza del credito vantato nei confronti della banca; si è, infatti, già evidenziato che "ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata" (cfr, ex multis, Cass., n. 11755/2018). Dirimente, per ciò che qui rileva, è l'indirizzo interpretativo di legittimità secondo il quale "poiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l'indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell'art. 295 c.p.c., per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l'accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico - giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d'altra parte da escludere l'eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito" (Cass., n. 11573/2013). Tale principio di diritto non fa altro che confermare la natura meramente conservativa e non anche recuperatoria dell'azione intrapresa da parte attrice, che ha indotto la stessa giurisprudenza ad accordare la tutela in oggetto anche nell'ipotesi dell'esistenza di una mera ragione di credito o di un credito meramente eventuale, nozione nella quale rientra il credito in contestazione, cioè quello litigioso (cfr., ex multis, Cass., n. 12975/2020; Cass., n. 4212/2020; Cass., n. 1893/2012). Pera altro verso, va detto che, essendo la costituzione del fondo patrimoniale un atto a titolo gratuito idoneo ad incidere riduttivamente sulla garanzia generica dei creditori di cui all'art. 2740 c.c., è indubbio che - ove sussistano tutti i presupposti di accoglimento dell'azione promossa (credito verso il debitore, atto di disposizione patrimoniale a titolo gratuito successivo all'insorgenza di tale credito, "eventus damni" e "consilium fraudis", ossia la cd "scientia damni" da parte del debitore) - la stessa vada revocata ex art. 2901 c.c. nei confronti del creditore procedente, in quanto idonea a rendere i beni conferiti aggredibili solo alle determinate condizioni previste dall'art. 170 c.c.. Il debitore deve, invero, ritenersi, anche ex art. 2729 c.c., pienamente consapevole di assottigliare con la disposizione patrimoniale in questione la garanzia costituita dai suoi beni, rendendo più difficoltosa la possibilità per il creditore di vedere soddisfatte le proprie ragioni (cfr., in argomento, anche Cass., S.U., n. 3406(1975). Peraltro, nell'ipotesi di fideiussione prestata a garanzia di apertura di credito - come nella fattispecie per cui è causa - , la giurisprudenza ha chiarito che "prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse a un'apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all'apertura di credito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) e al fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento. Ciò in quanto l'insorgenza del credito va apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (confr. Cass. civ. 15 febbraio 2011, n. 3676; Cass. civ. 29 gennaio 2010, n. 2066; Cass. civ. 9 aprile 2009, n. 8680)" (in questi termini, Cass., n. 22878/2012; Cass., n. 10522/2020; Cass., n. 1414/2023: "In tema di azione revocatoria ordinaria, il credito derivante da un contratto di apertura di credito regolata in conto corrente è qualificabile quale credito litigioso, ai fini della valutazione dell'anteriorità rispetto ad atti dispositivi effettuati dal correntista, dal momento in cui la banca accredita sul conto la somma messa a disposizione e non da quando l'obbligo di restituzione diviene esigibile"). Ad avviso di chi giudica l'attrice ha, inoltre, dimostrato l'anteriorità dell'insorgenza dei crediti, indipendentemente dal loro accertamento, rispetto all'atto di disposizione sopra considerato. Ed infatti, la costituzione del fondo patrimoniale è avvenuta in data 27.11.2012, mentre il rapporto di credito in favore della (...) S.r.l. e la prestazione della fideiussione da parte di (...) sono sorti antecedentemente, come risulta dalla documentazione in atti, a nulla rilevando che la (...) ha comunicato solo in data successiva, ossia con raccomandata del 18.4.2013, il recesso dai due contratti di conto corrente e la risoluzione del mutuo chirografario (cfr. memoria ex art. 183, co VI, n. 2, c.p.c. dell'istituto di credito e relativi allegati). Va, poi, affermata la configurabilità dell'intento frodatorio e dunque la consapevolezza del carattere pregiudizievole dell'atto che, trattandosi di atto a titolo gratuito, deve sussistere solo in capo al debitore. Ebbene, la circostanza che il fabbricato oggetto della costituzione del fondo patrimoniale fosse l'unico bene di proprietà del debitore - come emerge dalla documentazione ipotecaria in atti (cfr. all. n. 7 alla memoria 183, co VI, n. 2, c.p.c. dell'attrice), consente di affermare la sussistenza dello stato psicologico rilevante ai fini della declaratoria di inefficacia dell'atto. A ciò si aggiunga che, dagli atti di causa, è emerso che (...) s.r.l., amministrata da (...) - il quale ha peraltro assunto la veste di garante in relazione alle obbligazioni della società - ha subito un primo protesto il 20.11.2012, il secondo per altro titolo in pari data, il terzo il 4.12.2012, e via via fino al ventitreesimo del 12.6.2014 (cfr. visura (...) del 2.3.2017 allegata alla memoria ex art. 183, co VI, n. 2, c.p.c. dell'attrice). Ed ancora, l'estratto analitico del mutuo chirografario evidenzia il (quasi) regolare rispetto del piano di ammortamento fino alla rata n. 20, scaduta il 30.09.2012, non risultando pagata alcuna di quelle successive. Inoltre, il c/c n. (...), già quasi al limite del fido, non risulta movimentato a partire dal 3.7.2012 - l'importo risulterà superato poco dopo con l'addebito delle competenze -. Del pari, il c/c n. (...), già quasi al limite del fido, non risulta movimentato a partire dal 9.11.2012 - l'importo risulterà superato poco dopo con l'addebito delle competenze -. Ebbene, alla luce di tali circostanze, deve affermarsi che (...) era consapevole del credito vantato dalla banca attrice nei confronti della società e, quindi, del pericolo attuale (già manifestatosi) di non poter far fronte alle obbligazioni assunte, emergendo ictu oculi la connotazione frodatoria della destinazione al fondo patrimoniale degli unici beni immobili di sua proprietà. Passando all'esame dei presupposti oggettivi, parte convenuta nega la sussistenza dell'eventus damni sul presupposto che l'atto dispositivo in contestazione non abbia reso più incerta o difficile la soddisfazione del credito, essendo (...) un lavoratore dipendente con contratto a tempo indeterminato (cfr. buste paga allegate alla memoriae x art. 183, co. 6, n. 2 dei convenuti) e risultando, pertanto, il credito garantito dall'intero patrimonio mobiliare dell'odierno convenuto. Sul punto si osserva che, ai fini della configurazione del c.d. eventus damni, non è necessario che il patrimonio del debitore abbia subito una cospicua diminuzione (di tipo quantitativo) essendo, per converso, sufficiente una sua mera alterazione di carattere qualitativo. "Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, per la sussistenza del pregiudizio non è necessario un danno effettivo, ma è sufficiente un pericolo di danno, derivante ad esempio da una minore aggredibilità dei beni del debitore o da maggiore incertezza o difficoltà nell'esazione coattiva del credito; in particolare va rilevato che non è necessaria la sussistenza di una diminuzione quantitativa dei beni (il cui valore oggettivo può restare anche immutato) ma è sufficiente che si produca un mutamento qualitativo il quale comporti ad esempio una maggiore occultabilità dei medesimi come nel caso di sostituzione di beni immobili con beni mobili" (cfr. Cass., n. 4578/1999). A nulla rileva, perciò, che (...) sia un lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato, posto che l'eventus damni sussiste non solo quando l'atto di disposizione provochi l'impossibilità dell'esecuzione, ma anche quando renda più dispendiosa o più incerta l'esazione coattiva del credito, come nel caso in esame; in sostanza deve sussistere la "pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore". (cfr., ex multis, Cass., n. 26310/2021). In forza delle argomentazioni che precedono, la domanda di parte attrice va accolta, con condanna dei convenuti soccombenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite che si liquidano in dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, valori prossimi ai medi, avuto riguardo all'attività difensiva svolta. È opportuno, infine, precisare che l'intervento spiegato da (...) S.P.A., pur ammissibile, non muta i rapporti tra le parti originarie, tenuto conto del disposto dell'art. 111 c.p.c., non avendo peraltro l'interveniente domandato l'estromissione dell'istituto di credito, sulla quale in ogni caso nessuna delle parti ha dedotto alcunché. Perciò la sentenza sarà pronunciata nei confronti della parte originaria, che assurge a sostituto processuale, pur facendo stato anche nei confronti del successore a titolo particolare (cfr. Cass., n. 8884/2000), lasciando a carico dell'interveniente le spese di lite dalla stessa anticipate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni diversa domanda eccezione e difesa: dichiara l'inefficacia, nei confronti di (...) S.p.A. a mezzo della mandataria, dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale concluso il 27.11.2012 da (...) e (...) (rep. (...), racc. (...), trascritto il 28.11.2012 ai nn. (...)); condanna (...) e (...), in solido tra loro, a rifondere all'attrice le spese di lite e le liquida in Euro 2.600,00, oltre iva, cpa e rimborso forfettario, come per legge; lascia a carco di (...) S.P.A. le spese dalla medesima anticipate. Così deciso in Termini il 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE di TERMINI IMERESE Il giudice monocratico nella persona della dott.ssa Francesca Incandela ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.2356 del Ruolo Generale affari contenziosi civili dell'anno 2020 TRA (...), (C.F.(...)), elettivamente domiciliata in VIA (...), 11 90141 PALERMO presso lo studio dell'avv. CA.RO., che lo rappresenta e difende per mandato in atti ATTRICE CONTRO COMUNE DI FICARAZZI, (C.F.(...)) in persona del Sindaco p.t. CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: lesione personale MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Fatti controversi. Con atto di citazione ritualmente notificato in data 16 settembre 2020, la sig.ra (...) ha convenuto in giudizio il Comune di Ficarazzi in persona del Sindaco pro tempore, chiedendone la condanna, ai sensi degli artt. 2051 e 2043 c.c., al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza di un sinistro, accertati e quantificati nel corso del giudizio anche equitativamente, oltre interessi e rivalutazione monetaria. A fondamento delle domande così spiegate l'attrice ha esposto che in data 18 giugno 2016 alle ore 13,00 circa, si trovava a percorrere a piedi la Via (...), strada comunale urbana sita nel Comune di Ficarazzi, non munita di marciapiedi in entrambi i lati, con direzione verso la propria abitazione sita al civico 139 della detta via, quando improvvisamente rovinava a terra a causa a buca non visibile sul margine sinistro della strada. A seguito dell'infortunio, era stata condotta dai sanitari del 118 presso il Pronto Soccorso dell' Ospedale "(...)" di (...) -, ove le era stata diagnosticata la frattura "la frattura composta dello stiloide radiale sinistro, un trauma facciale, un trauma ad entrambe le ginocchia". Successivamente, veniva nuovamente refertata in data 19/06/2016 per il distacco della protesi dentaria a seguito del trauma contusivo avvenuto il giorno prima. Il Comune di Ficarazzi, sebbene ritualmente citato non si è costituito e ne è stata dichiarata la contumacia all'udienza del 21 luglio 2021. Alla medesima udienza, il Giudice ammetteva le prove orali articolate dall'attrice. Assunte le prove orali veniva disposta ctu al fine di quantificare i danni subiti dall'attrice ed all'esito, ritenuta la causa matura per la decisione veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni ed assunta in decisione all'udienza del 16.1.2023 con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. Merito della lite. Così chiariti i fatti posti a fondamento del presente giudizio, e ricostruito brevemente il suo svolgimento, giova osservare, in punto di diritto, in conformità all'ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità - avallato anche dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 156/1999 - che la disposizione di cui all'art. 2051 c.c., in tema di responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia, deve ritenersi applicabile alla Pubblica Amministrazione anche rispetto all'obbligo di manutenzione delle strade e alla tutela della sicurezza dei cittadini, risultando irrilevante la circostanza che le dimensioni dell'infrastruttura siano ridotte al punto da consentire una vigilanza costante (cfr. Cass. civ. n. 24529/2009 e n. 20754/2009). I giudici di legittimità hanno, invero, precisato, al riguardo, che, in tema di responsabilità della P.A. per danni subiti da utenti di beni demaniali, la presunzione sancita dall'art. 2051 c.c. non si applica tutte le volte in cui non sussista la possibilità di esercitare sul bene la custodia (intesa come potere di fatto sulla cosa), possibilità da valutare non solo in base all'estensione dell'intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assumendo al riguardo determinante rilievo la natura, la posizione e l'estensione della specifica area in cui si è verificato l'evento dannoso, le dotazioni e i sistemi di sicurezza e di segnalazione di pericoli disponibili (cfr., in questi termini, Cass. n. 1257/2018). Con più specifico riguardo al compito di manutenere le strade comunali, mette conto evidenziare che, a norma dell'art. 14 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada), tra i compiti istituzionale del Comune rientra quello provvedere alla manutenzione, alla gestione e alla pulizia delle strade di sua proprietà. La definizione di strada pubblica include anche il marciapiede (si v., a tal proposito, l'art. 3, n. 33, del Codice della strada, in cui si statuisce che per marciapiede si intende la "parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni"). Sicché, in definitiva, il Comune deve considerarsi titolare del diritto di proprietà sia sulle strade che sui marciapiedi facenti parte delle strade comunali, sui quali, pertanto, ha il compito non soltanto di verificarne la sicurezza, ma anche di mantenerli in condizioni adeguate di efficienza, provvedendo alla manutenzione e alla pulizia, secondo i criteri di corretta e diligente gestione. La Suprema Corte ha, infatti, espressamente chiarito come l'eventuale affidamento a soggetti terzi dei compiti di manutenzione delle strade non possa valere a sottrarre al Comune proprietario la sorveglianza ed il controllo sulle strade medesime, e quindi ad esonerarlo dalla responsabilità da custodia, posto che in tale ipotesi il contratto d'appalto costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del codice della strada emanato con D.Lgs. n. 285 del 1992 (cfr. Cass. civ. n. 1691/2009, in motivazione). Ciò posto, secondo l'ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato "cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'articolo 2051 c.c. (ex multis, Cass. n. 4476/2011). Consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato. Si tratta, dunque, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, Cass. n. 12027/2017) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno (cfr. Cass. civ. n. 5808/2019, n. 30775/2017 e n. 11225/2017). In altri termini, in base al criterio generale in materia di riparto dell'onere probatorio sancito dall'art. 2697 c.c., applicato alla fattispecie della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni riportati dagli utenti della strada, è onere del danneggiato provare l'evento dannoso e il nesso causale che lega la sua verificazione al bene di pertinenza della p.a. (cfr., tra le tante, Cass. civ. n. 24881/2008 e n. 390/2008). E segnatamente, occorre dimostrare che il fatto dannoso si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (così Cass. civ. n. 30775/2017, n. 11526/17, n. 2660/2013 n. 15389/2011), che deve quindi presentarsi come "causa" dell'incidente e non come mera "occasione" dello stesso (cfr. Cass. civ. n. 10938/2018 e n. 23919/2013). La Corte di nomofilachia ha avuto occasione di puntualizzare che in tema di responsabilità civile ex art. 2051 c.c., la custodia si concretizza non solo nel compimento sulla cosa degli interventi riparatori successivi, volti a neutralizzare, in un tempo ragionevole, gli elementi pericolosi non prevedibili, che si siano comunque verificati, ma anche in un'attività preventiva, che, sulla base di un giudizio di prevedibilità "ex ante", predisponga quanto è necessario per prevenire danni eziologicamente attinenti alla cosa custodita; ne consegue che il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità può rinvenirsi anche nella condotta del terzo, o dello stesso danneggiato, purché si traduca in un'alterazione imprevista ed imprevedibile, oltre che non tempestivamente eliminabile o segnalabile, dello stato della cosa (Cass. civ. n. 1725/2019). Pertanto, si è affermato che "in tema di responsabilità, quale custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., dell'ente proprietario di una strada, ai fini della prova liberatoria che quest'ultimo deve fornire per sottrarsi alla propria responsabilità occorre distinguere tra la situazione di pericolo connessa alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze e quella dovuta ad una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa, poiché solo in quest'ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare quando l'evento dannoso si sia verificato prima che il medesimo ente proprietario abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo espletata con diligenza per tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile condizione di pericolo determinatasi" (Cass. civ. n. 11096/2020). Alla stregua dei suddetti principi, in merito alla dinamica dell'infortunio per cui è causa, può dirsi provato il fatto storico così come allegato nell'atto introduttivo del giudizio alla luce delle risultanze probatorie acquisite. Difatti, la caduta dell'attrice nella via (...), strada comunale urbana sita nel Comune di Ficarazzi, priva di marciapiede in ambo i lati, può considerarsi fatto provato alla luce delle prove testimoniali rese all'udienza del 17 marzo 2022. Ed invero la ricostruzione della dinamica del sinistro, così come esposta dall'attrice, ha trovato conferma nelle dichiarazioni della di parte attrice (...), la quale ha così risposto alle domande: "..preciso che il giorno del sinistro, io mi trovavo alla guida della mia auto e vedevo la Sig.ra (...) che si trovava sul lato sinistro perché si stava recando a casa";" conosco la strada perché la percorro quasi ogni giorno per arrivare a casa mia;infatti io abito in una traversa che si trova in fondo alla via (...)"; "posso dire che ho visto cadere la Sig.ra (...) e mi sono avvicinato per capire cosa fosse successo";" mi riferiva che era caduta perché aveva inciampato in una buca che si trovava lì vicino; si lamentava perché aveva dolori alle braccia e poi ho visto che il volto era ferito; ricordo che sono arrivate altre persone per prestarle soccorso; io poi sono andato via";" Il teste escusso, della cui attendibilità non v'è ragione di dubitare, ha quindi riconosciuto il luogo oggetto del sinistro ed ha visto l'attrice cedere (si veda verbale dell'udienza del 17 marzo 2022). Si aggiunga che le fotografie allegate al ricorso corrispondono alla descrizione dello stato dei luoghi offerta in citazione e confermata dal teste escusso. Inoltre, il C.T.U. incaricato nel corso del giudizio ha accertato la riconducibilità eziologica al predetto incidente delle lesioni (" frattura composta dello stiloide radiale sinistro;" trattata con intervento di "riduzione incruenta della frattura di polso e successiva applicazione di apparecchio gessato (...), riposo e (...)") refertate all'attrice presso il Presidio Ospedaliero (...) di (...) (cfr. pag. 1-3 relazione del c.t.u., dott. Fi.Cu., depositata in data 24.11.22). Alla luce delle risultanze probatorie, deve, quindi, riconoscersi che l'attrice ha ottemperato all'onere probatorio di cui era gravata, avendo dimostrato sia l'evento dannoso, sia la sua riconducibilità causale ad un bene di pertinenza del Comune di Ficarazzi che, in quelle circostanze, si presentava in uno stato di cattiva manutenzione, tale da costituire un concreto pericolo per l'utenza. Non è stata, invece, data prova -stante la contumacia dell'ente convenuto- con riferimento al dinamismo eziologico del danno dell'intervento di alcun fattore esogeno, imprevedibile e straordinario, rispetto al bene demaniale de quo. In altre parole, non si ravvisano circostanze che presentino i caratteri del "caso fortuito", tali, cioè, da interrompere il nesso causale tra la cosa e l'evento lesivo e, pertanto, idonee ad escludere la responsabilità del custode. Per ciò che attiene alla condotta del danneggiato, la Suprema Corte ha chiarito che: la condotta che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 co. 1 c.c. richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicchè quanto più la situazione di danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisce un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale connotandosi per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass., 6-3 n. 9315 del 3/4/2019). Applicando tali principi al caso di specie, tenuto conto del fatto che il sinistro si è verificato in pieno giorno, precisamente alle ore 13.00 del 18.6.2016 cfr. atto di citazione e dichiarazioni del teste nonché del fatto che l'attrice stava procedendo a piedi, e quindi ad una velocità assai ridotta, avendo quindi la possibilità - con l'utilizzo della normale diligenza e prudenza che deve comunque essere richiesta all'utente delle strade di uso pubblico (cfr. anche Corte Cost. n. 156/1999) - di percepire la presenza dell'insidia ed evitare la caduta, deve essere individuato un concorso di responsabilità di R.M. in ordine alla causazione dell'evento, quantificabile nella misura del 30%. Non può invero ragionevolmente affermarsi che l'utilizzo della normale diligenza da parte dell'attrice avrebbe del tutto scongiurato l'evento dannoso e le sue conseguenze. La valutazione in ordine al generale dovere di attenzione che incombe su ogni utente della strada, deve infatti, imprescindibilmente, muovere dal ragionevole affidamento che i pedoni ripongono sulla sicura percorribilità dei luoghi aperti al pubblico transito, specie in assenza di segnalazioni di segno contrario. Allora, in considerazione di quanto appena esposto, e in virtù del primo comma dell'articolo 1227 c.c. (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, sulla base del richiamo compiuto dall'articolo 2056 c.c.), deve essere individuato un concorso di responsabilità dell'attrice, quantificabile nella misura del 30% e nella stessa misura dovrà, pertanto, essere diminuito il risarcimento dovuto per i danni subiti dalla stessa in conseguenza del sinistro. Consegue che, in parziale accoglimento della domanda formulata in ricorso, il Comune di Ficarazzi (quale ente proprietario del bene demaniale, di cui aveva la disponibilità materiale e giuridica) va condannato a risarcire l'attrice (...) dei danni sofferti in conseguenza del fatto illecito, nella misura del 70% della loro entità. Passando, a questo punto, alla quantificazione dei danni subiti, il CTU incaricato nel corso del giudizio ha accertato che l'attrice, in conseguenza del sinistro, ha riportato un'inabilità temporanea totale di giorni 30, un'inabilità temporanea parziale al 50% di 20 giorni; nonché un danno alla salute permanente pari al 4% dell'integrità psico-fisica totale. Riguardo alla quantificazione di quest'ultima voce di danno, le conclusioni alle quali è pervenuto il c.t.u. incaricato vanno condivise. In punto di diritto non pare invero superfluo rammentare che, come hanno avuto occasione di chiarire le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nelle ormai note sentenze emesse nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008, il danno biologico, quale lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.), va ricondotto nell'alveo del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. e ha una portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private (il cui art. 138, punto 2, lettera a) statuisce che: "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato"), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Nella nozione di danno biologico sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti ai profili dinamico-relazionali della vita del soggetto danneggiato. La voce di danno c.d. da sofferenza soggettiva interiore, sulla scorta dei più recenti arresti della Suprema Corte, mantiene, invece, la sua autonomia e non è conglobabile nel danno alla salute, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi (in tal senso, Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019 e, di recente, Cass. n. 25164/2020, la quale ha posto in evidenza che tale pregiudizio di carattere non patrimoniale va tenuto distinto da quello alla salute, in quanto non è suscettibile di accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto -pur potendole influenzare- dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato). Nella liquidazione, avente natura essenzialmente equitativa, del danno dinamico-relazionale, questo giudice ritiene di prendere le mosse dal criterio, ormai consolidato in giurisprudenza, del cosiddetto "punto tabellare", in base al quale l'ammontare del danno viene calcolato in relazione all'età della parte lesa ed al grado di invalidità. Orbene, in base al parametro di riferimento rappresentato dalle tabelle elaborate per l'anno 2022 dal Tribunale di Milano (il cui utilizzo, per tutti i postumi non connessi alla circolazione stradale, è stato generalizzato da Cass. civ. nn. 12408 e 14402/2011- di recente cfr. anche Cass. n. 17018/2018 e n. 1553 del 22/01/2019-), spetta a R.M., a titolo di danno non patrimoniale di carattere permanente tenuto conto della invalidità del 4% e dell'età del soggetto all'epoca del sinistro (sessantaquattro anni compiuti), la somma complessiva di Euro 3.900,00 secondo i valori attuali, - tenuto conto delle sofferenze che, secondo l'"id quod plerumque accidit", l'attrice ha patito in conseguenza delle lesioni riportate a causa del sinistro e dei postumi permanenti che ne sono conseguenza diretta -, utilizzando il "valore punto" di Euro 1.423,53, da moltiplicare per il grado di invalidità (4) e per il coefficiente (0,685) corrispondente all'età della persona danneggiata spetta a (...), a titolo di danno biologico permanente Con riferimento, invece, al periodo di inabilità temporanea, così come accertato dal CTU, si liquida - sempre sulla scorta delle c.d. tabelle milanesi - la somma di Euro 99,00 al giorno, per un totale di Euro 3.960,00 in valori attuali (ossia Euro 2.970,00 per ITT + Euro 990,00 per ITP). La sommatoria degli importi appena indicati (Euro 7.860,00), costituisce - ad avviso di questo giudice - un ristoro esaustivo del danno non patrimoniale patito dall'attrice in conseguenza del sinistro, comprensivo quindi del "danno biologico/dinamico-relazionale" e di quello "da sofferenza soggettiva interiore". Non ricorrono, infatti, nella vicenda in esame, i presupposti per accordare il sollecitato incremento del risarcimento standard previsto dalle citate tabelle nell'ottica della invocata "personalizzazione". In proposito, preme osservare che, secondo il più recente insegnamento della Suprema Corte, può essere riconosciuta una variazione in aumento del risarcimento solo ove vengano allegate e provate circostanze eccezionali e specifiche e non per tener conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, venendo in rilievo in siffatta evenienza conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno (si vedano: Cass. n. (...); n. (...); n. (...); n. (...), n. (...) e, di recente, n. (...) già ci., la quale ha pure precisato che la personalizzazione del danno non può costituire lo strumento per ovviare alla carenza di prova in punto di danno alla capacità lavorativa, tanto più che la lesione alla capacità lavorativa generica è ricompresa nell'ambito del danno alla salute e quella relativa alla capacità lavorativa specifica, da valutarsi nell'ambito del danno patrimoniale, esula dalla sfera del danno biologico). Deve essere, invece, accordata all'attrice, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, la somma di Euro 1.000,00 per le spese documentate che il CTU ha reputato congrue, valutazione che questo giudice condivide, e riferibili all'evento traumatico per cui è causa. Invero, nell'ambito delle proprie conclusioni il ctu ha soggiunto che "in considerazione del trauma contusivo-escoriativo facciale, risulta verosimile e probabile che il distacco della protesi dentaria sia da imputare alla caduta a terra, per il cui ripristino, tenuto conto che si tratta di perdita di protesi già vetusta, sembra equo riconoscere la somma di EU:1000,00" (v. rel. ctu in atti). Per stabilire quanto dovuto a titolo di risarcimento, però, bisogna operare una riduzione delle predette somme alla misura del 70%, in proporzione al grado di responsabilità accertato, per giungere così ad Euro 2.730,00 per il danno non patrimoniale di carattere permanente, ad Euro 2.772,00 per il danno non patrimoniale da inabilità temporanea (per un totale di Euro 5.502,00) e ad Euro 700,00 per il danno patrimoniale. Ora, poiché i danni sopra liquidati sono espressi per una voce (danno non patrimoniale) in valuta attuale e per un'altra voce (danno patrimoniale) in valuta dell'epoca d'insorgenza, appare necessario rendere omogenei gli anzidetti importi, sia al fine di stabilire l'ammontare della somma risarcitoria concreta al momento della decisione sia onde conteggiare correttamente gli interessi, che - secondo l'insegnamento della Suprema Corte - debbono calcolarsi dal giorno dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione. Per questa ragione occorre tenere presente che è necessaria una "devalutazione" nominale delle voci liquidate in valuta attuale, rapportandole all'equivalente della data d'insorgenza del danno (18 giugno 2016), per renderle omogenee alle altre voci espresse nella valuta del tempo dell'evento di danno e procedere quindi alla rivalutazione (che riconduce all'identica valuta attuale le somme nominalmente devalutate, mentre adegua alla valuta attuale le somme espresse in valuta del tempo d'insorgenza), applicando gli interessi alle somme che man mano che si incrementano per effetto della rivalutazione (con cadenza mensile alla stregua della mensile variazione degli indici ISTAT) e tenendo puntualmente nota del montante progressivo del credito capitale per l'inserimento di nuove voci di danno in tempi diversi, mentre i corrispondenti interessi, di tempo in tempo applicati sulla variabile base secondo il tasso vigente all'epoca di riferimento, si accantonano e si cumulano senza rivalutazione. In merito agli interessi da ritardato pagamento si rileva che le somme sin qui liquidate, se da un lato costituiscono l'adeguato equivalente pecuniario, al momento della statuizione, della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprendono l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Orbene, tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore pari all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione. Tale "interesse" va poi applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n. 1712/1995 (poi ribadito, tra le altre, da Cass., n. 2796/2000, n. 7692/2001, n. 5234/2006, n. 16726/2009 e n. 18028/2010) sulla "somma capitale" originaria rivalutata di anno in anno. Procedendo alla stregua dei criteri appena enunciati, a partire dal danno complessivamente subito sopra indicato in valori attuali, si determina il "danno iniziale", inteso come danno finale devalutato alla data del sinistro; questo dunque viene successivamente rivalutato fino alla data della sentenza, al contempo calcolando gli interessi ponderati via via maturati. Si arriva in tal modo a determinare l'importo esatto degli interessi da corrispondere per la mancata completa disponibilità del risarcimento dovuto. Occorre poi considerare che la decorrenza degli interessi va conteggiata sugli esborsi dalla data della relativa spesa, sulla invalidità permanente dalla data di cessazione della inabilità temporanea e su quest'ultima dalla data del fatto. Pertanto, la somma spettante a (...) a titolo di danno non patrimoniale, con rivalutazione e interessi ponderati a tutt'oggi, ammonta ad Euro 5.810,78 (di cui Euro180,60per interessi), cui vanno sommati Euro 700,00 a titolo di danno patrimoniale, per un totale di Euro 6.510,78. Il Comune convenuto contumace dev'essere, quindi, condannato al pagamento in favore di parte attrice della suddetta somma, sulla quale sono, inoltre, dovuti gli interessi legali dalla data della presente sentenza (momento in cui il debito di valore diventa debito di valuta) fino al soddisfo. 3. Spese di lite Infine, in considerazione dell'esito della lite, si ravvisano fondati motivi per disporre la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo, con condanna del Comune convenuto a rifondere in favore dell'erario la restante parte, stante l'ammissione dell'attrice al gratuito patrocinio. Le spese di CTU, liquidate come da separato decreto, si pongono definitivamente a carico del convenuto. P.Q.M. Il Tribunale di Termini Imerese, disattesa ogni contraria istanza e deduzione e definitivamente pronunciando; in accoglimento delle domande proposte dall'attrice condanna il Comune di Ficarazzi al pagamento nei confronti di (...) della somma di Euro 6.510,78; dispone la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo nei rapporti tra (...) e COMUNE DI FICARAZZI, condannando il Comune di Ficarazzi a rifondere la restante parte in favore dell'attrice, da liquidarsi in Euro 2540,00 oltre I.(...) e C.P.A. nella misura legalmente dovuta oltre spese generali al 15%; ; pone le spese di CTU definitivamente a carico del convenuto Comune di FICARAZZI; Così deciso in Termini Imerese il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso, all'udienza del 06.04.2023, sulle conclusioni precisate da entrambe le parti, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3553 del R.A.G.C. relativo all'anno 2021 e vertente TRA (...), nato a Palermo il (...) e residente in Bagheria Via (...) elettivamente domiciliato in Bagheria corso (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende per mandato in calce all'atto introduttivo del giudizio, - opponente - E (...), nata a Palermo il (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Palermo, Via (...), in forza del mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - opposto - avente oggetto-, opposizione avverso decreto ingiuntivo n. 1024/21, emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 31.10.2021, pubblicato in data 05.11.2021 e notificato in data 19.11.2021, CONCLUSIONI DELLE PARTI Entrambe le parti concludono riportandosi ai rispettivi atti difensivi e come da verbale di causa del 06.04.2023 cui si rinvia integralmente MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa premessa, si osserva che con atto di citazione notificato a mezzo pec il 16.12.2021, il sig. (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1024/21, emesso in data 31.10.2021, pubblicato in data 05.11.2021 e notificato in data 19.11.2021, con il quale il Tribunale di Termini Imerese ingiungeva, in danno dell'opponente ed in favore del Sig. (...), la somma di Euro 4.342,02 per canoni di locazione ed oltre le spese del monitorio. A fondamento dell'opposizione, il Sig. (...) eccepiva: 1) violazione del principio del "ne bis in idem" in quanto le spese legali erano state già liquidate nella procedura R.G. 2617/19; 2) mancanza di sottoscrizione delle quietanze di pagamento degli oneri condominiali: 3) mancata detrazione dai canoni di locazioni scaduti del deposito cauzionale; 4) mancato conteggio della somma di Euro 2.000,00 versata dal (...) nel periodo novembre 2019 - agosto 2020. Per tutti questi motivi, l'opponente chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto limitatamente all'importo eccedente la somma di Euro 474,26, quale somma effettivamente dovuta, per la quale dichiarava la disponibilità al pagamento. Si costituiva con comparsa di costituzione e risposta, la sig.ra (...) contestando l'opposizione ex adverso proposta, in quanto infondata in fatto ed in diritto. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Con ordinanza riservata emessa in data 10.08.2022, questo Giudice rilevava, preliminarmente, l'irritualità dell'atto introduttivo, atteso che - trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per canoni di locazione -l'opposizione doveva essere introdotta con ricorso e non già con atto di citazione; concedeva, comunque, la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto; onerava parte opposta per l'introduzione del procedimento di mediazione e rinviava la causa all'udienza del 17.11.2022 per la prosecuzione. Il procedimento di mediazione si concludeva con verbale negativo del 14.11.2022, per la mancata comparizione personale del Sig. (...). All'udienza del 17.11.2022, venivano concessi alle parti i termini per il deposito di memorie integrative e documenti, fissando l'udienza del 08.02.2023, per la discussione. Alla predetta udienza, stante il carico di ruolo, il Giudice fissava l'udienza del 06.04.2023 per la stessa attività. Premesso quanto sopra, le domande di parte opponente non meritano accoglimento e, ciò per le seguenti considerazioni. In merito duplicazione del titolo e la violazione del principio del "ne bis in idem": Con il primo motivo di opposizione, il Sig. (...) ha eccepito la duplicazione del titolo in violazione del principio del "ne bis in idem". L'opposta, costituendosi nel presente giudizio, ha provato che non sussiste alcuna duplicazione. Ed invero, a seguito del procedimento di sfratto R.G. 2617/19 istruito per il mancato pagamento degli oneri condominiali 2016 - 2019 da bilancio preventivo per complessivi Euro 1.903,00, stante la mancata comparizione dell'intimato, il Giudice in persona della Dott.ssa Cusenza convalidava lo sfratto liquidando le spese legali. Si procedeva pertanto alla notifica della convalida insieme al precetto per rilascio. La difesa della Sig.ra (...) ha rappresentato che, a seguito della notifica della convalida di sfratto, il debitore contattava il difensore della proprietaria per rientrare dalla posizione debitoria; pertanto, non veniva richiesta al Tribunale di Termini Imerese l'emissione del decreto ingiuntivo; subentrava poi la pandemia da COVID-19 e nelle more il sig. (...) corrispondeva alla sig.ra (...) gli oneri condominiali indicati nella citazione per sfratto per morosità omettendo di: - corrispondere le spese legali del procedimento di sfratto; - pagare gli oneri condominiali successivi al luglio 2019; - pagare i conguagli degli oneri condominiali relativi agli anni 2015 - 2019; - pagare i canoni di locazione relativi ai mesi di febbraio, marzo e aprile 2021; Per questi motivi, non veniva richiesta alcuna ingiunzione di pagamento in dipendenza del procedimento di sfratto e, pertanto, non poteva sussistere alcuna duplicazione di titolo. Per quanto sopra, deve ritenersi legittima la richiesta di condanna del sig. (...) al pagamento delle spese legali come liquidate nell'ordinanza di convalida di sfratto. In riferimento alla prova dei pagamenti degli oneri condominiali da parte del proprietario: In riferimento alla prova del pagamento degli oneri condominiali, parte opposta ha allegato, anche nel procedimento monitorio, quietanza timbrata e sottoscritta dall'amministratore, corredata dal documento di identità, oltre al bonifico eseguito dalla proprietaria (cfr. allegati 1.8, 1.9 e 1.10 a seguito dell'integrazione documentale richiesta dal Tribunale). Pertanto anche questa eccezione non merita accoglimento ed appare totalmente infondata; il proprietario, come documentato e provato, ha corrisposto al Condominio gli oneri di competenza del sig. (...), conduttore dell'immobile oggetto di locazione, riferiti a conguagli anni precedenti, acqua e oneri successivi al luglio 2019. In merito ai canoni di locazione dovuti e alle somme corrisposte dal sig. (...) nel periodo 2019 - 2020: Il sig. (...), come richiesto nell'ingiunzione di pagamento si è reso moroso delle mensilità del canone di locazione di febbraio, marzo e aprile 2021 per un importo complessivo di Euro 1.200,00. Come risulta agli atti di causa, l'immobile de quo è stato rilasciato nel mese di maggio 2021 e, pertanto, lo stesso potrà essere imputato solo alla mensilità di maggio 2021, peraltro, non richiesta nell'ingiunzione. In merito ai conferimenti versati dal (...) nel periodo novembre 2019 - agosto 2020, per un importo complessivo di Euro 1.200,00 e non già di Euro 2.000,00, come risulta dalla documentazione allegata dall'opponente, gli stessi devono essere imputati agli oneri condominiali come da "preventivo" e consumi acqua di cui era stata accertata la morosità nel procedimento di sfratto R.G. 2617/19 che ammontavano a Euro 1.903,00. A tal fine, l'opposta ha depositato la lettera di diffida di pagamento datata ottobre 2018 a firma del legale della Sig.ra (...); tutti i prospetti degli oneri condominiali da "preventivo", quote acconto acqua 2017 e prospetto scadenze da "preventivo" anni 2018 e 2019 depositati nel procedimento di sfratto (cfr. allegati 2, 3 e 4) Per quanto sopra esposto, le somme indicate nell'ingiunzione di pagamento sono dovute dal sig. (...) alla sig.ra (...). I versamenti eseguiti nel periodo novembre 2019 - agosto 2020 sono stati imputati a fronte degli "oneri condominiali come da preventivo" già richiesti nel procedimento di sfratto per morosità R.G. 2617/19 concluso con la convalida di sfratto con soccombenza delle spese legali. Ad oggi, come documentalmente provato con tutte le allegazione del presente giudizio, il sig. (...) deve alla sig. (...): - le spese legali del procedimento di sfratto; - gli oneri condominiali successivi al luglio 2019; - i conguagli degli oneri condominiali relativi agli anni 2015 - 2019; - i canoni di locazione relativi ai mesi di febbraio, marzo e aprile 2021; per complessivi Euro 4.342,01 oltre spese liquidate nel procedimento monitorio. In proposito, mette conto evidenziare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. per tutte, Cass. S.U. 13533/2001; 9351/2007). Simile principio generale non subisce alcuna deroga in caso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, atteso che, come noto: "il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non e ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità o di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione" (cfr. Cass. SS.UU. n. 7448/93); esso, pertanto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, "si configura come un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione in cui il giudice deve statuire sulla pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e sulle eccezioni sollevate dalla controparte" (cfr. ex multis, Cass. Civ. n. 9787/97). Inoltre, la peculiarità del giudizio di opposizione fa sì che la posizione processuale delle parti risulti invertita, in particolare, l'opponente (attore in senso formale) è in realtà il convenuto sostanziale mentre l'opposto (convenuto in senso formale) è l'attore in senso sostanziale (cfr. Cass. 11625/95). In tale giudizio, quindi, alla luce della suddetta inversione di posizioni processuali, incombe sulla parte opposta - creditore o attore in senso sostanziale - l'onere di provare il fondamento della sua pretesa. A riguardo, deve nondimeno dirsi che se è vero che l'opposizione vale solo ad invertire l'onere di instaurazione formale del contraddittorio, senza influire né modificare la posizione delle parti quanto ad onere di allegazione e di prova e che da tale assunto discende che, precipuamente, il creditore - opposto deve allegare e provare il proprio credito nel giudizio principale, in maniera certamente più completa ed esaustiva di quanto abbia già fatto nel corso della procedura di ingiunzione, inevitabilmente soggetta ad oneri e cognizioni sommarie, ciò deve essere modulato in ragione delle difese spiegate in giudizio dall'opponente. Alla luce delle superiori argomentazioni, risulta provata la pretesa creditoria vantata dalla Sig.ra (...); deve, pertanto, concludersi per il rigetto dell'opposizione promossa da (...) e per la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano applicando i parametri aggiornati dal DM n. 147/2014, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. Mancata partecipazione al procedimento di mediazione: A ciò si aggiunga che parte opposta ha depositato il verbale negativo (cfr. verbale del 14.11.2022), con il quale è stato chiuso il procedimento di mediazione promossa dalla Sig.ra (...) da cui risulta che il Sig. (...) non si è presentato all'incontro di mediazione, senza giustificato motivo, benché ritualmente convocato dall'Organismo prescelto, e l'esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo della mancata partecipazione del Sig. (...) al procedimento di mediazione, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della sua resistenza ad oltranza, e legittimi l'interesse dell'attore ad ottenere quanto richiesto in atto di citazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione disattesa, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta dal Sig. (...) avverso il decreto ingiuntivo portante il n. 1024/21, emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 31.10.2021, pubblicato in data 05.11.2021 e notificato in data 19.11.2021; - per l'effetto, conferma integralmente il predetto decreto ingiuntivo, dichiarandolo definitivamente esecutivo; - visto l'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 148/2011, condanna il Sig. (...) al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione; - condanna il Sig. (...) al pagamento, in favore della Sig.ra (...), delle spese del presente procedimento che liquida in complessivi Euro 2552,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Termini Imerese il 6 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 950 del R.A.G.C. relativo all'anno 2019, posta in decisione all'udienza cartolare del 01.12.2022, e vertente TRA (...), nato (...), C.F.: (...) e (...), nata (...) quale procuratrice speciale del signor (...), nato (...), C.F.: (...), rappresentati e difesi dall'avv. Fa.Lo., giusta procura in atti, - attori - E Condominio "(...)", sito a Casteldaccia (PA) in via (...) - C.F. (...) - amministrato dalla Pellitteri & Campanella Soc. Coop., in persona del suo legale rappresentante, Geom. An.Pe., con sede ed uffici a Bagheria(PA) in via (...) - ed elettivamente domiciliato in Bagheria (PA), via (...), presso lo studio dell'Avv. Pa.La., che lo rappresenta e difende per mandato in atti, - convenuto - avente oggetto: opposizione delibera condominiale valore del procedimento: Euro 25.000,00 MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (legge 18.06.2009 n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa breve premessa, si osserva che, con atto di citazione i signori (...) e (...), n. q. di proprietari di unità immobiliari facenti parte del Condominio "(...)", sito a Casteldaccia (PA) in via (...), impugnavano la delibera assembleare assunta dal condominio il 21.02.2019. Gli attori contestavano l'invalidità della convocazione assembleare, l'inosservanza dell'art. 66 disp. Att.c.c. - art. 1136 c.c., l'invalidità delle decisioni adottate, la riconferma dell'amministratore e violazione dell'art. 1129, c. 14 c.c.. Quindi, chiedevano dichiararsi nulla e/o annullabile la Delibera Assembleare del 21.02.2019, l'annullamento del rendiconto anno 2018 ed, infine, la revoca dell'amministratore. Costituendosi nel presente giudizio il Condominio "(...)" rilevava l'improcedibilità, l'inammissibilità e l'infondatezza delle argomentazioni e delle domande tutte spiegate dagli attori eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità del presente giudizio, atteso che non era stata esperita la procedura di mediazione. Nel merito, contestava tutto quanto ex adverso dedotto perché infondato in fatto ed in diritto, chiedendone il rigetto. Nel corso del giudizio venivano concessi i termini ex art. 183, comma VI, c.p.c.; la causa veniva poi istruita con l'espletamento della CTU contabile e, nelle more veniva assegnata a questo GOP la quale fissava l'udienza del 01.12.2022 per la precisazione delle conclusioni. Con successivo decreto reso in data 22.11.2022, il Tribunale disponeva - per la predetta udienza - la trattazione cartolare, assegnando ad entrambe le parti, termine sino a cinque giorni prima per il deposito di note scritte. All'udienza cartolare del 01.12.2022, sulle conclusioni rassegnate da entrambe le parti, con le note scritte, tempestivamente depositate, il Tribunale poneva la causa in decisione, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Preliminarmente, si evidenzia che i poteri dell'amministratore alla costituzione in giudizio non esulano quelli di cui all'art. 1130 c.c.. I giudici di legittimità hanno testualmente affermato che "in tema di condominio negli edifici", l'amministratore può resistere all'impugnazione della delibera assembleare, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso". (Cass. n. 1451 del 2014; Cass. n. 27292 del 2005). In definitiva, quindi, l'amministratore può conferire direttamente mandato ad un avvocato di sua fiducia per far emettere un decreto ingiuntivo relativo al pagamento degli oneri condominiali e resistere all'eventuale opposizione o al giudizio per far osservare il regolamento, o all'impugnativa di una decisione assembleare. Giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. n. 1451/14). Pertanto, la difesa in giudizio delle delibere dell'assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell'amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell'art. 1131 c.c. (Cass. 20 marzo 2017 n. 7095). In merito, la Cassazione, con la sentenza n. 8309 pubblicata il 23 aprile 2015, ha espresso un preciso e dettagliato orientamento in base al quale non occorre una delibera dell'assemblea condominiale per la nomina di un difensore, per cui l'amministratore può incaricare un avvocato di fiducia senza bisogno di alcuna autorizzazione, né preventiva, né successiva. In ogni caso, quando la materia esula le attribuzioni dell'amministratore questi ne deve dare "notizia" all'assemblea. Ebbene, nel caso de quo, chiaramente l'amministratore aveva i pieni poteri per la difesa nel giudizio di impugnazione di delibera assembleare. In ogni caso, nell'assemblea del 20.02.2020, prodotta unitamente alle note di trattazione scritta del 03.11.2020, è stato posto all'ordine del giorno la ratifica dell'incarico al legale di fiducia Avv. Patrizia Lanza e, quindi, notiziata l'assemblea del mandato già conferito. L'assemblea con i voti favorevoli di 7 su 10 presenze poi ha approvato e ratificato. Per quanto esposto, l'eccezione va rigettata. Parte attrice contesta che l'amministratore "si era riservato di impugnare la delibera adottata dall'Assemblea Condominiale il 20.02.2020". Tale eccezione non merita accoglimento, in quanto l'Amministratore di condominio non è un soggetto legittimato a potere impugnare le delibere assembleari. Ai sensi dell'art. 1137, secondo e terzo comma, c.c.: "Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa. Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti". Quindi, solo i Condomini possono impugnare le delibere assembleari. Parte attrice contesta che l'Amministratore non ha dato prova di avere convocato tutti i comproprietari delle singole unità immobiliari. Ebbene, anche questa doglianza non merita accoglimento, atteso che - come risulta agli atti versati da parte convenuta - tutte le convocazioni sono state regolarmente recapitate ai condomini. Quanto messo in dubbio dagli istanti è relativo unicamente alle unità immobiliari cointestate tra marito e moglie conviventi in tale ipotesi ha inviato unico plico con all'interno le due convocazioni. Infatti, l'amministratore ha provveduto con una missiva di convocazione cointestata ove all'interno della busta/plico sono state inserite comunque convocazioni intestate a ciascun singolo comproprietario, ciò al fine di limitare i costi di spedizione. Nessun condomino ha contestato tale circostanza dando acquiescenza all'operato dell'amministratore. L'art. 66, terzo comma, disp. att. c.c. specifica che "in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati". Spetta, pertanto, a chi non è stato convocato, oppure lo è stato tardivamente far valere il vizio di omessa o tardiva comunicazione dell'avviso di convocazione e ciò dovrà essere fatto entro trenta giorni dalla comunicazione del verbale. Per quanto detto, l'eccezione va rigettata. A confutazione dell'eccepita inosservanza dell'art. 66 disp. Att. c.c. - art. 1136 c.c., parte convenuta ha dimostrato che la convocazione al signor (...) è stata spedita il 13.02.2019, dal 14.02.2019 la stessa è stata in giacenza, come da avviso di ricevimento prodotto, in quanto il destinatario in tale data era assente. La data della prima convocazione era il 20.02.2019, pertanto, la convocazione è avvenuta entro i termini di legge. Secondo la Cassazione, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma, per cui è dal momento in cui la comunicazione giunge all'indirizzo del destinatario, sia pure assente, che la stessa entra nella conoscenza del ricevente e ciò avviene dal tempo del rilascio dell'avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale e non già con il momento in cui la missiva fu consegnata; il mittente non è tenuto a provare tale conoscenza essendo sufficiente che dimostri l'avvenuto recapito all'indirizzo del destinatario (Cass. 3 novembre 2016 n. 22311). Inoltre, nel caso de quo, ulteriormente, si evidenzia che il terzo comma dell'art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile specifica che, "l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza". Ebbene, la prima adunanza era prevista per il giorno 20.02.2019, l'amministratore ben 7 giorni prima (il 13.02.2019) ha affidato la spedizione all'agenzia autorizzata (...) la quale già il giorno dopo (14.02.2019) ha effettuato la consegna (servizio molto più efficiente di (...) SpA) ma, purtroppo, il signor (...) non era in casa. Hanno lasciato l'avviso di giacenza, sul quale risulta che dal giorno successivo (15.02.2019), come da avviso di giacenza in atti, la raccomandata poteva essere ritirata presso i loro sportelli (e non dopo 2 giorni), pertanto il 15.02.2019 il signor (...), nonostante la sua assenza del giorno di consegna, poteva prendere coscienza della convocazione. Il predetto (...) delegava per il ritiro della raccomandata la sorella (...) che addirittura abita in un altro Comune rispetto a quello di residenza del fratello e addirittura nemmeno limitrofo. È chiaro che la raccomandata è stata poi ritirata il 19.02.2019 e che il termine dei cinque giorni è stato pertanto ampiamente rispettato. Per quanto detto l'eccezione va rigettata. Parimenti inammissibile è la domanda di revoca dell'amministratore. Il nuovo art. 64 delle disposizioni di attuazione del codice civile modificato dalla succitata legge n. 220 del 2012, recita: "Sulla revoca dell'amministratore, nei casi indicati dall'undicesimo comma dell'articolo 1129 e dal quarto comma dell'articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente". E' il Collegio che provvede in materia. Per quanto detto, la domanda di revoca nel presente giudizio è inammissibile. Addirittura, poi, viene chiesta la revoca dell'amministratore in quanto l'amministratore non avrebbe convocato l'assemblea straordinaria condominiale per decidere su due proposte di mediazione obbligatorie presentate dai sig.ri (...) e (...) nelle procedure di mediazione n. 975/19 e n. 991/19. Anche questa eccezione non merita accoglimento, in quanto parte convenuta ha prodotto copia della delibera assembleare del 22/23 gennaio 2020 con la quale l'assemblea autorizza l'amministratore a partecipare l'amministratore alle suddette mediazioni; ed ha altresì prodotto copia dei moduli di adesione nei quali viene allegato il predetto verbale assembleare. Le spese idriche ripartite nel rendiconto contestato (anno 2018) sono per il periodo da aprile 2016 a maggio 2017. Parte attrice sostiene che l'assemblea ha approvato nel rendiconto dell'anno 2018 spese idriche degli anni 2004, 2005 e 2006. Tale contestazione non merita accoglimento. Preliminarmente, a confutazione dell'accusa nei confronti dell'amministratore condominiale di non aver indetto l'assemblea nell'ambito di due procedimenti di mediazione si rileva che, invece, lo stesso si è sempre attivato con tempestività, all'uopo si è già prodotto in giudizio la Delibera assembleare del 22-23.01.2020 e moduli di adesione mediazioni. In questa sede appare necessario evidenziare che nel periodo in oggetto anche a seguito del periodo lookdown sono intervenuti decreti che hanno sospeso i termini per tutte le scadenze relative ai Condomini. Precisamente, è intervenuto l'articolo 63 del "Decreto agosto" DL n. 104/2020 convertito, con modificazioni, con alcune semplificazioni per quel che riguarda i procedimenti delle assemblee condominiali. La misura è volta ad agevolare lo svolgimento delle assemblee condominiali durante l'emergenza COVID-19 e viene posta in essere attraverso una serie di modifiche all'articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. In particolare, sospendi i termini di Rendiconto, approvazione e adeguamenti antincendio. Al Decreto Agosto è stato aggiunto, infine, il nuovo articolo 63-bis (Disposizioni urgenti in materia condominiale) che sospende, fino alla cessazione dello stato di emergenza da Coronavirus: 1. il termine per la redazione del rendiconto consuntivo; 2. la convocazione dell'assemblea per l'approvazione. E' inoltre rinviato di 6 mesi, dal termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri, il termine per procedere agli adeguamenti antincendio previsti per gli edifici di civile abitazione. Per quanto detto, è chiaro che, a causa della pandemia, per legge è stata paralizzata ogni attività assembleare. Se risultano sospesi i termini per le attività più importanti del Condominio, chiaramente, risultano sospese le attività di importanza inferiore. Nulla può essere eccepito all'amministratore il quale ha agito con la dovuta diligenza. A nulla vale l'assemblea straordinaria tenutasi il 27.07.2020 in quanto riguardante materia urgente e comunque delibera che prevedeva un quorum deliberativo di solo 1/3 anziché 1/2. Nel corso del giudizio veniva disposta la Consulenza Tecnica d'Ufficio. Invero il Dr. (...) non ha riscontrato alcuna violazione di legge da parte dell'Amministratore del Condominio, oggi convenuto, nel presente giudizio. L'unica difformità è stata individuata nella tenuta del registro di contabilità del Condominio che deve essere stato tenuto nel rispetto dei principi espressi dall'art. 1130 c.c.. Il Consulente, sul punto precisa: "... che il registro di contabilità del condominio prodotto dalla convenuta (allegato F) non è stato tenuto nel rispetto dei principi espressi dall'art. 1130 c.c. per le seguenti discrepante: a) contabilizzazione di operazione cassa di entrate ed uscite effettuate nel 2017 (08/11/2017-15/11/2017-27/11/2017-13/12/2017-14/12/2017-15/12/2017 - 29/12/2017); b) contabilizzazione di operazione cassa di entrate ed uscite effettuate nel 2019 (02/01/2019-03/01/2019-04/01/2019-07/01/2019-11/01/2019-16/01/2019-24/01/2019-25/01/2019); c) mancanza del numero progressivo di registrazione e mancata annotazione nei documenti contabili". Sul punto, si osserva quanto segue. In tema di rendiconto condominiale è noto che l'amministratore di condominio, ai sensi dell'art. 1130 bis c.c., nell'ambito della sua attività di rendicontazione, sia tenuto a redigere, tra i vari elaborati contabili, anche il famoso "registro di contabilità", che rappresenta il presupposto del suo consuntivo. A ben vedere, però, il registro di contabilità, di per sé, è conosciuto, soprattutto, per essere un documento contabile riferito allo stato di avanzamento delle opere edili, redatto con gli importi corrispondenti alle lavorazioni eseguite, fermo restando che quello indicato nell'art. 1130 bis c.c. ha una funzione del tutto diversa. Peraltro, mentre il direttore dei lavori ha delle norme specifiche da seguire, per la compilazione del registro di contabilità, tipo quelle dettate dal recente DM 49/2018, l'amministratore di condominio, al contrario, come spesso accade, non è destinatario di indicazioni normative dettagliate sul come redigere il suo registro di contabilità. Nello specifico, infatti, le uniche istruzioni dettate dal legislatore nel merito sono quelle contenute nell'art. 1130 punto sette c.c., che obbligano l'amministratore di condominio ad annotare nel registro di contabilità condominiale i singoli movimenti di entrata e uscita, da riportare in ordine cronologico, entro trenta giorni dalla data di effettuazione ed, a scelta, anche con modalità informatizzate. In pratica, il registro di contabilità condominiale è da intendersi come un documento utile a monitorare le disponibilità liquide del condominio e l'andamento della gestione. Tali uniche e brevi considerazioni, alla luce del dispositivo dell'art. 1130 punto sette c.c., fanno propendere per l'identificazione del "registro di contabilità condominiale" con il più famoso "registro prima nota cassa", escludendo similitudini con il cosiddetto libro giornale aziendale. Si osserva nel merito che la prima nota cassa, al pari del registro condominiale, non ha valore di documento fiscale a differenza del libro giornale, che soggiacendo a regole più rigide, di tipo societario, come il metodo della partita doppia, può assumere valore giuridico-fiscale quando è regolarmente numerato e bollato prima dell'uso e contiene tutte le operazioni di gestione di un'impresa (Ris. Min. Fin. n. 9/101 del 09/08/79). In ambito aziendale, il registro prima nota cassa, che serve a tenere la contabilità in modo ordinato e chiaro, è un documento propedeutico al libro giornale e può anche essere utile a verificare l'andamento finanziario in termini di attivo e passivo. Sotto tale profilo anche il registro di contabilità condominiale, che risponde a criteri di trasparenza gestionale, rappresenta un documento utile a monitorare le risorse ed a verificare, periodicamente, l'attivo e passivo del condominio, costituendo il presupposto economico-contabile dal quale deriva il consuntivo finale dell'amministratore. D'altronde, sia il registro prima nota cassa che il registro di contabilità condominiale, sono scritture elementari a forma libera, che non devono rispettare delle regole precise, ma possono tenersi anche in formato elettronico, attraverso l'utilizzazione, per esempio, del programma "excel", dal quale possono essere ricavati gli stampati dei prospetti contabili. In sintesi, i dati da riportare nel registro prima nota cassa sono il giorno, mese e anno in cui avviene l'operazione, da annotare in ordine di data crescente, con la descrizione della stessa operazione ed il relativo importo, in entrata o in uscita (cioè incasso o spesa). Per tali ragioni, il registro di prima nota cassa o prima nota contabile, come dir si voglia, risulta essere un documento contabile conforme, nel contenuto, a quanto richiesto dall'art. 1130 punto sette c.c., con l'unica differenza fondata sul fatto che nel registro di contabilità condominiale l'amministratore può registrare le operazioni entro i successivi trenta giorni, rispetto alla data del movimento. In particolare il registro di contabilità condominiale può essere inteso come un documento contabile a cadenza mensile e con effetto retroattivo, e cioè può essere aggiornato dall'amministratore dopo il verificarsi delle operazioni contabili che, però, devono essere tutte registrate, con la data effettiva nella quale è avvenuta la movimentazione. Pertanto, non sussiste alcun vincolo per l'amministratore a registrare il movimento di gestione nello stesso giorno in cui e avvenuto, anche se e consigliabile farlo giornalmente, per evitare problematici lavori di ricostruzione dei movimenti di denaro, soprattutto nel caso dei conferimenti in contanti da parte dei condòmini. È ovvio che il registro di contabilità condominiale non può corrispondere all'estratto del conto corrente intestato al condominio, dovendo annoverare anche i movimenti in contanti, oltre a quelli bancari o postali. In ogni caso, i dati minimi da annotare nel registro di contabilità condominiale, possono essere così sintetizzati: numero operazione, data, importo pagato e destinatario del pagamento o importo incassato e soggetto che lo ha corrisposto, descrizione dell'operazione. Per quanto riguarda, invece, la tenuta del registro di contabilità condominiale, possiamo dire che il periodo di riferimento segue l'anno gestionale dell'amministratore e quindi è da intendersi annuale, come la durata del suo incarico, sebbene debba essere sottoposto ad aggiornamento mensile. In conclusione, è di tutta evidenza che l'insieme delle prescrizioni legislative relative agli adempimenti e alle regole da rispettare nella gestione condominiale confermano la necessità, per l'amministratore, di conseguire delle specifiche competenze in materia contabile e di dotarsi di una propria organizzazione del lavoro. Alla luce delle superiori argomentazioni, deve concludersi per il rigetto delle domande formulate dall'attore perché infondate in fatto ed in diritto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del DM n. 147/2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. P.Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione respinta, così provvede: - rigetta tutte le domande formulate da parte attrice perché infondate in fatto ed in diritto; - condanna i Sigg. (...) e (...) quale procuratrice speciale del signor (...), in solido tra loro, al pagamento in favore del Condominio "(...)", sito a Casteldaccia(PA) in via (...) n. 25/27- C.F. (...) - amministrato dalla (...) Soc. Coop., in persona del suo legale rappresentante, Geom. (...), delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 5.077,00 per compensi professionali, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge; - pone definitivamente a carico degli attori, in solido tra loro, i compensi di CTU già liquidati con separato decreto. Così deciso in Termini Imerese il 18 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Laura Di Bernardi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 848 dell'anno 2017 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente tra (...), nato a (...) il (...) (C.F. (...) ), residente in (...) (P.) in via A. n. 24 e (...), nato ad A. (F.) il (...) (C.F. (...) ) residente in (...), in via dei (...) n. 8 ed, ai fini del presente giudizio, entrambi elettivamente domiciliati in Palermo, in via (...), presso lo studio dell'avv. Fr.Am. (C.F. (...) ) del Foro di Palermo, che li rappresenta e difende giusta procura alle liti rilasciata in calce all'originale dell'atto di citazione, il quale dichiara, ai sensi dell'art. 176, comma 2, c.p.c. di voler ricevere le comunicazioni al fax: (...) o all'indirizzo PEC: (...); PARTI ATTRICI contro (...), con sede a T. in Piazza delle D. L. n. 2, C.F.: (...), in persona del procuratore, Sig. (...) - quale successore a titolo particolare della R.-(...) Ltd., Rappresentanza G.D.I., con sede a (...), giusti atti di "ricognizione e ripetizione di cessione di ramo di azienda" autenticati dal Notaio (...) di M. in data (...), Repertorio n. (...) e Repertorio n. (...), Raccolta n. (...)e registrati presso il Registro delle Imprese di Trento in data 23 dicembre 2015 ai n.n. (...) e (...), rappresentata e difesa, giusta procura speciale autonoma allegata in calce all'originale della comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Ma.Gi. (C.F.: (...) - fax n. (...) - pec: (...)) del Foro di Palermo ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, sito a Palermo in Via (...); PARTE CONVENUTA e nei confronti di (...), nato a (...) (P.) il (...) (c.f. (...)), ivi residente in via (...) n. 41 e (...) nato a (...) (P.) il (...) (c.f. (...) ), quivi residente in via (...) n. 43 entrambi rappresentati e difesi, in forza di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'avv. Pa.Mo. (c.f. (...) - pec (...)), sia unitamente che disgiuntamente con l'avv. (...) (c.f. (...) - pec (...)), tutti elettivamente domiciliati, ai fini del presente giudizio, in Cefalù, nella via (...), nello studio dell'avv.to Sa.Fi.; PARTI CONVENUTE e (...) Soc. coop. a.r.l., P.IVA:(...), in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. (...) -proc.re-, elett.te domiciliato in Palermo, Viale (...) presso lo studio del Prof. Avv. Au.An. (C.F. (...) , PEC: (...), FAX n. (...)), dal quale è rappresentata e difesa in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; PARTE CONVENUTA OGGETTO: lesione personale MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) e (...) convenivano in giudizio (...) e (...), nonché la (...), ora "(...)", e la (...) Soc. Coop. a.r.l., per chiederne la condanna al risarcimento dei danni materiali e personali, quantificati complessivamente in Euro 519.700,00, subiti a seguito del sinistro stradale occorso il 25 gennaio 2016. In particolare, gli attori esponevano che, il 25 gennaio 2016, alle ore 08.00 circa, (...), alla guida dell'autovettura (...), targata (...), (assicurata per la RCA con la (...)) con a bordo il figlio (...), lato passeggero, entrambi muniti di cintura di sicurezza, procedevano a regolare andatura di marcia, lungo la S.P. 21, tenendo la destra, con direzione da (...) verso la S.S. 113, quando, giunti all'altezza della proprietà "(...)", posta alla loro destra, si trovavano improvvisamente sbarrata la carreggiata dalla macchina agricola "(...)", targata (...), condotta da (...) e di proprietà di (...) (coperta da polizza stilata con la subagenzia (...) di (...)). Esponevano, ancora, che (...) si immetteva nel flusso circolatorio, con manovra di retromarcia, uscendo da un cancello ed intercettando la direttrice dell'autovettura procedente al margine destro della semi-carreggiata. (...), inoltre, che (...), conducente, pur avendo posto in essere le manovre del caso (suonando e sterzando), cionondimeno impattava lateralmente con il montante destro del veicolo "(...)", munito di un cassone anomalo, fuori sagoma, artigianale e non omologato, agganciato posteriormente alla macchina agricola, sollevato di oltre un metro dalla sede stradale, che copriva la fanaleria del trattore, alterando, per l'effetto, la sagoma della (...). Quest'ultimo veicolo, con a bordo gli attori, dopo la collisione con il cassone sporgente dalla sagoma della macchina agricola, finiva sulla sinistra nella scarpata adiacente la carreggiata, subendo il totale tranciamento del parabrezza, del montante e del tetto lato destro. In conseguenza di quanto innanzi rappresentato, gli odierni attori riportavano lesioni fisiche, per la cura delle quali, subito dopo, venivano trasportati a mezzo 118, rispettivamente, (...) all'ospedale civico di Termini Imerese (Ref. n. 1537/16) per "trauma cranico con escoriazioni in regione frontale, contusione mano destra con ferita lacero contusa suturata, trauma distorsivo rachide cervicale con prognosi di giorni 15" e successivi accertamenti, e Pansarella Antoine al pronto soccorso dell'ospedale civico di Palermo A.R.N.A.S. di Palermo (Ref. n. 8709/2016) con prognosi riservata, ove i sanitari di turno accertavano "politrauma", come meglio specificato nell'atto di citazione. Più in particolare, all'anamnesi veniva rilevata "ferita lacero-contusa in sede obitraria destra" e gli stessi sanitari disponevano l'immediato ricovero del paziente in osservazione breve intensiva. Durante il ricovero, venivano eseguiti gli accertamenti ematochimici e strumentali del caso e veniva praticata terapia medica. Inoltre, l'otorino refertava "frattura delle ossa nasali. Assenza di ematoma del setto nasale. Oroscopia negativa". Ancora, il chirurgo maxillo-facciale prescriveva dieta morbida e divieto di soffiare il naso e programmava successivi controlli ambulatoriali. Non venivano invece rilevati problemi di pertinenza di chirurgia toracica. Il paziente (...) veniva dimesso il 29 gennaio 2016 in cura ambulatoriale con prognosi di quindici giorni e con prescrizione di terapia medica. Successivamente, il 26 febbraio 2016 eseguiva una visita oculistica ambulatoriale ove veniva rilevato un edema maculare in occhio destro per cui veniva prescritta una terapia medica e richiesto un accertamento strumentale. Il 7 marzo 2016, (...) effettuava un'ulteriore visita ambulatoriale, all'esito della quale permaneva la deviazione del setto nasale a destra e una lieve ipertrofia dei turbinati inferiori per cui veniva richiesta TC massiccio facciale ed eseguiva dieci sedute di terapia fisica dal 8 marzo 2016 al 29 marzo 2016. Il C.T.P., dott. (...), quantificava per (...) un periodo di inabilità temporanea totale di gg. 25 e parziale di gg. 10, con postumi invalidanti in misura del 4/5% (quattro/cinque per cento). Gli attori chiarivano, inoltre, che, dai rilievi foto planimetrici eseguiti a seguito del sinistro, da parte dei C.C. di Termini Imerese, veniva accertato l'esatto punto d'urto nella sede stradale (Rif. Prot. (...) e (...) trasmessa in data 5 maggio 2016 all'Intestato Tribunale). In particolare, gli attori lamentavano: 1. il mancato rispetto degli obblighi ex artt. 145 comma 6 e 154, commi 1 e 3, lett. C c.d.s.; 2. l'inidoneità dei requisiti della macchina agricola ex art. 112 commi 1 e 4 C.d.s.; 3. la necessità dell'applicazione dell'art. 141 D.Lgs. n. 209 del 2005 al terzo trasportato. Alla luce dei fatti rappresentati, le parti attrici chiedevano, in via principale, che venisse dichiarata l'esclusiva responsabilità di (...) nella causazione del sinistro per cui è causa e di condannare lo stesso al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito; che venisse condannata la Società (...) e i signori (...) e (...) al ristoro delle spese sostenute da (...) per un importo di ammontare pari a Euro 517.000,00, relativamente ai postumi invalidanti, al periodo di inabilità temporanea totale e parziale, al danno morale, alla personalizzazione del danno, alle spese mediche sostenute e da sostenere, nonché, Euro mille per spese di abbigliamento e telefono cellulare. Domandavano, inoltre, che venisse ordinato alla Società (...) di depositare le perizie dei propri CTP (...) e (...) relativamente al danno materiale e fisico subito da (...); nonché, di ordinare ai convenuti (...) e (...) di depositare la fattura di acquisto del cassone dalla ditta (...) (sita in (...) in via (...)), della sua omologazione e delle dichiarazioni CE di conformità e di revisione. Chiedevano, poi, che venisse acquisito, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., copia integrale del rapporto di intervento con schizzi planimetrici e sommarie informazioni rilasciate dai conducenti a firma del Vice Brigadiere (...) dei C.C. Termini Imerese. Domandavano, infine, che venisse disposta, da una parte, C.T.U. medico-legale sulla persona di (...) al fine di accertare la natura, il nesso eziologico e l'entità dei postumi invalidanti, il periodo di inabilità sia totale che parziale, la congruità delle spese mediche sostenute e da sostenere, dall'altra, la C.T.U. per la ricostruzione della cinematica dell'evento alla luce dello stato dei luoghi e delle dimensioni dell'arteria, della macchina agricola (...), del cassone e del cancello. In via istruttoria, gli attori chiedevano ammettersi l'interrogatorio formale del convenuto (...). Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio, con distrazione delle stesse in favore del procuratore antistatario. Si costituiva la convenuta (...) Soc. coop. a.r.l., con comparsa di costituzione e risposta del 16 giugno 2017, la quale contestava la ricostruzione dei fatti, per come fornita dalle parti attrici. Evidenziava, in particolare, che, il 25 gennaio 2016, alle ore 7:30 circa, (...), alla guida della macchina agricola (...), targata (...), di proprietà di (...), mentre percorreva la strada provinciale n. 21, all'altezza del KM 13,9000, effettuava una svolta a destra, segnalando per tempo l'intenzione di svolgere tale manovra. Ultimata la manovra, mentre si trovava fermo davanti al cancello, in attesa di entrare in un'area privata, sopraggiungeva da tergo (...), il quale, alla guida dell'autovettura (...), targata (...), non si avvedeva in tempo della manovra effettuata dal conducente della macchina agricola, urtando violentemente la parte posteriore della stessa. Chiedeva, preliminarmente, di accertare e dichiarare l'inoperatività della garanzia per la RCA in riferimento alla polizza stipulata con la (...) da (...). Domandava, nel merito, di ritenere e dichiarare l'infondatezza in fatto ed in diritto delle domande spiegate dagli attori nei confronti dell'odierna convenuta, e, per l'effetto, di rigettarle integralmente. In subordine, in caso di rigetto della superiore domanda, di ritenere e dichiarare, la esclusiva responsabilità o, in ulteriore subordine, la prevalente responsabilità di (...), ex art. 1227 c.c., nella causazione del sinistro de quo. Chiedeva, pertanto, in tale evenienza, di rigettare le richieste risarcitorie formulate dagli attori e/o di ritenere integralmente risarcito il danno con la somma già corrisposta dalla convenuta in sede stragiudiziale, e comunque di ritenere e dichiarare la (...) S.p.a. obbligata al ristoro dei danni riportati dal terzo trasportato sul veicolo in sua garanzia per la RCA. In ulteriore subordine, di ammettere, a ristoro parziale, la domanda avversa soltanto nella misura che risulterà processualmente provata. Con vittoria di spese di lite. Si costituiva la convenuta (...), nella qualità di successore a titolo particolare della (...) (...) Ltd., assicuratore per la r.c.a. dell'autovettura di parte attrice ((...) targata (...)), con comparsa di costituzione e risposta del 19 giugno 2017, la quale rilevava, in via preliminare, che le uniche pretese risarcitorie di cui all'atto introduttivo del giudizio rivolte nei confronti della (...) (e quindi ad essa riferibili) erano unicamente quelle avanzate dall'attore (...) (rivolte nei confronti di tutte "le parti convenute"), trasportato sull'autovettura (...), ai sensi dell'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle Assicurazioni Private). Rilevava, altresì, che nessuna domanda era stata invece formulata nei suoi confronti dall'altro attore, (...), proprietario e conducente della predetta autovettura (...), non potendo quest'ultimo promuovere l'azione di c.d. indennizzo diretto nei confronti del proprio assicuratore ex artt. 145 e 149 Cod. Ass., trattandosi di una procedura non applicabile al caso di specie ai sensi dell'art. 42, comma 2-ter, del D.L. n. 159 del 2007, convertito il L. n. 222 del 2007, in quanto sinistro in cui era rimasto coinvolto un veicolo agricolo. Prendendo posizione soltanto sulle domande risarcitorie avanzate, ai sensi dell'art. 141 Cod. Ass., dall'attore (...), contestava, anzitutto, le di lui pretese risarcitorie in quanto inammissibili, illegittime, infondate, e comunque non provate, oltre che manifestamente ingiustificate e sproporzionate nel loro ammontare, in quanto determinate in maniera arbitraria e generica, per non avere specificato (a differenza dell'altro attore (...)) quali lesioni avrebbe riportato né quali postumi invalidanti (temporanei e permanenti) gli sarebbero residuati e senza quantificare singolarmente le pretese relative a ogni singola voce di danno, ma formulando un'unica complessiva richiesta forfettariamente determinata, non consentendo di valutare i parametri e i criteri adottati per la loro determinazione. Chiariva, altresì, che l'unico elemento da cui era possibile ricavare l'asserita entità dei danni lamentati da (...) (sulla cui base si presume sia stato calcolato il preteso risarcimento) era la relazione del suo CTP (Dott. (...)) rinvenuta nel fascicolo degli attori e priva di qualsiasi valenza oggettiva, in quanto mera allegazione di parte, atteso che il predetto attore non si era mai reso disponibile a sottoporsi agli accertamenti medico-legali dinanzi a un medico fiduciario della (...). In merito alle conseguenze fisiche subite da (...), a seguito dell'evento per cui è causa, contestava la quantificazione dei postumi effettuata dal CTP di parte attrice e, ancor di più, la pretesa risarcitoria quantificata nell'importo di ammontare pari a Euro 517.000,00 avanzata dal già menzionato attore, in quanto smentita dalla documentazione medica, come meglio specificato nell'atto di citazione. Relativamente alla perizia del CTP, dott. Rigoglioso Vincenzo, evidenziava che gli ulteriori e sopravvenuti disturbi, da cui derivava la spropositata valutazione dei postumi invalidanti (temporanei e permanenti) effettuata dal consulente di parte attrice (postumi quantificati senza specificare la percentuale di danno biologico riconosciuta per ogni lesione riscontrata), non erano eziologicamente riconducibili all'evento per cui è causa, in quanto non riscontrati nell'immediato seguito di esso, né negli accertamenti svolti nelle settimane successive, ma soltanto molti mesi dopo l'accadimento del sinistro. Per cui, visto il notevole lasso temporale, avrebbe dovuto necessariamente ritenersi interrotto il nesso di causalità con l'evento di cui si controverte. Ragion per cui di tali presunti problemi fisici dell'attore (...) non avrebbe potuto certamente rispondere la (...). Rappresentava, inoltre, che (...), nel verbale di sommarie informazioni redatto dai Carabinieri, aveva precisato che, al momento del sinistro, si era "divincolato dalla cintura di sicurezza" e si era "chinato in avanti", ammettendo quindi di non indossare il predetto dispositivo di protezione e di aver assunto una posizione che lo aveva esposto a un maggiore rischio di urtare contro la parte del veicolo davanti a sé. Le superiori circostanze, avendo esposto l'attore (...) a un maggiore rischio di cagionarsi lesioni, per aver assunto una posizione non corretta all'interno dell'abitacolo dell'autovettura, integravano, inoltre, un concorso di colpa dello stesso nella causazione delle lesioni riportate in conseguenza del sinistro, rilevanti ai sensi dell'art. 1227 c.c. nell'eventuale liquidazione risarcitoria, dovendosi applicare una decurtazione proporzionale al grado di colpa a lui ascrivibile. Contestava, inoltre, l'infondatezza della pretesa attorea diretta a ottenere il risarcimento del danno morale e la personalizzazione del danno, in quanto non provata, nonché le ulteriori pretese relative alla rifusione delle spese mediche sostenute e da sostenere e di Euro 1.000,00 per spese di abbigliamento e telefono cellulare, parimenti non provate. Chiedeva, pertanto, di dichiarare che, tenuto conto che l'attore (...) non aveva formulato alcuna domanda risarcitoria nei confronti della (...) - (...) Ltd., ora (...), fosse tenuta indenne da qualsiasi pretesa risarcitoria del predetto attore. Chiedeva, poi, di rigettare ogni pretesa risarcitoria avanzata dall'attore (...), in quanto inammissibile, illegittima, infondata e non dovuta, oltre che non provata in ordine sia al nesso eziologico con l'evento che all'an e al quantum, e di condannare lo stesso al pagamento delle spese e dei compensi di causa. In subordine, ove fosse riconosciuto il risarcimento in favore del succitato attore (...), di ridimensionare le sue pretese risarcitorie all'effettivo ammontare del danno emerso in corso di causa, tenendo conto del grado di colpa a costui ascrivibile nella determinazione delle lesioni, e rigettando, in ogni caso, qualsiasi sua pretesa risarcitoria per lesioni, patologie e/o disturbi non riconducibili eziologicamente all'evento di cui si controverte. Infine, chiedeva il rigetto delle ulteriori richieste risarcitorie di (...) in ordine al danno morale e alla personalizzazione del danno, in quanto infondate, nonché, ai lamentati danni patrimoniali per spese mediche, di abbigliamento e telefono cellulare e per gli occhiali, in quanto infondate e non provate. In via istruttoria chiedeva ammettersi l'interrogatorio formale dell'attore (...). Si costituivano i convenuti (...) e (...), con comparsa di costituzione e risposta del 3 ottobre 2017, i quali contestavano, in fatto e in diritto, quanto dedotto dagli attori, da una parte, stante l'infondatezza, l'illegittimità, la nullità, l'indeterminatezza della domanda avversaria, nonché, dall'altra, l'apodittica e incompleta ricostruzione del fatto. Nel dettaglio, rappresentavano che (...), mentre si trovava alla guida della macchina agricola L. di proprietà di (...), stava percorrendo la S.P. 21 e, giunto all'altezza della proprietà (...), effettuava una svolta a destra, segnalando per tempo l'intenzione di effettuare tale manovra. Nel frattempo, sopraggiungeva da tergo (...), il quale, alla guida dell'autovettura (...) tg. (...), non avvedendosi della manovra, quasi interamente effettuata dal conducente della macchina agricola, tamponava violentemente la parte posteriore (angolo sinistro) del cassone. Evidenziava, altresì, che (...) non procedeva ad una velocità moderata tanto da non poter evitare l'impatto con il cassone agganciato al trattore, sebbene questo avesse completato la manovra di svolta a destra, come dimostrato dalla documentazione in atti e che quest'ultimo colpiva da tergo il mezzo condotto dal convenuto. A riprova di quanto innanzi rappresentato, evidenziava che, al fine di evitare la collisione, sarebbe stato sufficiente effettuare una lieve sterzata a sinistra. Ed ancora, a sostegno del proprio comportamento improntato alle regole di diligenza, prudenza e perizia, chiariva che l'Autorità, intervenuta sul luogo del sinistro, non aveva contestato a (...) alcuna violazione delle norme del codice della strada, e che, in ordine alla regolarità amministrativa del trattore, che nessuna irregolarità era stata parimenti contestata e che, in ogni caso, ove quest'ultima fosse stata sussistente, non avrebbe inciso sulla dinamica del sinistro. Alla luce dei fatti sopra rappresentati, preliminarmente chiedevano di dichiarare l'improcedibilità del presente procedimento non essendosi svolta la negoziazione assistita, come condizione di procedibilità. In via principale di ritenere e dichiarare infondate, anche parzialmente, in fatto ed in diritto, tutte le domande ed eccezioni spiegate da parte attrice contro i convenuti (...) e (...). In via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, di mantenere indenni i succitati convenuti, condannando la compagnia (...) a manlevarli integralmente da qualsivoglia condanna, ivi compresa quella inerente alle spese di lite. Domandavano, altresì, la condanna della compagnia (...) alla rifusione delle spese e competenze di lite. Istruita la causa con la disposizione di consulenza tecnica d'ufficio, all'udienza indicata in epigrafe, le parti concludevano come da verbale di causa al contenuto del quale si rimanda. La causa veniva in decisione senza termini. Orbene, ciò posto nei fatti, si ritiene che la domanda di risarcimento del danno proposta da parte di (...) vada rigettata nel quantum e che, invece, vada accolta quella avanzata da parte di (...); domande aventi entrambe ad oggetto la declaratoria di responsabilità di (...) nella causazione del sinistro oggetto della presente controversia, il quale si immetteva nel flusso circolatorio, con manovra di retromarcia, uscendo da un'area privata, intercettando la direttrice dell'autovettura in transito sulla sua semi-careggiata. Segnatamente, va, a riguardo, evidenziato che, a mente dell'art. 145, comma 6, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, "Negli sbocchi su strada da luoghi non soggetti a pubblico passaggio i conducenti hanno l'obbligo di arrestarsi e dare la precedenza a chi circola sulla strada". Secondo il consolidato intendimento della giurisprudenza, per poter ritenere applicabile l'art. 145, comma 6, del codice della strada, che impone a chi si immette su una strada da luogo non soggetto a pubblico passaggio di dare la precedenza a chi circola sulla strada, deve accertarsi l'uso concreto del luogo da cui proviene il veicolo, a nulla rilevando la funzione che gli era stata riservata (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. III, (data ud. 13/05/2002) 13/05/2002, n. 6811). Più in particolare, occorre avere riguardo se il luogo da cui si sbocca sia soggetto anche, solo di fatto, al transito abituale di un numero indeterminato o indiscriminato di persone che si serva di esso col passarvi "uti cives" e "non uti singuli". Si ha la prima ipotesi quando il passaggio venga esercitato da un numero indiscriminato di persone esercitanti una facoltà corrispondente all'uso della pubblica via. Per converso, si ha la seconda ipotesi quando il passaggio venga esercitato da particolari categorie di persone che della strada si giovano o per effetto di una particolare autorizzazione ovvero perché appartenenti ad una particolare categoria ovvero ancora per lo svolgimento di particolari attività. In tale seconda ipotesi il passaggio è effettuato non in ragione della facoltà che normalmente spetta a qualsiasi cittadino di transitare per la via pubblica, ma in ragione di un'autorizzazione che può essere esplicita, come nel caso di accesso consentito a soggetti individualmente identificati, ovvero implicita, come nel caso di accesso consentito a soggetti, non individualmente identificati, ma svolgenti particolari attività. Orbene, nel caso di specie, avuto riguardo alla dinamica del sinistro, occorre preliminarmente precisare, in relazione alla natura del mezzo agricolo coinvolto che si accingeva ad uscire dalla stradella agricola, che il passaggio del veicolo "(...)" condotto da (...) e di proprietà di (...) veniva esercitato per lo svolgimento di particolari prestazioni inerenti l'attività lavorativa. Tal che, in considerazione del disposto dell'art. 145 comma 6 del codice della strada, della presumibile conoscenza dei luoghi da parte del convenuto (...) nonché della circostanza che quest'ultimo "ha eseguito una leggera manovra in retromarcia ed impegnato la carreggiata stradale del veicolo (...) targato (...), con posizione in pianta di circa 70 rispetto la corsia di marcia del veicolo attoreo" (cfr. pag. 14 della relazione peritale in atti), deriva che il medesimo ha posto in essere una manovra imprudente, che, come tale, è eziologicamente rilevante nella causazione del sinistro. A tal proposito, l'esperto nominato ha rilevato che il veicolo condotto da (...) vada annoverato nell'ambito dei veicoli cosiddetti trattrici agricole i quali sono macchine a motore con o senza piano di carico munite almeno di due assi, prevalentemente atte alla trazione, concepite per tirare, spingere e portare prodotti agricoli o sostanze di uso agrario, nonché azionare determinati strumenti, eventualmente equipaggiate con attrezzature portate o semiportate da considerare parte integrante della trattrice agricola e che le sporgenze e gli ingombri che eccedono la sagoma della macchina agricola devono essere segnalati con pannelli retro riflettenti di colore giallo rosso (cfr. pag. 14 e ss. della relazione peritale in atti). Ha peraltro evidenziato che le macchine agricole semoventi devono essere munite di uno o più dispositivi supplementari a luce lampeggiante gialla o arancione, secondo i dettami imposti dalla legge, e che "Il dispositivo supplementare deve rimanere in funzione anche quando non è obbligatorio l'uso dei dispositivi di segnalazione visiva e di illuminazione". In merito, poi, alla condotta tenuta da (...) ha rappresentato che: "E' doveroso inoltre far presente che, il veicolo nell'affrontare l'ingresso al fondo, avrebbe dovuto fermarsi prima con le dovute indicazioni di emergenza (luci lampeggianti, frecce, ecc..), ed accertarsi che nessun veicolo sopraggiungesse dalla strada ed effettuare l'ingresso in sicurezza". In tema di circolazione stradale è responsabile del fatto lesivo causato ad un terzo il conducente la cui condotta è tale da innescare un fattore causale originario di rischio di collisione da parte di veicoli che potevano sopraggiungere (nel caso di specie consistita nell'effettuazione di retromarcia). Da qui, dunque, la responsabilità del conducente del superiore veicolo. Ed ancora, nella dinamica della causazione del sinistro di cui si controverte, efficacia causale deve, tuttavia, anche attribuirsi alla condotta tenuta da (...) il quale, nonostante la scarsa visibilità creata dai raggi solari abbaglianti e dalla segnaletica verticale, avrebbe cionondimeno dovuto moderare la velocità in maniera adeguata in modo da scongiurare la verificazione dell'evento occorso o quanto meno contribuire a ridurre le conseguenze pregiudizievoli verificatesi nel caso concreto (cfr. pag. 17 della relazione peritale in atti). Con la conseguenza che la condotta colposa del conducente (...) del veicolo (...) targato (...), sopraggiunto, seppure da sola non sufficiente a determinare l'evento per non essere qualificabile come atipica ed eccezionale, va, tuttavia, considerata come sinergica nella verificazione dell'evento per cui è causa. In una materia come la circolazione stradale, imperniata sul principio di affidamento, occorre, difatti, che ciascuno possa e debba confidare nel corretto comportamento altrui, nel fatto che ciascuno osservi le regole cautelari proprie delle rispettive attività svolte: ciascuno è tenuto ad osservare la propria regola cautelare riferibile al proprio modello di agente ed alla propria attività e ha l'obbligo di contenere i rischi prevedibili ed evitabili che scaturiscono dal proprio comportamento, senza doversi anche "preoccupare" di evitare i rischi che possono derivare dall'altrui comportamento illecito. Tale principio, però, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis Tribunale Frosinone, 13/07/2021, n.1221). Nel caso di scontro tra veicoli, l'accertamento dell'intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa, dunque, il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente, onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente. Come previsto dal codice della strada, il conducente del veicolo al quale spetti il diritto di precedenza, per andare esente da responsabilità deve, dunque, a sua volta, guidare nel rispetto di tutte le regole di prudenza e diligenza, come espressamente previste dal codice della strada, in forza delle quali gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione (art. 140), devono regolare la velocità del veicolo in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza, in particolare, il conducente deve, altresì, ridurre la velocità e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l'incrocio con altri veicoli, in prossimità degli attraversamenti pedonali (art. 141) e, approssimandosi ad una intersezione o intercettando la traiettoria di altro veicolo, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti (art. 145) (cfr. Tribunale Milano sez. X, 23/07/2020, n.4631). Nella vicenda in esame, pertanto, va ravvisata la mancanza di prova che ciascuno dei conducenti si sia attenuto alle norme di comune prudenza, oltre che al codice della strada, giacché il mezzo agricolo L. 5-100H ha ritenuto comunque di uscire in retromarcia senza adottare tutte le precauzioni previste per tale manovra - essendo a riguardo noto che ai sensi dell'art. 154 C.D.S. il conducente che intenda eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, cambiare direzione o corsia, invertire il senso di marcia, fare retromarcia, voltare a destra o a sinistra, impegnare un'altra strada, deve "a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi"-, mentre gli attori non hanno dimostrato di aver mantenuto una velocità adeguata allo stato dei luoghi né di essersi posti a loro volta in condizione di porre in essere manovre di emergenza né di averne tentate (la velocità non era congrua rispetto ai prevedibili tempi di frenata). Orbene, con riguardo a tale evenienza, il perito nominato dal Tribunale ha rilevato che "Per quanto riguarda la velocità di marcia del veicolo (...) tg. (...), di proprietà (...), si premette che non risultano visibili nelle fotografie prodotte tracce di frenata così come accertato anche dai Carabinieri; in base agli elementi a disposizione del CTU, non è possibile risalire alla velocità esatta mantenuta dall'autovettura convenuto. Si presume in base ai danni strutturali presenti sul mezzo che la velocità fosse elevata". Alla luce delle superiori considerazioni, risultano, dunque, ravvisabili, ai sensi dell'art. 1227 c.c., profili colposi sia nella condotta del conducente (...) della macchina agricola, il quale effettuava la manovra di retromarcia, senza adottare le cautele opportune per evitare danno agli utenti della strada, in violazione del succitato art. 154, sia nella condotta di (...), il quale avrebbe dovuto moderare la velocità in maniera adeguata. Tale colpa va poi diversamente distribuita tra i predetti nella misura del 60% a carico di (...) e nella misura del 40% a carico di (...). Per quanto adesso attiene alla doglianza di parte attrice in merito alla irregolarità amministrativa della macchina agricola munita di un cassone anomalo, fuori sagoma, artigianale e non omologato, si ritiene che la stessa non possa trovare accoglimento atteso che nessuna prova a riguardo è stata fornita da parte degli attori. Sul punto, i convenuti (...) e (...) hanno rappresentato che nessuna delle predette irregolarità è stata agli stessi contestata, e, che, anche ove fossero state sussistenti, ciò non avrebbe inciso sulla dinamica del sinistro né avrebbe modificato la gradazione della responsabilità tra le parti. Del pari infondata si ritiene pertanto l'eccezione di inoperatività della copertura assicurativa sollevata da parte della convenuta (...). Venendo adesso alla questione relativa all'applicabilità dell'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 ("Codice delle Assicurazioni private") giova rammentare che secondo il più recente intendimento della giurisprudenza di legittimità, da ultimo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 35318 del 30 novembre 2022, "La tutela rafforzata riconosciuta dall'art. 141 cod. ass. al trasportato danneggiato presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli, pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi, e si realizza mediante l'anticipazione del risarcimento da parte dell'assicuratore del vettore e la possibilità di successiva rivalsa di quest'ultimo nei confronti dell'impresa assicuratrice del responsabile civile; nel caso, invece, in cui nel sinistro sia stato coinvolto un unico veicolo, l'azione diretta che compete al trasportato danneggiato è esclusivamente quella prevista dall'art. 144 cod. ass., da esercitarsi nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile". Inoltre, anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata della superiore normativa, si può oramai affermare che il legislatore, con il citato articolo 141, abbia voluto rafforzare la posizione del terzo trasportato, consentendogli di agire in giudizio direttamente nei confronti dell'impresa di assicurazione del vettore, senza, peraltro, precludergli la possibilità di agire nei confronti degli altri soggetti coinvolti nel sinistro e delle rispettive imprese di assicurazione. A tale riguardo basti fare riferimento al contenuto dell'ordinanza n. 440 del 23 dicembre del 2008, la quale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 141 del Codice delle assicurazioni sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 Cost.., chiarendo, a riguardo, che è ben possibile accedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, in base alla quale è possibile ritenere che detta norma si limiti in realtà "a rafforzare la posizione del trasportato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente anche nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso". Nel superiore senso si pone, inoltre, la prevalente giurisprudenza secondo cui "scopo della norma è quello di fornire al terzo trasportato uno strumento aggiuntivo di tutela, al fine di agevolare il conseguimento del risarcimento del danno nei confronti dell'impresa assicuratrice, risparmiandogli l'onere di dimostrare l'effettiva distribuzione della responsabilità tra i conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro" (cfr: Cassazione civile 30 luglio del 2015 n. 16181), con la precisazione che, in ragione della sopra richiamata giurisprudenza, il terzo trasportato, che si avvalga, ai sensi dell'art. 141 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, dell'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazioni del veicolo sul quale viaggiava al momento del sinistro, deve provare di avere subito un danno a seguito di quest'ultimo ma non anche le concrete modalità dell'incidente allo scopo di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti, trattandosi di accertamento irrilevante ai fini di cui all'art. 141 cit.. Il legislatore, cioè, ha agevolato la tutela del terzo trasportato, sottraendolo all'onere probatorio in ordine alla responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, essendo, lo stesso trasportato, tenuto solo a provare la propria posizione di trasportato e l'entità dei danni patiti. In applicazione delle succitate coordinate ermeneutiche e interpretative deriva che del danno occorso a (...) terzo trasportato risponde la (...) in quanto assicuratore del veicolo (...), targato (...), salva la possibilità di successiva rivalsa di quest'ultimo nei confronti dell'impresa assicuratrice del responsabile civile. Venendo adesso alla quantificazione dei danni risarcibili, 0ccorre rammentare che, alla luce della oramai consolidata giurisprudenza in materia (a partire dalle note Corte cost. 233/2003; Corte di Cass. a SS.UU. n. 26972/2008), il danno non patrimoniale assume natura unitaria ed omnicomprensiva, con la conseguenza che esso va inteso come omnicomprensivo di qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze modificative in peius della precedente situazione del danneggiato derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, in sede di compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni. Da ciò consegue che il pregiudizio di natura non patrimoniale è da intendersi omnicomprensivo delle varie voci (danno biologico, danno morale, danno esistenziale) che assumono natura meramente descrittiva; pertanto, il cd. "danno morale" (più correttamente, la personalizzazione del danno) non è una voce autonomamente risarcibile e le eventuali peculiari caratteristiche del caso concreto (in passato considerate rilevanti ai fini del cd. danno morale) possono essere apprezzate solo sotto il profilo della personalizzazione del danno ed al fine di rendere il più possibile integrale il risarcimento, sempre che l'attore abbia svolto una adeguata attività assertiva e probatoria che giustifichi la liquidazione di un ulteriore aumento, in via personalizzata, del credito risarcitorio. Ed infatti, la determinazione della percentuale di invalidità e la sua liquidazione tenuto conto dell'età della vittima appare di per sé indicativa del pregiudizio di natura non patrimoniale che subisca ogni soggetto di pari età che riporti un pari grado di menomazione, apparendo necessario, ai fini del riconoscimento di un aumento a titolo di personalizzazione, che vengano adeguatamente allegate e provate - nel corso del giudizio - ulteriori circostanze idonee a dimostrare che, nella fattispecie concreta, il danneggiato abbia riportato delle conseguenze lesive diverse ed ulteriori rispetto al pregiudizio patito da analogo soggetto di analoga età. Orbene, dalla relazione del CTU - le cui conclusioni, adeguatamente motivate e supportate dai necessari rilievi di competenza specifica, questo giudice ritiene di condividere - e dalla documentazione medica in atti, emerge che gli attori, a seguito del sinistro per cui è causa, hanno riportato i seguenti danni: - per quanto attiene a (...), "Dalla documentazione sanitaria esibita e dal dato anamnestico riferito il nesso causale risulta verosimile e le lesioni riscontrate sono compatibili a trauma cranio-cervicale da impatto sul parabrezza; pertanto a seguito del trauma del 25.1.16 il sig. P.F. ha riportato un " trauma cranio non commotivo e un trauma distorsivo del rachide cervicale e ferita lacero-contusa allamano dx", trattati con sutura, collare, terapia medica e riposo. La durata dell'inabilità temporanea assoluta si protrasse per venti gg mentre la inabilità temporanea parziale al 50% si protrasse per altri dieci gg.. Per quanto concerne i postumi residuati si è rilevato quanto descritto nella obiettività. Trattasi di postumi stabilizzati per i quali si riconosce una invalidità permanente del 2% inteso quale danno alla salute. Sono documentate spese sanitarie agli atti in Euro 320,00, che sono congrue"; - per quanto attiene a (...), "Dalla documentazione sanitaria esibita e dal dato anamnestico riferito il nesso causale risulta verosimile e le lesioni riscontrate sono compatibili a trauma facciale da impatto sul parabrezza; pertanto a seguito del trauma del 25.1.16 il sig. (...) ha riportato la "frattura delle ossa proprie del naso", trattata con terapia medica e riposo. La durata dell'inabilità temporanea assoluta si protrasse per venti gg. mentre la inabilità temporanea parziale al 50% si protrasse per altri dieci gg.. Per quanto concerne i postumi residuati si è rilevato quanto descritto nella obiettività. Trattasi di postumi stabilizzati per i quali si riconosce una invalidità permanente del 3% inteso quale danno alla salute. Non sono documentate spese sanitarie agli atti". Venendo, adesso, alla liquidazione del danno come sopra accertato, trattandosi di sinistro verificatosi nel mese di gennaio 2016 occorre fare riferimento alla L. n. 57 del 2001, la quale, in relazione ai "postumi da lesioni pari o inferiori" al 9%, dispone (sempre all'art. 5) che - appunto nell'ipotesi di "danno biologico permanente" - deve essere liquidato a titolo di risarcimento "un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità" e che "tale importo è calcolato in base all'applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente di cui all'allegato A annesso alla presente legge. La legge, (aggiornata al D.M. del 8 giugno 2023) dispone altresì che per "il danno biologico temporaneo è liquidato un importo di Euro 50,79 per ogni giorno di inabilità assoluta", laddove "in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno". Premesso che al 4 comma l'art. 5 della L. n. 57 del 2001 precisa anche che "fatto salvo quanto previsto dal comma 2, il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato", deve peraltro rilevarsi che la suddetta legge stabilisce che i criteri in essa contemplati - che in ogni caso non riguardano le invalidità permanenti di grado superiore al 9% - sono applicabili ai sinistri accaduti dopo l'entrata in vigore della legge stessa, che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo del 2001. L'entità del danno biologico da invalidità permanente si ottiene allora moltiplicando il "valore unitario di danno" per il numero che esprime il grado di invalidità e (ove operante) per il "coefficiente di adeguamento" corrispondente all'età del danneggiato in relazione alla legge suddetta come integrata giusta D.M. sopra richiamato che ha aggiornato i parametri contenuti nella stessa. Nella fattispecie in esame, considerata l'invalidità permanente del 2% e l'età all'epoca del sinistro - anni 70 - il danno da postumi stabilizzati sofferto da R.G. deve essere liquidato in Euro 1.341,29. In applicazione dei citati criteri, il danno derivante dalla inabilità temporanea va liquidato in Euro 1.015,80 per la ITT (20X 50,79), in Euro 253,95 per la ITP al 50%(10X 50,79), il tutto per un ammontare pari ad Euro 1.269,75. A tale danno occorre aggiungere quello patrimoniale sopra liquidato per le spese mediche, pari ad Euro 320,00. Il tutto, danno patrimoniale e non patrimoniale, per un valore complessivo di Euro 2.931,04. Di seguito si riporta la tabella di riferimento: Calcolo Danno Biologico di Lieve Entità Tabella di riferimento 2022-2023 Età del danneggiato alla data del sinistro 70 anni Percentuale di invalidità permanente 2% Punto base danno permanente Euro 870,97 Giorni di invalidità temporanea totale 20 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 10 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 0 Indennità giornaliera Euro 50,79 CALCOLO del RISARCIMENTO: Danno biologico permanente Euro 1.341,29 Invalidità temporanea totale Euro 1.015,8 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 253,95 Totale danno biologico temporaneo Euro 1.269,7 Spese mediche Euro 320,00 TOTALE GENERALE: Euro 2.931,04 Per quanto, invece, attiene a (...), applicando i criteri sopra indicati ed, in particolare, considerata l'invalidità permanente del 3% e l'età all'epoca del sinistro - anni 42 - il danno da postumi stabilizzati sofferto da quest'ultimo deve essere liquidato in Euro 2.633,81; il danno derivante dalla inabilità temporanea va liquidato in Euro 1.015,80 per la ITT (20X 50,79), in Euro 253,95 per la ITP al 50%(10X 50,79), il tutto per un ammontare pari ad Euro 1.296,75. Non vi sono, invece, spese mediche documentate in atti. Ne deriva, dunque, che il danno va complessivamente determinato nella somma di Euro 3.903,56. Si riporta di seguito la tabella di riferimento: Calcolo Danno Biologico di Lieve Entità Tabella di riferimento 2022-2023 Età del danneggiato alla data del sinistro 42 anni Percentuale di invalidità permanente 3% Punto base danno permanente Euro 870,97 Giorni di invalidità temporanea totale 20 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 10 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 0 Indennità giornaliera Euro 50,79 CALCOLO del RISARCIMENTO: Danno biologico permanente Euro 2.633,81 Invalidità temporanea totale Euro 1.015,80 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 253,95 Totale danno biologico temporaneo Euro 1.269,75 TOTALE GENERALE: Euro 3.903,5 Non può trovare, poi, accoglimento la istanza risarcitoria relativa alle spese sostenute per l'acquisto dell'abbigliamento e del cellulare, tenuto conto che gli stessi non appaiono in alcun modo provati: agli atti non vi è alcun preventivo di spesa, fattura, né alcun documento idoneo a tal fine. Non può, inoltre, nella fattispecie in oggetto, neppure trovare accoglimento la richiesta di personalizzazione, in assenza di adeguata attività assertiva (svolta in via del tutto generica nei termini per le preclusioni assertive) ed in totale mancanza di riscontri probatori sul punto. Più in particolare, nessuna personalizzazione del danno, in mancanza di allegazione di elementi specifici a riguardo, può essere riconosciuta in conformità al principio giurisprudenziale a mente del quale le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un "fatto costitutivo" della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dall'attore (ovviamente con ogni mezzo di prova, e quindi anche attraverso l'allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici, come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), senza potersi, peraltro, risolvere in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014; Cassazione civile 7513 del 2018). Orbene, ciò precisato, si ritiene, per quanto attiene alla posizione dell'attore (...) che, tenuto conto delle somme sopra liquidate, del riconoscimento di un concorso di colpa di quest'ultimo pari alla misura del 40%, e delle somme da esso già ricevute, nessuna somma a titolo di risarcimento del danno vada allo stesso riconosciuta. Segnatamente risulta dalla documentazione in atti che il predetto attore ha ricevuto, con assegno del 13 gennaio 2017, da parte della (...)C., la somma pari ad Euro 2.000,00 (di cui Euro 350,00 a titolo di spese legali e, dunque, di Euro 1.650,00) a titolo di danni non patrimoniali e la somma di Euro 1.000,00 a titolo di ulteriori danni materiali. Ora, considerando la somma come sopra liquidata, pari all'importo di Euro 2.931,00, il concorso di colpa pari alla misura del 40%, con conseguente riduzione della somma da liquidare nella misura di 1.758,00, si ritiene che la somma ricevuta da parte del predetto attore sia congrua. Per quanto invece attiene alla posizione di (...), si ritiene che il danno a quest'ultimo spettante sia liquidabile nella misura integrale di Euro 3.903,5 senza che assuma rilevanza in ordine alla posizione di quest'ultimo la diversa distribuzione delle colpe dei soggetti coinvolti nel sinistro. Ciò in conformità ai principi sopra enunciati nonché a quanto in più occasioni ribadito dalla Corte di Cassazione secondo cui "in caso di scontro tra autoveicoli, il trasportato a titolo di cortesia, per ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale, può avvalersi della presunzione ex art. 2054, comma 1, c.c. nei confronti del proprietario e del conducente dell'altro veicolo, salva azione di regresso di questi ultimi nei confronti del primo conducente secondo le rispettive colpe, ex art. 2055 c.c., ove abbiano risarcito per intero il danno, e fermo restando che l'azione per il conseguimento dell'intera posta risarcitoria, proposta dal danneggiato avverso il conducente di uno solo dei veicoli coinvolti, non implica di per sé una remissione tacita del debito del corresponsabile, né una rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima una volontà inequivoca del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la parte del debito gravante su quest'ultimo" (cfr: Ordinanza n. 15313 del 20/06/2017). Nel caso di specie per altro il terzo trasportato ha indirizzato la propria azione nei confronti di tutti i soggetti citati in giudizio in solido tra di loro. Tanto precisato, occorre, altresì, evidenziare che le somme sin qui liquidate, se da un lato costituiscono l'adeguato equivalente pecuniario, al momento della statuizione, della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprendono l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Orbene, tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore prossimo all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione; ciò in quanto nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno infatti corrisposti interessi per il cui calcolo non si deve utilizzare necessariamente il tasso legale, ma un valore tale da rimpiazzare il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene perduto. Tale "interesse" va poi applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle S.U. della Suprema Corte con sentenza 17/2/1995, n. 1712 (ribadito da Cassazione sez. II civile sentenza 3/12/1997 n. 12262, nonché da Cassazione civile sez. III, 10 marzo 2000 n. 2796) sulla "somma capitale" originaria rivalutata di anno in anno. Ne deriva dunque che, effettuando le sopra indicate operazioni, a (...) spetta una somma pari ad Euro 4.017,38 (il capitale devalutato alla data del sinistro è pari ad Euro 3.288,54 mentre quello rivalutato è pari ad Euro 4.017,38 di cui Euro 113,88 a titolo di interessi). Sulla somma come sopra liquidata sono inoltre dovuti gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo. Tenuto conto dell'esito complessivo del presente giudizio, si ritiene che le spese di lite, per quanto attiene ai rapporti tra la compagnia assicuratrice (...), i convenuti (...) e (...) e l'attore (...), in ragione del rigetto della pretesa risarcitoria avanzata da parte di quest'ultimo, vadano poste, in conformità al principio della soccombenza, a carico di quest'ultimo nonché liquidate sulla base del valore della causa determinato come da richiesta risarcitoria da quest'ultimo avanzata pari all'importo di Euro 2.700,00. Per quanto attiene alla posizione di (...), si rileva che, nonostante l'eccessivo divario tra il chiesto e il liquidato, quest'ultimo non può comunque essere considerato come parte soccombente. Ciò in ossequio anche al recente intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite la quale ha appunto chiarito, affermando un principio di diritto, che "L'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. " (cfr: Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 32061 del 2022). Si ritiene, tuttavia, che, proprio in ragione della superiore sproporzione, avendo l'attore richiesto un risarcimento del danno pari alla somma di Euro 517.000,00, sussistano gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione di tali spese. Le spese di CTU tecnica, liquidate come da separato decreto, si ritiene che, per le ragioni anzidette, nonché tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio e della necessità di operare tale accertamento tecnico di ufficio, vadano compensate tra tutte le parti. Le spese di ctu medica sulla persona dell'attore (...) vanno, inoltre, per le ragioni di cui sopra, compensate. Vanno, invece, poste a carico di (...), stante la sua soccombenza, le spese della consulenza medica ad esso afferente, liquidate come da separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: -Rigetta la richiesta di risarcimento del danno avanzata da parte di (...) in quanto infondata nel quantum; -condanna la (...) al pagamento, in favore di (...), della complessiva somma di Euro 4.017,38 (di cui Euro 113,88 per interessi) a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali da quest'ultimo subiti, oltre interessi legali decorrenti dalla data di questa decisione fino al soddisfo; - condanna (...) al pagamento delle spese di lite nei confronti della Società (...) che liquida nella misura di Euro 1.702,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; - condanna (...) al pagamento delle spese di lite nei confronti dei convenuti (...) e (...) che liquida nella misura di Euro 1.702,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; - compensa le spese di lite tra (...) e gli altri convenuti con particolare riguardo alla convenuta (...); -compensa tra le parti le spese della ctu tecnica; -dispone la compensazione della ctu medica effettuata nei confronti di (...); -condanna (...) al pagamento delle spese della consulenza medica afferente alla sua persona, liquidate come da separato decreto. Così deciso in Termini Imerese l'1 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI TERMINI IMERESE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, Dr.ssa M. Margherita Urso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4012 del R.A.G.C. relativo all'anno 2018, al quale sono stati riuniti i procedimenti portanti i 4242/2018 e 877/2019 R.G, posta in decisione all'udienza del 09.11.2022 e vertente TRA (...) nato a (...) il (...), C.F: (...), residente in P. alla Via M. R. n. 9, rappresentato e difeso dall'Avv. Ro.Ba., giusta procura in calce all'atto di citazione, - attore - (...), nata ad A. il (...), c.f. (...) e (...), nata a P. il (...) C.F. (...) , entrambe rappresentate e difese dall'avv. Sa.Ma. ed elettivamente domciliate presso il suo studio, sito in Palermo nella Via (...), giusta procura in atti, per il procedimento portante il n. 4242/2018 R.G., - attrici - (...) nata a P. il (...) C.F. (...), ivi residente in Via (...) N. 11 attrice, già costituita in atti, rappresentata e difesa dall'Avv. Sa.Ca. e dall'Avv. Gi.Ab. con studio in Palermo Via (...), giusta procura in atti, per il procedimento portante il n. 877/2019 R.G., - attrice - E Condominio (...), con sede in (...) di R. (P.) - Viale H. n. 20 (Part. I.V.A.: (...)), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, Sig. F.A. nato a P. il (...), C.F.: (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Si.Ca., del foro di Caltanissetta ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Caltanissetta alla Via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, - convenuto - avente oggetto: opposizione delibera condominiale valore della controversia: Euro 22.000,00 MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, va osservato che, a seguito della modifica dell'art. 132 c.p.c., immediatamente applicabile a tutti i procedimenti pendenti in primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di modifica del processo civile (L. 18 giugno 2009, n. 69), la sentenza non contiene lo svolgimento del processo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione sono esposte concisamente. Fatta questa breve premessa, si osserva che, con atto di citazione del 22.11.2018, notificato in pari data, il Sig. (...), nella qualità di proprietario di una unità immobiliare sita all'interno del Villaggio Vastello Residence, citava in giudizio il Condominio (...), avanti il Tribunale Civile di Termini Imerese, deducendo l'invalidità della deliberazione assunta dall'assemblea del Condominio in data 09.09.2018 per: a) violazioni nella redazione del verbale assembleare; b) tardività dell'approvazione del bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018; c) violazione dell'art. 1130 bis c.c. per lesione del diritto di visione dei documenti; d) violazione dell'art. 130 bis c.c. per violazione dei criteri di certezza e congruità del rendiconto ed assenza della nota sintetica esplicativa; e) violazione degli artt. 1130 bis, 1135 e 1136 c.c. per assenza nel rendiconto del fondo cassa piscina; g) annullabilità del bilancio preventivo 2018. Chiedeva, inoltre, l'attore la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata, stante il grave ed irreparabile pregiudizio derivante dalla sua esecuzione e la condanna del Condominio al pagamento in favore dell'erario di un importo pari al valore del contributo unificato, per violazione dell'art. 8, comma 4 bis, L. n. 28 del 2010. Con atto di citazione notificato in data 14.12.18, le Sigg.re (...) e (...) proponevano impugnazione avverso la medesima delibera assembleare del 9.09.2018, deducendone l'invalidità per violazioni formali del verbale assembleare e degli artt. 1130 bis e 1135 c.c. in ordine ai criteri di certezza e congruità del rendiconto, nonché errori di contabilizzazioni e rendicontazioni, e chiedendone la sospensione per evitare il futuro ed irreparabile pregiudizio che potrebbe essere arrecato ai condomini dissenzienti, atteso che "l'errato bilancio preventivo 2018 sarà con tutta probabilità preso a spunto per il successivo consuntivo 2018". Con atto di citazione notificato in data 7.06.2019, la Sig.ra M.C. proponeva impugnazione avverso la medesima delibera assembleare del 09.09.2018, deducendone l'invalidità per mancata convocazione dei condomini, irregolarità delle deleghe e del quorum deliberativo, approvazione del rendiconto oltre i termini di legge e violazione del giudicato cautelare, irregolarità delle voci di bilancio, chiedendo anch'essa la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata nelle more di accertarne la nullità e/o l'annullamento. Il Condominio convenuto si costituiva in giudizio contestando tutto quanto ex adverso dedotto, perché infondato in fatto ed in diritto e chiedendone il rigetto. Si costituiva, in data 29.11.2018, il Condominio convenuto, con comparsa di costituzione e risposta, con la quale eccepiva, in via preliminare, la nullità dell'atto di citazione per la nullità della notifica del predetto atto introduttivo; nel merito, contestava le domande ex adverso dedotte perché infondate in fatto ed in diritto. Chiedeva, altresì, la riunione del presente procedimento ai fascicoli, portanti i nn.4242/2018 e 877/2019 R.G.. Con Provv. del 18 ottobre 2019 la causa veniva riunita ai fascicoli nn. 4242/2018 e 877/2019 R.G.. Con ordinanza del 16.04.2021, il Tribunale sospendeva - in via cautelare - l'efficacia della delibera impugnata di approvazione del bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018 sulla base della documentazione allegata dalle parti (in particolar modo degli atti del procedimento penale R.G.N.R. 1981/19 pendente innanzi al Tribunale di Termini Imerese contro l'amministratore di Condominio, sig. A., per il reato di cui all'art. 646 c.p. commesso durante lo svolgimento delle sue funzioni di amministratore del condominio (...), ed avuto riguardo in particolare agli esiti della consulenza tecnica della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese; con la medesima ordinanza, concedeva alle parti i termini ex art. 183, VI comma c.p.c., rinviando la causa all'udienza del 05.11.2021. Avverso l'Ordinanza di sospensione il Condominio convenuto proponeva Reclamo dinanzi il Tribunale di Termini Imerese, in composizione collegiale. Con ordinanza riservata, emessa in data 18.07.2022, il Tribunale di Termini Imerese, in composizione collegiale, rigettava il reclamo, confermando l'ordinanza impugnata. Esaurita la fase istruttoria nel procedimento di merito, il fascicolo veniva assegnato a questo GOP la quale, all'udienza del 06.04.2022 ,rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni al 09.11.2022. Nelle more, il Tribunale di Termini Imerese - in composizione collegiale - rigettava il reclamo proposto dal Condominio reclamante avverso l'Ordinanza del 16.04.2021. Alla calendata udienza del 09.11.2022, sulle conclusioni di tutte le parti, il Tribunale poneva la causa in decisione assegnando i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Violazioni formali del verbale assembleare: Gli atti di causa e le risultanze istruttorie hanno esaurientemente dimostrato l'invalidità del verbale assembleare impugnato per violazioni formali, e ciò sotto molteplici profili. Preliminarmente, si osserva che nel verbale assembleare non risulta l'indicazione dei delegati, non potendosi peraltro evincere chi ha votato per conto dei deleganti. Invero, dalla verifica delle deleghe depositate e dal raffronto con l'allegato 1 del verbale assembleare è emerso che: 1) Sono assenti 13 deleghe di altrettanti condomini deleganti. 2) 19 deleghe sono senza data. 3) Il condomino (...) risulta assente pur essendovi la delega (pag. 1 del doc. 1 di parte convenuta). 4) La condomina (...) risulta presente, quando invece ha firmato la delega (pag. 21 del doc. 2 di parte convenuta). Quanto su evidenziato è indicativo del disordine e della stesura approssimativa del verbale impugnato. Ora, se si tiene conto delle dimensioni del condominio (136 unità abitative) l'imprecisione nella verifica delle presenze/deleghe assume una particolare gravità. Ciò in quanto, l'avere omesso nel verbale i nomi dei delegati costringe, per una corretta verifica dei quorum deliberativi, a far riferimento esclusivamente alle deleghe che risultano incomplete. Da un'attenta lettura della documentazione versata in atti, risulta evidente che non sono stati annotati i nominativi dei soggetti delegati. Tra l'altro, le deleghe mancanti e le deleghe incomplete sopra indicate rappresentano un totale di 244,774 millesimi che, com'è intuibile, sono idonei ad alterare sensibilmente i quorum deliberativi. Ed ancora, non risulta essere stato allegato al verbale né il riparto consuntivo di gestione esercizio 2017 né il rendiconto di gestione 01/01/2018-10/03/2018, presenti invece in allegato alla convocazione e oggetto di discussione e approvazione del 1 punto all'ordine del giorno. Tali riparti infatti non compaiono neanche nell'elencazione dei prospetti contabili di pag. 4-5 dell'atto di costituzione di parte convenuta. Da quanto sopra esposto, appare evidente che, o il riparto consuntivo di gestione esercizio 2017 e il rendiconto di gestione 01.01.2018-10.03.2018 sono stati sottoposti a votazione unitamente agli altri prospetti contabili del 1 punto all' o.d.g. (in tal caso risulta palese sia l'omessa allegazione alla delibera, che l'incauta e illegittima riproposizione a votazione del suddetto riparto, in quanto già sospeso dall'Autorità Giudiziaria), oppure il riparto consuntivo di gestione esercizio 2017 e il rendiconto di gestione 01.01.2018-10.03.2018 non sono stati sottoposti a votazione (in tal caso si è operato un taglio ai prospetti contabili originali senza però comunicare nulla ai condomini che, in assemblea, erano convinti di votare il documento completo ricevuto in allegato alla convocazione). Sono più che evidenti le diverse implicazioni derivanti dalle due ipotesi, sia in termini di correttezza amministrativa e contabile che in termini di legittimazione alla riscossione delle quote dei riparti. Infine, per stessa ammissione di parte conenuta, è pacifico che nel verbale assembleare è stato omesso del tutto l'intervento del Sig. (...), il quale proponeva l'istituzione di un gruppo di lavoro per la verifica del rendiconto presentato. A tale proposta è seguita una votazione per appello nominale il cui esito è stato anch'esso tralasciato nella verbalizzazione. Sul punto va osservato che la liceità di una verbalizzazione sintetica e contenente una breve e succinta descrizione delle attività svolte in assemblea non può comportare l'integrale omissione dell'esito di una votazione per appello nominale. Tanto più che detto verbale è stato impugnato anche dalla moglie del sig. (...), sig.ra (...) proprietaria anch'essa, in comunione di beni col marito, dell'unità abitativa. Ed è proprio in tale opposizione, prodotta dallo stesso condominio, che la sig.ra (...) lamenta la medesima doglianza (cfr. doc. 13 pag. 5 n.2.4 allegato alla comparsa del condominio convenuto). Alla luce di quanto precede, è evidente che il verbale impugnato, risultando incompleto e irrimediabilmente viziato, dovrà essere annullato con la conseguente invalidità della relativa delibera. Annullamento delle delibere riguardanti i punti nn. 1 e 2 dell'ordine del giorno e violazione dell'art. 1130 bis c.c. per lesione del diritto di visione dei documenti: L'attore ha poi insistito nella richiesta di annullamento delle delibere contenenti l'approvazione del Rendiconto Consuntivo (Ordinario e Straordinario) 2017 e del Rendiconto Preventivo. In questa sede, si rileva solamente che dagli atti del giudizio è rimasto documentalmente provato che l'amministratore non ha consentito all'attore di consultare, verificare e prendere copia della documentazione contabile oggetto del rendiconto da approvare nel consesso del 09.09.2018. Invero, nonostante le ripetute richieste, alla data del consesso l'attore non ha potuto visionare giustificativi di spesa per complessivi Euro 8.053,33, nonchè gli estratti conto del c.c. parte attrice ha provato che il conto corrente in questione non era intestato a nessuna associazione (come asserito dal Condominio convenuto) bensì al Condominio (...) (...). Le stesse risultanze istruttorie hanno, altresì, provato la condotta ostruzionistica del precedente amministratore, il quale non ha provveduto a consegnare i documenti all'attore, malgrado le numerose richieste scritte (cfr. pec in atti). Constatato quanto sopra, è evidente la violazione del diritto attoreo di verificare ed avere copia della documentazione contabile a supporto, con la conseguenza che la relativa delibera, emessa in spregio a tale diritto, deve essere annullata dall'autorità giudiziaria. Il principio sopra richiamato ed il relativo diritto sono stati reiteratamente oggetto di pronunzie di legittimità e di merito in conformità e a tutela delle relative posizioni giuridiche lese. Ed infatti "La violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare a sua richiesta secondo adeguate modalità di tempo e di luogo la documentazione attinente ad argomenti posti all'ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale determina l'annullabilità delle delibere ivi successivamente approvate, riguardanti la suddetta documentazione, in quanto la lesione del suddetto diritto all'informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari". (Cass. Civ.13350/2003, Cass. Civ.11940/2003; Cass.Civ.12650/2008). Tra l'altro, "la mancata disponibilità della documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo da parte dei condomini comporta la violazione, da parte dell'amministratore, dell'obbligo di rendiconto" (Cass. II civ. 19.9.2014 n. 19800). Nella fattispecie, dall'inosservanza del detto onere non potrà che discendere la declaratoria di annullamento della Delib. del 9 settembre 2018. Nullità del rendiconto per violazione degli artt. 1130 bis, 1135 e 1136 c.c., ed assoluta assenza del rendiconto del fondo cassa piscina: Dagli atti di causa è altresì rimasta incontestata, anzi esplicitamente ammessa da parte convenuta, l'assoluta omissione nel rendiconto impugnato delle voci di entrata e di uscita inerenti alla "costruzione della piscina" nonché l'omesso riferimento al fondo speciale ed al relativo conto corrente bancario ivi dedicato. L'omissione in parola, costituendo una palese violazione dell'art. 1130 bis, in combinato disposto con gli artt. 1135 e 1136 c.c., ha altresì esplicato effetti negativi sulla cosciente manifestazione del consenso da parte dei condomini presenti in assemblea i quali sono stati chiamati a deliberare l'approvazione del rendiconto in assenza di una partecipazione informata sul reale stato patrimoniale del condominio. Alla luce di quanto precede emerge palesemente come la delibera impugnata sia del tutto invalida sotto ogni profilo ed andrà, quindi, dichiarata nulla. Ed ancora, si osserva che è risultata dimostrata l'infodatenzza dell'assunto di parte convenuta, secondo cui "?il bilancio relativo alle entrate ed alle spese di costruzione della piscina e i movimenti del conto corrente acceso per la costruzione della piscina stessa, non sono atti di competenza dell'assemblea condominiale" (comparsa del convenuto). Ed invero, il contratto d'appalto stipulato dall'Amministratore del Condominio con la Ditta R. srl per la costruzione della piscina, nonché il decreto ingiuntivo da questa promosso nei confronti del Condominio e non nei confronti di un'associazione, smentiscono palesemente le argomentazioni del Condominio convenuto e testimoniano come detti atti sono al contrario di competenza assembleare. Risulta, pertanto, provata la responsabilità dell'allora Amministratore di sottrarsi alla rendicontazione delle cennate voci, esponendo i condomini al danno derivante dall'inosservanza delle obbligazioni contrattuali assunte per la costruzione della piscina. Nullità del rendiconto per inosservanza dell'art. 1130 bis c.c.: violazione dei criteri di legittimità, certezza e congruità, assenza della nota sintetica esplicativa: Le risultanze istruttorie hanno altresì provato che il rendiconto 2017 è stato redatto in violazione dei criteri di certezza, congruità, linearità e corrispondenza con le entrate e uscite dichiarate e sostenute. Invero, la situazione patrimoniale rappresentata non era coerente con il dato effettivo della cassa condominiale, risultando omesse plurime voci, come acclarato dalla CTP a firma dello Studio Bonura & Partners. Peraltro, le "giustificazioni" formulate dal condominio convenuto sono state seccamente smentite dalla documentazione, versata in atti da parte attrice. Pertanto, è evidente la violazione dell'art. 1130 bis c.c. in merito all'assenza in rendiconto della nota sintetica esplicativa. Detto elemento, espressamente richiamato dall'art. 1130 bis c.c. costituisce di per sé un elemento imprescindibile, voluto dal Legislatore, per la ricostruzione ed il controllo della gestione dell'Amministratore da parte di ogni condomino. Tant'è che giurisprudenza di merito afferma che "l'omissione della nota sintetica determina l'incompletezza del rendiconto". L'invalidazione della delibera per questa sola (ed assorbente) ragione, sebbene potrebbe assumere un sapore formalistico, appare invece l'approdo più conforme alla lettera e allo spirito della legge"(Trib. Torino 4 luglio 2017 n. 3528, nonché Trib. Bologna, Sez. 2 civile, sent.16.08.2016). Le predette considerazioni trovano applicazione anche per le posizioni delle altre parti attrici, che hanno promosso due distinti procedimenti, portanti i nn. 4242/2018 e 877/2019 R.G., riuniti al presente procedimentto. In particolare le Sigg.re (...) e (...), con il proprio atto di citazione, hanno lamentato la genericità, l'indeterminatezza e l'incertezza della delibera impugnata. Ed invero, le predette attrici hanno lamentato che non si tratta di mere irregolarità formali quanto piuttosto di errori che inficiano la volontà condominiale, della impossibilità di comprendere quale diritto avesse chi abbia espresso il voto, ma ancor prima quale diritto avesse chi abbia dato delega o chi abbia partecipato. Vizi ed irregolarità si riverberano nella assoluta incertezza della compagine condominiale sia in tema di rilevazione delle presenze che di quorum deliberativo, con la consequenziale invalidità della delibera. Mette conto, poi, evidenziare che le argomentazioni del convenuto non hanno trovato alcun riscontro probatorio, al fine di confutare le doglianze di parte attrice, in merito alla validità del rendiconto impugnato e, in particolare, nell'assenza del registro di contabilità. Anche le predette attrici hanno lamentato la mancanza del rendiconto previsto dalla nuova formulazione dell'art. 1130 c.c. Il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, che compongono il rendiconto, perseguono certamente lo scopo di soddisfare l'interesse del condomino ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, e così da consentire in assemblea l'espressione di un voto cosciente e meditato. Come precisato dalla Suprema Corte (Cass. sez. 6.2. del 20.12.2018 n. 33038/2018) i tre elementi - registro di contabilità, riepilogo finanziario e nota esplicativa - sono inscindibili e devono contestualmente essere inseriti nel complesso documento, cosicché la mancanza di uno di essi comporta la invalidità del rendiconto, poiché non consente ad esso di assolvere la precipua funzione di informativa ai condomini sulla concreta ed effettiva situazione patrimoniale, sulle spese effettuate e sulle entrate incamerate. Il richiamato orientamento giurisprudenziale è seguito in maniera uniforme dai Giudici di merito (recentissima, Trib. Genova sez. III del 17.5.2021 n. 1131; Trib. Roma sez. V del 12.11.2020 n. 15828; Trib. Civitavecchia del 7.1.2021 n. 9). In particolare, il registro di contabilità è necessario poiché esso contiene le voci di entrata e di uscita, (ossia le variazioni positive o negative della cassa) elencate in ordine cronologico. Tali movimenti devono essere registrati obbligatoriamente entro 30 giorni dalla loro effettuazione. Considerata l'obbligatorietà del conto corrente condominiale e l'obbligo di farvi transitare tutte le operazioni di entrata e di uscita, è evidente lo stretto legame tra questo documento e il conto corrente condominiale. Questa condizione, se rispettata, rende effettiva ed immediata la possibilità di un controllo di correttezza del rendiconto ed, eventualmente, consente di ricostruire la gestione condominiale anche in assenza del rendiconto stesso. La mancanza del registro, come sopra specificato e come rilevato nella odierna fattispecie, determina la invalidità del rendiconto e l'annullamento della delibera impugnata. Anche questo Tribunale, in altro giudizio tra le medesime parti (ed altre), relativo alla opposizione alla approvazione del rendiconto condominiale del 2017, con sentenza n. 271/2020 nel giudizio 578/2018 ha accolto il motivo di opposizione proposto dagli attori relativo alla mancanza del registro di contabilità ed alla relativa nullità del rendiconto approvato senza tale indispensabile elemento ed in spregio alla norma. Sotto ulteriore altro profilo, ancora sul rendiconto, si richiama l'ordinanza del 12.9.2022, emessa da questo Tribunale, in composizione collegiale, con la quale è stato rigettato il reclamo proposto dal Condominio avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Termini Imerese, in 16.04.2021. Con detto provvedimento, il Collegio richiama la relazione di perizia della dott.ssa G. nel procedimento penale in danno dell'ex amministratore A. e deducendo in ordine al fumus boni iuris precisa quanto segue: "in relazione agli esercizi 2014-2018 (?) tra il totale delle spese rendicontate a consuntivo dall'amministrazione A. (Euro 295.073,42) ed i rispettivi giustificativi validamente considerati (Euro 206.368,08), si ravvisa una differenza complessiva di Euro 88.705,34"; che, in risposta al secondo quesito formulato al consulente, "tra il totale degli addebiti contabilizzati (Euro 421.343,15) e quelli validamente documentati (Euro 70.427,34), sussiste una differenza complessiva di Euro 350.915,81. In particolare, si segnala che tutti i prelevamenti eseguiti nel suddetto periodo a mezzo carta Postamat (Euro 37.420,00) risultano privi di giustificazione alcuna. Nel medesimo periodo, aggiunge il consulente, sono stati altresì eseguiti bonifici per complessivi Euro 13.000,00 effettuati in favore dello stesso amministratore (...), per compenso relativo agli esercizi 2013 e 2014, anch'essi non documentati; che, in risposta al terzo ed ultimo quesito, nel "Rendiconto di cassa" riferito all'esercizio dell'anno 2016 "tra il totale delle quote complessivamente rendicontate (Euro 94.235,88) e le pertinenti rimesse registrate sul c/c n.(...) nell'anno 2016 (Euro 45.206,72), sussiste una differenza complessiva di Euro 49.029,16". Infine, per quanto concerne la "(...)", il consulente precisa che "Il totale dei versamenti eseguiti nell'anno 2016 sul c/c n.(...) ("(...)") è pari a 37.050,00; tuttavia in relazione a tale ultimo rapporto, si ribadisce la totale assenza tra i documenti di bilancio della rendicontazione inerente la c.d. "(...)" (a carattere straordinario). Ad ogni buon conto, aggiunge la dott.ssa (...), anche nel caso si volesse per ipotesi assimilare tale ultima gestione a quella ordinaria, tra il totale delle quote complessivamente rendicontate (Euro 94.235,88) e le rimesse complessivamente registrate sul c/c n.(...) e sul c/c n.(...) nell'anno 2016 (Euro 86.256,72), sussisterebbe comunque una differenza complessiva di Euro 7.979,16" - mostrano come l'esistenza dei superiori ammanchi relativamente anche agli esercizi 2017 e 2018 - ove accertata - indubbiamente inficerebbe la validità della delibera di approvazione del bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018 impugnata". Le medesime considerazioni trovano applicazione per l'attrice (...) la quale ha impugnato la delibera condominiale, deducendo i medesimi motivi di opposizione. A fronte di tali contestazioni, il convenuto ha dedotto con generiche ed irrilevanti argomentazioni, non supportate da un valido riscontro probatorio e, comunque, smentite dalla produzione documentale allegata dalle parti attrici. Anche per questo motivi, la predetta delibera deve essere annullata. In definitiva, si osserva che la produzione documentale offerta dalla parte ricorrente, a sostegno delle proprie domande, è risultata di per sé idonea a fornire la prova piena di quanto dedotto e lamentato, e ciò anche in ossequio al principio generale di cui all'art. 2697 c.c., a norma del quale "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.". In linea di principio l'onere di provare un fatto ricade su colui che invoca quel fatto a sostegno della sua versione. In questo senso va interpretato l'art. 2697 c.c. che accolla su chi vuol far valere un diritto in giudizio l'onere di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (c.d. fatti costitutivi). Viceversa, chi contesta la rilevanza di quei fatti ha l'onere di provarne l'inefficacia o gli altri fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere (c.d. fatti impeditivi, modificativi ed estintivi). Di contro, le contestazioni sollevate da parte convenuta sono risultate alquanto generiche e prive di idoneo supporto probatorio. Mancata partecipazione al procedimento di mediazione: per ultimo, si rileva che il Condominio non si è presentato all'incontro, benché ritualmente convocato dall'Organismo prescelto, e l'esperimento è stato di conseguenza chiuso senza poter entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti. Consolidata giurisprudenza afferma che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma 23.02.2017), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. P. 29.07.2015). Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo della mancata partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione, in forza del combinato disposto degli art. 8 co. IV bis del D.Lgs. n. 28 del 2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova delle doglienze rappresentate da parte attrice. Condanna per lite temeraria: Le parti attrici, (...) e (...), hanno chiesto la condanna per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., stante il comportamento tenuto dal Condominio convenuto. Sul punto, la giurisprudenza di merito osserva che "l'applicazione dell'art. 96 co. 3 c.p.c. deve rivestire carattere eccezionale, cioè confinato nell'ambito di gravi violazioni e non semplicemente nella allegazioni di fatti o situazioni che rappresentano la pretesa di una parte e che, come tali, vengono sottoposte al vaglio di un organo giurisdizionale chiamato a valutarne la fondatezza o meno; tale discorso vale, a maggior ragione, nell'ambito dei contratti d'appalto, per loro natura suscettibili di variazioni in corso d'opera, spesso soggetti a contrapposte interpretazioni e caratterizzati da una disciplina assai articolata." (cfr. exmultis Corte appello Trento sez. II, 15.07.2020, n.153; Corte appello P. sez. II, 11.06.2020, n.885). Recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che: "la condanna ex art. 96, comma terzo, applicabile in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi primo e secondo c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale". La sua applicazione, pertanto, non richiederebbe il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì una condotta oggettivamente valutabile alla stregua dell'abuso del processo (cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 27623 del 21 novembre 2017). Nel caso in esame, tenuto conto del compartamento processuale tenuto dal Condominio convenuto, sussistono i presupposti per accogliere la domanda, condannando il convenuto al pagamento di una somma anche in favore delle Sigg.re (...) e (...). A tal fine, appare equo liquidare, in favore del Prof. (...), delle Sigg.re (...), (...) e (...), la complessiva somma di Euro 1.000,00 ciascuno, a titolo di risarcimento danno per lite temeraria. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue, applicando i parametri del D.M. n. 147 del 2022, secondo la natura ed il valore della causa, nonché in base alle attività difensive effettivamente svolte. P.Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione respinta, così provvede: - dichiara nullo il rendiconto presentato dall'amministratore all'assemblea del 09.09.2018, annullando la relativa delibera, anche in considerazione dell'ammissione implicita del Condominio convenuto, circa l'assenza del fondo cassa piscina, costituente fondo speciale ex art. 1130 bis c.c., 1135 e 1136 c.c., nonché della nota sintetica esplicativ a, per tutti i motivi esposti; - visto l'art. 96, 3 comma, c.p.c., condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore del Prof. (...), delle Sigg.re (...), (...) e (...), della complessiva somma di Euro 1.000,00 ciascuno, a titolo di risarcimento per lite temeraria, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo; - condanna il C.(...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore del Prof. (...), dei compensi relativi al procedimento di mediazione che si liquidano in complessivi Euro 3.043,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio convenuto, in ottemperanza dell'Ordinanza del Tribunale di Termini Imerese n.1177/2021 r.g., al pagamento in favore del Prof. (...) delle spese del relativo procedimento che liquida in complessivi Euro 3.503,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore del Prof. (...) delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 5.341 ,00 di cui Euro. 264,00 per spese vive ed Euro 5.077,00 per compensi, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento, in favore delle Sigg.re (...) e (...), dei compensi relativi al procedimento di mediazione che si liquidano in complessivi Euro 3.043,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario; - condanna il Condominio convenuto, in ottemperanza dell'Ordinanza del Tribunale di Termini Imerese n.1177/2021 r.g., al pagamento in favore delle Sigg.re (...) e (...) delle spese, competenze ed onorari del relativo procedimento che liquida in complessivi Euro 4.553,90 (Euro 3.503,00 + Euro 1.050,90 aumento del 30% per presenza di più parti aventi la stessa posizione, ai sensi dell'art. 4 D.M. n. 147 del 2022)per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge con distrazione in favore del procuratore antistatario; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore delle Sigg.re (...) e (...) delle spese del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 6.864,10 di cui Euro. 264,00 per spese vive ed Euro 6.600,10 (Euro 5.077.00 + Euro 1.523,10 aumento del 30% per presenza di più parti aventi la stessa posizione, ai sensi dell'art. 4 D.M. n. 147 del 2022) per compensi professionali, oltre al rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA come per legge con distrazione in favore del procuratore antistatario; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento in favore della Sig.ra (...), da distrarre in favore dell'Erario, dei compensi relativi al presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 4.290,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al pagamento in favore della Sig.ra (...) degli onorari relativi al procedimento di reclamo N. 1177 RG 2021 giusta Ordinanza del Tribunale di Termini Imerese in funzione Collegiale che si liquidano in complessivi Euro 3.503,00, per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; - visto l'articolo 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla L. n. 148 del 2011, condanna il Condominio (...), in persona del suo Amministratore e legale rappresentante pro-tempore al versamento in favore dell'Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione. Così deciso in Termini Imerese il 21 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Giorgia Marcatajo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2384 dell'anno 2016 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente tra COMUNE DI MISILMERI, in persona del Sindaco pro tempore, con sede in Misilmeri, piazza Comitato 1860 n. 26, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro La Tona, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Bagheria, Corso Butera n. 513 contro SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in P., Via U. G. n. 2, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Sc., ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Gi.Lo. in Piana degli Albanesi, Via (...) MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato, il Comune di Misilmeri proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 536/2016, emesso dal Tribunale Civile di Termini Imerese, in data 26-27 maggio 2016 e notificato in data 13 giugno 2016, con il quale, su richiesta della società Cooperativa Sociale "(...)", veniva ingiunto al Comune di Misilmeri il pagamento in favore di detta società della somma di Euro. 29.226,28 oltre interessi moratori fino al soddisfo e le spese giudiziali del procedimento ( Euro 1.250,00 per onorari ed Euro 286,00 per spese borsuali). L'odierno opponente contestava il credito vantato dalla Cooperativa Sociale opposta sotto il profilo del quantum, in quanto assumeva, a fondamento dell'opposizione, che il Consorzio avrebbe erroneamente calcolato le proprie spettanze, per il servizio di assistenza dallo stesso prestato, sulla scorta della convenzione sottoscritta con il Comune di Palermo, anzichè, come doveroso, secondo il proprio "Regolamento per l'accesso ai servizi e agli interventi socio - assistenziali" (art. 68 sub e), approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 21.01.2007, secondo i costi di ricovero ivi previsti. Più in particolare, deduceva il Comune: - che, in ossequio ai criteri contemplati nel proprio Regolamento, il Consorzio aveva regolarmente emesso le fatture relative ai servizi prestati per l'anno 2014 (in favore del minore, (...), e della di lui madre, (...), il cui ricovero era stato disposto con decreto del Tribunale per i Minorenni di Palermo del 27.01.2014 e del 07.04.2014); - che, invece, a partire dal gennaio 2015, il Consorzio (...), unilateralemnte e senza alcun preavviso, avrebbe fatturato costi di ricovero più alti rispetto al dovuto, secondo i parametri previsti dal Patto di accreditamento stipulato dalla cooperativa sociale con il Comune di Palermo; - che, erroneamente, in un primo momento, non ravvedendosi dell'errore, lo stesso avrebbe regolarmente pagato le fatture n. (...), (...), (...), (...), (...) (relative alle rette gennaio-maggio 2015); - che ravvisato l'errore, con nota prot. N. (...) del 24.09.2015, comunicava alla società opposta di vantare un credito di Euro 11.759,62 nei suoi confronti (per le prestazioni erogate in eccesso nei mesi precedenti) e, per l'effetto, chiedeva emettersi note di credito relative alle fatture n. (...) (giugno), (...) (luglio) e (...) (agosto) per l'intero importo, ed emettersi la sola fattura di Euro 660,08 per i mesi di settembre, ottobre e novembre 2015, avendo per il resto già anticipato quanto dovuto. Chiedeva, quindi "in via preliminare, 1) sospendere immediatamente, con provvedimento da emettersi preventivamente all'udienza di comparizione delle parti, la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 536/2016 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 26-27/05/2016, rilasciato in forma esecutiva in data 07/06/2016 e così notificato in data 13/06/2016; nel merito 2) revocare, annullare, dichiarare nullo o inefficace il decreto ingiuntivo n. 536/2016 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 26-27/05/2016, notificato in data 13/06/2016, con questo atto opposto; 3) accertare e dichiarare che la società cooperativa sociale "Consorzio T." ha percepito per il periodo Gennaio-Maggio 2015 importi superiori a quelli dovuti e per l'effetto dichiarare la compensazione delle relative somme con il credito eventualmente vantato da parte opposta; condannare parte opposta per responsabilità ex art. 96 c.p.c.; il tutto con vittoria di spese, competenze, ed onorari, come per legge". Con memoria di costituzione e risposta depositata in data 27.11.2016, si costituiva in giudizio la società cooperativa opposta, contestanto tutto quanto ex adverso dedotto, perché infondato in fatto ed in diritto, e chiedendo pertanto, il rigetto dell'opposizione e la conferma integrale del decreto ingiuntivo opposto. In via subordinata, in caso di revoca del decreto ingiuntivo opposto, chiedeva comunque accertarsi la debenza della somma di Euro. 29.226,28, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e rivalutazione monetaria, per l'assistenza prestata al nucleo mamma-bambino nei mesi di giugno-dicembre dell'anno 2015, in virtù dell'indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. del Comune. Con ordinanza emessa in data 22.02.2017, il Giudice titolare del procedimento, rilevata l'insussistenza di gravi motivi, rigettava l'istanza di sospensione delle provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto e concedeva, su richiesta, i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c.. Senza alcuna attività istruttoria, la causa veniva, quindi, rinviata per la precisazione delle conclusioni. Riassegnata a questo Giudice a causa del mutamento di funzioni del Giudice titolare del procedimento, la causa veniva variamente differita per la precisazione delle conclusioni. L'opposizione è infondata e va rigettata per i motivi che qui di seguito si espongono. Preliminarmente, va osservato che - in base ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr., per tutte, Cass. civ. sez. un., n. 13533/2001) - al creditore che deduce un inadempimento da parte del debitore spetta di dimostrare, secondo i criteri di distribuzione dell'onere della prova contenuti nell'art. 2697 c.c., il fatto costitutivo del credito, laddove al debitore spetta di provare il fatto estintivo dello stesso o di una sua parte, per cui il primo è tenuto unicamente a fornire la prova dell'esistenza del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, mentre, a fronte di tale prova, dovrà essere onere del debitore dimostrare di avere adempiuto alle proprie obbligazioni. Questo principio non soffre deroga in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, che - come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 22123/2009, n. 8718/2000 e n. 11417/1997) - si configura come atto introduttivo di un giudizio ordinario di cognizione, nel quale va anzitutto accertata la sussistenza della pretesa fatta valere dall'ingiungente opposto (che ha posizione sostanziale di attore) ed, una volta raggiunta tale prova, deve valutarsi la fondatezza delle eccezioni e delle difese fatte valere dall'opponente (che assume posizione sostanziale di convenuto). Ora, nella prospettazione dell'odierna opposta, il Comune sarebbe debitore della somma di Euro 29.226,28, quale retta di ricovero del minore, (...), e della di lui madre, (...), per le mensilità di giugno-dicembre 2015. L'opponente, pur ammettendo la sussistenza dell'an (seppur eccependone la compensazione), ha contestato il quantum, rilevando l'erroneità dei parametri applicati per i costi di ricovero ed invocando l'applicabilità dei criteri di cui al proprio Regolamento comunale (cit.). Ciò posto, va osservato che - secondo la giurisprudenza di legittimità - la fattura emessa dal presunto creditore è utilizzabile come prova scritta ai soli fini della concessione del decreto ingiuntivo, ma non costituisce idonea prova dell'ammontare del credito nell'ordinario giudizio di cognizione che si apre con l'opposizione, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte creditrice (così Cass. civ. n. 10860/2007). Ne consegue che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, l'esistenza del credito o, come nella fattispecie, del suo preciso ammontare, dovrà essere dimostrata con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto (così Cass. civ. n. 5915/2011). Tanto premesso, va osservato che l'opposta, già in sede monitoria, ha assolto al suddetto onere probatorio attraverso il deposito in giudizio dei decreti emessi dal Tribunale dei Minorenni di Palermo che hanno disposto il ricovero presso i locali della Cooperativa Sociale "(...)" del minore e della madre, ponendo l'onere della retta a carico del Comune di Misilmeri, in quanto domicilio di residenza dei beneficiari del provvedimento. In merito, va osservato, infatti, che gli oneri economici relativi all'affidamento di minori a famiglie per ragioni socio-assistenziali, quand'anche siano stati disposti in data antecedente all'entrata in vigore della L. n. 328 del 2000, devono essere sostenuti, ex art. 6 comma 4 della predetta legge, dal Comune nel quale i minori avevano la residenza al momento in cui la prestazione assistenziale ha avuto inizio (Cass. 08/02/2019, n. 3791). In particolare, l'art. 6 comma 4 della L. n. 328 del 2000 prevede che "per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica". L'onere ricade, pertanto, sul Comune di residenza degli esercenti la potestà genitoriale dei minori nel momento in cui ha inizio la prestazione assistenziale e tale competenza permane anche se il minore è ospitato in strutture o si trova presso famiglia affidataria in Comuni diversi da quello di residenza degli esercenti la potestà genitoriale. Ora, secondo la Suprema Corte, "di fronte all'ordine del Giudice ed all'obbligo ope legis del Comune, non rileva la necessità di un rapporto diretto, o magari di una convenzione tra Cooperativa e Comune, nè si applicano le disposizioni sui contratti della pubblica Amministrazione. Nè sussistono problematiche di contabilità, trattandosi di prestazione dovuta ex lege (Cass. n. 19036/2010). Ciò detto, la fonte del credito azionato dal Consorzio è rappresentata, dunque, dai decreti del Tribunale per i Minorenni di Palermo, con i quali il minore e la madre sono stati collocati presso la Cooperativa opposta, con oneri a carico del comune di residenza (M.) che deve, per i su esposti motivi, ritenersi obbligato ex lege. Peraltro, deve riconoscersi che il Comune non ha neppure contestato l'obbligazione posta a suo carico, né la natura del credito vantato dalla Cooperativa. Venendo al quantum oggetto di contestazione, va evidenziato che, nella prospettazione offerta dall'odierna opposta, le tariffe stabilite con proprio regolamento dal Comune di Misilmeri non sarebbero sufficientemente adeguate agli standards dei servizi erogati dal Consorzio (...), sottoposto al controllo dell'Amministrazione comunale di Palermo attraverso un accordo di accreditamento. Secondo il Comune opponente, invece, l'opposta avrebbe, unilateralmente e senza preavviso, fatturato costi più elevati rispetto a quanto previsto nel proprio regolamento comunale (art. 68 sub e) del Regolamento comunale per l'accesso ai servizi e agli interventi socio-assistenziali) e non avrebbe dato prova dell'asserito livello dei propri standard qualitativi. Orbene, la materia de qua va inquadrata nell'ambito della normativa che qui di seguito si riporta. L'obbligazione comunale alla corresponsione delle rette di ricovero oggetto del presente giudizio trova origine e fondamento giuridico nel volere espresso del Legislatore, ed in particolare nella disciplina pubblicistica della tutela del diritto all'assistenza ed alla salute di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost. La legge quadro regionale n. 22/86 e la succitata L. n. 328 del 2000 regolano la materia statuendo l'obbligo della P.A. competente di assicurare le prestazioni assistenziali obbligatorie a favore delle categorie sociali protette, senza soluzione di continuità. L'art. 54 della L. n. 22 del 1986 conferisce espressamente al Presidente della Regione Sicilia, il potere di adottare linee guida per la realizzazione dei servizi sociali de quibus. Alla luce della normativa sopra citata, appare fondato (anche se non contestato) l'an debeatur dell'obbligazione sorta in capo al Comune opponente, il quale, come già detto, ha contestato il "quantum debeatur" assumendo - a fondamento dell'opposizione - il proprio "regolamento per l'accesso ai servizi e agli interventi socio - assistenziali". Orbene, detto regolamento deve ritenersi illegittimamente adottato in palese contrasto con la normativa regionale e con le linee guida contenute nella L. n. 328 del 2000, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e, pertanto, va disapplicato. L'opponente, del tutto erroneamente, sostiene che nella fattispecie all'esame dovrebbero trovare applicazione, "per analogia", gli standard qualitativi previsti dal D.P.R.S. n. 158 del 1996 "schema di convenzione inerente case d'accoglienza per donne in difficoltà" (richiamati, peraltro, dal proprio regolamento comunale). Tale assunto, tuttavia, non è condivisibile in quanto il beneficiario del servizio, nella fattispecie de qua, non è un adulto, bensì un minore con la madre. Ed invero, come risulta dalla documentazione in atti, il ricovero presso la struttura è stato ordinato dal Tribunale per i Minorenni a protezione e tutela del minore. Pertanto, la tipologia del servizio impone per legge, oltre che per evidenza, standard qualitativi minimi ben più alti di quelli cui il Comune di Misilmeri rimanda nel proprio erroneo regolamento, con applicazione di ulteriori figure professionali ed in quantità superiore rispetto alla tutela prevista per gli adulti. Ed invero, il patto di accreditamento sottoscritto dal Consorzio (...) con il Comune di Palermo individua correttamente le figure professionali e la quantità di personale minima da impiegare (all.5 monitorio) e i conseguenti costi del servizio. Peraltro, il Consorzio (...), opera nel territorio del Comune di Palermo ed è tenuto, pena la revoca delle autorizzazioni all'esercizio dell'attività, al rispetto ed alla stretta osservanza degli standard qualitativi imposti dal Comune di Palermo, adottati in corretta applicazione degli standard minimi previsti dal Legislatore Nazionale e Regionale. A nulla rileverebbe, come anche evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, un eventuale convenzione tra il comune obbligato e la società cooperativa ai fini dell'individuazione degli standard qualitativi dei servizi da prestare, essendo la cooperativa opposta comunque vincolata ai controlli da parte del comune in cui opera. Il patto di accreditamento col comune di Palermo impone, da una parte, il rispetto degli standard qualitativi minimi del settore e, dall'altra, la corretta retribuzione dovuta. A tale standard deve conformarsi il Consorzio (...), così come precisato dalla giurisprudenza amministrativa: "Per quanto concerne l'affidamento dei servizi a enti e alle cooperative sociali, l'erogazione dei servizi alla persona può avvenire mediante diversi strumenti, rimessi alla scelta discrezionale, ma motivata, dell'amministrazione, tra i quali, l'autorizzazione e accreditamento (art. 11, L. n. 328 del 2000), specificandosi, altresì, che attraverso l'autorizzazione e l'accreditamento vengono individuati gli operatori economici (appartenenti al terzo settore) che possono erogare il servizio, mentre è l'utente finale che sceglie la struttura cui rivolgersi, sulla base della qualità del servizio offerto (concorrenza nel mercato). Nel dettaglio, mentre il sistema autorizzatorio è previsto per l'offerta dei servizi residenziali e semiresidenziali e quindi attiene alle strutture, l'accreditamento richiede l'osservanza di standard qualitativi ulteriori e, quindi, si pone come un atto di abilitazione di secondo grado, essendo riferito alla attività e, più precisamente, all'accertata qualità delle prestazioni erogate" (cfr. Tar Campania n.424/2017). Pertanto, è il Comune di Palermo che deve procedere all'accreditamento della struttura ed alla determinazione della tariffa perché operante sul proprio territorio ed è al Comune di Palermo che sono demandati i controlli sugli standard qualitativi del servizio. L'assunto di parte opponente è, pertanto, errato così come errato è il richiamo alla normativa citata in atto di opposizione, non essendo pertinente alla tipologia del servizio richiesto al Comune di Misilmeri, trattandosi di un servizio che trova origine e fondamento nella L. n. 328 del 2000. La fattispecie di cui oggi trattasi rientra nel servizio così detto "centro anti violenza", ricovero "mamma-bambino" che non è stata prevista nel D.P.R.S. n. 158 del 1996 e, pertanto, non necessita l'iscrizione ex art. 26 all'albo regionale, come notorio a tutti gli operatori del settore e come chiarito dalla stessa Regione Sicilia con espressa nota prot.(...) del 10.2.2010. In quella sede la Regione Sicilia invitava tutti i "Comuni affidatari" a vigilare sulla corretta applicazione dei ben più alti standard qualitativi del servizio, così come correttamente impone il Comune di Palermo, sul cui territorio il Consorzio (...) opera ed alle cui direttive è tenuto, pena la revoca della licenza. Invero, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 11 L. n. 328 del 2000, per i servizi non espressamente previsti dal Legislatore Regionale le strutture devono attivarsi mediante patti di accreditamento con il Comune sul cui territorio operano. Al medesimo Comune è demandata la vigilanza sugli standard qualitativi dei servizi. Le eccezioni spiegate dal Comune di Misilmeri circa la non iscrizione del Consorzio (...) all'albo regionale, quindi, non meritano rilievo sia perché l'iscrizione all'albo regionale, è necessaria per i servizi di cui alla L. n. 22 del 1986 e D.P.R.S. n. 158 del 1996 e non anche per i servizi di cui alla L. n. 328 del 2000 (che all'art. 11, comma 3, statuisce:"I comuni provvedono all'accreditamento, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera c), e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell'àmbito della programmazione regionale e locale"), sia perché, in ogni caso, con D.R. Siciliana n. 5 dell'8 gennaio 2020, poi, il Consorzio (...) è stato regolarmente autorizzato all'iscrizione all'albo regionale Siciliano. Il medesimo provvedimento (art.3) chiarisce che l'ente è obbligato ad assicurare nell'espletamento dell'attività autorizzata il rispetto degli standard organizzativi di cui al D.P.R.S. n. 96 del 2015 e che compete al Comune territorialmente competente esercitare l'opportuna vigilanza per la verifica del mantenimento dei requisiti in conformità agli standard regionali (art. 4). Ed infatti, con il recente D.P.R.S. n. 96 del 2015 che, tra i vari servizi, disciplina anche il ricovero di un minore in centro "anti-violenza" (con o senza mamma), il legislatore regionale ha determinato standards del servizio ovviamente più elevati di quelli del servizio "Donne in difficoltà" cui fa riferimento il Comune di Misilmeri "per analogia" nel proprio regolamento ( e non appare casuale alla scrivente che, proprio a partire dall'anno 2015, il Consorzio (...) abbia invocato i costi di ricovero più elevati, avendo presumibilmente il comune di appartenenza adeguato i propri standard alle nuove disposizioni). Il citato decreto, richiamando sia la L. 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", sia la L.R. n. 3 del 2012 "Norme per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere" (che prevede l'istituzione dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza ad indirizzo segreto per donne vittime di violenza), apporta alcune rettifiche allo standard "Casa di accoglienza per gestanti e ragazze madri" sia in termini di denominazione, che di requisiti strutturali e organizzativi, nonché amplia l'offerta dei servizi socio-assistenziali rivolti alle donne vittime di violenza, così come previsti dagli artt. 7 e 8 della L.R. n. 3 del 2012. In particolare, con il D.P.R.S. n. 96 del 2015, sono stati approvati gli standards strutturali e organizzativi delle seguenti tipologie di servizio: Centro antiviolenza; Casa di accoglienza ad indirizzo segreto e strutture di ospitalità in emergenza; Casa di accoglienza per gestanti e madri con figli. I suddetti standard, di cui all'allegato 1, costituiscono parte integrante del presente decreto (art. 1). L'allegato 1 del suddetto decreto elenca minuziosamente i servizi che devono essere offerti, le figure professionali che vanno impiegate e persino i requisiti strutturali dell'immobile e la disposizione degli spazi all'interno della struttura. Ai sensi dell'art. 3, poi, gli standard approvati devono essere intesi come standard minimi che vanno applicati sia per l'iscrizione all'albo regionale (art. 26, L.R. n. 22 del 1986), sia per l'iscrizione all'albo comunale (art. 27, L.R. n. 22 del 1986). Lo stesso Legislatore regionale nel D.P.R.S. n. 96 del 2015 precisa poi: "Per gli enti già iscritti all'albo ex art. 26, L.R. n. 22 del 1986, è previsto un periodo massimo di tre anni per l'adeguamento agli standard regionali approvati con il presente decreto. "Nel caso di enti del privato sociale già accreditati pressoi Comuni per tipologie di servizio normate con il presente decreto, ma non inserite nei precedenti standard regionali, agli stessi potrà essere riconosciuto dai Comuni il periodo di transizione previsto per gli enti già iscritti all'albo regionale" (artt. 5-6). Come emerge dalla stessa norma, quindi, il servizio era precedentemente svolto mediante patti di accreditamento con i comuni nel cui territorio la struttura operava, senza che fosse necessaria l'iscrizione all'albo regionale. Del tutto pretestuosa deve, dunque, ritenersi la tesi sostenuta dal comune opponente, che, alla richiesta di pagamento delle rette, ha opposto la circostanza della mancata iscrizione all'albo regionale della struttura di ricovero. Peraltro, dalla documentazione prodotta, si può dedurre che il Consorzio aveva regolarmente presentato apposita istanza, nel periodo di transizione concesso dal Legislatore Regionale anche per il servizio mamma-bambino e, pertanto, operava nel pieno rispetto della normativa in materia. In seguito alla richiesta, risultando ampiamente rispettati tutti gli standard dal Consorzio (...), con il succitato decreto, la Regione Sicilia ne ha decretato l'iscrizione all'albo anche per i servizi ivi regolamentati. A fronte di ciò, del tutto carenti di prova sono risultate altresì le allegazioni e contestazioni del Comune relative alla qualità delle prestazioni rese, trattandosi di contestazioni generiche, prive di qualsivoglia supporto probatorio. In definitiva, il credito ingiunto deve ritenersi fondato nel quantum poiché rispondente ai parametri vigenti. Quanto poi alla censura inerente la presunta erronea applicazione in fase monitoria degli interessi previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002, va osservato che le difese sul punto svolte dal Comune opponente non sono meritevoli di accoglimento. Ed invero, l'art. 1 comma 1 del D.Lgs. n. 231 del 2002 prevede che "Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale." e al successivo art. 2 comma 1 chiarisce che "Ai fini del presente decreto si intende per: a) "transazioni commerciali", i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo". Ne consegue l'applicabilità degli interessi de quibus ai rapporti per cui è causa. L'opposizione va quindi rigettata ed il decreto opposto integralmente confermato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo in ossequio ai parametri di cui al D.M. n. 44 del 2021. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: - rigetta l'opposizione proposta avverso il decreto ingiunto ingiuntivo n. 536/2016 emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 26-27/05/2016 e, per l'effetto, conferma integralmente il decreto ingiuntivo opposto. - condanna il Comune di Misilmeri, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento delle spese di lite in favore della Società Cooperativa Sociale "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in complessivi Euro 5.810,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Termini Imerese il 30 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

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