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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2289 R.G.A.C. dell'anno 2019 promossa DA As. S.P.A. MANDAT. R.T.I. TRA "As. S.P.A." Co. SOCIETÀ COOPERATIVA" (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RA.GI. ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dello stesso in Terni, Largo (...) PARTE ATTRICE CONTRO COMUNE DI STRONCONE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CA.LI. elettivamente domiciliato in Perugia, via (...) AURI - SUB AMBITO N. 4 (C.F. )- contumace AURI (EX ATI N.4) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.MA. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato domiciliata all'indirizzo pec (...) PARTE CONVENUTA OGGETTO: Altri contratti atipici. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato la As. S.P.A., quale mandataria del raggruppamento temporaneo di Imprese costituito ai sensi dell'art. 37 del D.Lgs. n. 163 del 2006 tra "As. S.p.a." società con unico socio ed il "Co. SOCIETA' COOPERATIVA" citava in giudizio il COMUNE DI STRONCONE, l'AURI - Sub Ambito n. 4 e l'AURI (ex ATI N. 4) rassegnando - per i motivi ivi indicati, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, eccezione, deduzione e domanda: I. accertare e dichiarare, per le causali esposte in narrativa, il diritto del raggruppamento temporaneo di Imprese costituito tra "As. S.p.a." ed il "Co. SOCIETA' COOPERATIVA" ad ottenere la premialità prevista dall'art. 52 del Disciplinare tecnico P14 (doc. 2) per il superamento degli obiettivi di raccolta differenziata eseguita presso il Comune di Stroncone così come descritti nella parte in fatto e diritto (motivi sub (...) e sub (...)) del presente atto per le annualità 2016 e 2017, ovvero nella misura maggiore o minore che dovesse emergere nel corso della causa anche mediante eventuale Ctu; II. per effetto dell'accoglimento della domanda sub (...)) condannare, per le causali esposte in narrativa, il Comune di Stroncone, in solido con l'AURI e AURI Sub Ambito 4, al pagamento della somma complessiva di Euro 10.867,64 ovvero della somma maggiore o minore che dovesse risultare nel corso della causa anche mediante eventuale Ctu, ovvero determinata anche in via equitativa; oltre interessi moratori, rivalutazione dal momento del dovuto sino all'effettivo soddisfo, III. condannare i convenuti al pagamento delle spese legali." (conclusioni in parte modificate con la prima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c., richiedendo il pagamento della somma di Euro 15.706,05, poi ridotta, in comparsa conclusionale, ad Euro 9.307,32 ovvero nella somma di Euro 5.007,38 (secondo i dati derivanti dalla certificazione regionale 2016), oltre interessi e condanna alle spese). Con comparsa di risposta si costituiva il COMUNE DI STRONCONE rassegnando - per i motivi ivi indicati, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito in composizione monocratica, disattesa e respinta ogni diversa e contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione: - in via pregiudiziale, accertare e dichiarare l'inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione dell'A.G.O. in favore della giurisdizione del G.A.; - nel merito: -in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità e/o l'inefficacia della clausola prevista dall'art. 52 del Disciplinare Tecnico allegato al contratto di servizio e per l'effetto rigettare le domande di parte attrice; - in via principale, rigettare tutte le domande, di accertamento e condanna, formulate da parte attrice nei confronti del Comune convenuto perché inammissibili, infondate, in fatto ed in diritto, e non provate; - In via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande avversarie, porre la condanna a carico esclusivo dell'AURI Sub ambito n. 4, in persona del legale rappresentate p.t., e/o dell'AURI (ex ATI n. 4), in persona del legale rappresentate p.t.; - ancora in via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande avversarie, anche solo parziale, ridurne l'esorbitante ammontare, previo accertamento, in ogni caso, del diritto di credito maturato dal Comune di Stroncone nei confronti di parte attrice a titolo di penalità prevista dall'art. 52, seconda parte, del Disciplinare Tecnico P14 allegato al contratto di servizio, per il mancato raggiungimento nell'anno 2017 degli obiettivi di raccolta differenziata da parte di As. S.p.a., quale mandataria del RTI con la mandante Co. Società Cooperativa, pari ad Euro 4.016,00 o la somma, maggiore o minore, che verrà accertata in corso di causa, con conseguente compensazione, anche parziale, delle avverse pretese. In ogni caso, con vittoria di spese e compensi professionali di causa.". Con ordinanza del 31/1/2021, rinviata la merito la decisione delle questioni preliminari e pregiudiziali sollevate dalle pari, lo scrivente formulava la seguente proposta conciliativa: "pagamento da parte del COMUNE DI STRONCONE in favore della parte attrice, a definizione della controversia, della somma di Euro 7.500,00 comprensiva di interessi, Euro 1.600,00 per spese legali parametrate alla somma sopra indicata, in applicazione dei valori medi previsti del D.M. n. 55 del 2014, ridotti al 50%, on esclusione della fase istruttoria". All'udienza del 18 marzo 2021 le parti non accettavano la proposta conciliativa del giudice per i motivi ivi esposti, qui richiamati e trascritti. Con ordinanza del 28/9/2021, esaminate le posizioni delle parti, anche sulla base di quanto dalle stesse dichiarato alle udienze precedenti, veniva avanzata una nuova proposta conciliativa dal seguente contenuto: "Propone di conciliare la lite con la corresponsione da parte della convenuta in favore della parte attrice di una somma pari ad Euro 800,00, oltre un contributo di Euro 500,00, oltre accessori di legge, per spese legali. Tale proposta viene effettuata allo stato degli atti esclusivamente a scopo conciliativo tenuto conto della complessità della controversia e dei conseguenti margini di opinabilità delle questioni giuridiche". All'udienza del 21/12/2021 la proposta veniva accettata da parte convenuta mentre la parte attrice richiedeva un termine per effettuare un confronto con la controparte. Le parti depositavano note autorizzate rispettivamente in data 20/1/2022 e 21/1/2022 e, con ordinanza del 4/3/2022 veniva avanzata una nuova proposta conciliativa dal seguente contenuto: "Propone di conciliare la lite con la corresponsione da parte della convenuta in favore della parte attrice di una somma pari al settanta per cento delle premialità calcolate in base ai dati risultanti dalla certificazione regionale e dalla tariffa di smaltimento risultante dai documenti nn. 8, 9, 10 e 11 fasc. convenuta) e, quindi, pari ad Euro 791,70 (70% di Euro 1.131,00, somma calcolata applicando la tariffa di smaltimento di Euro 112 Euro per l'anno 2016 e 112,5 e per il 2017), oltre un contributo di Euro 500,00 oltre accessori di legge per spese legali. Tale proposta viene effettuata allo stato degli atti esclusivamente a scopo conciliativo tenuto conto della complessità della controversia e dei conseguenti margini di opinabilità delle questioni giuridiche". La nuova proposta veniva accettata dalla parte convenuta mentre veniva rigettata dalla parte convenuta per i motivi espressi all'udienza del 7 aprile 2022, qui richiamati e trascritti. Con ordinanza del 12 aprile 2022 la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. Con comparsa di risposta depositata in data 9/3/2023 si costituiva l'AUTORITÀ UMBRA RIFIUTI E IDRICO (A.U.R.I.) rassegnando le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Terni, contrariis reiectis, a) in via principale, dichiarare il difetto di legittimazione passiva dell'AURI (ex ATI n. 4) e dell'AURI- Sub Ambito n. 4; b) in via subordinata, rigettare le domande di Parte attrice in quanto destituite di fondamento in fatto e in diritto per i motivi sopra esposti; c) per l'effetto condannare Parte attrice al pagamento di tutte le spese del presente giudizio". All'udienza del 28 marzo 2023, ritenuta la causa matura per la decisione, stante la natura documentale della stessa, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex arto 190 c.p.c. 2.1. In primis deve essere valutata l'eccezione di difetto di giurisdizione tempestivamente sollevata da parte convenuta nella propria comparsa di risposta. L'eccezione è infondata. Al riguardo, deve essere condivisa una recente sentenza emessa ex art. 279, comma 2 n. 4 c.p.c. da questo Tribunale in un giudizio avente ad oggetto la medesima controversia oggi in esame, seppur tra soggetti, dal lato passivo, parzialmente differenti (cfr. Cass. n. 28067/2021 secondo cui "La motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell'art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l'utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni."). Si riporta quindi di seguito la parte rilevante del precedente di questo Tribunale: "?in via generale, si evidenzia che la tariffa rifiuti viene determinata dall'AURI (oggi ex art. 1, comma 528 della L. n. 205 del 2017 dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) sulla base dei Piani finanziari redatti dai Comuni ovvero dai gestori a cui può essere affidato il servizio? Nel caso di specie: - con Delib. n. 2 del 2013 e Delib. n. 13 del 2013, l'AURI approvava il Piano d'ambito rifiuti urbani, comprensivo del PEF generale e dei relativi piani finanziari per ogni singolo comune (non agli atti); in giudizio, viene prodotto solo l'indice del Piano d'ambito dove risulta indicato un "fondo di P.", il "piano finanziario della gestione" e il "piano economico finanziario" (quest'ultimo indicato come allegato; - con determinazione dirigenziale n. 18/14 l'AURI, all'esito di una procedura ad evidenza pubblica, aggiudicava il servizio in favore dell'odierno gestore; - in data 26.6.2014 veniva stipulato il contratto; - l'art. 52 del "disciplinare tecnico" allegato al contratto di servizio - e parte integrante degli atti di gara - prevede il riconoscimento di un corrispettivo aggiuntivo - per cui è causa - quale "premio" in relazione al superamento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata ivi indicati; - agli atti non è stato prodotto il PEF da cui evincere le modalità di "copertura" del suddetto corrispettivo aggiuntivo; - l'art. 7 del disciplinare tecnico allegato al contratto prevede che il gestore predispone annualmente, per ogni Comune servito, due mesi prima del termine per l'approvazione del bilancio di previsione, un Piano annuale delle attività, composto dal piano economico-finanziario (PEF) da cui risulta, fra l'altro, il quadro economico con la definizione dell'ammontare dettagliato del corrispettivo riconosciuto al Gestore per l'effettuazione del servizio (art. 7); - agli atti non risultano depositati né il Piano annuale delle attività relativi agli anni 2016-2017, né le relative delibere di approvazione dell'AURI e del Comune; - agli atti risulta solo un atto di transazione tra l'AURI ed il gestore, sottoscritto in data 5 agosto 2015, con il quale tra l'altro - preso atto di alcuni ritardi dovuti all'avvio del servizio ed alla consegna degli impianti - si confermano i "meccanismi di premialità" relativi agli anni 2016 e 2017; anche in tale atto non vi sono riferimenti al Piano annuale delle attività; - con comunicazione del 18.7.2017, l'AURI conferma la previsione dei suddetti "meccanismi di premialità" - anche in base al citato atto di transazione del 2015 - ma rileva che le penalità sono superiori alle premialità; - con Delib. n. 16 del 2017 del 29.12.2017, l'AURI approvava il PEF per l'anno 2018, non riconoscendo alcuna premialità per l'anno 2018, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017; - con nota del 11.6.2018 indirizzata ai Comuni, l'AURI "interpreta" l'art. 52 del disciplinare ritenendo che "appare viziato da nullità poiché prevede nel caso di premialità?senza la relativa posta economica che non è inserita nel PEF né può esservi inserita in quanto trasformerebbe un risparmio?con un costo, non ammesso dal metodo normalizzato?" (cfr. art. 1 del D.P.R. n. 158 del 1999); - con Delib. n. 16 del 2019 del 25.2.19 l'AURI approvava il PEF per l'anno 2019 ribadendo di non riconoscere le premialità per l'anno 2019, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017. Ciò posto, a parere dello scrivente, la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e ciò per i seguenti motivi: - il corrispettivo aggiuntivo "premiale" veniva previsto nel disciplinare tecnico allegato al contratto stipulato fra le parti (art. 52); - il riconoscimento di tale corrispettivo veniva "ancorato" unicamente all'incremento della percentuale di raccolta differenziata in base ad una formula matematica, senza implicare esercizio di un potere autoritativo; - nel contratto viene attribuita all'AURI la facoltà di adeguare il corrispettivo in alcuni casi e, comunque, solo per gli anni successivi all'adeguamento stesso (art. 59); - nel caso di specie, invece, l'AURI, in sede di approvazione del PEF per l'anno 2018 (e poi anche per l'anno 2019) non ha riconosciuto il corrispettivo aggiuntivo "premiale" - non solo per gli anni 2018-2019 ma anche per gli anni 2016-2017 - poiché ha ritenuto - in "autotutela" - che la clausola contrattuale che lo prevedeva doveva ritenersi nulla in quanto contraria a norme imperative (D.P.R. n. 158 del 1999) che prevedono l'equilibrio economico-finanziario del servizio; - con le delibere sopra riportate, l'AURI non ha esercitato un potere autoritativo ma, utilizzando le parole delle S.U. della Corte di Cassazione intervenute sul tema, ha preteso "?di adoperare il proprio potere discrezionale di autotutela per eliminare vizi in realtà afferenti (non già alle determinazioni prodromiche, in sè considerate, ed alle modalità procedimentali ad esse solo proprie, bensì) al contratto ormai stipulato?" (cfr. SU Cass. n. 9861 del 14/05/2015, conf. SU Cass. n. 14859/2017, CdS n. 5745/2015); - parte attrice ha quindi dedotto in giudizio "?un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale intesa a regolamentare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione?", per cui "?la controversia continua ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario?" (cfr. Cassazione civile sez. un., 21/09/2018, n. 22428). In sostanza, le delibere dell'AURI nn. 16/17 e 16/19 - anche ove possano qualificarsi come provvedimenti amministrativi - nella parte di interesse per la presente controversia (stralcio delle "premialità"), incidono su un diritto soggettivo "perfetto", come cristallizzato nel contratto stipulato fra le parti, e non su una posizione di interesse legittimo; - l'estensione dello "stralcio" dell'art. 52 del disciplinare disposto dall'AURI con le suddette delibere anche in riferimento agli anni precedenti non è previsto dalle norme di settore e nemmeno dal contratto che, invece, prevede la possibilità di revisionare i corrispettivi solo per gli anni successivi (art. 59 del disciplinare); - il contratto de quo, peraltro, appare qualificabile come appalto di servizi più che concessione di pubblico servizio atteso che il corrispettivo del servizio è pagato esclusivamente dall'ente - Comune - che ha affidato lo stesso, senza che alcun"trasferimento" al gestore di poteri pubblici tra cui, in primis, il potere di riscuotere direttamente la tariffa dagli utenti (cfr. art. 57 del disciplinare tecnico ove si distingue tra "fase 1" e "fase 2", cfr. SU Cass. n. 17829/2007, TAR Campania, Napoli, n. 114/2015). Alla luce di quanto evidenziato, si può quindi ritenere che il petitum sostanziale della controversia - che è quello al quale occorre avere riguardo ai fini del riparto di giurisdizione - sia incentrato sulla fase esecutiva del contratto, avendo la pubblica amministrazione esercitato un'interpretazione di una clausola contrattuale e non un potere ad essa attribuito dalla legge, ravvisando la nullità di una clausola contrattuale da lei stessa predisposta. A ciò si aggiunga peraltro che lo "stralcio" di una clausola contrattuale - che prevede un corrispettivo per prestazioni già eseguite - seppur giustificato dalla violazione di norme imperative relative all'equilibrio finanziario tariffa-costi del servizio ex art. 8 del D.P.R. n. 158 del 1999 (del tutto indimostrato in concreto dal Comune/AURI) - non può essere inteso come esercizio del potere discrezionale di autotutela da parte della pubblica amministrazione al fine di eliminare vizi afferenti "?alle determinazioni prodromiche, in sè considerate ed alle modalità procedimentali ad esse solo proprie?" (cfr. SU Cass. n. 9861/2015, conf. SU Cass. n. 14859/2017, CdS n. 5745/2015), atteso che le determinazioni prodromiche alla gara non sono state in alcun modo revocate e/o annullate in autotutela. Da tutto quanto evidenziato, ne consegue che deve essere riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario con conseguente rigetto dell'eccezione formulata dalla parte convenuta." (cfr. sent. n. 363/2020, RG n. 958/2019). Sulla base delle motivazioni sopra riportate, deve essere rigettata l'eccezione formulata da parte convenuta - con affermazione della giurisdizione del giudice ordinario - nonché deve essere rigettata la tesi di parte convenuta secondo cui le delibere adottate dalla AURI - che hanno stralciato iure imperii le richieste economiche di parte attrice (voci di costo incluse quelle relative alle "premialità 2016 e 2017" che il RTI aveva inserito nella proposta del PEF previsionale 2019, analogamente a quanto già avvenuto per il PEF previsionale 2018) sarebbero inoppugnabili, in quanto decorsi i termini di legge e, quindi, vincolanti per il Comune convenuto (cfr. doc. 4 e 5, fasc. convenuta). La tesi non può essere condivisa. Invero, dalla lettura delle suddette delibere si evince con chiarezza che, con tali provvedimenti, l'AURI ha approvato i piani economici previsionali relativi agli anni 2018 e 2019 che dovevano essere utilizzati dai Comuni per elaborare la propria proposta tariffaria sempre relativa agli anni 2018 e 2019 per cui, per quanto riguarda le annualità pregresse oggetto di causa (anni 2016-2017), l'AURI non ha esercitato alcun potere autoritativo ma, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra riportata, ha preteso "?di adoperare il proprio potere discrezionale di autotutela per eliminare vizi in realtà afferenti (non già alle determinazioni prodromiche, in sè considerate, ed alle modalità procedimentali ad esse solo proprie, bensì) al contratto ormai stipulato?" (cfr. SU Cass. n. 9861/2015, conf. SU Cass. n. 14859/2017, CdS n. 5745/2015). 2.2. Ciò posto, come visto, la presente controversia riguarda una concessione-contratto di servizio per l'affidamento del servizio di trasporto e raccolta nell'ambito della gestione integrata dei rifiuti urbani nei Comuni dell'ATI n. 4 Umbria (oggi AURI). In particolare, il soggetto gestore-aggiudicatario del servizio ha chiesto - per gli anni2016 e 2017 - il riconoscimento del corrispettivo aggiuntivo - quale "premio" in relazione al superamento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata indicati nei documenti di gara e previsto dall'art. 52 del "disciplinare tecnico" allegato al contratto di servizio (pari a complessivi Euro 9.307,32, come emerso nel corso del giudizio (pag. 5 perizia dell'11.11.2019 allegata alla memoria 183 n. 2 della scrivente difesa), ovvero nella somma di Euro 5.007,38 (secondo i dati derivanti dalla certificazione regionale 2016, oltre interessi, cfr. comparsa conclusionale in atti). Nonostante le richieste stragiudiziali di pagamento indirizzate ai Comuni interessati e all'ATI (oggi Autorità umbra rifiuti e idrico, c.d. "AURI"), forma speciale di cooperazione fra enti locali, questa rigettava la richiesta, comunicando al gestore che la disposizione di cui all'art. 52 del Disciplinare Tecnico "?era inattuabile per contrasto insanabile con il metodo tariffario vigente e con i PEF approvati?". Peraltro, in sede di approvazione del PEF (Piano economico finanziario) relativo agli anni 2018-2019, l'AURI deliberava di non riconoscere alcuna somma a titolo di premialità non solo in relazione agli anni 2018-2019 ma anche in relazione agli anni 2016 e 2017. Ciò posto, in via generale, si evidenzia che la tariffa rifiuti viene determinata dall'AURI (oggi ex art. 1, comma 528 della L. n. 205 del 2017 dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) sulla base dei Piani finanziari redatti dai Comuni ovvero dai gestori a cui può essere affidato il servizio (cfr. riferimenti normativi). Come sopra evidenziato al precedente sub. n. (...)., nel caso di specie: - con Delib. n. 2 del 2013 e Delib. n. 13 del 2013, l'AURI approvava il Piano d'ambito rifiuti urbani, comprensivo del PEF generale e dei relativi piani finanziari per ogni singolo comune (non agli atti); in giudizio, veniva prodotto solo l'indice del Piano d'ambito dove risulta indicato un "fondo di P.", il "piano finanziario della gestione" e il "piano economico finanziario" (quest'ultimo indicato come allegato); - con determinazione dirigenziale n. 18/14 l'AURI, all'esito di una procedura ad evidenza pubblica, aggiudicava il servizio in favore dell'odierno gestore; - in data 26.6.2014 veniva stipulato il contratto; - l'art. 52 del "disciplinare tecnico" allegato al contratto di servizio - e parte integrante degli atti di gara - prevede il riconoscimento di un corrispettivo aggiuntivo - per cui è causa - quale "premio" in relazione al superamento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata ivi indicati; - agli atti non è stato prodotto il PEF da cui evincere le modalità di "copertura" del suddetto corrispettivo aggiuntivo; - l'art. 7 del disciplinare tecnico allegato al contratto prevede che il gestore predispone annualmente, per ogni Comune servito, due mesi prima del termine per l'approvazione del bilancio di previsione, un Piano annuale delle attività, composto dal piano economico-finanziario (PEF) da cui risulta, fra l'altro, il quadro economico con la definizione dell'ammontare dettagliato del corrispettivo riconosciuto al Gestore per l'effettuazione del servizio (art. 7); - agli atti non risultano depositati né il Piano annuale delle attività relativi agli anni 2016-2017, né le relative delibere di approvazione dell'AURI e del Comune; - agli atti risulta solo un atto di transazione tra l'AURI ed il gestore, sottoscritto in data 5 agosto 2015, con il quale tra l'altro - preso atto di alcuni ritardi dovuti all'avvio del servizio ed alla consegna degli impianti - si confermano i "meccanismi di premialità"relativi agli anni 2016 e 2017; anche in tale atto non vi sono riferimenti al Pianoannuale delle attività; - con comunicazione del 18.7.2017, l'AURI confermava la previsione dei suddetti "meccanismi di premialità" - anche in base al citato atto di transazione del 2015 - ma rilevava, in via generale, che le penalità erano superiori alle premialità; - con Delib. n. 16 del 2017 del 29.12.2017, l'AURI approvava il PEF per l'anno 2018, non riconoscendo alcuna premialità per l'anno 2018, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017 (cfr. doc. 5); - con nota del 11.6.2018 indirizzata ai Comuni, l'AURI si pronunciava sulla validità dell'art. 52 del disciplinare ritenendo che "?appare viziato da nullità poiché prevede nel caso di premialità?senza la relativa posta economica che non è inserita nel PEF né può esservi inserita in quanto trasformerebbe un risparmio?con un costo, non ammesso dal metodo normalizzato?" (cfr. art. 1 del D.P.R. n. 158 del 1999 e doc. 6, fasc. attrice); - con Delib. n. 16 del 2019 del 25.2.19 l'AURI approvava il PEF per l'anno 2019 ribadendo di non riconoscere le premialità per l'anno 2019, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017 (poi recepita con Delib. n. 7 del 25 febbraio 2019 dall'Assemblea dei Sindaci dell'AUTI (cfr. doc. 4, fasc. attrice). 2.3. Ciò evidenziato, la fattispecie in esame deve essere decisa dando continuità ad un recentissimo precedente pronunciato da questo Tribunale in un giudizio avente ad oggetto la medesima controversia oggi in esame, seppur tra soggetti, dal lato passivo, parzialmente differenti (cfr. Cass. n. 28067/2021 secondo cui "La motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell'art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l'utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni."). Si riporta quindi di seguito la parte rilevante del pregevole precedente di questo Tribunale: "In base all'art. 52 del citato disciplinare (cfr. all. 2 citazione) veniva previsto un sistema premiante a favore del gestore. In particolare, in caso di superamento del livello di raccolta differenziata obiettivo di cui alla tabella ivi indicata ("42,6% medio nel 2013, 56,7% medio nel 2014, 65,0% medio nel 2015") e "per i soli comuni che presentano percentuali di RD 2012 inferiore ai livelli obiettivo" il gestore avrebbe maturato il diritto ad "un corrispettivo aggiuntivo pari al 50% dell'effettivo risparmio riscontrato in termini di costo di smaltimento dei rifiuti urbani in conseguenza dell'innalzamento suddetto della percentuale di raccolta differenziata secondo lo schema di calcolo" ivi indicato. Veniva, inoltre, precisato che "il livello percentuale di raccolta differenziata a base di calcolo è quello stabilito con certificazione annuale dalla Regione Umbria" (cfr. all. 2 citazione). Ai fini della presente decisione occorre, quindi, verificare se l'attrice ha dimostrato la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa creditoria azionata e, in particolare, se il Comune di Alviano presentava una percentuale di RD inferiore ai livelli obiettivo nel c.d. anno zero e, in caso affermativo, se aveva superato o meno i livelli di raccolta differenziata fissati per gli anni 2016 e 2017. A tal fine va rilevato che in data 5.8.2015 As. s.p.a. ed ATI n. 4 Umbria stipulavano un accordo transattivo ex art. 239 D.Lgs. n. 163 del 2009 con cui, preso atto che il gestore aveva avviato il servizio di raccolta e trasporto nei diversi comuni solo tra giugno 2014 e marzo 2015, veniva ridefinito il periodo di c.d. start up e differito all'1.7.2015. Venivano,conseguentemente, rideterminati anche gli "elementi temporali cui collegare l'adempimento degli obblighi contrattuali". Con precipuo riferimento al meccanismo di premialità, nell'accordo transattivo esso veniva modificato nei seguenti termini: i "riferimenti temporali degli obiettivi di raccolta differenziata (%RD) fissati dal piano d'ambito cioè 42,6% medio nel 1 anno 56,7% medio nel 2 anno 65,0% medio nel 3 anno sono sposati nel 2015 così che il primo anno corrisponde all'anno solare 2015, dal 1 gennaio al 31 dicembre" (art. 11). In aggiunta veniva stabilito che, mentre l'obiettivo del primo anno non sarebbe stato considerato né ai fini della premialità, né ai fini della penalità, l'art. 52 del disciplinare avrebbe trovato applicazione ai fini delle premialità e/o delle penalità per gli obiettivi del 2016 (56,7%) e del 2017 (65%) (art. 12). In altri termini, gli obiettivi di raccolta differenziata originariamente fissati dall'ATI all'art. 52 del disciplinare tecnico per gli anni 2013-2014-2015 venivano posticipati al triennio 2015-2016-2017. Se, da un lato, non veniva espressamente modificato il riferimento all'anno 2012 contenuto nel disciplinare tecnico ("per i soli comuni che presentano percentuali di RD 2012 inferiore ai livelli obiettivo"), le seguenti considerazioni dimostrano che un'interpretazione letterale dell'accordo transattivo porterebbe a conseguenze illogiche non compatibili con la presumibile volontà delle parti. L'art. 52 del disciplinare tecnico pare logicamente interpretabile nel senso che il meccanismo premiale spettava al gestore nel caso in cui, con la propria attività, avesse incrementato la percentuale di raccolta differenziata nei Comuni non virtuosi rispetto a quella ivi registrata prima che il servizio fosse a lui affidato. Per l'effetto, il meccanismo premiale per il triennio 2013-2015 spettava al gestore per l'attività di raccolta svolta in quei Comuni ove la percentuale era, nell'anno precedente all'avvio del servizio (2012), inferiore al livello obiettivo fissato per il primo anno. Così ricostruita la giustificazione causale sottesa al diritto del gestore a vedersi corrispondere un premio, il successivo accordo transattivo del 2015 non pare logicamente interpretabile solo sulla scorta del dato letterale. Diversamente, si finirebbe per riconoscere al gestore il diritto ad una premialità a prescindere dal fatto che, con la propria attività, abbia o meno incrementato la percentuale comunale di raccolta differenziata rispetto all'anno precedente all'inizio dell'affidamento? In altri termini, si finirebbe per riconoscere al gestore un premio per gli anni 2016 e 2017 solo sulla base del fatto che nel 2012 il Comune di riferimento non era virtuoso, poiché aveva una percentuale di raccolta differenziata inferiore al primo livello obiettivo fissato dall'ATI ed indipendentemente dal fatto che tra il 2012 ed il 2014 l'ente territoriale ben poteva aver raggiunto tale soglia, senza il contributo (meritevole di una premialità) del RTI. Conseguentemente, l'accordo transattivo del 5.8.2015 deve essere interpretato nel senso che lo slittamento delle annualità è riferito non soltanto al triennio in cui il gestore ha diritto a maturare una premialità per il raggiungimento dei livelli obiettivo, ma anche all'anno che determina l'inclusione o meno del Comune tra quelli per cui il gestore ha diritto a vedersi riconosciuto un premio, identificabile, quindi, nell'anno 2014 e non più nell'anno 2012, come originariamente previsto dal solo disciplinare tecnico. Tale interpretazione non pare possa essere sconfessata dal sol fatto che il gestore aveva partecipato alla gara per l'affidamento della concessione sulla base dei dati di raccolta differenziata registrati per l'anno 2012 nei Comuni presso cui avrebbe dovuto erogare il proprio servizio. Accertato ciò, va quindi verificato se negli anni 2016 e 2017 il gestore aveva superato gli obiettivi da ultimo fissati con l'accordo transattivo del 5.8.2015. A tal fine l'attrice valorizzava i dati della raccolta differenziata risultanti dai monitoraggi presenti sul cloud dell'ATI n. 4 Umbria (cfr. all. 4, 19, 20 e 22 citazione). Al di là della ridotta valenza probatoria di tali documenti (si noti, tra i vari, che il file sub. 22 risulta esser stato modificato il 22.8.2017 proprio dalla parte che intende avvalersi di tale documento), nel disciplinare tecnico risulta espressamente stabilito che il livello percentuale di raccolta differenziata da porre a base del calcolo si identificava con quello certificato annualmente dalla Giunta Regionale ai sensi dell'art. 3, co. 2, lett. d), della L.R. n. 11 del 2009, a mente del quale la Regione Umbria "certifica la quantità dei rifiuti urbani e assimilati prodotti e i valori di raccolta differenziata conseguiti da ciascun ATI e da ciascun comune?" (cfr. Trib. Terni, sentenza n. 440/2022, RG n. 709/2021). Nel caso di specie, quindi, chiarito il parametro di riferimento da adottare ai fini della presente decisione, la Regione Umbria risulta aver certificato per il Comune di Stroncone una percentuale di raccolta differenziata pari al 62,8% per il 2016 (cfr. D.R.G. n. 446/2017 - all. 6 citazione) e pari al 63,5% per il 2017 (cfr. D.R.G. n. 667/2018 - all. 5 citazione). Pertanto, il gestore risulta aver superato i livelli obiettivo solo per l'anno 2016 (56,70%) e non, come erroneamente allegato da parte attrice, sulla base di un diverso parametro, per l'anno 2017 (65,0%). Ciò evidenziato, occorre comunque integrare la suddetta motivazione tenendo conto del fatto che, nel presente giudizio, l'ente locale interessato si costituiva contestando decisamente la richiesta di pagamento di parte attrice e che l'AURI si costituiva, seppur pochi giorni prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni, per contestare la propria legittimazione passiva, depositando anche alcuni documenti che, in quanto tardivamente prodotti, sono inutilizzabili. Ebbene, oltre a eccepire il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo la parte convenuta contestava la richiesta avversaria deducendo: 1) l'infondatezza della domanda di condanna nei confronti del comune convenuto; 2) la nullità dell'art. 52 del disciplinare tecnico allegato al contratto di servizio per contrarietà a norme imperative (art. 1, c. 654, L. n. 147 del 2013); 3) in subordine: insussistenza del credito del RTI A.-C. nei confronti del Comune di Stroncone - penalità per l'anno 2017; secondo la parte attrice, nell'anno 2017, il Comune di Stroncone non ha raggiunto la soglia obiettivo del 65% e, quindi, nulla sarebbe dovuto per l'anno 2017 e sarebbe l'Ente convenuto ad aver maturato un diritto di credito nei confronti di parte attrice (penalità) per l'anno 2017, pari ad Euro 4.016,00, secondo i calcoli eseguiti da AURI o nella diversa somma che risulterà in corso di causa (cfr. doc. 10, fasc. attrice). 4) in subordine, la parte convenuta ha contestato la richiesta attorea anche sul quantum rilevando che per il calcolo delle premialità si deve fare riferimento alla sola tariffa di smaltimento mentre per le penalità, ai sensi dell'art. 52, comma 2, si applicano le tariffe relative al trattamento ed allo smaltimento (cfr. doc. 11, fasc. attore). In merito alla deduzione sub. n. 1, oltre a quanto già rilevato al precedente punto sub. n.(...), deve osservarsi che l'Ambito Territoriale Integrato (inteso dalla normativa nazionale e regionale sia come suddivisione del territorio regionale sia come nuovo organismo sovracomunale competente in materia di gestione dei rifiuti) è stato istituito dalla Regione Umbria con L.R. n. 23 del 2007 in attuazione dell'art. 201 del D.Lgs. n. 152 del 2006 al fine di svolgere le funzioni ivi indicate. Con L.R. n. 11 del 2013, tali funzioni sono state poi attribuite all'Autorità Umbra per Rifiuti e Idrico - AURI - che è subentrata alle ATI, dando così continuità alle sue attività istituzionali (la L.R. n. 23 del 2007 aveva istituito nn. 4 ambiti territoriali integrati poi accorpati in un'unica Autorità in considerazione della nuova delimitazione dell'ambito territoriale ottimale coincidente con l'intero territorio regionale, come previsto dall'art. 2 L.R. n. 11 del 2013 cit.; cfr. anche Delib.G.R. 22/12/2008, n. 1875 in attuazione della L.R. n. 23 del 2007, art. 17, commi 3 e 4). Trattasi di un ente a struttura associativa, costituita dai comuni in "cooperazione" tra loro - sia pure sulla base di forme e modi stabiliti dalle Regioni ed in conformità alle linee guida statali - alla quale i Comuni medesimi sono chiamati a farne parte "obbligatoriamente". Conseguentemente, il modello organizzativo prescelto dal legislatore regionale ha comportato che, per la gestione integrata dei rifiuti, l'autonomia decisionale dei comuni viene "ridotta" perché rimessa alle determinazioni adottate dall'Autorità d'ambito, titolare del potere di disporre degli affidamenti e di stipulare i relativi contratti. Tuttavia, le modalità organizzative della suddetta Autorità garantiscono la partecipazione dei singoli Comuni che concorrono alla formazione della volontà dell'Autorità ed ai quali, quindi, devono essere imputati gli effetti delle relative decisioni (cfr. art. 21 L.R. n. 23 del 2007 che attribuisce i poteri decisionali all'Assemblea d'Ambito). A ciò si aggiunga che il contratto di servizio oggetto di causa risulta sottoscritto anche dal sindaco del Comune di Narni ad ulteriore prova dell'imputabilità dei relativi effetti anche direttamente all'ente locale oggi convenuto. Infine, deve essere osservato che difetta agli atti ogni documentazione regolatoria dei rapporti tra gli enti locali e l'Autorità d'ambito convenuta per cui, in assenza di contrarie risultanze, deve essere confermata l'imputabilità degli effetti del contratto oggetto di causa sia al Comune che all'Autorità convenuta, peraltro firmataria sia del contratto che dall'atto di transazione del 5/8/2015 (cfr. 1 e 14, fasc. attrice). Tali considerazioni portano a ritenere che, in merito alla richiesta di pagamento avanzata dalla parte attrice, deve quindi essere riconosciuta anche la legittimazione passiva dell'Autorità d'ambito (oggi AURI), costituitasi in giudizio solo in data 12 marzo 2023, mentre deve essere esclusa la legittimazione passiva dell'ATI n. 4 in quanto soggetto ormai confluito nell'AURI, la cui competenza è stata estesa all'intero territorio regionale, come risulta dalla citata normativa regionale. In merito alla deduzione sub. n. (...) deve osservarsi che il corrispettivo aggiuntivo "premiale" oggetto di causa veniva previsto nel disciplinare tecnico allegato al contratto stipulato fra le parti (art. 52) e che, in caso di necessità (i.e. "modifiche normative e degli atti di regolazione"), l'AURI poteva - con "determinazione unilaterale" - aumentare o diminuire il corrispettivo in sede contrattuale solo per gli anni successivi all'adeguamento stesso (art. 59) e ciò proprio al fine di tutelare il gestore e permettergli di allocare le proprie risorse, organizzative ed economiche, in modo efficiente e sostenibile e garantire l'esecuzione del servizio di gestione dei rifiuti, a tutela della collettività. Pertanto, le delibere adottate dall'AURI negli anni 2018-2019 con le quali è stato escluso in favore della parte attrice il corrispettivo aggiuntivo "premiale" oggetto di causa - quindi retroattivamente - si pongono in aperto contrato con le previsioni contrattuali. Né a tal fine può essere condivisa l'eccezione di nullità della citata clausola n. 52 del disciplinare tecnico per contrarietà a norme di carattere imperativo, l'art. 1, comma 654, L. n. 147 del 2013, atteso che il principio di piena copertura dei costi (full recovery cost) riguarda la copertura dei costi c.d. "efficienti" o utili e, nel caso di specie, l'innalzamento della percentuale di raccolta differenziata deve essere pacificamente considerato come un costo "efficiente" In considerazione della documentazione frammentaria depositata dalle parti, resta tuttavia non del tutto chiarita la modalità di copertura di tale costo e come lo stesso sia stato considerato per determinare la tariffa atteso che, dalla lettura del Piano economico finanziario allegato al Piano d'ambito (cfr. doc. 16, fasc. convenuta), risulta la previsione di un "Fondo di P." che sembrerebbe destinato più alle utenze dei Comuni virtuosi - in termini di una riduzione della "bolletta" - che non destinato al gestore del servizio. Per quanto riguarda la contestazione di cui al punto sub. n. (...), deve convenirsi con quanto rilevato dal Comune di Stroncone secondo cui, per l'anno 2017, sulla base della certificazione regionale, la parte attrice non aveva raggiunto il livello obiettivo della raccolta differenziata (65%), presupposto per l'applicazione del contributo aggiuntivo "premiale", per cui, fondatamente, nel presente giudizio la parte convenuta ha allegato l'inadempimento della parte attrice e chiesto l'applicazione della penalità prevista dal più volte citato art. 52 del disciplinare tecnico, quantificando la stessa nella somma di Euro 4.016,00 sulla base dei calcoli effettuati dalla stessa AURI, non sostanzialmente contestati dalla parte attrice. Infine, in relazione poi alla contestazione sub. n. (...), relativa al quantum, devono condividersi nuovamente le motivazioni addotte da questo Tribunale nella citata pronuncia n. 440/2022 (RG n. 709/2021) che di seguito si riportano: "Ai fini della quantificazione della pretesa creditoria del gestore occorre tenere conto di tre fattori che, in base alla formula algebrica descritta all'art. 52 del disciplinare tecnico, concorrono alla quantificazione della premialità: (i) il differenziale tra la percentuale di raccolta differenziata raggiunta e quella fissata come obiettivo (?RD), dato dalla differenza tra i due valori; (ii) la produzione annuale complessiva di rifiuti urbani del singolo Comune, anch'essa certificata annualmente dalla Regione Umbria con d.D.G.R.; (iii) la tariffa di smaltimento dei rifiuti urbani. Con riferimento, infine, alla tariffa di smaltimento dei rifiuti, va evidenziato che, diversamente dalla formula prevista per calcolare le penalità applicabili al gestore (basate sul "costo di trattamento e smaltimento della quantità di rifiuti urbani indifferenziati eccedente"), l'art. 52 del disciplinare tecnico quantificava espressamente il premio in base al risparmio apportato al Comune in termini di mero "costo di smaltimento dei rifiuti urbani" (cfr. all. 2 citazione). La diversa terminologia utilizzata dal concedente nel regolamentare il meccanismo premiante e penalizzante - peraltro all'interno del medesimo articolo - giustifica la valorizzazione dell'elemento letterale. Non appare, infatti, illogico sostenere che il concedente avesse previsto un meccanismo di penalità maggiormente afflittivo per il gestore, in base al quale quest'ultimo avrebbe dovuto sostenere non solo il costo di smaltimento dell'eccedenza di rifiuti indifferenziati, ma anche quello relativo al trattamento. A ciò si aggiunga che l'interpretazione del disciplinare tecnico, predisposto dall'ATI n. 4 Umbria - definito come "una forma speciale di cooperazione fra gli enti locali, con personalità giuridica, autonomia regolamentare, organizzativa e di bilancio ? cui si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di enti locali" e a cui la Regione Umbria "ha attribuito ? le funzioni di cui al Capo III della Parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006 s.m.i." (cfr. all. 1 citazione) - e da qualificare come atto amministrativo, impone al giudice di ricostruire la volontà dell'ente pubblico (e non anche quella del suo destinatario) applicando sì le regole dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c., ma nei limiti di quanto compatibili e tenendoconto del carattere preminente che assume il dato testuale (cfr. Cass. S.U. n. 20181/2019; conf. Cass. n. 11409/1998). Né può ritenersi che l'interpretazione qui accolta violi l'art. 7 D.Lgs. n. 36 del 2003, non esonerando certo il gestore dal compiere il trattamento dei rifiuti prima di procedere al loro smaltimento. Chiarito ciò, in base all'art. 40 della L.R. n. 11 del 2009, la tariffa di conferimento dei rifiuti agli impianti, di trattamento e smaltimento viene approvata dall'ATI e, in base all'art. 34 del disciplinare tecnico P14 (cfr. all. 2 citazione), risulta da questo definita annualmente. Ebbene, in base dell'interpretazione letterale accolta, il terzo fattore di calcolo deve identificarsi nel solo costo di smaltimento annualmente fissato dall'ATI n. 4 e quantificato in 111,61Euro/t per l'anno 2016 ed in 112,51Euro/t per l'anno 2017 (cfr. allegati C perizia)." (cfr. Trib. Terni, sentenza n. 440/2022, RG n. 709/2021). Nel caso di specie, pertanto utilizzando i dati, sotto questo aspetto, non contestati fra leparti, il differenziale deve essere parametrato in base alla percentuale di raccolta differenziata certificata dalla Regione Umbria. Conseguentemente, dalla documentazione in atti (cfr. all. 5 e 6 citazione) per l'anno 2016 risulta un differenziale pari al 6,10% (62,80% - 56,7%) mentre per l'anno 2017 risulta in differenziale, in negativo, pari all'1,5% (65% - 63,50%). Passando al secondo fattore, nelle delibere adottate annualmente dalla Regione Umbria viene quantificato, sotto la voce "RU", il totale dei rifiuti urbani di ciascun Comune (espresso in tonnellate). Sulla base dei dati certificati per il Comune di Narni dalla Regione Umbria, la produzione complessiva di rifiuti urbani (PRU) ammontava per il 2016 a 1.471 tonnellate e per il 2017 a 1.689 tonnellate. Alla luce di tutte le considerazioni sinora svolte ed applicando la formula matematica descritta all'art. 52 del disciplinare tecnico, per l'anno 2016, il credito vantato dal gestore ammonta ad Euro 5.007,38 (0,5 x 89,73 x 111,61) mentre, per l'anno 2017, il debito maturato dal gestore ammonta ad ad Euro 4.015,31 (25,33 x 158,52) per l'anno 2017 (cfr. i conteggi effettuati da parte convenuta nella propria comparsa conclusionale e non contestati da parte attrice). Conseguentemente, operata una compensazione fra i due importi, come richiesto da parte convenuta nella propria comparsa tempestivamente depositata, va riconosciuto all'attrice il complessivo importo di Euro 992,07 a titolo di premialità maturato nell'anno 2016 per il servizio svolto nel Comune di Stroncone, oltre interessi al tasso legale dalla domanda al saldo, condannando le convenute - Comune di Narni e AURI - in solido al relativo pagamento. 3. Le spese possono essere compensate fra le parti attesa la soccombenza reciproca e, comunque, in considerazione dell'assoluta novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - dichiara il difetto di legittimazione passiva dell'AURI - Sub Ambito n. 4 - (già ATI n. 4); - in parziale accoglimento della domanda, condanna il Comune di STRONCONE e l'Autorità Umbra Rifiuti e Idrico (A.U.R.I.), in solido, al pagamento in favore dell'As. S.P.A., quale mandataria del R.T.I. costituto tra As. S.P.A. e Co. SOCIETA' COOPERATIVA, della somma di Euro992,07, oltre interessi nella misura legale dalla domanda sino al soddisfo; - Spese compensate. Così deciso in Terni il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI Il Tribunale, in persona del giudice dott.ssa Dorita Fratini ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 414 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2018, trattenuta in decisione all'udienza del 29.03.2023 e vertente TRA Ba.Cr. COOPERATIVO T. - Um. SOCIETA' COOPERATIVA già Cr. COOPERATIVI SOCIETA' COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. La.Br., come da procura in atti; ed elettivamente domiciliata in Terni, Via (...), presso lo studio dell'avv. To.Fi. ATTORI E Ce.Fr. E Ce.Fu. tutti elettivamente domiciliati in Orvieto, via (...), presso lo studio dell'avv.to Fr.Ro. che li rappresenta e difende, come da procura in atti; CONVENUTI E NEI CONFRONTI DI Bc. S.R.L. 2018-2 cessionaria intervenuta e per essa la mandataria Do. S.P.A., già It. S.P.A, in persona del legale rappresentante p.t., nella sua qualità di procuratore di Bc. E Np. S.R.L. 2018 rappresentati e difesi dall'avv. Ro.Ma. come da procura in atti; ed elettivamente domiciliata in Roma, Via (...), presso il suo studio; INTEREVENUTI OGGETTO: contratti bancari. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I)SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato il 16 Febbraio 2018, la Bc.Um. SOCIETÀ COOPERATIVA (già Cr. SOC. COOP.) conveniva in giudizio F. e Fr.Ce., nella loro qualità di ex soci della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. (d'ora in avanti per brevità indicata anche come Fr.Ce.), rassegnando le seguenti conclusioni, come precisate in data 28.3.2023: "Voglia l'Ecc.mo Giudice adito, contrariis rejectis, 1) Accertato il credito di Ba.Cr. (già Bc.Um. - già C.) e ora, per effetto della intervenuta cessione, di Bc. 2018- 2 srl, nei confronti della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. per l'importo di Euro 846.513,94 per saldo debitore del c/c ipotecario 612198, per rimborso del mutuo fondiario n.(...) del 3/8/2011 e per rimborso del mutuo fondiario n.(...) del 26/1/2007 somma comprensiva degli interessi maturati al 19/12/2017 come indicato in citazione oltre interessi maturati e maturandi dal 20/12/2017 al soddisfo al tasso del (...),50%, comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente, sulla somma di Euro 342.527,03; interessi al tasso convenzionale del 5,70% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 56.872,37; interessi al tasso convenzionale del 2,40% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 394.729,65- (...)) Accertato che la società Fr.Ce. snc di F. e Fr.Ce. è stata cancellata dal Registro delle Imprese il 22/9/2014 e che, per l'effetto, i rapporti obbligatori si sono trasferiti ai soci Ce.Fr. e Ce.Fu. già illimitatamente responsabili della società estinta; 3) Dichiarare gli ex soci illimitatamente responsabili F. E Fr.Ce. debitori di Ba.Cr. SOCIETA' COOPERATIVA e, per effetto della intervenuta cessione, di Bc. 2018-2 srl dell'importo di Euro 846.513,94 oltre interessi al tasso convenzionale del 15,50%, comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 20.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 342.527,03; interessi al tasso convenzionale del 5,70% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 56.872,37; interessi al tasso convenzionale del 2,40% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 394.729,65 4) Condannare gli ex soci illimitatamente responsabili F. E Fr.Ce. a pagare, insieme ed in solido tra loro, alla cessionaria Bc. 2018-(...) srl, la somma di Euro 846.513,94 oltre interessi al tasso convenzionale del 15,50%, comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 20.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 342.527,03; interessi al tasso convenzionale del 5,70% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 56.872,37; interessi al tasso convenzionale del 2,40% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 394.729,65; 5) Accertare e dichiarare la successione in favore di Ce.Fr. e Ce.Fu. nella titolarità dei beni intestati a favore di Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. gravati dalle ipoteche iscritte in favore di C., poi B.U.C. società cooperativa, poi Ba.Cr. società cooperativa e specificatamente: -Fabbricato sito in P.L.B. distinto al NCEU di detto Comune al foglio (...) numero (...) graffato con il numero 899, cat (...), r.c. Euro 3.129,73, mentre l'area dello stesso è censita al NCT di detto comune al foglio (...) numero (...) della superficie catastale di ha. 0.64.50 e numero 899 della superficie catastale di ha. 0.13.50 nonché terreni siti in Parrano distinti al foglio (...) particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); -Terreni siti in Comune di F. distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...); -Terreni siti in Comune di Montegabbione distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...), (...) e (...); (...)) Dichiarare che i detti beni sopra indicati appartengono in comunione indivisa ai sigg.ri Ce.Fr. (C.F. (...) ) nato a F. il 21.12.1950, Ce.Fu. (...) , e Ce.Fr. (C.F. (...) ) nato a F. il (...) ordinando al Conservatore dei Registri Immobiliari la trascrizione della emananda sentenza con esonero da ogni sua responsabilità al riguardo 7) Rigettare tutte le domande, anche riconvenzionali, tutte le eccezioni, nessuna esclusa, anche riconvenzionali, tutte le istanze anche istruttorie proposte dai convenuti Ce.Fr. e Ce.Fu.. Con refusione delle spese del giudizio". A fondamento della domanda esponeva di essere creditrice della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce., nonché dei soci illimitatamente responsabili della somma complessiva di Euro 846.513,94 derivante da: -saldo negativo del c/c ipotecario n. (...) pari ed Euro 342.527.03 -debito residuo relativo al mutuo fondiario n. (...) del 3.08.2011, pari ad Euro 73.036,31 (di cui 56.872,37 quale capitale residuo, Euro 4.573,42 quali interessi sulle rate scadute ed Euro 11.590,52 per interessi moratori). -debito residuo relativo al mutuo fondiario n. (...) del 26.01.2007, pari ad Euro (di cui 394.729,65 quale capitale residuo, Euro 17.951,01 quali interessi sulle rate scadute ed Euro 18.269,94 quali interessi moratori). A garanzia delle obbligazioni nascenti dai suddetti atti, la società Fr.Ce., nonché i soci Ce.Fr. e Fu. personalmente avevano concesso ipoteca a favore della banca creditrice, iscritta su diversi compendi immobiliari di proprietà della società e dei soci (come descritti a pag. 3 dell'atto introduttivo del giudizio). La banca deduceva che in data 22.9.2014 la Fr.Ce. SNC veniva cancellata dal registro delle imprese senza che si fosse proceduto alla liquidazione del patrimonio societario, con la conseguenza che i soci illimitatamente responsabili succedono nella titolarità dei beni che facevano capo alla società estinta e rispondono dei debiti della stessa rimasti insoddisfatti. La vocatio in ius fissava la data per la comparizione delle parti davanti al Tribunale di Terni in data 5.6.2018, differita ai sensi dell'art. 168, comma 4 c.p.c.. In data 1.6.2018 i convenuti F. e Fr.Ce. si costituivano in giudizio formulando una domanda di accertamento di un proprio credito verso la banca, opposto in compensazione con il credito dalla stessa azionato in giudizio e rassegnando le seguenti conclusioni "Accertato il credito vantato dai Convenuti per le ragioni sopra esposte nella misura indicata o in quella diversa che risulterà in corso di causa, disporne la compensazione giudiziale con quello di Parte attrice riducendone l'entità sino alla concorrenza del relativo importo. Piaccia altresì al Tribunale accertare e dichiarare l'operatività del beneficio della preventiva escussione sui beni da intestare in comunione ai Convenuti, già di proprietà della società estinta Fr.Ce. s.n.c. Con vittoria di spese e compenso professionale". In particolare i convenuti, nella loro qualità di soci della società estinta, affermavano che la società, oltre ai rapporti azionati dalla banca, era titolare di un conto corrente ordinario n. 10203 al quale erano collegati due conti tecnici con relative aperture di credito, un conto anticipi su fatture ed un conto anticipi salvo buon fine. Su tale conto erano state applicate poste illegittime quali commissioni di massimo scoperto, spese non pattuite e la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. A sostegno delle proprie allegazioni, parte attrice produceva una consulenza econometrica che ricalcolava il saldo, epurato dalle poste asseritamente illegittime, il quale risultava a favore del correntista per l'importo di Euro 230.697,95. Ciò premesso, chiedeva, previo accertamento della illegittimità delle poste che avevano concorso alla formazione del saldo del conto corrente n. (...) e la rideterminazione del saldo a favore del correntista, la compensazione tra i rispettivi crediti. Eccepiva inoltre il beneficium excussionis in relazione alle domande attinenti ai beni immobili appartenenti alla società, pervenuti ai soci a seguito della cancellazione della stessa dal registro delle imprese. Alla prima udienza del 7 giugno 2018 il giudice rilevava d'ufficio, ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010, l'improcedibilità della domanda avente ad oggetto controversie in materia bancaria e finanziaria, in ragione del mancato esperimento della mediazione obbligatoria ed assegnava un termine alle parti per introdurla. La mediazione veniva incardinata davanti all'organismo forense di Terni dall'istituto di credito che depositava nel fascicolo telematico il verbale negativo del 10.07.2018, attestante la mancata comparizione dei convenuti. La causa veniva istruita attraverso il deposito di documentazione e delle memorie ex art. 183, comma VI c.p.c.. Intervenivano nel giudizio, con atto depositato in data 11.6.2019 la It. Srl, nella sua qualità di procuratore della Bc. 2018 -2 S.r.l e cessionaria dei crediti de quo, depositando un atto di intervento volontario ex art. 111 c.p.c., adesivo rispetto alle eccezioni, deduzioni e domande svolte dalla originaria attrice. In data 24.11.2022 la Bc. 2018-2 S.r.l. e per essa la mandataria D. S.p.A si costituivano in giudizio, depositando un atto di intervento volontario ex art. 111 c.p.c., adesivo rispetto alle eccezioni deduzioni e domande della originaria parte attrice. All'udienza del 29.3.2023, la prima tenuta da questo giudice istruttore, la causa veniva presa in decisione, con concessione dei termini di rito per lo scambio degli scritti conclusionali. II)SULLA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA Anzitutto, va rilevata la procedibilità della domanda giudiziale stante l'esperimento da parte della banca attrice della mediazione obbligatoria, in conformità con quanto previsto dall'art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010 (si veda verbale della mediazione depositato telematicamente in data 12.11.2018). Come si dirà meglio in prosieguo, la costituzione dei convenuti è tardiva e quindi le domande ed eccezioni riconvenzionali dagli stessi formulate nella memoria di costituzione sono inammissibili: tale valutazione assorbe ogni questione relativa alla procedibilità in relazione al mancato esperimento della mediazione obbligatoria, in mancanza di prova che la mediazione promossa dalla attrice vertesse anche sulla domanda e sulla eccezione riconvenzionale dei convenuti. Dal verbale redatto dall'organismo di mediazione emerge che l'esito negativo è una conseguenza della mancata partecipazione dei convenuti all'incontro fissato dinanzi all'organismo di Mediazione Forense di Terni. In base all'art. 8, co. 4 bis, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 28 del 2010 il Giudice, nei procedimenti per cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, deve condannare la parte costituita in giudizio, che non abbia partecipato al procedimento di mediazione senza addurre alcun giustificato motivo, a versare all'entrata del bilancio dello Stato una somma pari all'importo del contributo unificato dovuto per il giudizio. Considerato che l'applicazione di detta sanzione è doverosa, Fr.Ce. e Fr.Ce. devono essere condannati al versamento di una somma pari all'importo del contributo unificato, che ammonta ad Euro 1.686,00. III)IL MERITO DELLA CONTROVERSIA Le domande attoree sono fondate e debbono essere accolte, mentre deve essere dichiarata l'inammissibilità delle domande ed eccezioni riconvenzionali dirette a far valere la compensazione proposte dai convenuti, per i motivi che di seguito si esporranno. A)LA CANCELLAZIONE DELLA SOCIETA' DI PERSONE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE E LA RESPONSABILITA' DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI A1)Parte attrice ha chiesto la condanna di C.F. E C.F., nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della Fr.Ce. al pagamento di una ingente somma di denaro, quale debito residuo maturato nel contesto di plurimi rapporti contrattuali intercorsi tra la suddetta società e la B.D.C.C. (alla quale ultima subentravano gli enti costituiti in giudizio ex art. 111 c.p.c.). Parte attrice ha provato il proprio interesse ad agire, documentando il credito verso la società estinta e la costituzione di una garanzia ipotecaria su alcuni beni della società specificamente elencati nell'atto introduttivo. E' provato documentalmente ed è stato ammesso anche dai convenuti che la suddetta società in data 22.09.2014 veniva cancellata dal registro delle imprese, senza che si fosse proceduto alla liquidazione di tutto il patrimonio sociale: dalla visura emerge che la cancellazione è stata volontaria (per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale) e senza apertura della liquidazione (pag. 4 all. 4 all'atto introduttivo). E' provato documentalmente (all. 4 alla citazione) ed è stato ammesso anche dai convenuti che costoro erano gli unici soci della società prima della cancellazione. Giova evidenziare in diritto che quando viene approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese ed i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi, ai sensi dell'art. 2312 c.c.. Secondo la Suprema Corte, la norma richiamata non autorizza la lettura secondo cui l'estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal Registro delle imprese, comporta anche l'estinzione dei debiti rimasti insoddisfatti che ad essa facevano capo, in quanto una simile interpretazione "finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui (magari facendo venir meno, di conseguenza, le garanzie, prestate da terzi, che a quei debiti eventualmente accedano), e ciò pare tanto più inammissibile in un contesto normativo nel quale l'art. 2492 c.c. non accorda al creditore la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione" (Cass. SU n. 6070 del 12/03/2013). Il debito di cui possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro delle imprese non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s'identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa, la propria originaria natura giuridica (Cass. Sent. n. 5113 del 3 aprile 2003) e le garanzie che lo connotano. La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, quindi, ne determina l'estinzione e priva la stessa della capacità di stare in giudizio, così dando vita ad un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, in base al regime giuridico cui erano soggetti prima della cancellazione, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente (Cass. Sez. V, n. 24955/2013; Cass. 17564/2013). I soci della società estinta, quindi, rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, in base all'art. 2291 c.c.. Alla luce dei principi richiamati, i convenuti F. e Fr.Ce., soci della società di persone estinta, sono responsabili in solido rispetto alla totalità dei rapporti debitori della suddetta società, non estinti al momento della cancellazione dal registro delle imprese ed ora riferibili alla N. S.R.L. 2018-2, in virtù degli atti di cessione del credito intercorsi tra la banca originaria creditrice e gli enti cessionari, che hanno tutti spiegato atto di intervento ex art. 111 c.p.c. nel presente giudizio. Parte attrice ha azionato un credito maturato verso la società prima della cancellazione della società, che non solo non è stato contestato nell'an e nel quantum, ma i convenuti lo hanno sostanzialmente ammesso, visto il tenore delle loro difese; inoltre il credito è stato provato documentalmente da parte attrice, attraverso la produzione in giudizio dei contratti e degli estratti del conto corrente (all. 1,(...),3 alla citazione). Il credito della B., quindi, sussiste ed è stato correttamente azionato verso i soci, in considerazione della perdita della capacità processuale della società che ha contratto i debiti ed in ragione della fattispecie successoria che connota l'estinzione delle società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese. I convenuti pertanto debbono essere condannati al pagamento a favore della N. S.R.L. 2018-2, quale cessionaria dei crediti azionati dalla parte attrice nel presente giudizio, della somma di Euro 846.513,94, quale credito residuo verso la società cancellata dal registro delle imprese, maturato prima della estinzione della stessa e rimasto insoddisfatto, oltre interessi come indicato nella citazione. A2)Parte attrice, titolare di crediti garantiti da ipoteca, iscritta sui beni della società debitrice, ha citato in giudizio i convenuti nella loro qualità di soci unici ed illimitatamente responsabili, affinchè venisse accertato che, a seguito della estinzione dell'ente, i beni immobili ipotecati sono divenuti di proprietà degli stessi soci Ce.Fr. e C.F., in comunione indivisa. Giova premettere in diritto che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte "? qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale ma si trasferisce ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente a seconda e che "pendente societate" fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa con esclusione delle mere pretese"?. "Il subingresso dei soci nei debiti sociali, sia pure entro i limiti e con le modalità cui sopra s'è fatto cenno, suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio. Se l'esistenza dell'ente collettivo e l'autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate, di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti unificati dalla destinazione impressa loro dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s'instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni per tengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della con titolarità o della comunione." (Cass. SU n. 6070 del 12/03/2013, nonché SU nn. 6071 e 6072 del 2013; si veda anche Trib Milano- Sez. Spec., sentenza del 6 aprile 2017 in Le società-IPSOA nn.8-9/2017). Applicando tali principi alla fattispecie in oggetto si osserva che non è contestato, è provato documentalmente ed è stato ammesso anche dai convenuti, che la società Fr.Ce. S.N.C. era proprietaria di alcuni beni immobili gravati da ipoteca a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni verso la banca nascenti dai contratti di mutuo e dal contratto di apertura di credito in c/c, che non sono stati attribuiti ai soci e segnatamente: 1)Fabbricato sito in P.L.B. distinto al NCEU di detto Comune al foglio (...) numero (...) graffato con il numero 899, cat (...), r.c. Euro 3.129,73, mentre l'area dello stesso è censita al NCT di detto comune al foglio (...) numero (...) della superficie catastale di ha. 0.64.50 e numero 899 della superficie catastale di ha. 0.13.50; 2)Terreni siti in Parrano distinti al foglio (...) particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); 3)Terreni siti nel Comune di F. distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...); 4)Terreni siti in Comune di Montegabbione distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...), (...) e (...). Parte attrice ha provato il proprio interesse ad agire in quanto è titolare di un credito garantito da ipoteca, per la cui escussione è necessario l'accertamento relativo alla titolarità degli immobili, già di proprietà della Fr.Ce. srl, i quali, a seguito della cancellazione della stessa dal registro delle imprese e della estinzione, ex lege sono divenuti di proprietà degli unici soci cessati, ossia gli odierni convenuti. Come osserva la dottrina, la cancellazione della società dal registro delle imprese comporta l'estinzione dell'ente pertanto i residui attivi del suo patrimonio non possono più essere ricollegati all'ente estinto e si verifica una vicenda successoria che comporta il trasferimento ai soci, in regime di contitolarità e comunione indivisa, dei diritti e dei beni non liquidati. I rapporti giuridici delle società cancellate dal registro delle imprese sopravvivono alla estinzione e ciò vale anche per i rapporti attivi, ossia i beni che non sono stati oggetto di trasferimento nella fase della liquidazione o di attribuzione ai soci, rispetto ai quali opera ex lege un mutamento automatico della titolarità giuridica, direttamente connesso al fenomeno successorio che la cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione della società comportano. La Suprema Corte con riferimento ai crediti ha ribadito che la mera cancellazione dal registro delle imprese non può, di per sé sola, per la sua invincibile equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne una volontà abdicativa (Cass. Sez. 1, sentenza n. 9464 del 22/05/2020 in motivazione) e dunque a fortiori deve ritenersi che detta volontà abdicativa non possa sussistere rispetto ai beni di cui la società è titolare, i quali non possono restare nella titolarità di un soggetto giuridico non più esistente e non possono essere considerati res derelicta. A ciò si aggiunga che la perdurante titolarità dei beni in capo alla società estinta renderebbe irrimediabilmente vana la garanzia ipotecaria ed esporrebbe il credito all'arbitrio dei soci che, per sottrarsi all'adempimento, cancellano la società dal registro delle imprese, eludendo i debiti maturati. Il fenomeno successorio che la cancellazione automaticamente determina, invece, neutralizza eventuali condotte opportunistiche dei soci, i quali, a far data dalla cancellazione, diventano titolari dei beni della società nello stato in cui si trovano e dunque con i pesi e le garanzie ipotecarie su di essi gravanti. Nel caso di specie non è contestato che i beni immobili già di proprietà della società di persone estinta siano tutt'ora intestati alla stessa nei registri immobiliari, in quanto non oggetto di alcuna attività liquidatoria e non contemplati nel bilancio finale di liquidazione, omesso nel caso concreto, e che non siano attribuiti ai soci, circostanze incontestate e dunque provate ex art. 115 c.p.c.. I convenuti, unici soci della società al momento della cancellazione, sono divenuti titolari dei suddetti beni e parte attrice ha interesse ad ottenere l'accertamento della loro titolarità, al fine di poter escutere la garanzia ipotecaria dei crediti rimasti insoluti. Alla luce delle argomentazioni deve essere che precedono la domanda di accertamento svolta da parte attrice deve essere accolta. Parte attrice ha chiesto che fosse ordinata la trascrizione della domanda giudiziale ed in sede di precisazione delle conclusioni ha modificato la sua istanza ed ha chiesto che fosse ordinata la trascrizione della sentenza. Il Giudice ritiene che, anche a voler ritenere che la presente sentenza possa essere trascritta, alcun ordine dovrebbe essere impartito al Conservatore, il quale vi può provvedere su istanza della parte interessata, qualora la sentenza sia trascrivibile. A tal proposito si osserva che il giudice, in linea con una parte della dottrina, ritiene che l'automaticità del mutamento della titolarità dei beni, correlata al meccanismo successorio, renda non necessaria la trascrizione in quanto per ciò che attiene alla titolarità occorre fare riferimento alla risultanze storiche del Registro delle Imprese, attestanti la cancellazione della società e la composizione societaria, idonee ad assicurare la continuità delle trascrizioni. Pur nella consapevolezza della astratta necessità, per ragioni di certezza giuridica, di trascrivere un provvedimento giudiziale che abbia una portata ricognitiva della situazione proprietaria, occorre tuttavia considerare che manca una norma che consenta la trascrizione del suddetto provvedimento, il quale non rientra nell'elenco tassativo degli atti soggetti a trascrizione di cui all'art. 2643 c.c.., che prevede la trascrizione delle sentenze che hanno ad oggetto la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti previsti nei numeri precedenti (n.14); l'emananda sentenza di accertamento, invece, non presenta queste caratteristiche, pur avendo ad oggetto diritti reali (arg. ex Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13695 del 22/06/2011). B)INAMMISSIBILITA' DELLE DOMANDE ED ECCEZIONI DI PARTE CONVENUTA RIGUARDANTI LA COMPENSAZIONE DEI CREDITI I convenuti chiedono l'accertamento di un proprio credito verso la banca ed eccepiscono la compensazione con il maggior credito della attrice che non è contestato. I convenuti, tuttavia, tendono ad ottenere l'accertamento di un controcredito avente ad oggetto un rapporto autonomo e diverso da quelli dedotti nell'atto di citazione e sollevano una eccezione di compensazione "propria", che, in forza dell'art. 1241 e segg. c.c., postula l'autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti. Qualora i rispettivi crediti e debiti abbiano invece origine da un unico rapporto e si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, sempre che tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto, diversamente, si verificherebbe un - non consentito - ampliamento del "thema decidendum". Qualora i reciproci debiti e crediti traggano origine da un unico rapporto contrattuale, si è in presenza di una ipotesi di compensazione impropria, basata sull'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare e avere e l'eccezione di compensazione c.d. impropria (detta anche atecnica o contabile) non è soggetta alle preclusioni processuali. La compensazione in senso proprio, invece, opera allorquando i contrapposti crediti e debiti delle parti scaturiscono da autonomi rapporti giuridici. L'accertamento della natura c.d. propria o impropria dell'ipotesi di compensazione sottoposta all'esame del giudice si riflette direttamente sul piano processuale atteso che, se la reciproca relazione di debito-credito trae origine da un unico rapporto (c.d. relazione impropria), l'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice anche d'ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cd. propria che, per operare, postula l'autonomia dei rapporti e richiede l'eccezione di parte, da sollevarsi nei termini perentori previsti dal codice di rito (Cass. n. 12302/2016; conf. n. 7474/2017 ; ed 1987 n. 7924). La compensazione invocata dai convenuti non solo trova fondamento in un rapporto autonomo, ma presuppone l'accertamento giudiziale di un credito che non è certo, liquido ed esigibile. La compensazione è applicabile d'ufficio soltanto se i rispettivi crediti e debiti certi, liquidi ed esigibili, traggano origine da un unico rapporto, non quando derivano da rapporti diversi che, nel caso di specie, controparte tra l'altro non prova, quanto al titolo ed alla effettiva consistenza, formulando domande generiche che, in ogni caso, renderebbero necessari approfondimenti istruttori diretti ad accertare la effettiva consistenza del controcredito opposto in compensazione. Nel caso di specie non vi è alcun dubbio che i convenuti abbiano promosso istanze soggette a rigorosi termini di decadenza, previsti dall'art. 167 c.p.c. La loro costituzione è avvenuta in data 1.6.2018 e dunque senza il rispetto dei termini previsti dall'art. 167 c.p.c, avuto riguardo alla data della udienza di prima comparizione indicata nell'atto introduttivo (5.6.2018), con la conseguenza che deve essere dichiarata l'inammissibilità delle domande ed eccezioni riconvenzionali dagli stessi proposte. C)SUL BENEFICIO DI PREVENTIVA ESCUSSIONE I convenuti hanno invocato il beneficium excussionis previsto per le società in nome collettivo dall'art. 2304 c.c.. Tale norma prevede che i soci possano invocare detto beneficio quando la società è operativa ovvero in liquidazione e non certo nelle ipotesi in cui la società sia stata cancellata dal registro delle imprese, atteso che viene meno il soggetto giuridico a cui la banca possa rivolgere in prima istanza le sue pretese, prima di escutere il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili. A ciò si aggiunga che secondo la prevalente giurisprudenza il beneficium excussionis si atteggia diversamente a seconda che si tratti di società in nome collettivo o di società semplice - la cui disciplina si applica anche alle società di fatto - poiché, in presenza della prima il creditore non può pretendere il pagamento dal socio se non dopo l'escussione del patrimonio sociale, mentre il socio della seconda, richiesto del pagamento di debiti sociali, può invocare il beneficio indicando i beni sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi (Cass. n. 11921/1990). Secondo la giurisprudenza maggioritaria, tuttavia, il beneficio opera limitatamente alla sede esecutiva e non impedisce al creditore sociale di esercitare una azione di cognizione nei confronti del socio, prima di intraprendere l'azione esecutiva nei confronti della società (Cass. n. 6048/2003; Cass. n. 5434/1998; Cass. n. 5479/1986) in modo tale da procurarsi così un titolo esecutivo necessario per iscrivere ipoteca o per procedere ad una rapida esecuzione nei confronti del socio medesimo. L'accertamento richiesto dai convenuti, quindi, non merita accoglimento atteso che non opera alcun beneficio di preventiva escussione a favore degli stessi, che sia azionabile nel presente giudizio. Tanto premesso, applicando le coordinate teoriche richiamate al caso concreto, analogamente a qualsiasi altro fenomeno di successione particolare, i beni facenti capo alla società estinta, nella medesima consistenza e gravati dagli stessi oneri e pesi, sono passati nella titolarità dei due soci illimitatamente responsabili F. e Fr.Ce. e l'accertamento richiesto non è inficiato dalla eccezione di preventiva escussione sollevata dai convenuti. D)Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo in favore della sola attrice, posto che le società intervenute hanno partecipato solo alla fase finale del giudizio, sostanzialmente associandosi alle difese ed alle conclusioni della attrice. La liquidazione tiene conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 (come da ultimo aggiornata), in base al valore (scaglione di riferimento da Euro 520.000,01 ad Euro 1.000.000,00), alla natura e alla complessità della controversia e alla reale attività svolta in fase istruttoria, secondo i parametri minimi, in ragione della esiguità degli incombenti istruttori espletati, nella misura di Euro 14.598,00, oltre accessori come per legge (euro 2.304,00 per la fase di studio; Euro 1..520 per la fase introduttiva, Euro 6.767,00 per la fase istruttoria; Euro 4.007,00 per la fase decisoria). P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, ogni altra istanza, eccezione, domanda e conclusione disattesa o assorbita, così provvede: A)In accoglimento delle domande di parte attrice, accertata l'estinzione a far data dal 22.9.2014 della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce., (P.I. (...)), con sede in P. (T.) Loc. F. del B. e accertato il credito della Ba.Cr.T.U. (già Bc.Um. - già C.) e ora, per effetto della intervenuta cessione, di Bc. 2018- 2 srl, nei confronti della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. per l'importo di Euro 846.513,94 e dei convenuti nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della società estinta: -condanna Fr.Ce. E Fr.Ce., in solido tra loro, al pagamento a favore della Bc. 2018- 2 srl della somma di Euro 846.513,94, oltre interessi come conteggiati dall'attore; -accerta che i seguenti beni immobili: 1)Fabbricato sito in P.L.B. distinto al NCEU di detto Comune al foglio (...) numero (...) graffato con il numero 899, cat (...), r.c. Euro 3.129,73, mentre l'area dello stesso è censita al NCT di detto comune al foglio (...) numero (...) della superfice catastale di ha. 0.64.50 e numero 899 della superfice catastale di ha. 0.13.50; (...))Terreni siti in Parrano distinti al foglio (...) particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); 3)Terreni siti nel Comune di F. distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...); (...))Terreni siti in Comune di Montegabbione distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...), (...) e (...), a far data dal 22.9.2014 sono divenuti di proprietà esclusiva, in comunione indivisa, dei convenuti Fr.Ce. nato a F. il (...) (C.C.) e Fr.Ce. nato a F. il (...) (CF (...)) unici soci illimitatamente responsabili della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. prima dell'estinzione; B)Dichiara inammissibili le domande e le eccezioni riconvenzionali di parte convenuta; C)Condanna Fr.Ce. E Fr.Ce. alle refusione delle spese legali nei confronti della Ba.Cr. COOPERATIVO T. - Um. SOCIETA' COOPERATIVA, che liquida in Euro 14.598,00, oltre iva ed accessori se dovuti, nonché alla refusione delle somme di Euro 1686,00, pagata dall'attore per il contributo unificato, ed Euro 27,00 per i diritti; D)Compensa le spese tra gli intervenuti e le altre parti del giudizio; E)Condanna Fr.Ce. E Fr.Ce. in solido tra loro, al pagamento nei confronti dell'Erario della somma di Euro 1.686,00 ex art. 8, co. 4 bis, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 28 del 2010; Così deciso in Terni il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il giudice del lavoro dott.ssa Luciana Nicolì, alla odierna udienza del 3 maggio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE nella causa iscritta al n. 158/2022 R.G., promossa da (...), difeso e rappresentato dagli avvocati Ch.La. e Lu.Za., come da procura in atti; RICORRENTE contro (...) - soc. coop., in persona del proprio legale rappresentante pro tempore; CONVENUTO CONTUMACE Oggetto: differenze retributive MOTIVAZIONE IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 14 marzo 2022 (...) deduceva: - di avere prestato attività di guardiania non armata, portierato e receptionist presso la (...) s.p.a. di Terni dal marzo 2017 al novembre 2021, inquadrato al livello D) del CCNL Sefi; - che gli veniva corrisposta una paga base lorda oraria di Euro 5,37 (pari ad Euro. 930,00 lordi mensili per 173 ore); - che tale retribuzione era inferiore, di circa il 30-35%, a quella prevista da altri CCNL per lavoratori adibiti allo svolgimento delle stesse mansioni (in particolare, CCNL Multiservizi e CCNL Terziario); - che tale trattamento retributivo non rispettava l'art. 36 cost., che riconosce il diritto ad una retribuzione proporzionale e sufficiente, di diretta e immediata applicazione; - che la paga base tabellare mensile applicata dall'odierna resistente era inferiore rispetto al tasso soglia di povertà indicato dall'ISTAT che prevede un importo minimo variabile da Euro. 1329,92 (nel 2018) ad Euro. 1355,04 (nel 2020); - che la resistente aveva omesso di versargli il contributo mensile per l'iscrizione al fondo (...), previsto dall'art. 32, titolo X, del CCNL applicato, per il quale aveva maturato un credito di Euro 1860; - che, dal raffronto tra la paga base applicata e quella prevista dal CCNL Multiservizi, ne scaturiva un credito di Euro 11485,86 di cui chiedeva il pagamento; per l'ipotesi di mancato accoglimento della predetta domanda, eccepiva che la società aveva illegittimamente derogato alla disciplina contrattuale in tema di emolumenti (lavoro supplementare, lavoro straordinario feriale diurno fino alla 48 ora, lavoro straordinario feriale diurno dalla 49 ora, lavoro straordinario feriale notturno, lavoro domenicale - festivo diurno e notturno, lavoro straordinario domenicale - festivo e lavoro straordinario domenicale - festivo notturno, di cui al Titolo III del CCNL Vigilanza - Sezione Servizi Fiduciari) in virtù di due regolamenti interni (del 2013 e del 2017) che tuttavia non erano conformi all'art. 6 c. 1 L. n. 142 del 2001, non ricorrendo in concreto alcuna crisi aziendale idonea a giustificare la deroga; pertanto, chiedeva riconoscersi il proprio diritto a percepire le maggiorazioni di cui al CCNL Vigilanza - Sezione (...), Titolo III ed art. 11 con conseguente condanna di (...) - Soc. Coop. a versare in favore del ricorrente la differenza tra quanto percepito e quanto dovuto per lavoro diverso dal normale. In subordine, in caso di mancato accoglimento della predetta domanda, chiedeva pronunciarsi condanna della resistente al pagamento, a far data dal 16/09/2018 e sino alla fine del rapporto lavorativo la differenza tra quanto percepito e quanto dovuto per lavoro diverso dal normale secondo quanto stabilito dall'allegato A del Regolamento Interno del 14/09/2018, che richiama a sua volta le previsioni del CCNL (...), in quanto in concreto non applicato. In ogni caso chiedeva accertare e dichiarare il diritto di parte ricorrente a che la voce AFAC - Euro 20,00 mensili di cui all'art. 24 CCNL Vigilanza Privata, venisse ricompresa negli elementi fissi della retribuzione pienamente retributiva e computata ai fini del calcolo della paga base e di tutti gli istituti diretti e differiti per il periodo Marzo 17-Giugno 21 incluso il trattamento di fine rapporto con riserva di agire con separato giudizio per il ristoro delle somme maturate a tale titolo nel precitato periodo lavorativo. Nessuno si costituiva per la convenuta società per cui il giudice, verificata la regolarità della notifica del ricorso introduttivo, ne dichiarava la contumacia all'udienza del 1 giugno 2022. Con la prima domanda, formulata in via principale, si contesta la non rispondenza, della retribuzione prevista dal CCNL applicato, al parametro costituzionale della proporzionalità e sufficienza di cui all'art. 36 cost., con conseguente richiesta di applicazione dei parametri dettati da altro ccnl applicabile alla stessa categoria e in presenza dello svolgimento delle stesse mansioni del ricorrente. Dalle produzioni documentali (cfr lettera di incarico a socio per rapporto di lavoro in forma subordinata del 4 marzo 2016; buste paga) emerge che al socio lavoratore veniva applicato il CCNL per "dipendenti da Istituti e Imprese di VP. e (...)", per un orario di lavoro a tempo pieno, livello di inquadramento D, cui appartengono i lavoratori ".. adibiti ad operazioni di media complessità, anche con l'utilizzo di mezzi informatici per la cui esecuzione sono richieste normali conoscenze ed adeguate capacità tecnico-pratiche comunque acquisite; A titolo esemplificativo e non esaustivo: 1) Addetto all'attività per la custodia, la sorveglianza e la fruizione di siti ed immobili; 2) Addetto all'attività di gestione degli incassi e di riscossione delle contravvenzioni in genere e bollette; 3) Addetto all'attività di controllo degli accessi, regolazione del flusso di persone e merci; 4) Addetto all'assistenza, al controllo ed alle attività di safety in occasione di manifestazioni ed eventi; 5) Addetto ad attività ausiliarie alla viabilità e fruizione dei parcheggi. 6) Addetto all'attività di prevenzione e di primo intervento antincendio; 7) Addetto alle attività tecnico-organizzative per la custodia, la sorveglianza e la regolazione della fruizione dei siti ed immobili; 8) Addetto all'attività di reception, attività di gestione centralini telefonici, attività di front desk, gestione della corrispondenza, immissione dati; 9) Referente tecnico-operativo per i rapporti con il committente; 10) Ausiliario alle attività di contazione". Deduce il ricorrente di aver svolto attività di guardiania non armata, portierato e receptionist presso la (...) s.p.a., quindi riconducibile al profilo professionale come sopra descritto. Si precisa che il sudetto CCNL è stato stipulato da associazioni sindacali di sicura rappresentatività sul territorio nazionale, avendo visto l'intervento, dalla parte del lavoratore, di FILCAMS - CGIL e FILCAMS-CISL. A tale livello di inquadramento corrisponde una paga base oraria di Euro 5,37 lordi (come emerge dalla busta paga), pari ad Euro. 930,00 lordi mensili per 173 ore, corrispondente ad una retribuzione base netta mensile di Euro 630,63. Si tratta quindi di verificare se il giudice, pur in presenza di una specifica pattuizione contenuta nel contratto individuale, che rimanda ad una determinata contrattazione collettiva per la quantificazione del trattamento retributivo, possa sindacarne la adeguatezza. Si deve in proposito poter affermare che sia la giurisprudenza di merito che di legittimità riconoscono pacificamente al giudice del merito il potere di sindacare l'adeguatezza della retribuzione in rapporto ai parametri dell'art. 36 cost, secondo cui la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e tale da assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. In tal senso ad esempio dalla lettura della ordinanza della Corte, n. 38666 del 6/12/2021, si evince che la retribuzione prevista dal contratto collettivo è assistita da una presunzione relativa di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, superabile attraverso il parametro stabilito dall'art. 36 Cost., "esterno" rispetto al contratto (Cass. 16 maggio 2006, n. 11437; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25889; Cass. 4 luglio 2018, n. 17421), la cui verifica in concreto è rimessa al giudice del merito. Analoghe affermazioni si rinvengono in Cass., s.n. 546/2021 in cui si legge che, una volta accertata da parte del giudice la violazione del parametro costituzionale, la clausola contrattuale di determinazione della retribuzione è nulla e, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell'art. 1419 c.c., comma 2, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri dell'art. 36, con valutazione discrezionale, massima prudenza e adeguata motivazione "giacchè difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all'assetto degli interessi concordato dalle parti sociali (cfr. Cass. 1.2.2006 n. 2245)". Tale criterio di "prudenza" indicato dalla Cassazione, impone di valutare con cautela le deduzioni del ricorrente, e quindi valutare in concreto la conformità al canone costituzionale, tenendo conto sia della sua condizione personale e familiare sia del trattamento astrattamente assicurato da altri ccnl che pure sono stati stipulati per la disciplina delle retribuzioni nello stesso settore, potendo essi essere ragionevolmente assunti come parametro di comparazione. Inoltre, l'art. 36 comprende due principi: quello della proporzionalità e quello della sufficienza della retribuzione; il primo legato alla funzione corrispettiva, e più propriamente al sinallagma contrattuale, e il secondo espressione della funzione sociale della retribuzione e, quindi, del valore sociale assegnato al lavoro dalla Carta costituzionale (cfr Tribunale di Milano, 1 luglio 2021). Si tratta di due facce ricomposte in una nozione unitaria di retribuzione che tiene insieme le due funzioni, rispondenti rispettivamente a una logica economicistica e a una logica sociale (cfr. Cass. n. 24449/16, in motivazione: "l'art. 36, 1 co, Cost. garantisce due diritti distinti, che, tuttavia, nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda": quello ad una retribuzione proporzionata garantisce ai lavoratori una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell'attività prestata, mentre quello ad una retribuzione sufficiente da diritto ad una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo, ovvero ad una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. In altre parole, l'uno stabilisce un criterio positivo di carattere generale, l'altro un limite negativo invalicabile in assoluto."). E infatti, nello stesso comparto vengono applicati altri due CCNL a personale addetto a svolgere le stesse mansioni, ovvero, il CCNL Multiservizi e il CCNL Terziario ugualmente sottoscritti dalle OS maggiormente rappresentative (in particolare, il CCNL Multiservizi vede la partecipazione per la parte dei lavoratori di CONFALS, e il CCNL Terziario è stato sottoscritto, per i lavoratori, da FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTRATRASPORTIUIL). Il CCNL Terziario prevede all'art. 96 che sia riconosciuto il VI livello a tutti i lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche, ossia, tra gli altri, usciere, guardiano di deposito, custode, operaio comune, con una paga mensile conglobata di Euro. 1.323,94 oltre scatti futuri, oltre 13 e 14 (doc. 5, pag. 124). Il CCNL Multiservizi prevede al livello 2 proprio i lavoratori che svolgono funzioni di custodi o sorveglianza non armata (doc. 6, pag. 27) con una paga base mensile conglobata pari ad 1.183,00 nel 2016, oltre scatti futuri, oltre 13° e 14°. Procedendo alla valutazione delle previsioni del CCNL Servizi Fiduciari secondo il parametro della proporzionalità, si esegue il raffronto con il trattamento previsto dagli altri due CCNL applicabili alle stesse mansioni, relativamente alla sola "paga base" che, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce il "minimo costituzionale" (cfr Cass., s. n. 944/2021). Dal raffronto tra le paghe orarie, non emerge uno scostamento così significativo da indurre a valutare, quale non proporzionato all'attività svolta, il compenso previso dal CCNL Servizi Fiduciari; infatti, a fronte di una paga oraria di Euro 5,37 di quest'ultimo CCNL, il CCNL Multiservizi (del quale si chiede l'applicazione ai fini del calcolo delle differenze retributive) prevede una paga oraria di Euro 6,84 (Euro 1183:173 - divisore mensile indicato all'art. 19) e il CCNL Terziario prevede una paga oraria di Euro 7,8 (Euro 1323,94: 168, divisore orario indicato all'art. 190). La violazione del precetto costituzionale emerge invece quando si passa ad esaminare la retribuzione sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa; in proposito, va precisato che in tale valutazione non rientra più solo il c.d. minimo costituzionale, ma occorre avere riguardo all'intera retribuzione corrisposta (cioè all'intero trattamento economico di fatto percepito dal lavoratore). La Corte Costituzionale (sent. n. 470/2002, n. 227 del 1982) ha infatti affermato che "al fine di accertare la legittimità della retribuzione dei lavoratori dipendenti in relazione al disposto dell'art. 36 Cost., occorre fare riferimento non già alle singole componenti, ma al complesso della retribuzione". E il motivo è evidente, in quanto è al trattamento globale che il lavoratore fa ricorso per provvedere al mantenimento di se stesso e della famiglia, attingendo anche ai trattamenti integrativi della paga base previsti dai diversi contratti collettivi (quali in primo luogo scatti di anzianità, tredicesima, quattordicesima, maggiorazioni per lavoro supplementare e straordinario, premi di produzione, di rendimento ecc. ). Si ritiene adeguato, quale parametro oggettivo al quale rapportare il trattamento percepito dal ricorrente, il cosiddetto tasso soglia di povertà indicato dall'ISTAT. Sul sito dell'Istituto, si legge che "La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all'età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza". Dai CUD allegati al ricorso emerge che il ricorrente ha fiscalmente a carico 4 figli e ha indicato (nella dichiarazione sostitutiva reddituale ai fini dell'esenzione dal pagamento del C.U.) come facenti parte del nucleo familiare due figli, uno maggiorenne e uno minorenne. Inserendo nel "calcolatore" che si rinviene sul sito "Istat" un nucleo familiare composto da due persone di età compresa tra i 18 e i 59 (il ricorrente e il figlio (...)) e una di età compresa tra 11 e 17 anni (la figlia (...) nata il (...)), in una città del centro Italia con più di 50.000 abitanti qual è Terni, la soglia di povertà assoluta oscilla da Euro 1302 del 2017 a Euro 1335 del 2021 (il periodo oggetto di esame va dal marzo 2017 al novembre 2021). Scorrendo le buste paga prodotte si evince che la retribuzione netta percepita oscilla in maniera variabile mese per mese (si trovano buste paga di Euro 998, di Euro 880 ma anche di Euro 4010 - agosto 2018). Si è proceduto pertanto ad assumere come campione l'anno 2018 ( del quale sono state prodotte tutte le buste paga); dalla sommatoria di tutte le buste, ne deriva una retribuzione complessiva netta, compresa la tredicesima mensilità, di Euro 16.356 che divisa per dodici mensilità corrisponda ad Euro 1363 mentre per l'anno 2018 la soglia di povertà calcolata dall'ISTAT è pari a Euro 1314,25. La retribuzione percepita si attesta pertanto poco sopra quella soglia oltre la quale la persona è considerata in condizioni di povertà. Ciò tuttavia non consente di concludere per il positivo superamento del vaglio di costituzionalità; invero, non solo la soglia è superate di soli Euro 49, ma occorre valorizzare il fatto che il ricorrente è padre di altri due figli (nati nel 1997) e che in tutti i CUD prodotti sono indicati come fiscalmente a carico. Pertanto, all'esito della valutazione della concreta situazione personale del ricorrente, padre di 4 figli (si deduce altresì una condizione di separazione, ancorchè non documentata) deve concludersi che la retribuzione percepita non corrisponde al canone della adeguatezza quantomeno sotto il profilo della sufficienza ad assicurare una esistenza dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia. E' possibile applicare, per la determinazione della retribuzione conforme al canone costituzionale, il CCNL Multiservizi al quale lo stesso ricorrente fa richiamo per conteggiare gli importi oggetto della domanda di condanna della controparte. La differenza fra la paga base del livello D CCNL Sefi e il CCNL Multiservizi ammonta ad Euro 1,47 (Euro. 6,84-5,37). Tale differenza, moltiplicata per le ore retribuite come indicate nelle buste paga, evidenzia un credito totale complessivo lordo di Euro 11.485,86; i conteggi eseguiti dal ricorrente possono essere assunti a base della presente decisione in quanto conformi alle previsioni del CCNL suddetto e alle risultanze delle buste paga. La seconda domanda formulata dal ricorrente riguarda il mancato pagamento del contributo mensile per l'iscrizione al fondo (...), previsto dall'art. 32, titolo X, del CCNL applicato, per il quale il ricorrente deduce di aver maturato un credito di Euro 1860. Il CCNL "Servizi Fiduciari" prevede, all'art. 32, rubricato "Assistenza sanitaria integrativa" che: "Per il personale adibito ai servizi fiduciari è dovuto un contributo a carica dell'azienda pari a 12 Euro/mese, a partire dal 1 luglio 2013, per l'iscrizione al fondo F. Le parti si danno atto che il contributo a carico dell'azienda è parte integrante del trattamento economico contrattuale, conseguentemente l'azienda che ometta il versamento delle quote di cui al precedente comma sarà tenuta ad erogare un elemento distinto della retribuzione non assorbibile di importo pari ad Euro 30 lordi mensili, da corrispondere per 13 mensilità e che rientra nella retribuzione di fatto, di cui all'art. 23". A fronte del chiaro tenore della norma, nulla si evince dalle buste paga in merito all'avvenuto pagamento di tale somma, né la società ha provato alcunchè, rimanendo contumace. Ne deriva pertanto un credito lordo di Euro. 1860,00 ossia Euro. 30,00 x 62 mensilità calcolato da Marzo 17 a Novembre 21. Infine, parte ricorrente formula domanda volta ad accertare che l'emolumento riconosciuto all'art. 24 del CCNL Servizi Fiduciari venga considerato come elemento fisso della retribuzione e quindi computato ai fini del calcolo della paga base e di tutti gli istituti diretti e differiti per il periodo Marzo 17-Giugno 21 incluso il trattamento di fine rapporto. Il ricorrente fa rilevare che, come si evince dalla lettura della busta paga, questo emolumento è escluso dalla paga base conglobata e, nel cedolino, risulta collocato nella parte bassa, peraltro per un valore inferiore ad Euro. 20,00. Secondo l'art. 24 suddetto "Le parti, al fine di evitare gli effetti distorsivi derivanti dall'eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo, così verificatosi in occasione del presente rinnovo e garantire un'adeguata continuità nella dinamica dei trattamenti salariali, concordano che gli Istituti erogheranno a decorrere dal 01 marzo 2016 a tutti i dipendenti una copertura economica di Euro 20 mensili anche a titolo di acconto sui futuri aumenti contrattuali. Gli importi erogati a detto titolo saranno assorbiti dai futuri aumenti contrattuali". Si condivide in questa sede la lettura della norma che si rinviene nella sentenza del Tribunale di Milano del 15/4/2021; invero, il precedente articolo 23 nel definire la nozione di "retribuzione normale" stabilisce che per essa si intende la paga base tabellare conglobata di cui all'art. 24; pertanto, la lettura di tali due disposizioni evidenzia come la componente in questione - per quanto provvisoria - entri tuttavia a far parte dello stipendio ordinario e, così, della base di calcolo degli istituti spettanti alla lavoratrice (cfr. Corte d'Appello di Milano, sentenza n. 2067/2019). Deve quindi ritenersi che l'emolumento in questione abbia natura di retribuzione normale di lavoro, con conseguente diritto del ricorrente alle relative incidenze sui singoli istituti contrattuali e di legge, diretti e differiti. Restano invece assorbite le domande formulate in via subordinata, per la sola ipotesi del mancato accoglimento della domanda di accertamento della violazione dell'art. 36 cost. Infine deve dichiararsi inammissibile la domanda di trasmissione della sentenza agli Istituti Previdenziali; in questa sede non è stata infatti formulata nessuna domanda di regolarizzazione contributiva per cui resta rimesso, ad autonoma iniziativa dell'interessato, l'eventuale coinvolgimento degli enti assicurativi. Segue la pronuncia di cui in dispositivo. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate facendo applicazione dei valori minimi previsti per lo scaglione da Euro 5201 a Euro 26.000 del D.M. n. 147 del 2022 in ragione del carattere seriale del contenzioso, e con esclusione della fase istruttoria in quanto non espletata. P.Q.M. il Giudice del Lavoro del Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando sul ricorso promosso da (...) nei confronti di (...) - soc. coop., in accoglimento del ricorso così dispone: - condanna parte resistente al pagamento in favore di parte ricorrente della complessiva somma lorda di Euro 13345,86 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo; - accerta e dichiara che il ricorrente ha il diritto a che la voce AFAC - Euro 20,00 mensili di cui all'art. 24 CCNL Vigilanza Privata, venga ricompresa negli elementi fissi della retribuzione e computata ai fini del calcolo della paga base e di tutti gli istituti diretti e differiti per il periodo Marzo 17 - Giugno 21 incluso il trattamento di fine rapporto; - Condanna parte resistente al pagamento nei confronti di parte ricorrente delle spese di lite che si liquidano nel complessivo importo di Euro 2109,00 oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Terni il 3 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2750 R.G.A.C. dell'anno 2017 promossa DA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CE.CH. con domicilio eletto presso il suo studio in Terni, Via (...), PARTE ATTRICE CONTRO (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)) QUALI EREDI DI (...) con il patrocinio dell'avv. FI.LO., elettivamente domiciliati in VIA (...) 05100 TERNI presso il difensore avv. FI.LO. PARTE CONVENUTA (...) (C.F. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Fa.Ve., C.F. (...), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Terni, Via (...) TERZO CHIAMATO OGGETTO: Vendita di cose immobili. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) citava in giudizio (...) e (...) rassegnando - per i motivi ivi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Terni adito, contrariis reiectis, accertata e dichiarata la responsabilità contrattuale delle Sig.re (...) e (...), ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dagli artt. 1490 e 1494 c.c., per tutte le ragioni ampiamente esposte in narrativa, condannarle in solido con il Per. Ind. (...) e/o dell'(...) spa in persona del legale rapp.te p.t., qualora il Giudicante dovesse ravvisare anche nei confronti di questi ultimi un profilo di responsabilità in ordine a quanto accaduto, nella misura e nelle modalità che verranno accertate nel corso del giudizio, al risarcimento nei confronti dell'attore di tutti i danni dal medesimo subiti a seguito del loro comportamento che si quantificano in Euro 7312, ovvero nella maggiore o minore somma ritenuta equa e di giustizia, per tutte le ragioni ampiamente esposte in narrativa. Con vittoria di spese e competenze professionali da distrarsi in favore del procuratore antistario" (cfr. prima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c.). Con comparsa di risposta si costituivano in giudizio (...) e (...) rassegnando - per i motivi ivi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito autorizzare la chiamata in causa del Geom. Ind. (...), in manleva delle convenute e pertanto fissare una nuova udienza di comparizione delle parti al fine di consentire la chiamata del terzo, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., nel rispetto dei termini e delle garanzie di legge. Nel merito voglia rigettare integralmente la domanda attorea perché infondata in diritto e condannare la controparte alla refusione delle spese di lite. Voglia, altresì, dichiarare che il chiamato in causa Sig. (...) è tenuto a manlevare le convenute da ogni pretesa attorea condannando lo stesso a rifondere alle stesse quanto saranno eventualmente tenute a pagare all'attore. Con riserva di formulare le istanze istruttorie per mezzo delle memorie difensive". Con ordinanza del 6/2/2018 veniva autorizzata la chiamata in causa di (...) che, a sua volta, chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa la (...) S.P.A. rassegnando peraltro le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così provvedere: 1) In via pregiudiziale , autorizzare la chiamata in causa della (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in 34123 T. (T.), L. U. I. n. 1, in qualità di Impresa Assicuratrice per la responsabilità civile professionale verso terzi, in virtù del dedotto rapporto contrattuale di manleva assicurativa, previsto dalla polizza in atti, affinché, ove occorra, possa manlevarla da eventuali pretese responsabilità e, per l'effetto, Voglia fissare altra udienza ai sensi dell'art. 269 c.p.c. per consentire la chiamata in causa della stessa, nel rispetto dei termini di cui all'art. 163 bis c.p.c.; 2) Nel merito , rigettare la domanda attorea, poiché infondata in fatto e in diritto, per tutte le ragioni ampiamente esposte nella comparsa di costituzione e risposta , nonchè rigettare la domanda di chiamata in causa proposta dalle sigg.re (...) e (...) nei confronti del Per. Ind. (...), non sussitendo qualsivoglia responsabilità nei confronti dello stesso per tutte le ragioni argomentate in atto; In via subordinata 3) nella denegata e non creduta ipotesi che la domanda dell'attore e quella avanzata dalle parti convenute vengano accolte, in tutto o in parte, dichiarare il terzo, (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in legale in 34123 T., L. U. I. n. 1, tenuta a garantire e a tenere indenne il Per. Ind. (...) da qualsiasi eventuale risarcimento, pregiudizio, onere o spesa derivante dalla presente lite con condanna della (...) s.p.a. al pagamento di quelle somme eventualmente accertate e/o liquidate in corso di causa in favore dell'istante. 4) Voglia, altresì, condannare la compagnia assicuratrice, (...) s.p.a. al pagamento delle spese e dei compensi di lite in favore del convenuto chiamato, Per. Ind. (...), da distarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario". Con ordinanza del 10/7/2018 veniva autorizzata la chiamata in causa della (...) S.P.A. che rimaneva contumace. Con ordinanza del 19/10/2020 il giudizio veniva interrotto per l'intervenuto decesso della parte convenuta, (...); riassunto il giudizio dalla parte attrice, con comparsa depositata in data 9/6/2021 si costituivano (...) e (...), quali eredi della (...), reiterando le conclusioni della convenuta già in atti. Il giudizio veniva quindi istruito mediante prova orale (interrogatorio formale e prova per testi); con ordinanza del 15/9/2022, il Giudice formulava la seguente proposta conciliativa: "pagamento da parte dei convenuti, in solido fra loro, in favore della parte attrice della somma onnicomprensiva pari ad Euro 2.000,00, oltre Euro 400,00 a titolo di contributo spese legali". All'udienza del 18/10/2022 solo la parte attrice dichiarava di accettare la proposta conciliativa del Giudice per cui, ritenuta la causa matura per la decisione, all'udienza del 15/11/2022, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. 2. Con la presente azione la parte attrice ha chiesto di accertare la responsabilità contrattuale delle convenute ai sensi degli artt. 1490 e 1494 c.c. per avergli venduto - con contratto di compravendita a rogito Notaio (...) sottoscritto in data 24/6/2016 (doc. 1) - un immobile - sito in T., Strada di P. n. 33 (censito al catasto fabbricati del Comune di Terni al foglio (...) part. (...) z.c. 2 cat. (...), classe (...) vani 8,5 rendita 658,48 e al foglio (...) part. (...) z.c. 2 C/6, classe (...) mt 17) - viziato perché dotato di un impianto idrico in pessimo stato di manutenzione. Infatti, secondo la parte attrice, quando nei primi giorni di settembre 2016 l'utenza idrica veniva collegata alla linea centrale di adduzione del Servizio idrico integrato si verificava una copiosa perdita di acqua in uno dei primi punti di accesso alla casa; tale perdita, secondo quanto accertato dal tecnico all'uopo incaricato (rel. Arch. (...) del 23 settembre 2016, cfr. doc. 4), era riconducibile al cattivo stato di manutenzione dell'impianto idrico e dalla rottura di parte delle tubazioni. La perdita, puntualmente comunicata alle venditrici/convenute (cfr. comunicazione del 23 settembre 2016, doc. 5), rendeva necessaria la sostituzione ed il ripristino del sistema idrico - stante anche l'inerzia delle convenute - e la riparazione dei danni dovuti dalle infiltrazioni d'acqua causati dalla rottura parziale delle tubature. Peraltro, alcuni mesi prima della stipula del contratto di compravendita, le venditrici avevano prodotto un'attestazione di idoneità dell'impianto idrico/idraulico redatta da un tecnico specializzato (cfr. attestazione Per. Inf. (...), doc. 3). Per tali motivi, con la presente azione, la parte attrice ha chiesto la condanna delle convenute al risarcimento dei danni quantificati nella somma di Euro 7.312,00 corrispondente alla somma dell'importo dei lavori commissionati per il ripristino dell'impianto idrico e dell'importo richiesto dal tecnico incaricato, Arch. (...), per redigere la propria relazione di accertamento delle cause delle infiltrazioni e dei relativi danni. Di contro, le convenute hanno respinto ogni richiesta rilevando l'assenza di colpa come emergerebbe dal fatto che: - "... le convenute hanno messo a disposizione dell'attore l'immobile, prima dell'acquisto, proprio affinché questi potesse verificarne le condizioni essendo da tempo disabitato; - le convenute hanno incaricato un tecnico affinché accertasse l'idoneità dell'impianto idraulico (attività che certamente non avrebbero potuto compiere da sole); - Il danno non si presentava identificabile prima che venisse allacciata la linea di carico dell'acqua potabile, pertanto le venditrici non potevano essere a conoscenza dei vizi; - L'immobile non era abitato da diversi anni e le utenze staccate da allora - circostanza di cui l'attore era informato;?" (cfr. comparsa in atti). Peraltro, sempre secondo le convenute, si vi è stata negligenza la stessa deve essere attribuita allo stesso compratore/parte attrice (che aveva la disponibilità dell'immobile prima dell'acquisto) ovvero al tecnico che aveva verificato l'idoneità dell'impianto; in ogni caso, il danno di cui si chiede il risarcimento non sarebbe più verificabile perché il (...) effettuava con immediatezza i lavori di ripristino senza dare la possibilità alle convenute di valutare l'entità dei danni e le cause che li avevano determinati, nonostante la disponibilità da loro manifestata. Anche il tecnico incaricato dalle venditrici/convenute (indicato loro dall'agenzia immobiliare che aveva assistito le parti nella compravendita) - Per. ind. (...) - ha respinto ogni addebito rilevando che l'incarico conferitogli aveva ad oggetto solo la dichiarazione di rispondenza degli impianti elettrico, termico e idrico-sanitario alle norme di legge (e non il funzionamento degli stessi) al fine di ottenere l'agibilità dell'immobile prima della stipula dell'atto di compravendita. Tale incarico non prevedeva la verifica da parte del tecnico della efficienza degli impianti e ciò anche perché tale verifica - attraverso la prova della pressione dell'acqua nelle tubazioni -sarebbe stata impossibile atteso che l'utenza dell'acqua era "staccata" da diversi anni. Pertanto, secondo il (...), il presunto danno subito dal (...) sarebbe imputabile alle venditrici - per difetto di manutenzione dell'impianto - ed allo stesso compratore il quale avrebbe potuto prevedere che l'immobile - costruito oltre 20 anni prima e disabitato da circa 5 anni (con possibile ossidazione delle tubature dell'acqua) - avrebbe potuto avere gli impianti deteriorati; il danno, infatti, come riconosciuto dallo stesso tecnico della parte attrice, non poteva essere identificato prima dell'allaccio della linea di carico dell'acqua. Peraltro, sempre secondo il (...), lo stesso andava ben oltre gli accertamenti demandatigli "...e, solo per suo eccesso di zelo, controllava, seppure non dovuta, anche la tenuta degli impianti, nei limiti delle possibilità consentite, vista l'inesistenza di acqua negli impianti da tanto tempo, per causa imputabile alle venditrici, e provava l'efficienza dello scarico del bagno, attraverso il versamento nello stesso di più catini d'acqua, prendendo atto che l'acqua confluiva regolarmente nelle tubazioni", nonché "... verificava ... la sola tenuta dell'impianto idrico-sanitario ... con aria compressa a 0,3 BAR (1 decimo della pressione di esercizio) ... Dopo mezz'ora, l'istante verificava che l'aria compressa immessa nel circuito era rimasta stabile a 0,3 BAR, non subendo oscillazioni di alcun genere, facendo, così, ritenere che l'impianto idrico non perdeva ...". In merito agli accertamenti dovuti, il (...) ribadiva che lo stesso era tenuto solo a rilasciare una dichiarazione di rispondenza (c.d. DIRI) - che richiede solo l'accertamento della rispondenza dell'impianto ai requisiti minimi richiesti dalla normativa di settore (esistenza della tubazione di adduzione dell'acqua, di scarico e di ventilazione nei wc) per ottenere l'agibilità - e non la Dichiarazione di conformità degli impianti (c.d. DiCo) - che richiede invece l'accertamento della funzionalità dell'impianto, prescritta dal D.M. n. 37 del 2008 solo per gli immobili costruiti dopo il 2008 (e non per quello oggetto di causa, costruito invece nell'anno 1988, cfr. concessione edilizia rilasciata dal Comune di Terni). Ciò posto, ritiene lo scrivente che la domanda di parte attrice sia infondata per i motivi di seguito indicati. Risulta agli atti che la parte attrice, con la raccomandata del 28/9/2016, ha denunciato il degrado dell'impianto idraulico necessitante della sostituzione integrale delle tubature atteso che, attivata l'utenza idrica, si verificava una copiosa perdita d'acqua e che, dalle verifiche effettuate, risultava il pessimo stato di manutenzione delle tubature; pertanto, invitava le convenute ad accedere presso l'immobile al fine di risolvere la questione, rilevando che le opere necessarie per ottenere un impianto funzionale erano stimate nella somma di Euro 5.700,00. Quanto sopra è stato poi sostanzialmente non contestato da tutte le parti del giudizio. Al riguardo, occorre fare riferimento a quanto condivisibilmente affermato dalla Suprema Corte secondo cui "... in caso di vendita di un bene ... di costruzione molto risalente nel tempo, i difetti materiali conseguenti al concreto ed accertato stato di vetustà ovvero alla risalenza nel tempo delle tecniche costruttive utilizzate, non integrano un vizio rilevante ai fini previsti dall'art. 1490 c.c. ... La garanzia in esame, infatti, è esclusa tutte le volte in cui, a norma dell'art. 1491 c.c., il vizio era facilmente riconoscibile, salvo che, in quest'ultimo caso, il venditore non abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi ... ... l'esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell'art. 1491 c.c. (che costituisce, come accennato, applicazione del principio di autoresponsabilità, e consegue all'inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione), non consenta di predicare inastratto il grado della diligenza esigibile, dovendo essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell'acquirente, essendo la garanzia in esame esclusa tutte le volte in cui, a norma dell'art. 1491 c.c. il vizio era facilmente riconoscibile salvo che il venditore abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi ..." (cfr. Cass. n. 17058/2021). Nella specie non si lamentano imperfezioni e difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa tali da integrare la fattispecie di cui all'art. 1490 c.c. Infatti, la parte attrice non tiene conto del fatto che l'immobile compravenduto era stato realizzato circa 25 anni prima dell'acquisito, che l'impianto idrico era risalente al momento della costruzione, che l'abitazione risultava disabitata da circa cinque anni e che la verifica di tenuta dell'impianto era stata effettuata prima che venisse allacciata l'utenza idrica e, quindi, senza la pressione dell'acqua. Invero, lo stesso tecnico del (...) ha affermato che il danno "non si presentava identificabile prima che venisse allacciata la linea di carico dell'acqua ..." e che, peraltro, la rottura più evidente aveva interessato il punto di adduzione dell'acqua esterno all'immobile il cui tubo mancava di "... qualsiasi isolamento ..." e, quindi, secondo lo scrivente, il vizio era, anche per questo motivo, percepibile dall'acquirente (cfr. rel tecnico di parte attrice). A ciò si aggiunga che, come affermato dallo stesso tecnico di parte attrice, quest'ultima avrebbe allacciato l'utenza idrica già nel mese di luglio del 2016 e solo nel settembre dello stesso anno si verificavano le infiltrazioni oggi denunciate per cui non si ritiene raggiunta la prova che, al momento della vendita dell'immobile, lo stesso non presentasse i requisiti per ottenere l'agibilità. Peraltro, dalla lettura della fattura allegata all'atto introduttivo, si evince che i lavori di sostituzione delle tubature hanno interessato unicamente un bagno dell'immobile (presumibilmente quello posto al piano terra) per cui le tubature sostituite - perché "corrose" ed interessate dalla "microperdita" indicata dal tecnico di parte - hanno interessato solo una parte dell'impianto idrico a servizio dell'immobile (composto da un bagno posto al piano interrato, da una cucina posta al piano terra e da un altro bagno posto al piano superiore non interessati dai lavori di sostituzione). Pertanto, dalle prove orali assunte e dalle considerazioni sopra svolte, si ritiene che non sia emerso che il danno sia imputabile a colpa dell'alienante che ha provato di aver, senza colpa, ignorato i suddetti vizi avendo presentato la domanda di agibilità dell'immobile allegando una "verifica di rispondenza" redatta da un tecnico abilitato (odierno terzo chiamato). Anche quest'ultimo deve essere ritenuto esente da responsabilità atteso che la verifica effettuata sull'impianto idrico - dichiarazione di rispondenza (c.d. DIRI) - è stata effettuata senza la pressione dell'acqua e poteva quindi limitarsi solo ad accertare la rispondenza dell'impianto ai requisiti minimi richiesti dalla normativa di settore vigente al momento della sua installazione (primi anni novanta) e non la Dichiarazione di conformità degli impianti (c.d. DiCo) che richiede invece l'accertamento della funzionalità dell'impianto, prescritta dal D.M. n. 37 del 2008 solo per gli immobili costruiti dopo il 2008 (e non per quello oggetto di causa, costruito invece nell'anno 1988, cfr. concessione edilizia rilasciata dal Comune di Terni). Pertanto, deve ribadirsi che, in caso di vendita di un bene di risalente costruzione, i difetti materiali conseguenti al concreto ed accertato stato di vetustà ovvero al tempo di realizzazione delle tecniche costruttive utilizzate, non integrano un vizio rilevante ai fini previsti dall'art. 1490 c.c., essendo la garanzia in esame esclusa tutte le volte in cui, a norma dell'art. 1491 c.c., il vizio era facilmente riconoscibile, salvo che, in quest'ultimo caso, il venditore abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi (Cass. n. 3348/2018; Cass. n. 24343/2017). Tale dichiarazione non è stata resa da parte venditrice come risulta dal rogito in atti dal quale risulta che la stessa ha consegnato al compratore solo l'attestazione "... della prestazione energetica degli immobili compravenduti ..." - ovverosia l'attestazione in ordine alle caratteristiche di consumo energetico degli edifici nel loro complesso (cfr. art. 1 del contratto, doc. 1, fasc. attrice) - e che, in data 4/4/2016, aveva presentato la domanda per ottenere il certificato di agibilità (perfezionato, evidentemente, per silenzio assenso non risultando allegato alcun provvedimento espresso). In ogni caso, il bene, vetusto, era in condizioni materiali tali che l'acquirente avrebbe dovuto attentamente esaminarlo, onde riscontrare, se non i vizi in seguito manifestatisi, quanto meno le cause della loro possibile verificazione le quali, pertanto, sebbene in fatto ignorate, erano conoscibili con un minimo sforzo di diligenza (Cass. n. 24343/2017 citata). Pertanto, nonostante la pronuncia di legittimità sopra indicata (Cass. n. 17058/2021) si riferisca ad un immobile costruito negli anni sessanta, si ritiene che i principi ivi affermati possano essere applicati anche al caso di specie valorizzando il fatto che la cattiva condizione delle tubature interessate dalla perdita d'acqua - almeno quello esterna all'immobile - era pacificamente visibile, che la verifica di tenuta effettuata dal Per. (...) era stata effettuata senza la pressione dell'acqua e che la parte acquirente era consapevole che l'immobile era disabitato da circa cinque anni. Deve quindi concludersi nel senso sopra indicato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese fra le parti, inclusa la parte terza chiamata, in considerazione dell'estensione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sopra indicata al caso di specie. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: 1. rigetta la domanda proposta da (...); 2. compensa le spese fra le parti. Così deciso in Terni il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERNI SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Nicla Michiorri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1156/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FO.MA. e dell'avv. FA.MA. ((...)) Indirizzo Telematico; , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. FO.MA. ATTORE contro COMUNE DI TERNI (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SI.FR. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in PIAZZA RIDOLFI, 1 TERNI presso il difensore avv. SI.FR. CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione depositato il 18/5/2021 , (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) e dall'avv. (...) , chiamava in causa il Comune di Terni chiedendo al tribunale " Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, nel merito e in via principale: accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità del Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, per le lesioni subite dalla signora (...) in seguito al sinistro di cui in narrativa, ai sensi dell'art. 2051 c.c. o, in via subordinata, ai sensi dell'art. 2043 c.c.; - per l'effetto , condannare il Comune di Terni, Piazza (...), a risarcire in favore della signora (...) in danni alla persona subiti a causa del sinistro per un importo pari ad Euro 22584,00 o quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria alla data del sinistro al saldo.- Con vittoria di spese e competenze di lite del presente giudizio da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari". In data 21/9/2021 i costituiva il Comune di Terni , rappresentato e difeso dall'avv. (...) il quale contestando le richieste avversarie chiedeva al tribunale "Il Comune di Terni, come in epigrafe rappresentato, insiste per la reiezione, sia in rito che nel merito, della domanda, per tutti i motivi in narrativa e comunque, perché inammissibile, quanto infondata ed indimostrata". All'udienza del 22/9/2021 il giudice concedeva i termini ex 183 VI comma c.p.c. e rinviava all'udienza del 19/01/2022 quando ammettendo le prove orali rinviava al 9/3/2022 . Il giudice procedeva all'escussione testimoniale nelle udienza del 9/3/2022 , del 13/4/2022, dell'11/5/2022 quando si riservava e , a scioglimento della riserva, nominava CTU il dott. Luigi Carlini e successivamente, per incompatibilità il dott . Fabio Suadoni che giurava all'udienza del 23/6/2022. All'udienza del 26/10/2022 si rinviava all'udienza del 14/12/2022 per la precisazione delle conclusioni In tale ultima udienza il giudice tratteneva la causa in decisione concedendo i termini ex 190 c.p.c.. MOTIVI Parte attrice nell'atto introduttivo afferma che in data 27/9/2017 alle ore 10,35 passeggiava lungo il marciapiede di via G. D. V. all'altezza del numero civico 13 cadeva a terra a causa del disfacimento dell'asfalto da cui usciva un pezzo di rete elettrosaldata di centimetri 20 per 5; riportava lesioni fisiche refertate al pronto soccorso dell'(...) come " trauma cranio- facciale. Frattura parcellare della testa del condilo mandibolare destro. Frattura composta arco medio VII costa di destra. Frattura composta arco anteriore della VI costa di sinistra come risulta dalla certificazione medica allegata con prognosi di 30 giorni clinici" e periziate dal Dott. Lu.Ca., chiedeva il risarcimento ai sensi dell'art. 2051 c.c. o, in via subordinata ex art. 2043 c.c.. Si costituiva il Comune di Terni il quale affermava che la disconnessione " era facilmente evitabile con l'uso dell' ordinaria prudenza e diligenza, essendo peraltro verificatosi il sinistro in orario diurno ed in perfette condizioni climatiche" e che "sconnessione si trovava al centro del marciapiede e rimaneva spazio sufficiente per aggirare l'ostacolo in modo agevole risultando liberi mt. 4.40 lato parete e mt. 3.10 lato carreggiata (come rilevato dagli agenti di PM intervenuti sul luogo del sinistro)" Sig.ra (...) risulta risiedere nelle immediate vicinanze del luogo del sinistro (Strada delle Grazie n.1/A) per cui si presume che la stessa conoscesse bene lo stato dei luoghi". Invocava il caso fortuito nella causazione dell'evento escludendo la responsabilità dell'ente Comune di Terni. Nel corso dell'istruttoria venivano escussi dei testimoni. All'udienza del 89/3/2022 (...) affermava di essersi trovata sui luoghi al momento del fatto, di non conoscere l'attrice e confermava l'avvenuta caduta , in particolare precisava riguardo al punto di caduta ""posso dire che le reti elettrosaldate non si vedevano perché avevano lo stesso colore del manto stradale cioè erano scure me ne sono accorta dopo quando ho aiutato la signora a rialzarsi". Affermava su capitolo 7 "è vera la circostanza posso precisare che le sanguinava il viso sullo zigomo destro , altri presenti hanno chiamato il pronto soccorso che è arrivato e ha preso la signora". Alla stessa udienza era escusso C.S. dipendente del Comune coordinatore tecnico dell'ufficio strade il quale affermava che sulla Via G. D. V. in T., all'altezza del civico n. 13, sul marciapiedi la cui larghezza è di circa metri 7,50, non vi erano stati recenti interventi di rinnovo dell'asfalto e confermava la corrispondenza intercorsa tra l'avv. Silvi e il testimone dello stesso tenore. Alla successiva udienza del 13/4/2022 veniva escussa (...) la quale affermava di trovarsi sul luogo al momento dei fatti affermava " io mi trovavo sul luogo in quanto ho l'ufficio di gestioni condominiali nel civico 11 stavo uscendo dal portone con A. che è il mio datore di lavoro " e affermava di aver visto cadere a terra l'attrice mentre passeggiava lungo il marciapiede di Via G. D. V. in T., all'altezza del numero civico 13; rispondeva positivamente sulla presenza di un disfacimento del manto stradale da cui fuoriuscivano pezzi di rete elettrosaldata precisando " preciso che c'era del breccino di asfalto sfaldato che un po' copriva i ferri" e precisava ulteriormente " "posso dire che c'era del breccino come ho già detto, al momento attualmente è stata fatta una toppa di asfalto sul punto e su altri dello stesso marciapiede". Alla stessa udienza era escusso A.R. il quale, rispondendo al capitolo 1 affermava " è vera la circostanza io ero presente in quanto ho l'ufficio al numero 11 della via"; rispondeva positivamente al capitoli della memoria n 2 ex 183 Vi comma cpc di parte attrice e precisava che sul punto di caduta " c'era il residuo dell'asfalto rovinato". Riguardo al capitolo 7 precisava "è vero presentava ferite, è stata portata acqua e ghiaccio dal bar accanto , poi la signora ci ha dato un numero di telefono di un parente che uno dei presenti ha chiamato e sono andato via quando è arrivato il parente perciò non so dire circa l'accompagnamento in ospedale". All'udienza dell'11/5/2022 era escusso il testimone di parte attrice (...), agente della polizia locale che aveva sottoscritto il verbale, il quale affermava di essere intervenuto insieme al collega (...), confermava il verbale e riguardo alla mancanza di avvisi precisava "se non abbiamo scritto di sbarramenti o cartelli vuol dire che non c'erano e abbiamo attivato l'ufficio strade ; normalmente quando facciamo segnalazioni aspettiamo che venga il dipendete che si occupa di tali segnalazioni (sempre dipendente del Comune) su disposizione di servizio". Dall'istruttoria pertanto è emerso che l'attrice nel giorno e nell'ora indicata in citazione cadeva in un punto del marciapiede di Via di V. all'altezza del n 13. Nel verbale della polizia locale , allegato 1, dell'atto di citazione si legge "La signora presentava varie ferite provocate a suo dire da una caduta causata da un pezzo di rete elettrosaldata fuoriuscita dal marciapiede asfaltato. La signora P.I. veniva accompagnata al nostro arrivo in ospedale dal nipote ( sig Foddai Massimiliano). La parte del marciapiede segnalata dall'infortunata presentava il disfacimento dell'asfalto da cui fuoriusciva un pezzo di rete elettrosaldata di cm 20 per 15 circa come da foto allegata. La parte indicata dalla signora era a m. 4,40 dalla parete e a m 3,10 dal bordo del marciapiede lato carreggiata". Dalla descrizione fatta dalla polizia locale e dai testimoni e soprattutto dalla fotografia allegata appare che la buca si trovasse circa al centro del marciapiede (marciapiede di rilevanti dimensioni: almeno m. 4,40 più 3,10), che al suo interno fossero presenti fili di ferro posti a forma di croce trattandosi di una rete elettrosaldata. Non ha rilievo la contestazione sul fatto se fossero stati fatti interventi recenti o meno da parte del Comune visto che la foto è stata fatta a pochi minuti dal fatto oggetto di causa restando irrilevante l'eventuale successivo intervento dell'Ente Comune che ha la manutenzione delle strade. La responsabilità dell'Ente Comune nei riguardi dei danni causati da pericoli stradali si configura come responsabilità ex 2051 c.c., Questo articolo, creando una responsabilità di tipo oggettivo, ribalta l'onere della prova previsto dall'art. 2043 c.c.. Infatti il custode, al fine di respingere le proprie responsabilità deve provare il "caso fortuito". La Suprema Corte di Cassazione, nell'interpretazione dell'art. 2051 si è espressa con copiosa giurisprudenza. La Sez. 6 - 3 nell'ordinanza Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018 afferma "Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva (ma anche Sez. 3 - , Ordinanza n. 2481 del 01/02/2018; Sez. 3) Sempre la Suprema Corte di Cassazione con Ordinanza n. 37059 del 19/12/2022 ha precisato che "In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1 o 2, c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento". Rilevante anche il pronunciamento della Sez. 3 nell' Ordinanza n. 2345 del 29/01/2019 "In tema di danno cagionato da cose in custodia, il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno estraneo alla cosa deve essere parametrato sulla natura della cosa stessa e sulla sua pericolosità; sicché, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è tale da essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più influente deve considerarsi l'efficienza causale dell'imprudente condotta della vittima, fino ad interromperne il nesso tra la cosa ed il danno ed escludere, dunque, la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c.". Riguardo alla presenza dell'insidia, il Comune non ha provato che si trattasse di "una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa" che avrebbe potuto avere in sé i caratteri del caso fortuito (Cassazione Sez. 3 - , Ordinanza n. 11096 del 10/06/2020) La buca sul selciato in corrispondenza della quale è avvenuta la caduta , come si vede nella foto fatta dalla polizia locale nell'allegato 1 del fascicolo di parte attrice, ha al suo interno dei fili di ferro di rete metallica elettrosaldata. La buca si trova circa al centro del marciapiede calpestabile quindi appare visibile ma presenta , oltre alla pericolosità in sé (che potrebbe essere superata ponendo la dovuta attenzione a porci sopra il piede) una insidia ulteriore che solo con una verifica attenta poteva essere evidenziata. Si ravvisa pertanto da un lato la mancanza di normale cautela nell'evitare la disconnessione visibile ed evitabile viste le rilevanti dimensioni del marciapiede , che connota un comportamento imprudente nella vittima, dall'altro la presenza di una efficienza causale con specificità tali da non poter porre la caduta a completa responsabilità a carico dell'attrice residuando una insidia ulteriore. La responsabilità dell'evento va posta pertanto a carico delle parti al 50%. Il CTU dott. Fa.Su., nella perizia depositata il 28/9/2022 ha riscontrato un periodo di inabilità temporanea biologica totale al 100% di 15 giorni ed un periodo di inabilità temporanea biologica parziale al 50% di 15 giorni e un danno biologico permanente nella misura dell'8% del totale Tutte le spese mediche documentate in atti che ammontano ad un totale di Euro 1.051,00 sono state ritenute adeguate e congrue. Considerata l'età dell'attrice al momento dei fatti il danno biologico per invalidità permanente ammonta ad euro : Euro 9.145,19 quello per Inabilità temporanea biologica di tipo assoluto ad euro Euro 761,85, quello per Inabilità temporanea biologica parziale ad euro Euro 380,93 che con le spese mediche ammonta ad un totale di Euro 11.338,97. P.Q.M. Il giudice, definitivamente decidendo nella causa n. 1156/2021, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa o respinta, condanna il Comune di Terni al pagamento in favore di (...) di Euro 5669,48, al pagamento delle spese di CTU al 50%, come liquidate con separata ordinanza, e al pagamento delle spese di lite al 50% in favore degli avvocati dichiaratisi antistatari avv. (...) e dall'avv. (...) che si quantificano in Euro 919,00 per fase studio, Euro 777,00 per fase introduttiva, Euro 1680,00 per fase istruttorie ed Euro 1701,00 per fase decisoria, 15% forfetario per spese generali oltre IVA e CPA come per legge. Così deciso in Terni il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Claudia Tordo Caprioli, ha emesso ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1902 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, trattenuta in decisione all'udienza del 14.12.2022 e vertente TRA (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Firenze, Via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione in opposizione; opponente E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Terni, Via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; opposta OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo CONCLUSIONI: come da note di trattazione scritta rassegnate per l'udienza del 14.12.2022, celebrata in modalità cartolare ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. h), d.l. 18/2020 ss., qui da intendersi integralmente richiamate e trascritte. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato in data 19.6.2020 la (...) S.R.L. ricorreva dinanzi all'intestato Tribunale affinché venisse ingiunto nei confronti della (...) S.R.L. il pagamento della somma di Euro 26.700,00, quale saldo residuo delle fatture n. 86 del 30.6.2019 per Euro 195.089,37 e n. 125 del 10.10.2019 per Euro 17.593,62. A sostegno delle proprie ragioni, la ricorrente deduceva di vantare un credito maturato quale corrispettivo dei lavori svolti in favore della (...) S.R.L. tra il 10.6.2019 ed il 10.10.2019 e la cui corretta esecuzione non era mai stata contestata dalla committente, tanto che, al contrario, quest'ultima aveva provveduto al pagamento parziale delle fatture, per l'importo di Euro 185.982,99. Secondo la ricostruzione della ricorrente, il credito azionato era comprovato dall'e-mail del 15.1.2020 con cui la (...) S.R.L. aveva riconosciuto un debito residuo di Euro 35.593,62 e contestualmente proposto un piano di rientro rateizzato. Ulteriore elemento di prova a sostegno della pretesa era il fatto che, alla scadenza pattuita, la committente aveva eseguito un bonifico di Euro 8.893,62, così che residuava solo il credito azionato, pari ad Euro 26.700,00. In data 19.7.2020 il Tribunale di Terni emetteva il decreto ingiuntivo n. 383/2020, che veniva notificato all'ingiunta il successivo 31.7.2020. Con atto di opposizione tempestivamente notificato il 9.10.2020, la (...) S.R.L. chiedeva all'intestato Tribunale: (a) in via principale, di accertare l'inadempimento contrattuale della (...) S.R.L., per aver realizzato le opere non a regola d'arte e di condannarla ad eliminare, a proprie spese, i vizi ovvero, in alternativa, previo accertamento dei costi occorrenti per l'eliminazione dei vizi, dichiarare che l'opponente nulla doveva all'opposta e, per l'effetto, revocare il decreto ingiuntivo opposto; (b) sempre nel merito, in accoglimento dell'eccezione ex art. 1460 c.c., revocare in tutto o in parte il decreto ingiuntivo opposto; (c) in via subordinata, dichiarare l'incolpevole inadempimento dell'opponente ex art. 91 del D.L. n. 18/2020; (d) in ogni caso, condannare l'opposta al pagamento delle spese di giudizio. A sostegno delle rassegnate conclusioni, la (...) S.R.L. deduceva la non debenza del credito opposto in ragione: i) dell'operatività della garanzia per vizi dell'opera disciplinata all'art. 1667 c.c.; ii) dell'eccezione di inesatto adempimento della prestazione erogata dall'opposta ai sensi dell'art. 1460 c.c.; iii) del disconoscimento dell'e-mail contenente il riconoscimento di debito; iv) dell'assenza di qualsiasi responsabilità nell'inadempimento, dovuto a causa di forza maggiore ai sensi dell'art. 91 del D.L. n. 18/2020. Con comparsa depositata il 9.3.2021 si costituiva in giudizio la (...) S.R.L., chiedendo al Tribunale di rigettare l'opposizione avversaria per infondatezza, con conferma del decreto ingiuntivo opposto e vittoria delle spese di lite. A sostegno delle proprie ragioni l'opposta evidenziava che le fatture portanti il credito azionato non erano mai state contestate, tanto che l'opponente aveva pagato buona parte del compenso pattuito. Quanto ai vizi, segnalava di non aver mai ricevuto alcuna contestazione dall'opponente, se non una segnalazione relativa a delle imperfezioni che erano state prontamente ripristinate in fase esecutiva e prima di avviare il procedimento monitorio. Per tale motivo denunciava la pretestuosità dell'eccezione d'inadempimento e la carenza di buona fede dell'ingiunta, affermando di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione. Contestava la ritualità del disconoscimento operato dall'opponente, oltre che l'assenza di valido fondamento, anche in ragion del fatto che pagando la prima rata, la debitrice aveva confermato il contenuto della missiva disconosciuta. Deduceva che, in ogni caso, all'esito del collaudo, la (...) S.R.L. aveva già trattenuto una somma pari a circa Euro 9.000,00 a titolo di garanzia per i difetti originariamente riscontrati e che tale importo non era stato conteggiato nel credito azionato. Con ordinanza del 31.3.2021 veniva concessa la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto. La causa veniva istruita documentalmente e a mezzo prova testimoniale. All'udienza del 14.12.2022, svoltasi in modalità cartolare ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. h), d.l. 18/2020 ss., il giudice tratteneva la causa in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti con le rispettive note di trattazione scritta, assegnando i termini di cui all'art. 190, co. 1, c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e delle memorie di replica, decorrenti dalla comunicazione del verbale d'udienza datata 15.12.2022. 2. L'opposizione non merita accoglimento per i motivi di seguito illustrati. 2.1. Prima di esaminare il merito, è opportuno chiarire quale sia il compendio probatorio utilizzabile ai fini della decisione. L'opponente ha disconosciuto il documento 5 allegato al fascicolo monitorio - riprodotto nell'allegato B5 alla comparsa - e, precisamente, ne ha disconosciuto '"formalmente l'autenticità, nonché la conformità del documento (...) all'originale informatico ed al suo contenuto" (cfr. pag. 6 citazione). Sul tema, merita condivisione l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca a conformità ai fatti o alle cose medesime" (così in Cass. n. 11606/2018; conf. Cass. n. 19155/2019). Ebbene, "l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell'efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensivi' (cfr. Cass. n. 28096/2009, conf. Cass. n. 14416/2013). In particolare, la contestazione "va operata - a pena di inefficacia - in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale" (così in Cass. n. 7175/2014; conf. Cass. n. 7105/2016). Peraltro, anche ove il documento venga ritualmente disconosciuto ai sensi dell'art. 2712 c.c., diversamente dal disconoscimento di cui all'art. 215, c. 2, c.p.c. - che preclude l'utilizzazione della scrittura se non viene avanzata una istanza di verificazione avente poi esito positivo - non è precluso al giudice accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (cfr. Cass. n. 3122/2015). Nondimeno, alla stregua dei parametri esegetici richiamati, il disconoscimento operato dall'opponente, in quanto privo di un'esatta indicazione degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale, risulta irritualmente formulato e, come tale, inefficace. Conseguentemente, il documento sub. 5 allegato al fascicolo monitorio risulta pienamente utilizzabile ai fini della decisione e riferibile all'opponente. 2.2. Chiarito ciò, va ricordato che l'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente. Al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione tacita la consegna dell'opera al committente e, come fatto concludente, la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo, anche se non si è proceduto alla verifica dell'opera (cfr. Cass. n. 4021/2023). Invero, il comma 3 qualifica la verifica come un onere del committente, nel senso che se quest'ultimo non vi provvede si attiva un meccanismo di silenzio-assenso per cui l'opera si considera accettata. L'accettazione dell'opera assume rilievo dirimente poiché libera l'appaltatore dalla responsabilità per vizi palesi e riconoscibili, che il committente deve far valere in sede di verifica o collaudo (cfr. Cass. n. 11/2019). L'accettazione dell'opera segna il discrimen anche ai fini della distribuzione dell'onere della prova: finché l'opera non è stata (espressamente o tacitamente) accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, dopo l'accettazione, spetta al committente dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate (cfr. Cass. n. 19146/2013). Chiarita l'importanza dell'accettazione dell'opera, possono ravvisarsene i presupposti quando il committente prende in consegna l'opera e paga all'appaltatore il relativo prezzo (così in Cass. n. 19019/2017 e, più di recente, Cass. n. 10452/2020). Ciò in quanto "l'accettazione dell'opera che, ai sensi dell'art. 1665 c.c., si verifica quando il committente tralasci di procedere alla verifica senza giusti motivi o non ne comunichi il risultato entro breve termine (comma 3), oppure riceva la consegna dell'opera senza riserve (comma 4), si distingue sia dalla verifica che dal collaudo perché la prima si risolve nelle attività materiali di accertamento della qualità dell'opera e il secondo consiste nel successivo giudizio sull'opera stessa; l'accettazione, invece, è un atto negoziale che esige che il committente esprima, anche per "facta concludentia" il gradimento dell'opera stessa" (cfr. Cass. n. 4051/2016). 2.3. Così ricostruito il quadro esegetico di riferimento, si rende opportuno ricostruire il rapporto negoziale intercorso tra le parti. Rientra tra i fatti non specificamente contestati ai sensi dell'art. 115 c.p.c. che le parti abbiano stipulato un contratto di subappalto di lavori che la (...) S.R.L. si era impegnata ad eseguire presso il cantiere "Pam" sito in Bologna, Via (...) nell'interesse dell'opponente. In particolare, la prestazione cui l'opposta si era obbligata consisteva nella fornitura e posa in opera di facciate e serramenti in alluminio per interni: una "sottostruttura in acciaio realizzata con profili sezione 120x30x3, zincato a caldo e verniciato a polveri poliestere con cottura a forno 180°/200°, completi di staffe di attacco superiori e bulloneria in acciaio zincato, tasselli ad espansione per fissaggio su cordolo/pannello in c.a." ed i serramenti elencati nella fattura n. 86/2019 (cfr. fascicolo monitorio). Il tutto trova conferma documentale nel contratto subappalto sottoscritto dalle parti in data 20.4.2019 (cfr. all. 3 citazione). Anzitutto, è indubbio che l'opera sia stata consegnata alla committente (cfr. all. 5 citazione). In secondo luogo, dal compendio probatorio acquisito - e di seguito esaminato - deve affermarsi che la (...) S.R.L. aveva anche accettato l'opera. A seguito della comunicazione del 17.12.2019 (cfr. all. 5 citazione), in data 23.1.2020 l'odierna opponente, in persona del suo direttore amministrativo, evidenziava di aver eseguito delle "ritenute a garanzia" per "i problemi lamentati dal ns. Geom. (...)" - ritenute che l'opposta quantificava in Euro 9.688,43 - proponendo il pagamento del residuo importo di Euro 35.593,62 in quattro rate mensili, con scadenza tra febbraio 2020 e maggio 2020 (cfr. all. B5 comparsa di costituzione). Rientra, inoltre, tra i fatti non specificamente contestati, ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c., l'avvenuto pagamento della prima rata, pari ad Euro 8.893,62, nel termine stabilito (29.2.2020). Ebbene, è evidente che l'opponente, abbia così espresso il complessivo gradimento dell'opera, al netto dei difetti in precedenza lamentati e di cui aveva già tenuto conto in sede di quantificazione del prezzo residuo che intendeva versare ("alcune Vs. lavorazioni necessitano di sistemazioni varie e (...) per queste ha sollecitato numerose volte il Vs. intervento senza ricevere risposte. Alla luce di ciò riteniamo corretto mantenere la ns. proposta di pagamento relativamente alla somma di Euro 35.593,62= e rimandare la definitone delle modalità di pagamento delle trattenute." - così in all. B5 comparsa di costituzione). Sussistono, quindi, i presupposti per ritenere che l'opera era stata accettata dalla committente, con ogni conseguenza in termini di distribuzione dell'onere probatorio nella garanzia per vizi. A tal riguardo, va preliminarmente osservato che non risultano eccepiti vizi diversi da quelli per i quali l'opponente aveva eseguito le già menzionate "ritenute" (cfr. all. B5 e C comparsa di costituzione). Alla luce di questa premessa, va considerato che l'opposta aveva tenuto conto delle menzionate contestazioni, azionando solo il credito residuo, ossia al netto delle "ritenute" e della prima rata già corrisposta dall'opponente. In secondo luogo, va osservato che dalle risultanze probatorie acquisite (cfr. all. 5 comparsa di costituzione) i vizi di funzionamento del nottolino delle porte interne dei bagni sembrano esser stati eliminati. Emerge, infatti, che ad ottobre 2019, all'esito del collaudo provvisorio, la (...) S.R.L. aveva mosso delle prime contestazioni nei confronti della (...) S.R.L. inerenti difetti di funzionamento di alcune maniglie e la mancata regolazione degli scorrevoli (cfr. all. 4 citazione), giustificando, sulla scorta di tali vizi, il mancato pagamento dell'intero corrispettivo dovuto e reputando come inesigibile parte del prezzo, per circa Euro 9.000,00. Tuttavia, con successiva e-mail del 17.12.2019, risulta che l'opponente, all'esito di un sopralluogo, aveva circoscritto i vizi caratterizzanti l'opera al solo inesatto funzionamento del meccanismo "libero/occupato" del nottolino della porta dei bagni, in quanto non allineato al meccanismo di chiusura ed apertura della serratura (cfr. all. 5 citazione). La circostanza appare confermata anche dal teste escusso all'udienza del 20.4.2021, (...), il quale ha riferito che l'unica contestazione di cui era a conoscenza riguardava, infatti, il colore libero/occupato del nottolino della serratura della porta del bagno (cfr. verb. ud. 20.4.2021). Diversamente da quanto prospettato dall'opponente in sede di comparsa conclusionale, non può esser messa in discussione l'attendibilità del teste per il sol fatto di aver riferito, in un primo momento, di esser "titolare e dipendente della (...) s.r.l..", avendo poi opportunamente precisato di essere "un lavoratore subordinato alle dipendente della società opposta da luglio 2017' deputato alla gestione operativa della società, ma di non esserne amministratore, giacché tale ruolo era rivestito da (...). Del resto, anche la convergenza degli elementi probatori sinora esaminati destituisce di fondamento le generiche contestazioni in merito all'attendibilità della deposizione e ad un potenziale ed astratto conflitto d'interessi del testimone. Come accennato, l'opposta ha contestato la persistenza dei vizi denunciati, avendo provveduto al ripristino. A sostegno dell'assunto, ha depositato anche una conversazione datata 27.1.2020 relativa ad un intervento di lavori eseguito a Bologna (cfr. all. C comparsa) che asserisce esser intercorsa con l'opponente. Si noti che quest'ultima non ha contestato la riferibilità di detta conversazione a sé medesima. Del resto, anche tale circostanza appare confermata dalla deposizione del teste (...), il quale ha riferito che la (...) S.R.L. aveva provveduto alla sostituzione della serratura, risolvendo le criticità segnalate dall'odierna opponente (cfr. verb. ud. 20.4.2021). Per tutti i motivi suesposti, deve affermarsi che la (...) S.R.L. non abbia dato prova dell'attuale esistenza dei vizi originariamente denunciati. 2.3. Anche l'eccezione di inadempimento sollevata dall'opponente risulta immeritevole di accoglimento. Anche accedendo alla ricostruzione dell'opponente in ordine alla sussistenza dei vizi in questione, il censurato inadempimento non integrerebbe gli estremi di un fatto impeditivo della pretesa creditoria azionata dalla (...) S.R.L.. Invero, nei contratti con prestazioni corrispettive, quando una parte giustifica la propria inadempienza con l'inadempimento dell'altra ai sensi dell'art. 1460 c.c. occorre procedere ad una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti, con riferimento non solo al dato cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche al rapporto di proporzionalità delle stesse rispetto alla funzione economico-sociale del contratto. Ciò implica che quando l'inadempimento di una parte non è grave, il rifiuto della controparte di adempiere la propria obbligazione non è sorretto da buona fede (cfr. C.d.A. Milano del 16.9.2022 e nella giurisprudenza di legittimità Cass. n. 22626/2016; Cass. n. 4565/1990; Cass. n. 3371/1988). In assenza di proporzionalità - come nel caso di specie - l'eccezione d'inadempimento non sarebbe, comunque, legittimamente sollevata (cfr. Cass. n. 8760/2019). In aggiunta, a tali fini, la contestazione dell'inadempimento deve essere tempestiva, in modo tale da non determinare un pregiudizio irreparabile alla controparte, che deve essere in grado di assumere le iniziative opportune per salvaguardare l'interesse o l'utilità perseguita con l'attuazione del contratto (cfr. Cass. n. 26973/2017). Applicando tali principi al caso di specie, va ricordato che l'imperfetto funzionamento del nottolino delle serrature e degli scorrevoli risulta aver già dato luogo alla mancata corresponsione di una parte del prezzo dovuto, pari a circa Euro 9.000,00. Pertanto, in assenza di ulteriori vizi denunciati dalla committente - sia in fase stragiudiziale, sia nella presente sede giudiziale - la prestazione assunta dalla (...) S.R.L. con il contratto di subappalto de quo non può dirsi inadempiuta. Ad ogni buon conto, gli unici vizi denunciati - al di là di ogni valutazione (già svolta) in merito alla loro odierna persistenza - non appaiono idonei ad impedire il pagamento del prezzo residuo pari ad Euro 26.700,00 per difetto di proporzionalità. 2.4. Infine, va esaminato l'invocato art. 91 del D.L. n. 18/2020, a mente del quale "il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti' e che, quindi, riconosce al giudice il potere di valutare la responsabilità del debitore in relazione alla pandemia da Covid-19. In merito alla portata della disposizione si possono ricostruire due diverse chiavi di lettura. Secondo una prima, le obbligazioni pecuniarie - quale quella per cui la (...) S.R.L. chiede la condanna all'adempimento - non rientrano nel perimetro della norma, poiché non si estinguono per impossibilità sopravvenuta della prestazione. E' principio noto che l'impossibilità che rileva ai fini dell'estinzione dell'obbligazione ai sensi dell'art. 1256 c.c. è solo quella assoluta, che non si identifica con una semplice difficoltà di adempiere. Tale impossibilità avrebbe dovuto consistere in un impedimento obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, riferito alla prestazione contrattuale in sé e per sé considerata. Invece, è sempre possibile reperire denaro, data la sua convertibilità in tutti i beni presenti e futuri. Secondo la giurisprudenza di merito, quindi, "la difficoltà finanziaria del debitore - anche se generata dalla pandemia da covid 19 - non può assurgere a causa di giustificazione o estinzione dell'obbligazione pecuniaria" (così in Trib. Roma del 7.4.2022 n. 5950). Anche aderendo ad un'interpretazione meno restrittiva della norma invocata dall'opponente, l'eccezione non appare fondata. Va, infatti, osservato che detta previsione non giustifica determina l'estinzione dell'obbligazione, né esenta il debitore dall'adempimento, rendendo la prestazione inesigibile. Piuttosto, essa incide sull'obbligo del debitore inadempiente di risarcire il danno causato dal proprio tardivo o mancato adempimento, ma non lo libera dagli obblighi contrattuali assunti (cfr. C.d.A. Bologna n. 1118 del 18.4.2022). Il giudice non può discrezionalmente ritenere la prestazione inesigibile: la norma assolve solo la funzione di restringere la portata risarcitoria dell'inadempimento ove sussista un nesso causale tra quest'ultimo e la situazione emergenziale da Covid-19 ovvero imporre al giudice di tenere conto anche delle cause che hanno determinato l'inadempimento in sede di valutazione della sua gravità ai sensi dell'art. 1455 c.c. (cfr. C.d.A. Bologna citata). In conclusione, la presenza di misure di contenimento nel periodo emergenziale non vale ad escludere la responsabilità della debitrice nell'inadempimento di una prestazione pecuniaria e, in aggiunta, va opportunamente valorizzato il fatto che l'opposta si è limitata a chiedere la condanna della (...) S.R.L. all'adempimento dell'obbligazione pecuniaria assunta, e non il risarcimento danni o la risoluzione del negozio. Per tutti i motivi suesposti, l'opposizione promossa dalla (...) S.R.L. deve essere respinta, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo n. 383/2020, già dichiarato provvisoriamente esecutivo. 3. Infine, va dato atto che non paiono sussistere i presupposti per una condanna dell'opponente per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Invero, la semplice prospettazione di tesi giuridiche errate non integra un comportamento sleale e fraudolento, tale da comportare trasgressione del dovere di lealtà e probità, rilevante ai fini della condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., salvo che la parte interessata non deduca e dimostri nell'indicato comportamento la ricorrenza di dolo o colpa grave, nel senso della consapevolezza o dell'ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi (cfr. Cass. n. 15629/2010). 4. Le spese di lite del presente giudizio seguono la regola della soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. 55/2014, come aggiornata dal D.M. n. 147/2022, in base al valore della controversia determinato ai sensi dell'art. 5 del citato D.M. e, quindi, compreso tra Euro 26.001 ed Euro 52.000, fatta applicazione dei parametri minimi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, stante la ridotta complessità delle questioni giuridiche trattate, e dei parametri medi per la fase istruttoria, considerata l'assunzione di prove costituende. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra difesa, eccezione ed istanza disattesa e/o assorbita, così provvede: - rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto; - condanna la (...) S.R.L. alla refusione in favore della (...) S.R.L. delle spese processuali anche del giudizio di opposizione, liquidate in Euro 4.712,00 per compensi, oltre spese forfettarie (15%), CPA e IVA se dovuta. Così deciso in data 3 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI SEZIONE CIVILE in persona del giudice dott. Alessandro Nastri, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2303 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 del Tribunale di Terni, vertente TRA (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ba.Ba. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Terni, Via (...), giusta procura in calce all'atto di citazione - attrice E A.T.E.R. UMBRIA - AZIENDA TERRITORIALE PER L'EDILIZIA RESIDENZIALE DELLA REGIONE UMBRIA (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore Em.Na., rappresentata e difesa dall'avv. Cl.Bi. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Terni, Corso (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - convenuta Oggetto: responsabilità ex art. 2051 c.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 01/12/2020, (...) conveniva in giudizio l'A.T.E.R. UMBRIA, esponendo quanto segue. In data 01/11/2018 l'attrice, mentre camminava nell'androne del condominio sito in Narni (TR), Via (...) n. 235, dirigendosi verso la propria abitazione, era caduta a terra a causa della presenza di acqua sul pavimento, avvertendo un forte dolore alla caviglia destra. Dopo l'immediato trasporto con l'autoambulanza del 118 al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Narni e la prima diagnosi ivi effettuata di "frattura bimalleolare caviglia destra", in data 05/11/2018 era stata ricoverata presso il medesimo Ospedale per l'esecuzione - poi avvenuta in data 08/11/2018, previa nuova diagnosi di "frattura trimalleolare caviglia dx" - di un intervento chirurgico di riduzione ed osteosintesi con placca e viti, seguito da un lungo percorso riabilitativo all'esito del quale le era residuata un'invalidità permanente del 15%, preceduta da 60 giorni di invalidità temporanea assoluta, ulteriori 60 giorni di invalidità temporanea parziale al 75% ed ulteriori 60 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%, con pregiudizi anche di natura morale ed esistenziale. Ciò esposto in fatto, l'attrice invocava la responsabilità dell'Ente convenuto ai sensi dell'art. 2051 c.c. (ovvero, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c.) e chiedeva quindi al Tribunale di accertare e dichiarare "la responsabilità esclusiva del condominio, in persona dell'amministratore p.t. e dell'Ater quale ente gestionario del condominio suddetto", e conseguentemente di "condannare il condominio, in persona dell'amministratore p.t. e dell'Ater quale ente gestionario del condominio suddetto (...)" al risarcimento dei danni quantificati nel complessivo importo di Euro 49.623,30 (di cui Euro 28.128,00 per l'invalidità permanente, Euro 2.812,80 a titolo di personalizzazione in aumento del 10%, Euro 16.537,60 per l'invalidità temporanea, ed Euro 2.145,00 a titolo di rimborso delle spese mediche conseguenti al sinistro) oltre interessi e rivalutazione monetaria. Con comparsa depositata in data 07/05/2021 si costituiva la convenuta A.T.E.R. UMBRIA, la quale eccepiva: a) il proprio difetto di legittimazione passiva, non essendo stato specificato dall'attrice il titolo giuridico in forza del quale era stata evocata in giudizio, e non sussistendo comunque in capo ad essa la qualità di gestionaria o di rappresentante del condominio; b) l'infondatezza della domanda attorea, sia per la mancanza di prova circa la reale dinamica del sinistro, sia perché, in ogni caso, l'attrice ben conosceva lo stato dei luoghi e le condizioni della pavimentazione (priva di irregolarità o anomalie, e tale quindi da non costituire insidia o trabocchetto), dovendo eventualmente attribuirsi la verificazione dell'evento alla condotta imprudente della stessa attrice, la quale, in condizioni di perfetta visibilità e luminosità (alle ore 10.30 del mattino), avrebbe - per sua stessa prospettazione - intrapreso l'attraversamento dell'androne pur essendosi accorta che il pavimento era "interamente allagato dall'acqua", peraltro in un giorno festivo (01/11/2018) in cui il custode non avrebbe potuto intervenire neppure con l'ordinanza diligenza. La convenuta contestava l'avversa pretesa anche sotto il profilo del quantum, concludendo per l'integrale rigetto della domanda proposta dall'attrice nei suoi confronti, ovvero, in subordine, per la riduzione del risarcimento. A seguito della prima udienza del 01/06/2021, del successivo deposito delle memorie di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c. e della susseguente istruttoria, consistita nell'assunzione delle prove orali ammesse con ordinanza del 18/01/2022, all'udienza del 24/01/2023 lo scrivente giudice invitava le parti a precisare le conclusioni e tratteneva la causa in decisione, con termini di giorni trenta per il deposito delle comparse conclusionali e di giorni venti per il deposito delle memorie di replica. La domanda attorea non merita accoglimento, per i motivi di seguito illustrati. Va anzitutto esaminata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla convenuta A.T.E.R. UMBRIA. Come noto, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione a contraddire deve aversi riguardo alla domanda, sicché la legittimazione passiva dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell'obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio (v. per tutte Cass. SS.UU., 2951/2016). Nel caso in esame, anche alla luce della condotta tenuta prima dell'instaurazione del giudizio dall'attrice (che ha sempre rivolto le proprie pretese nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA), deve ritenersi che l'ambigua formulazione originaria della domanda risarcitoria, rivolta nei confronti del "condominio, in persona dell'amministratore p.t. e dell'Ater quale ente gestionario del condominio suddetto", sia stata superata dalla precisazione effettuata nel corso della prima udienza del 01/06/2021 dal difensore di parte attrice, il quale ha chiarito di aver dedotto la responsabilità dell'A.T.E.R. in quanto "ente proprietario dell'alloggio (...) nonché custode dell'androne del condominio di cui in citazione, su cui incombe l'obbligo di vigilanza", sicché, in definitiva, la domanda deve intendersi proposta nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA quale asserito custode dell'androne. Nel merito, tuttavia, tale domanda non è fondata. L'affermazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. postula anzitutto l'assolvimento dell'onere della prova, da parte del danneggiato, della sussistenza del rapporto di custodia tra il soggetto convenuto come responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo (v. ex multis Cass. 16211/2013 e Cass. 20057/08). Con particolare riferimento alla custodia delle parti comuni degli immobili di edilizia residenziale pubblica, tale custodia permane in capo all'Ente gestore solo fino a quando non venga costituito un condominio (v. in tal senso Trib. S. Maria Capua Vetere 25 novembre 2015, e Trib. Benevento 12 gennaio 2010), che in quanto tale diviene - dal momento della sua costituzione - custode e gestore delle parti comuni dell'edificio, e dunque titolare dell'obbligazione passiva risarcitoria ex art. 2051 c.c. sussistendone i presupposti (v. ex multis Cass. 6499/09). Dunque, poiché nel caso di specie è stata la stessa attrice a dedurre l'esistenza di un condominio e di un suo amministratore (essendo, come detto, le conclusioni rivolte nei confronti del "condominio, in persona dell'amministratore p.t. (...)"), e poiché la circostanza dell'avvenuta costituzione del condominio - prevista, peraltro, come fisiologica evenienza dall'art. 12 della "Carta dei servizi Ater Umbia" (prodotta proprio dall'attrice in allegato alla seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c.) - risulta confermata dalla deposizione resa dal testimone (...) (avendo quest'ultimo, escusso all'udienza del 28/10/2022, riferito che "anche nel 2018 all'epoca dell'incidente c 'era e c'è un condominio in cui ATER è proprietaria solo di parte delle porzioni immobiliari pur avendo la maggioranza dei millesimi condominiali", oltre che dal documento f) allegato alla seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c. di parte convenuta (lettera di convocazione dell'assemblea condominiale del 07/06/2019 da parte dell'amministratore del condominio (...) e stralcio del relativo verbale), non può ritenersi raggiunta la prova del rapporto di custodia tra l'A.T.E.R. UMBRIA e l'androne condominiale in cui è caduta l'odierna attrice, la quale avrebbe dovuto, piuttosto, convenire in giudizio il condominio. La domanda attorea appare inoltre infondata anche sotto il profilo della sussistenza del caso fortuito, integrato dall'imprudente condotta della stessa attrice. Come noto, nell'ambito del caso fortuito ex art. 2051 c.c. possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello dello stesso danneggiato (v. Cass. 27724/2018 e Cass. 12027/2017), qualora quest'ultimo abbia tenuto un comportamento incauto in correlazione alla situazione di pericolo percepibile con l'ordinaria diligenza (v. ex multis Cass. 11526/2017). Nel caso in esame, la stessa attrice ha riferito - in sede di interrogatorio formale - di aver visto che il pavimento (privo di sconnessioni) era bagnato, circostanza che, peraltro, si verificava abitualmente a causa della mancanza parziale di copertura (v. sul punto anche le deposizioni dei testimoni (...) e (...), escussi all'udienza del 19/05/2022), e di aver (ciò nonostante) intrapreso l'attraversamento dell'androne confidando nel fatto di aver già altre volte attraversato l'androne con il pavimento bagnato senza avere problemi (v. il verbale dell'udienza del 01/04/2022). Appare quindi evidente l'imprudenza della condotta dell'attrice, la quale, perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi e in presenza di un'insidia ben visibile e tutt'altro che imprevedibile, non si è astenuta dal camminare sul tratto reso scivoloso dalla pioggia (v. in casi simili Cass. 11592/2010, nonché, nella giurisprudenza di merito, Trib. Frosinone 27 maggio 2016). Per tutti i motivi sopra esposti, la domanda proposta da (...) nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA deve essere rigettata. Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. 55/2014 (come aggiornata dal D.M. 147/2022), in base al valore (scaglione da Euro 26.000,00 ad Euro 52.000,00), alla natura e alla complessità (media) della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA - AZIENDA TERRITORIALE PER L'EDILIZIA RESIDENZIALE DELLA REGIONE UMBRIA, ogni altra difesa, eccezione ed istanza disattesa, così provvede: - rigetta la domanda; - condanna (...) alla rifusione in favore dell'A.T.E.R. UMBRIA delle spese processuali, che liquida in Euro 7.616,00 (di cui Euro 1.701,00 per la fase di studio, Euro 1.204,00 per la fase introduttiva, Euro 1.806,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, ed Euro 2.905,00 per la fase decisionale) oltre spese forfettarie (15%), CPA e IVA se dovuta. Così deciso in Terni il 28 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI in persona del giudice del lavoro Dott.ssa Manuela Olivieri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero 477 del registro generale dell'anno 2021 promossa DA (...), quale titolare dell'omonima ditta individuale, con sede legale in T., via T. A. n.27, in proprio ai sensi dell'art.6, comma 9 del D.Lgs. n. 150 del 2011 OPPONENTE CONTRO ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO TERNI - RIETI (succeduto ope legis alla Direzione Territoriale del Lavoro di Terni), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Terni, via (...), rappresentato e difeso in giudizio, ai sensi e per gli effetti dell'art.6 del D.Lgs. n. 150 del 2011 già art.23 IV comma della L. n. 689 del 1981 dal Direttore pro tempore Dott. St.Ol., congiuntamente e disgiuntamente, dai funzionari Avv.ti Gi.Gu., Avv. An.Fu., Avv. Ma.Tr. e Dott.ssa Si.Fo. giusta delega direttoriale in calce alla comparsa di costituzione. OPPOSTO OGGETTO: opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art.22 L. n. 689 del 1981 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso spedito in data 12.06.2021 (pervenuto presso la cancelleria del Tribunale in data 16.07.2021) parte ricorrente ha premesso: - che in data 12.06.2021 gli venivano notificate n.5 ordinanze ingiunzioni (n.54/2021 caso n.513417013 del 7.11.2016 prot. n.(...), n. 55/2021 caso n.513417087 del 7.11.2016 prot. n. (...), n. 56/2021 caso n. 513417088 del 7.11.2016 prot. n. (...), n.57/2021 caso n. 513417090 del 7.11.2016 prot. n. (...), n.58/2021 caso n.513417089 del 7.11.2016 prot. n. (...)) con le quali l'Ispettorato Territoriale di Terni gli ingiungeva il pagamento della somma di Euro 1.290,00 (oltre spese di notifica) per ciascuna ordinanza ingiunzione, per aver violato l'art. 53, comma 5 del D.P.R. n. 1124 del 1965 per aver omesso di denunciare la malattia professionale di (...) entro il termine di 5 giorni dalla notizia a mezzo certificato medico. Per tale violazione veniva irrogata una sanzione di Euro 1.290,00 (oltre spese di notifica) per ogni ordinanza ingiunzione". Ha allegato che le ordinanze ingiunzione sono riconducibili ad un solo evento e che erroneamente il medico competente avrebbe elaborato n.5 certificati medici, laddove il lavoratore è uno solo, così come la richiesta di accertamento della malattia professionale, tanto è vero che sia l'INAIL che l'Ispettorato del Lavoro, nelle ordinanze ingiunzione, danno atto che i certificati sono riconducibili ad una sola apertura di accertamento malattia professionale verso (...). Ha citato, pertanto, davanti al Tribunale di Terni l'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni - Rieti chiedendo, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, in via principale l'annullamento dell'atto impugnato e l'applicazione di una sola sanzione con il minimo edittale pari ad Euro 1.317,05. Si è costituito l'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni - Rieti affermando l'infondatezza dell'opposizione ed insistendo per il rigetto del ricorso. L'istruttoria si è articolata nella produzione documentale offerta dalle parti. Sulle conclusioni indicate la causa veniva discussa e decisa con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 429, primo comma, c.p.c. come modificato dall'art. 53, secondo comma, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in assenza delle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE Giova premettere che nel giudizio di opposizione ad una ordinanza ingiunzione in materia di sanzioni amministrativa il relativo oggetto non è l'accertamento della legittimità dell'atto amministrativo, ma la pretesa sanzionatoria. Difatti il Giudice, al quale sono riconosciuti poteri istruttori esercitabili ex officio, deve pronunciarsi, non tanto sull'operato della Pubblica Amministrazione (da ritenersi lecito sino a prova contraria), ma sulla responsabilità dell'opponente, che va provata in giudizio. A tal fine assume rilievo il principio di diritto costantemente affermato dalla Suprema Corte in forza del quale "Nel procedimento di opposizione al provvedimento irrogativo di una sanzione amministrativa pecuniaria l'Amministrazione, pur essendo formalmente convenuta, assume sostanzialmente la parte di attrice; spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell'art. 2697 c.c., fornire la prova dell'esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata e della loro imputabilità all'intimato, mentre compete all'opponente, che assume la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi od estintivi. Con l'ulteriore precisazione che l'Amministrazione può avvalersi anche di presunzioni (essendo anche questi mezzi di prova dei fatti giuridici) che trasferiscono a carico dell'opponente l'onere della prova contraria" (cfr., da ultimo, Cass., sez. VI-2, ord. 23.02.2018 n. 4424:; Cass., sez. VI, ord. 24.01.2019 n. 1921). Tanto premesso, è possibile passare all'esame delle censure formulate dall'odierna parte opponente, specificando che avendo inviato l'istante n.5 ricorsi in opposizione alle 5 ordinanze ingiunzione emesse dall'Ispettorato convenuto, il presente giudizio ha ad oggetto l'impugnazione della seconda ordinanza ingiunzione emessa dall'Amministrazione convenuta n. 55/2021 caso n. 513417087 del 7.11.2016 prot. n. 523 notificata in data 12.06.2021 allegata al ricorso in opposizione. Fatta questa premessa, è opportuno richiamare la normativa violata dall'opponente art. 53, comma 5, del D.P.R. n. 1124 del 1965 a mente del quale: "La denuncia delle malattie professionali deve essere trasmessa sempre con le modalità di cui all'art. 13 dal datore di lavoro all'istituto assicuratore, corredata da certificato medico, entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d'opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia". La medesima disposizione normativa precisa che: "Il certificato medico deve contenere, oltre l'indicazione del domicilio dell'ammalato e del luogo dove questi si trova ricoverato, una relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dallo ammalato stesso e di quello rilevata dal medico certificatore". Una sua lettura sistematica impone di ritenere che anche per le malattie professionali operi il medesimo principio espressamente enunciato per gli infortuni professionali dal comma 1, a mente del quale l'obbligo del datore di lavoro di effettuare la denuncia all'istituto assicuratore "è indipendente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l'indennizzabilità". La fattispecie de qua, unitariamente intesa, risulta difatti riconducibile al genus dei cc.dd. "illeciti di scopo", in cui l'ordinamento stigmatizza comportamenti idonei a pregiudicare solo indirettamente il bene giuridico presidiato. Coerentemente, dunque, con la ratio della disposizione e con la morfologia dell'illecito dalla medesima sanzionato, deve ritenersi che il bene giuridico tutelato in via diretta sia l'interesse dell'Istituto Previdenziale a verificare la sussistenza del diritto all'indennizzabilità ed a procedere, nel più breve tempo possibile, alla relativa liquidazione. In tal modo si garantisce, in via indiretta, il vero bene della vita a tutela del quale il precetto di comando è posto, ossia il diritto del lavoratore a beneficiare delle prestazioni assicurative di natura previdenziale allorché costui sia attinto da conseguenze pregiudizievoli derivanti da un infortunio o da malattia professionale. E' pacifico che il ricorrente, in qualità di datore di lavoro di (...) ha inviato all'Inail la denuncia di malattia professionale dell'assicurato in data 21.02.2017, pur avendo avuto notizia della malattia professionale in data 28.11.2016, quando ha ricevuto dall'INAIL la richiesta di denuncia della malattia professionale a mezzo racc. a/r con allegato il certificato medico (cfr. ordinanza ingiunzione in atti). Allega in fatto l'Amministrazione convenuta, e la circostanza è documentalmente provata, che la dott.ssa (...) elaborava un unico certificato medico di malattia professionale per la lavoratrice (...) nel quale indicava n. 5 malattie professionali (sindrome tunnel carpale bilaterale, rizoartrosi bilaterali, ernie dicali, grave artrosi con uncoartrosi cervicale e allergia respiratoria), deducendo, quindi in diritto, che trattandosi di cinque diverse malattie necessariamente l'Inail doveva procedere a cinque accertamenti medici separati, in quanto ogni patologia richiede specifiche verifiche affidate a diversi specialisti che potrebbero avere esiti diversi, con la conseguente apertura di n.5 pratiche di accertamento necessitanti l'invio da parte del datore di lavoro delle corrispondenti denunce. Invero, nel caso di specie viene in rilievo l'ipotesi in cui è lo stesso dipendente a dare impulso al procedimento per il riconoscimento della malattia professionale, laddove il datore di lavoro ha avuto contezza della malattia del dipendente tramite l'Inail. Ad avviso di chi scrive la ratio legis sottesa alle norme di riferimento è quella di consentire l'avvio delle procedure per l'erogazione delle prestazioni assistenziali anche mediante la successiva tempestiva denuncia del datore di lavoro, il quale è venuto a conoscenza degli eventi coperti dall'assicurazione attraverso la richiesta di denuncia da parte dell'Istituto erogatore. La presentazione della denuncia da parte del datore di lavoro costituisce dunque, sia per l'infortunio che per la malattia professionale, l'atto necessario per l'avvio dei compiti istituzionali dell'Istituto assicuratore in ordine al riconoscimento delle prestazioni assistenziali e consente, altresì, il rispetto degli adempimenti previsti dalla legge, a nulla rilevando che la notizia dell'evento sia stata acquisita dal lavoratore o dall'Inail. Ciò posto, come è stato condivisibilmente affermato dallo stesso Ministero del lavoro in sede di interpello da parte dell'Ordine dei Consulenti del lavoro: "l'inoltro della certificazione sanitaria, pur ponendosi come momento centrale ai fini della notizia della tecnopatia contratta dal lavoratore, non è sufficiente ad assicurare il rispetto degli obblighi prescritti dall'art. 53 D.P.R. n. 1124 del 1965. Infatti, la sanzione amministrativa ivi prevista concerne non solo le violazioni attinenti il rispetto dei termini ma anche quelle relative a omissioni o infedeli indicazioni dei dati richiesti dalla normativa in esame, quali risultano dai commi 4, 5 e 6 del citato articolo" (cfr. Interpello n. 5/2009 del 6 febbraio 2009). In definitiva, così come il datore di lavoro, per non incorrere nella sanzione per cui è causa, ha l'obbligo di trasmettere all'Inail, nel termine di legge, la denuncia di malattia, unitamente al certificato medico ed alla relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dall'ammalato stesso e di quella rilevata dal medico certificatore, al pari, anche nella ipotesi in disamina in cui la denuncia è avvenuta direttamente dallo stesso assicurato all'Inail, l'Istituto è tenuto a trasmettere al datore di lavoro, oltre al certificato medico, anche la relazione particolareggiata. Mette conto evidenziare, infatti, che la tempestività della denuncia è diretta a consentire all'Istituto di verificare la sussistenza del diritto all'indennizzabilità ed altresì a procedere, nel più breve tempo possibile e comunque nel termine di legge, sia alla liquidazione dell'indennità per inabilità temporanea assoluta, sia all'accertamento di eventuali postumi invalidanti di grado indennizzabile. Orbene nella fattispecie al vaglio trattasi di un solo certificato medico elaborato dal medico competente nel quale sono state indicate n.5 patologie asseritamente contratte dalla lavoratrice (...) in un unico periodo continuativo di lavoro prestato alle dipendenze del ricorrente (funditus dal 1995 al 2016) svolgendo sempre le stesse mansioni, vale a dire la commessa nel negozio - panificio gestito dal (...), con esposizione al medesimo rischio costituito da sforzi fisici e pesi (cfr. identiche denunce del datore di lavoro in atti). Ad avviso dello scrivente Giudice, in disparte la circostanza pacifica che il datore di lavoro abbia inviato in ritardo, rispetto al termine di legge, la denuncia di malattia, tuttavia appare incomprensibile, nella misura in cui non è dato rinvenire l'aggancio normativo, la ragione fondante la necessità da parte dell'Inail di aprire n.5 pratiche di accertamento, posto che, nel caso di specie, trattasi degli stessi lavoratore e datore di lavoro, nonché del medesimo ambiente lavorativo, rimaste immutate le mansioni disimpegnate dalla prestatrice (...) per tutto il periodo oggetto di esposizione a rischio, dal 1995 al 2016, e conseguenziale accertamento da parte dell'INAIL. Non si discute, risultando verosimile per ragioni di organizzazione nella liquidazione degli indennizzi, che l'Istituto assicuratore apra tante pratiche quante sono le malattie denunciate dal lavoratore, tuttavia, non si rinviene ai fini per cui è causa, prima ancora della disposizione specifica impositiva, finanche la necessità logica di imporre al datore di lavoro tante denunce quante sono le malattie contratte dallo stesso lavoratore nel medesimo ambiente lavorativo ed indicate in un solo certificato, laddove l'esposizione al rischio professionale sia rimasta invariata per l'intero periodo oggetto di accertamento, come avvenuto nel caso al vaglio. Non si vede quale possa essere l'elemento di novità che l'Inail avrebbe potuto acquisire ai fini dell'accertamento delle noxe professionali cui è stata esposta la lavoratrice, imponendo al datore di lavoro di inviare n.5 denunce, avendo ricevuto risposte identiche al questionario allegato ad ognuna di esse (cfr. doc.ti in atti al fascicolo dell'Ispettorato). Appare al Tribunale, peraltro, alquanto improbabile che l'Istituto possa chiamare a visita per ben 5 volte la stessa lavoratrice che nel periodo denunciato è stata esposta sempre allo stesso rischio (sforzi fisici e pesi cfr. risposte ai questionari), anche in un'ottica di ottimizzazione delle risorse e dei tempi di definizione delle procedure. Diversamente a dirsi laddove si fosse trattato di eventi differenti, quali ad esempio infortunio sul lavoro generato da causa violenta e malattia professionale, ovvero di un mutamento nel periodo da considerare di mansioni e di datore di lavoro, circostanze che necessitano anche di questionari diversificati da sottoporre al denunciante. L'organizzazione interna all'Istituto strumentale alla definizione delle pratiche, laddove la suddivisione in tabelle delle malattie come invocata dall'Amministrazione convenuta nulla dice in merito all'obbligo di smembrare le denunce a fronte di un unico certificato medico ai fini accertativi, che ha determinato la richiesta all'odierno ricorrente di inviare n.5 denunce professionali, spedite pacificamente in ritardo rispetto ai termini di legge, sebbene comprensibile non può essere la fonte dell'irrogazione di 5 sanzioni amministrative, apparendo, invece, corrispondente al dato normativo invocato dalla resistente la commissione di una sola violazione da parte del (...) dell'art.53, comma 5 del D.P.R. n. 1124 del 1965 posta in essere con l'inoltro tardivo della prima denuncia di malattia professionale che ha dato origine alla prima ingiunzione di pagamento con ordinanza n.54/2021 (caso n.513417013 del 7.11.2016 prot. n. (...)) non oggetto della presente opposizione ed ancora sub iudice (giudizio R.G. n.480/2021 assegnato alla Dott. F.). Sulla scorta delle ragioni che precedono, il ricorso è meritevole di accoglimento, con conseguente annullamento dell'ordinanza ingiunzione in oggetto. Nulla sulle spese di lite essendosi l'opponente costituito personalmente in giudizio ai sensi dell'art.6, comma 9 D.Lgs. n. 150 del 2011. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in funzione di Giudice del lavoro in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - In accoglimento dell'opposizione per le ragioni di cui alla parte motiva, annulla l'ordinanza ingiunzione emessa dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni - Rieti n. 55/2021, prot. n. (...) del 1.06.2021, notificata in data 12.06.2021; - Nulla sulle spese di lite. Così deciso in Terni il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI SEZIONE LAVORO in persona del giudice del lavoro Dott.ssa Manuela Olivieri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero 337 del registro generale dell'anno 2020 promossa DA (...), elettivamente domiciliata in Terni, via (...), presso lo studio dell'Avv.to An.Ma. e rappresentata e difesa dall'Avv.to Ma.Pi. giusta procura in atti RICORRENTE CONTRO MINISTERO DELL'ISTRUZIONE e del MERITO (già Ministero dell'Istruzione, Dell'Università e Della Ricerca), in persona del legale rappresentante pro tempore, patrocinato dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia ed elettivamente domiciliato ex lege presso l'Ufficio della stessa in Perugia, via (...) RESISTENTE OGGETTO: ricostruzione della carriera e riconoscimento anzianità pre ruolo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 18 giugno 2020 parte ricorrente premette: - di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze del Ministero convenuto in qualità di docente non di ruolo con reiterati incarichi di insegnamento a tempo determinato e di essere stata immessa in ruolo nell'anno scolastico 2014/2015; - di avere diritto alla progressione professionale retributiva per tutto il servizio prestato alle dipendenze del Ministero convenuto anche in virtù dei contratti a tempo determinato con valorizzazione di tale progressione anche successivamente all'immissione in ruolo con condanna dell'Amministrazione alle relative differenze retributive. Contesta, in particolare, la correttezza della ricostruzione di carriera basata sull'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994, cioè omettendo di valorizzare l'intero periodo di "precariato" (lavoro con contratti a tempo determinato), in contrasto con la clausola n. 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell'Unione Europea (Direttiva 1999/70/CE), in forza della quale il lavoratore a tempo determinato ha diritto al medesimo trattamento del personale assunto a tempo indeterminato secondo la clausola: "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive" - punto 1; inoltre "i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive" - punto 4. La ricorrente conviene, pertanto, il Ministero dell'Istruzione dinanzi all'intestato Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, chiedendo: - di accertare la natura discriminatoria della ricostruzione della carriera della ricorrente, come effettuata con decreto dei singoli Dirigenti scolastici; - disapplicare l'art. 485 (in combinato con l'art.66 del CCNL) del D.Lgs. n. 297 del 1994 in conseguenza del contrasto con la Clausola 4 della Direttiva Comunitaria 1999/70/CE; - per l'effetto condannare il Ministero, in persona del Ministro pro tempore, a rideterminare la ricostruzione della carriera della ricorrente, valorizzando l'integrale periodo di servizio prestato dalla stessa con i contratti a tempo determinato prima della immissione in ruolo ed attribuendo ad essa, pertanto, con decorrenza ex tunc il corretto ed esatto grado di anzianità dovuta ai fini economici e giuridici; condannare, inoltre, per tutti i motivi esposti in narrativa, il Ministero al risarcimento del danno cagionato alla ricorrente a causa del mancato corretto recepimento nell'ordinamento nazionale della Direttiva 1999/70/CE danno da calcolarsi in misura pari alle somme che sarebbero state loro dovute, se correttamente inquadrati nella anzianità di servizio, in base al CCNL, con vittoria delle spese di lite da distrarsi. Si è costituito il MIUR: - eccependo il difetto di giurisdizione e l'incompetenza territoriale del Giudice adito con riferimento alla domanda risarcitoria; - eccependo, in via ulteriormente preliminare, la prescrizione quinquennale dei diritti retributivi azionati dalla ricorrente; - nel merito deducendo l'infondatezza delle avverse pretese, in quanto l'Amministrazione scolastica ha effettuato la valutazione dei servizi pre-ruolo in piena aderenza a quanto prescritto dall'art. 485 del D.Lgs. n. 294 del 1994, ha insistito per il rigetto del ricorso. Parte resistente ha fatto, altresì, rilevare che l'art. 485 D.Lgs. n. 294 del 1994 citato prevede un meccanismo di favore - cd. bonus valutativo - nel calcolo della anzianità di servizio, consentendo di valutare il servizio pre-ruolo prestato per almeno 180 giorni all'interno dell'anno reale come anno scolastico intero, con la conseguenza che la procedura applicata dall'Amministrazione convenuta non ha inciso negativamente sulla ricostruzione di carriera della ricorrente. L'Amministrazione scolastica ha, infine, escluso la valutabilità ai fini della ricostruzione di carriera dei servizi svolti presso istituti paritari, insistendo per il rigetto della domanda. La causa è stata istruita con la sola produzione documentale. Nelle more del giudizio la causa, a seguito del trasferimento ad altro Ufficio della dott.ssa (...), veniva assegnata allo scrivente Giudice. Lo scrivente Giudice con riservata ordinanza del 17.05.2022, che qui si richiama, invitava la parte ricorrente a riformulare i conteggi. Quindi, sulle conclusioni indicate la causa veniva discussa e decisa come sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 429, primo comma, c.p.c. come modificato dall'art. 53, secondo comma, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in assenza delle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE Parte ricorrente lamenta di aver lavorato per numerosi anni con contratti a tempo determinato alle dipendenze del MIUR senza che le sia mai stata riconosciuta la progressione stipendiale attribuita ai dipendenti - ATA e docenti - a tempo indeterminato. Si duole parte ricorrente dell'avvenuta violazione dell'art. 4 dell'Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla Direttiva 1999/70/CE per la discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato e chiede la condanna del MIUR a rideterminare la ricostruzione della carriera, valorizzando l'integrale periodo di servizio prestato dalla stessa con i contratti a tempo determinato prima della immissione in ruolo, attribuendole, con decorrenza ex tunc, il corretto ed esatto grado di anzianità dovuta ai fini economici e giuridici. Nel merito la giurisprudenza della Suprema Corte aveva ormai univocamente statuito che "nel settore scolastico, la clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l'anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai finidell'attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato" (vd. Sez. L., Sentenza n. 20918 del 05/08/2019; Sez. L., 22558/2016). E' nel frattempo intervenuta la sentenza della CGUE del 20/9/2018 C - 466/2017 (Motter) che ha statuito "La clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell'inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi". Invero l'art. 485 T.U. n.297/94 dispone per il personale docente che "1. Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché' ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo. 2. Agli stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di ruolo e non di ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei predetti educandati e quelle all'estero, nonché nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie. 3. Al personale docente delle scuole elementari è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti fissati dal comma 1, il servizio prestato in qualità di docente non di ruolo nelle scuole elementari statali o degli educandati femminili statali, o parificate, nelle scuole secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non di ruolo prestati nelle scuole materne statali o comunali. 4. Ai docenti di cui al comma 1, che siano privi della vista, ed al personale docente delle scuole elementari statali o parificate per ciechi il servizio non di ruolo comunque prestato è riconosciuto per intero ai fini giuridici ed economici. 5. Al personale docente contemplato nel presente articolo è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti precedentemente indicati, il servizio prestato in qualità di docente incaricato o di assistente incaricato o straordinario nelle università. 6. I servizi di cui ai precedenti commi sono riconosciuti purché prestati senza demerito e con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. 7. Il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti". L'art. 489 (Periodi di servizio utili al riconoscimento) prevede poi che "1. Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell'anno dall'ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. 2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento", ove L. 3 maggio 1999, n. 124 ha disposto art. 11, comma 14 che "il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1 febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale". A seguito di detta sentenza, la Suprema Corte con sentenza n. 31149/2019 ha confermato il principio sopra esposto chiarendo però che, quanto al personale docente "9.1 (...) un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l'anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 D.Lgs. n. 297 del 1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 D.Lgs. n. 297 del 1994, perché solo in tal caso l'attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all'assunto a tempo indeterminato. 9.2. Nel calcolo dell'anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l'assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l'assunto a tempo indeterminato ( congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 12 RG n.2220/2017 e n.17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento delcompletamento delle attività di scrutinio. Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall'uno all'altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia. 9.3. Qualora, all'esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l'applicazione dei criteri di cui all'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994, la norma di diritto interno deve essere disapplicata ed al docente va riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all'insegnante assunto a tempo indeterminato, perché l'abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell'Unione. Come già ricordato nel punto 6.1 lett. a), la clausola 4 dell'accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell'Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusa l'interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Ro. Sa. punti da 49 a 56). Non è consentito, invece, all'assunto a tempo determinato, successivamente immesso nei ruoli, pretendere, sulla base della clausola 4, una commistione di regimi, ossia, da un lato, il criterio più favorevole dettato dal T.U. e, dall'altro, l'eliminazione del solo abbattimento, perché la disapplicazione non può essere parziale né può comportare l'applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può giovarsi l'assunto a tempo indeterminato comparabile. (...)". La Cassazione con la medesima pronuncia ha ribadito che rimane confermato quanto già statuito " 10. Riprendendo quanto già anticipato al punto 6, deve essere rimarcato che le ragioni valorizzate dalla Corte di Giustizia nella pronuncia relativa alla ricostruzione della carriera del personale docente restano circoscritte a quest'ultimo perché il personale tecnico, amministrativo e ausiliario non può giovarsi della fictio iuris di cui al richiamato art. 11, comma 14, della L. n. 124 del 1999, con la conseguenza che resta alla radice esclusa ogni possibilità della paventata "discriminazione alla rovescia". (?)11. Una volta esclusa la sussistenza di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento quanto alla valutazione dell'anzianità di servizio, correttamente la Corte territoriale ha disapplicato la norma di diritto interno che prevede l'abbattimento dell'anzianità riconoscibile dopo l'immissione in ruolo perché, come già ricordato nel punto 8.1 lett. a), la clausola 4 dell'accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell'Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusal'interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Ro. Sa. punti da 49 a 56). 12. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, perché la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto che la Corte ritiene di dovere enunciare nei termini che seguono: "L'art. 569 del D.Lgs. n. 297 del 1994 relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell'art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi. Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell'amministrazione, l'intero servizio effettivo prestato". Deve osservarsi che effettivamente l'art. 1, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 122 del 2013 ha disposto "b) le disposizioni recate dall'articolo 9, comma 23, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2013", ove tale norma prevedeva "23.Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti" (anni poi recuperati con il D.I. n. 3 del 14 gennaio 2011 e CCNL del comparto scuola sottoscritto il 13/3/2013). Alla luce dei principi sopra richiamati deve pertanto concludersi che per quanto riguarda la fattispecie al vaglio - docente immessa in ruolo nell'a.s. 2014/2015 - potrà affermarsi che vi è discriminazione quando tenuto conto del solo servizio effettivo prestato (cfr. contratti a tempo determinato allegati al ricorso), maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l'assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l'assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), esclusi gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, ed esclusi, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, nonché tenuto conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall'art.485, il servizio riconosciuto con l'abbattimento ex art. 485 TU è inferiore. Fatta questa premessa di ordine generale e venendo all'esame del decreto di ricostruzione della carriera, deve prendersi atto che l'Amministrazione scolastica non ha tenuto conto a tal fine dei periodi lavorativi pre-ruolo su posti di sostegno senza la relativa abilitazione, rispetto ai quali la domanda attorea merita accoglimento applicando i principi fatti esposti nella sentenza n.16420/2019 della Corte di cassazione. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha ricostruito la problematica del riconoscimento dei servizi pre-ruolo su posto di sostegno senza la relativa abilitazione nei seguenti termini: "Il diritto all'integrazione scolastica dell'alunno con disabilità, che trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2, 3, 30, 34 e 38, comma 3, della Carta fondamentale (Corte Cost. n. 215/1987), ha ispirato gli interventi legislativi con i quali, a partire dagli anni '70, è stato superato il principio della necessaria separazione dagli altri degli alunni affetti da handicap, principio che stava alla base dell'istituzione di scuole speciali e di classi differenziali (R.D. n. 577 del 1928; L. n. 1859 del 1962; L. n. 444 del 1968). Il legislatore ordinario ha progressivamente "aperto" le classi cosiddette comuni alla frequenza da parte dei disabili (D.L. n. 5 del 1971; L. n. 517 del 1977) ed il diritto ha trovato definitiva consacrazione nella L. n. 104 del 1992, che ha individuato nell'attività di sostegno svolta da insegnanti specializzati lo strumento principale per la realizzazione dell'integrazione. Ai sensi dell'art. 13, comma 6, della richiamata L. n. 104 del 1992 i docenti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi nelle quali operano e partecipano alla programmazione educativa e didattica in tutte le sedi collegiali nelle quali l'attività si svolge, sicché è stato sottolineato dalla dottrina che gli stessi costituiscono una risorsa per l'intera comunità didattica e non costituiscono "una protesi" dell'alunno disabile, in quanto l'integrazione scolastica si realizza anche sul piano della funzione docente. 2.1. I medesimi principi che ispirano la normativa in tema di disabilità sono stati posti alla base della disciplina dettata dal T.U. n. 297/1994 che, all'art. 127, ha ribadito che i docenti di sostegno: fanno parte integrante dell'organico di circolo; assumono la contitolarità delle classi in cui operano; programmano ed attuano progetti educativi personalizzati per gli alunni disabili ma partecipano anche a tutte le attività di competenza dei consigli di classe, di interclasse e dei collegi dei docenti. Il comma 2 dell'art. 127 prevede che, dopo un periodo minimo ai assegnazione al ruolo dei docenti di sostegno, gli insegnanti possono chiedere il trasferimento nei ruoli comuni ed il comma 4 stabilisce che "l'utilizzazione in posti di sostegno di docenti privi dei prescritti titoli di specializzazione è consentita, nei modi previsti dall'articolo 455, unicamente qualora manchino docenti di ruolo o non di ruolo specializzati". Il diritto di precedenza riconosciuto, nell'assegnazione a posti di sostegno, agli insegnanti in possesso del titolo di specializzazione è ribadito dall'art. 319, comma 5, che, quanto alla natura ed alla disciplina del titolo stesso, richiama l'art. 325 del T.U., a norma del quale " Il personale direttivo e docente preposto alle scuole per non vedenti e per sordomuti, alle scuole con particolari finalità ed alle sezioni e classi delle scuole comuni che accolgono alunni portatori di handicap deve essere fornito - fino all'applicazione dell'articolo 9 della L. 19 novembre 1990, n. 341 - di apposito titolo di specializzazione da conseguire al termine di un corso teorico-pratico di durata biennale presso scuole o istituti riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione. I programmi del predetto corso sono approvati con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione. 2. Al predetto corso sono ammessi coloro che siano in possesso dei requisiti prescritti per l'accesso ai posti di ruolo a cui si riferisce la specializzazione. 3. Sono validi altresì quali titoli di specializzazione i titoli conseguiti in base a norme vigenti prima della data di entrata in vigore del D.P.R. 31 ottobre 1975, n. 970, anche se il loro conseguimento abbia avuto luogo dopo tale data, purché a seguito di corsi indetti prima della data medesima.". Alle modalità di assegnazione del personale docente ai posti di sostegno è dedicato anche l'art. 481 del T.U., secondo cui va data priorità agli insegnanti in possesso del titolo di specializzazione e, fra questi, a quelli di ruolo rispetto a quelli non di ruolo, di modo che l'utilizzazione di personale privo del titolo è possibile, ma solo a condizione che i posti disponibili non possano essere tutti coperti dai docenti specializzati. 2.2. Il quadro normativo sopra richiamato, che delinea le peculiarità proprie dell'attività di sostegno nell'ambito della funzione docente, va tenuto presente nella soluzione della questione qui controversa, che verte sulla riconoscibilità del servizio non di ruolo prestato su posti di sostegno da insegnante privo del titolo di specializzazione in anni scolastici antecedenti all'entrata in vigore della L. n. 124 del 1999. Il legislatore del T.U. del 1994, nel disciplinare il riconoscimento del servizio agli effetti della carriera, ha sostanzialmente riprodotto la disposizione già dettata dall'art. 3 della L. n. 370 del 1970, ed ha previsto, all'art. 485, che i servizi non di ruolo sono riconosciuti, nei limiti previsti dallo stesso decreto, " purché prestati senza demerito e con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo". Il D.Lgs. n. 297 del 1994 non contiene, quanto alla ricostruzione della carriera, alcuna normativa specifica per gli insegnanti di sostegno, normativa che, invece, è stata dettata dall'art. 7, comma 2, della L. n. 124 del 1999 secondo cui "il servizio di insegnamento su posti di sostegno, prestato dai docenti non di ruolo o con rapporto di lavoro a tempo determinato in possesso del titolo di studio richiesto per l'ammissione agli esami di concorso a cattedra per l'insegnamento di una delle discipline previste dal rispettivo ordine e grado di scuola, è valido anche ai fini del riconoscimento del servizio di cui all'art. 485 del testo unico". Il comma 1 della stessa disposizione disciplina le modalità di partecipazione degli insegnanti in possesso del titolo di specializzazione di cui al D.P.R. n. 970 del 1975 alla sessione riservata di esami prevista dall'art. 2 della legge ed aggiunge, poi, che "nelle operazioni di nomina in ruolo sui posti di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado è data la priorità al personale in possesso del titolo di specializzazione conseguito ai sensi del citato D.P.R. n. 970 del 1975"." La sentenza, dopo aver dato atto dell'esistenza di orientamenti difformi sull'interpretazione del suddetto quadro normativo di riferimento, conclude: "3. Questa Corte ritiene non condivisibili gli argomenti posti a fondamento della tesi più restrittiva, perché gli stessi, oltre a mortificare il tenore letterale della disposizione normativa, prescindono dalla valutazione complessiva della disciplina dettata per l'insegnamento in posti di sostegno, i cui aspetti salienti sono stati evidenziati al punto 2.1. 3.1. Il legislatore del T.U. ha ben chiara la distinzione fra titolo di studio e titolo di specializzazione, distinzione sulla quale è fondata la disciplina dettata dagli artt. 402 e 403 in relazione ai requisiti necessari per essere ammessi ai concorsi banditi per l'assegnazione di cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. In particolare mentre l'art. 402 richiede il possesso del solo titolo di studio, l'art. 403 stabilisce che "Per i concorsi a cattedre o a posti di insegnamento nelle scuole aventi particolari finalità, in aggiunta ai titoli di studio di cui all'articolo 402 è richiesto il titolo di specializzazione". L'art.485, quindi, nella parte in cui richiede, ai fini del riconoscimento del servizio non di ruolo, il possesso del solo titolo di studio, esprime una precisa scelta del legislatore di considerare unicamente quest'ultimo condizione imprescindibile ai fini della ricostruzione della carriera, scelta che per quanto attiene all'insegnamento di sostegno risulta in linea con l'intero impianto della normativa. Quest'ultima, si è detto, nel disciplinare le modalità di assegnazione delle cattedre in posti di sostegno, non richiede quale requisito necessario il possesso del titolo di specializzazione, perché consente, sia pure in via residuale, di assegnare alle stesse docenti, di ruolo o non di ruolo, privi del titolo specializzante, che costituisce, pertanto, un mero titolo di precedenza. 3.2. La valorizzazione del solo possesso del titolo di studio trova la sua ratio anche nella particolarità della funzione docente affidata all'insegnante di sostegno il quale, si è già rimarcato, assume la contitolarità dell'intera classe e partecipa alle attività didattiche e di programmazione che coinvolgono la totalità degli studenti, sicché si trova a svolgere contemporaneamente sia funzioni specificamente finalizzate all'integrazione scolastica del disabile, sia attività che trascendono il rapporto insegnante di sostegno/persona affetta da disabilità e coinvolgono l'intera comunità scolastica. E' pacifico che per gli insegnanti che svolgono unicamente dette ultime funzioni il servizio non di ruolo è riconosciuto sulla base del solo possesso del titolo di studio, sicché, evidentemente, l'art. 485 esprime anche la volontà del legislatore di nondifferenziare rispetto a questi ultimi gli insegnanti di sostegno che, seppure non in possesso del diploma di specializzazione, a pieno titolo assumono la contitolarità della classe alla quale sono assegnati. 3.3. Non si può, pertanto, riconoscere natura innovativa all'art. 7, comma 2, della L. n. 124 del 1999 perché la norma, seppure non qualificabile di interpretazione autentica, ha solo reso esplicito e chiarito un principio già desumibile dal precedente quadro normativo. Al riguardo si deve osservare che non è impedita al legislatore la produzione di una norma che, sia pure senza vincolare per il passato l'interprete e senza fare esplicito riferimento alla esegesi di una data disposizione, "produca fra le sue conseguenze, in virtù dell'unità ed organicità dell'ordinamento giuridico, anche quella di chiarire il significato di detta disposizione.." ( Cass. n. 2289/1974). L'interprete, quindi, all'esito di una comparazione fra il quadro normativo previgente e quello modificato, ben può escludere il carattere innovativo della disposizione e ritenere che il precetto, reso esplicito, fosse già desumibile dalla precedente disciplina (in tal senso in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014). 3.4. D'altro canto la tesi che dal carattere innovativo dell'art. 7, comma 2, della L. n. 124 del 1999 fa discendere la riconoscibilità del servizio non di ruolo solo se prestato, in assenza di specializzazione, negli anni scolastici successivi all'entrata in vigore della legge, finisce per introdurre una disparità di trattamento fra situazioni che non presentano alcun profilo di diversità quanto all'aspetto che le qualifica, ossia l'essere l'attività resa in difetto del titolo specializzante. Nella scelta fra le due opzioni interpretative deve, allora, essere preferita quella che non espone la norma al sospetto di incostituzionalità perché l'obbligo del giudice di addivenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione si arresta e cede il passo all'incidente di legittimità solo qualora l'interpretazione stessa "sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si riveli del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca" ( Corte Cost. n. 36/2016), evenienze, queste, che certo non ricorrono nella fattispecie.". Lo scrivente Giudice condivide la soluzione interpretativa adottata dalla Cassazione con la sentenza suddetta, riconoscendo la fondatezza della doglianza formulata dalla ricorrente circa il mancato riconoscimento dei servizi pre-ruolo sul sostegno per i periodi anteriori all'entrata in vigore della L. n. 124 del 1999. Invece, nella ricostruzione della carriera non può tenersi conto del servizio prestato dalla ricorrente presso istituti paritari, come emerge anche dal decreto di ricostruzione della carriera dove l'a.s. 1987/1988, sebbene anno intero di servizio, non è stato poi considerato nel calcolo finale in quanto servizio prestato presso scuola privata. La richiesta di parte ricorrente non può trovare riconoscimento in parte qua, poiché il giudice della nomofilachia ha chiarito che il servizio pre-ruolo prestato presso istituti scolastici paritari non è equipollente a quello prestato presso istituti statali ai fini della ricostruzione della carriera. Nella sentenza n. 32386/2019 la Corte di Cassazione ha enunciato infatti il principio secondo cui: "ai fini dell'inquadramento e del trattamento economico dei docenti non è riconoscibile il servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie in ragione della non omogeneità dello "status" giuridico del personale, che giustifica il differente trattamento, nonché della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento, contrariamente a quanto avviene ai fini della costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato per il servizio prestato nelle scuole pareggiate oltre che in quelle materne statali e comunali". Il condivisibile percorso argomentativo della Suprema Corte prende le mosse dalla constatazione che la L. n. 62 del 2000 ha configurato il sistema nazionale di istruzione secondo un modello pluralistico integrato, in quanto costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e pubbliche degli enti locali. Con la nuova normativa il legislatore nazionale senza dubbio ha "inteso riconoscere all'insegnamento svolto nelle scuole paritarie private lo stesso valore di quello che viene impartito nelle scuole pubbliche, garantendo un trattamento scolastico equipollente agli alunni delle une e delle altre, da intendere tale equipollenza non solo con riguardo al riconoscimento del titolo di studio, ma anche con riguardo alla qualità del servizio di istruzione erogato dall'istituzione scolastica paritaria". Il predetto riconoscimento, però, non dà luogo ad una automatica equiparazione del rapporto di lavoro instaurato con una scuola paritaria con quello intercorrente con una scuola pubblica e dunque in regime di pubblico impiego privatizzato, "attesa la persistente non omogeneità dello status giuridico del personale docente, come si evince già dalla modalità di assunzione, che nel primo caso può avvenire al di fuori dei principi concorsuali di cui all'art. 97 Cost". In mancanza di una espressa norma di legge che sancisca la riconoscibilità del servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie, stante la non omogeneità delle posizioni professionali radicata sulla differente modalità di reclutamento dei docenti, viene meno la possibilità di una estensione in via interpretativa o analogica ai servizi di insegnamento pre-ruolo prestati presso le scuole paritarie della disciplina dettata dall'art.485 del D.Lgs. n. 297 del 1994, dall'art. 2 co. 2 della L. n. 333 del 2001 e dall'art. 2 del D.L. n. 370 del 1970 convertito con L. n. 576 del 1970, tutte disposizioni pur sempre riferibili a fattispecie riconducibili al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato. L'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 equipara invece, ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo, le scuole di istruzione secondaria ed artistica statali e quelle "pareggiate". L'equiparazione, però, si fonda su un presupposto che attiene proprio alle modalità di reclutamento dei docenti. Occorre ricordare, infatti, che prima della L. n. 62 del 2000 esistevano nell'ordinamento scolastico, accanto alle scuole statali, due tipologie di scuole private, quelle che rilasciavano titoli di studio non aventi valore legale e quelle, per l'appunto pareggiate, legittimate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. Per la concessione del pareggiamento occorreva, tra l'altro, "che le cattedre fossero occupate da personale nominato, secondo norme stabilite con regolamento, in seguito ad apposito pubblico concorso, o che sia risultato vincitore, o abbia conseguito la votazione di almeno sette decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o pareggiate o in esami di abilitazione all'.insegnamento corrispondente, ovvero per chiamata, dal ruolo di scuole di pari grado, statali o pareggiate, ai sensi della lettera b) dell'articolo unico del R.D. 21 marzo 1935, n. 1118". Si trattava, dunque, di una modalità di reclutamento omogenea a quella dei docenti della scuole statali che non sussiste invece per le scuole paritarie ex L. n. 62 del 2000. Non è quindi giustificata, in assenza di una norma legislativa che lo consenta, la assimilazione delle scuole paritarie ex L. n. 62 del 2000 a quelle "pareggiate" di cui all'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo alla stessa stregua di quello prestato nelle scuole statali. Và anche tenuto in considerazione l'art. 1, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 122 del 2013 per cui non può essere considerato il servizio prestato nel 2013. Alla luce delle considerazioni in diritto che precedono lo scrivente Giudice ha onerato parte ricorrente di riformulare il calcolo dei giorni effettivi di servizi pre ruolo osservando i dettami della Suprema Corte n.31149/2019, sopra citata, per quanto riguarda il personale docente precario immesso in ruolo (cfr. ordinanza riservata del 17.05.2022 in atti). Nelle note d'udienza depositate in data 19.09.2022 la difesa attorea adempiendo all'ordinanza citata ed in ossequio ai principi in diritto esposti, tenendo in considerazione il prospetto riportato dall'Amministrazione convenuta nel decreto di ricostruzione della carriera, ha calcolato il servizio pre ruolo in anni 12 da cui ha detratto l'anno 2013, in quanto, ai sensi dell'art.1, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 122 del 2013, l'anzianità riconosciuta per effetto del servizio di insegnamento pre-ruolo prestato nell'anno 2013 non è utile alla maturazione delle posizioni stipendiali, giungendo, all'anno di immissione in ruolo 2014/2015, a determinare il servizio effettivo in anni 10, mesi 8 e giorni 12. Deve conseguentemente ritenersi che i servizi prestati dalla ricorrente presso istituti scolastici statali in forza di contratti a termine prima della assunzione a tempo indeterminato e rilevanti ai fini della ricostruzione di carriera sono pari ad anni 10, mesi 8 e giorni 12. Il decreto di ricostruzione di carriera prot n. (...) del 17.03.2016 (all. 1 al ricorso) ha invece riconosciuto alla ricorrente, in applicazione dell'art. 485 D.Lgs. n. 297 del 1994, una anzianità pre-ruolo, ai fini giuridici ed economici, di anni 9 e mesi 4 dunque inferiore a quella effettivamente maturata e calcolata secondo i criteri enunciati dalla Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata. La ricorrente ha pertanto subito un trattamento discriminatorio rispetto al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato, in violazione del principio di cui alla clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Deve conseguentemente disapplicarsi la norma interna confliggente di cui all'art. 485 D.Lgs. n. 294 del 1994 citato, con conseguente riconoscimento in favore di (...) di una anzianità pre-ruolo pari ad anni 10, mesi 8 e giorni 12. Per l'effetto, il Ministero dell'Istruzione deve essere condannato a collocare la ricorrente nella posizione stipendiale corrispondente alla anzianità effettivamente maturata, sia ai fini giuridici che economici. Nelle note di discussione depositate il 29.04.2022 la ricorrente, per il tramite del difensore munito di procura speciale, ha dichiarato di rinunciare ""agli atti, limitatamente alla parte della domanda (subordinata) per la quale si richiede ""...condannare, inoltre, per tutti i motivi esposti in narrativa, il MI al risarcimento del danno cagionato ai singoli ricorrenti a causa del mancato corretto recepimento nell'ordinamento nazionale della Direttiva 1999/70/CE, e comunque per l'ingiusta limitazione subita, danno da calcolarsi in misura pari alle somme che sarebbero state loro dovute, se correttamente inquadrati nella anzianità di servizio, in base al CCNL"" insistendo nel resto per l'accoglimento del ricorso. Orbene tale rinuncia deve essere correttamente qualificata come rinuncia alla domanda, anzi in particolare ad una parte di essa. La rinuncia alla domanda infatti "rientra fra i poteri del difensore (che in tal guisa esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato), distinguendosi così dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale, nelle forme rigorose previste dall'art. 306 cod. proc. civ., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte" (cfr. Cass. Civile sez. III del 04/02/2002, sent. n.1439) Secondo la giurisprudenza citata: "Diversamente, la rinunzia agli atti del giudizio può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale nelle forme rigorose previste dall'art. 306 c.p.c., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte (Cass. 7 marzo 1998, n. 2572, che evidenzia, ancora, come la rinunzia alla domanda si contrapponga,altresì, anche alla disposizione negoziale del diritto in contesa, che costituisce esercizio di un potere sostanziale spettante come tale alla parte personalmente o al suo procuratore munito di mandato speciale siccome diretto a determinare la perdita o la riduzione del diritto stesso). In altri termini, la rinuncia a singoli capi della domanda rientra nella fattispecie di cui all'art. 184 c.p.c. (modifica della domanda) e non in quella di cui all'art. 306 stesso codice (rinuncia agli atti del giudizio) e non richiede pertanto l'osservanza di forme rigorose (Cass. 10 aprile 1998, n. 3734; Cass. 30 gennaio 1998, n. 946; Cass. 28 gennaio 1995, n. 1047)". Non controverso, in diritto, quanto precede, è palese che, nella specie, nonostante i termini impropri utilizzati dalla difesa attorea si è di fronte ad una rinunzia a un capo di domanda e non di rinunzia agli atti del giudizio per il perfezionarsi della quale non è affatto necessario nè una manifestazione di volontà della parte rappresentata nè l'accettazione della controparte (cfr. conf. Cass. Civ. sent. N. 23749/2011). Inoltre, sempre in merito a tale rinuncia, la giurisprudenza di legittimità ha precisato: "costituisce consolidato orientamento di questa Corte (cfr., e pluribus e tra le ultime, sentt. nn. 2268 del 1999 e 5390 del 2000), integralmente condiviso dal Collegio, quello, secondo cui la rinuncia all'azione - a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, che, per avere efficacia, deve essere accettata nei modi prescritti dal codice di rito (art. 306) - preclude ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall'accettazione dell'altra parte, perché, estinguendo l'azione stessa, assume l'efficacia di una pronuncia di rigetto, nel merito, della domanda e fa, quindi, venir meno l'interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio, al fine di ottenere una pronuncia negativa sull'azione proposta (e rinunciata); - che, conseguentemente, la pronuncia di cessazione della materia del contendere, per intervenuta rinuncia all'azione, si raccorda a quest'ultima sulla base di un tipico rapporto causa - effetto" (cfr. Cass. n. 1112 del 1982, 808 e 5286 del 1993)" (cfr. Cass. Civ. sez. I, del 10/09/2004, sent. n.18255) Alla luce di ciò, con riferimento alla domanda di risarcimento del danno, va pertanto dichiarata cessata la materia del contendere per rinuncia della parte ricorrente alla stessa, cui segue l'omesso esame delle eccezioni sollevate dal Ministero con riferimento a tale domanda. Atteso l'esito della lite con rinuncia ad un capo che della domanda che equivale a rigetto del ricorso, le spese del giudizio possono essere compensate nella misura della metà; il Ministero comunque soccombente deve essere condannato al pagamento in favore della parte ricorrente della metà delle spese di lite come liquidate in dispositivo, tenuto conto della serialità del contenzioso, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in funzione di Giudice del lavoro, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - Disapplicata la normativa interna legale e contrattuale per contrasto con la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva del consiglio dell'unione europea 28 giugno 1999/70/CEE, dichiara che la ricorrente (...) alla data dell'immissione in ruolo del 1.09.2014 aveva maturato un servizio pre-ruolo di anni 10, mesi 8 e giorni 12, integralmente valutabili a fini giuridici ed economici; - Per effetto della pronuncia di cui al capo che precede condanna il convenuto Ministero dell'Istituzione al riconoscimento dei medesimi per intero in sede di ricostruzione della carriera, ai fini giuridici ed economici, in conformità al predetto riconoscimento integrale dell'anzianità di servizio pre-ruolo, come accertato nella parte motiva; - dichiara cessata la materia del contendere per rinuncia della parte ricorrente alle ulteriori domande; - Compensa tra le parti le spese di lite nella misura della metà; - Condanna il Ministero dell'Istruzione al pagamento in favore di parte ricorrente della metà delle spese di lite che liquida in Euro 700,00 per compensi professionali ed Euro 24,50 per spese vive, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Così deciso in Terni il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2090 R.G.A.C. dell'anno 2016 promossa DA (...) QUALE EREDE DI (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato presso lo studio professionale dell'Avv. Be.Be. sito in Terni (TR), Via (...) PARTE ATTRICE CONTRO CONDOMINIO CORSO (...) 106 TERNI IN PERSONA DELL'AMMINISTRATORE PRO TEMPORE (...) (C.F. (...)), elett.te dom.to in Terni Via (...), presso e nello studio dell'Avv. En.De. del foro di Terni, c.f.: (...) che lo rappresenta e difende giusta procura alle liti ex art. 83 c.p.c. PARTE CONVENUTA (...) S.A. - RAPPRESENTANZA PER L'ITALIA con riferimento al rischio assunto con il certificato n. 2012/G/075762, con sede a Milano, Corso (...), rappresentata e difesa dagli avv.ti Cl.Pe. (C.F. (...); fax (...); PEC: (...)) e Al.Pa. (C.F. (...); fax (...); PEC: (...)), giusta procura allegata al presente atto (doc. A) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio a Bologna in Via (...). OGGETTO: Responsabilità ex artt. 2051 c.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) citava in giudizio avanti a questo Tribunale il CONDOMINIO CORSO (...) n. 106, rassegnando le conclusioni ivi riportate, qui richiamate e trascritte. La parte attrice deduce che, in data 21.9.2013, la stessa cadeva al suolo mentre usciva dall'ascensore del Condominio sito in corso (...) n. 106 scivolando su una "...sostanza liquida non identificata..." posta sul pavimento subito fuori l'ascensore dello stabile in questione, fratturandosi il femore destro; a seguito di tale evento, la (...) ha convenuto nel presente giudizio il CONDOMINIO chiedendo di dichiararlo responsabile dell'evento ai sensi dell'art. 2051 c.c. o, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e di condannarlo a risarcire i danni da lei subiti, da liquidare in Euro 241.616,42 o in diversa cifra da accertare, oltre rivalutazione ed interessi, con vittoria delle spese di lite e ciò a titolo di danno biologico (35%), di personalizzazione del danno, di danno morale, di inabilità temporanea al 100% e di inabilità temporanea parziale al 50%, nonché per le spese mediche documentate. Dichiarata la contumacia del Condominio, assegnati i termini ex art. 183, comma 6 c.p.c., con comparsa di risposta depositata in data 29.1.2018 si costituiva il CONDOMINIO CORSO (...) n. 106 (d'ora, in poi, il "CONDOMINIO") rassegnando le conclusioni ivi riportate, qui richiamate e trascritte. Con comparsa ritualmente depositata interveniva nel giudizio (...) S.A. - RAPPRESENTANZA PER L'ITALIA con riferimento al rischio assunto con il certificato n. 2012/G/075762 rassegnando le conclusioni ivi riportate, qui richiamate e trascritte. In particolare, il CONDOMINIO ha chiesto il rigetto della domanda attorea in quanto infondata atteso che l'evento lesivo si è verificato come conseguenza di un fatto imprevisto ed imprevedibile (caso fortuito) non imputabile e ascrivibile alla parte convenuta; in subordine, chiedeva di accertare il concorso colposo della danneggiata - con conseguente diminuzione dell'entità del risarcimento - atteso che la (...) (all'epoca di anni 85) avrebbe dovuto prestare attenzione nell'atto di uscire dall'ascensore in considerazione del "...piccolo dislivello che (normalmente) si crea tra il pavimento del pianerottolo e l'abitacolo dell'ascensore", delle condizioni di visibilità del luogo dell'incidente (illuminato) e della collocazione del liquido (in prossimità dell'ascensore). Il giudizio veniva istruito con l'acquisizione della documentazione ritualmente depositata dalle parti e l'esame dei testi ammessi. All'udienza del 15 dicembre 2020, la causa veniva trattenuta n decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.. Con ordinanza del 24/6/2021 la causa veniva rimessa sul ruolo per disporre una consulenza medico-legale d'ufficio che veniva poi depositata dal nominato C.T.U., dott. (...), in data 15/11/2021. All'udienza del 14 giugno 2022 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2.1. In primis deve essere rigettata la richiesta di estromissione dal presente giudizio del CONDOMINIO avanzata dalla parte attrice atteso che, dalla stessa copia della delibera assembleare del 20.4.2018, risulta con chiarezza che l'Assemblea condominiale ha ratificato l'incarico conferito all'Avv. (...) e l'operato dell'amministratore ratificando la volontà di resistere in giudizio nel procedimento in corso tra il CONDOMINIO e la (...) e che l'ordinanza di cui al procedimento R.G. n. 1346-1/2018 del Tribunale di Terni veniva sospesa solo limitatamente al punto n. 3) dell'ordine del giorno inerente alla conferma in carica dell'amministratore. 2.2. Nel merito, la domanda è infondata e va rigettata. In via generale deve osservarsi che la responsabilità del custode di cui all'art. 2051 c.c. non risiede in un fatto imputabile dell'uomo, specificamente il custode, venuto meno al suo dovere di vigilanza e controllo perché la cosa non produca danni a terzi, ma si afferma sulla sola base del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia considerata dalla norma non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova in condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa. Rileva il danno prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale della cosa, o per l'insorgenza in essa di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno (cfr. in questi termini CASS. 20427/2008; CASS. 3651/2006; CASS. 15389/2011). Esclude la responsabilità del custode solo il fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, e che può consistere anche in un comportamento della stessa vittima, avente efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno, tenuto conto della natura della cosa e delle modalità che normalmente ne caratterizzano la fruizione (CASS. 5031/1998; CASS. 28211/2008; CASS. 4476/2011). Ebbene, nel caso di specie, risulta acclarato che la caduta dalla (...) non è stata causata da un malfunzionamento dell'ascensore a servizio del CONDOMINIO ma è stata causata dalla presenza di una sostanza liquida oleosa posta vicino alla "...porta scorrevole dell'ascensore...". Infatti, dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni dei testi esaminati si evince che: - l'area antistante l'ascensore è posta su un ballatoio aperto e che, spesso, dopo le piogge, la parte scoperta si bagna; - il condomino (...) ha dichiarato che, abitando in quell'edificio, faceva sempre attenzione quando usciva dall'ascensore; - la (...) abitava nell'edificio in questione e quindi era ben consapevole dello stato dei luoghi; - la caduta avveniva nel pomeriggio del 21.9.2013, verso le ore 19:00 circa, quando il ballatoio era illuminato; - la macchia "...distrattamente poteva non essere vista..." (cfr. dich. (...)); - il nipote della (...) (...) era con lei e, in quel momento, era "distratto"; - anche il (...) aveva notato a terra, poco dopo l'uscita dell'ascensore, "...un liquido trasparente con consistenza viscosa."; - il pavimento del ballatoio aveva un colore "...giallo chiaro..." (cfr. dich. (...), nipote della parte attrice). Ciò posto, deve ritenersi provato che la parte attrice è caduta all'interno dell'edificio "gestito" dal CONDOMINIO e che l'evento dannoso non si è prodotto nell'ambito del dinamismo naturale della cosa atteso che, sotto il profilo eziologico, è stato determinato non da un malfunzionamento dell'ascensore ovvero da un danneggiamento del pavimento posto subito fuori dall'ascensore ma, invece, è stato determinato da una ".sostanza oleosa. "che appare qualificarsi come un evento imprevedibile ed inevitabile anche in considerazione del fatto che, dagli atti di causa, non è emerso da quanto tempo la suddetta sostanza era presente in loco. Deve quindi concludersi per il rigetto della domanda di parte attrice atteso che la presenza della suddetta "...sostanza oleosa..." deve qualificarsi come elemento esterno, imprevedibile ed inevitabile, che, da solo, ha cagionato l'evento dannoso (la caduta della parte attrice). Le spese legali possono essere compensate fra le parti attesa l'oscillazione giurisprudenziale in merito ai presupposti ed all'estensione degli oneri probatori gravanti sulle parti in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. (cfr. Cass. n. 25856/2017, contra n. 342/2020). Per i medesimi motivi le spese di CTU sono poste definitivamente a carico solidale delle parti. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 2090/2016 R.G., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così statuisce: 1) Dichiara la domanda di parte attrice infondata; 2) Compensa le spese legali fra le parti e pone le spese di CTU, liquidate con separato decreto, a carico solidale delle parti. Così deciso in Terni il 21 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2594 R.G.A.C. dell'anno 2017 promossa DA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) presso il cui studio in Pomigliano d'Arco, alla (...), elettivamente è domiciliato PARTE OPPONENTE CONTRO (...) - SOCIETÀ' COOPERATIVA (C.F. (...)), ora (...) SOCIETÀ COOPERATIVA, con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata in Terni, Via (...) presso lo Studio dell'Avv. (...) PARTE OPPOSTA OGGETTO: Contratti bancari. CONCLUSIONI All'udienza del 24/05/2022 le parti hanno concluso come risulta dal verbale d'udienza qui richiamato e trascritto. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso per decreto ingiuntivo, la (...) società cooperativa in proprio e quale procuratore speciale e mandataria di (...) spa (già (...) SPA - (...) SPA) esponeva che: - 1) con apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria a S.A.L. in POOL del 22/01/2010 a rogito Notaio (...) registrato telematicamente il 27/01/2010 rep.n. 1751 le banche partecipanti (...) Banca di Credito Cooperativo società cooperativa - (...) Banca per il Leasing delle (...) spa - (...) società cooperativa, hanno concesso a (...) S.R.L. con sede in Città della Pieve Via (...) in persona di (...) nato a Napoli il (...), in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società, una apertura di credito in conto corrente fondiario a s.a.l. sino alla concorrenza di Euro 2.400.000,00 per le rispettive quote di: (...) Euro 240.000,00 - Banca (...) spa Euro 1.440.000,00 - (...) Euro 720.000,00 da utilizzare nelle forme in uso presso le banche partecipanti ed avente durata 36 mesi sino al 31/03/2010 al tasso nominale annuo del 3,20% - A garanzia della somma finanziata, dei relativi accessori e di tutte le obbligazioni derivanti dal contratto la (...) srl ha concesso ipoteca sui seguenti beni immobili: DESCRIZIONE DIRITTI DI PIENA PROPRIETA' Unità immobiliari nel Comune di Città della Pieve, località (...) e precisamente: - Appezzamenti di terreno edificabile della superficie complessiva di mq.3995 costituenti il lotto 1 (p.lla (...) del foglio (...)), 3 (p.lla (...) del foglio (...)), e 6 (p.lla (...) del foglio (...)) della lottizzazione denominata "(...)" approvata dal Comune di Città della Pieve con deliberazione del Consiglio Comunale n.79 del 22/9/2006, con sovrastanti edifici in corso di costruzione, confinanti nel loro insieme con Strada Vicinale di Coposodo, Via (...), area collinare. Il tutto individuato all'Ufficio del Territorio di Perugia Catasto Terreni del Comune di Città della Pieve con i seguenti dati catastali: DATI CATASTALI - Fol 46, p.lla (...), are 14.91, seminativo di classe 3, R.D. Euro 6,16, R.A. Euro 6,93; - Fol 46, p.lla (...), are 18.69, vigneto di classe 2, R.D. Euro 13,05, R.A. Euro 8,69 - Fol 46, p.lla (...), are 06.35, vigneto di classe 2, R.D: Euro 4,43, R.A. Euro 2,95; - Con il medesimo atto si sono costituiti fidejubenti per tutte le obbligazioni assunte dalla parte correntista la società (...) srl in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante Sig. (...), il Sig. (...) nato a Napoli il 10/06/1964 in proprio, e il Sig. (...) nato a Napoli il 04/04/1965 sino a concorrenza di Euro 3.600.000,00; - 2) Con apertura di credito in conto corrente con ipoteca fondiaria a S.A.L. in POOL del 18/02/2014 a rogito Notaio (...) registrato a Perugia il 18/02/2014 le banche partecipanti (...)-(...) società cooperativa - (...) SPA - già (...) (...) spa, hanno concesso a (...) S.R.L. con sede in Città della Pieve Via (...) snc in persona di (...) nato a Napoli il 10/06/1964, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società, una apertura di credito in conto corrente fondiario a s.a.l. sino alla concorrenza di Euro 500.000,00 per le rispettive quote di: (...) Euro 50.000,00 - (...) spa Euro 300.000,00 - (...) Euro 150.000,00 da utilizzare nelle forme in uso presso le banche partecipanti ed avente durata 19 mesi sino al 18/09/2015 al tasso nominale annuo al momento della stipula del 3,20% - A garanzia della somma finanziata, dei relativi accessori e di tutte le obbligazioni derivanti dal contratto la (...) srl ha concesso ipoteca sui seguenti beni immobili: DESCRIZIONE DIRITTI DI PIENA PROPRIETA' Unità immobiliari nel Comune di Città della Pieve, località (...) e precisamente: - Appezzamenti di terreno edificabile della superficie complessiva di mq.3995 costituenti i lotto 1 in via (...) (p.lla (...) del foglio (...)) con edificio trifamiliare e relativi accessori e pertinenze; il lotto 3 (p.lla (...) del foglio (...)) costituito da edificio condominiale, costituito da 23 unità abitative e 26 box auto ed un locale sgombero; ed il lotto 6, in prossimità di Via (...) (p.lla (...) del foglio (...)) costituito da edifico a schiera, composto da 7 contigue unità, tutti della lottizzazione denominata "(...)" approvata dal Comune di Città della Pieve con deliberazione del Consiglio Comunale n.79 del 22/9/2006, in corso di completamento ed accatastamento, confinanti nel loto insieme con strada (...), via (...), area collinare. Il tutto individuato all'Ufficio del Territorio di Perugia Catasto Terreni del Comune di Città della Pieve con i seguenti dati catastali: DATI CATASTALI - Fol (...), p.lla (...), are 06.35, vigneto di classe 2, R.D. Euro 4,43, R.A. Euro 2,95 - Fol (...), p.lla (...), are 18.69, vigneto di classe 2, R.D. Euro 13,05, R.A. Euro 8,69 - Fol (...), p.lla (...), are 14.91, seminativo di classe 3, R.D. Euro 6,16, R.A. Euro 6,93; - Con il medesimo atto si sono costituiti fidejubenti per tutte le obbligazioni assunte dalla parte correntista la società (...) srl in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante Sig. (...), il Sig. (...) nato a Napoli il 10/06/1964 in proprio, e il Sig. (...) nato a Napoli il 04/04/1965 sino a concorrenza di Euro 750.000,00- dette Banche, a seguito degli atti sopra descritti, sono creditrici della "(...) S.R.L." con sede in Città della Pieve Via (...) snc in persona dell'Amministratore Unico Sig.(...) nato a Napoli il 10/06/1964 delle seguenti somme: - SUB.1) Apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria a S.A.L. in Pool rep.n.1751 del 22/01/2010 - saldo debitore c/c n.7654 (...) - in linea capitale Euro 263.538,09 -saldo debitore c/c n.290 (...) - già (...) in linea capitale Euro 1.587.546,02 per un totale di Euro 1.851.084,11 - SUB.2) Apertura di credito in conto corrente con ipoteca fondiaria a S.A.L. in Pool rep.n.4892 del 18/02/2014 -saldo debitore c/c n.8454 (...) - in linea capitale Euro 34.213,82 -saldo debitore c/c n.479 (...) - in linea capitale Euro 226.123,17 per un totale di Euro 260.336,99 - SUB.1-SUB.2) -saldo debitore c/c n. 69300 (...) società cooperativa - in linea capitale Euro 899.469,74 TOTALE COMPLESSIVO Euro 3.010.890,84; - il finanziamento di cui all'apertura di credito del 22/01/2010 è stato integralmente effettuato. La parte correntista affidata ha omesso in toto di effettuare il rimborso del finanziamento contratto il 22/01/2010 violando le disposizioni contrattuali e legittimando il recesso e la decadenza dal beneficio del termine. - Il finanziamento di cui all'apertura di credito del 18/02/2014 è stato effettuato mentre la parte correntista affidata ha omesso in toto di effettuare il rimborso del finanziamento contratto il 18/02/2014. - Con lettera del 30/06/2016, (...) quale Banca capofila ha comunicato alla società debitrice e ai garanti il recesso dei contratti di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria di cui ai punti sub.1 e sub.2 con contestuale invito al saldo ma senza esito. - La società debitrice versa in stato di insolvenza e la ricorrente, in proprio e nella qualità, ha urgenza di canonizzare il credito per garantirsi adeguatamente, anche mediante iscrizione di ipoteca giudiziale, e poiché sussistono gli estremi di legge per la emissione di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per il pericolo di grave pregiudizio nel ritardo e ex art. 642 I comma in quanto il credito si fonda su atti ricevuti da Notaio; - Con decreto n. 740/2017, questo Tribunale ingiungeva quindi alla (...) S.R.L., alla (...) S.R.L., nonché a (...) e (...) di pagare, in solido, alla parte ricorrente per le causali di cui al ricorso, immediatamente 1. la somma di Euro 3010890,84; 2. gli interessi come da domanda; 3. le spese di questa procedura di ingiunzione, liquidate in Euro 5440,50 per compenso, in Euro 84.3,00 per esborsi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. ed oltre alle successive occorrende. Ciò posto, con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo n. 740/2017, (...), in qualità di fideiussore, conveniva in giudizio la (...) società cooperativa rassegnando - per i motivi vi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Terni, in persona del Giudice designato alla procedura, contrariis rejectis, così giudicare. In via preliminare: A) Previa valutazione del fumus della presente opposizione, ricorrendone gravi motivi, disporre ex art. 649 c.p.c., inaudita altera parte e/o previa fissazione di apposita udienza, la sospensione della provvisoria esecutorietà dell'impugnato decreto ingiuntivo; In via preliminare e pregiudiziale: B) Accertare e dichiarare ex artt. 28 e 29 c.p.c. l'incompetenza territoriale del Tribunale di Terni nell'emissione dell'ingiunzione di pagamento e, per l'effetto revocare il D.I. n. 740/2017, con sentenza ed invito alla riassunzione della procedura nei termini di legge innanzi al Tribunale di Roma quale foro convenzionale esclusivo, almeno con riguardo alla garanzia prestata relativamente alla seconda apertura di credito in conto corrente; Sempre in via preliminare e nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della preliminare eccezione d'incompetenza: C) All'esito della decisione sulla competenza territoriale da adottarsi in prima udienza di comparizione, rilevata l'improcedibilità del presente giudizio, sospenderne lo svolgimento nel merito, per l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010, vertendosi in materia di contratti bancari; Nel merito: D) Accertare e dichiarare ex artt. 1175,1337,1338,1366,1418 e 1495 c.c. la nullità del contratto di finanziamento del 18/02/2014 per contrarietà del comportamento delle concedenti alla buona fede, lealtà e correttezza in contrahendo; E) Accertare e dichiarare ex artt. 1175,1337,1338,1366,1418 e 1956 c.c. la nullità della fideiussione prestata dall'opponente relativamente alla somma di Euro 500.000,00 di cui al contratto di finanziamento del 18/02/2014 per contrarietà ai principi di correttezza, buona fede e lealtà nella conclusione del contratto fideiussorio da parte degli istituti bancari; F) Accertare e dichiarare ex art. 1283 c.c. gli inadempimenti nell'esecuzione del contratto posti in essere dalle banche concedenti come meglio descritti in narrativa sub nn. 3 e 4 e, per l'effetto, dichiarare inefficaci ex artt. 1375 e 1956 c.c. le fideiussioni prestate dall'opponente relativamente ad entrambi i contratti di finanziamento; G) Revocare l'opposto decreto ingiuntivo ex artt. 1832 e 2697 c.c., nonché 119 co. 3 t.u.b., per carenza dei requisiti del credito di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. ed inidoneità della prova offerta dalla ricorrente; H) In ogni caso e/o conseguentemente, dichiarare nullo e/o annullabile, inefficace e, comunque, privo di giuridico effetto e conseguentemente revocare l'impugnato decreto ingiuntivo, tenendo indenne l'opponente da qualsivoglia pretesa creditizia avversaria; I) In via gradata, revocare l'opposto decreto ingiuntivo e determinare, previa rettifica del saldo contabile anche all'esito di C.T.U. contabile, per tutti i conti impugnati, l'effettivo dare - avere aggiungendo al capitale effettivamente erogato nel tempo dalle banche concedenti gli interessi al saggio legale semplice, con esclusione di qualsiasi altra remunerazione del capitale; L) In ogni caso, accertarsi e dichiararsi il diritto di regresso di surroga dell'odierno opponente nei confronti di tutti i coobbligati principali ed in garanzia; M) Con vittoria di spese documentate e compenso all'avvocato patrocinante come previsti dal D.M. n. 55/2014, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% (art. 2 D.M. 55/14), c.p.a. al 4%, i.v.a. al 22% e successive spese occorrende, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.". In sostanza, la parte opponente deduceva quanto di seguito: - 1) incompetenza territoriale del Tribunale di Terni in favore del Tribunale di Roma in relazione al secondo contratto di finanziamento come previsto dall'art. 13 del medesimo contratto; - 2) improcedibilità della domanda proposta dalla ricorrente per mancato esperimento della mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010; - 3) nullità del contratto di finanziamento del 18/02/2014 ex artt. 1175, 1337, 1338, 1366 e 1418 c.c. in assenza dei criteri di meritevolezza del credito in capo alla correntista conosciuti dalla concedente in relazione al contratto di credito in c/c del 18/02/2014, rep. n. 4892 - Nullità della fideiussione ad esso relativa per violazione degli artt. 1175, 1337, 1338, 1366, 1418 e 1956 c.c.; a sostegno del proprio motivo parte opponente esponeva che non tutto il concesso è stato erogato ed i lavori si sono fermati al 93% del loro completamento nell'agosto del 2015 così come si può evincere dalla perizia giurata redatta dal tecnico nominato dalle banche stesse. La perizia attesta che i lavori eseguiti al costo ed al netto del valore del suolo sono decisamente superiori a quanto dalle banche erogato ed ammontano ad un valore pari ad Euro 5.000.000,00 circa. Con il suo comportamento la banca ha agito in aperta violazione dei principi di buona fede, lealtà e correttezza in contraendo ed ha contribuito al sovra-indebitamento della correntista; ne consegue ex artt. 1175, 1337, 1338, 1366 e 1418 c.c., la nullità del contratto di finanziamento, di cui pertanto ex art. 1495 c.c. si chiede l'accertamento con conseguente revoca del decreto ingiuntivo emesso. Né tali informazioni sono state trasmesse al fideiussore al momento della sottoscrizione dell'accessoria garanzia (contratto di finanziamento del 2014), aspetto questo che si pone in aperta violazione con il dovere ex art. 1956 c.c. di esposizione delle condizioni economico-finanziarie in cui versa il debitore principale. Nel caso di specie il garante Sig. (...) non era a conoscenza delle difficoltà economico-finanziarie in cui versava il debitore principale anche in considerazione del fatto che tali indicazioni erano rinvenibili soprattutto da un'approfondita analisi dei dati presenti nella Centrale Rischi - Banca d'Italia, informazioni queste in possesso invece delle banche concedenti e che già testimoniavano, nei mesi antecedenti la concessione del nuovo credito e quindi per tutto il 2013 un chiaro stato di difficoltà finanziaria della (...) s.r.l., visti gli sconfinamenti cronici della correntista nel rimborso del finanziamento mediante ratei di pagamento perduranti anche oltre i 180 giorni. La copertura fideiussoria relativa alla seconda apertura di credito in c.c. con garanzia ipotecaria a S.A.L. è avvenuta in violazione dei principi di correttezza e buona fede. La stessa concessione di credito è avvenuta senza che le banche concedenti abbiano adeguatamente informato il fideiussore circa il peggioramento delle condizioni economico-finanziarie del debitore principale, violazioni che inducono alla nullità della garanzia come da disposizioni ex artt. 2 Cost., 1175, 1337, 1338, 1366, 1418 e 1956 c.c. - 4) Accessorietà delle fideiussioni ai contratti di finanziamento - Violazione dell'art. 1283 c.c. - Contestazione del credito ingiunto e del suo ammontare - Illegittima capitalizzazione degli interessi anatocistici - Illegittimità delle fideiussioni ex artt. 1375 e 1956 c.c. A sostengo del proprio motivo, la parte opponente denunciava l'applicazione da parte delle Banche finanziatrici della capitalizzazione degli interessi in violazione dell'art. 1283 c.c. come da relazione econometrica svolta e redatta dal consulente finanziario Dott. (...), allegata alla presente opposizione; nell'ambito dell'intercorso rapporto con la correntista, infatti, gli istituti bancari concedenti, pur prevedendo contrattualmente le disposizioni di capitalizzazione su base trimestrale hanno poi posto in essere procedimenti che configurano la tipica fattispecie di anatocismo espressamente vietata dalla legge, concretizzatasi per effetto delle violazioni, sia formali che sostanziali, nella condizione di capitalizzazione annuale. Orbene, per i soprandicati motivi di diritto il saldo a valere sui conti correnti per cui è causa andrà ricalcolato espungendo la capitalizzazione degli interessi e, in ogni caso, depurando il conto dagli effetti anatocistici anche occulti, ricostruendo inoltre l'intero rapporto per cui è causa senza sottoporre gli interessi e gli altri oneri accessori a debito, come invece fatto dalla ricorrente. Con riguardo al caso di specie, devono pertanto considerarsi illegittime le capitalizzazioni trimestrali avvenute dal 2014 e ritenersi improprie tutte le capitalizzazioni annuali riscontrate nei rapporti di conto corrente prodotti dalla ricorrente. Con riguardo alla di fideiussione rilasciata dall'opponente, la mala fede in contraendo della convenuta banca nella determinazione ed applicazione del costo effettivo applicato agli impugnati rapporti, determina altresì l'inefficacia delle garanzie fideiussorie rilasciate in favore della correntista - 5) Contestazione delle somme ingiunte - Carenza dei requisiti di cui all'art. 633 e ss. c.p.c. e del requisito di cui all'art. 642 c.p.c. nella documentazione prodotta dalla ricorrente (lettere di apertura di credito, documenti di sintesi, estratti conto, ecc.): violazione degli artt. 1832 c.c., 2697 c.c. e 119, 3 co. t.u.b. Secondo l'opponente, dagli atti notarili emerge in maniera incontrovertibile che la correntista e gli obbligati in solido sono debitori nei confronti della ricorrente della complessiva somma pari ad Euro 2.900.000,00 (ossia Euro 2.400.000,00 relativamente al primo finanziamento ed Euro 500.000,00 relativamente al secondo finanziamento), mentre le somme richieste dalla ricorrente ed ingiunte dal Giudice adito sono pari ad Euro 3.010.890,84 oltre interessi. Ma, per ciò che attiene al quantum, ossia alla corretta determinazione del credito, parte ricorrente non si avvale solo dei citati atti notarili, bensì di un calcolo unilateralmente realizzato sulla base di estratti conto e documenti di sintesi che in assenza di prova della loro comunicazione alla correntista (che per l'appunto parte ricorrente non ha fornito), sono e restano documenti di parte, confezionati unilateralmente. La documentazione presa in visione mostra con evidenza un vuoto documentale per quanto concerne i rapporti di credito intrattenuti tra la (...) S.p.A. e la (...). In particolare, la parte creditrice ha omesso di allegare la documentazione di conto che possa permettere di verificare le movimentazioni intercorse dal 01/04/2016 al luglio del 2016, nei conti n. 290 e n. 479 ((...)). Tale vuoto non permette un pieno riscontro dei saldi richiesti. In particolare non è possibile rinvenire, nel fascicolo monitorio, idonea documentazione sottesa all'importo di Euro 1.587.546,02 (c/c 290) ed all'importo di Euro 226.123,17 (c/c 479) richiesti dalla (...) per conto di (...). Inoltre da un'approfondita analisi delle movimentazioni relative al conto 8454 ((...)) non si riscontrano gli importi ingiunti, pari ad Euro 34.213,82, somme - quest'ultime - non rilevabili né ricostruibili dalla documentazione allegata al fascicolo. Con comparsa di risposta si costituiva in giudizio la (...) società cooperativa rassegnando - per i motivi vi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ecc.mo Giudice adito, contariis rejectis, in via preliminare - rigettare la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto e pertanto confermare la p.e. del decreto; - rigettare le eccezioni avversarie relative alla presunta incompetenza del Tribunale di Terni per tutto quanto dedotto ed eccepito nel corpo del presente atto; in ogni caso - rigettare tutte le eccezioni e domande avversarie e pertanto rigettare integralmente la opposizione avversaria confermando il decreto ingiuntivo opposto e per l'effetto condannare il Sig. (...), nato a Napoli il (...) e domiciliato in Giugliano in Campania (NA) Via (...) (cf (...)), insieme ed in solido con (...) Srl, (...) Srl, (...), a pagare in favore di (...), in proprio e nella sua qualità, come rappresentata e domiciliata, la somma complessiva di Euro. 3.010.890,84 oltre interessi: - al tasso del 3,20% - comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore - dal 25/07/2016 al soddisfo sulla somma di Euro. 263.538,09; - al tasso del 5,20% - comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore- dal 01/07/2016 al soddisfo sulla somma di Euro. 1.587.546,02 - interessi al tasso del 3,20% - comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore- dal 29/07/2016 al soddisfo sulla somma di Euro. 34.213,82; - al tasso del 4,00% -comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore - dal 01/07/2016 al soddisfo sulla somma di 226.123,17; - al tasso del 5,00%-comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore- dal 01/07/2016 al soddisfo sulla somma di 899.469,74 oltre spese della procedure e successive occorrende. Con vittoria di spese, funzioni onorari di giudizio". Con ordinanza del 23.02.2018, il Giudice rigettava l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto ed assegnava alle parti termine per l'introduzione del procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda, rinviando la causa all'udienza del 5 luglio 2018; con successiva ordinanza del 24.01.2019 il giudice concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e, con ordinanza del 1.12.2019, rigettava le richieste istruttorie formulate dall'opponente rinviando per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13.02.2020. Con successiva ordinanza il Giudice onorario Dott.ssa Scarpa, rilevati i propri limiti giurisdizionali (cause di valore superiore ad Euro 50.000,00), rimetteva la causa alla Presidente del Tribunale per ogni valutazione. Assegnato il procedimento allo scrivente in data 21.02.2020, il giudizio veniva rinviato all'udienza del 16.3.2021 per la precisazione delle conclusioni. Con comparsa di costituzione e risposta del 29.12.2020 la BANCA (...), Banca risultante dalla fusione per incorporazione di (...) in (...), si costituiva in giudizio in luogo di (...) SOCIETA' COOPERATIVA ai fini della prosecuzione del giudizio, riportandosi a tutti gli atti, le istanze, difese, eccezioni e deduzioni svolte precedentemente da (...). All'udienza del 16.03.2021, tenutasi con modalità trattazione scritta, il Giudice, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti e rilevato che il procedimento era stato istruito da altro giudicante e ritenuto quindi opportuno valutare la richiesta formulata da parte opponente di revoca dell'ordinanza emessa in data 01/12/2019, riservava la decisione e, con ordinanza del 21.05.2021, ritenuto opportuno disporre una consulenza tecnico-contabile unicamente in merito alla capitalizzazione attiva e passiva applicata ai rapporti oggetto del giudizio a decorrere dall'1 gennaio 2014, proponeva, impregiudicato il merito della causa, il pagamento da parte di (...) in favore della parte opposta della somma onnicomprensiva di euro 2.500.000,00, oltre il pagamento di euro 15.000,00 a titolo di compenso di avvocato, oltre IVA e CAP; veniva poi fissata l'udienza del 13 luglio 2021 per sentire le parti e, preso atto della mancata accettazione di parte opponente, il giudizio veniva rinviato per il conferimento dell'incarico al C.T.U. Con ordinanza del 30/12/2021 veniva affidata e disposta la CTU al dott. (...) che, in data 24.03.2022, depositava la propria relazione definitiva. All'udienza del 24/5/2022 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. 2.1. In via preliminare deve essere esaminata l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Terni in favore del Tribunale di Roma in relazione al secondo contratto di finanziamento come previsto dall'art. 1.3 del medesimo contratto. L'eccezione è infondata. Al riguardo, deve convenirsi con quanto affermato dalla Suprema Corte secondo cui "In tema di competenza territoriale, il foro convenzionale, anche se pattuito come esclusivo, è derogabile per connessione oggettiva ai sensi dell'art. 33 c.p.c., sicché la parte che eccepisce l'incompetenza del giudice adito, in virtù della convenzione che attribuisce la competenza esclusiva ad altro giudice, ha l'onere di eccepirne l'incompetenza pure in base ai criteri degli artt. 18 e 19 c.p.c., in quanto richiamati dall'art. 33 c.p.c. ai fini della modificazione della competenza per ragione di connessione" (cfr. Cass. n. 26910/20). (Regola competenza) Nel caso di specie se, da una parte, all'art. 13 del contratto di apertura credito del 18/02/2014 veniva previsto il foro esclusivo del Tribunale di Roma, dall'altra, sussiste un'evidente connessione oggettiva con la controversia avente ad oggetto il contratto di apertura di credito sottoscritto dalle stesse parti in data 22/01/2010 al fine di realizzare il complesso residenziale sito in Città della Pieve ivi indicato e costituente lo stesso "scopo" che ha determinato le parti a sottoscrivere il citato finanziamento del 2014. A ciò si aggiunga che, comunque, non sussistono dubbi sul fatto che la competenza territoriale di questo Tribunale risulta non solo dall'art. 13 del contratto di apertura di credito del 22/01/2010 ma anche dal chiaro disposto dell'art. 19 c.p.c. atteso che la società mutuataria - (...) - ha la propria sede legale in Città della Pieve che, al momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, apparteneva ancora al circondario di questo Tribunale (cfr. art. 1 della legge n. 222/2017, entrata in vigore in data 2/2/2018, che ha inserito i Comuni di Città della Pieve, Paciano e Piegaro nel circondario del Tribunale di Perugia). 2.2. In relazione all'eccezione di improcedibilità deve darsi atto dell'avvenuto espletamento della procedura di mediazione in corso di giudizio. 2.3. In relazione all'eccezione di nullità del contratto di finanziamento del 18/02/2014 ex artt. 117.5, 1337, 1338, 1366 e 1418 c.c. poiché stipulato in assenza dei criteri di meritevolezza del credito in capo alla correntista conosciuti dalla concedente in relazione al contratto di credito in c/c del 18/02/2014, rep. n. 4892 si osservi quanto di seguito. Analogamente infondata è l'eccezione sollevata dagli opponenti in merito alla invocata liberazione del fideiussore per obbligazione futura ai sensi dell'art. 1956 c.c. in violazione del principio di buona fede in sede di esecuzione del contratto. Come affermato da una condivisibile pronuncia della Suprema Corte, la norma di cui all'art. 1956 c.c. non si applica quando il fideiussore è socio della società garantita: la ratio dell'art. 1956 c.c. infatti è quella di tutelare il fideiussore inconsapevole, mentre il socio, in quanto tale, deve essere sempre informato delle condizioni economiche della società e attivarsi per impedire la negativa gestione sella società stessa (cfr. doc. contabile allegata da parte opposta). Secondo la Corte di Cassazione, infatti, "Il socio che abbia prestato fideiussione per ogni obbligazione futura di una società a responsabilità limitata, esonerando l'istituto bancario creditore dall'osservanza dell'onere impostogli dall'art. 1956 c.c., non può invocare, per ottenere la propria liberazione nonostante la sottoscritta clausola di esonero, la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del creditore per avere quest'ultimo concesso ulteriore credito alla società benché avvertito dallo stesso fideiussore della sopravvenuta inaffidabilità di quest'ultima a causa della condotta dell'amministratore. In tale situazione, infatti, per un verso, non è ipotizzabile alcun obbligo del creditore di informarsi a sua volta e di rendere edotto il fideiussore, già pienamente informato, delle peggiorate condizioni economiche del debitore e, per altro verso, la qualità di socio del fideiussore consente a quest'ultimo di attivarsi per impedire che continui la negativa gestione della società (mediante la revoca dell'amministratore) o per non aggravare ulteriormente i rischi assunti (mediante l'anticipata revoca della fideiussione)" (Cass. 2902/2016). Nel caso di specie, risulta per tabulas, oltreché non contestato tra le parti, che l'odierno opponente era socio dalla debitrice principale (cfr. doc. 8 allegato al ricorso monitorio); a ciò si aggiunga, comunque, che la contestazione dell'opponente è del tutto generica ex art. 2697 c.c. non avendo dimostrato che, successivamente alla prestazione della fideiussione, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito alla debitrice principale, pur essendo consapevole dell'intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (fra le tante, Cass., n. 2524/2006). 2.4. e 2.5. In relazione all'illegittima capitalizzazione degli interessi anatocistici asseritamente applicata dalle mutuatarie ed all'asserito difetto di prova del credito ingiunto si osservi quanto di seguito. Invero, la parte opponente, da una parte, ha ammesso che i rapporti contrattuali oggetto di esame prevedono espressamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi ma, dall'altra, ha affermato del tutto genericamente che, nel concreto, la parte opposta avrebbe effettuato annualmente la capitalizzazione degli interessi. Tale censura è rimasta del tutto indimostrata non avendo parte opponente fornito alcun dato oggettivo di supporto; nemmeno la perizia econometrica allegata all'atto di opposizione riporta alcun dato al riguardo ma si limita ad affermare, del tutto genericamente, che "...Nell'ambito degli intercorrenti rapporti, infatti, gli istituti convenuti pur prevedendo contrattualmente le disposizioni di capitalizzazione su base trimestrale hanno posto in essere procedimenti che configurano la tipica fattispecie di anatocismo espressamente vietata dalla legge, concretizzatasi per effetto delle violazioni, sia formali che sostanziali, della condizione di capitalizzazione annuale..." (cfr. doc. 10 atto di opposizione). Invece, la capitalizzazione degli interessi applicata a far data del 1° gennaio 2014 fino alla data di estinzione dei rapporti bancari oggetto di causa (25/7/2016) deve invece ritenersi illegittima atteso che l'art. l, comma 629, della L. n. 147 del 2013 ha modificato l'art. 120 TUB vietando con effetti ex nunc l'applicazione della capitalizzazione anche ai rapporti in corso di causa (sulla immediata applicabilità del divieto di anatocismo v. l'ampia motivazione, che questo giudice condivide avuto particolare riguardo alla ratio legis, di Trib. Milano, sez. VI, 25 marzo 2015 e Trib. Roma, 20 ottobre 2015). Pertanto, in risposta a quesito posto, il CTU, sulla base degli estratti disponibili (dall'apertura dei conti sino al 25/7/2016, cfr. integrazione documentale di parte opposta con la propria comparsa di riposta ad integrazione di quanto depositato con il ricorso per decreto ingiuntivo) e con accertamento motivato ed esente da vizi logici, ha quantificato gli interessi addebitati in eccesso dalla banca sui conti correnti oggetto di causa per una somma complessiva pari ad euro 11.389,70 (cfr. rel. CTU, allegato n. 6). Deve quindi procedersi alla rideterminazione del credito vantato da parte opposta che si quantifica nella somma di euro .3.002.440,55, oltre interessi di mora dal 25/7/2016 al tasso convenuto fra le parti sino al soddisfo. 2.6. Infine, le censure afferenti alla violazione dell'art. 1957 c.c. devono invece ritenersi del tutto tardive perché addirittura avanzate oltre lo sbarramento delle preclusioni assertive (cfr. Cass. n. 8989/2012 secondo cui "La prima udienza di trattazione e le memorie, di cui all'art. 183 cod. proc. civ., possono essere utilizzate solo per precisare le domande e le eccezioni già formulate, e non per introdurre nel giudizio nuovi temi di indagine, che non siano conseguenza diretta delle difese avversarie. Ne consegue che il fideiussore, nell'opporsi al decreto ingiuntivo contro di lui ottenuto dal creditore garantito, non può eccepire nel corso del giudizio la decadenza di questi per mancato esercizio del diritto contro il debitore principale, ai sensi dell'art. 1957 cod. civ., se nell'atto di citazione in opposizione si sia limitato ad invocare l'invalidità del contratto di fideiussione"). 3. Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate secondo i valori medi previsti dal DM n. 55/2014, ridotti non oltre il 50% attesa la non particolare complessità delle questioni trattate. Le spese di CTU sono poste a carico della parte opponente che ne ha dato causa. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando, ogni diversa eccezione, istanza e deduzione disattesa, così provvede: 1) Revoca il decreto ingiuntivo n. 740/2017 emesso da questo Tribunale in data 17 luglio 2017 (R.G. n. 1956/2017); 2) Accerta che, con riferimento ai rapporti bancari oggetto di causa (cfr. indicazione rel. CTU in atti, pag. 3) sussiste al 25/7/2016 un saldo passivo pari ad euro 3.002.440,55, oltre interessi di mora al tasso convenuto fra le parti e, quindi, un pari credito in favore della (...) società cooperativa (ora (...)) in proprio e quale procuratore speciale e mandataria di (...) spa (già (...) SPA - (...) SPA) e, per l'effetto, condanna (...) al pagamento in favore della Banca opposta della somma pari 3.002.440,55, oltre interessi di mora al tasso convenuto fra le parti dal 25/7/2016 al soddisfo; rigetta nel resto le ulteriori domande avanzate dalle parti; 3) Condanna (...) al pagamento in favore della Banca opposta delle spese di lite che liquida in euro 25.000,00 per onorari, oltre spese forfettarie, oltre IVA e CAP; 4) Pone le spese di CTU definitivamente a carico di parte opponente. Così deciso in Terni il 15 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il giudice, Marzia Di Bari, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 1743 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, e vertente TRA (...), (...), elettivamente domiciliato in Terni, Corso (...), presso lo studio degli avv.ti No.Fe. e Ca.Bu. che lo rappresentano e difendono, come da procura in atti; OPPONENTE E (...) SRL, P.I. (...), e per essa quale procuratore (...) S.r.l., P.I. (...), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in La Spezia, via (...), n. 170, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ra.Zu. ed An.Or., come da procura in atti; OPPOSTA oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 21/11/2019, la società (...) S.r.l. asseriva di essere creditrice nei confronti del signor (...) dell'importo di euro 15.946,06 a titolo di esposizione debitoria residua del finanziamento personale sottoscritto dal debitore con (...), invocando il contratto di cessione in favore della medesima in data 14/09/2018. Tanto premesso, chiedeva ingiungersi il pagamento dell'importo complessivo di euro 15.946,06 oltre ad interessi e spese di ingiunzione. In data 22/11/2019, il Tribunale adito ha emesso il decreto ingiuntivo n. 943 (R.G. n. 2767/19), come richiesto dal ricorrente. Con atto di citazione in opposizione, ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio l'istituto di credito opposto, chiedendo in via pregiudiziale dichiararsi l'inefficacia del decreto ingiuntivo; in via principale, dichiararsi la carenza di titolarità del credito ingiunto, con conseguente esclusione dell'obbligo di pagamento in capo all'opponente, nonché dichiararsi la nullità del contratto di finanziamento ex art. 1815 c.c. a fronte della applicazione di interessi usurari; in subordine, condannarsi la controparte al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, avuto particolare riguardo alla illegittima iscrizione alla CRIF. A fondamento della opposizione, deduceva: - l'inefficacia del decreto ingiuntivo opposto perché notificato oltre i termini di legge ex art 644 c.p.c.; - la carenza di legittimazione attiva della cessionaria (...) S.r.l. in ragione della mancata prova della cessione invocata; -la mancata indicazione nel ricorso monitorio dell'importo originariamente finanziato e l'omessa indicazione delle singole rate e degli interessi di mora (ovvero delle relative modalità di calcolo), con conseguente violazione del diritto di difesa, anche in punto di verifica della eventuale rilevanza della fattispecie dell'usura; -il mancato deposito nella fase monitoria del contratto di finanziamento. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la (...) S.r.l. chiedendo, il rigetto dell'opposizione poiché infondata, e per l'effetto la conferma del decreto opposto, o, in subordine, la condanna dell'opponente al pagamento della maggiore o minore somma provata nel corso del giudizio, con vittoria delle spese di lite. A sostegno della posizione processuale assunta, ribadita la propria legittimazione attiva sulla base delle deduzioni formulate in ricorso, nonché invocata l'inopponibilità delle eccezioni riguardanti il contratto al cessionario del credito, parte opposta allegava: - che l'eccezione di tardività della notifica del decreto ingiuntivo, anche ove fondata, era irrilevante nella misura in cui il giudice dell'opposizione doveva comunque valutare il merito della pretesa creditoria avanzata; - che nel caso di specie la cessione era rituale poiché conforme al disposto dell'art. 58 TUB, avuto particolare riguardo alla pubblicazione in GU -come evidenziato dall'orientamento della Suprema Corte alla stregua del quale la produzione dell'avviso in GU è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito ove recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco così da consentire di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione-, ed alla comunicazione della cessione con raccomandata del 6/11/2018 al debitore ceduto; - che, contrariamente agli assunti di controparte, la documentazione prodotta già in sede monitoria era sufficiente a comprovare il credito ex art. 50 TUB, anche nel giudizio di opposizione in assenza di specifiche contestazioni ad opera dell'opponente in violazione dell'art. 115 c.p.c. e del riparto dell'onere della prova in tale giudizio a parti invertite, dovendosi al riguardo considerare, al contempo, l'efficacia probatoria correlata alla trasmissione dell'estratto conto ex art. 1832 c.c., e la documentazione integrativa prodotta nel giudizio di opposizione con riferimento alla comunicazione della decadenza dal beneficio del termine; - che parte opponente non aveva disconosciuto la sottoscrizione apposta sul contratto di finanziamento. Acquisiti i documenti prodotti, assegnati i termini ex art. 183, comma VI, c.p.c., il procedimento veniva rinviato per la precisazione delle conclusioni all'udienza indicata in epigrafe, e all'esito trattenuto in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE In rito, la causa appare matura per la decisione alla stregua delle complessive risultanze di carattere documentale già acquisite in atti, di talché deve trovare integrale conferma l'ordinanza che ha fissato udienza per la precisazione delle conclusioni. 1. SULLA ECCEZIONE DI IMPROCEDIBILITÀ DELLA DOMANDA. In rito e con riferimento alla eccezione di improcedibilità per mancato esperimento del procedimento di mediazione, formulata da parte opponente nella memoria ex art. 183, comma VI, n. 2 c.p.c., preme osservare che l'art. 5, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 28/2010, prevede che i commi 1-bis e 2, che detta condizione introducono, in tema tra l'altro di contratti bancari, non trovano applicazione nei procedimenti per ingiunzione, inclusa la fase di opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione della provvisoria esecuzione. In altri termini, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la mediazione obbligatoria trova applicazione esclusivamente all'esito della pronuncia sulle istanze ex art. 648 e 649 c.p.c.. Ebbene, nel caso di specie, in assenza di istanza della parte opposta ex art. 648 c.p.c., nessun provvedimento è stato adottato in prima udienza sulla provvisoria esecuzione, né di accoglimento né di rigetto, ragion per cui la mediazione obbligatoria alla stregua del sopra richiamato disposto normativo non può essere invocata e l'eccezione di improcedibilità deve essere disattesa. Dalle considerazioni che precedono discende che l'ordinanza adottata da questo Tribunale allegata da parte opponente a corredo della memoria ex art. 183, comma VI, n. 2 c.p.c. non consente di addivenire a diverse conclusioni, solo che si consideri che il giudice designato in tale procedimento espressamente richiama la normativa in tema di mediazione che consente di rilevare il mancato esperimento della mediazione nel momento in cui, appunto, siano state decise le istanze di concessione o di sospensione della provvisoria esecuzione, circostanze non verificatesi nel caso di specie. Ad abundantiam, preme rilevare che l'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. cit. dispone, comunque, che l'improcedibilità per mancato esperimento della mediazione deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza e, in difetto, l'unica conseguenza invocabile è che il giudice d'appello possa eventualmente disporre la mediazione, pur non essendovi obbligato (Cass., n. 12896/2021, in motivazione). Dunque, nel caso in esame, in cui parte opponente non ha rilevato l'improcedibilità in prima udienza, ma solamente nelle memorie ex art. 183, comma VI, n. 2 c.p.c., né tale improcedibilità è stata rilevata d'ufficio dal giudice (in quanto non pronunciatosi in difetto di istanza di parte sull'istanza ex art. 648 c.p.c.), l'eccezione appare, comunque, infondata. 2. SULLA TARDIVA NOTIFICA DEL DECRETO INGIUNTIVO E SULLA MANCATA PRODUZIONE DEL CONTRATTO DI FINANZIAMENTO IN SEDE MONITORIA. Premesso che nel caso in esame risulta documentalmente provata la notifica oltre il termine di 60 giorni di cui all'art. 644 c.p.c. (v. decreto ingiuntivo adottato in data 22/11/2019 e passato per la notifica in data 9/06/2020), va richiamato l'orientamento consolidato della Suprema Corte alla stregua del quale la notifica tardiva, pur rimuovendo l'intimazione di pagamento, non incide negativamente sulla qualificabilità del ricorso monitorio quale domanda giudiziale, ragion per cui il giudice è tenuto a decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente, potendo tale questione incidere esclusivamente sulle spese di lite della fase monitoria (Cass., n. 21050/2006, in motivazione; Cass., n. 951/2013). Difatti, l'odierno procedimento non dà luogo ad una impugnazione del decreto ingiuntivo quanto piuttosto ad una valutazione nel merito della pretesa azionata in via monitoria ((cfr. Cass., n. 14473/2019; Cass., n. 11302/2007; Cass., n. 5844/2006; Cass., n. 2573/2002). Per tale ragione, anche le doglianze relative alla mancata produzione del contratto di finanziamento a corredo del ricorso monitorio appaiono irrilevanti nella misura in cui occorre esaminare la fondatezza nel merito della pretesa creditoria, dovendosi comunque dare atto, ad abundantiam, che la censura è infondata nel merito, atteso che gli istituti di credito possono richiedere ed ottenere il decreto ingiuntivo sulla base dell'estratto conto ex art. 50 TUB, come avvenuto nel caso di specie (v. doc. 5 allegato al monitorio). Peraltro, nel giudizio di opposizione parte opposta ha prodotto il contratto di finanziamento (v. doc. 4), la cui sottoscrizione deve ritenersi riconosciuta dall'opponente ex art. 215, n. 2, c.p.c., integrando le produzioni documentali. Dalla lettura di tale contratto stipulato con (...) in data 24/09/2015 emerge chiaramente la pattuizione dell'importo originariamente finanziato (euro 14.000,00), l'importo totale dovuto dal cliente (euro 19.324,80), il numero di rate complessive (96), l'importo di ciascuna rata (euro 201,30) ed il tasso di interesse applicato (v. doc. 4 nel fascicolo di opposizione). In tale prospettiva, anche valutato l'onere della prova correlato alla posizione sostanziale delle parti nel giudizio di opposizione, appunto, a parti invertite (in cui parte opposta assume la veste di attrice sostanziale, mentre la parte opponente di convenuta), si ritiene che parte opposta abbia dato piena prova della pretesa creditoria nella misura allegata, non avendo parte opponente introdotto alcun elemento anche solo in punto di allegazione, come era suo onere ex art. 2697 c.c., in ordine ai fatti estintivi della esposizione debitoria indubbiamente maturata nei confronti di (...), ragion per cui le doglianze articolate in parte qua nell'atto di opposizione vanno disattese a fronte delle produzioni documentali integrate nel presente giudizio. 3. SULLA LEGITTIMAZIONE ATTIVA DELLA CESSIONARIA. Parte opposta, attrice sostanziale, ha allegato in maniera specifica, sin dal ricorso monitorio, di agire in virtù di contratto di cessione di crediti in blocco, sottoscritto il 14/09/2018, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 4 della L. n. 130/1999, mediante il quale parte opposta ha acquistato crediti della (...) Banca S.p.a. tra cui quello per cui è causa (v. pag. 1 del ricorso per decreto ingiuntivo). Detta opposta ha, inoltre, prodotto l'avviso di cessione pubblicato nella G.U. parte seconda del 6/10/2018, n. 117 dal quale risulta l'acquisto da parte della (...) "dei crediti originati da prestiti personali, carte di credito, prestiti finalizzati autoveicoli, prestiti finalizzati non autoveicoli erogati da (...) ai sensi di contratti di credito ai consumatori (ivi inclusi i crediti per capitale residuo, interessi, costi sostenuti dal Cedente in relazione ai contratti di finanziamento) e sorti nel periodo compreso tra il 1994 e il 2018 e qualificati come attività finanziarie deteriorate" (v. doc. 1 allegato sin dal monitorio). Al riguardo, appare opportuno richiamare l'orientamento della Suprema Corte, con impostazione che si condivide, alla stregua del quale ai fini della efficacia probatoria dell'esistenza della cessione correlata all'avviso pubblicato in GU non è necessaria la specifica elencazione dei rapporti ceduti, risultando, piuttosto, sufficiente che gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare tali crediti senza incertezze (Cass., n. 15884/2019, richiamata da parte opposta; Cass., n. 22151/2019, in motivazione; Cass., n. 5617/2020, in motivazione). Ebbene, nel caso di specie tali elementi risultano sufficientemente determinati nella misura in cui viene indicato il mutuante ((...)), il periodo di stipula (dal 1994 al 2018 e, dunque, certamente riferibile al finanziamento per cui è causa stipulato nel 2015) e la possibilità di qualificare la situazione quale deteriorata (atteso che dall'estratto conto allegato al ricorso emerge chiaramente che al mese di novembre il credito veniva definito compromesso in ragione dell'esposizione debitoria maturata per oltre 12.000,00 euro). Parte opposta, ha poi prodotto raccomandata di notifica della cessione ed intimazione di pagamento (allegato n. 6 al ricorso per decreto ingiuntivo, prodotto poi nuovamente con la comparsa di costituzione quale allegato n. 4). In particolare, vengono prodotte le raccomandate nonché l'avviso di ricevimento della raccomandata inviata dalla cessionaria (ricevuta dalla moglie dell'opponente in data 13/11/2018) con le quali sia la cedente, originaria creditrice, che la cessionaria comunicano la cessione del credito per cui è causa vantato nei confronti del signor (...), ed invitano il debitore a ceduto a pagare al cessionario, con indicazione degli estremi di pagamento. La cessionaria comunica inoltre di aver adempiuto gli obblighi pubblicitari attraverso l'inserzione in Gazzetta Ufficiale. A fronte di tale inequivoca e specifica allegazione, la contestazione in merito alla titolarità del credito operata da parte opponente, esclusivamente nella fase giudiziale -non risultando alcuna contestazione in epoca antecedente nonostante la raccomandata ricevuta- appare del tutto generica e, in quanto tale, inidonea ad assurgere a valida contestazione. Sul punto, va osservato che, l'onere di contestazione gravante sulle parti costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, attualmente codificato nell'art. 115 c.p.c., che impone a ciascuna parte di prendere posizione in maniera chiara e specifica sui fatti allegati dall'altra, indicando le ragioni per cui l'allegazione della controparte viene contestata, dovendosi ritenere in caso di mancata contestazione il fatto pacifico e la controparte esonerata dal relativo onere probatorio (Cass., n. 26908/2020: "Il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica"; Cass., n. 18797/2021, in motivazione: "il principio di non contestazione, sancito dall'art. 115 c.p.c. dopo la novella della L. n. 69/2009, prevede che i fatti non contestati specificatamente dalla controparte siano ritenuti provati dal giudice"; Cass., n. 3306/2020, in motivazione: "Il principio di non contestazione opera in relazione a fatti .... che siano stati chiaramente e specificamente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l'opportunità"). Ebbene nel caso di specie, in primo luogo, non viene contestata la comunicazione della cessione al debitore sin dall'anno 2018, senza che -giova ripeterlo- sia seguita alcuna tempestiva contestazione nella fase stragiudiziale. In secondo luogo, la allegazione in merito alla asserita inesistenza del file PDF presso il sito della cessionaria indicato in GU, allegata nell'atto di opposizione, appare circostanza priva di alcun riscontro probatorio, dovendosi sul punto tener conto del fatto che l'avviso di cessione nel caso di specie prevede espressamente la possibilità in capo agli interessati di rivolgersi per ogni informazione e per accedere ai propri dati a (...) S.r.l., anche mediante l'inoltro di una email all'indirizzo ivi indicato. Quanto precede va, infine, messo in relazione con l'efficacia probatoria da riconoscere nel caso in esame all'avviso in GU poiché idoneo di per sé ad individuare con certezza l'inclusione del rapporto conteso tra quelli ceduti, sulla base degli elementi sopra indicati. Alla stregua delle superiori considerazioni, ritiene l'odierno giudicante che la titolarità sostanziale del rapporto giuridico dedotto in lite dal lato attivo in capo alla odierna opposta possa ritenersi provata alla stregua delle produzioni di parte opposta operate sin dal monitorio, anche in applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., non potendosi assegnare alcun rilievo alle deduzioni svolte sul punto da parte opponente nell'atto di citazione, poiché come sopra detto del tutto generiche e prive di validi riscontri probatori. Così disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione attiva, vanno esaminati gli ulteriori motivi avanzati nel merito da parte opponente, con impostazione che, in applicazione della ragione più liquida, assorbe la questione prospettata dalla opposta riguardante la inopponibilità alla cessionaria delle doglianze riguardanti la validità del contratto. 4. SULLA USURARIETA'DEGLI INTERESSI PATTUITI E SULLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL DANNO. La domanda volta ad accertare l'usurarietà avanzata da parte opponente deve essere disattesa. Parte attrice ha, difatti, avanzato tale doglianza esclusivamente nelle conclusioni, chiedendo "di accertare e dichiarare ai sensi dell'art. 1815, secondo comma, c.c. la nullità del contratto di finanziamento (...) di cui in narrativa per l'applicazione di interessi usurari e per l'effetto dichiarare che nulla è dovuto a titolo di interessi dal Sig. (...) alla (...) srl" (v. pag. 6). Al riguardo, si osserva che la circostanza secondo la quale la nullità della convenzione di interessi usurari costituisce questione di diritto rilevabile d'ufficio non esonera certamente la parte dalla specifica contestazione degli elementi acquisiti in giudizio (Cass., n. 350/2013, in motivazione) al fine di introdurre gli elementi necessari ad apprezzare la bontà anche sommaria della allegazione così da imporre l'ingresso di un approfondimento istruttorio mediante consulenza tecnica il cui espletamento presenterebbe, in caso contrario, carattere meramente esplorativo. In particolare, laddove l'attore contesti il superamento del tasso soglia ha l'onere di indicare in maniera specifica in che termini e per quali interessi e costi sia avvenuto il superamento (conformi nella giurisprudenza di merito: Tribunale Terni, 7/11/2019; Tribunale Benevento, 21/01/2021; Tribunale Cuneo 5/10/2020; Tribunale Roma, 2/07/2020), circostanza nel caso di specie non avvenuta. Poiché né nell'atto di citazione, né nei successivi scritti l'opponente ha specificato i termini della propria contestazione, la stessa deve essere, quindi, respinta in quanto del tutto generica. Parimenti, va respinta la domanda di risarcimento dei danni per segnalazione alla Centrale Rischi, atteso che a monte non risulta provata detta segnalazione e, comunque, ad abundantiam nessuna prova è stata fornita del pregiudizio in tesi subito e genericamente allegato, che non può essere considerato in re ipsa (v., sul punto, Cass., n. 207/2019). Dalle considerazioni che precedono, tutte complessivamente considerate discende la revoca del decreto ingiuntivo opposto perché tardivamente notificato e, stante l'infondatezza dei motivi di opposizione formulati, la condanna della parte opponente al pagamento dell'importo di euro 15.946,06, oltre interessi legali dalla domanda. 5. SPESE DI LITE Le spese di lite del giudizio di opposizione vengono liquidate, giusta soccombenza sostanziale, nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa: - revoca il decreto ingiuntivo n. 943 emesso in data 22/11/2019 (R.G. n. 2767/2019); - in accoglimento della domanda proposta da parte opposta-attrice sostanziale, condanna parte opponente a corrispondere a parte opposta la somma di euro 15.946,06, oltre interessi legali dalla domanda; - condanna parte opponente alla rifusione delle spese di lite, del presente giudizio, che liquida in favore di parte opposta in Euro 2.500,00 a titolo di compenso professionale, oltre spese generali, IVA e C.A. come per legge. Così deciso in Terni il 5 novembre 2022. Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERNI SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesca Panzarola ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 616/2019 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. PA.DI. e, elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. PA.DI. ATTORE/I contro CONDOMINIO DELL'(...) SITO IN T. VIA (...) N.1 (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FA.GI., elettivamente domiciliato in VIA (...), 15 05100 TERNI presso il difensore avv. FA.GI. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio il Condominio dell'(...) sito in T. Via (...) n.1 al fine di autorizzare l'istante " a realizzare a propria cura e spese e sotto la propria responsabilità, nel rispetto della normativa vigente, una tubatura di adduzione di acqua potabile a servizio della unità immobiliare di civile abitazione e del garage di cui è proprietario facenti parte dell'edificio ubicato in T. Via (...) n.1, lungo il muro lungo il muro della rampa delle autorimesse, secondo il tracciato di cui alla relazione tecnica dell'ing. (...) allegato al presente atto. Con vittoria di spese e compensi del giudizio" In particolare, l'attore deduceva di essere comproprietario di un appartamento e di un garage facenti parte dell'edificio ubicato in T., Via (...) n.1 e partecipante al condominio; con delibera condominiale del 27.07. 2010 i singoli condomini, che ne avevano fatto richiesta, venivano autorizzati ad installare sulle pareti esterne del fabbricato, delle tubazioni prospettato da una scossalina in rame aggiuntive rispetto agli impianti idrici esistenti; che l'attore impugnava la suddetta delibera, dapprima dinanzi al Giudice di Pace di Terni, che dichiarava la propria incompetenza per valore, e successivamente dinanzi al Tribunale, che con sentenza n. 176/2014, respingeva la domanda, compensando le parti delle spese del giudizio; la sentenza aveva accertato la conformità alle disposizioni di legge vigenti sia dei materiali utilizzati per la realizzazione delle tubazioni sia delle dimensioni e ritenuto la scossalina in rame, in difetto di normative di riferimento, idonea all'uso di isolante e in grado di ospitare al suo interno anche l'eventuale impianto di adduzione dell'attore; ritenendo l'inidoneità della scossalina l'attore formulava molteplici istanze al Condominio convenuto, al fine di essere autorizzato alla realizzazione di una condotta idrica alternativa; le istanze, corredate dalla relazione dell'Ing. (...), venivano respinte dal condominio, con Delib. del 15 ottobre 2015 e con Delib. del 15 novembre 2016; sulla scorta progetto redatto dal proprio tecnico di fiducia inviava all'Amministratore del condominio di Via C.P. n.1, in data 30 giugno 2017, la richiesta di sottoporre all'assemblea una altra soluzione, diversa rispetto alle precedenti, l'Amministratore del Condominio convenuto riteneva di non sottoporre quest'ultima istanza all'assemblea richiamando i precedenti dinieghi. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto eccependo in via preliminare l'inammissibilità della domanda a seguito dell'efficacia della cosa giudicata derivante dalla sentenza del Tribunale di Terni n. 176/2014 del 19.03.2014; in via gradata preliminare, l'inammissibilità della domanda diretta ad ottenere "un'autorizzazione" del Giudice adito. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto. La causa veniva istruita mediante la prova per testi, all'esito della quale veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni per il giorno 29.03.2022. A tale udienza le parti precisavano le conclusioni e la causa, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. , trattenuta in decisione. Si premette che le difese eccezioni ed argomentazioni di parte saranno esaminate nei limiti necessari all'economia della presente motivazione facendo applicazione del principio della ragione più liquida (Cass.Civ. 11452/2018). Innanzitutto, deve rilevarsi che per espressa previsione dell'art. 1102 c.c. ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché' non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto La giurisprudenza è pacifica nel ritenere tale norma derogabile. Ne consegue che i limiti imposti dal dispositivo normativo possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il "quorum" prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass.Civ. n.2114/2018; Cass.Civ. n.2733/2013). In particolare evidenzia la Suprema Corte che le deliberazioni assembleari condominiali (con le necessarie maggioranze di legge) o lo stesso regolamento condominiale possono limitare l'uso delle parti comuni, per cui, in caso di diversa disciplina condominiale, non trova applicazione l'art. 1102 c.c., il quale svolge una funzione sussidiaria (ovvero opera nella sola eventualità in cui non sia intervenuta una differente regolamentazione in sede condominiale). Infatti, a tal scopo, deve affermarsi che - secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. Civ. n. 2369/1975; Cass. Civ. n. 2727/1975). L'art.1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne lo stesso uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, ragion per cui i suoi limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale o dalle apposite delibere assembleari adottate con i "quorum" prescritti dalla legge. L'unico limite della legittima "autodisciplina condominiale" è rappresentato dalla previsione del divieto sostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni. Nel caso che ci occupa con delibera assembleare del 27.10.2010 è stata regolamentata dal condominio la modalità di apposizione delle condutture idriche a servizio degli appartamenti che deve avvenire esclusivamente con il passaggio all'interno di una canaletta avente capienza idonea ad accogliere tutte quelle dei condomini. Nella suddetta delibera è disposto che "qualora i condomini che al momento non hanno realizzato l'adduzione alternativa all'impianto di acqua potabile per i loro appartamenti, si vengano a trovare in questa necessità, possono e devono necessariamente utilizzare l'impianto già posizionato all'interno della canaletta, già calibrato per il passaggio dei 4 tubi. Non si ritiene possibile per gli stessi condomini realizzare distinti impianti da quello esistente" (doc.8 fascicolo parte attrice) La legittimità della delibera è stata sottoposta al vaglio del Giudice che con sentenza n. 176/2014 ha respinto l'impugnativa promossa dall'attore. Nella citata sentenza è stato accertato che le prescrizioni contenute nella delibera non violavano i due limiti fondamentali consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune (migliorandone, anzi, il godimento individuando una modalità sicuramente tra le molteplici che eviti l'apposizione sulla facciata di tante canalette individuali potenzialmente lesive al decoro dell'edificio) e di non impedire ai partecipanti tutti di farne uso ( considerato che tecnicamente è utilizzabile anche dal ricorrente senza ulteriori aggravi da definire onerosi). La sentenza è divenuta inoppugnabile per effetto del passaggio in giudicato, pertanto, ogni determinazione sul punto è diventata definitiva, coprendo il giudicato sia il dedotto che il deducibile. Ne consegue che l'apposizione di una conduttura idrica alternativa, così come richiede l'attore, non è possibile perché contraria alla regolamentazione condominiale sopra citata., salvo che lo stesso condominio consenta, al singolo, di modificare i limiti imposti all'uso del bene comune. Nel caso in esame l'assemblea condominiale ha negato il proprio consenso a tali modifiche. Le istanze avanzate dall'attore di installare un impianto distinto rispetto a quello condominiale, non sono state autorizzate (Delib. del 5 ottobre 2015 e del 15.11.2016). La volontà dell'assemblea è quella di mantenere l'uso del bene comune secondo quanto regolamentato con Delib. del 27 ottobre 2010. Nella successiva Delib. del 15 novembre 2016 l'attore è stato autorizzato ad usare la scossalina comune ma non a realizzare una tubatura di adduzione separata (doc.8 fascicolo parte attrice). Tale delibera non è stata impugnata. L'attore non può quindi chiedere che venga accertato giudizialmente il diritto alla realizzazione di una condotta idrica alternativa sul bene comune perché ciò equivarrebbe a derogare alle determinazioni adottate dall' assemblea condominiale sul punto, ormai valide ed efficaci nei suoi confronti. La domanda attrice va respinta in quanto infondata. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: respinge la domanda attrice ritenutane l'infondatezza; condanna parte attrice (...) alla refusione delle spese di lite in favore del convenuto CONDOMINIO DELL'(...) SITO IN T. VIA (...) N.1 che si liquidano in Euro 1.530,00 per la fase di mediazione e Euro 810,00 per la fase di studio Euro 574,00 per la fase introduttiva Euro 1.204,00 per la fase istruttoria Euro 1.384,00 per la fase decisoria oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali. Così deciso in Terni il 22 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il Tribunale, in persona del giudice, Marzia Di Bari, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 514 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuta in decisione all'udienza del 22/02/2022 e vertente TRA (...), C.F. (...), in persona del rappresentante legale pt., (...), C.F. (...), (...), C.F. (...) , (...), C.F. (...) , elettivamente domiciliati in Otricoli, strada (...), presso lo studio dell'avv.to El.Co. Proietti che li rappresenta e difende, come da procura in atti; ATTORI E (...) S.P.A., C.F. (...), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via (...), n. 9, presso lo studio dell'avv.to Ma.Ma. che la rappresenta e difende, come da procura in atti; CONVENUTA OGGETTO: contratti bancari. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...), quale debitrice principale, nonché (...), (...), e (...), nella qualità di fideiussori, convenivano in giudizio l'istituto di credito (...), esponendo: - che l'attrice aveva intrattenuto presso l'istituto di credito (...) S.p.a., il conto corrente n. (....), cui era collegato il conto anticipi n. (...); - che erano state rilasciate fideiussioni omnibus dai signori (...), (...), e (...) a garanzia dei debiti della società. Tanto premesso in fatto, gli attori lamentavano in diritto le seguenti violazioni di legge da parte della convenuta: a) Nullità del contratto per mancanza di forma scritta b) Applicazione interessi ultralegali senza una specifica pattuizione scritta; c) Violazione della L. n. 108 del 1996 come modificata per applicazione di un tasso usurario, anche valutata la c.m.s.; d) Violazione della L. n. 108 del 1996 come modificata per applicazione di un tasso che, anche se inferiore al limite medio praticato, era comunque sproporzionato rispetto alla prestazione a causa delle condizioni di difficoltà del debitore e) Capitalizzazione trimestrale degli interessi illegittima sia in riferimento al periodo antecedente all'entrata in vigore della delibera CICR sia nel periodo successivo, stante l'assenza di una pattuizione scritta; f) Addebito di spese non pattuite e prive di causa (tra cui la c.m.s.); g) Violazione art. 2 L. n. 154 del 1992, per mancata indicazione chiara delle reali condizioni applicate; h) Violazione degli obblighi di buona fede e correttezza; i) Mancata pattuizione dei giorni di valuta. Invocavano, altresì, la possibilità in capo ai fideiussori di far valere le illegittimità riscontrate sotto il profilo dell'exceptio doli et nullitatis. Ciò premesso, chiedevano, previo accertamento delle illegittimità poste in essere, di rideterminare l'esatto rapporto dare-avere tra le parti e, in particolare, l'accertamento del credito di parte attrice dell'importo di euro 93.408,92 con riferimento al c/c n. (...) e di euro 108.012,45, con riferimento al conto anticipi n. (...), ovvero di quella diversa somma ritenuta di giustizia all'esito del giudizio; chiedevano, inoltre, il risarcimento dei danni subiti per violazione dell'obbligo di buona fede. Veniva, infine, chiesto ordinarsi alla Banca, qualora non vi avesse già provveduto spontaneamente, di effettuare la corretta segnalazione alla C.R. sotto la voce "stato del rapporto contestato". Nella memoria 183, comma VI, n. 3, c.p.c. veniva eccepita dai fideiussori la nullità del contratto di fideiussione per violazione della normativa antitrust. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, l'istituto di credito convenuto eccepiva, in via pregiudiziale, l'inammissibilità dell'azione di ripetizione per mancata chiusura del conto e, comunque, la prescrizione dell'azione restitutoria per il periodo precedente al 19/02/2009 affermando la presunzione della natura solutoria delle rimesse, anche in ragione della mancata prova dell'affidamento, il cui onere gravava su parte attrice, e, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda, deducendone l'infondatezza e la carenza documentale, con vittoria delle spese di lite. Con riferimento alla posizione dei fideiussori, eccepiva l'improponibilità delle eccezioni relative al rapporto contrattuale, venendo in rilievo un contratto autonomo di garanzia. In particolare, l'istituto di credito deduceva: -l'inammissibilità della domanda restitutoria essendo il rapporto ancora in essere, -che nel caso di specie risultava applicabile la prescrizione decennale ex art. 1419 c.c. decorrente dalle singole operazioni; -che nel caso di specie l'onere della prova gravava sul correntista e non era stato assolto, non avendo il medesimo prodotto né il contratto di conto corrente, né i relativi estratti del conto al fine di comprovare le illegittimità invocate; -che parte attrice non aveva contestato gli estratti conto nel corso del rapporto, di talché ogni contestazione doveva ritenersi tardiva ed inammissibile; -che la condotta tenuta dalla banca era conforme a quanto contrattualmente convenuto anche con riferimento alle modifiche intervenute nel corso del tempo; -che la asserita applicazione dei tassi oltre la soglia usura risultava generica e non corredata dai decreti ministeriali periodici di rilevazione e, in ogni caso, infondata, poiché calcolata sulla base di criteri non condivisibili; -che, parimenti, la doglianza relativa alla usura soggettiva era generica nella allegazione e non provata; -che la doglianza relativa alla illegittima applicazione dell'anatocismo era infondata, atteso che a partire dal 1/07/2000 la banca si era adeguata alla Del.CICR del 2000, applicando la pari periodicità degli interessi attivi e passivi; -che la commissione di massimo scoperto risultava chiaramente indicata in contratto e determinata, nonché rispettosa del dato normativo applicabile ratione temporis; -che la domanda risarcitoria era generica, non provata ed infondata. Tanto premesso, chiedeva il rigetto delle domande formulate da parte attrice. Acquisiti i documenti, espletata C.T.U. contabile, disposta l'acquisizione di documenti ex art. 210 c.p.c., le parti all'udienza indicata in epigrafe rassegnavano le rispettive conclusioni ed il giudice tratteneva la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE In rito, si ritiene che la causa sia matura per la decisione sulla base dei documenti acquisiti e della CTU espletata. Nel merito, la pretesa attorea è risultata fondata nei limiti e nei termini di seguito esposti. 1.SULLA POSIZIONE DEI FIDEIUSSORI. In applicazione della ragione più liquida, l'eccezione di improponibilità delle eccezioni da parte dei fideiussori sollevata dalla banca in ragione dell'invocato contratto autonomo di garanzia appare infondata, dovendosi sul punto evidenziare che la allegazione attorea -rivelatasi in parte fondata (v. infra)- attiene, tra l'altro, all'usura (v. Cass., n. 26262/2007; successiva conforme: Cass., n. 371/2018). Segue il rigetto dell'eccezione. Parimenti infondata ai fini del decidere è la doglianza formulata dai fideiussori nella memoria ex art. 183, comma VI, n. 3 c.p.c. in relazione alla invocata nullità delle fideiussioni per contrasto con la L. n. 287 del 1990. Anche a voler ritenere ammissibile l'eccezione svolta poiché mera difesa e non eccezione in senso stretto (argomento da Cass., n. 350/2013; Cass., n. 24483/2013; Cass., n. 17150/2016), ai fini che interessano occorre richiamare l'orientamento della Suprema Corte alla stregua del quale "con riguardo a contratti di fideiussione in cui figurino clausole che riproducono il contenuto delle clausole ABI, dichiarate illegittime dall'Autorità Garante, deve ritenersi che, avendo l'Autorità amministrativa circoscritto l'accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle norme bancarie uniformi (NBU) trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali predisposte dalla banca e rese in attuazione di intese illecite ai sensi dell'art. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287, ciò non esclude, né è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba valutarsi dal giudice alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l'art. 1419 cod. civ. laddove l'assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite" (Cass., n. 24044/2019; da ultimo, v. Cass., Sez. Un., n. 41994/2021). In altri termini e contrariamente agli assunti di parte attrice, viene in rilievo una nullità parziale che non determina l'invalidità della fideiussione ma esclusivamente della clausola colpita da nullità, non potendosi ritenere che in mancanza della clausola in esame le parti non avrebbero stipulato il contratto, atteso l'interesse della banca ad ottenere una garanzia e quello del garante ad una disciplina di maggior favore (per la tesi della nullità parziale nella giurisprudenza di merito: v. Trib. Napoli, sez. Portici, 22.1.2019; Tribunale di Mantova, ordinanza del 16/01/2019; App. Brescia, 29.1.2019; Tribunale Arezzo, Sent., 01/04/2019; Tribunale Roma Sez. XVII, 03/05/2019; Trib. Ravenna, 3.6.2019; Tribunale Roma Sez. XVII, Sent., 27/09/2019; Tribunale Padova Sez. II, 29/01/2019; Tribunale Milano Sez. VI, Sent., 23/01/2020; Tribunale Rieti, sentenza, 29/02/2020; Tribunale Rovigo, 9/09/2018). Dunque, nel caso in esame, posto che parte attrice sulla quale l'onere incombeva non ha neanche allegato la rilevanza delle singole clausole nella fattispecie concreta, limitandosi ad invocare genericamente la nullità delle fideiussioni, la doglianza va disattesa. 2.SULL'ECCEZIONE DI INAMMISSIBILITA' CORRELATA ALLA MANCATA CHIUSURA DEL CONTO. Sempre in via preliminare, va respinta l'eccezione di inammissibilità della domanda sollevata dalla banca convenuta in ragione della mancata chiusura del conto. Dalla lettura dell'atto di citazione emerge, difatti, chiaramente che nel caso in esame parte attrice ha esercitato una azione di accertamento e non già di ripetizione (v. pag. 5 dell'atto introduttivo: "Si ripete, quindi, e si chiarisce che il petitum consiste nell'accertare l'esatto saldo conto"). Tanto premesso, giova rammentare in diritto che la domanda di accertamento del credito costituisce domanda autonoma che ben può essere esperita nel corso del rapporto -ossia nell'ipotesi in cui la chiusura del conto non sia ancora avvenuta-, avendo in tale fase il cliente interesse al ricalcolo del saldo effettivo depurato dagli addebiti in tesi illegittimi (Cass., n. 21646/2018). 3.SULLA MANCATA CONTESTAZIONE DEGLI ESTRATTI CONTO. Appare necessario evidenziare, in termini generali e sempre in via preliminare, che le doglianze sollevate dalla banca in relazione alla mancata contestazione da parte del correntista degli estratti conti inviatigli non appaiono condivisibili e devono, conseguentemente, essere disattese. Difatti, il silenzio del correntista a seguito degli invii degli estratti del conto corrente non può assurgere ad approvazione tacita dei suddetti estratti, dovendosi sul punto richiamare il consolidato orientamento della Suprema Corte che si condivide secondo il quale la mancata contestazione dell'estratto conto -e la conseguente implicita approvazione delle operazioni in esso annotate- riguarda gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale nonché la verità contabile, storica e di fatto, delle operazioni annotate, ma non assume valenza ostativa alla formulazione di doglianze riguardanti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (fra le tante, Cass., n. 11626/2011; Cass., n. 23421/2016; Cass., n. 30000/2018). 4.SULL'ONERE DELLA PROVA GRAVANTE SU PARTE ATTRICE. TASSO SOSTITUTIVO. USURA OGGETTIVA E SOGGETTIVA. Quanto all'onere della prova, occorre preliminarmente osservare che nel caso di specie parte attrice ha allegato sin dall'atto introduttivo l'insussistenza di documentazione contrattuale sottoscritta, nonché di aver richiesto all'istituto di credito convenuto la trasmissione di tali documenti ex art. 119 TUB (v. doc. 1 nel fascicolo di parte attrice), allegazione che ha ribadito nel corso del procedimento (v. verbale di udienza del 10/11/2020: "ribadendo che è stato fatto il 119 a cui la banca non ha risposto e che il cliente ha dichiarato che non è stato sottoscritto alcun contratto"). Sul punto, questo giudice ritiene di dover, altresì, richiamare la perizia di parte allegata da parte attrice, che notoriamente costituisce parte integrante dell'atto introduttivo, nella quale espressamente si rileva come la stessa sia stata effettuata in assenza di documenti sottoscritti dalle parti contraenti contenenti le condizioni economiche che hanno regolato il rapporto di conto corrente oggetto dell'analisi. Tale elemento, valutato unitamente alla doglianza formulata in citazione in merito alla illegittima applicazione degli interessi debitori, della commissione di massimo scoperto, e delle spese, e della mancata risposta da parte della banca all'istanza stragiudiziale ex art. 119 TUB (v. doc. 1 nel fascicolo di parte attrice), consente di ravvisare nella allegazione attorea la deduzione in merito alla mancata stipula delle predette condizioni contrattuali in forma scritta. Ne consegue che nel caso in esame, contrariamente alla linea difensiva assunta dalla parte convenuta nella comparsa di costituzione e risposta, a fronte della suddetta posizione processuale di parte attrice, la banca è onerata di produrre il contratto di conto corrente in questione al fine di comprovare il fatto impeditivo della pretesa attorea ex art. 2697 c.c. da ravvisare nella valida pattuizione delle condizioni contrattuali tra le parti nel rispetto della forma scritta prevista. Alla stregua delle superiori considerazioni si ritiene, pertanto, che parte attrice abbia assolto il proprio onere di allegazione conseguente alla posizione processuale assunta, mentre si ritiene che a fronte di tale premessa (allegazione in ordine alla insussistenza delle condizioni contrattuali in forma scritta da parte del correntista) la banca sia onerata nel presente giudizio della produzione del contratto nella veste di soggetto che ha percepito interessi ultralegali, commissioni e spese. Preme sul punto precisare che questo giudice non ignora l'orientamento della Suprema Corte alla stregua del quale il correntista che agisca in giudizio è onerato di allegare a monte e di provare a valle le contestazioni sollevate (Cass., n. 7501/2012; Cass., n. 9201/2015, in motivazione; Cass., n. 28945/2017, in motivazione; Cass., n. 500/2017, in motivazione; Cass., n. 9201/2015, in motivazione). Tuttavia, laddove il correntista deduca la mancata stipula in forma scritta delle condizioni contrattuali, come nel caso di specie, sarà onere dell'istituto bancario che alleghi la circostanza contraria dell'intervenuta stipula produrre il contratto completo in tutte le sue parti, poiché altrimenti operando il correntista sarebbe gravato della prova di un fatto negativo (v. sul punto, Tribunale di Spoleto, 20/06/2017; Corte Appello Perugia, 27/09/2021: "Nelle azioni di accertamento negativo del credito bancario, i principi generali sull'onere della prova trovano applicazione indipendentemente dal fatto che la causa sia stata instaurata dal correntista -debitore con azione di accertamento negativo, con la conseguenza che anche in tal caso la banca -creditrice, convenuta in accertamento, deve provare la propria pretesa attraverso la produzione dei contratti, in ossequio a quanto disposto da T.U.B., dall'art. 1284 c.c. sull'obbligo di convenire in forma scritta interessi ultra -legali e dagli artt. 1418 e 1346 c.c. sull'obbligo di determinazione e determinatezza dell'oggetto del contratto e delle sue clausole"; da ultimo, Cass., n. 6480/2021: "Se la domanda attorea è basata sul mancato perfezionamento del contratto di finanziamento in forma scritta, non può gravarsi il correntista, attore in giudizio, della prova negativa della documentazione dell'accordo, incombendo semmai alla banca convenuta darne positivo riscontro"). Ciò chiarito in diritto, va osservato in fatto che nel caso di specie l'istituto di credito convenuto ha prodotto in giudizio esclusivamente il contratto di conto corrente n. (....).9, sottoscritto in data 7/11/2003, laddove dagli estratti del conto versati in atti emergono movimentazioni sin dall'anno 2002, né ha integrato le produzioni a seguito dell'ordine ex art. 210 c.p.c. adottato nel corso del procedimento (v. ordinanza del 30/05/2020). Al contempo, non risultano prodotte le condizioni del conto anticipi n. (...), con riferimento al quale il CTU ha riscontrato che lo stesso veniva utilizzato unicamente per gestire le presentazioni di documenti e le anticipazioni effettuate, ragion per cui sulla base delle movimentazioni di tale conto si formavano saldi di valuta sui quali maturavano interessi e spese che venivano poi addebitati sul conto corrente ordinario (v. pag. 9 della CTU) Sul punto, resta da precisare in diritto che la sottoscrizione del contratto di conto corrente n. (...) in data 7/11/2003, solamente da parte del correntista, non determina alcuna conseguenza sulla validità del contratto a far data dalla sua sottoscrizione. Al riguardo, si osserva che la sottoscrizione da parte del cliente costituisce elemento sufficiente a ritenere integrato il requisito della forma scritta del contratto. Difatti, aderendo ad una concezione funzionale della nullità di protezione, la recente giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso della validità del cosiddetto contratto "monofirma" (cfr. Cass, Sez. I, 2.4.2021, n. 9196 e Cass., Sez. VI, 3.10.2019, n. 24669 e Cass., 31.10.2019, n. 28204 in tema di contratti bancari, che richiamano i principi espressi dalla Cass., SS.UU., 16.1.2018 n. 898 in relazione ai contratti regolati dal TUF), sul presupposto che il consenso della banca possa desumersi alla stregua di comportamenti concludenti (Cass., Sez. I, n. 22385/2019; conf. Cass. n. 16070/2018 e Cass. n. 14646/2018). Alla stregua di tali elementi, si ritiene, pertanto, che del tutto correttamente il CTU, in aderenza al quesito formulato, per il periodo antecedente alla data di stipula del contratto abbia applicato la previsione di cui all'art. 117 TUB, così come in relazione al conto anticipi (v. pag. 11 e seguenti della CTU; pag. 14 della CTU). Difatti, non essendo stati prodotti i relativi contratti, non risultano provate in forma scritta le condizioni contrattuali relative al rapporto in contestazione, avuto particolare riguardo a quella riguardante gli interessi ultralegali. Ne consegue che deve trovare applicazione la previsione di cui all'art. 117, comma 7, TUB e, per l'effetto, il tasso nominale dei Buoni Ordinari del Tesoro a 12 mesi emessi nell'anno anteriore ad ogni chiusura trimestrale del conto. Diversamente, è da dirsi a far data dalla comprovata stipula del contratto di conto corrente, in cui, a fronte della pattuizione scritta degli interessi ultralegali, l'ausiliario del giudice ha, condivisibilmente, verificato il rispetto della normativa antiusura (v. pag. 11 e seguenti della CTU). Con riferimento a tale profilo, preme osservare in diritto che la valutazione della usurarietà dei tassi ai sensi della L. n. 108 del 1996 va effettuata, in primis, avuto riguardo al momento della pattuizione nonché tenendo in considerazione qualsiasi commissione, remunerazione a qualsiasi titolo e spesa collegata all'erogazione del credito, escluse quelle per imposte e tasse. In particolare, ai fini della applicazione delle sanzioni penali e civili di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., in virtù del chiaro disposto dell'art. 1 D.Lgs. n. 394 del 2000, convertito con la L. n. 24 del 2001, nella valutazione dell'usurarietà del tasso di interesse occorre avere riguardo al momento della pattuizione. Difatti, con riferimento alla usurarietà sopravvenuta, ossia verificatasi nel corso del rapporto, va richiamato il recente orientamento della Suprema Corte (Cass., Sez. Un., n. 24675 del 19/10/2017) a mente del quale in tale ipotesi va esclusa la nullità o inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi, né la condotta dell'istituto di credito di riscossione di tali interessi sulla base di un tasso validamente concordato all'epoca della pattuizione può essere qualificata automaticamente quale pretesa contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto in relazione al sopraggiunto superamento del tasso soglia, dovendosi invece riscontrare a tal fine particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso concreto, modalità nel caso di specie non allegate in maniera specifica. Occorre, altresì, richiamare il recente orientamento della Suprema Corte alla stregua del quale "In tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all'art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso sogliadell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il "tasso soglia" - ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta L. n. 108 del 1996 - e con la "CMS soglia" - calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l'importo dell'eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l'eventuale "margine" residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati" (Cass., n. 16303/2018; Cass., n. 1464/2019; Cass., n. 11173/2019). Applicando tali coordinate teoriche tracciate al caso di specie, preme evidenziare che il CTU, laddove ha riscontrato il superamento del tasso soglia in virtù delle pattuizioni intervenute nel corso del rapporto (v. pag. 11 e 14 della CTU), ha decurtato gli importi addebitati a titolo di interessi. Non possono, invece, trovare accoglimento le doglianze relative all'usura soggettiva. Difatti, tali contestazioni, così come quelle riguardanti la violazione della L. n. 154 del 1992 e la violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, sono generiche, ragion per cui non se ne è potuto tenere conto in sede di formulazione dei quesiti al consulente tecnico d'ufficio. In particolare, con riferimento all'usura soggettiva, ex art. 644, comma 3, c.p., preme osservare che parte attrice era onerata di dedurre in maniera specifica in ordine ai presupposti applicativi della norma, onere che nel caso di specie non può ritenersi assolto, non risultando allegate le condizioni specifiche idonee a sorreggere la valutazione di sproporzione ossia la chiara indicazione delle difficoltà finanziarie ed economiche del debitore, la consapevolezza delle stesse in capo all'istituto di credito, e la mancata corrispondenza delle condizioni applicate al rapporto a quelle di mercato nel momento in cui furono pattuite (v. sul punto: Tribunale Ravenna, 12/09/2017; Corte Appello Milano, 9/03/2017; Tribunale Bergamo, 15/02/2017). Ad abundantiam, si osserva che non vi è prova alcuna dello stato di bisogno, che non può essere desunto dal solo saldo passivo del conto corrente non rappresentativo della completa situazione patrimoniale del preteso usurato. 5.ANATOCISMO. Con riferimento all'applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, va richiamato in diritto il principio di reciprocità statuito dall'art. 120, comma 2, D.Lgs. n. 383 del 1993, come modificato dal D.Lgs. n. 342 del 1999, secondo il quale nelle operazioni di conto corrente va assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità di conteggio degli interessi sia debitori sia creditori e l'art. 2 della delibera CICR, emanata il 9.02.2000 ed entrata in vigore il 22/04/2000, che come noto prevede che "nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori". In virtù della predetta normativa, primaria e secondaria, le banche possono operare la capitalizzazione degli interessi purché la stessa capitalizzazione sia riconosciuta alla clientela. Tanto premesso in diritto, corretto appare l'operato del CTU nella misura in cui in presenza del principio di reciprocità -ossia con riferimento al c/c n. (...) - ha applicato la capitalizzazione degli interessi, mentre con riferimento al periodo antecedente alla stipula del contratto di c/c -a fronte della mancata prova della pattuizione- ha escluso la capitalizzazione (v. pag. 16 della CTU). In fatto, va sul punto precisato che il contratto di conto corrente in questione, stipulato nell'anno 2003, prevede all'art. 9, commi 1 e 2, che "i rapporti di dare ed avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità" (v. pag. 8, del documento di sintesi, allegato quale doc. 3 nel fascicolo della banca). Mentre, con riferimento alla questione dell'anatocismo post 2014, si ritiene di aderire alla ipotesi ricostruttiva sub 2 (mantenimento della capitalizzazione trimestrale, v. pag. 16 della CTU), in conformità dell'orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito alla stregua del quale il divieto di anatocismo introdotto con la Legge di stabilità 2014 in data 1/1/2014 non è di immediata applicazione in mancanza della delibera attuativa del CICR, non risultando il precetto sufficientemente delineato (conformi nella giurisprudenza di merito: Trib. Siena n. 73 del 21/1/2021; Tribunale Pavia, 16/01/2019; Corte Appello Torino, 20/03/2019; Tribunale Cosenza, 31/05/2021; Tribunale Avellino, 15/01/2019; Tribunale Livorno, 16/05/2018; Tribunale Bologna 16/03/2016). Con riferimento al conto anticipi n. (...), in assenza di documentazione contrattuale, correttamente il CTU, in virtù dei principi sopra esposti, per l'intero periodo oggetto di indagine non ha effettuato alcun tipo di capitalizzazione, procedendo all'addebito direttamente sul saldo finale del conto corrente ordinario (v. pag. 16 della CTU). 6.COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO. SPESE. VALUTA. Passando all'esame della cms, a prescindere dalla tesi accolta in punto di natura giuridica della commissione di massimo scoperto (accessorio che si aggiunge agli interessi passivi ovvero remunerazione dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, cfr. Cass., n. 1172/2002 e Cass. n. 870/2006), va osservato che la pattuizione di tale onere deve essere specifica, anche con riferimento alla modalità di calcolo, poiché in caso di formulazione generica della condizione non appare possibile l'esatta individuazione dell'oggetto dell'obbligazione con conseguente indeterminatezza ai fini e per gli effetti di cui all'art. 1346 c.c. ossia ai fini della declaratoria di nullità della clausola (conformi nella giurisprudenza di merito: Tribunale Lucca 14 dicembre 2016; Tribunale di Monza, 18 gennaio 2016; Tribunale Messina, 10 aprile 2015; Tribunale Prato 5 novembre 2013; Tribunale Milano 5 luglio 2010). In particolare, per essere legittima deve esserne specificato il tasso, la base di calcolo e la periodicità dell'addebito, non potendo affermarsi, in mancanza, che le parti abbiano raggiunto un accordo su tale elemento retributivo per la Banca che, come noto, non ha fonte legale, bensì pattizia (cfr. ex multis Trib. Milano, Sez. VI, 03.10.2018, n. 9694, Trib. Firenze, Sez. III, 26.11.2018, n. 3202, Trib. Bari, Sez. IV, 07.01.2019, n. 41, Trib. Termini Imerese, 22.01.2019, n. 75, Corte di Appello di Reggio Calabria, Sez. I, 29.01.2019, n. 74). Ciò premesso, con riferimento al contratto di conto corrente per cui è causa la pattuizione appare generica, essendo prevista esclusivamente la percentuale e non anche la modalità di calcolo (v. documento di sintesi richiamato che prevede solamente le percentuali della commissione trimestrale di massimo scoperto). Corretto appare, pertanto, l'operato del CTU nella misura in cui ha escluso la c.m.s., anche laddove è emerso il mancato adeguamento da parte della banca alla normativa successiva intervenuta e ratione temporis applicabile (v. pag. 17 e seguenti della CTU), così come la verifica relativa ad eventuali differenze dovute a non paritari conteggi dei giorni di valuta, fatte salve diverse pattuizioni contrattuali, nonché ha applicato esclusivamente le modifiche rispettose dell'art. 118 TUB (v. pag. 20 della CTU) e le spese pattuite (v. pag. 20 della CTU). 7.PRESCRIZIONE. SALDO RICALCOLATO. Quanto alla eccezione di prescrizione, va richiamato in diritto l'orientamento della Suprema Corte, che si condivide, a mente del quale "l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati" (Cass., Sez. Un., n. 24418/2010; successiva conforme, Cass., n. 24051/2019). In altri termini, nell'ipotesi di versamenti nel corso del rapporto occorre verificare, ai fini della decorrenza della prescrizione, se gli stessi possano essere considerati quali pagamenti (e, quindi, suscettibili di formare oggetto di ripetizione nel caso in cui risultino indebiti), circostanza questa che si verifica nei casi in cui detti versamenti siano stati eseguiti su un conto in passivo (ovvero scoperto) cui non accede alcuna apertura di credito o siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento (Cass., cit. in motivazione). Con riferimento alla allegazione della banca, ritiene l'odierno giudicante di dover richiamare i principi espressi dalla Suprema Corte in merito al fatto che l'onere di contestazione gravante sulla parte è proporzionale alla allegazione dei fatti gravante sulla parte attrice ed, in particolare, alle affermazioni contenute nei suoi scritti difensivi (Cass., n. 21075/2016; Cass., n. 22055/2017), di talché nel caso di specie -in cui in primis la difesa attorea in punto di allegazione si caratterizza per la affermazione di principi generali in tema di illegittimità dell'operato degli istituti di credito - l'individuazione dei pagamenti intervenuti nel corso del rapporto da parte del CTU ai fini della decorrenza della prescrizione appare legittima (v. anche Cass., n. 18144/2018, in merito alla esclusione dell'onere in capo alla banca di individuare in maniera specifica le rimesse prescritte ai fini della valida proposizione della eccezione). In particolare, deve essere richiamato il recente orientamento della Suprema Corte secondo il quale "in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte" (Cass., Sez. Un., n. 15895/2019; Cass., n. 7013/2020; Cass., n. 18144/2018). Con riferimento al criterio da utilizzare per individuare i versamenti solutori, appare necessario operare la previa depurazione delle poste illegittime, trattandosi di operazione che rileva esclusivamente ai fini della individuazione delle rimesse solutorie che costituiscono mero presupposto della quantificazione delle somme da destinare al pagamento delle poste illegittime. Difatti, tale operazione non può avvenire sulla base delle risultanze delle originarie annotazioni contabili della banca poiché dette risultanze non sono corrette proprio in virtù della applicazione di poste illegittime. Sul punto, appare opportuno richiamare il recente orientamento della Suprema Corte alla stregua del quale "in tema di apertura di credito in conto corrente, ove il cliente agisca in giudizio per la ripetizione di importi relativi ad interessi non dovuti per nullità delle clausole anatocistiche e la banca sollevi l'eccezione di prescrizione, al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall'istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo passivo del conto, verificando poi se siano stati superati i limiti del concesso affidamento ed il versamento possa perciò qualificarsi come solutorio" (Cass., n. 9141/2020). Ciò in quanto solo ripristinando le posizioni di credito/debito tra le parti si potrebbe ritenere ripristinatoria una rimessa che, invece, era stata qualificata dalla Banca come solutoria, come, ad esempio, nel caso in cui il correntista risultava extra fido poiché gli erano state addebitate competenze ed interessi non dovuti. Ebbene, alla stregua di tali principi viene accolta l'ipotesi del CTU sub (...) (verifica della prescrizione sulla base del cd. saldo ricalcolato, con mantenimento della capitalizzazione trimestrale dal 1/01/2014 per le ragioni esposte al paragrafo 5), con l'adesione del CT di parte attrice (v. pag. 11 delle osservazioni), dovendosi solo precisare che le osservazioni critiche del CT di parte convenuta in punto affidamento (v. note critiche allegate alla consulenza) non appaiono condivisibili nella misura in cui il CTU ha evidenziato che "l'indagine peritale inerente la prescrizione ha dato i medesimi risultati sia nel caso di considerazione del conto come affidato che nel caso di considerazioni del conto come non affidato" (v. pag. 21 della CTU, v. anche pag. 26 della CTU). Alla stregua delle superiori considerazioni, tenuto conto del credito del correntista accertato in relazione al c/c (per euro 141.926,49) e del debito del correntista accertato in relazione al conto anticipi sbf (per euro 30.000,00), la domanda di accertamento del credito formulata risulta fondata limitatamente al complessivo importo di euro 111.926,49 ed in tale minor misura può essere accolta (v. pag. 25 della CTU). Non può, infine, essere riconosciuto alcun importo a titolo di risarcimento del danno in quanto l'attrice, sulla quale ex art. 2697 c.c., ogni onere incombeva, non ha fornito alcun elemento probatorio sul punto, così come con riferimento alla asserita non corretta segnalazione alla Centrale Rischi, genericamente allegata. Le spese di lite in forza del principio di soccombenza vengono poste a carico della Banca che con le appostazioni illegittime ha dato causa al giudizio e vanno liquidate in favore del difensore, dichiaratosi antistatario, così come gli esborsi della CTU espletata, già liquidati in corso di causa con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando, ogni diversa eccezione, istanza e deduzione disattesa, così provvede: - in parziale accoglimento della domanda attorea, accerta che, in relazione ai rapporti bancari in contestazione, il credito del correntista è pari ad euro 111.926,49 alla data del 31/12/2015; respinge le ulteriori domande proposte da parte attrice; - condanna parte convenuta al rimborso delle spese di lite in favore del difensore di parte attrice, dichiaratosi antistatario, liquidando le stesse in euro 545,00 a titolo di esborsi ed in euro 8.000,00 a titolo di compenso professionale, oltre spese generali, Iva e Cap come per legge; - pone gli esborsi della C.T.U. espletata definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in Terni il 31 maggio 2022. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Claudia Tordo Caprioli, ha emesso ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 547 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuta in decisione all'udienza del 2.2.2022 e vertente TRA (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Foligno, Via (...), presso lo studio dell'Avv. Fa.Ma. e dell'Avv. El.Ba., che la rappresentano e difendono giusta procura in calce all'atto di citazione; attrice E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere (...), presso lo studio dell'Avv. Ma.Ma., che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; convenuta OGGETTO: contratti bancari. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato in data 28.2.2019, la (...) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Terni la (...) S.P.A., esponendo che: (i) in data 22.7.1963 aveva acceso presso l'istituto di credito convenuto un conto corrente di corrispondenza portante il numero 4866 (successivamente indicato con il n. 4866.37) e poi chiuso con ultima operazione del 31.12.2017; (ii) con p.e.c. del 26.4.2018 aveva richiesto alla banca la restituzione delle somme illegittimamente addebitate nel corso del rapporto, nonché la consegna del contratto di apertura del conto corrente ex art. 119 TUB. In particolare, lamentava la nullità del contratto originario di conto corrente per difetto di forma scritta, l'illegittima applicazione di interessi ultralegali e capitalizzazione trimestrale degli interessi, nonché l'addebito di spese non pattuite e prive di causa, tra cui la commissione di massimo scoperto, l'usurarietà dei tassi d'interesse e, infine, la violazione degli obblighi di buona fede, trasparenza e correttezza. Secondo la prospettazione attorea, con riferimento al conto corrente n. (...) eliminando le poste illegittimamente addebitate, la società era creditrice nei confronti della banca della somma di Euro 75.243,53, di cui aveva chiesto in via stragiudiziale la restituzione con diffida e messa in mora del 26.4.2018. Ciò premesso, previo accertamento degli addebiti illegittimi, chiedeva ai sensi dell'art. 2033 c.c. la condanna della convenuta alla restituzione di quanto indebitamente percepito ed al risarcimento dei danni subiti per violazione dell'obbligo di buona fede, correttezza e trasparenza, quantificati in Euro 10.000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 31.5.2019 - in vista della prima udienza del 26.6.2019 - (...) S.p.A. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, sia per carenza dei fatti costitutivi (lamentando il mancato assolvimento dell'onere di specifica allegazione e di prova, stante la mancata produzione in giudizio del contratto di conto corrente e, comunque, l'infondatezza delle pretese creditorie), sia eccependo, quale fatto estintivo, l'intervenuta prescrizione del dritto di ripetizione dei pagamenti e delle poste anteriori al 28.2.2009. Il tutto con vittoria delle spese di lite. A sostegno delle rassegnate conclusioni deduceva che: (i) doveva applicarsi il termine di prescrizione decennale decorrente dalle singole operazioni contabili; (ii) la mancata produzione in giudizio del contratto di conto corrente era ostativa all'accoglimento della domanda di ripetizione; (iii) le contestazioni attoree erano generiche e, pertanto, in contrasto con l'art. 163 c.p.c.; (iv) la banca si era comportata correttamente nel corso del rapporto; (v) la doglianza relativa all'anatocismo era infondata, quantomeno con riferimento al periodo successivo al 30.6.2000, poiché la banca si era tempestivamente adeguata alla delibera C.I.C.R. del 9.2.2000 applicando correttamente la reciprocità nel calcolo degli interessi e rendendo nota la capitalizzazione al cliente mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale; (vi) la commissione di massimo scoperto era rispettosa del dato normativo applicabile ratione temporis e non poteva considerarsi priva di causa; (vii) la doglianza relativa all'usurarietà dei tassi, oltre ad esser stata formulata genericamente, era anche infondata, essendo stata calcolata non già attraverso la formula indicata nelle Istruzioni della Banca d'Italia, ma applicando una diversa formula elaborata dall'attrice. La causa veniva istruita documentalmente e a mezzo consulenza tecnica contabile. All'udienza del 2.2.2022, svoltasi in modalità cartolare ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. h), D.L. n. 18/2020, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, il Tribunale tratteneva la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190, co. 1, c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica. Con comparsa conclusionale, la banca convenuta contestava per la prima volta la chiusura del conto corrente al vaglio e, conseguentemente, la proponibilità della domanda di ripetizione. 1. Anzitutto, va rilevata la procedibilità della domanda giudiziale stante il rituale esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, in conformità con quanto previsto dall'art. 5, co. 1 bis, del D.Lgs. n. 28/2010 (cfr. all. 4 citazione). Dal verbale del 26.7.2018 emerge che la Banca non aveva presenziato all'incontro fissato per esperire il tentativo di mediazione. La circostanza assume rilievo sia in virtù di quanto stabilito dall'art. 8, co. 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010, a mente del quale nei procedimenti per cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda il Giudice deve condannare la parte poi costituita in giudizio che non abbia partecipato al procedimento di mediazione senza addurre un giustificato motivo a versare all'entrata del bilancio dello Stato una somma pari all'importo del contributo unificato dovuto per il giudizio. In applicazione di tale disposizione, va dato atto che dal verbale di mediazione risulta la mancata partecipazione della banca convenuta all'incontro e che non risultano allegati motivi giustificativi di tale assenza (cfr. anche il verbale d'udienza del 26.6.2019). Pertanto, trattandosi di una sanzione rispetto alla quale il Giudice non ha potere discrezionale, la (...) S.p.A. deve essere condannata, indipendentemente dall'esito del presente giudizio, al versamento in favore dello Stato di un importo pari al contributo unificato che, nella presente controversia, ammonta ad Euro 759,00. 2. Prima di passare al merito, va spesa qualche considerazione in merito alla contestazione mossa dalla Banca circa la genericità dell'atto di citazione, pur nella consapevolezza che la Banca non ha formalmente eccepito la nullità dell'atto introduttivo. Al fine di valutare la genericità di un atto processuale, è principio ormai consolidato quello secondo cui la domanda giudiziale deve essere esaminata in uno con i documenti che ad essa sono allegati (cfr. per tutte Cass. n. 20294/2014; Cass. n. 1681/2015). Nel caso che ci occupa, l'atto introduttivo deve essere necessariamente valutato tenendo in considerazione anche la consulenza tecnica di parte ad esso allegata (cfr. all. 5 citazione) che, integrando l'atto di citazione, rende le allegazioni attoree maggiormente specifiche. Ciò trova conferma nelle puntuali difese svolte dall'istituto di credito convenuto, che ha dimostrato di aver compiutamente esercitato il proprio diritto di difesa (cfr. Cass. n. 1681/2015). Non si versa di fronte ad una domanda meramente assertiva quando il suo contenuto sia stato compiutamente identificato e percepito dalla controparte (cfr. Cass. n. 6618/2018). Ne consegue che anche la c.t.u. disposta dal giudice assegnatario non può considerarsi esplorativa. 3. Chiarito ciò, alla luce delle domande giudiziali promosse dall'attrice (domanda di ripetizione di indebito oggettivo e di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale), è opportuno anzitutto ricostruire il rapporto negoziale in discussione. Dalla documentazione in atti l'attrice risulta aver intrattenuto con (...) S.p.A. un rapporto di conto corrente bancario, caratterizzato da diverse linee di credito, sin dal 22.7.1963. In particolare, nelle date del 22.7.1963 e del 15.2.1979 risultano sottoscritti da Sergio Cardinali (originario intestatario, quale titolare di ditta omonima poi trasferita all'odierna attrice - cfr. pag. 1 citazione) due documenti contrattuali con cui venivano regolate le condizioni economiche del citato rapporto di conto corrente. Quanto, poi, alle linee di credito concesse alla correntista, la convenuta ha depositato in atti i contratti di apertura di credito del 14.05.2004, del 20.01.2005, del 01.06.2011 e del 11.06.2012 (cfr. all. 2, 3, 4 e 5 comparsa), nonché l'atto di revoca datato 12.6.2012 delle menzionate linee di credito (cfr. all. 6, 7 e 8 comparsa). Ha, inoltre, prodotto copia della successiva apertura di credito del 17.3.2015 (cfr. all. 9 comparsa) e delle relative modifiche datate 18.3.2015 e 17.4.2015 (cfr. all. 10 e 11 comparsa), nonché dell'apertura di credito stipulata il 17.4.2015 (cfr. all. 12 comparsa), successivamente modificata il 9.6.2015 (cfr. all. 13 comparsa). Da ultimo, ha depositato il contratto di apertura di credito del 27.8.2015, la successiva modifica del 1.9.2015 (cfr. all. 14 e 15 comparsa) e la comunicazione di revoca del 31.12.2015 (cfr. all. 16 comparsa). Quanto all'andamento del rapporto negoziale, sono stati depositati in atti gli estratti del conto corrente n. (...) riferiti al periodo dal II trimestre 2000 al II trimestre 2017, con eccezione di alcuni estratti conto intermedi. L'attrice ha poi dedotto che tale conto corrente veniva chiuso il 31.12.2007, con un saldo a suo credito pari ad Euro 6.402,56. A tal riguardo va esaminata l'eccezione di inammissibilità della domanda di ripetizione sollevata dalla convenuta in sede di comparsa conclusionale sul presupposto che "l'attore, pur avendo dedotto la chiusura del conto, non ha prodotto l'estratto recante l'estinzione" (cfr. pag. 4 comparsa conclusionale). E' utile ricordare che secondo consolidata giurisprudenza, la chiusura del conto corrente costituisce condizione di ammissibilità dell'azione di ripetizione di indebito (cfr. Trib. Lagonegro 9.2.2021; Trib. Foggia 23.1.2019; Trib. Salerno 30.6.2017) e, pertanto, è necessario che sussista non già al momento della presentazione della domanda, bensì al momento della decisione (Trib. Napoli 5.2.2021). Al di là dell'inquadramento dogmatico, va anche ricordato che in base al principio di non contestazione disciplinato dall'art. 115 c.p.c. il convenuto è tenuto a prendere specifica posizione sui fatti che l'attore a posto a fondamento della domanda, con la conseguenza che per i fatti non specificamente contestati si realizza una relevatio ab onere probandi. In tal caso, la Suprema Corte ha precisato che il giudice deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e ritenerlo sussistente (cfr. Cass. n. 13079/2008 in motivazione). Quando al profilo temporale, secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, la controparte è tenuta a contestare i fatti allegati dall'attore nella comparsa di costituzione e risposta o, al più tardi, nella prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c. di modo da consentire all'attore di formulare le istanze istruttorie tenendo conto dei riflessi che la mancata contestazione ha sull'onere probatorio (cfr. Cass. n. 10860/2011; conf. Cass. n. 5191/2008 e Cass. n. 1540/2007, nonché nella giurisprudenza di merito Trib. Catania 17.9.2019, Trib. Roma 27.1.2011). Pur in assenza di un'espressa indicazione negli artt. 166 e 167 c.p.c., l'onere di tempestiva contestazione si ricava dal principio dispositivo che regola il processo civile e dal sistema di preclusioni che comporta per entrambe le parti l'onere di circoscrivere il thema probandum prima che decorrano i termini per avanzare le istanze istruttorie (cfr. Cass. n. 1540/2007 in motivazione). Diversamente interpretando, se fosse consentita la contestazione anche dopo il maturare delle preclusioni istruttorie, si precluderebbe alla controparte la facoltà di provare il fatto che dapprima aveva (legittimamente) ritenuto non bisognevole di essere dimostrato, in quanto non contestato. Applicando i principi sopra richiamati al caso in esame, va osservato che l'attrice ha dedotto sin dall'atto introduttivo - come espressamente riconosciuto anche dalla banca in comparsa conclusionale - che il rapporto di conto corrente n. (...) era stato chiuso al 31.12.2017 e tale fatto non risulta esser stato specificamente contestato dalla banca convenuta se non, per la prima volta, in comparsa conclusionale. La contestazione deve, quindi, ritenersi tardiva, con la conseguenza che il fatto storico dedotto dall'attrice va annoverato tra quelli non specificamente contestati e, quindi, non necessitante di essere provato. Del resto, di tale circostanza dava atto anche l'ausiliario nominato dal giudice nella consulenza tecnica in atti (cfr. pag. 5 c.t.u. ove si legge che "dai documenti agli atti si evince che il c/c è stato aperto nel 1963 ed è stato chiuso il31/12/2007"). Conseguentemente, la domanda di ripetizione deve ritenersi ammissibile. 4. Va ora esaminata la distribuzione dell'onere probatorio. Nella domanda di ripetizione di indebito oggettivo di cui all'art. 2033 c.c. l'onere dimostrativo grava sul creditore istante che è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa: sia l'avvenuto pagamento, sia la mancanza (originaria o sopravvenuta) di una causa che lo giustifichi. In questo senso, secondo la prevalente giurisprudenza, il correntista che domandi la ripetizione di somme indebitamente versate alla banca è tenuto a produrre sia il contratto di conto corrente e sia gli estratti conto relativi al periodo contrattuale in contestazione. Se, da un lato, questo Giudice non ignora l'orientamento secondo cui il correntista che agisce in giudizio è onerato di provare le contestazioni sollevate (Cass. n. 33009/2019; conf. Cass. n. 9201/2015 in motivazione; Cass. n. 28945/2017 in motivazione; Cass. n. 500/2017 in motivazione; Cass. n. 9201/2015 in motivazione), d'altro canto, non può non tenere in considerazione che l'attrice aveva dedotto di aver stipulato il contratto di conto corrente n. (...) in data 22.7.1963, lamentando, sin dall'atto introduttivo, la mancanza di un contratto scritto ed evidenziando di aver chiesto all'istituto di credito convenuto la consegna di detto documento ai sensi dell'art. 119 TUB (cfr. all. 2 citazione). Tale ultima circostanza non è stata contestata dalla Banca convenuta che, riscontrava detta richiesta, consegnando all'attrice due accordi sottoscritti da (...) (originario intestatario, quale titolare di ditta omonima poi trasferita all'odierna attrice - cfr. pag. 1 citazione) nelle date del 22.7.1963 e del 15.2.1979 in cui venivano riepilogate per iscritto le condizioni economiche applicate al contratto, unilateralmente predisposte dalla Banca convenuta (cfr. all. 3 citazione). In tali casi questo Giudice ritiene che sia onere dell'istituto bancario che alleghi la circostanza contraria dell'intervenuta stipula per iscritto - circostanza implicitamente dedotta dalla convenuta nel contestare una carenza probatoria della domanda (cfr. pagg. 10 ss. comparsa) - produrre il contratto, poiché, diversamente operando, si graverebbe il correntista di provare un fatto non avvenuto (cfr. Trib. Spoleto, 20.6.2017; Cass. n. 1825/2022). 5. Tuttavia, in relazione all'accertamento della nullità del contratto per carenza di forma scritta, la questione della distribuzione dell'onere probatorio viene assorbita dalle seguenti considerazioni. L'attrice lamentava la nullità del contratto di conto corrente n. (...) per difetto della forma scritta imposta dall'art. 117, co. 1 e 3, T.U.B.. Stante la pacifica qualificazione della nullità come vizio genetico, la validità di un contratto va esaminata in base al quadro normativo vigente al momento della sua stipula. Nel caso di specie, la società attrice deduceva di aver stipulato il contratto di conto corrente n. (...) in data 22.7.1963, ben prima sia dell'entrata in vigore dell'art. 117 T.U.B., sia della legge sulla trasparenza bancaria L. n. 154/2012 (entrata in vigore il 10.3.1992). Dato che tale circostanza non è stata specificamente contestata dalla convenuta, il fatto storico deve essere posto a fondamento della presente decisione ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c.. L'assunto risulta confermato anche dal c.t.u. (cfr. pag. 5 c.t.u. ove si legge che "dai documenti agli atti si evince che il c/c è stato aperto nel 1963 ed è stato chiuso il31/12/2007"). Ebbene, né la previsione di cui all'art. 117, co. 3, TUB né l'art. 3 della L. n. 154/1992 - a mente del quale "i contratti relativi alle operazioni e ai servizi devono essere redatti per iscritto ed un loro esemplare deve essere consegnato ai clienti" - hanno portata retroattiva, sicché prima della loro entrata in vigore non vi era alcun obbligo di redazione in forma scritta a pena di nullità dei contratti bancari. Di conseguenza, in mancanza di una previsione sanzionatoria al tempo della stipula, non può affermarsi la nullità (testuale) del contratto di conto corrente n. (...) per mancanza di forma scritta imposta ad substantiam (cfr. nella giurisprudenza di merito C.d.A. Bari, n. 1462/2020). 6. Passando all'esame delle dedotte nullità parziali, va preliminarmente evidenziato che la mancata contestazione degli estratti conti inviati nel tempo all'attrice non preclude al correntista di lamentare l'illegittimità degli addebiti operati dalla banca. Si è affermato che il silenzio del correntista al momento della trasmissione degli estratti del conto corrente non assurge ad approvazione tacita dei suddetti estratti. Secondo il condivisibile orientamento della Suprema Corte, la mancata contestazione dell'estratto conto - e la conseguente implicita approvazione delle operazioni in esso annotate - riguarda solo gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto, delle operazioni annotate, ma non assume valenza ostativa alla formulazione di doglianze riguardanti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (cfr. ex multis Cass. n. 30000/2018; conf. Cass. n. 11626/2011 e Cass. n. 23421/2016). 7. Ricordato che il contratto di conto corrente n. (...) risulta esser stato stipulato con la convenuta in data 22.7.1963, va rilevato che in pari data il correntista - all'epoca Sergio Cardinali - aveva contestualmente sottoscritto un accordo che regolamentava, sotto un profilo economico, il rapporto negoziale stipulato, sicché il rapporto negoziale risulta esser stato all'origine regolato in base a dette clausole contrattuali (cfr. all. 3 citazione). 8. Ebbene, l'attrice, anzitutto, contestava l'illegittimo addebito di interessi per i quali era stato pattuito un tasso indeterminato, individuato mediante facendo riferimento a quelli praticati usualmente dagli istituti di credito sulla piazza (...) clausola "uso piazza"). Dalla documentazione in atti e, in particolare, dagli accordi del 22.7.1963 e del 15.2.1979 emerge che le parti avevano concordato, alle clausole 6 e 7, che gli interessi sarebbero stati determinati in base "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza". Secondo una consolidata e condivisibile interpretazione della Suprema Corte (cfr. ex multis Cass. n. 22179/2015, seppur in tema di interessi), la clausola che fa genericamente riferimento a parametri quali gli "usi su piazza" non può ritenersi rispettosa dell'art. 1346 c.c., atteso che non consente al correntista di conoscere i criteri di determinazione delle poste che addebitate dall'istituto di credito sul conto corrente ed è affetta da nullità, anzitutto, per indeterminatezza del suo oggetto (cfr. nella giurisprudenza di merito Trib. Terni, 13.12.2021; C.d.A. Venezia 19.6.2019). Ne consegue l'applicazione dell'art. 117, co. 7, TUB e, per l'effetto, del tasso sostitutivo dato dal tasso nominale dei buoni ordinari del tesoro a 12 mesi emessi nell'anno anteriore ad ogni chiusura trimestrale del conto. 9. Va, poi, esaminata la censura relativa all'illegittima applicazione dell'anatocismo. Considerato che la capitalizzazione degli interessi è stata sottoposta, nel tempo, a diversi regimi giuridici, occorre distinguere tra il periodo precedente e quello successivo all'entrata in vigore della delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, avvenuta il 1.7.2000, alla luce della data di stipula del contratto di conto corrente per cui è causa (22.7.1963). Con riguardo al periodo sino al 30.6.2000, la clausola anatocistica prevista in contratto deve ritenersi affetta da nullità, poiché applicata in forza di un uso negoziale inidoneo a derogare al divieto di cui all'art. 1283 c.c. (cfr. Cass. S.U. n. 21095/2004) e, per l'effetto, deve ritenersi indebita la capitalizzazione di interessi applicata dalla Banca sino a tale data (30.6.2000) in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. S.U. n. 2418/2010; conf. Cass. n. 20172/2013). Quanto al periodo dall'1.7.2000, va accertato se la Banca si era conformata o meno alle prescrizioni stabilite dalla citata delibera C.I.C.R. in punto di pari periodicità della capitalizzazione degli interessi debitori e creditori, stabilita dall'art. 2, co. 2 ("nell'àmbito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori") e se abbia correttamente informato il cliente nei termini di cui all'art. 7, co. 2 e 3 della citata delibera. In base a tali disposizioni, per considerare legittimo l'adeguamento contrattuale veniva richiesta la sottoscrizione con il correntista di un nuovo contratto in caso di modifica contrattuale peggiorativa rispetto alle condizioni applicate in precedenza. In caso di modifica contrattuale migliorativa, ai fini dell'adeguamento era, invece, sufficiente la pubblicazione delle nuove condizioni economiche in Gazzetta Ufficiale. Nel caso in esame, l'attrice deduceva l'inosservanza di tale disposizione, evidenziando di non aver sottoscritto alcun accordo di rinegoziazione con la banca avente ad oggetto la capitalizzazione degli interessi a far data dall'1.7.2000. Sul punto, la convenuta sosteneva, invece, di aver applicato la capitalizzazione trimestrale in condizioni di reciprocità (sia per gli interessi creditori, sia per quelli debitori) e di aver reso noto all'attrice detta modifica contrattuale mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (cfr. all. 17 comparsa), reputando trattarsi di una condizione più favorevole per il cliente. La questione inerente la portata peggiorativa o migliorativa delle nuove condizioni contrattuali è stata di recente risolta dalla Suprema Corte, affermando che la possibilità di prevedere in contratto l'anatocismo implica sempre per il cliente un peggioramento delle condizioni economiche del negozio e, di conseguenza, essa esige l'approvazione scritta del correntista ai sensi dell'art. 7, co. 5, della delibera CICR del 9.2.2000 in assenza della quale la nuova clausola contrattuale non è valida. In particolare, si è affermato che "in ragione della pronuncia di incostituzionalità dell'art. 25, comma 3, del D.Lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell'art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell'art. 2 della predetta delibera" (Cass. n. 9140/2020; conf. Cass. n. 29420/2020). Va, quindi, disattesa la tesi della convenuta, non essendo sufficiente ai fini dell'adeguamento alla nuova disciplina la mera pubblicazione della modifica contrattuale in Gazzetta Ufficiale. Né appare condivisibile il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza minoritaria (cfr. sentenze del Tribunale di Roma citate dalla convenuta), secondo cui la valutazione circa la natura peggiorativa va effettuata utilizzando come parametro di riferimento le condizioni economiche precedentemente applicate. La Suprema Corte ha ben chiarito che "così ragionando, si trascura un imprescindibile snodo del problema. Si omette infatti di considerare che a seguito del declassamento da uso normativo ad uso negoziale della prassi bancaria in materia di anatocismo operato dalle SS.UU. è venuta meno ogni legittima deroga in quell'ambito all'art. 1283 cod. civ. e le relative clausole, in guisa delle quali gli interessi debitori venivano periodicamente capitalizzati, sono state fulminate di nullità per contrasto con la norma codicistica. La conseguenza di questa premessa è che "in tema di controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione.". E, poiché come annota la sentenza in disamina, "alla assenza di capitalizzazione o alla capitalizzazione annuale, quali conseguenze della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, si è sostituita la reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi, è di tutta evidenza che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa" e sia perciò inappropriato spacciare per un loro miglioramento il passaggio al regime della trimestralizzazione per tutti gli interessi, giacché il raffronto non va fatto tra il regime dell'annualità e quello della trimestralità degli interessi creditori, ma tra l'assenza di capitalizzazione o la capitalizzazione annuale degli interessi debitori, conseguenza" (così in Cass. n. 26779/2019). Conseguentemente, in difetto di una pattuizione ad hoc relativa alla capitalizzazione degli interessi a far data dall'1.7.2000, l'anatocismo deve ritenersi illegittimamente applicato anche dopo le modifiche intervenute con il D.Lgs. n. 342/1999 e con la delibera C.I.C.R. del 9.2.2000. Per l'effetto, tutti gli interessi anatocistici applicati dalla Banca nel corso del rapporto devono ritenersi privi di valida fonte negoziale e, pertanto, illegittimamente applicati. Ciò posto, il c.t.u., sulla base di argomentazioni logiche e giuridicamente condivisibili, in sede di calcolo del corretto saldo del conto corrente, ha eliminato la capitalizzazione trimestrale degli interessi, sia attivi che passivi, applicata dalla Banca nel corso dell'intero rapporto contrattuale. 10. La società attrice deduceva, inoltre, la nullità per indeterminatezza della clausola relativa alla commissione di massimo scoperto, con conseguente illegittimità degli addebiti operati dalla banca a tale titolo. Dalla documentazione in atti, esaminata dal c.t.u. (cfr. pag. 10 c.t.u.), risulta che la commissione di massimo scoperto risulta era stata applicata sino al II trimestre 2009 in relazione al conto corrente n. (...) (cfr. all. 3 citazione). A prescindere dalla tesi accolta in ordine alla natura giuridica della commissione di massimo scoperto - accessorio che si aggiunge agli interessi passivi ovvero remunerazione dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (cfr. Cass. n. 1172/2002 e Cass. n. 870/2006) - la pattuizione di tale onere deve essere specifica, anche con riferimento alla modalità di calcolo, poiché in caso di formulazione generica non consente di individuare l'oggetto dell'obbligazione di cui il correntista assume il peso economico e, pertanto, la clausola deve considerarsi indeterminata ai sensi degli artt. 1346 e 1419 c.c.. In particolare, per essere legittima deve esserne specificato il tasso, la base di calcolo e la periodicità dell'addebito, non potendo affermarsi, in mancanza di tali dati, che le parti abbiano raggiunto un accordo sul punto, considerato che trattasi di onere economico privo di fonte legale (cfr. ex multis Trib. Milano, 3.10.2018; Trib. Firenze, 26.11.2018, n. 3202; Trib. Bari, 7.1.2019, n. 41; Trib. Termini Imerese, 22.01.2019; C.d.A. Reggio Calabria, 29.1.2019, n. 74). Tuttavia, negli accordi del 22.6.1973 e 15.2.1979 con cui le parti avevano stabilito le condizioni economiche da applicare al contratto di conto corrente non risulta esser stata validamente pattuita l'applicazione della commissione di massimo scoperto. Anche nei contratti di apertura di credito stipulati con (...) nelle date del 14.5.2004 e del 20.1.2005 regolati sul conto corrente n. (...) la pattuizione risulta assolutamente generica, essendo ivi indicata soltanto la percentuale (0,125%) che la banca avrebbe applicato (cfr. pag. 10 c.t.u.), senza specificare né la base di calcolo, né l'arco temporale di riferimento. Alla luce di tali carenze, non risultano determinabili le modalità di calcolo della commissione di massimo scoperto (cfr. all. 2 e 3 comparsa di costituzione). Diversamente da quanto sostenuto dalla convenuta, nel contratto del 14.5.2004 (cfr. all. 2 comparsa di costituzione) non risultano analiticamente indicate le componenti sulla base delle quali viene calcolata la commissione (cfr. pag. 17 comparsa conclusionale ove si legge "trimestralmente al massimo scoperto di periodo"). Invero, dalla lettura del documento contrattuale si legge solo "CMS del 0,125% per eventuali sconfinamenti", senza alcun specifico riferimento temporale, né alla base di calcolo. Pertanto, alla luce della nullità parziale delle pattuizioni, con assorbimento della questione relativa alla causa, la mancanza di una valida fonte negoziale rende illegittimi gli addebiti operati dalla Banca a tale titolo. Va, quindi, condivisa la ricostruzione del saldo eseguita dal c.t.u., che provvedeva all'eliminazione della commissione di massimo scoperto sino al II trimestre 2009. 11. Parte attrice contestava, poi, l'addebito di spese e commissioni non espressamente pattuite e, pertanto, illegittimamente addebitate, che il C.T.U. correttamente accertava e quantificava in base agli estratti conto in atti. 12. Va, ora, esaminata la contestazione relativa al superamento del tasso soglia-usura. A tal riguardo, va anzitutto dato atto della contraddittorietà esistente tra le conclusioni rassegnate dall'attrice nell'atto introduttivo e le deduzioni svolte nel corpo della citazione, nella parte in cui deduce che il consulente tecnico non aveva riscontrato interessi usurari applicati dalla Banca convenuta. Sul punto, nella memoria ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c. l'attrice escludeva la censurata contraddittorietà, sostenendo che il computo eseguito dal consulente di parte fosse erroneo, perché aveva escluso la c.m.s. dal calcolo del TEG, diversamente da quanto previsto dalla L. n. 108/1996. Secondo l'attrice, se il consulente di parte avesse tenuto conto della commissione di massimo scoperto, il tasso d'interesse applicato dalla Banca sarebbe risultato pacificamente usurario. Al di là della censurata contraddittorietà, la doglianza risulta infondata. A tal fine, va ricordato che il contratto di conto corrente n. (...) è stato pattuito il 22.7.1963 e che, al tempo, non era ancora entrata in vigore la L. n. 108/1996, che ha introdotto una forma di usura di tipo oggettivo, quale quella censurata dall'attrice. Esclusa l'invocabilità di una forma di usura sopravvenuta (cfr. Cass. S.U. n. 24675/2017), stante la natura genetica dell'invalidità, al momento della stipula del contratto l'unica forma di usura sanzionata era quella soggettiva di cui all'art. 644 c.p. nella formulazione vigente ratione temporis. L'attrice non ha né allegato, né a fortiori provato i fatti costituitivi di tale forma di usura, con conseguente infondatezza in parte qua della domanda di ripetizione. Del resto, anche in punto di diritto, va dato atto del fatto che il conteggio eseguito dal consulente tecnico di parte, che si era attenuto alle istruzioni della Banca d'Italia ai fini della determinazione del TEG, era corretto, non dovendo includere nel calcolo - eseguendo un conteggio a parte - la commissione di massimo scoperto, come chiarito dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. n. 16303/2018). 13. Va, infine, esaminata l'eccezione formulata dalla Banca convenuta di prescrizione delle rimesse solutorie ultradecennali eseguite dalla correntista. A tal riguardo, nelle memorie ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c. l'attrice sosteneva che la mancata reiterazione dell'eccezione di prescrizione nelle conclusioni fosse indicativa di una volontà di rinuncia all'eccezione. In sede d'interpretazione della domanda o delle difese ed eccezioni delle parti va esaminato il tenore complessivo dell'atto, per cui l'eventuale omissione nelle conclusioni, non implica che l'eccezione di prescrizione, adeguatamente sviluppata nella parte espositiva della comparsa di risposta, debba ritenersi non ritualmente proposta (cfr. Cass. n. 15707/08; Cass. n. 8359/17). Al di là di tale precisazione, è principio noto nel diritto processuale civilistico quello per cui l'effetto dell'eccezione di prescrizione, in quanto fatto estintivo, è il rigetto della domanda avversaria, che la banca convenuta specificamente chiedeva nelle conclusioni. Diversamente dall'inammissibilità (pronuncia in rito), il rigetto si sostanzia in una reiezione nel merito della domanda giudiziale, che può essere giustificata tanto dalla mancata dimostrazione o dall'insussistenza dei fatti costitutivi, quanto dalla presenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi, quale, appunto, la prescrizione. Esclusa qualsiasi forma di contraddittorietà, va rilevata la tempestiva formulazione dell'eccezione da parte della Banca, in quanto sollevata nella comparsa di costituzione e risposta depositata (31.5.2019) nel rispetto dei termini di cui all'art. 167 c.p.c.. Premessa l'ammissibilità dell'eccezione, vanno svolte alcune considerazioni in merito alla modalità di formulazione, avendo l'attrice lamentato la genericità dell'eccezione avversaria, per non aver la banca indicato i versamenti ritenuti di natura solutoria ritenuti prescritti. Sul punto, le Sezioni Unite hanno recentemente affermato che "in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritté" (Cass. S.U. n. 15895/2019; conf. Cass. n. 7013/2020; Cass. n. 18144/2018). L'eccezione risulta, quindi, ritualmente sollevata dalla Banca. Passando al merito, va ricordato che "l'azione di ripetizione di indebito (...) è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati" (Cass. S.U. n. 24418/2010; conf. Cass. n. 24051/2019). In altri termini, ove siano stati eseguiti versamenti nel corso del rapporto occorre verificare se gli stessi possano essere qualificati alla stregua di pagamenti (e, quindi, suscettibili di formare oggetto di ripetizione ove risultino indebiti). Tale circostanza si verifica nel caso in cui detti versamenti siano stati eseguiti su un conto in passivo o scoperto cui non accede alcuna apertura di credito ovvero siano stati destinati a coprire un passivo eccedente i limiti del fido concesso dalla banca. A fronte della comprovata esistenza di un contratto di conto corrente assistito, nel tempo, da diverse aperture di credito (cfr. all. 2, 3, 4, 5, 9 e 12 comparsa di costituzione), la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti si ricava dagli estratti conto prodotti in giudizio dall'attrice correntista, come correttamente effettuato dal c.t.u.. La banca contestava il calcolo eseguito dall'ausiliario nella parte in cui poneva come parametro per l'individuazione delle rimesse solutorie il cosiddetto "saldo ricalcolato" in luogo del "saldo banca", ossia il saldo risultante dall'ultima annotazione in conto corrente. Con riferimento al criterio da utilizzare per individuare i versamenti solutori, questo Giudice ritiene di aderire ai principi giurisprudenziali espressi dalla Corte di Cassazione, secondo cui è necessaria la previa epurazione delle poste illegittime, sul presupposto che tale accertamento non può avvenire sulla base delle originarie annotazioni contabili della banca, che è emerso essere in parte frutto dell'applicazione di poste illegittime. La Suprema Corte ha affermato che "in tema di apertura di credito in conto corrente, ove il cliente agisca in giudizio per la ripetizione di importi relativi ad interessi non dovuti per nullità delle clausole anatocistiche e la banca sollevi l'eccezione di prescrizione, al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall'istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo passivo del conto, verificando poi se siano stati superati i limiti del concesso affidamento ed il versamento possa perciò qualificarsi come solutorio" (così in Cass. n. 9141/2020; conf. Cass. n. 3858/2021 e Cass. n. 15024/2022, nonché nella giurisprudenza di merito C.d.A. Lecce del 14.12.2021; conf. Trib. Parma 15.10.2021; Trib. Livorno 9.9.2021; C.d.A. Milano 20.1.2020). Ciò in quanto solo ripristinando le posizioni di credito/debito tra le parti si può qualificare come ripristinatoria una rimessa che, diversamente operando, sarebbe considerata come solutoria, come, ad esempio, nel caso in cui il correntista risulti extra fido per effetto dell'addebito di competenze ed interessi non dovuti. Pertanto, il saldo del conto corrente va rideterminato sulla scorta di tutte le considerazioni svolte e dei principi di diritto correttamente applicati dal c.t.u., che individuato le rimesse solutorie eseguite nel decennio antecedente la messa in mora della banca, perfezionatasi il 26.4.2018, e, quindi, da ritenere prescritte. A tal fine, tenuto conto dell'atto di messa in mora, il c.t.u. individuava le rimesse eseguite sino al 26.4.2008 ed "effettuate in presenza di un saldo passivo, in mancanza di affidamento, ovvero in presenza di un saldo "scoperto "cioè eccedente l'affidamento concesso" (cfr. pag. 14 c.t.u.). Quanto alla contestazione mossa dalla convenuta in relazione al fido di fatto per il periodo precedente al 14.5.2004, nella consulenza tecnica d'ufficio è emerso che "la "sterilizzazione dell'indebito si è estesa sino all'11/08/2004 (bonifico di Euro 10.442,08)" (cfr. pag. 14 c.t.u.). Sino a tale data il c.t.u. ha lasciato inalterate le competenze addebitate dalla Banca. In aggiunta il c.t.u. ha replicato precisando "per il periodo che va dalla prima operazione documentata in giudizio del 07/04/2000 fino al 15/11/2001, lo scrivente ha considerato presuntivamente un importo del fido di Lire 100.000.000, il cui ammontare, in assenza del contratto, non è precisamente ricavabile neanche analizzando i dati e le informazioni evidenziati negli estratti e negli scalari". Ha anche affermato che i conteggi operati non subirebbero modifiche anche accedendo al principio di diritto secondo cui l'onere di provare l'affidamento grava sul correntista che agisce per la restituzione dell'indebito (cfr. pag. 22 c.t.u.). Ha puntualizzato che "tenendo conto soltanto degli affidamenti che risultano dalle pattuizioni prodotte in giudizio dalle parti, sarebbero quantificabili maggiori rimesse solutorie solo in periodi rispetto ai quali, in entrambe le ipotesi di conteggio svolte dal CTU, si è già evidenziata la completa copertura dell'indebito pregresso, e non vi sarebbe, pertanto, alcun beneficio per la banca in termini di maggior indebito prescritto" (cfr. pag. 22 c.t.u.). Ebbene, merita condivisione l'orientamento del Supremo Collegio alla stregua del quale il giudice del merito che riconosce convincenti le conclusioni dell'ausiliario non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l'obbligo di motivazione si reputa assolto con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento, da cui sia possibile desumere che le deduzioni delle parti siano state anche implicitamente respinte, anche all'esito delle risposte fornite dal c.t.u. agli argomenti specifici sollevati dalle parti in sede di osservazioni critiche (Cass. n. 7266/2015; Cass. n. 22713/2015; Cass. n. 5229/2011 in motivazione; Cass. n. 19475/2005; Cass. n. 14638/2004; Cass. n. 23637/2016). 14. Tenuto conto, per tutte le ragioni sopra esposte, dei conteggi eseguiti dal c.t.u. in base al saldo ricalcolato, nell'applicare correttamente il quesito assegnatogli dal giudice assegnatario, l'ausiliario ha ricostruito il saldo del conto a partire dal primo estratto disponibile, tenendo conto esclusivamente degli estratti conto disponibili, nel periodo in cui sono risultati (alcuni) mancanti estratti conto intermedi, senza che detta carenza abbia inficiato l'attendibilità del risultato contabile finale. Assumendo la correntista la veste di attrice e non avendo la banca spiegato domanda riconvenzionale, l'accertamento tecnico deve, infatti, basarsi sul saldo risultante dal primo estratto del conto corrente disponibile in atti. Invero, secondo la Suprema Corte, con impostazione che si condivide, quando ad agire in giudizio è il cliente per la ripetizione d'indebito, spettando a lui provare il titolo dell'indebito producendo tutti gli estratti conto dall'inizio del rapporto, in caso di mancato assolvimento di detto onere, occorre far riferimento al saldo risultante dal primo estratto conto disponibile (cfr. Cass. n. 33321/2018, in motivazione; Cass. n. 30822/2018). Ciò posto, partendo dal primo estratto conto disponibile e, tenuto conto delle rimesse solutorie prescritte, il c.t.u. ha riscontrato come dovuti alla correntista a titolo di minori interessi passivi Euro 25.740,22, a titolo di maggiori interessi attivi Euro 2.850,26, a titolo poste indebitamente applicate per c.m.s. Euro 2.604,14, a titolo di poste indebite per commissione su accordato per Euro 1.415,31, poste indebite per CIV per Euro 1.700,00 e di poste indebite per spese non pattuite Euro 9.399,01. Dopo aver rideterminato il corretto saldo del conto corrente n. (...) alla data di chiusura del rapporto in Euro 50.111,50 a credito dell'attrice, in luogo del minor credito riconosciuto dalla Banca pari ad Euro 6.402,56, la Banca convenuta va condannata alla restituzione della somma indebitamente percepita pari ad Euro 43.708,94, oltre agli interessi legali maturati dal 26.4.2018 di messa in mora (cfr. all. 1 citazione) sino al soddisfo. 15. Non può, invece, trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno atteso che l'attrice, su cui grava l'onere della prova (cfr. Cass. S.U. n. 13533/2001), non ha allegato nessun elemento, né ha fornito la prova dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza del generico inadempimento contrattuale consistente nella violazione del dovere di correttezza, trasparenza e del canone di buona fede, in assenza dei quali al giudice è preclusa la liquidazione equitativa. 16. Ai fini della regolamentazione delle spese di lite va rilevato che la domanda restitutoria è stata accolta in misura considerevolmente inferiore rispetto a quanto richiesto e che la domanda di condanna al risarcimento del danno è stata integralmente rigettata. Ebbene, la questione relativa alla possibilità di compensazione delle spese in caso di solo parziale accoglimento della domanda è stata di recente sottoposta alle Sezioni Unite (cfr. ordinanza di rimessione Cass. sez. III, 14.10.2021, n. 28048). Secondo il più recente e maggioritario orientamento la soccombenza reciproca può dirsi integrata non solo nell'ipotesi in cui state proposte più domande o quando l'unica domanda sia articolata in più capi (alcuni dei quali accolti ed altri rigettati), ma anche qualora la domanda si componga di un unico capo e la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa (Cass. n. 20888/2018; conf. Cass. n. 10113/2018; Cass. n. 3438/2016; Cass. n. 22871/2015; Cass. n. 901/2012 e Cass. n. 21684/2013). In tale ultima ipotesi, questo Giudice ritiene che la soccombenza reciproca possa essere riconosciuta solo ove vi sia una notevole divergenza tra il petitum ed il deasum, non potendo l'attore essere esposto al rischio di risultare anche solo parzialmente soccombente - e conseguentemente sostenere le spese del giudizio - per il mero fatto di non aver correttamente quantificato, al momento della domanda, la pretesa creditoria e ciò anche in considerazione dell'incidenza che l'evoluzione giurisprudenziale nella materia del diritto bancario ha avuto sul quantum debeatur. Aderendo, nei termini anzidetti, all'indirizzo interpretativo maggioritario, stante il rilevante divario tra petitum ( Euro 75.243,53) e decisum (Euro 43.708,94), la (...) s.n.c. deve ritenersi solo parzialmente vittoriosa, anche alla luce dell'integrale soccombenza sulla diversa domanda risarcitoria, sicché risulta applicabile nel caso di specie l'istituto della compensazione di cui all'art. 92 c.p.c. per la quota di 1/2 delle spese processuali liquidate in dispositivo, ponendo a carico della convenuta la rifusione in favore dell'attrice delle spese, nella quota residua. Le spese di lite sono liquidate in base al D.M. n. 55/2014 (aggiornato al D.M. n. 37/2018), avuto riguardo al criterio del decisum stabilito dall'art. 5 del citato D.M. e, pertanto, allo scaglione compreso tra Euro 26.001 ed Euro 52.000, tenuto conto dei parametri medi, alla luce della complessità delle questioni affrontate e al pregio dell'opera prestata. Quanto alle spese di c.t.u., liquidate con decreto del 9.3.2021, vanno essere poste a carico della convenuta in base al principio di causalità, stante la necessità di tale accertamento contabile indipendentemente dal quantum debeatur riconosciuto all'attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando, ogni diversa eccezione, istanza e deduzione disattesa o assorbita, così provvede: - in parziale accoglimento della domanda attorea, condanna (...) S.p.A. alla restituzione, a titolo di indebito oggettivo, della somma di Euro 43.708,94 in favore della (...), oltre interessi al tasso legale dal 26.4.2018 sino al soddisfo, rigettando nel resto; - compensa tra le parti le spese di lite - che liquida in Euro 7.254,00 per onorari - nella misura di 1/2 e condanna (...) S.p.A. alla rifusione in favore della (...) dell'importo residuo, pari ad Euro 3.627,00, a titolo di onorari, oltre esborsi (contributo unificato e marca da bollo) per Euro 786,00, spese generali al 15%, iva se dovuta e c.p.a.; - condanna (...) S.p.A. a versare all'entrata del bilancio dello Stato l'importo di Euro 759,00; - pone definitivamente a carico di (...) S.p.A. le spese di c.t.u., liquidate con decreto del 9.3.2021. Così deciso il Terni il 24 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2022.

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