Sentenze recenti Tribunale Tivoli

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott.ssa Roberta Mariscotti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. 1415/2020 pendente tra (...), (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. SA.MI. Ricorrente E (...) COOPERATIVA AGRICOLA SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA, (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. DI.MA. Resistente RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 414 e ss. c.p.c. il Sig. (...) ha evocato in giudizio la società Cooperativa Agricola a r.l. (...), assumendo quanto segue: di aver lavorato alle sue dipendenze, dal lunedì alla domenica, 7 giorni su 7, dalle ore 17:30 alle ore 08:30 del giorno successivo, con rapporto di lavoro non regolarizzato e le mansioni di custode/guardiano per il periodo dal 10.02.2003 al 14.02.2015; che, in ragione di tanto, avrebbe diritto ad essere inquadrato nel livello 7 del CCNL per i lavoratori delle Cooperative e dei Consorzi Agricoli e avrebbe diritto a percepire differenze retributive per Euro 399.099,66 (di cui Euro 199.828,96 per lavoro straordinario notturno e festivo). Alla luce di tutto quanto sopra, il ricorrente rassegnava le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito, respinta ogni diversa e contraria deduzione, argomentazione ed eccezione, in quanto infondata in fatto ed in diritto e sprovvista del benché minimo supporto probatorio: 1) accertare e dichiarare che tra il ricorrente Sig. (...) e (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata è intercorso un rapporto di lavoro full-time di natura subordinata a tempo indeterminato dal 10.02.2003 al 14.02.2015; 2) per l'effetto, accertare e dichiarare che (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata era la datrice di lavoro del Sig. (...) ed accertare e dichiarare, quindi, che il Sig. (...) ha continuativamente prestato attività lavorativa di natura subordinata alle dipendenze della predetta (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata fra il 10.02.2003 ed il 14.02.2015; 3) accertare e dichiarare il diritto del Sig. (...) ad essere inquadrato per l'intera durata del rapporto di lavoro e, quindi, fra il 10.02.2003 ed il 14.02.2015 nel livello 7 del CCNL per i lavoratori delle Cooperative e dei Consorzi Agricoli; 4) condannare (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata al pagamento della complessiva somma di Euro 399.099,66 (diconsi Euro trecentonovantanovemilanovatanove\66) s.e.o., o della diversa somma, minore e/o maggiore, ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di retribuzione, di ratei di tredicesima mensilità, di festività non godute, di permessi non goduti, di indennità per lavoro straordinario diurno, notturno e festivo, di indennità per omesso preavviso e di trattamento di fine rapporto, il tutto come da analitico conteggio allegato al corrente atto costituendone parte integrante e con espressa riserva di richiedere, in separata sede, ogni altro diritto, comunque violato, connesso, anche ma non solo, all'omesso versamento dei contributi previdenziali, valendo sin d'ora il presente ricorso quale atto di formale messa in mora interruttivo di ogniprescrizione e/o decadenza. 5) in ogni caso con condanna alla refusione delle spese di lite, delle competenze e degli onorari, oltre al 5% per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore, che si dichiara antistatario". Si costituiva in giudizio la resistente chiedendo il rigetto del ricorso ex adverso depositato ed in particolare deducendo quanto segue: che tra le parti non vi era stato alcun rapporto di lavoro e che, di contro, la resistente aveva concesso dapprima in comodato e successivamente in locazione un proprio immobile al ricorrente; che quest'ultimo aveva smesso di corrispondere i relativi canoni, rendendosi moroso; che in ogni caso, era spirato il termine per l'impugnativa del licenziamento e stante il tempo intercorso il diritto a gran parte dei presunti crediti vantati sarebbe oramai prescritto. All'udienza del 05.04.2022, venivano escussi un testimone di parte ricorrente (Sig. (...)) e due testimoni di parte resistente (Sig. (...) e Sig. (...)). All'odierna udienza tenutasi mediante lo scambio di note ex art. 127 ter c.p.c. la causa viene decisa. Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento. Il ricorrente vorrebbe che venisse accertata la sussistenza di un rapporto recante i vincoli della subordinazione. Occorre in primo luogo, quindi, valutare se siano emersi elementi di prova della subordinazione così come delineati nel ricorso. Orbene l'art. 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato facendo espresso riferimento alla sottoposizione del medesimo al potere direttivo del datore di lavoro. Costituisce, in particolare, requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che consta dell'emanazione di ordini specifici e dell'esercizio di un'assidua e penetrante attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione della prestazione. (Cass. sez. lav. 13858/99; 11936/00; 5889/01). Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha enucleato una serie di "idonei indici rivelatori" della subordinazione al fine di distinguere il lavoro subordinato dal lavoro autonomo e meglio individuare i casi in cui in concreto sussiste la subordinazione pur in presenza di qualificazioni diverse adottate dalle parti per definire la tipologia contrattuale Elemento indefettibile - quindi - del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato; hanno, inoltre, carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, la collaborazione, l'osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l'inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e il coordinamento con l'attività imprenditoriale, l'assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione), i quali - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto. Inoltre, non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il "nomen iuris" che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti (cosiddetta "autoqualificazione"), il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l'autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo" (v. Cass. 2007/4500 Cass. n. 5445/2009). Indici di subordinazione sono stati ravvisati nella collaborazione con l'imprenditore, intesa come continuità e sistematicità della prestazione di lavoro, nella continuità temporale dell'attività, nell'osservanza di un determinato orario, nella forma della retribuzione, nell'esistenza o meno in capo al lavoratore di un'organizzazione imprenditoriale, nell'incidenza soggettiva del rischio, ma tali criteri devono comunque considerarsi privi di un autonomo valore decisivo, in quanto elementi sussidiari con un rilievo distintivo soltanto complementare e secondario, indiziari rispetto all'unico elemento avente valore determinante, rappresentato dalla dimostrazione dell'esistenza del vincolo di subordinazione. La subordinazione si caratterizza in particolare per la "disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa", mentre altri elementi "come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante" (v. per tutte cass. Sez. lav. 3.4.2000 n. 4036). In ogni caso, appare evidente che gravi su colui che afferma l'esistenza della subordinazione il relativo onere probatorio (da ultimo cass. Civ., 6.3.2006 n. 4761). Ora, se certo è che tra le parti vi fosse la sussistenza di un contratto - dapprima di comodato e, successivamente, di locazione - in quanto documentato in atti e confermato da entrambe le parti, non può dirsi lo stesso per il rapporto di lavoro avente i caratteri della subordinazione. Il teste di parte ricorrente Sig. (...) ha dichiarato "Non ho mai lavorato per la resistente. Conosco il ricorrente perché siamo amici di vecchia data. Da come ho visto io lui faceva il guardiano dentro al complesso delle (...). Aveva un appartamento li. Io lo vedevo perché andavo a trovarlo ed è capitato che lui non poteva uscire perché era guardiano e lo andavo a trovare io. Sarà capitato due o tre volte la mese sempre la sera perché io ci andavo quando era chiuso non quando era aperto. Io sono andato in pensione nel 2005. Io andavo da lui nel 2003. Mi chiamò quando gli buttarono le cose fuori e andai ad aiutarlo nel 2015. Non ho mai visto nessun'altro insieme a lui. A volte una o due nell'arco del periodo dal 2003 al 2015. ADR Lui mi diceva che lavorava dalle 17 o 1730 la mattina fino alle 8 della mattina ho visto i carabinieri che facevano il giro. Lui stava li e se sentiva dei rumori andava a fare il giro e capitò che andassi con lui a are una guardata. Lui faceva il guardiano. Non so dire sui rapporti economici tra il ricorrente e la resistente. ADR Io so che c'era un allarme perché una sera scattò e lui ricevette una telefonata che gli diceva di andare a controllare". Ora, a ben vedere, il teste del ricorrente ha confermato la presenza di quest'ultimo all'interno dell'immobile messo a disposizione dalla resistente (circostanza questa però non disconosciuta dalla presunta datrice di lavoro); allo stesso tempo ha dedotto che vi fosse un'attività di controllo e vigilanza da parte del ricorrente, limitandola però al caso in cui venissero sentiti dei rumori all'esterno dell'abitazione. Ciò che, infatti, il teste non ha chiarito è a che titolo il ricorrente svolgesse la detta attività e soprattutto da chi e se il ricorrente fosse, nell'esplicazione delle mansioni, eterodiretto. L'attività di sorveglianza per così dire routinaria non è frutto dell'apprensione diretta del teste ma ad esso è stata riferita dal ricorrente; il teste, come da lui stesso chiarito, ha solo assistito a degli episodi occasionali che non comportano il venir in rilievo di un rapporto subordinato: ed infatti, ben avrebbe potuto il ricorrente, in presenza di rumori, controllare a titolo di favore e nella sua qualità di inquilino, che non vi fossero ingerenze di terzi nella proprietà. La circostanza che il ricorrente, in presenza di rumori ed in circostanze particolari, controllasse l'esterno dell'abitazione è troppo poco per qualificare tale attività quale mansione lavorativa. Il quadro probatorio fornito da parte ricorrente è estremamente carente. Allo stesso tempo non appare credibile che il ricorrente abbia svolto l'attività lavorativa per un grande lasso temporale senza ricevere alcun compenso e soprattutto senza contestare tale omissione da parte datoriale. Di contro, la resistente, la cui tesi difensiva fosse quella della sussistenza tra le parti del solo accordo di locazione, ha dimostrato in giudizio di aver richiesto al ricorrente il pagamento dei canoni arretrati con lettera di diffida e messa in mora, seppur quest'ultima non è stata recapitata al ricorrente. In ogni caso, il mancato accertamento circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti è assorbente delle ulteriori domande proposte dal ricorrente nonché delle relative eccezioni della controparte. Non si ravvisano gli estremi per la condanna ex art. 96 c.p.c. in quanto non vi è prova che il ricorrente si sia attivato giudizialmente con dolo o colpa grave. Le spese di lite vengono compensate tra le parti stante le occasionali prestazioni di vigilanza eseguite dal ricorrente seppure non sussista prova della subordinazione. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni istanza ed eccezione, così provvede: 1. Rigetta il ricorso; 2. Compensa le spese di lite tra le parti. Così deciso in Tivoli il 5 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TIVOLI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Michele Cappai ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 241/2022 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RU.FR. attore contro (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) S.R.L. (C.F. (...)), contumaci convenuti ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con l'atto introduttivo del presente giudizio, il (...) ha citato a comparire innanzi all'intestato Tribunale (...), ed altri, (...) Srl, (...), (...), (...) e (...), esponendo quanto segue: - con Delib. G.R. del Lazio n. 6152 del 14 dicembre 1979 veniva approvato il Piano Regolatore Generale del Comune di Cave nel quale veniva previsto che le aree proposte nel piano di lottizzazione e costituenti un comparto unitario, facenti parte di una determinata zona del Comune di Cave, venivano destinate a zona di espansione residenziale, per la costruzione di edifici a più piani denominata, nel P.R.G. menzionato, insula C/2; - in conseguenza di ciò i proprietari dei terreni compresi nella zona sopra indicata avrebbero dovuto assumersi l'obbligo di realizzare tutte le opere di urbanizzazione primaria e gli allacci ai pubblici servizi nei confronti del Comune di Cave, garantendo, allo stesso, l'esatto adempimento degli obblighi da assumersi ciascuno mediante fidejussioni bancarie od in altro modo, il tutto come sarebbe stato meglio previsto dalla convenzione da realizzarsi da parte dei medesimi proprietari con il Comune di Cave; - di conseguenza, per poter perfezionare tutti gli impegni da assumere con il Comune di Cave, i proprietari dei terreni in Loc. (...), compresi nella zona di espansione residenziale denominata insula C/2 nel P.R.G. del Comune di Cave, allo scopo di poter realizzare l'insediamento urbanistico previsto, in data 27 dicembre 1987, per atto Notaio Dr. (...) di (...) costituivano un Consorzio, a fini operativi, denominato (...) con sede in (...) (R.) in via P. XII n. 37; - mediante lo Statuto del Consorzio menzionato all'art. 2 veniva espressamente previsto che, tra gli scopi del Consorzio, risultavano essere anche la costruzione delle aree di parcheggio, la sistemazione degli spazi a verde attrezzato con cessione, senza corrispettivo al Comune di Cave a richiesta dello stesso, o ad altro Ente interessato, di tutte le opere realizzate; - pertanto, con delibera del Consiglio Comunale di Cave in data 30.09.1988 n. 148 il Comune di Cave approvava il piano di lottizzazione, di iniziativa privata, nell'insula C/2 del P.R.G. e, con successiva Delib. di Giunta del 20 dicembre 1988, n. 817, sempre il Comune di Cave autorizzava il Sindaco pro tempore alla stipula della convenzione con il (...); - a seguito di tutti gli atti predisposti e sopra riportati in data 30 dicembre 1988 tra il Comune di Cave e il (...) veniva stipulata Convenzione per "la realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo totale della quota dovuta dal Consorzio a norma dell'art. 5 della L. 28 gennaio 1977, n. 10"; - infatti, la convenzione menzionata prevede all'art.2 che il (...), in luogo del pagamento in favore del Comune di Cave della quota di contributo per oneri di urbanizzazione di cui all'art. 5 della L. 28 gennaio 1977, n. 10, si impegnava ad eseguire interamente, a sua cura e spese, i seguenti lavori ed opere di urbanizzazione: la rete viaria comprensiva di eventuali raccordi pedonali; gli spazi di sosta e di parcheggio; la rete fognaria bianca e nera; la rete di distribuzione idrica con allacciamento al civico acquedotto; la rete di distribuzione energia elettrica; l'impianto di pubblica illuminazione; gli spazi di verde attrezzato, il tutto come risulta specificato negli elaborati progettuali; - sempre con la convenzione stipulata tra le parti veniva previsto all'articolo 3 che, con la sottoscrizione dell'atto, il Consorzio si impegnava a trasferire e cedere gratuitamente al Comune di Cave tutte le aree, impianti ed opere descritti all'art. 2; - in virtù di quanto sopra e avendo iniziato i lavori per la realizzazione degli immobili, previsti dal piano di lottizzazione approvato, i proprietari dei lotti di terreno, comunque interessati per la realizzazione delle strade, marciapiedi e spazi verdi, mettevano volontariamente a disposizione del (...), così come espressamente previsto e ciascuno per quanto di sua spettanza, le particelle direttamente interessate, e comunque assolutamente necessarie, per la realizzazione delle opere; - di conseguenza, sin dai primi mesi dell'anno 1989, i soci del (...) proprietari degli appezzamenti di terreno necessari per la realizzazione delle opere riguardanti la viabilità del comprensorio e le pertinenze della stessa, comunque necessarie per la urbanizzazione della lottizzazione, mettevano gli immobili nella disponibilità del Consorzio impegnandosi, successivamente, a trasferirne la proprietà, così come previsto nell'atto costitutivo del Consorzio, il tutto per le finalità della Convenzione stipulata con il Comune di Cave; - a seguito della realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione a più riprese i soci del (...) sono stati invitati a voler regolarizzare la cessione delle porzioni di terreno a suo tempo messe nella disponibilità del Consorzio ma vani sono risultati tutti i tentativi effettuati; - di conseguenza, allo stato, il (...), potendo dimostrare il pacifico, pubblico e continuo possesso dei beni di cui si discute da oltre trenta anni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1158 e segg. del Cod. Civ. intende oggi conseguire un provvedimento giudiziario che, accertati i fatti e le circostanze di cui sopra, dichiari l'acquisizione per usucapione in suo favore della proprietà di tutti i beni indicati in narrativa. Ha dunque chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "a) Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito dichiarare che i seguenti terreni in territorio del Comune di Cave località S. I. C/2, identificati ed intestati al catasto così come al punto 11) della narrativa sono stati nel continuo, pubblico e indisturbato possesso del (...) per oltre trenta anni e che vi ha realizzato le opere così come espressamente previste dagli elaborati progettuali della lottizzazione di cui alla convenzione tra il medesimo (...) e il Comune di Cave; b) Per quanto al punto che precede, visti gli artt. 1158 e segg. (...) dichiarare la intervenuta usucapione dei beni di cui è causa e come sopra identificati, a favore dell'istante (...) (cod. fisc. (...), con sede legale in (...) (R.) via (...) n. 49, con tutte le conseguenze di legge circa la proprietà e conmandato al competente conservatore dei registri immobiliari affinché provveda alle relative trascrizioni con esonero di responsabilità anche per gli altri P.U. a ciò procedenti; c)Con vittoria di spese del giudizio in caso di ingiustificata opposizione". Le parti convenute sono rimaste contumaci. Con ordinanza in data 22 giugno 2022 il Giudice ha così provveduto: "rilevato che le notifiche nei riguardi delle parti convenute risultano regolarmente eseguite: rilevato che la richiesta di prova testimoniale formulata nell'atto di citazione è inammissibile, risultando i capitoli di prova formulati in modo generico ed apparendo in ogni caso l'assunzione della prova testimoniale irrilevante ai fini del decidere; ritenuto che la causa sia matura per la decisione; P.Q.M. Dichiara la contumacia delle parti convenute; Rinvia all'udienza del 14.12.22 ore 9:30 per la precisazione delle conclusioni (..)". All'udienza del 14 dicembre 2022 il Giudice ha trattenuto in riserva la decisione, con termini come da art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali. Tanto premesso, ritiene il Giudice che la domanda proposta dal (...) non possa trovare accoglimento. Si osserva che i consorzi di urbanizzazione non sono qualificabili nella fattispecie consortile dell'art. 2602, non essendo preordinati a soddisfare interessi direttamente inerenti l'attività produttiva dei consorziati, i quali partecipano solo come proprietari o titolari di un diritto di godimento su un bene immobile, quindi perseguendo uno scopo che, anche se mutualistico, non può ritenersi consortile. La natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione, costituiti da proprietari di terreni situati in un'area destinata ad insediamenti abitativo/turistici per realizzare, mantenere e gestire le attrezzature ed i servizi necessari all'utilizzazione dell'intera area, viene per lo più individuata in quella delle associazioni non riconosciute. Si ritiene invero che i consorzi di urbanizzazione possano legittimamente rivestire natura di associazioni atipiche e assumere aspetti sia associativi che di "realità", tali ultimi aspetti derivando, appunto, dall'assunzione di obblighi propter rem, ovvero dalla costituzione di reciproche servitù. Ne consegue che, al fine di individuare la disciplina ad essi concretamente applicabile, occorre far capo alle regole dettate dal Codice civile in tema di associazioni non riconosciute, specie per quanto attiene ai profili organizzativi ed associativi, fonte primaria restando invece, quanto all'ordinamento interno ed all'amministrazione, l'accordo delle parti, sicché l'atto costitutivo (dotato dei caratteri strutturali del contratto associativo) e lo statuto risultano funzionali a regolare l'attività del consorzio stesso e, in particolare, a stabilire la durata del rapporto, nonché l'eventuale prorogabilità del termine di scadenza, ove questo sia a tempo determinato. Accanto agli elementi tipici dell'associazione, attinenti come detto ai profili organizzativi ed associativi, i consorzi di urbanizzazione sono caratterizzati dalla presenza di elementi di realità, che li assimilano alla comunione. Si ritiene per l'effetto che agli stessi sia altresì applicabile, per analogia, la disciplina della comunione che è richiamata dall'art. 920 per i "consorzi volontari" in materia di uso delle acque. Nella medesima prospettiva la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, siano applicabili le norme in materia di condominio ("Le disposizioni in materia di condominio possono ritenersi applicabili al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo il consorzio alla categoria delle associazioni, in quanto non esistono schemi obbligati per la costituzione di tale ente, assumendo, per l'effetto, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione statutaria, e potendo, peraltro, l'intenzione di aderire al consorzio rivelarsi anche tacitamente, a meno che la legge o - come nella specie - lo statuto richiedano la forma espressa. Ne consegue, altresì, che solo l'adesione al consorzio può far sorgere l'obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento dell'ente" così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 22641 del 03/10/2013 (Rv. 627892 - 01)). Osserva il Giudice che, quale che sia l'aspetto della indicata, ambivalente, natura giuridica del consorzio di urbanizzazione che si intenda privilegiare, nel caso di specie la domanda proposta dal (...) non può comunque trovare accoglimento. Laddove si intenda valorizzare l'assimilabilità del Consorzio alla comunione di beni e/o al condominio, difetterebbe, ai fini della stessa ammissibilità della domanda, la necessaria alterità soggettiva tra il soggetto che pretende di usucapire e quello nei riguardi del quale viene formulata la domanda. In quanto ente di gestione, il condominio non è infatti altro che mero ente deputato alla regolamentazione della disciplina dell'utilizzo delle parti comuni, costituite, a loro volta, dalla sommatoria, in proporzione, delle quote di proprietà dei singoli condomini, senza che allo stesso condominio sia riconoscibile una propria soggettività distinta rispetto a quella riferibile a ciascun comproprietario idonea a consentirgli di usucapire i beni che formano oggetto della sua attività gestoria. Laddove d'altra parte si intenda valorizzare l'assimilabilità del consorzio di urbanizzazione alla figura dell'associazione non riconosciuta, seppure non può in astratto escludersi la capacità di tale ente di effettuare acquisti per usucapione ("La limitata capacita delle associazioni non riconosciute di essere titolari di un patrimonio, entro l'ambito in cui e positivamente prevista dalla legge e, quindi, in base all'art. 37 cod. civ., con esclusivo riferimento ai contributi degli associati ed ai beni acquistati con tali contributi (ma senza l'Obbligo dell'autorizzazione governativa), riguarda solo gli acquisti a titolo derivativo, e non esclude la possibilità di acquisti a titolo originario, come l'usucapione, in relazione alla quale, in particolare, non può essere disconosciuta l'efficacia, propria del possesso, ove questo con le modalità previste dall'art. 1158 cod. civ., venga esercitato su di un bene dagli associati non uti singuli bensì come appartenenti all'associazione e con la volontà di riferire a questa gli atti di possesso compiuti" così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3773 del 10/06/1981 (Rv. 414408 - 01)), difetterebbero in ogni caso i presupposti per ritenere che il Consorzio possa usucapire i beni comuni, nei riguardi dei propri stessi soggetti consorziati. Invero, ritiene il Giudice che all'atto costitutivo del consorzio non possa riconoscersi l'idoneità a conferire in favore del consorzio stesso il possesso idoneo all'usucapione delle parti comuni. Con tale atto i consorziati hanno semmai potuto concedere la mera detenzione dei beni all'ente collettivo di nuova costituzione, finalizzata a consentire un uso comune delle parti interessate, destinate, negli intendimenti iniziali, al passaggio alla proprietà pubblica in base alla convenzione a suo tempo stipulata con il Comune di Cave. Difettando atti di interversione idonei alla trasformazione del titolo d'uso delle parti comuni, da mera detenzione a possesso idoneo all'usucapione, ritiene il Tribunale che, anche da questo punto di vista, la domanda proposta dalla parte attrice non possa trovare accoglimento. Sotto distinto profilo si osserva che le richieste della parte attrice non potrebbero neppure trovare accoglimento avuto riguardo alla carenza di allegazione (e inidoneità delle conseguenti richieste istruttorie formulate) in ordine alle concrete modalità attraverso cui si sarebbe, in ipotesi, attuata l'usucapione, da parte del Consorzio, delle parti dei beni immobili interessate dalla domanda giudiziale. In ragione dell'esito del giudizio, tenuto conto della mancata costituzione delle parti convenute, non si provvede in ordine alle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando in ordine alla causa iscritta al R.G. n. 241/2022, così provvede: Rigetta la domanda proposta dalla parte attrice. Nulla sulle spese. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Tivoli il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Tivoli, nella persona della dott.ssa Giorgia Busoli, in funzione di Giudice del Lavoro, nella causa iscritta al n. 943 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell'anno 2019 Sezione Lavoro e vertente tra: (...), rappresentata e difesa dall'Avv. AN.PO. ricorrente e (...) COOPERATIVA SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, con gli Avv.ti PI.PO. e IL.PI. resistente all'esito dell'udienza di discussione della causa del 24/01/2023, ha emesso la seguente SENTENZA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 4.03.2019, ritualmente notificato, (...) ha esposto: - di aver lavorato per la (...) coop. sociale (collocata in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 19 luglio 2021, n. 231 pubblicato in gazzetta in data 17 agosto 2021), dapprima con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (dal mese di agosto 2003 al mese di febbraio 2005) e poi come socio lavoratore, in forza di contratto di lavoro subordinato ed inquadramento nel livello C1, fino al 31.12.2017, e, successivamente, C3 del CCNL Cooperative Sociali; - di aver sempre rivestito il ruolo di coordinatrice del servizio di assistenza domiciliare; - che, con lettera datata 9.8.2018, ricevuta in data 20.05.2018, la (...) coop. sociale le ha irrogato il licenziamento per giusta causa per i fatti contestatile con nota del 15.5.2018, consistiti nell'aver indetto, insieme ad altri soci lavoratori, una assemblea in "autoconvocazione", in seno alla quale i soggetti intervenuti avrebbero illegittimamente eletto un nuovo C.d.A. e da quel momento agito (abusivamente) in nome e per conto della cooperativa nei rapporti con gli altri soci lavoratori e con terzi, cagionando gravissimi danni alla cooperativa medesima; - di aver tempestivamente impugnato il licenziamento in via stragiudiziale con PEC del 7.09.2018; - di non aver percepito la retribuzione dei mesi di luglio e agosto 2018, il TFR e le ulteriori competenze di fine rapporto. Tanto premesso, la ricorrente ha dedotto, in primo luogo, l'illegittimità del recesso datoriale, all'uopo eccependo: a) la tardività del recesso rispetto alla data di comunicazione della lettera di contestazione disciplinare, ai sensi dell'art. 42 del CCNL; b) l'infondatezza e/o assenza di antigiuridicità dei fatti contestati, in quanto afferenti ad episodi rilevanti esclusivamente sotto il profilo societario e non integranti inadempienze lavorative; c) il carattere ritorsivo del recesso. Sulla base di tali deduzioni, la ricorrente ha chiesto a questo Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, di accertare l'inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del licenziamento intimatole, con conseguente condanna della società resistente a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella di effettiva reintegra, ovvero - in via subordinata - a versarle un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; in via ulteriormente gradata, ha chiesto la condanna della convenuta pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. In secondo luogo, la ricorrente ha rivendicato il proprio diritto ad ottenere il pagamento delle differenze retributive derivanti dallo svolgimento di mansioni riconducibili ad un livello di inquadramento superiore rispetto a quello contrattualizzato (D3), quantificate nell'importo complessivo di Euro 25.031,35, oltre all'indennità di mancato preavviso, al TFR ed all'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti. Con memoria del 4.12.2019, si è costituita in giudizio la (...) Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, la convenuta ha eccepito: a) l'intervenuta decadenza dall'azione per mancata impugnazione stragiudiziale del licenziamento; c) l'omessa impugnazione della delibera di esclusione dalla cooperativa, con conseguente impossibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro; d) l'infondatezza nel merito del ricorso in considerazione della legittimità del licenziamento e della correttezza dell'inquadramento attribuito alla lavoratrice; e) l'intervenuta prescrizione dei crediti azionati. Nelle more del giudizio, la (...) Coop. Sociale è stata collocata in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 19 luglio 2021, n. 231 del 2021 (pubblicato in gazzetta in data 17 agosto 2021): pertanto, con memoria del 22.11.2021, la stessa si è costituita in giudizio nella persona del liquidatore dott. (...). Istruita mediante l'escussione di testimoni e l'acquisizione di documenti, la causa, previa concessione di termine intermedio per note finali, è stata discussa e decisa all'udienza del 24.01.2023, nei termini di cui al dispositivo riportato in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato. In primo luogo, occorre rilevare l'infondatezza dell'eccezione, sollevata dalla convenuta, di intervenuta decadenza dall'azione ai sensi dell'art. 6 L. n. 604 del 1966, in conseguenza dell'asserita mancanza di un valido atto di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, essendo tale impugnativa avvenuta mediante una comunicazione PEC priva della sottoscrizione digitale della lavoratrice. Nel caso di specie, in effetti, l'odierna ricorrente ha manifestato la propria volontà di impugnare il licenziamento con una lettera cartacea dalla medesima sottoscritta, successivamente scansionata in formato "pdf" ed inviata alla società resistente, tramite il proprio difensore, in allegato ad un messaggio di posta elettronica certificata. Al riguardo, giova osservare come, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento non richieda formule particolari, essendo a tal fine sufficiente qualsiasi atto scritto idoneo a manifestare al datore di lavoro la volontà di contestare la legittimità del licenziamento. Proprio con riferimento alla "comunicazione a mezzo pec, inviata dall'odierno difensore del lavoratore ed avente in allegato un file formato pdf contenente la scansione della nota di impugnazione del licenziamento sottoscritto unitamente dall'Avvocato", la Suprema Corte ha affermato la correttezza della sentenza di appello, laddove aveva ritenuto che "l'allegato di posta elettronica costituisse la rappresentazione di un documento preesistente, formalmente sottoscritto dal lavoratore unitamente all'avvocato che, munito di procura, ne aveva in seguito curato l'inoltro al datore di lavoro" (Cass. n. 10883 del 2021). Respinta quindi l'eccezione di decadenza dall'azione sollevata dalla resistente, occorre ora richiamare, per quanto concerne l'omessa impugnazione, da parte della (...), della delibera di esclusione del 28.04.2018, il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 27436 del 2017), secondo cui "In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d'impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall'omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria". Secondo tale consolidato orientamento, l'automatica caducazione del rapporto di lavoro alla cessazione del rapporto associativo, prevista dall'art. 5, comma 2, L. n. 142 del 2001, impedisce, in mancanza di impugnazione della delibera che l'abbia causata, di ottenere il ripristino della propria qualità di lavoratore, potendo la ricostituzione, tanto del rapporto societario quanto di quello lavorativo, derivare solo dal propedeutico annullamento della delibera di esclusione. In applicazione di tali principi, la domanda di condanna della convenuta alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro non può trovare accoglimento. Peraltro, la stessa giurisprudenza ha chiarito come ad essere preclusa, in conseguenza dell'omessa impugnazione della delibera di esclusione dalla compagine sociale, sia la sola tutela reale, non escludendo gli effetti "caducativi" della cessazione del rapporto associativo la potenziale illegittimità del licenziamento, con conseguente applicabilità della tutela risarcitoria. Passando dunque, a tal fine, all'esame delle censure riguardanti la legittimità del recesso, deve preliminarmente osservarsi come la ricorrente non abbia negato di aver commesso i fatti alla medesima addebitati, limitandosi ad affermare che gli stessi non assumerebbero rilievo disciplinare in quanto attinenti al rapporto societario e non a quello di lavoro. E' pertanto pacifico che la ricorrente abbia posto in essere le condotte alla medesima contestate, consistite nell'aver indetto, insieme ad altri soci, una assemblea in autoconvocazione all'esito della quale veniva eletto, con Delib. del 18 aprile 2018, un nuovo C.d.A., il quale, da quel momento, ha agito in nome e per conto della cooperativa, comunicando alla Camera di Commercio la delibera adottata dall'assemblea autoconvocata, impossessandosi delle password aziendali sostituendo la serratura degli uffici aziendali, con conseguente blocco dei pagamenti degli stipendi dei lavoratori e degli affidi bancari, nonché impossibilità per i dipendenti di accedere ai locali aziendali. Oltre ad essere pacifica, la sussistenza di tali condotte risulta essere stata accertata sia dal Tribunale delle Imprese di Roma - il quale, con ordinanza in data 1.08.2018, ha sospeso l'efficacia della Delib. del 18 aprile 2018 (doc. 7 fascicolo di parte resistente) - sia dal lodo arbitrale del 3.08.2018 - il quale, annullando la predetta delibera, ha rimosso il C.d.A. abusivo in favore di quello legittimo (doc. 8 fascicolo di parte resistente). Orbene, tali condotte, come condivisibilmente affermato da questo Tribunale nella sentenza che ha definito il giudizio di impugnativa del licenziamento instaurato da un'altra socia esclusa dalla cooperativa per gli stessi fatti contestati all'odierna ricorrente (sent. 357/22 RG. 938/19), "presentano elementi di disvalore che interessano sia il piano societario/associativo sia il rapporto lavorativo, peraltro profili strettamente collegati nell'ambito delle cooperative sociali. Infatti, il perseguimento dello scopo mutualistico di tali compagini si realizza affiancando al patto associativo il rapporto di lavoro. In questi termini, la prestazione di lavoro resa dal socio è finalizzata al perseguimento dello scopo comune. Dunque, l'ingresso in cooperativa fa sorgere il rapporto sociale che è integrato da una prestazione di lavoro, strumentale rispetto al primo e destinataa realizzare gli obiettivi mutualistici. Ebbene, la condotta di un socio lavoratore che convochi illegittimamente un'assemblea sociale all'esito della quale venga rimosso il consiglio di amministrazione nominandone uno nuovo che inizi ad agire in nome e per conto della cooperativa adottando delle iniziative volte ad escludere altri soci e che determinino danni sia alla società sia ad altri dipendenti (come il blocco degli affidi bancari e del pagamento degli stipendi) non ha una rilevanza confinata esclusivamente al piano del rapporto associativo. Essa si ripercuote sicuramente, in termini negativi, anche sul rapporto di lavoro. Infatti, tali condotte costituiscono una grave violazione degli obblighi di fedeltà che ogni lavoratore è tenuto a rispettare". Nel caso di specie, è evidente come la ricorrente abbia violato gli obblighi predetti, avendo agito in danno della compagine sociale datrice di lavoro e di altri dipendenti della medesima, ponendo in essere condotte talmente gravi da determinare una irreversibile lesione del vincolo fiduciario e da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto di lavoro. Essendo pertanto pienamente ravvisabili, in relazione al licenziamento intimato alla ricorrente, gli estremi della giusta causa, del tutto infondata deve ritenersi la censura relativa al carattere ritorsivo del recesso datoriale. Quanto all'eccezione di tardività della comunicazione del licenziamento, si osserva quanto segue. Come sopra osservato, la ricorrente ha sollevato detta eccezione deducendo la violazione, da parte della cooperativa convenuta, della previsione di cui all'art.42 del CCNL applicabile, nonché, comunque, del principio di immediatezza della contestazione dell'addebito, violazioni che avrebbe determinato nella lavoratrice un legittimo affidamento in ordine alla tolleranza, da parte del datore di lavoro, dei fatti contestati. L'eccezione è infondata. In primo luogo, occorre osservare come l'art. 42 cit., ai sensi del quale "se il provvedimento non verrà comunicato entro i 10 giorni successivi a quello della presentazione delle giustificazioni, le stesse si riterranno accolte", non preveda alcuna decadenza dal potere sanzionatorio del datore di lavoro, limitandosi a prescrivere che la mancata adozione del provvedimento disciplinare entro il termine di 10 giorni dalla presentazione delle giustificazioni del lavoratore faccia presumere l'accoglimento delle stesse giustificazioni. Nel caso di specie, nessuna giustificazione risulta essere stata presentata dalla ricorrente a seguito della ricezione della lettera di contestazione disciplinare: ne consegue l'inapplicabilità della disposizione suddetta alla fattispecie in esame. Quanto alla dedotta violazione del principio di immediatezza della contestazione rispetto al verificarsi del fatto addebitato, giova osservare come la lettera di contestazione disciplinare sia stata pervenuta alla ricorrente in data 15.5.2018 e come i fatti ivi addebitati si riferiscano a condotte iniziate in data 18.04.2018 (data della delibera di nomina del nuovo C.d.A.) e protrattesi nei mesi successivi, sino alla registrazione di detta delibera presso la Camera di Commercio il 9.5.2018. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che il principio di tempestività riguarda il momento di "conoscenza" e non quello di mera "notizia" che il datore di lavoro abbia avuto di un fatto potenzialmente foriero di sanzione disciplinare, destinata a divenire "conoscenza" solo dopo i dovuti riscontri istruttori. Di conseguenza, "il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito deve essere inteso in senso relativo. E infatti, esso risulta in concreto compatibile anche con un intervallo di tempo più o meno lungo, allorché l'accertamento e la valutazione dei fatti sia laborioso e richieda uno spazio temporale maggiore" (Cass. n. 21203 del 17.9.2013). Nella fattispecie in esame, in considerazione della complessa situazione scaturita dalle intricate vicende societarie sopra descritte, il lasso di tempo intercorso tra la data di verificazione dei fatti contestati e la comunicazione dell'addebito deve ritenersi del tutto ragionevole. Allo stesso modo, non può addebitarsi alla parte resistente alcun colpevole ritardo in relazione al periodo di tempo intercorso tra la data di comunicazione della lettera di contestazione disciplinare e la notificazione del provvedimento espulsivo (datato 9.8.2018 e recapitato in data 20.8.2018), essendo stato il C.d.A. "legittimo" ripristinato soltanto dopo la pronuncia del lodo arbitrale del 3.8.2018. Infine, per quanto concerne la domanda di condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione dell'invocato diritto ad un inquadramento superiore (oltre che per l'asserita omessa corresponsione delle ultime due mensilità di retribuzione e delle competenze di fine rapporto), la stessa deve essere dichiarata improcedibile. Come sopra osservato, infatti, nelle more del presente giudizio la Cooperativa convenuta è stata collocata in liquidazione coatta amministrativa, procedura che determina, per un verso, la perdita della capacità (anche) processuale degli organi societari e, per altro verso, la temporanea improcedibilità - fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti agli organi della procedura ai sensi degli art. 201 e ss. L.F. - della domanda azionata in sede di cognizione ordinaria. Al riguardo, la Cassazione ha costantemente affermato come, in virtù del richiamo operato dalla disposizione citata alle disposizioni del titolo I, capo III, sezione II ed in particolare in considerazione del disposto dell'art. 51 L.F., qualsiasi credito nei confronti di un'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa debba essere fatto valere in sede concorsuale nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore ai sensi dell'art. 209 L.F., potendone il giudice conoscerne solo in sede di opposizione od impugnazione ex art. 98 e 99 L.F. dello stato passivo, sicché risulta improponibile o, se proposta, diventa improcedibile, stante l'inderogabilità delle norme poste a tutela della par condicio creditorum, qualsiasi domanda di cognizione ordinaria che venga formulata in una diversa sede, diretta ad ottenere una condanna pecuniaria, benché accompagnata da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale. (cfr. ex plurimis, Corte di Cassazione, Sez. III civ., 20 marzo 2017 n. 7037). In definitiva, le uniche azioni che possono essere proposte o proseguite davanti al giudice del lavoro nei confronti di un'impresa in LCA sono quelle dirette ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, per le quali la possibilità di insinuazione allo stato passivo dei relativi crediti risarcitori è che ne siano stati determinati l'an e il quantum (cfr. Cass. 19 giugno 2017, n. 15066). Le spese di lite seguono la soccombenza, come di norma, e vengono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore e della natura della causa. Queste le motivazioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. RIGETTA la domanda di accertamento dell'inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del licenziamento irrogato alla ricorrente; DICHIARA improcedibile la domanda di condanna della parte resistente alle differenze retributive asseritamente maturate dalla ricorrente in ragione del dedotto svolgimento di mansioni riconducibili ad un superiore inquadramento contrattuale; CONDANNA parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore di parte resistente, liquidate in complessivi Euro 4.629,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; FISSA in sessanta giorni il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Tivoli il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott.ssa Roberta Mariscotti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. 1635/2022 pendente tra (...), (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. DI.FR. Ricorrente E (...) SRL, (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. RU.SI. e l'AVV. MA.SP. Resistente RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 414 c.p.c. la ricorrente ha dedotto quanto segue: di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l. con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 2.8.2021 al 2.12.2021, data in cui era stata illegittimamente licenziata per mancato superamento del periodo di prova, con qualifica di "Operatore di vendita/Responsabile commerciale", livello I del CCNL Commercio Terziario Viaggiatori Piazzisti; che il rapporto di lavoro suddetto trovava la sua fonte e la sua causa in un più ampio accordo commerciale che ha coinvolto la odierna resistente e la sig.ra (...) ed in particolare: la ricorrente era legale rappresentante della società (...) s.r.l.s., (operante nel settore della distribuzione di detergenti e materiale monouso per attività commerciali, industriali e sanitarie sin dalla sua costituzione nel 2017); che il successo dell'azienda, divenuta in breve tempo una realtà consolidata nel settore della distribuzione di detergenti nell'ambito del territorio laziale faceva sì che nel dicembre 2019 la ricorrente ricevesse da parte della (...) s.r.l. in concorrenza anche con la società la (...) s.r.l., anch'essa società di distribuzione per la pulizia professionale, una manifestazione di interesse per l'acquisizione della società (...) s.r.l.s.; che per l'attuazione del progetto commerciale sopra descritto, sempre nella lettera di intenti veniva stabilito che "Le società "(...) S.R.L." e "(...) S.R.L.S.", in persona dei rispettivi legali rappresentanti sigg.re (...) e (...), si impegnano a vendere alla società "(...) S.R.L.", che si impegna ad acquistare, esclusivamente il portafoglio clienti delle rispettive società con trasferimento di tutti i rapporti commerciali ad essi collegati. Le medesime si impegnano inoltre alla cessione del magazzino esistente"; che a fronte delle cessioni, le parti stabilivano che le signore (...) e C. avrebbero, come di fatto hanno, sottoscritto con la (...) un contratto di lavoro dipendente avente una durata che in ogni caso non avrebbe potuto essere inferiore ad anni cinque; che la ricorrente, pertanto, è stata assunta alle dipendenze della (...) a far data dal 2.8.2021 presso la sede operativa di Monterotondo (RM), con qualifica di "Operatore di vendita/Responsabile commerciale", benché dalle buste paga emerga come data di assunzione l'1.9.2021 ed alla sig.ra (...) non sia stata ad oggi corrisposta la retribuzione del mese di agosto 2021; che l'orario di lavoro seguito dalla ricorrente è stato, per tutto il periodo dal 2.8.2021 sino alla cessazione, dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 20.00; che nell'ambito degli accordi con l'odierna resistente, la ricorrente ha fatto transitare dalla (...) alla (...) i propri agenti oltre ad un tecnico e ad una addetta alla segreteria, al fine di consentire loro la conservazione del posto di lavoro anche successivamente alla cessione dell'attività (gli agenti (...), (...), (...), e (...), il tecnico (...) e la segretaria (...)); che malgrado la resistente in sede precontrattuale dichiarasse di voler rinunciare al periodo di prova in considerazione dell'esperienza della ricorrente la resistente lo inseriva comunque nel contratto; che la ricorrente per tutto il periodo ha svolto le seguenti mansioni: - ricevere telefonate dai clienti; - andare a Monterotondo nel magazzino ogni giorno per cercare materiale da consegnare ai clienti (materiale che non si trovava poiché il magazzino non aveva luce e la merce veniva accatastata senza nessun ordine o criterio); - andare ad effettuare le consegne di materiale in tutta Roma anche dopo le ore 19.00, ogni giorno, perché nessun addetto (...) provvedeva alla consegna degli ordini della ricorrente e dei suoi collaboratori; effettuare gli ordini di materiale presso i fornitori perché nessuno si preoccupava di effettuarli; che la ricorrente trovava presso la società una situazione di totale disorganizzazione con continue lamentele dei clienti che la stessa provava ad arginare con la conseguenza che le mansioni dalla stessa svolte sono state ben diverse da quelle di Responsabile commerciale; che la (...) ha provveduto a corrispondere alla ricorrente solo la somma di Euro 80.000,00 pattuita a titolo di acconto per la cessione, dovendo saldare, tuttavia, il residuo di Euro 137.841,01; che nonostante le numerose richieste della signora (...), la (...) restava inadempiente con la conseguenza che diveniva fonte di un progressivo inasprimento dei rapporti dei referenti (...); che in data 30.11.2021, la sig.ra (...), non riuscendo ad accedere al portale (...) per svolgere le consuete mansioni, inoltrava una e-mail alla Società chiedendo ragguagli sulle problematiche di accesso riscontrate e sulla propria posizione lavorativa, non essendo più messa nelle condizioni di poter svolgere il lavoro e che in data 2.12.21, la (...) inviava alla ricorrente una missiva del seguente tenore: "Gentile Sig.ra (...), facciamo seguito alla sua del 30.11.2021, la quale ci lascia alquanto stupiti, vista ns. precedente del 23.11.2021 con la quale le comunicavamo l'interruzione del rapporto di lavoro per non superamento periodo di prova con decorrenza immediata al ricevimento della suddetta comunicazione; comunicazione che ci risulta Lei abbia preso visione in data 23.11.2021, poiché anticipata a mezzo WhatsApp al suo numero privato e successivamente inviataLe amezzo raccomandata presso il suo domicilio, che il rapporto di lavoro intercorrente tra le parti è stato interrotto in data 23.11.2021. Alla luce di quanto sopra la ricorrente ha rassegnato le seguenti conclusioni: "In via principale, accertare e dichiarare il licenziamento intimato alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore, a reintegrare la ricorrente nel ruolo ricoperto all'atto del licenziamento e a corrisponderle l'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione e comunque non inferiore a cinque mensilità; condannare, altresì, per il medesimo periodo la resistente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In via subordinata, accertare e dichiarare il licenziamento intimato alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore, a reintegrare la ricorrente nel ruolo ricoperto all'atto del licenziamento e a corrisponderle l'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, nella misura massima di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto come per legge; condannare, altresì, per il medesimo periodo la resistente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In via ulteriormente subordinata, accertare e dichiarare il licenziamento intimato alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore a risarcire la ricorrente nella misura di Euro 238.778,90 lordi costituita dalla somma di Euro 133.778,90 lordi, parametrati alla retribuzione annua lorda di Euro 26.757,78 per cinque annualità come da contratto, oltre al 3% del fatturato calcolato come indicato in atti in Euro 21.000,00 annui per cinque annualità pari ad Euro 105.000,00 o in quella diversa somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Ancora in via subordinata, accertare e dichiarare il licenziamento intimato in data 2.12.2021 alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore a corrispondere alla sig.ra (...) l'indennità risarcitoria di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015, nella misura massima di mensilità, avuto riguardo all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR o nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia. Il tutto e in ogni caso con rivalutazione monetaria e interessi legali dalla maturazione del credito al soddisfo. Con vittoria di spese competenze ed onorari di giudizio". Si è costituita in giudizio la resistente chiedendo il rigetto dell'avverso ricorso e deducendo in particolare: che proprio in ragione di quanto risultava in ordine alle precedenti esperienze lavorative della ricorrente, nel contratto di lavoro tra le parti, e dalle stesse sottoscritto, veniva previsto il patto di prova, funzionale a saggiare sul campo le capacità e le attitudini professionali di (...), da valutarsi anche una volta che la stessa, che manifestava nelle sue precedenti esperienze una forte discontinuità lavorativa, fosse inserita come dipendente nell'organigramma complesso di una società strutturata e articolata come (...) S.r.l.; che il rapporto di lavoro tra la ricorrente e la società (...) S.r.l. non si è protratto dal 02.08.2021 al 02.12.2021 ma dal 01.09.2021 e si è concluso il 23.11.2021, per effetto del mancato superamento del periodo di prova da parte della lavoratrice; che la predetta data di inizio risulterebbe dalla "comunicazione obbligatoria unificato Lav." Protocollo (...) trasmessa il 30/08/2021 15:30:32; che la ricorrente aveva espressamente richiesto alla società di iniziare il rapporto solo a far data dal mese di settembre 2021, essendo nel mese di agosto 2021 ancora impegnata nell'attività della propria società (...) S.r.l.s. di cui era - ed è - legale rappresentante; che l'aggiunta a penna nell'appendice lettera di intenti ("non applicare periodo di prova"), prodotta dalla ricorrente sarebbe stata apposta successivamente da quest'ultima e non corrisponde ad una clausola condivisa e accettata dalla società: quest'ultima infatti aveva trasmesso alla (...) l'appendice già sottoscritta senza l'aggiunta a penna, affinché anche la ricorrente provvedesse alla sottoscrizione; che l'attività lavorativa della ricorrente non veniva svolta diligentemente in quanto accanto ad iniziative unilaterali e improvvide (come quella di procedere senza autorizzazione all'acquisto di beni dagli ex fornitori (...), esponendo la società a costi maggiori rispetto a quelli normalmente da quest'ultima ottenuti sul mercato di suo riferimento), si aggiungeva una totale e assoluta indifferenza verso le procedure aziendali, che si rifiutava di osservare e di seguire, e un atteggiamento di derisione, se non di vero e proprio astio, verso il personale (...), che veniva inviato in loco per arginare ed ovviare alle intemperanze caratteriali e alle iniziative estemporanee della dipendente; che le intemperanze della ricorrente sono sfociate in attacchi personali e in vere e proprie scenate verso i colleghi, che hanno finito per esacerbare il clima lavorativo; che, pertanto, il mancato superamento del periodo di prova è stato determinato dalle motivazioni di cui sopra. Ha chiesto, quindi, il rigetto del ricorso. Nel corso del giudizio venivano assunte prove testimoniali. All'esito dello scambio di note ex art. 127 ter c.p.c. la causa è stata così decisa con la presente sentenza. In via preliminare, va affrontata la questione dell'apposizione del patto di prova l contratto intercorso tra le parti e, in particolare, la sua decorrenza e validità. In relazione alla causa del patto di prova, la giurisprudenza della Suprema Corte è oramai consolidata nel senso di ritenere che essa vada individuata nella tutela dell'interesse, comune alle parti, ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le attitudini e le capacità del lavoratore, e verificando quest'ultimo l'entità della prestazione richiestagli, le condizioni di svolgimento del rapporto e, in senso più ampio, la convenienza del vincolo contrattuale (fra le tante, oltre alla sentenza in commento, cfr. Cass. 7 dicembre 1998, n. 12379; Cass. 22 marzo 2000, n. 3541; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22637; Cass. 29 luglio 2005, n. 15960; Cass. 8 gennaio 2008, n. 138; Cass. 23 giugno-30 luglio 2009, n. 17767; Cass. 22 aprile 2015, n. 8237; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22286; Cass. 9 marzo 2016, n. 4635; Cass. 11 luglio 2018, n. 18268; Cass. 6 novembre 2018, n. 28252). La Suprema Corte afferma, altresì, che "la forma scritta necessaria, a norma dell'art. 2096 cod. civ., per il patto di assunzione in prova è richiesta "ad substantiam", e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall'inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola verbalmente pattuita mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la nullità del patto di prova sottoscritto dal dipendente a distanza di alcuni giorni dall'assunzione)" (Cass. 21758/2010). La ricorrente sostiene che l'apposizione del patto di prova sarebbe stata esclusa dalle parti in ragione del più ampio e complesso accordo commerciale (non limitato alla mera instaurazione del rapporto di lavoro di cui è causa) e ne documenta l'eliminazione producendo in giudizio l'appendice alla lettera di intenti siglata tra le parti la quale, a suo dire, paleserebbe l'ufficialità di tale esclusione. A bene vedere, però, l'aggiunta a penna nella lettera di intenti recante la dicitura "non applicare periodo di prova" è priva di valore giuridico in quanto non se ne può escludere l'inserimento unilaterale da parte della ricorrente. Contrariamente a quanto sostenuto dalla (...), peraltro, i documenti facenti parte del fascicolo di ufficio evidenziano che il periodo di prova era stato contrattualizzato e messo per iscritto con la conseguenza che, anche a livello formale/contenutistico, nessuna censura può essere mossa alla detta apposizione. Parimenti a nulla rilevano le qualifiche e competenze della (...) acquisite nell'ambito della pluriennale esperienza lavorativa in (...). Ora, se senz'altro è vero che la ricorrente avesse alle spalle una grande competenza nel settore merceologico della resistente e che tale aspetto fosse noto a quest'ultima, altrettanto vero è che ciò non è sufficiente a comportare la nullità del patto di prova per assenza di causa. Ed infatti, per giurisprudenza unanime il patto di prova mira ad accertare non solo la capacità tecnica ma anche la personalità del lavoratore e, in genere, l'idoneità dello stesso ad adempiere gli obblighi di fedeltà, diligenza e correttezza (per tutte, Cass., n. 26679/2018). La funzione del patto di prova sta nel consentire alla parte datoriale di sondare non soltanto l'idoneità del lavoratore dal punto di vista tecnico, ma più in generale la sua compatibilità con l'ambiente lavorativo. La prova, infatti, serve a verificare non solo la capacità nello svolgimento delle mansioni, ma anche il gradimento da parte del datore di lavoro, che può basarsi, legittimamente, anche su altri elementi quali il comportamento, il positivo inserimento nell'organizzazione aziendale, il rapporto con gli altri dipendenti. Appare evidente che la resistente, pur conoscendo la conclamata esperienza settoriale della (...), ben avrebbe potuto ritenere - come del resto ha fatto -di dover valutare la capacità di adattamento della stessa a politiche aziendali diverse da quelle condotte sino a quel momento. L'apposizione del patto, quindi, risultava funzionale alla valutazione della reciproca convenienza del rapporto atteso che precedentemente, nonostante l'esperienza pluriennale della (...), non era intercorso un rapporto lavorativo tra le stesse parti (Cass., 24 luglio 1990, n. 7493). Alla luce di quanto sopra, l'apposizione del patto di prova deve considerarsi senz'altro legittima e le doglianze sul punto della ricorrente non possono trovare accoglimento. Considerazioni diverse vanno svolte in ordine al termine iniziale di decorrenza del rapporto di lavoro con i conseguenti effetti sul superamento del periodo di prova previsto nel contratto di assunzione. Orbene, la ricorrente sostiene che il rapporto di lavoro aveva avuto inizio il 02/08/2021 mentre la resistente sostiene che, sebbene queste fossero le reali intenzioni delle parti in un momento iniziale, l'attività della (...) si sarebbe effettivamente estrinsecata a solo a far data dal 01.09.2021. La determinazione del momento di inizio dell'attività risulta dirimente, non solo in relazione alla mancata retribuzione della ricorrente nel mese di agosto 2021 ma altresì al fine di valutare la legittimità del licenziamento intimatole. Ed infatti, secondo l'art. 2096 c.c., in caso di "assunzione in prova", il datore di lavoro ed il prestatore "sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova" (comma 2); "durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità", salvo che la prova non sia stata stabilita per un tempo minimo necessario (comma 3); "compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva" (comma 4). La disciplina è integrata dall'art. 10 della L. 15 luglio 1966, n. 604, che prevede l'applicabilità della normativa limitativa dei licenziamenti ai lavoratori in prova la cui assunzione sia divenuta definitiva e, comunque, decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro Ora, non può non conferirsi un pregnante valore probatorio al contratto di lavoro depositato da entrambe le parti ed in forza del quale la data di inizio del rapporto di lavoro veniva individuata al 02.08.2021. Di contro, non vi è agli atti nessuna documentazione sopravvenuta che manifesti per tabulas la volontà concordata di spostare in avanti il termine iniziale del rapporto di lavoro a nulla rilevando in tale direzione, la mera comunicazione Unilav depositata dalla convenuta in quanto trattasi di documento la cui provenienza è chiaramente unilaterale e il cui contenuto, nel caso in esame, non è suffragato da sufficienti ulteriori elementi probatori come verrà esposto di seguito. Al riguardo la Corte di Cassazione ha affermato come il valore da attribuire al modello UNILAV sia "di mero indizio, valutato come tale nell'ambito dei poteri di libero apprezzamento attribuiti al giudice ed in tal senso va pure ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. n. 11898 del 18/06/2020; Cass. n. 29316 del 2008) la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio" ( cfr. Cass.4253/2022). Né la mancata corresponsione della retribuzione per il mese di agosto, che anzi viene rivendicata dalla parte ricorrente ovvero la fatturazione da parte della (...) relativa a ordinativi di clienti passati alla resistente, possono assumere rilevanza al fine di retrodatare l'assunzione potendo rilevare, piuttosto, per fondare richieste di pagamento o restitutorie tra le parti in separati giudizi (la ricorrente, infatti, lamenta di non aver ricevuto la retribuzione prevista e la resistente in separato giudizio ha chiesto indietro le somme fatturate nel mese di agosto da (...)). Quanto sostenuto dalla resistente, peraltro, non ha trovato un chiaro conforto nelle dichiarazioni rese dai testimoni escussi. Ed infatti, il teste di parte ricorrente (...) ha evidenziato che "Ho lavorato per la resistente ufficialmente da settembre 2021 ma già da agosto eravamoli avendo fatto già il passaggio di alcuni clienti". L'altro teste di parte ricorrente Sig. C.C. ha dichiarato che "Prima di agosto lavoravo con (...). Poi sono stati venduti tutti i clienti ad (...) e quindi avendo fatto il passaggio il fatturato iniziava con ica da metà agosto. Lei è venuta a fine luglio dicendomi che ci dovevamo trasferire e io ho detto aspetta un attimo perché lasciamo i clienti senza merce. Poi sono tornato il 27 agosto e giàstavano facendo il trasferimento presso (...) system. Già mi era stato detto che ci dovevamo trasferire. Dopo che è stato fatto il passaggio svolgeva sempre le medesime attività di prima". Il teste di parte resistente A.P. ha invece asserito che "La ricorrente nel mese di agosto doveva preparare lo spostamento di azienda. Non abbiamo mai avuti rapporti lavorativi prima di settembre". Infine, la teste (...) ha chiarito che "il contratto della (...) risale a settembre ma c'è stato un invio ad agosto perché avrebbe dovuto iniziare ad agosto ma poi lei ci ha chiamato dicendo che non poteva tanto è vero che lei ha fatturato fino al 31 agosto con ds clean. Quelle di agosto erano esclusivamente bozze ed il contratto è partito ufficialmente a settembre. Lo spostamento di magazzino è avvenuto per motivi logistici a fine agosto e lei ha iniziato dal 1 settembre e la ricorrente prelevava della merce e bollettava ai suoi clienti (...) IL DDT di (...) è stata fatta fino al 31/08/ ma poiché la merce era ufficialmente ancora di ds clean ma "ica" abbiamo fatto delle fatture in compensazione a (...) per pareggiare le partite. Fino al 31 agosto fatturava (...) e successivamente (...)". Ebbene, dall'esame complessivo della vicenda e da un raffronto tra la documentazione e le dichiarazioni testimoniali, non emergono motivi validi per sconfessare la data di inizio del rapporto di lavoro così come contrattualizzato tra le parti. Tutti i testimoni hanno confermato lo svolgimento di attività lavorativa da parte della (...) per la resistente poco rilevando la circostanza che i testimoni di parte resistente ritenessero che la stessa fosse compiuta ancora e solo quale titolare della (...) o che si trattasse di attività meramente preparatoria a quella "contratuallizzata" da iniziare a settembre. Non v'è dubbio, infatti, che la ricorrente abbia espletato attività effettiva in favore della resistente e che il mese di agosto fosse espressamene previsto quale mese lavorativo dal contratto. Non può non evidenziarsi come la preparazione ed il trasferimento della merce nel mese di agosto fosse certamente sintomo dell'instaurazione del rapporto di lavoro. Ed allora, facendo decorrere il rapporto di lavoro dalla data formalizzata del 02.08.2021, al momento del licenziamento era ormai spirato il termine utile per far valere il mancato superamento del periodo di prova ovvero i 60 giorni previsti dal contratto e dal c.c.n.l. Non può non rilevarsi come seppure non si tratti propriamente, di un' ipotesi di nullità genetica del patto accidentale contenuto nel contratto individuale di lavoro, come può essere il caso della mancata stipula del patto di prova per iscritto in epoca anteriore o almeno contestuale all'inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 25 del 1995; Cass. n. 5591 del 2001; Cass. n. 21758 del 2010) oppure il caso della mancata specificazione delle mansioni da espletarsi (per tutte Cass. n. 17045 del 2005, richiamata dalla Corte territoriale), tuttavia il licenziamento si sia fondato solo ed elusivamente sulla sussistenza di un patto non più in essere con conseguente applicazione delle medesime conseguenze applicabili alle ipotesi appena rappresentate. In tutti questi casi in cui il patto di prova non è validamente apposto nonché nell'ipotes di patto non più in vigore, la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova è inidonea a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e non si sottrae alla disciplina limitativa dei licenziamenti (Cass. n. 16214 del 2016; Cass. n. 17921 del 2016). Considerato, quindi, che il licenziamento è intervenuto quando oramai era spirato il termine per far valere il periodo di prova, lo stesso si fondava sull'erroneo presupposto della validità della relativa clausola- o meglio sull' errata supposizione della persistenza del periodo di prova in realtà già venuto a scadenza- integrando un ordinario licenziamento soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o giustificato motivo di recesso in quanto fattispecie non certamente sovrapponibile ad una ipotesi di recesso intimato in regime di lavoro in prova per essere legittima la clausola recante il patto di prova. Seppure, infatti, il patto di prova era stato validamente apposto, il licenziamento intimato una volta che questo era ormai scaduto non poteva certamente riferirsi ad una mancata corretta esecuzione del medesimo, ovvero configurare un inadempimento al patto che era stato correttamente "eseguito" tra le parti (cfr. Cass. 31159/2018) Peraltro, non nuoce ricordare che è nullo anche il patto di prova che preveda la propria estensione per un periodo superiore a quelli previsti dal Ccnl di riferimento o al quale vengano applicate condizioni di carattere temporale che non siano state approvate da entrambe le parti coinvolte (Suprema Corte, Sent. n. 16806 del 29 luglio 2011). Quanto alle conseguenze già accennate sopra, la Suprema Corte ha precisato come il licenziamento intimato sull'erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità per essere già avvenuta con esito positivo la sperimentazione del rapporto tra le parti, non è sottratto all'applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, sicché la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro è quella prevista dall'art. 18 st. lav. ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l'insussistenza del requisito dimensionale, ovvero quella riconosciuta dalla L. n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per l'applicabilità della tutela reale (cfr. Cass. 17921/2016(cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. lavoro, sentenze. n. 17358 del 3 luglio 2018; n. 16214 del 3 agosto 2016; n. 5811 del 26 maggio 1995)). Al momento del licenziamento della ricorrente, inoltre, lo stesso era sorretto soltanto dalla sussistenza del regime di "libera recedibilità" tipico del periodo di prova. Non rilevano, quindi, le doglianze della resistente inerenti ai comportamenti tenuti dalla (...) in forza dei quali la stessa non si sarebbe conformata alle politiche aziendali della (...), seppur a suo dire, dalla prima conosciute. Le dette doglianze, in astratto idonee a giustificare l'adozione di un procedimento disciplinare, non possono produrre l'effetto di sanare il licenziamento comminato che non è stato fondato, all'epoca, su una contestazione specifica relativa alle condotte della ricorrente e non ha seguito l'iter previsto per il caso di licenziamento disciplinare. Quanto alla tutela, visto il requisito dimensionale della resistente, non può che applicarsi l'art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 2015 che stabilisce "1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all'articolo 2, comma 3". L'ipotesi in esame, in particolare, è riconducibile al comma 2 atteso che, seppure non si sta analizzando "propriamente" la sussistenza di un fatto oggetto di contestazione disciplinare ( nella sua duplice componente di sussistenza materiale e antigiuridicità) la circostanza che il rapporto era già in corso tra le parti ha reso il patto nullo in radice impedendo di configurare qualsivoglia "fatto" determinante il licenziamento. Ne consegue che la resistente deve essere condannata alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro nonché al pagamento in suo favore di una somma pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto evincibile dalle buste paga e quantificabile in Euro 2.229,50 (pari alla retribuzione Euro 1.911,27 per 14 mensilità), dedotto l'eventuale l'aliunde perceptum oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo. Può altresì accogliersi la domanda di regolarizzazione contributiva quale effetto automatico previsto dalla legge. Le ulteriori domande proposte in via subordinata restano assorbite stante l'accoglimento della domanda principale. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria eccezione e deduzione così provvede: annulla il licenziamento intimato alla ricorrente e per l'effetto ordina alla resistente di reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro alle medesime condizioni economiche di cui al contratto sottoscritto; condanna la resistente al pagamento, in favore della ricorrente, di indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione utile ai fini del dell'ultima calcolo del trattamento di fine rapporto pari ad Euro 2.229,50 con interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo, oltre ai contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo; condanna la resistente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla ricorrente, liquidate in Euro 4.629,00 per compensi, oltre al rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Tivoli l'1 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI in persona del Giudice dott. Marco Piovano, all'esito della camera di consiglio ha pronunciato, dandone lettura ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 20.2.2023, la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. R.G. 4946/2021, promossa da: (...) - C.F. (...), (...) - C.F. (...), rappresentati e difesi, per procura posta in allegato all'atto di citazione ritualmente notificato, dall'avv. Au.Co. e dall'avv. Ad.Ri. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dei suoi difensori in Guidonia, largo (...), ATTORI, nei confronti di CONDOMINIO DI VIA (...) n. 6 - GUIDONIA, in persona dell'amministratore sig. Ce.Ca., rappresentato e difeso dall'avv. Ga.De. per procura posta in allegato alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore in Roma, via (...), CONVENUTO, avente ad oggetto: impugnazione delibera assembleare. Conclusioni della parte attrice: come da verbale e da atti. FATTO E DIRITTO Premesso: che con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...), condomini, hanno promosso il presente giudizio nei confronti del Condominio di via (...) n. 6 - Guidonia, chiedendo dichiararsi la nullità, o l'annullamento o comunque l'inefficacia della delibera resa dall'assemblea condominiale, tenutasi in seconda convocazione in data 8.6.2021; che, a sostegno dell'impugnazione, gli attori deducevano: l'invalidità/inesistenza della delibera perché convocata dal sedicente amministratore geom. (...), mai nominato; in ogni caso, l'omessa convocazione di (...) nei termini stabiliti dal regolamento e, comunque, dall'art. 66 dacc; ancora, l'invalidità della delibera perché nella stessa erano stati erroneamente attribuiti 6 millesimi a (...); infine, l'invalidità della delibera per violazione dell'art. 1117 ter c.c. in relazione al punto 7 del deliberato (creazione parcheggi condominiali). Si costituiva il condominio contestando la domanda e deducendo - in particolare - come in una successiva assemblea tenutasi in data 21.10.2021, partecipata da tutti i condomini, questi ultimi avessero concordemente deciso di ritenere illegittima la nomina quale amministratore del Casagrande, in quanto mai deliberata dall'assemblea ma discendente, invece, da autonoma e arbitraria scelta del precedente amministratore. Su tali basi, eccepiva quindi l'inammissibilità della domanda per carenza di interesse degli attori e, in ogni caso, l'intervenuta cessazione della materia del contendere. Con i successivi atti difensivi le parti ribadivano, maggiormente precisandole, le loro posizioni: in particolare, gli attori insistevano nel ritenere necessario l'annullamento della delibera impugnata in quanto mai formalmente revocata nella successiva assemblea del 21.10.2021, in occasione della quale i condomini si erano limitati a sostenere e votare sulla illegittimità dell'amministratore Casagrande, mai nominato; il convenuto, insisteva invece nel considerare, alla luce della decisione assunta, implicitamente revocata la delibera dell'8.6.2021. Rileva il Tribunale. "In caso di impugnazione della delibera condominiale, la cessazione della materia del contendere può ravvisarsi soltanto quando il secondo deliberato modifichi le decisioni del primo in senso conforme a quanto richiesto dal condomino che impugna e non anche quando reiteri o comunque adotti una decisione nello stesso senso della precedente, presupponendo la stessa il sopravvenire di una situazione che consenta di ritenere risolta o superata lite insorta tra le parti, si da comportare il venir meno dell'interesse a una decisione sul diritto sostanziale dedotto in giudizio" (Cass. ord. 5997/2022). Tale circostanza non si è verificata nel caso in esame, in quanto in occasione dell'assemblea del 21.10.2021, successiva a quella impugnata dell'8.6.2021, i condomini si sono limitati a prendere atto della inesistenza della nomina del Casagrande quale amministratore del condominio, non ratificando gli atti da questi posti in essere e procedendo alla nomina di altro amministratore. Non hanno però modificato - secondo il principio della SC sopra rammentato - le decisioni del primo deliberato che dunque, formalmente, sono rimaste in essere e che vanno dunque annullate in questa sede, senza necessità di dover valutare la fondatezza dei motivi di impugnazione diversi da quelli riguardanti la figura dell'amministratore, posto che lo stesso condominio si è associato al giudizio di invalidità di quella delibera. Dunque, per quanto detto, la domanda degli attori è meritevole di accoglimento mentre debbono essere respinte le eccezioni della parte convenuta. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate, come da dispositivo, ai sensi del DM 147/2022 (valore dichiarato: indeterminabile; complessità bassa; base valore minimo, esclusione fase istruttoria; riduzione del 75% per la fase decisoria). P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, in persona del Giudice dott. Marco Piovano definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) e (...) con atto di citazione ritualmente notificato al Condominio di via (...) n. 6 - Guidonia, così provvede: 1) Accoglie la domanda; 2) Per l'effetto, annulla la delibera del'8.6.2021, adottata dall'assemblea del condominio convenuto; 3) Condanna il Condominio di via (...) n. 6 - Guidonia, in persona dell'amministratore pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio in favore di (...) e (...) nella misura di Euro 588,70 per esborsi e di Euro 1.816,25 per onorari, oltre spese forfettarie, ca e iva se dovuta. Così deciso in Tivoli il 17 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2023.

  • Il Tribunale di Tivoli riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori Magistrati: dr.ssa Francesca Coccoli - Presidente rel. est. dr. Francesco Lupia - Giudice dr.ssa Rosa Maria Bova - Giudice nella causa iscritta al n. .../2017 del ruolo generale delle controversie civili, pendente: tra S.V., nata il (...); rappresentata e difesa dall'avv. ... attrice e S.P.F., nato il (...); rappresentato e difeso dall'avv. ... convenuto avente ad oggetto: impugnazione di testamento. Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con citazione ritualmente notificata V.S. conveniva in giudizio P.F.S.. Esponeva che in data 3 dicembre 2014 era stato pubblicato dal Notaio L.C. il testamento olografo di R.S., madre delle odierne parti in causa, deceduta il 19 novembre 2014, recante la data del 5 settembre 2008, con il quale la de cuius aveva disposto della propria quota di proprietà di un terzo dell'appartamento in P. S., via G. G. 23, in favore del figlio P.F.S.. Tanto premesso e deducendo che già al momento della stesura del testamento R.S. si trovasse in stato di incapacità naturale a causa dell'insorgenza di una serie di malattie manifestate sin dal 2005, concludeva chiedendo volersi: "In via preliminare: 1) Dichiarare aperta la successione della sig.ra R.S. alla data del decesso e la qualità di eredi legittimi a legittimari della sig.ra V.S. e del Sig. P.F.S.; 2) Per le ragioni indicate in premesse, sempre in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia, ovvero comunque annullare, il testamento olografo della sig.ra R.S. datato 05/09/2008 pubblicato in data (...) presso il Notaio dr. L.C. Repertorio n. (...) Raccolta n. (...); in subordine, ridurre, ex art. 554 c.c., le disposizioni di tale testamento, in quanto lesive della quota legittima riservata alla figlia V.S., procedendo conseguentemente alla formazione delle quote ereditarie e legittime in applicazione delle norme di legge. In via principale: 3) Procedere allo scioglimento della comunione ereditaria, conseguentemente alla formazione delle due quote ereditarie, e disporre la divisione in relazione alle singole quote e, in caso di ravvisata non materiale divisibilità degli immobili, ordinare la vendita all'incanto con formazione successiva di separate masse liquide da ripartire fra i singoli coeredi; 4) Porre ogni spesa di divisione a carico del sig. P.F.S.; 5) Disporre a carico del sig. S. l'obbligo di pagamento a favore della sig.ra V.S. delle spese funebri sostenute dalla medesima per la defunta R.S. per un totale di Euro 3.850,00, condannando il convenuto alla refusione di una somma in proporzione alla sua quota ereditaria; 6) Emettere ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e consequenziale. In ogni caso: 7) Condannare il sig. P.F.S. al pagamento in favore della sig.ra V.S. della somma di Euro 300,00 mensili, o in quella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta equa dal Giudice, per il periodo di tempo in cui il sig. P.F.S. ha occupato in maniera esclusiva ed indebita la quota di proprietà della sig.ra V.S. relativa all'immobile sito in P. S. (R.) in via G. G. n. 23 e del locale cantina ad esso adiacente, decorrente dalla morte della sig.ra R.S. e fino all'effettiva occupazione de medesimi. 8) Condannare il convenuto alla restituzione delle somme indebitamente pagate a titolo di IMU dalla sig.ra V.S. per la somma eccedente la quota di sua proprietà dell'appartamento sito in P. S. (R.) in via G. G. n. 23 e del locale cantina ad esso adiacente; condannare altresì il convenuto alla restituzione a favore della sig.ra V.S. delle somme indebitamente pagate da questa per la tassa sui rifiuti TARI e/o TASI per i medesimi immobili di cui sopra; infine condannare l'odierno convenuto alla restituzione pro quota delle spese e rette pagate alla sig.ra V.S. alla casa di riposo "Cristo Vive"; 9) Condannare il sig. P.F.S. al pagamento delle spese di lite del presente giudizio nonché al pagamento delle spese di giudizio dell'ATP ivi comprese le spese di CTU e CTP oltre IVA e CPA". Si costituiva in giudizio P.F.S., contestando la fondatezza delle pretese di controparte, delle quali chiedeva il rigetto, e domandando in via riconvenzionale volersi: "previo accertamento e collazione delle somme già percepite direttamente e/o indirettamente dall'attrice S.V. a titolo di donazione e/o relative ai prelevamenti e movimentazioni bancarie e/o postali sui depositi e/o conti correnti postali e/o libretti postali accesi presso la sede delle Poste di Palombara Sabina intestati a S.R. e/o cointestati a T.F. figlio di S.V. e/o con delega al ritiro della Sig.ra S.V., rapporti su cui erano versati somme di denaro di spettanza della madre S.R., disporre conseguentemente lo scioglimento della comunione ereditaria dei beni caduti in successione, secondo la valutazione e formazione delle singole quote di spettanza con predisposizione di un progetto di divisione che tenga conto di quanto già percepito dalla Sig.ra S.V. direttamente e/o indirettamente a titolo di donazione e/o prelevamenti dai rapporti di credito della madre S.R. ed in caso di indivisibilità dei beni da dividersi disporre la vendita degli stessi e l'attribuzione delle quote di spettanza ai singoli condividenti nel caso in cui non venga chiesta e/o disposta assegnazione e/o attribuzione in natura. Condannare la Sig.ra S.V. al rimborso pro quota delle spese di TARI e/o TASI spese condominiali e di gestione dei beni tutte così come verranno accertate e ritenute di giustizia. Respingere tutte le altre domande in quanto infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate. Con vittoria di spese, diritti, onorari, competenze del giudizio e/o secondo i parametri vigenti, rimborso forfettario al 15%, Iva e Cpa come per legge, del presente giudizio e di quello di ATP, spese di CTP e spese di CTU, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge su tutte le somme dovute e che verranno liquidate". All'udienza con trattazione scritta del 21 settembre 2022 5 la causa, istruita sulla base della documentazione acquisita in atti, è stata trattenuta in decisione, con assegnazione del termine di sessanta giorni per comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per memorie di replica, ed è stata infine decisa nella camera di consiglio del Nella qualità di figlia di R.S. e di erede legittima di quest'ultima, V.S., invocando la declaratoria di nullità, o in alternativa una pronuncia di annullamento del testamento olografo redatto da R.S., per incapacità di intendere e di volere della testatrice, ha domandato dichiararsi aperta, anche in proprio favore, la successione legittima della de cuius. Emerge dalla documentazione acquisita in atti che R.S., deceduta in Tivoli data 19 novembre 2014, con testamento olografo redatto il 5 settembre 2008, pubblicato in Notaio L.C. il (...) con verbale n. rep. (...), racc. (...), aveva così disposto: "io S.R. lascio a mio figlio P.F. la mia parte della casa perché si è sposato da solo io non lo aiutato perché non lo (segno di cancellatura) potevo e riconosco di fare il mio dovere la mama S.R. cinque settembre 2008 Vo che mia fa (segno di cancellatura) Voglio che mia figlia che aceti la mia (segno non leggibile) Volontà la mamma S.R.". Pare opportuno in linea teorica osservare, prima di esaminare gli elementi dedotti alla base delle azioni di nullità ed annullamento alternativamente esercitate, come l'incapacità naturale, ai sensi dell'art. 591 c.c., debba ritenersi motivo di annullamento e non già di nullità del testamento. L'unica ipotesi in cui, infatti, la incapacità di intendere o di volere del testatore possa essere tale da condurre alla declaratoria di nullità è quella concernente il caso di chi sia completamente assente a se stesso, di chi non sia dunque per nulla compos sui, come l'ipnotizzato, il pazzo o colui che si trovi in stato d'incoscienza totale. Questa, tuttavia, non sembra essere la fattispecie da parte attrice invocata. L'incapacità naturale del disponente, che ai sensi dell'art. 591 cod. civ. determina l'invalidità del testamento, postula, purtuttavia, l'esistenza ".. non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensi la prova che, a cagione di una infermità transitoriao permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo" (Cass. 23 dicembre 2014 n. 27351; Cass. 18 aprile 2005 n. 8079). Così individuato l'istituto giuridico invocato, e il regime probatorio che ne governa il giudiziale accertamento, le domande di nullità e di annullamento del testamento proposte dall'attore debbono ritenersi infondate. Deduce V.S., a ragione delle richieste formulate, che l'incapacità della de cuius sarebbe derivata da uno stato di "deficit cognitivo di grado intermedio interessante la memoria a breve termine" in cui ella si sarebbe venuta a trovare già dall'anno 2005, come rilevato nel verbale medico della Commissione di prima istanza di Guidonia Montecelio U. RM25 del 7.12.2005, stato aggravatosi nel corso dei successivi anni. L'istruzione del giudizio è stata espletata attraverso le prove testimoniali articolate da entrambe le parti, oltre che sulla base della documentazione acquisita in atti. E' stato disposto, inoltre, un accertamento tecnico d'ufficio al fine di accertare la eventuale sussistenza di uno stato di incapacità di intendere e di volere della de cuius. Dalle prove testimoniali più significative è emerso quanto segue: F.M., collaboratrice domestica della signora R.S. per circa tre anni, a far data all'incirca dal 24 dicembre 2008, ha riferito che all'epoca la de cuius, pur non essendo allettata, " ... non ci stava con la memoria; pensava a tutto la figlia V. riguardo ai pagamenti e i contributi a me, ci pensavano lei e la figlia E. .... per la spesa ci pensava la figlia; lei non poteva fare la doccia da sola, al massimo riusciva ad andare in bagno da sola ... Io ho cominciato all'incirca il 24 dicembre 2008, e all'epoca R. quando veniva il genero la domenica che le portava da mangiare, lei il giorno dopo mi diceva che era venuto un signore che le aveva portato da mangiare; non lo riconosceva, non ricordava i nomi dei nipoti; dimenticava le cose, pure quando andavo io, mi chiedeva chi fossi, anche se ero stata da lei la mattina stessa, aveva vuoti di memoria .."; la teste M.G.P., legata sin dall'adolescenza da rapporti di amicizia con le odierne parti in causa, ha riferito che nel periodo da luglio a ottobre 2008 la S. era pienamente lucida, presente nel dialogo e capace di riconoscere familiari ed amici. In difetto di risultanze certe in ordine allo stato di capacità di intendere e di volere della testatrice al 5 settembre 2008, data di redazione del testamento olografo, o al periodo immediatamente antecedente e successivo, (neppure la deposizione del medico curante è stata idonea a comprovare uno stato di alterazione significativa e permanente delle capacità cognitive nel periodo interessato), la documentazione medica prodotta è stata sottoposta, nel corso del giudizio, all'analisi ed esame del consulente tecnico d'ufficio. Nella relazione depositata in data 5 gennaio 2022 il nominato c.t.u., dr. Ga.Br., medico legale, specialista in psichiatria, dopo aver esaminato il testamento olografo impugnato evidenzia che "salta chiaramente all'occhio l'estrema semplicità dell'atto in questione"; "L'impegno cognitivo necessario è stato evidentemente minimo e certamente alla portata anche di un'anziana donna di 86 anni, pur tenuto conto che dall'esame dello scritto emergono elementi suggestivi di un certo decadimento cognitivo, anche considerata la bassa scolarità del soggetto". Rilevato che la prova della affermata incapacità della S. al momento della redazione del testamento è sostanzialmente affidata da parte attrice al verbale dell'accertamento della Commissione medica per l'invalidità recante la data del 14.9.2005, e dunque risalente a tre anni prima della redazione del testamento oggetto di causa, il CTU evidenzia quanto segue: "All'epoca la donna di anni 83, fu riconosciuta invalida al 100% e con necessità di assistenza continua (indennità di accompagnamento ex L. n. 18 del 1980). Il quadro clinico descritto dalla Commissione medico-legale era connotato da: - ipertensione arteriosa; - sindrome ansioso-depressiva; - artrosi polidistrettuale; - ipoacusia; - pregresso intervento di cataratta bilaterale; - deambulazione possibile con appoggio monolaterale; - umore tendenzialmente depresso; - deficit cognitivo di grado intermedio interessante la memoria a breve termine (MMSE 17/30; ADL 3/6, IADL 5/8). Il certificato dimostra come all'epoca la donna fosse affetta da una serie di patologie (motorie e cognitive) la cui incidenza complessiva ha comportato il riconoscimento della necessità per l'anziana di un'assistenza continua. Se si considera però solo la valutazione dell'integrità delle funzioni cognitive è evidente come il risultato ottenuto al Mini Mental State Examination sia indicativo di undecadimento cognitivo lieve (MMSE = 17). Tale valutazione standardizzata, studiata negli anni 70 da Folstein10, è ampiamente utilizzata nella pratica clinica della valutazione delle funzioni cognitive dei soggetti anziani. E' un test di facile e rapida somministrazione, è sufficientemente attendibile nel determinare il grado del deficit cognitivo e nel monitorarne la progressione in condizioni di demenza. E' composto da 30 item, in parte verbali, in parte di performance, che esplorano orientamento spaziotemporale, memoria a breve termine, memoria a breve termine, attenzione, calcolo mentale, linguaggio (nelle componenti di comprensione, ripetizione, denominazione, lettura e scrittura), prassia costruttiva. Il punteggio ottenuto esprime il grado di deterioramento cognitivo secondo tale scala: 30 - 24 ............ Nessuna compromissione 24 - 20 ............ Sospetta compromissione 19 - 17 ............ Compromissione lieve 16 - 10 ............ Compromissione moderata 9 - 0 ............. Compromissione grave Il risultato ottenuto dalla sig.ra S., come detto, è stato di 17/30, indicativo un deterioramento cognitivo lieve, ancorché al limite basso di tale fascia di valutazione. Un decadimento, quindi, non della gravità prevista dalla legge per invocare l'annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore; tale incapacità, come detto, non si configura in una qualsiasi condizione patologica, anche transitoria, che sia astrattamente suscettibile di influenzare il volere del testatore, ma solo in quella alterazione del processo di formazione e di manifestazione della volontà che renda il medesimo assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e ne escluda, di conseguenza, la capacità di autodeterminazione (vedi Sentenza Cassazione Civile n. 9081 del 15/04/2010). Ad ulteriore conferma di un quadro di decadimento cognitivo lieve, la sig.ra S. aveva dimostrato una certa autonomia nella attività del vivere quotidiano con un punteggio di 3 su 6 alla scala ADL, Attività di base della Vita Quotidiana, come FARE IL BAGNO (vasca, doccia, spugnature), VESTIRSI (prendere i vestiti dall'armadio e/o cassetti, inclusa, biancheria intima, vestiti, uso delle allacciature e/o delle), TOILETTE (andare nella stanza da bagno per la minzione e l'evacuazione, pulirsi, rivestirsi), SPOSTARSI, CONTINENZA DI FECI E URINE, ALIMENTAZIONE; è stata anche riconosciuta capace di una certa autonomia nelle Attività della Vita Quotidiana attraverso l'uso di Strumenti (IADL) con una valutazione addirittura di 5/8 rispetto ad attività come ABILITA' AD USARE IL TELEFONO, SPOSTAMENTI FUORI CASA, ASSUNZIONE DEI PROPRI FARMACI , USO DEL PROPRIO DENARO, FARE LA SPESA, CURA DELLA CASA, FARE IL BUCATO. Si dispone solo dei punteggi ottenuti nelle due scale e non i fogli risposta e non si è in grado di sapere quali fossero le specifiche attività che l'anziana era ancora in grado di compiere, ma i risultati sono comunque certamente indicativi di un grado di autonomia compatibile solo con un deficit cognitivo lieve, moderato al massimo, tenuto conto che la disautonomia della donna era determinata anche dalle sue limitazioni motorie e dall'ipoacusia, da fattori dunque estranei al suo funzionamento psichico nel determinarne la valutazione di assistenza continuativa". Prosegue il CTU rilevando che "Nel caso in esame, non vi è alcuna documentazione sanitaria a riguardo tra il 2005 ed il 2008, nulla cioè che possa giustificare il raggiungimento, nel giro di tre anni, di un livello di deficit cognitivo grave che pertanto può essere probabilisticamente escluso. D'altra parte, il Giudice Tutelare chiamato a decidere nel 2009 circa la necessità di provvedere ad una misura di protezione giuridica della persona, dopo aver ascoltato l'amministranda, scrive: "Seppur sono perfettamente evidenti le difficoltà correlate all'età, le risposte date dalla beneficiaria in sede di audizione hanno però dato il senso di una coscienza e di una posizione assolutamente negativa rispetto alla nomina di un soggetto deputato alla sua cura ... volontà chiara, inequivoca, consapevole". Rispetto ai quesiti posti, la documentazione sanitaria disponibile, una lettera di dimissione infermieristica relativa al periodo dal 02/11/2011 al 14/11/2011 e quella relativa all'anno 2014, certificato medico e scheda biografica di ricovero del dott. S., non sono utili rispetto alla valutazione della capacità di intendere e di volere al momento di testare nel 2008"..... L'esame della documentazione datata 2014 evidenzia un peggioramento delle condizioni di salute generali dell'anziana signora, ormai 92enne, che in poco tempo ne hanno determinato l'exitus, avvenuto nel novembre dello stesso anno. Dal certificato del 17/07/2014 del dr. S. si apprende che la donna per una caduta accidentale avvenuta tempo prima aveva subito un'infrazione del collo chirurgico del collo dell'omero; era ormai diventata incapace di deambulare e a mantenere la stazione eretta (condizione all'origine dell'ulcera da decubito al gluteo sinistro in fase di risoluzione riportata nello scritto?), con un deficit della funzionalità renale, tutte condizioni che certamente hanno determinato un aggravamento del deficit cognitivo rispetto a quello ipotizzabile nel 2011 (e ancor di più rispetto al periodo 2008) e che nel luglio 2014 viene ormai così definito: "sindrome dementigena con progressivo decadimento cognitivo e disorientamento spazio-temporale". La documentazione esaminata, dunque, non ha dimostrato la sussistenza, alla data del 05/09/2008, di una condizione di decadimento cognitivo grave tale da rendere la sig.ra R.S. non in grado di esprimere liberamente e consapevolmente le proprie ultime volontà". Conclude, pertanto, il CTU affermando che, " ... esaminata la documentazione sanitaria, tenuto conto della difficoltà insita in una valutazione ex post delle capacità cognitive di un soggetto a distanza di 13 anni dal fatto e a 7 anni dal suo decesso, è possibile ragionevolmente escludere che la sig.ra R.S. si trovasse in una condizione di incapacità naturale al momento in cui, il 05/09/2008 ha espresso le proprie volontà testamentarie. L'accertamento sugli atti non ha dimostrato che, all'epoca dei fatti, la donna fosse affetta da un deterioramento cognitivo del grado normativamente previsto per l'annullamento di un testamento". Deve pertanto escludersi che una capacità di intendere e di volere della testatrice possa aver viziato le disposizioni di ultima volontà di R.S.. Poiché l'attrice, quindi, non è stata in grado di dimostrare l'assunto posto alla base delle proprie domande, l'azione volta all'annullamento del testamento va rigettata. Neppure possono essere accolte le ulteriori domande di parte attrice e le domande riconvenzionali di parte convenuta, tenuto conto del fatto che né la prima, proponendo azione di riduzione delle disposizioni contenute nel testamento olografo per essere reintegrata nei diritti di legittimaria, né il convenuto, nel proporre domanda di collazione e di scioglimento della comunione ereditaria, hanno tuttavia allegato quale fosse la consistenza dell'asse ereditario e, nell'ipotesi di lesione, quale l'entità della stessa rispetto alla quota spettante come riserva per legge (ciò che esclude ogni possibilità di verifica della ipotizzata domanda) (cfr. App. Roma Sez. II, 10-09-2009). Com'è noto, il legittimario che agisce in riduzione ha l'onere di allegare e provare, oltre la propria qualità di erede necessario, l'avvenuta lesione della legittima, nonché l'esistenza degli atti da ridurre, precisandone l'ordine cronologico. Allegare la lesione della legittima implica definirne il suo valore e a tal fine occorre individuare esattamente il patrimonio relitto (sia avendo riguardo alla sua composizione, sia al suo valore calcolato al momento del decesso del de cuius), individuare le disposizioni lesive da riunire fittiziamente, cioè contabilmente, al patrimonio relitto (art. 556 c.c.) nonché precisare le donazioni e i legati ricevuti e per cui non vi sia stata dispensa (art. 564, comma 2, c.c.). Quanto appena allegato trova conforto nella giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione a mente della quale: "Il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. In particolare, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia, o meno, avvenuta, ed in quale misura, la lesione della sua quota di riserva, potendo solo in tal modo il giudice procedere alla sua reintegrazione. L'azione di riduzione, indipendentemente dall'uso di formule sacramentali, richiede, poi, oltre alla deduzione della lesione della quota di riserva, l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione della donazione posta in essere in vita dal de cuius (Cass. n. 14473/11; cfr. ex multis anche Sent. Sez. II n. 20830/16; Sent. Sez. II n. 1357 /17). Detta dimostrazione della lesione, inoltre, non può essere attuata per il tramite di una C.T.U. che, evidentemente, sarebbe del tutto esplorativa. Ciò precisato, dal tenore delle allegazioni avverse e dalla produzione documentale versata in atti nonché alla luce delle superiori eccezioni e produzioni documentali, risulta evidente che parte attrice ha omesso di ottemperare ai suddetti oneri. In altri termini, e pur a fronte delle deduzioni di parte convenuta, volte ad eccepire la sussistenza di un patrimonio fatto di risparmi, arretrati di pensione da invalidità civile ed investimenti della de cuius, parzialmente dall'attrice prelevato, la S. ha disatteso l'onere di indicare entro quali limiti sarebbe stata violata la propria quota di riserva, omettendo di determinare con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota disponibile dal testatore. Parimenti generiche sono risultate le allegazioni del convenuto a supporto delle domande riconvenzionali formulate. Le domande di entrambe le parti vanno pertanto rigettate. Nell'integrale rigetto delle pretese di parte attrice e di parte convenuta, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese tra le parti. Le spese di CTU, disposta al fine di istruire la domanda di annullamento del testamento, sono poste definitivamente a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione, eccezione disattesa e reietta, così provvede: 1) respinge le domande formulate dalle parti; 2) dichiara compensate le spese di lite; 3) pone a carico di parte attrice le spese di CTU. Conclusione Così deciso nella camera di consiglio del 21 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI Il Giudice dott.ssa Francesca coccoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...) del del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2019 vertente tra (...); (...); (...); rappresentati e difesi dall'avv.(...) opponenti e (...)., e, per essa, (...)., rappresentata e difesa dall'avv.(...) opposta Oggetto: opposizione a precetto FATTO E DIRITTO Con citazione ritualmente notificata (...), (...) e (...) proponevano opposizione al precetto, contenente intimazione di pagamento dell'importo di Euro 284.651,16, oltre interessi convenzionali al tasso convenuto, ad essi notificato nella qualità di fideiussori della (...) da parte di (...), cessionaria del credito portato dal contratto di mutuo concesso (...), per l'importo di Euro 350.000,00, stipulato in data 17.04.2009 per Atto Notar (...), Rep. (...), Racc. (...) Formulavano le seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis in via preliminare, in ogni caso, attesa la manifesta usurarietà del tassa d'interesse moratoria come evidenziato nella perizia econometrica sospendere l'efficacia esecutivo del contratto di mutuo Rep. (...) sottoscritto in data 17.04.2009 dai signori (...) e (...) in qualità di fideiussori ancora in via preliminare accertare e dichiarare, per i motivi di cui in premessa, l'improcedibilità della domanda espletata nei confronti dei signori (...) e (...) in qualità di garanti nel merito. in via principale accertare e dichiarare l'esistenza di tassi usurari nel contratto di mutuo anzidetto e, per l'effetto, accertare e dichiarare la nullità del contratto di mutuo Rep. (...) sottoscritto in data 17.04.2009 nel merito in via subordinata accertare e dichiarare la violazione, da parte dell'istituto mutuante, dei principi generali di trasparenza, correttezza e buona fede contrattuale nonché, in particolare, delle disposizioni contenute nell'art. 117 TUB e nella Del.CICR 4 marzo 2003, per aver indicato un costo del credito difforme da quello effettivo e, per l'effetto, rideterminare il rapporto tra le parti ex art. 117 TUB ovvero al tasso legale o a quello ritenuto di giustizia accertare e dichiarare l'illegittimità del regime di capitalizzazione composta degli interessi adottato per violazione degli artt. 1203 c.c. e 120 TUB e, comunque, per vizio del consenso in capo alla parte mutuataria ed ai garanti, cui è stato occultato l'effettivo costo del finanziamento derivante dalla capitalizzazione composta insita nel metodo di ammortamento utilizzala e, per l'affetto, rideterminare il rapporto tra le parti ex art. 117 TUB ovvero al tasso legale ovvero secondo giustizia accertare e dichiarare che il contratto di mutuo contiene pattuizioni in violazione della L. n. 108 del 1996 per le motivazioni illustrate e, per l'effetto, rideterminare il rapporto tra le parti ex art. 1815 c.c. ovvero secondo giustizia. In ogni caso, con vittoria di spese di giudizio e compensi di avvocato". Costituitasi in giudizio parte opposta contestava specificamente i motivi di opposizione, chiedendone il rigetto. All'udienza con trattazione scritta del 12 ottobre 2022 la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. In via preliminare deve dichiararsi l'estinzione, ex art. 306 c.p.c., del giudizio promosso da (...), e ciò a seguito della intervenuta rinuncia agli atti e della relativa accettazione da parte della società opposta, depositate in data 13.4.2021 nel fascicolo telematico di parte attrice. In mancanza di diverso accordo, secondo la previsione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c., la rinunciante è tenuta a rimborsare le spese di lite alla controparte. Nel merito, emerge dalla documentazione acquisita in atti che in data 17 aprile 2009 la (...), quale mutuante, la (...) quale parte mutuataria, e gli odierni attori quali fideiussori, hanno sottoscritto un CONTRATTO DI MUTUO, GIUSTO ATTO REDATTO DAL NOTAIO (...) DI (...), REP. n. (...), RECCOLTA n. (...), alle seguenti condizioni: - capitale erogato: Euro 350.000,00; - data di decorrenza: 1.4.2009; - data scadenza prima rata 31.5.2009; - numero rate di rimborso: 180 a cadenza mensile: - durata: 15 anni; - tasso compensativo (o corrispettivo) convenuto (art. 3 del contratto) pari al 5,512% annuo - tasso variabile, pari al tasso EURIBOR sei mesi, divisore 365, aumentato di 2,50 punti percentuali (art. 1 del contrano). - Tasso Indice Sintetico di Costo (ISO pari al Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) indicato nel contratto (art. 3): 5,75%; - tasso di mora iniziale pattuito pan al 7,512% annuo, pan al corrispettivo pattuito aumentalo di 2 punti percentuali. Nel contratto di finanziamento sottoscritto, le parti hanno convenuto che la parte mutuataria si obbligava a sostenere i seguenti costi: oneri istruttori Euro 1.000,00 spese rilascio assenso cancellazione ipoteca Euro 103.29 interessi preammortamento Euro 739,97 spese recupero visura C. per ciascun nominativo 15,00. La mutuatari si è impegnata a corrispondere le seguenti spese per ogni rata: - commissioni incasso rata Euro 1,25; - spese per comunicatone periodica Euro 5,00. Le parti hanno pattuito una penale per estinzione anticipata del prestito pari al 2% del capitale anticipatamente corrisposto (art. 3 del contratto). Nel contratto di mutuo sottoscritto, all'art. 1, le parti hanno pattuito che "La parte mutuatario si obbliga a corrispondere alla Banca, su tulle le somme non pagate alle rispettive scadenze, a decorrere dal giorno della scadenza fino a quello dell'effettivo pagamento, l'interesse di mora nella misura del tasso contrattuale corrente, aumentato di due punti percentuali". Pertanto le parti hanno concordato che la misura degli interessi di mora convenuti fosse pari al 7,512%. Nel contratto di finanziamento, stipulato tra le parti, è stato indicato l'"ISC" (Indicatore Sintetico di Costo), coincidente con il TAEG, pari al 5.75%. Nell'art. 5 del contratto di mutuo le parti hanno convenuto che: "La banca avrà diritto di risolvere il contratto nelle ipotesi previste nel secondo comma dell'art. 40 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. nonché la parte mutuataria provveda al pagamento, anche di una sola rata di rimborso, dopo 180 giorni dalla scadenza della rata medesima. Del pari la Banca potrà risolvere il contratto qualora la parte mutuatario non provveda al pagamento della rata dopo 180 giorni dalla scadenza stessa. Resta inteso che la parte mutuataria decadrà dal beneficio del termine qualora si verifichino le ipotesi previste dall'art. 1186 del cod. civ. e qualora la stessa o i garanti subiscano protesti, procedimenti conservativi, ed esecutivi od ipoteche giudiziali o compiano qualsiasi atto che diminuisca la loro consistenza patrimoniale, finanziaria od economica". E' documentato che le rate del prestito sono state pagate dalla società contraente fino alla data del 31.12.2012, ovvero fino alla quarantaquattresima rata del prestito. All'esito della CTU, le cui conclusioni devono ritenersi pienamente condivisibili in quanto immuni da vizi logici e metodologici, risulta in primo luogo accertato, attraverso l'esame degli atti di causa e della documentazione depositata dalle parti, che l'istituto bancario non ha richiesto somme non previste nelle condizioni contrattuali pattuite. Ciò rilevato, il Tribunale ritiene di dovere innanzitutto sgombrare il campo da ogni dubbio relativo all'indeterminatezza dei tassi di interesse e alla validità del piano di ammortamento. (...) Come la Suprema Corte ha avuto modo di affermare, sia pure con riferimento a contratti di mutuo stipulati prima dell'entrata in vigore delle norme sulla trasparenza bancaria: - "in tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulala ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione dei tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione" (cfr. ex multis sez. III civ. n. 2317/07); - "in tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1346 cod. civ., è sufficiente che la stessa - nel regime anteriore all'entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154 - contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest'ultimo sia desumibile dal contratto con l'ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione" (cfr. cass. sez. III civ. n. 25205/14). L'inserimento nelle clausole contrattuali relative al tasso di interesse, quale unico parametro variabile, dell'EURIBOR, soddisfa le esigenze di determinatezza richieste ai fini della validità delle clausole. Benché infatti l'entità di tale indice, soggetto a continue variazioni, sia influenzato in maniera determinante dal comportamento del sistema bancario; è comunque un indice medio - calcolato sulla base del comportamento adottato dalle principali banche europee e internazionali in relazione alle variazioni del tasso ufficiale (...) e dunque sulla scorta di dati che si assumono oggettivi - diffuso giornalmente dalla Federazione delle banche europee, come tale individuabile e verificabile dal mutuatario. Inoltre, se è vero che le singole banche che contribuiscono alla determinazione dell'Euribor possono influenzarne l'ammontare, ciò non basta di per sé solo a dimostrare l'esistenza di accordi tra le banche interessate dirette a influenzare la determinazione del tasso attraverso la modifica concordata del tasso di deposito da ciascuna di esse applicato nei rapporti con altri istituii di credito, sÌ da dimostrare che l'intero meccanismo è illecito. Irrilevante è pure l'ipotetica erronea o mancante indicazione dell'ISC. L'ISC non costituisce, infatti, un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Da ciò discende che l'erronea o omessa indicazione dell'ISC/TAEG, non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un'erronea o mancata rappresentazione del suo costo complessivo. E' dunque infondata la tesi della nullità quale conseguenza di tale errata o omessa indicazione. Ed invero l'art. 117, sesto comma, TUB, sanziona con la nullità le "clausole contrattuali ... che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati". Né può estendersi la portata dell'art. 125 bis TUB dettata con espresso riferimento ai contratti di credito al consumo al fine di tutelare la posizione di debolezza contrattuale in cui versa il cliente-consumatore. Quanto al piano di ammortamento cosiddetto alla francese, lo stesso e conforme al disposto dell'art. 1194 c.c. e al disposto dell'art. 120 TUB e non viola il divieto di anatocismo posto dall'art. 1283 c.c., dovendosi condividere la conclusione, raggiunta da gran parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale "in materia di mutui, il metodo di ammortamento alla francese comporta che gli interessi vengano calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata. In altri termini, nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti ed unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Tale importo viene quindi integralmente pagalo con la rata, laddove la residua quota di essa va già ad estinguere il capitale. Ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originano detratto l'importo già pagato con la rata o le rate precedenti, e unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata immediatamente precedente. Il mutuatario, con il pagamento di ogni singola rata, azzera gli interessi maturati a suo carico fino a quel momento, coerentemente con il dettato dell'art. 1193 c.c., quindi inizia ad abbattere il capitare dovuto in misura pari alla differenza tra interessi maturati e importo della rata da lui stesso pattuito nel contratto" (cfr. Trib. Siena 17-07.14, Trib. Milano 05.05.14, Trib. Pescara 10.04.14). Infondata è altresì la questione della dedotta usurarietà del mutuo. Dai riscontri effettuati dal CTU emerge che le parti hanno convenuto che il rimborso del prestito avvenisse applicando un tasso annuo variabile determinato dal valore rilevato dell'EURIBOR sei mesi divisore 365 aumentato di 2,5 punti percentuali, sull'importo della somma mutuata. Pertanto il tasso corrispettivo pattuito al momento della sottoscrizione del contratto è pari al 5,512%. Al fine della verifica della conformità alle norme antiusura del saggio di interesse pattuito, tale tasso deve essere confrontato con il tasso effettivo globale medio (TEGM). rilevato dal Ministero del Tesoro, per le operazioni della stessa natura, e pubblicato trimestralmente con decreto sulla Gazzetta Ufficiale, aumentato della metà. Il CTU ha così si proceduto al confronto dei tassi di interesse contrattualmente pattuiti con il tasso soglia rilevante ai fini antiusura rilevato per la categoria omogenea "Mutui ipotecari a tasso variabile (dal 1 luglio 2004)". "Il tasso effettivo globale medio (TEGM), rilevato dal Ministero del Tesoro, per tale operazioni, nel IV trimestre 2009 è pari al 4,58%. Il tassa soglia determinato ex art. 2 L. n. 108 del 1996, pari tasso effettivo globale medio (TEGM), rilevato dal Ministero del Tesoro, per le operazioni di Mutui ipotecari a tasso variabile (dal 1 luglio 2004). in vigore al momento dell'erogazione del finanziamento (trimestre 1 aprile - 30 giugno 2009). aumentato del 50%, era pari al 6,87%. Si può affermare che, nel contratto è stato pattuito un tasso corrispettivo non superiore al tasso soglia previsto per il trimestre di riferimento". In merito alla dedotta usurarietà degli interessi molatori, pur riconoscendosi la rilevanza che tali interessi assumono ai fini della valutazione della natura usuraria delle pattuizioni (Cass. S.U. n. 10507/2020), occorre tuttavia precisare che il tasso soglia di riferimento, in ossequio ai principi dettati nella richiamata pronuncia, andrà individuato come segue: "- Individuazione del limite per gli interessi moratori. Occorre pure tenere conto che i decreti ministeriali, negli anni più recenti, prevedono uno spread tra il T.e.g.m. e la misura del tasso soglia usurano, determinato con la predetta maggiorazione (aumento di un quarto dei tassi medi, cui si aggiungono ulteriori 4 punti percentuali: art. 2, comma 2 D.M., attuando la L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4). La soglia comprendente i muratori, pertanto, CON riguardo ad esempio ai mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, può essere indicata in un'unica espressione, che pervenga all'entità della soglia massima - la quale, cioè, tenga conto sia del T.e.g.m., sia degli interessi di mora - onde si avrà: (5/4 T.e.g.m + 4) + (5/4 x 1.9); dove il primo addendo rappresenta il tasso soglia usurario legale, stabilito secondo il combinato disposto della L. n. 108 del 2000, art. 644 c.p. e D.M. del periodo considerato: mentre il secondo addendo è il "di più" di comparazione, che tiene conto degli interessi moratori. La formula può essere più sinteticamente espressa; (T.e.g.m. + 1.9) x 1.25 + 4" - (Ass. S.U. n. 19597 del 2020). Il CTU, rilevato che il contratto di mutuo è stato sottoscritto dalle parti in data 1 aprile 2009, e dunque prima del 14.05.2011 (data di entrala in vigore del D.M. n. 71 del 2011). ha evidenziato che "secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione n 19597 del 18 settembre 2020, la formula per la determinare del tasso soglia moratoria, nel caso di specie, è la seguente: (TEGM + 2,10) x1,5 Pertanto il tasso soglia moratoria, rilevante ai fini della legge antiusura, calcolato secondo i criteri espressi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020, applicabile al finanziamento è pari al 10,020%". Pertanto se si compara il tasso di mora pattuito con il tasso soglia determinato secondo i criteri dettati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020, calcolato per il trimestre di riferimento della sottoscrizione del contratto, non si riscontra l'usurarietà del tasso di mora convenuto. Infondata deve ritenersi, infine, l'eccezione di nullità delle clausole in deroga "al regime ordinario della fideiussione di cui agli artt. 1939, 1955 e 1957 c.c., prevista dall'art. 12. lett. c). d). e) ed f) del capitolato allegato al contratto di mutuo", sollevata dagli opponenti sul presupposto che tale deroga "introducendo un regime più rigoroso ed oneroso per i garanti, concreti al di là di ogni dubbio una clausola c.d. vessatoria. La clausola vessatoria, in quanto tale, richiede, per costante ed unanime dottrina e giurisprudenza di merito e di legittimità, una doppia sottoscrizione delle parti la quale, tuttavia, è assente, come risulta dalla semplice lettura del contratto di mutuo. In mancanza della doppia sottoscrizione, la clausola deve inevitabilmente ritenersi come non apposta: la deroga alle norme del codice civile in materia di fideiussione non può ritenersi valida e deve applicarsi pertanto il regime ordinario". Quanto alla prevista deroga all'art. 1957 c.c. (all'art. 12 lett. c delle Condizioni generali è previsto che "la fideiussione resterà integra e valida sino alla completa estinzione di ogni e qualsiasi debito della Parte Mutuataria, comunque dipendente dal mutuo e - in espressa deroga a all'art. 1957 cod. civ. - senza che l'Istituto Mutuante sia tenuto ad escutere né in via giudiziale né in via stragiudiziale la Parte Mutuataria, anche dopo la scadenza delle sue obbligazioni"). rilevato in ogni caso che all'art. 11 del contratto di mutuo "le porti dichiarano di approvare specificatamente, ai sensi dell'art. 1341 c.c., gli artt. 1(uno). 7 (sette). 9 (nove) e 10 (dicci) del presente contratto", e tra essi dunque l'art. 7 che disciplina il contratto di fideiussione intercorso tra le parti attraverso il rinvio all'art. 12 delle Condizioni generali "che i fideiussori dichiarano di ben conoscere ed accettare", in ogni caso deve escludersi la natura vessatoria della clausola in deroga all'art. 1957 c.c., considerato che "la decadenza del creditore dal diritto di escutere la fideiussione, prevista dall'art. 1957 c.c. quale conseguenza del mancato inizio dell'azione giudiziaria nei confronti del debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione, non è posta a presidio di alcun interesse di ordine pubblico, e può di conseguenza essere derogata dalle parti sia esplicitamente, sia implicitamente attraverso un comportamento concludente" (Cass. n. 31509 del 2021; Cass. n. 13078 del 2008). Del pari va escluso il carattere vessatorio delle clausole in deroga agli articoli 1939 cod. civ. (v. Cass. 25361 del 2008, secondo la quale "Questa Corte ha già affermato (Cass. sez. 1, 8 febbraio 2008, n. 3011) che la clausola in questione è destinata ad operare proprio quando l'adempimento sia stato dichiarato inefficace; e quindi su un piano diverso da quello della limitazione dell'ordinaria eccezione di pagamento. Non e' dunque applicabile estensivamente ad essa la disciplina di cui all'art. 1341 c.c., ne' tantomeno consentita l'affermazione di vessatorietà in via analogica, data la natura eccezionale della norma") e 1955 cod. civ. Con riferimento a tale ultima fattispecie, peraltro, l'eventuale nullità della clausola, il cui accertamento è invocato da parte opponente solo in via incidentale al fine di paralizzare la "procedibilità" dell'ingiunzione di pagamento, appare priva di rilievo, posto che, considerata la ratio della norma stessa (l'estinzione della fideiussione si giustifica con il fatto che se viene meno il diritto del garante di surrogarsi al creditore significa che sarà più difficile per il primo poter ottenere la restituzione della somma corrisposta; in particolare, la norma considera il caso in cui la surrogazione venga meno a causa della condotta del creditore), nel caso di specie la circostanza che la risoluzione del mutuo sia intervenuta per causa del debitore resosi inadempiente rende irrilevante qualsiasi eventuale rilievo incidentale di nullità. Nel rigetto della proposta opposizione, le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Le spese della CTU, disposta successivamente alla intervenuta rinuncia di (...) e relativa accettazione, sono poste definitivamente a carico dei restanti opponenti. P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, definitivamente pronunciando, così provvede: - dichiara l'estinzione del giudizio promosso da (...); - rigetta l'opposizione; - condanna parte opponente al pagamento, in favore della opposta, delle spese di lite che liquida in Euro 11.229,00 per compensi, oltre il 15% di rimborso spese forfettarie e IVA e CPA come per legge; - pone le spese di CTU definitivamente a carico degli opponenti (...) e (...) Così deciso in Tivoli il 5 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott. Roberta Mariscotti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. 2737/2022, pendente tra (...) S.R.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. VE.GA. e dell'avv. ZI.RO. ricorrente e (...) rappresentato e difeso dall'avv. TR.GA. giusta procura in atti resistente OGGETTO: Opposizione L. n. 92 del 2012 cd. Legge Fornero RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 1, c. 51 L. n. 92 del 2012 depositato il 1.6.2022 (...) S.R.L. ha proposto opposizione all'ordinanza di accoglimento dell'impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo della dipendente (...) comunicato il 2.5.2022 fondata sull'insussistenza del fatto posto a base dell'atto espulsivo. Premesso di essersi ritrovata nella sovrabbondanza delle risorse impiegatizie acquisite dal precedente appaltatore (...) S.p.A., nonché nell'impossibilità di far fronte all'eccessiva onerosità da essa causata, ha precisato di aver dovuto riorganizzazione l'unità locale di Fonte Nuova attraverso la riconduzione delle funzioni impiegatizie ed amministrative ai propri uffici centrali e/o di gruppo e l'avvio di un programma di esuberi e demansionamenti. Ha sottolineato, quindi, come il livello professionale della Signora (...), unitamente al significativo trattamento economico riconosciutole dal precedente appaltatore, sottintendessero e rinviassero a mansioni di particolare rilievo, tali che mai avrebbero potuto essere concretamente svolte nell'unità locale di Fonte Nuova così come riorganizzata. Infine, ha ribadito come la dipendente avesse rifiutato le proposte di demansionamento propostele dalla società al fine di evitare il licenziamento. Tanto premesso in punto di fatto, richiamati i principi giurisprudenziali in tema di ampiezza del sindacato nella fase di opposizione, ha ribadito l'assenza di qualsivoglia intento ritorsivo, neppure ritenuto fondato nella fase sommaria, la legittimità del licenziamento per la sussistenza del fatto contestato e precisando, ancora, di non disporre più di alcun posto nella sede di Fonte Nuova dove ricollocare la (...). Quest'ultima si è costituita eccependo l'inammissibilità del ricorso, ritenendo che la fase sommaria si fosse svolta con le caratteristiche di una fase a cognizione piena con conseguente valore di sentenza dell'ordinanza emessa e, nel merito, ribadendo la ritorsività del licenziamento e chiedendo la conferma dell'ordinanza emessa in fase sommaria. Ritenuta esaustiva l'istruttoria espletata nella fase sommaria, la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza dell'8.11.2022 e decisa con la presente sentenza emessa in data odierna. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve rigettarsi l'eccezione di inammissibilità del ricorso in opposizione avanzata dalla parte opposta. Quest'ultima sottolinea l'esaustività del giudizio sommario e il valore di vera e propria sentenza dell'ordinanza emessa, e qui contestata, stante anche la penetrante istruttoria espletata dal giudice di quella fase. La tesi non può essere condivisa dal giudicante ritenendosi più che condivisibile l'orientamento della Suprema Corte che ha sottolineato come, nel rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado sia unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, ed una seconda fase a cognizione piena che della precedente costituisce prosecuzione, sicché l'unico rimedio esperibile avverso il provvedimento conclusivo della fase sommaria, anche quando in mero rito, è il ricorso in opposizione previsto dall'art. 1, comma 51, della L. n. 92 del 2012, e non il reclamo che, ove proposto, va dichiarato inammissibile ( Cass. 03/02/2020, n.2364 ). La circostanza che l'istruttoria sia stata espletata in modo accurato e con l'audizione di testimoni, non può mutare la natura del procedimento celebratosi dinnanzi al giudice della fase sommaria e neppure appare dirimente il caso citato nella memoria (cfr. Cass. n. 8467/2017 cit.) trattandosi di ipotesi in cui il giudice, adito ex art. 1, comma 48, L. n. 92 del 2012, aveva pronunciato sentenza all'esito di una "unificazione delle due fasi del giudizio di primo grado del cd. rito Fornero" ed aveva adottato una pronuncia finale "avente veste formale di sentenza, oltre che sostanziale". Il precedente citato dall'opposta, quindi, non può ritenersi sovrapponibile al caso in esame ove non solo non c'è stata una unificazione delle due fasi, ma anzi il giudice ha pronunciato una "ordinanza", ovvero un provvedimento la cui forma adottata non diverge da quella prevista dal legislatore "sicché alcuna apparenza diversa dalla sostanza o affidamento poteva ingenerare nel destinatario nè potendo trasmutare la sua natura di ordinanza, opponibile e non reclamabile, per il numero delle pagine in cui è redatto o per la durata del procedimento". Deve, ancora, ribadirsi l'insussistenza di profili di ricorsività nel licenziamento della lavoratrice, come già ampiamente e esaustivamente argomentato dal Giudice della fase sommaria, attesa l'assenza di qualsivoglia elemento raccolto nell'istruttoria, che proprio parte opposta ricorda essere stata particolarmente approfondita, tale da poter suffragare la tesi della ritorsività ( cfr. testimonianze e documenti allegati al fascicolo della fase sommaria). Giova rammentare, in ogni caso, che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, "in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all'applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 1, st.lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, invece di vagliare in via preliminare il giustificato motivo oggettivo addotto, aveva operato un indebito giudizio di comparazione tra i motivi ritorsivi indicati dal lavoratore e le ragioni datoriali)." (cfr., da ultimo, Cass. Sez. L -, Sentenza n. 9468 del 04/04/2019). Pertanto, appare dirimente sul punto affrontare i motivi di opposizione contenuti nel presente ricorso stante la necessità di vagliare la sussistenza del motivo di licenziamento addotto sia al fine di verificare la legittimità del licenziamento ex se sia l'eventuale ritorsività del medesimo. Occorre compiere, dunque, tale valutazione esponendo brevemente l'andamento dei fatti occorsi. La dipendente (...) è stata licenziata con la seguente motivazione: "Nell'ambito di una ristrutturazione aziendale mossa da esigenze di riduzione dei costi si è trovata nella stringente necessità di porre in essere un riassetto organizzativo. In particolare è intervenuta direttamente sulla riorganizzazione dell'unità locale di Fonte Nuova e relativamente alle posizioni impiegatizie harealizzata una riconduzione delle stesse alle divisioni già esistenti. Nello specifico la postazione adibita alla fatturazione di cantiere, gestione prima nota rapporti con le banche è stata ricondotta nella già strutturata e preesistente funzione aziendale di amministrazione e fatturazione. Nell'ambito dell'accennata riorganizzazione, pertanto, le sue specifiche mansioni riconducibili proprio alla fatturazione di cantiere gestione prima nota, rapporti con le banche sono venuti meno". In pratica, il datore di lavoro ha ritenuto di utilizzare le proprie strutture preesistenti accentrando funzioni amministrative e di contabilità presso la sede centrale con conseguente impossibilità di utilizzare la ricorrente presso la sede di provenienza, Fonte Nuova, né di ricollocarla altrove stante anche il diniego della lavoratrice ad essere assegnata a svolgere mansioni diverse/inferiori (cfr. proposte inquadramento al secondo livello ovvero stesso livello con rinuncia al super minimo in data 13.11.2016 e 1.12.2016). In pratica, a seguito dell' aggiudicazione dei servizi dei Comuni di Mentana e Fonte Nuova da parte dell' dall'ATI costituita dalla (...) S.r.l. e dalla (...), la (...) dipendente dell'appaltatrice uscente G.S.p.A. ed in forza presso l'appalto del Comune di Fonte Nuova, era stata assunta dalla odierna opponente con inquadramento 5A in applicazione CCNL applicato dall'azienda "alle medesime condizioni contrattuali acquisite con il precedente datore di lavoro". Successivamente, in data 28.10.2016 è stato siglato un accordo tra la (...) S.r.l. e la (...) da un lato, con le organizzazioni Sindacali dall'altro, relativamente alla gestione dei servizi di igiene ambientale nei comuni di Mentana/Fonte Nuova, rappresentando nel medesimo espressamente la necessità di un nuovo assetto organizzativo da cui è conseguentemente scaturita l'identificazione di 2 esuberi relativamente alla qualifica e mansione di impiegato nonché di 6 demansionamenti: 3 relativi alla mansione di impiegato e 3 relativi alla mansione di operaio. Anche la ricorrente riceveva tali proposte di demansionamento, entrambe rifiutate, stante l'impossibilità di mantenere il superminimo a cui la medesima non intendeva rinunciare. Ferma, quindi, la riorganizzazione compiuta dalle aggiudicatarie, occorre verificare se potesse ritenersi sussistente il motivo di licenziamento, ovvero se vi fosse un nesso causale tra la riorganizzazione aziendale e l'esubero della ricorrente nonché se fosse impossibile ricollocarla altrove in mansioni equivalenti e, infine, verificando l'incidenza che il rifiuto al demansionamento possa aver avuto sulla legittimità del licenziamento intimatole. Quanto al primo profilo, l'istruttoria espletata ha permesso di ricostruire in modo chiaro le mansioni espletate dalla ricorrente che svolgeva attività impiegatizia, quale preparazione rapportini e bolle di scarico, controllo assicurazioni dei mezzi dell'azienda, controllo valigetta pronto soccorso, controllo libretti dei mezzi di trasporto, registrazione dei lavaggi dei mezzi, tenuta della documentazione dei mezzi di cantiere, organizzazione del libretto di circolazione, consegne di materiali, registrazione prospettino presenza operai, numero verde, (cfr. testimonianze degli informatori (...), (...), (...) e (...)). In modo altrettanto inequivoco, è emersa la non riferibilità alla ricorrente dell'attività di fatturazione, gestione prima nota e rapporti con le banche avendo la sola testimone (...) parlato di "rendicontazione di scontrini carburanti e spese del lavaggio dei mezzi ... contabilità di cantiere ..ovvero raccolta dati sulle spese di rifornimento e pulizie mezzi" ( cfr. testimonianza (...) in atti). A ciò si aggiungono le prove documentali circa l'attività espletata dalla ricorrente (cfr. e-mail depositate in allegato al ricorso introduttivo della fase sommaria) e l'assenza di documentazione che provi lo svolgimento di attività di fatturazione, o attività ad essa similare, in allegato alla memoria e ricorso della parte qui opponente né che consenta di ricondurre al concetto di "fatturazione di cantiere" l'attività espletata dalla (...). Non può ritenersi provata, infine, la circostanza asserita dalla società datrice di lavoro relativa alla riconducibilità delle attività della (...) a quelle elencate in memoria (acquisti, risorse umane, qualità, IT, legale, controllo di gestione, marketing, servizi amministrativi, contabilità, segreteria, reception, pulizie) e che la società afferma essere state già affidate al (...) (...), a tal fine espressamente istituito all'interno del gruppo. Ma soprattutto, non vi sono elementi per ritenere che tali attività siano integralmente cessate nell'ambito della sede di Fonte Nuova atteso che i testimoni escussi hanno precisato come le attività della ricorrente abbiano continuato ad essere svolta dalla dipendente (...) ( cfr. testimonianze fase sommaria (...), (...) e (...) ). In concreto, quindi, il fatto posto a base del licenziamento, ovvero il giustificato motivo oggettivo individuato nei suoi due elementi costitutivi (evento riorganizzativo dell'impresa e nesso di causalità con la soppressione del posto di lavoro della V.) non risulta fosse sussistente. Ed ancora, la circostanza che la (...) avesse accettato il demansionamento proposto anche alla ricorrente- e che quest'ultima, invece, avesse espresso il proprio diniego (peraltro ciò non è avvenuto in questi termini avendo la ricorrente dichiarato di poter accettare il demansionamento chiedendo però la conservazione del superminimo) - non appare incidere sulla valutazione circa l'illegittimità del licenziamento. Tale circostanza, infatti, non va certamente ad elidere l'onere del datore di lavoro (cfr. Cassazione civile sez. lav., 11/11/2019, n.29100) di fornire la prova dell'impossibilità del repêchage, e, in particolare, di aver prospettato alla dipendente, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale, ai fini della sua utilizzazione alternativa. In questa prospettiva, costituisce ius receptum il principio secondo cui, se il licenziamento discende dalla soppressione di un ben individuato posto di lavoro (ad esempio, per la soppressione di un ufficio o di una mansione, della esternalizzazione di un settore produttivo ovvero della chiusura di una filiale o di un cantiere), il datore di lavoro è gravato, ex art.5,l. n. 604 del 1966, dell'onere "di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti di tipo indiziario o presuntivo idonei a persuadere il giudice della veridicità di quanto allegato circa l'impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale" (Cass., sez. lav., 4 dicembre 2018, n.31318; Cass., sez. lav., 2 maggio 2018, n.10435). Nell'applicazione concreta, la questione della distribuzione degli oneri allegatori e probatori tra le parti in materia di repêchage è risultata assai controversa ed ha suscitato soluzioni contrastanti in giurisprudenza. Ciò in particolar modo, a seguito della novella del'art.2013,c.c., ad opera del D.Lgs. n. 81 del 2015 che, come è noto, ha previsto, al secondo comma, che "In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale". La Suprema Corte ha costantemente ribadito, in realtà ancor prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2015, che "L'art. 2103, c.c., si interpreta alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un'organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, in coerenza con la "ratio" di numerosi interventi normativi, quali l'art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 151 del 2001; l'art. 1, comma 7, L. n. 68 del 1999; l'art. 4, comma 11, D.Lgs. n. 223 del 1991 anche come da ultimo riformulato dall'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2015, sicché, ove il demansionamento rappresenti l'unica alternativa al recesso datoriale, non è necessario un patto di demansionamento o una richiesta del lavoratore in tal senso anteriore o contemporanea al licenziamento, ma è onere del datore di lavoro, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, prospettare al dipendente la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale" (Cass., sez. lav., 21 dicembre 2016, n.26467; Cass., sez. lav., 9 novembre 2016, n.22798; Cass., sez. lav., 8 marzo 2016, n.4509; Cass., sez. lav., 19 novembre 2015, n.23698; Cass., sez. lav., 22 maggio 2014, n.11395; Cass., sez. lav., 13 agosto 2008, n.21579). Le proposte di demansionamento, inoltre, al fine del mantenimento del posto di lavoro devono essere formulate in modo tale da garantire al prestatore mansioni che, seppure appartenenti al livello di inquadramento inferiore, garantiscano lo stesso trattamento fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Tale tipologia di proposta non è integrata nel caso in esame ove alla ricorrente è stato richiesto, anzi, di rinunciare al superminimo in godimento. In questa prospettiva, può dunque concludersi che l'offerta di un demansionamento e l'obbligo di repêchage si muovono su piani del tutto differenti e che, anche volendo ritenere che il datore avesse offerto mansioni inferiori rientranti nel bagaglio professionale della lavoratrice, non è stata fornita la prova della soppressione del posto della ricorrente e dell'impossibilità di ricollocare la lavoratrice in posizioni analoghe a quelle rivestite. Non sono neppure emersi elementi per ritenere che le sue mansioni fossero divenute esuberanti nel contesto di riorganizzazione/centralizzazione effettuato dalla società, atteso che la sede di Fonte Nuova è tutt'ora operativa tanto che in udienza il procuratore dell'opponente, pur avendo specificato che non ci sono in quella sede posizioni da attribuire alla ricorrente, ha però dichiarato che " forse alcune mansioni che vengono svolte a Fonte Nuova le avrà anche potute svolgere la ricorrente ma ora l'organizzazione è strutturata" confermando che un margine di ricollocamento si sarebbe ben potuto indagare e reperire all'epoca del licenziamento. A ciò si aggiunge l'assenza di prova, gravante sul datore di lavoro, della riconduzione delle mansioni della ricorrente all''ufficio centrale nell'ambito della ristrutturazione organizzativa operata dall'azienda e posta alla base del licenziamento intimato alla (...). La domanda di opposizione non può, quindi, essere accolta. Quanto alla reintegrazione della ricorrente quest'ultima ha specificato di essere stata assegnata presso diversa sede, quella di Fiumicino, e con mansioni di addetta al servizio di facchinaggio. Al riguardo, deve ritenersi che il datore di lavoro abbia l'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto e, solo in caso di mutamento dell'organizzazione aziendale, possa legittimamente adibire il lavoratore reintegrato a mansioni equivalenti alle precedenti. L'eventuale mancato rispetto di tale obbligo comporta la responsabilità datoriale salva la dimostrazione che il posto precedentemente occupato o la ricollocazione in altro equivalente non esistano più per causa oggettiva a lui non imputabile. La circostanza che il procuratore della parte opponente abbia specificamente affermato, seppure in forma ipotetica, che sussistono ancora mansioni a Fonte Nuova che la ricorrente aveva precedentemente svolto, consente di ritenere non adempiuto tale onere probatorio seppure la sua violazione esuli dall'oggetto dell'opposizione. Quanto, poi, alle richieste in merito alla mancata regolarizzazione contributiva, le stesse non costituiscono oggetto del presente giudizio di opposizione che riguarda l'impugnativa di licenziamento e non l'esecuzione dell'ordinanza della fase sommaria. Relativamente, infine, alle spese della fase sommaria, infine, non si ravvisa alcuna violazione di legge nella decisione del giudice di applicare i minimi tariffari trattandosi di procedimento assimilabile ad un procedimento di urgenza e non dovendo il Giudice fornire una più profonda motivazione in caso di applicazione di una tariffa che non scenda al di sotto dei minimi legali. I parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento, infatti, costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica "standard" del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri. Le spese del presente giudizio sono poste a carico dell'opponente e vanno distratte, così come quelle della prima fase, in favore del procuratore della parte opposta. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria eccezione o deduzione, rigetta l'opposizione; condanna la parte opponente al rimborso dei compensi di avvocato che liquida in Euro 2789,00 oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Manda alla Cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Tivoli il 15 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI in persona del Giudice dott. Marco Piovano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. 817/2019 R.G. promossa da: So.Ir. - C.F. (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Co. per procura posta in allegato all'atto di citazione ritualmente notificato ed elettivamente domiciliata presso lo studio del suo difensore in Roma, via (...), ATTRICE, nei confronti di CONDOMINIO (...) 164 FORMELLO - C.F. (...), in persona dell'amministratore dott. En.D'A.,, rappresentato e difeso dall'avv. Al.Fe. per procura posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore in Roma, viale (...), CONVENUTO, Avente ad oggetto: impugnazione delibera condominiale. Conclusioni delle parti: come dai rispettivi atti. FATTO E DIRITTO L'attrice deduceva: di essere proprietaria di una villa facente parte del condominio convenuto; che l'assemblea condominiale convocata in data 17.1.2019 aveva deliberato positivamente sul punto 4 dell'odg decidendo la rimozione, per ragioni di sicurezza, di una siepe situata nella zona inferiore del condominio, di fronte ad alcune ville, tra le quali la sua; di essersi già in precedenza opposta a tale ipotizzato lavoro evidenziando il grave pericolo che sarebbe derivato dalla suddetta rimozione (abbassamento livello terreno, importante fuoriuscita di acqua, difficoltà di drenaggio della stessa, cedimento terreno, ecc). Eccepiva, quindi, la nullità/annullabilità della delibera: A. perché riguardando l'eliminazione di un bene comune, avrebbe dovuto essere assunta all'unanimità; B. perché dalla stessa sarebbe derivato il danneggiamento del decoro architettonico del condominio; C. per i gravi danni e pregiudizi che sarebbero potuti derivare alla proprietà comune ed alla sua; D. per violazione dell'art. 11, lettera F del regolamento condominiale, che vietava opere di disboscamento invece necessarie per la rimozione decisa. Su tali basi, concludeva in conformità. Si costituiva in giudizio il Condominio (...) 164 Formello contestando la domanda e replicando quanto ai motivi di impugnazione: quanto a quello sub A, che l'abbattimento della siepe non poteva essere considerata come innovazione ai sensi dell'art. 1120 c.c. e, in ogni caso, la delibera era stata adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c. che consente di disporre ogni innovazione diretta al miglioramento o all'uso più comodo dei beni comuni; quanto a quello sub B, che dalla rimozione della siepe il condominio non avrebbe sofferto alcun danno sotto l'aspetto del decoro, anzi il contrario, proprio perché - a parte il vantaggio dell'eliminazione di un bene esso invece pericoloso perché facilmente oltrepassabile da numerosi animali - il complesso ne avrebbe guadagnato, per il maggior allargamento della vista sul bosco circostante; quanto al punto sub C, che nessun pericolo potesse conseguire alla eliminazione della siepe che invece era - come detto - essa stessa fonte di pericolo; quanto al punto sub D, che alcuna violazione del regolamento di condominio era ipotizzabile, posto che i lavori non avrebbero in alcun modo comportato interventi nel bosco circostante il complesso condominiale. Su tali basi, chiedeva il rigetto della domanda. Nel corso dell'istruttoria veniva svolta CTU alla cui conclusioni il Tribunale si riporta in quanto frutto di esaustiva indagine, condotta con metodo condivisibile e privo di errori logici e giuridici. Ritiene il Tribunale. E' pacifico che "... nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 cc, vanno ritenuti comuni a norma della suddetta disposizione' (Cass. 7889/2000). Inoltre, è da considerarsi altrettanto pacifico che l'amministratore, in caso di necessità ed urgenza, come ad esempio nel caso in cui l'albero rischi di cadere o di recare pregiudizio a costruzioni ad esso adiacenti, abbia la facoltà di provvedere all'abbattimento, sottoponendo, con l'ordine del giorno della prima assemblea utile ai condomini la ratifica del proprio operato. Diverso è il caso - che a prima vista potrebbe essere assimilato a quello in esame - in cui si intenda approvare una delibera con la quale si richiede l'abbattimento di alberi che non rischino di arrecare alcun pregiudizio o comunque un pregiudizio talmente grave da dover imporre un intervento autonomo da parte dell'amministratore. Sul punto la Corte d'Appello di Roma con sentenza 478/2008, più volte richiamata negli scritti difensivi delle parti, ha avuto modo di affermare che: "L'abbattimento di alberi, comportando la distruzione di un bene comune, deve considerarsi un'innovazione vietata e, in quanto tale, richiede l'unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio; né può ritenersi che la delibera di approvazione, a maggioranza, della spesa relativa all'abbattimento, possa costituire valida ratifica dell'opera fatta eseguire di propria iniziativa dall'amministratore". Peraltro, va in tal senso preliminarmente verificato se all'abbattimento dell'albero di cui si parla nella sentenza possa essere validamente assimilato l'abbattimento della siepe, elementi, entrambi, certamente rientranti nella categoria delle cose comuni di cui all'art. 1117 c.c. Ritiene il Tribunale che tale assimilazione sia possibile, non rinvenendosi alcun motivo di regolamentare in modo diverso il destino di beni che, sia pur nella diversità di funzioni e di incidenza rispetto alle proprietà dei singoli, debbono incontestabilmente considerarsi comuni a tutti i condomini. Ciò detto, va rilevato come l'attuale impianto normativo codicistico abbia notevolmente ampliato i poteri deliberativi della maggioranza anche per quanto riguarda i beni comuni e le innovazioni in genere. In particolare, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1120 cc, sono oggi "vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato, quelle che ne alterino il decoro architettonico e quelle che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di un solo condomino", mentre la decisione di tutte le altre innovazioni è regolamentata prevedendo, per la loro approvazione, determinate maggioranze e modalità di convocazione assembleare, consentendo altresì, ricorrendo particolari condizioni, anche l'approvazione di innovazioni "gravose e voluttuarie' ai sensi dell'art. 1121 c.c.. Quindi, ciò che deve essere fatto oggetto di verifica per i fini che qui interessano è se l'innovazione rappresentata dalla eliminazione della siepe integri o meno il divieto di cui al sopra citato ultimo comma dell'art. 1120 c.c.. La risposta è positiva. Rispondendo ai quesiti posti relativamente allo stato dei luoghi ed alle conseguenze ipotizzabili dopo la rimozione della siepe, il CTU ha affermato che "... Il percorso arboreo ha sicuramente sviluppato negli anni un intrico di radici di tipo superficiale e di profondità tale da opporsi al naturale dilavamento del terreno verso valle..." (cfr. elaborato CTU, pag. 5) e che "... si raccomanda di evitare la rimozione della siepe ... in quanto l'esiguo spazio pianeggiante esistente tra il cordolo stradale ed il ciglio del terreno, che poi precipita a valle verso il fosso, è quasi interamente occupato dall'impianto vegetale con una sezione variabile di mt. 1 c.a., risultando naturalmente consolidato dalla massa radicale, che frena l'erosione e smaltisce il deflusso delle acque, ormai a regime, con percorsi consolidati verso il recapito finale nel letto del torrente ..." (cfr. elaborato, pag. 5), precisando altresì come "... la scelta di posare una rete previo disboscamento della siepe, non potrebbe prescindere anche dal consolidamento del terreno, mediante carotaggi, della nuova sezione pianeggiante ottenuta. In assenza il declivio patirebbe un processo di dilavamento con le prime forti piogge e conseguente scorrimento del terreno. A causa dei ripetuti smottamenti, la stessa stabilità del passo carrabile risulterebbe compromessa ..." (cfr. elaborato pag. 6). A prescindere da ogni altra considerazione, non vi è quindi chi non veda come l'ausiliario abbia messo in evidenza come l'eliminazione della siepe possa comportare un ipotetico ma fondato pregiudizio della stessa stabilità del fabbricato così da far risultare integrato almeno uno dei requisiti necessari a sancire il divieto dell'innovazione ai sensi del più volte rammentato quinto comma dell'art. 1120 c.c.. L'accertamento di tale pregiudizio non può essere vinto da quello dedotto dal condominio convenuto: infatti, la valutazione comparativa tra questo e quello rappresentato dall'intrusione di animali selvatici nella proprietà attraverso la siepe, non può consentire di ritenere quest'ultimo prevalente sul primo che, come visto, involge la stessa stabilità del fabbricato che potrebbe essere messa a rischio dalla eliminazione del bene e dalla sua sostituzione con la rete metallica, accorgimento peraltro considerato neanche decisivo dall'ausiliario, posto che "... la soluzione della rete non sarebbe risolutiva, in quanto il cinghiale abituato a scavare per procurarsi tuberi e radici, non avrebbe insormontabili difficoltà ad aggirare col tempo l'ostacolo, violando il presidio da sotto ..." (cfr. elaborato, pag. 6). Il primo motivo di impugnazione della delibera è dunque da ritenersi fondato ed assorbe i rimanenti. La domanda va quindi accolta. Le spese di CTU vanno poste a definitivo carico della parte convenuta, fermo il vincolo di solidarietà di tutte le parti in favore dell'ausiliario. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate sulla base del DM 147/2022 (scaglione di valore dichiarato indeterminabile; base tariffa media; riduzione del 50% su tutte le fasi). P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, in persona del Giudice dott. Marco Piovano, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) con atto di citazione ritualmente notificato nei confronti di Condominio (...) 164 Formello, così provvede: 1) Accoglie la domanda; 2) Per l'effetto, dichiara nulla la delibera assembleare adottata dal condominio convenuto in data 17.1.2019 limitatamente al punto 4 posto all'odg; 3) Pone le spese di CTU a definitivo carico della parte convenuta, così come in motivazione; 4) Condanna il Condominio (...) 164 Formello, in persona dell'amministratore pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio in favore di (...) che liquida in Euro 545,00 per esborsi ed in Euro 3.808,00 per onorari, oltre spese forfettarie, ca e iva se dovuta. Così deciso in Tivoli il 31 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI in persona del Giudice dott. Marco Piovano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. 3523/2019 R.G, promossa da: (...) - C.F. (...), (...) - C.F. (...), (...) - C.F. (...), rappresentati e difesi dall'avv. An.Ca. per procure poste in allegato all'atto di citazione ed elettivamente domiciliati presso lo studio del loro difensore in Roma, via (...), ATTORI, nei confronti di CONDOMINIO VIA (...) n. 6 GUIDONIA MONTECELIO - C.F. (...), in persona dell'amministratrice dott.ssa Al.Ro., rappresentato e difeso dall'avv. Gi.Di. per procura posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore in Roma, viale (...), CONVENUTO, avente ad oggetto: impugnazione delibera assembleare. Conclusioni delle parti: come da verbale e da atti. FATTO E DIRITTO Premesso che, con atto di citazione, (...), (...) e (...), hanno promosso il presente giudizio nei confronti del Condominio indicato in epigrafe, chiedendo dichiararsi l'annullamento della delibera resa dall'assemblea in data 14.6.2019, concernente - tra l'altro - l'approvazione della spesa a lavori straordinari riguardanti i lastrici solari degli appartamenti interni numero 18 e 19, lamentando l'erronea ripartizione della stessa in violazione del disposto di cui all'art. 1126 c.c.. Si costituiva il convenuto contestando la domanda ed eccependo, in via preliminare, l'irregolarità della notifica in quanto eseguita telematicamente all'indirizzo di posta elettronica dell'amministratrice del condominio (...), recapito non idoneo a tal fine in quanto non ricompreso né nel registro Ini-Pec, né nel Reginde. Chiedeva il rigetto della domanda. Rileva il Tribunale. Ai sensi dell'art. 1137 c.c. la delibera condominiale può essere impugnata nel termine perentorio di 30 giorni decorrenti dalla data della deliberazione per i presenti all'assemblea, dalla data della sua comunicazione per gli assenti. L'atto di citazione introduttivo del presente giudizio è stato notificato a mezzo pec in data 13.7.2019; è pacifico che l'indirizzo pec dell'amministratrice non fosse idoneo - per i motivi sopra detti, non contestati dalla parte attrice - a ricevere le notifiche degli atti, dovendosi dunque considerare quella effettuata del tutto inesistente e non meramente nulla (Cass. Ord. 17346/2019; 3093/2020; CTR Lazio 915/2022; CTR Toscana 1526/2021; CTR Lazio 11779/2021), posto che l'art. 3 bis della Legge 53/1994, rubricato "notificazione in modalità telematica", al comma 1, prevede espressamente che: "la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi". Dunque, il vizio della notifica inviata attraverso pec non ufficiale va ricondotto allo schema della nullità insanabile, cosicché va considerato escluso qualsiasi effetto sanante per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., in quanto: "utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri, il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine" (CTR Lazio 601/2020). Alla inesistenza della notifica, consegue lo spirare del termine decadenziale previsto dall'art. 1137 c.c. sopra citato con conseguente inammissibilità della domanda. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo ai sensi del DM 55/2014 (scaglione fino ad Euro 5.200,00, base tariffa media, esclusione fase istruttoria, riduzione del 50% sulle rimanenti fasi). P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, in persona del Giudice dott. Marco Piovano definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...), (...), (...) con atto di citazione notificato al Condominio via (...) n. 6 Guidonia Montecelio, così provvede: 1) Accerta e dichiara l'inammissibilità della domanda per intervenuta decadenza degli attori dall'impugnazione; 2) Condanna (...), (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese di giudizio in favore del Condominio via (...) n. 6 Guidonia Montecelio, in persona dell'amministratore pro tempore, nella misura di Euro 810,00 per onorari, oltre spese forfettarie, ca e iva se dovuta. Così deciso in Tivoli il 12 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TIVOLI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Anna Multari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g.834/2016 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. DE.GI., ATTORE/I contro (...) SPA con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) adivano l'intestato Tribunale chiedendo che venissero accolte le seguenti conclusioni: "1) accertare e dichiarare l'esatto importo di cui risulterebbero debitori i garanti rideterminando, il legittimo saldo dei rapporti tra le parti, con partenza da saldo zero ed, in ogni caso, con epurazione da tutte le poste illegittime per effetto della previsione e/o applicazione di tassi usurari, di anatocismo, di commissioni e di spese illegittime, nella misura indicata negli accertamenti peritali di parte ovvero in quella, maggiore o minore, ritenuta di giustizia all'esito del processo; 2) ordinare alla Banca convenuta, qualora non vi avesse già provveduto spontaneamente, di effettuare la corretta segnalazione del presente procedimento in Centrale dei Rischi sotto la voce "stato del rapporto" quale "contestato", ai sensi del 13 e 14 aggiornamento della Circolare della Banca d'Italia 11.2.1991 n. 139 e successive modifiche ed integrazioni; 3) condannare la Banca convenuta al risarcimento dei danni, anche ex artt. 2043 c.c. e 185 c.p., nella misura che verrà all'uopo ritenuta di giustizia, eventualmente anche con liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.; 4) condannare la Banca convenuta al pagamento delle spese e dei compensi di causa, determinati ex D.M. 140/2012, oltre accessori di legge, con liquidazione in favore del difensore". Si costituiva (...) s.p.a. "Voglia il Tribunale, ogni contraria eccezione, deduzione ed istanza disattesa, - in via preliminare, accertate e dichiarare l'inammissibilità della domanda attorea, in forza dei motivi sopra esposti; - in via principale e nel merito rigettare la domanda attorea, in quanto infondata in fatto e diritto; - in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento in tutto o in parte delle domande proposte dalla attrice, disporre la compensazione, anche parziale, delle somme che dovessero essere liquidate in favore di quest'ultima a titolo di restituzione o di risarcimento danni o di spese di lite con il credito vantato da (...) S.p.A. nei confronti di essa attrice. Con vittoria di spese, competenze ed onorari". All'udienza di precisazione delle conclusioni parte attrice concludeva: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così provvedere: 1) accertare e dichiarare la nullità della capitalizzazione degli interessi; 2) accertare e dichiarare la nullità degli interessi, delle commissioni e delle spese per difetto di forma scritta e di specifica pattuizione; 3) accertare e dichiarare la previsione e/o applicazione di condizioni usurarie; 4) per effetto di quanto sopra, determinare il saldo debitorio del rapporto di conto corrente nella misura di Euro 91.489,78, in luogo di quella di Euro 235.075,62, risultante dalla documentazione prodotta dalla Banca, con una differenza, a favore del correntista, di Euro 143.585,84. 5) Porre le spese di CTU ad integrale carico della convenuta. In ogni caso, condannare parte convenuta al pagamento delle spese e dei compensi di causa, determinati ex D.M. 140/2012, oltre accessori di legge, con distrazione in favore del difensore". Parte convenuta concludeva come da foglio di precisazione delle conclusioni depositato in vista dell'udienza. La causa veniva istruita documentalmente e mediante l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio i cui esiti, inclusa l'integrazione, devono essere recepiti in quanto logicamente argomentati. Preliminarmente giova osservare che non solo il fideiussore ma anche il garante può sollevare eccezioni rispetto al rapporto principale fondate sulla nullità anche parziale del contratto per contrarietà a norme imperative (Cass. sez. I n. 371/2018). Nel merito giova, in particolare, rilevare che il c.t.u. nominato dott. (...) ha concluso quanto all'anatocismo che vi è stata applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per l'intera durata del rapporto, mentre per gli interessi attivi in sede di apertura del conto è stata adottata la capitalizzazione annuale, per passare poi, dal III Trim 2000, alla capitalizzazione trimestrale, in osservanza del principio di reciprocità stabilito dalla delibera C.I.C.R.. Quanto alla commissione di massimo scoperto, deve essere rilevato che, correttamente, stante l'assenza di una valida pattuizione in proposito il c.t.u. ha proceduto al ricalcolo espungendola. Quanto ai tassi di interesse, correttamente sono stati ricalcolati dal c.t.u. al tasso legale considerato che nonostante il saldo negativo del conto a partire dal IV trimestre 2001, non risulta versato in atti un contratto di apertura di credito né può rinversi la relativa disciplina nel contratto di conto corrente. Gli interessi pattuiti (né in concreto applicati) hanno superato la soglia di usura. Il c.t.u. giungeva, dunque, a rideterminare un saldo debitorio del conto corrente pari a Euro 94.396,42 (rispetto al saldo negativo come da estratto conto di Euro 235.075,62) con conseguente differenza a favore del correntista di Euro 140.679,20. A seguito dell'integrazione del quesito, tuttavia, il c.t.u. precisava che il saldo debitorio effettuato il ricalcolo senza ricapitalizzazione era di Euro 91.489,78. Tale operazione si rendeva necessaria in quanto (pur essendo gli interessi trimestralmente calcolati secondo il principio di reciprocità) non veniva data prova che vi fosse stata in proposito apposita pattuizione successiva alla delibera CICR del 9.2.2000 (Cass. sez. I n. 17634/2021). Pertanto, il saldo debitorio deve essere ricalcolato in favore di parte convenuta nella misura di Euro 91.489,78, in luogo di quella di Euro 235.075,62, risultante dalla documentazione prodotta dalla Banca, con una differenza, a favore del correntista, di Euro 143.585,84. Le spese di lite seguono la soccombenza e devono essere liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014 come modificato dal D.M. 37/2018. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: accoglie le domande di parte attrice e per l'effetto ridetermina il saldo debitorio del conto corrente garantito in Euro 91.489,78, in luogo di quella di Euro 235.075,62, risultante dalla documentazione prodotta dalla Banca, con una differenza, a favore del correntista, di Euro 143.585,84; Condanna altresì la parte convenuta a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in (...) per compensi, rimborso forfetario al 15%, oltre i.v.a., c.p.a. come per legge da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di c.t.u. liquidate come da separati provvedimenti. Così è deciso in Tivoli il 15 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2022.

  • TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott. Roberta Mariscotti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. .../2020, pendente tra E.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ... ricorrente e INPS elettivamente domiciliato presso VIA ... 00100 ROMA rappresentato e difeso dall'avv. ... giusta procura in atti resistente OGGETTO: Altre controversie in materia di previdenza obbligatoria Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso ritualmente notificato la Sig.ra L.E., adiva il Tribunale di Tivoli, in funzione di Giudice del Lavoro, deducendo di aver richiesto all'INPS, con domanda del 14.10.2019, la costituzione della pensione di reversibilità, quale figlia inabile della defunta C.M. pensionata INPS CAT. VO n. (...), dalla quale, al momento della morte, in data 02.05.2019, si trovava nella condizione di dipendenza economica, in qualità di figlio invalido con totale e permanente inabilità lavorativa. In particolare, la ricorrente sosteneva di essere affetta da gravi infermità psicofisiche (cardiopatia ipertensiva, insufficienza renale cronica, artrite reumatoide ed altre) e di essere titolare di pensione di invalidità civile al 100%. L'INPS respingeva la predetta domanda in quanto la ricorrente non risultava a carico del genitore al momento del decesso. Il ricorso presentato al Comitato Provinciale restava senza esito alcuno e, la ricorrente chiedeva, pertanto, all'adito Tribunale accertarsi e dichiararsi il suo diritto alla pensione di reversibilità con conseguente condanna dell'Istituto alla corresponsione della pensione nella misura e con la decorrenza di legge. Si costituiva in giudizio l'INPS, il quale, dedotto il mancato riconoscimento della prestazione perché la L. non risultava a carico della dante causa, e comunque, non emergendo alcun inequivoco elemento per apprezzare la sua dipendenza economica dalla stessa (essendo la ricorrente titolare di pensione di invalidità civile ex art. 12 L. n. 118 del 1971) deduceva l'infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto. Si procedeva alla nomina di un consulente medico legale, nella persona del Dott. D.R.G., al fine di valutare la sussistenza dei requisiti sanitari per il diritto alla relativa prestazione previdenziale richiesta. Sulle conclusioni indicate la causa veniva decisa previo deposito di note di trattazione scritta. Il ricorso non è fondato. MOTIVI DELLA DECISIONE Si ricorda che l'art. 13 L. n. 218 del 1952, come modificato dall'art. 22 L. n. 903 del 1965, stabilisce che "Nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché per quest'ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all'articolo 9, n. 2, lettere a) e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi. Ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro, i figli studenti, i genitori, nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili al lavoro, si considerano a carico dell'assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa". Ai fini della maturazione del diritto alla reversibilità della pensione è quindi necessario verificare che al momento del decesso del pensionato il figlio maggiorenne superstite fosse inabile al lavoro, in condizioni di non autosufficienza economica ed altresì che il congiunto partecipasse in misura continuativa e prevalente al suo mantenimento. Va anche sottolineato che secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, il requisito della "vivenza a carico", se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza nè con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile; tale accertamento di fatto è rimesso al giudice di merito e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Il requisito della "vivenza a carico", se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza nè con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore ed in tale valutazione occorre prendere in considerazione tutti gli elementi di giudizio acquisiti al processo in base ai quali poter ricostruire la sussistenza o meno di una rilevante dipendenza economica del figlio inabile dal defunto genitore." (Cass. Sez. L nn. 9237 del 13/04/2018, n. 3678 del 14/02/2013; n. 22738 del 04/10/2013). Nel caso di specie il ricorrente non ha dimostrato, in primo luogo, il requisito della vivenza a carico della madre al momento della morte di questa, avendo, tra l'altro prodotto agli atti, a dimostrazione della sua dipendenza economica dalla genitrice, esclusivamente un atto notorio. Né del resto dall'entità dei redditi dichiarati nella domanda amministrativa potrebbe evincersi in modo inequivoco che la stessa dipendesse economicamente da taluno (e pertanto neppure dalla madre), non essendovi alcun riscontro di dazioni di denaro in suo favore ed essendo la stessa titolare di prestazione di pensione di invalidità civile (100%) come del resto dichiarato nello stesso ricorso introduttivo. È appena il caso di sottolineare che neppure con riferimento al requisito della invalidità è stata fornita, dalla ricorrente, inequivoca prova e le risultanze dell'espletata CTU fanno propendere per considerazioni contrarie a tale pretesa. E' bene precisare che l'art. 8 della L. n. 222 del 1984, attribuisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della pensione di inabilità e delle altre prestazioni contemplate dalla norma, nonché della pensione di riversibilità prevista dagli artt. 21 e 22 della L. n. 903 del 1965, al criterio oggettivo della "assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa", nel senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto (Cass. Sez. L - Ord. n. 8678 del 09/04/2018). L'accertamento del requisito della "inabilità" (di cui all'art. 8 della L. 12 giugno 1984, n. 222) richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell'art. 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico (Cass. Sez. L. sent n. 21425/2011). Proprio in considerazione ai suddetti presupposti nella relazione peritale depositata in atti dal Dott. G.D.R. si legge che "la Sig.ra L. non possedeva questo requisito sanitario, a quanto risulta dall'esame obiettivo effettuato e dall'analisi finale dalla documentazione agli atti, al momento del decesso della de cuius, potendo anche accedere per l'inserimento lavorativo alle categorie protette indicate dalla L. n. 68 del 1999 per gli invalidi civili. Se è vero che tale possibilità non appare all'età e nelle condizioni familiari del ricorrente di agevole conseguimento, il che può dispiacere sul piano umano, il decreto legislativo sulla reversibilità è quello indicato dagli articoli delle L. n. 222 del 1984 e L. n. 903 del 1965 sopra riportati e va applicato con rigorosa precisione, trattandosi di una richiesta di reversibilità "a tout jamais" in favore di un figlio superstite di una pensione che lo Stato aveva inteso erogare per il lavoro prestato ed i contributi versati da un'altra persona e che, senza il riscontro delle stringenti condizioni sanitarie richieste dalla legge, non può certo passare, come fosse parte di un personale asse ereditario, nella disponibilità dell'erede costituita dalla defunta benificiaria". Al quesito formulato dal Giudice ed a conclusione delle proprie osservazioni il CTU ha risposto che la Sig.ra L. non risulta in possesso né lo era al momento del decesso della genitrice dei requisiti sanitari richiesti dall'art. 8 della L. n. 222 del 1984 per il diritto alla reversibilità della pensione della de cuius C.M. quale figlia superstite ai sensi della L. n. 903 del 21 luglio 1965. Alla luce delle suesposte emergenze, non essendo stata raggiunta la prova della sussistenza dei presupposti di legge per il diritto azionato dalla ricorrente, la domanda deve essere respinta. Sussistono i presupposti ex art. 152 disp. att. c.p.c. per la dichiarazione di irripetibilità delle spese di lite. Le spese di consulenza, liquidate con separato decreto, sono poste a carico dell'INPS. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe: 1. - rigetta il ricorso; 2. - dichiara irripetibili le spese di lite. Pone le spese di consulenza definitivamente a carico dell'Inps. Così deciso in Tivoli il 19 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI Sezione Civile Il Tribunale di Tivoli, in composizione collegiale, composto dai Signori Magistrati: - Dott.ssa Maria Luisa Messa - Presidente - Dott.ssa Caterina Liberati - Giudice - Dott. Valerio Medaglia - Giudice Rel. riunito in camera di consiglio ha emesso la seguente SENTENZA nella causa 5873/2018 promossa da E.G. rappresentata e difesa dall'Avv....; RICORRENTE contro L.M. rappresentata e difesa dall'Avv.. e dall'Avv..; RESISTENTE Oggetto: separazione giudiziale. Svolgimento del processo Con ricorso ritualmente depositato E.E. adiva l'intestato Tribunale al fine di ottenere la separazione giudiziale nei confronti di L.M., con addebito a carico di quest'ultimo, alle condizioni ivi previste. Allegava che in data 05.01.1997 in ...(VT) le parti avevano contratto matrimonio; che dall'unione erano nate le figlie E., in data (...), e S., in data (...); che aveva lavorato sin dal 1989 a tutto il mese di marzo del 2013 presso l'impresa di famiglia; che il resistente si era allontanato dalla casa familiare il 14.04.2013 senza farvi ritorno; che il resistente era venuto meno ai doveri coniugali, accompagnandosi ad altre donne, concedendosi vacanze senza la moglie, generando in questa gravi insicurezze; che la ricorrente viveva con le figlie presso la casa familiare in P. Via P. N. n. 115 di proprietà della famiglia...; che il resistente era amministratore unico della P.M. S.r.l., fondata dal padre P.M., nonché socio della stessa mediante la M. S.r.l., percependo un reddito mensile di 5.000,00 euro netti; che il resistente era titolare di varie proprietà immobiliari nonché di titoli finanziari e conti correnti e di beni mobili registrati; che il tenore di vita della famiglia era stato sempre molto agiato; che la ricorrente era priva di redditi e non era in grado di collocarsi utilmente nel mercato del lavoro, sicché occorreva riconoscere un assegno di mantenimento in favore della ricorrente idoneo al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Si costituiva L.M. aderendo alla richiesta di separazione, chiedendo il rigetto dell'addebito e ponendo diverse condizioni. Allegava che nel novembre 2012 la ricorrente aveva avviato trattative per una separazione consensuale; che nell'aprile del 2013 il resistente, di comune accordo, lasciava la casa familiare e le parti tentavano per quattro anni di ricostituire l'unione familiare; che nell'aprile del 2017 il resistente aveva proposto un impiego nell'azienda familiare, ricevendo il rifiuto della ricorrente; che nel 2018 la ricorrente aveva ricevuto un'ulteriore proposta di lavoro a cui non aveva dato seguito; che la richiesta di addebito si fondava su fatti generici; che il resistente aveva un ottimo rapporto con le figlie; che il resistente percepiva un reddito mensile di 4.000,00 euro derivante dall'attività imprenditoriale oltre a 5.000,00 euro mensili da canoni di locazione, nonché di proprietà immobiliari. Con ordinanza presidenziale del 30.05.2019 venivano adottati i provvedimenti urgenti tra le parti. La parte ricorrente depositava memoria integrativa ribadendo le proprie allegazioni e conclusioni. La parte resistente depositava comparsa di costituzione e risposta con cui ribadiva le proprie allegazioni e conclusioni. All'esito dell'udienza di trattazione, le parti chiedevano l'emissione di sentenza parziale sullo status e il G.I. rimetteva la decisione al Collegio che con sentenza del 29.11.2019 dichiarava la separazione giudiziale tra le parti con rimessione della causa sul ruolo per il prosieguo. Assunte le prove orali ammesse ed espletate indagini di polizia tributaria sui redditi e patrimoni delle parti, all'udienza del 10.12.2021, sostituita dalla trattazione scritta ai sensi dell'art. 221 del D.L. n. 34 del 2020 convertito nella L. n. 77 del 2020, le parti precisavano le conclusioni e il G.I. rimetteva la causa al collegio per la decisione, con concessione dei termini di legge. Motivi della decisione In via preliminare occorre dare atto che con sentenza emessa in data 14.12.2020 è stata pronunciata la separazione giudiziale tra le parti. Ancora in via preliminare si dà atto che non saranno considerati ai fini della decisione i documenti prodotti dalle parti per la prima volta con le comparse conclusionali e con le memorie di replica in quanto inammissibili, non potendosi produrre fonti di prova dopo la precisazione delle conclusioni, né saranno prese in considerazione le allegazioni e le domande formulate dalle parti per la prima volta con i predetti atti processuali, non potendo le parti dedurre nuovi fatti o formulare nuove domande a mezzo degli stessi. Ciò chiarito, è possibile procedere alla valutazione delle domande proposte dalle parti. L'odierna ricorrente domanda l'addebito della separazione a carico del resistente adducendo la violazione del dovere di fedeltà e di assistenza previsti dall'ordinamento giuridico. La domanda è infondata. La pronuncia di addebito esige che uno dei coniugi abbia serbato una condotta contraria ai doveri coniugali e tale da porsi come causa immediata e diretta della crisi irreversibile dell'unità coniugale (Cass. civ. 18074/2014). La pronuncia di addebito implica una valutazione discrezionale ad opera del giudice, con riferimento alla violazione dei doveri matrimoniali da parte di uno o di entrambi i coniugi: detta valutazione deve comprendere il complessivo comportamento dei coniugi nello svolgimento del rapporto coniugale. Ciò posto, deve rilevarsi che le deduzioni offerte dalla parte ricorrente a sostegno della domanda di addebito siano del tutto generiche e come tali inidonee a giustificare la pronuncia di addebito della separazione a carico del resistente. La parte ricorrente negli scritti difensivi si limita a dedurre che il resistente avrebbe violato i doveri coniugali "accompagnandosi spesso con altre donne, concedendosi lussuose vacanze in assenza della moglie, relegandola sempre più spesso al ruolo di custode del focolare domestico e lavoratrice indefessa", allontanandosi da casa il 14.04.2013. Si tratta di deduzioni generiche, prive di collocazione temporale e spaziale sicché la domanda di addebito risulta radicalmente viziata da un difetto di allegazione che ne preclude l'accoglimento. Né possono assumere rilevanza ai fini della valutazione della domanda di addebito le vicende giuridiche che hanno coinvolto l'odierna ricorrente e l'impresa P.M. nonché la omonima società commerciale successivamente costituita, posto che le stesse non possono riferirsi all'odierno resistente, soggetto distinto dalla predetta impresa commerciale. In definitiva, la domanda di addebito della ricorrente va rigettata. E' pacifico che dall'unione matrimoniale sono nate le figlie E., il (...), e S., il (...). Risulta altresì pacifico tra le parti che la figlia E. frequenti l'IED di Milano e che la stessa, pur vivendo a Milano per frequentare l'IED, torni periodicamente presso la casa familiare, nonché che la figlia S. viva attualmente presso la casa familiare con la madre. Risulta pacifico tra le parti che entrambe le figlie siano attualmente prive di indipendenza economica. Ciò posto, deve accogliersi la domanda delle parti volta all'assegnazione della casa familiare in favore della ricorrente. Secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità l'assegnazione della casa familiare è finalizzata a preservare l'habitat domestico dei figli minorenni ovvero maggiorenni ma non economicamente autosufficienti (Cass. civ. n. 18440/2013), con la conseguenza che l'assegnazione non è possibile in favore del coniuge che non abbia l'affidamento - o la collocazione presso di sé - della prole (Cass. civ. n. 2106/2018). Inoltre, si deve evidenziare altresì che, ai fini dell'assegnazione della casa familiare, non assumono rilevanza le ragioni dominicali del genitore, essendo decisivo esclusivamente quello dei figli alla continuità domestica, in modo da evitare possibili traumi connessi allo sviluppo della loro personalità. Ciò posto, nel caso di specie è pacifico che le figlie delle parti, maggiorenni e non economicamente indipendenti, risiedano presso la casa familiare con la madre, pur vivendo la figlia E. a Milano per ragioni di studio, ritornando la stessa periodicamente presso la casa familiare. Dunque, sussistendo l'esigenza di garantire la continuità dell'ambiente domestico in favore della prole, deve disporsi l'assegnazione della casa familiare in favore della ricorrente. Stante la non indipendenza economica delle figlie delle parti, occorre regolare il contributo dei genitori al mantenimento delle stesse. Sul punto si deve rilevare che, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, stabilendo il Giudice, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (art. 337-ter, comma 4 c.c.). Pertanto, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto. Si è precisato, altresì, che non solo le condizioni esistenti durante l'unione debbano fungere da parametro di riferimento, ma anche gli eventuali miglioramenti della situazione economica di uno o di entrambi i genitori (Cass. Civ. n. 785/2012), così come gli eventuali peggioramenti, purché non "strumentali" (Cass. civ. n. 20064/2011). In ordine ai criteri di determinazione della misura nella quale il mantenimento dei figli debba gravare su ciascun genitore, la giurisprudenza ha sottolineato come, tra di essi, sia ancora centrale la capacità di lavoro (Cass. civ. n. 11772/2010); si evidenzia, altresì, la necessità di tenere conto, nella determinazione del contributo, di quanto valga l'assegnazione della casa familiare (Cass. civ. n. 9079/2011). Peraltro, la maggiore capacità economica di uno dei genitori non esime l'altro dall'obbligo di contribuire al mantenimento della prole (Cass. civ. n. 8633/2017). E ancora si deve rilevare che lo stato di disoccupazione non esonera di per sé un genitore dall'obbligo di contribuire al mantenimento del proprio figlio, quando possegga comunque una capacità lavorativa adeguata ad ottenere un impiego che gli consenta di avere redditi adeguati a tale scopo (Cass. civ. ord. n. 24424/2013). Ciò posto, nel caso di specie l'odierna ricorrente non risulta avere attualmente un impiego lavorativo, risulta aver percepito nell'anno di imposta 2019 un reddito annuo complessivo pari a 10.550,00 euro, risulta titolare della nuda proprietà di fabbricati e terreni siti in P., risulta avere delega su conti correnti intestati a terzi soggetti, quali la P.M. S.r.l. e l'odierno resistente. Inoltre, risulta vivere presso la casa familiare insieme alle figlie E. e S.. Il resistente risulta avere un impiego lavorativo presso la società P.M. S.r.l., risulta aver percepito nel 2017 un reddito annuo complessivo pari a 64.513,00 euro, nel 2018 un reddito annuo complessivo pari a 64.205,00 euro, nel 2019 un reddito annuo complessivo pari a 23.896,00 euro, nel 2020 un reddito annuo complessivo pari a 34.145,00 euro (cfr. risultanze indagini patrimoniali in atti). Risulta titolare del 51% delle quote societarie della P.M. S.r.l. nonché di ulteriori partecipazioni societarie in altre cinque società. Risulta titolare, per intero e per quote, della proprietà ovvero della nuda proprietà di numerosi fabbricati e terreni in G. e P.. Inoltre, risulta titolare, in taluni casi anche unitamente a terzi soggetti, di una pluralità di conti correnti da cui risultano significative giacenze (cfr. dichiarazione sostitutiva di parte resistente). Risulta avere titoli unitamente a terzi soggetti per un ammontare pari a 535.376,80 euro e 294.568,70 euro come dedotto dallo stesso resistente nella dichiarazione sostitutiva in atti. Risulta gravato dalle spese concernenti il canone di locazione relativo all'immobile abitato dalla figlia in Milano e pari a 13.200,00 euro annui oltre a 2.400,00 euro annuali a titolo di oneri accessori (cfr. all. 3 fasc. resistente). Inoltre, il resistente nella dichiarazione sostituiva in atti ha dichiarato di essere gravato da due finanziamenti con rate mensili rispettivamente pari a 665,00 euro e 9.546,00 euro. Ciò posto, alla luce delle risultanze delle indagini patrimoniali, queste devono ritenersi esaustive ai fini dell'odierna decisione, essendo gli elementi emersi nel corso delle stesse sufficienti per la decisione delle questioni dedotte dalle parti, sicché deve confermarsi quanto statuito dal Giudice Istruttore con ordinanza del 10.12.2021 circa la non necessità di completamento o di ulteriore approfondimento delle indagini patrimoniali, come invece sollecitato dalla parte ricorrente. Ciò posto, risulta pacifico tra le parti che in costanza di matrimonio il tenore di vita goduto dalla famiglia sia stato elevato, avendo potuto la famiglia concedersi numerosi viaggi e vacanze in Italia e in giro per il mondo, e avendo le figlie potuto svolgere attività sportive e ricreative di diverso tipo non avendo il resistente formulato specifiche contestazioni alle allegazioni puntuali della parte ricorrente su tale punto (cfr. altresì all. ti della seconda memoria istruttoria di parte resistente). Ciò posto, alla luce delle condizioni reddituali e patrimoniali delle parti sopra richiamate, dell'assegnazione della casa familiare in favore della ricorrente, del tenore di vita goduto dalle figlie delle odierne parti in costanza di matrimonio, nonché delle esigenze di vita proprie di individui aventi l'età delle figlie delle parti, si ritiene ragionevole confermare l'importo disposto in sede presidenziale e pari a 2.000,00 euro mensili (1.000,00 euro per ciascuna figlia) per il mantenimento delle figlie. Inoltre, può accogliersi la richiesta formulate da entrambe le parti di porre a carico esclusivo del resistente le spese straordinarie di mantenimento delle figlie, stante la diversa capacità reddituale delle parti e l'idoneità del resistente a sostenere il relativo onere economico. Le spese straordinarie di mantenimento sono da regolarsi secondo il Protocollo vigente presso questo Tribunale e sottoscritto il 29.10.2018. Infine, l'odierna ricorrente domanda il riconoscimento di un assegno di mantenimento in proprio favore pari a 3.000,00 euro. Ebbene, occorre rilevare che tradizionalmente si è ritenuto che l'assegno di mantenimento, in caso di separazione giudiziale dei coniugi, fosse da commisurare al tenore di vita goduto dai coniugi nel periodo anteriore alla crisi coniugale. Nondimeno, la più recente giurisprudenza di legittimità, riprendendo quanto affermato già in sede di assegno divorzile, ha ritenuto che anche l'assegno di mantenimento in sede di separazione non abbia la funzione di ripristinare il tenore di vita goduto dal coniuge in costanza di matrimonio, quanto quella di "assicurare un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare" (Cass. Civ. n. 16405/2019). In questo senso, si è dunque affermato che la misura dell'assegno di mantenimento sia funzionale "al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi" (Cass. Civ. n. 26084/2019). In definitiva, l'assegno di mantenimento reso in sede di separazione personale, analogamente a quanto accade in sede di divorzio, ha funzione assistenziale, dovendo garantire il minimo necessario per vivere al coniuge sprovvisto di mezzi adeguati alla sussistenza, nonché una funzione compensativa, volta a riconoscere al coniuge economicamente più debole gli apporti dallo stesso eseguiti alla costituzione del patrimonio familiare e di quello personale dell'altro coniuge. L'onere di provare i presupposti per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento è a carico della parte che lo richiede. Ciò posto, nel caso di specie risulta che la ricorrente ha l'età di cinquantaquattro anni al tempo dell'odierna decisione, vive presso la casa familiare per l'utilizzo della quale non sopporta alcun onere economico. Inoltre, risulta pacifico tra le parti che l'odierna ricorrente ha lavorato presso l'impresa commerciale P.M., dapprima impresa individuale, successivamente divenuta società commerciale, dal 1989 fino all'incedere della crisi familiare nel 2012-2013. Dunque, dagli elementi di prova assunti risulta che l'odierna ricorrente ha maturato una significativa esperienza lavorativa nel corso degli anni, che consentono di riconoscere in capo alla stessa una sicura capacità allo svolgimento di attività lavorative. Inoltre, deve ritenersi che la ricorrente abbia attualmente un'età che le consente di reperire sul mercato del lavoro un impiego alla luce dell'esperienza ultraventennale maturata. A fronte delle suddette considerazioni, deve osservarsi che la ricorrente non ha fornito alcuna deduzione in ordine a eventuali situazioni che rendano la stessa inabile al lavoro ovvero che consentano di desumere che la stessa ha ricercato attivamente lavoro senza riuscirvi per cause ad essa non imputabili, nulla avendo dedotto la ricorrente sul punto. Dunque, alla luce delle considerazioni svolte, non risulta allegato e provato dalla ricorrente che la stessa attualmente sia priva di redditi autonomi per causa ad ella non imputabili. Ciò posto, deve rilevarsi che è pacifico tra le parti che la ricorrente, sebbene abbia abbandonato il proprio lavoro con l'incedere della crisi coniugale come sopra ricordato, abbia comunque provveduto a ogni esigenza domestica, prendendosi cura della famiglia e della casa familiare, in cui ha continuato ad abitare unitamente alle figlie anche dopo la presentazione della domanda di separazione. Ciò giustifica il riconoscimento alla odierna ricorrente di un assegno di mantenimento in funzione compensativa per gli apporti dalla stessa forniti al menage familiare nonché al benessere quotidiano della famiglia, come del resto richiesto altresì nelle conclusioni dal resistente. Alla luce delle considerazioni svolte, il collegio reputa ragionevole riconoscere alla odierna ricorrente un assegno di mantenimento pari a 1.000,00 euro mensili in funzione compensativa degli apporti dalla stessa arrecati alla famiglia e al patrimonio comune, tenuto conto della considerevole sproporzione tra le condizioni patrimoniali delle parti. Il suddetto importo va rivalutato annualmente secondo gli indici ISTAT come per legge e deve essere corrisposto entro il giorno cinque di ogni mese presso il domicilio della ricorrente. Dunque, le deduzioni e le prove fornite dalla ricorrente non consentono di giustificare il riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore della stessa, sicché la relativa domanda della ricorrente va rigettata. La natura della controversia e le ragioni della decisione giustificano la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. il Tribunale di Tivoli, definitivamente pronunciando, sulla causa civile iscritta a R.G. n. 5873/2018 e vertente tra le parti di cui in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza e deduzione, così provvede: 1) rigetta la domanda di addebito proposta dalla parte ricorrente; 2) conferma l'ordinanza presidenziale in relazione all'assegnazione della casa familiare e al mantenimento ordinario delle figlie E.M. e S.M.; 3) pone a carico esclusivo del resistente le spese straordinarie di mantenimento delle figlie E.M. e S.M. da regolarsi secondo il Protocollo vigente in questo Tribunale; 4) il resistente verserà alla ricorrente l'importo di 1.000,00 euro mensili a titolo di assegno di mantenimento per il coniuge, oltre rivalutazione annuale ISTAT come per legge, da versarsi presso il domicilio della ricorrente entro il giorno cinque di ogni mese; 5) compensa le spese processuali. Conclusione Così deciso in Tivoli, il 11 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2022.

  • TRIBUNALE DI TIVOLI Sezione Civile Il Tribunale di Tivoli, in composizione collegiale, composto dai Signori Magistrati: - Dott.ssa Maria Luisa Messa - Presidente - Dott.ssa Caterina Liberati - Giudice - Dott. Valerio Medaglia - Giudice Rel. Est. riunito in camera di consiglio ha emesso la seguente SENTENZA nella causa 3678/2018 promossa da F.D.L. rappresentata e difesa dall'Avv. ... RICORRENTE contro R.N. rappresentata e difesa dall'Avv. ... RESISTENTE Oggetto: divorzio giudiziale. Svolgimento del processo Con ricorso ritualmente depositato F.D.L. adiva l'intestato Tribunale al fine di ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con R.N. alle condizioni ivi previste. Allegava che aveva contratto matrimonio concordatario con R.N. e che dall'unione erano nati I. il (...) e A. il (...); che con accordo omologato il 29.04.2015 i coniugi erano pervenuti alla separazione consensuale; che la resistente svolgeva attività di baby sitter a tempo parziale ed era proprietaria della casa familiare; che il ricorrente percepiva uno stipendio di 1.300,00 Euro mensili ed era impiegato in una sala giochi e viveva presso la casa dei genitori; che il ricorrente era gravato da rate mensili di 400,00 Euro fino al 2020 per un prestito contratto in costanza di matrimonio; che il figlio A. percepiva un reddito mensile pari a 1.800,00 Euro con contratto di lavoro subordinato; che la figlia I. lavorava saltuariamente percependo un reddito di 500,00 Euro mensili. Si costituiva la resistente aderendo alla domanda di divorzio e ponendo diverse condizioni. Allegava che alla nascita del figlio A. aveva lasciato la ditta del padre presso cui lavorava; che la famiglia aveva vissuto presso un immobile appartenente alla resistente; che i coniugi avevano deciso che il ricorrente avrebbe lavorato fuori mentre la resistente avrebbe gestito i figli a casa; che il ricorrente aveva prima lavorato alle dipendenze del padre della resistente e dopo del marito della cugina di questa; che, lasciato il posto di lavoro, il ricorrente aveva lasciato la famiglia chiedendo la separazione; che la rinuncia alla carriera professionale per ragioni familiari e la divergenza dei redditi imponeva un assegno divorzile a favore della resistente, anche alla luce della non autosufficienza economica di questa; che l'indipendenza economica dei figli non era pienamente provata. Con ordinanza presidenziale del 06.02.2019 venivano assunti provvedimenti provvisori tra le parti. Le parti depositavano atti integrativi dei propri scritti difensivi. All'udienza di trattazione il G.I. concedeva i termini previsti dall'art. 183, comma 6 c.p.c. Assunte le prove orali ammesse e rigettata l'istanza di sospensione dell'ordinanza presidenziale avanzata da parte ricorrente, all'udienza del 15.10.2021, sostituita dalla trattazione scritta ai sensi dell'art. 221 del D.L. n. 34 del 2020 convertito nella L. n. 77 del 2020, le parti precisavano le conclusioni e il Giudice tratteneva la causa in decisione con concessione dei termini previsti dall'art. 190 c.p.c. Motivi della decisione In via preliminare, si dà atto che non saranno considerate ai fini della decisione le domande e le allegazioni formulate dalle parti per la prima volta con le comparse conclusionali non essendo ammissibili le suddette attività processuali mediante le comparse e le memorie depositate ai sensi dell'art. 190 c.p.c. Ciò posto, le domande proposte dalle parti sono plurime e vanno valutate separatamente. Innanzi tutto deve accogliersi la domanda di divorzio avanzata dalle parti. Invero, deve ritenersi che in una visione evolutiva del rapporto coniugale, ai fini della pronuncia di divorzio occorre, prima di assumere una decisione direttamente incidente sullo status delle parti in causa, verificare, in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle stesse, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una situazione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile la permanenza del vincolo coniugale. Ebbene, nel caso che ci occupa questo requisito essenziale è ampiamente emerso sia dalla lettura degli atti di causa che dallo stesso comportamento processuale assunto da ciascuna delle parti, considerato che la parte resistente ha scelto di restare contumace nel presente procedimento. Deve, di conseguenza, ritenersi che vi sia la esplicita volontà di entrambe le parti di addivenire ad una pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Alla luce di queste dirimenti considerazioni, dunque, appare di tutta evidenza l'impossibilità di ricostruire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi, da intendersi come volontà reciproca ed inequivoca degli stessi di addivenire alla cessazione del vincolo coniugale essendo venuta meno l'"affectio coniugalis". Risulta altresì decorso il termine annuale previsto dall'art. 3 della L. n. 898 del 1970. Pertanto, la domanda di divorzio avanzata dalle parti deve essere accolta. Ciò posto, deve rilevarsi che dall'unione coniugale sono nati i figli I. il (...) e A. il (...), i quali risultano abitare presso la casa materna. Stante la maggiore età dei figli delle parti non occorre provvedere al loro affidamento, alla loro collocazione e al regime di frequentazione degli stessi. Ciò posto, la parte resistente domanda porsi a carico del ricorrente un assegno di mantenimento in favore di ciascun figlio. Sul punto si deve rilevare che, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, stabilendo il Giudice, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (art. 337-ter, comma 4 c.c.). Pertanto, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto. Si è precisato, altresì, che non solo le condizioni esistenti durante l'unione debbano fungere da parametro di riferimento, ma anche gli eventuali miglioramenti della situazione economica di uno o di entrambi i genitori (Cass. Civ. n. 785/2012), così come gli eventuali peggioramenti, purché non "strumentali" (Cass. civ. n. 20064/2011). In ordine ai criteri di determinazione della misura nella quale il mantenimento dei figli debba gravare su ciascun genitore, la giurisprudenza ha sottolineato come, tra di essi, sia ancora centrale la capacità di lavoro (Cass. civ. n. 11772/2010); si evidenzia, altresì, la necessità di tenere conto, nella determinazione del contributo, di quanto valga l'assegnazione della casa familiare (Cass. civ. n. 9079/2011). Peraltro, la maggiore capacità economica di uno dei genitori non esime l'altro dall'obbligo di contribuire al mantenimento della prole (Cass. civ. n. 8633/2017). E ancora si deve rilevare che lo stato di disoccupazione non esonera di per sé un genitore dall'obbligo di contribuire al mantenimento del proprio figlio, quando possegga comunque una capacità lavorativa adeguata ad ottenere un impiego che gli consenta di avere redditi adeguati a tale scopo (Cass. civ. ord. n. 24424/13). Con specifico riferimento al mantenimento dei figli maggiorenni, l'art. 337-septies c.c. stabilisce l'obbligo di ciascun genitore di provvedere al mantenimento dei figli che abbiano raggiunto la maggiore età laddove siano non economicamente indipendenti. Sul punto è stato osservato che alla luce dei principi di autoresponsabilità e di vicinanza della prova, l'onere di dimostrare le condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente l'assegno, in quanto, raggiunta la maggiore età, si presume l'idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore. Spetta dunque al soggetto che richiede il mantenimento allegare e provare non soltanto la mancanza di indipendenza economica ma anche di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro (cfr. Cass. Civ. n. 17183/2020). Dunque il diritto al mantenimento trova un limite temporale, desunto dalla durata ordinaria degli studi e dal tempo mediamente occorrente a un giovane laureato, in una data realtà economica, per trovare un impiego, salvo che il figlio non provi non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro ambito per causa a lui non imputabile, ma che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicurargli l'auto-mantenimento (cfr. Cass. Civ. n. 17183/2020). Inoltre, è stato rilevato che il figlio maggiorenne una volta entrato effettivamente nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione sia pure modesta che prelude alla successiva spendita della capacità lavorativa perde il diritto al mantenimento da parte del genitore e la successiva eventuale perdita dell'occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento (cfr. Cass. Civ. n. 19696/2019). Ciò posto, nel caso di specie risulta che il figlio delle parti A.D.L. al tempo dell'odierna decisione ha ventinove anni, risulta essere stato assunto presso la società L. S.r.l. con contratto di apprendistato di ventiquattro mesi a decorrere dal 26.08.2017. Inoltre, non risulta allegato né provato dalla resistente che domanda l'assegno di mantenimento per il figlio che lo stesso stia svolgendo attività di formazione professionale né ha allegato che lo stesso abbia ricercato con costanza un lavoro. Infine, deve osservarsi che all'udienza del 23.04.2021 A.D.L. ha dichiarato di avere una propria occupazione lavorativa. Alla luce degli elementi di prova assunti e dei principi di diritto richiamati deve escludersi un obbligo di mantenimento in capo ai genitori relativamente al figlio A., dovendosi ritenere che lo stesso abbia raggiunto la piena capacità al lavoro e sia compiutamente inserito nel mercato del lavoro sicché non si ravvisano i presupposti di legge per il riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore dello stesso. In ordine alla figlia delle parti I.D.L. deve osservarsi che la stessa al tempo dell'odierna decisione ha 26 anni, non risulta svolgere attualmente un percorso di studi e risulta aver svolto un corso di formazione per la ricostruzione di unghie artificiali. All'udienza del 23.04.2021 la stessa I.D.L. ha dichiarato di lavorare come apprendista presso un negozio di trucchi. Sul punto deve osservarsi che non è in contestazione tra le parti che I.D.L. allo stato non sia economicamente indipendente e risulta accertato che la stessa ha appena concluso un corso di formazione e sta svolgendo attività di apprendistato. Può dunque ritenersi accertato che I.D.L. si trovi allo stato in condizione di incolpevole non indipendenza economica che giustifica il perdurare dell'obbligo di mantenimento dei genitori, non essendo stato richiesto peraltro da alcuna delle parti la revoca dell'assegno di mantenimento in favore di detta figlia. Ciò posto, il ricorrente risulta aver percepito il reddito complessivo di 17.995,00 Euro nel 2019, il reddito complessivo di 19.240,00 Euro nel 2019, un reddito complessivo pari a 13.773,00 Euro nel 2020. Risulta vivere presso l'appartamento assunto in locazione dai genitori. Non può ritenersi invece accertato che sullo stesso gravi il costo di un finanziamento bancario, non potendo ritenersi il documento depositato dal ricorrente allo scopo sufficiente per attestare l'esistenza del finanziamento trattandosi di documento non sottoscritto e privo di certa provenienza (cfr. all. 5 fasc. ricorrente). La resistente risulta avere svolto plurimi lavori con contratti di lavoro a tempo determinato, come desumibile dai contratti depositati dalla resistente e dal curriculum vitae della stessa (cfr. all.ti 7-11 fasc. resistente) e risulta avere percepito nel 2018 un reddito complessivo pari a 3.643,00 Euro, nel 2019 un reddito complessivo pari a 3.712,00 Euro e nel 2020 un reddito complessivo pari a 3.600,00. Risulta titolare della casa familiare dove vive con la figlia I.. Ciò posto, nulla è stato dedotto dalle parti circa il tenore di vita goduto dai figli in costanza di matrimonio. Ciò posto, tenuto conto delle condizioni economiche delle parti sopra evidenziate; tenuto conto dell'età e della capacità lavorativa di ciascuna parte; valutate le esigenze di vita che normalmente sono proprie di individui di età analoga a quella di I.D.L. nonché la condizione professionale e le esigenze formative della stessa, il collegio ritiene ragionevole porre a carico dell'odierno ricorrente un assegno di mantenimento per la figlia I. pari a 200,00 Euro, oltre rivalutazione ISTAT annuale, in conformità all'ordinanza presidenziale, non essendo emersi elementi significativi che giustifichino una revisione dell'importo. Deve essere, altresì, specificamente regolamentato il contributo di ciascun genitore alle spese straordinarie di mantenimento di I.D.L., da intendersi come quelle spese concernenti eventi eccezionali ed imprevedibili nella vita della prole e quelle concernenti eventi ordinari non inclusi nel mantenimento, che devono essere poste a carico di ciascuna delle parti in ragione del 50% ciascuno non avendo le parti formulato richieste diverse sul punto. Per l'individuazione delle spese da ritenere straordinarie e del regime giuridico delle stesse si ritiene applicabile il protocollo vigente presso questo Tribunale e sottoscritto in data 29.10.2018, come disposto in sede presidenziale. Inoltre, deve disporsi che il mantenimento di I.D.L. deve essere corrisposto entro il giorno cinque del mese in favore della resistente non potendosi disporre il pagamento diretto dell'assegno in favore della figlia maggiorenne, come richiesto dal ricorrente, non risultando alcuna richiesta esplicita della suddetta figlia in questo senso. Infine, la resistente domanda porsi a carico del ricorrente un assegno divorzile pari a 500,00 Euro mensili. Ebbene, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, all'ex coniuge spetta l'assegno divorzile, ai sensi dell'art. 5 della L. n. 898 del 1970, solo laddove emerga una situazione di bisogno economico, che imponga l'attribuzione allo stesso di un sostegno economico finalizzato a consentire di avere una vita quotidiana dignitosa. In questo senso l'assegno divorzile assume una funzione di natura assistenziale, in coerenza con il dovere di solidarietà previsto dall'art. 2 Cost. Nondimeno, un'ulteriore funzione dell'assegno divorzile è altresì quella di natura compensativa, avendo l'assegno altresì lo scopo di valorizzare il ruolo e il contributo del coniuge nella costituzione del patrimonio familiare e di quello personale dell'altro coniuge (cfr. Cass. Civ. n.5605/2020). Nondimeno, non è possibile riconoscere l'assegno divorzile in ragione di una mera funzione compensativa, essendo in ogni caso presupposto essenziale dello stesso lo stato di bisogno economico del coniuge richiedente (cfr. Cass. Civ. n. 24934/2019). Resta ormai estraneo all'assegno divorzile qualsiasi funzione volta al mantenimento del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. Ciò rende irrilevante, ai fini della valutazione della spettanza e dell'ammontare dell'assegno, la mera sproporzione tra i redditi dei coniugi ancorché considerevole (cfr. Cass. Civ. n. 21234/2019). Di contro, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, occorre "l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto" (Cass. Civ. S.U. n. 18287/2018). Deve osservarsi che la giurisprudenza ha riconosciuto alla funzione alimentare dell'assegno divorzile un ruolo essenziale, essendo il bisogno economico il presupposto necessario per l'ottenimento dell'assegno divorzile non essendo sufficiente di per sé la mera sperequazione economica (cfr. Cass. Civ. n. 21234/2019). Nondimeno, la più recente giurisprudenza di legittimità ha comunque affermato la possibilità di riconoscere all'ex coniuge l'assegno divorzile laddove occorra garantire una ragionevole perequazione patrimoniale tra i coniugi, nel caso in cui lo stesso abbia dovuto rinunciare a realistiche occasioni professionali - reddituali, profilo questo che risulta assorbente rispetto a quello assistenziale (cfr. Cass. Civ. n. 38362/2021). L'onere della allegazione e della prova dei suddetti fatti, nonché delle occasioni realistiche di reddito perdute in costanza di matrimonio, è a carico del richiedente (art. 2697 c.c.). Ciò chiarito, nel caso di specie la resistente risulta pienamente abile al lavoro, alla luce degli elementi di prova in precedenza illustrati. Inoltre, ella risulta titolare di propri redditi idonei a garantire la sua sussistenza, risultando peraltro proprietaria della casa familiare. Alla luce pertanto dei suddetti elementi non risulta provato dalla resistente uno stato di bisogno economico nonché l'impossibilità della stessa di procurarsi da sé i mezzi necessari alla propria sussistenza. Inoltre, non risulta fornita adeguata prova dei presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile in funzione compensativa alla luce dei principi enunciati dalla recente giurisprudenza di legittimità, non avendo la parte assolto compiutamente all'onere di allegare e di provare di avere ricevuto in costanza di matrimonio concrete e realistiche occasioni di lavoro e di non avere potuto realizzare le stesse a causa della scelta di adoperarsi per la esclusiva cura della casa e della famiglia, avendo sul punto la parte dato atto solo delle occasioni di lavoro ricercate e ottenute dopo la crisi coniugale. Alla luce delle considerazioni svolte, la domanda della resistente per l'ottenimento dell'assegno divorzile è infondata e va rigettata. In definitiva, la domanda della resistente per l'ottenimento dell'assegno divorzile va rigettata. La natura della controversia e le ragioni della decisione giustificano la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. il Tribunale di Tivoli, definitivamente pronunciando, sulla causa civile iscritta a R.G. n. 3678/2018 e vertente tra le parti di cui in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza e deduzione, così provvede: 1) dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti F.D.L. (E. (...)) e R.N. (R. (...)) in data..., nel Comune di Roma con atto trascritto nei registri dello Stato civile di detto Comune al n. .Parte 2 Serie A06 Anno..; manda alla cancelleria di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Roma per l'annotazione prevista dalla legge; 2) pone a carico del ricorrente un assegno di 200,00 Euro mensili a titolo di mantenimento della figlia I.D.L., oltre rivalutazione monetaria annuale come per legge, da corrispondersi alla resistente entro il giorno cinque di ogni mese presso il domicilio di quest'ultima; 3) rigetta le altre domande, eccezioni e istanze proposte dalle parti; 4) compensa le spese processuali. Conclusione Così deciso in Tivoli, il 14 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI Il Giudice dott.ssa Francesca Coccoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2861/2018 R.G.A.C., vertente tra (...), nato a C. (R.) il (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma.To., Re.To. e Lo.Ma.; attore e (...) - Rappresentanza generale in I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Fe.Co.; convenuta nonché (...), nato a C. (R.) il (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Re.; convenuto OGGETTO: responsabilità extracontrattuale FATTO E DIRITTO Con citazione ritualmente notificata (...) conveniva in giudizio (...) e la (...) - Rappresentanza Generale in I., esponendo che il giorno 27 settembre 2015, mentre si trovava all'interno della vallata denominata "(...)", sita nel comune di Cave (RM), intento a raccogliere funghi, era stato colpito da un colpo di fucile sparato accidentalmente da (...), il quale, impegnato in una battuta di caccia, aveva scambiato l'attore per un volatile. Lamentando di aver riportato lesioni permanenti dal sinistro, chiedeva la condanna del (...) e della sua compagnia assicuratrice al risarcimento del danno, biologico e morale, oltre che patrimoniale subìto. Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando la fondatezza delle pretese attoree delle quali domandava il rigetto. Si costituiva, altresì, il convenuto (...), il quale confermava l'accadimento dei fatti così come narrato dall'attore. La causa, istruita sulla base della documentazione allegata in atti e della disposta CTU, all'udienza del 7 giugno 2021 è stata trattenuta in decisione con assegnazione alle parti del termine di sessanta giorni per comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per memorie di replica. La domanda è fondata e merita accoglimento. Alla luce della mancata contestazione da parte del convenuto (...) dei fatti allegati da parte attrice, oltre che della conferma della dinamica dell'incidente, così come emersa dalla documentazione acquisita, può ritenersi accertato che in data 27 settembre 2015 (...) si trovava a raccogliere funghi all'interno della vallata denominata "(...)", sita nel Comune di Cave (RM), cui si accede tramite la strada comunale via Cesiano, quando veniva improvvisamente attinto da un colpo di fucile sparato accidentalmente da (...) il quale, intento in una battuta di caccia, scambiava l'attore per un volatile. A causa di tale incidente, il (...) era trasportato immediatamente presso il Polo Ospedaliero Palestrina - Zagarolo Ospedale Coniugi (...) e, successivamente, al Policlinico Umberto I di Roma, dove era sottoposto ad un intervento di asportazione di corpo estraneo sottocongiuntivale (doc. 9, 10, 11, 12 di parte attrice). Tale circostanza, assolutamente pacifica ed ammessa, come evidenziato, anche nel corso del presente giudizio, dallo stesso (...), trova riscontro nella documentazione in atti. In particolare: - nel "modulo denuncia incidente di caccia" trasmesso ai L. successivamente al verificarsi dell'incidente (doc. 1 di parte attrice) (...) nelle "informazioni generali sul sinistro" scrive quanto segue: "il sig. (...) cercava di colpire un volatile e accidentalmente colpiva il sig. (...) che si trovava nei pressi in cerca di funghi "; - nell'annotazione di Polizia Giudiziaria redatta dalla Legione Carabinieri Lazio - Stazione di Cave in data 27 settembre 2015 (doc. 2 di parte attrice), si legge che "questa mattina alle ore 10.30 nell'intervenire in Via (...) per la segnalazione di persona colpita da colpi di arma di fuoco, apprendevamo che presso il pronto soccorso dell'Ospedale di Palestrina si era presentato un uomo con ferite da arma da fuoco. Sul posto accertavamo la presenza di (...) nato a C. il (...), ivi residente in Via (...), il quale riferiva che nel mentre stavo raccogliendo dei funghi in un bosco, veniva colpito da un colpo di fucile da caccia, questi presentava ferite alla gamba, al braccio ed al viso lato sinistro. L'uomo aggiungeva che non appena veniva attinto dal colpo, a seguito delle sua grida di aiuto, veniva soccorso da un anziano uomo il quale gli riferiva di essere stato lui a sparare. Quest' ultimo presente presso il predetto nosocomio, in quanto aveva soccorso insieme al figlio il malcapitato, veniva identificato in (...) nato a C. il (...) ed ivi residente in Viale (...)"; - nel "verbale di sopralluogo e rinvenimento di cartuccia da caccia esplosa in Cave (Rm) via Valle dei (...)" redatto dalla Legione Carabinieri Lazio - Stazione di Palestrina in data 27 settembre 2015 (doc. 3), è scritto quanto segue: "prendevamo contatti con il sig. (...), nato a C. il (...)... il quale spiegava che verso le ore 9.00 circa era intento a fare dei lavori nel bosco ed aveva sentito un colpo di fucile da caccia e subito dopo urla di una persona che chiedeva, più volte, aiuto. Lui gridava per sapere cosa era successo ma non gli si dava nessuna risposta, allora decideva di uscire dal bosco per andare a vedere cosa fosse successo e nel frattempo chiamava con il suo cellulare il 112. Quella mattina, presto, aveva notato una persona, sola, che con un cestino andava raccogliere funghi. Lui si trovava nel bosco ubicato all'interno della stradina di campagna sterrata sopra citata a circa duecento metri da via Valle dei (...). Percorrevamo, a piedi, la stradina in questione e, in effetti, a circa duecento metri da via Valle dei (...) vi è un bosco sulla destra e un capo coltivato a granturco sulla sinistra. Proprio mentre giungevamo in prossimità dove il (...) aveva udito lo sparo rinvenivamo in terra, tra l'erba, vicino al campo di granturco, una cartuccia da caccia esplosa cal. 12 marca RCI 32 grammi di colore azzurro che veniva repertata in maniera da non inquinarla... Più avanti, a circa due metri, trovavamo un mucchietto di funghi con chiare tracce di sangue sugli stessi e altro mucchietto di funghi, a circa un metro, nelle medesime condizioni"; - nella "comunicazione notizia di reato ex art. 347 c.p.p. circa le lesioni patite da (...)" della Legione Carabinieri Lazio - Stazione di Cave del 27 settembre 2015 (doc. 4) si legge quanto segue: "dalla ricostruzione dei fatti si appurava che: ......verso le ore 9: 15 il (...) giungeva in località Valle dei (...) e percorrendo una stradina sterrata, si divideva dal figlio, A., che prendeva la direzione di un canalone sulla sinistra, mentre questi continuava sulla strada. Ad un tratto il (...) giungeva al termine di un canneto e dinanzi gli volava un uccello denominato colombaccio, istintivamente seguiva il volo del volatile ed esplodeva un solo colpo dal proprio fucile . L'uomo udiva delle grida provenire dal bosco di fronte a sé... di un uomo che chiedeva aiuto. Immediatamente si portava sul posto e constatava la presenza di un soggetto il quale presentava segni di colpo d'arma da fuoco sul braccio sinistro ed in volto, immediatamente intuiva che era stato colpito dal colpo esploso pochi istanti prima". Alla luce di quanto sopra risulta pertanto pacifico che a sparare ed a colpire accidentalmente il (...) sia stato (...). Ebene, in tema di responsabilità per danni causati nell'esercizio dell'attività venatoria, va osservato come non residuino dubbi sulla natura pericolosa di detta attività (Cass. pen. 25.9.1980; Cass. civ. 19.8.2003, n. 12109), in quanto esercitata mediante l'impiego di armi da fuoco, che sono mezzi destinati all'offesa. Ne consegue che agli eventi di danno verificatisi in occasione di battute di caccia è applicabile la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2050 c.c. La responsabilità dell'autore del danno è sancita, dunque, in via presuntiva e può essere esclusa qualora si dimostri di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Non avendo il convenuto fornito una tale prova, e neppure, invero, avendone allegato i presupposti, la pretesa attorea va accolta. Né alcun addebito, neppure concorsuale, può ascriversi alla condotta dell'attore poiché, come emerso dall'istruttoria, e per stessa ammissione del (...), il colpo di fucile è partito mentre questi cercava di colpire un volatile, non avvedendosi della presenza dell'attore, con ciò evidenziando la imprudenza, negligenza ed imperizia del convenuto nel maneggiare l'arma da fuoco, causa del ferimento. Ed invero, secondo il condivisibile orientamento della Corte di Cassazione (Cass. civ. 2003, n. 12109), "... come statuito già in remoti precedenti di questa Suprema Corte (Cass. 23 dicembre 1968 n. 4072; 28 settembre 1964 n. 2442), poiché non sono ammissibili, ai sensi dell'art. 16 della Costituzione, restrizioni della libertà di circolazione delle persone nelle campagne e nei luoghi in cui sia in atto l'esercizio della caccia, nel caso di ferimento di taluno per effetto di un colpo di fucile sparato da un cacciatore senza il previo accertamento di una sufficiente libertà e sicurezza del campo di tiro, come accertato nella fattispecie, non è configurabile una colpa concorrente del danneggiato con quella del feritore per il solo fatto che il primo si sia avvalso del pari diritto di esercitare la caccia nella stessa località del secondo o anche a breve distanza da lui". La convenuta società (...) è tenuta, in solido con l'autore del danno, al risarcimento in favore del (...), in virtù della polizza n. (...), sottoscritta dal (...) (titolare della licenza di caccia n. 908344-M) al fine di essere tenuto indenne quale civilmente responsabile per i danni involontariamente cagionati a terzi, in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi nello svolgimento dell'attività di cacciatore. Passando alla quantificazione del ristoro dovuto, deve preliminarmente osservarsi come il (...) abbia riportato nell'incidente lesioni che, secondo le condivisibili conclusioni della consulenza tecnica disposta d'ufficio, hanno determinato un periodo di inabilità temporanea totale pari a giorni 30 e una inabilità temporanea parziale al 75% per giorni 20 e al 50% per ulteriori giorni 20, oltre che una invalidità permanente residua pari al 12 %. Tali esiti permanenti residuati non influiscono, secondo le conclusioni del CTU, sull'attività specifica in quanto i postumi in tal senso individuati "potevano essere attribuiti alla dolenzia dell'arto inferiore causata maggiormente dalla pregressa rottura del menisco e crociato anteriore sinistro(2016)". In via generale, occorre premettere che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1223 e 2056 cod.civ., il risarcimento deve comprendere il danno emergente (le effettive perdite subite dal danneggiato rispetto all'epoca precedente all'avvenuta lesione) ed il lucro cessante (il mancato guadagno, vantaggio, utilità che il soggetto leso avrebbe potuto conseguire se il fatto illecito non si fosse verificato). Per procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale subito dall'attore occorre fare applicazione delle tabelle elaborate dal tribunale di Milano comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell'integrità psicofisica - criterio di liquidazione condiviso dalla Suprema Corte (Cass. 7/6/2011 n. 12408 e Cass. 22/12/2001 n. 28290), con le precisazioni contenute nella recente pronuncia n. 25164 del 10.11.2020. In via generale non pare inutile ricordare che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, anche attraverso la cd. personalizzazione del danno (Cass., Sez. Un., n. 26972/08). Con particolare riferimento alla c.d. personalizzazione, la Suprema Corte ha precisato che "il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo 'tenuto conto della gravità delle lesioni'" (Cass. 23778/2014). Nel caso in esame il Giudice, procedendo ad una valutazione nella sua effettiva consistenza delle sofferenze fisiche e psichiche patite dall'attore, in difetto di particolari allegazioni e deduzioni ritiene che la voce del danno non patrimoniale intesa come sofferenza soggettiva in sé considerata sia adeguatamente risarcita con la sola applicazione dei predetti valori monetari riferiti al danno biologico strettamente inteso, non potendosi ritenere provato nel caso di specie il concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale. Orbene, in base al parametro di riferimento rappresentato dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, spetta all'attore, a titolo di danno biologico permanente, tenuto conto della invalidità del 12% e dell'età del soggetto all'epoca del sinistro (58 anni), la somma complessiva di Euro 21.053,00 secondo i valori attuali. Con riferimento al periodo di inabilità temporanea così come accertato dal C.T.U., si liquida ad equità - sempre sulla scorta delle tabelle milanesi - la somma di Euro 99,00 al giorno, per un totale di Euro 5.445,00 in valori attuali. Nell'ottica della sopra menzionata personalizzazione del risarcimento, la sommatoria degli importi appena indicati (Euro 26.498,00) costituisce - ad avviso di questo giudice - un ristoro esaustivo del danno non patrimoniale patito dall'attore. Deve poi osservarsi che la somma cui si perviene, se da un lato costituisce l'adeguato equivalente pecuniario, al momento della statuizione, della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprende l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla sua mancata disponibilità, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Orbene, tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore prossimo all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione; ciò in quanto nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno infatti corrisposti interessi per il cui calcolo non si deve utilizzare necessariamente il tasso legale, ma un valore tale da rimpiazzare il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene perduto. Tale "interesse" va poi applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle S.U. della Suprema Corte con sentenza 17/2/1995, n. 1712 (ribadito da Cassazione sez. II civile sentenza 3/12/1997 n. 12262, nonché da Cassazione civile sez. III, 10 marzo 2000 n. 2796) sulla "somma capitale" originaria rivalutata di anno in anno. Procedendo alla stregua dei criteri appena enunciati, a partire dal danno complessivamente subito e su indicato in valori attuali, si determina il "danno iniziale", inteso come danno finale devalutato alla data del sinistro; questo dunque viene successivamente rivalutato fino alla data della sentenza, al contempo calcolando gli interessi ponderati via via maturati. Sulla somma complessivamente spettante alla parte ricorrente, decorrono gli interessi legali dalla data della presente decisione e sino all'effettiva corresponsione. Risultano, infine, documentate spese mediche per complessivi Euro 1.108,83 (doc. 24, 31, 32). Le spese di giudizio sostenute da parte attrice seguono la soccombenza e, liquidate e distratte come in dispositivo, vanno poste a carico dei convenuti, al pari delle spese relative alla predisposizione della consulenza tecnica d'ufficio. La sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti ai sensi dell'art. 282 c.p.c., come modificato dalla L. n. 534 del 1995. P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, in persona del G. I. in funzione di Giudice Unico, ogni diversa e contraria istanza, domanda ed eccezione respinta, definitivamente pronunciando, così provvede: - in accoglimento delle domande avanzate da (...), condanna (...) e la (...) - Rappresentanza generale in I. al pagamento in favore della parte attrice e per le causali di cui in premessa, della complessiva somma di Euro 26.498,00, che andrà devalutata alla data del sinistro, e successivamente rivalutata fino alla data della presente sentenza, con applicazione di anno in anno degli interessi legali maturati, oltre interessi al tasso legale vigente dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; - condanna i convenuti al pagamento dell'ulteriore importo, a titolo di rimborso delle spese mediche sostenute, di Euro 1108,83, oltre interessi legali dai singoli esborsi fino al soddisfo; - condanna i convenuti alla rifusione delle spese processuali che liquida, in favore dell'attore in complessivi Euro 575,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre il 15% di rimborso spese generali e I.V.A. e C.P.A. come per legge, ed oltre le spese di C.T.U., liquidate come da decreto in atti. Dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva tra le parti ai sensi dell'art. 282 c.p.c.. Così deciso in Tivoli il 22 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2021.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.