Sentenze recenti Tribunale Tivoli

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Valerio Ceccarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa da: (...) e (...), elettivamente domiciliati in Roma, Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che li rappresenta e difende, giusta procura alle liti allegata all'atto di costituzione del nuovo difensore ATTORI contro (...), elettivamente domiciliato in Roma, Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresentano e difendono, giusta procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta CONVENUTO e (...) elettivamente domiciliato in Roma, Viale (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende, giusta procura alle liti in calce alla comparsa di costituzione e risposta TERZO CHIAMATO CONCLUSIONI Come precisate all'udienza del 18.09.2024 Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio (...) e (...), chiedendo il risarcimento del danno subito a causa di un incendio, sviluppatosi nella notte del 31.12.2020 nell'appartamento di proprietà di (...) e condotto in locazione da (...) e propagatosi al sovrastante appartamento condotto in locazione dagli attori. (...) si è costituito in giudizio, contestando le domande proposte dagli attori nei propri confronti ed evidenziando la percezione da parte del (...) e di (...) di importi da parte della Compagnia Assicuratrice (...) per l'evento pregiudizievole dedotto dagli attori, non corrisposti ai soggetti danneggiati. Conseguentemente, (...) ha chiesto la chiamata in causa del (...) (...) e di (...). Autorizzata la chiamata in causa del (...)", lo stesso si è costituito in giudizio, rappresentando l'infondatezza delle domande spiegate dagli attori e della domanda proposta dal convenuto nei propri confronti. Rilevato il mancato rispetto dei termini a comparire nei confronti del convenuto (...), stante il tardivo perfezionamento della notifica dell'atto di citazione nei confronti dello stesso, è stato assegnato a parte attrice termine perentorio per la rinnovazione della citazione rispetto al convenuto indicato. In considerazione del mancato rispetto di parte attrice del termine perentorio assegnato per la rinnovazione della citazione nei confronti del convenuto (...), è stata dichiarata l'estinzione del rapporto processuale nei confronti del medesimo, ai sensi degli artt. 164, comma 2, e 307, comma 3, c.p.c. All'udienza del 24.05.2023, parte attrice ha specificato che la domanda risarcitoria spiegata dovesse intendersi ricompresa al di sotto del limite di Euro 50.000,00, con conseguente assegnazione del termine di legge per l'avvio della procedura di negoziazione assistita come condizione di procedibilità. All'udienza del 18.09.2024, le parti hanno precisato le proprie conclusioni e la causa è stata oggetto di discussione orale. Dagli atti di causa è emerso il mancato perfezionamento della condizioni di procedibilità del presente giudizio, rispetto sia alla posizione di (...) sia rispetto alla posizione del (...) e di (...). Con riguardo al (...) e (...), è risultato che l'invito alla negoziazione assistita e la convenzione di negoziazione assistita sono stati invitati da parte attrice ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso rispetto a quello del difensore costituito, stante l'erronea digitazione dei caratteri. Con riguardo ad (...) è emerso che l'invito alla negoziazione assistita è stato tempestivamente inviato da parte attrice al difensore costituito di parte convenuta, tramite messaggio di posta elettronica certificata del 02.06.2023. Ciò posto, il convenuto (...) ha dedotto che parte attrice, successivamente all'invio dell'invito alla negoziazione assistita e alla propria adesione all'indicata procedura, non ha dato impulso alla prosecuzione della negoziazione, limitandosi al tardivo invio di un mero modello di convenzione di negoziazione assistita in data 18.09.2023. Le deduzioni del convenuto (...) hanno trovato riscontro documentale negli atti di causa. Infatti, come emerge dall' analisi letterale del modello di convenzione di negoziazione assistita depositata da parte attrice, il convenuto (...) risulta aver aderito, tramite il proprio difensore, alla procedura di negoziazione assistita. Ciò posto, nulla ha dedotto o provato parte attrice in ordine ai propri successivi atti di impulso della procedura di negoziazione assistita instaurata, risultando agli atti esclusivamente un mero modello di convenzione di negoziazione assistista, priva di riempimento in relazione alle tempistiche e alle modalità di svolgimento della negoziazione, sottoscritta dalla sola parte attrice e dal relativo difensore, inviata alla controparte dopo oltre tre mesi dall' adesione della stessa alla procedura. Inoltre, parte attrice non ha dedotto alcun valido motivo che avrebbe impedito di dare impulso alla procedura di negoziazione, ovvero di determinarne congiuntamente modalità e tempistiche di svolgimento. Occorre rilevare che l'art. 3, comma 1, del D.L. 132 del 2014 prevede l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita come condizione di procedibilità della domanda di pagamento di somme non eccedenti l'importo di Euro 50.000,00. Ciò premesso, l'art. 3, comma 2, del D.L. 132 del 2014 dispone che la condizione di procedibilità si considera avverata se l'invito non è seguito da adesione, o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione, ovvero quando è decorso il periodo di tempo di cui all'art. 2 comma 2 lett. a). Dall'analisi dell'indicata disposizione emerge che il legislatore ha operato una distinzione tra l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita, cui è subordinata la procedibilità della domanda, e l'espletamento della procedura medesima, assegnando rilevanza a che le parti sperimentino la possibilità di addivenire ad un accordo. Infatti, il legislatore ha espressamente ricollegato la procedibilità della domanda, in ipotesi di mancato raggiungimento di accordo tra le parti, alle fattispecie relative alla mancata adesione del convenuto all'invito di negoziazione, all'espresso rifiuto da parte del convenuto all'invito di negoziazione, al decorso del termine di legge per l'espletamento della convenzione senza iniziativa del convenuto. Caratteristica comune delle fattispecie disciplinate risiede in una situazione di iniziativa dell'attore, cui segua una contrapposta situazione di inerzia del convenuto, alla quale consegue l'effetto dato dall'integrazione della condizione di procedibilità. Pertanto, non può ritenersi applicabile il medesimo effetto, disciplinato in relazione a fattispecie tassativamente individuate, nella contrapposta ipotesi in cui il convenuto aderisca all' invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, con successiva condotta inerte da parte dell'attore. Conseguentemente, dando seguito a consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di merito, occorre distinguere diverse ipotesi: - se parte attrice non comunica tempestivamente alla controparte l'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, la domanda deve ritenersi improcedibile; - se parte attrice comunica tempestivamente l'invito alla controparte, la quale non aderisce o rifiuta, la condizione di procedibilità si considera avverata e la domanda diventa procedibile, come espressamente previsto dal legislatore nelle disposizioni richiamate; - se parte attrice comunica tempestivamente alla controparte l'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita e questa aderisce, parte attrice, interessata a coltivare il giudizio e quindi all'avveramento della condizione di procedibilità, è tenuta ad attivarsi per promuovere la conclusione della convenzione e dare impulso alla negoziazione, dovendo la domanda ritenersi improcedibile in caso di inerzia imputabile alla parte attrice (Trib. Siracusa, 16.06.2022, n. 1158, conf. Trib. Parma, 31.07.2021, Trib. Reggio Emilia, 28.05.2021, Trib. Tivoli 14.07.2021, n. 1071, Trib. Velletri 14.07.2022, Trib. Potenza 19.07.2023, Trib. Taranto, 05.02.2024, Trib. Caltagirone, 12.02.2024, Trib. Alessandria, 23.02.2024). Pertanto, deve ritenersi che l'effetto dell'improcedibilità della domanda giudiziale consegua non solo alla mancata tempestiva comunicazione dell'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, che impedisce dall'origine qualsiasi fruttuoso corso della procedura, ma anche all'ipotesi di successiva inerzia della parte attrice, che determini il mancato esito positivo della procedura. Dunque, "l'inerzia della parte attrice che, ricevuta la disponibilità della controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, non si attivi per addivenire a tale stipula, arrestando senza ragione la procedura ad una fase precedente quella dello svolgimento della negoziazione, la quale costituisce lo sfogo naturale ed obbligato della convenzione, impedisce l'esperimento della procedura medesima e frustra inevitabilmente la finalità dello strumento deflattivo in esame" (Trib. Siracusa, 16.06.2022). Ugualmente, deve essere assegnata rilevanza al lasso di tempo intercorso tra l'adesione del convenuto alla procedura di negoziazione assistita e il compimento da parte dell'attore degli atti necessari a promuovere la conclusione della convenzione, risultando l'attivazione tardiva dell'attore idonea a pregiudicare il positivo esito della negoziazione assistita intrapresa, quale condotta inerte imputabile alla parte. Al riguardo, risulta condivisibile il principio per cui "la parte attrice, una volta ricevuta l'adesione della controparte, per conservare gli effetti collegati all'invito deve attivarsi con immediatezza e svolgere con tempestività, entro un tempo ragionevolmente contenuto, gli atti necessari a promuovere la conclusione della convenzione di negoziazione: è vero che la legge non determina tale termine, ma quest'ultimo deve però considerarsi congruo, salvo circostanze eccezionali, nella misura massima stabilita per lo stesso espletamento della procedura (e cioè di tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti). Decorso tale termine, e tanto più qualora nel frattempo sia stato instaurato il giudizio e sia stata sollevata dalla parte convenuta l'improcedibilità della domanda, alla parte attrice è preclusa la possibilità di rimediare alla propria precedente condotta inerte" (Trib. Reggio Emilia, 28.05.2021, conf. Trib. Alessandria, 23.02.2024). Conseguentemente, alla luce dell'analisi fattuale precedentemente condotta, deve ritenersi che la condizione di procedibilità non può considerarsi avverata e dev'essere dichiarata l'improcedibilità della domanda attorea anche nei confronti di (...). Infatti, l' invito a stipulare la convenzione è stato seguito da adesione della controparte, ma parte attrice non si è positivamente attivata per giungere alla conclusione della procedura di negoziazione, avendo invece inviato alla controparte un mero modello di convenzione di negoziazione assista, priva di riempimento in relazione alle tempistiche e alle modalità di svolgimento della negoziazione, sottoscritta dalla sola parte attrice e dal relativo difensore, inviata alla controparte dopo oltre tre mesi dall'adesione della stessa alla procedura. Le spese legali di lite sono poste, in base al principio di soccombenza, a carico della parte attrice e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell'attività processuale effettivamente compiuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - Dichiara l'improcedibilità delle domande formulate da parte attrice; Condanna parte attrice al pagamento, in favore dell'Avv. (...) e dell'Avv. (...), dichiaratesi procuratori antistatari di (...) delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre oneri di legge; Condanna parte attrice al pagamento, in favore dell'Avv. (...), dichiaratasi procuratore antistatario del (...) e di (...), delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre oneri di legge Tivoli, 18 settembre 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Chiara Pulicati ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 308 / 2022 promossa da: Parte_i (C.F. p.iva_i), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. SE.ST. (C. F. c.f._i ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo sito in BASTIA UMBRA, indirizzo_i (PEC: Email_1 OPPONENTE Contro CP_1 (C.F. p.iva_2 , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. DE.SE. (C. F. c.f._2) ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo sito in Roma, (...) Indirizzo_2 (PEC: Email_2 ); OPPOSTA Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. Conclusioni: come da note scritte depositate in sostituzione dell'udienza del 18.10.2023. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione L'opposizione, spiegata avverso il decreto ingiuntivo n. 2017/2021 (R.G. 5172/2021) del Tribunale di Tivoli, deve essere accolta per i motivi di seguito esposti. L'eccezione di incompetenza del giudice adito, in presenza di una clausola contrattuale di arbitrato irrituale, è fondata. Il Tribunale deve dare seguito all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "In tema di competenza arbitrale, la presenza di una clausola compromissoria non impedisce di richiedere e ottenere dal giudice ordinario un decreto ingiuntivo per il credito scaturente dal contratto, ferma restando la facoltà, per l'intimato, di eccepire la competenza arbitrale in sede di opposizione, con conseguente necessità, per il giudice di quest'ultima, di revocare il decreto ingiuntivo ed inviare le parti dinanzi all'arbitro unico o al collegio arbitrale' (Cass. sez. 6 - 2, Ordinanza n. 25939 del 24/09/2021 Rv. 662293 - 01). Ebbene, il contratto stipulato dalle parti in causa in data 1.7.2021, oggetto del presente giudizio, nel richiamare le condizioni generali del contratto tipo n. 102 Parte_2, contiene l'esplicita accettazione della clausola compromissoria ivi prevista. Ciò posto, le controversie inerenti alla fornitura della merce ad opera dell'opposta nei confronti dell'opponente devono essere demandate al Collegio Arbitrale presso I Controparte_2 di Bologna, (...) Indirizz_3. Il decreto ingiuntivo opposto deve quindi essere revocato e le parti devono essere invitate a risolvere la controversia nelle forme dell'arbitrato irrituale. Ogni altra questione risulta assorbita. Poiché parte opposta aveva facoltà, in ogni caso, di adire la giustizia ordinaria in via monitoria, a mente proprio del sopra richiamato principio giurisprudenziale, le spese di lite vengono compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Accoglie l'opposizione e revoca il decreto ingiuntivo n. 2017/2021 (R.G. 5172/2021) emesso dal Tribunale di Tivoli; - Compensa le spese di lite; - Assegna alle parti termine di tre mesi per la riassunzione del giudizio dinanzi al Collegio Arbitrale presso l'cp_2 di Bologna; Tivoli, 5 giugno 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Valerio Ceccarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa da: (...), elettivamente domiciliato in (...), (...) presso lo studio dell'Avv. (...) che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce all'atto di citazione ATTORE contro (...) elettivamente domiciliata in (...), (...), presso lo studio dell'Avv. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta CONVENUTA contro (...) CONVENUTI CONTUMACI CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, (...) ha convenuto in giudizio (...) e (...) rappresentando di essere cessionario da (...) e (...) del credito risarcitorio relativo alle conseguenze pregiudizievoli dell'incidente stradale avvenuto in data 04.12.2011, in cui ha perso la vita (...), della quale i cedenti risultano eredi. In particolare, ha evidenziato l'attore che tale incidente, derivante dalla perdita di controllo del mezzo in cui la deceduta era trasportata, è avvenuto per colpa della conducente (...), che guidava in modo imprudente il mezzo di proprietà di (...) successivamente deceduta lasciando come erede (...) Pertanto, l'attore ha agito per il risarcimento dei danni derivanti dal fatto illecito allegato. Con comparsa di costituzione e risposta, si è costituita in giudizio contestando la domanda attorea ed evidenziando l'improcedibilità della (...) domanda per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita. Nonostante rituale notifica, (...) e (...) non si sono costituiti in giudizio, rimanendo pertanto contumaci. All'udienza del 21.06.2023, è stato assegno a parte attrice termine di legge per l'avvio della procedura di negoziazione assistita, stante l'inerenza della domanda attorea a controversia riguardante circolazione di veicoli. All'udienza del 27.03.2024, la convenuta costituita ha evidenziato il non perfezionamento della condizione di procedibilità della domanda. All'udienza del 05.04.2024, le parti hanno precisato le proprie conclusioni e la causa è stata oggetto di discussione orale. La domanda giudiziale dell'attore deve essere dichiarata improcedibile, non potendosi ritenere validamente instaurata la procedura di negoziazione assistita. Va premesso che la domanda attorea, attenendo ad un credito risarcitorio derivante dalla circolazione di veicoli, risulta sottoposta alla procedura di negoziazione assistita come condizione di procedibilità, secondo la previsione di cui all'art. 3, comma 1, del D.L. n. 132 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 162 del 2014. Anzitutto, occorre valutare se possa considerarsi assolta la condizione di procedibilità della domanda a seguito dell'esperimento, in luogo della procedura di negoziazione assistita obbligatoria, del tentativo di mediazione (cfr. doc. 8, allegato alla comparsa di costituzione e risposta). Per quel che concerne i rapporti tra il procedimento di negoziazione assistita e il procedimento di mediazione obbligatoria, l'art. 3 del D.L. n. 132 del 2014 prevede l'obbligatorietà del procedimento della negoziazione assistita in relazione alle controversie tassativamente indicate dalla disposizione, fuori dei casi sottoposti alla mediazione obbligatoria dall'art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28 del 2010. Per converso, l'art. 3, comma 5, del D.L. n. 132 del 2014, prevede che rimangono ferme le disposizioni che disciplinano speciali procedimenti obbligatori di conciliazione, comunque denominati. Dall'interpretazione congiunta delle due disposizioni si ricava che il cumulo tra negoziazione assistita e procedure stragiudiziali obbligatorie risulta imposto, salvo che la controversia non sia soggetta a mediazione obbligatoria, perché in tale specifica ipotesi solo questa procedura deve essere esperita (cfr. Trib. Verona, 23.12.2015). Dunque, il legislatore ha inteso accordare prevalenza al procedimento di mediazione obbligatoria esclusivamente nelle ipotesi di potenziale cumulo tra la negoziazione assistita e la mediazione, tanto da aver espressamente previsto, con riferimento alle altre procedure obbligatorie di conciliazione, di non attribuire prevalenza all'una o all'altra procedura (cfr. Trib. Verona, 12.5.2016). Ne discende che "ove la mediazione non sia obbligatoria, mentre lo sia la negoziazione assistita, non rientra nel potere delle parti scegliere l'una piuttosto che l'altra, ma esse sono obbligate ad esperire la negoziazione assistita" (Trib. Roma 08.10.2021, conf. Trib. Roma 24.05.2022, Trib. Varese 01.06.2023, Trib. (...) Vetere, 11.07.2022). Nel caso in esame, deve perciò ritenersi che la procedura di negoziazione assistita doveva essere esperita quale condizione di procedibilità della domanda attorea, non surrogabile dalla mediazione. Ciò premesso, la condizione di procedibilità della domanda non può ritenersi avverata nel caso di specie. Anzitutto, parte attrice non risulta aver dato luogo alla negoziazione assistita prima dell'instaurazione del presente giudizio. Neppure a seguito del successivo termine assegnato in sede di prima udienza, risulta l'integrazione della condizione di procedibilità, come disciplinata dal D.L. n. 132 del 2014. A tal riguardo, deve essere evidenziato che l'art. 4 del D.L. n. 132 del 2014 espressamente richiede che l'invito alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita deve essere firmato dalla parte, con firma autenticata dal difensore. Invece, dagli atti di causa emerge che l'invito inoltrato alla convenuta (...) è stato sottoscritto dal difensore della parte e non anche dalla parte personalmente. Neppure può ritenersi che il procuratore fosse munito, al momento dell'invio dell'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, di procura speciale che espressamente gli conferisse tale potere. In particolare, il tenore letterale della procura conferita al difensore impone di escludere l'inclusione dell'indicato potere nelle facoltà oggetto della delega. Infatti, nella procura risulta indicata la delega a rappresentare la parte nel solo procedimento di mediazione obbligatoria o delegata, con la successiva indicazione dell'informazione dell'assistito in ordine alla possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistita con l'ausilio di un avvocato, senza il conferimento sul punto di alcun potere rappresentativo. Sul piano interpretativo, la sola indicazione della delega rappresentativa in relazione al potere di mediazione, nonché la menzione della procedura di negoziazione assistita ai soli fini informativi, costituiscono indici testuali inequivoci, che impongono di escludere un potere rappresentativo del difensore in ordine alla sottoscrizione in nome dell'assistito dell'invito alla stipulazione di una convenzione di negoziazione assistita. Neanche può essere affermata la derivazione di un tale potere dai poteri processuali generalmente discendenti dalla procura alle liti, in quanto "i poteri processuali risultano al difensore attribuiti direttamente dalla legge, con la procura la parte realizzando semplicemente una scelta ed una designazione, e non anche un'attribuzione di poteri, al cui riguardo la volontà della parte è pertanto irrilevante, potendo assumere invero rilievo esclusivamente al fine della eventuale limitazione dei poteri del procuratore derivanti dalla legge" (Cass. Sez. Un. 14.03.2016, n. 4909, conf. Cass. Sez. Un. 14.09.2010, n. 19510, Cass. 13.07.1972, n. 2373). Ciò posto, deve ritenersi che la sottoscrizione della parte apposta all'invito alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita, come espressamente disciplinato dall'art. 4 del D.L. n. 132 del 2014, costituisca condizione per ritenere integrata la condizione di procedibilità prevista dal legislatore (in questo senso, Trib. Roma 24.05.2022, Trib. Roma 10.01.2023, Trib. Ascoli Piceno, n. 03.10.2023). Tale considerazione trova conferma non solo nel richiamato argomento letterale, ma anche in relazione all'argomento logico o funzionale, se si considera l'intento del legislatore di instaurare una negoziazione che coinvolga direttamente le parti titolari dei diritti oggetto della controversia, nella prospettiva dell'individuazione di una possibile soluzione conciliativa della lite. Al riguardo, l'attore ha evidenziato che non risulta espressamente disciplinata un'ipotesi di nullità e correlativa inefficacia in relazione alla mancata sottoscrizione della parte nell'invito alla negoziazione assistita, ulteriormente rilevando che una eventuale nullità dovrebbe ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo dell'atto, derivante dalla risposta negativa comunicata dal convenuto costituito. Sul punto, deve ritenersi non conferente il richiamo alle nullità degli atti processuali, posto che occorre svolgere una valutazione non relativa alla validità di un atto processuale, ma in ordine al perfezionamento della condizione di procedibilità della domanda, alla luce dell'integrazione dei diversi requisiti espressamente indicati dal legislatore. Nel caso di specie, non può ritenersi che tale giudizio giunga ad un esito positivo, posta la carenza nell'invito alla negoziazione assistita del requisito espressamente indicato dal legislatore, costituito dalla sottoscrizione della parte. A tal riguardo, neppure può essere richiamata la previsione di cui all'art. 3, comma 2, del D.L. n. 132 del 2014 in ordine all'avveramento della condizione di procedibilità in caso di invito seguito da rifiuto, posto che la norma presuppone l'esistenza di un invito alla negoziazione assistita conforme ai requisiti espressamente indicati, con la sottoscrizione personale della parte. Neppure può riscontrarsi un'ipotesi di raggiungimento dello scopo dell'invito alla negoziazione assistita, a tal riguardo risultando inconferente la mera risposta negativa inoltrata dal difensore della controparte. Infatti, non può ritenersi raggiunto lo scopo dell'atto come previsto dal legislatore, dato dall'instaurazione di una possibile trattativa che coinvolga le parti personalmente, ovvero procuratori dalle stesse espressamente incaricati e muniti dei necessari poteri dispositivi, con lo scopo di giungere ad un potenziale esito conciliativo della controversia. Peraltro, il necessario coinvolgimento personale delle parti, alla luce delle ragioni deflattive del contenzioso poste alla base dell'indicata disciplina, è stato anche evidenziato dal difensore dell'attore in sede di discussione orale della causa. Va aggiunto che l'attore ha radicalmente omesso la comunicazione dell'invito alla negoziazione assistita alle parti contumaci, che non avrebbero dovuto rimanere estranee alla condizione di procedibilità. A tal riguardo, occorre osservare che l'art. 3, comma 1, del D.L. n. 132 del 2014 trova applicazione anche nel caso in cui il convenuto rimanga contumace, atteso che anche tale parte può considerare la convenienza di una conciliazione stragiudiziale a fronte della prospettiva di rimanere esposto all'alea e alle conseguenze del giudizio (in questo senso, Trib. Verona, 02.10.2015). Pertanto, anche sotto tale profilo la condizione di procedibilità non può ritenersi integrata. Alla luce di quanto indicato, la domanda dell'attore deve pertanto ritenersi improcedibile. Le spese legali di lite della convenuta costituita sono poste, in base al principio di soccombenza, a carico dell'attore e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell'attività processuale effettivamente compiuta. Va dichiarata l'irripetibilità con riguardo alle spese di lite tra l'attore e i convenuti rimasti contumaci. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - Dichiara improcedibile la domanda dell'attore; - Condanna l'attore al pagamento, in favore della convenuta costituita, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre oneri di legge; - Dichiara l'irripetibilità delle spese di lite tra l'attore e i convenuti contumaci. Così deciso in Tivoli il 5 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott.ssa Roberta Mariscotti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. 4680/2023 pendente tra (...) (CF (...)) e (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'Avv. (...) (C.F. (...)) l'Avv. (...) (C.F. (...)) Ricorrente (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) Resistente RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto depositato in data 11.09.2023 i ricorrenti in epigrafe indicati proponevano ricorso ex 414 nei confronti delle resistenti chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "1. Accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del trasferimento dei ricorrenti presso il sito di Monterotondo, Via (...) del 24 febbraio 2023; 2. Accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del trasferimento dei ricorrenti presso la città di Bologna presso il sito di San Giorgio di Piano del 27 giugno 2023; 3. Accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del licenziamento intimato ai ricorrenti in data 7 agosto 2023; 4. Ordinare alla convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, la reintegrazione dei ricorrenti nella sede di lavoro in precedenza occupata, ovvero in una sede di lavoro nella città di Roma ovvero nel Lazio e ad ogni modo in una sede di lavoro conforme all'ordinamento e alla buona fede; 5. Condannare la convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento a favore dei ricorrenti di una indennità risarcitoria (e/o retributiva) commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (pari ad euro 1.980,13 mensili), corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, e/o ad una somma corrispondente a 36 mensilità calcolata in base all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (pari ad euro 1.980,13 mensili), e corrispondente ad euro 71.284,68 o alla diversa somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia; il tutto con rivalutazione monetaria e interessi e con il pagamento delle spese di lite. A sostegno delle proprie pretese i ricorrenti lamentavano di essere stati dapprima trasferiti presso un appalto in scadenza, poi sottoposti ad una procedura di licenziamento collettivo, e, prima dello sviluppo del procedimento, trasferiti nuovamente a 400 km di distanza - con un preavviso di pochi giorni - presso un sito in cui non potevano recarsi e contestavano, pertanto, l'illegittimità del licenziamento per assenza ingiustificata e dei precedenti trasferimenti. La ricostruzione dei fatti operata dai ricorrenti può essere così riassunta: il contratto di appalto tra (...) S.r.l. e (...) S.c.a.r.l. affidato dal (...) S.r.l., scadeva il 30 giugno 2023; con lettera del 21/3/23, inviata e ricevuta dalla società (...) S.R.L., in data 22/3/2023, i ricorrenti impugnavano il trasferimento, lamentando di essere stati trasferiti presso un impianto in procinto di chiudere e che non era vero che venivano impiegate esperienze e capacità dei ricorrenti che anzi li svolgevano mansioni inferiori, umili e faticose; la datrice di lavoro, con lettera del 24/3/23, rispondeva che il trasferimento era stato reso necessario dalle dimissioni di 6 addetti e che "non è pervenuta alcuna comunicazione dal committente primario con riferimento ai rapporti contrattuali relativi alla sede di Monterotondo"; in data 8/5/23 (...) S.R.L., avviava la procedura di licenziamento collettivo per tutti gli addetti del sito di Monterotondo, confermando la fine dell'appalto e la chiusura dell'impianto; in data 27 giugno 2023 la società consegnava ai ricorrenti una nuova lettera di trasferimento degli stessi a Bologna presso il sito di San Giorgio di Piano a far data dal 3/7/2013 alle ore 8.00; quindi a 400 km di distanza e con soli 5 giorni di preavviso; con lettere del 19/7/23, del 26/7/23 e del 3/8/23, la società datrice di lavoro contestava l'assenza ingiustificata dei lavoratori presso il sito di San Giorgio di Piano (Bologna), a cui i ricorrenti rispondevano ribadendo la loro offerta di prestazioni nel corretto posto di lavoro, in ragione della illegittimità del trasferimento; con lettera datata 7/8/23, ricevuta l'8/8/2023, i lavoratori venivano licenziati per supposta giusta causa e, con lettera del 31/8/23, gli stessi impugnavano i licenziamenti. Si costituiva in giudizio in termini la (...) S.r.l. chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato sia in fatto che in diritto e confermando la correttezza del proprio operato. Nel corso del procedimento venivano assunte prove testimoniali. All'esito del deposito delle note ex art. 127 ter c.p.c. la causa viene decisa sulla base dei seguenti motivi. Ebbene, la legittimità del licenziamento - secondo la ricostruzione dei ricorrenti - è strettamente connessa ad una valutazione di legittimità dei trasferimenti a loro danno operati. I ricorrenti, infatti, sostengono che i trasferimenti lamentati sarebbero avvenuti senza valide ragioni organizzative ed aziendali giustificative e pur con la consapevolezza che il primo sito di destinazione dei ricorrenti sarebbe stato chiuso dopo breve tempo. La resistente si difende, contestando la ricostruzione così come operata. Ora, come noto nell'ipotesi di trasferimento del lavoratore il relativo provvedimento non è soggetto ad alcun onere di forma e non deve necessariamente contenere l'indicazione dei motivi, né il datore di lavoro è obbligato a rispondere al lavoratore che li richieda, ma qualora sia contestata la legittimità del trasferimento il datore di lavoro ha l'onere di allegare e provare in giudizio le ragioni che lo hanno determinato, fornendo la prova delle reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (cfr. Cass. 1383/2019; ex plurimis Cass. 807/2017). In sintesi, ciò che il datore di lavoro è tenuto a provare è l'effettività del nesso causale tra il trasferimento e le comprovate ragioni di cui all'art. 2103c.c. (cfr. Cass. 27226/2018,2143/2017). Infatti, il datore di lavoro ha la facoltà di scegliere tra le varie possibilità organizzative quella che meglio risponda alle esigenze dell'impresa, non essendo sindacabile il merito della scelta datoriale tra le diverse soluzioni utilizzabili tra cui rientra certamente anche il trasferimento. Ferma restando l'insindacabilità dell'opportunità del trasferimento, salvo che risulti diversamente disposto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro, in applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede (art. 1375 c.c.), qualora possa far fronte a dette ragioni avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il dipendente, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni ostative al trasferimento. Dal principio secondo cui il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa, discende che tale accertamento non può essere limitato alla situazione esistente nella sede di provenienza, ma deve estendersi anche alla sede di destinazione del lavoratore, restando a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di dette ragioni. Sul punto non può non evidenziarsi che le ragioni tecniche aziendali non possono ledere il diritto del lavoratore alla conservazione della sua professionalità che ha carattere prevalente rispetto alle esigenze organizzative del datore di lavoro. La stessa funzione dequalificatoria del trasferimento ne determina l'illegittimità ontologica ex art. 2103 c.c. (Cass. 27226/2018, conf. 4265/2007; cfr. 11568/2017, 2143/2017). Così come va sottolineato che anche il potere del datore di lavoro di trasferire i dipendenti va esercitato secondo buona fede e correttezza. L'abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti (cfr. Cassazione 15885/2018 ove la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso configurasse un abuso il trasferimento in sedi lontane e disagiate di alcuni lavoratori, che avevano scelto di non aderire ad una proposta di conciliazione per laccettazione della mobilità in una condizione di libera autodeterminazione e nella consapevolezza delle conseguenze di ciascuna delle opzioni esistenti). Applicando i principi summenzionati al caso di specie, occorre verificare se l'onere incombente sul datore di lavoro e relativo alle comprovare le ragioni tecnico produttive che hanno condotto ai trasferimenti sia stato adempiuto. Utili sul punto - oltre alla copiosa documentazione allegata - possono risultare le testimonianze rese nel corso del giudizio. Il teste di parte ricorrente (...) ha dichiarato: "Io sono un sindacalista che si occupa di logistica. Non lavoro per la Logistica mai stato dipendente. Avevo amicizie in comune ai ricorrenti nel sindacato e poi ho seguito la loro situazione nell'azienda. Loro si sono rivolti al sindacato per alcune problematiche relative a orari, buste paga, condizioni lavorative. Si sono rivolti a me nel 2022. Dopo che si sono rivolti perché lamentavano delle problematiche la situazione è degenerata nel senso che il rapporto con il consorzio è conflittuale. L'azienda ci ha fatto subito capire che l'iscrizione al sindacato non era cosa gradita e lo ha fatto con alcuni episodi quale negazione ferie e permessi nonostante richiesta formulata nei tempi, il ripetuto trasferimento su altre sedi lavorative in cui sia gli orari e mansioni erano diverse. Io ho inviato più volte segnalazioni all'azienda con riguardo a questo atteggiamento ritorsivo verso i lavoratori. Queste problematiche prima dell'adesione non si erano mai manifestate ma erano di altro tipo, quali applicazione livelli, mansioni non consone. Le segnalazioni che ho fatto sono state inviate via pec e in più io avevo un'interlocuzione con la titolare (...) del consorzio e con uno dei responsabili operativi (...)" Si mostra al teste l'allegato n. 6 del ricorso e la n. 31 della memoria "Questa all. 6 è una mia segnalazione. L'all.31 è la risposta che ho ricevuto dall'azienda. Questa si riferiva alla mancata concessione di una o più giornate di permesso trascorse le quali come si fa a tornare indietro visto che la giornata era trascorsa. I lavoratori sono andati a lavorare. Poi ci sono stati altri episodi che ho rappresentato quali il fatto che veniva spenta la luce quando ancora i ricorrenti lavoravano e il trasferimento definitivo nella sede di Monterotondo che fu anomalo e su questo abbiamo avuto sospetti perché sapevamo che il magazzino era in una situazione abbastanza precaria. In quel magazzino c'era un unico sindacato quindi probabilmente la decisione di avvalersi di un altro sindacato fece inasprire i rapporti. Sicuramente ci fu un preposto aziendale, che è anche delegato sindacale della FILT CGL, dei sito di Monterotondo (...) che era molto infastidito Oltre al documento 6 sicuramente ci sono state altre segnalazioni via pec". Il teste di parte resistente (...) ha sostenuto "Lavoro per la resistente da agosto 2018. Sono responsabile operativo, controllo di gestione e gestisco dei siti logistici, do supporto alle decisioni, effettuo controllo di gestione e mi interfacciò con l'amministratore della resistente con report settimanali e mensili con cui analizziamo le criticità dei vari siti logistici. Conosco i ricorrenti che si occupavano dapprima di attività di confezionamento ordini sul sito di Monterotondo ovvero posizionamento farmaci ali 'interno dei colli, chiudevano i colli e a seconda delle tipologie di farmaci componevano l'adeguato numero i colli, preparavano i colli dedicati a seconda della tipologia del farmaco, poi contavano il numero dei colli che erano in parte quelli confezionati e altri già confezionati che venivano posizionati in altra area,si recavano alla postazioni informatica e indicavano sulla postazione il corretto numero di colli di cui era composto l'ordine producendo le etichette. Una volta prodotte le etichette le stesse venivano applicate sui colli dell'ordine un'etichetta per ogni collo verificando che non ci fossero etichette in eccesso né colli privi dell'etichetta. Da Monterotondo sono stati trasferiti, per un calo di volumi del sito di Monterotondo, ad (...) ove hanno svolto attività di movimentazione merci sia manualmente sia con movimentazione elettrica. Poi sono stati ritrasferiti a Monterotondo e hanno ripreso le precedenti mansioni. All'inizio del 2023 quando sono stati ritrasferiti a Monterotondo avevamo avuto un calo di sei risorse e per questo sono stati trasferiti lì. L'appalto di Monterotondo lo abbiamo preso nell'agosto 2020 e abbiamo assunto tutti i lavoratori operanti su quel sito e provenienti dalla vecchia gestione. Avevano un esubero di una decina di lavoratori per il volume che c'era sul sito per cui abbiamo trasferito gli esuberi in altri impianti. Poi all'inizio del 2023 con volumi stabili ci sono state le dimissioni di sei unità. Non c'era avvisaglia di difficoltà sul sito. Monterotondo aveva tanta attività manuale e i ricorrenti avevano già conoscenza della delicatezza del confezionamento dei farmaci per cui ci garantivano una qualità nel lavoro che facevano. La conoscenza della chiusura del sito la abbiamo avuta a metà aprile tramite i sindacati quanto si è aperta la procedura di licenziamento collettivo di (...). Ad aprile avevamo una condizione di crisi, anzi già da febbraio, anche sul sito di (...) con esuberi di 14 unità; in più appresa la notizia della chiusura e non rinnovo del contratto di Monterotondo ai 14 esuberi di (...) si sono aggiunti i 23 addetti di Monterotondo. Abbiamo interpellato i sindacati per avviare la procedura. Poi il dialogo ha fatto si che su Monterotondo i sindacati hanno trovato un accordo con (...). Per cui ai lavoratori che stavano a Monterotondo veniva data continuità lavorativa sul sito di (...) e tanti sono andati a (...). Per è arrivati ad una riduzione dell'orario da full time a part time per 24 risorse circa e questo ha permesso di evitare la concretizzazione della procedura di licenziamento collettivo. Ad aprile c'erano attivi anche i siti di via (...) con contratto fino al 31 luglio ma avevamo ottenuto comunicazione che la commessa era stata vinta da un altro provider logistico e sarebbe stato chiuso al 31 luglio. Poi c'erano gli impianti di Bologna e Catania ma non li seguivo io. Questi sono rimasti operativi anche oggi insieme ad (...) ADR L'accordo su Monterotondo durante la crisi con (...) prevedeva che ci fosse continuità lavorativa per i lavoratori e se questi non accettavano potevano essere trasferiti a Bologna che era l'unico sito in cui avevamo possibilità di inserire altre risorse. Su (...) avevamo 14 esuberi i quel momento. Le mansioni dei ricorrenti ad (...) sono state assunte dagli altri dipendenti rimasti. L'attività di confezionamento svolta dai ricorrenti a Monterotondo era delicata perché in casi di errore ci veniva addebitato il costo del collo ed erano importi importanti intorno ai 5000 euro. Oltre ai ricorrenti non hanno accettato il passaggio a (...) e (...) e sono state trasferite Bologna ma loro non hanno accettato e non lavorano più per la resistente. So che i ricorrenti avevano aderito ad un sindacato e mi informò l'ufficio del personale. A me non risultano episodi di contrasto tra l'azienda e i lavoratori che aderivano i sindacati. Anche sulle richieste di turnazione, orari si cercava sempre di andare incontro alle richieste dei lavoratori. L'attività di movimentazione merci che prima svolgevano i ricorrenti ora ad (...) le svolgono (...)". Il teste di parte ricorrente (...) ha chiarito "Non ho mai lavorato per la resistente. Ho lavorato per la (...) dal 2001 fino al giugno 2023 poi sono entrato in congedo con la 104. lo mi occupavo nell'ultimo periodo di allestimento farmaci, chiusura farmaci e spedizione a Monterotondo. La chiusura è avvenuta il 30 giugno. Ufficialmente non era uscito niente ma ufficiosamente nel giugno 2022 era stato prorogato di un anno il contratto con il consorzio (...) perché la (...) aveva questo contratto in essere ma era una proroga per discutere un rinnovo che poi nei fatti non ci fu. Da settembre 2022 sono cominciati i primi contatti con la che ha portato un nulla di fatto e a febbraio 2023 è stata data la notizia. L'azienda a febbraio ha comunicato, mi pare verbalmente, che non aveva rinnovato il contratto con il consorzio (...) capo fila (...). I miei rappresentanti sindacali hanno riferito di essersi incontrati con l'azienda che aveva comunicato la perdita dell'appalto e la chiusura del sito di Monterotondo. Nel sito c'erano anche le attività con (...) e (...). Prima della fine del contratto con il consorzio (...) del 30 giugno la (...) ha comunicato anche le disdette nei confronti di (...) e (...) perché il magazzino non poteva reggere i costi con il volume delle commesse residue perché erano poche cose. Le attività residue si sono prorogate fino al 30 settembre 2023. Io aderivo alla CGL dal 1988. Anche i ricorrenti erano iscritti al sindacato. Non ho notato questioni dell'azienda nei confronti di chi aderiva al sindacato fino al 2014; ci sono stati comportamenti antisindacali di (...) con i lavoratori (...). Solo per conoscenza potevo sapere di lamentele dei ricorrenti e problemi con la loro azienda ma non erano miei affari. I ricorrenti sono stati trasferiti a Monterotondo quando già si paventava l'idea della chiusura. Ricordo che nel febbraio 2023 la CGL organizzò una manifestazione congiunta tra personale diretto (...) e personale indiretto fuori dai cancelli (...) competitor dove poi è finito il consorzio (...) per intavolare trattative per il reimpiego del personale all'interno della loro struttura. Poi (...) ha aperto i cancelli e hanno intavolato il discorso. Si decise che il personale (...) era dentro (...) e invece il personale (...) tranne 4 o 5 unità , sono rimaste fuori chi licenziato, chi andato via. Io c'ero quel giorno e sono andato dentro. C'era il sindacato della (...) e della (...) e i rappresentanti dell' Poi è seguito un altro incontro o due e poi sono iniziati i colloqui individuali col personale. Alla manifestazione hanno partecipato anche i lavoratori (...) ADR 1 ricorrenti stavano allocati presso una rulliera dove scorrevano le tavolozze di legno e o preparavano la merce per spedirla oppure la apponevano in dei cartoni per poi metterla sul pallet per poi spedirli. Loro chiudevano anche i pacchi con il cellophane. Facevano anche le pulizie sotto le rulli ere. ADR A febbraio ci fu un incontro tra le parti sindacali (...) e l'azienda in cui la prima comunicò la perdita della commessa del sito di Monterotondo. I rappresentanti sindacali ci hanno informato attraverso un assemblea con i lavoratori (...) di Monterotondo. Abbiamo fatto anche delle assemblee congiunte con il personale (...). A febbraio lo sapevano tutti il personale diretto o indiretto. Già prima del 2023 si sapeva ma non era ufficiale invece a febbraio era ufficiale. Alle assemblee di fine 2023 avevano partecipato sia lavoratori diretti che indiretti ovvero lavoratori (...) e (...). La chiusura del magazzino interessava a tutti poi cosa ha fatto Meta con i propri dipendenti non era mio interesse saperlo. Ciò che si sapeva tutti era la chiusura. Non sono sicuro che la manifestazione fosse a febbraio o prima. Sono certo che a febbraio c'è stata la notizia della chiusura del sito che sarebbe avvenuta il 30 giugno. Preciso che quando io dico (...) mi riferisco a (...) ADR L'oggetto della manifestazione di cui ho parlato era per la chiusura del magazzino "Viene mostrata l'intervista resa dal testimone il 14 giugno reperita su un sito dalla parte ricorrente e senza che vi sia opposizione della parte resistente "Ricordo l'intervista che mi si mostra. Dove dichiaro che ufficiosamente sapevo della chiusura lo faccio perché le parti non hanno rinnovato i contratti; la (...) cercava di guadagnare tempo anche se il sindacato la sollecitava a dire la verità e darci certezza. A febbraio 2023 non hanno dato la ufficialità della notizia. Anzi si entro fine febbraio. La procedura di licenziamento dei dipendenti (...) è arrivata i primi di aprile. Dove dico nell'intervista che l'azienda non ha ancora disposto su quante unità del personale sarebbe rimasto a settembre mi riferisco al personale diretto (...). Dove dico che ufficiosamente si sapeva della chiusura al 30 giugno e chiusura definitiva del 30 settembre preciso che non si sapeva ancora della proroga dei tre mesi che sarebbe avvenuta di li a poco per le attività residue. In pratica allora io sapevo già della chiusura al 30 giugno come tutti perché era ufficiale da febbraio mentre non era stata data ufficialmente la notizia della proroga al 30 settembre". Infine, il teste di parte resistente (...) ha rilasciato la seguente dichiarazione "Ho lavorato per la resistente per tre anni fino al 30 settembre 2023. Ero preposto del magazzino di Monterotondo. Ho lavorato con i ricorrenti che erano presenti in magazzino quando sono arrivato, poi son stati spostati in altro magazzino e saltuariamente venivano quando c'erano dei picchi di lavoro. L'ultima volta che li ho visti è stato maggio 2023 ma non ne sono certo della data. Nell'ultimo periodo avevamo carenza di personale perché alcuni avevano dato le dimissioni per la gestione dei volumi c'era bisogno di un supporto. Fino ad aprile 2023 i volumi del magazzino erano in linea poi da maggio o giugno no. Tramite i sindacati della (...) a metà aprile sono arrivate notizie sulla perdita della commessa della e c'è stato un lieve calo dei volumi del magazzino e poi a giungo c'è stata la dismissione del magazzino. Il personale ha avuto incontri sindacali ma non so precisare le date; questi c 'erano anche da prima di avere notizia delle condizioni del sito avvenivano una volta ogni due mesi circa. Io non ho mai partecipato alle assemblee. In realtà tra di loro i lavoratori parlavano del fatto che avrebbe perso la commessa con (...); in realtà se ne parlava ogni anno anche da quando sono entrato io. Una comunicazione ufficiale della perdita della commessa non c'è stata a me è arrivata dal sindacato degli operatori della (...) ad aprile. Sul sito sembrava sempre imminente il cambio sito, il fatto che magazzino non fosse adatto e che lo avrebbero spostato ecce cc ma erano cose che si ripetevano più o meno ogni anno. C'è stato un giorno di sciopero ma non ricordo quando e non ne ero parte. Ad (...) sentendo l'altro responsabile del magazzino la, sapevo che il lavoro era calato e c'erano problemi col personale in esubero. Io quando da me avevo bisogno di supporto contattavo i responsabili di altri impianti e chiedevo del personale a supporto; mi ricordo che chiesi due unità che avessero le pregresse conoscenze del lavoro del nostro magazzino perché altrimenti non sarebbero stati indipendenti da subito. Servivano per l'imballo le unità che chiesi e questo avrebbero dovuto fare i ricorrenti. Lo chiesi anche precedentemente a maggio e a maggio ricordo di averli visti l'ultima volta anche se non ne sono certo della data. ADR le mansioni dei ricorrenti a Monterotondo erano imballo ovvero sia confezionamento scatole con pezzi sfusi, scocciatura ed etichettatura, conto dei pacchi e applicazione etichetta, segnare con pennarello i colli non standard. Errori nell'attività di imballo, essendo il farmaco un prodotto di un certo valore economico, potevano portare a danni ingenti perché se il collo partiva senza etichetta un corriere o un cliente se ne poteva appropriare senza che ce ne fosse traccia. Anche un collo solo poteva valere fino a 5000 euro. ADR Anche quando venivano saltuariamente da (...) venivano a fare le stesse mansioni di imballo. ADR Non sono a conoscenza di atteggiamento diversi dell'azienda nei confronti dei lavoratori che aderivano ai sindacati; se poi tra i lavoratori ci fossero motivi di attrito non lo so dire. Adesso lavoro per il Ministero dei Beni Culturali. Il mio lavoro è cessato a chiusura, mi diedero la possibilità di andare a Bologna ma io sinceramente non ho accettato. Ho avuto accesso alla Naspi e ora a gennaio inizierò il nuovo lavoro. Non ho cause contro la (...) ADR (...) era un operatore con qualifica di RSA che si occupava del carico merci a Monterotondo; so che avevano dei rapporti personali conflittuali con ricorrenti cioè che non andassero d'accordo. Non li vedevo mai insieme quindi presumevo io che non andassero d'accordo". Ora a ben vedere, da un raffronto delle risultanze probatorie, non sembrano provate le valide ragioni economico - organizzative dei trasferimenti operati né tantomeno l'impossibilità a ricollocare i lavoratori presso una sede più vicina a quella precedentemente assegnata. La resistente, infatti, si è limitata a dedurre, senza provarla, la sussistenza di un drastico calo delle lavorazioni per la sede di Pomezia che non le consentiva di ospitare i lavoratori ricorrenti. Di tale calo di fatturato, però, non vi è in atti alcuna prova concreta. Parimenti, dalle testimonianze rese e dalle allegazioni documentali appare evidente che seppur la chiusura del sito presso cui erano stati trasferiti i ricorrenti non fosse ufficiale, era comunque ben nota non solo alla parte datoriale ma anche ai lavoratori stessi. In considerazione di tutto quanto sopra, non può ritenersi che la datrice di lavoro abbia operato nella gestione dei trasferimenti seguendo e conformandosi ai principi di buona fede e correttezza con la conseguenza che gli stessi devono ritenersi illegittimi. Una volta verificata e ritenuta l'illegittimità dei trasferimenti, occorre verificare se la stessa abbia reso lecito il rifiuto del lavoratore di prestare la propria opera nel luogo di destinazione. Orbene, si osserva in punto di diritto che il lavoratore invoca, per giustificare il mancato adempimento, i principi di cui all'art. 1460 c.c. che nei contratti a prestazioni corrispettive, quale è il rapporto di lavoro subordinato, consentono al debitore di rifiutare la prestazione a fronte dell'inadempimento del creditore. In tal caso, il fatto giustificativo della mancata esecuzione sarebbe rappresentato dall'illegittimo trasferimento disposto nei suoi confronti. Al riguardo, nel caso di contestazione di un trasferimento del lavoratore, tenuto conto dei limiti posti dall'art. 2103 c.c. all'esercizio dello ius varianti da parte del datore di lavoro in termini funzionali e spaziali relativamente all'attività prestata dal lavoratore, deve osservarsi che la valutazione della legittimità del rifiuto a eseguire la prestazione da parte di questi non può che essere collegata a due elementi fondamentali: la forma del provvedimento di trasferimento e la (in)sussistenza delle ragioni aziendali del medesimo. A quel punto l'eccezione d'inadempimento posta dal lavoratore/contraente del contratto sinallagmatico, che rifiuta di rendere la prestazione dovuta può dirsi legittima, in quanto conseguenza dell'inadempimento dell'altra parte concretizzatosi nell'insussistenza di ragioni giustificative. Peraltro, va detto che in tema di trasferimento adottato in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, l'inadempimento datoriale non legittima automaticamente il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa, poiché vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c. alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede. Tale principio, è stato più volte affermato dalla Corte di Cassazione (in questo senso si veda per es. C. Cass. n. 18866/2016), ed è stato ribadito con un arresto più recente che richiama proprio i suddetti principi e oneri per le parti (Cass. n. 11408 dell'11 maggio 2018). Nella decisione appena richiamata, la Corte Cassazione, interpellata sul punto, ha infatti osservato che "la questione del rifiuto del dipendente di adempiere al provvedimento datoriale di trasferimento ad altra sede, in quanto ritenuto illegittimo, si inquadra nel più generale tema degli effetti dell'inadempimento di una delle parti del contratto a prestazioni corrispettive nell'alveo del quale è riconducibile il contratto di lavoro". Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, anche quando il trasferimento ad altra sede lavorativa sia stato disposto dal datore di lavoro in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive non si giustifica in via automatica il rifiuto del dipendente all'osservanza del provvedimento e quindi la sospensione della prestazione lavorativa, atteso che l'inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo deve essere valutata alla luce del disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c. secondo il quale nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede. Pertanto, secondo la Suprema Corte il Giudice di merito, a fronte di una eccezione di inadempimento come quella di cui sopra, deve procedere ad una "valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto ed alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse" e, qualora egli rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 cod. civ., deve ritenere che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia di buona fede e quindi non sia giustificato. Nel caso che qui ci occupa, oltre a tutto quanto già sopra esposto in ordine all'illegittimità del trasferimento, ci troviamo dinnanzi ad un trasferimento di circa 400 km di distanza dalla prima sede di lavoro comunicato con un preavviso di soli 5 giorni. I lavoratori tra l'altro - seppur non presenti sul nuovo luogo di lavoro - hanno manifestato sin da subito le problematiche relative al detto trasferimento, rendendosi disponibili a prestare l'attività lavorativa in una sede vicina a quella di provenienza. Comparando i comportamenti extraprocessuali delle parti deve ritenersi che parte datoriale non abbia operato nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza con la conseguenza che il rifiuto dei lavoratori non può considerarsi inadempimento e deve concludersi, pertanto, per l'insussistenza del fatto contestato. In considerazione di tutto quanto sopra, ai sensi e per gli effetti dell'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015 i ricorrenti hanno diritto alla reintegrazione al lavoro oltreché ad un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, calcolata in base all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari ad Euro 1.980,13 8 (somma non compiutamente contestata dalla resistente) e non superiore a 12 mensilità. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni istanza ed eccezione, così provvede: 1. Accerta e dichiara l'illegittimità e inefficacia dei trasferimenti operati nei confronti dei ricorrenti nonché l'illegittimità del licenziamento intimato in data 07/08/2023; 2. Condanna la resistente alla reintegrazione dei ricorrenti nella sede di lavoro in precedenza occupata nonché al pagamento in favore dei ricorrenti di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità calcolata in base all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari ad Euro (1.980,13 euro) oltre accessori di legge nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione; 3. Condanna la resistente a corrispondere in favore dei ricorrenti i compensi di avvocato che liquida complessivamente in Euro 2695,00 oltre spese, iva e cpa. Così deciso in Tivoli il 27 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI Il Giudice dott.ssa Francesca Coccoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.1579/2020 R.G.A.C., vertente tra (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) parte attrice e (...) rappresentato e difeso dall'Avv. (...) parte convenuta OGGETTO: risarcimento danni FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) evocava in giudizio (...) affinché ne venisse accertata e dichiarata la responsabilità per il danneggiamento dell'autovettura Mitsubishi Outlander tg. (...) di proprietà dell'attore, danneggiamento provocato dalle scintille provenienti dal flex utilizzato dal convenuto, con conseguente condanna di quest'ultimo al pagamento dell'importo di euro 6.019,76 a titolo di risarcimento del danno; chiedeva, inoltre, l'autorizzazione ad installare un sistema di video sorveglianza sull'area comune di pertinenza. - Si costituiva in giudizio l (...) eccependo, in via preliminare: la violazione dell'art. 12 delle specifiche tecniche del dm 44/2011 e dell'art. 16 comma 4° della legge 179/2012; la violazione del termine di cui all'art. 163 bis c.p.c.; l'improcedibilità della domanda ex l'art. 3 del d.l. (...), n. 132, convertito in l. (...), n. 162 per mancato esperimento del tentativo di negoziazione assistita. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda attorea. - All'udienza del (...), svolta in modalità a trattazione scritta, le parti precisavano le rispettive conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. In primis deve essere esaminata l'eccezione preliminare sollevata dalla parte convenuta in merito alla violazione dell'art. 12 delle specifiche tecniche del dm 44/2011 e dell'art. 16, comma IV, della legge 179/2012. L'eccezione in parola non può trovare accoglimento, non prevedendo la normativa in materia alcuna specifica ipotesi di nullità in caso di non osservanza delle modalità descritte. In ogni caso, la mancata osservanza delle formalità del deposito non ha comportato alcuna lesione del contraddittorio in quanto la parte convenuta ha potuto espletare le proprie difese. Del pari superate devono ritenersi le restanti eccezioni preliminari, essendo stata parte convenuta, nel corso della prima udienza, rimessa in termini per la costituzione, ex artt. 163-bis e 164 c.p.c. e, sotto altro profilo, avendo parte attrice fornito prova del rituale avvio del procedimento di negoziazione assistita. Per quanto attiene al merito della domanda proposta si rileva quanto segue. L'art. 2647 c.c. stabilisce che: "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda". Applicando quanto disposto dalla menzionata norma alla fattispecie della responsabilità extracontrattuale, risulta che colui che agisce in giudizio, lamentando un danno derivante da fatto illecito altrui, deve fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., ovverosia: il fatto, l'elemento soggettivo, dolo e colpa, il danno ingiusto, nonché il nesso di causalità tra la condotta e l'evento. Per quanto concerne i danni risarcibili, l'art. 2056 c.c. stabilisce che gli stessi ricomprendono sia il danno emergente che il lucro cessante, purché siano conseguenza immediata e diretta del fatto. Orbene, dall'esame della documentazione prodotta nonché all'esito dell'assunzione delle prove orali, si ritiene che parte attrice abbia assolto all'onere probatorio sulla medesima incombente, avendo dimostrato la sussistenza dei requisiti peculiari della responsabilità aquiliana. E più nello specifico, a fondamento della proposta domanda Parte_1 ha dedotto che la propria autovettura, parcheggiata in aerea di sosta di pertinenza dalla sua abitazione, ha subito dei danni a seguito delle scintille provenienti dall'apparecchio utilizzato (...) nella realizzazione di lavori nella vicina proprietà. In proposito il teste di parte attrice, (...), escusso all'udienza del (...), sul capitolo 1 della memoria 186, VI comma, c.p.c. n. 2: "Vero che in data (...) si trovava presso l'abitazione del Signor (...) sita in (...), Per eseguire dei lavori di manutenzione ordinaria ?"; così rispondeva: "confermo, nel Data 6 stavo ristrutturando una parte condominiale era un orto, un giardino; ed ancora, il menzionato teste affermava la presenza della parte convenuta nel luogo e nel giorno del verificarsi del sinistro ed avvalorava la dinamica descritta da parte attrice in merito alla condotta contestata (...) ed, infatti, in argomento, sul capitolo 2: "Vero che il vicino di casa del Signor (...) Signor (...) si avvicinava chiedendole se avesse un flex più grande rispetto al suo perché doveva modificare la tettoia dove parcheggiava l'autovettura?"; così rispondeva: "confermo la circostanza, mi ha chiesto un frullino più grande per tagliare'; sul capitolo 3: "Vero che lei ha visto il Signor (...) eseguire i lavori sulla tettoia utilizzando il flex e le scintille andarono a colpire l'autovettura del Signor (...) la (...) OUTLANDER tg (...)?"; dichiarava: "l'ho visto perché io ero lì'. Possono, altresì, considerarsi provati l'evento dannoso ed il nesso causale con la condotta lesiva, si veda, al riguardo quanto sostenuto dal teste di parte attrice nel corso dell'udienza del (...), con particolare riferimento alle seguenti affermazioni: sul capitolo 5 "Vero che nel corso dell'esecuzione di detti lavori il Signor (...) e accortosi di quanto stava avvenendo si affrettò a spostare la propria autovettura?" Confermo la circostanza; sul capitolo 6: "Vero che subito il Signor (...) e lei constatavate che le scintille avevano danneggiato parte della carrozzeria e dei vetri dell'autovettura sul lato sinistro, anteriore e posteriore?" Adr: confermo, la carrozzeria era tutta puntinata da bruciature; non ricordo in particolare se dappertutto". Non può, peraltro, non tenersi in debita considerazione che la parte convenuta abbia contestato solo genericamente la domanda attorea e ciò in violazione del disposto dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2947 c.c.. Secondo la previsione delle predette norme, il convenuto ha l'onere di dimostrare l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della ex adverso domanda, nonché provare eventuali altri fatti che abbiano contribuito a modificare o far venire meno il diritto vantato (i cosiddetti fatti impeditivi, modificativi ed estintivi). La mancanza di ogni specifica e puntuale contestazione circa l'esistenza dei fatti evidenziati dall'attore comporta il non assolvimento dell'onere imposto ex lege sulla parte evocata in giudizio. L'assenza di ogni elemento probatorio a corredo delle argomentazioni sostenute dall (...) comporta che alcuna rilevanza può attribuirsi all'interrogatorio formale reso dalla parte convenuta all'udienza del (...). Si richiama sul punto l'insegnamento della giurisprudenza in forza del quale: "In assenza di confessione l'efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio formale è soggetta al libero apprezzamento del giudice, il quale ben può ponderarne la consistenza alla luce e nel necessario coordinamento con altri elementi del complesso probatorio "(Cass.Civ. n. 30529/2017). Alla luce delle considerazioni appena svolte, la domanda attorea di risarcimento del danno trova accoglimento. Venendo alla quantificazione del danno, parte attrice produce a sostegno della richiesta dell'importo di euro 6.019,76 il preventivo redatto in data (...) da officina autorizzata (doc. n. 3), dal quale emergono costi per la riparazione del parabrezza, delle porte anteriore e posteriore sinistra, del parafango, del lunotto, del tetto e del cofano, per complessivi euro 6019,76, la cui necessità è confortata dalla documentazione fotografica allegata in atti dalla quale emerge il diffuso danno arrecato dalle scintille dell'apparecchio utilizzato dall (...) (doc. 4 di parte attrice). Né, come eccepito da parte convenuta, che erroneamente indica nel 2003 l'anno di immatricolazione, il valore di mercato dell'autovettura doveva ritenersi inferiore a tali importi, rilevandosi anzi dal listino del mercato dell'usato della rivista specializzata Quattroruote che non solo nel 2019, ma anche attualmente, il valore dell'autovettura in relazione al modello e all'anno di immatricolazione supera l'importo chiesto a titolo di risarcimento danni. Congruo, pertanto, si ritiene riconoscere al (...) la somma calcolata nel preventivo, pari ad euro 6019,76. Va, invece, rigettata la domanda di installazione di un sistema di videosorveglianza su tutta l'area comune. Prevede l'art. 1122-ter cod. civ., in tema di condominio, che "Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136". La norma, aggiunta con legge (...) n. 220, sottende che i sistemi di videosorveglianza sulle parti comuni degli edifici non debbano violare la privacy di coloro che fruiscono di tali spazi: si tratta quindi di una soluzione residuale, da adottare in assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio. Nella fattispecie in esame, dalla scarna allegazione di parte attrice sembra escludersi la presenza di un condominio, avendo la stessa affermato la presenza di un'"area di pertinenza alla proprietà del Signor (...)in comune con quella del Signor (...). Trovano applicazione, pertanto, le norme in tema di comunione in generale dettate dagli artt. 1100 e ss. c.c. Ebbene, deve osservarsi, in merito ai presupposti di fatto dedotti a fondamento della richiesta, come il (...) si sia limitato a fornire la prova del singolo episodio all'origine del lamentato danno, non dimostrando l'esistenza di condotte reiterate del convenuto o di terzi, causa di danneggiamenti nella proprietà dell'attore. Ciò comporta, in difetto del consenso del comproprietario dell'area comune, ed in difetto di allegazione circa l'esistenza di ulteriori comproprietari, il rigetto della domanda. Le spese del giudizio, compensate per metà in ragione del parziale rigetto delle pretese attoree, seguono per la restante metà il principio della soccombenza prevalente e sono liquidate come da dispositivo. p.q.m. Il Giudice, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, difesa, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) accerta e dichiara la responsabilità del convenuto in relazione al danno cagionato all'autovettura dell'attore e, per l'effetto, condanna (...) al risarcimento, in favore di (...), quantificato in euro 6.019,76, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto alla presente sentenza, ed oltre interessi al tasso legale vigente dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; 2) rigetta la restante domanda di parte attrice; 3) dichiara per metà compensate le spese del giudizio che, liquidate in complessivi euro 263,00 per spese ed in euro 5.077,00 per compensi, oltre IVA e CPA come per legge, pone per metà a carico di (...). Così deciso in Tivoli, il (...)

  • TRIBUNALE DI TIVOLI Sezione civile In composizione collegiale: D(...) L(...) Presidente Relatore Dottoressa R(...) M(...) B(...) Giudice Dottoressa A(...) M(...) Giudice Ha emesso la seguente SENTENZA D(...) Nella causa civile di primo grado iscritta 5138/2018 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2018, vertente Tra I(...) M(...) e difeso dall'avv. L(...) C(...) e dall'avv. L(...) ed elettivamente domiciliato presso l'indirizzo pec del primo; ATTORE E A(...) G(...) G(...), nato a G(...) (A.), il (...), C.F. (...) T(...) D(...), nata a C(...) (T.), il (...), C.F. (...) e P(...) G(...), nata a M(...) (R.), il (...), C.F. (...), tutti rappresentati e difesi dall'Avv. P(...) G(...) ed elettivamente domiciliati in ...(Rm), Viale V(...) F(...)n. 10; CONVENUTI OGGETTO: Azione impugnazione testamentaria. Svolgimento del processo Con atto di citazione regolarmente notificato, I(...) M(...) evocava in giudizio i P(...) G(...), A(...) G(...) G(...) e T(...) D(...) , chiedendo ""Piaccia all'Ill.mo Tribunale, disattesa ogni avversa istanza, deduzione e richiesta, anche istruttoria: - accertare e dichiarare la nullità del testamento pubblico della sig.ora A(...) B(...) datato 3 agosto 2016 e pubblicato con verbale del (...) (Rep.n. (...) e Racc.n. (...)) a rogito del Notaio R(...) C(...) con studio in G(...) M(...), Via N(...) 55 per i motivi esposti nel corpo del presente atto e per l'effetto - accertare e dichiarare che: 1) la piena proprietà dell'appartamento sito in Comune di M. (R.), Via G(...) M(...)n. 37, distinto al Catasto Fabbricati di detto Comune al Foglio Num. sub. ((...) Unica Cat (...) Cl (...) V(...) 6 RC Euro 914,13) assegnato a titolo di legato, in pari quote, ai sig.ori T(...) D(...) e A(...) G(...) G(...) 2) la quota di proprietà pari ad % dell'immobile sito in T. (L.), R(...) delle M(...), distinto nel Catasto Fabbricati di detto Comune al Foglio Num. , S(...) e ((...) Unica Cat (...) Cl. (...) v(...) 3,5 RC Euro 225,95) assegnato a titolo di legato alla sig.ora G(...) P(...) 3) il denaro depositato sul libretto di risparmio n. (...) presso l'Ufficio Postale di M(...) e sul conto corrente n. presso U.S.p. a ed assegnato ai sig.ori G(...) e G(...) dovranno rientrare nella massa ereditaria della sig.ora A(...) B(...), ordinando ai convenuti di restituire tutto quanto avuto a titolo di legato; - accertare e dichiarare che il ripristinato asse ereditario della sig.ora A(...) B(...) sarà devoluto secondo pagina successione legittima ai sensi dell'art. 565 c.c. e ss... Con vittoria di spese ed onorari, oltre spese generali, IVA e C(...) In merito alla dedotta nullità del testamento della de cuius, parte attrice ha osservato che la S(...) B(...) al momento della sottoscrizione dell'atto pubblico "non era in grado di comprendere ciò che faceva", poiché la stessa "era affetta da una forma di organizzazione patologica di pensiero basata sull'identificazione proiettiva e la persecutorietà e da una condizione di funzionalità psicopatologica grave con la figlia superstite, oltre a ricorrenti episodi depressivi". Si costituivano in giudizio P(...) G(...), A(...) G(...) G(...) e T(...) D(...) le deduzioni attoree e chiedendo il rigetto della domanda. La causa era istruita documentalmente e tramite CTU. La causa era dunque trattenuta in decisione. Motivi della decisione Preliminarmente va rigettata l'eccezione di difetto di procura del difensore di A(...) G(...) G(...) Ed invero la procura risulta regolarmente depositata dalla parte, a sanatoria dell'originario vizio. Quanto al merito, le domande attoree sono infondate e vanno dunque rigettate. E(...) infatti infondata la domanda di annullamento del testamento. Ed invero, come noto, "L'annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere" (ex multis C(...) E(...) poi pacifico che un simile onere della prova incomba sull'attore (Cassazione del 19.3.2015 n. 5541). Tanto premesso, la presente domanda non può che essere vagliata alla luce delle emergenze della CTU disposta, con le cui conclusioni in quanto diffusamente e logicamente spiegate, questo Collegio ritiene di dover convenire. In particolare il perito ha escluso che, sulla base della documentazione medica in atti, si potesse affermare che alla data della redazione del testamento il de cuius non avesse coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi. Rileva in particolare il perito come nel certificato ospedaliero di dimissioni dell'ospedale di S(...) G(...) (di poco precedente il decesso) non si rilevano patologie neurologiche, mentre in quello di dimissioni dell'ospedale di M(...) sia presente una diagnosi di demenza, ma senza indicazione del grado e della eventuale compromissione delle capacità cognitive. Sul punto è illuminante la sentenza del 28 gennaio 2015 n. 285 del Tribunale di Firenze (con il quale si ritiene di dover concordare) che ha stabilito che i primi sintomi di una demenza, quali "disorientamento" e "confusione mentale", non sono elementi sufficienti per invalidare il testamento olografo affermando che il testatore sia in uno stato di incapacità naturale. La sentenza invero rispecchia l'orientamento consolidato della Cassazione secondo la quale per annullare il testamento olografo non basta "una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius" occorre piuttosto dimostrare che per via di "un'infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi". Ebbene nel caso di specie non vi è prova che tale demenza alla data di redazione del testamento, fosse tale da compromettere la capacità di autodeterminazione del testatore. Ne discende l'infondatezza anche tale domanda. Vanno pertanto rigettate anche le altre domande, dipendenti dalla prima. P.Q.M. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in favore di P(...) G(...). A(...) G(...) G(...) e T(...) D(...) in solido ed a carico di I(...) M(...) in Euro 3809,00 per compensi, oltre iva, epa e spese generali. Le spese di CT sono poste definitivamente a carico di I(...) M(...). Così deciso in Tivoli, il 21 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valerio Ceccarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa da: Bo.Gi., elettivamente domiciliato in VIA (...), N. 4 ROMA, presso lo studio dell'Avv. ST.PA., che lo rappresenta e difende giusta procura allegata all'atto di citazione OPPONENTE contro It. S.R.L. e per essa, quale procuratore, Kr. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in VIA (...), LA SPEZIA, presso lo studio degli Avv.ti AN.OR. e RA.ZU., che la rappresentano e difendono giusta procura allegata al ricorso per decreto ingiuntivo OPPOSTA CONCLUSIONI Come precisate all'udienza del 22.03.2023 Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, Giovanni Bo. ha convenuto in giudizio It. S.r.l., evidenziando, tra l'altro, il mancato svolgimento della procedura di mediazione prevista dal D.Lgs. n. 28 del 2010. Si è costituita in giudizio It. S.r.l. e per essa, quale procuratore, Kr. S.r.l. contestando la fondatezza della domanda attorea e rilevando che risulta onere dell'opponente l'attivazione del procedimento di mediazione. All'udienza del 09.06.2021 è stato assegnato il termine di legge per l'espletamento del procedimento di mediazione obbligatoria, con rinvio a successiva udienza per la verifica del relativo svolgimento. All'udienza del 16.03.2022, mancando ogni prova in ordine all'espletamento della procedura di mediazione, la causa è stata rinviata per precisazione delle conclusioni. All'udienza del 22.03.2023 parte opposta ha dato atto di aver depositato, il giorno precedente all'udienza, documentazione attestante lo svolgimento della procedura di mediazione. Deve essere premesso che costituiva onere della parte opposta promuovere la procedura di mediazione. Infatti, occorre ritenere che "Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo" (Cass. Sez. Un. 18.09.2020, n. 19596). Ciò posto, nel caso di specie, parte opposta non ha in alcun modo provato il regolare svolgimento della procedura di mediazione obbligatoria. In particolare, parte opposta ha depositato la documentazione relativa alla procedura solo tardivamente, il giorno precedente rispetto alla precisazione delle conclusioni. Inoltre, la documentazione depositata riguarda esclusivamente l'avviso di convocazione per la mediazione, mancando il verbale di mediazione e ogni altro documento comprovante l'effettivo svolgimento della procedura di mediazione. Al riguardo, deve essere rilevato che "l'onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione" (Cass. 27.03.2019, n. 8473). Nel caso di specie, il mero invito di convocazione non fornisce alcun elemento da cui desumere la comparizione al primo incontro davanti al mediatore delle parti, ovvero di soggetto munito di procura sostanziale autenticata, nonché dell'esito di tale incontro. Da ciò consegue la dichiarazione di improcedibilità del giudizio di opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Le spese legali di lite sono poste, in base al principio di soccombenza, a carico della parte opposta e si liquidano come in dispositivo, secondo il D.M. 55/2014 e successive modifiche, a favore del procuratore dell' opponente, dichiaratosi antistatario, tenuto conto del valore della controversia. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: revoca il decreto ingiuntivo opposto, D.I. del Tribunale di Tivoli n. 979/2019 del 02.07.2019; condanna parte opposta al pagamento, in favore dell'Avv. St.Pa., dichiaratosi procuratore antistatario di parte opponente, delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.800,00 per compenso professionale, oltre oneri di legge. Così deciso in Tivoli il 18 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE CIVILE In persona del giudice unico Dr. Francesco Lupia Ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta n. 2859/21 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2021, vertente Tra (...) rappresentati e difesi dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliati presso lo studio della stessa in Tivoli, ATTORE (...) CONVENUTI CONTUMACI OGGETTO: Azione di usucapione. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato (...) evocava in giudizio la (...), chiedendo di accertare il proprio diritto di proprietà per maturata usucapione ventennale sugli immobili seguenti: porzione di terreno sita nel comune di Guidonia M. (R.), distinta con lettera "C" nella planimetria in atti e facente parte della più ampia estensione individuata in Catasto Terreni, Sezione Montecelio, al foglio n. (...) particella (...) (ex partita 2158, foglio n. (...) particella n. (...). Allegava in particolare di aver manutenuto il terreno, piantandovi altresì degli ulivi, da oltre venti anni. La controparte restava contumace. Veniva acquisita documentazione ed escussione testimoniale. La causa era dunque trattenuta in decisone MOTIVAZIONE La domanda attorea è fondata e va dunque accolta. Quanto alla legittimazione passiva dei convenuti, essa emerge dalle visure catastali, costituendo tali visure prova presuntiva del correlativo diritto domenicale. Il teste escusso ha poi confermato le circostanze allegate dall'attore. A tal proposito, quanto ai terreni, si deve invero rammentare come "Ai fini della prova del possesso di un fondo, utile per usucapione, la sua coltivazione è di per sé manifestazione di una attività corrispondente all'esercizio della proprietà; per cui, presumendosi ai sensi dell'art. 1141 codice civile il possesso in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, spetta a chi contesta tale possesso provare che il terreno è coltivato in base ad un titolo diverso dal diritto di proprietà." (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7500 del 30/03/2006). Nel caso di specie tali ultime circostanze debbono dirsi provate alla luce delle deposizioni testimoniali assunte. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in favore di (...) ed a carico di (...) in solido in Euro 98,00 per spese vive, Euro 1278,00 per compensi,oltre iva, cpa e spese generali. P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, nella persona del Giudice Unico dott. Francesco Lupia: 1) Dichiara (...) proprietaria della porzione di terreno sita nel comune di Guidonia M. (R.), distinta con lettera "C" nella planimetria in atti e facente parte della più ampia estensione individuata in Catasto Terreni, Sezione Montecelio, al foglio n. (...) particella (...) (ex partita (...), foglio n. (...) particella n.(...).; 2) regola le spese di lite come in parte motiva; Così deciso in Tivoli il 12 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott.ssa Roberta Mariscotti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. 1415/2020 pendente tra (...), (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. SA.MI. Ricorrente E (...) COOPERATIVA AGRICOLA SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA, (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. DI.MA. Resistente RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 414 e ss. c.p.c. il Sig. (...) ha evocato in giudizio la società Cooperativa Agricola a r.l. (...), assumendo quanto segue: di aver lavorato alle sue dipendenze, dal lunedì alla domenica, 7 giorni su 7, dalle ore 17:30 alle ore 08:30 del giorno successivo, con rapporto di lavoro non regolarizzato e le mansioni di custode/guardiano per il periodo dal 10.02.2003 al 14.02.2015; che, in ragione di tanto, avrebbe diritto ad essere inquadrato nel livello 7 del CCNL per i lavoratori delle Cooperative e dei Consorzi Agricoli e avrebbe diritto a percepire differenze retributive per Euro 399.099,66 (di cui Euro 199.828,96 per lavoro straordinario notturno e festivo). Alla luce di tutto quanto sopra, il ricorrente rassegnava le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito, respinta ogni diversa e contraria deduzione, argomentazione ed eccezione, in quanto infondata in fatto ed in diritto e sprovvista del benché minimo supporto probatorio: 1) accertare e dichiarare che tra il ricorrente Sig. (...) e (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata è intercorso un rapporto di lavoro full-time di natura subordinata a tempo indeterminato dal 10.02.2003 al 14.02.2015; 2) per l'effetto, accertare e dichiarare che (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata era la datrice di lavoro del Sig. (...) ed accertare e dichiarare, quindi, che il Sig. (...) ha continuativamente prestato attività lavorativa di natura subordinata alle dipendenze della predetta (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata fra il 10.02.2003 ed il 14.02.2015; 3) accertare e dichiarare il diritto del Sig. (...) ad essere inquadrato per l'intera durata del rapporto di lavoro e, quindi, fra il 10.02.2003 ed il 14.02.2015 nel livello 7 del CCNL per i lavoratori delle Cooperative e dei Consorzi Agricoli; 4) condannare (...) - Cooperativa Agricola Società a Responsabilità Limitata al pagamento della complessiva somma di Euro 399.099,66 (diconsi Euro trecentonovantanovemilanovatanove\66) s.e.o., o della diversa somma, minore e/o maggiore, ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di retribuzione, di ratei di tredicesima mensilità, di festività non godute, di permessi non goduti, di indennità per lavoro straordinario diurno, notturno e festivo, di indennità per omesso preavviso e di trattamento di fine rapporto, il tutto come da analitico conteggio allegato al corrente atto costituendone parte integrante e con espressa riserva di richiedere, in separata sede, ogni altro diritto, comunque violato, connesso, anche ma non solo, all'omesso versamento dei contributi previdenziali, valendo sin d'ora il presente ricorso quale atto di formale messa in mora interruttivo di ogniprescrizione e/o decadenza. 5) in ogni caso con condanna alla refusione delle spese di lite, delle competenze e degli onorari, oltre al 5% per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore, che si dichiara antistatario". Si costituiva in giudizio la resistente chiedendo il rigetto del ricorso ex adverso depositato ed in particolare deducendo quanto segue: che tra le parti non vi era stato alcun rapporto di lavoro e che, di contro, la resistente aveva concesso dapprima in comodato e successivamente in locazione un proprio immobile al ricorrente; che quest'ultimo aveva smesso di corrispondere i relativi canoni, rendendosi moroso; che in ogni caso, era spirato il termine per l'impugnativa del licenziamento e stante il tempo intercorso il diritto a gran parte dei presunti crediti vantati sarebbe oramai prescritto. All'udienza del 05.04.2022, venivano escussi un testimone di parte ricorrente (Sig. (...)) e due testimoni di parte resistente (Sig. (...) e Sig. (...)). All'odierna udienza tenutasi mediante lo scambio di note ex art. 127 ter c.p.c. la causa viene decisa. Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento. Il ricorrente vorrebbe che venisse accertata la sussistenza di un rapporto recante i vincoli della subordinazione. Occorre in primo luogo, quindi, valutare se siano emersi elementi di prova della subordinazione così come delineati nel ricorso. Orbene l'art. 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato facendo espresso riferimento alla sottoposizione del medesimo al potere direttivo del datore di lavoro. Costituisce, in particolare, requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che consta dell'emanazione di ordini specifici e dell'esercizio di un'assidua e penetrante attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione della prestazione. (Cass. sez. lav. 13858/99; 11936/00; 5889/01). Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha enucleato una serie di "idonei indici rivelatori" della subordinazione al fine di distinguere il lavoro subordinato dal lavoro autonomo e meglio individuare i casi in cui in concreto sussiste la subordinazione pur in presenza di qualificazioni diverse adottate dalle parti per definire la tipologia contrattuale Elemento indefettibile - quindi - del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato; hanno, inoltre, carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, la collaborazione, l'osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l'inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e il coordinamento con l'attività imprenditoriale, l'assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione), i quali - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto. Inoltre, non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il "nomen iuris" che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti (cosiddetta "autoqualificazione"), il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l'autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo" (v. Cass. 2007/4500 Cass. n. 5445/2009). Indici di subordinazione sono stati ravvisati nella collaborazione con l'imprenditore, intesa come continuità e sistematicità della prestazione di lavoro, nella continuità temporale dell'attività, nell'osservanza di un determinato orario, nella forma della retribuzione, nell'esistenza o meno in capo al lavoratore di un'organizzazione imprenditoriale, nell'incidenza soggettiva del rischio, ma tali criteri devono comunque considerarsi privi di un autonomo valore decisivo, in quanto elementi sussidiari con un rilievo distintivo soltanto complementare e secondario, indiziari rispetto all'unico elemento avente valore determinante, rappresentato dalla dimostrazione dell'esistenza del vincolo di subordinazione. La subordinazione si caratterizza in particolare per la "disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa", mentre altri elementi "come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante" (v. per tutte cass. Sez. lav. 3.4.2000 n. 4036). In ogni caso, appare evidente che gravi su colui che afferma l'esistenza della subordinazione il relativo onere probatorio (da ultimo cass. Civ., 6.3.2006 n. 4761). Ora, se certo è che tra le parti vi fosse la sussistenza di un contratto - dapprima di comodato e, successivamente, di locazione - in quanto documentato in atti e confermato da entrambe le parti, non può dirsi lo stesso per il rapporto di lavoro avente i caratteri della subordinazione. Il teste di parte ricorrente Sig. (...) ha dichiarato "Non ho mai lavorato per la resistente. Conosco il ricorrente perché siamo amici di vecchia data. Da come ho visto io lui faceva il guardiano dentro al complesso delle (...). Aveva un appartamento li. Io lo vedevo perché andavo a trovarlo ed è capitato che lui non poteva uscire perché era guardiano e lo andavo a trovare io. Sarà capitato due o tre volte la mese sempre la sera perché io ci andavo quando era chiuso non quando era aperto. Io sono andato in pensione nel 2005. Io andavo da lui nel 2003. Mi chiamò quando gli buttarono le cose fuori e andai ad aiutarlo nel 2015. Non ho mai visto nessun'altro insieme a lui. A volte una o due nell'arco del periodo dal 2003 al 2015. ADR Lui mi diceva che lavorava dalle 17 o 1730 la mattina fino alle 8 della mattina ho visto i carabinieri che facevano il giro. Lui stava li e se sentiva dei rumori andava a fare il giro e capitò che andassi con lui a are una guardata. Lui faceva il guardiano. Non so dire sui rapporti economici tra il ricorrente e la resistente. ADR Io so che c'era un allarme perché una sera scattò e lui ricevette una telefonata che gli diceva di andare a controllare". Ora, a ben vedere, il teste del ricorrente ha confermato la presenza di quest'ultimo all'interno dell'immobile messo a disposizione dalla resistente (circostanza questa però non disconosciuta dalla presunta datrice di lavoro); allo stesso tempo ha dedotto che vi fosse un'attività di controllo e vigilanza da parte del ricorrente, limitandola però al caso in cui venissero sentiti dei rumori all'esterno dell'abitazione. Ciò che, infatti, il teste non ha chiarito è a che titolo il ricorrente svolgesse la detta attività e soprattutto da chi e se il ricorrente fosse, nell'esplicazione delle mansioni, eterodiretto. L'attività di sorveglianza per così dire routinaria non è frutto dell'apprensione diretta del teste ma ad esso è stata riferita dal ricorrente; il teste, come da lui stesso chiarito, ha solo assistito a degli episodi occasionali che non comportano il venir in rilievo di un rapporto subordinato: ed infatti, ben avrebbe potuto il ricorrente, in presenza di rumori, controllare a titolo di favore e nella sua qualità di inquilino, che non vi fossero ingerenze di terzi nella proprietà. La circostanza che il ricorrente, in presenza di rumori ed in circostanze particolari, controllasse l'esterno dell'abitazione è troppo poco per qualificare tale attività quale mansione lavorativa. Il quadro probatorio fornito da parte ricorrente è estremamente carente. Allo stesso tempo non appare credibile che il ricorrente abbia svolto l'attività lavorativa per un grande lasso temporale senza ricevere alcun compenso e soprattutto senza contestare tale omissione da parte datoriale. Di contro, la resistente, la cui tesi difensiva fosse quella della sussistenza tra le parti del solo accordo di locazione, ha dimostrato in giudizio di aver richiesto al ricorrente il pagamento dei canoni arretrati con lettera di diffida e messa in mora, seppur quest'ultima non è stata recapitata al ricorrente. In ogni caso, il mancato accertamento circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti è assorbente delle ulteriori domande proposte dal ricorrente nonché delle relative eccezioni della controparte. Non si ravvisano gli estremi per la condanna ex art. 96 c.p.c. in quanto non vi è prova che il ricorrente si sia attivato giudizialmente con dolo o colpa grave. Le spese di lite vengono compensate tra le parti stante le occasionali prestazioni di vigilanza eseguite dal ricorrente seppure non sussista prova della subordinazione. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni istanza ed eccezione, così provvede: 1. Rigetta il ricorso; 2. Compensa le spese di lite tra le parti. Così deciso in Tivoli il 5 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TIVOLI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Michele Cappai ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 241/2022 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RU.FR. attore contro (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) S.R.L. (C.F. (...)), contumaci convenuti ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con l'atto introduttivo del presente giudizio, il (...) ha citato a comparire innanzi all'intestato Tribunale (...), ed altri, (...) Srl, (...), (...), (...) e (...), esponendo quanto segue: - con Delib. G.R. del Lazio n. 6152 del 14 dicembre 1979 veniva approvato il Piano Regolatore Generale del Comune di Cave nel quale veniva previsto che le aree proposte nel piano di lottizzazione e costituenti un comparto unitario, facenti parte di una determinata zona del Comune di Cave, venivano destinate a zona di espansione residenziale, per la costruzione di edifici a più piani denominata, nel P.R.G. menzionato, insula C/2; - in conseguenza di ciò i proprietari dei terreni compresi nella zona sopra indicata avrebbero dovuto assumersi l'obbligo di realizzare tutte le opere di urbanizzazione primaria e gli allacci ai pubblici servizi nei confronti del Comune di Cave, garantendo, allo stesso, l'esatto adempimento degli obblighi da assumersi ciascuno mediante fidejussioni bancarie od in altro modo, il tutto come sarebbe stato meglio previsto dalla convenzione da realizzarsi da parte dei medesimi proprietari con il Comune di Cave; - di conseguenza, per poter perfezionare tutti gli impegni da assumere con il Comune di Cave, i proprietari dei terreni in Loc. (...), compresi nella zona di espansione residenziale denominata insula C/2 nel P.R.G. del Comune di Cave, allo scopo di poter realizzare l'insediamento urbanistico previsto, in data 27 dicembre 1987, per atto Notaio Dr. (...) di (...) costituivano un Consorzio, a fini operativi, denominato (...) con sede in (...) (R.) in via P. XII n. 37; - mediante lo Statuto del Consorzio menzionato all'art. 2 veniva espressamente previsto che, tra gli scopi del Consorzio, risultavano essere anche la costruzione delle aree di parcheggio, la sistemazione degli spazi a verde attrezzato con cessione, senza corrispettivo al Comune di Cave a richiesta dello stesso, o ad altro Ente interessato, di tutte le opere realizzate; - pertanto, con delibera del Consiglio Comunale di Cave in data 30.09.1988 n. 148 il Comune di Cave approvava il piano di lottizzazione, di iniziativa privata, nell'insula C/2 del P.R.G. e, con successiva Delib. di Giunta del 20 dicembre 1988, n. 817, sempre il Comune di Cave autorizzava il Sindaco pro tempore alla stipula della convenzione con il (...); - a seguito di tutti gli atti predisposti e sopra riportati in data 30 dicembre 1988 tra il Comune di Cave e il (...) veniva stipulata Convenzione per "la realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo totale della quota dovuta dal Consorzio a norma dell'art. 5 della L. 28 gennaio 1977, n. 10"; - infatti, la convenzione menzionata prevede all'art.2 che il (...), in luogo del pagamento in favore del Comune di Cave della quota di contributo per oneri di urbanizzazione di cui all'art. 5 della L. 28 gennaio 1977, n. 10, si impegnava ad eseguire interamente, a sua cura e spese, i seguenti lavori ed opere di urbanizzazione: la rete viaria comprensiva di eventuali raccordi pedonali; gli spazi di sosta e di parcheggio; la rete fognaria bianca e nera; la rete di distribuzione idrica con allacciamento al civico acquedotto; la rete di distribuzione energia elettrica; l'impianto di pubblica illuminazione; gli spazi di verde attrezzato, il tutto come risulta specificato negli elaborati progettuali; - sempre con la convenzione stipulata tra le parti veniva previsto all'articolo 3 che, con la sottoscrizione dell'atto, il Consorzio si impegnava a trasferire e cedere gratuitamente al Comune di Cave tutte le aree, impianti ed opere descritti all'art. 2; - in virtù di quanto sopra e avendo iniziato i lavori per la realizzazione degli immobili, previsti dal piano di lottizzazione approvato, i proprietari dei lotti di terreno, comunque interessati per la realizzazione delle strade, marciapiedi e spazi verdi, mettevano volontariamente a disposizione del (...), così come espressamente previsto e ciascuno per quanto di sua spettanza, le particelle direttamente interessate, e comunque assolutamente necessarie, per la realizzazione delle opere; - di conseguenza, sin dai primi mesi dell'anno 1989, i soci del (...) proprietari degli appezzamenti di terreno necessari per la realizzazione delle opere riguardanti la viabilità del comprensorio e le pertinenze della stessa, comunque necessarie per la urbanizzazione della lottizzazione, mettevano gli immobili nella disponibilità del Consorzio impegnandosi, successivamente, a trasferirne la proprietà, così come previsto nell'atto costitutivo del Consorzio, il tutto per le finalità della Convenzione stipulata con il Comune di Cave; - a seguito della realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione a più riprese i soci del (...) sono stati invitati a voler regolarizzare la cessione delle porzioni di terreno a suo tempo messe nella disponibilità del Consorzio ma vani sono risultati tutti i tentativi effettuati; - di conseguenza, allo stato, il (...), potendo dimostrare il pacifico, pubblico e continuo possesso dei beni di cui si discute da oltre trenta anni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1158 e segg. del Cod. Civ. intende oggi conseguire un provvedimento giudiziario che, accertati i fatti e le circostanze di cui sopra, dichiari l'acquisizione per usucapione in suo favore della proprietà di tutti i beni indicati in narrativa. Ha dunque chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "a) Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito dichiarare che i seguenti terreni in territorio del Comune di Cave località S. I. C/2, identificati ed intestati al catasto così come al punto 11) della narrativa sono stati nel continuo, pubblico e indisturbato possesso del (...) per oltre trenta anni e che vi ha realizzato le opere così come espressamente previste dagli elaborati progettuali della lottizzazione di cui alla convenzione tra il medesimo (...) e il Comune di Cave; b) Per quanto al punto che precede, visti gli artt. 1158 e segg. (...) dichiarare la intervenuta usucapione dei beni di cui è causa e come sopra identificati, a favore dell'istante (...) (cod. fisc. (...), con sede legale in (...) (R.) via (...) n. 49, con tutte le conseguenze di legge circa la proprietà e conmandato al competente conservatore dei registri immobiliari affinché provveda alle relative trascrizioni con esonero di responsabilità anche per gli altri P.U. a ciò procedenti; c)Con vittoria di spese del giudizio in caso di ingiustificata opposizione". Le parti convenute sono rimaste contumaci. Con ordinanza in data 22 giugno 2022 il Giudice ha così provveduto: "rilevato che le notifiche nei riguardi delle parti convenute risultano regolarmente eseguite: rilevato che la richiesta di prova testimoniale formulata nell'atto di citazione è inammissibile, risultando i capitoli di prova formulati in modo generico ed apparendo in ogni caso l'assunzione della prova testimoniale irrilevante ai fini del decidere; ritenuto che la causa sia matura per la decisione; P.Q.M. Dichiara la contumacia delle parti convenute; Rinvia all'udienza del 14.12.22 ore 9:30 per la precisazione delle conclusioni (..)". All'udienza del 14 dicembre 2022 il Giudice ha trattenuto in riserva la decisione, con termini come da art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali. Tanto premesso, ritiene il Giudice che la domanda proposta dal (...) non possa trovare accoglimento. Si osserva che i consorzi di urbanizzazione non sono qualificabili nella fattispecie consortile dell'art. 2602, non essendo preordinati a soddisfare interessi direttamente inerenti l'attività produttiva dei consorziati, i quali partecipano solo come proprietari o titolari di un diritto di godimento su un bene immobile, quindi perseguendo uno scopo che, anche se mutualistico, non può ritenersi consortile. La natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione, costituiti da proprietari di terreni situati in un'area destinata ad insediamenti abitativo/turistici per realizzare, mantenere e gestire le attrezzature ed i servizi necessari all'utilizzazione dell'intera area, viene per lo più individuata in quella delle associazioni non riconosciute. Si ritiene invero che i consorzi di urbanizzazione possano legittimamente rivestire natura di associazioni atipiche e assumere aspetti sia associativi che di "realità", tali ultimi aspetti derivando, appunto, dall'assunzione di obblighi propter rem, ovvero dalla costituzione di reciproche servitù. Ne consegue che, al fine di individuare la disciplina ad essi concretamente applicabile, occorre far capo alle regole dettate dal Codice civile in tema di associazioni non riconosciute, specie per quanto attiene ai profili organizzativi ed associativi, fonte primaria restando invece, quanto all'ordinamento interno ed all'amministrazione, l'accordo delle parti, sicché l'atto costitutivo (dotato dei caratteri strutturali del contratto associativo) e lo statuto risultano funzionali a regolare l'attività del consorzio stesso e, in particolare, a stabilire la durata del rapporto, nonché l'eventuale prorogabilità del termine di scadenza, ove questo sia a tempo determinato. Accanto agli elementi tipici dell'associazione, attinenti come detto ai profili organizzativi ed associativi, i consorzi di urbanizzazione sono caratterizzati dalla presenza di elementi di realità, che li assimilano alla comunione. Si ritiene per l'effetto che agli stessi sia altresì applicabile, per analogia, la disciplina della comunione che è richiamata dall'art. 920 per i "consorzi volontari" in materia di uso delle acque. Nella medesima prospettiva la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, siano applicabili le norme in materia di condominio ("Le disposizioni in materia di condominio possono ritenersi applicabili al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo il consorzio alla categoria delle associazioni, in quanto non esistono schemi obbligati per la costituzione di tale ente, assumendo, per l'effetto, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione statutaria, e potendo, peraltro, l'intenzione di aderire al consorzio rivelarsi anche tacitamente, a meno che la legge o - come nella specie - lo statuto richiedano la forma espressa. Ne consegue, altresì, che solo l'adesione al consorzio può far sorgere l'obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento dell'ente" così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 22641 del 03/10/2013 (Rv. 627892 - 01)). Osserva il Giudice che, quale che sia l'aspetto della indicata, ambivalente, natura giuridica del consorzio di urbanizzazione che si intenda privilegiare, nel caso di specie la domanda proposta dal (...) non può comunque trovare accoglimento. Laddove si intenda valorizzare l'assimilabilità del Consorzio alla comunione di beni e/o al condominio, difetterebbe, ai fini della stessa ammissibilità della domanda, la necessaria alterità soggettiva tra il soggetto che pretende di usucapire e quello nei riguardi del quale viene formulata la domanda. In quanto ente di gestione, il condominio non è infatti altro che mero ente deputato alla regolamentazione della disciplina dell'utilizzo delle parti comuni, costituite, a loro volta, dalla sommatoria, in proporzione, delle quote di proprietà dei singoli condomini, senza che allo stesso condominio sia riconoscibile una propria soggettività distinta rispetto a quella riferibile a ciascun comproprietario idonea a consentirgli di usucapire i beni che formano oggetto della sua attività gestoria. Laddove d'altra parte si intenda valorizzare l'assimilabilità del consorzio di urbanizzazione alla figura dell'associazione non riconosciuta, seppure non può in astratto escludersi la capacità di tale ente di effettuare acquisti per usucapione ("La limitata capacita delle associazioni non riconosciute di essere titolari di un patrimonio, entro l'ambito in cui e positivamente prevista dalla legge e, quindi, in base all'art. 37 cod. civ., con esclusivo riferimento ai contributi degli associati ed ai beni acquistati con tali contributi (ma senza l'Obbligo dell'autorizzazione governativa), riguarda solo gli acquisti a titolo derivativo, e non esclude la possibilità di acquisti a titolo originario, come l'usucapione, in relazione alla quale, in particolare, non può essere disconosciuta l'efficacia, propria del possesso, ove questo con le modalità previste dall'art. 1158 cod. civ., venga esercitato su di un bene dagli associati non uti singuli bensì come appartenenti all'associazione e con la volontà di riferire a questa gli atti di possesso compiuti" così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3773 del 10/06/1981 (Rv. 414408 - 01)), difetterebbero in ogni caso i presupposti per ritenere che il Consorzio possa usucapire i beni comuni, nei riguardi dei propri stessi soggetti consorziati. Invero, ritiene il Giudice che all'atto costitutivo del consorzio non possa riconoscersi l'idoneità a conferire in favore del consorzio stesso il possesso idoneo all'usucapione delle parti comuni. Con tale atto i consorziati hanno semmai potuto concedere la mera detenzione dei beni all'ente collettivo di nuova costituzione, finalizzata a consentire un uso comune delle parti interessate, destinate, negli intendimenti iniziali, al passaggio alla proprietà pubblica in base alla convenzione a suo tempo stipulata con il Comune di Cave. Difettando atti di interversione idonei alla trasformazione del titolo d'uso delle parti comuni, da mera detenzione a possesso idoneo all'usucapione, ritiene il Tribunale che, anche da questo punto di vista, la domanda proposta dalla parte attrice non possa trovare accoglimento. Sotto distinto profilo si osserva che le richieste della parte attrice non potrebbero neppure trovare accoglimento avuto riguardo alla carenza di allegazione (e inidoneità delle conseguenti richieste istruttorie formulate) in ordine alle concrete modalità attraverso cui si sarebbe, in ipotesi, attuata l'usucapione, da parte del Consorzio, delle parti dei beni immobili interessate dalla domanda giudiziale. In ragione dell'esito del giudizio, tenuto conto della mancata costituzione delle parti convenute, non si provvede in ordine alle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando in ordine alla causa iscritta al R.G. n. 241/2022, così provvede: Rigetta la domanda proposta dalla parte attrice. Nulla sulle spese. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Tivoli il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Tivoli, nella persona della dott.ssa Giorgia Busoli, in funzione di Giudice del Lavoro, nella causa iscritta al n. 943 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell'anno 2019 Sezione Lavoro e vertente tra: (...), rappresentata e difesa dall'Avv. AN.PO. ricorrente e (...) COOPERATIVA SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, con gli Avv.ti PI.PO. e IL.PI. resistente all'esito dell'udienza di discussione della causa del 24/01/2023, ha emesso la seguente SENTENZA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 4.03.2019, ritualmente notificato, (...) ha esposto: - di aver lavorato per la (...) coop. sociale (collocata in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 19 luglio 2021, n. 231 pubblicato in gazzetta in data 17 agosto 2021), dapprima con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (dal mese di agosto 2003 al mese di febbraio 2005) e poi come socio lavoratore, in forza di contratto di lavoro subordinato ed inquadramento nel livello C1, fino al 31.12.2017, e, successivamente, C3 del CCNL Cooperative Sociali; - di aver sempre rivestito il ruolo di coordinatrice del servizio di assistenza domiciliare; - che, con lettera datata 9.8.2018, ricevuta in data 20.05.2018, la (...) coop. sociale le ha irrogato il licenziamento per giusta causa per i fatti contestatile con nota del 15.5.2018, consistiti nell'aver indetto, insieme ad altri soci lavoratori, una assemblea in "autoconvocazione", in seno alla quale i soggetti intervenuti avrebbero illegittimamente eletto un nuovo C.d.A. e da quel momento agito (abusivamente) in nome e per conto della cooperativa nei rapporti con gli altri soci lavoratori e con terzi, cagionando gravissimi danni alla cooperativa medesima; - di aver tempestivamente impugnato il licenziamento in via stragiudiziale con PEC del 7.09.2018; - di non aver percepito la retribuzione dei mesi di luglio e agosto 2018, il TFR e le ulteriori competenze di fine rapporto. Tanto premesso, la ricorrente ha dedotto, in primo luogo, l'illegittimità del recesso datoriale, all'uopo eccependo: a) la tardività del recesso rispetto alla data di comunicazione della lettera di contestazione disciplinare, ai sensi dell'art. 42 del CCNL; b) l'infondatezza e/o assenza di antigiuridicità dei fatti contestati, in quanto afferenti ad episodi rilevanti esclusivamente sotto il profilo societario e non integranti inadempienze lavorative; c) il carattere ritorsivo del recesso. Sulla base di tali deduzioni, la ricorrente ha chiesto a questo Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, di accertare l'inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del licenziamento intimatole, con conseguente condanna della società resistente a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella di effettiva reintegra, ovvero - in via subordinata - a versarle un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; in via ulteriormente gradata, ha chiesto la condanna della convenuta pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. In secondo luogo, la ricorrente ha rivendicato il proprio diritto ad ottenere il pagamento delle differenze retributive derivanti dallo svolgimento di mansioni riconducibili ad un livello di inquadramento superiore rispetto a quello contrattualizzato (D3), quantificate nell'importo complessivo di Euro 25.031,35, oltre all'indennità di mancato preavviso, al TFR ed all'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti. Con memoria del 4.12.2019, si è costituita in giudizio la (...) Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, la convenuta ha eccepito: a) l'intervenuta decadenza dall'azione per mancata impugnazione stragiudiziale del licenziamento; c) l'omessa impugnazione della delibera di esclusione dalla cooperativa, con conseguente impossibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro; d) l'infondatezza nel merito del ricorso in considerazione della legittimità del licenziamento e della correttezza dell'inquadramento attribuito alla lavoratrice; e) l'intervenuta prescrizione dei crediti azionati. Nelle more del giudizio, la (...) Coop. Sociale è stata collocata in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 19 luglio 2021, n. 231 del 2021 (pubblicato in gazzetta in data 17 agosto 2021): pertanto, con memoria del 22.11.2021, la stessa si è costituita in giudizio nella persona del liquidatore dott. (...). Istruita mediante l'escussione di testimoni e l'acquisizione di documenti, la causa, previa concessione di termine intermedio per note finali, è stata discussa e decisa all'udienza del 24.01.2023, nei termini di cui al dispositivo riportato in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato. In primo luogo, occorre rilevare l'infondatezza dell'eccezione, sollevata dalla convenuta, di intervenuta decadenza dall'azione ai sensi dell'art. 6 L. n. 604 del 1966, in conseguenza dell'asserita mancanza di un valido atto di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, essendo tale impugnativa avvenuta mediante una comunicazione PEC priva della sottoscrizione digitale della lavoratrice. Nel caso di specie, in effetti, l'odierna ricorrente ha manifestato la propria volontà di impugnare il licenziamento con una lettera cartacea dalla medesima sottoscritta, successivamente scansionata in formato "pdf" ed inviata alla società resistente, tramite il proprio difensore, in allegato ad un messaggio di posta elettronica certificata. Al riguardo, giova osservare come, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento non richieda formule particolari, essendo a tal fine sufficiente qualsiasi atto scritto idoneo a manifestare al datore di lavoro la volontà di contestare la legittimità del licenziamento. Proprio con riferimento alla "comunicazione a mezzo pec, inviata dall'odierno difensore del lavoratore ed avente in allegato un file formato pdf contenente la scansione della nota di impugnazione del licenziamento sottoscritto unitamente dall'Avvocato", la Suprema Corte ha affermato la correttezza della sentenza di appello, laddove aveva ritenuto che "l'allegato di posta elettronica costituisse la rappresentazione di un documento preesistente, formalmente sottoscritto dal lavoratore unitamente all'avvocato che, munito di procura, ne aveva in seguito curato l'inoltro al datore di lavoro" (Cass. n. 10883 del 2021). Respinta quindi l'eccezione di decadenza dall'azione sollevata dalla resistente, occorre ora richiamare, per quanto concerne l'omessa impugnazione, da parte della (...), della delibera di esclusione del 28.04.2018, il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 27436 del 2017), secondo cui "In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d'impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall'omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria". Secondo tale consolidato orientamento, l'automatica caducazione del rapporto di lavoro alla cessazione del rapporto associativo, prevista dall'art. 5, comma 2, L. n. 142 del 2001, impedisce, in mancanza di impugnazione della delibera che l'abbia causata, di ottenere il ripristino della propria qualità di lavoratore, potendo la ricostituzione, tanto del rapporto societario quanto di quello lavorativo, derivare solo dal propedeutico annullamento della delibera di esclusione. In applicazione di tali principi, la domanda di condanna della convenuta alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro non può trovare accoglimento. Peraltro, la stessa giurisprudenza ha chiarito come ad essere preclusa, in conseguenza dell'omessa impugnazione della delibera di esclusione dalla compagine sociale, sia la sola tutela reale, non escludendo gli effetti "caducativi" della cessazione del rapporto associativo la potenziale illegittimità del licenziamento, con conseguente applicabilità della tutela risarcitoria. Passando dunque, a tal fine, all'esame delle censure riguardanti la legittimità del recesso, deve preliminarmente osservarsi come la ricorrente non abbia negato di aver commesso i fatti alla medesima addebitati, limitandosi ad affermare che gli stessi non assumerebbero rilievo disciplinare in quanto attinenti al rapporto societario e non a quello di lavoro. E' pertanto pacifico che la ricorrente abbia posto in essere le condotte alla medesima contestate, consistite nell'aver indetto, insieme ad altri soci, una assemblea in autoconvocazione all'esito della quale veniva eletto, con Delib. del 18 aprile 2018, un nuovo C.d.A., il quale, da quel momento, ha agito in nome e per conto della cooperativa, comunicando alla Camera di Commercio la delibera adottata dall'assemblea autoconvocata, impossessandosi delle password aziendali sostituendo la serratura degli uffici aziendali, con conseguente blocco dei pagamenti degli stipendi dei lavoratori e degli affidi bancari, nonché impossibilità per i dipendenti di accedere ai locali aziendali. Oltre ad essere pacifica, la sussistenza di tali condotte risulta essere stata accertata sia dal Tribunale delle Imprese di Roma - il quale, con ordinanza in data 1.08.2018, ha sospeso l'efficacia della Delib. del 18 aprile 2018 (doc. 7 fascicolo di parte resistente) - sia dal lodo arbitrale del 3.08.2018 - il quale, annullando la predetta delibera, ha rimosso il C.d.A. abusivo in favore di quello legittimo (doc. 8 fascicolo di parte resistente). Orbene, tali condotte, come condivisibilmente affermato da questo Tribunale nella sentenza che ha definito il giudizio di impugnativa del licenziamento instaurato da un'altra socia esclusa dalla cooperativa per gli stessi fatti contestati all'odierna ricorrente (sent. 357/22 RG. 938/19), "presentano elementi di disvalore che interessano sia il piano societario/associativo sia il rapporto lavorativo, peraltro profili strettamente collegati nell'ambito delle cooperative sociali. Infatti, il perseguimento dello scopo mutualistico di tali compagini si realizza affiancando al patto associativo il rapporto di lavoro. In questi termini, la prestazione di lavoro resa dal socio è finalizzata al perseguimento dello scopo comune. Dunque, l'ingresso in cooperativa fa sorgere il rapporto sociale che è integrato da una prestazione di lavoro, strumentale rispetto al primo e destinataa realizzare gli obiettivi mutualistici. Ebbene, la condotta di un socio lavoratore che convochi illegittimamente un'assemblea sociale all'esito della quale venga rimosso il consiglio di amministrazione nominandone uno nuovo che inizi ad agire in nome e per conto della cooperativa adottando delle iniziative volte ad escludere altri soci e che determinino danni sia alla società sia ad altri dipendenti (come il blocco degli affidi bancari e del pagamento degli stipendi) non ha una rilevanza confinata esclusivamente al piano del rapporto associativo. Essa si ripercuote sicuramente, in termini negativi, anche sul rapporto di lavoro. Infatti, tali condotte costituiscono una grave violazione degli obblighi di fedeltà che ogni lavoratore è tenuto a rispettare". Nel caso di specie, è evidente come la ricorrente abbia violato gli obblighi predetti, avendo agito in danno della compagine sociale datrice di lavoro e di altri dipendenti della medesima, ponendo in essere condotte talmente gravi da determinare una irreversibile lesione del vincolo fiduciario e da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto di lavoro. Essendo pertanto pienamente ravvisabili, in relazione al licenziamento intimato alla ricorrente, gli estremi della giusta causa, del tutto infondata deve ritenersi la censura relativa al carattere ritorsivo del recesso datoriale. Quanto all'eccezione di tardività della comunicazione del licenziamento, si osserva quanto segue. Come sopra osservato, la ricorrente ha sollevato detta eccezione deducendo la violazione, da parte della cooperativa convenuta, della previsione di cui all'art.42 del CCNL applicabile, nonché, comunque, del principio di immediatezza della contestazione dell'addebito, violazioni che avrebbe determinato nella lavoratrice un legittimo affidamento in ordine alla tolleranza, da parte del datore di lavoro, dei fatti contestati. L'eccezione è infondata. In primo luogo, occorre osservare come l'art. 42 cit., ai sensi del quale "se il provvedimento non verrà comunicato entro i 10 giorni successivi a quello della presentazione delle giustificazioni, le stesse si riterranno accolte", non preveda alcuna decadenza dal potere sanzionatorio del datore di lavoro, limitandosi a prescrivere che la mancata adozione del provvedimento disciplinare entro il termine di 10 giorni dalla presentazione delle giustificazioni del lavoratore faccia presumere l'accoglimento delle stesse giustificazioni. Nel caso di specie, nessuna giustificazione risulta essere stata presentata dalla ricorrente a seguito della ricezione della lettera di contestazione disciplinare: ne consegue l'inapplicabilità della disposizione suddetta alla fattispecie in esame. Quanto alla dedotta violazione del principio di immediatezza della contestazione rispetto al verificarsi del fatto addebitato, giova osservare come la lettera di contestazione disciplinare sia stata pervenuta alla ricorrente in data 15.5.2018 e come i fatti ivi addebitati si riferiscano a condotte iniziate in data 18.04.2018 (data della delibera di nomina del nuovo C.d.A.) e protrattesi nei mesi successivi, sino alla registrazione di detta delibera presso la Camera di Commercio il 9.5.2018. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che il principio di tempestività riguarda il momento di "conoscenza" e non quello di mera "notizia" che il datore di lavoro abbia avuto di un fatto potenzialmente foriero di sanzione disciplinare, destinata a divenire "conoscenza" solo dopo i dovuti riscontri istruttori. Di conseguenza, "il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito deve essere inteso in senso relativo. E infatti, esso risulta in concreto compatibile anche con un intervallo di tempo più o meno lungo, allorché l'accertamento e la valutazione dei fatti sia laborioso e richieda uno spazio temporale maggiore" (Cass. n. 21203 del 17.9.2013). Nella fattispecie in esame, in considerazione della complessa situazione scaturita dalle intricate vicende societarie sopra descritte, il lasso di tempo intercorso tra la data di verificazione dei fatti contestati e la comunicazione dell'addebito deve ritenersi del tutto ragionevole. Allo stesso modo, non può addebitarsi alla parte resistente alcun colpevole ritardo in relazione al periodo di tempo intercorso tra la data di comunicazione della lettera di contestazione disciplinare e la notificazione del provvedimento espulsivo (datato 9.8.2018 e recapitato in data 20.8.2018), essendo stato il C.d.A. "legittimo" ripristinato soltanto dopo la pronuncia del lodo arbitrale del 3.8.2018. Infine, per quanto concerne la domanda di condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione dell'invocato diritto ad un inquadramento superiore (oltre che per l'asserita omessa corresponsione delle ultime due mensilità di retribuzione e delle competenze di fine rapporto), la stessa deve essere dichiarata improcedibile. Come sopra osservato, infatti, nelle more del presente giudizio la Cooperativa convenuta è stata collocata in liquidazione coatta amministrativa, procedura che determina, per un verso, la perdita della capacità (anche) processuale degli organi societari e, per altro verso, la temporanea improcedibilità - fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti agli organi della procedura ai sensi degli art. 201 e ss. L.F. - della domanda azionata in sede di cognizione ordinaria. Al riguardo, la Cassazione ha costantemente affermato come, in virtù del richiamo operato dalla disposizione citata alle disposizioni del titolo I, capo III, sezione II ed in particolare in considerazione del disposto dell'art. 51 L.F., qualsiasi credito nei confronti di un'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa debba essere fatto valere in sede concorsuale nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore ai sensi dell'art. 209 L.F., potendone il giudice conoscerne solo in sede di opposizione od impugnazione ex art. 98 e 99 L.F. dello stato passivo, sicché risulta improponibile o, se proposta, diventa improcedibile, stante l'inderogabilità delle norme poste a tutela della par condicio creditorum, qualsiasi domanda di cognizione ordinaria che venga formulata in una diversa sede, diretta ad ottenere una condanna pecuniaria, benché accompagnata da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale. (cfr. ex plurimis, Corte di Cassazione, Sez. III civ., 20 marzo 2017 n. 7037). In definitiva, le uniche azioni che possono essere proposte o proseguite davanti al giudice del lavoro nei confronti di un'impresa in LCA sono quelle dirette ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, per le quali la possibilità di insinuazione allo stato passivo dei relativi crediti risarcitori è che ne siano stati determinati l'an e il quantum (cfr. Cass. 19 giugno 2017, n. 15066). Le spese di lite seguono la soccombenza, come di norma, e vengono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore e della natura della causa. Queste le motivazioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. RIGETTA la domanda di accertamento dell'inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del licenziamento irrogato alla ricorrente; DICHIARA improcedibile la domanda di condanna della parte resistente alle differenze retributive asseritamente maturate dalla ricorrente in ragione del dedotto svolgimento di mansioni riconducibili ad un superiore inquadramento contrattuale; CONDANNA parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore di parte resistente, liquidate in complessivi Euro 4.629,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; FISSA in sessanta giorni il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Tivoli il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI SEZIONE LAVORO Il Giudice dott.ssa Roberta Mariscotti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. r.g. 1635/2022 pendente tra (...), (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. DI.FR. Ricorrente E (...) SRL, (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. RU.SI. e l'AVV. MA.SP. Resistente RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 414 c.p.c. la ricorrente ha dedotto quanto segue: di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l. con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 2.8.2021 al 2.12.2021, data in cui era stata illegittimamente licenziata per mancato superamento del periodo di prova, con qualifica di "Operatore di vendita/Responsabile commerciale", livello I del CCNL Commercio Terziario Viaggiatori Piazzisti; che il rapporto di lavoro suddetto trovava la sua fonte e la sua causa in un più ampio accordo commerciale che ha coinvolto la odierna resistente e la sig.ra (...) ed in particolare: la ricorrente era legale rappresentante della società (...) s.r.l.s., (operante nel settore della distribuzione di detergenti e materiale monouso per attività commerciali, industriali e sanitarie sin dalla sua costituzione nel 2017); che il successo dell'azienda, divenuta in breve tempo una realtà consolidata nel settore della distribuzione di detergenti nell'ambito del territorio laziale faceva sì che nel dicembre 2019 la ricorrente ricevesse da parte della (...) s.r.l. in concorrenza anche con la società la (...) s.r.l., anch'essa società di distribuzione per la pulizia professionale, una manifestazione di interesse per l'acquisizione della società (...) s.r.l.s.; che per l'attuazione del progetto commerciale sopra descritto, sempre nella lettera di intenti veniva stabilito che "Le società "(...) S.R.L." e "(...) S.R.L.S.", in persona dei rispettivi legali rappresentanti sigg.re (...) e (...), si impegnano a vendere alla società "(...) S.R.L.", che si impegna ad acquistare, esclusivamente il portafoglio clienti delle rispettive società con trasferimento di tutti i rapporti commerciali ad essi collegati. Le medesime si impegnano inoltre alla cessione del magazzino esistente"; che a fronte delle cessioni, le parti stabilivano che le signore (...) e C. avrebbero, come di fatto hanno, sottoscritto con la (...) un contratto di lavoro dipendente avente una durata che in ogni caso non avrebbe potuto essere inferiore ad anni cinque; che la ricorrente, pertanto, è stata assunta alle dipendenze della (...) a far data dal 2.8.2021 presso la sede operativa di Monterotondo (RM), con qualifica di "Operatore di vendita/Responsabile commerciale", benché dalle buste paga emerga come data di assunzione l'1.9.2021 ed alla sig.ra (...) non sia stata ad oggi corrisposta la retribuzione del mese di agosto 2021; che l'orario di lavoro seguito dalla ricorrente è stato, per tutto il periodo dal 2.8.2021 sino alla cessazione, dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 20.00; che nell'ambito degli accordi con l'odierna resistente, la ricorrente ha fatto transitare dalla (...) alla (...) i propri agenti oltre ad un tecnico e ad una addetta alla segreteria, al fine di consentire loro la conservazione del posto di lavoro anche successivamente alla cessione dell'attività (gli agenti (...), (...), (...), e (...), il tecnico (...) e la segretaria (...)); che malgrado la resistente in sede precontrattuale dichiarasse di voler rinunciare al periodo di prova in considerazione dell'esperienza della ricorrente la resistente lo inseriva comunque nel contratto; che la ricorrente per tutto il periodo ha svolto le seguenti mansioni: - ricevere telefonate dai clienti; - andare a Monterotondo nel magazzino ogni giorno per cercare materiale da consegnare ai clienti (materiale che non si trovava poiché il magazzino non aveva luce e la merce veniva accatastata senza nessun ordine o criterio); - andare ad effettuare le consegne di materiale in tutta Roma anche dopo le ore 19.00, ogni giorno, perché nessun addetto (...) provvedeva alla consegna degli ordini della ricorrente e dei suoi collaboratori; effettuare gli ordini di materiale presso i fornitori perché nessuno si preoccupava di effettuarli; che la ricorrente trovava presso la società una situazione di totale disorganizzazione con continue lamentele dei clienti che la stessa provava ad arginare con la conseguenza che le mansioni dalla stessa svolte sono state ben diverse da quelle di Responsabile commerciale; che la (...) ha provveduto a corrispondere alla ricorrente solo la somma di Euro 80.000,00 pattuita a titolo di acconto per la cessione, dovendo saldare, tuttavia, il residuo di Euro 137.841,01; che nonostante le numerose richieste della signora (...), la (...) restava inadempiente con la conseguenza che diveniva fonte di un progressivo inasprimento dei rapporti dei referenti (...); che in data 30.11.2021, la sig.ra (...), non riuscendo ad accedere al portale (...) per svolgere le consuete mansioni, inoltrava una e-mail alla Società chiedendo ragguagli sulle problematiche di accesso riscontrate e sulla propria posizione lavorativa, non essendo più messa nelle condizioni di poter svolgere il lavoro e che in data 2.12.21, la (...) inviava alla ricorrente una missiva del seguente tenore: "Gentile Sig.ra (...), facciamo seguito alla sua del 30.11.2021, la quale ci lascia alquanto stupiti, vista ns. precedente del 23.11.2021 con la quale le comunicavamo l'interruzione del rapporto di lavoro per non superamento periodo di prova con decorrenza immediata al ricevimento della suddetta comunicazione; comunicazione che ci risulta Lei abbia preso visione in data 23.11.2021, poiché anticipata a mezzo WhatsApp al suo numero privato e successivamente inviataLe amezzo raccomandata presso il suo domicilio, che il rapporto di lavoro intercorrente tra le parti è stato interrotto in data 23.11.2021. Alla luce di quanto sopra la ricorrente ha rassegnato le seguenti conclusioni: "In via principale, accertare e dichiarare il licenziamento intimato alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore, a reintegrare la ricorrente nel ruolo ricoperto all'atto del licenziamento e a corrisponderle l'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione e comunque non inferiore a cinque mensilità; condannare, altresì, per il medesimo periodo la resistente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In via subordinata, accertare e dichiarare il licenziamento intimato alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore, a reintegrare la ricorrente nel ruolo ricoperto all'atto del licenziamento e a corrisponderle l'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, nella misura massima di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto come per legge; condannare, altresì, per il medesimo periodo la resistente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In via ulteriormente subordinata, accertare e dichiarare il licenziamento intimato alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore a risarcire la ricorrente nella misura di Euro 238.778,90 lordi costituita dalla somma di Euro 133.778,90 lordi, parametrati alla retribuzione annua lorda di Euro 26.757,78 per cinque annualità come da contratto, oltre al 3% del fatturato calcolato come indicato in atti in Euro 21.000,00 annui per cinque annualità pari ad Euro 105.000,00 o in quella diversa somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Ancora in via subordinata, accertare e dichiarare il licenziamento intimato in data 2.12.2021 alla sig.ra (...) illegittimo e/o nullo e/o annullabile e/o inefficace per le ragioni di cui in narrativa e, per l'effetto, condannare la (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro - tempore a corrispondere alla sig.ra (...) l'indennità risarcitoria di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015, nella misura massima di mensilità, avuto riguardo all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR o nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia. Il tutto e in ogni caso con rivalutazione monetaria e interessi legali dalla maturazione del credito al soddisfo. Con vittoria di spese competenze ed onorari di giudizio". Si è costituita in giudizio la resistente chiedendo il rigetto dell'avverso ricorso e deducendo in particolare: che proprio in ragione di quanto risultava in ordine alle precedenti esperienze lavorative della ricorrente, nel contratto di lavoro tra le parti, e dalle stesse sottoscritto, veniva previsto il patto di prova, funzionale a saggiare sul campo le capacità e le attitudini professionali di (...), da valutarsi anche una volta che la stessa, che manifestava nelle sue precedenti esperienze una forte discontinuità lavorativa, fosse inserita come dipendente nell'organigramma complesso di una società strutturata e articolata come (...) S.r.l.; che il rapporto di lavoro tra la ricorrente e la società (...) S.r.l. non si è protratto dal 02.08.2021 al 02.12.2021 ma dal 01.09.2021 e si è concluso il 23.11.2021, per effetto del mancato superamento del periodo di prova da parte della lavoratrice; che la predetta data di inizio risulterebbe dalla "comunicazione obbligatoria unificato Lav." Protocollo (...) trasmessa il 30/08/2021 15:30:32; che la ricorrente aveva espressamente richiesto alla società di iniziare il rapporto solo a far data dal mese di settembre 2021, essendo nel mese di agosto 2021 ancora impegnata nell'attività della propria società (...) S.r.l.s. di cui era - ed è - legale rappresentante; che l'aggiunta a penna nell'appendice lettera di intenti ("non applicare periodo di prova"), prodotta dalla ricorrente sarebbe stata apposta successivamente da quest'ultima e non corrisponde ad una clausola condivisa e accettata dalla società: quest'ultima infatti aveva trasmesso alla (...) l'appendice già sottoscritta senza l'aggiunta a penna, affinché anche la ricorrente provvedesse alla sottoscrizione; che l'attività lavorativa della ricorrente non veniva svolta diligentemente in quanto accanto ad iniziative unilaterali e improvvide (come quella di procedere senza autorizzazione all'acquisto di beni dagli ex fornitori (...), esponendo la società a costi maggiori rispetto a quelli normalmente da quest'ultima ottenuti sul mercato di suo riferimento), si aggiungeva una totale e assoluta indifferenza verso le procedure aziendali, che si rifiutava di osservare e di seguire, e un atteggiamento di derisione, se non di vero e proprio astio, verso il personale (...), che veniva inviato in loco per arginare ed ovviare alle intemperanze caratteriali e alle iniziative estemporanee della dipendente; che le intemperanze della ricorrente sono sfociate in attacchi personali e in vere e proprie scenate verso i colleghi, che hanno finito per esacerbare il clima lavorativo; che, pertanto, il mancato superamento del periodo di prova è stato determinato dalle motivazioni di cui sopra. Ha chiesto, quindi, il rigetto del ricorso. Nel corso del giudizio venivano assunte prove testimoniali. All'esito dello scambio di note ex art. 127 ter c.p.c. la causa è stata così decisa con la presente sentenza. In via preliminare, va affrontata la questione dell'apposizione del patto di prova l contratto intercorso tra le parti e, in particolare, la sua decorrenza e validità. In relazione alla causa del patto di prova, la giurisprudenza della Suprema Corte è oramai consolidata nel senso di ritenere che essa vada individuata nella tutela dell'interesse, comune alle parti, ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le attitudini e le capacità del lavoratore, e verificando quest'ultimo l'entità della prestazione richiestagli, le condizioni di svolgimento del rapporto e, in senso più ampio, la convenienza del vincolo contrattuale (fra le tante, oltre alla sentenza in commento, cfr. Cass. 7 dicembre 1998, n. 12379; Cass. 22 marzo 2000, n. 3541; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22637; Cass. 29 luglio 2005, n. 15960; Cass. 8 gennaio 2008, n. 138; Cass. 23 giugno-30 luglio 2009, n. 17767; Cass. 22 aprile 2015, n. 8237; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22286; Cass. 9 marzo 2016, n. 4635; Cass. 11 luglio 2018, n. 18268; Cass. 6 novembre 2018, n. 28252). La Suprema Corte afferma, altresì, che "la forma scritta necessaria, a norma dell'art. 2096 cod. civ., per il patto di assunzione in prova è richiesta "ad substantiam", e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall'inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola verbalmente pattuita mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la nullità del patto di prova sottoscritto dal dipendente a distanza di alcuni giorni dall'assunzione)" (Cass. 21758/2010). La ricorrente sostiene che l'apposizione del patto di prova sarebbe stata esclusa dalle parti in ragione del più ampio e complesso accordo commerciale (non limitato alla mera instaurazione del rapporto di lavoro di cui è causa) e ne documenta l'eliminazione producendo in giudizio l'appendice alla lettera di intenti siglata tra le parti la quale, a suo dire, paleserebbe l'ufficialità di tale esclusione. A bene vedere, però, l'aggiunta a penna nella lettera di intenti recante la dicitura "non applicare periodo di prova" è priva di valore giuridico in quanto non se ne può escludere l'inserimento unilaterale da parte della ricorrente. Contrariamente a quanto sostenuto dalla (...), peraltro, i documenti facenti parte del fascicolo di ufficio evidenziano che il periodo di prova era stato contrattualizzato e messo per iscritto con la conseguenza che, anche a livello formale/contenutistico, nessuna censura può essere mossa alla detta apposizione. Parimenti a nulla rilevano le qualifiche e competenze della (...) acquisite nell'ambito della pluriennale esperienza lavorativa in (...). Ora, se senz'altro è vero che la ricorrente avesse alle spalle una grande competenza nel settore merceologico della resistente e che tale aspetto fosse noto a quest'ultima, altrettanto vero è che ciò non è sufficiente a comportare la nullità del patto di prova per assenza di causa. Ed infatti, per giurisprudenza unanime il patto di prova mira ad accertare non solo la capacità tecnica ma anche la personalità del lavoratore e, in genere, l'idoneità dello stesso ad adempiere gli obblighi di fedeltà, diligenza e correttezza (per tutte, Cass., n. 26679/2018). La funzione del patto di prova sta nel consentire alla parte datoriale di sondare non soltanto l'idoneità del lavoratore dal punto di vista tecnico, ma più in generale la sua compatibilità con l'ambiente lavorativo. La prova, infatti, serve a verificare non solo la capacità nello svolgimento delle mansioni, ma anche il gradimento da parte del datore di lavoro, che può basarsi, legittimamente, anche su altri elementi quali il comportamento, il positivo inserimento nell'organizzazione aziendale, il rapporto con gli altri dipendenti. Appare evidente che la resistente, pur conoscendo la conclamata esperienza settoriale della (...), ben avrebbe potuto ritenere - come del resto ha fatto -di dover valutare la capacità di adattamento della stessa a politiche aziendali diverse da quelle condotte sino a quel momento. L'apposizione del patto, quindi, risultava funzionale alla valutazione della reciproca convenienza del rapporto atteso che precedentemente, nonostante l'esperienza pluriennale della (...), non era intercorso un rapporto lavorativo tra le stesse parti (Cass., 24 luglio 1990, n. 7493). Alla luce di quanto sopra, l'apposizione del patto di prova deve considerarsi senz'altro legittima e le doglianze sul punto della ricorrente non possono trovare accoglimento. Considerazioni diverse vanno svolte in ordine al termine iniziale di decorrenza del rapporto di lavoro con i conseguenti effetti sul superamento del periodo di prova previsto nel contratto di assunzione. Orbene, la ricorrente sostiene che il rapporto di lavoro aveva avuto inizio il 02/08/2021 mentre la resistente sostiene che, sebbene queste fossero le reali intenzioni delle parti in un momento iniziale, l'attività della (...) si sarebbe effettivamente estrinsecata a solo a far data dal 01.09.2021. La determinazione del momento di inizio dell'attività risulta dirimente, non solo in relazione alla mancata retribuzione della ricorrente nel mese di agosto 2021 ma altresì al fine di valutare la legittimità del licenziamento intimatole. Ed infatti, secondo l'art. 2096 c.c., in caso di "assunzione in prova", il datore di lavoro ed il prestatore "sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova" (comma 2); "durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità", salvo che la prova non sia stata stabilita per un tempo minimo necessario (comma 3); "compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva" (comma 4). La disciplina è integrata dall'art. 10 della L. 15 luglio 1966, n. 604, che prevede l'applicabilità della normativa limitativa dei licenziamenti ai lavoratori in prova la cui assunzione sia divenuta definitiva e, comunque, decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro Ora, non può non conferirsi un pregnante valore probatorio al contratto di lavoro depositato da entrambe le parti ed in forza del quale la data di inizio del rapporto di lavoro veniva individuata al 02.08.2021. Di contro, non vi è agli atti nessuna documentazione sopravvenuta che manifesti per tabulas la volontà concordata di spostare in avanti il termine iniziale del rapporto di lavoro a nulla rilevando in tale direzione, la mera comunicazione Unilav depositata dalla convenuta in quanto trattasi di documento la cui provenienza è chiaramente unilaterale e il cui contenuto, nel caso in esame, non è suffragato da sufficienti ulteriori elementi probatori come verrà esposto di seguito. Al riguardo la Corte di Cassazione ha affermato come il valore da attribuire al modello UNILAV sia "di mero indizio, valutato come tale nell'ambito dei poteri di libero apprezzamento attribuiti al giudice ed in tal senso va pure ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. n. 11898 del 18/06/2020; Cass. n. 29316 del 2008) la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio" ( cfr. Cass.4253/2022). Né la mancata corresponsione della retribuzione per il mese di agosto, che anzi viene rivendicata dalla parte ricorrente ovvero la fatturazione da parte della (...) relativa a ordinativi di clienti passati alla resistente, possono assumere rilevanza al fine di retrodatare l'assunzione potendo rilevare, piuttosto, per fondare richieste di pagamento o restitutorie tra le parti in separati giudizi (la ricorrente, infatti, lamenta di non aver ricevuto la retribuzione prevista e la resistente in separato giudizio ha chiesto indietro le somme fatturate nel mese di agosto da (...)). Quanto sostenuto dalla resistente, peraltro, non ha trovato un chiaro conforto nelle dichiarazioni rese dai testimoni escussi. Ed infatti, il teste di parte ricorrente (...) ha evidenziato che "Ho lavorato per la resistente ufficialmente da settembre 2021 ma già da agosto eravamoli avendo fatto già il passaggio di alcuni clienti". L'altro teste di parte ricorrente Sig. C.C. ha dichiarato che "Prima di agosto lavoravo con (...). Poi sono stati venduti tutti i clienti ad (...) e quindi avendo fatto il passaggio il fatturato iniziava con ica da metà agosto. Lei è venuta a fine luglio dicendomi che ci dovevamo trasferire e io ho detto aspetta un attimo perché lasciamo i clienti senza merce. Poi sono tornato il 27 agosto e giàstavano facendo il trasferimento presso (...) system. Già mi era stato detto che ci dovevamo trasferire. Dopo che è stato fatto il passaggio svolgeva sempre le medesime attività di prima". Il teste di parte resistente A.P. ha invece asserito che "La ricorrente nel mese di agosto doveva preparare lo spostamento di azienda. Non abbiamo mai avuti rapporti lavorativi prima di settembre". Infine, la teste (...) ha chiarito che "il contratto della (...) risale a settembre ma c'è stato un invio ad agosto perché avrebbe dovuto iniziare ad agosto ma poi lei ci ha chiamato dicendo che non poteva tanto è vero che lei ha fatturato fino al 31 agosto con ds clean. Quelle di agosto erano esclusivamente bozze ed il contratto è partito ufficialmente a settembre. Lo spostamento di magazzino è avvenuto per motivi logistici a fine agosto e lei ha iniziato dal 1 settembre e la ricorrente prelevava della merce e bollettava ai suoi clienti (...) IL DDT di (...) è stata fatta fino al 31/08/ ma poiché la merce era ufficialmente ancora di ds clean ma "ica" abbiamo fatto delle fatture in compensazione a (...) per pareggiare le partite. Fino al 31 agosto fatturava (...) e successivamente (...)". Ebbene, dall'esame complessivo della vicenda e da un raffronto tra la documentazione e le dichiarazioni testimoniali, non emergono motivi validi per sconfessare la data di inizio del rapporto di lavoro così come contrattualizzato tra le parti. Tutti i testimoni hanno confermato lo svolgimento di attività lavorativa da parte della (...) per la resistente poco rilevando la circostanza che i testimoni di parte resistente ritenessero che la stessa fosse compiuta ancora e solo quale titolare della (...) o che si trattasse di attività meramente preparatoria a quella "contratuallizzata" da iniziare a settembre. Non v'è dubbio, infatti, che la ricorrente abbia espletato attività effettiva in favore della resistente e che il mese di agosto fosse espressamene previsto quale mese lavorativo dal contratto. Non può non evidenziarsi come la preparazione ed il trasferimento della merce nel mese di agosto fosse certamente sintomo dell'instaurazione del rapporto di lavoro. Ed allora, facendo decorrere il rapporto di lavoro dalla data formalizzata del 02.08.2021, al momento del licenziamento era ormai spirato il termine utile per far valere il mancato superamento del periodo di prova ovvero i 60 giorni previsti dal contratto e dal c.c.n.l. Non può non rilevarsi come seppure non si tratti propriamente, di un' ipotesi di nullità genetica del patto accidentale contenuto nel contratto individuale di lavoro, come può essere il caso della mancata stipula del patto di prova per iscritto in epoca anteriore o almeno contestuale all'inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 25 del 1995; Cass. n. 5591 del 2001; Cass. n. 21758 del 2010) oppure il caso della mancata specificazione delle mansioni da espletarsi (per tutte Cass. n. 17045 del 2005, richiamata dalla Corte territoriale), tuttavia il licenziamento si sia fondato solo ed elusivamente sulla sussistenza di un patto non più in essere con conseguente applicazione delle medesime conseguenze applicabili alle ipotesi appena rappresentate. In tutti questi casi in cui il patto di prova non è validamente apposto nonché nell'ipotes di patto non più in vigore, la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova è inidonea a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e non si sottrae alla disciplina limitativa dei licenziamenti (Cass. n. 16214 del 2016; Cass. n. 17921 del 2016). Considerato, quindi, che il licenziamento è intervenuto quando oramai era spirato il termine per far valere il periodo di prova, lo stesso si fondava sull'erroneo presupposto della validità della relativa clausola- o meglio sull' errata supposizione della persistenza del periodo di prova in realtà già venuto a scadenza- integrando un ordinario licenziamento soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o giustificato motivo di recesso in quanto fattispecie non certamente sovrapponibile ad una ipotesi di recesso intimato in regime di lavoro in prova per essere legittima la clausola recante il patto di prova. Seppure, infatti, il patto di prova era stato validamente apposto, il licenziamento intimato una volta che questo era ormai scaduto non poteva certamente riferirsi ad una mancata corretta esecuzione del medesimo, ovvero configurare un inadempimento al patto che era stato correttamente "eseguito" tra le parti (cfr. Cass. 31159/2018) Peraltro, non nuoce ricordare che è nullo anche il patto di prova che preveda la propria estensione per un periodo superiore a quelli previsti dal Ccnl di riferimento o al quale vengano applicate condizioni di carattere temporale che non siano state approvate da entrambe le parti coinvolte (Suprema Corte, Sent. n. 16806 del 29 luglio 2011). Quanto alle conseguenze già accennate sopra, la Suprema Corte ha precisato come il licenziamento intimato sull'erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità per essere già avvenuta con esito positivo la sperimentazione del rapporto tra le parti, non è sottratto all'applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, sicché la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro è quella prevista dall'art. 18 st. lav. ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l'insussistenza del requisito dimensionale, ovvero quella riconosciuta dalla L. n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per l'applicabilità della tutela reale (cfr. Cass. 17921/2016(cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. lavoro, sentenze. n. 17358 del 3 luglio 2018; n. 16214 del 3 agosto 2016; n. 5811 del 26 maggio 1995)). Al momento del licenziamento della ricorrente, inoltre, lo stesso era sorretto soltanto dalla sussistenza del regime di "libera recedibilità" tipico del periodo di prova. Non rilevano, quindi, le doglianze della resistente inerenti ai comportamenti tenuti dalla (...) in forza dei quali la stessa non si sarebbe conformata alle politiche aziendali della (...), seppur a suo dire, dalla prima conosciute. Le dette doglianze, in astratto idonee a giustificare l'adozione di un procedimento disciplinare, non possono produrre l'effetto di sanare il licenziamento comminato che non è stato fondato, all'epoca, su una contestazione specifica relativa alle condotte della ricorrente e non ha seguito l'iter previsto per il caso di licenziamento disciplinare. Quanto alla tutela, visto il requisito dimensionale della resistente, non può che applicarsi l'art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 2015 che stabilisce "1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all'articolo 2, comma 3". L'ipotesi in esame, in particolare, è riconducibile al comma 2 atteso che, seppure non si sta analizzando "propriamente" la sussistenza di un fatto oggetto di contestazione disciplinare ( nella sua duplice componente di sussistenza materiale e antigiuridicità) la circostanza che il rapporto era già in corso tra le parti ha reso il patto nullo in radice impedendo di configurare qualsivoglia "fatto" determinante il licenziamento. Ne consegue che la resistente deve essere condannata alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro nonché al pagamento in suo favore di una somma pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto evincibile dalle buste paga e quantificabile in Euro 2.229,50 (pari alla retribuzione Euro 1.911,27 per 14 mensilità), dedotto l'eventuale l'aliunde perceptum oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo. Può altresì accogliersi la domanda di regolarizzazione contributiva quale effetto automatico previsto dalla legge. Le ulteriori domande proposte in via subordinata restano assorbite stante l'accoglimento della domanda principale. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria eccezione e deduzione così provvede: annulla il licenziamento intimato alla ricorrente e per l'effetto ordina alla resistente di reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro alle medesime condizioni economiche di cui al contratto sottoscritto; condanna la resistente al pagamento, in favore della ricorrente, di indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione utile ai fini del dell'ultima calcolo del trattamento di fine rapporto pari ad Euro 2.229,50 con interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo, oltre ai contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo; condanna la resistente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla ricorrente, liquidate in Euro 4.629,00 per compensi, oltre al rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Tivoli l'1 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TIVOLI in persona del Giudice dott. Marco Piovano, all'esito della camera di consiglio ha pronunciato, dandone lettura ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 20.2.2023, la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. R.G. 4946/2021, promossa da: (...) - C.F. (...), (...) - C.F. (...), rappresentati e difesi, per procura posta in allegato all'atto di citazione ritualmente notificato, dall'avv. Au.Co. e dall'avv. Ad.Ri. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dei suoi difensori in Guidonia, largo (...), ATTORI, nei confronti di CONDOMINIO DI VIA (...) n. 6 - GUIDONIA, in persona dell'amministratore sig. Ce.Ca., rappresentato e difeso dall'avv. Ga.De. per procura posta in allegato alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore in Roma, via (...), CONVENUTO, avente ad oggetto: impugnazione delibera assembleare. Conclusioni della parte attrice: come da verbale e da atti. FATTO E DIRITTO Premesso: che con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...), condomini, hanno promosso il presente giudizio nei confronti del Condominio di via (...) n. 6 - Guidonia, chiedendo dichiararsi la nullità, o l'annullamento o comunque l'inefficacia della delibera resa dall'assemblea condominiale, tenutasi in seconda convocazione in data 8.6.2021; che, a sostegno dell'impugnazione, gli attori deducevano: l'invalidità/inesistenza della delibera perché convocata dal sedicente amministratore geom. (...), mai nominato; in ogni caso, l'omessa convocazione di (...) nei termini stabiliti dal regolamento e, comunque, dall'art. 66 dacc; ancora, l'invalidità della delibera perché nella stessa erano stati erroneamente attribuiti 6 millesimi a (...); infine, l'invalidità della delibera per violazione dell'art. 1117 ter c.c. in relazione al punto 7 del deliberato (creazione parcheggi condominiali). Si costituiva il condominio contestando la domanda e deducendo - in particolare - come in una successiva assemblea tenutasi in data 21.10.2021, partecipata da tutti i condomini, questi ultimi avessero concordemente deciso di ritenere illegittima la nomina quale amministratore del Casagrande, in quanto mai deliberata dall'assemblea ma discendente, invece, da autonoma e arbitraria scelta del precedente amministratore. Su tali basi, eccepiva quindi l'inammissibilità della domanda per carenza di interesse degli attori e, in ogni caso, l'intervenuta cessazione della materia del contendere. Con i successivi atti difensivi le parti ribadivano, maggiormente precisandole, le loro posizioni: in particolare, gli attori insistevano nel ritenere necessario l'annullamento della delibera impugnata in quanto mai formalmente revocata nella successiva assemblea del 21.10.2021, in occasione della quale i condomini si erano limitati a sostenere e votare sulla illegittimità dell'amministratore Casagrande, mai nominato; il convenuto, insisteva invece nel considerare, alla luce della decisione assunta, implicitamente revocata la delibera dell'8.6.2021. Rileva il Tribunale. "In caso di impugnazione della delibera condominiale, la cessazione della materia del contendere può ravvisarsi soltanto quando il secondo deliberato modifichi le decisioni del primo in senso conforme a quanto richiesto dal condomino che impugna e non anche quando reiteri o comunque adotti una decisione nello stesso senso della precedente, presupponendo la stessa il sopravvenire di una situazione che consenta di ritenere risolta o superata lite insorta tra le parti, si da comportare il venir meno dell'interesse a una decisione sul diritto sostanziale dedotto in giudizio" (Cass. ord. 5997/2022). Tale circostanza non si è verificata nel caso in esame, in quanto in occasione dell'assemblea del 21.10.2021, successiva a quella impugnata dell'8.6.2021, i condomini si sono limitati a prendere atto della inesistenza della nomina del Casagrande quale amministratore del condominio, non ratificando gli atti da questi posti in essere e procedendo alla nomina di altro amministratore. Non hanno però modificato - secondo il principio della SC sopra rammentato - le decisioni del primo deliberato che dunque, formalmente, sono rimaste in essere e che vanno dunque annullate in questa sede, senza necessità di dover valutare la fondatezza dei motivi di impugnazione diversi da quelli riguardanti la figura dell'amministratore, posto che lo stesso condominio si è associato al giudizio di invalidità di quella delibera. Dunque, per quanto detto, la domanda degli attori è meritevole di accoglimento mentre debbono essere respinte le eccezioni della parte convenuta. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate, come da dispositivo, ai sensi del DM 147/2022 (valore dichiarato: indeterminabile; complessità bassa; base valore minimo, esclusione fase istruttoria; riduzione del 75% per la fase decisoria). P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, in persona del Giudice dott. Marco Piovano definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) e (...) con atto di citazione ritualmente notificato al Condominio di via (...) n. 6 - Guidonia, così provvede: 1) Accoglie la domanda; 2) Per l'effetto, annulla la delibera del'8.6.2021, adottata dall'assemblea del condominio convenuto; 3) Condanna il Condominio di via (...) n. 6 - Guidonia, in persona dell'amministratore pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio in favore di (...) e (...) nella misura di Euro 588,70 per esborsi e di Euro 1.816,25 per onorari, oltre spese forfettarie, ca e iva se dovuta. Così deciso in Tivoli il 17 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2023.

  • Il Tribunale di Tivoli riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori Magistrati: dr.ssa Francesca Coccoli - Presidente rel. est. dr. Francesco Lupia - Giudice dr.ssa Rosa Maria Bova - Giudice nella causa iscritta al n. .../2017 del ruolo generale delle controversie civili, pendente: tra S.V., nata il (...); rappresentata e difesa dall'avv. ... attrice e S.P.F., nato il (...); rappresentato e difeso dall'avv. ... convenuto avente ad oggetto: impugnazione di testamento. Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con citazione ritualmente notificata V.S. conveniva in giudizio P.F.S.. Esponeva che in data 3 dicembre 2014 era stato pubblicato dal Notaio L.C. il testamento olografo di R.S., madre delle odierne parti in causa, deceduta il 19 novembre 2014, recante la data del 5 settembre 2008, con il quale la de cuius aveva disposto della propria quota di proprietà di un terzo dell'appartamento in P. S., via G. G. 23, in favore del figlio P.F.S.. Tanto premesso e deducendo che già al momento della stesura del testamento R.S. si trovasse in stato di incapacità naturale a causa dell'insorgenza di una serie di malattie manifestate sin dal 2005, concludeva chiedendo volersi: "In via preliminare: 1) Dichiarare aperta la successione della sig.ra R.S. alla data del decesso e la qualità di eredi legittimi a legittimari della sig.ra V.S. e del Sig. P.F.S.; 2) Per le ragioni indicate in premesse, sempre in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia, ovvero comunque annullare, il testamento olografo della sig.ra R.S. datato 05/09/2008 pubblicato in data (...) presso il Notaio dr. L.C. Repertorio n. (...) Raccolta n. (...); in subordine, ridurre, ex art. 554 c.c., le disposizioni di tale testamento, in quanto lesive della quota legittima riservata alla figlia V.S., procedendo conseguentemente alla formazione delle quote ereditarie e legittime in applicazione delle norme di legge. In via principale: 3) Procedere allo scioglimento della comunione ereditaria, conseguentemente alla formazione delle due quote ereditarie, e disporre la divisione in relazione alle singole quote e, in caso di ravvisata non materiale divisibilità degli immobili, ordinare la vendita all'incanto con formazione successiva di separate masse liquide da ripartire fra i singoli coeredi; 4) Porre ogni spesa di divisione a carico del sig. P.F.S.; 5) Disporre a carico del sig. S. l'obbligo di pagamento a favore della sig.ra V.S. delle spese funebri sostenute dalla medesima per la defunta R.S. per un totale di Euro 3.850,00, condannando il convenuto alla refusione di una somma in proporzione alla sua quota ereditaria; 6) Emettere ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e consequenziale. In ogni caso: 7) Condannare il sig. P.F.S. al pagamento in favore della sig.ra V.S. della somma di Euro 300,00 mensili, o in quella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta equa dal Giudice, per il periodo di tempo in cui il sig. P.F.S. ha occupato in maniera esclusiva ed indebita la quota di proprietà della sig.ra V.S. relativa all'immobile sito in P. S. (R.) in via G. G. n. 23 e del locale cantina ad esso adiacente, decorrente dalla morte della sig.ra R.S. e fino all'effettiva occupazione de medesimi. 8) Condannare il convenuto alla restituzione delle somme indebitamente pagate a titolo di IMU dalla sig.ra V.S. per la somma eccedente la quota di sua proprietà dell'appartamento sito in P. S. (R.) in via G. G. n. 23 e del locale cantina ad esso adiacente; condannare altresì il convenuto alla restituzione a favore della sig.ra V.S. delle somme indebitamente pagate da questa per la tassa sui rifiuti TARI e/o TASI per i medesimi immobili di cui sopra; infine condannare l'odierno convenuto alla restituzione pro quota delle spese e rette pagate alla sig.ra V.S. alla casa di riposo "Cristo Vive"; 9) Condannare il sig. P.F.S. al pagamento delle spese di lite del presente giudizio nonché al pagamento delle spese di giudizio dell'ATP ivi comprese le spese di CTU e CTP oltre IVA e CPA". Si costituiva in giudizio P.F.S., contestando la fondatezza delle pretese di controparte, delle quali chiedeva il rigetto, e domandando in via riconvenzionale volersi: "previo accertamento e collazione delle somme già percepite direttamente e/o indirettamente dall'attrice S.V. a titolo di donazione e/o relative ai prelevamenti e movimentazioni bancarie e/o postali sui depositi e/o conti correnti postali e/o libretti postali accesi presso la sede delle Poste di Palombara Sabina intestati a S.R. e/o cointestati a T.F. figlio di S.V. e/o con delega al ritiro della Sig.ra S.V., rapporti su cui erano versati somme di denaro di spettanza della madre S.R., disporre conseguentemente lo scioglimento della comunione ereditaria dei beni caduti in successione, secondo la valutazione e formazione delle singole quote di spettanza con predisposizione di un progetto di divisione che tenga conto di quanto già percepito dalla Sig.ra S.V. direttamente e/o indirettamente a titolo di donazione e/o prelevamenti dai rapporti di credito della madre S.R. ed in caso di indivisibilità dei beni da dividersi disporre la vendita degli stessi e l'attribuzione delle quote di spettanza ai singoli condividenti nel caso in cui non venga chiesta e/o disposta assegnazione e/o attribuzione in natura. Condannare la Sig.ra S.V. al rimborso pro quota delle spese di TARI e/o TASI spese condominiali e di gestione dei beni tutte così come verranno accertate e ritenute di giustizia. Respingere tutte le altre domande in quanto infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate. Con vittoria di spese, diritti, onorari, competenze del giudizio e/o secondo i parametri vigenti, rimborso forfettario al 15%, Iva e Cpa come per legge, del presente giudizio e di quello di ATP, spese di CTP e spese di CTU, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge su tutte le somme dovute e che verranno liquidate". All'udienza con trattazione scritta del 21 settembre 2022 5 la causa, istruita sulla base della documentazione acquisita in atti, è stata trattenuta in decisione, con assegnazione del termine di sessanta giorni per comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per memorie di replica, ed è stata infine decisa nella camera di consiglio del Nella qualità di figlia di R.S. e di erede legittima di quest'ultima, V.S., invocando la declaratoria di nullità, o in alternativa una pronuncia di annullamento del testamento olografo redatto da R.S., per incapacità di intendere e di volere della testatrice, ha domandato dichiararsi aperta, anche in proprio favore, la successione legittima della de cuius. Emerge dalla documentazione acquisita in atti che R.S., deceduta in Tivoli data 19 novembre 2014, con testamento olografo redatto il 5 settembre 2008, pubblicato in Notaio L.C. il (...) con verbale n. rep. (...), racc. (...), aveva così disposto: "io S.R. lascio a mio figlio P.F. la mia parte della casa perché si è sposato da solo io non lo aiutato perché non lo (segno di cancellatura) potevo e riconosco di fare il mio dovere la mama S.R. cinque settembre 2008 Vo che mia fa (segno di cancellatura) Voglio che mia figlia che aceti la mia (segno non leggibile) Volontà la mamma S.R.". Pare opportuno in linea teorica osservare, prima di esaminare gli elementi dedotti alla base delle azioni di nullità ed annullamento alternativamente esercitate, come l'incapacità naturale, ai sensi dell'art. 591 c.c., debba ritenersi motivo di annullamento e non già di nullità del testamento. L'unica ipotesi in cui, infatti, la incapacità di intendere o di volere del testatore possa essere tale da condurre alla declaratoria di nullità è quella concernente il caso di chi sia completamente assente a se stesso, di chi non sia dunque per nulla compos sui, come l'ipnotizzato, il pazzo o colui che si trovi in stato d'incoscienza totale. Questa, tuttavia, non sembra essere la fattispecie da parte attrice invocata. L'incapacità naturale del disponente, che ai sensi dell'art. 591 cod. civ. determina l'invalidità del testamento, postula, purtuttavia, l'esistenza ".. non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensi la prova che, a cagione di una infermità transitoriao permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo" (Cass. 23 dicembre 2014 n. 27351; Cass. 18 aprile 2005 n. 8079). Così individuato l'istituto giuridico invocato, e il regime probatorio che ne governa il giudiziale accertamento, le domande di nullità e di annullamento del testamento proposte dall'attore debbono ritenersi infondate. Deduce V.S., a ragione delle richieste formulate, che l'incapacità della de cuius sarebbe derivata da uno stato di "deficit cognitivo di grado intermedio interessante la memoria a breve termine" in cui ella si sarebbe venuta a trovare già dall'anno 2005, come rilevato nel verbale medico della Commissione di prima istanza di Guidonia Montecelio U. RM25 del 7.12.2005, stato aggravatosi nel corso dei successivi anni. L'istruzione del giudizio è stata espletata attraverso le prove testimoniali articolate da entrambe le parti, oltre che sulla base della documentazione acquisita in atti. E' stato disposto, inoltre, un accertamento tecnico d'ufficio al fine di accertare la eventuale sussistenza di uno stato di incapacità di intendere e di volere della de cuius. Dalle prove testimoniali più significative è emerso quanto segue: F.M., collaboratrice domestica della signora R.S. per circa tre anni, a far data all'incirca dal 24 dicembre 2008, ha riferito che all'epoca la de cuius, pur non essendo allettata, " ... non ci stava con la memoria; pensava a tutto la figlia V. riguardo ai pagamenti e i contributi a me, ci pensavano lei e la figlia E. .... per la spesa ci pensava la figlia; lei non poteva fare la doccia da sola, al massimo riusciva ad andare in bagno da sola ... Io ho cominciato all'incirca il 24 dicembre 2008, e all'epoca R. quando veniva il genero la domenica che le portava da mangiare, lei il giorno dopo mi diceva che era venuto un signore che le aveva portato da mangiare; non lo riconosceva, non ricordava i nomi dei nipoti; dimenticava le cose, pure quando andavo io, mi chiedeva chi fossi, anche se ero stata da lei la mattina stessa, aveva vuoti di memoria .."; la teste M.G.P., legata sin dall'adolescenza da rapporti di amicizia con le odierne parti in causa, ha riferito che nel periodo da luglio a ottobre 2008 la S. era pienamente lucida, presente nel dialogo e capace di riconoscere familiari ed amici. In difetto di risultanze certe in ordine allo stato di capacità di intendere e di volere della testatrice al 5 settembre 2008, data di redazione del testamento olografo, o al periodo immediatamente antecedente e successivo, (neppure la deposizione del medico curante è stata idonea a comprovare uno stato di alterazione significativa e permanente delle capacità cognitive nel periodo interessato), la documentazione medica prodotta è stata sottoposta, nel corso del giudizio, all'analisi ed esame del consulente tecnico d'ufficio. Nella relazione depositata in data 5 gennaio 2022 il nominato c.t.u., dr. Ga.Br., medico legale, specialista in psichiatria, dopo aver esaminato il testamento olografo impugnato evidenzia che "salta chiaramente all'occhio l'estrema semplicità dell'atto in questione"; "L'impegno cognitivo necessario è stato evidentemente minimo e certamente alla portata anche di un'anziana donna di 86 anni, pur tenuto conto che dall'esame dello scritto emergono elementi suggestivi di un certo decadimento cognitivo, anche considerata la bassa scolarità del soggetto". Rilevato che la prova della affermata incapacità della S. al momento della redazione del testamento è sostanzialmente affidata da parte attrice al verbale dell'accertamento della Commissione medica per l'invalidità recante la data del 14.9.2005, e dunque risalente a tre anni prima della redazione del testamento oggetto di causa, il CTU evidenzia quanto segue: "All'epoca la donna di anni 83, fu riconosciuta invalida al 100% e con necessità di assistenza continua (indennità di accompagnamento ex L. n. 18 del 1980). Il quadro clinico descritto dalla Commissione medico-legale era connotato da: - ipertensione arteriosa; - sindrome ansioso-depressiva; - artrosi polidistrettuale; - ipoacusia; - pregresso intervento di cataratta bilaterale; - deambulazione possibile con appoggio monolaterale; - umore tendenzialmente depresso; - deficit cognitivo di grado intermedio interessante la memoria a breve termine (MMSE 17/30; ADL 3/6, IADL 5/8). Il certificato dimostra come all'epoca la donna fosse affetta da una serie di patologie (motorie e cognitive) la cui incidenza complessiva ha comportato il riconoscimento della necessità per l'anziana di un'assistenza continua. Se si considera però solo la valutazione dell'integrità delle funzioni cognitive è evidente come il risultato ottenuto al Mini Mental State Examination sia indicativo di undecadimento cognitivo lieve (MMSE = 17). Tale valutazione standardizzata, studiata negli anni 70 da Folstein10, è ampiamente utilizzata nella pratica clinica della valutazione delle funzioni cognitive dei soggetti anziani. E' un test di facile e rapida somministrazione, è sufficientemente attendibile nel determinare il grado del deficit cognitivo e nel monitorarne la progressione in condizioni di demenza. E' composto da 30 item, in parte verbali, in parte di performance, che esplorano orientamento spaziotemporale, memoria a breve termine, memoria a breve termine, attenzione, calcolo mentale, linguaggio (nelle componenti di comprensione, ripetizione, denominazione, lettura e scrittura), prassia costruttiva. Il punteggio ottenuto esprime il grado di deterioramento cognitivo secondo tale scala: 30 - 24 ............ Nessuna compromissione 24 - 20 ............ Sospetta compromissione 19 - 17 ............ Compromissione lieve 16 - 10 ............ Compromissione moderata 9 - 0 ............. Compromissione grave Il risultato ottenuto dalla sig.ra S., come detto, è stato di 17/30, indicativo un deterioramento cognitivo lieve, ancorché al limite basso di tale fascia di valutazione. Un decadimento, quindi, non della gravità prevista dalla legge per invocare l'annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore; tale incapacità, come detto, non si configura in una qualsiasi condizione patologica, anche transitoria, che sia astrattamente suscettibile di influenzare il volere del testatore, ma solo in quella alterazione del processo di formazione e di manifestazione della volontà che renda il medesimo assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e ne escluda, di conseguenza, la capacità di autodeterminazione (vedi Sentenza Cassazione Civile n. 9081 del 15/04/2010). Ad ulteriore conferma di un quadro di decadimento cognitivo lieve, la sig.ra S. aveva dimostrato una certa autonomia nella attività del vivere quotidiano con un punteggio di 3 su 6 alla scala ADL, Attività di base della Vita Quotidiana, come FARE IL BAGNO (vasca, doccia, spugnature), VESTIRSI (prendere i vestiti dall'armadio e/o cassetti, inclusa, biancheria intima, vestiti, uso delle allacciature e/o delle), TOILETTE (andare nella stanza da bagno per la minzione e l'evacuazione, pulirsi, rivestirsi), SPOSTARSI, CONTINENZA DI FECI E URINE, ALIMENTAZIONE; è stata anche riconosciuta capace di una certa autonomia nelle Attività della Vita Quotidiana attraverso l'uso di Strumenti (IADL) con una valutazione addirittura di 5/8 rispetto ad attività come ABILITA' AD USARE IL TELEFONO, SPOSTAMENTI FUORI CASA, ASSUNZIONE DEI PROPRI FARMACI , USO DEL PROPRIO DENARO, FARE LA SPESA, CURA DELLA CASA, FARE IL BUCATO. Si dispone solo dei punteggi ottenuti nelle due scale e non i fogli risposta e non si è in grado di sapere quali fossero le specifiche attività che l'anziana era ancora in grado di compiere, ma i risultati sono comunque certamente indicativi di un grado di autonomia compatibile solo con un deficit cognitivo lieve, moderato al massimo, tenuto conto che la disautonomia della donna era determinata anche dalle sue limitazioni motorie e dall'ipoacusia, da fattori dunque estranei al suo funzionamento psichico nel determinarne la valutazione di assistenza continuativa". Prosegue il CTU rilevando che "Nel caso in esame, non vi è alcuna documentazione sanitaria a riguardo tra il 2005 ed il 2008, nulla cioè che possa giustificare il raggiungimento, nel giro di tre anni, di un livello di deficit cognitivo grave che pertanto può essere probabilisticamente escluso. D'altra parte, il Giudice Tutelare chiamato a decidere nel 2009 circa la necessità di provvedere ad una misura di protezione giuridica della persona, dopo aver ascoltato l'amministranda, scrive: "Seppur sono perfettamente evidenti le difficoltà correlate all'età, le risposte date dalla beneficiaria in sede di audizione hanno però dato il senso di una coscienza e di una posizione assolutamente negativa rispetto alla nomina di un soggetto deputato alla sua cura ... volontà chiara, inequivoca, consapevole". Rispetto ai quesiti posti, la documentazione sanitaria disponibile, una lettera di dimissione infermieristica relativa al periodo dal 02/11/2011 al 14/11/2011 e quella relativa all'anno 2014, certificato medico e scheda biografica di ricovero del dott. S., non sono utili rispetto alla valutazione della capacità di intendere e di volere al momento di testare nel 2008"..... L'esame della documentazione datata 2014 evidenzia un peggioramento delle condizioni di salute generali dell'anziana signora, ormai 92enne, che in poco tempo ne hanno determinato l'exitus, avvenuto nel novembre dello stesso anno. Dal certificato del 17/07/2014 del dr. S. si apprende che la donna per una caduta accidentale avvenuta tempo prima aveva subito un'infrazione del collo chirurgico del collo dell'omero; era ormai diventata incapace di deambulare e a mantenere la stazione eretta (condizione all'origine dell'ulcera da decubito al gluteo sinistro in fase di risoluzione riportata nello scritto?), con un deficit della funzionalità renale, tutte condizioni che certamente hanno determinato un aggravamento del deficit cognitivo rispetto a quello ipotizzabile nel 2011 (e ancor di più rispetto al periodo 2008) e che nel luglio 2014 viene ormai così definito: "sindrome dementigena con progressivo decadimento cognitivo e disorientamento spazio-temporale". La documentazione esaminata, dunque, non ha dimostrato la sussistenza, alla data del 05/09/2008, di una condizione di decadimento cognitivo grave tale da rendere la sig.ra R.S. non in grado di esprimere liberamente e consapevolmente le proprie ultime volontà". Conclude, pertanto, il CTU affermando che, " ... esaminata la documentazione sanitaria, tenuto conto della difficoltà insita in una valutazione ex post delle capacità cognitive di un soggetto a distanza di 13 anni dal fatto e a 7 anni dal suo decesso, è possibile ragionevolmente escludere che la sig.ra R.S. si trovasse in una condizione di incapacità naturale al momento in cui, il 05/09/2008 ha espresso le proprie volontà testamentarie. L'accertamento sugli atti non ha dimostrato che, all'epoca dei fatti, la donna fosse affetta da un deterioramento cognitivo del grado normativamente previsto per l'annullamento di un testamento". Deve pertanto escludersi che una capacità di intendere e di volere della testatrice possa aver viziato le disposizioni di ultima volontà di R.S.. Poiché l'attrice, quindi, non è stata in grado di dimostrare l'assunto posto alla base delle proprie domande, l'azione volta all'annullamento del testamento va rigettata. Neppure possono essere accolte le ulteriori domande di parte attrice e le domande riconvenzionali di parte convenuta, tenuto conto del fatto che né la prima, proponendo azione di riduzione delle disposizioni contenute nel testamento olografo per essere reintegrata nei diritti di legittimaria, né il convenuto, nel proporre domanda di collazione e di scioglimento della comunione ereditaria, hanno tuttavia allegato quale fosse la consistenza dell'asse ereditario e, nell'ipotesi di lesione, quale l'entità della stessa rispetto alla quota spettante come riserva per legge (ciò che esclude ogni possibilità di verifica della ipotizzata domanda) (cfr. App. Roma Sez. II, 10-09-2009). Com'è noto, il legittimario che agisce in riduzione ha l'onere di allegare e provare, oltre la propria qualità di erede necessario, l'avvenuta lesione della legittima, nonché l'esistenza degli atti da ridurre, precisandone l'ordine cronologico. Allegare la lesione della legittima implica definirne il suo valore e a tal fine occorre individuare esattamente il patrimonio relitto (sia avendo riguardo alla sua composizione, sia al suo valore calcolato al momento del decesso del de cuius), individuare le disposizioni lesive da riunire fittiziamente, cioè contabilmente, al patrimonio relitto (art. 556 c.c.) nonché precisare le donazioni e i legati ricevuti e per cui non vi sia stata dispensa (art. 564, comma 2, c.c.). Quanto appena allegato trova conforto nella giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione a mente della quale: "Il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. In particolare, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia, o meno, avvenuta, ed in quale misura, la lesione della sua quota di riserva, potendo solo in tal modo il giudice procedere alla sua reintegrazione. L'azione di riduzione, indipendentemente dall'uso di formule sacramentali, richiede, poi, oltre alla deduzione della lesione della quota di riserva, l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione della donazione posta in essere in vita dal de cuius (Cass. n. 14473/11; cfr. ex multis anche Sent. Sez. II n. 20830/16; Sent. Sez. II n. 1357 /17). Detta dimostrazione della lesione, inoltre, non può essere attuata per il tramite di una C.T.U. che, evidentemente, sarebbe del tutto esplorativa. Ciò precisato, dal tenore delle allegazioni avverse e dalla produzione documentale versata in atti nonché alla luce delle superiori eccezioni e produzioni documentali, risulta evidente che parte attrice ha omesso di ottemperare ai suddetti oneri. In altri termini, e pur a fronte delle deduzioni di parte convenuta, volte ad eccepire la sussistenza di un patrimonio fatto di risparmi, arretrati di pensione da invalidità civile ed investimenti della de cuius, parzialmente dall'attrice prelevato, la S. ha disatteso l'onere di indicare entro quali limiti sarebbe stata violata la propria quota di riserva, omettendo di determinare con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota disponibile dal testatore. Parimenti generiche sono risultate le allegazioni del convenuto a supporto delle domande riconvenzionali formulate. Le domande di entrambe le parti vanno pertanto rigettate. Nell'integrale rigetto delle pretese di parte attrice e di parte convenuta, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese tra le parti. Le spese di CTU, disposta al fine di istruire la domanda di annullamento del testamento, sono poste definitivamente a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione, eccezione disattesa e reietta, così provvede: 1) respinge le domande formulate dalle parti; 2) dichiara compensate le spese di lite; 3) pone a carico di parte attrice le spese di CTU. Conclusione Così deciso nella camera di consiglio del 21 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TIVOLI Il Giudice dott.ssa Francesca coccoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...) del del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2019 vertente tra (...); (...); (...); rappresentati e difesi dall'avv.(...) opponenti e (...)., e, per essa, (...)., rappresentata e difesa dall'avv.(...) opposta Oggetto: opposizione a precetto FATTO E DIRITTO Con citazione ritualmente notificata (...), (...) e (...) proponevano opposizione al precetto, contenente intimazione di pagamento dell'importo di Euro 284.651,16, oltre interessi convenzionali al tasso convenuto, ad essi notificato nella qualità di fideiussori della (...) da parte di (...), cessionaria del credito portato dal contratto di mutuo concesso (...), per l'importo di Euro 350.000,00, stipulato in data 17.04.2009 per Atto Notar (...), Rep. (...), Racc. (...) Formulavano le seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis in via preliminare, in ogni caso, attesa la manifesta usurarietà del tassa d'interesse moratoria come evidenziato nella perizia econometrica sospendere l'efficacia esecutivo del contratto di mutuo Rep. (...) sottoscritto in data 17.04.2009 dai signori (...) e (...) in qualità di fideiussori ancora in via preliminare accertare e dichiarare, per i motivi di cui in premessa, l'improcedibilità della domanda espletata nei confronti dei signori (...) e (...) in qualità di garanti nel merito. in via principale accertare e dichiarare l'esistenza di tassi usurari nel contratto di mutuo anzidetto e, per l'effetto, accertare e dichiarare la nullità del contratto di mutuo Rep. (...) sottoscritto in data 17.04.2009 nel merito in via subordinata accertare e dichiarare la violazione, da parte dell'istituto mutuante, dei principi generali di trasparenza, correttezza e buona fede contrattuale nonché, in particolare, delle disposizioni contenute nell'art. 117 TUB e nella Del.CICR 4 marzo 2003, per aver indicato un costo del credito difforme da quello effettivo e, per l'effetto, rideterminare il rapporto tra le parti ex art. 117 TUB ovvero al tasso legale o a quello ritenuto di giustizia accertare e dichiarare l'illegittimità del regime di capitalizzazione composta degli interessi adottato per violazione degli artt. 1203 c.c. e 120 TUB e, comunque, per vizio del consenso in capo alla parte mutuataria ed ai garanti, cui è stato occultato l'effettivo costo del finanziamento derivante dalla capitalizzazione composta insita nel metodo di ammortamento utilizzala e, per l'affetto, rideterminare il rapporto tra le parti ex art. 117 TUB ovvero al tasso legale ovvero secondo giustizia accertare e dichiarare che il contratto di mutuo contiene pattuizioni in violazione della L. n. 108 del 1996 per le motivazioni illustrate e, per l'effetto, rideterminare il rapporto tra le parti ex art. 1815 c.c. ovvero secondo giustizia. In ogni caso, con vittoria di spese di giudizio e compensi di avvocato". Costituitasi in giudizio parte opposta contestava specificamente i motivi di opposizione, chiedendone il rigetto. All'udienza con trattazione scritta del 12 ottobre 2022 la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. In via preliminare deve dichiararsi l'estinzione, ex art. 306 c.p.c., del giudizio promosso da (...), e ciò a seguito della intervenuta rinuncia agli atti e della relativa accettazione da parte della società opposta, depositate in data 13.4.2021 nel fascicolo telematico di parte attrice. In mancanza di diverso accordo, secondo la previsione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c., la rinunciante è tenuta a rimborsare le spese di lite alla controparte. Nel merito, emerge dalla documentazione acquisita in atti che in data 17 aprile 2009 la (...), quale mutuante, la (...) quale parte mutuataria, e gli odierni attori quali fideiussori, hanno sottoscritto un CONTRATTO DI MUTUO, GIUSTO ATTO REDATTO DAL NOTAIO (...) DI (...), REP. n. (...), RECCOLTA n. (...), alle seguenti condizioni: - capitale erogato: Euro 350.000,00; - data di decorrenza: 1.4.2009; - data scadenza prima rata 31.5.2009; - numero rate di rimborso: 180 a cadenza mensile: - durata: 15 anni; - tasso compensativo (o corrispettivo) convenuto (art. 3 del contratto) pari al 5,512% annuo - tasso variabile, pari al tasso EURIBOR sei mesi, divisore 365, aumentato di 2,50 punti percentuali (art. 1 del contrano). - Tasso Indice Sintetico di Costo (ISO pari al Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) indicato nel contratto (art. 3): 5,75%; - tasso di mora iniziale pattuito pan al 7,512% annuo, pan al corrispettivo pattuito aumentalo di 2 punti percentuali. Nel contratto di finanziamento sottoscritto, le parti hanno convenuto che la parte mutuataria si obbligava a sostenere i seguenti costi: oneri istruttori Euro 1.000,00 spese rilascio assenso cancellazione ipoteca Euro 103.29 interessi preammortamento Euro 739,97 spese recupero visura C. per ciascun nominativo 15,00. La mutuatari si è impegnata a corrispondere le seguenti spese per ogni rata: - commissioni incasso rata Euro 1,25; - spese per comunicatone periodica Euro 5,00. Le parti hanno pattuito una penale per estinzione anticipata del prestito pari al 2% del capitale anticipatamente corrisposto (art. 3 del contratto). Nel contratto di mutuo sottoscritto, all'art. 1, le parti hanno pattuito che "La parte mutuatario si obbliga a corrispondere alla Banca, su tulle le somme non pagate alle rispettive scadenze, a decorrere dal giorno della scadenza fino a quello dell'effettivo pagamento, l'interesse di mora nella misura del tasso contrattuale corrente, aumentato di due punti percentuali". Pertanto le parti hanno concordato che la misura degli interessi di mora convenuti fosse pari al 7,512%. Nel contratto di finanziamento, stipulato tra le parti, è stato indicato l'"ISC" (Indicatore Sintetico di Costo), coincidente con il TAEG, pari al 5.75%. Nell'art. 5 del contratto di mutuo le parti hanno convenuto che: "La banca avrà diritto di risolvere il contratto nelle ipotesi previste nel secondo comma dell'art. 40 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. nonché la parte mutuataria provveda al pagamento, anche di una sola rata di rimborso, dopo 180 giorni dalla scadenza della rata medesima. Del pari la Banca potrà risolvere il contratto qualora la parte mutuatario non provveda al pagamento della rata dopo 180 giorni dalla scadenza stessa. Resta inteso che la parte mutuataria decadrà dal beneficio del termine qualora si verifichino le ipotesi previste dall'art. 1186 del cod. civ. e qualora la stessa o i garanti subiscano protesti, procedimenti conservativi, ed esecutivi od ipoteche giudiziali o compiano qualsiasi atto che diminuisca la loro consistenza patrimoniale, finanziaria od economica". E' documentato che le rate del prestito sono state pagate dalla società contraente fino alla data del 31.12.2012, ovvero fino alla quarantaquattresima rata del prestito. All'esito della CTU, le cui conclusioni devono ritenersi pienamente condivisibili in quanto immuni da vizi logici e metodologici, risulta in primo luogo accertato, attraverso l'esame degli atti di causa e della documentazione depositata dalle parti, che l'istituto bancario non ha richiesto somme non previste nelle condizioni contrattuali pattuite. Ciò rilevato, il Tribunale ritiene di dovere innanzitutto sgombrare il campo da ogni dubbio relativo all'indeterminatezza dei tassi di interesse e alla validità del piano di ammortamento. (...) Come la Suprema Corte ha avuto modo di affermare, sia pure con riferimento a contratti di mutuo stipulati prima dell'entrata in vigore delle norme sulla trasparenza bancaria: - "in tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulala ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione dei tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione" (cfr. ex multis sez. III civ. n. 2317/07); - "in tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1346 cod. civ., è sufficiente che la stessa - nel regime anteriore all'entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154 - contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest'ultimo sia desumibile dal contratto con l'ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione" (cfr. cass. sez. III civ. n. 25205/14). L'inserimento nelle clausole contrattuali relative al tasso di interesse, quale unico parametro variabile, dell'EURIBOR, soddisfa le esigenze di determinatezza richieste ai fini della validità delle clausole. Benché infatti l'entità di tale indice, soggetto a continue variazioni, sia influenzato in maniera determinante dal comportamento del sistema bancario; è comunque un indice medio - calcolato sulla base del comportamento adottato dalle principali banche europee e internazionali in relazione alle variazioni del tasso ufficiale (...) e dunque sulla scorta di dati che si assumono oggettivi - diffuso giornalmente dalla Federazione delle banche europee, come tale individuabile e verificabile dal mutuatario. Inoltre, se è vero che le singole banche che contribuiscono alla determinazione dell'Euribor possono influenzarne l'ammontare, ciò non basta di per sé solo a dimostrare l'esistenza di accordi tra le banche interessate dirette a influenzare la determinazione del tasso attraverso la modifica concordata del tasso di deposito da ciascuna di esse applicato nei rapporti con altri istituii di credito, sÌ da dimostrare che l'intero meccanismo è illecito. Irrilevante è pure l'ipotetica erronea o mancante indicazione dell'ISC. L'ISC non costituisce, infatti, un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Da ciò discende che l'erronea o omessa indicazione dell'ISC/TAEG, non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un'erronea o mancata rappresentazione del suo costo complessivo. E' dunque infondata la tesi della nullità quale conseguenza di tale errata o omessa indicazione. Ed invero l'art. 117, sesto comma, TUB, sanziona con la nullità le "clausole contrattuali ... che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati". Né può estendersi la portata dell'art. 125 bis TUB dettata con espresso riferimento ai contratti di credito al consumo al fine di tutelare la posizione di debolezza contrattuale in cui versa il cliente-consumatore. Quanto al piano di ammortamento cosiddetto alla francese, lo stesso e conforme al disposto dell'art. 1194 c.c. e al disposto dell'art. 120 TUB e non viola il divieto di anatocismo posto dall'art. 1283 c.c., dovendosi condividere la conclusione, raggiunta da gran parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale "in materia di mutui, il metodo di ammortamento alla francese comporta che gli interessi vengano calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata. In altri termini, nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti ed unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Tale importo viene quindi integralmente pagalo con la rata, laddove la residua quota di essa va già ad estinguere il capitale. Ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originano detratto l'importo già pagato con la rata o le rate precedenti, e unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata immediatamente precedente. Il mutuatario, con il pagamento di ogni singola rata, azzera gli interessi maturati a suo carico fino a quel momento, coerentemente con il dettato dell'art. 1193 c.c., quindi inizia ad abbattere il capitare dovuto in misura pari alla differenza tra interessi maturati e importo della rata da lui stesso pattuito nel contratto" (cfr. Trib. Siena 17-07.14, Trib. Milano 05.05.14, Trib. Pescara 10.04.14). Infondata è altresì la questione della dedotta usurarietà del mutuo. Dai riscontri effettuati dal CTU emerge che le parti hanno convenuto che il rimborso del prestito avvenisse applicando un tasso annuo variabile determinato dal valore rilevato dell'EURIBOR sei mesi divisore 365 aumentato di 2,5 punti percentuali, sull'importo della somma mutuata. Pertanto il tasso corrispettivo pattuito al momento della sottoscrizione del contratto è pari al 5,512%. Al fine della verifica della conformità alle norme antiusura del saggio di interesse pattuito, tale tasso deve essere confrontato con il tasso effettivo globale medio (TEGM). rilevato dal Ministero del Tesoro, per le operazioni della stessa natura, e pubblicato trimestralmente con decreto sulla Gazzetta Ufficiale, aumentato della metà. Il CTU ha così si proceduto al confronto dei tassi di interesse contrattualmente pattuiti con il tasso soglia rilevante ai fini antiusura rilevato per la categoria omogenea "Mutui ipotecari a tasso variabile (dal 1 luglio 2004)". "Il tasso effettivo globale medio (TEGM), rilevato dal Ministero del Tesoro, per tale operazioni, nel IV trimestre 2009 è pari al 4,58%. Il tassa soglia determinato ex art. 2 L. n. 108 del 1996, pari tasso effettivo globale medio (TEGM), rilevato dal Ministero del Tesoro, per le operazioni di Mutui ipotecari a tasso variabile (dal 1 luglio 2004). in vigore al momento dell'erogazione del finanziamento (trimestre 1 aprile - 30 giugno 2009). aumentato del 50%, era pari al 6,87%. Si può affermare che, nel contratto è stato pattuito un tasso corrispettivo non superiore al tasso soglia previsto per il trimestre di riferimento". In merito alla dedotta usurarietà degli interessi molatori, pur riconoscendosi la rilevanza che tali interessi assumono ai fini della valutazione della natura usuraria delle pattuizioni (Cass. S.U. n. 10507/2020), occorre tuttavia precisare che il tasso soglia di riferimento, in ossequio ai principi dettati nella richiamata pronuncia, andrà individuato come segue: "- Individuazione del limite per gli interessi moratori. Occorre pure tenere conto che i decreti ministeriali, negli anni più recenti, prevedono uno spread tra il T.e.g.m. e la misura del tasso soglia usurano, determinato con la predetta maggiorazione (aumento di un quarto dei tassi medi, cui si aggiungono ulteriori 4 punti percentuali: art. 2, comma 2 D.M., attuando la L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4). La soglia comprendente i muratori, pertanto, CON riguardo ad esempio ai mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, può essere indicata in un'unica espressione, che pervenga all'entità della soglia massima - la quale, cioè, tenga conto sia del T.e.g.m., sia degli interessi di mora - onde si avrà: (5/4 T.e.g.m + 4) + (5/4 x 1.9); dove il primo addendo rappresenta il tasso soglia usurario legale, stabilito secondo il combinato disposto della L. n. 108 del 2000, art. 644 c.p. e D.M. del periodo considerato: mentre il secondo addendo è il "di più" di comparazione, che tiene conto degli interessi moratori. La formula può essere più sinteticamente espressa; (T.e.g.m. + 1.9) x 1.25 + 4" - (Ass. S.U. n. 19597 del 2020). Il CTU, rilevato che il contratto di mutuo è stato sottoscritto dalle parti in data 1 aprile 2009, e dunque prima del 14.05.2011 (data di entrala in vigore del D.M. n. 71 del 2011). ha evidenziato che "secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione n 19597 del 18 settembre 2020, la formula per la determinare del tasso soglia moratoria, nel caso di specie, è la seguente: (TEGM + 2,10) x1,5 Pertanto il tasso soglia moratoria, rilevante ai fini della legge antiusura, calcolato secondo i criteri espressi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020, applicabile al finanziamento è pari al 10,020%". Pertanto se si compara il tasso di mora pattuito con il tasso soglia determinato secondo i criteri dettati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020, calcolato per il trimestre di riferimento della sottoscrizione del contratto, non si riscontra l'usurarietà del tasso di mora convenuto. Infondata deve ritenersi, infine, l'eccezione di nullità delle clausole in deroga "al regime ordinario della fideiussione di cui agli artt. 1939, 1955 e 1957 c.c., prevista dall'art. 12. lett. c). d). e) ed f) del capitolato allegato al contratto di mutuo", sollevata dagli opponenti sul presupposto che tale deroga "introducendo un regime più rigoroso ed oneroso per i garanti, concreti al di là di ogni dubbio una clausola c.d. vessatoria. La clausola vessatoria, in quanto tale, richiede, per costante ed unanime dottrina e giurisprudenza di merito e di legittimità, una doppia sottoscrizione delle parti la quale, tuttavia, è assente, come risulta dalla semplice lettura del contratto di mutuo. In mancanza della doppia sottoscrizione, la clausola deve inevitabilmente ritenersi come non apposta: la deroga alle norme del codice civile in materia di fideiussione non può ritenersi valida e deve applicarsi pertanto il regime ordinario". Quanto alla prevista deroga all'art. 1957 c.c. (all'art. 12 lett. c delle Condizioni generali è previsto che "la fideiussione resterà integra e valida sino alla completa estinzione di ogni e qualsiasi debito della Parte Mutuataria, comunque dipendente dal mutuo e - in espressa deroga a all'art. 1957 cod. civ. - senza che l'Istituto Mutuante sia tenuto ad escutere né in via giudiziale né in via stragiudiziale la Parte Mutuataria, anche dopo la scadenza delle sue obbligazioni"). rilevato in ogni caso che all'art. 11 del contratto di mutuo "le porti dichiarano di approvare specificatamente, ai sensi dell'art. 1341 c.c., gli artt. 1(uno). 7 (sette). 9 (nove) e 10 (dicci) del presente contratto", e tra essi dunque l'art. 7 che disciplina il contratto di fideiussione intercorso tra le parti attraverso il rinvio all'art. 12 delle Condizioni generali "che i fideiussori dichiarano di ben conoscere ed accettare", in ogni caso deve escludersi la natura vessatoria della clausola in deroga all'art. 1957 c.c., considerato che "la decadenza del creditore dal diritto di escutere la fideiussione, prevista dall'art. 1957 c.c. quale conseguenza del mancato inizio dell'azione giudiziaria nei confronti del debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione, non è posta a presidio di alcun interesse di ordine pubblico, e può di conseguenza essere derogata dalle parti sia esplicitamente, sia implicitamente attraverso un comportamento concludente" (Cass. n. 31509 del 2021; Cass. n. 13078 del 2008). Del pari va escluso il carattere vessatorio delle clausole in deroga agli articoli 1939 cod. civ. (v. Cass. 25361 del 2008, secondo la quale "Questa Corte ha già affermato (Cass. sez. 1, 8 febbraio 2008, n. 3011) che la clausola in questione è destinata ad operare proprio quando l'adempimento sia stato dichiarato inefficace; e quindi su un piano diverso da quello della limitazione dell'ordinaria eccezione di pagamento. Non e' dunque applicabile estensivamente ad essa la disciplina di cui all'art. 1341 c.c., ne' tantomeno consentita l'affermazione di vessatorietà in via analogica, data la natura eccezionale della norma") e 1955 cod. civ. Con riferimento a tale ultima fattispecie, peraltro, l'eventuale nullità della clausola, il cui accertamento è invocato da parte opponente solo in via incidentale al fine di paralizzare la "procedibilità" dell'ingiunzione di pagamento, appare priva di rilievo, posto che, considerata la ratio della norma stessa (l'estinzione della fideiussione si giustifica con il fatto che se viene meno il diritto del garante di surrogarsi al creditore significa che sarà più difficile per il primo poter ottenere la restituzione della somma corrisposta; in particolare, la norma considera il caso in cui la surrogazione venga meno a causa della condotta del creditore), nel caso di specie la circostanza che la risoluzione del mutuo sia intervenuta per causa del debitore resosi inadempiente rende irrilevante qualsiasi eventuale rilievo incidentale di nullità. Nel rigetto della proposta opposizione, le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Le spese della CTU, disposta successivamente alla intervenuta rinuncia di (...) e relativa accettazione, sono poste definitivamente a carico dei restanti opponenti. P.Q.M. Il Tribunale di Tivoli, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, definitivamente pronunciando, così provvede: - dichiara l'estinzione del giudizio promosso da (...); - rigetta l'opposizione; - condanna parte opponente al pagamento, in favore della opposta, delle spese di lite che liquida in Euro 11.229,00 per compensi, oltre il 15% di rimborso spese forfettarie e IVA e CPA come per legge; - pone le spese di CTU definitivamente a carico degli opponenti (...) e (...) Così deciso in Tivoli il 5 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2023.

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