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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 253 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ca. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Al. e Ri. Lu., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gr. Sa. e Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; nei confronti Regione Piemonte e Città Metropolitana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; per l'annullamento a) per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determinazione del Dirigente Settore Urbanistica e Ambiente Comune di (omissis) n. 1490/2020 del 30.12.2020, avente ad oggetto "Programma di rigenerazione urbana, sociale e architettonica "(omissis) rigenera". Attuazione delle previsioni programmatiche sull'area di rigenerazione d.1: determinazione di conclusione negativa della conferenza di servizi finalizzata all'esame del progetto di intervento e della proposta di variante semplificata al P.R.G.C. ex art. 17 bis l.r. 5.12.1977 n. 56 e s.m.i.". - nonché di ogni altro atto connesso, se e in quanto lesivo; b) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 5 agosto 2022: - dell'atto del Comune di (omissis) AB662A5 - PG - 0043909 del 22 giugno 2022, a firma del Sindaco, dell'Assessore alla Pianificazione Territoriale, del Dirigente del Settore Urbanistica e Ambiente - e di ogni altro atto presupposto e/o connesso, se e in quanto lesivo. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2024 la dott.ssa Stefania Caporali e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il Comune di (omissis) ha avviato un programma di rigenerazione urbana, sociale e architettonica ai sensi dell'art. 14 della legge regionale n. 20 del 14 luglio 2020, chiamato "(omissis) Rigenera". Con deliberazione del Consiglio comunale n. 46 del 11.05.2017 l'amministrazione ha approvato le schede di progetto pervenutele dai proponenti. In data 2 luglio 2018 la società Ca. s.p.a. ha presentato un'istanza di variante al PRCG, relativamente all'ambito di competenza D1 "Complesso Ex Sa.", sulla quale si è espressa la Giunta del Comune di (omissis), con provvedimento n. 252 del 25 luglio 2018, condividendo l'impianto urbano dello schema progettuale presentato e fornendo indicazioni di merito per l'adeguamento e l'approfondimento della soluzione progettuale (cfr. doc. 14 di parte ricorrente). La società Ca. s.p.a. ha presentato istanza di variante semplificata al PRGC in data 9 gennaio 2020, ai sensi dell'art. 17 bis della legge regionale n. 56/1977. Si sono così svolte due conferenze di servizi, convocate ai sensi dell'art. 14 della legge n. 241/1990 e dell'art. 17 bis, comma 5, della legge regionale n. 56/1977 e, in occasione dell'apertura della seconda conferenza, il rappresentante del comune ha letto il parere negativo dell'ente sulla proposta progettuale di Ca.. Successivamente, in data 12/11/2020, il Comune di (omissis) ha trasmesso alla società la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, evidenziando diversi aspetti che non consentivano di procedere alla determinazione positiva della conferenza. Nonostante le osservazioni presentate dalla ricorrente, il comune ha definitivamente concluso in senso negativo il procedimento con l'adozione della determina dirigenziale del settore urbanistica e ambiente n. 1490 del 30.12.2020 (cfr. doc. 25 di parte ricorrente). Tale provvedimento è stato impugnato dalla società Ca. s.p.a. per i seguenti motivi in diritto: "I - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l. reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l. reg. n. 16/2018. Violazione del giusto procedimento". "II - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l. reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l. reg. n. 16/2018. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, contraddittorietà e perplessità manifesta. Travisamento e sviamento". Nelle more del giudizio e a seguito di ulteriori interlocuzioni avvenute tra le parti, l'amministrazione ha adottato la nota AB662A5 - PG - 0043909 del 22 giugno 2022, con la quale - dopo aver richiamato il proprio precedente atto di diniego - ha affermato che "La validità del provvedimento si ritiene confermata e lo stesso costituirà la base di riferimento per il riavvio dell'iter procedimentale previsto dalla normativa urbanistica, unitamente ai contenuti e agli obiettivi fondamentali già esplicitati con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 46/2017 di approvazione del Programma (omissis) Rigenera . Nel merito delle problematiche indicate nel provvedimento di diniego e puntualmente riportate nelle missive successive, si aggiunge quanto segue" e ha evidenziato tre ulteriori punti cui dover adeguare lo schema progettuale, concludendo che "La Città di (omissis) resta dunque in attesa della proposta progettuale adeguata, che sarà sottoposta all'attenzione formale del Consiglio Comunale prima dell'avvio dell'iter di Variante urbanistica" (cfr. doc. 7 depositato dall'amministrazione). Avverso tale nota del 22 giugno 2022, la società Ca. s.p.a. ha proposto ricorso per motivi aggiunti lamentando la "I - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l.reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l.reg. n. 16/2018. Violazione del giusto procedimento. Eccesso di potere per sviamento, incoerenza, contraddittorietà . Violazione dei principi generali della materia". Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo, in via preliminare, che il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti siano dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse in considerazione dell'apertura - dopo l'instaurazione del giudizio - di un nuovo procedimento amministrativo caratterizzato dall'indizione di un'altra conferenza di servizi finalizzata all'approvazione della variante semplificata al PRGC del Comune di (omissis). In subordine, il comune resistente ha chiesto che il ricorso per motivi aggiunti sia dichiarato inammissibile perché la società ha impugnato un atto meramente confermativo del diniego già espresso con la determinazione n. 1490 del 30.12.2020. Nel merito, l'amministrazione ha chiesto che sia il ricorso principale sia il ricorso per motivi aggiunti vengano rigettati perché infondati. Sono state depositate le memorie ex art. 73 d.lgs. n. 104/2010. Nella memoria di replica, depositata in data 17.01.2024, la società Ca. s.p.a. ha manifestato il proprio interesse alla declaratoria di illegittimità degli atti impugnati anche ai fini risarcitori (cfr. p. 4 della memoria di replica). All'udienza del 7.02.2024 i difensori delle parti hanno discusso oralmente la causa e, all'esito, il Collegio l'ha riservata in decisione. DIRITTO 1.Deve preliminarmente essere respinta l'eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse formulata dal Comune di (omissis) per effetto dell'avvenuta indizione di una nuova conferenza di servizi volta all'approvazione della variante al programma di rigenerazione urbana - complesso D1 - Ex Sa.. La società Ca. ha infatti espressamente dichiarato di non aver prestato acquiescenza alle indicazioni contenute negli atti impugnati. Con nota del 24 ottobre 2023 la società ricorrente ha infatti chiesto il riavvio della conferenza di servizi (all. 34 e 35), contestualmente precisando che "la presentazione della medesima non costituisce acquiescenza nei confronti della Determinazione del Dirigente Settore Urbanistica e Ambiente n. 1490/2020 del 30.12.2020; non costituisce rinuncia al ricorso proposto al TAR Piemonte da Ca. avverso tale provvedimento né ai successivi motivi aggiunti, gravame tuttora pendente con il n. di R.G. 253/2021 e chiamato alla prossima udienza del 7 febbraio 2024; non costituisce manifestazione di carenza di interesse nei confronti del gravame medesimo". Tale circostanza è stata poi ribadita in corso di giudizio (cfr., tra l'altro, p. 4 della memoria di parte ricorrente depositata il 5.01.2024: "Ca. stessa ha sempre tenuto a precisare che le nuove istanze ovviamente non costituivano rinuncia al ricorso e non rappresentavano manifestazione di carenza di interesse nei confronti del gravame medesimo (allegati 30, 31, 35)" e pp. 1-2 della memoria di replica depositata il 17.01.2024) e, come detto, la società ha, da ultimo, manifestato anche il proprio interesse alla decisione ai fini risarcitori (cfr. p. 4 della memoria di replica depositata il 17.01.2024). 2. Deve altresì essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sollevata dall'amministrazione resistente a motivo della natura meramente confermativa dell'atto impugnato rispetto alla precedente determinazione negativa adottata dal Comune di (omissis). Sul punto il Collegio richiama la nota distinzione tra atto meramente confermativo e atto di conferma, incentrata sulla natura innovativa dell'istruttoria compiuta dall'amministrazione, sebbene in entrambi i casi non muti il dispositivo del provvedimento confermato (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22.08.2023, n. 7891; TAR Torino, sez. II, sentenza n. 737/2023: "La distinzione tra atti confermativi e atti meramente confermativi si ravvisa nell'eventuale istruttoria svolta dall'amministrazione e nel contenuto motivazionale del nuovo provvedimento, dal quale dovrebbe risultare una nuova ponderazione degli interessi in conflitto e/o l'attività diretta ad accertare l'effettiva sussistenza del vizio dedotto dalla parte interessata con la nuova istanza. Pertanto, un atto deve qualificarsi come meramente confermativo quando non sia preceduto da un riesame della situazione che aveva condotto al provvedimento precedente, ma 'l'amministrazione si limiti a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazionè (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 02.05.2023, n. 4399; Consiglio di Stato, sez. II, 9 giugno 2020, n. 3673)... Così configurato, l'atto meramente confermativo non costituisce un'autonoma determinazione del Comune, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione della p.a. di non ritornare nelle scelte effettuate. Detto altrimenti, l'atto meramente confermativo non è impugnabile, perché non integra un'autonoma determinazione dell'Amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente (Cons. Stato, VI, 10.3.2011, n. 1530; TAR Lazio, Roma, II, 15.2.2012, n. 1508)"). Nel caso in esame, il Collegio reputa che l'atto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti non abbia natura meramente confermativa della precedente determinazione del Comune di (omissis) n. 1490/2020, posto che, già sul piano letterale ("si aggiunge quanto segue", cfr. doc. 7 depositato dal Comune), emerge che il provvedimento in questione introduce nuove e diverse argomentazioni a sostegno della determinazione negativa, con il risultato che la motivazione è solo in parte sovrapponibile a quella del primo provvedimento. L'integrazione della motivazione del diniego rende dunque evidente la natura dispositiva dell'atto impugnato. 3. Il Collegio procede alla trattazione nel merito del ricorso principale, prendendo le mosse dalla prima censura, nella parte volta a contestare la legittimità formale e procedurale del provvedimento impugnato. Con tale doglianza la società contesta lo svolgimento della seconda conferenza di servizi, in occasione della quale il rappresentante del Comune ha letto il parere negativo all'esordio della seduta, anziché all'esito della stessa. Tale censura non merita accoglimento. L'amministrazione comunale ha infatti correttamente partecipato alla conferenza di servizi per il tramite del proprio rappresentante che ha espresso la volontà dell'ente. La circostanza che il parere negativo sia stato espresso in apertura della seduta non comporta un vizio del provvedimento finale, perché risulta dimostrato dagli atti di causa che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Nel verbale della seconda conferenza di servizi, tenutasi il 29.10.2020, il Dirigente comunale precisa infatti che "l'elemento su cui l'Amministrazione comunale non intende transigere è la necessità di compensare l'edificazione di aree libere con una quota equivalente di demolizioni, a prescindere dal sub-ambito di partenza. (...) Le integrazioni prodotte non vanno nella direzione auspicata dal Comune, né rispettano quanto richiesto in sede di Prima seduta della Cds. (...) Nella Proposta di variante presentata non si ravvede l'interesse pubblico auspicato dal Programma (omissis) Rigenera . Si rimarca che la pianificazione urbanistica è un compito in capo al Comune, che nel caso specifico è l'Ente depositario dell'interesse prevalente al riguardo. Stante la documentazione agli Atti, la procedura seguita, e alla luce delle problematiche emerse, il Responsabile del procedimento non può che chiudere la Conferenza di servizi con l'espressione del parere già letto. Non si ritiene percorribile la strada di un accoglimento con prescrizioni" (cfr. verbale della conferenza del 29.10.2020, pp. 5-6 del doc. 21 depositato da parte ricorrente). 4. Con il primo motivo di gravame, la società Ca. lamenta altresì la violazione del principio del giusto procedimento, nonché la violazione dell'art. 17 bis della legge regionale n. 56/1977, dell'art. 14 della legge regionale n. 20/2009 e dell'art. 12 della legge regionale n. 16/2018 per ragioni sostanziali. In particolare, la società stigmatizza l'operato dell'amministrazione che, solo in sede di seconda conferenza di servizi, avrebbe tentato di introdurre modifiche al progetto di variante semplificata, nonostante le stesse non fossero emerse nella fase di esame progettuale e in sede di prima conferenza di servizi e nonostante le stesse non risultassero coerenti con le linee guida dettate dalla DGC n. 252/2018 e della deliberazione del Consiglio Comunale n. 46 del 11/05/2017 (cfr. p. 19 del ricorso). 5. Con il secondo motivo di gravame, inoltre, la società ricorrente censura le motivazioni del provvedimento impugnato, ritenendo che lo stesso denoti "una chiara strumentalità, volta a rigettare aprioristicamente la Variante proposta", indice di un sintomatico vizio di eccesso di potere per sviamento (cfr. p. 21 del ricorso). In particolare la ricorrente contesta: che il tema del boulevard non era trattato nella delibera n. 252 del 25.07.2018 e sarebbe stato "introdotto dal rappresentante dell'Ente in piena autonomia e in assenza di una indicazione da parte dell'Organo deliberativo" (cfr. p. 21 del ricorso); che il tema della trasformazione ad utilizzo sportivo delle aree connesse, seppur indicato nella delibera n. 252 del 25.07.2018, non era vincolante e, comunque, non è mai stato affrontato in sede di conferenza; che i temi del prolungamento della Via (omissis) e del cronoprogramma avrebbero potuto costituire oggetto di prescrizioni della conferenza e non determinare il provvedimento di diniego. Tutti gli argomenti addotti dall'amministrazione atterrebbero poi alla fase attuativa e non a quella di pianificazione e ciò risulta tanto più evidente con riferimento al punto relativo al prolungamento di via (omissis) poiché il Comune ha chiesto una rappresentazione grafica esplicativa, nonché con riferimento al punto in cui il Comune richiede l'assunzione da parte della società dei costi di espropriazione dei terreni. 6. Il Collegio ritiene di esaminare congiuntamente tali profili di censura, in uno alla doglianza sollevata con ricorso per motivi aggiunti e volta a contestare nel merito la già citata nota del 22 giugno 2022, che ha confermato la precedente decisione di definire negativamente la conferenza di servizi, adducendo però ulteriori argomentazioni con riferimento ai seguenti tre punti: "Volontà della Città di valorizzare ulteriormente il boulevard urbano, creando i presupposti per una continuità scenico -percettiva, anche futura, verso l'area del (omissis)", "Necessità di garantire, attraverso dei chiari passaggi attuativi definiti in scheda normativa, il completamento delle opere infrastrutturali funzionali all'intero intervento e per questo richieste in anticipazione unitamente all'attuazione del primo sub-ambito. Nella fattispecie si tratta delle opere identificate dal perimetro aree connesse su corso (omissis) e della nuova viabilità di collegamento in prosecuzione della via (omissis)", "Necessità di disciplinare l'ordine di attuazione degli interventi in termini vincolanti, in esito agli approfondimenti di carattere ambientale documentati in uno specifico cronoprogramma" (cfr. doc. 7 depositato dal Comune resistente). 7. Le censure sono fondate nei termini che seguono. Emerge in via documentale che il progetto presentato dalla società ricorrente è coerente rispetto agli atti di indirizzo espressi dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 46 del 11/07/2017 e dalla Giunta Comunale con la deliberazione n. 252 del 25.07.2018, come, tra l'altro, risulta da quanto deliberato dall'ente comunale, ove si chiarisce che lo schema progettuale depositato dalla società Ca. in data 2.07.2018 è "condivisibile nell'impianto urbano e in linea generale coerente con gli obbiettivi fissati dal Consiglio Comunale nella delibera di approvazione del Programma "(omissis) Rigenera", ma nondimeno suscettibile di miglioramenti progettuali in riferimento ad alcuni aspetti di particolare interesse per la Città " (cfr. delibera n. 252/2018, doc. 14 di parte ricorrente). A fronte di tale generale valutazione di compatibilità dello schema progettuale con gli atti di indirizzo, i provvedimenti di diniego oggetto di impugnazione non risultano adeguatamente motivati dall'amministrazione comunale, poiché contengono profili nuovi e in parte non coerenti con quanto programmato. Occorre innanzitutto richiamare l'orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza secondo cui "Le scelte urbanistiche del Comune sono rimesse esclusivamente all'Amministrazione che le adotta in base ad una ratio che, entro determinati limiti, è pur sempre sindacabile in sede giurisdizionale. (...)La verifica della legittimità delle scelte urbanistiche da effettuarsi secondo il criterio della sussumibilità delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere si atteggia però diversamente in relazione all'ipotesi, quale è quella in esame, di una variante semplificata avente ad oggetto la localizzazione di un'opera su una porzione specifica e limitata del territorio che, per la natura ed entità della variazione proposta, non implica scelte di politica urbanistica di carattere generale stricto sensu, sì che la determinazione da assumersi da parte dell'Amministrazione, nella comparazione degli interessi coinvolti, ben è assoggettabile a un più ampio e stringente sindacato giurisdizionale, in relazione, s'intende, ai profili di invalidità appositamente denunciati dagli interessati, senza che si possa in ciò configurare una non consentita funzione sostitutiva del giudice amministrativo a danno delle funzioni e delle prerogative dell'Autorità istituzionalmente preposta alla gestione della relativa procedura (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1673 del 2015, con riguardo all'analoga procedura semplificata di cui al previgente d.P.R. n. 447/1998, riferibile senz'altro alla successiva e analoga disciplina di cui all'odierna controversia)" (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 24/11/2022, n. 10354). Orbene, gli impugnati provvedimenti di diniego non risultano puntualmente giustificati rispetto ai presupposti atti di indirizzo, e disattendono così l'obbligo di motivazione sancito dalla giurisprudenza in tema di varianti localizzative (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 19.06.2023, n. 6003; Consiglio di Stato, sez. VI, 19/06/2023, n. 6003; Cons. Stato, sez. II, n. 7484/2022; Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 10354 del 24.11.2022; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1118 del 2014, che ha escluso l'applicabilità dell'art. 13 della legge n. 241/1990 alle varianti localizzative). 8. In particolare, con riferimento al tema del boulevard urbano e all'esigenza di ulteriormente valorizzarlo creando i presupposti per una continuità scenico-percettiva, anche futura, verso l'area del (omissis), ovvero in relazione all'argomentazione secondo cui "Rimarcare la continuità dei percorsi pedonali a giustificazione delle scelte adottate non risolve la problematica sollevata, in quanto ciò che si chiede è una maggiore valorizzazione scenica del boulevard e non una maggiore continuità funzionale, allo stato già evidente e condivisa" (come indicato sia nel diniego n. 1490/2020, sia nella nota del 22 giugno 2022 impugnata con ricorso per motivi aggiunti), il Collegio reputa che il tema non era puntualmente indicato nei presupposti atti di indirizzo, nonostante il tenore generale delle prescrizioni contenute nella delibera della Giunta Comunale n. 252/2018. Deve infatti evidenziarsi che la mera indicazione secondo cui l'Ente, con la citata delibera, esprimeva "condivisione generale dell'impianto urbano, rimarcando comunque la necessità di ulteriori miglioramenti progettuali da condividere con l'Amministrazione" (cfr. p. 4, doc. n. 25 depositato dalla ricorrente e citato a p. 13 memoria del comune del 30.08.2022) non è sufficiente a supportare il provvedimento di diniego impugnato, che richiede anche la valorizzazione scenico-percettiva del boulevard. 9. In secondo luogo, con riferimento alla necessità, indicata nell'impugnata nota del 22 giugno 2022, di garantire il completamento di opere funzionali all'intero intervento (più in particolare, relativamente alle opere identificate dal perimetro delle aree connesse su corso (omissis) e della nuova viabilità di collegamento in prosecuzione della via (omissis)), per il quale l'amministrazione ha chiarito di non voler avviare procedimenti espropriativi, con invito - nella nota impugnata con motivi aggiunti - a "riconsiderare le previsioni di progetto inerenti alle viabilità, escludendo tutte le aree che non siano già in capo al Comune oppure in proprietà del soggetto proponente l'intervento" (cfr. doc. 7 di parte resistente), la questione non emerge dalle linee guida comunali: nella delibera della Giunta Comunale n. 252/2018, infatti, era espressa una generale condivisione dello schema di progetto presentato dalla società Ca., con alcune indicazioni "di merito" che non riguardavano gli eventuali espropri da realizzare, bensì differenti profili (demolizioni simultanee all'attuazione dell'unità di intervento destinata a RSA; riqualificazione a uso sportivo di parte delle aree connesse disposte sul lato nord del futuro prolungamento di via (omissis) verso corso (omissis); localizzazione dell'edificio destinato a RSA nel rispetto del filo edilizio determinato dagli attuali fabbricati residenziali posti sul lato ovest di via (omissis); la previsione di un camminamento coperto a uso pubblico al piede dei fabbricati disposti lungo via (omissis), cfr. doc. 14 di parte ricorrente) e, tuttavia, dette indicazioni di merito erano previste nel provvedimento come profili da "valutare" e non aventi carattere vincolante. 10. Infine, per quanto concerne la questione relativa alla necessità di un cronoprogramma che scandisca l'ordine di attuazione degli interventi, si evidenzia che la stessa attiene a un profilo esecutivo e non progettuale e, pertanto, non è idonea a sorreggere la motivazione del diniego opposto dall'amministrazione sulla proposta di variante. In definitiva, il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti devono essere accolti, nei termini indicati. La particolarità e la complessità della causa giustificano la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati, ai fini del riesame dell'istanza. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Marco Costa - Referendario Stefania Caporali - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TORINO Prima Sezione Civile Sezione Specializzata in materia di Impresa Composto dai magistrati: Dott.ssa Gabriella RATTI PRESIDENTE Dott.ssa Maria Luciana DUGHETTI GIUDICE Dott. Edoardo DI CAPUA GIUDICE REL. ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 12288/2021 R.G. promossa da: (...) S.p.A., in persona dell'Avv. (...), in qualità di legale rappresentante, giusta procura speciale per atto del notaio (...) di Roma del 24 settembre 2020, rep. n. 84756, racc. n. 24092, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Prof. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Torino (TO), C.so (...), in forza di procura speciale in calce all'atto di citazione; -PARTE ATTRICE- contro: (...) S.p.A. - (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Ing. (...) nella qualità di Amministratore Delegato, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. (...) del Foro di Torino, dall'Avv. (...) del Foro di Roma, nonché dal Prof. Avv. (...), tutti del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso lo studio del Prof. Avv. (...) in Torino, via (...), in forza di procura speciale allegata alla comparsa di costituzione e risposta; -PARTE CONVENUTA- avente per oggetto: Impugnazione di delibera assembleare di Società per Azioni; CONCLUSIONI DELLE PARTI Per la parte attrice (nelle "note scritte" depositate in data 5.01.2023 ed a verbale di udienza "figurata" in data 12.01.2023): "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, disporre l'annullamento della deliberazione adottata dall'assemblea straordinaria di (...) del 7 aprile 2021, in quanto non conforme a legge e statuto, per le ragioni di cui in narrativa, con vittoria di spese di lite, spese generali, IVA e CPA". Per la parte convenuta (nelle "note scritte" depositate in data 3.01.2023 ed a verbale di udienza "figurata" in data 12.01.2023): "In ossequio a quanto disposto dall'Ill.mo Giudice con provvedimento emesso in data 2 maggio 2022, la convenuta (...) S.p.A. - (...) S.p.A. deposita le seguenti sintetiche note, contenenti, come ivi disposto, le sole istanze e conclusioni. Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, respinta ogni avversaria domanda, istanza, eccezione e deduzione, previ gli accertamenti e le declaratorie del caso: rigettare la domanda di annullamento della delibera assunta dall'assemblea straordinaria di (...) S.p.A. in data 7 aprile 2021 e iscritta nel Registro Imprese in data 9 aprile 2021, promossa da (...) S.p.A., in quanto manifestatamente infondata per tutte le ragioni esposte in narrativa. Con ogni e più ampia riserva di merito e di istruttoria consentita. Con vittoria di spese, compensi professionali, spese generali e accessori di legge, anche relativi alla fase cautelare intercorsa.". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Premessa. 1.1. Si premette che: - ai sensi dell'art. 132, 2° comma, n. 4, c.p.c. (così come modificato dalla Legge n. 69/2009), la sentenza deve contenere "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione" (e non più anche "la concisa esposizione dello svolgimento del processo"); - ai sensi dell'art. 118, 1° comma, disp. attuaz., c.p.c. (così come modificato dalla Legge n. 69/2009), la "motivazione della sentenza di cui all'art. 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi." Pertanto, con riguardo allo svolgimento del processo saranno richiamati unicamente gli eventi rilevanti ai fini della decisione. 1.2. Con atto di citazione datato 7.06.2021 ritualmente notificato, la società (...) S.p.A., in persona dell'Avv. (...), in qualità di legale rappresentante, ha convenuto in giudizio presso il Tribunale di Torino la (...) S p A. -(...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo, nel merito, l'accoglimento delle conclusioni di cui in epigrafe. 1.3. Inoltre, con ricorso datato 09.06.2021, depositato telematicamente presso il Tribunale di Torino in data 14.06.2021, nel corso della causa di merito sopra indicata, la società (...) S.p.A. ha chiesto, in via cautelare, di "sospendere ai sensi dell'art. 2378 c.c., previa fissazione dell'udienza di comparizione delle parti, disposta l'audizione di amministratori e sindaci, la deliberazione del 7 aprile 2021, iscritta al Registro delle Imprese in data 9 aprile 2021 (rep n. 5614 - racc. n. 4045), dell'assemblea straordinaria della (...) S.p.A. - (...) S.p.A. (C.F. e P.IVA 00513170019), con sede legale in Susa (TO), Via (...)". Con Decreto in data 22.06.2021 il Giudice ha fissato udienza di comparizione parti avanti a sé, con termine alla parte ricorrente per notificare alla controparte ricorso e decreto. Si è costituita nel procedimento cautelare la parte resistente (...) S.p.A. - (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, depositando memoria difensiva datata 12.07.2021, contestando le domande di controparte e chiedendo di "rigettare l'istanza ex art. 2378, terzo e quarto comma, cod. civ., di sospensione dell'efficacia della delibera assunta dall'assemblea straordinaria di (...) S.p.A. in data 7 aprile 2021 e iscritta nel Registro Imprese in data 9 aprile 2021, promossa da (...) S.p.A., in quanto manifestatamente infondata per assenza dei presupposti di legge". Con Ordinanza in data 20.07.2021 il Giudice Designato ha rigettato la predetta domanda cautelare proposta dalla parte ricorrente (...) S.p.A., ai sensi dell'art. 2378 c.c. 1.4. La parte convenuta (...) S p A. -(...) S.p.A. (d'ora in avanti, per brevità, anche semplicemente (...) S.p.A.) in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Ing. (...) nella qualità di Amministratore Delegato, si è costituita telematicamente anche nella causa di merito, depositando comparsa di costituzione e risposta, contestando le allegazioni e le domande di controparte e chiedendo, nel merito, l'accoglimento delle conclusioni di cui in epigrafe. 1.5. All'udienza di prima comparizione ex art. 183 c.p.c. il Giudice Istruttore, su richiesta delle parti, ha concesso alle stesse i termini perentori previsti dall'art. 183, 6° comma, c.p.c. 1.6. Con Ordinanza in data 2.05.2022, il Giudice Istruttore: - ha assegnato alle parti termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, invitando le parti a prendere una precisa posizione conciliativa in sede di mediazione delegata ed a dedicare il massimo impegno per assicurarne l'esito positivo; - ha invitato le parti a precisare davanti a sé le conclusioni fissando a tale fine udienza "figurata" in data 12.01.2023 assegnando alle parti termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle rispettive "note scritte"; 1.7. Le parti hanno depositato le rispettive "note scritte" precisando le conclusioni così come in epigrafe. 1.8. Infine, all'udienza in data 12.01.2023 il Giudice Istruttore ha rimesso la causa al Collegio per la decisione, disponendo il deposito delle comparse conclusionali entro il termine perentorio di 60 giorni e delle memorie di replica entro il successivo termine perentorio di 20 giorni a norma dell'art. 190 c.p.c.. Decorsi i predetti termini perentori la causa è stata decisa dal Collegio riunito in Camera di Consiglio, così come previsto dagli artt. 275 e segg. c.p.c.. 2. Sulla domanda di merito proposta dalla parte attrice. 2.1. Come si è detto, la parte attrice ha chiesto, nel merito, "l'annullamento della deliberazione adottata dall'assemblea straordinaria di (...) del 7 aprile 2021, in quanto non conforme a legge e statuto". La suddetta domanda non risulta fondata. 2.2. Invero, si deve premettere che l'attuale parte attrice (...) S.p.A. ha impugnato la delibera assembleare dell'attuale parte convenuta (...) S.p.A. assunta in data 7 aprile 2021 e iscritta nel Registro Imprese il successivo 9 aprile 2021, con la quale, a maggioranza del capitale sociale, sono state modificate le seguenti clausole dello Statuto, su proposta del nuovo socio di maggioranza (...) S.p.A. (come si dirà meglio infra, al fine di adeguare le regole statutarie alle norme imperative succedutesi nel tempo) (cfr. docc.1, 2 e 6 di parte attrice): 1) L'art. 6, nella parte in cui è stata eliminata la previsione che riserva a enti pubblici o società con prevalente capitale pubblico almeno il 51% del capitale sociale. Precisamente, l'art. 6 dello Statuto previgente, ai sensi del quale "Il capitale è di euro 65.016.000,00 (sessantacinquemilionisedicimila virgola zerozero) suddiviso in numero 12.600.000 (dodicimilioniseicentomila) azioni del valore nominale di euro 5,16 (cinque virgola sedici) caduna, ed è riservato agli Azionisti Enti Pubblici Statali, Regionali, Provinciali, Comunali, Enti di Diritto Pubblico, Enti Pubblici Economici, Istituti di Credito o Società a prevalente capitale pubblico almeno il 51% (cinquantuno per cento) del capitale sociale." è stato modificato come segue: "Il capitale è di euro 65.016.000,00 suddiviso in numero 12.600.000 azioni del valore nominale di euro 5,16 caduna.". 2) L'art. 10, nella parte in cui è stata eliminata la previsione in forza della quale l'alienazione delle azioni è subordinata al parere vincolante, motivato se negativo, del Collegio Sindacale, da esprimersi anche ai fini del rispetto dell'art. 6 dello statuto. Precisamente, l'art. 10 dello Statuto previgente, ai sensi del quale "Le azioni potranno essere alienate liberamente fra i Soci e dai Soci a terzi acquirenti. L'alienazione di azioni è subordinata al parere vincolante, motivato se contrario, del Collegio Sindacale, che deve esprimersi, ai fini del rispetto del disposto di cui all'art. 6, entro trenta giorni dalla richiesta. Il Socio che intende cedere le proprie azioni deve formalmente comunicare al Collegio Sindacale il nominativo dell'acquirente ed il numero di azioni che intende alienare." è stato modificato come segue: "Le azioni potranno essere alienate liberamente fra i Soci e dai Soci a terzi acquirenti.". 3) L'art. 17, nella parte in cui è stata eliminata la previsione della necessità del raggiungimento del quorum rafforzato dei 2/3 del capitale per l'assunzione delle deliberazioni concernenti il cambiamento dell'oggetto sociale, la trasformazione, lo scioglimento della società, l'aumento del capitale sociale, l'emissione di azioni privilegiate, di risparmio e di obbligazioni convertibili, la fusione, la scissione, la cessione di rami d'azienda, le modifiche degli articoli 6, 17, 19 e 20 dello Statuto Sociale. Precisamente, l'art. 17 dello Statuto previgente, ai sensi del quale "L'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di più della metà del capitale sociale. In seconda convocazione l'Assemblea Straordinaria delibera con il voto favorevole di oltre un terzo del capitale sociale. Tuttavia sia in prima che in seconda convocazione, sarà sempre necessario il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale sociale per le deliberazioni concernenti il cambiamento dell'oggetto sociale, la trasformazione, lo scioglimento della società, l'aumento del capitale sociale, l'emissione di azioni privilegiate, di risparmio e di obbligazioni convertibili, la fusione, la scissione, la cessione di rami d'azienda, le modifiche degli articoli 6, 17, 19 e 20 dello Statuto Sociale" è stato modificato come segue: "L'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di più della metà del capitale sociale. In seconda convocazione l'Assemblea Straordinaria delibera con il voto favorevole di oltre un terzo del capitale sociale.". 4) L'art. 19, nella parte in cui è stata eliminata la parità di genere nella composizione del Consiglio di Amministrazione e della riserva, contenuta al comma 2, ai soci pubblici della nomina della maggioranza del Consiglio di Amministrazione. 5) L'art. 20, nella parte in cui è stata eliminata la previsione della necessità del raggiungimento di un quorum rafforzato per la nomina dell'amministratore delegato e del presidente. 6) L'art. 27, nella parte in cui è stato eliminato il riferimento alla parità di genere nella composizione del Collegio Sindacale. 2.3. Ciò premesso, a sostegno delle proprie domande la parte attrice ha dedotto, in particolare: - che (...) S.p.A. è socia di (...) S.p.A., titolare di n. 4.000.000,00 di azioni, per un valore nominale di Euro 20.640,000,00, rappresentanti il 31,746% del capitale sociale della società; - che, su richiesta dell'azionista (...) S.p.A., il 25.03.2021 il consiglio di amministrazione di (...) S.p.A. convocava per il 7.04.2021 l'Assemblea Straordinaria della Società, per deliberare sulla proposta di modificare le seguenti previsioni statutarie: (i) l'art. 6, richiedendo l'eliminazione della previsione che riserva a enti pubblici o società con prevalente capitale pubblico almeno il 51% del capitale sociale; (ii) l'art. 10, richiedendo l'eliminazione della previsione che subordina l'alienazione delle azioni al parere vincolante del Collegio Sindacale, da esprimersi ai fini del rispetto del disposto di cui al citato art. 6; (iii) l'art. 17, richiedendo l'eliminazione della previsione che subordina al raggiungimento del quorum rafforzato dei 2/3 del capitale sociale l'adozione di deliberazioni concernenti il cambiamento dell'oggetto sociale, la trasformazione, lo scioglimento della società, l'aumento del capitale sociale, l'emissione di azioni privilegiate di risparmio e di obbligazioni convertibili, la fusione, la scissione, la cessione di rami di azienda, nonché le modifiche degli articoli 6, 17, 19 (disposizione recante, fra l'altro, disciplina per l'elezione per liste del consiglio di amministrazione) e 20 (disposizione recante, fra l'altro, disciplina relativa alla nomina del presidente, dell' amministratore delegato, del vice presidente); (iv) l'art. 19, richiedendo l'eliminazione della parità di genere nella composizione del Consiglio di Amministrazione e della riserva, contenuta al comma 2, ai soci pubblici della nomina della maggioranza del Consiglio di Amministrazione; (v) l'art. 20, richiedendo l'eliminazione del quorum rafforzato per la nomina dell'amministratore delegato e del vicepresidente; (vi) l'art. 27, richiedendo l'eliminazione della parità di genere nella composizione del Collegio Sindacale; - che all'assemblea del 7.04.2021 venivano illegittimamente proclamate come approvate le proposte modifiche statutarie, con i voti determinanti di (...) S.p.A., e in particolare delle n. 2.437.637 Azioni Contese, acquistate da (...) S.p.A. in violazione delle regole statutarie (ossia le n. 2.437.637 azioni già facenti capo alla PROVINCIA DI TORINO -oggi CITTÀ METROPOLITANA DI TORINO-, rappresentanti l'8,694% ed alla CITTÀ DI TORINO, per il tramite di (...) S.r.l., e rappresentanti il 10,653%); - che lo statuto vigente anteriormente alla deliberazione qui impugnata - la cui vigenza si chiede di ripristinare - è stato prodotto sub doc. 6; - che, con riferimento alla complessiva vicenda assembleare, preme rammentare che (...) S.p.A. non si limitava ad esprimere voto contrario in assemblea, avendo censurato già sul nascere l'iniziativa di (...) S.p.A. come abusiva ed illegittima; - che, in particolare, il 22.03.2021 (ossia tre giorni prima della diffusione della convocazione assembleare) (...) S.p.A. comunicava ad (...) S.p.A. di avere ricevuto richiesta di convocazione dell'assemblea straordinaria della Società da parte del socio (...) S.p.A., per l'approvazione di proposte di modifica dello statuto sociale in asserita "osservanza delle indicazioni a suo tempo formulate dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti - DGVCA, in qualità di Ente Concedente, con la nota 0021493.31-08.2020, trasmessa via pec in data 31/08/2020"; - che con nota del 24.03.2021, a riscontro della comunicazione ricevuta e facendo seguito a chiarimenti in ordine al merito della proposta di (...) S.p.A. intervenuti per le vie brevi, (...) S.p.A. invitava il consiglio di amministrazione a non assecondare, senza adeguato approfondimento, le insussistenti ragioni di urgenza della richiesta di convocazione assembleare di (...) S.p.A. del 16.03.2021 (richiesta nella quale si richiedeva, singolarmente, che l'assemblea si tenesse "in ogni caso" entro il 9.04.2021) motivando l'abusività e la contrarietà all'interesse della Società dell'iniziativa avviata da (...) SpA.; - che (...) S.p.A. faceva notare al consiglio di amministrazione che l'iniziativa di (...) S.p.A.: i) si proponeva di guadagnare, per le vie di fatto e illegittimamente, il controllo della società, nonostante la provvisorietà della compagine sociale di (...) S.p.A.; ii) preannunciava di voler fare esercizio dei diritti correlati alle Azioni Contese, acquisite di recente in violazione dei limiti statutari alla circolazione delle azioni, limiti che quella iniziativa mirava peraltro a cancellare; iii) determinava la violazione dei rapporti tra (...) S.p.A. e il suo principale creditore (i.e. (...) S.p.A. medesima, quale avente causa del Fondo Centrale di Garanzia); - che a valle della ormai diramata convocazione dell'assemblea, con propria ulteriore motivata missiva del 6.04.2021, (...) S.p.A. invitava (...) S.p.A. (e (...) S.p.A. Autostrada Torino Ivrea Valle d'Aosta, espressione del medesimo centro di interessi della prima), a desistere dalla propria iniziativa; - che nelle fasi di preliminare costituzione dell'assemblea del 7.04.2021, su richiesta del socio (...) S.p.A.: i) il presidente dell'assemblea chiariva di aver ammesso il socio (...) S.p.A. anche con riferimento alle Azioni Contese (che (...) aveva di recente acquisito dagli Enti Torinesi); ii) il presidente del collegio sindacale chiariva che in relazione all'acquisto delle Azioni Contese il Collegio Sindacale non era stato richiesto di rendere, né aveva altrimenti reso, il gradimento statutario, precisando peraltro di ritenere che non si fosse trattato di "alienazione di cui all'art. 10 dello statuto". 2.2.1. La parte attrice ha quindi dedotto, quale primo vizio, il mancato raggiungimento del quorum statutario e di legge della proposta di modificazione dello statuto formulata da (...) S.p.A., riferendo, in particolare: - che la Deliberazione è stata proclamata come assunta considerando espressi e favorevoli i voti spettanti alle Azioni Contese, la cui circolazione è tuttavia avvenuta in violazione dello Statuto e non è dunque opponibile alla Società; - che gli artt. 6 e 10 dello statuto di (...) S.p.A., vigenti e vincolanti al momento della Deliberazione, sono stati apertamente violati; - che l'art. 6 dello statuto di (...) S.p.A. vigente al momento della Deliberazione prevedeva: "Il capitale è di euro 65.016.000,00 (...) suddiviso in numero 12.600.000 (...) azioni del valore nominale di euro 5,16 (cinque virgola sedici) caduna, ed è riservato agli Azionisti Enti Pubblici Statali, Regionali, Provinciali, Comunali, Enti di Diritto Pubblico, Enti Pubblici Economici, Istituti di Credito o Società a prevalente capitale pubblico almeno il 51% (cinquantuno per cento) del capitale sociale"; - che l'art. 10, comma 2, del medesimo statuto prevedeva: "L'alienazione di azioni è subordinata al parere vincolante, motivato se contrario, del Collegio Sindacale, che deve esprimersi, ai fini del rispetto del disposto di cui all'art. 6, entro trenta giorni dalla richiesta"; - che tale ultima previsione integra la fattispecie della clausola di gradimento, nella specie qualificabile, per effetto del combinato disposto con l'art. 6 dello statuto, come clausola di gradimento non mero; - che in linea generale l'art. 2355-bis c.c. consente all'autonomia statutaria di introdurre "limiti alla circolazione delle azioni", che hanno l'effetto tipico di impedire l'esercizio dei diritti sociali a chi abbia acquistato le azioni in violazione dei prescritti limiti; possono poi distinguersi clausole di "gradimento non mero" e clausole "di mero gradimento" in base al fatto che le prime prevedono criteri che, seppure implichino valutazioni in qualche misura discrezionali, consentono di fare ragionevoli previsioni sull'esito (favorevole o non) del procedimento di iscrizione al libro soci dei potenziali acquirenti delle azioni; quanto alle conseguenze della eventuale violazione di una clausola di gradimento, è pacifico in dottrina e in giurisprudenza che tale inosservanza incide sulla efficacia del trasferimento nei confronti della società, nel senso che il trasferimento è inopponibile alla Società ed agli altri soci e, di conseguenza, è impedito alla società di annotare l'acquirente nel libro dei soci e, in ogni caso, di consentire al medesimo l'esercizio dei diritti sociali correlati alle azioni acquisite in violazione dello statuto, in primis del diritto di voto; è dunque pacifico che in difetto di integrazione del requisito del gradimento statutariamente prescritto, gli amministratori sono tenuti a non effettuare l'annotazione dell'acquirente nel libro dei soci e a non consentirgli l'esercizio dei diritti sociali; è piuttosto a discutersi se la violazione di una clausola di gradimento importi - in aggiunta alla inopponibilità alla società del trasferimento - anche la nullità del negozio traslativo della proprietà della partecipazione intesa quale bene, ma è questione esulante dal perimetro del presente giudizio, e che non occorre pertanto qui risolvere; - che merita sin d'ora riportare un originale obiter dictum del Consiglio di Stato che sembra negare in radice che l'autonomia statutaria possa porre limiti alla circolazione delle azioni: "la previsione dell'art. 6 di quello Statuto, per quanto valida possa in principio essere, resta priva di effetti reali esterni alla società tali - quasi fosse una sorta di atto normativo atipico posto in essere da un ente locale mediante lo strumento di una società partecipata - da generare l'indisponibilità della proprietà delle azioni verso terzi. In realtà, per effetto del principio di legalità solo la legge, con le sue garanzie, può introdurre un siffatto limite al diritto di proprietà e alle inerenti facoltà - inclusa l'an della vendita -, quand'anche in capo a un ente locale"; tale rilievo (se ben lo si è compreso) pare collidere frontalmente con la lettera dell'art. 2355-bis c.c., facendo strame dei sopra ricordati pacifici principi di diritto societario su cui convergono dottrina e giurisprudenza (anche di legittimità), e risulta pertanto manifestamente infondato; - che in linea generalissima, ci si potrebbe poi interrogare se regole particolari debbano valere per le società (come (...) S.p.A.) che annoverino nella propria compagine sociale una rilevante componente pubblica: se, cioè, dalla presenza di soci pubblici possa derivare un'alterazione del "tipo" della società cui il socio pubblico partecipa; ciò che, nel caso di specie, consentirebbe il tentativo di ipotizzare una alterazione del "tipo S.p.A." tale da considerare, nelle società a partecipazione pubblica, il riconoscimento di una efficacia delle clausole di gradimento de quibus diversa da quella ordinariamente attribuita a consimili clausole; la più autorevole dottrina giuscommercialistica risolve il dubbio in senso negativo, affermando che il senso tipologico della società per azioni non risulta modificato a seguito del "tipo" di socio che vi partecipa: e ciò neppure quando si ha una disciplina che presiede alla sua azione, come in particolare avviene (ma non solo) con il socio pubblico; - che, insomma, come conferma l'art. 1, comma 3, TUSP, alle società a partecipazione pubblica (qual è (...) S.p.A.) si applicano le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato, per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del TUSP stesso; - che nel caso di specie la clausola di gradimento non mero prevista dallo Statuto di (...) S.p.A. è stata apertamente violata: è invero fatto pacifico che il trasferimento in capo ad (...) S.p.A. delle Azioni Contese è avvenuto in palese pretermissione della procedura di gradimento statutariamente prescritta; - che, inoltre, laddove la procedura di gradimento fosse stata rispettata, è incontestabile che (...) S.p.A. non avrebbe potuto ottenere il richiesto gradimento, essendo in difetto della qualifica soggettiva necessaria (i.e. natura pubblica) ai fini del rispetto dell'art. 6 dello Statuto di (...) S.p.A.; - che, pertanto, (...) S.p.A. non era legittimato ad esprimere i voti relativi alle Azioni Contese all'Assemblea Straordinaria del 7.04.2021; - che i voti espressi con le Azioni Contese sono stati determinanti ai fini del raggiungimento dei quorum nell'assemblea del 7 aprile: espunti dal computo detti voti la Deliberazione non avrebbe superato la prova di resistenza; - che, pertanto, la deliberazione impugnata, proclamata come assunta sulla base dei voti espressi dalle Azioni Contese, è invalida, e dev'essere pertanto annullata. 2.2.2. La parte attrice ha dedotto, quale secondo vizio, l'indisponibilità per i soci privati della previsione contenuta all'art. 19, comma 2, dello Statuto, che riserva ai soci pubblici la nomina della maggioranza del consiglio di amministrazione, riferendo, in particolare: - che la Deliberazione è invalida anche per aver modificato, senza il consenso individuale - ed anzi con l'espresso dissenso - di (...) S.p.A., l'art. 19, comma 2, dello Statuto, ai cui sensi "Ai soci pubblici, quali definiti dall'art. 6 dello Statuto Sociale, spetta la maggioranza dei componenti il Consiglio di Amministrazione"; - che (...) S.p.A. è società a partecipazione pubblica e a tali società è dedicato l'art. 9 del TUSP, che integra la disciplina dettata dall'art. 2449 c.c. stabilendo, al comma 7, che "Qualora lo statuto della società partecipata preveda, ai sensi dell'articolo 2449 del codice civile, la facoltà del socio pubblico di nominare o revocare direttamente uno o più componenti di organi interni della società, i relativi atti sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione dell'atto di nomina o di revoca. È fatta salva l'applicazione dell'articolo 2400, secondo comma, del codice civile"; e al comma 8 che "Nei casi di cui al comma 7, la mancanza o invalidità dell'atto deliberativo interno di nomina o di revoca rileva come causa di invalidità dell'atto di nomina o di revoca anche nei confronti della società"; - che, in questi termini, il TUSP conferma l'estensibilità alle società a partecipazione pubblica (dunque a (...) S.p.A.) la previsione che consente di concedere statutariamente ai soci pubblici il diritto ad una rappresentanza in consiglio (almeno proporzionale); - che, per ovvie ragioni, l'eliminazione di quella clausola non rientra nella disponibilità dell'assemblea; l'eliminazione dell'art. 19, comma 2, dello Statuto di (...) S.p.A. avrebbe quindi richiesto il consenso di (...) S.p.A. sul piano individuale, non essendo soggetto al procedimento assembleare; del resto, l'assemblea, in assenza dell'atto deliberativo interno di nomina o revoca dell'amministratore designato dal socio pubblico, non può neanche direttamente nominare o revocare il medesimo (a fortiori, non può eliminare la disposizione a maggioranza). 2.2.3. La parte attrice ha dedotto, quale terzo vizio, l'annullabilità della delibera per omessa determinazione e deposito del valore di liquidazione delle azioni ai sensi degli artt. 2437 e 2437-ter c.c., riferendo, in particolare: - che è pacifico che il C.d.A. di (...) S.p.A., nel proporre la modifica dello Statuto, non ha proceduto alla prescritta preventiva determinazione del valore delle azioni ai fini dell'eventuale recesso da parte degli azionisti non concorrenti alla deliberazione delle modifiche statutarie; - che, ai sensi dell'art. 2437, comma 2, c.c., "Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all'approvazione delle deliberazioni riguardanti: ... b) l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari"; nel caso di specie, la fattispecie è integrata in ragione della rimozione della clausola di gradimento di cui agli artt. 6 e 10 dello Statuto; - che, inoltre, ai sensi dell'art. 2437, comma 1, lett. g), c.c., hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti "g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto e di partecipazione"; nel caso di specie, la fattispecie è integrata in ragione della eliminazione della previsione statutaria di cui all'art. 19, comma 2, che riserva ai soci pubblici la nomina della maggioranza dei componenti il Consiglio di Amministrazione; - che, ai sensi dell'art. 2347-ter, 5° comma, c.c., i soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di liquidazione delle azioni nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea chiamata ad approvare la delibera che potrebbe legittimare il recesso da parte di azionisti dissenzienti, astenuti o assenti; la citata disposizione riconosce a "ciascun socio diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese"; la determinazione è da effettuarsi da parte degli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del revisore legale dei conti, in conformità ai criteri di valutazione enucleati al secondo comma dell'articolo in parola; - che gli amministratori sono dunque tenuti a determinare con congruo anticipo il valore di liquidazione delle azioni nell'ipotesi in cui convochino un'assemblea che potrebbe dar luogo a recesso, redigendo apposita relazione e depositandola presso la sede sociale, in modo tale da consentire ai soci di tenere una condotta consapevole in ordine all'espressione del voto in assemblea e all'eventuale esercizio del diritto di recesso; - che ove tali formalità procedimentali vengano pretermesse, il procedimento assembleare risulta inficiato, ciò che si riflette sulla validità della deliberazione, pertanto annullabile ex art. 2377 c.c., come confermato dalla giurisprudenza; - che, non essendo, nel caso di specie, il valore di liquidazione delle azioni determinato dagli amministratori e reso conoscibile ai soci, in violazione dell'art. 2347-ter c.c., la Deliberazione dev'essere annullata. 2.2.4. Infine, la parte attrice ha dedotto, quale quarto vizio, l'abuso di potere, riferendo, in particolare: - che la deliberazione impugnata dev'essere annullata per essere stata proclamata come adottata per effetto della condotta abusiva di (...) S.p.A.; - che, infatti, l'iniziativa di (...) S.p.A. si propone di acquisire per le vie di fatto un controllo di diritto (addirittura con il potere di unilateralmente modificare lo Statuto) che in realtà non gli compete; - che il presente giudizio mira, tra l'altro, a reinstaurare la vigenza dell'art. 6 dello Statuto, ai cui sensi la partecipazione di maggioranza è riservata a soci pubblici; come visto, tale assetto è garantito dalla clausola di cui all'art. 10 dello Statuto medesimo; è perciò chirurgica l'iniziativa di (...) S.p.A., che ha utilizzato le Azioni Contese giustappunto per eliminare gli artt. 6 e 10 dello Statuto (e le altre norme statutarie a tutela dei soci pubblici); - che, inoltre, (...) S.p.A., cancellando il quorum rafforzato previsto all'art. 17, comma 3, si è aperto ulteriormente la stura a modificazioni statutarie di ogni tipo; - che l'iniziativa di (...) S.p.A., per un verso, viola gli obblighi di buona fede, perché volta a trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti, e, per altro verso, si pone in diretto contrasto con gli interessi della Società. 2.3. Ciò chiarito, si deve innanzitutto osservare che, nel caso di specie, risultano accertate le seguenti circostanze: Come dedotto dalla stessa parte attrice, fino al dicembre 2014 il capitale sociale di (...) S.p.A. era detenuto per il 51% dai seguenti "soci pubblici": - (...) S.p.A.: 31,746%; - PROVINCIA DI TORINO: 8,694% (oggi CITTÀ METROPOLITANA DI TORINO, di seguito anche 'CMT'); - CITTÀ DI TORINO, per il tramite di (...) Srl. ('(...)'), società interamente controllata dal Comune: 10,653%; e dai "soci privati" per il restante 49%: - (...) S.p.A.: 1,080%; - (...) S.r.l.: 10,192%; - (...) S.p.A.: 36,531%; - altri con partecipazioni minoritarie. Con l'entrata in vigore della c.d. Finanziaria 2008 (Legge n. 244/2007 e, attualmente, cfr. il Testo Unico delle Società a Partecipazione Pubblica di cui al D.Lgs. n. 175/2016), le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, erano tenute a cedere a terzi le società e le partecipazioni vietate, ossia quelle da considerare non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. La PROVINCIA DI TORINO (oggi CITTÀ METROPOLITANA DI TORINO) e il COMUNE DI TORINO, per il tramite della (...) S r l. (d'ora in avanti, per brevità, anche semplicemente gli "Enti Torinesi"), per dare esecuzione all'obbligo di cessione di quote azionarie detenute in società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, deliberavano la dismissione delle loro partecipazioni in (...) S.p.A. Peraltro, con scrittura privata autenticata dal Notaio (...) in data 17.12.2014, rep. n. 98776 racc. n. 25035, gli Enti Torinesi cedevano ad (...) S.p.A. le azioni rispettivamente detenute in (...) S.p.A., per il corrispettivo complessivo di Euro 75.000.000,00 (importo così arrotondato), senza una procedura ad evidenza pubblica aperta ad ogni soggetto interessato (all'evidente fine di tutelare la concorrenza e il mercato) e, dunque, in violazione della Legge Finanziaria 2008 (e, oggi, del Testo Unico delle Società a Partecipazione Pubblica di cui al D.Lgs. n. 175/2016) (cfr. doc. 17 della parte attrice); la partecipazione di (...) al capitale sociale di (...) S.p.A. aumentava così dal 31,746% al 51,092%. La validità della procedura adottata per la cessione azionaria veniva messa in discussione dai soci privati (...) S p A., (...) S p A. (oggi (...) SpA.) e (...) S.r.l. (di seguito, per brevità, anche solo 'Soci Privati'), i quali impugnavano in sede amministrativa le delibere con cui il COMUNE DI TORINO e la PROVINCIA DI TORINO avevano autorizzato la vendita ad (...) S.p.A. le proprie partecipazioni sociali, in quanto avvenuta attraverso una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara. Con Sentenze in data 10.07.2015 n. 1154 e 1155 il TAR Piemonte rigettava i ricorsi proposti dai Soci Privati (cfr. docc. 18-19 della parte attrice). Peraltro, con Sentenze in data 7.06.2016 n. 2424 e 2425 il Consiglio di Stato accoglieva gli appelli proposti dai Soci Privati, annullando le delibere di dismissione della partecipazione azionaria in (...) SpA. del COMUNE DI TORINO e della PROVINCIA DI TORINO (cfr. docc. 20 e 21 della parte attrice). Nella Sentenza n. 2424/2016 il Consiglio di Stato rilevava, in particolare, quanto segue (cfr. doc. 20 della parte attrice alle pagine 16 e seguenti): "La previsione dell'art. 6 di quello Statuto, per quanto valida possa in principio essere, resta priva di effetti reali esterni alla società tali - quasi fosse una sorta di atto normativo atipico posto in essere da un ente locale mediante lo strumento di una società partecipata - da generare l'indisponibilità della proprietà delle azioni verso terzi. In realtà, per effetto del principio di legalità solo la legge, con le sue garanzie, può introdurre un siffatto limite al diritto di proprietà e alle inerenti facoltà - inclusa l'an della vendita -, quand'anche in capo a un ente locale: il quale anzi è legato dalla legge a seguire nel quomodo certe le regole pubblicistiche per l'alienazione. Bene dunque per il Tribunale amministrativo la portata effettiva della clausola è solo intesa a sancire tra quei contraenti l'assenza di preclusioni o vincoli di natura "privatistica" (gradimento o prelazione) alla cessione di azioni, tra soci e verso terzi. Ma vi è di più, che particolarmente rileva poi per il fondo della controversia: quale che ne possa essere la portata, questa clausola, comunque negoziale e interprivata, resta destinata a soccombere di fronte alle successive previsioni normative primarie dell'art. 3, commi da 27 a 29, l. 24 dicembre 2007, n. 244, che nella specie imponevano la dismissione, ad opera del Comune di Torino (indirettamente titolare mediante la società in house (...) s.r.l.) della partecipazioni ormai "vietate" in una società - la (...) S.P.A. - avente "per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali". Non si tratta del rapporto tra una norma speciale precedente e una norma generale susseguente, ma del rapporto tra una clausola statutaria societaria e una successiva prescrizione di legge della cui imperatività generale e senza limitazioni per tutte le pubbliche amministrazioni destinatarie non è dato dubitare, pur anche rispetto a un siffatto statuto. Nella volontà del legislatore di queste previsioni porte con la legge finanziaria 2008 sono ravvisabili i tratti di norme fondamentali di riforma economico sociale orientate alla messa in concorrenza, che operano con l'imposizione alle pubbliche amministrazioni dell'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2011, della dismissione di incongrue partecipazioni ad attività imprenditoriali perché queste siano affidate non più a quella mano pubblica, bensì alle dinamiche proprie del mercato ("Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato", esordisce il comma 27: e cfr. Corte cost., 8 maggio 2009, n. 148, che riconduce queste disposizioni alla materia "tutela della concorrenza", di competenza legislativa esclusiva dello Stato). Si tratta di una legge che esprime un passaggio determinante nel processo di generale passaggio dal settore pubblico al settore privato di siffatte attività economiche, mediante forme di privatizzazione sostanziale che portano a conseguenze ulteriori un complesso processo generale a suo tempo avviato con l'apertura alla partecipazione azionaria in imprese pubbliche introdotta dall'art. 15 d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla l. 8 agosto 1992, n. 359 (c.d. privatizzazione formale). Sicché, anche a tutto concedere in punto di originaria portata della clausola, resta indubitabile la sua cedevolezza di fronte al preciso divieto, con inerente dovere di dismissioni cioè di privatizzazione sostanziale, imposto dalla successiva legge finanziaria per il 2008. La clausola, dunque, è ora comunque inidonea ad assumere una funzione regolatrice esterna, e cede - per conseguenza logica e sistematica - non solo rispetto a questa norma primaria successiva, ma anche rispetto alle restanti, generali e ordinarie statuizioni di legge in ordine alla commerciabilità, finanche tra quei soci, della partecipazioni azionarie. Si deve del resto rammentare che la doverosa quota maggioritaria pubblica era collegata alle risalenti previsioni - proprie di tutt'altro ordinamento dell'intervento pubblico nell'economia, dove la natura dell'(...) era ben diversa dall'attuale - di cui all'art. 3 l. 24 luglio 1961, n. 729 (Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali), ovverosia alla garanzia dello Stato sui mutui contratti e sulle obbligazioni emesse dalle concessionarie connessi ai lavori autostradali: e quell'art. 3 è ormai abrogato per l'effetto generale dell'art. 24 d.l. n. 112 del 2008 convertito dalla l. n. 133 del 2008. Sicché la stessa ratio che a suo tempo poteva avere ispirato quella ripartizione statutaria è ormai venuta meno. Gli appelli incidentali vanno dunque respinti." Nelle Sentenze n. 2424/2016 e n. 2425/2016 il Consiglio di Stato accoglieva inoltre l'appello principale, "considerata la fondatezza del complesso delle censure attinenti il procedimento seguito dalla PROVINCIA DI TORINO e dal COMUNE DI TORINO nel procedere alla vendita della propria partecipazione azionaria in (...) S.P.A., rilevando quanto segue (cfr. docc. 20 e 21 della parte attrice): "Vale ancora una volta ricordare che l'appena evocata l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) prevede, al ricordato art. 3, comma 27, "al fine di tutelare la concorrenza e il mercato" le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - quindi anche gli enti locali territoriali - non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non attinenti alle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere partecipazioni anche di minoranza in tali società. L'art. 3, comma 29, stabilisce i termini e i procedimenti per dette dismissioni, indicando in trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 244 del 2007 il termine per le cessioni a terzi delle società e delle partecipazioni ormai vietate dal comma 27. Il termine di trentasei mesi è stato poi prorogato di ulteriori dodici mesi dall'art. 1, comma 569, l. 27 dicembre 2013, n. 147. Per quanto concerne, nel merito della controversia, le modalità attraverso cui debbono avvenire queste dismissioni che segnano il passaggio dalla mano pubblica locale al mercato, essenziale è il chiaro precetto di cui al detto art. 23, comma 29: nel termine stabilito dalla legge "(...) le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27". L'espressione "nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica", specie se connessa all'incipit del comma 27 ("Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato", che segna la ragione fondativa di quello e dei commi seguenti), va intesa (a pena della sua inutilità) nel senso che implica l'illegittimità - quali ne potessero essere le motivazioni, le ragioni e le finalità - della scelta comunale qui al vaglio di procedere mediante procedura negoziata senza bando, ex art. 57 del Codice dei contratti pubblici: cioè di un metodo sostanzialmente assimilabile a quella che in passato era la mera trattativa privata, dalla scelta diretta e riservata del contraente; e che è antitetico ai principi di ordinaria trasparenza, di par condicio tra gli operatori e di libertà di concorrenza, e che essendo privo di selezione in itinere non garantisce la scelta del miglior contraente, dunque nega sia la concorrenza che il mercato e contrasta la detta prescrizione di legge (ricorda del resto Cons. Stato, V, 6 maggio 2015, n. 2272, che la procedura negoziata dell'art. 57 si caratterizza per costituire un'eccezione ai principi generali di pubblicità e di massima concorsualità possibile, propri delle procedure ad evidenza pubblica). Detto richiamo al rispetto delle procedure ad evidenza pubblica - che esclude la trattativa privata pur nei suoi sviluppi normativi, come quello dell'art. 57 - appare una derivazione applicativa del criterio generale a suo tempo posto dall'art. 1 (Modalità delle dismissioni delle partecipazioni azionarie dello Stato e degli enti pubblici), comma 2, prima parte d.-l. 31 maggio 1994, n. 332 (Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni) convertito dalla l. 30 luglio 1994, n. 474, a norma del quale: "L'alienazione delle partecipazioni di cui al comma 1 è effettuata con modalità trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali". Vero è che poi quella disposizione prosegue affermando: "Dette modalità di alienazione sono preventivamente individuate, per ciascuna società, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive". Ma questo non osta a che per scelta del legislatore sia - come qui avviene - una stessa norma primaria a dettare la specificazione del criterio per certe dismissioni. Come si è accennato, si tratta invero dell'ampia specie provvedimentale della privatizzazione sostanziale, o mediante alienazione, vale a dire del passaggio al mercato di imprese già in mano pubblica: il che deve a sua volta avvenire mediante il rispetto di un'essenziale configurazione di mercato anche nell'episodio della singola alienazione pubblica, vale a dire l'apertura alla concorrenza perché sia rispettato, anche nell'individuo percorso di dismissione, quel principio generale con le sue modalità trasparenti e non discriminatorie per altre imprese aspiranti all'acquisto: ciò che appunto viene assicurato soltanto dalle vincolanti regole di legge sull'evidenza pubblica, che per loro struttura garantiscono l'accesso trasparente al mercato di quell'acquisto. Sarebbe del resto paradossale che un obiettivo imperativo di messa in concorrenza fosse perseguito con la via di un'esclusione dalla messa in concorrenza. A nulla vale in contrario l'evocata particolarità, a questi riguardi, di (...) S.p.A. Afferma la giurisprudenza che in ragione della configurazione conseguente all'art. 7 d.-l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito dalla l. 8 agosto 2002, n. 178, con l'attribuzione ex lege dei preesistenti compiti pubblicistici, l'(...) S.p.A. conserva una perdurante natura pubblicistica (cfr. Cons. Stato, IV, 24 febbraio 2011 n.1230; 24 maggio 2013, n.2829; Cass., SS.UU., 9 luglio 2014, n. 15594; ord. 16 luglio 2014, n. 16240): e si distingue a questo proposito l'ormai raggiunta caratterizzazione privatistica dell'attività gestionale dalla condizione pubblicistica inerente la gestione dei beni, con inerenti poteri autoritativi. Questa giurisprudenza - ritiene qui la Sezione - non è di ostacolo e anzi è di conforto per la configurazione, a proposito della acquisizione da parte di (...) S.p.A. di ulteriori partecipazioni nella società (...) S.p.A. mediante l'applicazione delle regole competitive proprie dell'evidenza pubblica: vuoi perché, quale già socio (che si distingue dagli altri solo per la misura del 31,746% del capitale sociale) non gode di condizione privilegiaria all'interno della compagine sociale (condizione privilegiaria che, in ipotesi, avrebbe avuto in una statutaria clausola di prelazione o di gradimento la sua prima rappresentazione); vuoi perché nella vicenda agisce non come pubblicistico concedente che intende rientrare nella pienezza del potere concessorio, bensì come figura che intende solo acquisire con uno strumento comune, il contratto, una maggiore partecipazione azionaria in una società che è e resterebbe la concessionaria; vuoi perché nel mercato di riferimento, che qui si sostanzia nell'acquisizione di una partecipazione finalmente maggioritaria di un'importante concessionaria autostradale, viene ad emergere - per il naturale orientamento al mercato - la ricordata caratterizzazione privatistica dell'attività gestionale, vale a dire di impresa, non già la condizione autoritativa inerente la cura pubblicistica dei beni propri o in concessione. Questa caratterizzazione privatistica, come reca i vantaggi di autonomia organizzativa e di flessibilità di azione, così reca gli svantaggi di una riduzione - in un caso come il presente - alla condizione di ordinario competitore nel micro-mercato originato da una siffatta alienazione di partecipazione pubblica, diretta o indiretta che sia. Giova del resto ricordare che i principi di matrice comunitaria di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, espressi dall'art. 2 del Codice dei contratti pubblici, assicurano l'apertura alla concorrenza per il mercato: anche riguardo alle dismissioni di incongrue partecipazioni pubbliche societarie, di cui alla legge finanziaria 2008. V'è dunque, in vista della cessione, una naturale contesa di mercato della stessa (...) S.p.A. con altre imprese, che esalta la sua ricercata e ormai accentuata connotazione imprenditoriale: connotazione che del resto invera la qualificazione formale societaria, essendo la forma della società commerciale essenzialmente correlata all'esercizio di un'impresa (art. 2247 Cod. civ.), quand'anche - com'è per questa particolare società - il socio sia unico. Diversamente, questa forma societaria ex lege si ridurrebbe a una costruzione artificiosa, incoerente e asimmetrica, la cui portata reale si sintetizzerebbe nell'assoluta autonomia rispetto ai controlli e ai vincoli pubblicistici collegata però - e senza più una plausibile ragione - ad una condizione imprenditoriale ancora privilegiaria ed emancipata, grazie a una barriera ad hoc, dal primo carattere del mercato, che è costituito dalla concorrenza e dal confronto di mercato con similari imprese. Nemmeno osta a ciò la circostanza che la concessione e convenzione autostradale faccia riferimento alla predetta connotazione in senso pubblicistico di (...) S.p.A. (art. 3.2. punto zl della tra (...) S.p.A. e (...) per cui il concessionario deve "mantenere nel proprio statuto la clausola di partecipazione pubblica al capitale pari al 51% almeno fino a quando si renderanno necessari gli interventi finanziari legati alla garanzia rilasciata dallo Stato sui mutui della società"). A parte che la più volte citata norma di legge prevale sulla convenzione accessiva al provvedimento di concessione, sta di fatto che la causa fondante un tale collegamento non sembra contrastata dal vincolo legale della dismissione, che anzi si basa sul presupposto - che presiede all'art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007, come in generale a tutte le formule legislative di privatizzazione - di una maggiore efficienza imprenditoriale, e dunque affidabilità per il concedente, raggiungibile attraverso le forme e il rispetto delle regole della concorrenza e del mercato. La concessione non era fatta - per riprendere la distinzione di cui alla citata Corte cost., n. 148 del 2009 - a un'amministrazione pubblica in forma privatistica, ma per un'attività di impresa di, allora, prevalenti enti pubblici: il che segue le sorti e il percorso definiti da detta legge finanziaria 2008. Se del caso comunque, al fine del mantenimento dell'essenziale equilibrio economico nel rapporto concessorio, su responsabile iniziativa dell'amministrazione statale vigilante sarà onere dell'ipotetica nuova compagine, che dovesse derivare dalla giusta procedura di dismissione, mettere con la società ormai controllata a disposizione, ove dimostratamente occorra, analoghe e comunque congrue garanzie finanziarie a favore del concedente: affinché il soggetto in ultimo garante delle obbligazioni restitutorie, cioè lo Stato, e con esso il contribuente, non abbia a ricevere pregiudizi circa il credito accumulato verso (...) S.p.A., stimato dalla sentenza impugnata in Euro962.700.000 (le cui modalità di ripianamento sono ora trattate dall'art. 5-ter della convenzione). Tutto ciò va a corrispondere appieno al rammentato schema procedimentale imposto dall'art. 23, comma 29, della legge finanziaria 2008 con il precetto "nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica": e tanto vale a ritenere illegittimi gli atti in primo grado impugnati. È qui dunque appena il caso di rammentare, visto quanto sopra si è sottolineato e che resta assorbente, che le procedure per l'individuazione degli offerenti sono stabilite dall'art. 54 del Codice dei contratti pubblici. Nella specie il Comune di Torino si è avvalso della ricordata procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando. Questa, ai sensi dell'art. 57 D.Lgs. n. 163 del 2006può essere utilizzata solo nei casi e alle condizioni specifiche espressamente previste da quella norma (cfr. Cons. Stato, III, 19 aprile 2011, n. 2404; 8 gennaio 2013, n. 26; V, 28 luglio 2014, n. 3997). In generale, tale tipo di procedura è eccezionalmente consentita in luogo di una previa procedura aperta o ristretta che sia andata deserta, o per ragioni di natura tecnica e artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, nei casi urgenti di bonifiche messa in sicurezza di siti contaminati oppure in generale, qualora l'estrema urgenza risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti non sia compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte o ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara (ciò da ultimo nei casi in cui la procedura negoziata non venga nemmeno preceduta, appunto, da un bando di gara). Nel caso di specie, in linea astratta, l'urgenza veniva addotta nell'ormai prossima scadenza del pur prorogato termine di legge per l'alienazione: per cui l'utilizzazione di un procedimento più agevole avrebbe evitato il venire in essere (a norma dell'art. 3, comma 29, della legge finanziaria 2008) dell'obbligo di passare al dispositivo di liquidazione con criteri di determinazione del valore delle azioni dell'art. 2437-ter Cod. civ., a carico della stessa (...) S.P.A., a condizioni peggiori di quanto ottenibile con una gara. Ma in realtà l'amministrazione dismittente non poteva riferirsi a un tale concetto di urgenza, perché l'urgenza, per rilevare ai fini in questione, deve derivare da fatti esterni e non riferibili alla amministrazione interessata che sceglie la procedura di affidamento. Non è questo il caso delle attese dell'amministrazione nel dar seguito al dovere delle dismissioni quand'anche, per un tratto inziale, giustificabili se collegate a incertezze normative. Vale del resto considerare che, come detto, il Consiglio comunale di Torino già dal 2010 aveva formalizzato le intenzioni politico-amministrative al riguardo, ribadite poi dalla Giunta comunale nel 2013, senza però che ne seguisse senz'altro una volontà provvedimentale con inerente attuazione. In una tale situazione, non era dato invocare la pretesa urgenza che legittimasse l'eccezionale abilitazione della procedura dell'art. 57. Ma vi è di più: l'art. 57, comma 6, D.Lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che "ove possibile" la stazione appaltante individua gli operatori economici sulla base di informazioni riguardanti la loro qualificazione economica finanziaria e tecnico organizzativa nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, selezionandone almeno tre con i quali avviare una sorta di gara ufficiosa. Nel caso di specie quindi, oltre al difetto di una plausibile motivazione sul ricorso a siffatta procedura negoziata e in particolare sul presupposto dell'urgenza, difetta anche una congrua giustificazione sull'"ove possibile": ossia sull'aver avviato quella che si è così mostrata più che una procedura negoziata, una vera e propria trattativa riservata con un solo soggetto, l'(...), in disapplicazione delle restrittive regole dello stesso art. 57 (cfr. Cons. Stato, V, 6 maggio 2015, n. 2272). Anche queste ragioni, dunque, impongono l'accoglimento dell'appello. Per completezza e ai fini della corretta e compiuta configurazione del rapporto amministrativo è tuttavia altresì il caso di trattare la censura con cui le appellanti si dolgono del superamento della quota massima di azioni che (...) può detenere nella (...) S.p.A., fissata nella misura del 40% del pacchetto azionario dall'art. 6, comma 1, lett. b), l. n. 531 del 1982 (che autorizza l'(...) a "ad assumere partecipazioni azionarie nella (...) S.p.A., sottoscrivendo azioni di nuova emissione per aumento del capitale sociale nella misura non superiore al 40 per cento del capitale stesso, anche in deroga all'art. 2441 del codice civile e fino a concorrenza della somma di lire 10 miliardi") e confermata dall'art. 1 (Sottoscrizione di ulteriori azioni della (...) S.p.A.), comma 1, l. n. 183 del 1990, in cui venne approvato un aumento di capitale sociale finalizzato a mantenere una tale partecipazione azionaria. In realtà valgono qui le tesi delle appellate, per cui le modificazioni avvenute nel frattempo della veste giuridica dell'(...) avrebbero comportato l'abrogazione implicita di questo limite, l'(...) essendo poi stato trasformato nel 1994 da azienda autonoma in ente pubblico economico e nel 2002 in società per azioni. Una tale radicale trasformazione della veste giuridica, invero, dal punto gestionale assicura come si è visto all'(...) la flessibilità privatistica imprenditoriale: sicché non si vede perché la corrispondente capacità di operare sul mercato debba considerarsi eccezionalmente ancora ridotta riguardo a questa partecipazione in (...) S.p.A.. Resta comunque dirimente, nel senso dell'accoglimento dell'appello, quanto sopra ampiamente considerato sulla illegittimità dell'utilizzazione della procedura dell'art. 57 del Codice dei contratti pubblici. Per dette suesposte considerazioni l'appello deve essere accolto con la conseguente riforma della sentenza impugnata." Dunque, il Consiglio di Stato, con le suddette sentenze nn. 2424 e 2425 del 7 luglio 2016, pronunciandosi sull'illegittimità della prima alienazione del Pacchetto Azionario dagli Enti Torinesi ad (...) S.p.A., aveva accertato, attraverso una esaustiva esegesi delle norme che avevano riguardato il fenomeno delle privatizzazioni societarie, l'invalidità della previgente clausola 6 dello Statuto che, come si è detto, riservava la maggioranza del capitale sociale ai soci pubblici. Avverso le predette pronunce del Consiglio di Stato, la PROVINCIA DI TORINO e il COMUNE DI TORINO, nonché (...) S.p.A. in via incidentale, proponevano ricorso in Cassazione per difetto di giurisdizione; peraltro, con Sentenze n. 2752 e 2753 in data 30.01.2019 le Sezioni Unite della Cassazione dichiaravano inammissibili i ricorsi (cfr. docc. 22 e 23 della parte attrice). Dunque, come anche espressamente affermato dal TAR Piemonte nell'infra citata Sentenza n. 727 in data 13.07.2021, le predette sentenze di legittimità sono passate in giudicato. Pertanto, alla luce delle citate Sentenze del Consiglio di Stato n. 2424/2016 e n. 2425/2016, (...) S.p.A. avrebbe dovuto restituire il pacchetto azionario in questione agli Enti Torinesi e questi avrebbero dovuto bandire una gara pubblica aperta a tutti i soggetti interessati, per la cessione di tale pacchetto, restituendo ad (...) i 75.000.000,00 di Euro ricevuti. Nel frattempo, i Soci Privati introducevano presso il Consiglio di Stato il giudizio di ottemperanza e, con Sentenze in data 28.10.2019 nn. 7392 e 7393 il Consiglio di Stato, in particolare: - dichiarava la nullità delle citate delibere degli Enti Torinesi; - dichiarava l'inefficacia del citato contratto di cessione azionaria stipulato tra gli Enti Torinesi ed (...) S.p.A.; - ordinava agli Enti Torinesi, previa adozione delle formalità necessarie a rendere tale inefficacia opponibile ai terzi, di indire una procedura ad evidenza pubblica per la relativa dismissione delle relative partecipazioni, ai sensi dell'art. 3, comma 27, l. 244 del 2007, assegnando a tale scopo termine di 120 giorni (cfr. docc. 26 - 27 della parte attrice). Avverso tali Sentenze del Consiglio di Stato n. 7392/2019 e n. 7393/2019 (...) S.p.A. proponeva ricorsi per regolamento di giurisdizione (cfr. docc. 28, 29, 30, 31 della parte attrice). Peraltro, come anche espressamente affermato dal TAR Piemonte nell'infra citata Sentenza n. 727 in data 13.07.2021, le predette Sentenze di ottemperanza erano comunque esecutive, non avendo il ricorso per cassazione effetto sospensivo. In ogni caso, anche in questo caso, il giudicato su tali questioni si è formato con le Ordinanze della Corte di Cassazione del 30 luglio 2021 n. 21968 e n. 21969, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi promossi da (...) S.p.A. contro le predette sentenze di ottemperanza (cfr. docc. 52 e 53 di parte attrice). In forza della riacquisita titolarità giuridica del pacchetto azionario in questione, in data 21.02.2020 ed in data 11.03.2020 gli Enti Torinesi pubblicavano quindi il bando per la gara pubblica per la sua cessione (cfr. doc. 1 della parte convenuta). (...) S.p.A. non formulava contestazioni né sui contenuti del bando di gara pubblicato dagli Enti Torinesi né relativamente ai soggetti che il bando ammetteva alla procedura, partecipando alla procedura e formulando liberamente la propria offerta, pari ad Euro 184.917.000,00 Euro; tale offerta veniva peraltro superata da quella dell'unico altro concorrente (...) S.p.A., che offriva Euro 272.000.000,00 (dunque, un prezzo pari ad oltre il triplo del prezzo riconosciuto da (...) S.p.A. agli Enti Torinesi nel 2014); in data 23.07.2020 l'asta veniva quindi aggiudicata ad (...) S.p.A. (cfr. doc. 33 della parte attrice prodotto con la citazione). Con nota del 01.09.2020 prot. n. 8701, riscontrando la richiesta di (...) S.p.A., il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti rilevava che la dismissione delle partecipazioni degli Enti Torinesi mediante l'Asta era stata realizzata in esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato n. 2752/2019 e n. 2753/2019 e delle successive sentenze n. 7392/2019 e n. 7393/2019 e che, pertanto, la medesima operazione non rientrava nell'ambito applicativo della Direttiva 30.07.2007 e del D.M. 29.20.2008 n. 30697 nonché dell'art. 10 bis della Convenzione, motivo per cui non era soggetta ad autorizzazione preventiva del Concedente, invitando la (...) S.p.A. "a provvedere al necessario adeguamento delle disposizioni statutarie', che avrebbero dovuto notificarsi all'ente Concedente, il quale, a sua volta, avrebbe "contemplato l'adeguamento del testo di convenzione al nuovo contesto di riferimento" (cfr. doc. 2 della parte convenuta). Dunque, come correttamente osservato dalla parte convenuta, era stato il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ad accertare che il modificato assetto di controllo (non più in capo a soggetti pubblici, ma a un soggetto privato) non avrebbe comportato alcuna lesione agli interessi pubblici inerenti alla concessione autostradale assentita a (...) S.p.A., anche in riferimento all'esercizio e alla gestione del Traforo autostradale del Frejus e che, pertanto, lo Statuto di (...) S.p.A. avrebbe dovuto essere modificato per tenere conto delle sentenze del Consiglio di Stato, invitando espressamente la (...) S.p.A. a procedere in tal senso. Con determinazione in data 9.10.2020, il Responsabile Unico del Procedimento di (...) deliberava di procedere alla stipula del contratto di compravendita delle azioni medesime (cfr. doc. 34 della parte attrice). Pertanto, in data 27.10.2020 (...) S.p.A. trasferiva le n. 2.437.637 Azioni Contese agli Enti Torinesi, ottenendo il rimborso del prezzo pagato al tempo pari a Euro 75 milioni e, con scrittura privata autenticata dal notaio (...) in data 27.10.2020, rep. n. 145301 racc. n. 43997, gli Enti Torinesi cedevano le medesime azioni ad (...) S.p.A., versando il prezzo di Euro 272.000.000,00 (cfr. doc. 4 della parte convenuta). (...) S.p.A. impugnava la predetta determinazione del 9.10.2020 e gli atti a questa presupposti dinanzi al TAR Piemonte (cfr. doc. 36 della parte attrice). Con Sentenza in data 13.07.2021 n. 727 il TAR Piemonte respingeva il ricorso proposto da (...) S.p.A. per l'annullamento della nota 29.01.2021, prot. DICAGP-0000381-P-29/01/2021-4.8.3.7 con la quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato Generale - Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo - Ufficio per la concertazione amministrativa e il monitoraggio -Servizio per le attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali, in risposta all'istanza di accesso presentata da (...) in data 8 gennaio 2021, aveva trasmesso "Copia nota trasmissione notifica al Gruppo di coordinamento - prot. DICAGP- 0000508 del 3 giugno 2021 e Copia nota definizione procedimento n. 58/2020 - prot. DICAGP-0000738 del 1° luglio 2020 (All. 2)" nella parte in cui aveva ritenuto di apporre non consentiti omissis sul predetto documento senza esplicitare alcun elemento a sostegno di un presunto principio di segretezza, comunque recessivo, nonché per l'annullamento del diniego implicitamente formatosi a seguito dell'omesso completo riscontro all'istanza di accesso di (...) S.p.A., nonché per il conseguente accertamento del diritto di (...) S.p.A. di accedere alla predetta documentazione e per la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri a ostendere nella sua integralità la documentazione richiesta da (...), affermando quanto segue (cfr. doc. 6 della parte convenuta): "Muovendo all'analisi del primo motivo di ricorso esso risulta contestato dalle controparti sia nel merito sia, ancora preliminarmente, essendosi nelle more formato il giudicato sull'identica questione. L'eccezione preliminare appare infatti in questo caso fondata. La censura altro non fa che reiterare argomentazioni già puntualmente confutate nei precedenti giudizi di legittimità e di ottemperanza che, nel processo amministrativo, presidia la formazione progressiva del giudicato, identificandone i contenuti specifici. Le sentenze di legittimità sono passate in giudicato, e quelle di ottemperanza sono esecutive, non avendo il ricorso per cassazione effetto sospensivo. La tesi della presunta modifica di assetto normativo che sarebbe stata indotta dal D.Lgs. n. 175/2016 -TUSP (trattasi della consolidazione in testo unico di regole e principi buona parte dei quali, tra cui l'obbligo di seguire l'evidenza pubblica per la cessione di quote societarie degli enti locali, erano già contemplati dal pregresso assetto normativo e giurisprudenziale) è da escludere; nella sentenza Cons. St. 7392/2019 l'art. 10 TUSP viene esplicitamente qualificato, anche se con riferimento alla problematica dell'inefficacia del contratto, come espressione di positivizzazione di principi già in precedenza consolidati. Posto poi che vige il principio iura novit curia, che il TUSP è stato analizzato dal giudice dell'ottemperanza, che le sopravvenienze normative potrebbero incidere sugli effetti del giudicato avente ad oggetto situazioni ancora in divenire (come, all'epoca, la procedura per cui è causa), il fatto stesso che né le parti né il giudice dell'ottemperanza abbiano mai minimamente prospettato una valenza ostativa del nuovo dettato normativo ad una gara aperta, implica che lo stesso debba ritenersi del tutto ininfluente già in epoca successiva alla sua entrata in vigore in virtù del giudicato come interpretato dal giudice d'appello. D'altro canto l'art. 10 del TUSP, esattamente come la legge del 2007, espressamente impone il vincolo del rispetto dell'evidenza pubblica (pubblicità, trasparenza, non discriminazione) nella dismissione delle partecipazioni; la parte attrice valorizza la circostanza che la norma faccia salva la disciplina speciale in materia di "partecipazione dello Stato" la quale, proprio per la sua specialità, deve interpretarsi restrittivamente ed è quindi riferita e riferibile espressamente alle partecipazioni "dello Stato" e non "pubbliche" in generale, quindi risulta inconferente nel presente giudizio. Tanto meno la tesi della parte attrice trova forza nell'ulteriore previsione dell'art. 10 TUSP secondo cui: "in casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell'organo competente ai sensi del comma 1, che dà analiticamente atto della convenienza economica dell'operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, la negoziazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con il singolo acquirente". La disposizione, nuovamente, si pone come eccezionale e, come tale, al più conferma l'incompatibilità della legge con una previsione statutaria che, a regime, istituirebbe una riserva di partecipazione pubblica, con connessa evidente limitazione dell'apertura al mercato e alla concorrenza, per di più senza avere riguardo ad alcuna concreta valutazione di convenienza economica dell'operazione (nel caso di specie, per altro, l'opzione della trattativa privata indotta dall'asserita esigenza di riserva di partecipazione pubblica, si è concretamente rivelata tutt'altro che economicamente conveniente, come dimostrato dal fatto che tale opzione aveva portato ad una cessione del pacchetto azionario al prezzo di Euro 75 milioni, certamente incongruo alla prova del mercato, posto che l'aggiudicazione è intervenuta alla ben diversa cifra di Euro 272.000.000,00). Infine parte attrice ricorda come l'art. 10 TUSP faccia salvi eventuali diritti di opzione; anche tale aspetto risulta inconferente, non foss'altro perché la norma statutaria invocata non prevede un diritto di opzione e l'opzione si limiterebbe, in ogni caso, ad implicare che un soggetto possa subentrare, a parità di condizioni, al miglior offerente, mentre la parte attrice non ha certo chiesto di acquisire le quote allo stesso prezzo offerto da (...) S.p.A. ma tenta, in questa sede, semplicemente di azzerare gli effetti della gara pubblica. Infine non pare irrilevante una considerazione di sistema: dalla costituzione di (...) S.P.A. ad oggi sono passati circa 60 anni. L'(...) è entrata nella compagine societaria di (...) S.p.A. in forza della l. n. 531/82, art. 6, che aveva congegnato un meccanismo congiunto di affidamento ex lege a (...) S.P.A. di una significativa quota di lavori per la realizzazione del traforo del Frejus, con contestuale finanziamento pubblico ed aumento di capitale (...) S.p.A. con attribuzione ad (...), anche in deroga ad eventuali diritti di prelazione, delle nuove partecipazioni azionarie; trattasi di un meccanismo sostanzialmente integralmente incompatibile con l'assetto normativo contemporaneo. La struttura e il significato stesso della partecipazione pubblica al mercato sono, nel tempo, completamente mutati, come ne sono mutati gli attori; l'(...), negli anni '60, era ente pubblico -Azienda nazionale autonoma delle strade - e solo nel 1996 è stata trasformata in ente pubblico economico; oggi è una partecipata pubblica - per di più, dal 2018, di secondo grado, essendo a sua volta partecipata delle Ferrovie, altra società pubblica; l'(...) si è quindi evoluta in una impresa pubblica che, come tale, si muove sul mercato con prerogative imprenditoriali e persegue un interesse, ancorché in senso lato pubblico, economico di impresa e non certo generale (come per altro dimostrato dall'evidente conflitto di interessi che il presente giudizio porta in emersione con altri soggetti pubblici, opponendosi l'(...), da un lato, alla possibilità per (...) e Città metropolitana, soggetti pubblici, di meglio valorizzare le proprie partecipazioni societarie e, dall'altro, alle scelte di Governo circa l'uso del Golden Power). In siffatto contesto la disciplina delle partecipazioni pubbliche ha subito una coerente radicale evoluzione nel tempo, di cui sono tappe significative la legge n. 244 del 2007 e lo stesso TUSP, che costituiscono norme imperative sopravvenute rispetto a qualunque assetto contrattuale maturato in un contesto sostanzialmente diverso. D'altro canto l'(...), che auspica il mantenimento dello status quo, trascura di evidenziare che di tale status quo faceva parte anche la previsione dell'art. 6 co. 1 lett. b) della l. n. 531/82 che abilitava (...) ad acquisire partecipazioni (...) S.P.A. "nella misura non superiore al 40 per cento del capitale stesso", limite che, ove ritenuto esistente, priverebbe l'odierna parte attrice dello stesso interesse ad agire, non avendo la società (che già supera il 30% delle quote) la possibilità di ulteriormente acquisire il pacchetto azionario oggetto di gara. Resta evidente che, così come tale limite non ha più aderenza alla realtà di una impresa pubblica, altrettanto la riserva statutaria di controllo pubblico, tanto più se intestato a imprese pubbliche, come prevista nell'originaria struttura societaria, non ha più aderenza all'attuale assetto del mercato delle partecipazioni pubbliche. Da ultimo appare inconferente il richiamo di parte attrice alla sentenza della Corte dei Conti sez. riunite n. 26/2020, che ha avuto ad oggetto un contenzioso proposto da (...) S.P.A. per contrastare il proprio inserimento nell'elenco ISTAT nel 2019; non può non prendersi atto che, dalla lettura della decisione, si evince che la (...) S.P.A. non ha in prima battuta in quella sede offerto documentazione alcuna circa l'evoluzione dell'assetto societario e ha quindi formulato, in sola fase di discussione, considerazioni astratte sull'evoluzione societaria senza, nuovamente, fornire prova idonea. Si legge infatti nella decisione a p. 4 che la (...) S.P.A. "ha omesso di depositare lo Statuto sociale e gli atti convenzionali in base ai quali esercita l'attività" tant'è che la Corte ha ricavato l'assetto societario dal sito pubblico (...) S.P.A.; ancora si legge a p. 10 della decisione, con riferimento all'affermazione di parte circa la cessazione di controllo pubblico, che: "questo giudice...non può esimersi dall'evidenziare - in disparte l'irrilevanza ai fini del presente giudizio concernente l'elenco ISTAT relativo al 2019 - l'inadeguatezza di tale allegazione che, da una parte pare smentita dal sito web ufficiale della (...) S.p.A. e dall'altra risulterebbe contraria ad una specifica clausola del vigente statuto". Parte attrice pretenderebbe di desumere effetti di sistema circa la possibilità o meno, in prospettiva, di cessazione del controllo pubblico, da un obiter dictum di una decisione su circostanza espressamente ivi dichiarata irrilevante e della quale la stessa (...) S.P.A. aveva fatto allegazione senza fornire supporto probatorio. D'altro canto il giudice contabile si è espresso su un assetto ed un dato di fatto storico accertati per il 2019 (anno in cui ancora non era stata bandita né tantomeno si era conclusa l'asta pubblica per cui è causa) e non certo sulla possibilità o meno, in prospettiva, che il meccanismo di riserva di controllo pubblico venisse superato. Il primo motivo di ricorso deve quindi essere respinto perché contrastante con il giudicato già formatosi e comunque infondato. Con il secondo motivo di ricorso l'(...) contesta la sequenza procedimentale che ha visto l'interessamento della Presidenza del Consiglio per l'eventuale esercizio dei poteri di cui all'art. 2 del d.l. n. 21/2012, cosiddetto Golden Power. Deve premettersi che il potere in questione appartiene, a parere del collegio, all'ambito della cosiddetta "alta amministrazione" implicando scelte strategiche di tipo generale che, in deroga ai principi della concorrenza di valenza anche eurounitaria, giustificano interventi pubblici sul mercato; l'esercizio del potere implica poi, evidentemente, anche scelte di tipo finanziario impegnando lo Stato in investimenti pubblici e quindi incidendo inevitabilmente anche su impegni di finanza pubblica. Così inquadrato il meccanismo non può che concludersi che la valutazione se esercitare o meno il potere, pur certamente sindacabile, è sindacabile nei limiti propri degli atti di alta amministrazione. La parte attrice, che come già visto è impresa pubblica di un determinato settore ma non esprime interessi generalizzati della collettività, in questa sede da un lato pretende di sostituirsi integralmente all'organo deputato nella valutazione di ciò che è strategico o meno (in termini di interesse generale e non certo settoriale di mercato), dall'altro invoca il cosiddetto Golden Power su una partecipazione societaria che, come infra chiarito, all'epoca dei fatti contestati, non poteva dirsi soggetta a tale procedura. Recita infatti l'art. 2 co. 1 del d.l. n. 21/2012: "1. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con i Ministri competenti per settore, adottati, anche in deroga all'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che è reso entro trenta giorni, decorsi i quali i decreti possono comunque essere adottati, sono individuati le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la tipologia di atti od operazioni all'interno di un medesimo gruppo ai quali non si applica la disciplina di cui al presente articolo. I decreti di cui al primo periodo sono adottati entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono aggiornati almeno ogni tre anni...". La complessità del procedimento di individuazione degli impianti strategici come disegnata dal legislatore mette in evidenza la caratteristica di attività di alta amministrazione e la pluralità e non settorialità degli interessi pubblici che coinvolti; come reso poi palese dalla disposizione l'individuazione degli attivi astrattamente strategici suscettibili di comportare l'attivazione dei poteri speciali è demandata in prima battuta ad un d.p.c.m. di attuazione, che attualmente è, per il comma 1, il d.p.c.m. 23.12.2020 n. 180. In particolare, per quanto riguarda i trasporti, recita l'attuale art. 2 del d.p.c.m. 23.12.2020 n. 180: "1. Ai fini dell'esercizio dei poteri speciali di cui all'articolo 2 del decreto-legge, le reti e gli impianti di rilevanza strategica per il settore dei trasporti sono individuati nelle grandi reti e impianti di interesse nazionale, destinati anche a garantire i principali collegamenti transeuropei, e nei relativi rapporti convenzionali, come individuati dal comma 2. 2. Sono inclusi nelle reti e negli impianti di cui al comma 1: a) porti di interesse nazionale; b) aeroporti di interesse nazionale; c) spazioporti nazionali; d) rete ferroviaria nazionale di rilevanza per le reti trans-europee; e) gli interporti di rilievo nazionale; f) reti stradali e autostradali di interesse nazionale." Senonché l'attuale tenore della normativa applicabile è frutto delle innovazioni portate dai d.p.c.m. attuativi del 2020. In precedenza la materia qui di interesse era regolata dal d.p.c.m. 25.3.2014 n. 85 che, per quanto in specifico riguarda le reti di trasporto, prevedeva all'art. 2 la seguente disciplina: "1. Ai fini dell'esercizio dei poteri speciali di cui all'articolo 2 del decreto-legge, le reti e gli impianti di rilevanza strategica per il settore dei trasporti sono individuati nelle grandi reti ed impianti di interesse nazionale, destinati anche a garantire i principali collegamenti transeuropei, e nei relativi rapporti convenzionali, come individuati dal comma 2. 2. Sono inclusi nelle reti e negli impianti di cui al comma 1: a) porti di interesse nazionale; b) aeroporti di interesse nazionale; c) rete ferroviaria nazionale di rilevanza per le reti trans-europee. " E' evidente dal confronto tra i due testi normativi come solo a fine 2020 le reti stradali e autostradali nazionali siano state inserite tra i potenziali attivi strategici; la normativa di riferimento per la procedura per cui è causa è quella antecedente, che non contemplava tra gli attivi astrattamente suscettibili di esercizio del potere di acquisizione tale tipologia di reti. Sostiene parte attrice che l'elenco dettato dai d.p.c.m. sarebbe comunque meramente esemplificativo, e non precluderebbe quindi una diversa interpretazione estensiva della clausola generale già evincibile dal comma 1 art. 2 del d.l. n. 21/2012; in ogni caso l'individuazione degli assets strategici risponderebbe ad un vincolo di matrice eurounitaria vigente prima del d.p.c.m. del 2020 in forza del Regolamento UE 2019/452 del 19 marzo 2019. Senonché, quanto al primo argomento, il comma 1 dell'art. 2 del d.l. n. 21/2012 non prevede alcuna clausola generale suscettibile di interpretazione ma pone un principio che necessita, nella sua stessa configurazione, di una normativa di attuazione che ne definisca e delimiti il contenuto; è certamente ammissibile che, nel tempo, uno Stato modifichi i propri orientamenti di massima per quanto concerne ciò che può considerarsi attivo strategico o meno e tuttavia ciò è demandato, tempo per tempo, ad una precisa scelta e responsabilità di Governo che si estrinseca nell'adozione o aggiornamento dei necessari atti di normazione secondaria. Quanto al previgente Regolamento UE 2019/452, di cui i menzionati d.p.c.m. sono certamente attuativi, si osserva come esso abbia disegnato un "quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell'Unione", fattispecie che per certo non sarebbe rilavante nel presente giudizio essendo l'acquisto avvenuto da parte di una società italiana. Inoltre lo stesso regolamento è concepito come norma quadro di disciplina di una facoltà dei singoli Stati (andando come è facile intuire a lambire problematiche di ordine e sicurezza pubblica cha appartengono al nocciolo duro della sovranità nazionale) e chiarisce, sin dall'art. 1, che: "Nessuna disposizione del presente regolamento limita il diritto di ciascuno Stato membro di decidere se controllare o meno un particolare investimento estero diretto nel quadro del presente regolamento". L'intera struttura regolamentare conferisce dunque agli Stati facoltà e non obblighi e di tali facoltà lo Stato italiano si è appunto avvalso con il d.l. n. 21/2012 e i d.p.c.m. di attuazione che hanno, nel tempo, modificato le scelte di massima dello Stato italiano in materia. Così ricostruita la cornice normativa pare evidente l'infondatezza della censura mossa da parte attrice. D'altro canto i presupposti per l'esercizio dei poteri speciali afferenti al cosiddetto "Golden Power" sono stati disegnati dal d.l. n. 21/2012 in combinato disposto con i d.p.c.m. di attuazione nell'ambito di una cornice di disciplina unionale (si ricorda che la premessa del d.l. n. 21/2012 esordisce: "ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di modificare la disciplina normativa di poteri speciali attribuiti allo Stato nell'ambito di società privatizzate, oggetto della procedura d'infrazione n. 2009/2255 - allo stadio di decisione di ricorso ex art. 258 TFUE - in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea"). Detta cornice dovendo necessariamente considerare l'impatto che ha sulla concorrenza, altro valore principe eurounitario, l'esercizio dei poteri speciali, impone una interpretazione restrittiva e tassativa delle facoltà attribuite agli Stati e delle fattispecie che, conseguentemente, questi ultimi scelgono di disegnare, dovendosi appunto coordinare con un mercato in linea di principio libero. Tanto è vero che, per quanto riguarda gli investimenti intracomunitari, la Commissione UE ha adottato la Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari pubblicata in Gazzetta ufficiale n. C 220 già il 19/07/1997, nella quale si è chiarito che l'esercizio dei poteri speciali risulta compatibile con il sistema europeo della concorrenza "soltanto se sono giustificat(i) da motivi imperiosi di interesse generale e se sono abbinat(i) a criteri obiettivi, stabili e resi pubblici". La modalità nazionale per individuare criteri obiettivi e preventivamente pubblicizzati si è dunque estrinsecata, proprio a fronte di problematiche di compatibilità eurounitaria di cui è sintomatico l'incipit del d.l. n. 21/2012, nell'individuazione attraverso i d.p.c.m. di attuazione di categorie di attivi preventivamente ritenuti potenzialmente strategici. Ne consegue che l'invocata interpretazione estensiva di una presunta clausola generale porrebbe l'ordinamento italiano nuovamente in potenziale frontale contrasto con la disciplina europea della concorrenza. Così inquadrata la problematica, pare al collegio che non possa che concludersi che, al momento in cui è stata portata a termine la procedura per cui è causa, mancasse in radice una previsione normativa che abilitasse, in via oggettiva e preventivamente pubblicizzata, il Governo all'esercizio dei poteri speciali con riferimento ad infrastrutture stradali, tanto più ai danni della libera concorrenza da parte di un soggetto comunitario la cui iniziativa economica sarebbe risultata, in caso contrario, illegittimamente lesa. Ne consegue che correttamente la Presidenza del Consiglio presso la quale opera il competente Gruppo di Coordinamento non ha sostanzialmente aperto la procedura di valutazione in concreto dell'operazione (che presuppone, quantomeno, preliminarmente che la stessa rientri astrattamente nel campo di applicazione della disciplina) e sono quindi inconferenti le minuziose analisi di presunte successive violazioni procedimentali dedotte in atti e che presupporrebbero, a monte, la sussistenza di un obbligo di valutazione dell'operazione (obbligo che, per altro, ove anche fosse esistito, ancora, non avrebbe garantito una conclusione del procedimento nel senso auspicato da (...) e tanto meno una coincidenza dell'interesse di una singola impresa pubblica con gli interessi generali di cui la procedura è espressione). Anche il secondo motivo di ricorso deve quindi essere respinto. Con il terzo motivo di ricorso si contesta una presunta violazione del giudicato formatosi nei precedenti giudizi invocando un passaggio delle sentenze Cons. St. nn. 2424 e 2425/2016 in cui si legge: "sarà onere dell'ipotetica nuova compagine, che dovesse derivare dalla giusta procedura di dismissione, mettere con la società ormai controllata a disposizione, ove dimostratamente occorra, analoghe e comunque congrue garanzie finanziarie a favore del concedente affinché il soggetto in ultimo garante delle obbligazioni restitutorie, cioè lo Stato e con esso il contribuente, non abbia a ricevere pregiudizi circa il credito accumulato verso (...) S.P.A.". La frase, un evidente obiter dictum, è già anche stata oggetto di interpretazione in sede di ottemperanza, posto che nelle sentenze Cons. St. nn. 7392 e 7393/2019 è stato precisato: "con la sentenza divenuta cosa giudicata la sezione ha rimesso tale profilo alle ordinarie dinamiche di mercato connesse alla dismissione mediante procedura di evidenza pubblica". Premesso che appare quantomeno contraddittorio che la parte attrice, con il primo motivo di ricorso, tenti di eludere il cuore del giudicato formatosi (concernente l'obbligo di dismissione delle partecipazioni con procedura aperta di evidenza pubblica) e poi pretenda di attribuire un valore di giudicato a quello che appare piuttosto un obiter dictum, è palese che le affermazioni riportate non abbiano in alcun modo il significato che si pretende di attribuirvi. In nessun punto delle decisioni menzionate, infatti, si disegnano clausole vincolanti da inserire in sede di gara o oneri in capo alle amministrazioni cedenti; ci si limita, per contro, ad osservare che, secondo ordinarie dinamiche di mercato e, sempre che ne sussistano i dimostrati presupposti (i debiti del gestore sono infatti in linea di principio sufficientemente garantiti dalla ordinaria redditività della concessione), un creditore che in modo comprovato potesse lamentare una perdita di garanzia o solidità del debitore in esito alla cessione potrà pretendere strumenti di garanzia dell'adempimento, tra i quali non assurge ad obbligo e nemmeno a soluzione più diffusa l'assunzione del controllo societario da parte del creditore stesso. Fermo quindi restando che, come già si è ampiamente visto, l'evoluzione normativa e della stessa natura dei soggetti coinvolti ha di fatto travolto il sistema di controllo pubblico congegnato con la legge n. 531/1982, resta che nessuna imposizione di specifiche forme di garanzia è stata individuata con le citate sentenze, tanto più che la richiesta di garanzie connesse ad un rapporto debitorio in corso, come chiaramente esplicitato nelle menzionate decisioni, si giustifica se e solo se il debitore risulta non in grado di adempiere puntualmente ai propri obblighi; per di più, fermo restando che un rafforzamento della garanzia dell'adempimento potrà essere preteso e offerto dal debitore solo ove si manifestassero segnali che lo giustificassero, il debitore potrà ragionevolmente proporre diverse forme di garanzia anche a seconda di quello che egli stesso troverà più conveniente nel contesto di mercato in cui opera. Anche il terzo motivo di ricorso deve quindi essere respinto. Con l'ultimo motivo di ricorso si contesta che l'aggiudicazione provvisoria fosse sottoposta ad una condizione sospensiva, l'ottenimento dell'autorizzazione degli enti finanziatori di cui all'Accordo Quadro di Finanziamento (art. 3.1.d lett. b) della lettera di invito). Dette autorizzazioni sono pervenute e sono a loro volta risolutivamente condizionate ad una serie di condizioni: l'avvenuta modifica della Convenzione e dello Statuto della società, l'efficacia ed opponibilità a terzi di un pegno sui crediti convenzioni successivamente alle modifiche, l'eventuale mancato positivo completamento delle verifiche da parte della BEI, la mancata sottoscrizione di un accordo modificativo del Contratto di finanziamento BEI. Sfugge come condizioni che afferiscono alla fase esecutiva potrebbero comportare una illegittimità in sè della disciplina della legge di gara in quanto tale, unica in contestazione in questa sede; resta evidente che un atto sottoposto a condizione risolutiva è e resta un atto efficace, come tale idoneo a soddisfare le condizioni previste dall'aggiudicazione. Per altro le controparti hanno ampiamente documentato la progressiva positiva evoluzione delle varie condizioni indicate. Anche il quarto motivo di ricorso deve quindi essere respinto. Il ricorso deve essere in definitiva complessivamente respinto." In comparsa conclusionale la parte convenuta ha dato atto che, con sentenza del 27.05.2022 n. 3214 (intervenuta successivamente alla scadenza del termine per il deposito della memoria ex art. 183, 6° comma, n. 3, c.p.c.) il Consiglio di Stato, decidendo sull'appello proposto da (...) S.p.A. avverso la predetta sentenza del TAR Piemonte n. 727/2021 ha accertato, a conferma di quanto già statuito dal TAR, che la gara indetta per l'alienazione del Pacchetto Azionario, oltre a non essere stata tempestivamente contestata da (...) S.p.A. si era svolta legittimamente, al pari di tutti gli atti ad essa prodromici, con la conferma che (...) S.p.A. risulta il legittimo titolare del Pacchetto Azionario. Dunque, la legittimità dell'acquisto di (...) S.p.A. risulta definitivamente accertata, atteso che sia il TAR Piemonte, con la citata sentenza n. 727/2021, sia il Consiglio di Stato, con la citata decisione n. 3234/2022, hanno accertato che (...) S.p.A. si è aggiudicata regolarmente il pacchetto Azionario. 2.4. Si è ravvisata l'opportunità di richiamare ampiamente le predette complesse ed articolate circostanze e le citate pronunce dei giudici amministrativi, al fine di evidenziare l'infondatezza della domanda proposta dalla parte attrice. In particolare, si deve osservare che dal quadro sopra delineato si evince che l'iniziativa del socio (...) S.p.A. di convocare l'assemblea dei soci di (...) S.p.A. per apportare allo statuto le modifiche contestate dalla parte attrice sia stata propedeutica a far sì che la Società potesse adeguarsi al tessuto normativo entrato in vigore, nonché a quanto statuito nelle pronunce giudiziali esaminate. 2.4.1. Tutto ciò chiarito, con riguardo al primo vizio dedotto dalla parte attrice relativo al mancato raggiungimento del quorum statutario e di legge della proposta di modificazione dello statuto formulata da (...) S.p.A. (richiamato in precedenza al punto 2.2.1.), oltre a quanto già evidenziato al precedente punto 2.3., deve sottolinearsi, in particolare, quanto segue: L'annullamento per illegittimità dei provvedimenti che avevano disposto il trasferimento del pacchetto azionario in questione dagli Enti Torinesi ad (...) nel 2014 costituisce cosa giudicata e, dunque, la restituzione di tale pacchetto azionario agli Enti Torinesi a fronte della restituzione dell'importo versato di 75.000.000,00 di Euro rappresenta esecuzione conformativa di tale giudicato e deve, quindi, ritenersi legittimo. Come si è detto, l'illegittimità statutaria della riserva di controllo pubblico è stata già oggetto del thema decidendum del giudizio di appello avanti al Consiglio di Stato conclusosi con le citate sentenze del 2016 ed è ormai passata in giudicato (come del resto confermato dal TAR Piemonte con sentenza del 2021); si tratta di statuizioni coerenti con l'evoluzione normativa del fenomeno delle privatizzazioni delle società pubbliche italiane; lo statuto della (...) S.p.A. era stato superato dalle norme riformate, in particolare nella parte in cui riservava la maggioranza del capitale a soci di diritto pubblico (art. 6 dello statuto) e prevedeva che le partecipazioni potessero essere vendute solo ad altri enti pubblici, previo gradimento (art. 10); sul punto, si rinvia agli stralci di motivazione richiamati in precedenza delle sentenze del Consiglio di Stato in data 7.06.2016 n. 2424 e 2425 (cfr. docc. 20 e 21 della parte attrice) nonché della sentenza del TAR Piemonte in data 13.07.2021 n. 727 (cfr. doc.6 della parte convenuta). La delibera impugnata del 7 aprile 2021 (cfr. doc. 1 della parte attrice) è stata assunta a seguito dell'approvazione della stessa da parte della maggioranza qualificata degli aventi diritto al voto, titolari delle azioni (anche) in forza di un acquisto effettuato all'esito di una regolare procedura d'asta, in allora, come ancora oggi, pienamente legittima, efficace ed esecutiva. Del resto, il citato contratto di compravendita del pacchetto azionario in questione era stato stipulato mediante scrittura privata autenticata dal Notaio (...) di Torino, il quale non aveva eccepito alcuna violazione dello statuto di (...) S.p.A., così come (...) S.p.A. non aveva assunto alcuna iniziativa per impedire la vendita stessa o la sua iscrizione nel libro soci di (...) S.p.A., avendola anzi favorita, stipulando l'atto notarile con cui aveva retrocesso le partecipazioni agli Enti Torinesi. L'acquisto di tale pacchetto azionario era stato poi regolarmente iscritto a libro soci. La socia (...) S.P.A. era dunque legittimata a chiedere la convocazione dell'assemblea della società (...) S.P.A. per la modifica degli artt. 6, 17, 19 e 20 dello Statuto. D'altronde, lo stesso art. 17 consentiva ai soci di modificare liberamente tutte le previsioni citate senza alcuna menzione degli impedimenti che oggi (...) S.p.A. richiama, ma alla sola condizione che la delibera fosse assunta "con il voto favorevole dei due terzi del capitale sociale" (cfr. doc. 6 della parte attrice). La delibera era stata assunta proprio con detta percentuale di voto e verbalizzata dal Notaio dott.ssa (...) di Torino, la quale, a sua volta, non aveva eccepito alcuna violazione dello statuto di (...) S.P.A. (cfr. doc. 1 della parte attrice). Con riguardo ai rilievi della parte attrice, secondo cui, qualora all'esito dei giudizi ancora in corso, la titolarità delle Azioni Contese non fosse confermata in capo ad (...) S.p.A., le stesse dovrebbero considerarsi cessate ex lege, illegittimamente cedute ad (...) S.p.A. e, in ogni caso, non abilitanti all'esercizio degli ordinari diritto di intervento e voto, dal richiamo alle circostanze, alle pronunce dei Giudici Amministrativi ed alle considerazioni esposte in precedenza emerge l'infondatezza di tale contestazione; in particolare, si deve ribadire che l'Asta per la cessione delle Azioni Contese da parte degli Enti Torinesi era stata attuata in esecuzione di un giudicato di annullamento della precedente cessione operata illegittimamente da (...) S.p.A. antecedentemente al 31.12.2014; dunque, tenuto conto dell'efficacia retroattiva delle Sentenze di annullamento e del conseguente obbligo di rinnovazione della procedura con modalità legittime, in ottemperanza al giudicato di annullamento, all'esecuzione di tale obbligo non possono evidentemente ritenersi applicabili le norme che disciplinano la diversa ipotesi in cui la cessione delle partecipazioni possedute dagli Enti pubblici non sia stata operata per inerzia oppure per la mancanza di offerte di acquisto (altrimenti, come correttamente osservato dalla parte convenuta, si verrebbe a determinare la paradossale situazione per cui i Soci Privati, pur avendo ottenuto il riconoscimento da parte del Giudice Amministrativo del bene della vita rivendicato in giudizio, ossia la possibilità di concorrere per acquistare le azioni in questione, non potrebbero esigerlo a causa del decorso del tempo occorrente all'espletamento del giudizio); né potrebbe sostenersi che gli Enti Torinesi non avrebbero potuto espletare l'Asta non avendo più la disponibilità delle Azioni Contese, trattandosi di una questione non rilevabile dal Giudice ordinario, in quanto relativo alla legittimità dell'Asta espletata; del resto, (...) S.p.A. non potrebbe neppure contestare la titolarità delle Azioni Contese in capo agli Enti Torinesi ai fini dell'Asta, anche perché essa stessa le aveva trasferite proprio a tali Enti affinché questi espletassero l'Asta ottemperando al giudicato. Da un punto di vista più strettamente privatistico, l'irrilevanza che l'attuale parte attrice vorrebbe attribuire ai giudicati amministrativi appare in contrasto con i principi cardine del diritto societario: l'operatività del previgente art. 6 dello Statuto nella parte in cui riservava la maggioranza pubblica del capitale sociale avrebbe comportato una lesione degli artt. 2348 e 2355-bis c.c. (sul punto, deve ribadirsi che nella Sentenza n. 2424/2016 il Consiglio di Stato aveva rilevato, in particolare, che la clausola di cui all'art. 6 dello Statuto "è ora comunque inidonea ad assumere una funzione regolatrice esterna, e cede - per conseguenza logica e sistematica - non solo rispetto a questa norma primaria successiva, ma anche rispetto alle restanti, generali e ordinarie statuizioni di legge in ordine alla commerciabilità, finanche tra quei soci, della partecipazioni azionarie"). L'art. 2348, comma 1, c.c. prevede che le "le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti", laddove lo statuto di (...) S.p.A. consentiva alle azioni dei soci pubblici di assicurare il controllo, senza peraltro creare due categorie di azioni ai sensi del successivo comma 2. Come correttamente rilevato dalla parte convenuta, anche la lesione dell'art. 2355-bis c.c. risulta evidente, ove si consideri che la ritenuta possibilità di operare con azioni formalmente uguali ma con (di fatto) "diritti diversi" impatta in maniera rilevante sulla loro cedibilità e, quindi, sul loro valore. Non risulta poi violata la procedura di cui al previgente art. 10 dello Statuto che, come si è detto, prevedeva il gradimento del Collegio Sindacale nelle ipotesi di trasferimento delle partecipazioni azionarie, atteso che nell'assemblea del 7 aprile 2021 il Presidente del Collegio Sindacale aveva espressamente dichiarato che non vi erano i presupposti per parlare di cessione e che non era pertanto applicabile l'art. 10 dello Statuto (cfr. doc. 1 della parte attrice). Né può fondatamente sostenersi che il Pacchetto Azionario dovrebbe considerarsi receduto ex lege e, dunque, anche per tale ragione, non avrebbero potuto computarsi in favore di (...) S.p.A., atteso che attualmente vi è un giudicato che attiene alla legittimità della cessione del Pacchetto Azionario dagli Enti Torinesi a soggetti terzi ((...) S.p.A.), a comprova del fatto che il Pacchetto Azionario, pur decorso il termine del 31.12.2014, esisteva e poteva perfettamente essere oggetto del traffico giuridico (in conformità delle procedure di legge). Inoltre, il trasferimento del Pacchetto Azionario è avvenuto a distanza di anni dal termine ultimo previsto dalla legge per la sua dismissione per cause esclusivamente imputabili agli Enti Torinesi e ad (...) S.p.A.; detto trasferimento si è adeguato ai giudicati di annullamento e ai giudizi di ottemperanza richiamati in precedenza. 2.4.2. Con riguardo al secondo vizio dedotto dalla parte attrice relativo all'indisponibilità per i soci privati della previsione contenuta all'art. 19, comma 2, dello Statuto, che riserva ai soci pubblici la nomina della maggioranza del consiglio di amministrazione (richiamato in precedenza al punto 2.2.2.), oltre a quanto già evidenziato al punto 2.3., deve aggiungersi quanto segue: I profili di contrarietà alla disciplina settoriale di diritto pubblico, alle disposizioni del codice civile italiano (e in particolare, con l'art. 2348 c.c.), oltre che alla normativa comunitaria in relazione agli articoli 6 e 10 dello statuto di (...) S.p.A. (anteriormente alla modifica) valgono anche per la disposizione in questione. (...) S.p.A. non è titolare di azioni di categoria per le quali si possa porre un tema di approvazione da parte dell'assemblea speciale prevista dall'art. 2376 c.c. Inoltre, non può sostenersi che il diritto assicurato dal precedente art. 19 dello Statuto fosse immodificabile senza il consenso individuale del socio pubblico, sulla base di quanto previsto dall'art. 2449 c.c.; quest'ultima norma, infatti, riconosce la possibilità che a "singoli" soci pubblici sia riservato il diritto di nomina di esponenti aziendali, ma non regola invece la diversa fattispecie in cui la clausola statutaria fa riferimento (non a singoli soci individuati ma, più genericamente) a "soci pubblici", senza ulteriore determinazione; solo nel primo caso (socio identificato ex art. 2449 c.c.) si rende necessario il consenso individuale dello stesso (o una modifica normativa) per la variazione della clausola statutaria. 2.4.3. Con riguardo al terzo vizio dedotto dalla parte attrice relativo all'annullabilità della delibera per omessa determinazione e deposito del valore di liquidazione delle azioni ai sensi degli artt. 2437 e 2437-ter c.c. (richiamato in precedenza al punto 2.2.3.), oltre a quanto già evidenziato al punto 2.3., deve aggiungersi che la fattispecie del recesso è inapplicabile al caso in esame, atteso che le modifiche statutarie in questione non sono che meri e dovuti adeguamenti dello Statuto al nuovo "ordinamento" venutosi a creare, come confermato sia dalle pronunce delle sentenze amministrative richiamate in precedenza sia dall'ente concedente (come si è detto, infatti, con nota del 01.09.2020 prot. n. 8701, riscontrando la richiesta di (...) S.p.A., il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aveva rilevato che la dismissione delle partecipazioni degli Enti Torinesi mediante l'Asta era stata realizzata in esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato n. 2752/2019 e n. 2753/2019 e delle successive sentenze n. 7392/2019 e n. 7393/2019 e che, pertanto, la medesima operazione non rientrava nell'ambito applicativo della Direttiva 30.07.2007 e del D M. 29.20.2008 n. 30697 nonché dell'art. 10 bis della Convenzione, motivo per cui non era soggetta ad autorizzazione preventiva del Concedente, invitando la (...) S.p.A. "a provvedere al necessario adeguamento delle disposizioni statutarie', che avrebbero dovuto notificarsi all'ente Concedente, il quale, a sua volta, avrebbe "contemplato l'adeguamento del testo di convenzione al nuovo contesto di riferimento' (cfr. doc. 2 della parte convenuta). In un siffatta fattispecie di mero adattamento la previsione del diritto di recesso in favore degli azionisti appare fuori luogo, atteso che le disposizioni contrastanti con le norme di legge inderogabili sono inefficaci e loro rimozione dallo Statuto non rappresenta certo una "delibera modificativa" ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2437 c.c. Il principio si ricava anche dall'art. 223-bis, disp. att. c.c., dettato per conformare le norme statutarie alle disposizioni di legge inderogabili entrate in vigore successivamente alla sua formazione: il comma 5 di tale articolo, infatti, prevede che fino "alla data indicata al primo comma (ossia la data quella di entrata in vigore della riforma del diritto delle società di capitali), le previgenti disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia anche se non sono conformi alle disposizioni inderogabili del presente decreto"; dunque, successivamente a tale data tali disposizioni contrastanti hanno perduto la loro efficacia. Con riguardo, invece, alla modifica dell'art. 20 dello Statuto, che ha determinato l'eliminazione della previsione del quorum rafforzato per la nomina dell'amministratore delegato e del presidente, nonché dell'art. 27 dello Statuto, che ha comportato la cancellazione del riferimento alla parità di genere all'interno del collegio sindacale, si deve osservare che trattasi di modifiche non riguardanti direttamente i "diritti di voto o di partecipazione" che legittimano il socio, ai sensi dell'art. 2437, comma 1, lett. g, c.c., ad esercitare il recesso dalla società, ove siano oggetto di modiche statutarie. Entrambe le modifiche, infatti, migliorano la condizione soggettiva del socio, perché, nel primo caso, si consente più agevolmente di addivenire a una decisione in ordine all'elezione dei componenti cardine dell'organo amministrativo e, nella seconda ipotesi, viene ampliata la libertà di scelta dei componenti. Del resto, la Suprema Corte, in un caso in cui la modifica del quorum aveva riguardato addirittura delibere assembleari e, quindi, determinazioni nelle quali si manifesta direttamente il diritto di voto e di partecipazione del socio, ha avuto modo di affermare che "In tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il quorum per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437, lett. g), c.c., perché l'interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull'eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, né direttamente né indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del quorum" (cfr. in tal senso: Cassazione civile, sez. I, 01/06/2017, n. 13875 in Giustizia Civile Massimario 2017). In ogni caso, per completezza, deve ulteriormente osservarsi che la giurisprudenza che ammette l'annullamento della deliberazione di modifica dello Statuto sociale per mancato rispetto dell'art. 2437 ter, comma 5, c.c., reputa che l'illegittimità debba dipendere dalla mancata informativa degli amministratori dovuta ai soci che hanno diritto di conoscere la determinazione del valore delle proprie azioni, ma non dalla mera inerzia degli amministratori, che comporterebbe soltanto la possibilità per il socio di attivare il procedimento di cui al sesto comma dell'articolo (cfr. in tal senso: Tribunale Torino, Sezione Specializzata in materia di Impresa, Sentenza 18 gennaio 2020 R.g. n. 2223/2018; Corte d'Appello di Milano, 13 febbraio 2013, in Società, 13, 742). 2.4.4. Infine, con riguardo al quarto vizio dedotto dalla parte attrice relativo all'abuso di potere (richiamato in precedenza al punto 2.2.4.), oltre a quanto già evidenziato al punto 2.3., deve sottolinearsi sinteticamente quanto segue: L'abuso del diritto di voto da parte della maggioranza rappresenta una fattispecie atipica di creazione dottrinario-giurisprudenziale; le disposizioni di cui agli artt. 2373 e 2475 ter c.c., infatti, come ricorda unanime pensiero, sanzionano esclusivamente 1'ipotesi di conflitto di interessi, non le ipotesi in cui la maggioranza, nell'adottare una determinata delibera, persegue un proprio interesse a danno delle minoranze senza pregiudicare al contempo l'interesse sociale; l'abuso di maggioranza, in pratica, sussiste di fronte alla consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell'unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti che si concreta, quindi, nell'inosservanza del dovere di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., rendendo annullabile la delibera adottata; Si tratta, quindi, di deliberazioni formalmente consentite dalla norma, ma invalide per violazione di clausole generali (appunto, i principi di correttezza e buona fede) che, come tali, risultano residuali rispetto a fattispecie tipiche (cfr. in tal senso: Cass. civile n.1361/2011; Tribunale Torino, Sezione Specializzata in materia di Impresa, Sentenza 18 gennaio 2020 R.g. n. 2223/2018). Nel caso di specie, come si è detto, la parte attrice lamenta l'abuso di potere assembleare, essendo l'iniziativa del socio (...) S.p.A., in violazione del principio di buona fede, volta a trarre dalla deliberazione impugnata un vantaggio personale a danno degli altri azionisti, oltre che con pregiudizio per la società (...) S.p.A.; per scongiurare l'imminente definizione dei giudizi da cui dipende l'accertamento della titolarità delle Azioni Contese in capo ad (...) S.p.A. e/o, comunque, il difetto di titolarità delle stesse in capo ad (...) S.p.A. (i 'Giudizi Amministrativi Pendenti'), questa aveva richiesto con urgenza, e senza alcuna altra motivazione apparente o allegazione dell'interesse sociale, la convocazione dell'assemblea, procedendo a modificazioni statutarie chirurgiche, atte a farle acquisire per le vie di fatto il controllo societario che in realtà non le competeva. Ciò chiarito, l'infondatezza di tale contestazione emerge dal richiamo alle circostanze, alle pronunce dei Giudici Amministrativi ed alle considerazioni esposte in precedenza. In particolare, come si è detto, a fronte di clausole statutarie divenute incompatibili con la disciplina di legge e che avevano perduto la loro efficacia con l'entrata in vigore di un nuovo "ordinamento", era divenuto obbligatorio per (...) S.p.A. procedere all'adeguamento dello Statuto e, dunque, gli amministratori della società (...) S.p.A. avevano accolto favorevolmente la convocazione dell'assemblea straordinaria richiesta da (...) S.p.A. a tale fine. Dunque, le modifiche apportate con la Delibera impugnata perseguono l'adeguamento dello Statuto alla normativa in vigore e, pertanto, riflettono un primario interesse della Società. Del resto, si tratta di censure che involgono la posizione soggettiva di un terzo (ossia la (...) S.p.A.), non coinvolto nel presente giudizio. 2.5. Pertanto, tenuto conto dei rilievi svolti, la domanda di merito proposta dalla parte attrice dev'essere rigettata. 2.6. Le ulteriori domande, eccezioni e questioni proposte dalle parti devono ritenersi assorbite, in ossequio al c.d. "criterio della ragione più liquida", in forza del quale la pronuncia viene emessa sulla base di un'unica ragione, a carattere assorbente, che da sola è idonea a regolare la lite (cfr. per tutte: Cass. Civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014 n. 26242; Cass. Civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014 n. 26243; Cass. civile, sez. II, 03 luglio 2013, n. 16630; Cass. civile, sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356). 3. Sulle spese processuali del presente giudizio e del procedimento cautelare. 3.1. In virtù del principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., la parte convenuta dev'essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio e del procedimento cautelare, in conformità del Regolamento adottato con il D.M. 10 marzo 2014 n. 55 (come modificato dal D.M. 13 agosto 2022 n. 147). 3.2. Precisamente, tenuto conto dei parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale previsti dall'art. 4, comma 1, del citato D.M. 10 marzo 2014 n. 55 (e, in particolare, delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà -quantità e contenuto della corrispondenza intrattenuta- e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate), i compensi vengono liquidati sulla base delle Tabelle 2) e 10) allegate al predetto Regolamento, secondo i seguenti valori di liquidazione previsti nello scaglione "da Euro 52.000,01 ad Euro 260.000,00", trattandosi di procedimento di "valore indeterminabile" (tenuto conto dell'art. 5, comma 6, D.M. 10.03.2014 n. 55, ai sensi del quale "Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola di valore non inferiore ad euro 26.000,00 e non superiore ad euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia"): Euro 2.552,00 per la fase di studio della controversia nel giudizio di merito; Euro 1.628,00 per la fase introduttiva nel giudizio di merito; Euro 2.835,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione nel giudizio di merito, limitata al deposito delle memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c. ed alla produzione di documenti; Euro 4.253,00 per la fase decisionale nel giudizio di merito; Euro 2.251,00 per la fase di studio della controversia nel procedimento cautelare; Euro 1.202,00 per la fase introduttiva nel procedimento cautelare; Euro 1.771,00 per la fase decisionale nel procedimento cautelare; per un totale di Euro 16.492,00, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge. P.Q.M. Il TRIBUNALE DI TORINO, Prima Sezione Civile, Sezione Specializzata in materia di Impresa, in composizione collegiale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 12288/2021 R.G. promossa dalla società (...) S.p.A., in persona dell'Avv. (...), in qualità di legale rappresentante (parte attrice) contro la (...) S p A. - (...) S p A., in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Ing. Claudio VEZZOSI nella qualità di Amministratore Delegato (parte convenuta), nel contraddittorio delle parti: 1) Rigetta la domanda di merito proposta dalla parte attrice (...) S.p.A. 2) Dichiara tenuta e condanna la parte attrice (...) S.p.A. a rimborsare alla parte convenuta le spese processuali del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 16.492,00 per compensi, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge, nonché le spese di registrazione della presente sentenza e successive occorrende. Così deciso in Torino, in data 14 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di Torino Ottava Sezione Civile VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 14657/2021 tra (...) e (...) RICORRENTI e (...) e (...) CONVENUTI Oggi 17 aprile 2023 innanzi al dott.ssa Simonetta Rossi, sono comparsi: - per (...) e per (...) l'avv. (...), (...) e (...) assistiti dall'avv. (...). Il Giudice invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa. L'avv. (...) precisa le conclusioni come all'udienza del 10.10.2023. L'avv. (...) precisa le conclusioni come da memoria di costituzione dando atto che è stata formalizzata una offerta reale con assegno bancario che ha avuto buon fine di Euro 1.040,34. L'avv. (...) dà atto che la controparte ha versato Euro 1040,34 in data 22.11.2021, pagamento rilevante per quanto riguarda la statuizione in punto spese in quanto successivo alla notificazione dell'atto introduttivo e alla mediazione svolta previamente all'instaurazione della causa. Parte ricorrente ribadisce che al momento del rilascio l'immobile presentava danni derivanti da cattiva manutenzione dei conduttori. Osserva che nel verbale di consegna delle chiavi non vi sono riferimenti allo stato dell'immobile e che la Cassazione ha statuito che la mera restituzione delle chiavi non comporta rinuncia alle indennità di cui agli articoli 1589 e 1590 c.c. Ritiene che i documenti e le prove orali (testimonianze Steel e Priore) abbiano fornito prova dei danni unitamente alla documentazione versta in atti, danni eccedenti il normale degrado connesso all'uso dell'immobile. Contesta i miglioramenti all'immobile. Ai sensi dell'art. 1592 c.c. rileva in primo luogo che manca una quantificazione dei miglioramenti ma a fortiori osserva che non vi è alcun consenso alla realizzazione di tali opere da parte dei conduttori, non essendo rilevante la semplice tolleranza. Con riguardo all'art. 1592 secondo comma c.c. osserva che i miglioramenti devono essere tali da potare un aumento di valore all'immobile che ne accresca il godimento e il rendimento. Nel caso di specie gli asseriti miglioramenti senza consenso dei locatori non hanno apportato nessun miglioramento rilevante ai sensi dell'art. 1592 c.c. tanto è che tali interventi sono stati sostanzialmente eleminati una volta terminata la locazione. Chiede accogliersi le conclusioni come perequiate. L'avv. (...), quanto all'offerta reale è stata verbalizzata alla prima udienza come soluzione transattiva tenuto conto anche delle migliorie che erano state quantomeno tollerate- ma ancor più richieste - e come da doc. 8 dei conduttori (richiesta di completamento dell'opera). Essendo l'importo stata accettata come acconto si ritiene che tale condotta sui manifesti come non conciliativo e dunque chiede che venga considerata ai fini delle spese. Osserva che nessun teste ha provato il logorio alle scale, ai servizi generici e l'asserita mancanza di pulizia del bene o stato di degrado del giardino. Ritiene che non vi sia dunque evidenza dei danni non essendo stati provati dall'attore. Con riguardo alla restituzione chiavi inteso come atto neutro da controparte ritiene che invece che sia certificazione dell'assenza di vizi anche alla luce della tardiva ed anomala contestazione solo a novembre. Ritiene che la proposta transattiva avrebbe potuto definire il giudizio e che le domande di controparte non sono provate. Conclude come da memoria difensiva. In punto quantificazione delle migliorie, rileva che i testimoni hanno provato l'esecuzione delle opere e che vi sono documenti che comprovano l'acquisto dei materiali e si rimette alla valutazione del tribunale tenuto conto che una Ctu sarebbe gravosa. L'avv. (...) in merito alla discrasia temporale tra il momento della riconsegna delle chiavi e le contestazioni, ma osserva che la stessa è dovuta alla pandemia e alle restrizioni che ne sono conseguite. Dopo breve discussione orale il Giudice si ritira in camera di consiglio, previo consenso dei difensori alla lettura della sentenza in loro assenza Il Giudice dott.ssa Simonetta Rossi Terminata la camera di consiglio viene data lettura in udienza del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO Ottava Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Simonetta Rossi ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 14657/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) RICORRENTI contro (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTI CONCLUSIONI Per (...) e (...): "Voglia il Tribunale adito, accertare e dichiarare l'inadempimento dei signori (...) ai sensi degli artt. 1588 e 1590 c.c. e, per l'effetto, condannarli al rimborso di Euro 7.790,97 o della veriore somma, anche superiore, accertanda in corso di causa, in favore dei ricorrenti. Con vittoria di spese, oneri fiscali come per legge e rimborso forfetario nella misura del 15%". Per (...) e (...): "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione, così provvedere 1. Nel merito, accertare e dichiarare la congruità dell'offerta reale banco iudicis formulata dalle parti resistenti in ordine all'estinzione del residuo credito vantato dai locatori - Euro 1.040,34 - per spese di falegnameria concordate e consumi di acqua, per l'effetto accertare e dichiarare l'insussistenza di ogni ulteriore credito vantato dai ricorrenti in ordine alla domanda proposta per responsabilità risarcitoria dei conduttori per negligente conservazione della res locata. Consequenzialmente respingere l'avversaria domanda risarcitoria per insussistenza del fatto costitutivo ovvero l'asserito inadempimento dei conduttori nonché per infondatezza dell'azione e della domanda anche per il mancato assolvimento del relativo onere probatorio circa le cause e la determinazione quantitativa del danno; 2. Sempre nel merito, in via subordinata, senza nulla riconoscere in ordine ai deterioramenti allegati dai ricorrenti, per la denegata ipotesi in cui l'Ill.mo Tribunale adito dovesse ritenere fondate talune voci di danno invocate dai locatori, si insta per la compensazione impropria di tali voci di danno fino alla concorrenza del valore dei miglioramenti apportati dai conduttori ex articolo 1592, 2° comma, c.c. così come determinati in corso di causa; Condannare le parti ricorrenti alla rifusione delle spese di lite ex articolo 91, 1° comma, c.p.c. oltre rimborso forfettario CPA ed IVA con distrazione degli onorari e delle spese in favore dell'esponente difensore che ne ha fatto anticipo ai sensi e per gli effetti dell'articolo 93 c.p.c." RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. (...) e (...), in qualità di locatori dell'immobile sito in Cambiano (TO), Via (...) hanno chiesto al Tribunale di condannare (...) e (...), quali ex conduttori dell'immobile, alla corresponsione di Euro 7.790,97 ai sensi dell'art. 1590 c.c. per i danni arrecati all'alloggio nel corso della locazione. (...) e (...) (i) hanno offerto banco iudicis, senza nulla riconoscere ed a meri fini transattivi la corresponsione della somma di Euro 1.040,34, (ii) hanno chiesto in via principale il rigetto delle domande proposte e (iii) in via subordinata hanno proposto eccezione di compensazione impropria ex articolo 1592, 2° comma, c.c. fino alla concorrenza del valore dei miglioramenti apportati alla res locata. All'udienza di comparizione delle parti, la somma di Euro 1.040,34 è stata accettata a titolo di acconto e il tentativo di conciliazione ha dato esito negativo. Assunte le prove orali la causa è giunta a discussione all'udienza odierna sulle conclusioni come in epigrafe trascritte. 2. I locatori assumono che l'immobile sito in Cambiano, Via (...), consegnato ai conduttori in ottime condizioni, al momento del rilascio presentava una numerosa serie di elementi notevolmente deteriorati o non correttamente manutenuti, sia all'interno che all'esterno dell'alloggio che rendevano necessari i seguenti interventi per complessivi Euro 9.005,01: - rifacimento e completa riverniciatura del portoncino di ingresso in legno, del tutto rovinato; - riparazione della scala interna in legno di "noce daniela", che risultava ammaccata e priva di vernice in molti punti; - sostituzione dei sanitari di entrambi i bagni dell'immobile, nonché rimozione di un impianto per lavanderia impropriamente ricavato nella cantina dell'alloggio; - riparazione delle ante danneggiate da sistemi antiintrusione; - ripristino dei ferma-pannelli di due porte interne, rimossi e sostituti con manufatti più ingombranti; - sostituzione del campanello dell'ingresso; - integrale manutenzione straordinaria del giardino, abbandonato in uno stato di totale incuria; - pulizia straordinaria (della complessiva durata di 20 ore lavorative) di tutti gli ambienti interni ed esterni dell'alloggio. I conduttori riconoscono solo la sussistenza dei danni al portoncino di ingresso e alle porte interne e contestano, invece, ogni ulteriore vizio. Con riguardo ai costi di Euro 2.501,00 sostenuti dai ricorrenti per le opere in falegnameria, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere avendo i conduttori rinunciato alla cauzione di Euro 1600,00 e corrisposto banco iudics la ulteriore somma di Euro 901,00. Occorre, pertanto, accertare la fondatezza delle ulteriori doglianze di parte ricorrente. Ai sensi dell'art. 1590 c.c. il conduttore ha l'obbligo di restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l'aveva ricevuta, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della stessa in conformità del contratto. L'inadempimento o l'inesatto adempimento di tale obbligazione è invero di per sé un illecito, ma non obbliga l'inadempiente al risarcimento se in concreto non ne è derivato un danno al patrimonio del creditore, con la conseguenza che il conduttore non è obbligato al risarcimento se dal deterioramento della cosa locata, superiore a quello corrispondente all'uso della cosa in conformità del contratto, per particolari circostanze non ne è derivato un danno patrimoniale al locatore (v. Cass., 14/8/2014, n. 17964; Cass., 21/2/2013, n. 4352; Cass., 8/3/2007, n. 5328; Cass., 16/11/2005, n. 23086; Cass., 11/5/2005, n. 9872; Cass., 7/10/1996, n. 8751). In tal caso, incombe al locatore, che i danni pretende, fornire la prova del fatto costitutivo del vantato diritto (Cass., 8/3/2007, n. 5328. E già Cass., 19/7/1957, n. 3045), e cioè il deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell'immobile, essendo quindi onere del conduttore dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità, che il deterioramento si è verificato per uso conforme al contratto o per fatto a lui non imputabile. La prova del fatto costitutivo della pretesa può essere dal locatore data anche per presunzioni, che costituiscono un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non "più debole" della prova diretta o rappresentativa, ben potendo le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez., Un., 11/11/2008, n.26972; Cass., Sez, Un., 24/3/2006, n. 6572, Cass., 12/6/2006, n. 13546, Cass., 6/7/2002, n. 9834), in quanto trattasi di una "prova completa", sulla quale può anche unicamente fondarsi il convincimento del giudice (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546. E già Cass., 22 luglio 1968, n. 2643). Il conduttore, ai sensi degli artt. 1588 e 1590 cod. civ., ha invece l'onere di dare piena prova liberatoria della non imputabilità nei suoi confronti di ogni singolo danno riscontrato al bene locato, che deve presumersi in buono stato all'inizio del rapporto, esclusi solo i danni da normale deterioramento o consumo in rapporto all'uso dedotto in contratto" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2619 del 05/02/2014, cfr. anche Cass., ord. 8 maggio 2012, n. 6977; Cass. 25 luglio 2008, n. 20434; Cass. 17 febbraio 1997, n. 1441). Alla luce dei principi richiamati, occorre esaminare la fondatezza di ciascuna delle doglianze di parte ricorrente. 2.1 Dal tenore del contratto di locazione emerge che la casa al momento dell'inizio della locazione era in perfetto stato. Occorre, pertanto, verificare se al momento del rilascio le parti dell'immobile indicate da parte ricorrente si trovassero in uno stato di deterioramento esorbitante rispetti al normale uso. Assorbente escludere la responsabilità in capo ai conduttori con riguardo ai costi della scala è l'assenza della prova che i locatori abbiano subito un pregiudizio patrimoniale. Il teste (...), artigiano, ha infatti dichiarato di aver solo predisposto un preventivo per le opere di ripristino della scala, ma di non avere eseguito l'opera. A fortiori la teste (...) ha dichiarato che al momento del rilascio la scala presentava un solo graffio e non si trovava nelle condizioni di cui alle fotografie prodotte dai ricorrenti (doc. 20 di parte ricorrente). Ciò posto tale manufatto non può dirsi restituito in uno stato di deterioramento eccedente al normale uso. 2.2 Con riguardo alla sostituzione dei sanitari di entrambi i bagni dell'immobile, nonché alla rimozione di un impianto per lavanderia impropriamente ricavato nella cantina dell'alloggio, era onere di parte ricorrente provare di aver sostenuto l'asserito esborso per complessivi Euro 1.815,01, producendo le ricevute relative ai lavori che assume di aver fatto effettuare. Risulta, invece, prodotto esclusivamente il preventivo dei costi del materiale (doc. 8) e una dichiarazione di (...) (doc. 9 di parte ricorrente) con riguardo agli asseriti lavori eseguiti senza indicazione dei costi e senza produzione della relativa fattura. Tali circostanze consentono di affermare che i locatori non hanno assolto l'onere di provare l'esborso patrimoniale e che, dunque, non sussistono i presupposti per il risarcimento del danno. 2.3 Per quanto concerne il citofono, non può dirsi assolta la prova in capo ai locatori dell'omesso funzionamento al momento della riconsegna del bene. Sul punto a fronte della riconsegna del bene a febbraio 2020, la prova che nel settembre 2020 il citofono fosse staccato e del tutto inutilizzabile - peraltro non ammessa - non avrebbe consentito di provare che anche sette mesi prima il citofono non funzionasse. A fortiori, i testi escussi (...) hanno confermato il funzionamento del citofono al momento della riconsegna. Ciò posto nulla può essere riconosciuto a questo titolo. 2.4 Neppure provati sono l'asserita omessa manutenzione del giardino e la necessità di effettuare la pulizia. Parte locatrice non ha, infatti, documentato o allegato elementi sufficienti per far ritenere che lo stato dell'immobile al momento della riconsegna fosse tale da esorbitare il deterioramento da ricondurre alla cosiddetta normale usura. La fattura di (...), titolare della ditta (...) (doc. 11 di parte ricorrente), d'altra parte, ha ad oggetto opere di manutenzione eseguite il 1.10.2020 e dunque a oltre sette mesi dalla consegna, opera che per il loro valore ben possono essere ricollegate ai lavori da effettuare tra la riconsegna avvenuta nel febbraio e la loro esecuzione dopo l'estate, sicché non può da essa evincersi un deterioramento del giardino conseguente ad un uso non conforme al contratto da parte dei conduttori. Alla luce delle considerazioni svolte la domanda deve essere rigettata. 3. Il rigetto della domanda assorbe l'esame dell'eccezione di compensazione impropria proposta in via subordinata per il caso di accoglimento della domanda principale, riguardante le asserite migliorie. 4. Le spese di causa alla luce dell'accoglimento di una parte contenuta della domanda proposta dai locatori e dell'offerta banco iudicis effettuata sin dalla prima udienza da parte conduttrice con riguardo ai serramenti, accettata solo in acconto e non invece a titolo satisfattorio da parte ricorrente, devono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria o diversa istanza e deduzione disattesa, DICHIARA la cessazione della materia del contendere con riguardo ai danni alle porte e agli infissi. RIGETTA ogni altra domanda proposta da parte attrice nei confronti di parte convenuta. DISPONE l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. Così deciso in Torino, in data 17 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO Ottava Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Marco Ciccarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 18482/2021 promossa da: CONDOMINIO (...) MONCALIERI (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) tutti rappresentati dall'avv. (...), in forza di procura allegata all'atto di citazione ATTORI contro SUPERCONDOMINIO (...) (C.F. (...)), rappresentato dall'avv. (...), in forza di procura allegata alla comparsa di risposta CONVENUTO Oggetto: impugnazione di delibera condominiale CONCLUSIONI CONDOMINIO (...) MONCALIERI "In via istruttoria - Ammettere, in quanto tempestivi e rilevanti, tutti i documenti già versati a margine del presente giudizio, con ciò intendendosi anche quelli acclusi al presente scritto, quali documenti formatisi successivamente allo spirare delle preclusioni istruttorie; - Con ogni più ampia riserva in materia istruttoria che si dovesse rendere necessaria a seguito delle eventuali istanze istruttorie avversarie; In via principale nel merito - Accertare e dichiarare la nullità e/o l'annullabilità delle delibere tutte assunte dall'assemblea ordinaria del Superconduzione (...) in data 5.5.2021 e di cui ai punti n. 1, 2 e 3 dell'ordine del giorno, così come inseriti a margine della convocazione del 9.4.2021; il tutto, sulla scorta delle argomentazioni di cui alla narrativa del presente atto; - Conseguentemente e, per l'effetto, dichiarare nulle e/o annullate le delibere impugnate, con l'ulteriore conseguenza di statuire la totale inefficacia delle stesse; - Si dichiara di non accettare alcun contraddittorio su eventuali domande nuove che dovessero essere interposte da parte convenuta all'atto della propria precisazione delle conclusioni. In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari, oneri fiscali, rimborso forfetario nella misura del 15 % ed eventuali spese di C.T.U. e C.T.P." SUPERCONDOMINIO (...) "In via pregiudiziale: accertarsi e dichiararsi, per i motivi di cui in narrativa la carenza di legittimazione attiva in capo al geom. (...), amministratore pro tempore del Condominio (...) di Moncalieri e per l'effetto ordinarsi l'estromissione di questi dal presente procedimento. Sempre in via pregiudiziale: accertarsi e dichiararsi per i motivi di cui in narrativa la carenza di legittimazione attiva di tutti gli odierni attori in relazione alle delibere assunte nell'Assemblea del Supercondominio (...) del 05.05.2021 con il voto favorevole del loro rappresentante sig.ra (...) e per l'effetto respingere le domande formulate e formulande dagli odierni attori e confermare la nomina del sig. (...) quale amministratore del Supercondominio (...). In via preliminare: esperire il tentativo di conciliazione fra le parti. In via principale: per tutti i motivi, difese ed eccezioni in atti, respingere le domande tutte formulate e formulande dagli odierni attori, con l'atto di citazione de quo e conseguentemente assolvere il Supercondominio (...), c.f. (...), in persona dell'amministratore pro tempore sig. (...), da ogni e qualsiasi pretesa ex adverso. In ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa, oltre indennità forfetaria nella misura del 15% degli imponibili ed oltre oneri fiscali C.P.A. ed I.V.A. come per legge". MOTIVI DELLA DECISIONE Allegazioni e domande delle parti I signori (...), (...), (...), (...) e (...), tutti condomini del CONDOMINIO di (...) in MONCALIERI, nonché lo stesso Condominio di Corso (...), impugnano la delibera assunta in data 5 maggio 2021 dall'assemblea del Supercondominio (...) convenuto, limitatamente ai punti 1, 2 e 3 dell'ordine del giorno. Gli attori allegano: a) che il condominio di corso (...) e i condomìni di via (...), di via (...) fanno parte del Supercondominio (...), condividendo i servizi di acqua, riscaldamento, energia elettrica delle corsie box e manutenzione cancelli carrai; b) che tutti i quattro condomìni sono stati amministrati per lunghissimo tempo (circa 50 anni) e fino al 2019 dal geom. (...) il quale, pur non essendo mai stato formalmente nominato amministratore del Supercondominio (...), ha di fatto e con modalità informali amministrato anche quest'ultimo; c) che il geom. (...) era solito ripartire "per edificio" le spese relative ai servizi condivisi, senza dettagliare i consumi e le quote di ciascuna unità immobiliare e comunicando al subcondominio attore ((...)) unicamente la somma da esso dovuta su ciascuna bolletta del supercondominio; d) che il geom. (...), con comunicazione del 9 aprile 2021, convocava l'assemblea ordinaria del Supercondominio per il giorno 5.5.21 per deliberare sui seguenti punti: 1) rendiconto spese gestione 2019/2020; 2) preventivo spese gestione 2020/2021; 3) nomina del nuovo amministratore; 4) varie ed eventuali; e) che la convocazione "perveniva in modo differente per ognuno dei singoli condomìni facenti parte del supercondominio": mentre infatti le convocazioni inviate ai condòmini degli edifici di corso (...) e a quelli di via (...) contenevano il riparto delle spese relative alle unità abitative del condominio di appartenenza (ma non quello afferente le unità degli altri condomìni), le convocazioni inviate ai condòmini degli altri due edifici (via (...) e via (...)) contenevano soltanto la complessiva somma dovuta dall'intero sub-condominio; f) che il 28 aprile 2021 si teneva l'assemblea del sub-condominio di corso (...) nel corso della quale: - era conferito alla sig.ra (...) il mandato di rappresentare il condominio all'assemblea del Supercondominio (...) del 5.5.21; - si deliberava di non approvare il rendiconto e il preventivo oggetto di tale assemblea e si incaricava pertanto la sig.ra (...) di esprimere voto contrario all'approvazione; - si dava mandato alla sig.ra (...) di votare, quale amministratore del Supercondominio, il geom. (...) (amministratore del Condominio di corso (...)); g) che, all'assemblea del supercondominio la sig.ra (...), agendo in difformità rispetto al mandato ricevuto, si asteneva sull'approvazione del consuntivo e del preventivo (che venivano così approvati grazie al voto favorevole degli altri partecipanti) e votava per la nomina ad amministratore di (...) (che veniva così nominato amministratore del Supercondominio (...)). Sulla scorta di queste premesse, gli attori deducono i seguenti motivi di invalidità della delibera: - nullità della convocazione assembleare, in quanto effettuata da soggetto (il geom. (...)) che non era stato mai nominato amministratore del Supercondominio (...); - violazione del mandato di voto da parte della sig.ra (...), rappresentante del condominio (...), all'assemblea del Supercondominio (...); violazione da apprezzarsi anche in relazione alla situazione di conflitto di interessi in cui versava la (...) rispetto al condominio di appartenenza, essendo morosa nel pagamento delle quote condominiali; - impossibilità di verifica dei conti posti alla base del consuntivo e del preventivo votati in assemblea, a causa delle modalità di gestione non trasparente tenuta negli anni dall'amministratore geom. (...); - mancata prova del potere rappresentativo in capo ai rappresentanti dei condomìni di via (...) e di via (...) che hanno preso parte all'assemblea supercondominiale del 5.5.21; - diversità dei documenti votati in assemblea dai rappresentanti dei quattro sub-condomìni, poiché i bilanci allegati alle convocazioni erano predisposti in modo diverso per i condòmini di ciascun sub-condominio (nei termini chiariti al punto e); - errori nelle modalità di calcolo e nei riparti. Il SUPERCONDOMINIO (...): - rileva che la presente impugnazione di delibera è fondata su circostanze nuove e motivi ulteriori rispetto a quelli prospettati dal condominio (...) in sede di mediazione, con conseguente improcedibilità della domanda; - eccepisce preliminarmente la carenza di legittimazione attiva dell'amministratore del condominio di corso (...), che non può impugnare le delibere del supercondominio; - non contesta specificamente le circostanze di fatto esposte alle lettere a) - g); - rileva che legittimato all'impugnazione è solo il condòmino assente o dissenziente e, pertanto, il condominio di corso (...) non può impugnare le delibere assunte con il suo voto favorevole (segnatamente quella di nomina dell'amministratore (...), votato in assemblea anche dalla sig.ra (...), rappresentante del condominio di corso (...)); - sostiene che il rappresentante del singolo condominio all'assemblea del supercondominio ha "pieni poteri" e ogni limite al suo potere di rappresentanza si considera come "non apposto", ai sensi dell'art. 67, comma 4, disp. att. c.c.; la condotta tenuta dalla sig.ra (...) potrà quindi avere rilevanza soltanto nei rapporti interni fra lei e il condominio di corso (...); - eccepisce la genericità del motivo di impugnazione fondato sull'impossibilità del controllo dei conti, che si riduce a una generica critica all'operato del geom. (...), ma non puntualizza né prova i vizi che inficiano il consuntivo e il preventivo approvati in assemblea; - eccepisce la carenza di legittimazione dell'attore a far valere vizi di rappresentanza in capo ai rappresentanti degli altri sub-condomìni; produce, in ogni caso, i verbali delle assemblee condominiali che hanno nominato rappresentati i sig.ri (...). Conclude per il rigetto delle domande. Esame delle domande 1. Va esaminata, in primo luogo, l'eccezione con cui il Supercondominio (...) deduce la violazione del divieto di mutatio libelli. Il convenuto infatti, attraverso questa eccezione, intende denunciare il difetto della condizione di procedibilità della mediazione, per avere gli attori introdotto una domanda diversa da quella oggetto del procedimento di mediazione. Sostiene al riguardo che "ad una sintetica (poche righe) descrizione dei motivi della controversia contenuta nella domanda di mediazione segue un atto di citazione di ben 51 pagine e 125 capi nel quale vengono riportate circostanze nuove e soprattutto vengono addotti motivi ulteriori e nuovi a fondamento dell'impugnazione della delibera assembleare". L'eccezione è infondata, poiché l'esame della domanda di mediazione (doc. 3 convenuto, p. 27) consente di apprezzare l'identità fra la controversia oggetto del presente procedimento e quella deferita in mediazione. In particolare, identico è il petitum, consistente nella richiesta di accertare l'invalidità della delibera assunta il 5.5.21; identiche sono le ragioni a fondamento della domanda, consistenti nelle violazioni che si sono sopra descritte. La maggior ampiezza della trattazione contenuta nell'atto di citazione, così come l'introduzione di nuove argomentazioni a supporto della dedotta invalidità, non determinano alcuna diversità fra le domande oggetto dei due procedimenti. La descrizione della domanda contenuta nell'istanza di mediazione permetteva infatti alla controparte di comprendere con chiarezza e univocità l'oggetto della lite e di difendersi adeguatamente nel procedimento. Deve concludersi che la condizione di procedibilità è stata rispettata. 2. Sempre in via preliminare, il convenuto eccepisce la carenza di legittimazione attiva dell'amministratore, che non avrebbe titolo per impugnare la delibera del supercondominio. L'eccezione è inconferente: in primo luogo perché il geom. (...) non agisce personalmente ma quale amministratore del condominio di via (...). E' pacifico che l'amministratore non possa impugnare le delibere del condominio da lui amministrato, né quelle del supercondominio di cui quest'ultimo fa parte, poiché il diritto di impugnazione è attribuito dall'art. 1137 c.c. a "ogni condomino". Tuttavia, l'amministratore agisce qui in rappresentanza dell'intero condominio di corso (...), che - nell'assemblea del 31.5.21 - ha "approvato all'unanimità l'impugnativa in sede giudiziale di tutte e tre le delibere assunte dal supercondominio (...) in occasione dell'assemblea del 5/5/2021" e, all'uopo, ha conferito incarico all'avv. (...) (doc. 53 attore). L'eccezione avrebbe potuto semmai essere posta con riferimento alla legittimazione del condominio (inteso come collettività di tutti i condòmini, rappresentati in giudizio dall'amministratore) a impugnare la delibera del supercondominio. Ma sotto questo profilo l'eccezione non è stata formulata. In secondo luogo, l'eccezione è inconferente perché accanto al condominio di corso (...), rappresentato dall'amministratore, hanno personalmente agito (proponendo identica domanda di annullamento delle delibere) anche 5 condomini del medesimo condominio di corso (...). L'eventuale carenza di legittimazione del Condominio non avrebbe dunque alcuna conseguenza sull'esito della domanda; neppure in punto spese di lite, poiché il condominio e i condomini hanno agito congiuntamente, con unici atti difensivi e avvalendosi della medesima difesa tecnica. 3. Va esaminato per primo, in ordine logico, il motivo di impugnazione con cui gli attori fanno valere un vizio del procedimento di convocazione dell'assemblea del Supercondominio (...), poiché l'assemblea del 5.5.21 sarebbe stata convocata da un soggetto, il geom. (...), mai formalmente nominato amministratore del supercondominio. Il motivo è infondato per plurime ragioni: - perché il procedimento di convocazione è stato svolto e ha portato al regolare (sotto il profilo formale) svolgimento dell'assemblea del supercondominio, a cui hanno preso parte tutti i rappresentanti di ciascun sub-condominio; - perché gli attori non specificano sotto quale profilo la dedotta irregolarità della convocazione li avrebbe pregiudicati; - perché, a seguito della convocazione del geom. (...) si sono svolte regolari assemblee in tutti i condomini in vista della partecipazione all'assemblea del supercondominio, e in nessuna di queste assemblee è stato lamentato il difetto di legittimazione del (...) a convocare l'assemblea del Supercondominio; - perché il geom. (...) - come esplicitamente allegano gli stessi attori - ha svolto di fatto per anni (e svolgeva all'epoca della convocazione dell'assemblea di cui si discute) la funzione di amministratore del supercondominio; - infine, perché la convocazione dell'assemblea da parte di soggetto non legittimato non comporta, di per sé, l'invalidità delle delibere assunte qualora non ricorrano altri vizi del procedimento di convocazione o delle delibere adottate. 4. Gli attori impugnano tutte le delibere assunte dall'assemblea del supercondominio del 5.5.21: 1) approvazione del rendiconto 2019-2020 2) approvazione del preventivo 2020-2021 3) nomina di (...) quale nuovo amministratore del supercondominio. Il primo motivo di impugnazione da essi fatto valere investe tutte e tre le delibere e riguarda l'eccesso di potere e il conflitto di interessi della rappresentante del Condominio (...) nell'assemblea del Supercondominio (...): la sig.ra (...), infatti, ha votato in modo difforme rispetto alle indicazioni espresse dall'assemblea condominiale, poiché si è astenuta sull'approvazione del preventivo e del consuntivo, anziché esprimere voto contrario come deliberato dall'assemblea del Condominio (...); ed ha votato per la nomina ad amministratore di (...) anziché di (...), come indicato dall'assemblea del Condominio (...). E' opportuno evidenziare che l'unico motivo di invalidità addotto nei confronti della delibera di nomina dell'amministratore è quello appena esposto. Mentre, nei confronti delle delibere di approvazione del rendiconto e del preventivo gli attori fanno valere ulteriori e autonomi motivi di impugnazione. 5. La circostanza che la sig.ra (...) abbia tenuto, nell'assemblea del Supercondominio, una condotta in totale contrasto con le indicazioni ricevute dall'assemblea del Condominio (...), di cui era rappresentante, è pacifica ed emerge dal raffronto fra il verbale dell'assemblea del Condominio (...) in data 28.4.21 (doc. 39 attori) e il verbale dell'assemblea del Supercondominio (doc. 47 attori). Il Condominio (...), per le ragioni analiticamente indicate in tale verbale, aveva deliberato di non approvare il rendiconto 2019-2020 e la relativa tabella di riparto: "L'assemblea non approva il rendiconto spese del (...) gestione 1/5/2019 - 30/04/2020 e relativa tabella di riparto ad eccezione del Sig (...). Pertanto l'assemblea incarica la Signora (...) di non approvare il rendiconto spese (...)". Per le medesime ragioni, l'assemblea aveva deliberato di "non approvare il preventivo 2020/2021 (...). Pertanto l'assemblea incarica la Sig.ra (...) di non approvare il preventivo 2020/2021 del (...)". In merito alla nomina del nuovo amministratore del Supercondominio, "L'assemblea individua nel geom. (...) il nuovo amministratore". La sig.ra (...), in chiara difformità dalle indicazioni ricevute, nell'assemblea del Supercondominio si è astenuta dal voto sull'approvazione di consuntivo e preventivo; ed ha votato quale amministratore (...). Gli attori lamentano, sotto un primo profilo, la violazione degli obblighi del mandatario, il quale, ai sensi dell'art. 1711 c.c. "non può eccedere i limiti fissati nel mandato". Questo motivo di impugnazione è però infondato perché l'art. 67, comma 4, disp. att. c.c., con specifico riferimento alla figura dei rappresentanti dei condomìni nell'assemblea del supercondominio, dispone che "ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto". Trattasi di norma speciale che, in funzione dell'esigenza, ritenuta prevalente, di celere e agevole svolgimento delle assemblee supercondominiali, impedisce che le assemblee dei sub-condomìni possano condizionare, con rilevanza esterna, il potere del loro rappresentante. E' una previsione coerente con il carattere unitario del voto del rappresentante, che esprime in maniera sintetica un unico voto (il cui peso è rapportato all'intera caratura millesimale del condominio rappresentato) senza possibilità di esprimere voti plurimi e contrastanti (corrispondenti a quelli dei singoli condòmini che hanno votato a favore o contro una determinata delibera). E' indubbio che nei rapporti fra il rappresentante e il condominio che l'ha nominato trovino piena applicazione le norme sulla responsabilità del mandatario, a cui rinvia lo stesso art. 67 disp. att. Tuttavia, la generale previsione dell'art. 1711 c.c. trova una deroga nella norma speciale sopra esaminata, la quale impedisce che i vincoli e le condizioni indicate dal condominio mandante, in essi comprese le indicazioni di voto, possano limitare il potere del rappresentante nell'assemblea del supercondominio. Per queste ragioni la circostanza che la sig.ra (...) abbia votato in modo difforme dalle indicazioni ricevute dall'assemblea del "suo" condominio non costituisce, di per sé, ragione di invalidità della delibera assunta dal supercondominio. 6. Gli attori sostengono tuttavia che l'espressione di voto da parte della sig.ra (...) in contrasto con le indicazioni ricevute dal suo condominio sia la manifestazione di un conflitto di interessi con il condominio mandante, che trova causa nella situazione di morosità in cui essa versava per il pagamento delle spese condominiali. Si riportano di seguito le difese degli attori: "Abbiamo già dedotto (quale circostanza mai specificatamente contestata da parte convenuta e, invero, anche abbondantemente dimostrata per tabulas) che la Sig.ra (...) risultava essere soggetto moroso nei confronti del condominio di Corso (...), essendosi verificato che l'amministratore di tale condominio, in corsa per la nomina di superamministratore in occasione dell'assemblea del 5.5.2021, le aveva già intimato il pagamento delle spese di gestione del riscaldamento. Si è, quindi, verificato che la (...), in sede di assemblea base, pur a fronte della propria posizione di soggetto moroso (e nella totale buona fede della compagine, la quale, a conferma dell'insussistenza di qualsivoglia pregiudizio le conferiva tale mandato), ha solo lasciato credere di poter assolvere il ruolo di rappresentante di Corso (...) in sede di superassemblea ordinaria, con, a questo punto, la riserva mentale di stravolgere tutte le indicazioni di voto ricevute, per il proprio tornaconto personale. Non è un caso, infatti, che in relazione ai conteggi che avrebbero dovuto essere approvati dai rappresentanti in occasione dell'assemblea del 5.5.2021, la Sig.ra (...) si sia astenuta, ben sapendo che la sua astensione avrebbe favorito, agevolandola, l'approvazione di tali conteggi, alla stessa favorevoli (proprio perché promananti da un soggetto che non le aveva mai chiesto il giusto in sede di gestione del riscaldamento, anzi, addirittura, attribuendole dei pagamenti, laddove la sua era una situazione di morosità conclamata). In relazione al punto dell'ordine del giorno afferente la nomina dell'amministratore, al contrario, la (...) non poteva permettersi di correre il rischio della nomina del Geom. (...), per le motivazioni già ampiamente dedotte in precedenza, motivo per cui quest'ultima si è fatta "parte diligente", votando Milano, delfino del Geom. (...)" (comparsa conclusionale p. 13). Si osserva, anzitutto, che le circostanze da cui si dovrebbe desumere il conflitto di interessi non trovano riscontro e sono del tutto ipotetiche. Gli attori riconoscono che, alla data dell'assemblea del 29.4.21, la sig.ra (...) era morosa nei confronti del condominio e che l'amministratore (...) ne era perfettamente al corrente. Affermano che "la (...), in sede di assemblea base,... ha solo lasciato credere di poter assolvere il ruolo di rappresentante di Corso (...) in sede di superassemblea ordinaria, con, a questo punto, la riserva mentale di stravolgere tutte le indicazioni di voto ricevute". Tuttavia, dal verbale assembleare non si evince alcuna condotta decettiva della (...), né alcun elemento da cui desumere che essa abbia assunto l'incarico con la riserva mentale di contravvenire alle indicazioni di voto. Dunque, il condominio (...) ha valutato e ritenuto che la situazione di morosità in cui versava la (...) non fosse di impedimento alla sua nomina a rappresentante nell'assemblea del supercondominio. In secondo luogo, la situazione di conflitto di interessi del rappresentante è contemplata dall'art. 1394 c.c., che prevede l'annullabilità del contratto concluso dal rappresentante "se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo". Ora, a prescindere dalla dubbia applicabilità di questa norma al caso che ci occupa - in cui non si discute della validità di un contratto concluso dal rappresentante, ma della sua espressione di voto in una assemblea di condominio - resta il fatto che gli attori non hanno allegato né provato alcun elemento per dimostrare che "il terzo" fosse a conoscenza del conflitto di interessi fra la (...) e il condominio (...). Anche perché, in questo caso, il terzo è un supercondominio, una entità rispetto alla quale è quantomai arduo ricondurre stati soggettivi quali la "conoscenza" o la "riconoscibilità". Infine, per invalidare il voto espresso dalla (...) nell'assemblea del supercondominio occorrerebbe, semmai, dimostrare l'esistenza di un conflitto di interesse fra la (...) e il supercondominio; dedurre, cioè, che essa ha votato per soddisfare un interesse proprio, del tutto estraneo alla sua condizione di partecipante al supercondominio. Questo profilo di conflitto non è stato mai allegato. Secondo la prospettazione degli attori, infatti, il conflitto sussiste fra la (...) e il sub-condominio (...) che l'ha nominata sua rappresentante. Questo conflitto, ove dimostrato, potrebbe comportare l'invalidità della delibera dell'assemblea del Condominio (...) del 28.4.21, che ha nominato la (...) rappresentante (delibera mai impugnata), non della delibera dell'assemblea supercondominiale in cui il rappresentante ha espresso il proprio voto. In definitiva, si ritiene che il dedotto conflitto di interessi, oltre a non essere dimostrato, sia irrilevante al fine della chiesta pronuncia di invalidità della delibera assunta dal Supercondominio. 7. Le considerazioni esposte inducono il rigetto della impugnazione della delibera di nomina di (...) quale amministratore del Supercondominio, impugnazione fondata - come già detto - unicamente sulla violazione del mandato da parte della sig.ra (...) e sul suo conflitto di interessi. Resta dunque assorbita la questione, sollevata dal supercondominio convenuto, della legittimazione dei condomini attori a impugnare la delibera approvata col voto favorevole del loro rappresentante. 8. Occorre ora esaminare i motivi di invalidità - per così dire "intrinseca" - della delibera impugnata; che riguardano i punti 1 e 2 dell'o.d.g., cioè l'approvazione del rendiconto di gestione 1.5.2019 - 30.4.2020 con il relativo riparto; e l'approvazione del preventivo spese per la gestione 1.5.2020 - 30.4.2021. Gli attori sostengono che i bilanci del Supercondominio predisposti dal geom. (...) (amministratore di fatto del supercondominio Centro (...) fino alla delibera di nomina di nuovo amministratore del 5.5.21) e approvati dall'assemblea non permettono il controllo della contabilità condominiale, anche perché limitati a una ripartizione "per edificio" dei complessivi costi, senza dettaglio per singole unità abitative. Deducono, inoltre, che i piani di riparto allegati al rendiconto fossero stati (dal geom. (...)) predisposti in modo differente per i condòmini facenti parte degli edifici di (...) e di via (...), e per quelli facenti parte degli edifici di via (...). Infatti, il primo gruppo di condòmini ha ricevuto, unitamente alla convocazione per l'assemblea del 5.5.21, il rendiconto e il riparto relativo alle singole unità abitative del proprio condominio; mentre il secondo gruppo di condòmini ha ricevuto soltanto il rendiconto e il riparto delle spese per edifici. Questo divergente contenuto della convocazione è - secondo gli attori - di per sé causa di invalidità della delibera, poiché non vi è coincidenza fra l'oggetto della delibera sottoposto a ciascuno dei condomìni facenti parte del Supercondominio Centro (...). Questi motivi di impugnazione sono fondati. L'art. 1130-bis c.c., applicabile anche ai supercondomini in virtù del rinvio di cui all'art. 1117-bis c.c., prevede che il rendiconto condominiale debba contenere le voci di entrata e di uscita e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili e alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentirne l'immediata verifica. Prevede altresì che il rendiconto sia composto dal registro di contabilità, dal riepilogo finanziario e da una nota sintetica esplicativa. La spesa risultante dal rendiconto "è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà". La previsione è diretta a soddisfare un'esigenza di trasparenza nella gestione, che permetta a ogni condomino di conoscere, non soltanto la propria situazione, ma anche quella degli altri partecipanti. E' onere del condominio, in persona dell'amministratore, dare la prova che il bilancio risponde alle prescrizioni dell'art. 1130-bis. Nel caso in esame: - il Supercondominio Centro (...) non ha dato la prova che il rendiconto 2019-2020 approvato nell'assemblea si componesse dei documenti prescritti; il verbale di assemblea da esso prodotto (doc. 2) non contiene allegati; il verbale prodotto dagli attori (doc. 47) reca in allegato soltanto una ripartizione delle spese fra i 4 condomìni che costituiscono il Supercondominio Centro Sangone; - non è contestato dal supercondominio convenuto che le convocazioni per l'assemblea del 5.5.21 non contenessero il riparto delle spese fra tutti i condòmini del Supercondominio Centro (...); né è contestato che le sole convocazioni indirizzate ai condòmini facenti parte degli edifici di corso (...) e di via (...) contenessero il riparto delle spese fra i soli condòmini di questi edifici; è quindi pacifico che i rendiconti, sulla cui base le assemblee dei singoli sub-condomìni hanno valutato se approvare o non approvare i bilanci, fossero stati redatti in modo diverso in relazione al condominio destinatario. E' opportuno chiarire che i partecipanti al supercondominio non sono i singoli condomìni, bensì i proprietari delle unità immobiliari facenti parte di ciascun sub-condominio. Rispetto alle "parti" o ai "servizi" condivisi fra più edifici o condomìni - condivisione che determina ipso facto l'esistenza del supercondominio - i proprietari delle singole unità immobiliari si atteggiano in modo del tutto uguale a quello dei condòmini di un singolo edificio. Le specificità previste dall'art. 67 disp. att. riguardano unicamente il funzionamento di alcune assemblee del supercondominio (quelle per la gestione ordinaria e per la nomina dell'amministratore nei supercondomini con più di 60 partecipanti) e non determinano uno stravolgimento dell'assetto proprietario né delle regole che presidiano il funzionamento del condominio. Ciò significa che rispetto alle parti e ai servizi "in supercondominio" (e come tali gestiti dal supercondominio) ogni singolo partecipante ha diritto di conoscere la ripartizione globale delle spese, cioè fra tutti i partecipanti al supercondominio, e non soltanto quella relativa all'unità immobiliare (sub-condominio) di cui fa parte. Una simile, parziale, rappresentazione delle spese sarebbe inevitabilmente monca, lo priverebbe della visione di insieme e della possibilità di verificare la correttezza del riparto. Per questa ragione le doglianze degli attori in merito all'irregolarità del rendiconto 2019-20 e, conseguentemente, del preventivo 2020-21, approvati dall'assemblea del 5.5.21, sono fondate. I documenti esaminati e approvati non rendono intellegibile e verificabile il riparto applicato, violando i principi di trasparenza previsti dall'art. 1130-bis c.c. Tanto più questi principi risultano violati in quanto i documenti di bilancio inviati ai condòmini sono stati redatti in modo diverso a seconda dell'edificio di appartenenza. Ma - va detto - la violazione del principio di verificabilità sussiste anche per quei partecipanti che hanno ricevuto il riparto delle spese relative al proprio edificio. Perché, si ribadisce, il riparto avrebbe dovuto riguardare ogni unità immobiliare facente parte del supercondominio. In definitiva, le delibere di approvazione dei bilanci consuntivo e preventivo vanno annullate poiché i documenti approvati sono redatti in modo non conforme alle prescrizioni dell'art. 1130-bis c.c. e, non contenendo il riparto completo delle spese addebitate, violano i principi di trasparenza e verificabilità del rendiconto. 9. Va da ultimo esaminato il motivo di impugnazione con cui gli attori deducono la carenza di potere rappresentativo nell'assemblea del Supercondominio dei rappresentanti dei sub-condomini di via (...). Sul punto va rilevata, in primo, luogo, la carenza di legittimazione a far valere un vizio che soltanto i rappresentati (cioè i condomìni ora citati) avrebbero potuto rilevare. In secondo luogo, il Supercondominio convenuto ha prodotto i verbali di nomina di (...), rappresentante del Condominio di via (...) (doc. 5); e di (...), rappresentante del Condominio di (...) (doc. 6). 10. Alla luce delle considerazioni che precedono, la domanda va accolta limitatamente all'impugnazione dei punti 1 e 2 dell'o.d.g. (approvazione consuntivo 2019-2020 e preventivo 20202021), che vanno annullate. Va invece respinta la domanda di nullità o annullamento della delibera di nomina dell'amministratore (...). 11. Tenuto conto dell'accoglimento parziale (limitatamente a due punti sui tre impugnati), si ravvisano i presupposti per compensare le spese del giudizio in misura di un quarto (1/4). La restante parte delle spese va posta a carico del Supercondominio convenuto. Le spese vengono liquidate come segue, sulla base dei parametri di cui alla Tabella A allegata al D.M. Giustizia n. 55/2014 (come aggiornato con DM 147/2022). Ai fini della liquidazione fra il minimo e il massimo previsti dallo scaglione di riferimento, si tiene conto dell'importanza del procedimento, della complessità e del numero delle questioni trattate, nonché del pregio dell'attività difensiva, desunto anche dalle tecniche redazionali degli atti difensivi - fase di studio Euro 1.701 - fase introduttiva Euro 1.204 - fase decisoria Euro 2.905 E dunque in totale Euro 5.810, oltre Euro 585,74 per spese; spese generali, IVA e CPA come per legge. Oltre alle spese del procedimento di mediazione (sola fase di attivazione) pari a Euro 536. Non si ravvisano i presupposti per l'applicazione dell'art. 4 comma 2 DM 55/2014 (possibilità di aumento in caso di difesa di più soggetti), considerata l'identica posizione delle parti attrici e l'assenza di difese differenziate in relazione a ciascun soggetto. P.Q.M. Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando sulla domanda come sopra proposta, così provvede: annulla la delibera assunta in data 5.5.2021 dall'assemblea del SUPERCONDOMINIO (...), limitatamente ai punti 1 (approvazione consuntivo 2019-20 e relativo riparto) e 2 (approvazione preventivo 2020-2021) dell'o.d.g. rigetta ogni altra domanda delle parti; compensa le spese del giudizio in misura di un quarto (1/4) e condanna il SUPERCONDOMINIO (...) al rimborso della restante parte (3/4) di dette spese favore degli attori, liquidandole, per il loro intero ammontare, in Euro 5.810, oltre Euro 585,74 per spese vive; spese generali, IVA e CPA come per legge; oltre Euro 536 per il procedimento di mediazione. Torino, 14 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE OTTAVA CIVILE in composizione monocratica, in persona del giudice dr. Andrea De Magistris, ha reso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 5418/2021 del ruolo generale degli affari contenziosi TRA (...) (C.F. (...) ) rappresentato e difeso dall'avv. An.Gi. per delega in atti elettivamente domiciliato in Chivasso via (...) presso lo studio dell'avv. Gi.De.. ATTORE contro (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. Sa.Pi. E (...) (C.F (...).) e (...) ((...), rappresentati e difesi dagli avv.ti En.Ca. e St.Sc.. CONVENUTI Oggetto: risarcimento danno locazione RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il sig. (...) è stato, fino al febbraio del 2020, comproprietario con la ex moglie dell'immobile sito in O. via Po n.15.L'immobile veniva locato alla sig.ra (...) dal 1.4.2015 al 31.3.2019, con possibilità di rinnovo per ulteriori quattro anni. In data 30.5.2018 i locatori inviavano lettera raccomandata alla conduttrice con la quale la informavano della loro intenzione di non rinnovare il contratto alla scadenza, stante la necessità di vendere l'immobile in adempimento della omologa di separazione ove era previsto che, con il prezzo ricavato dalla vendita, venissero estinti i debiti assunti nell'interesse dalla famiglia tra cui il mutuo contratto per l'acquisto dell'immobile di cui si discorre. La sig.ra (...) non rilasciava l'immobile alla scadenza e veniva quindi avviata nei suoi confronti la procedura di sfratto per finita locazione. Nel corso di tale procedimento, il Giudice individuava quale data di rilascio dell'immobile il 16.10.2019 ma neppure in tale data la conduttrice provvedeva al rilascio che avveniva solo il successivo 30.11.2019. Nelle more del procedimento, e nonostante le difficoltà riscontrate dall'agente immobiliare incaricato per accedere all'immobile a causa della condotta ostruzionistica della sig. (...), in data 20.5.2019 i sig.ri (...) e (...) sottoscrivevano una proposta di acquisto per il prezzo di Euro 200.000. Tale somma doveva essere corrisposta con le seguenti modalità: Euro 5.000 alla sottoscrizione; Euro 15.000 entro il 15.12.2019 ed Euro 180.000 alla stipula del contratto definitivo. La proposta di acquisto era subordinata a due condizioni: che l'immobile fosse libero alla data del 30.11.2019 e che nel termine essenziale di sessanta giorni dalla proposta venisse deliberato il mutuo per l'acquisto. In ossequio a quanto stabilito con la proposta, l'assegno di Euro 5.000 intestato alla parte venditrice veniva consegnato all'intermediario per essere incassato dai venditori, o restituito agli acquirenti, al verificarsi, o meno, delle condizioni cui la vendita era subordinata. Nel frattempo, nel mese di maggio del 2019, era stato notificato al sig. (...) atto di precetto dalla banca presso la quale era stato acceso il mutuo per l'acquisto dell'immobile concesso in locazione. Procedura che l'attore riusciva a transigere portando a garanzia proprio la proposta di acquisto sottoscritta dai sig. (...) e (...). I promissari acquirenti, dopo una prima visita, effettuavano un secondo accesso all'immobile nel mese di novembre 2019 e riscontravano uno stato di ammaloramento, non sussistente in precedenza. Successivamente riferivano all'intermediario di non poter acquistare l'immobile stante la mancata concessione del mutuo da parte dell'istituto di credito cui si erano rivolti. A causa del mancato avveramento di una delle due condizioni cui era subordinato, il contratto non poteva produrre i suoi effetti. In data 10.2.2020 l'immobile veniva quindi venduto ad altri acquirenti per il prezzo di E.. L'attore chiede di accertare la responsabilità e condannare la convenuta (...) al pagamento della somma di Euro 4.730,00 a titolo di risarcimento dei danni all'immobile locato a causa della omessa manutenzione; accertare la responsabilità per mancato rilascio nel termine e, sempre a titolo contrattuale, la responsabilità per aver ostacolato l'accesso all'immobile da parte di potenziali acquirenti. Chiede, infine, la condanna dei convenuti (...) e (...) al pagamento della somma di Euro 5.000 a titolo di caparra confirmatoria per essere stato il mancato avveramento della condizione una scelta di parte e non della banca; nonché la condanna di tutti i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento della somma di Euro 30.000 a titolo di danno patrimoniale subito per la differenza di prezzo di vendita dell'immobile. Si costituiva la convenuta (...) contestando in fatto e in diritto le pretese avversarie chiedendone il rigetto e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore al pagamento della somma di Euro 4.800 per il mancato godimento del locale autorimessa che, se pure oggetto del contratto di locazione, non era mai stato libero e quindi adibito all'uso previsto. Evidenziava, con riferimento al mancato rilascio dell'immobile locato alla scadenza del contratto, che il termine del 30.11.2019 -data effettiva del rilascio- era stato concordato con i locatori e pertanto non può essere considerato fonte di responsabilità. Negava l'inadempimento dell'obbligo, contrattualmente previsto, di consentire le visite dell'immobile da parte dei potenziali acquirenti rilevando di aver sin da subito fornito la disponibilità per concordare con l'agente immobiliare gli accessi in giorni ed orari compatibili con la propria attività lavorativa. Negava, infine, la propria responsabilità per i danni all'immobile osservando che, al momento della restituzione, l'immobile era stato visionato dalle parti e quindi era stato redatto il verbale di consegna nel quale nulla si indicava a titolo di lamentati danni. Si costituivano anche i convenuti (...) e (...) negando ogni responsabilità. In particolare, affermavano che la proposta di acquisto e il successivo contratto preliminare erano condizionati alla concessione del mutuo da parte della banca e quindi nulla era dovuto a titolo di caparra confirmatoria; così come la loro condotta non poteva aver ingenerato alcun affidamento del venditore nella buona riuscita dell'affare stante il mancato avveramento delle condizioni cui il contratto era subordinato. Chiedevano pertanto il rigetto delle domande dell'attore perché infondate in fatto e in diritto. Svolta l'attività istruttoria richiesta, consistita nella escussione testi, interrogatorio formale delle parti ed espletamento di CTU, all'udienza del 24.11.2022, le parti precisavano le conclusioni e il giudice tratteneva la causa a decisone assegnando alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2. Le domande di parte attrice sono solo parzialmente fondate. 2.1 Sulla richiesta di risarcimento dei danni all'immobile locato In ordine alla richiesta di condanna della parte conduttrice (...) per i danni arrecati all'immobile si osserva quanto segue. Il verbale di riconsegna dell'immobile (doc. 14 parte attrice) fotografa la situazione alla data del 30.11.2019. Nel verbale di riconsegna non si dà atto di danni all'immobile al momento del rilascio. In osservanza alla regola circa il riparto dell'onere della prova, spetta al locatore provare i danni ulteriori ovvero quelli che, non rilevati al momento della redazione del verbale di riconsegna, lo siano stati in un secondo momento, in quali circostanze e per quali ragioni e perché siano attribuibili al conduttore, ciò per vincere la presunzione, relativa e derivante dal verbale di riconsegna, che l'immobile in data 30.11.2019 non presentasse danni. Il locatore produce una relazione tecnica dalla quale risulta l'indicazione dei danni all'immobile e le spese necessarie per il ripristino. Si tratta, in particolare, delle spese di sanificazione e tinteggiatura per rimuovere le muffe; spese per il ripristino della muratura al fine di eliminare i tasselli posti in varie parti dell'immobile; spese per la riparazione delle porte interne danneggiate nella parte bassa da possibili graffi di animali domestici. Con riferimento all'obbligo di restituzione della cosa locata gravante sul conduttore, l'art. 1590 c.c. esprime una regola generale dalla quale discende l'obbligo del conduttore di restituire la cosa avuta in godimento nello stato in cui l'ha ricevuta in consegna, fatta salva la possibilità di un deterioramento normale della res, conseguente all'uso corretto del bene oppure alla vetustà e che, quindi, il locatore è tenuto a sopportare. Conformemente a tale regola generale, la giurisprudenza ha chiarito, ad esempio, che non spetta al locatore alcun risarcimento del danno per mancata tinteggiatura dell'immobile al momento della restituzione, trattandosi di spesa di ordinaria manutenzione che la legge pone a carico del locatore. Ne deriva che, nella generalità dei casi, se al momento della riconsegna l'immobile locato presenta danni eccedenti il normale deterioramento, incombe sul conduttore l'obbligo di risarcire tali danni che vanno provati dal locatore, il quale deve dimostrarne l'esistenza, la consistenza e la riconducibilità all'uso difforme o cattivo fattone dal conduttore. Il conduttore adempie correttamente l'obbligo della riconsegna ed è liberato da ogni responsabilità se dimostra che i danni lamentati rientrano nell'ambito del normale degrado d'uso. Nel caso di specie, deve ritenersi, quanto ai danni alla muratura -presenza di muffe con conseguente necessità di santificazione e tinteggiatura, e fori sulle pareti dovuti all'installazione di arredo- che essi siano da ricondurre nell'ambito di un deterioramento "normale" dell'immobile. Infatti, da un lato, la presenza di muffe è stata denunciata nel corso del rapporto e gli interventi necessari per la sua rimozione non rientrano nel novero delle spese ordinarie di manutenzione poste a carico del locatario. A fronte della denuncia da parte di quest'ultimo spetta al locatore attivarsi per la realizzazione degli interventi necessari ad evitare il deterioramento. In assenza della prova della riconducibilità dei danni al comportamento del conduttore, infatti, la responsabilità del lamentato danno è da ascrivere all'inadempimento del proprietario dell'immobile dell'obbligo di mantenere la cosa locata in buono stato abitativo. Dall'altro lato, la presenza di fori nel muro per la installazione di pensili è, per giurisprudenza costante, da ricondurre all'uso normale dell'immobile. Il locatore non può infatti addossare al locatore spese di manutenzione, nella specie di stuccatura, che determinerebbero un suo indebito vantaggio in aggiunta al canone di locazione già percepito e nella determinazione del quale si tiene conto del deterioramento che la cosa locata può subire nel corso e per effetto del rapporto. A conclusioni diverse deve giungersi con riferimento ai graffi presenti sulle porte interne dell'appartamento. Dalla documentazione fotografica allegata alla perizia (doc. 23 parte attrice) risultano graffi e danneggiamenti in diverse punti delle porte interne. Nel contratto di locazione nulla viene indicato con riferimento alle condizioni dell'immobile al momento della consegna. L'art. 1590 c. 2 c.c. dispone che in mancanza di descrizione delle condizioni dell'immobile al momento della consegna, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione. Per vincere tale presunzione il conduttore deve provare rigorosamente che le condizioni dell'immobile alla data di inizio della locazione erano dipendenti dall'incuria del locatore nell'ordinaria e straordinaria manutenzione. Nel caso di specie il conduttore si è limitato a contestare la riconducibilità dei riscontrati danni al periodo della locazione senza fornirne la relativa prova. La somma necessaria per il ripristino è quantificata, nel preventivo allegato alla perizia (doc. 23 parte attrice), in Euro 1.830, tale somma il giudice ritiene di poter considerare ai fini della liquidazione equitativo ex art. 1226 c.c. In conclusione, vi è la prova dell'esistenza di danni all'immobile locato al momento del suo rilascio che fondano la responsabilità del conduttore ex art. 1590 c.c. per Euro 1.830,00. 2.2 Sulla responsabilità del conduttore per aver ostacolato le visite all'immobile da parte di possibili acquirenti La prova sul punto non è stata raggiunta anzi è provato che nel periodo successivo alla convalida dello sfratto e quindi alla risoluzione del contratto di locazione per effetto della disdetta alla prima scadenza i sig.ri (...) e (...) abbiano potuto visionare l'immobile e già a maggio 2019 formulare la proposta di acquisto. Non sono provate ulteriori circostanze nel corso delle quali la sig.ra (...) abbia ostacolato le visite già programmate da parte dell'agente immobiliare con potenziali acquirenti. La domanda è quindi infondata. 2.3 Sulla responsabilità da mancato rilascio dell'immobile alla scadenza L'art. 1591 c.c. dispone che il conduttore in ritardo nella riconsegna della cosa locata è tenuto, dalla data di cessazione del contratto, al pagamento del corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, oltre al risarcimento del maggior danno subito dal locatore. Tuttavia, mentre il credito da corrispettivo convenuto fino alla riconsegna - costituendo una forma di risarcimento minima prevista dalla legge per la mancata disponibilità dell'immobile - prescinde dalla prova di un danno concreto al locatore, il maggior danno deve esser dimostrato dal locatore, ad esempio dimostrando di non aver potuto locare a canone più elevato l'immobile o venderlo a condizioni vantaggiose o utilizzarlo direttamente. Nel caso di specie l'attore lamenta di non aver potuto vendere l'immobile locato a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle alle quali ha poi effettivamente ceduto l'immobile, ma non fornisce la prova della riconducibilità di tale danno al mancato rilascio da parte della conduttrice. Infatti, la mancata conclusione del contratto di compravendita con i signori (...) per il prezzo di Euro 200.000 non è avvenuta per il mancato rilascio dell'immobile ma per non avere gli acquirenti ottenuto il mutuo alla concessione del quale avevano subordinato l'acquisto. La domanda è quindi infondata. 2.4 Sulla caparra confirmatoria L'attore chiede la corresponsione da parte dei convenuti (...) e (...) della somma di Euro 5.000, qualificata quale caparra cofirmatoria nella proposta d'acquisto del 20.5.2019. Afferma l'attore che il mancato avveramento della condizione cui la corresponsione della somma era subordinata sia da addebitare agli stessi convenuti. Nell'allegato B alla proposta di acquisto (doc. 2 di parte convenuta) si legge "la presente proposta è sospensivamente subordinata alla delibera del mutuo da parte dell'istituto mutuante che dovrà pervenire nell'essenziale termine di giorni 60 dall'accettazione della proposta. Decorso infruttuosamente quest'ultimo termine senza l'avveramento della condizione che lo prevede, la proposta ed il preliminare diventeranno definitivamente inefficaci. L'assegno di caparra cofirmataria resterà in custodia dell'agente immobiliare sino all'avveramento o non della condizione. In ipotesi di avveramento sarà consegnato al venditore. In ipotesi contraria sarà restituito all'acquirente.". Dai documenti prodotti da parte convenuta (doc. 3 e doc. 4) risulta altresì che l'istituto di credito, cui i promissari acquirenti si erano rivolti, ha risposto alla richiesta di mutuo comunicando in data 29.8.2019 l'esito positivo delle verifiche reddituali con riferimento al sig. C.. Quanto alla richiesta della sig.ra (...) la comunicazione della mancata accettazione della richiesta è datata 18.11.2019. La delibera del mutuo da parte dell'istituto di credito, espressamente dedotta in condizione, è datata 29.8.2019 con riferimento alla richiesta del (...), quindi ben oltre i 60 giorni indicati quale termine essenziale nella proposta di acquisto. Oltre tale termine la proposta deve ritenersi definitivamente inefficace. Poiché la caparra svolge la funzione di impegnare maggiormente le parti all'adempimento delle obbligazioni assunte rafforzando il vincolo contrattuale e manifestando la serietà delle intenzioni dei contraenti essa deve essere restituita in caso di adempimento ("l'art. 1385 c.c. stabilisce che "se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta") mentre deve essere trattenuta in caso di inadempimento ("se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra"). Non essendosi verificato alcun inadempimento rispetto all'obbligo assunto dai promissari acquirenti, per quanto sin qui detto, l'assegno di Euro 5.000 è stato pertanto correttamente restituito alla parte promissaria acquirente, in adempimento di quanto risulta dall'all. B. La domanda è quindi infondata. 2.5 Sulla responsabilità ex art. 1175 c.c. dei promissari acquirenti L'attore afferma che la condotta tenuta dai convenuti, tra la data della proposta di acquisto e la comunicazione all'agente immobiliare della mancata concessione del mutuo, ha ingenerato un suo legittimo affidamento nella positiva conclusione dell'affare. A tale proposito si deve richiamare quanto osservato in precedenza in ordine alla efficacia della proposta d'acquisto. Allo scadere del sessantesimo giorno dalla proposta questa ed il successivo preliminare, dovevano considerarsi risolti per mancato avveramento della condizione sospensiva. A fronte di una proposta di acquisto ormai risolta il venditore è tenuto a provare che la condotta tenuta successivamente dai sig. (...) e (...) abbia ingenerato un suo legittimo affidamento alla conclusione dell'affare. Il fatto che i sig. (...) e (...) abbiano visionato nuovamente l'immobile nel mese di novembre 2019, e quindi ben oltre la data di risoluzione della proposta, non è -da sé solo-elemento idoneo a determinare un legittimo affidamento del venditore. In assenza di un vincolo contrattuale con gli odierni convenuti egli avrebbe potuto far visionare l'immobile ad altri potenziali acquirenti. Inoltre, è verosimile che i convenuti fossero ancora interessati all'immobile nonostante fossero svincolati dagli effetti della precedente proposta ma stessero valutando se formularne una nuova a condizioni diverse, circostanza che non poteva far sorgere alcun affidamento tutelabile in capo al venditore analogamente a quanto avviene in occasione delle visite all'immobile posto in vendita che non fa sorgere effetti obbligatori né interessi giuridicamente tutelabili in capo al venditore o al potenziale acquirente. La domanda è infondata. 3.Sulla domanda riconvenzionale di parte convenuta G. La parte convenuta (...) chiede la condanna del locatore per il parziale godimento dell'immobile locato. In particolare, afferma di non aver potuto godere del locale autorimessa per essere stato, per l'intero periodo della locazione, occupato da beni del locatore. Chiede pertanto la restituzione della parte di canone corrisposto a tale titolo e che indica, nella comparsa di costituzione, in Euro 4.800, poi ridotta, in adesione alle conclusioni raggiunte dal CTU, ad Euro 3.360. L'attore chiede il rigetto della domanda eccependo l'intervenuta decadenza dal diritto al rimborso. Nel corso dell'istruttoria è stata espletata CTU con la quale è stato richiesto al consulente del giudice di indicare l'incidenza in termini economici sul canone pattuito tra le parti della circostanza allegata dalla conduttrice (...) e riguardante il mancato utilizzo del box auto, stabilendo la decurtazione da apportare al canone stabilito in caso di mancato utilizzo del box in questione. Il consulente concludeva che la decurtazione da apportare al canone stabilito, in caso di mancato utilizzo del box in questione, è pari ad Euro 60,00 mensili corrispondenti al 12% del canone pattuito. La circostanza che il locale autorimessa, pure se oggetto del contratto di locazione (all. 1 parte attrice) non fosse libero e quindi ne fosse consentito solo un uso limitato e comunque non conforme alla sua destinazione, è stata accertata nel corso dell'istruttoria attraverso l'interrogatorio formale del sig. (...) e l'escussione dei testi (...) e (...). La domanda riconvenzionale può quindi dirsi fondata e deve essere accolta nella misura di Euro 2.880 determinata moltiplicando la somma di Euro 60,00 mensili, come quantificata dal CTU, per l'intera durata del rapporto di locazione contrattualmente prevista. L'accoglimento della domanda riconvenzionale, seppure in misura ridotta, per Euro 2.880, consente la compensazione delle spese in ragione della reciproca soccombenza. 4. Sulle spese di lite Le spese di lite sono compensate tra la parte attrice e la parte convenuta (...) attesa la reciproca soccombenza. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono, quindi, poste a carico della parte attrice (...) in favore della parte convenuta (...) con distrazione in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari. Sono liquidate ai valori medi scaglione sino a 52.000 Euro del D.M. n. 147 del 2022 con riduzione della fase decisionale avuto riguardo alla consistenza dell'attività difensiva e alla relativa semplicità della causa. Le spese di CTU sono poste al 50% ciascuno a carico di parte attrice e di parte convenuta (...). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria o diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede: 1) Condanna la parte convenuta (...) a corrispondere alla parte attrice (...) la somma di Euro 1.830 a titolo di risarcimento del danno oltre interessi dalla domanda; 2) Condanna la parte attrice (...) a corrispondere alla parte convenuta (...) la somma di Euro 2.880 a titolo di rimborso dei canoni di locazione oltre interessi dalla domanda; 3) Rigetta tutte le restanti domande; 4) Compensa le spese di lite tra la parte attrice e la parte convenuta (...); 5) Condanna la parte attrice alla rifusione in favore della parte convenuta (...) e (...) delle spese di lite che si liquidano in Euro 6.211,00 (Euro 1.701,00 fase di studio; Euro 1.204,00 fase introduttiva; Euro 1.806,00 fase istruttoria; Euro 1.500 fase decisionale) per compensi professionali oltre rimborso spese generali al 15%, C.P.A. e IVA come di legge, con distrazione in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari. 6) Spese di CTU al 50% a carico di parte attrice e al 50% a carico di parte convenuta (...). Così deciso in Torino il 13 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO sezione IV CIVILE Il giudice dr.ssa Valeria Di Donato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N.R.G. 992 dell'anno 2019 TRA (...), C.F. (...), con l'Avv. (...) ATTORE E AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA' DI TORINO (C.F. 11632570013), in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. (...), che lo difende e rappresenta come da procura in atti CONVENUTA OGGETTO: responsabilità medico - sanitaria - risarcimento danni rassegnate dalle parti le seguenti CONCLUSIONI Le parti hanno precisato le conclusioni come da note scritte depositate ex art. 83 comma 7, lett. h) del D.L. n. 18/2020, conv. con modificazioni dalla L. n. 27/2020, per l'udienza figurata a trattazione scritta del 15 dicembre 2022. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha convenuto in giudizio l'AZIENDA SANITARIA LOCALE "CITTA' DI TORINO" per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e causati nell'esecuzione dell'intervento di artrodesi strumentata L4-L5 con innesti ossei da cresta iliaca, a cui si è sottoposto presso l'Ospedale Evangelico Valdese, struttura ospedaliera ora facente parte dell'A.S.L. "Città di Torino", il 14.01.2010; danni ascrivibili all'inadempimento e/o inesatto adempimento da parte degli ausiliari della struttura che l'aveva in cura. In particolare, (...) ha dedotto che: - in data 14.01.2010 si sottoponeva ad intervento di "artrodesi strumentata L4-L5 con innesti ossei da cresta iliaca", che prevedeva la stabilizzazione chirurgica della colonna a livello L4-L5 mediante applicazione di viti transpeduncolari solidarizzate a base metallica, a seguito di una diagnosi di "lombalgia da discopatia degenerativa L4-L5", presso l'Ospedale Evangelico Valdese di Torino; - in data 28.06.2010, non essendo venuta meno la sintomatologia algica, presso la medesima struttura sanitaria si effettuava, nei confronti di (...), Tc del rachide lombosacrale, le cui immagini mostravano la vite superiore di sinistra "leggermente medializzata"; - alla visita del 10.9.2010, riscontrato che "nei recenti esami (RMN e TAC) si riconosce la presenza di una eccessiva medializzazione della vite sinistra in L4", si indicava la necessità di un ricovero per riposizionamento o rimozione dei mezzi di sintesi; - in data 23.11.2010, per supposta "intolleranza a mezzo di sintesi", (...), su indicazione dei sanitari dell'Ospedale Evangelico Valdese, era costretto a sottoporsi a un ulteriore intervento di chirurgico, in cui venivano asportati i mezzi di sintesi di sinistra "e soprattutto della vite su L4, probabilmente indirizzata troppo medialmente. Si lasciano in sede i mezzi di sintesi a destra, in quanto la fusione ossea è anche al di sopra della bara, e non la si vuole asportare". - nessuno dei due interventi raggiungeva il risultato atteso di risolvere il problema di lombalgia da discopatia degenerativa L4-L5 affliggente (...) e di migliorarne lo stile di vita, anzi ne comportavano un netto peggioramento, data l'insorgenza di dolori irradiati agli arti inferiori; - in data 15.02.2012, persistendo la sintomatologia dolorosa, (...) chiedeva ed otteneva il riconoscimento della invalidità civile accertata nella misura del 46%; - parallelamente all'iter per il riconoscimento dell'invalidità civile, (...) diffidava al risarcimento di tutti i danni patiti il Responsabile del Servizio Gestione del Rischio Assicurativo dell'ASL TO1. In risposta, il dott. (...), il 14.05.2014, formulava via mail un'offerta transattiva di euro 1.700,00 oltre a spese legali, tenendo conto della "effettiva posizione non corretta della vite". - dalla relazione medico legale redatta dal dr. (...), cui il ricorrente si è rivolto per effettuare una visita medico legale, in data 22.9.2016, emergeva che "dall'intervento chirurgico del 14 gennaio 2010 di artrodesi vertebrale sia subentrata lesione iatrogena per mal posizionamento della vite superiore di sinistra" che "rendeva necessario un secondo intervento chirurgico per la rimozione dei mezzi di sintesi a sinistra", con un residuo "danno biologico pari al 6% causato da manovra incongrua tale da giustificare colpa professionale. Sussiste inabilità temporanea biologica pari a giorni 9 a totale, 307 al 75% e 30 al 50% e 20 al 25%"; - l'esperita procedura di mediazione si concludeva con esito negativo. Tanto premesso, l'odierno attore ha convenuto in giudizio l'A.S.L. "Città di Torino" - Ospedale Evangelico Valdese, per dichiararla tenuta e condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti all'esito dell'intervento di artrodesi strumentata L4-L5 con innesti ossei su cresta iliaca, quantificati nell'atto di citazione nella misura di Euro 20.763,39, oltre rivalutazione e interessi. L'A.S.L. "Città di Torino" si è costituita in giudizio escludendo l'addebito di ogni profilo di responsabilità della struttura convenuta e dei sanitari, contestando la sussistenza del nesso causale tra le prestazioni eseguite e il danno lamentato e deducendo l'assenza di profili di malpractice. In particolare, ha evidenziato, quanto alla totale assenza da parte del personale medico ospedaliero di qualsivoglia inadempimento dotato di efficienza eziologica rispetto al danno lamentato, che anche a voler ammettere una eccessiva medializzazione della vite sinistra in L4, non è certo questa la causa dei dolori lamentati da (...), da rinvenirsi nella natura degenerativa della discopatia, nello stile di vita scorretto, nell'inosservanza delle indicazioni terapeutiche od altro. Pertanto, ha chiesto il rigetto di tutte le domande ex adverso proposte, perché infondate in fatto e in diritto. Occorre premettere che, con riferimento alla chiamata in causa dei medici che hanno eseguito l'intervento chirurgico de quo preliminarmente domandata dalla Azienda Ospedaliera, la scrivente ribadisce quanto già statuito nell'ordinanza 07.06.2019, le cui motivazioni a riguardo si richiamano e confermano integralmente. Ciò premesso, in via generale si osserva che i fatti storici dedotti in atto e l'iter chirurgico e terapeutico post operatorio cui l'attore è stato sottoposto presso la struttura convenuta non sono oggetto di contestazione tra le parti e risultano, comunque, provati dalla documentazione versata in atti e dalla ricostruzione contenuta nella consulenza tecnica d'ufficio espletata nel presente giudizio, che si richiamano integralmente sul punto. Quanto all'inquadramento giuridico dell'invocata responsabilità della struttura ospedaliera convenuta nell'ambito della responsabilità contrattuale, pare opportuno evidenziare, essendosi il fatto dannoso allegato verificatosi in data 14.01.2010 ma il presente giudizio instaurato nel 2019, che le novità normative (di natura sostanziale) introdotte dalla cd. legge Gelli - Bianco (che comunque per quel che qui rileva non hanno modificato il titolo contrattuale della responsabilità delle strutture sanitarie) non sono applicabili alla fattispecie in esame. Con la pronuncia n. 28811 dell'8.11.2019 la S.C. ha affermato il principio della irretroattività delle norme dettate Legge n. 24 del 2017 a fatti verificatisi antecedentemente alla loro entrata in vigore, in assenza di una norma ad hoc che deroghi al principio generale posto dall'art. 11 delle preleggi. La responsabilità della struttura sanitaria convenuta va, pertanto, pacificamente qualificata di natura contrattuale e va inquadrata nell'ambito della disciplina dettata dagli artt. 1218, 1228 e 1176 cod. civ., in conformità con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi per i rapporti sorti prima dei richiamati interventi legislativi, che di seguito si riassume. L'assistenza sanitaria fornita dall'azienda ospedaliera determina la riconducibilità della responsabilità della struttura "ad un autonomo contratto (di "spedalità), la sua responsabilità per inadempimento si muove sulle linee tracciate dall'art. 1218 c.c. e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d'opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell'ente per fatto del dipendente sulla base dell'art. 1218 c.c." (cfr. Cass. Civ. Sez. Unite 11.01.2008, n. 577). Questa Giudice, dunque, ritiene di dover aderire al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, confermato anche dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 576 del 2008, secondo cui tra la struttura sanitaria presso cui il paziente viene ricoverato o sottoposto a visita ambulatoriale o ad altri accertamenti, il medico che lo prende in cura ed il paziente stesso, sorga un vero e proprio contratto, soggetto in quanto tale alla disciplina dettata in materia di inadempimento del debitore nei rapporti aventi ad oggetto prestazioni professionali e ciò, anche per quanto riguarda il rapporto tra il singolo medico curante ed il paziente, sia che si intenda aderire alla nota teoria del cd. "contatto sociale" sia che si ravvisi anche nel rapporto medico - paziente un contratto atipico a prestazioni corrispettive. (Cass. n. 1698 del 2006; Cass. n. 9085 del 2006; Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316 e, più di recente Cass. n. 18392/2017). La conseguenza diretta della scissione dei due rapporti contrattuali è la configurabilità di una responsabilità risarcitoria dell'ente pubblico o privato in cui viene accettato il paziente anche in assenza di una specifica responsabilità del medico dipendente ma per violazione delle singole, diverse e autonome obbligazioni assunte dalla struttura nei confronti del paziente, mentre laddove si deduca una condotta negligente del personale sanitario, la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, ex art. 1228 c.c. (Cass. n. 1620/2012) In applicazione dei principi generali sul riparto dell'onere probatorio in materia contrattuale, e in particolare di quelli dettati dalla già richiamata pronuncia del 2008, deve ritenersi che gravi sul paziente danneggiato la prova della fonte negoziale e dell'attività professionale svolta, del fatto dannoso (insorgenza o aggravamento della patologia) e del nesso causale, nonché l'allegazione dell'inadempimento quale comportamento astrattamente e causalmente idoneo alla produzione del danno, mentre competa al debitore la dimostrazione dell'esatto adempimento o della insussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta e l'evento di danno (cfr. Cass. Sez. Un. 13533/2001). Più precisamente, superata la tradizionale dicotomia tra obbligazione di mezzi e di risultato, in applicazione dei criteri generali di cui agli artt. 1218 e 1176 cod. civ., è onere del paziente provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria (e quindi il nesso causale con essa), restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile con l'uso dell'ordinaria diligenza da lui esigibile in base alle conoscenze tecnico -scientifiche del momento. (cfr. Cass. n. 28989/2019; n. 21177/ 2015; n. 17413/2012; n. 12274/2011; n. 4210/04). Il nesso causale tra la prestazione professionale eseguita e il danno lamentato, in quanto fatto costitutivo della domanda risarcitoria, deve essere provato dalla parte attrice. Sul punto è illuminante la pronuncia della S.C. n. 18392 del 2017 (i cui principi sono stati ribaditi con la già citata pronuncia n. 28811/2019 e ancora con la pronuncia n. 29501/2019) secondo cui nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si delinea "un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)" (cfr. Cass. n. 18392/2017; n. 26700/2018). Alla luce dei predetti principi e della ritenuta natura contrattuale della responsabilità medica, si osserva che nel caso in esame la parte attrice ha assolto agli oneri probatori attinenti al ciclo causale relativo all'evento dannoso, mentre la parte convenuta non ha fornito idonea prova in ordine alla possibilità di adempiere. Infatti, l'attore ha allegato, quale inadempimento astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato ad esito del primo intervento chirurgico, una manovra incongrua, tale da giustificare colpa professionale, di mal posizionamento della vite superiore sinistra. L'allegato inadempimento si sostanzia in un errore tecnico che trova plurimi riscontri nella documentazione medica allegata agli atti di causa. Il primo rilievo si ha in data 28.6.10, allorché (...) si sottoponeva a TAC, che evidenziava come: "la vite superiore di sinistra appare leggermente medializzata" (doc. 5 parte attrice). In seguito, in data 10.9.2010, in sede di visita specialistica ortopedica, riscontrato che "nei recenti esami (RMN e TAC) si riconosce la presenza di una eccessiva medializzazione della vite sinistra in L4", si programmava un intervento di riposizionamento o rimozione dei mezzi di sintesi per il 23.11.10 (doc. 6 parte attrice). Invero, la necessità di un secondo intervento correttivo, effettuato in data 23.11.10, non può che avallare la sussistenza dell'allegato errore tecnico. In particolare, nell'atto operatorio si legge: "asportazione dei mezzi di sintesi a sinistra, soprattutto della vite su L4, probabilmente indirizzata troppo medialmente. Si lasciano in sede i mezzi di sintesi a destra" (doc. 6 parte attrice). Il mal posizionamento è riscontrato altresì dalla missiva, inviata in data 14.05.14 dal dott. (...) (doc. 10), in cui quest'ultimo "tenuto conto dell'effettiva posizione non corretta della vite (pur in assenza di una risoluzione del problema alla sua rimozione)", offriva all'attore, a titolo transattivo, la cifra di euro 1.700,00, oltre spese legali. Dell'allegato mal posizionamento si è specificamente occupata la C.T.U. esperita in corso di giudizio. Premesso che non è oggetto di contestazione la correttezza circa la scelta iniziale del tipo di intervento di artrodesi strumentata, in quanto il C.T.U. dott. (...), in termini condivisi con i C.T.P. dott. (...) e dott.ssa (...), ha precisato che nessuna censura va mossa circa la scelta iniziale del tipo d'intervento, in quanto "l'indicazione clinica all'intervento appare corretta ed in linea con quanto riportato in letteratura", la questione investe essenzialmente la conduzione tecnica dell'intervento e, nel dettaglio, la riscontrata medializzazione della vite peduncolare superiore di sinistra. Il C.T.U., dall'esame della letteratura, ha evidenziato che il tasso di "mal posizionamento" della vite viene valutato in un range del 21%-40% indipendentemente dall'uso o meno, nell'esecuzione dell'intervento di artrodesi, di un sistema chirurgico di navigazione (p. 15 relazione C.T.U.). Secondo il C.T.U., pertanto: "la non perfetta collocazione della vite peduncolare si verifica in un tasso di incidenza tale da poter essere ragionevolmente considerata una complicanza della procedura operatoria". Peraltro, come ha chiarito il medesimo consulente: "proprio per evitare ciò la tecnica chirurgica si è raffinata impiegando sistemi di "navigazione" chirurgici, che però alla luce dei fatti hanno migliorato di un 6% una tecnica affidabile a oltre il 90% nelle mani di chi è padrone della tecnica operatoria" (p. 15 relazione C.T.U.). Tuttavia, tali iniziali generiche affermazioni del consulente d'ufficio, secondo cui il danno patito dal paziente doveva ritenersi una "complicanza", si presentano giuridicamente irrilevanti, posto che non è sufficiente a consentire al medico di andare esente da condanna la sussistenza d'una causa di esclusione della colpa solo astrattamente ipotizzabile. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità: "col lemma "complicanza", la medicina clinica e la medicina legale designano solitamente un evento dannoso, insorto nel corso dell'iter terapeutico, che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile. Tale concetto è inutile nel campo giuridico. Quando, infatti, nel corso dell'esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l'una: - o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le "complicanze"; - ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della "causa non imputabile" di cui all'art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le "complicanze". Al diritto non interessa se l'evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa solo se quell'evento integri gli estremi della "causa non imputabile": ma è evidente che tale accertamento va compiuto in concreto e non in astratto. La circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come "complicanza" non basta a farne di per sè una "causa non imputabile" ai sensi dell'articolo 1218 c.c.; così come, all'opposto, eventi non qualificabili come complicanze possono teoricamente costituire casi fortuiti che escludono la colpa del medico". (cfr Cass. 813328 del 30 giugno 2015). Pertanto, si domandavano chiarimenti al C.T.U., in ordine alla specificazione se tale complicanza fosse prevedibile ed evitabile ovvero imprevedibile e inevitabile e alle cautele poste in essere dal medico operante per la prevenzione della stessa. In sede di chiarimenti, il C.T.U. ribadiva che il posizionamento della vite non ottimale rappresenta un'evenienza ampiamente descritta dalla letteratura e assai frequente. Precisava che in tale campo è in corso una continua ricerca scientifica, volta alla creazione di sistemi robotizzati o computer assistiti volti a meglio guidare la mano del chirurgo nella introduzione della vite peduncolare (p. 26 relazione C.T.U.). Invero, il C.T.U. dava atto della difficoltà di inquadrare il caso di specie, nei seguenti termini: "nel caso in esame, oltretutto, siamo al limite del non corretto posizionamento della vite in quanto con la tecnica in-out-in (dentro-fuori dentro) la medializzazione è ritenuta accettabile negli interventi per patologia deformativa del rachide" (p. 27 relazione CTU). Ancora, in sede di contro-osservazioni ai rilievi del C.T.P. attoreo, il C.T.U. rilevava come: "esistano dei fini limiti fra la complicanza da me inizialmente segnalata ed il documentato mal posizionamento della vite transpeduncolare così come segnalato strumentalmente in riferimento agli accertamenti radiografici" ed ammetteva che: "risulta difficile riuscire a discriminare tra il fisiologico non perfetto posizionamento di una vite rispetto ad un alterato posizionamento della medesima che invece potrebbe anche essere considerato un errore di tecnica" (p. 25 relazione C.T.U). In conclusione, il C.T.U. aderiva alle considerazioni del C.T.P. dott. (...), proprio con riferimento alla definizione di "malposizionamento della vite transpeduncolare", che "effettivamente potrebbe far comprendere come vi sia stato un minimo di scostamento dalla corretta tecnica, quindi oltre la mera complicanza" (p. 25 relazione CTU). Il C.T.U., le cui conclusioni possono accogliersi perché immuni da vizi logici oltre che fondate su elementi oggettivi risultanti dalle emergenze documentali, ha confermato pertanto, dopo una iniziale apertura ad accogliere l'ipotesi della complicanza, la sussistenza dell'errore medico allegato da parte attrice, con riconoscimento di un correlato periodo di inabilità temporanea. La tesi della complicanza, seppure prospettata dal consulente d'ufficio, non può accogliersi per la dirimente ragione del mancato assolvimento dell'onere della relativa prova da parte della convenuta. Ribadito che la circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come "complicanza" non basta a farne di per sé una "causa non imputabile' ai sensi dell'articolo 1218 c.c., la giurisprudenza di legittimità opera la seguente ripartizione probatoria nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico: - o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis, ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle "complicanze"; - ovvero, all'opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: ed allora non gli gioverà la circostanza che l'evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacché quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto. Prevedibilità ed evitabilità del caso concreto che, per quanto detto, è onere del medico dimostrare (cfr. Cass. 813328 del 30 giugno 2015). Orbene, nel caso di specie la parte convenuta non ha offerto idonea prova di aver tenuto, nell'esecuzione dell'intervento di artrodesi strumentata, una condotta conforme alla miglior tecnica disponibile; in particolare, confrontandosi con i sistemi di intervento citati dal C.T.U., nonché con l'idoneità della tecnica prescelta ad offrire la miglior accuratezza possibile nel posizionamento della vite, in via da poter inquadrare il mal posizionamento quale esito inevitabile dell'operazione concreta. Nel dettaglio, la consulenza si riferisce alla possibilità di utilizzare un sistema chirurgico di navigazione nel posizionamento della vite, in grado di aumentare di 6 punti percentuali le possibilità di buona riuscita dell'intervento. Inoltre, in sede di chiarimenti, il C.T.U. ha indicato, quale tecnica utilizzata nel caso di specie, quella cd. in-out-in, che però non trova riscontro nella documentazione medica allegata agli atti. Lo stesso attore, in sede di comparsa conclusionale, ha dichiarato di venire a conoscenza della tipologia di tecnica operatoria adottata solo dalla lettura della consulenza. In definitiva, la domanda risarcitoria va accolta sul presupposto che, a fronte dell'allegato inadempimento, riscontrato dalla C.T.U., spettava alla parte convenuta fornire la prova della propria diligenza e che tale prova non è stata fornita, nella misura in cui la parte convenuta non ha chiarito e circostanziato la tipologia di tecnica prescelta, né se si trattasse della miglior tecnica adottabile, al momento dell'intervento, nell'esecuzione della chirurgia. Pertanto, deve ritenersi provata la sussistenza del nesso di causalità tra le terapie e le cure prestate dai sanitari in favore dell'attore nel periodo di ricovero sopra indicato e il danno lamentato dal medesimo, come delimitato e quantificato dal consulente peritale, in ragione dei noti criteri probabilistici della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non" (cfr. Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 576), non avendo, peraltro, la struttura resistente dimostrato di aver adempiuto esattamente la prestazione o la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione. In definitiva, la domanda proposta dall'odierno attore nei confronti della struttura sanitaria convenuta deve trovare accoglimento. Passando alla quantificazione del danno risarcibile, occorre precisare che non è riconoscibile, secondo quanto affermato anche da parte attorea, alla luce delle conclusioni precisate in sede di note scritte del 09.12.2022, alcun danno biologico di natura permanente, ad esito dell'intervento di artrodesi strumentata. Secondo quanto condivisibilmente concluso dal C.T.U., cui parte attrice si è conformata ad esito dell'istruttoria: "lo stato di invalidità permanente riportato dal paziente non appare causalmente riconducibile all'operato dei sanitari, essendo conseguenza di uno stato di discopatia cronica preesistente" (cfr. p. 20 relazione C.T.U.). Passando al danno biologico temporaneo, il C.T.P. dott. (...), in sede di relazione medico legale del 22.9.2016, considerava: "riconoscibile a (...) quantomeno una temporanea biologica pari al periodo compreso tra il primo ed il secondo intervento chirurgico, nella misura di 45 giorni al 75%, 120 al 50% e 150 al 25%". Peraltro, la parte attrice nella precisazione delle conclusioni ha aderito alla diversa periodizzazione dell'inabilità temporanea operata dal C.T.U. nei seguenti termini: "un periodo di inabilità temporanea, contenuto peraltro entro i limiti stretti dell'intervento e di un ragionevole post operatorio quale si osserva generalmente in questo tipo di chirurgia: 30 giorni complessivi, di cui 3 a totale, 15 a parziale massima al 50% e 12 a parziale minima al 25%". Tale danno, secondo la prospettazione di parte attrice, è da quantificarsi in complessivi Euro 2.004,75, utilizzando all'uopo le tabelle di Milano e stimando un punto di invalidità al giorno per Euro 99,00, inclusa la "personalizzazione" del danno. In ordine al primo profilo, va chiarito che con la decisione Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28990, la Corte di Legittimità ha trattato in particolare la disposizione, introdotta dal c.d. decreto Balduzzi (e confermata dalla successiva c.d. legge Gelli-Bianco), che prevede l'applicabilità delle tabelle disciplinate dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni private (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) per la quantificazione dei danni non patrimoniali, sancendone l'applicabilità in tutti i casi in cui il Giudice sia chiamato a decidere su una fattispecie concreta rientrante in tale ambito, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul quantum risarcitorio. In particolare, la S.C. ha affermato che l'art. 3 comma 3 della c.d. Legge Balduzzi non intervenendo a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, trova invece diretta applicazione anche per i casi in cui la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno si sia prodotto, anteriormente all'entrata in vigore della legge. (cfr. anche Cass. n. 21532/2021). Ne deriva che, ai sensi dell'art. 139 Cod. Ass., applicabile al caso di specie, il danno biologico temporaneo riconosciuto all'attore deve quantificarsi in Euro 685,86, cui devono sommarsi Euro 228,53 a titolo di danno morale, per complessivi Euro 914,20. Infatti, in ordine al danno morale, si evince dalla prospettazione attorea come le lesioni riportate abbiano avuto delle ripercussioni emotivo psicologiche sul danneggiato. In particolare, deve ritenersi che l'avvertito persistere della sintomatologia all'esito dell'intervento, la prospettata necessità di doversi sottoporre, in ragione di ciò, a specifici accertamenti, nonché addirittura ad un secondo intervento correttivo appaiono circostanze idonee a provare un disagio interiore correlato alla vicenda, in termini di preoccupazione e di sofferenza, inquadrabile nella categoria del danno morale. Quanto sinora rilevato induce a ritenere provata la sussistenza della componente del danno morale quale voce del danno non patrimoniale, in quanto il danneggiato ha allegato, come impone la giurisprudenza di legittimità, circostanze idonee ex se ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento e la prova degli stessi, anche mediante lo strumento delle presunzioni. Quanto alla "personalizzazione" del danno, si ritiene che le circostanze allegate da parte ricorrente relative alle ripercussioni che dette menomazioni psicofisiche hanno avuto sulla vita lavorativa e quotidiana del ricorrente, non soddisfino quei requisiti di peculiarità necessari per dare ingresso al riconoscimento di maggiori somme in ordine alla liquidazione del danno. Come stato più volte chiarito dalla S.C. "la lesione della salute risarcibile" si identifica "nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire", sicché lungi dal potersi affermare "che il danno alla salute "comprenda" pregiudizi dinamico-relazionali" dovrà dirsi "piuttosto che il danno alla salute è un danno "dinamico-relazionale", giacché, se "non avesse conseguenze "dinamico-relazionali", la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile. Ne deriva, pertanto, che " l'incidenza d'una menomazione permanente sulle quotidiane attività "dinamico-relazionali" della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico", restando, però, inteso che, in presenza di una lesione della salute, potranno sì aversi le "conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi", ovvero, "conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità" e "conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili". Orbene, se tutte tali conseguenze, indifferentemente, "costituiscono un danno non patrimoniale", resta inteso che "la liquidazione delle prime, tuttavia, presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità", laddove "la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto". In questo quadro, pertanto, "la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d'una lesione della salute, non esce dall'alternativa: o è una conseguenza "normale" del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico", attraverso la sua "personalizzazione" (cfr. Cass. n. 14364/2019; n. 7513/2018). In sintesi, dunque, il riconoscimento di ulteriori voci di danno attraverso l'aumento dell'importo liquidato, presuppone che siano state specificamente allegate e provate peculiari circostanze del caso concreto che abbiano determinato conseguenze dannose diverse e ulteriori rispetto a quelle indefettibilmente e ordinariamente connesse al tipo di invalidità riportata, già previste e compensate dalla liquidazione unitaria tabellare. Nella fattispecie in esame, le circostanze allegate per ottenere il riconoscimento di ulteriori voci di danno, quali le limitazioni funzionali e l'accentuata dolorosità sofferta dall'attore, nonché le limitazioni alle attività di guida e lavorativa attengono a disagi già ricompresi nella valutazione del danno biologico temporaneo, per quanto attiene al periodo post operatorio, mentre appaiono per il resto da ricondursi piuttosto allo stato di discopatia cronica preesistente. Ne consegue che l'AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA' DI TORINO va condannata al pagamento della somma, a titolo di danno non patrimoniale, pari ad Euro 914,20; sulla somma complessiva, già rivalutata all'attualità, vanno calcolati gli interessi legali, previa devalutazione al momento del fatto (14.01.2010) e rivalutazione di anno in anno secondo gli indici Istat dal fatto al soddisfo, per l'importo finale di Euro 1.012,86 cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla presente pronuncia al saldo. Passando alle spese stragiudiziali, costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, confermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, quello per cui le stesse possano essere riconosciute quando la parte che ne chieda il rimborso giustifichi in modo esauriente l'utilità in concreto dell'intervento stragiudiziale di cui si è avvalsa, secondo una valutazione ex ante e cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio (Cass. Civ., SS.UU., 10/07/2017, n. 16990 che richiama Cass. n. 6422/2017 e n. 997/2010). La possibilità di ottenere il ristoro delle spese sostenute dal danneggiato per aver fatto ricorso all'assistenza di un legale per l'attività stragiudiziale diretta alla tutela di un proprio diritto, ove la pretesa risarcitoria sfoci in un giudizio nel quale il danneggiato risulti vittorioso, non si sottrae al giudizio di meritevolezza, ovvero va valutata considerando, in relazione all'esito della lite su tale aspetto, se la spesa sia stata necessitata e se appaia giustificata in funzione dell'attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento (cfr. Cass. n. 17065/2014). Anche l'art. 20 del D.M. n. 55 del 2014 richiede pur sempre, ai fini della liquidazione, che l'attività legale prestata prima o al di fuori del giudizio rivesta "autonoma rilevanza" rispetto a quella propriamente giudiziale. Nel caso di specie, a sostegno dell'attività stragiudiziale prestata dai legali prima dell'instaurazione del giudizio risultano prodotte in atti la richiesta risarcitoria inoltrata alla A.S.L. TO1 a mezzo raccomandata del 12.7.2016 (doc. n. 11), la domanda di mediazione (doc. n. 16), la fattura relativa alla mediazione (doc. n. 17), nonché il verbale della predetta procedura del 09.05.2018 (doc. 18). Va, tuttavia, rilevato che il 5.10.2017, già prima della procedura di mediazione, la parte convenuta aveva offerto in via transattiva il pagamento della somma di euro 1.700,00 (doc. n. 14) e che in sede di mediazione è stata nuovamente formulata una proposta transattiva per il minor importo di euro 1.500,00, anch'essa rifiutata da parte attrice. Tale circostanza è da ritenersi provata ai sensi dell'art. 115 c.p.c. in quanto specificamente allegata da parte convenuta in comparsa di costituzione e risposta e non contestata da parte attrice né nel corso della udienza di prima comparizione né con la memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c. Ne consegue che, poiché la somma riconosciuta a titolo di risarcimento all'esito del presente giudizio è inferiore a quanto offerto in sede stragiudiziale e di mediazione, non sussistono i presupposti per il riconoscimento delle spese stragiudiziali per l'attività svolta dal legale di parte attrice che non ha condotto ad alcun risultato utile per l'attore, tenuto conto dell'esito del giudizio. Va, invece, riconosciuta la somma di Euro 500,00 (doc. 13) relativa alla spesa per la relazione medico legale del prof. (...), trattandosi di una voce di spesa necessaria e giustificata in vista della futura azione giudiziaria. Quanto alle spese di lite, deve respingersi la domanda, avanzata in sede di precisazione delle conclusioni di parte convenuta, alla condanna dell'attore ex art. 91 c.p.c. Si richiama, sul punto, la natura eccezionale dell'istituto, come ribadita dalle recentissime Sezioni Unite n. 32061/22, nei seguenti termini: "carattere effettivamente eccezionale riveste invece l'ipotesi, contemplata dal secondo periodo dell'art. 91 primo comma, c.p.c., introdotto dall'art. 45, comma decimo, della legge n. 69 del 2009, della condanna alle spese della parte che abbia visto accogliere la propria domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa, trattandosi di una misura ritenuta lato sensu sanzionatoria, e comunque volta ad incentivare l'adesione alla predetta proposta, la cui previsione non smentisce affatto, ma semmai conferma, l'impossibilità di far gravare altrimenti le spese sulla parte vittoriosa, in caso di accoglimento non integrale della domanda". Inoltre, viene in rilievo quanto affermato dal Giudice delle Leggi nell'autorevole dictum n. 268/20, laddove da un lato la Consulta ha precisato che la condanna interviene nei confronti della parte che abbia rifiutato la proposta conciliativa identica o più soddisfacente avanzata nel corso del processo; dall'altro, che l'operatività di tale deroga al principio di soccombenza richieda comunque che il rifiuto della proposta conciliativa sia privo di giustificato motivo. Nel caso di specie, la proposta di parte convenuta è intervenuta ben prima dell'instaurazione del processo e, alla luce dell'andamento del successivo procedimento, non possono definirsi le pretese attoree allora avanzate come esorbitanti o attinenti a questioni di immediata soluzione, tali da inquadrare il rifiuto della controparte come irragionevole e privo di giustificato motivo. Inoltre, nel corso del giudizio non è stata formulata un'ulteriore proposta conciliativa corrispondente a quella formulata in sede stragiudiziale ovvero di importo pari o superiore a quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno. Pertanto, le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sul valore del decisum (Cass. n. 197/2020) e in base ai parametri medi di cui al D. M. 10 marzo 2014 n. 55. Le spese di C.T.U. sono poste definitivamente a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) contro AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA' DI TORINO, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1. Accoglie parzialmente la domanda e per l'effetto condanna l'AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA' DI TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 1.012,86, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo; 2. Condanna l'AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA' DI TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell'Erario delle spese processuali del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 662,00, oltre Euro 500,00 per spese di C.T.P., contributo unificato e marca, rimborso sulle spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa e successive occorrende 3. Pone le spese di CTU definitivamente a carico di AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA' DI TORINO. Torino, 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Torino Ufficio del Giudice per le indagini preliminari Il Giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Manuela Accurso Tagano, all'esito dell'udienza in camera di consiglio del 10.02.2023, ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA Ai sensi degli artt. 442 e ss c.p.p. nei confronti di: 1) (...), nato in M. il (...) (C.U.I. (...)), detenuto per questa causa presso la casa circondariale di Torino, con domicilio eletto (cfr. verbale di udienza del 24.01.2023) presso lo studio del difensore di fiducia, avv. Al.GA. del Foro di Torino DETENUTO P.Q.C. PRESENTE; 2) (...), nato in M. il (...) (C.U.I. (...)) detenuto per questa causa presso la casa circondariale di Torino, con domicilio eletto (cfr. verbale di udienza del 24.01.2023) presso lo studio del difensore di fiducia, avv. Al.GA. del Foro di Torino DETENUTO P.Q.C. PRESENTE; IMPUTATI (...) 1) del reato di cui all'art. 73 co. 4,80II co. D.P.R. n. 309 del 1990, perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 della stessa legge, deteneva illecitamente al fine di fame commercio, sostanza stupefacente tipo hashish per complessivi kg 34,568, ed in particolare: - 8 confezioni a forma di parallelepipedo del peso totale di circa kg 10,421 che consegnava a (...); - 22 confezioni a forma di parallelepipedo del peso totale di kg. 10,784 rinvenuti all'interno di una fossa da ispezione presso l'autolavaggio/autorimessa di via F. 46; - 24 confezioni a forma di parallelepipedo del peso totale di kg. 11,697 rinvenuti nel vano motore dell'autovettura VE Polo targata (...) (le cui chiavi erano in suo possesso); -17 panetti di varia foggia del peso totale di kg 1,666 rinvenuti all'interno di un armadietto presso l'autolavaggio/autorimessa di cui sopra. Il tutto con un THC complessivo di kg. 11,14 (di cui kg. 7,78 sequestrati al (...) e kg. 3,36 di sostanza ceduta al S.). Con l'aggravante di aver commesso il fatto con ingente quantità di stupefacente. In TORINO il 03/10/2022. Recidivo reiterato specifico infraquinquennale. (...) 2) del reato di cui all'art. 73 co. 4,80 II co. D.P.R. n. 309 del 1990, perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 della stessa legge, deteneva illecitamente al fine di fame commercio, sostanza stupefacente tipo hashish per complessivi kg 13,810, ed in particolare: - 8 confezioni a forma di parallelepipedo del peso totale di circa kg. 10,421 che riceveva da (...) con kg 3,36 di THC; - 8 confezioni a forma di parallelepipedo del peso totale di circa kg. 3,389 con kg. 1,12 di THC rinvenuti all'interno di un vano artigianalmente predisposto dietro i sedili tra cabina e vano di carico dell'autovettura CITROEN BERLINGO targata (...) (della quale era alla guida). Il tutto con un THC di Kg. 4,48 pari a 179.200 dosi medie singole. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con ingente quantità di stupefacente. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del 17.11,2022 il giudice per le indagini preliminari ha disposto il giudizio immediato nei confronti di (...) e (...), arrestati in flagranza di reato il 03.10.2022 e sottoposti, a seguito di convalida dell'arresto, alla custodia cautelare in carcere con ordinanza del 05.10.2022. (...) formulava istanza di patteggiamento, mentre (...) chiedeva procedersi con rito abbreviato. Il Pubblico Ministero nel corso dell'udienza del 24.01.2023 modificava i capi di imputazione. L'istanza di patteggiamento era rigettata per incongruità della pena. Merita aggiungere che (...) chiedeva di godere del beneficio della sospensione condizionale della pena, per quanto già ne avesse già fruito in relazione ad una sentenza di applicazione della pena di anni uno e mesi otto di reclusione. Il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere concesso una sola volta. Solo eccezionalmente può arrivarsi a due, ma le pene inflitte, cumulate tra loro, non devono superare il limite dei due anni di reclusione o di arresto, salvo ogni altro presupposto. Non vi sono altre eccezioni né potrebbero ragionevolmente esserci, pena arrivare a credere che ad ogni effetto estintivo - si pensi appunto al patteggiamento - si possa tornare a delinquere, confidando nella concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena con completo snaturamento dell'istituto. E chiare sono le disposizioni normative. L'articolo 164, comma 3, c.p., come già detto, stabilisce che la sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di una volta, poi prevedendo le relative e ben delineate eccezioni. Una precedente condanna è di regola ostativa, anche qualora sia intervenuta la riabilitazione, che - come noto - estingue anche le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna. E tanto basterebbe a dimostrare che ostativa è una sentenza di patteggiamento, anche ove poi seguita dai previsti effetti estintivi, non ampi come quelli connessi alla riabilitazione. Supplisce, tuttavia, l'ultimo comma dell'art. 445 c.p.p.: in caso di estinzione del reato, l'applicazione della pena non è di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena "se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva". E al contrario ostativa in tutti gli altri casi (cfr. Cass., sezione sesta, sentenza n. 27589/2019). Tanto era doveroso chiarire anche in ragione delle conclusioni formulate dal difensore, che porta a sostegno delle proprie richieste un precedente della Corte di Cassazione, assolutamente non condivisibile, A seguito del rigetto dell'istanza di patteggiamento formulata da (...), il procedimento era riassegnato a questo giudice per l'ammissione e la discussione del rito abbreviato rispetto ad entrambe le posizioni. Come già scritto nell'ordinanza di convalida dell'arresto, nel primo pomeriggio del 3.10.2022, personale della Questura di Torino, Squadra Mobile, monitorava gli spostamenti di (...), persona sospettata di essere coinvolta in un vasto traffico di stupefacenti. (...) era visto uscire dall'autolavaggio di via F. n. 46 e salire a bordo della vettura Renault Clio tg (...) per poi recarsi in via G. n. 97 dove, sceso dal veicolo, prendeva un borsone dal bagagliaio e lo consegnava a colui che sarà poi identificato in (...), il quale a sua volta si metteva alla guida del veicolo Citroen Berlingo tg (...). Fermati i due, i poliziotti rinvenivano all'interno della vettura Citroen Berlingo nella disponibilità di (...), e precisamente nel borsone poco prima ricevuto da D., 20 panetti di sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso lordo complessivo pari a 10,9 chilogrammi; sempre all'interno di detta vettura, occultati in uno scomparto appositamente creato in prossimità del vano di carico posteriore, ulteriori 3,450 chili lordi di hashish suddivisi in otto confezioni; all'interno del vano motore della VW Polo tg (...) parcheggiata nell'autorimessa di via F. n. 46, le cui chiavi erano nella disponibilità di D., ulteriori 12,4 chilogrammi lordi di hashish, suddivisi in 24 parallelepipedi; all'interno del veicolo Peugeot Partner con targa francese EJ161 CH, sempre parcheggiato nell'indicata autorimessa, un vano appositamente creato sotto i sedili posteriori; in una fossa atta all'ispezione delle vetture ulteriori 11,4 chilogrammi lordi di hashish, suddivisi in 22 panetti; all'interno di un armadietto ubicato nella zona adibita al lavaggio della citata autorimessa 1,7 chilogrammi lordi di stupefacente del tipo hashish distinti in 17 panetti; infine fogli manoscritti con numeri e nomi nell'ufficio dell'autorimessa. Tutta la sostanza di colore marrone, del peso lordo complessivo ad oltre 39 chilogrammi, veniva esaminata tramite reagenti specifici, che confermavano la presenza di principio attivo riconducibile allo stupefacente del tipo hashish/cannabis. (...) era, altresì, trovato in possesso di Euro 520 in contanti, delle chiavi di accesso ai locali della rimessa /lavaggio e di un cellulare, trovato sul sedile passeggero della Renault Clio. (...) era trovato in possesso di un cellulare e di Euro 110 in contanti. In sede di convalida dell'arresto (...) ammetteva le proprie responsabilità: la droga oggetto di sequestro era destinata alta vendita e per la prima volta ne aveva venduta una parte a (...). Il suo fornitore era tale (...). (...) dichiarava di essere stato colto in occasione del suo primo acquisto: avrebbe pagato Euro 1.200 al chilogrammo e rivenduto ad Euro 1.300 al chilo. Era stato lui a creare il doppio fondo nel veicolo. Il 17.11.2022 in sede di interrogatorio reso davanti al Pubblico Ministero (...) chiariva di aver ricevuto 10 chilogrammi di droga dal D.. Aveva acquistato la settimana precedente altri 3,40 chilogrammi da tale M. a Porta Palazzo e li aveva lasciati all'interno del veicolo, strutturalmente dotato di un vano porta oggetti dietro i sedili anteriori. (...) dichiarava di aver detenuto nel complesso circa 35 chilogrammi di droga, tutta acquistata da una persona di cui non era più in grado di ricordare il nome. A (...) aveva consegnato 10 chilogrammi di hashish. La droga era sottoposta ad analisi chimico quantitative, oggetto di parziale revisione a seguito degli interrogatori resi da parte degli imputati. Secondo quanto risultante dalla relazione a firma del consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero, dr.ssa Sarah Grasso, così come integrata il 30.11.2022, il quantitativo di droga complessivamente detenuto da (...) era pari a 13,81 chilogrammi con principio attivo The pari a 4,48 chilogrammi corrispondenti a 179.200 dosi medie singole da 25 mg (8960 volte la quantità massima detenibile di 500 mg). Il quantitativo complessivamente detenuto da (...), comprensivo della parte ceduta al (...), era pari a 34,568 chilogrammi con principio attivo The pari a 11,14 chilogrammi corrispondenti a 445.600 dosi medie singole da 25 mg (22.280 volte la quantità massima detenibile). Alla luce delle risultanze processuali così descritte può affermarsi la responsabilità penale degli imputati in ordine ai reati a loro rispettivamente ascritti. (...) riceve da (...) circa dieci chilogrammi di hashish. Ne detiene altri tre chilogrammi circa all'interno del veicolo non solo da lui condotto, ma anche intestato a sua moglie e da ritenersi come tale nella sua esclusiva e costante disponibilità. Nel complesso riceve e detiene 13,81 chilogrammi di hashish chiaramente destinati allo spaccio, visto il dato ponderale. Nell'esclusiva disponibilità di (...) si rinvengono 34,568 chilogrammi, compresi i dieci chilogrammi ceduti al coimputato. La restante parte della droga è trovata all'interno di quello è all'evidenza il luogo che il (...) adibisce a deposito della droga. L'imputato ha la disponibilità delle chiavi di accesso alla rimessa, senza che sia peraltro riscontrata la presenza di altri, è da lì visto uscire con la droga che poi consegna al (...) (da lì, quindi, la prende e sa dove prenderla), detiene nei pantaloni le chiavi della autovettura Polo al cui interno sono nascosti numerosi panetti. Tanto basta per affermare, così come da lui poi ammesso, che detenesse a fini di spaccio tutta la droga sequestrata, dislocata in più posti all'evidenza per ragioni di sicurezza. Sussiste la circostanza aggravante dell'ingente quantità di cui all'art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990. Come noto, la Corte di Cassazioni a sezioni unite ha di recente affermato che "in tema di stupefacenti, per l'individuazione della soglia oltre la quale è configuratile la circostanza aggravante dell'ingente quantità, continuano ad essere validi, anche successivamente alla riforma operata dal D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi" (cfr. Cass., Sezioni unite, sentenza n. 14722/2020). Con riferimento alle droghe leggere, l'aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo è inferiore a 2 chilogrammi pari a 4000 volte il valore - soglia di 500 milligrammi. La droga complessivamente detenuta da (...) è risultata pari a 34,568 chilogrammi con principio attivo pari a 11,14 chilogrammi: 22.280 volte il valore soglia di 500 milligrammi. Il quantitativo è ingente e ciò a prescindere dal peso lordo della sostanza, che per la difesa non sarebbe eccezionale. La ratio della circostanza aggravante è ravvisabile da sempre nell'incremento del pericolo per la salute pubblica. A rilevare, dovendosi appunto tener conto degli effetti che la droga può avere sul singolo consumatore, valutata anche la platea dei destinatari tanto più ampia quanto più alto è il quantitativo detenuto, è il principio attivo e non il materiale inerte di cui la sostanza risulti essere composta. In questi termini già si era espressa la Corte di Cassazione a sezioni Unite con la sentenza n. 36258/2012. È chiaro, infatti, che tanto è più elevata la concentrazione del principio attivo tanto più basso sarà il quantitativo lordo al di sopra del quale potrà essere ravvisata la circostanza dell'ingente quantità: il consumatore per raggiungere il medesimo effetto drogante potrà assumere quantitativi minori, potrà acquistare in altri termini meno droga con ampliamento della platea complessiva dei potenziali acquirenti a parità di quantitativi lordi, senza considerare che la buona qualità della sostanza è di per sé in grado di attirare un più ampio numero di clienti. La qualità della droga è sicuramente uno dei parametri che fa la differenza sul mercato. Tanto chiarito, il quantitativo detenuto dal (...), già apprezzabile al lordo, è sicuramente ingente se rapportato al principio attivo, addirittura pari a 11,14 chilogrammi: quasi sei volte la soglia dei 2 chilogrammi così come individuata dalla Corte di Cassazione. Si tratta di quantitativi atti a soddisfare un'amplissima platea di consumatori. Il (...) è persona posta ai vertici della filiera distributiva. E organizzato: ha un luogo di deposito, che funge anche da copertura della sua attività illecita; vende ad altri grandi distributori a credito, a conferma di un suo stabile inserimento nell'ambiente, in cui all'evidenza è considerata persona capace di riscuotere, ove ve ne fosse bisogno, i propri crediti; vende a chi apprezza la qualità della sua droga, come dimostrato dal fatto che (...) ne detenesse altra di analoga qualità. Ingente può ritenersi anche il quantitativo detenuto da (...): a fronte di ben 13,81 chilogrammi lordi, il principio attivo è risultato pari ad oltre il doppio la soglia dei due chilogrammi, così come individuata dalla Corte di Cassazione. Merita aggiungere che sia (...) sia D., suo fornitore, si muovono all'interno della stessa catena distributiva con una clientela finale sicuramente molto ampia e attratta dalla buona qualità della droga, che sul mercato finisce per fare la differenza, garantendo la conquista di piazze sempre più estese. (...), pur avendo già la disponibilità di oltre tre chilogrammi di droga, avverte il bisogno di effettuare altro e cospicuo acquisto pari a circa dieci chilogrammi a conferma di un'attività che definire ben avviata sarebbe riduttivo: l'imputato ha chiaramente una cospicua clientela che preme per avere la droga, destinata ad esaurirsi velocemente, se solo si considera che (...) vende a credito e che certo non avrebbe potuto attendere molto per incassare. In tale contesto anche il quantitativo detenuto da (...) può ritenersi ingente, perché destinato a soddisfare un'ampia platea di consumatori in breve tempo con elevato pericolo per la salute pubblica. Quanto a (...) sussiste la circostanza aggravante della recidiva specifica ed infraquinquennale, ma non reiterata. L'imputato è stato condannato tre volte per i delitti di cui agli articoli 73, comma 1 e 4, D.P.R. n. 309 del 1990. Rispetto alle prime due condanne risulta dal casellario giudiziale che ha avuto esito positivo l'affidamento in prova. L'esito positivo del periodo di prova al servizio sociale cui è sottoposto l'affidato determina l'estinzione della pena, sia pure soltanto detentiva (l'estinzione di quella pecuniaria non è una conseguenza automatica), secondo quanto previsto dall'art. 47, comma 12, L. n. 354 del 1975. Segue, altresì, l'estinzione di ogni altro effetto penale. L'art. 106, comma 2, c.p. stabilisce poi che agli effetti della recidiva non si tiene conto delle condanne per le quali sia intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena che comporti anche l'estinzione degli effetti penali della condanna. Come affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite "è vero che l'estinzione della pena può essere solo parziale, non potendosi dire estinta la porzione di quella detentiva eventualmente già espiata, né estinguendosi quella pecuniaria se non in caso di accertata condizione di disagio economico del condannato, ma l'art. 106, comma 2, c.p. non richiede espressamente una estinzione totale della pena e, per altro verso, l'art. 47, comma 12, Ord. Pen. comunque fa conseguire all'estinzione di una pena-quella detentiva, totale o residuale - l'ulteriore effetto dell'estinzione di ogni altro effetto penale" (cfr. Cass., sezioni unite, sentenza n.5859/2012). Ne consegue che l'estinzione di ogni effetto penale prevista dall'art. 47, comma 12, Ord. Pen., in conseguenza dell'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, comporta che della relativa condanna non possa tenersi conto agli effetti della recidiva e ciò anche quando estinta sia stata, come nel caso concreto, solo la pena residua. Residua a carico del D., ai fini della recidiva, la precedente condanna sempre per detenzione di droga a fini di spaccio divenuta irrevocabile il 12.12.2017: nel termine di cinque anni dal passaggio in giudicato di tale sentenza, l'imputato è tomato a commettere identico reato, si noti, sempre aggravato ai sensi dell'art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990. Indifferente rispetto alle pregresse esperienze processuali, egli ha dimostrato una pervicacia criminale insensibile anche a misure alternative spiccatamente rieducative: il (...) spaccia e spaccia ad alti livelli. Il traffico di sostanze stupefacenti rappresenta all'evidenza l'attività a cui ha deciso di dedicarsi in modo stabile ed esclusivo, attuando anzi una vera e propria progressione criminosa, come tale quanto mai indicativa di una sempre più spiccata pericolosità sociale. Possono riconoscersi ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche da considerarsi equivalenti rispetto alle contestate circostanze aggravanti. Ciò che può valorizzarsi in termini positivi è un atteggiamento che, per quanto sempre e chiaramente volto a sminuire le proprie responsabilità, non si è spinto fino a negarle: gli imputati hanno risposto in sede di convalida, hanno chiesto di essere interrogati dal Pubblico Ministero e hanno inteso partecipare alle udienze. Altro non si può valorizzare. Anzi, al fine di ben chiarire, da una parte, perché non si possa andare oltre un giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza, dall'altra, perché il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non possa tradursi in un appiattimento del trattamento sanzionatorio verso il basso, occorre evidenziare che entrambi gli imputati sono ben inseriti in un determinato ambiente delinquenziale. Il dato, alquanto pacifico per D., già condannato più volte per il medesimo reato e in grado di gestire ingenti quantitativi con l'artificiosa apparenza di un'attività lecita, è tale anche per (...), per quanto egli in sede di interrogatorio si sia voluto dipingere come uno sprovveduto alle prime esperienze. Ad una precedente condanna per identico delitto, che per quanto risalente è di per sé sola sufficiente a smentire l'imputato, si affianca non tanto il dato ponderale della sostanza quanto la circostanza che, secondo le stesse dichiarazioni di (...), due soli fossero stati gli acquisti atti a portare ad una detenzione di oltre 13 chilogrammi di droga. (...) compra a chili e compra a credito: è soggetto che sa dove piazzare la droga e a che prezzo. Egli gode della fiducia dei suoi fornitori e tale fiducia non può che essere stata conquistata sul campo: più saranno stati gli acquisti andati a buon fine con soddisfazione e dei fornitori e dei clienti finali. A corroborare il quadro probatorio così descritto sono, del resto, le stesse dichiarazioni di (...), talmente poco credibili da apparire del tutto false. Non è credibile che l'imputato avesse comprato oltre tre chilogrammi di droga da ignoto e mai visto soggetto, casualmente incontrato a Porta Palazzo, quando all'evidenza un acquisto del genere non può che essere frutto di trattative, che presuppongono approfondita conoscenza del proprio interlocutore. Non è credibile che ci si accinga ad un'attività di spaccio, comprando nel giro di neanche una settimana oltre 13 chilogrammi di droga, quantitativo che certo non può essere destinato ad una piccola cerchia di amici. È vero l'opposto con la conseguenza che le dichiarazioni confessorie di (...), come quelle del coimputato (...), che in occasione della convalida si spinge a fare il nome del proprio fornitore, poi venendo colpito da amnesia davanti al Pubblico Ministero, non hanno altro pregio se non quello di non aggravare le rispettive posizioni processuali. Venendo, quindi, al trattamento sanzionatorio, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p., congrua ed adeguata appare una pena per (...) pari ad anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000 di multa così determinata: riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle contestate circostanze aggravanti, pena base anni cinque di reclusione ed Euro 21.000 di multa, ridotta di un terzo per la scelta del rito. Lo scostamento dal minimo edittale si giustifica per l'intensa capacità a delinquere dell'imputato (si richiama quanto detto in punto recidiva) e per la gravità del fatto da valutarsi in relazione al quantitativo detenuto e alle modalità dell'azione. Quanto a (...) congrua ed adeguata appare una pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000 di multa così determinata: riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata circostanza aggravante dell'ingente quantità, pena base anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 15.000 di multa, ridotta di un terzo per la scelta del rito. Non ricorrono i presupposti per sostituirsi la pena detentiva: il delitto contestato, aggravato ai sensi dell'art. 80, comma 2, del D.P.R. n. 309 del 1990, è ostativo secondo quanto disposto dall'art. 59, lett. d, della L. n. 689 del 1981. Passando ai beni in sequestro, risultano essere già stati dissequestrati i locali, l'autovettura Polo targata (...) e l'autovettura Peugeot targata (...). Non residuando più alcuna esigenza probatoria e non potendosi ravvisare un serio nesso strumentale tra il veicolo e i delitti oggetto di contestazione, si dispone il dissequestro e la restituzione a (...) del veicolo Renault Clio targato (...). Si dispone, altresì, il dissequestro e la restituzione a (...), moglie di (...), del veicolo Citroen Berlingò targato (...): il veicolo, secondo quanto si evince dal verbale di sequestro, non è stato oggetto di una modifica strutturale significativa e chiaramente finalizzata al trasporto della droga, ma è stato munito di un ripiano, poggiato sopra un vano già presente sul veicolo medesimo, che certo non era idoneo ad occultare seriamente alcunché. Può, altresì, disporsi il dissequestro e la restituzione agli imputati dei cellulari trovati nella loro disponibilità. Non risulta siano stati disposti accertamenti investigativi atti a provare che si trattasse di strumenti utili a gestire il traffico di droga. Va dissequestrato e restituito a (...) anche il monopattino trovato all'interno della rimessa/lavaggio. Quanto al denaro (Euro 520 sequestrati a carico di (...) ed Euro 110 sequestrati a carico di (...)) non può definirsi profitto del delitto di detenzione a fini di spaccio. Quanto alla droga ceduta dal (...) al (...), non vi era stato scambio di denaro. Né si tratta di denaro confiscabile ai sensi dell'art. 240 bis c.p.: si tratta di somme modeste e compatibili con entrate non illecite. Se ne dispone, quindi, il dissequestro e la restituzione agli imputati. Si dispone, invece, la confisca e distruzione di tutta la droga in sequestro e dei fogli trovati all'interno dei locali. Ogni altro bene ancora in sequestro - chiavi dei veicoli, dei locali o altro - deve essere dissequestrato e restituito agli aventi diritto. Segue, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. P.Q.M. Visti gli articoli 442, 533, 535 c.p.p., dichiara (...) (C.U.I. (...)) responsabile del reato a lui ascritto e, ritenuta la sola recidiva specifica infraquinquennale, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla ritenuta recidiva e alla contestata circostanza aggravante di cui all'art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990, lo condanna, con la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. Dichiara (...) (C.U.I. (...)) responsabile del reato a lui ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata circostanza aggravante di cui all'art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990, lo condanna, con la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. Visto l'art. 240 c.p., dispone la confisca e distruzione della droga e dei fogli in sequestro. Visto l'art. 263 c.p.p., dispone il dissequestro e la restituzione agli imputati dei cellulari e del denaro a loro sequestrato. Dispone il dissequestro e la restituzione a (...) del monopattino a lui sequestrato. Dispone il dissequestro e la restituzione a (...) del veicolo Renault Clio targato (...). Dispone il dissequestro e la restituzione a (...), moglie di (...), del veicolo Citroen Berlingò targato (...). Dispone il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto di ogni altro bene ancora in sequestro. Così deciso in Torino il 10 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO QUARTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Stefania Tassone ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 16108/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. PE.AN. e dell'avv. GR.IL. ((...)) VIA (...) 10138 TORINO, elettivamente domiciliato in presso il difensore. ATTORE contro (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'Avv. DE.DA., elettivamente domiciliato in C.SO (...) 28 TORINO presso il difensore. CONVENUTO (...), con il patrocinio dell'avv. PI.VI., elettivamente domiciliato in VIA (...) 10143 TORINO presso il difensore. (...) e (...), con il patrocinio dell'avv. RO.SE., elettivamente domiciliati in CORSO (...) TORINO presso il difensore. TERZI CHIAMATI (...) TERZO CHIAMATO CONTUMACE MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE I. Premessa. Ritiene anzitutto il Tribunale di dover premettere: 1) che con ricorso ex art. 702 bis ritualmente notificato all'esito di esperimento di precedente procedura ex art. 696 bis c.p.c. (...) e (...) convenivano in giudizio l'Arch. (...) al fine di vederlo dichiarare tenuto e condannare al risarcimento del danno causato ai ricorrenti nella misura di Euro 41.125,77 quale somma determinata dal CTU nella consulenza preventiva, o veriore somma accertanda in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria; di vederlo, altresì, dichiarare tenuto e condannare a rimborsare ad essi attori le spese tecniche della consulenza tecnica preventiva così come liquidate e pagate a suo tempo al CTU (...), oltre che condannarlo al rimborso delle spese legali di patrocinio nella predetta procedura preventiva; 2) che parte ricorrente prospettava la asserita responsabilità dell'Arch. (...) in relazione alla inadeguatezza dell'Attestazione di Agibilità relativa all'immobile sito in D., in via A. n. 12, dallo stesso redatta e depositata presso il Comune di Druento in data 23 marzo 2016 ; 3) che, in particolare, i ricorrenti precisavano di aver acquistato in data 25 marzo 2016 l'immobile nella convinzione della sua regolarità edilizia e conformità alla normativa confidando nella documentazione sottoscritta dal convenuto nella sua qualità di progettista e tecnico incaricato dai venditori signori (...) e (...); 4) che solo dopo l'acquisto i ricorrenti si dolevano di aver riscontrato che, sotto molteplici aspetti, le caratteristiche del fabbricato, dei suoi impianti e delle sue pertinenze non corrispondevano affatto a quanto attestato dal professionista; 5) che, pertanto, i sig. (...) richiedevano di essere risarciti ex art. 2043 c.c. del danno ingiusto consistente nel costo sostenuto per quegli interventi di adeguamento rivelatisi necessari per legge e per la sicurezza degli abitanti dell'immobile, di cui erroneamente l'Arch. (...) aveva attestato la regolarità; 6) che si costituiva in giudizio l'Arch. (...), in via preliminare chiedendo: a) di essere autorizzato a chiamare in causa ai sensi dell'art. 269 c.p.c. la (...) e la (...), quali imprese esecutrici di alcune delle opere oggetto di contestazione, nonché i venditori (...) e (...) al fine di essere manlevato e tenuto indenne in caso di condanna al pagamento in favore degli attori; b) convertire da rito sommario a rito ordinario di cognizione; c) di disporre ed ordinare la soppressione delle espressioni riferite agli articoli del codice penale rubricati ai titoli di cui all'artt. 359 e 481 perché lesive dell'onorabilità e professionalità del resistente in quanto non corroborate da alcun supporto probatorio e perché smentiti dal corredo documentale in atti; nel merito contestavano la fondatezza della domanda avversaria e ne chiedeva il rigetto; 7) che, autorizzata la chiamata, si costituivano in giudizio (...) e (...) e (...) i quali chiedevano il rigetto delle domande ex adverso proposte poiché infondate in fatto e in diritto; 4) che con ordinanza del 03.06.2021 il G.I. dichiarava la contumacia della impresa terza chiamata (...) e con medesimo provvedimento disponeva, stante la complessità delle questioni trattate e la presenza di una pluralità di parti in causa, la conversione da rito sommario a rito ordinario concedendo all'udienza del 21.09.2021 i termini ex art. 183 comma VI c.p.c.; 8) che, espletata la trattazione ex art. 183, il G.I., a scioglimento della riserva assunta il 25.01.2022, disponeva l'acquisizione del fascicolo d'ufficio della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. rubricata al n. di R.G. 22307/2018 e contestualmente fissava udienza di precisazione delle conclusioni avendo ritenuto di "delibare le restanti istanze istruttorie in atti unitamente alla valutazione del merito complessivo della controversia"; 7) che all'udienza del 04.10.2022, tenutasi in forma figurata con scambio di note scritte stante la persistente emergenza epidemiologica, le parti precisavano le conclusioni ed il Tribunale tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. II. Le risultanze processuali. Osserva il Tribunale che parte attrice prospetta in causa: 1) che in data 3.12.2015 i coniugi (...) sottoscrivevano con i sig.ri (...) contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto il fabbricato di civile abitazione sito in D., via A. n.12; 2) che il punto 6 del contratto preliminare di compravendita recitava: " La parte promittente venditrice dichiara che gli immobili promessi in vendita sono stati edificati in conformità a concessione edilizia n. 01913 rilasciata dal Comune di Druento in data 24 aprile 1995, garantendo la regolarità edilizia ed urbanistica di quanto promesso in vendita. La parte promittente venditrice si impegna ad ottenere, entro il rogito notarile, il certificato di agibilità relativamente agli immobili in contratto"; 3) che al punto 3 contratto preliminare era altresì pattuito che il rogito notarile di vendita sarebbe stato effettuato entro e non oltre il 30 marzo 2016 presso lo studio del notaio (...)"; 4) che in prossimità della scadenza del termine pattuito nel contratto preliminare di vendita per la stipula del rogito notarile i sig. (...) facevano pervenire al notaio dott. (...) copia di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività con la quale venivano dichiarate conformi alla legge "parziali difformità" tra il progetto autorizzato ed il realizzato recante timbro di deposito del Comune di Druento in data 16.03.2016, nonché copia di Attestazione di Conformità delle opere al progetto presentato e di Agibilità recante timbro di deposito apposto dal Comune di Druento in data 23.03.2016 e n. di protocollo (...); entrambi i documenti recavano la firma del convenuto Arch. (...); 5) che il notaio, informati gli attori dell'intervenuto deposito della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'immobile, fissava la data del 25.03.2016 per la stipula del contratto definitivo di compravendita; 6) che i coniugi (...) stipulavano dunque il contratto di compravendita nella convinzione di acquistare un immobile regolare sotto il profilo della sua agibilità essendo ciò stato attestato dal professionista Arch. (...) incaricato all'uopo dai venditori; 7) che, stipulato l'atto di compravendita e ricevuto il pagamento del prezzo, i venditori consegnavano copia di quanto depositato in Comune per la SCIA e per l'attestazione di agibilità; 8) che in data 11.04.2016 ed ancora in data 06.06.2016 il Comune di Druento chiedeva integrazioni documentali, richiesta cui non veniva dato seguito, ed all'esito degli accertamenti svolti notificava ai ricorrenti (che nel frattempo avevano provveduto a volturarsi la pratica comunale) la determinazione n 585 con cui veniva dichiarata inefficace l'attestazione di agibilità depositata in data 23.03.2016 a firma dell'Arch. C.. Rileva, pertanto, il Tribunale: a) che oggetto della pretesa degli odierni attori è il risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c. dei costi volti a regolarizzare l'immobile, imprevisti al momento della stipula del contratto di compravendita e resisi necessari per ottenere, a seguito della determinazione n. 585 del comune di Druento, la SCIA in sanatoria e l'agibilità (v. le espresse allegazioni di cui al ricorso ex art. 702 bis c.p.c.: Il danno subìto dagli attori - danno ingiusto perché conseguente ad un comportamento illecito - consiste nella necessità di realizzare tutte quelle opere erroneamente "attestate" dal convenuto come già realizzate o non necessarie: esse invece sono tuttora necessarie, non solo per rendere a norma l'immobile sotto il profilo impiantistico e strutturale, ma anche per renderlo sicuro e salubre. Quand'anche gli attori avessero avuto la possibilità - peraltro negata dai funzionari del Comune - di integrare la Scia dopo la volturazione della pratica in capo a loro, nulla sarebbe cambiato riguardo ai costi che avrebbero dovuto comunque sostenere per regolarizzare tutto ciò che erroneamente l'Arch. (...) aveva attestato come già regolare"); b) che a fondamento della domanda i coniugi (...) contestano la grave negligenza dell'Arch. (...), desumibile dalla natura e dalla molteplicità delle inesattezze e carenze documentali emerse ante causam, nel redigere ai sensi dell'art. 25 co 5 bis D.P.R. n. 380 del 2001 l'Attestazione di agibilità e di conformità delle opere al progetto presentato depositata presso il comune di Druento in data 23 marzo 2016. Per contro, il convenuto Arch. (...) sostiene: a) di aver adempiuto correttamente alla propria prestazione, in quanto la normativa applicabile al caso di specie prevede, a carico del professionista che redige l'Attestazione, l'allegazione dei certificati di conformità rilasciati dai vari professionisti impiantisti e installatori impiegati nell'esecuzione delle opere; di talchè il compito del professionista attestatore si limiterebbe al reperimento del corredo documentale e certificativo, non estendendosi alla verifica dell'operato di ogni singolo partecipante alla realizzazione delle opere di manutenzione; b) che gli odierni attori avevano più volte effettuato sopralluoghi presso l'immobile oggetto di vendita insieme all'intermediario, per cui conoscevano lo stato dell'immobile; c) che la pratica relativa alla SCIA in sanatoria è stata volturata in capo agli attori in data 28.06.2022 (poco dopo, in data 30.06.2016, gli stessi presentavano esposto disciplinare presso l'Ordine degli Architetti ed esso professionista allora comunicava al Comune di Druento, per effetto di tali accadimenti, la decadenza dall'incarico conferitogli dalla parte venditrice e l'incompatibilità a proseguire l'espletamento della pratica); e) che nel corso del 2017 i coniugi (...), avendo ricevuto notifica da parte del Comune di un preavviso di annullamento dell'Attestazione di agibilità (v. doc. 7 conv. C.), nuovamente nominavano esso professionista esponente insieme ad un legale, al fine di presentare all'amministrazione comunale controdeduzioni volte a chiarire la legittimità delle procedure edilizie presentate in pendenza di compravendita (cfr. doc 9 conv. C.); f) che l'azione di parte attrice avrebbe dovuto essere rivolta non al professionista redattore dell'attestazione di conformità, quanto piuttosto ai venditori coniugi (...) per vizi del bene venduto oppure in via aquiliana verso le imprese realizzatrici delle opere, che risultavano, affatto o solo in parte, eseguite e certificate. Nella propria comparsa di costituzione e risposta i venditori G. e P. contestavano parimenti qualsivoglia loro responsabilità, evidenziando che l'emanazione della determina n. 585 del comune di Druento e la conseguente mancata conclusione positiva dell'iter amministrativo sarebbe dipesa esclusivamente dal disinteresse dimostrato dagli odierni attori, nonostante i medesimi fossero diventati non soltanto proprietari dell'immobile, ma anche intestatari della pratica edilizia a partire dal 28 giugno 2016. L'unica terza chiamata costituita, la impresa (...) (laddove, nonostante la ritualità della notifica, l'impresa (...) rimaneva contumace) contestava qualsivoglia sua responsabilità, in particolare sottolineando, in riferimento alle risultanze della espletata consulenza ex art. 696 bis c.p.c. che tutte le opere e/o mancanze visibili evidenziate dal CTU nella sua relazione peritale, da un lato avrebbero dovuto indurre i ricorrenti a non procedere all'acquisto ovvero a pagare un minor prezzo di compravendita, dall'altro, essendo disgiunte dalla prova di un inadempimento dell'impresa contestato dal committente e dalla tempestività delle stesse contestazioni, si risolverebbero in un indebito arricchimento per i ricorrenti perché destinate ad integrare uno stato di fatto dagli stessi accettato (la caldaia vecchia; il tubo non interrato; l'assenza dei fori; etc. etc.), nel momento in cui hanno acquistato l'immobile come visto e piaciuto. Ciò premesso, osserva il Tribunale: a) che in data 30 settembre 2016, subito dopo la volturazione della SCIA in sanatoria a loro carico, i coniugi odierni attori (...) hanno presentato un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Architetti di Torino, dolendosi della condotta del Convenuto Arch. (...) per motivi analoghi a quelli prospettati nella presente procedura giudiziale; b) che l'Ordine professionale, con Provv. del 10 ottobre 2019 (doc. 3 prod. (...)) ha motivatamente archiviato l'esposto, osservando che: (i) l'Architetto ha presentato la SCIA in sanatoria il 16 marzo 2016, nei termini per la stipula dell'atto definitivo di compravendita; (ii) il successivo 28 giugno 2016 il geom. (...) ha volturato l'istanza a suo nome, pur consapevole della carenza di abitabilità e della sanatoria ancora non perfezionata; (iii) l'Arch. (...) non ha celato la documentazione a sue mani, di talché i (...) ed il loro Notaio sono sempre stati consapevoli delle carenze documentali e del termine fissato per provvedere alle integrazioni a pena di inefficacia/annullamento dell'attestazione di agibilità; (iv) il professionista, una volta perfezionato il passaggio di proprietà ai (...) e avuta notizia della voltura della pratica ha correttamente rinunciato all'incarico (anche perché nelle more gli odierni attori avevano presentato esposto disciplinare nei suoi confronti). Quanto statuito dall'Ordine degli Architetti trova altresì riscontro nelle risultanze dell'accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c. che ha evidenziato, quale origine dei pregiudizi lamentati, errori ed imprecisioni nelle certificazioni (rilasciate in tempi risalenti dalle imprese coinvolte nei lavori), unitamente ad omissioni della parte acquirente (cioè degli odierni attori (...)). Ciò posto, va altresì rilevato che l'Arch. (...) ha intrattenuto un rapporto professionale esclusivamente con la parte venditrice (che mai ha contestato il suo operato) la quale, sollecitata dai coniugi (...) che più volte avevano effettuato sopralluoghi sul posto assieme all'intermediario immobiliare, gli richiedeva l'Attestazione che, in base alla normativa applicabile all'epoca dei fatti di causa (all'art. 11 della L. n. 46 del 5 marzo 1990, poi sostituito dall'articolo 9 del D.M. n. 37 del 22 gennaio 2008, entrambi da leggere congiuntamente con l'articolo 24 del D.P.R. n. 380 del 2001 e successive modifiche e integrazioni), prevede solo la ricerca e l'allegazione dei certificati di conformità rilasciati dai singoli professionisti a seconda delle attività da questi svolte nella realizzazione del manufatto, dalla statica e dal calcolo delle opere in cemento armato alle dichiarazioni relative all'impianto elettrico, a quello idraulico ed al sistema di riscaldamento (e questo perché il manufatto in opera da almeno vent'anni non postula per la sua risalenza il superamento delle verifiche della norma di riferimento e quindi il necessario adeguamento strutturale, escluso appunto per effetto della sua vetustà). Nessun'altra tipologia di indagine e di verifica viene richiesta al professionista, ed infatti alcunchè sotto tale profilo è stato rilevato dall'Ordine degli Architetti che, investito della questione in sede disciplinare, ha appunto archiviato l'esposto. L'assenza di responsabilità del professionista odierno convenuto, già risultante dalle considerazioni che precedono, è altresì confermata: a) dal ritenuto concorso di colpa ex art. 1227 c.c. degli odierni attori coniugi (...); b) dalla assenza, in ultima analisi, di nesso causale, rilevante ex art. 2043 c.c. Sotto il primo profilo osserva infatti il Tribunale: a) che gli odierni attori erano a conoscenza delle problematiche per cui ora è causa (avendo più volte effettuato sopralluoghi sull'immobile); b) che il Comune di Druento ha emesso la determina n. 585 del 15 settembre 2017 (doc.5), dichiarando inefficace l'attestazione di agibilità presentata il 23 marzo 2016 con protocollo n. (...), per decorrenza dei termini utili a presentare le ulteriori integrazioni richieste con nota del 6 giugno 2016 prot. n. (...); c) che, se da un lato i venditori coniugi (...), ricevuta la notifica di un preavviso di annullamento dell'Attestazione di Agibilità, si attivavano nominando, con incarico notificato al Dirigente dell'Ufficio tecnico Comunale (vedi doc. 8 produzioni di parte convenuta, nota prot. (...) del 6 luglio 2017) l'arch. (...) e l'avv. P.C.A. di G., presentando, con l'ausilio dei due professionisti, osservazioni rivolte a chiarire la legittimità delle procedure edilizie presentate in pendenza della compravendita ed in data anteriore alla stessa (vedi comunicazione prot. n. (...) del 2 agosto 2017, cfr. doc.9), per altro verso i compratori coniugi (...), dopo essersi volturati la pratica con decorrenza 28 giugno 2016 (v. doc. 7), mantenevano un comportamento di inerzia rispetto alle richieste del COMUNE, che scaduti i termini concessi, emetteva la dichiarazione di inefficacia dell'attestazione di agibilità (v. anche p. 95 relazione peritale ex art. 696 bis c.p.c., da cui si evince, rispetto alla determina n. 585 del 15 settembre 2017, che nei 90 giorni successivi all'ultima comunicazione di integrazione del 6 giugno 2016 non sono pervenute all'ufficio tecnico tutte le integrazioni richieste e in tale lasso di tempo gli odierni attori, divenuti nuovi proprietari dell'immobile che si sono volturati la pratica, né hanno confermato né hanno rimosso dall'incarico l'Arch. (...), sostituendolo con un tecnico di loro fiducia, limitandosi a depositare esposto disciplinare nei suoi confronti; il CTU evidenzia altresì che le richieste di integrazioni dell'ufficio tecnico comunale sono rimaste immutate sia prima sia dopo le dimissioni del resistente, per cui anche i nuovi proprietari avrebbero potuto attivarsi provvedendo al loro riscontro). Va sottolineato che il comportamento di inerzia degli odierni attori non trova oggettiva giustificazione, come anche espressamente rilevato dal CTU in sede di accertamento preventivo (v. p. 95 relazione peritale), posto che siccome il permesso a costruire è trasferibile, assieme all'immobile, agli aventi causa, cioè nel caso di specie agli odierni attori, i medesimi avrebbero potuto: a) attivarsi per ottenere la sanabilità dell'immobile; b) ottenere il rilascio della agibilità; c) confermare l'incarico al professionista nominato dai venditori ovvero cambiare tecnico, a maggior ragione se rilevati inadempimenti nello svolgimento dell'incarico. Sotto il profilo del nesso di causalità osserva il Tribunale, come anche evidenziato nel provvedimento di archiviazione emesso dall'Ordine degli Architetti, che gli odierni attori e compratori coniugi (...) erano a conoscenza della situazione relativa alla agibilità dell'immobile e, dopo aver stipulato contratto preliminare, sono comunque addivenuti alla stipula del contratto definitivo di compravendita, così acquistando l'immobile come visto e piaciuto nelle condizioni in cui si trovava alla data dell'atto. Tale evenienza, sempre anche rilevante sotto il profilo di cui all'art. 1227 c.c., comporta una vera e propria elisione del nesso causale tra la condotta (peraltro professionalmente corretta per le ragioni di cui sopra) dell'Arch. (...) ed il danno prospettato in causa. Infatti gli odierni attori avrebbero potuto anzitutto non acquistare l'immobile, ovvero pretendere una riduzione del prezzo, ovvero ancora, una volta comunque addivenuti all'acquisto, avrebbero potuto agire con le prescritte azioni edilizie nei confronti dei venditori o in via aquiliana verso le imprese che hanno realizzato opere ed impianti: il loro comportamento omissivo sotto questi aspetti costituisce in realtà la causa del danno patito per i costi di adeguamento e di ripristino, e non la Attestazione che il professionista ha fornito, tempestivamente, secondo la normativa applicabile all'epoca ed in forza di rapporto fiduciario con i venditori che, come anche rilevato in sede di consulenza preventiva, non poteva automaticamente trasferirsi in capo agli acquirenti (v. anche relazione peritale, p. 90: "nel caso specifico l'anomalia più evidente deriva dal fatto che l'incarico è stato conferito dai sig.ri (...), in forza del titolo di proprietà e della necessità di ottenere l'agibilità dell'immobile oggetto di accertamento, e l'attività si è protratta anche oltre la data del trasferimento della proprietà ai sig.ri (...). Risulta evidente che la fiducia sui cui si fondava il rapporto professionale tra i sig.ri (...) e l'arch. (...) non si trasferisca in modo automatico con il trasferimento della proprietà"). Per tutte le ragioni sopra esposte, deve essere rigettata la domanda degli odierni attori verso il convenuto Arch. (...). Resta da valutare la posizione delle due imprese di impiantistica, chiamate in causa in manleva dalla difesa dell'Arch. (...). Anzitutto va rilevato che la difesa attorea non formula espressamente domande nei confronti dei terzi chiamati e non chiede l'estensione del contraddittorio; per altro verso costante giurisprudenza della Suprema Corte rileva che "Diversamente dall'ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore (caso, questo, in cui la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell'ipotesi della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (v. ex multis Cass., VI civ. ord., 1 giugno 2021, n. 15232 e le sentenze 5 marzo 2013, n. 5400, 13 novembre 2015, n. 23213, ordinanze 8 marzo 2018, n. 5580, e 28 novembre 2019, n. 31066, e sentenza 15 gennaio 2020, n. 516). Risulta tuttavia assorbente in ogni caso la considerazione per cui, anche a voler ravvisare incompletezze, mancanze o vizi della realizzazione delle opere ovvero nelle certificazioni rilasciate dalle imprese medesime, la domanda risarcitoria degli attori si dimostra carente sotto il profilo del nesso causale, nella misura in cui gli odierni attori hanno acquistato l'immobile come visto e piaciuto al momento della stipula dell'atto, e dunque non possono, sulla scorta di un titolo di responsabilità, diverso ed astrattamente concorrente con il titolo contrattuale, venire contra factum proprium né pretendere di vedersi risarcire costi per opere di ripristino e per il conseguimento della sanatoria, il che costituirebbe un loro indebito arricchimento rispetto agli accordi negoziali in forza dei quali, de plano e senza pattuizione alcuna di clausole condizionali in senso sospensivo o risolutivo, si è a suo tempo perfezionata la compravendita dell'immobile oggetto di causa. III. Conclusioni e regolamento delle spese di lite. Per tutte le ragioni sopra esposte, ritiene il Tribunale di dover addivenire all'integrale rigetto della domanda proposta dagli attori (...) sia nei confronti del convenuto Arch. (...) sia, se intesa come automaticamente estesa, nei confronti di tutti i terzi chiamati, costituiti e non, e cioè nei confronti dei coniugi (...), della impresa (...) e della impresa (...); in ogni caso, poi, l'esclusione di responsabilità professionale in capo al convenuto Arch. (...) esime il Tribunale dall'analisi della domanda di manleva da lui svolta verso tutti i suddetti terzi chiamati in causa. Quanto alla allegazione di parte convenuta, sempre ribadita in atti (v. comparsa costitutiva: "Va da sé che sono del tutto gratuiti i richiami al codice penale ed al combinato disposto degli articoli 359 e 481 (vedi ricorso ctp., p.11, dal terzo rigo in poi). Si tratta di affermazioni gravi, calunniose e lesive del decoro del professionista. Confidiamo che la Giudicante ne ordini l'espunzione)", occorre rilevare che i ricorrenti odierni attori si sono limitati a richiamare norme del codice penale a supporto della prospettazione, qui assunta, di responsabilità del professionista convenuto per illecito civile ex art. 2043 c.c. nell'ambito di controversia dagli aspetti, anche tecnici, molto complessi, per cui non si ravvisa la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 89 c.p.c.. Infine, la peculiarità e la complessità della vicenda, induce da un lato a lasciare le spese di lite e di CTU ex art. 696 bis c.p.c. a carico degli odierni attori ed all'epoca ricorrenti, dall'altro a dichiarare compensate integralmente le spese di lite sia tra attori e convenuto, sia -tenuto conto del principio di estensione automatica della domanda e del principio di causalità nel regolamento delle spese di lite- tra attori da un lato e terzi chiamati costituiti dall'altro (nulla invece in punto spese rispetto alla terza chiamata (...) in quanto non costituita in giudizio). P.Q.M. Il Tribunale di Torino, Sezione IV Civile definitivamente pronunciando nella contumacia della impresa (...), ogni diversa istanza disattesa o assorbita, - Rigetta la domanda proposta dagli attori (...) e (...) sia nei confronti del convenuto Arch. (...) sia, se intesa come automaticamente estesa, nei confronti di tutti i terzi chiamati, coniugi (...) e (...), impresa (...) ed impresa (...); - Dichiara integralmente compensate le spese di lite tra attori (...) e (...) e convenuto (...), lasciando le spese di lite e di CTU ex art. 696 bis c.p.c. a carico degli odierni attori; - Dichiara integralmente compensate le spese di lite tra gli attori (...) e (...) da un lato ed i terzi chiamati costituiti dall'altro. Così deciso in Torino il 9 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE OTTAVA CIVILE in composizione monocratica, in persona del giudice dr. Andrea De Magistris, ha reso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 20084/21 del ruolo generale degli affari contenziosi TRA (...) ((...)) rappresentato e difeso dagli avv. De.Ga. e Pa.Ag. ATTORE E SUPERCONDOMINIO DI T., CORSO (...) nn.335/337/339/341 - Via B. e F. nn.2, 4 - (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. El.Ia.. CONVENUTO OGGETTO: Impugnazione delibera condominiale. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione, notificato in data 18.10.2021, l'attore conveniva in giudizio il Super Condominio evidenziando di essere proprietario di un'unità immobiliare nel complesso edilizio di Corso (...) nn. 335/337/339/341 - Via B. e F. nn.2, 4 - (...); con Delib. del 22 giugno 2021 l'assemblea del suddetto super condomino aveva statuito sul seguente punto n. 3 dell'ordine del giorno: 3. "Amministratore e consiglieri"; assumendo la seguente decisione: "Non avendo il quorum per la nomina del nuovo amministratore resta in carica il geom (...) dello studio (...) sas."; che tale delibera era viziata per i seguenti motivi: violazione del regolamento che alla pag 32 per il super condominio stabilisce che "gli amministratori dei singoli stabili ? amministreranno a turno di un anno le cose di proprietà, uso comune a più stabili salvo accordo diverso"; inoltre al momento della delibera si ometteva di verbalizzare la disponibilità ad assumere l'incarico della società S. srl nella persona del dott. (...), amministratore dello stabile di Corso (...) n.337; con successiva Delib. del 27 settembre 2021 l'assemblea del suddetto super condomino aveva statuito sul seguente punto n. 1 dell'ordine del giorno: 1. "Nomina Amministratore"; assumendo la seguente decisione: "Dopo ampia discussione si passa alla votazione per la nomina dell'amministratore, candidati (...) e (...)...Non raggiungendo il quorum resta in carica il geom. (...) che provvederà ad inserire la nomina nella prossima assemblea ordinaria"; anche in questo caso la delibera era viziata per gli stessi motivi ovvero, violazione del regolamento, mancata decisione sulla deroga allo stesso regolamento al fine di ammettere amministratori esterni quale il geom. (...), mancata nomina dell'amministratore legittimato, in questo caso sig. (...). Tutto questo dedotto in fatto e dopo aver argomentato in diritto chiedeva l'annullamento delle delibere come indicato in epigrafe. Si costituiva in giudizio il Super Condominio convenuto il quale rilevava l'infondatezza della domanda evidenziando: che il regolamento del Super Condominio non poteva derogare alle disposizioni di legge in materia di nomina e revoca dell'amministratore (art. 1138 co 4 c.c.); in ogni caso il regolamento faceva "salvo il diverso accordo" che deve intendersi salva diversa valutazione dell'assemblea che nel caso di specie si è espressa non revocando l'amministratore (...) e non nominandone uno diverso; infine operava l'istituto della prorogatio di cui all'art. 1129 co 10 c.c.. Chiedeva quindi il rigetto delle richieste avversarie. Dopo aver rigettato l'istanza cautelare di sospensione, senza necessità di svolgere l'attività istruttoria richiesta la causa veniva trattenuta a decisione sulle conclusioni indicate in epigrafe. 2. La domanda è infondata. Le delibere impugnate, assunte dall'assemblea chiamata a pronunciarsi sulla nomina dell'amministratore del Super Condominio sono censurate sotto i medesimi profili: violazione del regolamento, mancata nomina dell'amministratore legittimato, conferma dell'amministratore precedente senza titolo. Preliminarmente, occorre rilevare che, alla prima udienza, parte attrice ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità della comparsa di costituzione e risposta per difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c. non essendo l'amministratore autorizzato dall'assemblea a stare in giudizio con la maggioranza prevista dalla legge. Sul punto si evidenzia come, in via generale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1131 c.c., sussista la legittimazione passiva dell'amministratore a resistere in giudizio anche in mancanza di delibera assembleare che a ciò lo autorizzi. Infatti "L'amministratore di condominio può resistere all'impugnazione della delibera assembleare riguardante parti comuni e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, tenuto conto dei poteri demandatigli dall'art. 1131 c.c., giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso amministratore" (Cass. n. 23550/20). Inoltre, l'amministratore conserva i poteri di rappresentanza anche se la delibera di nomina sia stata oggetto di impugnazione per vizi che possano comportare l'annullabilità dato che non configurandosi una ipotesi di inesistenza o di nullità radicale della delibera questa continua a produrre i propri effetti sino alla eventuale sospensiva. Nel caso di specie poi, come si vedrà, l'amministratore in regime di prorogatio conserva la legittimazione passiva (in questo senso Cass n. 14589/2011) che deriva anche dalla circostanza che l'attore ha convenuto in giudizio il condominio nella persona dell'amministratore così legittimando la sua costituzione. Nel merito si evidenzia che l'art. 1129 co. 10 c.c. stabilisce che "L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata". Nel caso all'esame del giudice l'amministratore del super condominio geom (...) è stato nominato con delibera, precedente a quelle impugnate che non è stata prodotta in giudizio ma che non risulta essere stata impugnata. Ha quindi prodotto i propri effetti attribuendo all'amministratore nominato i poteri e gli obblighi di cui agli artt. 1130 e seg. c.c. Alla scadenza dell'incarico del geom (...) l'assemblea del super condominio, convocata anche per la nomina dell'amministratore, con le Delib. del 22 giugno 2021 e Delib. del 27 settembre 2021 ha dato atto di non aver raggiunto il quorum per la nomina del nuovo amministratore. Con entrambe le delibere impugnate, infatti, l'assemblea condominiale si è limitata a statuire in data 22.6.2021 che "non avendo il quorum per la nomina del nuovo amministratore resta in carica il geom. (...)" e in data 27.9.2021 " dopo ampia discussione si passa alla votazione per la nomina di amministratore candidati (...) e (...) ... non raggiugendo il quorum resta in carica il geom (...)" non assumendo, quindi, alcuna decisione in merito alla nomina o revoca dell'amministratore. La censura dell'attore si appunta sulla violazione del regolamento per la mancata nomina dell'amministratore titolato e per la conferma del precedente amministratore non legittimato. Il regolamento del condominio richiamato alla pag. 32 stabilisce che "Gli amministratori dei singoli stabili o lotti che, a seguito di frazionamento costituiscono condominio, amministreranno a turno di un anno le cose di proprietà, uso comune a più stabili, salvo accordo diverso, non prima, però, del 30/12/1960". Confermando il precedente amministratore l'assemblea avrebbe violato il regolamento nella parte in cui individua quali unici soggetti legittimati ad essere nominati coloro che già amministrano i singoli stabili e nella parte in cui chiede che la nomina di soggetti c.d. esterni sia preventivamente autorizzata dall'assemblea. La censura non coglie nel segno poiché le delibere impugnate non hanno provveduto alla nomina di un amministratore non legittimato, quale il geom O., ma hanno dato atto dell'impossibilità di nominarne uno nuovo ed hanno tratto la conseguenza che sarebbe rimasto in carica quello precedentemente nominato. Condividendo la difesa del convenuto sul punto, che ha sostenuto che la locuzione "Resta in carica il precedente amministratore", debba essere intesa come rimane nell'esercizio delle sue funzioni il geom. (...) sebbene in regime di prorogatio, si ritiene che si verta nell'ipotesi disciplinata e prevista dall' art. 1129 co 8 c.c., come risulta all'esito della riforma della disciplina condominiale intervenuta nel 2012, secondo il quale "Alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto ... ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi" e con una rilevante delimitazione degli obblighi e dei poteri gestori. L'assemblea, in entrambe le occasioni, quindi, non ha assunto deliberazioni in violazione di legge o di regolamento ma si è limitata a dare atto dell'impossibilità di nominare il nuovo amministratore e a riconoscere gli effetti propri della prorogatio imperii che opera sino al momento in cui un altro soggetto assuma la pienezza dei poteri. Va infatti considerato che secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 30.12.2012 n.18660; Cass. 16.1.2014 n.821) la prorogatio imperii dell'amministratore si applica in ogni caso in cui il condominio rimanga privo dell'amministratore e quindi non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all'art.1129, co 2 c.c. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina. Pertanto, alcuna decisione in merito alla nomina dell'amministratore è stata assunta dall'assemblea del condominio che si è limitata a riconoscere gli effetti dell'art. 1129 co. 8 c.c. La circostanza, sopravvenuta, che con delibera successiva del 15.2.2022 il condominio abbia approvato il rendiconto 2021 che stabilisce compensi dell'amministratore anche per il periodo di prorogatio non costituisce criterio interpretativo delle delibere oggetto di impugnazione nel presente giudizio ben potendo essere autonomamente impugnata la delibera successiva. Così interpretata la portata decisoria, espressione della volontà del super condomino, delle due delibere impugnate resta irrilevante che non si sia proceduto alla nomina di altri candidati legittimati, poiché la nomina sarebbe stata impossibile difettando il quorum deliberativo, né che non si sia preventivamente ed espressamente decisa la deroga al regolamento perché alcuna deroga al regolamento vi è stata. La domanda va quindi respinta. 3. Spese di lite. Le spese, liquidate ex D.M. n. 147 del 2022 per il valore indeterminabile basso ai valori minimi per ciascuna fase avuto riguardo all'attività difensiva concretamente svolta e stante la semplicità della questione trattata sono poste a carico della parte attrice soccombente. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria o diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede: 1) Rigetta la domanda ex art. 1137 c.c. 2) Condanna la parte attrice a rifondere alla parte convenuta le spese di lite che liquida per l'intero in Euro 3808,00 per competenze professionali (fase studio Euro 850,50, fase introduttiva Euro 602,00, fase istruttoria Euro 903,00 fase decisionale Euro 1452,50), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, IVA e c.p.a. Così deciso in Torino l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO OTTAVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luisa Vigone ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2376/2020 promossa da: (...), C.F. (...) , con l'Avv. VA.MA., C.F. (...) , con l'Avv. RI.AN. ATTORE/I contro CONDOMINIO RESIDENZA (...) VIA (...), VIA S. 19 B. R. TO, C.F. (...), con l'Avv. MA.MA. CONVENUTO/I MOTIVI IN FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato il 22/01/2020 i signori (...) e (...) convenivano in giudizio il (...), in persona dell'amministratore pro tempore, chiedendo a questo Tribunale la dichiarazione di nullità e/o annullabilità, illegittimità e comunque la giuridica inefficacia della deliberazione condominiale assunta al punto 1) dell'ordine del giorno dall'assemblea tenutasi in data 21/11/2019 relativa all'approvazione della nuove tabelle millesimali. Gli attori deducevano di essere comproprietari dal 2010 nel Condominio convenuto di una unità immobiliare nonché delle soffitte soprastanti collegate tramite una scala a chiocciola interna all'abitazione e di una ulteriore soffitta non collegata con l'alloggio. Assumevamo altresì che in data 21/11/2019 (doc. n. 1) l'assemblea condominiale, riunita in seconda convocazione (presenti condomini rappresentanti mm 771,26), approvava con il favore di mm. 704,16, nuove tabelle millesimali in violazione del disposto dell'art. 69 disp. att. c.c.. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto chiedendo il rigetto della domanda avversaria, deducendo la piena validità della delibera assunta in ossequio del disposto di cui all'art. 69 c. 1 n. 2) disp. att. c.c.. All'udienza del 30/09/2020 tenutasi in forma figurata, questo Giudice concedeva i termini per memorie ex art. 183 c.p.c., che venivano ritualmente depositate dalle parti, e rinviava all'udienza del 11/02/2021. Alla predetta udienza parte attrice chiedeva fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni, mentre parte convenuta chiedeva ammettersi le prove dedotte con propria memoria ex art. 183 c. 6 n. 2) c.p.c.. A scioglimento della riserva assunta, stante la natura documentale del procedimento, le istanze di prove venivano rigettate e fissata udienza di precisazione conclusioni al 25/11/2021, ove venivano concessi i termini ex art. 190 c.p.c.. A seguito del deposito degli atti conclusivi decedeva il difensore di parte attrice; pertanto, a mente del disposto dell'art. 301 c.p.c., si dichiarava l'interruzione del processo e parte convenuta provvedeva alla riassunzione del processo. Veniva quindi fissata nuova udienza alla quale, alla presenza dei nuovi difensori costituiti per gli attori, venivano precisate le conclusioni e fissati nuovi termini per comparse conclusionali e repliche. Gli attori precisavano come da comparsa conclusionale 22/01/2022 chiedendo "in via pregiudiziale: dichiarata la carenza di legittimazione processuale dell'amministratore in quanto non munito di autorizzazione dichiarare la nullità della sua costituzione in giudizio e della costituzione in giudizio del condominio con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione per il medesimo motivo nel merito: dichiarare la nullità e/o annullabilità, l'illegittimità e comunque la giuridica inefficacia della deliberazione condominiale assunta al punto 1) dell'ordine del giorno dall'assemblea tenutasi in data 21/11/2019 relativa all'approvazione della nuove tabelle millesimali e conseguentemente annullarla con ogni consequenziale provvedimento. Con il favore delle spese e degli onorari di difesa, spese successive, rimborso forfetario, IVA e CPA del presente giudizio e della spese e compensi del procedimento di mediazione. Dichiarare tenuto e condannare il condominio convenuto al risarcimento dei danni, ove il Tribunale ne ravvisi gli estremi, a sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c.". Il convenuto precisava come da foglio precisazione conclusioni 19/11/21 reiterando le proprie istanze istruttorie e, nel merito, "in via principale, - respingere l'avversaria domanda e, per l'effetto, confermare la validità ed efficacia della delibera assunta dal Condominio in data 21/11/2019, al punto 1) dell'ordine del giorno avente ad oggetto l'approvazione delle nuove tabelle millesimali. - con vittoria di spese e competenze professionali di difesa, oltre a rimborso ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014, c.p.a. 4% ed I.V.A. 22/ rifusi. - con richiesta di incremento della liquidazione nella misura del 30%, ai sensi dell'art. 4, comma 1 bis, D.M. n. 55 del 2014, per l'avvenuto utilizzo, nella redazione degli atti, delle tecniche informatiche idonee ad agevolare la navigazione all'interno dell'atto, la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati". 1. La questione pregiudiziale sollevata da parte attrice - altresì concretizzatasi in una sollecitazione dei poteri d'ufficio di questo giudice - inerente il difetto di legittimazione processuale dell'amministratore del Condominio convenuto in assenza di specifica autorizzazione dell'assemblea è infondata e, pertanto, deve essere rigettata per i motivi che seguono. E' noto che l'amministratore di condominio può agire in giudizio, o esservi convenuto, in tutte le materie che riguardano le parti comuni dell'edificio e, più in generale, per le materie indicate nell'art. 1130 c.c., senza autorizzazione da parte dell'assemblea dei condomini. A specificazione di quanto disposto dall'art. 1130 c.c. è intervenuta, a più riprese e con orientamento unanime, la Suprema Corte, che da ultimo ha affermato: "va data continuità alla giurisprudenza di questa corte (n. 1451 del 2014, n. 10865 del 2016 e n. 16260 del 2016) che - precisando la portata di sez. un. n. 18331 del 2010 - afferma che l'amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo nonchè impugnare sentenze per tutte le controversie che rientrino nell'ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., (...) ovvero resistere all'impugnazione della delib. assembleare" Cass. civ., Sez. II, Sent., 16/10/2017, n. 24302. Va pertanto affermato come l'amministratore di condominio non necessiti di specifica delibera assembleare autorizzativa al fine di "difendere" una delibera di assemblea condominiale. Adabundantiam parte convenuta ha inoltre documentato (docc. nn. 13 e 14) l'informativa in merito al presente giudizio fornita ai condomini, i quali hanno ratificato e confermato il mandato difensivo (cfr. verbale 30/06/2020). Da ultimo si sottolinea sul punto l'inconferenza della giurisprudenza segnalata da parte attrice nel verbale di udienza in data 11/02/2021. Segnatamente la Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 21/05/2018, n. 12525 si riferisce a crediti contestati del precedente amministratore revocato, ritenuta dalla Suprema Corte materia non rientrante tra quelle per le quali è autonomamente legittimato ad agire ai sensi degli artt. 1130 e 1131, comma 1, c.c.. 2. Quanto alle istanze istruttorie richiamate in sede di precisazione conclusioni da parte convenuta si osserva come la presente procedura sia idonea ad essere decisa sulla base della sola documentazione versata in atti dalle parti, non necessitando ulteriore attività. Sulle ragioni di rigetto delle istanze di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 del convenuto datata 04/12/2020 si richiama integralmente il contenuto dell'ordinanza 16/02/2021. 3. Nel merito la domanda attorea è infondata e va rigettata per i seguenti motivi. Dalle emergenze documentali in atti è possibile ricostruire come segue i fatti di causa: - Gli attori acquistavano in data 12/05/2010 l'immobile sito in R. (T.), via R. n. 1, identificato catastalmente al "F. 15 - Part. (...) - Sub. (...)" con rogito Notaio (...) Rep. (...) e Racc. (...) (doc. n. 3 parte convenuta); - il predetto atto pubblico descriveva l'immobile de quo come segue: "a) al piano quinto e sesto (sesto e settimo fuori terra): alloggio disposto su due piani composto di salone, cucina, tre camere, servizi e terrazzo al piano quinto e locale lavanderia, locale stireria, locale gioco bimbi e servizi al piano sesto, il tutto collegato da scala interna"; - il venditore dell'immobile, Signora (...), otteneva in data 10/05/2010 Concessione edilizia in sanatoria n. 4070 (doc. n. 4 parte convenuta) del Comune di Rivoli avente ad oggetto la regolarizzazione della situazione di fatto conseguente alla "...difformità da concessione edilizia dell'unità immobiliare sita al piano 5 (6 f.t.) del sottotetto ad uso accessorio ...; - In data 02/12/2015 (doc. n. 5 parte convenuta) il geom. (...), incaricato dal Condominio, redigeva una relazione avente ad oggetto la "sussistenza delle condizioni per la modifica delle tabelle per la ripartizione delle spese". L'unità immobiliare degli attori al piano quinto, risultava composta da soggiorno, cucina, due bagni, 3 camere, terrazzo e 2 balconi; al sesto piano 4 locali che, all'epoca del sopralluogo, si presentavano in stato semi grezzo, dotati di infissi e di una serpentina a pavimento per il riscaldamento. La superficie commerciale dell'unità complessiva risultava di mq. Commerciali 238,14 (di cui mq. 188,94 al piano quinto). Dava altresì atto dell'avvenuto deposito di Comunicazione di Inizio Lavori del 14/7/2010 inerente "modifiche alle tramezzature interne al quinto e sesto piano, rifacimento parziale pavimenti, nuovi rivestimenti e sanitari nei bagni, verifica ed integrazione degli impianti idrico e termico". Il tecnico perveniva quindi alla seguente conclusione: "Dalle stime elaborate è emerso che il cambio di destinazione d'uso delle mansarde con accorporo della superficie agli alloggi del quinto piano ha determinato un incremento di valore delle unità immobiliari in misura superiore ad un quinto del valore iniziale,ovvero del valore in base al quale sono state elaborate le tabelle di riparto spese attualmente in vigore"; - il Condominio affidava quindi la determinazione delle nuove tabelle al geom. (...) (docc. nn. 7, 8, 9 parte convenuta) che predisponeva l'elaborato oggetto dell'approvazione assembleare di cui al presente procedimento; - l'assemblea riunita in data 21/11/2019 (doc. n. 1 parte attrice) deliberava (con il voto favorevole di 34 condomini - pari a mm. 704,16 - su 36 presenti) l'adozione delle nuove tabelle a far data dalla gestione 19/20, in luogo di quelle (doc. n. 10 parte convenuta) originariamente allegate al Regolamento del Condominio (doc. n. 11 parte convenuta); - detta variazione si concretizzava per gli attori in un incremento della superficie abitativa da mq 188,94 a mq 238,14, stante l'applicazione alla superficie delle soffitte, per la determinazione del valore millesimale, del coefficiente residenziale 0,90 in luogo di quello accessorio 0,35. Alla luce della situazione di fatto, come sovra descritta e documentata in atti e, stanti le conclusioni rispettivamente rassegnate dalle parti, in punto diritto devesi valutare il profilo della legittimità dell'impugnata deliberazione in conformità ai principi di cui all'art. 69 disp. att. c.c.. Ed invero gli attori impugnavano la delibera di approvazione delle tabelle - con conseguente vaglio di questo giudice esclusivamente incentrato sulla legittimità della delibera stessa - e non le tabelle millesimali, restando pertanto esclusa dall'oggetto del presente giudizio qualsivoglia valutazione legata al procedimento di formazione delle stesse o gli eventuali vizi/errori insiti nel calcolo tecnico operato dal Geom. (...). La Suprema Corte sul punto ha statuito che "l'impugnazione della tabella è cosa diversa dalla impugnazione della delibera che modifica la tabella. L'impugnazione della delibera, infatti, non trae fondamento dall'errore iniziale o dalla sopravvenuta sproporzione dei valori del prospetto, ma dai vizi concernenti l'atto e la sua formazione. Precisato che la domanda giudiziale diretta ad impugnare la tabella millesimale configura una azione diversa rispetto alla domanda concernente l'impugnazione della delibera assembleare che modifica la tabella, diversa nelle due ipotesi è anche la legittimazione passiva. Come già affermato da questa Corte (Sez. 2, 15 aprile 1994, n. 3542), l'impugnazione della delibera che modifica la tabella va infatti proposta contro l'amministratore del condominio, perché questi è sempre legittimato a resistere contro l'impugnazione delle deliberazioni assunte dall'assemblea" (Cass. civ., Sez. II, Sent., 11/07/2012, n. 11757). "La domanda di revisione delle tabelle millesimali, allegate ad un regolamento di condominio avente natura contrattuale", invece "esorbita dall'ambito delle attribuzioni dell'amministratore e va proposta in contraddittorio di tutti i condomini, riguardando la modifica dei diritti riconosciuti ai singoli da tale regolamento" (Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 22/10/2014, n. 22464). Sono pertanto del tutto irrilevanti ed estranee all'oggetto del giudizio tutte le deduzioni di parte attrice volte a far emergere incongruenze nella relazione del geometra incaricato e nella conseguente valutazione delle nuove tabelle millesimali. La domanda di parte attrice non può trovare accoglimento risultando pienamente legittima la delibera adottata nonché condivisibili le difese svolte dal Condominio convenuto. Risulta dagli atti che l'adozione delle nuove tabelle conseguiva agli interventi di ristrutturazione succedutisi nella proprietà degli attori, dapprima ad opera della signora (...) (doc. n. 4 parte convenuta) e successivamente per mano degli stessi attori (doc. n. 6 parte convenuta), e non in ragione di un errore nelle originarie tabelle allegate al Regolamento del Condominio (come ravvisato dalla difesa attorea). Segnatamente le mansarde, mere pertinenze dell'immobile a mente delle tabelle millesimali originarie, ad opera degli interventi edilizi di cui sopra, di fatto mutavano destinazione, ampliavano l'estensione e la superficie commerciale dell'immobile e divenivano locali residenziali, parte integrante dell'immobile. Si realizzava quindi "un incremento di valore delle unità immobiliari in misura superiore ad un quinto del valore iniziale" (cfr. relazione geom. (...) del 02/12/2015 - doc. n. 5 parte convenuta). Invero dalla lettura della pag. 7 del doc. n. 5 di parte convenuta risulta che alle mansarde degli attori, aventi superficie complessiva di mq. 89,45, cui originariamente era attribuito il coefficiente di 0,35 (quali mere pertinenze), si applicava il coefficiente di destinazione 0,90 (ambienti abitativi destinati a servizi e ripostigli), stante appunto la realizzazione nelle stesse di un locale lavanderia, un locale stireria, un locale gioco bimbi ed un locale per servizi igienici (come peraltro confermato dal tenore del rogito notarile di acquisto dell'immobile (doc. n. 3 parte convenuta). E' quindi legittima la rettifica o modifica dei valori millesimali con la maggioranza prevista dall'articolo 1136 c.c, secondo comma (pienamente rispettata nel caso de quo in cui la delibera oggetto di impugnazione è stata assunta con il voto favorevole di 34 condomini - pari a mm. 704,16 - su 36 presenti) essendosi realizzata l'alterazione per più di un quinto del valore proporzionale dell'unità immobiliare degli attori rispetto alle tabelle millesimali originarie, che rispecchiavano una situazione di fatto notevolmente diversa da quella attuale. Per completezza di esposizione deve affermarsi come non sia condivisibile la tesi di parte convenuta che rinviene, nella condotta dei condomini che hanno saldato i contributi condominiali secondo la tabelle approvate a maggioranza, un'accettazione tacita delle tabelle stesse. Ed invero a tale conclusione potrebbe giungersi esclusivamente in caso di assenza o partecipazione con il voto favorevole alle delibere adottate. "Il consenso non potrebbe, invece, dedursi dal comportamento tenuto da quei condomini che nella assemblea abbiano già espresso dissenso dalla approvazione delle tabelle millesimali, in quanto, in presenza della loro esplicita volontà, non è lecito ricercare una contraria volontà tacita o presunta che sulla prima dovrebbe prevalere (sent. 9 febbraio 1985 n. 1057; nel senso che i condomini, partecipando alle assemblee per tre anni ed effettuando i pagamenti in conformità delle nuove tabelle, non manifestano per facta concludentia quel consenso che avevano espressamente negato in occasione della relativa delibera condominiale cfr. sent. 28 aprile 2005 n. 8863) o dal comportamento degli acquirenti (sent. 9 agosto 1996 n. 7359)" (Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 06/07/2010) 09/08/2010, n. 18477). 4. In punto spese non vi è motivo di derogare al principio della soccombenza, stante il fatto che l'individuazione del soccombente si compie in base al principio della causalità, con la conseguenza che la parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, con il comportamento tenuto fuori del processo, ovvero con il darvi inizio o resistervi, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (Cass. Ord. Sez 6 n. 9035/2019; Cass. n. 25111 del 27/11/2006). Pertanto le spese di lite, da porsi a carico di parte attrice, si determinano tenuto conto dei parametri previsti dal D.M. n. 147 del 2022, secondo i seguenti valori di liquidazione previsti nello scaglione di valore indeterminabile - complessità bassa, in base ai valori medi - tenuto conto del valore e della complessità della procedura, per tutte le fasi processuali effettivamente svolte: Euro 1.701,00 Fase di studio della controversia, valore medio; Euro 1.204,00 Fase introduttiva del giudizio, valore medio; Euro 1.806,00 Fase istruttoria/trattazione del giudizio, valore medio; Euro 2.905,00 Fase decisionale, valore medio; per complessivi Euro 7.616,00 oltre 15% per rimborso forfettario spese generali oltre C.P.A. e IVA (se detraibile) sugli importi imponibili come per legge. 5. La domanda di parte attrice volta alla condanna del condominio ex art. 96 c. 3 c.p.c., integrante un potere discrezionale del Giudice e non un obbligo (Cass. Civ. Ord. 01/03/2022, n. 6730), viene assorbita dalla soccombenza della stessa parte richiedente, cui le spese processuali sono poste a carico. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: RIGETTA la domanda di parte attrice; CONDANNA parte attrice, a rimborsare a parte convenuta le spese di lite, che si liquidano in Euro 7.616,00 per compensi, oltre 15% per rimborso forfettario spese generali oltre C.P.A. e IVA (se non detraibile) sugli importi imponibili come per legge Si comunichi Così deciso in Torino il 9 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE OTTAVA CIVILE in persona del Giudice Unico, dr.ssa Marisa GALLO ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429 c.p.c. nella causa civile iscritta al n.7979/2022 promossa da: (...), elettivamente domiciliato in Torino, Corso (...), presso lo studio dell'avv. Al.Mu. che lo rappresenta e difende per delega in atti - RICORRENTE - - contro - (...), elettivamente domiciliato in Torino, Via (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Fr. che lo rappresenta e difende per delega in atti - RESISTENTE - OGGETTO: locazione di immobile ad uso commerciale MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con ricorso ex art. 447bis c.p.c., depositato in data 27.04.2022, il sig. (...) adiva il Tribunale esponendo: di aver sottoscritto in data 1.4.2016 un contratto di locazione ad uso commerciale relativo all'immobile sito in T., via V. C. n. 104 di proprietà del sig. (...); che la clausola 3) di tale contratto doveva ritenersi affetta da nullità ex artt. 79 e 32 L. n. 392 del 1978, prevedendo un canone c.d. "a scaletta", senza individuazione di elementi oggettivi che lo giustificassero, e un adeguamento ISTAT nella misura del 100%; che il locatore non gli aveva mai fornito i preventivi e consuntivi di spesa con i relativi criteri di riparto, con l'impossibilità di verificare le poste a carico del conduttore. Assumeva, dunque, di aver versato somme in eccesso rispetto a quelle dovute e chiedeva la rideterminazione del canone e il riconteggio delle spese accessorie, con condanna del locatore alla restituzione dell'importo di Euro 5.226,81. Con comparsa di costituzione depositata in data 15.09.2022 si costituiva il convenuto, sostenendo la piena legittimità del contratto stipulato tra le parti, ad eccezione della previsione dell'aggiornamento ISTAT nella misura del 100%, e chiedendo il rigetto del ricorso. Non ritenendosi necessario lo svolgimento di attività istruttoria, le parti hanno precisato le conclusioni in data odierna. Le domande di parte ricorrente sono infondate, ad eccezione del rilievo di nullità della clausola n. 3 del contratto di locazione nella parte in cui è stato previsto l'aggiornamento del canone di locazione nella misura del 100% della variazione ISTAT; lo stesso convenuto ha riconosciuto sul punto la illegittimità della clausola, per violazione dell'art. 32, II comma, L. n. 392 del 1978, rappresentando tuttavia di non aver mai richiesto al conduttore alcun importo per l'adeguamento ISTAT, circostanza non contestata dallo stesso ricorrente. Ciò premesso, il sig. (...) ha lamentato la nullità della clausola 3) del contratto di locazione, poiché contraria all'art. 32 L. n. 392 del 1978 cit. sotto un ulteriore profilo, ovvero quello della previsione del c.d. canone "a scaletta". Richiamando una serie di pronunce emesse dalla Suprema Corte, sostiene il ricorrente come la clausola convenzionale che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, per essere "secundum legem", debba chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto, ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del rapporto in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta; mentre è "contra legem" (e come tale radicalmente nulla per violazione della norma imperativa) se costituisce un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, con conseguente squilibrio del rapporto sinallagmatico per violazione dei limiti quantitativi previsti dal sistema normativo (cfr. anche note conclusive del 10.01.2023). Nella tesi del sig. (...), poiché nella fattispecie in esame non vi sarebbero elementi predeterminati e desumibili dal contratto idonei a giustificare tale previsione, ne deriverebbe la nullità della clausola ex art. 79 L. n. 392 del 1978, con conseguente rideterminazione del canone nella misura di Euro 700,00 mensili (pari al canone previsto per il primo anno di locazione), oltre all'adeguamento ISTAT nella misura del 75%. Le argomentazioni del ricorrente non possono essere condivise. La Corte di Cassazione ha recentemente approfondito la questione relativa alla pattuizione del canone in misura differenziata nel corso del rapporto ed ha enunciato i seguenti principi di diritto: - "in tema di locazione di immobili ad uso diverso da quello di abitazione, devono ritenersi legittimi - alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per detti immobili - tanto il patto con il quale le parti, all'atto della conclusione del contratto, predeterminano il canone in una misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, quanto il patto successivo con il quale le parti stabiliscono consensualmente, nel corso del rapporto, una misura del canone diversa da quella originariamente prevista. La legittimità di tali patti (iniziali o successivi) dev'essere peraltro esclusa ove risulti (dal testo contrattuale o da elementi extratestuali) che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della L. n. 392 del 1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall'art. 1, comma 9-sexies, della L. n. 118 del 1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge" (Cass. civ., Ord. n. 33884 del 12/11/2021); - "alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui viene pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (a) mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, oppure (b) mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, ovvero (c) correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull'equilibrio economico del sinallagma. Al contrario, la legittimità di tale clausola va esclusa qualora risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione è onerata la parte che invoca la nullità - che i contraenti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della L. n. 392 del 1978 e così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge" (Cass. n. 23986 del 26/09/2019). La Suprema Corte ha quindi stabilito la liceità del c.d. canone "a scaletta" determinato secondo le modalità alternative sopra riportate, salvo che questo sia diretto unicamente a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria. In particolare, con la pronuncia n. 23986/2019 la Corte di Cassazione ha ricostruito il proprio orientamento a partire dalla sentenza n. 6695/1987, chiarendo come quest'ultima fosse stata erroneamente interpretata nella sua massima originaria, senza che vi fosse riscontro nel corpo del testo del principio di diritto esposto: "assecondando questa (errata) lettura della massima, si arriverebbe alla conclusione secondo cui le parti di un contratto di locazione ad uso diverso da abitazione, là dove vogliano liberamente determinare l'entità del canone in misure differenziate e crescenti per frazioni di tempo, avrebbero l'onere (anche in termini probatori) di allegare necessariamente l'avvenuto ancoramento degli aumenti del canone ai richiamati 'elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti alle variazioni annue del potere di acquisto della moneta" (Cass. n. 23986/2019 cit.). Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dunque, la Suprema Corte è ormai consolidata nell'affermare il principio della libera determinazione del canone e della conseguente legittimità di una pattuizione con cui il canone viene definito in misura crescente nel corso del tempo. Alla luce di quanto sopra deve pertanto affermarsi la validità della clausola n. 3 del contratto di locazione laddove è stato previsto un canone diverso per la prima e la seconda annualità del rapporto, non essendovi alcun elemento che induca a ritenere che le parti abbiano in realtà voluto perseguire lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, per lo più ove si consideri che con lo stesso art. 3 veniva altresì previsto (illegittimamente) un adeguamento ISTAT nella misura del 100%. Deve dunque essere respinta la domanda del ricorrente volta ad ottenere la restituzione della somma di Euro 5.226,81 (aggiornata, con le note finali, ad Euro 6.406,36). Il ricorrente ha poi lamentato come il locatore non gli avesse mai messo a disposizione i rendiconti ed i consuntivi delle spese, impedendogli così di verificare la correttezza di quanto corrisposto per gli oneri accessori. Tali contestazioni appaiono generiche, non adeguatamente circostanziate e smentite dalla documentazione prodotta dal convenuto. Emerge infatti che: - con riferimento alla gestione 1.9.2016/31.8.2017, il convenuto ha provato di aver consegnato al conduttore il rendiconto in data 21.12.2017 (doc. 3); - con riguardo alle gestioni 2017/2018 e 2018/2019, il sig. D.D. ha ottenuto il decreto ingiuntivo n. 8950/2019 con cui il sig. (...) è stato condannato a rimborsargli le somme dallo stesso anticipate per oneri accessori (doc. 7); non risulta che tale decreto sia stato opposto dal sig. (...), di talchè deve ritenersi preclusa ogni contestazione sul punto; - con riferimento alla gestione 1.7.2019/30.6.2020, il consuntivo è stato trasmesso al conduttore, per il tramite del di lui difensore, in data 13.10.2020 (doc. 9); - con riferimento alla gestione 1.7.2020/30.6.2021, il consuntivo è stato trasmesso in data 10.9.2021 (doc. 10). Non solo le doglianze del ricorrente non trovano riscontro, ma non può non osservarsi come il sig. (...) abbia genericamente lamentato di non poter verificare l'esattezza delle somme corrisposte, senza neppure quantificare gli importi effettivamente versati per gli oneri accessori; a ciò si aggiunga come dalla documentazione prodotta dal convenuto emerga chiaramente come lo stesso, nel quantificare le somme a conguaglio richieste al conduttore, abbia sempre tenuto conto degli acconti mensili già corrisposti ex art. 10 del contratto di locazione. In conclusione, le domande del ricorrente devono essere tutte respinte, ad eccezione della richiesta di declaratoria di nullità dell'art. 3 del contratto nella parte in cui è stato previsto un adeguamento ISTAT del canone nella misura del 100% anzichè del 75%. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno pertanto poste interamente a carico del ricorrente; non rileva l'accoglimento della domanda limitatamente al punto relativo all'aggiornamento ISTAT, tenuto conto della non opposizione del convenuto e del fatto che non è contestato che il locatore non abbia mai richiesto l'adeguamento. Tali spese, in assenza di nota, si liquidano come in dispositivo, con applicazione dei parametri previsti dal D.M. n. 147 del 2022 per le cause di valore ricompreso tra Euro 5.200,01 ed Euro 26.000,00, nella misura media per le fasi di studio ed introduttiva e minima per le fasi di trattazione e decisionale, in considerazione della limitata attività svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando, respinta o assorbita ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, dichiara la nullità dell'art. 3 del contratto di locazione oggetto di causa, limitatamente alla parte in cui è stato previsto l'aggiornamento del canone "nella misura del 100% accertato dall'ISTAT", anziché nella misura del 75% delle variazioni accertate dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operaie di impiegati; respinge nel resto tutte le domande del ricorrente; condanna il sig. (...) a rimborsare al sig. (...) le spese di lite, che liquida in Euro 3.386,00 per compenso, oltre 15% rimborso spese generali, CPA ed IVA come per legge. Così deciso in Torino l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI Il Giudice per le Indagini Preliminari dott.ssa Anna Mascolo all'esito dell'udienza in camera di consiglio del 25.1.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA ai sensi degli artt. 442 c.p.p. nei confronti di: (...), nato in G. nel (...) alias (...), nato in N. il (...) alias (...), nato in N. il (...) difeso d'ufficio dall'avv. Federica Galante del Foro di Torino attualmente detenuto p.q.c. ver i reati di cui ai capi 1) 2) e 3) presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, presente IMPUTATO 1) per il reato di cui all'art. 628 c.p. perché, al fine di trarne profitto, con violenza, consistita, dopo essersi avvicinato a loro da tergo, nel colpire al capo con un sacco (...) e (...), che si trovavano su una panchina nei pressi dell'Orto Botanico all'interno del Parco del Valentino, si impossessava di un bastone telescopico per il taglio dei rami, c.d. forbice taglia rami, sottraendolo alle predette che lo detenevano in quanto studentesse universitarie della Facoltà di Biologia - indirizzo di Botanica, alla quale il bastone apparteneva. In Torino, il 12 luglio 2022 2) per il reato di cui agli artt. 582, 585 c.p., perché, utilizzando il bastone di cui al capo precedente, colpendo ripetutamente al corpo e al capo R.G. (cl. (...)), intervenuto in ausilio delle due ragazze indicate nel capo precedente, procurava alle predette lesioni personali, consistite nella frattura del polso sinistro e in un trauma cranico, dalle quali derivava una malattia nel corpo guaribile in un numero imprecisato di giorno e comunque superiore a 20 gg. Fatto aggravato perché commesso con un'arma (bastone taglia siepi). 3) per il reato di all'art. 337 c.p., perché, al fine di opporsi al compimento di atti d'ufficio da parte di pubblici ufficiali appartenenti alla Polizia di Stato, usava violenza nei loro confronti, segnatamente, al fine di opporsi alla propria identificazione e controllo per i reati di cui ai capi precedente, prima brandiva il bastone di cui al capo 1) all'indirizzo dei poliziotti intervenuti in loco, quindi, una volta raggiunto, si dimenava e scalciava all'indirizzo di Q.G. e P.R., il primo dei quali veniva colpito più volte da calci all'altezza del braccio e del petto. Recidiva infraquinquennale specifica reiterata MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Si è proceduto con rito abbreviato instaurato a seguito di decreto di giudizio immediato emesso in data 9.8.2022 nei confronti dell'imputato per i delitti meglio descritti in epigrafe. Nel corso dell'udienza del 19.10.2022 il difensore ha chiesto disporsi perizia psichiatrica sull'imputato e il giudice, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per procedersi all'accertamento richiesto, ha disposto l'acquisizione di documentazione medica relativa all'imputato presso la Direzione Sanitaria della Casa Circondariale; alla successiva udienza del 16.11.2022 il difensore ha reiterato la richiesta di procedersi all'effettuazione di perizia sulla capacità di intendere e volere dell'imputato al momento dei fatti; il Giudice, sentito il Pubblico Ministero, ha accolto l'istanza e, nel corso della medesima udienza, ha conferito l'incarico peritale al dott. (...). Nel corso dell'udienza del 25.1.2023 è stato sentito il perito che ha confermato integralmente il contenuto della relazione di consulenza psichiatrica depositata il 28.12.2022; all'esito, ammesso il rito abbreviato, le parti hanno concluso come in epigrafe ed il giudice, all'esito della camera di consiglio, ha pubblicato la presente sentenza mediante lettura del dispositivo. 2. Dall'esame degli atti processuali (cfr. annotazione della Questura di Torino del 12.7.2022 ed atti allegati tra i quali verbale di arresto del 12.7.2022) è emerso quanto segue. Alle ore 9:00 del 12.7.2022, la Centrale Operativa segnalava la presenza di un soggetto di colore che, dopo aver aggredito un uomo anziano con un bastone, si allontanava in corso Massimo d'Azeglio, direzione corso Vittorio Emanuele. Operanti in servizio presso la Questura di Torino si recavano nell'immediatezza in corso Massimo d'Azeglio, dove, all'altezza del civico 12, notavano un uomo che corrispondeva alla descrizione fornita, alto circa 175 con i capelli di colore nero, indossante dei pantaloni lunghi di colore verde con scritta nera "Duff, delle scarpe marca Adidas verdi, nonché una t-shirt a maniche corte, successivamente identificato nell'odierno imputato, che impugnava un bastone e, nello specifico, una forbice taglia rami telescopica di colore nero e grigio, lunga circa due metri. L'imputato brandiva l'arnese in direzione dei passanti, urlando e, nel frattempo, si spostava all'interno del Parco del Valentino. Gli agenti invitavano più volte l'uomo a posare il bastone, ma senza risultato in quanto (...) continuava a brandire Parma per evitare di essere disarmato, scalciava, si dimenava e colpiva alle braccia, nonché al petto, l'Agente Q.. In seguito, gli operanti riuscivano, a fatica, a disarmare l'imputato e procedevano a sequestrare il bastone telescopico dallo stesso impugnato ed una borraccia verde dallo stesso detenuta. Durante le operazioni, gli agenti venivano avvicinati da (...), che, nell'immediatezza e poi in sede di querela riferiva che, intorno alle ore 08:50, si trovava su una panchina nei pressi dell'Orto Botanico al civico 25 con la compagna di università (...) quando un ragazzo africano, poi identificato nell'odierno imputato, si avvicinava a loro, urlando frasi incomprensibili e, con un oggetto simile ad un sacco, le colpiva entrambe alla testa Dopo averle colpite, l'imputato sottraeva un bastone denominato "forbice taglia rami" in loro possesso in quanto frequentanti l'università di botanica In seguito, l'imputato iniziava a seguirle urlando e cercando di colpirle. A questo punto, un uomo di circa 60 anni con capelli brizzolati, poi identificato in R.G., che aveva assistito all'accaduto, si metteva in mezzo cercando di allontanare e far desistere l'aggressore che prontamente si scagliava contro di lui colpendolo più volte con la "forbice taglia rami". In particolare, l'imputato colpiva (...) sulla gamba, sulla testa e in direzione del braccio. La (...) riferiva che nel frattempo un suo compagno di corso contattava le Forze dell'Ordine che sopraggiungevano pochi minuti dopo e bloccavano l'imputato rinvenuto in possesso del bastone taglia rami che le veniva poi restituito. Sul posto giungeva personale medico che prestava le prime cure alla (...) e alla (...) e trasportava (...) in codice giallo presso l'ospedale CTO di Torino. A seguito dell'aggressione subita, R.G. veniva ricoverato al CTO ove gli veniva riscontrata "frattura del polso e trauma cranico con versamento"; mentre si trovava ricoverato presso l'ospedale la persona offesa sporgeva querela nei confronti dell'imputato specificando che la mattina del 12.7.2022, circa alle ore 09:00, si trovava al parco del Valentino per una passeggiata con il cane quando, passando davanti alla discoteca "Life", vedeva una ragazza che gli correva incontro spaventata, inseguita da un uomo di colore che brandiva contro di lei un bastone. Lui intimava all'imputato di desistere dal suo intento e cercava di difendere la ragazza ma (...) si avventava contra di lui colpendolo con il bastone sulla testa, facendolo cadere e cagionandogli le lesioni sopra indicate. Infine, (...), escusso a s.i.t. in data 12.7.2022, riferiva di essere il titolare dell'azienda edile (...) e che quel giorno si trovava per un sopralluogo all'interno dell'orto botanico del Parco del Valentino, quando, circa alle ore 08.55, sentiva dall'esterno provenire delle urla; si avvicinava per cercare di capire cosa stesse accadendo e vedeva un uomo nordafricano, poi identificato nell'odierno imputato, che teneva in mano una lunga asta di colore nero e grigio e colpiva violentemente in testa un uomo italiano di circa 70 anni. Nell'occorso, per difendere l'anziano aggredito, sopraggiungeva un altro soggetto di circa 45 anni che tentava di allontanare l'imputato utilizzando una borraccia di colore verde acqua ma (...) se ne impossessava e si allontanava all'interno del Parco del Valentino in direzione centro città. Dopo qualche istante sopraggiungevano delle pattuglie di Polizia che prontamente fermavano l'imputato. (...) specificava che nel corso di tali eventi non perdeva mai di vista l'imputato fino a quando non veniva fermato dalla Polizia. 2.1. In sede di interrogatorio di convalida in data 25.7.2022 l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere. 3. Da quanto emerso deve ritenersi provata la penale responsabilità di (...) per i reati a lui ascritti. Si evidenzia, in primo luogo, che non vi è dubbio alcuno in ordine all'identificazione dell'odierno imputato come l'autore dei reati sopra decritti - circostanza peraltro non contestata dalla Difesa - in quanto fermato nell'immediatezza dei fatti dagli operanti e rinvenuto in possesso dei bastone sottratto alla M.. Ciò posto, si ritiene pacifica la responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo A), correttamente qualificato ai sensi dell'art. 628 c.p., avendo (...) colpito la (...) e la (...), per impossessarsi del bastone taglia-rami che veniva poi dallo stesso utilizzato nei confronti degli operanti e delle altre persone intervenute per difendere le due ragazze. Può pertanto ritenersi, alla luce del successivo sviluppo della vicenda, che l'intento di (...) fosse proprio quello di impossessarsi del bastone e che la violenza esercitata contro la (...) e la (...) fosse finalizzata a tale scopo. Sul punto si osserva poi che, come sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria, nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l'agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. Quanto al reato di lesioni di cui al capo B) la persona offesa e tutti i soggetti presenti, hanno concordemente dichiarato che (...) colpiva R., intervenuto a difesa della (...), alla testa e sul braccio cagionandogli lesioni consistenti nella frattura del polso e trauma cranico del tutto compatibili con la dinamica riferita e costringendolo al ricovero presso l'ospedale CTO di Torino. II reato risulta poi aggravato in quanto commesso con arma. Pacifica anche la responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo C) avendo (...) esercitato una forte e violenta opposizione nei confronti del personale intervenuto per disarmarlo e identificarlo, scalciando, dimenandosi e colpendo alle braccia, nonché al petto l'Agente (...), non potendosi ritenere che si sia trattato di una reazione istintiva e involontaria rispetto all'agire degli operanti. 3.1. Ciò posto, deve rilevarsi che, diversamente da quanto richiesto dal difensore in sede di discussione, non può ritenersi sussistente in capo all'(...) un vizio di mente tale da giustificare il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p. né tantomeno la sua assoluzione ai sensi dell'art. 88 c.p. Come sopra indicato, infatti, in prima battuta è stata acquisita documentazione sanitaria dell'imputato dalla Direzione sanitaria della Casa Circondariale ove (...) si trovava ristretto ed in seguito è stata disposta perizia psichiatrica al fine di verificare la sua capacità di intendere e volere al momento del fatto. In primo luogo, dalla certificazione sanitaria del 12.7.2022 emergeva che, all'ingresso in carcere, (...) presentava "Pensiero corretto per forma e contenuto", "percezione integra", "umore in asse" e veniva riscontrata l'assenza di anomalie comportamentali. Nella relazione psichiatrica del 28.10.2022 la dr.ssa (...) specificava "...risponde alle domande con frasi semplici e concrete spesso con I don't know; non chiaro se reticenza o barriera linguistica, non sintomi di area francamente psicotica, in Sezione non segnalate anomalie comportamentali, anamnesi e biografia ignote. Non attuali indicazioni farmacologiche ..."; allo stesso modo, all'esito della visita psichiatrica del 3.11.2022, risultava "paziente disponibile al colloquio, collaborante, lucido orientato. Non dispercezioni apparenti. Pensiero poco esplorabile. Riferisce di svolgere le attività quotidiane senza difficoltà...buona compliance alla terapia" (cfr. visita del 3.11.2022) ed anche nelle annotazioni successive del 4.11.2022, 5.11.2022, 8.11.2022, 13.11.2022 e 19.11.2022 non emergeva in capo all'indagato un quadro psicotico, indicandosi, all'esito dell'ultima visita detta indicazione: "Stazionario. No elementi clinici di criticità dal punto di vista psicopatologico. Impulsività in range. Adeguato nella relazione non anomalie comportamentali" (cfr. pagg. 10 e 11 della relazione peritale). Ciò posto, il perito nella sua consulenza, ha evidenziato che dai colloqui con l'imputato era emersa una condizione di vita caratterizzata da marginalità ma che "nulla all'interno della temporalità immediatamente precedente, successiva e/o contestuale ai fatti poteva essere ricondotto alla presenza di un possibile alone interpretativo della realtà e nemmeno una strutturazione del pensiero in chiave persecutoria o delirante" (cfr. pag. 17 della relazione sopra indicata); ancora il perito dall'esame obiettivo evidenziava quanto segue: "La formulazione del pensiero si presentava molto frammentata; eppure non appare mai essersi evidenziata alcuna attuale e forte polarizzazione su contenuti deliranti. Non elementi ascrivibili a presenza di dispercezioni in atto durante il colloquio" ed evidenziava che "la capacità di critica e di giudizio seppur tendenti alla minimizzazione e giustificazione non sono apparse inquinate da elementi psicopatologici di significato in grado di minare l'esame della realtà" (cfr. pag. 18 della relazione peritale). Il perito ha poi spiegato che dagli elementi clinici a disposizione emergeva che l'imputato presentava un quadro psicopatologico complesso e che era portatore di un "Disturbo Psicotico Senza Specificazione", diagnosi secondo il DSM-5 ma che "la capacità generale di comprendere le conseguenze del proprio gire al momento dello svolgimento die fatti di causa non pare in sostanza né diminuita in modo significativo né a maggior ragione compromessa in modo assoluto". Il dott. (...), dunque, pur ribadendo la situazione di "fragilità" e di "marginalità sia sul versante socio-lavorativo che sociale e relazionale" dell'imputato, ha concluso, all'esito di un'ampia ed approfondita discussione, ritenendo che "al momento dei fatti di causa e ad oggi il periziando sia in stato di mente tale da conservare la capacità di intendere e volere" aggiungendo che non era possibile ravvisare alcuna inferenza tra il disturbo psicotico riscontrato in capo allo stesso e la commissione dei fatti di reato (cfr. pagg. 28 e 29 della relazione sopra indicata). Deve infine precisarsi che il riferimento ad una possibile "intossicazione da cannabinoidi" dell'(...) operato dal perito nella sua relazione deriva, come dallo stesso chiarito nel corso dell'udienza del 25.1.2023, da una spunto tratto esclusivamente dalle dichiarazioni rese dall'imputato nei corso dei colloqui, non potendosi ritenere nel caso di specie, sussistere le condizioni per l'applicabilità del disposto di cui all'art. 95 c.p. evidenziandosi, peraltro, che, come emerge dalla documentazione sanitaria acquisita, all'ingresso in carcere l'imputato non manifestava alcun sintomo riconducibile a detto stato ed appariva vigile e orientato. Ne consegue, dunque, che condividendosi le argomentazioni e le conclusioni del perito come sopra esposte, le condizioni dell'imputato, certamente valutabili al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche, non consentono di ritenere in capo allo stesso la sussistenza di un vizio di mente totale o parziale che abbia inciso sulla sua capacità di intendere e volere al momento dei fatti. 4. Per quanto concerne il trattamento sanzionatorio possono essere riconosciute in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche in considerazione delle difficili condizioni di vita ed al fine di commisurare l'entità della pena alla concreta gravità del fatto. Dette attenuanti, in considerazione del disposto di cui all'art. 69 ultimo comma c.p., possono al più essere ritenute equivalenti alla recidiva correttamente contestata che sussiste da un punto di vista formale (cfr. casellario in atti dai quali emergono plurime e recenti condanne per reati a base violenta) ed opera in concreto, poiché la condotta in esame in questa sede - peraltro posta in essere mentre (...) era sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo quotidiano di presentazione alla polizia giudiziaria nell'ambito del proc pen. 1966/2021 RGNR - è evidente sintomo della continua ricaduta nel reato e di una sua maggiore e continuata capacità e propensione a delinquere, come dimostrato dai recenti precedenti a suo carico. Può poi essere ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati contestati, che in considerazione del contesto spazio temporale in cui sono stati commessi, risultano esecutivi di un medesimo disegno criminoso, ritenendosi più grave, in ragione della più severa pena edittale il reato di cui al capo 1), non operandosi, nel caso di specie, il disposto di cui all'art. 81 comma 4 c.p., in relazione agli aumenti per i reati in continuazione rilevandosi che "Il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall'art. 81, comma quarto, cod. pen., si applica nei soli casi in cui l'imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede"(Sez. 4 -, Sentenza n. 22545 del 13/09/2018). Ciò posto, valutati, i criteri di cui all'art. 133 c.p. e 133 bis c.p. e considerata la concreta gravità del fatto ed il valore del bene di cui l'imputato si è appropriato, pare opportuno ancorare la pena per il reato di cui al capo 1) nel minimo edittale e procedere ad un aumento per la continuazione con i reati di cui ai capi 2) e 3) che tenga conto dell'aggressività manifestata dall'imputato e della gravità delle lesioni cagionate in capo alla persona offesa. Ne consegue che si ritiene equa la pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa così determinata: -pena base per il reato di cui al capo 1): anni 5 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa. -aumenta ex art. 81 c.p. per il reato di cui al capo 2): anni 5 mesi 4 di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa; - aumenta ex art. 81 c.p. per il reato di cui al capo 3): anni 5 e mesi 6 di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; - pena ridotta per il rito come sopra indicato. 4.1 Segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia in carcere e la pena accessoria di cui all'art. 29 c.p. dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Visto l'art. 240 c.p. si dispone la confisca e distruzione della borraccia in sequestro, oggetto privo di valore di cui non è stata chiesta la restituzione. 4.2 Si evidenzia, infine, che non si è ritenuto di dare gli avvisi di cui al novellato art. 545 bis c.p. non ricorrendo le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 n. L. n. 689 del 1981. Si osserva, nello specifico, che alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p. - come richiamati dall'art. 58 L. n. 689 del 1981 - ed, in particolare, della gravità della condotta, della capacità delinquenziale dell' O., dei plurimi precedenti e delle pendenze esistenti a suo carico, non può farsi alcun affidamento in ordine al rispetto da parte dello stesso delle prescrizioni connesse alle sanzioni sostitutive, non potendosi, di conseguenza, procedersi alla sostituzione della pena detentiva comminata ex art. 545 bis c.p.p. Rilevato che si tratta di imputato straniero e che, come si evince dagli atti, non parla né comprende correttamente la lingua italiana, si dispone la traduzione della sentenza in lingua a lui nota ai sensi dell'art. 143 c.p.p.. P.Q.M. Visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) responsabile dei reati a lui ascritti e riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati contestati, lo condanna alla pena, già ridotta per il rito, di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. Visti gli artt. 28 e 29 c.p., dichiara (...) interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Visto l'art. 240 c.p. Dispone la confisca e distruzione borraccia in sequestro Visto l'art. 143 c.p.p. Dispone la traduzione della sentenza in lingua nota all'imputato Così deciso in Torino il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE SECONDA CIVILE In persona del Giudice Unico dott.ssa Ester MARONGIU ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 22692/2021.G. promossa da: (...), CF. (...) e (...), CF. (...) entrambi elettivamente domiciliati in Torino, Corso (...), presso lo studio degli Avv.ti F.P.Cu. e S.Po. che li rappresentano e difendono in forza di delega in atti -ATTORI contro (...), CF. (...) elettivamente domiciliato in Torino, C.so (...) n. 197/bis, presso lo studio degli Avv.ti A.Ti. e V.Ti., che lo rappresentano e difendono in forza di delega in atti -CONVENUTO- avente ad oggetto: azione estimatoria e risarcimento danno MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori citavano in giudizio il signor (...) esponendo di aver acquistato dal convenuto, con atto di compravendita del 27.11.2020 al prezzo di Euro 210.000,00, le unità immobiliari site in G., via delle M. 11, così censite: unità immobiliare ad uso abitativo sita nel comune di G. (T.) censita al N.C.E.U. al Fg. (...) N. 491 sub (...) graffato sub (...) Cat (...) cl.(...) vani 7 RC Euro 1211,09; unità immobiliare ad uso autorimessa sita nel comune di G. (T.) censita al N.C.E.U. al Fg. (...) N. 491 sub (...) Cat (...) cl.(...) mq 49 RC Euro 194,86; unità immobiliare ad uso deposito sita nel comune di G. (T.) censita al N.C.E.U. al Fg. (...) N. 598 Cat (...) cl.(...) mq 23 RC Euro 47,51. Riferivano, altresì, di aver scoperto in data 21.01.2021, che l'altezza del soffitto del piano terreno dell'abitazione era di 260 cm e non di 270 cm come invece dichiarato e come richiesto per la certificazione di agibilità - ottenuta dal venditore per silenzio assenso - e di aver denunciato i vizi al convenuto con missiva del 27.01.2021. A seguito di una prima perizia tecnica di parte il geometra incaricato evidenziava che le difformità erano tali che non sarebbe stato possibile procedere ad una sanatoria senza effettuare opportuni interventi edilizi. riteneva, pertanto, di stimare il deprezzamento del valore del piano terreno in Euro 33.580,00. Non trovando alcuna soluzione transattiva con il convenuto, gli attori depositavano ricorso ex art. 696 bis c.p.c. in data 20.05.2021, iscritto al n. RG 10785/2021 Tribunale di Torino, II Sez. Civ., per l'accertamento dei vizi, la quantificazione dei costi di rimozione, la determinazione del deprezzamento dell'immobile; precisavano che il convenuto, con la comparsa di costituzione nel giudizio 696 bis c.p.c., aveva riconosciuto i vizi relativi all'altezza del piano inferiore dell'immobile. Nelle more della CTU di cui al giudizio ex art. 696 bis c.p.c. veniva introdotto il presente giudizio al fine di evitare le decadenze di cui all'art. 1495 c.c.. Con l'atto introduttivo, pertanto, gli attori chiedevano la riduzione del prezzo dell'immobile ex art. 1492 c.c. oltre al risarcimento del danno di cui all'art. 1494 c.c. quantificato tenendo conto dei costi di presentazione della pratica edilizia in sanatoria e variazione catastale per la correzione della destinazione d'uso dell'immobile con riproposizione della pratica per l'abitabilità, del rimborso del canone di locazione mensile corrisposto per altra abitazione non potendo gli attori vivere nell'immobile per cui è causa; oltre alle spese legali stragiudiziali e spese legali per procedura 696 bis c.p.c. comprensivo di CTU e CTP. Con comparsa di costituzione e risposta, (...) si costituiva contestando le domande e le difese attoree. Il convenuto dava atto di aver acquistato la proprietà dell'immobile de quo con atto di vendita a rogito notaio (...) 18/04/2002 e successiva vendita di quota di comproprietà della moglie sempre del dott. (...) del 14/04/2005. Precisava di avervi vissuto fino al settembre 2018 senza aver mai svolto interventi edili modificativi aggiungendo di aver utilizzato il piano terreno per il ricovero di mobili e, saltuariamente, come tavernetta. Riferiva inoltre di non aver mai sospettato la presenza di difformità edilizie fino alla denunzia dei vizi da parte degli attori del 27.01.2021. Con comunicazione del 18.05.2021, per il tramite del proprio difensore, formalizzava pertanto la propria disponibilità a far intervenire a sue spese una ditta artigiana di comprovata esperienza per rimuovere la pavimentazione e portare l'altezza dei locali a 270 cm fornendo altresì piastrelle e rifiniture correlate (battiscopa, soglie, raccordi) non ritenendo tuttavia necessaria la presentazione di un permesso di costruire in sanatoria. Eccepiva inoltre il convenuto che, solo in caso di difformità non superabili sarebbe stata possibile una riduzione in percentuale del prezzo sulla base di costi stimati in astratto contestando la sussistenza dei presupposti per il richiesto risarcimento dei danni, non essendo ravvisabile una colpa del venditore nel caso di specie. Rilevava altresì il convenuto che la CTU depositata nel procedimento 696 bis c.p.c. nelle more del presente giudizio, aveva accertato la possibilità di eliminare i vizi quantificando i costi di rimozione in Euro 22.317,50 e stimando un deprezzamento dell'immobile di Euro 36.000,00 applicando una riduzione del 50% del valore medio dell'Agenzia delle Entrate all'intero piano. Precisava peraltro che l'importo indicato avrebbe dovuto essere ridotto dell'importo di Euro 6.000,00, riferito al locale bagno, trattandosi di locale assai vetusto in cui la presenza di uno scalino non avrebbe comportato ostacoli al rilascio dell'agibilità. Parimenti, riteneva doversi escludere l'importo riconosciuto per la regolarizzazione del portico esterno, con detraibilità di costi pari ad Euro 3.500,00, ritenendo sufficiente riportare i locali ai requisiti di adattabilità di cui all'art. 3 D.M. n. 236 del 1998 e non necessario perseguire invece i requisiti di accessibilità individuati dal CTU. Anche la percentuale di riduzione del 50% veniva contestata, non tenendosi in considerazione lo stato reale di consistenza dei locali. In relazione alla richiesta di danni, contestando le poste richieste dagli attori, il convenuto infine evidenziava di aver consegnato agli attori le chiavi dei locali in data 31/10/2020 per consentire loro di effettuare un sopralluogo con il loro tecnico di fiducia, ravvisando quindi nella circostanza una carenza di responsabilità del venditore o in subordine una corresponsabilità degli attori, che non si sarebbero avveduti della difformità in quella occasione, tale da escludere il presupposto di una azione risarcitoria. Da ultimo, formulava proposta conciliativa ex art. 91, 92 e 116 c.p.c. con l'offerta a saldo e stralcio della somma di Euro 20.000,00. Alla prima udienza del 16.03.2022 la difesa del convenuto reiterava la disponibilità del proprio assistito a corrispondere la somma di Euro 20.000,00 a titolo transattivo. Fallito il tentativo di conciliazione, all'udienza del 12.10.2022 concessi i termini ex art. 190 c.p.c., il giudice tratteneva la causa in decisione. Deve rilevarsi, in primo luogo, che la produzione in giudizio da parte del convenuto della relazione peritale redatta dal geom. A. nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. RG. 10785/2021 Tribunale di Torino, ha di fatto superato l'istanza di acquisizione formulata dalle parti. Nessuna contestazione sul deposito, infatti, è stata formulata da parte attrice che non ha sollevato alcuna obiezione alla produzione. Nel merito, le domande proposte da parte attrice appaiono fondate e accoglibili nei limiti e per le ragioni di seguito indicate. Deve ritenersi accertato all'esito del presente giudizio che il piano terreno dell'immobile oggetto di compravendita tra le parti difetti delle altezze necessarie per la concessione dell'agibilità dell'immobile: lo stesso convenuto, peraltro, non ha negato la presenza dei vizi tempestivamente denunciati, pur contestando la sussistenza di una propria responsabilità. La perizia disposta nel giudizio ex art. 696 bis c.p.c., nel contraddittorio delle parti, ha dato atto che l'altezza interna del locale soggiorno varia tra mt 2,58 e i mt 2,60, mentre nel bagno è stata misurata un'altezza interna pari a mt 2,64 determinata dalla presenza di un dislivello tra i due locali corrispondente alla soglia della porta pari a circa 3 cm. L'altezza interna rilevata nel soggiorno non rispetta quindi il requisito di altezza minima pari a mt 2,70 di cui all'art.77 del Regolamento Edilizio vigente nel Comune di Giaveno, mentre il bagno rispetterebbe quantomeno il requisito di cui all'articolo predetto che impone un'altezza minima pari a mt 2,40. Il CTU afferma, altresì, che non è possibile ottenere l'abitabilità di tale piano senza porre in essere una serie di interventi atti a ripristinare l'altezza interna pari a quella minima stabilita dal Regolamento Edilizio vigente, salvo optare per una destinazione ad area non abitale, tipo sgombero o similare. Al fine di ottenere il ripristino dei parametri di abitabilità, il CTU incaricato ha precisato che risulta necessaria la demolizione della pavimentazione e del massetto sottostante al fine di ottenere un ribassamento di almeno 12 cm, da effettuarsi anche nel bagno per evitare dislivelli che pregiudichino la fruibilità dei locali, attesa anche la necessità di riportare i luoghi nelle condizioni prescritte nella Concessione edilizia 485/2001 che individuava anche per il servizio igienico una altezza di 2,70 cm. Parimenti risulta, secondo il perito, necessario procedere a ribassare il piano di calpestio del porticato esterno nel lato di cui all'accesso n. 1, con rifacimento della corrispondente pavimentazione. Le spese per il ripristino anche alla luce delle osservazioni delle parti, sono state quantificate in complessivi Euro 22.317,05 oltre oneri di legge. Pur alla luce delle argomentazioni svolte dal convenuto, si ritiene corretta la valutazione espressa dal CTU in sede di procedimento ex art. 696 bis c.p.c. con particolare riferimento al ribassamento della pavimentazione del bagno e del portico antistante l'abitazione. La Concessione edilizia 485/2001, depositata in atti, infatti, riporta per tutto il piano una altezza di mt 2,70 senza indicare la presenza di dislivello alcuno. Sul punto, peraltro, il CTU ha osservato che i dislivelli che si avrebbero non ribassando tutta la pavimentazione sarebbero superiori ai 2,5 cm previsti come limite dall'art. 8.1.2 del D.M. 14 giugno 1989, n. 236, invocato dallo stesso convenuto sia in atti sia in sede di osservazioni alla CTU per il tramite del proprio CTP. Accertata la presenza dei vizi denunciati, il CTU ha indicato il minor valore dell'immobile, quantificandolo nella differenza tra il valore commerciale del piano terreno con destinazione abitativa ed il valore commerciale dello stesso piano, ma con destinazione accessoria, stimandolo in complessivi Euro 36.000,00. Ai fini dell'accoglimento delle domande attoree, deve darsi atto che gli attori hanno chiesto la riduzione del prezzo di compravendita e, quindi, la condanna di (...) al risarcimento dei danni subiti. Deve puntualizzarsi sin d'ora che la scelta tra una delle due azioni edilizie - e cioè tra actio redhibitoria ed actio quanti minoris - non è neutra ai fini della quantificazione del danno subito. L'azione redibitoria ha infatti natura risolutoria, al cui accoglimento consegue lo scioglimento del negozio con efficacia ex tunc e l'obbligo in capo al venditore di restituire al compratore il prezzo e di rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita e il corrispondente obbligo in capo al compratore di restituire il bene. L'azione estimatoria, di contro, non comporta lo scioglimento del rapporto contrattuale e i conseguenti effetti restitutori, ma soltanto una modificazione in via giudiziaria del contratto, sicché chi la propone accetta di trattenere il bene difettoso, pretendendo soltanto di essere ristorato per il minor valore del bene. Ove quindi venga scelta la strada della risoluzione del contratto la parte ha diritto, a titolo di spese e pagamento fatto per la vendita, alla corresponsione di quanto speso per la conclusione della vendita e, sulla base dell'autonoma e parallela azione risarcitoria, al pagamento di tutti i costi che dovrà sostenere per restituire il bene, ivi compresi quelli di rimozione e restituzione. Viceversa, ove si opti per l'azione estimatoria, e quindi si manifesti l'interesse a mantenere comunque il bene viziato, si ha diritto unicamente ad una somma pari al minor valore del bene acquistato, senza poter ottenere alcunché, nemmeno in virtù dell'autonoma azione di risarcimento del danno, per i costi di rimozione e restituzione, poiché tali voci di danni risultano ontologicamente incompatibili con l'actio quanti minoris. Sia che si agisca in redibitoria che in estimatoria, peraltro, il compratore non ha diritto ai costi di ripristino del bene, postulando gli stessi la percorribilità di un'azione di esatto adempimento e non potendo certo gli stessi filtrare all'interno dell'azione risarcitoria, poiché, consentendo di cumulare una delle due azioni edilizie con il risarcimento del danno volto ad ottenere i costi di ripristino, si darebbe al compratore la possibilità di conseguire, sostanzialmente, un'indebita locupletazione e, precisamente: in caso di risoluzione del contratto la restituzione dell'intero prezzo - astrattamente idoneo a consentire l'acquisto di beni di pari qualità - e la corresponsione di una somma di danaro utile per l'acquisto degli stessi beni, mentre, in caso di azione di riduzione del prezzo, il minor valore dei beni acquistati, che verrebbero comunque trattenuti, oltre la corresponsione di una somma di danaro utile per l'acquisto degli stessi beni. Come osservato dalla Cassazione, infatti, " posto che, in materia di vizi della cosa venduta, l'azione di risoluzione del contratto e l'azione di riduzione del prezzo prevista dall' art. 1492 c.c. stanno fra loro in concorso alternativo, mentre l'azione di risarcimento del danno di cui all' art. 1494 c.c. può cumularsi con l'una o l'altra azione, ovvero essere esercitata autonomamente, la tipologia dei danni risarcibili varia, in conseguenza della scelta compiuta in concreto dall'attore, cosicché, nell'ipotesi in cui l'azione di risarcimento segua l'azione di riduzione del prezzo, devono essere riconosciuti al compratore i danni che residuino dopo la riduzione stessa, ma non anche le spese necessarie per l'eliminazione dei vizi, che risultano invece già compensate dalla stessa riduzione del prezzo" (v. Cass. 26.8.202, n. 17769). Nel caso di specie, dunque, avendo gli attori esercitato l'azione estimatoria, deve essere riconosciuto il loro diritto a vedersi restituita la somma di Euro 36.000,00 pari al minor valore dell'immobile oggetto di compravendita, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Quanto al risarcimento dei danni, alla luce dei principi richiamati, non è possibile riconoscere, nemmeno in base all'autonoma azione risarcitoria, i costi di ripristino del piano terreno - pur quantificati in c.t.u. - essendo ciò ontologicamente incompatibile con l'azione principale esperita. Con l'autonoma azione risarcitoria possono infatti essere risarciti, quale danno emergente, i danni da disagio o i danni a persone o cose conseguenti ai vizi riscontrati, o, quale lucro cessante, le somme non introitate a causa dei vizi. Costituendosi, gli attori hanno chiesto il risarcimento dei danni patiti, individuati nel canone di locazione sostenuto per l'impossibilità di godere pienamente dell'immobile acquistato a causa dei vizi riscontrati. La domanda appare accoglibile nei limiti e per le ragioni di seguito indicate. A sostegno della propria domanda, gli attori hanno prodotto in atti il contratto di locazione sottoscritto da (...) e (...) con decorrenza dal 1.12.2015 e ritualmente registrato (doc. 13 di parte attrice) avente ad oggetto l'immobile sito in C., B. R. n. 22, per l'importo mensile di Euro 500,00 oltre Euro 50,00 per spese. Con la memoria conclusionale parte attrice ha precisato la propria richiesta risarcitoria instando per la condanna del convenuto alla corresponsione in favore dell'attore (...) della somma di Euro 9.350,00, pari ai canoni corrisposti nel periodo compreso tra il 20.5.2021 e il dicembre 2022 (pag. 6). L'importo così quantificato deve essere rideterminato: ad avviso del Tribunale, infatti, spetta all'attore il risarcimento dei danni per il periodo compreso tra la scoperta dei vizi e il loro accertamento ad opera della perizia disposta nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, avendo le parti insistito per la riduzione del valore dell'immobile e, comunque, non offerto alcun elemento di prova a sostegno dell'impossibilità di effettuare i lavori indicati dal CTU e necessari alla sanatoria e al ripristino dell'immobile. Il risarcimento dei danni patiti deve quindi essere riconosciuto nella misura ridotta di Euro 4.950,00, quale importo relativo al periodo compreso tra il 20.5.2021 e il deposito della perizia dell'APT, avvenuto in data27.1.2022. Non può, invece, essere accolta la domanda risarcitoria con riferimento ai costi per la presentazione della nuova pratica edilizia atteso che tale voce di danno risulta incompatibile - alla luce dei principi esposti - con la domanda di riduzione del valore dell'immobile proposta dagli attori. Il convenuto deve invece essere condannato a rimborsare, a titolo risarcitorio, agli attori le spese legali e i costi di CTP e CTU di cui al ricorso ex art. 696 bis c.p.c., come anticipate dagli attori, nella misura di Euro 8.493,70 in favore dell'attore (...) e di Euro 768,60 in favore dell'attrice G., oltre interessi legali dal pagamento. L'accoglimento delle domande di parte attrice in misura superiore alla proposta conciliativa formulata dal convenuto esclude la sussistenza dei presupposti per una pronuncia ai sensi dell'art. 91 c.p.c.. Le spese del presente giudizio devono essere liquidate secondo il principio della soccombenza e, pertanto, devono essere poste a carico di parte convenuta nella misura riconosciuta dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del decisum e delle sole fasi di studio, introduttive e decisionale per complessivi Euro 5.810,00 oltre al rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA. P.Q.M. Il Tribunale di Torino in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, in accoglimento delle domande proposte dagli attori condanna il convenuto (...) a corrispondere a (...) la somma di Euro 18.000,00 oltre interessi legali ex art. 1284, comma 4, c.c. dalla domanda al saldo; condanna il convenuto (...) a corrispondere a (...) la somma di Euro 18.000,00 oltre interessi legali ex art. 12284, comma 4, c.c. dalla domanda al saldo; condanna il convenuto a corrispondere in favore dell'attore (...) della somma di Euro 4.950,00 oltre interessi legali dalla decisione al saldo, a titolo risarcitorio; condanna il convenuto a corrispondere la somma di Euro 8.493,70 in favore dell'attore (...) e di Euro 768,60 a favore di (...) quale risarcimento delle spese legali sostenute nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., oltre interessi legali dalle rispettive date di pagamento; condanna il convenuto a rimborsare agli attori le spese del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 5.810,00, oltre al rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA. Così deciso in Torino il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO SEZIONE I CIVILE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Composta da: Dott.ssa Gabriella Ratti - Presidente Relatore Dott.ssa Maria Luciana Dughetti - Giudice Dottor Enrico Astuni - Giudice Ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa promossa da: (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); Parte attrice Contro (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); Parte convenuta Conclusioni delle parti Parte attrice Piaccia all'Ill.mo Tribunale, ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e reietta e previo ogni più opportuno accertamento e declaratoria così giudicare: A) accertare: a) la natura "in house providing" del rapporto contrattuale intercorso tra il (...) e la propria partecipata per l'affidamento diretto del servizio di trasporto pubblico; b) la ricorrenza, nella fattispecie, del controllo esercitato dal (...) sulla propria partecipata (...) spa sia in termini di "controllo analogo" richiesto per l'affidamento in house providing del servizio pubblico locale di trasporto, sia in termini di controllo contrattuale, sia in termini di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 24, 97 c.c. e ss; c) l'antieconomicità della gestione dell'attività caratteristica della (...) spa, imposta dall'ente controllante (...) nel perseguimento del proprio interesse allo svolgimento del servizio pubblico affidato; d)la responsabilità diretta del (...) quale soggetto controllante, per aver imposto nell'ambito del controllo di cui sopra sub b) il perseguimento del proprio interesse in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della controllata; e) la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della (...) spa della suddetta antieconomicità della gestione caratteristica, con particolare riferimento agli esercizi dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione; B) dichiarare (...) in relazione agli accertamenti di cui sopra la responsabilità del (...) per le obbligazioni sociali della controllata (...) spa corrispondenti alla massa passiva non soddisfatta nell'ambito della liquidazione del patrimonio della stessa, pari alle perdite determinate negli esercizi dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione e per l'effetto, condannare il (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, a risarcire al Fallimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 2497 c.c. e ss il danno mediante condanna al pagamento della somma indicata nella Ctu agli atti del giudizio in euro 23.418.452,00 o di quel diverso importo che verrà ritenuto congruo e coerente con il titolo della responsabilità azionata, occorrendo anche in via equitativa, oltre rivalutazione ed interessi dal dovuto al saldo; C) in relazione ai fatti esposti al paragrafo 11 dell'atto di citazione accertare e dichiarare la responsabilità del (...) ai sensi dell'art. 1218 c.c. per le obbligazioni contrattuali ad oggi ancora inadempiute, pari, in gradato subordine: C1) alla differenza tra (i) l'importo di euro 7.248.920,29 pari ai crediti di (...) spa verso il (...), come incidentalmente accertato nel decreto che ha definito l'opposizione a stato passivo promossa dal (...) (ns doc. 34) e (ii) l'importo pari ai contro crediti riconosciuti dal fallimento per euro 3.893.916,14 oggetto della compensazione già operata in sede fallimentare e (iii) il pagamento parziale di euro 28.965,87 - e per l'effetto condannare il medesimo in persona del legale rappresentante pro tempore a pagare l'importo di euro 3.326.038,28, oltre ad interessi dal dovuto al saldo; C2) alla differenza tra l'importo di euro 5.639.407,11, come composto e riportato nella tabella a pag. 254 della CTU e l'importo pari ai contro crediti riconosciuti dal fallimento per euro 3.893.916,14 oggetto della compensazione già operata in sede fallimentare e il pagamento parziale di euro 28.965,87 - e per l'effetto condannare il (...) in persona del legale rappresentante pro tempore a pagare l'importo di euro 1.716.525,10, oltre ad interessi dal dovuto al saldo; D) in via istruttoria: occorrendo, sulla prova del credito di (...) verso il (...), si insiste per l'ammissione della prova per testi sulle seguenti circostanze: 1) Vero che le prestazioni descritte nelle fatture che mi si rammostrano (doc. 85) sono state eseguite; 2) Vero che richiesto di motivare il mancato pagamento delle stesse nei termini di scadenza il responsabile finanziario dell'ente ha comunicato che le stesse non trovano coperture nelle risorse finanziarie; 3) Vero che il (...) imputava i ritardi nel pagamento delle fatture emesse nei suoi confronti a ritardi nel trasferimento dei tributi regionali e provinciali; 4) Vero che l'autorizzazione all'emissione delle fatture a titolo di interessi per ritardato pagamento delle prestazioni è stata riconosciuta dal rag. (...), responsabile finanziario dell'ente, come riportato nella lettera 26.10.2015 che mi si mostra (doc. 32 (...)); indicandosi a teste i sigg. (...) e (...). Con vittoria di spese, competenze professionali, incluso il rimborso spese generali. Parte convenuta Il (...), ut supra, richiamata ogni precedente difesa, deduzione ed eccezione, precisa le proprie conclusioni affinché codesto ill.mo Tribunale, contrariis rejectis, voglia così giudicare; a) in via preliminare, ai sensi dell'art. 177 c.p.c., revocare e/o modificare l'ordinanza istruttoria dell'11 giugno 2020, negando l'acquisizione dei documenti già nella disponibilità del Fallimento, come di seguito elencati: docc. 91-94 (Relazione fallimentare e relativi allegati); docc. 113e, da n. 1 a n. 6 (Contratti di servizio); doc. 113e, da n. 7 a n. 12 (Provvedimenti adottati dal Comune); docc. 113e, n. 13 (Elenco del personale); docc. 113 e, da n. 14 a n. 21 (Bilanci di esercizio); docc. 113 e, da n. 22 a n. 32 (Ulteriori provvedimenti adottati dal Comune); docc. 113e, nn. 33 e 34 (Mandati di pagamento); docc. 113 e, da n. 35 a n. 46 (Rendiconti relativi ai contributi trasferiti ad (...) spa); doc. 113 e, n. 47 (Richiesta di documentazione); docc. 113e, da n. 48 a n. 50 (Atti del Comune indirizzati ad (...) spa, relativi ai contratti di servizio); docc. 113 e, da n. 51 a n. 55 (Verbali del Consiglio di Amministrazione di (...)); e per l'effetto, accertare e dichiarare la nullità della perizia di ufficio depositata il 29 ottobre 2020, ordinandone la rinnovazione con sostituzione del Collegio Peritale; b) subordinatamente, in via preliminare, qualora fosse respinta l'istanza di cui alla lettera a, accertare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 295 c.p.c. e, per l'effetto, dichiarare la sospensione del presente giudizio per acquisire i provvedimenti che saranno assunti in sede penale, quantomeno in termini di rinvio a giudizio e di archiviazione delle indagini pendenti avanti alla Procura della Repubblica del Tribunale di Alessandria, RG 2994/2017; ovvero, nella denegata ipotesi in cui fossero ritenuti insussistenti i presupposti di cui all'art. 295 c.p.c., concedere al Comune adeguato termine per acquisire e produrre richiesta di archiviazione e l'ulteriore eventuale documentazione ostensibile concernente le riferite indagini, non appena disponibile; c) in via istruttoria, richiama tutta la produzione documentale del (...), nonché le deduzioni istruttorie riportate nelle memorie ex art. 183 comma 6 n. 2 e n. 3 c.p.c. e nelle osservazioni alla Ctu del 12 novembre 2020 e 29 gennaio 2021 depositate da parte Convenuta: 1) accertare e dichiarare la palese erroneità, illogicità, inidoneità di metodo ed insufficienza dell'elaborato peritale e, per l'effetto, disporre l'integrale rinnovazione della Ctu ai sensi dell'art. 196 c.p.c., con sostituzione del Collegio Peritale; 2) respingere la prova per testi richiesta da parte attrice in quanto i capitoli di prova ex adverso formulati sono inammissibili perché: generici; relativi a circostanze da provarsi documentalmente; valutativi; dedotti solo in sede di prova contraria, senza averne il relativo contenuto; 3) ferma la conclusione di cui alla lettera a), respingere l'avversaria produzione documentale. d) in ogni caso, in via preliminare: Raccertare e dichiarare l'inammissibilità dell'azione avversaria ex art. 2497 c.c.; ovvero accertare e dichiarare la relativa carenza di legittimazione passiva in capo al (...); 2) accertare e dichiarare l'inammissibilità dell'azione avversaria nella parte in cui pretende di ricavare dall'esercizio del preteso controllo analogo una responsabilità diretta del Comune verso i creditori sociali del Fallimento (...) spa; ovvero accertare e dichiarare la relativa carenza di legittimazione passiva in capo al (...); 3) accertare e dichiarare l'inammissibilità della domanda avversaria concernente il preteso danno subito a causa delle operazioni di scissione e fusione, rispettivamente del 2002 e del 2007, per intervenuta prescrizione; e) nel merito: accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria azione sotto ogni profilo e, segnatamente, nelle parti in cui pretende di ravvisare: 1) la natura "in house providing" del rapporto intercorso tra il (...) e (...) spa, con specifico riguardo all'affidamento del servizio di trasporto pubblico; 2) la sussistenza di un controllo esercitato dal (...) su (...) spa, sia in termini di controllo analogo, sia in termini di controllo contrattuale, sia in termini di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c.; 3) l'anti-economicità della gestione dell'attività caratteristica svolta da (...) spa, asseritamente imposta dal (...) nel perseguimento del proprio interesse allo svolgimento del servizio pubblico affidato; 4)la responsabilità del (...), quale soggetto controllante, per aver asseritamente imposto il perseguimento del proprio interesse in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale; 5) una lesione all'integrità del patrimonio di (...) spa con particolare riferimento agli esercizi dal 2012 al 2015, sino alla messa in liquidazione. f) per l'effetto, nel merito, accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria domanda di accertamento della responsabilità del (...) per la massa passiva non soddisfatta nell'ambito della procedura fallimentare, ex adverso ritenuta pari alle perdite degli esercizi dal 2012 al 2015, sino alla messa in liquidazione; e, conseguentemente, respingere la domanda di condanna al risarcimento del danno ex art. 2497 c.c., quantificato da parte attrice in euro 22.000.000,00 o diverso importo accertato in corso di causa, oltre rivalutazione ed interessi; g) ancora nel merito: accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria domanda a titolo di responsabilità contrattuale; e, conseguentemente, respingere la pretesa condanna al pagamento di euro 3.326.038,28, oltre interessi; in ogni caso, accertando e dichiarando la fondatezza del contro credito eccepito in compensazione dal Comune e comunque ex adverso riconosciuto, pari ad euro 3.893.916,14; h) sempre nel merito: accertare e dichiarare l'infondatezza di qualsiasi altra pretesa avversaria, ivi inclusa la domanda di condanna alla rifusione delle spese di lite da parte del (...). Con vittoria di spese e competenze di giudizio. Materia del contendere e motivi della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato parte attrice ha introdotto il presente giudizio per ottenere la condanna del (...) al pagamento di euro 22 milioni (o diverso importo accertando) per avere cagionato il dissesto societario di (...) spa (di seguito (...)) e al pagamento di euro 3.922.882,01 per inadempimento ex art. 1218 c.c. di obblighi di pagamento. Più nel dettaglio, parte attrice ha chiesto al Tribunale di: A) accertare la ricorrenza, nella fattispecie, del controllo esercitato dal (...) sulla propria partecipata (...) spa sia in termini del cd "controllo analogo" richiesto per l'affidamento diretto "in house providing" del servizio pubblico locale di trasporto, sia in termini di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c.; b) l'antieconomicità della gestione dell'attività caratteristica della (...) spa imposta dall'ente controllante (...) nel perseguimento del proprio interesse allo svolgimento del servizio pubblico affidato; c) la responsabilità diretta del (...) quale soggetto controllante per avere imposto nell'ambito del controllo sub a) il perseguimento del proprio interesse in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della controllata; d) la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della (...) spa dalla suddetta antieconomicità della gestione caratteristica, con particolare riferimento agli esercizi dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione; B) dichiarare in relazione agli accertamenti di cui sopra la responsabilità del (...) per le obbligazioni sociali della controllata (...) spa corrispondenti alla massa passiva non soddisfatta nell'ambito della liquidazione del patrimonio della stessa, pari alle perdite determinate negli esercizio dal 2012 al 2015 sino alla messa in liquidazione e per l'effetto condannare il (...) a risarcire al Fallimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 2497 c.c. il danno mediante condanna al pagamento della somma di euro 22 milioni di euro o diverso importo accertato, occorrendo anche in via equitativa, oltre rivalutazione ed interessi dal dovuto al saldo; C) accertare e dichiarare la responsabilità del Comune convenuto ai sensi dell'art. 1218 c.c. per le obbligazioni contrattuali rimaste inadempiute (pari ad euro 7.248.929,29) e pertanto condannare il (...) a pagare - al netto della compensazione con i controcrediti riconosciuti dal Fallimento per euro 3.893.916,14 ed un pagamento parziale di euro 28.965,87 - l'importo di euro 3.922.882,01, oltre interessi. 1.1. A sostengo dalla domanda di condanna al pagamento di euro 22 milioni di euro (o altra somma accertata o liquidata anche in via equitativa), il Fallimento attore - che, tra l'altro, ha osservato che "lo squilibrio patrimoniale in cui versa (...) è dovuto all'applicazione di criteri gestori imposti dall'ente controllante per assecondare l'interesse pubblico del contenimento dei corrispettivi dei servizi piuttosto che criteri di sostenibilità economica degli stessi" e che "gli organi della procedura ritengono che non può ammettersi un modello legale nel quale un ente pubblico affidi lo svolgimento di un pubblico servizio a rilevanza economica ad una società di diritto privato, dallo stesso partecipata, senza dover rispondere del deficit patrimoniale causato dalla anti-economicità della gestione, che viene scaricata sulla collettività (erario, Inps, banche, fornitori privati)" - ha esposto quanto segue. (...) spa, di seguito (...) - di cui il Tribunale di Alessandria ha dichiarato il fallimento in data 4.7.2016 a seguito di istanza presentata in proprio da (...) spa - è stata costituita nel 1995 con l'originaria denominazione di (...), quale azienda speciale a norma della l. 1990 n. 142 per l'esercizio di attività di trasporto pubblico. A far tempo da giorno 1.1.2000, (...) è stata trasformata in società per azioni, mantenendo il tratto distintivo dell'origine di municipalizzata attraverso l'espressa disposizione statutaria per cui "la società potrà svolgere i propri servizi anche mediante affidamento (in house)". Anche dopo la trasformazione da azienda speciale in spa la società è sempre stata partecipata da enti pubblici. L'oggetto principale dell'attività in concreto svolta era rappresentato da 4 rapporti con i quali il (...) aveva affidata ad (...) il servizio pubblico di trasporto delle persone, degli alunni, dei disabili e la sosta a pagamento. Il (...), che già svolgeva questo servizio attraverso la propria azienda speciale (...), aveva continuato ad avvalersi della stessa (...) anche dopo la trasformazione in spa attraverso l'affidamento diretto del servizio secondo il modello "in house providing": "il servizio di trasporto urbano, suburbano e interurbano del (...) e Valenza viene effettuato da (...) in regime di affidamento in house" (programma di esercizio di trasporto pubblico locale allegato al contratto sub doc. n. 9), a prescindere da criteri di sostenibilità economica degli stessi, come peraltro, paradigmaticamente, la decisione di ridurre la tariffa di sosta, deliberata dal consiglio comunale e imposta ad (...) dalla giunta comunale (doc. n. 14). I bilanci depositati da (...) prima della dichiarazione di fallimento dimostravano che (...), oltre alla crisi finanziaria causata dai mancati o tardivi pagamenti dei crediti maturati verso il (...), soffriva di un costante deficit economico, determinato dal sopravanzo dei costi rispetto ai ricavi. Nella nota integrativa al bilancio 2014 si leggeva infatti che "i risultati settoriali dimostrano in maniera chiara che i corrispettivi assegnati per i servizi di scuolabus e disabili non sono sufficienti a coprire i costi, essendo stati ridotti del 45 per cento rispetto all'esercizio 2012, a parità di servizio svolto. Pertanto, per non essere costretti a ridurre il servizio svolto, occorre che il Comune, ormai in fase di uscita dal dissesto, ne riveda i corrispettivi. Si segnala inoltre il grave deficit prodotto dal parcheggio di via (...), sul quale grava un pesante mutuo, nonché elevati costi di gestione a fronte degli introiti eseguiti in attesa di una politica di viabilità e sosta che induca l'utenza all'utilizzo della struttura. L'investimento non fu una scelta esclusivamente aziendale ma fu il risultato di un preciso orientamento dell'Amministrazione Comunale. Di conseguenza sarebbe opportuno che la stessa si facesse carico della riduzione della perdita del parcheggio. Sempre in merito alla gestione parcheggi, si evidenzia ancora come il canone (...) sia ancora troppo oneroso per il bilancio aziendale e venga applicata per zone di sosta sulle quali il costo del lavoro degli ausiliari del traffico è a carico dell'azienda, mentre le contravvenzioni vengono interamente riscosse dal Comune". Da qui il richiamo dell'organo amministrativo che, a chiusura della relazione, sollecita la proprietà ad attuare ogni sforzo possibile sia in termini di liquidità che a livello di conto economico, ad esempio con aumento dei corrispettivi, per scongiurare il fallimento della società". Il fatto che i corrispettivi dei servizi resi da (...) fossero "assegnati" dal Comune e non invece il risultato di una contrattazione improntata alla sostenibilità economica e, più in generale, il fatto che le direttive impartite dall'ente controllante prevalessero sui richiami dell'organo amministrativo al rispetto delle regole di autosufficienza economica, trovavano plurime conferme nei rapporti intercorsi tra le parti. Ad esempio, alla richiesta del Comune di elaborare un piano di razionalizzazione e ristrutturazione, (...) chiedeva al medesimo ente controllante di "conoscere con immediatezza la quantità di risorse appostate a bilancio di previsione 2015, per l'espletamento dei contratti di servizio in essere tra (...) e (...)". Anni prima, nel 2011, nel piano di risanamento chiesto dagli organi di (...) e consegnato dal Comune, veniva tra l'altro rilevato che "riguardo al parcheggio di via Parma è necessario precisare che il Comune, a suo tempo, ha deciso di costruirlo, ha commissionato il progetto, l'ha approvato e l'ha fatto realizzare da (...) che lo gestisce applicando le tariffe decise dal Comune stesso. Questo parcheggio, però, è sicuramente utile nella viabilità del centro storico della società, non si è mai sostenuto economicamente con gli incassi (nel 2010: euro 137.593 euro) che non sono neppure sufficienti per pagare gli interessi passivi del debito contratto per finanziare la sua costruzione (nel 2010: euro 201.442). Sarebbe perciò corretto che il Comune non scaricasse sull'azienda i costi di gestione di questo parcheggio". Il medesimo piano chiudeva affermando che "il risanamento di questa azienda si ottiene semplicemente facendo cessare i comportamenti anomali adottati nei suoi confronti, negli ultimi tre anni, dal Comune, unico cliente e proprietario e ripristinando i normali rapporti che devono sussistere tra il cliente e il fornitore e tra la proprietà della società per azioni e il consiglio di amministrazione". Altri esempi potevano essere tratti dalla lettura del piano dei corrispettivi (che illustra il rapporto di soggezione di (...) alle direttive del (...) come pure dai continui ritardi nel pagamento delle fatture da parte del Comune, ancorché ciò rilevi più sul piano finanziario che su quello economico. Da ultimo, parte attrice - che ha precisato che "la responsabilità degli amministratori e sindaci non è oggetto del presente giudizio che invece riguarda esclusivamente il risarcimento della lesione patrimoniale delle direttive impartite dal socio della controllante" e la responsabilità ex art. 1218 c.c. per le obbligazioni rimaste inadempiute - ha sottolineato che, mentre a Torino la Giunta deliberava che per i debiti della società affidataria dei servizi in house risponde sempre l'Ente locale, ad Alessandria il Comune, chiamato a ricapitalizzare (...), (che, per conto del Comune, gestiva in regime di affidamento diretto il servizio pubblico del trasporto delle persone), se ne è astenuto provvedendo ad assicurare la continuità del servizio pubblico affidandolo (sempre con il modello in house) a società di nuova costituzione. Infatti, dopo aver deliberato di non coprire le perdite e di mettere conseguentemente la società in liquidazione, il (...) ha impartito l'ulteriore direttiva al liquidatore di (...) di procedere all'affitto dell'azienda alla neo costituita (...) spa, anch'essa partecipata dal Comune e prescelta come nuovo soggetto per il conferimento diretto in house providing. 1.2. Per quanto concerne la domanda relativa al pagamento di crediti portati da fatture, parte attrice ha riferito che, alla data della dichiarazione di fallimento, il debito del Comune ammontava a: (I) euro 7.248.929,29, di cui euro 1.876.796,13 per fatture emesse e riconosciute anche da controparte; (II) euro 344.273,02 oggetto di cessione a (...); (III) residui euro 3.891.028,80 per crediti riconosciuti sin dall'approvazione del bilancio 2014; (IV) euro 1.136.822,34 maturati dopo il 1 gennaio 2015 e riconosciuti con il prospetto prodotto da controparte in sede di opposizione. Detratti dunque i pagamenti parziali ricevuti dal Curatore (euro 28.965,87) e le compensazioni attuate per euro 3.893.916,14 con i controcrediti del Comune oggetto di domanda di ammissione al passivo fallimentare, si arriva ad euro 3.922.882,01. 2. Il (...) si è costituito in giudizio chiedendo al Tribunale: In via preliminare: (I) dichiarare l'inammissibilità dell'azione attorea ex art. 2497 c.c. e/o dichiarare la carenza di legittimazione passiva in capo al (...); (II) dichiarare l'inammissibilità dell'azione attorea nella parte in cui prevede di ricavare dell'esercizio del controllo analogo una responsabilità diretta del Comune verso i creditori sociali del Fallimento (...) spa e/o dichiarare la carenza di legittimazione passiva in capo al (...); (III) dichiarare l'inammissibilità della domanda avversaria concernente il preteso danno subito a causa delle operazioni di scissione e fusione, rispettivamente del 2002 e del 2007, per intervenuta prescrizione. Nel merito: (I) accertare e dichiarare l'infondatezza dell'azione avversaria nella parte in cui pretende di addebitare al Comune l'esercizio di un'attività di direzione e coordinamento ovvero di un controllo analogo a quello esercitato sui propri Uffici e, per l'effetto, respingere la domanda attorea di condanna al risarcimento dei danni quantificati in euro 22 milioni, oltre accessori; (II) accertare e dichiarare l'infondatezza dell'avversaria domanda di responsabilità contrattuale e, conseguentemente, respingere la domanda di condanna al pagamento della somma di euro 3.326.038,28 (erroneamente indicati nella misura di euro 3.922,882,01) oltre interessi e comunque accertare e dichiarare la fondatezza del controcredito eccepito in compensazione dal Comune per la somma di euro 3.891.028,80. 2.1. Dopo aver premesso, in via generale, che il Tribunale di Alessandria, in sede fallimentare, ha osservato che le prerogative del (...) nella fattispecie "non hanno nulla a che vedere con l'esercizio di un controllo pregnante paragonabile a quello esercitato da un ente pubblico che abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e di influenzare le scelte operative della società, assoggettando l'organo amministrativo ad un vero e proprio potere gerarchico", parte convenuta ha illustrato le eccezioni preliminari sopra riportate riferendo che: (I) ex art. 2497 c.c. la responsabilità è configurabile in capo "alle società o agli enti che, esercitando attività di direzione o coordinamento di società agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società medesime" e che, pertanto, in capo all'ente pubblico difetta la possibilità di configurare un interesse imprenditoriale proprio o altrui, attese le "finalità necessariamente pubbliche e di interesse generale, ed in ogni caso non qualificabili in termini imprenditoriali perseguite dall'Ente pubblico. Finalità la cui connotazione pubblicistica non viene meno per effetto della mera interposizione di un soggetto diverso (la società partecipata) rispetto all'Ente partecipante: il quale, attraverso una attività di indirizzo e di controllo, sarà comunque tenuto a garantire che l'azione della propria partecipata sia costantemente orientata al raggiungimento delle finalità istituzionali dell'ente"; (II) l'Ente pubblico non svolge una attività di impresa ma semmai di servizio pubblico, rientrante nell'ambito dei propri compiti istituzionali, con il corollario che l'attività di direzione e coordinamento, astrattamente configurabile, finirebbe comunque per collocarsi al di fuori di un contesto imprenditoriale; (III) una simile conclusione è condivisa anche dal Comune di Torino (che parte attrice indica quale esempio virtuoso) atteso che la decisione 2011 della Giunta di ripianare le perdite della propria controllata non è stata assunta dal Comune a fronte del riconoscimento della propria responsabilità in termini di direzione e coordinamento ma per effetto dell'art. 194 comma 1, lett. c del Tuel (che prevede il riconoscimento dei debiti fuori bilancio per ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali); il Comune di Torino, inoltre, ha escluso espressamente l'attività di direzione e coordinamento da parte dell'ente pubblico; IV) l'azione introdotta da parte attrice è inammissibile anche nella parte in cui pretende di vedere accertata una presunta responsabilità del Comune per un altrettanto presunto esercizio di "controllo analogo" sulla propria partecipata e ciò in quanto le decisioni della Corte di Cassazione ex adverso citate hanno una portata diversa da quella indicata da parte attrice, limitandosi ad affermare che la qualificazione "in house" vale a fondare la responsabilità contabile degli organi sociali e sancendo che la scelta del modello societario porta alla creazione di un soggetto (la società partecipata) assolutamente autonomo e distinto rispetto all'Ente che lo partecipa. Nel merito, parte convenuta ha fatto presente (...) spa non ha mai presentato i tratti caratterizzanti delle società in house, atteso che (I) la partecipazione pubblica totalitaria è un elemento necessario ma non sufficiente; (II) non sussiste in capo all'Amministrazione comunale alcun potere di controllo diverso da quello che normalmente compete a qualsiasi socio; (III) lo Statuto (...), nelle varie versioni succedutesi nel tempo, non prevede alcuna prerogativa a favore dei soci e/o dell'assemblea dei soci e non contempla la creazione di organi deputati all'esercizio del controllo analogo, assegnando invece amplissimi poteri di autonomia all'organo amministrativo che risulta avere "i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società senza eccezioni di sorta" e "la facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l'attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali"; (IV) lo Statuto non esclude in alcun modo la partecipazione dei privati, anzi implicitamente la ammette laddove dispone che "le azioni sono liberamente trasferibili, fatto salvo, per l'alienazione delle partecipazioni detenute da soggetti pubblici, il rispetto delle regole di evidenza pubblica ove prescritto dalla legge"; lo Statuto non pone limiti all'esercizio di attività anche a favore di soggetti diversi da enti pubblici partecipanti: al contrario, l'oggetto sociale è particolarmente ampio e, tra l'altro, consente lo svolgimento di attività di realizzazione di "impianti di manutenzione e riparazione di automezzi", la realizzazione e gestione di "impianti di distribuzione del gas metano e di carburanti in genere", "la gestione e l'amministrazione di immobili di qualsiasi natura ed a qualunque uso destinati". Parte convenuta ha poi contestato le prospettazioni attoree in punto di abuso di direzione e coordinamento e, in particolare, le vicende relative alla costituzione di (...) spa, (partecipata al 100 per cento da (...) spa tra i cui soci figura il (...), costituzione avvenuta in data 29.4.16) e relativa stipula del contratto di affitto del ramo d'azienda di (...), contratto stipulato in data 14.6.16 e relativo all'erogazione dei servizi di trasporto e sosta pubblica. A tale proposito, parte convenuta ha specificato che il divieto di cui al D.Lgs. 19.8.2016 n. 175 ("nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita") non è conferente in quanto la predetta norma è entrata in vigore successivamente, in data 23.9.16. 2.2. Con riferimento alla domanda attorea di pagamento crediti portati da fatture, il (...) - "fermo il riconoscimento già operato in sede di opposizione fallimentare" della somma di euro 1.876.796,13 - ha contestato la debenza di ulteriori somme e ha eccepito in compensazione i crediti vantati verso (...): "per il che, le somme ad oggi già corrisposte/compensate dal Comune (e quantificate dal Fallimento in euro 3.922.882,01) coprono ampiamente il debito riconosciuto (euro 1.876.796,13) nonché gli ulteriori importi oggetto di cessione a (...) (pari ad euro 344.273,02). Con il corollario che nulla più potrebbe essere preteso a titolo di responsabilità contrattuale". 3. Dopo l'assegnazione dei termini per il deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c., la causa è stata mandata a decisione e successivamente rimessa in istruttoria con ordinanza collegiale 17.1.20 per espletamento di Ctu (a mezzo collegio peritale composto di tre membri). Al Collegio peritale sono stati posti i seguenti quesiti: "Il Collegio, visti gli atti e i documenti di causa e quelli che saranno eventualmente esibiti nel rispetto del contraddittorio e alle condizioni di cui all'art. 198 c.p.c., sentite le parti e i loro consulenti: 1) Descriva analiticamente, sulla base della documentazione in atti, le vicende societarie e gestionali di (...) spa, di seguito (...) spa, dalla data di costituzione alla data di dichiarazione di fallimento, precisi l'entità del passivo fallimentare e dica se, secondo il suo motivato parere, il (...) ha esercitato su (...) spa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; 2) Descriva, sempre sulla base della documentazione in atti, i poteri che il (...) si è riservato sotto il profilo della direzione e coordinamento di (...) spa, verifichi le direttive impartite dal Comune e ricostruisca la riconducibilità in concreto delle scelte gestionali effettuate; 3) Dica se, secondo il suo motivato parere, eventuali direttive e scelte gestionali operate dal (...) sono coerenti con i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale di (...) spa; 4) In caso di risposta in tutto o in parte negativa al quesito che precede, esprima il suo motivato parere sul danno cagionato ai creditori di (...) spa; 5) Con riferimento alla domanda attorea di accertamento del proprio credito nei confronti del Comune convenuto (euro 7.248.929,29) e di condanna dello stesso al pagamento dell'importo di euro 3.326.038,28 al netto delle compensazioni per obbligazioni contrattuali inadempiute e alle eccezioni di compensazione formulate dal (...), esprima il suo motivato parere sui rapporti dare/avere tra le parti". Con istanza 29.5.20, parte attrice ha chiesto di essere autorizzata a depositare il fascicolo delle indagini preliminari depositato nel procedimento RG 2994/27 del Tribunale di Alessandria e relativo ad indagini penali coinvolgenti, fra l'altro, membri dell'organo amministrativo e dell'organo di controllo di (...) spa. Con decreto 11.6.20 il GI ha autorizzato il deposito della predetta documentazione. Con successiva istanza 24.6.20, parte convenuta ha chiesto la revoca/modifica del predetto decreto in quanto alcuni documenti dovevano già ritenersi nella disponibilità del Fallimento e dunque non sussistevano i presupposti per la rimessione in termini dell'attore. Dopo il deposito della relazione peritale e l'assegnazione di termine per il deposito di memorie di osservazione alla Ctu, la causa è stata mandata a precisazione delle conclusioni e trattenuta a decisione collegiale all'udienza figurativa del 14.5.21, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi. 4. Le eccezioni preliminari di parte convenuta. 4.1. In via preliminare e ancora negli scritti conclusivi, il (...) ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva con riferimento all'azione ex art. 2497 c.c. attese le finalità pubbliche e in ogni caso non configurabili in termini imprenditoriali perseguite dall'Ente nella gestione di un servizio pubblico insopprimibile, presupposto soggettivo che, secondo la tesi, non è venuto meno neppure con la norma di interpretazione autentica dell'art. 2497 c.c. di cui all'art. 19 del d.l. 2009 n. 78, convertito nella l. 2009 n. 102. La difesa è infondata. Con l'art. 19 citato il legislatore ha infatti chiarito che "L'art. 2497, primo comma, del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria" e cioè ha espressamente escluso solo lo "Stato-azionista" dalla nozione di "ente" contemplata dalla norma del codice civile e riferibile quindi solo a tutti gli altri "soggetti giuridici collettivi", detentori di partecipazioni sociali "nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria". Rimane pertanto impregiudicata l'applicabilità della norma in tutti i casi in cui la costituzione della società in house o comunque la partecipazione in società degli Enti Pubblici - diversi, come nel caso, dallo Stato - sono attuate non solo per scopi lucrativi ma anche per la realizzazione di finalità istituzionali che richiedono lo svolgimento di attività economica o finanziaria da realizzare attraverso la società partecipata. 4.2. Parimenti infondata è anche l'eccezione di parte convenuta volta ad ottenere la declaratoria di inammissibilità dell'azione del Fallimento "nella parte in cui pretende di veder accertata una presunta responsabilità del Comune per altrettanto presunto esercizio di controllo analogo sulla partecipata", questione che attiene al merito del giudizio e di cui infra. 4.3. Parte convenuta ha altresì richiesto la sospensione ex art. 295 c.p.c. del presente giudizio nelle more delle indagini penali (procedimento RGNR 2017 n. 2994/Procura Repubblica presso il Tribunale di Alessandria) riguardanti amministratori e organi di controllo di (...) spa e sindaci/assessori/personale amministrativo del (...). (procedimento RGNR 2017 n. 2994/Procura Repubblica presso il Tribunale di Alessandria). Parte convenuta premette che "risulta che il PM abbia avanzato richiesta di archiviazione nei confronti degli amministratori e funzionari comunali coinvolti nelle indagini, alla luce della loro estraneità rispetto alle decisioni assunte dalla Società difettando qualsiasi ingerenza politica e/o amministrativa tale da influenzare l'operato degli amministratori e dei sindaci di (...)" e che "in occasione dell'udienza preliminare del 9 aprile 2021, il Pubblico Ministero ha confermato l'intenzione di procede re nei confronti degli amministratori e dei sindaci di (...), tra l'altro contestando il reato di bancarotta semplice ex artt. 217 e 224 Regio Decreto 267/1942", rileva che "è evidente che l'imputazione in sede penale presuppone l'esistenza di una condotta commissiva od omissiva causalmente connessa al dissesto societario, imputabile agli organi societari" e precisa che, a suo avviso, "il che si riflette direttamente sulla controversa responsabilità per le perdite registrate a bilancio, non potendosi prescindere da un accertamento dei profili di responsabilità civile degli amministratori e sindaci, quantomeno in termini di concorso di colpa". La richiesta è infondata e viene respinta. Come è noto l'art. 295 c.p.c. dispone che "il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa" e, in tema di rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, la Suprema Corte ha ripetutamente precisato che "la sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell'imputazione penale". (Così, fra le tante, Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 15/07/2019). In applicazione del predetto principio, la S.C. ha escluso la configurabilità di una relazione di pregiudizialità tecnica fra il giudizio civile di risarcimento danni proposto da una banca nei confronti del presidente del c.d.a. per l'attività finanziaria da questi illegittimamente svolta nei confronti del pubblico ed il giudizio di accertamento in sede penale della responsabilità di tale soggetto dovuta ad illecita attività finanziaria, svolta parallelamente a quella istituzionale e produttiva di un danno all'immagine della banca, ritenendo che tale accertamento non costituisse presupposto necessario per l'esperimento da parte della banca dell'azione generale di risarcimento del danno. Nello stesso senso, sono anche Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 11/07/2018, n. 18202 ("Il giudizio civile può essere sospeso, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., ove una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto di tale giudizio, purché la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Pertanto, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato") e, da ultimo, Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 01/06/2021, n. 15248 ("La sospensione necessaria del processo civile, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell'imputazione penale"). Nel caso di specie, invece, le vicende penali sopradescritte e l'eventuale esito del processo penale nei confronti dei membri degli organi amministrativi e di controllo di (...) spa sono del tutto ininfluenti ai fini della decisione, non essendovi alcun collegamento normativo tra il reato oggetto dell'imputazione penale e la responsabilità dell'Ente comunale fatta valere dal Fallimento attore in questa sede. Di conseguenza, si deve escludere che la eventuale sentenza di condanna abbia alcun valore di giudicato in questa sede, così come si deve escludere che l'eventuale assoluzione sia in contrasto con la responsabilità risarcitoria oggetto del presente giudizio. 4.4. Come riferito al precedente punto 3, con istanza 29.5.20 parte attrice ha chiesto e successivamente ottenuto di essere autorizzata a depositare il fascicolo delle indagini preliminari depositato nel procedimento RG 2994/27 del Tribunale di Alessandria. Il fascicolo in questione è stato depositato e reso disponibile dopo lo spirare, nel presente giudizio, dei termini per il deposito di documenti e la formulazione di istanze istruttorie e parte convenuta non contesta la sussistenza dei presupposti per la remissione in termini relativamente all'intero fascicolo in sé ma relativamente ad alcuni documenti contenuti nel fascicolo e che, secondo la tesi, erano già nella disponibilità delle parti e non erano stati prodotti tempestivamente in giudizio. Anche tale questione non è fondata. Premesso, in linea generale, che il fascicolo delle indagini penali in questione è un elemento unitario e che da ciò consegue che le parti non possono smembrarlo e selezionare i documenti da depositare in giudizio, osserva il Collegio che è pacifico in giurisprudenza anche di legittimità, che il Ctu può, sua sponte, compiere indagini non espressamente lui devolute e attingere notizie non rilevabili dagli atti processuali su fatti e situazioni che formano oggetto del suo incarico (cfr., ex multis, Cass. 2007 n. 24323 e Cass. 2007 n. 3936) e, più nel dettaglio, che "Il consulente tecnico d'ufficio, ai sensi dell'art. 194 c.p.c., può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse" (così Cass. 2021 n. 21926; idem, fra le altre, Cass., 2013 n. 19816, Cass., 2012 n. 14577 e Cass., 2002 n. 5422), fermo restando che in sede di contraddittorio tecnico tutte le parti (come è avvenuto nel caso) devono avere la possibilità di visionare i documenti acquisiti dal Ctu e di interloquire sulla loro portata e rilevanza. Nel caso di specie, dunque, il collegio peritale ben poteva acquisire elementi per rispondere compiutamente ai quesiti di cui all'ordinanza 17.1.20 visionando anche solo spontaneamente e direttamente il fascicolo delle indagini preliminari del Tribunale di Alessandria atteso che alcuno degli elementi in esso contenuti costituisce di per sé atto o fatto posto direttamente a fondamento della domanda. Del resto, analizzando nel dettaglio la documentazione sulla quale il (...) appunta le sue doglianze, risulta che i bilanci di esercizio, relazione fallimentare e relativi allegati erano già stati tempestivamente prodotti dal Fallimento, così come erano stati già prodotti contratti di servizio (ancorché ulteriori rispetto a quelli menzionati nella relazione). I documenti non prodotti in causa si riducono dunque ad alcuni degli atti raggruppati sub 113e e, segnatamente, l'elenco del personale (113e n. 13) e provvedimenti adottati dal Comune (113e da n. 7 a n. 12 e da n. 22 a n.32), documenti che forniscono elementi di contorno della vicenda ma non certo e in quanto tali rappresentano elementi costitutivi della domanda. Tutte le doglianze e le richieste avanzate dal Comune convenuto relativamente a questo punto devono dunque essere respinte. 4.5. Da ultimo, deve essere respinta l'eccezione di prescrizione formulata da parte convenuta relativamente alle operazioni di scissione e fusione avvenute negli anni 2002 e 2008. La prospettazione attorea non è infatti volta alla declaratoria di illegittimità degli atti ma ad evidenziare (come del resto è risultato in causa, cfr. infra, punto 5.1. in particolare) che la fusione è stata una operazione meramente contabile e che la copertura delle perdite deliberata nel 2014 non è stata effettiva in quanto il capitale utilizzato non era esistente. 5. Le vicende di (...) ((...)) - dalla costituzione in forma di Azienda Speciale di Ente Locale (9.2.1996) fino alla dichiarazione di fallimento (18.7.2016) passando per la deliberazione dello stato di liquidazione volontaria (3.3.2016) - sono state analiticamente ricostruite dal Collegio peritale e possono essere sintetizzate come segue. (...) è stata costituita il 13.11.1995 in forma di Azienda speciale di Ente locale avente ad oggetto sociale "l'esercizio - diretto e/o per tramite di società o enti partecipati - delle attività inerenti all'organizzazione e alla gestione della mobilità nelle aree urbane ed extraurbane ed in particolare l'organizzazione, l'impianto, l'esercizio e la gestione complessiva del trasporto di persone", nonché attività complementari, strumentali e accessorie allo stesso. A seguito dell'operazione straordinaria di trasformazione, (...) assume dal 01 gennaio 2000, l'attuale forma sociale ed il capitale sociale inizialmente deliberato era pari a lire 8.145 milioni ed interamente assegnato al (...). Il capitale sociale viene ulteriormente aumentato in data 21.6.2000 e in data 11.7.2001 (lire 135.145 milioni poi trasformate in euro) e suddiviso in azioni totalmente di proprietà del (...). In data 9.4.2002 è stata deliberata l'operazione straordinaria di scissione parziale (con trasferimento di una parte del patrimonio netto a una società di nuova costituzione, (...) spa a far data dall'1.1.2003) e in tale occasione una parte delle azioni di (...) sono state trasferite alla Città di Torino. Alla data di efficacia della scissione parziale, il capitale sociale è stato ridotto ad euro 2.788.054,50, di cui il 95,44 per cento in titolarità del (...) ed il resto in titolarità del Comune di Torino. Tale capitale sociale è rimasto invariato sino al 2.1.2007, data di efficacia del conferimento d'azienda eseguito da (...) spa. A seguito di ciò il capitale sociale ammontava ad euro 2.918.050,59, di cui il 91,18 per cento in titolarità del (...), il 4,36 per cento in titolarità del Comune di Torino e il 4,45 per cento in titolarità del Comune di Valenza. In data 01 settembre 2008 è intervenuta la fusione tra la (...) e la (...) spa e il capitale post fusione ammontava ad euro 13.895.476,98 euro, il cui 94,54 per cento era in titolarità del (...), mentre del residuo erano titolari il Comune di Torino (4,52 per cento) e il Comune di Valenza (0.95 per cento). In data 26.6.2014, il capitale sociale è stato ridotto ad euro 544.364,00 euro, di cui euro 514.642 di titolarità del (...), euro 24.605 di titolarità del Comune di Torino ed euro 5.117 di titolarità del Comune di Valenza. (...) è stata posta in liquidazione volontaria in data 3.3.16 e, in sede di liquidazione, in data 14.6.2016, con scrittura privata autenticata, è stata concessa in affitto l'azienda della società (...) alla (...) anch'essa controllata dal (...) sino alla data del 31.12.2016. In data 18 luglio 2016 (...) è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Alessandria e il Collegio Peritale ha accertato uno stato passivo complessivo pari ad euro 34.076.610. 5.1. Quanto alle problematiche finanziarie, reddituali e patrimoniali che hanno determinato l'insolvenza e poi il fallimento di (...), il Collegio peritale ha segnalato che: 1. La società soffre di una costante crisi di liquidità di importo rilevante. Questo è il fattore negativo che caratterizza la gestione di (...). La ragione di questa crisi di liquidità è la diretta conseguenza dei mancati incassi dei crediti verso il (...)". 2. La società risulta costantemente sottocapitalizzata. Gli aumenti di capitale sono avvenuti solo con operazioni straordinarie (in particolare la fusione), senza apporto di liquidità". In relazione a questo punto, il Collegio Peritale ha sottolineato la valutazione che alcuni immobili - cioè l'intero complesso immobiliare presso cui (...) esercitava la propria attività - hanno avuto in sede di scissione parziale e costituzione della spa (...) (2002/2003) e successivamente in sede di fusione con la predetta SPRA (2008). Ebbene, "rispetto ai valori di carico che tali immobili avevano avuto nella contabilità di SPRA, euro 13.679.378, in seguito alla fusione con (...) i valori sono stati incrementati in modo sostanziale, euro 21, particolare la sede di (...) ha assunto un valore di iscrizione post-fusione di quasi 5 volte il valore contabile ante-fusione", e non mancando di precisare che come indicato anche nella consulenza tecnica ex art. 359 cpp, redatta dal prof. Dott. (...), in seno al procedimento penale n. 2994/2017 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria gli immobili erano di fatto privi della capacità di generare flussi di cassa attraverso il loro utilizzo. I flussi di cassa non erano prevedibili, neanche per mezzo di una loro riqualificazione e/o ricollocazione. Inoltre, la Società, sotto il profilo reddituale ed economico, non generava utili dalla gestione; pertanto, gli immobili avrebbero dovuto essere sottoposti a procedimento di verifica per la svalutazione". 3. La redditività tende allo zero se non alla negatività, come anche indicato nel verbale ispettivo del MEF (documento 69 di parte attrice, pag. 28) in conseguenza del fatto che l'ammontare dei corrispettivi pattuiti per l'esercizio delle varie attività in concessione erano in parte incerti, contributi regionali e provinciali da riversare ad (...) ed inoltre, per la restante parte, non modificabili da parte di (...), se non con l'assenso del Comune. L'unica leva gestionale utilizzabile da (...) era quella del massimo contenimento dei costi che, tuttavia, erano in larga parte fissi in quanto legati al personale dipendente. (...) non aveva, invece, alcuna possibilità di azione per un aumento dei ricavi dato che i corrispettivi per i servizi svolti su concessione comunale erano fissati nel contratto di servizio e la situazione di crisi di liquidità, avente anche conseguenze in merito al DURC (a fronte dei mancati/tardivi pagamenti dei contributi previdenziali) rendeva non praticabile, di fatto, l'avvio di altre attività in aggiunta a quelle già svolte da (...). Le direttive e scelte gestionali operate dal (...) hanno portato gli amministratori di (...), che si trovavano, come si evince dai documenti agli atti di causa, in una situazione di sudditanza di fatto nei confronti del Socio di maggioranza e del Sindaco del Comune che li aveva nominati, a) a sottoscrivere contratti di servizio a condizioni anti economiche, come riassunto nella tabella a pag. 39 della relazione peritale, che riporta l'evoluzione dei risultati gestionali di dettaglio, come risulta dai bilanci prodotti in causa da parte attrice e b) a non porre rimedio neppure nel corso degli anni alla antieconomicità di detti contratti, lasciando peraltro che il Comune gestisse i pagamenti dovuti in modo tale da aggravare la crisi di (...)". 4. La (scarsa) redditività era inoltre aggravata dagli interessi passivi sui debiti accesi per coprire lo stesso fabbisogno di liquidità". 5. "Infine, dal punto di vista patrimoniale, la già precaria situazione finanziaria e reddituale era aggravata da una situazione di sopravvalutazione dell'attivo patrimoniale e, quindi, del patrimonio netto, portata principalmente dalla sopravvalutazione e mancata svalutazione degli immobili. I risultati della gestione evidenziano sensibili perdite negli esercizi 2007, 2008, e 2010, peggiorando ulteriormente a partire dal 2012. Detto peggioramento è dovuto essenzialmente ai seguenti fattori: (1) esercizio 2012: svalutazione dei crediti esistenti al 31.12.2011 verso il Comune per euro 5.050.559 operata nel bilancio 2012 a fronte della dichiarazione di dissesto del Comune intervenuta nel luglio 2012. L'aver consentito al Comune da parte degli amministratori di (...) succedutesi nel tempo (a fronte della sudditanza che di fatto hanno costantemente avuto nei confronti del Comune (...) senza alcuna azione giudiziaria, di non pagare nei termini contrattuali i servizi resi da (...) ha determinato l'aumento dell'esposizione del Comune verso (...) con maggiori conseguenze negative sul recupero dei crediti a fronte dell'intervenuta dichiarazione di dissesto; (2) esercizi dal 2013: riduzione dei corrispettivi dei servizi contrattualizzati stabilita dal Comune nell'ambito della delibera della Giunta Comunale del 28.3.2013 (doc. 119-28679 pagg. 181-186 di parte attrice) ed accettata dagli amministratori di (...) a fronte della sudditanza che di fatto hanno costantemente avuto nei confronti del Comune, che ha portato ad una riduzione dei ricavi previsti per 3,5 milioni di euro circa nel 2013 e di 3,8 milioni di euro circa nel 2014 e 2015 (a consuntivo la riduzione è risultata superiore), cui si è aggiunta una riduzione dei contributi regionali per il (...), anche essa legata a scelte gestionali impartite dal Comune ad (...) (in seguito alla delibera della Giunta Comunale (...) - documento (...) di parte attrice, pagg. 140-144 e relazione sulla gestione al bilancio 2012 - sono venute meno le agevolazioni tariffarie con conseguente riduzione degli introiti degli abbonamenti che, a sua volta, ha determinato una riduzione della contribuzione regionale spettante ad (...). Quanto precede, senza possibilità per (...) di ridurre i servizi prestati ovvero di ridurre i costi fissi, principalmente legali al personale dipendente". 6. Nel documentato contesto sopra delineato il Curatore del Fallimento (...) ha formulato le domande risarcitorie riportate in epigrafe nei confronti del (...) - Comune che, per l'intera vita di (...), ha avuto il controllo della medesima, detenendo una quota di capitale sociale sempre superiore al 90 per cento - sottolineando che "la causa petendi dell'azione sta nel disposto dell'art. 2497 c.c. di cui il modello amministrativo in house providing può a ragione essere ritenuto un caso di specie: in questo senso il controllo analogo richiesto dal modello in house partecipa alla descrizione della fattispecie fondante la responsabilità dell'ente controllante". Replica il Comune convenuto rilevando che (...) spa non ha mai presentato i tratti essenziali del modello in house indicati anche dalla giurisprudenza comunitaria sin dalla sentenza della CGE 18.11.1999 (...) e che comunque non sussistono i presupposti sostanziali per l'attivazione dell'art. 2497 c.c. atteso che i vari statuti di (...) succedutisi nel tempo attribuivano al CdA di (...) spa "i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società, senza eccezioni di sorta", oltre alla "facoltà di compiere tutti gli atti opportuni per l'attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali". 6.1. Ritiene il Collegio che il richiamo al modello di società in house non sia conferente. Come è noto, la società in house è istituto di derivazione comunitaria, prima enunciato in sentenze della Corte di Giustizia e poi modellato nelle Direttive 2014 - 23/24 e 25 UE, con il preciso scopo di limitare le ipotesi che consentono di derogare alle regole della concorrenza del mercato mediante il ricorso a forme di affidamenti diretti di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici. In sostanza, l'affidamento diretto non comporta alcuna lesione del principio di concorrenza se ed in quanto, in osservanza al principio di libera amministrazione delle pubbliche autorità di cui all'art. 2 della Direttiva 2014/23/Ue, esso non rappresenta una esternalizzazione ma una autoproduzione di servizi tramite un soggetto che, sostanzialmente - atteso che l'amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello operato sui propri servizi - non è diverso dell'ente pubblico. Anche nell'ordinamento giuridico interno, già prima del TUSP e del Codice Appalti, la Suprema Corte - ai fini del riparto di giurisdizione (cfr., per esempio, Cass. SSUU 2013 n. 26283 e Cass. SSUU 2014 n. 22609) - ha qualificato la società in house come mera articolazione interna della PA (con la conseguenza che l'affidamento diretto alla società in house, posta in una situazione di delegazione organica/subordinazione gerarchica, deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa) e ne ha precisato i requisiti. Tali requisiti, come poi costantemente ribadito, "devono sussistere contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all'epoca cui risale la condotta illecita": "a) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni ai soggetti privati, b) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo tale che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale, c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile" (Così, a ultimo, con richiami a pregressa e consolidata giurisprudenza di legittimità, Cass., SSUU 1.10.21 n. 26738). Nella fattispecie, la copresenza di tutte queste condizioni non è sussistente, mancando, in particolare, il divieto di apertura alla partecipazione al capitale da parte di altri soci (cfr. pag. 127 della relazione peritale che, ciononostante, mette in evidenza un controllo analogo di fatto). Vero è, però, come si dirà infra, che anche dopo la trasformazione di (...) da municipalizzata in (...) spa, il (...) ha continuato a considerarla come sua società in house (cfr., per es., la determina dirigenziale 17.4.15 n. 613) e ad utilizzarla per lo svolgimento di servizi propri come sua diretta emanazione al di fuori di ogni logica di mercato e comunque, come sopra già delineato, parte attrice ha agito in giudizio sulla base dell'art. 2497 c.c., norma pacificamente applicabile agli Enti Pubblici diversi dallo Stato quando, come nel caso, svolgono una attività economica o finanziaria attraverso una società di diritto comune, società che è assoggettata alle normali regole civilistiche di organizzazione e funzionamento comprese quelle concernenti la direzione e il coordinamento. 7. L'art. 2497 c.c. prevede infatti che le società e gli enti (diversi dallo Stato) che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, abbiano agito nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società soggette all'attività di direzione e coordinamento sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale nonché, nei confronti dei creditori sociali, per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale. E' pacifico che in caso di fallimento della società etero diretta l'azione spettante ai creditori sociali spetta al curatore fallimentare ed è altrettanto incontroverso che non opera la previsione del comma 3 della norma citata, dal momento che con il fallimento della società etero diretta si realizza automaticamente il requisito della sussidiarietà. Si richiama, ex multis, T. Palermo, sez. impresa, 28.4.2021: "l'onere della preventiva escussione non può sussistere nei confronti di società fallita atteso che nessuna escussione può realizzarsi, sicché sussiste da parte del fallimento il pieno diritto di procedere ai sensi dell'art. 2497 c.c." La natura della responsabilità ex art. 2497 c.c. - contrattuale o extracontrattuale - è controversa in dottrina e giurisprudenza, tuttavia, ad avviso del Collegio, la questione è priva di riflessi pratici in punto di onere probatorio, posto che l'attore è comunque tenuto a provare l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, l'antigiuridicità di tale condotta e l'evento dannoso (qui la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale della società). 8. La direzione e coordinamento rilevante ex art. 2497 c.c. si realizza per il solo fatto del suo effettivo esercizio e l'art. 2497-sexies c.c. sancisce che tale attività si presume sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento del bilancio o che comunque controlla la società in questione ai sensi dell'art. 2359 c.c.; vengono dunque in rilievo il controllo esercitato disponendo "della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria", il controllo esercitato mediante "voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria" e "l'influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa", cioè ogni forma di potere effettivo e di ingerenza anche non tipizzati realizzati attraverso l'organizzazione societaria o attraverso la gestione di rapporti contrattuali e senza che sia necessaria alcuna spendita del nome della società etero diretta. 8.1. Nel caso di specie, il (...) è sempre stato socio maggioritario di (...) e ha sempre avuto il controllo della medesima, detenendo una quota di capitale sociale sempre superiore al 90 per cento (cfr. grafico a pag. 32 della relazione peritale). Il (...) è dunque sempre stato in una posizione di "controllo cd interno di diritto" di (...) spa ex art. 2359 n. 1 c.c. ("interno", in quanto basato sulla partecipazione azionaria e "di diritto" in quanto la misura della partecipazione è tale da attribuire, per legge, la maggioranza dei voti in assemblea) e quindi in grado di determinare la condotta imprenditoriale di (...) e di imporre agli organi di questa la propria direzione sia mediante atti unilaterali di indirizzo, sia mediante la unilaterale determinazione delle politiche creditizie e delle tariffe nei confronti degli utenti finali. 8.2. La titolarità del pacchetto di maggioranza è elemento sufficiente per integrare la presunzione di cui all'art. 2497 sexies c.c. e del resto parte convenuta non ha portato alcun elemento idoneo a superare la presunzione di legge. Al contrario, dall'esame degli atti di causa e dalla Ctu esperita, emerge che assessori del (...) sono stati costanti interlocutori di (...), intervenendo ripetutamente nella gestione della stessa e talvolta anche partecipando anche alle riunioni del CdA. Il (...) ritiene tale ingerenza non rilevante ai fini di causa perché, ex artt. 147 e sgg. Tuel, l'Amministrazione ha il compito di definire gli obiettivi gestionali cui deve tendere la partecipata, ma tale difesa è evidentemente pretestuosa dal momento che un conto è la definizione degli obiettivi ed altro conto è, come è avvenuto, l'intervento diretto o indiretto nella gestione per il perseguimento di un interesse diverso da quello sociale di (...) spa. 8.3. Questo documentato contesto conferma dunque l'esistenza di una subalternità di (...) spa alla direzione del (...) e il Collegio peritale ha comunque evidenziato che il (...) esercitava su (...) un controllo di fatto analogo a quello esercitato sui propri servizi rilevando le plurime circostanze di seguito indicate. Premesso che l'attività di (...) si sostanziava, di fatto, nell'erogazione del servizio di trasporto pubblico locale e servizi correlati per il territorio individuato, che la totalità degli amministratori non veniva designata totalmente e liberamente dall'assemblea ai sensi dell'art. 2380-bis c.c. ma che la delibera assembleare consisteva nella mera nomina formale dei soggetti effettivamente designati dal Sindaco del (...), (come previsto dall'art. 17 dello Statuto, secondo comma, in tutte le sue varie versioni), attraverso il semplice recepimento dei decreti da egli emanati, che il (...) ha promosso operazioni anche strategiche esercitando, nei fatti, un potere di etero direzione, "nonché influenzando anche la decisione relativa all'operazione straordinaria di fusione del 2008 (si vedano le delibere del CdA di (...) del 10.7.2007 e 27.7.2007 in cui l'operazione di fusione è promossa su proposta dell'Assessore Prof. (...) il quale comunica che in base ad un indirizzo maturato a livello comunale e in attuazione del programma elettorale della nuova amministrazione è necessario esaminare la proposta di riaccorpamento tra (...) e SPRA" (cfr. pag. 125 della relazione peritale) e che "il (...) considerava apertamente (...) come sua società in house (cfr. determina dirigenziale 17.4.15 n. 613)", il Collegio peritale ha infatti riferito come gli amministratori di (...) succedutisi nel tempo abbiano di fatto mantenuto una costante sudditanza nei confronti del Comune (che li ha nominati attraverso il Sindaco) accondiscendendo a porre in essere o subire le decisioni degli organismi comunali aventi effetti negativi sulla gestione di (...) e a tutto vantaggio del Comune. Si evidenziano, a tale riguardo, a titolo esemplificativo: i) la sottoscrizione da parte di (...) di contratti di servizio con il Comune a condizioni economicamente non sostenibili e senza tutela di sorta a) per il caso dei tardivi o mancati pagamenti da parte del Comune b) in caso di riduzione dei contributi regionali e provinciali indicati contrattualmente come stima, c) quanto agli oneri che sarebbero rimasti in capo ad (...) nel caso di risoluzione del contratto e di aggiudicazione a terzi ad esito della gara a rilevanza europea per la gestione del servizio (ad es. personale in esubero e oneri pluriennali sopportati) nonché d) circa le modalità e le condizioni economiche di passaggio dei propri assets in capo all'eventuale terza aggiudicataria dei servizi; ii) l'indicazione di come (...) avrebbe dovuto destinare gli incassi dei crediti verso il Comune (vedasi le indicazioni da parte del Comune sui pagamenti degli stipendi di giugno e agosto 2012, dei contributi rateizzati e del fornitore (...), quest'ultimo essenziale per la ricambistica che aveva minacciato di interrompere le forniture); iii) l'indicazione dell'Assessore (...), come evidenziata nel verbale del Consiglio di Amministrazione di (...) del 8 agosto 2011 di fare ricorso alla rateizzazione dei debiti contributivi a fronte dell'impossibilità del Comune di fare fronte ai propri debiti verso (...) onde ottenere il rilascio del Durc e lo sblocco della fattorizzazione dei crediti da parte di (...); iv) l'assenza di attività giudiziali per il recupero dei crediti verso il Comune da parte degli amministratori di (...) (è evidente dalla lettura dei verbali del Consiglio di Amministrazione di (...) come tale ipotesi sia sempre stata volutamente rimandata dai consiglieri di Amministrazione di (...) succedutisi nel tempo, nonostante la presa di coscienza di come fosse una iniziativa necessaria ed urgente); v) l'accettazione passiva da parte del Consiglio di Amministrazione di (...) della riduzione dei corrispettivi dei contratti posti in essere (piano di riduzione dei corrispettivi dei servizi per il 2013 e 2014) senza alcuna riduzione dei servizi prestati, con evidente aumento delle perdite. Le decisioni in ordine alla riduzione dei corrispettivi dei contratti riferiti ai servizi sono state prese unilateralmente dal Comune, motivando tale scelta con impostazioni della Corte dei Conti di non incrementare i costi di esercizio del Comune (ma non di ridurli). Al riguardo il Comune ne dava notizia ad (...), che recepiva le indicazioni nell'ambito delle delibere del Consiglio di Amministrazione, affinché provvedesse a porre in essere iniziative di efficientamento e razionalizzazione delle spese, disinteressandosi del fatto che tali iniziative fossero praticabili o meno; vi) affitto d'azienda alla (...), controllata dal Comune, a ridosso della richiesta di fallimento in proprio di (...)". 9. Gli elementi di cui sopra, oltre a provare una situazione fattuale di controllo da parte del Comune convenuto su (...) spa, evidenziano inoltre l'antigiuridicità di tale gestione, ossia l'esercizio di quella attività di direzione "nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale" previsto dall'art. 2497 c.c. 9.1. Come è noto, l'espressione "interesse imprenditoriale proprio o altrui" porta ad escludere dall'ambito di responsabilità ex art. 2497 c.c. solo le ipotesi nelle quali sia perseguito un interesse meramente privato (quale l'interesse personale degli amministratori/cariche pubbliche della società/ente controllante) e a ricomprendervi tutte le altre ipotesi in cui è stato perseguito un interesse extrasociale rispetto a quello della società etero diretta. Con l'art. 19 del d.l. 2009 n. 78, convertito nella l. 2009 n. 102, il legislatore ha chiarito che " l'art. 2497, primo comma del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria" ed è stato ripetutamente osservato che l'ampiezza dell'espressione "finalità di natura economica o finanziaria" è tale da ricomprendere gli obiettivi che l'ente pubblico territoriale persegue attraverso la costituzione di società in house o comunque delle società cui partecipa (cfr. T. Napoli, Sez. Impresa 7.11.19 e T. Palermo, Sez. Impresa. 28.4.2021). Nella fattispecie, è dunque indubbia la sussistenza del presupposto in esame posto che è documentato che l'attività di (...) spa si sostanziava nell'erogazione del servizio di trasporto pubblico locale e servizi correlati per il territorio, cioè nello svolgimento di un servizio che era l'ente territoriale a dover espletare. Si richiamano, sul punto, anche le conclusioni del consulente del PM nel procedimento penale pendente presso il Tribunale di Alessandria, il quale ha fatto presente come: "l'intera attività di impresa di (...) fosse legata e derivasse dai rapporti di natura commerciale intrattenuti con il (...) e, conseguentemente, come la stessa potesse essere proficuamente portata avanti, da (...), solo a condizione di un efficiente incasso dei crediti nei confronti della controllante la pressione esercitata dal Comune sulla gestione della controllata, induce a ritenere che l'organo di gestione non abbia operato nell'interesse della società cui era preposto e, quindi che abbia operato nell'interesse proprio (seppure indirettamente, in quanto soggetti scelti dalla controllante) o altrui (della società controllante)". 9.2. Il parametro concernente i "principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale" impone il rispetto dei principi di diritto societario ricavabili dalle norme di legge e dallo statuto della controllata e preclude all'ente controllante di imporre, nell'interesse esclusivamente proprio, politiche aziendali o singole operazioni prive di sostenibilità economica eventualmente anche per assenza di vantaggi compensativi. La giurisprudenza ha pertanto ritenuto che per non incorrere nella violazione del parametro in esame, la controllante non deve "scardinare il necessario punto di equilibrio che deve essere perseguito, nell'esercizio dell'attività di direzione, tra il soddisfacimento degli interessi delle società controllate e di quelli della società controllante, tale da consentire la soddisfazione per tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni realizzate" (T. Palermo, 15.6.2011) e che "la direzione e coordinamento devono essere caratterizzate, ex art. 2497 c.c., dall'osservanza di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l'unitarietà della direzione non può giustificare l'utilizzo della gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell'interesse delle società controllanti, bensì per il coordinamento degli interessi delle due", (T. Milano, 10.11.14) e in dottrina è stato sottolineato che ogni qualvolta l'interesse pubblico dell'ente controllante contrasti con l'economicità della gestione della società etero diretta deve comunque essere conseguito almeno il pareggio del bilancio della controllata. 9.3. Nel caso di specie, ancorché lo statuto di (...) non prevedesse specifici poteri in capo al (...) ma solo la facoltà di nomina da parte del Sindaco della totalità e/o della maggioranza dei membri del CdA, è emerso (come in parte già esposto ai precedenti punti) che i consiglieri di amministrazione - in posizione di completa sudditanza rispetto al Comune in ragione della nomina - hanno costantemente e supinamente recepito le direttive e gli atti di impulso del socio di maggioranza (cfr. tabella alle pagg. 210-228 della relazione peritale). Con la conseguenza che, nella sostanza, il (...) ha continuativamente etero diretto l'attività gestionale della controllata imponendo costantemente scelte economiche e operative nel proprio esclusivo interesse e a tutto danno di (...). Come dettagliatamente risultato in sede tecnica, l'ingerenza gestionale del Comune si è esplicitata attraverso: "I) direttive della Giunta Comunale che prevedono che (...) a) attuasse le modalità di gestione individuate dal Comune, risultate in larga parte antieconomiche per la controllata ovvero b) prendesse atto della riduzione dei corrispettivi contrattuali sulla base delle esigenze del Comune; II) la sottoscrizione da parte di (...) di contratti di servizio con il Comune a condizioni economicamente non sostenibili e senza tutela di sorta a) per il caso dei tardivi o mancati pagamenti da parte del Comune b) in caso di riduzione dei contributi regionali e provinciali indicati contrattualmente come stima, c) quanto agli oneri che sarebbero rimasti in capo ad (...) in caso di risoluzione del contratto o di aggiudicazione a terzi ad esito della gara a rilevanza europea per la gestione del servizio (ad es. personale in esubero ed oneri pluriennali sopportati) nonché d) circa le modalità e le condizioni economiche di passaggio dei propri assets in capo all'eventuale terza aggiudicataria dei servizi; III) l'indicazione di come (...) avrebbe dovuto destinare gli incassi dei crediti verso il Comune (vedasi le indicazioni da parte del Comune sui pagamenti degli stipendi di giugno e agosto 2012, dei contributi rateizzati e del fornitore (...), quest'ultimo essenziale per la ricambistica e che aveva minacciato di interrompere le forniture); IV) l'indicazione data dall'Assessore (...), come evidenziata nel verbale del Consiglio di Amministrazione di (...) del 9 agosto 2011 di fare ricorso alla rateizzazione dei debiti contributivi a fronte dell'impossibilità del Comune di far fronte ai propri debiti verso (...), onde ottenere il rilascio del Durc e lo sblocco della fattorizzazione dei crediti da parte di (...); V) l'assenza di attività giudiziali per il recupero dei crediti verso il Comune da parte degli amministratori di (...) (è evidente, dalla lettura dei verbali del Consiglio di Amministrazione di (...), come tale ipotesi sia sempre stata volutamente rimandata dai Consiglieri di Amministrazione di (...) succedutisi nel tempo, nonostante la presa di coscienza di come fosse un'iniziativa necessaria e urgente); vi) l'accettazione passiva da parte del Consiglio di Amministrazione di (...) della riduzione dei corrispettivi dei contratti in essere (piano di riduzione dei corrispettivi dei servizi per il 2013 e 2014) senza alcuna riduzione dei servizi prestati con evidente aumento delle perdite. Le decisioni in ordine alla riduzione dei corrispettivi dei contratti riferiti ai servizi sono state prese unilateralmente dal Comune, motivando tale scelta con imposizioni della Corte dei Conti di non incrementare i costi d'esercizio del Comune (ma non di ridurli). Al riguardo il Comune ne dava notizia ad (...), che recepiva le indicazioni nell'ambito delle delibere del consiglio di Amministrazione affinché provvedesse a porre in esser iniziative di efficientamento e razionalizzazione delle spese, disinteressandosi del fatto che tali iniziative fossero praticabili o meno; vii) affitto d'azienda alla (...), controllata del Comune, a ridosso della richiesta di fallimento in proprio di (...)". In sede di consulenza tecnica - e il Collegio concorda - è stato dunque evidenziato che la direttive e le scelte gestionali operate dal (...) non sono state mai coerenti con i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale e ciò in quanto: (I) i principali contratti di servizio stipulati tra il Comune e (...) (sosta a pagamento, trasporto pubblico locale, trasporto alunni e trasporto disabili) e i corrispettivi dei servizi non contrattualizzati seppure prestati da (...) (bike sharing e manutenzione segnaletica stradale) - i cui corrispettivi e contenuti sono stati di fatto imposti dal Comune ad (...) a fronte della sudditanza dei componenti del CdA di (...), scelti dal Sindaco - hanno prodotto perdite gestionali in assenza di vantaggi compensativi, come risulta da relazioni sulla gestione del bilancio e dal conto economico di settore allegato ai bilanci di esercizio dal 2008 al 2014; (II) i tardivi e/o mancati pagamenti dei corrispettivi dei servizi da parte del Comune (ai quali (...) non ha mai opposto adeguati provvedimenti sempre a causa della predetta sudditanza agli organi comunali dei propri amministratori) hanno determinato ulteriori perdite a fronte degli oneri finanziari per la fattorizzazione e l'anticipazione dei crediti da parte del sistema bancario nonché delle sanzioni ed interessi dovuti al mancato o tardivo pagamento dei debiti erariali e contributivi; (III) anche la scelta del Comune di ridurre la tariffa di sosta e di ripristinare la sosta gratuita tra le 12.30 e le 14.30 ha determinato aggravi di costi e problematiche di ordine sindacale in capo ad (...). In sostanza, non si è trattato di qualche isolata direttiva ma di un sistema di gestione mirato e continuato che l'ente comunale ha posto in essere nei confronti di (...) per asservirla al perseguimento di interessi e fini propri afferenti l'esercizio del servizio di trasporto pubblico a prezzi contenuti e senza riguardo alcuno per l'integrità patrimoniale della (...) spa e tanto meno del pareggio del suo bilancio. In questo senso, sono significative anche le ultime vicende, dopo che (...) è stata posta in liquidazione volontaria (3.3.16), relative alla concessione in affitto dell'azienda di (...) ad (...) (anch'essa controllata dal (...)) in data 14.6.16. Ebbene, anche in relazione a tale vicenda la Ctu ha riferito che il contratto di affitto prevedeva il pagamento pressocchè immediato da parte del (...) ed in favore dell'affittuaria di tutti i canoni dei servizi relativi al periodo di affitto 2016 e stimato in euro 2.200.000 e ha osservato che "appare qui pertinente l'osservazione svolta dal consulente tecnico del PP.MM. nella propria relazione in cui viene evidenziato che "la circostanza, senza dubbio non può che fare riflettere, alla luce delle scarse disponibilità liquide del (...) e quindi nella piena consapevolezza che la destinazione di somme cospicue al pagamento di debiti futuri verso l'affittuaria, avrebbe reso ancor meno probabile la soddisfazione almeno parziale dei debiti già scaduti verso la concedente, con conseguente danno ai creditori di (...)". Resta ancora da aggiungere che l'assenza, per (...), di "vantaggi compensativi" è stata accertata anche dal Consulente del Pubblico Ministero quando scrive che "non può che essere confermata l'assenza di vantaggi compensativi, intesi come specifici benefici della (...) spa che fossero suscettibili di valutazione ex ante ed idonei a compensare gli effetti immediatamente negativi delle operazioni compiute, mediante operazioni di segno opposto, con nesso di consequenzialità e interdipendenza". 9.4. Risultano dunque totalmente infondate le difese di parte convenuta quando cerca di escludere o limitare il coinvolgimento dell'Ente, riferendo che si è trattato di "semplici suggerimenti, a carattere non vincolante" e di addebitare il dissesto societario di (...) spa ai suoi amministratori, presentati improvvidi rispetto alle emergenze ed inerti rispetto alle soluzioni da adottare, e comunque sostenendo che "se sudditanza vi è stata essa costituisce una responsabilità di mala gestio in capo agli amministratori, i quali sono e restano gli unici responsabili del proprio agire". L'etero direzione abusiva rilevante ex art. 2497 c.c. risulta infatti da tutte le circostanze sopra ricapitolate e i plurimi richiami del (...) allo Statuto di (...) e agli artt. 147 e sgg. Tuel non solo non sono utili alla tesi difensiva ma sono anche contraddittori. Da un lato, infatti, parte convenuta richiama lo Statuto di (...) e sottolinea che l'assemblea e i soci non avevano formalmente poteri gestori della partecipata e questa circostanza esteriore non può che imprime una coloritura ulteriormente negativa all'attività invece di fatto esercitata; dall'altro, il Comune evoca il proprio potere di definire gli obiettivi gestionali della partecipata, obliterando che tale circostanza nulla ha a che vedere con ciò che nei fatti è avvenuto e cioè la etero gestione comunale di (...), a prescindere dallo schermo formale statutario e ben oltre la formulazione degli obiettivi di cui alle disposizioni del Tuel. Il tutto, senza dimenticare che i controlli di cui all'art. 147 quater del Tuel non legittimano certo, per esempio, "la riduzione apodittica e unilaterale del servizio (senza che siano individuate e/o condivise le riduzioni del servizio prestato da (...) che rendano sostenibile detta riduzione dei corrispettivi), resa possibile dalla sudditanza degli amministratori". (relazione peritale pag. 316). Quanto alla posizione degli amministratori, sono le direttive illegittime impartite dalla parte controllante che determinano l'inadempimento degli amministratori della controllata e non il contrario. Che poi, accanto alla responsabilità dell'Ente controllante ex art. 2497 c.c., possa sussistere anche una responsabilità dell'organo amministrativo e/o di controllo della società controllata è dato pacifico ma qui non conferente atteso che "il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all'azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento" (T. Torino, sez. Impresa, 2.12.19), che parte attrice ha agito in giudizio solo ex art. 2497 c.c. nei confronti di (...) e che parte convenuta non ha chiamato in causa alcuno dei soggetti che hanno fatto parte, nel tempo, degli organi societari di (...). Parimenti infondata e pretestuosa è la difesa di parte convenuta quando adombra che non avrebbe potuto agire diversamente perché "a fronte della situazione di dissesto e dell'approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato, su imposizione della Corte dei Conti, l'Ente non poteva per legge rifinanziare la Società o comunque erogare ad (...) le somme necessarie a compensare la riduzione dei contributi pubblici, come preteso da Controparte. Tantomeno, il Comune poteva intervenire per ripianare integralmente le perdite registrate da (...); ostandovi altresì la disciplina euro-comunitaria e nazionale in materia di divieto di aiuti di Stato, che vieta il riconoscimento all'operatore incaricato del servizio di trasporto pubblico di misure economiche integrative per ripianare perdite che una gestione efficiente avrebbe evitato" e ciò in quanto oggetto del presente giudizio è la responsabilità del Comune per avere provocato le perdite e il dissesto di (...) e non già quello di non aver ripianato perdite cagionate da altri in coerenza con la normativa pubblicistica vigente. 10. La quantificazione del danno. In sede peritale, sono state formulate le tre ipotesi di seguito riassunte: (I) danno quantificato come differenziale tra passivo ed attivo della procedura concorsuale pari ad euro 26.353.802,40; (II) danno quantificato come totale dei saldi di gestione negativi e positivi dei vari settori in cui operava la società per il periodo decorrente dall'1.1.2007 alla data del fallimento e pari ad euro 23.701.901, importo a cui vengono sottratti euro 283.449 riferiti alle perdite della distribuzione metano e così pari ad euro 23.418.452; (III) danno quantificato come totale dei saldi positivi e negativi della gestione caratteristica dei vari settori in cui operava la società per il periodo dall' 1.1.2007 alla data del fallimento e pari ad euro 14.737,932, importo a cui vengono sottratti euro 283.449 riferiti alle perdite della distribuzione metano e così pari ad euro 14.454.483. Il collegio peritale ha ritenuto preferibile la seconda ipotesi in quanto coerente "con quanto evidenziato nella presente relazione, del danno ai creditori sociali di (...) ascrivibile alle scelte gestionali operate dal (...), sia quello più strettamente collegato al risultato dei bilanci d'esercizio, di euro 23.418.452 in quanto rappresentativi". Ad avviso del Collegio, per la quantificazione del danno causato dal Comune occorre ancora sottolineare che non si è trattato di meri atti di orientamento/indirizzo/direttiva isolati o sporadici ma di un sistema di etero gestione mirato e continuato posto in essere dall'Ente pubblico per anni ed anni e per fini propri e a prescindere dal fatto che (...) da municipalizzata fosse divenuta spa e quindi soggetta, come anche i suoi soci pubblici, alle regole codicistiche di diritto comune. In questo contesto, il danno subito dai creditori di (...) non può che essere quantificato in coerenza a quanto proposto da parte attrice, ossia avendo riguardo ai deficit reddituali in cui è incorsa la società fallita a partire dall'anno 2012, peraltro conformi ai dati rilevati in sede peritale e riportati nella tabella a pagina 299 della relazione e alle conclusioni sub sopra riferite, al netto delle perdite ante 2012. La sommatoria dei risultati negativi degli esercizi 2012, 2013, 2014 e 2015 ammonta ad euro 21.276.089,00 e, come emerge dagli atti e già evidenziato, solo l'artificiosa copertura delle perdite ha consentito di procrastinare l'epilogo fallimentare. A questo ultimo proposito, si richiama in particolare l' arbitraria e ingiustificata sopravalutazione degli immobili di (...) in sede di fusione (gli immobili erano privi di capacità di generare flussi di cassa attraverso il loro utilizzo, flussi di cassa non erano prevedibili neppure mediante la loro riqualificazione e dunque avrebbero dovuto eventualmente essere svalutati mentre invece il valore contabile degli stessi - pari ante fusione ad euro 13.679.378 - è passato ad euro 21.790.129, cfr. pag. 37 della relazione peritale), operazione che, unitamente alla quella di riduzione del capitale sociale del giugno 2014, ha consentito un apparente miglioramento delle voci patrimoniali della società ma solo fittizio in quanto senza apporto di liquidità e senza copertura delle perdite. Dall'importo di euro 21.276.089,00 devono però essere sottratte le perdite riferite alla distribuzione del metano e dunque - considerata la tabella a pag. 248 della relazione peritale e gli anni successivi al 2011 in essa indicati - euro 482.925, risultando invece estraneo alla limitazione della quantificazione del danno il versamento in conto capitale operato dal Comune come socio nel 2014. 10.1. Il danno ammonta dunque a complessivi euro 20.793.164,00 e - trattandosi di una obbligazione di valore - su tale importo devono essere corrisposti la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat F.O.I. (famiglie, impiegati, operai) e gli interessi sulla somma via via rivalutata, equitativamente calcolati facendo riferimento al tasso legale di interesse, (operazione da effettuare anche in assenza di esplicita domanda, cfr. Cassazione civile, sez. I, 22/08/2011, n. 17444) e tenendo presente che il danno si è progressivamente prodotto negli anni dal 2012 alla data odierna. Si arriva così all'importo di euro 22.680.111,85, importo che il (...) deve essere condannato a pagare al Fallimento (...) spa in persona del Curatore Fallimentare, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. 11. In relazione ai crediti commerciali di (...) e oggetto della domanda attorea di cui al punto "C" delle conclusioni in epigrafe, il Collegio rileva quanto segue. La Ctu, che pure ha dato atto che "dalla documentazione agli atti di causa risulta che il Fallimento, contabilmente, vanta un credito nei confronti del (...) pari a complessivi euro 7.249.929,29", ha analizzato in dettaglio la documentazione e ha riferito che: (i) alcune fatture contabilizzate da (...) per complessivi euro 828.945,12 non risultano presenti nella ricostruzione debitoria del prospetto del (...); (ii) altre fatture, oggetto di lettere di contestazione del Comune agli atti di causa, non risultano elencate nel prospetto del Comune e sono registrate nella contabilità di (...) per euro 740.405,83; (iii) n. 9 fatture contabilizzate da (...) - di importo non significativo e pari a complessivi euro 355,76 - risultano elencate ma non valorizzate nel prospetto del Comune; (iv) le fatture oggetto di richiesta di storno da parte del Comune sono pari ad euro 3.762.610,98; (v) le fatture che il Comune riconosce ancora dovute ad (...) sono pari ad euro 1.876.796,13. 11.1. Con riferimento alle fatture di cui ai punti (i), (ii) e (iii) il Collegio richiama quanto dettagliatamente esposto alle pagine 255-259 della relazione peritale. In sostanza, si tratta di crediti che non sono stati sufficientemente documentati da parte attrice, onerata di fornirne la prova, vuoi perché neppure risultano agli atti gran parte delle fatture, vuoi perché si tratta di fatture risalenti (una fattura è del 2005, altre sono antecedenti al 2011, alcune sono fatture del 2012) e non ricomprese nell'istanza di ammissione alla massa passiva del (...), nel 2012 è stato dichiarato il dissesto del (...), o comunque prive di documentazione che consenta di verificare la prestazione sottostante e la congruità dell'importo vantato. Si concorda dunque con il collegio peritale quando osserva che, in questo contesto, ai fini della prova del credito non è sufficiente l'allegazione della registrazione in contabilità, dovendosi ulteriormente aggiungere che le prove orali dedotte dal Fallimento e riportate in epigrafe - cfr. in particolare punto 1 - sono palesemente generiche e quindi non ammissibili. Il dato di cui al punto (v) è pacifico e per quanto concerne le fatture enucleate al punto (iv) il collegio peritale ha effettuato una disamina estremamente analitica delle stesse (cfr. relazione peritale, pag. 259 e sgg.), disamina dalla quale risulta che sono dovuti i corrispettivi concernenti i servizi di "bike sharing", "segnaletica" e "corrispettivo trasporto Comune". Il (...) non contesta infatti, nella sostanza, l'avvenuto e corretto espletamento del servizio e/o la quantificazione ma si limita a riferire che la spesa non è stata prevista nel bilancio dell'Ente, circostanza, all'evidenza, qui priva di rilievo. A diverso esito deve invece giungersi per le voci rubricate "trasferimenti da Provincia" e pari ad euro 1.289.776,80. Parte attrice ne reclama il pagamento perché, a suo avviso, "la motivazione addotta circa il mancato trasferimento dei fondi provinciali non è ragione sufficiente per escludere il credito per il corrispettivo contrattuale fatturato: l'art. 9 del contratto di trasporto pubblico ... parametra parte del corrispettivo annuo al provvedimento che sarà adottato dall'Amministrazione provinciale, rendendo così incerto l'ammontare complessivo, ma non condiziona il pagamento del corrispettivo, così determinato, con l'effettiva erogazione al Comune dei fondi provinciali". Il Collegio non concorda con tale impostazione e ciò per la preclusiva considerazione che, leggendo l'art. 9 del contratto di trasporto, emerge con evidenza che il compenso di (...) era formato da una parte fissa e da una parte variabile di pertinenza provinciale e che (...) avrebbe avuto diritto al trasferimento di quest'ultima solo ove/quando fosse avvenuto stanziamento da parte dell'Ente provinciale. Analoghe sono le conclusioni a cui si deve giungere per le voci, sempre ricomprese nel punto (iv), afferenti "interessi passivi" e "rimborso sanzioni e danni": in entrambi i casi - cfr. dettagli alle pagg. 264-268 della relazione peritale - la documentazione agli atti di causa non consente di determinare la congruità e correttezza degli importi indicati dal Fallimento e la quantificazione dell'ammontare richiesto a titolo di danni/sanzioni "non risultando prodotto alcun documento di addebito di sanzioni ad (...) e/o le cartelle di pagamento dell'Agenzia di Riscossione e/o i piani di rateizzazione dei debiti tributari e contributivi". Il credito del Fallimento nei confronti di parte convenuta ammonta dunque a complessivi euro 2.057.791,21 (debito riconosciuto dal Comune + corrispettivi per i servizi di "bike sharing", "segnaletica" e "corrispettivo trasporto Comune"), ma poiché il Comune (come riferito anche da parte attrice che - a pagina 36 dell'atto introduttivo - indica euro 3.891,028,80) vanta un credito nei confronti di (...) pari ad euro 3.893.916,05 non ammesso al passivo del Fallimento in quanto compensato con crediti di (...) nei confronti del Comune (cfr. pag. 273 dell'elaborato peritale), senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori non ammissibili e non rilevanti ai fini della decisione(1), la domanda attorea deve essere respinta. 12. Le spese del procedimento. Le spese del procedimento - liquidate nella misura che verrà indicata in dispositivo (valore del "decisum" ex art. 5 comma 1 del DM 2014 n. 55 e smi, scaglione da 16 a 32 milioni di euro, valori medi dello scaglione in ragione dell'importo riconosciuto, complessità alta) - seguono la soccombenza del (...). 14. Le spese di Ctu. Stante l'esito del giudizio ed il rigetto della domanda attorea relativa al pagamento di fatture, le spese di Ctu, come già liquidate con decreto 10.11.20, vanno poste a carico di entrambe le parti e così nella misura di un quinto a carico di parte attrice e di quattro quinti a carico di parte convenuta. Si richiama inoltre il principio giurisprudenziale in base al quale: "in tema di consulenza tecnica di ufficio, il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che l'attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza". (così Cass. civ., Sez. II, 30/12/2009, n. 28094. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. VI, 05/11/2014, n. 23522 e Cass. civ. Sez. II Sent., 10/10/2018, n. 25047). P.Q.M. Il Tribunale di Torino, sezione specializzata in materia di impresa, ogni contraria domanda, istanza, eccezione o deduzione respinta o ritenuta assorbita, così provvede: Condanna il (...), in persona del Sindaco pro tempore, a pagare al Fallimento (...) spa, in persona del Curatore Fallimentare, la somma di euro 22.680.111,85, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. Condanna il (...), in persona del Sindaco pro tempore, a rimborsare al Fallimento (...) spa, in persona del Curatore Fallimentare, le spese del giudizio, che liquida in euro 103.236,00, oltre CU, iva e c.p.a. come per legge e rimborso forfettario nella misura del 15 per cento. Pone le spese di Ctu, come già liquidate, a definitivo carico di parte attrice per un quinto e di parte convenuta per quattro quinti. Così deciso in Torino il 14 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2022. (1) (Prove testimoniali dedotte da parte attrice: capo 1: generico e quindi inammissibile; capi 2 e 3: non rilevante; capo n. 4: documentale).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI Il Giudice per le Indagini Preliminari dott. Ludovico Morello all'esito dell'udienza in camera di consiglio del 24.1.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA ai sensi degli artt. 442 e ss. c.p.p. nei confronti di: (...), nato a (...) in data (...); difeso di fiducia dall'Avv. VO.Fa. del Foro di Torino; - detenuto p.q.c. (capo 1) - presente - IMPUTATO 1) Del reato di cui agli art. 572 c.p. perché con condotte reiterate maltrattava la fidanzata (...), in particolare, versando spesso in stato di ubriachezza, ingiuriandola e percuotendola ripetutamente, per motivi di gelosia, e nello specifico: - aggredendola verbalmente quando la donna, terminato il turno lavorativo, non desiderava più stare con lui, bensì tornare nella propria abitazione per riposarsi dopo la giornata lavorativa, perché stanca dicendole "fai quel cazzo che vuoi, vai a fare la troia, vai dai tuoi amici", -controllando ossessivamente le sue relazioni sociali e facendole continue richieste di denaro - percuotendola, in 4/5 occasioni, con calci e pugni su tutto il corpo mentre erano nell'abitazione dei genitori di (...), morsicandola ad un labbro e mettendole le mani al collo, in latra occasione in cui si trovavano presso la casa di sua madre, - in data 08.05.2022. a seguito di una discussione per futili motivi, tenendola chiusa in casa dal primo pomeriggio sino alle ore 17.00, percuotendola con schiaffi e pugni su tutto il corpo, tappandole la bocca affinché non urlasse, sferrandole una testata sul volto che le procurava un 'ecchimosi sul sopracciglio destro, strappandole una ciocca di capelli e trattenendole il suo cellulare per evitare che chiedesse aiuto, - in data 01.6.2022, all'interno dell'abitazione dei genitori della p.o., picchiandola e facendola cadere in terra e battere la testa contro un comò nonché, dopo essere stato allontanato dall 'abitazione, suonando incessantemente il citofono per farsi riaprire, - il giorno 2.6.2022 camminando sotto casa con atteggiamento alterato, - in data 21.6.22 cercando di avvicinarla, dopo averla chiamata invano, per riprendere la relazione tra di loro e, al suo diniego, richiedendole ulteriormente del denaro, 10 euro, e non ottenutolo, prendendola a schiaffi e percuotendola sul petto e strappandole di dosso 40 euro. Costringendola cosi a vivere condizioni di vita insopportabili. In Torino, dal mese di febbraio 2022 e tutt'ora in corso. 2) del reato dì cui all'art. 605, 61 n.2 c.p. perché, al fine di commettere il reato di cui al capo 1) privava della libertà di movimento (...), ovvero, in data 8.5.2022, a seguito di una discussione per futili motivi, tenendola chiusa in casa dal primo pomeriggio sino alle ore 17.00, percuotendola con schiaffi e pugni su tutto il corpo, tappandole la bocca affinché non urlasse, sferrandole una testata sul volto che le procurava un 'ecchimosi sul sopracciglio destro, strappandole una ciocca di capelli e trattenendole il suo cellulare per evitare che chiedesse aiuto fin tanto che (...) non lo graffiava e riusciva a raggiungere il balcone chiedendo aiuto cosi spaventandolo per l'arrivo di Forze dell'ordine. 3) del reato di cui agli arti. 582 e 585, 576 n.5 c..c.p., perché, percuotendo la fidanzata (...), cagionava lesioni personali in particolare: - in data 8.05.2022, percuotendola con schiaffi e pugni su tutto il corpo, tappandole la bocca affinché non urlasse, sferrandole una testata sul volto che le procurava un 'ecchimosi sul sopracciglio destro nonché un trauma cranico e facciale giudicato guaribile in giorni 3, Con l'aggravante di aver agito allo scopo di eseguire il delitto di cui al capo A che precede e nei confronti di persone del reato di cui all'art. 572 c.p. In Torino il 8.5.22. 4) Del reato di cui all'art. 628, commi 1 c.p., perché, al fine di trarre un ingiusto profitto, mediante violenza consistita nel colpire violentemente con dei pugni e schiaffi (...), si impossessava di 40 euro che la stessa deteneva sulla sua persona. In Torino, il 21/6/2022. MOTIVAZIONI 1. All'udienza preliminare del 14.12.2022, l'imputato ha chiesto di procedersi con il rito abbreviato condizionato all'escussione di due testimoni e, in subordine, il rito abbreviato semplice; è stata accolta la richiesta subordinata per le ragioni espresse nel verbale di udienza (al quale si rinvia); il reo ha anche rilasciato spontanee dichiarazioni. Si è costituita parte civile la persona offesa (...). All'udienza del 24.1.2023 le parti hanno concluso come in epigrafe. Il Giudice, all'esito della camera di consiglio, ha pubblicato la presente sentenza mediante lettura del dispositivo. 2.1. La documentazione agli atti non lascia dubbi circa la responsabilità penale dell'imputato per i reati contestati. Dagli atti contenuti nel fascicolo, ai fini che ivi rilevano, è difatti emerso quanto segue. Come ha già illustrato il GIP in maniera oltremodo completa ed esaustiva nella propria ordinanza del 14.7.2022 applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, la presente vicenda ha avuto origine con la querela del 9.5.2022, presentata dalla persona offesa (...), nella quale la donna rappresentava che il fidanzato (...), nel corso dei pochi mesi di frequentazione (i due mesi precedenti), aveva avuto atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti, scatti d'ira originati da motivi di gelosia morbosa e richieste di denaro non accolte. La (...) ha riferito che il (...) era peraltro un consumatore abituale di sostanze alcoliche, circostanza che lo rendeva ancora più impulsivo e violento. Oltre alle violenze fisiche la donna ha raccontato di aver subito anche insulti del tipo "puttana, zoccola", oltre che un pressante controllo delle sue amicizie. Inoltre, in data 8.05.2022, a seguito di una discussione avvenuta per futili motivi, il (...) l'aveva teneva chiusa nella propria abitazione (ove ella si trovava), per l'intera giornata, percuotendola con schiaffi e pugni su tutto il corpo, tappandole la bocca affinché non urlasse, sferrandole una testata sul volto (che le procurava un'ecchimosi sul sopracciglio destro), strappandole una ciocca di capelli e trattenendole il cellulare per impedirle di chiedere aiuto. Al culmine della sopportazione, la (...) era riuscita a graffiare sul volto il fidanzato e a gridare aiuto, tanto da spaventarlo e indurlo ad aprire la porta di casa per consentirle di allontanarsi dall'abitazione. Uscita di casa, la persona offesa aveva contattato l'amico (...); costui l'ha quindi accompagnata prima dai Carabinieri di Torino La Falchera e poi all'ospedale San Giovanni Bosco per le cure del caso; la donna - che aveva riferito ai sanitari di essere stata aggredita - è stata dimessa con diagnosi di "trauma cranico e facciale da percosse", giudicata guaribile con prognosi di gg. 3 s.c. Gli operanti di p.g. hanno provveduto a fotografare le lesioni patite dalla donna (cfr. pag. 18 del fascicolo). In data 26.5.2022 è stato escusso a s.i.t. l'amico (...), che ha riferito di aver ricevuto nella giornata dell'8.5.2022 una telefonata da parte dell'amica (...), nella quale la donna gli aveva chiesto aiuto in quanto picchiata dal compagno. Il (...) ha quindi raggiunto la donna nel posto concordato e poi l'ha accompagnata dai carabinieri, ove personale dipendente ha provveduto a fotografare i lividi visibili sul corpo della (...) e a invitare l'interessata a presentarsi il giorno seguente, alle ore 09.30, per la formalizzazione della querela (cfr. annotazione del 9.5.2022 redatta da personale in servizio presso la Stazione CC di Torino Borgata (...)). Il (...), vedendo la donna particolarmente turbata, le ha offerto la cena e l'ha ospitata per la notte nel suo alloggio; il giorno seguente l'ha accompagnata nello stesso posto in cui era andato a prenderla, senza chiederle nei particolari cosa fosse successo con il suo fidanzato, proprio perché l'aveva vista molto agitata; a riguardo il teste ha riferito che: "non ho chiesto a (...) il motivo della lite avuta con il suo compagno e lei non me l'ha detto spontaneamente. Mi ha solo riferito che era dal siamo precedente che lui la picchiava. Lei era molto turbata, in uno stato d'agitazione importante. Per questo motivo non mi sono soffermato nel chiederle cosa fosse successo nel dettaglio, proprio per non turbarla ulteriormente. Ho concentrato tutta la mia attenzione per garantirle un aiuto concreto portandola dai carabinieri, all'ospedale, dandole da mangiare e da dormire ....quando sono andata a prenderla era molto alterata e, come, sia detto, aveva lividi ben visibili sul viso e sul braccio. Dimessa dal Pronto Soccorso mi ha riferito che le hanno anche trovato lividi in parti del corvo che non potevo vedere perché coperte dai vestiti" (cfr. verbale di s.i.t. del 26.5.2022 cit.; le sottolineature sono dello scrivente, n.d.r.). In data 8.6.2022 è stata escussa la persona offesa, alla presenza di un medico psichiatra, trattandosi di vittima vulnerabile (si tratta di paziente seguita presso gli ambulatori della Clinica Psichiatrica dell'A.O.U. per disturbo borderline di personalità e disturbo post- traumatico per riferiti eventi traumatici nel 2016). In tale occasione la (...) ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato in sede di querela, specificando che durante tutta la relazione con il (...), durata da febbraio a maggio 2022, in diverse circostanze e sempre per motivi di gelosia, l'uomo l'aveva ingiuriata dicendole "fai quel cazzo che vuoi, fai a fare la troia, vai dai tuoi amici, puttana, troia" e l'aveva percossa con calci, pugni, schiaffi su tutto il corpo, morsicandole le labbra e mettendole le mani al collo per impedirle di chiedere aiuto. Per maggiore completezza appare utile riportare le dichiarazioni della donna: da circa 10 anni conosco I., con lui uscivo in compagnia di altri amici. Da febbraio c.a. abbiamo iniziato una relazione sentimentale ma non una convivenza. Sin dall'inizio la nostra relazione è stata complicata a causa degli atteggiamenti di (...) che aveva frequenti scatti d'ira. Premetto di essere un'assistente alla poltrona in una clinica odontoiatrica di Beinasco, denominata ATE CLINIX, con turni variabili, plasmati sul mattino e pomeriggio, che talvolta si protraevano anche sino alle 21.00. (...) invece lavorava come impiegato alla (...), con sede fuori (...), Da quando ci siamo messi insieme (...) ha iniziato a chiedere mutua per svariati motivi e ad avere anche dei richiami da parte dei suoi titolari. I problemi tra noi sono iniziati perché io, quando tornavo dal lavoro, stanca per tutte le ore fatte, non potevo andare direttamente a casa mia ma dovevo passare da (...) e stare con lui, in macchina o sotto casa, sino a notte inoltrata. Lui voleva che passassi sempre da lui per timore che io potessi avere altre relazioni. Io cercavo di accontentarlo ma poi la situazione è diventata insostenibile per me, perché la mattina dovevo alzarmi presto per andare al lavoro. Quando io dicevo ad (...) che era arrivato il momento di andare a casa, perché stanca, lui mi aggrediva verbalmente dicendomi: "fai quel cazzo che vuoi, fai a fare la troia, vai dai tuoi amici" e frasi analoghe. Oltre a ciò (...) ha iniziato anche ad alzarmi le mani. Lui poi si rendeva conto e mi chiedeva scusa dicendomi che non l'avrebbe più fatto. Preciso che la litigata era diventata quasi giornaliera mentre ver quanto riguarda le mani addosso succedeva quando stavano a casa dei miei genitori, sita a (...) in via E. 55, dove venivo da loro ospitata perché il mio appartamento era in ristrutturazione. (...) veniva da me nel weekend, in quanto i miei genitori andavano nella loro casa di Cantalupa e, più di una volta, direi 4 o 5 volte, è successo che durante le nostre discussioni lui mi picchiasse con calci e pugni su tutte le parti del corpo. Una volta non sono riuscita ad andare a lavorare perché avevo una gamba gonfia a causa delle percosse. Quest'ultimo fatto è successo l'8 maggio, quando poi mi sono decisa dì presentare la denuncia. Una volta è successo, questo però a casa di (...) e in presenza di sua mamma che lui mi morsicasse ad un labbro. Lui ha il vizio di mettere le mani al collo e di morsicare. In quella occasione la mamma mi disse che anche il padre di (...) la picchiava. Anche (...) mi diceva di essere come il padre..., io tutti questi fatti non li ho mai denunciati e non sono mai andata in ospedale a farmi visitare. L'8 maggio era a casa di (...) da un paio di giorni perché la mamma era partita per trascorrere una settimana in Puglia. Quel giorno lui era come impazzito. Nel primo pomeriggio abbiamo iniziato a litigare sempre per problemi di gelosia, perché aveva visto il nome dì un mio vecchio amico sulla rubrica del mio telefonino. Lui ha iniziato a insultarli dicendomi "zoccola, puttana" poi ha iniziato a picchiarmi, ha fatto di tutto, mi ha presa a schiaffi sul viso, a pugni alle braccia, mi ha messo le mani al collo, era infermabile. Io non potevo uscire perché lui aveva chiuso a chiavi la porta d'ingresso, togliendole. Poi ha preso le chiavi della mia vettura e il mio telefono per evitare che chiedessi aiuto. Mi tappava la bocca per impedirmi di urlare. E ' stato un storno infernale. Mi scuoteva la borsa. All'inizio io non ho avuto alcuna reazione perché spaventata voi, per liberarmi, sono riuscita a fargli un graffio sotto l'occhio. Lui si è spaventato ed è andato a guardarsi il viso per vedere cosa gli avessi fatto ed io sono riuscita ad andare sul balcone e a gridare aiuto. Luì che sì è spaventato perché ero riuscita a chiedere aiuto, ha aperto la porta e permettermi dì uscire. Io ho preso le chiavi della macchina, il telefono e le mie cose e sono uscita da casa dove ho telefonato al mio amico (...), un vecchio amico che mi dato un aiuto. Erano circa le 17.00 quando sono riuscita a liberarmi e uscire da casa...". La (...) ha poi aggiunto che il medesimo giorno in cui aveva formalizzato la denuncia riceveva una telefonata di scuse dal (...), che sembrava non consapevole delle violenze compiute ai suoi danni; la donna ha poi acconsentito ad incontrarlo un paio di giorni dopo per mostrargli i lividi che le aveva procurato. La donna ha ripreso la relazione con l'uomo; il reo ha tuttavia proseguito nel suo atteggiamento vessatorio, insultandola e picchiandola durante i suoi scatti d'ira, in modo altrettanto violento rispetto a quanto già fatto l'8 maggio. Nonostante ciò la (...), pur essendo intenzionata a porre fine alla relazione con l'uomo, non riusciva nell'intento; a riguardo ha riferito che "dopo quell'"incontro abbiamo ripreso a frequentarci e lui ha continuato a comportarsi come solito fare. Sempre insultandomi e picchiandomi quando aveva i suoi scatti d'ira. Io mi sono sempre colpevolizzata sotto questo aspetto nel senso che volevo chiudere la relazione ma non ci riesco. Per questo motivo sto facendo un percorso al centro delle (...)". La donna ha poi aggiunto che, successivamente alla presentazione della denuncia, in data 1.6.2022, quand'era a casa dei suoi genitori insieme al (...), quest'ultimo, sotto l'effetto di sostanze alcoliche, ha avuto un altro scatto d'ira che si è nuovamente concretizzato in insulti e percosse, tanto da farla cadere sul pavimento e battere la testa contro un mobile; la (...) è riuscita comunque ad uscire dall'appartamento e allontanare il (...) con l'aiuto di (...), un vicino di casa che aveva incontrato sulle scale mentre stava scappando per chiedere aiuto. Nella medesima circostanza la donna ha ricevuto una telefonata da sua madre (...), che ha sentito le urla provenire dal suo appartamento e le domandava chi fosse "quell'ubriaco che stava urlando". Per un paio di giorni la (...) non ha più avuto notizie del compagno, sino a quando è stata avvisata da un comune amico di nome (...) che il fidanzato era stato arrestato perché aveva tentato di uccidere la mamma. Uscito dal carcere, il (...) le aveva telefonato per chiederle di andare a casa sua e farsi una doccia, ma la donna rispondeva negativamente, proponendosi però di aiutarlo a trovare una sistemazione, atteso che l'uomo non poteva andare a casa della madre perché era stata emessa a suo carico la misura cautelare di divieto di avvicinamento alla congiunta. Nella medesima giornata, la (...) ha incontrato il (...) e gli ha dato del denaro per comprarsi del cibo; due giorni dopo l'uomo si è presentato presso la sua abitazione, ma la donna non gli ha aperto la porta e, vedendolo aggirarsi intorno al suo palazzo con atteggiamento alterato, ha chiesto l'intervento dei carabinieri. Per completezza espositiva si riporta quanto dichiarato dalla (...): "al 1 giugno c.a., eravamo a casa dei miei genitori, quando lui ha rivisto il numero del mio amico sul mio cellulare, quello che aveva già visto. Lui è come impazzito e ha cominciato a picchiarmi con la stessa violenza dì quanto accaduto l '8 maggio. Lui era ubriaco. Io sono caduta in terra e ho battuto la testa contro un comò. Lui era una belva. Io mi sono rialzata e. nel frattempo, ricevevo una telefonata da mia mamma che sentiva lui che gridava in casa e mi domandava chi fosse quell'ubriaco che stava urlando, lo sono riuscita ad aprire la porta e a scendere le scale e sono andata da una signora che abita al piano inferiore ma lei non c 'era. Mentre risalivo in casa ho incontrato il vicino dì casa, il sig. (...), al quale ho chiesto di aiutarmi a fare uscire (...) da casa dei miei. Il sig. (...) è andato da (...) e gli ha detto di andarsene. (...) andava via ma sotto casa iniziava a suonare incessantemente al mio citofono. Io non gli apriva comunque la porta. Lui andava via verso le ore 22.00. Per un po' di giorni non l'ho sentito poi il suo amico (...), del quale non so il cognome, mi ha detto che era stato arrestato perché aveva tentato di uccidere la mamma. Quando è stato liberato (...) mi ha telefonato con il telefono di (...), che non ho in rubrica e non ho salvato, per dirmi che era stato liberato e che non sapeva dove andare perché doveva stare distante dalla mamma. (...) mi ha chiesto dì venire a casa mia per farsi una doccia ed io gli ho detto di no. Mi sono comunque offerta di aiutarlo a trovare una sistemazione. Lo stesso giorno ci siamo quindi incontrati dietro i giardini di via (...) a (...) ed io gli ho dato dei soldi per prendersi qualcosa da mangiare. Nel mentre vengo telefonicamente contattata dalla mamma di (...) che voleva che io andassi a prendere i vestiti del figlio per darglieli, io le rispondevo che non sarei andata". La donna ha dichiarato di non aver mai subito minacce e/o percosse da parte del compagno per avere del denaro; ha specificato che era lei a dare dei soldi all'uomo, quando quest'ultimo glieli chiedeva per provvedere alle primarie necessità, chiarendo che: "in merito alle continue richieste di denaro lui mi domandava sempre di dargli dei soldi. Io quando potevo lo accontentavo. Preciso che lui non mi ha mai minacciato per avere del denaro, lo gli davo quello che potevo considerate anche le mie necessità. Non mi ha mai picchiata e minacciata per avere del denaro" (cfr. s.i.t. del 8.6.2022 della (...)). Tuttavia, in data 21.06.2022, la (...) ha presentato un'integrazione di querela, nella quale ha dichiarato di aver ricevuto, nella medesima giornata, una telefonata dal (...) che insistentemente le domandava dove si trovasse, tanto che la donna aveva interrotto la comunicazione. Poco dopo, nel rientrare a casa, la persona offesa è stata affiancata da una vettura dalla quale è sceso il (...), che proponeva alla donna di riprendere la frequentazione e le chiedeva la somma di Euro 10,00; al suo diniego le si avventava contro colpendola con schiaffi in faccia e al petto nonché sottraendole 40,00 euro, prima di dileguarsi. Va precisato che la persona offesa, già nel 2015, aveva denunciato l'allora convivente ((...)) per maltrattamenti e stalking e, per il trauma subito, ha riferito di essere in cura, dal mese di settembre 2020, presso il "Centro psichiatrico delle (...)" di Torino. Da una verifica effettuata presso il reparto psichiatrico dell'ospedale (...), è stato riscontrato che la donna è in cura da settembre 2020 con diagnosi di "disturbo di personalità e disturbo post-traumatico da stress (riferiti eventi traumatici nel 2016). In data 16.6.2022 è stato escusso (...), che ha confermato le dichiarazioni della persona offesa, riferendo testualmente quanto segue: "conosco la sig.ra (...) perché ho sempre abitato vicino alla sua famiglia, quindi la conosco sin da bambina. Non ricordo il giorno preciso ma circa 10/15 giorni or sono, appena sceso dall'ascensore al piano in cui abito, il terzo, vedevo (...) con addosso una vestaglietta da casa che risaliva le scale e vedendomi mi chiedeva di allontanare l'uomo che si trovava innanzi alla sua porta che era aperta. All'ingresso della sua abitazione vi era infatti un uomo, che io non ricordo se già l'avevo visto in precedenza, che chiedeva insistentemente a (...) di rientrare in casa. (...) rispondeva di no ma l'uomo continuava ad insistere affinché lei rientrasse. A quel punto sono intervenuto dicendo al signore di allontanarsi come voleva C.. L 'uomo mi rispondeva che sarebbe andato a prendere il suo telefono e poi si sarebbe allontanato. Così ha effettivamente fatto. Dopo una decina di minuti sono nuovamente uscito da casa e sotto lo stabile c'era lo stesso uomo che andava avanti e indietro e non appena mi vedeva ma mi domandava "tutto a posto? ". lo rispondevo di sì e me ne andavo. L'uomo mi sembrava "teso". Quando l'uomo si è allontanato (...) mi ha raccontato che lui era un suo ex e che le aveva messo le mani addosso. Questo era il motivo per il quale (...) non voleva più rientrare nella sua abitazione insieme a lui" (cfr. s.i.t. (...) del 16.6.2022). Il 17.6.2022 è stata poi escussa a s.i.t. anche (...), madre della persona offesa, che, pur non avendo assistito ad episodi specifici, ha riferito di aver notato un repentino cambiamento della figlia negli ultimi mesi, nonché dei lividi sulle gambe e sulle braccia. Per completezza si riportano le sue dichiarazioni: "ogni fine settimana, o quando ci sono festività infrasettimanali, io e mio marito ci rechiamo nella nostra casa di Cantalupa. Quando sono lontana da mia figlia ho l'abitudine di telefonarle per accertarmi delle sue condizioni. La sera del 1 c.m. la chiamavo e lei mi rispondeva in modo strano, come se non potesse parlare. Ad un certo punto sentivo delle urla provenire dall'appartamento quindi sollecitavo (...) a dirmi chi fosse, le dicevo: "chi è quell'ubriaco che urla in casa nostra?". Dicevo la parola "ubriaco" perché l'uomo gridava e si esprimeva come se avesse bevuto. Lei subito negava la presenza di altre persone ma quando le rispondevo che mi sarei precipitata subito a casa (...) confermava la presenza di un suo amico tranquillizzandomi però che avrebbe provveduto a farlo immediatamente. In effetti io sentivo che lei apriva la porta di casa. Dopo poco la richiamavo e lei mi rispondeva che, grazie anche all'aiuto di un vicino. era riuscita ad allontanare l'uomo da casa nostra al ritorno da (...) mi raccontava che l'uomo che avevo sentito urlare era "(...)". Solo a quel punto associavo quel nome ad un ragazzo che abitava in zona e che frequentava la stessa compagnia di (...) quando aveva all'incirca 20 anni. (...) mi diceva dì non preoccuparmi perché l'uomo era stato arrestato in quanto aveva fatto del male alla madre. ... Premetto che nel 2016, mi sembra, (...) aveva subito dei maltrattamenti dall'allora compagno, a seguito dei quali era stato anche celebrato un processo. Quanto patito aveva portato (...) a una grave forma di depressione. Nel 2020 io e mio marito abbiamo consigliato a nostra figlia di effettuare un percorso con degli specialisti per superare il dramma subito. (...) accettava la nostra proposta e iniziava a frequentare il centro di salute mentale delle (...). Da allora, mia figlia ha fatto molti progressi, era più serena e stava decisamente meglio a livello emotivo. Negli ultimi due mesi, approssimativamente da aprile c.a.. notavo in (...) un cambiamento caratteriale. (...) lavorava fuori Torino (adesso in lavora più in quanto è terminato il contratto) e inizialmente andava sempre a prenderla mio marito. In seguito lei decideva di andare e tornare a casa da sola con la propria vettura. Da circa due mesi a questa parte, terminato il lavoro, (...) iniziava a telefonare per dirci che non avrebbe fatto rientro subito a casa ma si sarebbe attardata con degli amici. Questo accadeva ogni sera, tanto che io l'avevo anche ripresa chiedendole di trascorrere qualche serata a casa con noi e non stare sempre fuori con i suoi amici. Da quel momento ho iniziato a dubitare delle sue parole e le ho chiesto se avesse iniziato a frequentare qualcuno. Lei mi aveva rassicurata dicendo di non preoccuparmi che andava tutto bene, che si vedeva con una persona che la obbligava a vederla tutte le sere. Le sue parole non mi hanno convinta anche perché, in diverse occasioni, almeno 5/6 volte, se non di più, ho visto mia figlia con dei lividi sulle gambe e sulle braccia. Quando le chiedevo perché avesse quelle ecchimosi, se c'era qualcuno che le metteva le mani addosso, lei mi rispondeva di aver battuto contro un tavolino, un mobile, accampava delle cause che non mi convincevano. " (cfr. s.i.t. (...) del 17.6.2022). Da ultimo, dalla attività integrativa di indagine depositata dal PM all'udienza del 2.12.2022, è sostanzialmente emerso che vi sono stati contatti telefonici - mediante messaggi - tra il reo è la persona offesa ancora sino al 27.11.2022, dai quali peraltro si evince l'uso di un tono spesso aggressivo ed ingiurioso del reo a danno della donna (cfr. doc. cit.). 2.2. In relazione alle dichiarazioni di (...), in via preliminare, si rileva come dalle disposizioni del codice di rito relativo all'esame della persona offesa, é evidente come il legislatore non abbia inteso rinunciare - in ossequio al principio di ricerca della verità che impernia tutto il giudizio penale - all'indispensabile apporto probatorio della medesima che, in molti casi, rappresenta Tunica fonte di prova del fatto di reato (sul punto nella relazione al progetto preliminare del codice - invero in relazione alla parte civile, ma la ratio sottesa è analoga - si legge che "la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisca un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale"). Tuttavia, al fine di contemperare gli interessi in gioco nel processo penale, la giurisprudenza ha sempre richiesto una peculiare verifica delle dichiarazioni della persona offesa, verifica ancora maggiore se la stessa si sia costituita parte civile; in tal senso, la recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che "le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone" (cfr., Cass. 41461/2012). Nel caso di specie, si ritiene accertata e verificata la credibilità soggettiva della (...), nonché l'attendibilità tanto intrinseca quanto estrinseca del racconto riferito dalla medesima. Quanto alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità intrinseca delle dichiarazioni si rileva che: le narrazioni rese sono lineari, non presentano contraddizioni o incongruenze logiche e sono tra loro concordanti nei tratti essenziali (le minimali incongruenze sono di natura secondaria e sintomatiche della genuinità delle stesse, giacché dimostrano evidentemente che i racconti non sono frutto di una versione dei fatti artefatta e precostituita); la persona offesa ha anche riferito circostanze che hanno in qualche modo alleggerito la posizione dell'imputato (ad esempio ha riferito che il reo non l'aveva mai minacciata per avere dei soldi, salvo quanto poi occorso in data 21.6.2022); non sono emerse ragioni ritorsive tali da indurre a credere che la persona offesa abbia riferito il falso, soprattutto considerato che è la stessa donna ad aver deciso di porre fine alla relazione sentimentale con il compagno (invero senza neppure riuscirci completamente, atteso che i due si sono sentiti per messaggi anche dopo i fatti del 21.6.2022, fattore che ancora di più esclude qualsivoglia intento calunniatorio della donna nei confronti del compagno); il fatto di aver sopportato tali soprusi trova ragionevole e logica spiegazione nelle spiegazioni fomite dalla persona a riguardo (la donna si colpevolizzava e non riusciva a lasciare il compagno) e, soprattutto, tenuto conto dello stato di estrema fragilità della stessa (come emerge dal fatto che era in cura dal mese di settembre 2020 presso il "Centro psichiatrico delle (...)" di Torino per aver subito analoghe condotte maltrattanti in passato). 2.3. Le dichiarazioni della persona offesa sono credibili in quanto confermate anche da numerosi elementi esterni alla stesse. In primo luogo, il verbale di pronto soccorso del 8.5.2022 certifica le lesioni subite dalla vittima a seguito di una delle vari aggressione patite; dal citato verbale di pronto soccorso si evince che i sanitari hanno certificato condizioni fisiche ed emotive compatibili con l'aggressione di cui la (...) ha riferito di esser stata vittima quel giorno ad opera del reo (cfr. doc. cit). Le fotografie scattate dalla stessa p.g. operante al momento della presentazione della querela in data 9.5.2022, concordano sostanzialmente con quanto riferito dalla vittima e dimostrano le lesioni subite dalla donna. Anche le dichiarazioni rese dalla madre (...), dall'amico (...) e dal vicino di casa (...) confermano nella sostanza i racconti della donna, atteso che tali testimoni hanno riferito, non solo di aver appreso da costei dei maltrattamenti subiti, ma sono anche dovuti intervenire in suo soccorso (il (...) ed il (...)) e hanno visto lividi ed ecchimosi cagionatele dal reo (la (...) ed il (...)). Da ultimo, come già supra citato, nei messaggi telefonici in atti si evince l'uso di un tono spesso aggressivo ed ingiurioso impiegato dal reo a danno della persona offesa (le espressioni quali "troia", "puttana", "mi fai schifo", "crepa", "patetica", "falsa" sono presenti in molteplici conversazioni), circostanza che dimostra ancora una volta il modo offensivo, ingiurioso e minaccioso col quale l'imputato era solito rivolgersi alla persona offesa. L'imputato, nell'interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. e in quello tenutosi dopo l'avviso di cui all'art. 415 bis c.p.p., ha sostanzialmente negato gli addebiti ed ha evidenziato la reciprocità dei litigi (si rinvia espressamente alle dichiarazioni del reo); ebbene, tali affermazioni non risultano pienamente credibili, giacché confliggono apertamente ed in modo insanabile con la totalità delle risultanze istruttorie illustrate, le quali per le ragioni sopra indicate si ritengono maggiormente attendibili; appare difatti evidente l'intento del reo di alleggerire la propria posizione processuale. Da ultimo, si precisa che proprio la solidità del descritto quadro probatorio ha determinato l'irrilevanza delle ulteriori richieste istruttorie formulate dal difensore dell'imputato ed il rigetto delle stesse. 3.1. Alla luce degli elementi probatori acquisiti si ritiene dunque provato il delitto di maltrattamenti posto in essere dal (...) ai danni della compagna. Preliminarmente, si osserva che "il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di una persona legata all'autore della condotta da una relazione sentimentale, che abbia comportato un' assidua frequentazione della di lei abitazione, trattandosi di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di umana solidarietà e doveri dì assistenza morale e materiale" (cfr. Cass. 24688/2010). La Cassazione, difatti, ha sottolineato come Condizione di fatto essenziale per la verificazione del delitto di maltrattamenti in famiglia è la sussistenza di una situazione giuridica, derivante dal vincolo matrimoniale, o di fatto, nell'ipotesi di una condizione di convivenza o della presenza di stabili relazioni affettive (sul punto Sez. 5, Sentenza n. 24688 del 17/03/2010, dep. 30/06/2010, imp. B. Rv. 248312), che provochino l'affidamento reciproco e la presenza di vincoli di assistenza. protezione e solidarietà, per effetto dei comune sviluppo personale psicologico che in tali comunità sì verificano e che, proprio, per il vincolo dì solidarietà reciproca che questo crea, può rendere difficile alla vittima cogliere lo specifico disvalore degli atti cui è sottoposta, producendo l'ulteriore danno derivante dall'abitualità della sopraffazione. Ciò realizza una lesione del suo interesse ad un'esistenza libera e dignitosa, che si aggiunge a quelle derivanti dalle specifiche ipotesi delittuose che tale violazione fisiologicamente ingloba. Non a caso la norma in esame, pur collocata nel capo riguardante i reati contro la morale familiare, considera anche situazioni analoghe, quali l'affidamento del minore degli anni quattordici, per ciò stesso incapace di una difesa efficace, o di una persona per finalità di istruzione, cura, vigilanza e custodia, facendosi carico dei complessi rapporti psicologici che si formano in tali piccole comunità, e dell'affidamento che a livello personale consegue a tali diretti contatti personali" (cfr. Cass. 23830/2013). Ne consegue che il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso di specie, giacché sussistono i presupposti richiesti dalla norma per la sua applicazione nella vicenda in esame. La giurisprudenza costante afferma poi che il delitto di maltrattamenti in famiglia consiste in una serie di atti lesivi dell'integrità fisica, della libertà e del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata - espressione di un atteggiamento di normale prevaricazione da parte del soggetto attivo del reato - tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa (cfr. ex multis Cass. 4752/1998; Cass. 2042/1993). Nel caso di specie gli episodi accertati si sono susseguiti in un arco temporale prolungato e sono quindi indice di una condotta sistematica di sopraffazione, sia fisica che morale, che il (...) ha perpetrato nei confronti della persona offesa per buona parte del periodo durante il quale è durata la relazione sentimentale. Ne consegue che l'abitualità della condotta va ravvisata proprio nella sequenza reiterata e prolungata in cui si sono verificati gli episodi di violenza descritti dalla persona offesa, non caratterizzati da sporadicità proprio per la loro reiterazione sistematica, quasi a costituire il normale metodo di interazione dell'imputato con la donna a seguito di qualunque discussione, nonché atti ad uno continuo ed integrale svilimento della medesima, soprattutto nei frequentissimi momenti nei quali l'uomo si adirava con la donna perché era sotto l'effetto di droghe/alcool. Oltretutto, detti episodi sono da considerarsi di rilevante gravità, in quanto consistenti anche in atti di violenze fisica, tanto da sfociare in vere e proprie lesioni; il reo peraltro, in tale contesto maltrattante, ha commesso anche i gravissimi delitti di rapina e di sequestro di persona. Quanto all'elemento soggettivo, la giurisprudenza afferma come "il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima" (cfr. Cass. 25183/2012). Nel caso di specie, proprio la continua ripetizione degli atti di violenza fisica e morale da parte del (...) nei confronti della compagna, esprime con sufficiente chiarezza la volontà dell'attività vessatoria posta in essere dal medesimo, idonea a ledere la personalità della T.. Coscienza e volontà di tali sopraffazioni, come già rimarcato, sono ancor più agevolmente individuabili se si considera che il (...) ha persistito nella propria condotta delittuosa per un arco temporale prolungato, con una frequenza ripetuta, e addirittura ponendo in essere i reati di cui agli artt. 605 e 628 c.p., non potendo quindi non rendersi conto che con il proprio comportamento - estremamente prevaricatore, offensivo, umiliante e violento - continuava a cagionare alla donna una penosa e dolorosa esistenza. 3.2. Alla luce degli elementi probatori acquisiti di cui supra, anche il delitto contestato al capo 3 risulta pienamente integrato, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, non essendo lo stesso assorbito dal delitto di maltrattamenti (cfr. ex multis Cass.7043/2000). Le condotte violente del (...) - poste in essere in modo pienamente cosciente e volontario e, quindi, con dolo - hanno difatti certamente cagionato alla (...) le lesioni indicate nel predetto capo. Il delitto è aggravato ai sensi degli artt. 585, 576 comma 1 n. 5) perché commesso allo scopo di eseguire il delitto di cui al capo 1 e nei confronti di persone del reato di cui all'art. 572 c.p. Anche i reati contesti al capo 2 e 4 sono pienamente integrato alla luce delle nitide risultanze istruttorie. Quanto al capo 2, il reo al fine di commettere il reato di cui al capo 1, ha privato per un tempo prolungato della libertà di movimento la (...) in data 8.5.2022, tenendola chiusa in casa dal primo pomeriggio sino alle ore 17.00 (quindi per svariate ore); peraltro in tale contesto ha posto in essere a danno della vittima numerosi atti di violenza fisica e la ha trattenuto il suo cellulare per evitare che chiedesse aiuto, fin tanto che la (...) non è riuscita a graffiare il reo ed è riuscita a raggiungere il balcone a chiedere aiuto, cosi spaventando il (...) per il possibile arrivo delle forze dell'ordine. Tale condotta integra chiaramente il delitto cui all'art. 605 c.p., aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 2 c.p.. Da ultimo, quanto al capo 4, il (...), in data 21.6.2022, al fine di trarre un ingiusto profitto, mediante violenza consistita nel colpire violentemente con dei pugni e schiaffi la (...), si è impossessato di 40,00 euro che la stessa deteneva sulla sua persona. Tale condotta integra pacificamente il delitto di cui all'art. 628 c.p. 4. Acclarata la penale responsabilità dell'imputato, ai fini della determinazione della pena occorre far riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., alla luce del principio della finalità rieducativa della pena sancito dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione. I reati risultano tra loro avvinti dal vincolo della continuazione, in quanto sono stati commessi nel medesimo contesto spazio - temporale e per analoghe finalità sottese, nell'ambito di un unitario disegno criminoso. II reato più grave viene individuato nel capo 4 e la pena base è di anni 5 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa. La recidiva contestata va esclusa atteso che, come di recente affermato in modo più che condivisibile dalla Suprema Corte, "in tema di patteggiamento, la declaratoria dì estinzione del reato conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445 cod. proc. pen. comporta l'estinzione degli effetti penali anche ai fini della recidiva" (cfr. Cass. 994/2021; si rimarca che l'unico precedente penale definitivo è relativo ad una applicazione pena con sentenza divenuta irrevocabile in data 23.11.2008; cfr. certificato penale in atti). Al reo possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche in ragione della scelta del rito deflativo, della buona condotta processuale (presenza in udienza, sottoposizione ad interrogatorio) e per commisurare la pena alla effettiva gravità del fatto (la somma sottratta è decisamente esigua). La pena viene quindi ridotta ad anni 3 e mesi 4 di reclusione ed Euro 800,00 di multa. Ai sensi dell'art. 81 c.p. vengono disposti i seguenti aumenti: anni 1 di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il capo 1 (l'aumento non è modesto per l'elevata intensità del dolo, per l'oggettiva gravità del complesso delle condotte vessatorie, per l'uso reiterato di violenza fisica e per la commissione in tale contesto di altri gravi delitti); mesi 3 di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il capo 2; mesi 1 di reclusione ed Euro 100,00 di multa per il capo 3 (pena finale anni 4 mesi 8 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa). In ragione della riduzione di 1/3 dovuta alla scelta del rito, la pena finale viene quantificata in anni 3 e mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa. Non sono concedibili di diritto all'imputato la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel certificato del casellario giudiziale a richiesta di privati. Ai sensi dell'art. 535 c.p.p. segue di diritto il pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. L'estrema gravità dei fatti in esame, valutati unitamente alla assenza di incensuratezza del reo e al suo attuale stato di tossicodipendenza, impedisce l'applicazione del disposto di cui all'art. 545 bis c.p.p. giacché, allo stato, il giudizio prognostico di osservanza delle prescrizioni connaturato alle pene sostitutive ivi previste non risulta in alcun modo soddisfatto; la richiesta del reo a riguardo va quindi rigettata. 5. Quanto al risarcimento del danno - su espressa richiesta della parte civile - si riconosce una provvisionale immediatamente esecutiva in quanto si ritiene che, alla luce di quanto emerso nel corso del giudizio, la prova del danno sia stata raggiunta quantomeno nella somma di Euro 5.000,00, oltre interessi dalla sentenza sino al saldo. Detta quantificazione è dovuta ai danni non patrimoniali (nella componente descrittiva del c.d. danno morale) subiti dalla (...) che - vista la notevole e prolungata sofferenza patita come diretta conseguenza delle reiterate condotte delittuose dell'imputato a danno della donna, - si ritengono già provati quantomeno nella somma come sopra determinata; tale somma comprende anche i 40,00 di danni patrimoniali di cui al capo 4. Per un ulteriore accertamento di danni maggiori rispetto alla provvisionale liquidata (si allude ad una valutazione più specifica delle conseguenze delle sofferenze sulla psiche della persona offesa, eventualmente da accertarsi con documentazione medica o consulenze) non si può che rimettere la parti dinnanzi al giudice civile, non essendovi elementi sufficienti per una condanna risarcitoria più specifica. Ai sensi dell'art. 541 c.p.p. l'imputato va condannato al pagamento - con distrazione a favore dell'erario, essendo la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato - delle spese di costituzione, rappresentanza e assistenza in favore della parte civile (...); le stesse vengono liquidate, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, nella somma ritenuta equa alla luce dell'attività difensiva posta in essere di Euro 1.800,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA (somma già ridotta ai sensi dell'art. 106 bis D.P.R. n. 115 del 2002). P.Q.M. Visti gli artt. 442 e 533 c.p.p., dichiara (...) responsabile dei reati ascritti e, ritenuto il vincolo della continuazione, esclusa la recidiva contestata, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni 3 mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa; Visti gli artt. 442 e 535 c.p.p., condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere; Visti gli artt. 538, 539 e 540 c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nei confronti della costituita parte civile (...), da liquidarsi in separata sede; assegna alla parte civile una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 5.000,00, oltre interessi dalla sentenza sino al saldo; Visto l'art. 541 c.p.p., condanna l'imputato al pagamento, in favore dello Stato, delle spese di costituzione, rappresentanza e assistenza in giudizio della parte civile costituita, che liquida in complessivi Euro 1.800,00 oltre spese forfettarie del 15%, I.V.A. e C.P.A.. Così deciso in Torino il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

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