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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TRANI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesca Pastore ha pronunciato la seguente SENTENZA Ex art.281 sexies c.p.c. nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4844/2022 promossa da: (...) con il patrocinio dell'Avv. (...) giusta procura in atti opponente contro (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio degli Avv.ti (...) giusta procura in atti opposta CONCLUSIONI Le parti hanno concluso all'odierna udienza riportandosi alle rispettive difese. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1.La (...) ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo per la somma di Euro 7.351,99, oltre accessori, riveniente a suo dire da rapporto contrattuale del (...) con la (...) che aveva poi ceduto il credito alla (...) Il (...) ha proposto tempestiva opposizione, tra l'altro, eccependo l'inefficacia del decreto ingiuntivo per essere stato notificato oltre il termine dei sessanta giorni di cui all'art. 644 c.p.c.; quindi, egli contestava nel merito la debenza della somma. La (...) si costituiva tempestivamente e insisteva nella propria richiesta di pagamento, adducendo peraltro che l'eventuale inefficacia del decreto ingiuntivo non impediva l'accoglimento della domanda di pagamento comunque formulata in sede di opposizione. Alla prima udienza, all'esito dell'eccezione della parte opposta circa il mancato esperimento della mediazione obbligatoria in materia, è stato assegnato il termine per la proposizione della stessa; all'udienza successiva era fatto rilevare dalla difesa dell'opponente il mancato espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria e la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale ex art.281 sexies c.p.c. 2. L'opposizione è divenuta improcedibile e il decreto ingiuntivo revocato sul preliminare profilo della mancata proposizione del tentativo di mediazione obbligatoria per la materia bancaria e finanziaria. Difatti, nessuno ha allegato né documentato che sia stata assunta l'iniziativa per la proposizione della mediazione nel termine assegnato dal giudicante in ossequio all'art......, ed anzi è pacifico che tale tentativo non sia mai stato esperito pur vertendosi in materia per cui esso è obbligatorio. Ciò posto, l'opposizione è improcedibile; da ciò consegue (come chiarito da ultimo da SS.UU. n. 19596/2020), che il decreto ingiuntivo deve essere revocato, poiché nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1 -bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta, che è quella che propone la domanda; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1 -bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo. 3. Le spese di lite, come liquidate in dispositivo secondo d.m.55/2014 tenendo conto della ridotta attività istruttoria, seguono la soccombenza dell'opposta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: a) dichiara improcedibile l'opposizione e revoca il decreto ingiuntivo n.649/2022; b) condanna (...) alla rifusione in favore di (...) della spese di lite che liquida in Euro 145,50 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi, oltre iva, cpa e spese generali al 15% come per legge, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi anticipatario. Trani, (...)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRANI SEZIONE CIVILE - AREA COMMERCIALE Il Tribunale, nella persona del giudice dott. Giulia Stano ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile di I grado iscritto al n.r.g. 954/2020 tra GH.SA. ed altri (...), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Lu.Ca. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, a Barletta in via (...), in forza di procura in calce all'atto di costituzione di nuovo difensore; OPPONENTI E ATTORI IN VIA RICONVENZIONALE E (...) S.P.A., con sede a Siena in piazza (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, a Bari in via (...), in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; OPPOSTA E CONVENUTA IN VIA RICONVENZIONALE e nei confronti di: (...) S.R.L., con sede a Milano in via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti St.Pa. del Foro di Milano e Gi.Ma. del Foro di Roma, con elezione di domicilio digitale alla pec (...) e presso lo studio (...) con sede a Bologna in via (...), fascicolo n. (...); CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 19 maggio 2023. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. 1. Nella presente sentenza si omette l'esposizione dello svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., così come modificato dall'art. 45 della legge 69/2009. 2. Gh.Sa. ed altri (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2088/2019, con cui il Tribunale di Trani ha loro ingiunto il pagamento della somma di euro 180.000,00 a titolo di pagamento alle rispettive scadenze di tre titoli cambiari scontati in forza di un finanziamento di portafoglio commerciale intervenuto tra le parti (erogato per estinguere una pregressa esposizione debitoria di Gh.Sa.), oltre interessi e competenze relative al procedimento per ingiunzione. Gli opponenti hanno chiesto la revoca del decreto ingiuntivo opposto, eccependo la nullità del contratto in quanto destinato all'estinzione di un debito inesistente e, in alternativa, per difetto di causa, nonché la nullità parziale del medesimo contratto per intervenuta pattuizione di interessi usurari; hanno chiesto inoltre la condanna della banca al risarcimento dei danni derivanti dai maggiori costi loro imposti, dall'impossibilità di impiego di somme e dall'illegittima segnalazione alla (...), nonché alla rifusione delle spese processuali, da distrarsi in favore del procuratore costituito, dichiaratosi antistatario. Costituendosi in giudizio, (...) s.p.a. (e per essa ha eccepito il difetto di legittimazione a contraddire di Gh.Gi., in quanto estraneo all'ingiunzione di pagamento, e sostenuto l'infondatezza dell'opposizione di cui ha chiesto il rigetto con la condanna degli opponenti alla rifusione delle spese di lite. Nel corso del giudizio si è costituita, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., (...) s.r.l., cessionaria del credito ai sensi dell'art. 58 D.Lgs. 385/1993 (contenente il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), aderendo alle domande dell'opposta e richiamandone le difese e conclusioni. A seguito del rigetto della richiesta di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, proposta in via preliminare dagli opponenti, il giudice ha disposto che l'opposta instaurasse la procedura di mediazione obbligatoria, ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. 28/2010. Depositate le memorie ex art. 183, sesto comma, c.p.c., la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni e trattenuta a sentenza sulle conclusioni delle parti all'udienza del 19.5.2023, con assegnazione di termini ordinari per il deposito di comparse conclusionali e repliche. 3. Deve essere rigettata, in via preliminare, l'eccezione di difetto di legittimazione a contraddire ® dell'opponente Gh.Gi. in quanto, se è vero che questi non è stato raggiunto in concreto da alcuna richiesta di pagamento, è anche vero che il giudizio di opposizione, come noto, "dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex art. 633 e 638 c.p.c." (cf., di recente, Cass., seconda sezione civile, ordinanza n. (...) del 15 dicembre 2021), per cui devono ritenersi legittimati a partecipare al giudizio tutti coloro che possano essere considerati debitori in forza del titolo su cui si controverte. 4. Ebbene, ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. 28/2010: "1. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente capo. 2. Nelle controversie di cui al comma 1 l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. A tale udienza, il giudice accerta se la condizione di procedibilità è stata soddisfatta e, in mancanza, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale. 6. Il comma 1 e l'articolo 5 quater non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis". Nel caso di specie la condizione di procedibilità non risulta soddisfatta, avendo sì l'opposta assunto l'iniziativa dell'esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria di cui il giudice l'ha onerata ("nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo": Cass., sezioni unite civili, sentenza n. 19596 del 18 settembre 2020); ma non avendo la stessa regolarmente partecipato al procedimento di mediazione senza alcuna giustificazione e senza conferire idonea procura a delegato. Questo giudice, difatti, aderisce all'orientamento secondo cui "in tema di mediazione obbligatoria, la partecipazione all'incontro della parte onerata a mezzo del difensore non munito di procura speciale sostanziale, determina un irregolare espletamento del tentativo obbligatorio tale da far ritenere non soddisfatta la condizione di procedibilità della domanda. (Tribunale di Crotone, 5.1.2021); e "in tema di mediazione obbligatoria, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista" (Tribunale di Cuneo, 23.10.2020), in quanto "il tentativo di mediazione non può considerarsi assolto mediante la partecipazione dei soli difensori all'incontro preliminare informativo, posto che gli avvocati sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della | procedura di mediazione e che in tale procedura la funzione del legale è di assistenza alla parte comparsa e non di rappresentanza della parte assente" (Corte d'appello di Napoli, 1.6.2018). La partecipazione di procuratore delegato dal difensore ai sensi dell'art. 84 c.p.c. (cf. documentazione in atti), quindi, non può considerarsi esaustiva dell'onere di partecipazione alla procedura di mediazione obbligatoria. Nel caso di specie, quindi, il mediatore ha regolarmente dichiarato chiuso il procedimento per assenza della parte istante (...). Per quanto precede deve essere dichiarata l'improcedibilità della domanda di pagamento proposta dalla banca e, conseguentemente, il decreto ingiuntivo opposto va revocato. 5. Non può essere accolta, peraltro, la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni subiti in considerazione sia dei "maggiori costi subiti sia di impossibilità di impiego delle somme per cui vi è stato illegittimo addebito; è altresì configurabile un danno esistenziale per violazione dei principi di correttezza e lealtà da parte della Banca che ben sapeva che l'esposizione contabilizzata non era dovuta e che era una conseguenza diretta dell'applicazione dolosa di illegittime competenze", sia in quanto in parte assorbita dalla pronuncia di improcedibilità che precede (gli attori in riconvenzionale, difatti, non hanno chiesto una decisione in via gradata, sul punto, per l'ipotesi di rigetto dell'eccezione di improcedibilità, per cui ogni valutazione in ordine all'illegittimo addebito di somme deve ritenersi assorbita dalla pronuncia in rito), sia in quanto in parte rimasta sfornita di specifica allegazione e prova. 6. Le spese di lite, compensate in misura pari ad un terzo tra Gh.Sa. ed altri (...), in considerazione degli esiti complessivi del giudizio e liquidate in dispositivo cumulativamente in favore degli opponenti, in considerazione dell'unitarietà della difesa, in applicazione del D.M. 55/2014 e s.m.i. (con applicazione dei compensi medi previsti per le fasi di studio, introduttiva e decisionale; il compenso per la fase di trattazione ed istruttoria è dimidiato, non essendovi stata attività di raccolta delle prove; non risulta documentato, inoltre, alcun esborso), sono regolate secondo il criterio di soccombenza e distratte in favore del procuratore costituito, dichiaratosi antistatario. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'eccezione di difetto di legittimazione a contraddire di Gh.Gi.; - dichiara improcedibile la domanda giudiziale proposta da (...) s.p.a. nei confronti di Gh.Sa. ed altri (...); - per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; - rigetta la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni proposta da Gh.Sa. ed altri (...) nei confronti di (...) s.p.a.; - compensa per un terzo tra Gh.Sa. ed altri (...), le spese di lite, che liquida per l'intero e cumulativamente in euro 11.268,00 00 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali, CPA e IVA se dovuta, come per legge, con distrazione in favore del procuratore costituito, dichiaratosi antistatario, condannando la parte opposta e il terzo intervenuto, in solido, al pagamento di quanto dovuto. Così deciso in Trani il 25 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRANI nella persona del giudice monocratico dott.ssa Anna Binetti la quale ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 2815/2017 del Ruolo Generale Affari Contenziosi avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo n 314/2017 emesso nel ricorso RG n. 519/2017 dal Tribunale di Trani in data 06.02.2017, e promossa DA Sig. (...), rappresentato e difeso dall' avv. (...), - opponente - CONTRO Società (...) spa., in persona del procuratore p.t. dott. (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) - opposta - RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso per decreto ingiuntivo, da intendersi qui per brevità integralmente richiamato e trascritto, la (...) s.p.a., in persona del rappresentante legale p.t., premettendo di essere creditrice nei confronti dell'opponente della somma di Euro 11.279,29, di cui Euro 10.547,62 in linea capitale ed Euro 731,67 per interessi di mora, in forza di un credito acquisito dalla (...) s.p.a., per il tramite della (...) s.p.s., già (...) s.p.a., e fondato sul contratto di finanziamento n. 7047211, richiedeva ed otteneva dal Tribunale di Trani, ingiunzione di pagamento in capo all'odierno opponente, per la somma di Euro 11.279.29, oltre interessi convenzionali dalla data della decadenza del beneficio del termine fino al soddisfo, oltre alle spese del procedimento monitorio, liquidate in Euro 145,50 per esborsi ed Euro 540,00 per compensi professionali, oltre RFSG nella misura del 15%, IVA E CAP come per legge. Con ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo n. 314/2017 (519/2017 RG), notificato unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, l'odierno ricorrente conveniva in giudizio la (...) S.p.A., per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: "Piaccia all'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis, così provvedere: 1) In via preliminare, accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva in capo all'opponente per l'inesistenza e/o nullità del rapporto causale sottostante l'azionata creditoria e, per l'effetto, accertare e dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo emesso; 2) In subordine, in caso di mancato accoglimento della citata eccezione, accertare l'incapacità di intendere e volere dell'opponente al momento della sua sottoscrizione e, per l'effetto, dichiarare l'invalidità del contratto di finanziamento n. 7047211 per vizio della volontà del suo sottoscrittore, con conseguente dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo opposto; 3) In ogni caso e in via principale e nel merito, dichiarare l'inefficacia e la nullità del decreto ingiuntivo n. opposto emesso in difetto di idonea prova scritta e dei presupposti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito azionato; 4) in via ulteriormente subordinata e nel caso in cui non dovessero accogliersi le precedenti eccezioni, accertare e dichiarare l'invalidità e/o nullità e/o comunque l'illiceità della contratto di finanziamento n. 21993 nella clausola in cui applica tassi d'interesse ultralegali e, per l'effetto, previo accertamento dell'entità delle somme illecitamente percepite e/o addebitate agli opponenti, condannare la Banca opposta alla ripetizione di quanto risulterà indebitamente percepito, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge; 5) In ogni caso, condannare, la società opposta al pagamento delle spese e competenze di causa, oltre agli oneri accessori dovuti come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore che si dichiara sin d'ora anticipatario". In data 30/04/2018, la (...) S.p.A., si costituiva tardivamente per il tramite del suo procuratore, con comparsa di costituzione e risposta, che così concludeva: "In via preliminare: 1) Concedersi la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, posto che l'opposizione non è fondata su alcuna idonea prova scritta o di pronta soluzione; Nel merito: 2) Rigettare ogni domanda dell'opponente, confermare il decreto ingiuntivo opposto e, in ogni caso, accertare che (...) spa è creditrice nei suoi confronti della somma di Euro 11.279,29, oltre i successivi interessi di mora al tasso convenzionale (sempre entro i limiti di cui alla L. 108/1996 ridotti di un punto percentuale) da calcolarsi sul solo capitale di Euro 10.547,62 fino all'effettivo soddisfo, ovvero di quella diversa somma maggiore o minore che dovesse risultare dovuta e da determinarsi, se del caso, in via equitativa, e condannarlo al pagamento di detta somma; 3) In via subordinata, nell'ipotesi di accoglimento di qualsiasi domanda dell'opponente, condannarlo (ex art. 2033 cc o 2041 cc) alla restituzione o al pagamento a favore di (...) spa della somma di Euro 11.279,29 (ovvero quella diversa somma maggiore o minore che dovesse risultare dovuta e da determinarsi, se del caso, in via equitativa) oltre agli interessi al saggio legale; 4) Con vittoria di spese e compensi professionali del monitorio e del presente giudizio, oltre accessori di legge (IVA e CPA) e al rimborso forfettario spese generali 15%;" Verificata la condizione di procedibilità, il Giudice concedeva i termini ex art. 183 vi co. c.p.c. Articolati i mezzi istruttori, il Giudice ammetteva la CTU grafologica fissando la data del 20/11/2019 per il giuramento della CTU Dott.ssa (...). Esperita la CTU grafologica, il Giudice ritenuta la controversia matura per la decisione, rinviava la causa all'udienza del 22/06/2022 per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 08/09/2022, nell'occasione, il Giudice, nella persona della Dott.ssa Anna Binetti, formulava proposta conciliativa ai sensi dell'art. 185bis cpc e rinviava la causa al fine di valutare la predetta proposta. Dato atto del fallito tentativo conciliativo, il Giudice all'udienza del 16/03/2023, gli odierni deducenti, nel riportarsi integralmente ai propri scritti difensivi, precisavano le proprie conclusioni come nei propri scritti difensivi e verbali di causa, chiedendone l'integrale accoglimento, quindi la causa veniva tratta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 cpc. L'opposizione è infondata e non merita, pertanto, di trovare accoglimento. Occorre premettere che l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l' onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2421 del 03/02/2006 (Rv. 586808 - 01). A tale principio occorre aggiungere che: "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell' inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Il medesimo principio applicabile anche nell'ipotesi d'inesatto adempimento si estende anche alle obbligazioni di risultato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che ove l'acquirente di un software applicativo, in mancanza del risultato stabilito dal contratto abbia agito in giudizio per la sua risoluzione, una volta provato il contratto costitutivo della sua pretesa, possa limitarsi ad allegare l' inadempimento o l'inesatto adempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare di aver esattamente adempiuto alla propria obbligazione, vale a dire l'idoneità del sistema fornito a conseguire i risultati richiesti dall'acquirente, comunicati dallo stesso al venditore e da questi tenuti presenti nell'effettuare la fornitura)" (Cass Sez. 2 - , Ordinanza n. 13685 del 21/05/2019 (Rv. 654047 - 01). La questione sottoposta all'odierno giudicante attiene al disconoscimento della firma apposta dall'opponete sul contratto di finanziamento n. 7047211 del 31.10.2008. La giurisprudenza sul punto ha ritenuto che la contestazione relativa al disconoscimento della firma autografa debba essere inequivoca, specifica e determinata, tanto da poter desumere l'autenticità della scrittura e/o della relativa sottoscrizione. Il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo, ai sensi dell'art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza e non può costituire una mera espressione di stile (Cass. 20 agosto 2014, n. 18042, fra le altre). A tal fine, pertanto, è stata disposta CTU, che ha concluso per la riconducibilità della sottoscrizione apposta sul contratto di finanziamento all'odierno opponente. Ad ogni buon conto, l'opponente, eccepisce, in subordine all'eccezione di disconoscimento della firma, l'incapacità a contrarre, stante una diagnosi di "disturbo schizzaffettivo in soggetto con disturbo misto di personalità". Orbene risulta a questo Giudicante che le eccezioni sollevate, peraltro non provate, sono state tutte finalizzate a sottrarre l'opponente dai propri obblighi contrattuali. In verità, l'incapacità a contrarre non deriva dalla semplice diagnosi della malattia, ma deve essere accompagnata da idonea documentazione attestante che l'infermità diagnosticata si ripercuota sulla vita quotidiana, nonché è necessario dimostrare quale sia l'incidenza. Di fatto in giudizio è emersa una generica invalidità, non potendo desumere in nessun modo se questa sia di natura totale ovvero parziale. Il mero richiamo alla patologia, non giustifica, di per sé, la nullità del contratto per incapacità. Ne deriva, pertanto, che il contratto di finanziamento da questi sottoscritto è a lui riferibile, come accertato con la CTU grafologica, con l'inevitabile conseguenza che è da ritenersi vincolato alle pattuizioni ivi contenute. Non di poco rilievo, peraltro, è la circostanza per cui il (...) aveva già rimborsato alla Banca le prime 4 rate di finanziamento percepite, così come si evince dalla documentazione probatoria di parte opposta. Tale comportamento assume rilievo ai fini della valutazione della capacità di intendere e volere dell'opposto, in quanto il (...), all'atto di sottoscrizione del contratto di finanziamento, era ben consapevole che avrebbe dovuto restituire le somme finanziate, in modo rateale, tant'è vero che aveva iniziato a rimborsare regolarmente le rate. Peraltro, diversamente argomentando, ovvero ritenendo nullo il contratto di finanziamento sottoscritto dalla parte per incapacità a contrarre, ne deriverebbe, per il debitore/opponente, l'obbligo a restituire il finanziamento percepito, in quanto ciò costituirebbe un indebito arricchimento ingiustificato. Per quanto attiene, inoltre alle eccezioni relative agli interessi usurari, a dire dell'opponente, contenuti nel contratto di finanziamento, non è stata data prova di quanto innanzi. A riguardo si richiama il principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 19597 del 18.09.2020, relativo all'onere probatorio nelle controversie sulla debenza e misura degli interessi moratori, ai sensi dell'art. 2697 c.c. Da un lato, il debitore, il quale intenda provare l'entità usuraria degli stessi, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento. Dall'altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto: fra di essi, la pattuizione negoziata della clausola con il soggetto sebbene avente la veste di consumatore, la diversa misura degli interessi applicati o altro. Di tanto non vi è alcun riferimento nella documentazione probatoria, restando le eccezioni a mere affermazioni, non supportate. Ed infine, non può sottacersi il comportamento processuale di parte opponente, che, anche a fronte della proposta conciliativa formulata da questo Giudice in sede di 185bis cpc, non solo non ha mostrato alcun interesse a voler conciliare, ma ha continuato ad insistere nel giudizio, anche a fronte della controproposta formulata dall'opposta all'udienza del 16.03.2023, senza motivare il suo rifiuto alla conciliazione. A riguardo, si ritiene sussistente la responsabilità processuale aggravata ex art. 96, terzo comma, c.p.c. per la parte che rifiuta ingiustificatamente la proposta conciliativa, formulata dal giudice ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c., o che, comunque, non la valuta seriamente ed attentamente e non adduce fondate ragioni a sostegno del proprio rifiuto. In altri termini, la parte non può limitarsi a rifiutare apoditticamente una proposta conciliativa, mostrando ostinazione nel proseguire un giudizio, peraltro scarsamente provato. Infatti dalla documentazione in atti il sig. (...) non soltanto non ha giustificato il rifiuto alla proposta conciliativa, ma ha anche, artatamente, evitato, nei propri scritti conclusivi, di dare atto dell'avvenuta proposta, consolidando, pertanto, il proprio comportamento di rifiuto a concludere il procedimento in via bonaria. La scorrettezza di tale comportamento deve trovare una propria sanzione processuale nel caso di mancato e ingiustificato rifiuto della proposta conciliativa. In particolare, costituisce specificazione del dovere generale di lealtà e di probità cui sono tenuti sia le parti sia i relativi difensori, ai sensi dell'art. 88 c.p.c., quello particolare di prendere in esame con attenzione e diligenza la proposta conciliativa formulata dal Giudice e di fare quanto in potere delle parti stesse per aprire e intraprendere su di essa un dialogo. Per la concreta determinazione della somma si ritiene di adottare, quale valido ed obiettivo parametro, un multiplo della somma liquidata per i compensi. Nel caso di specie, considerate le circostanze tutte, quali emergenti dagli atti di causa, ed in particolare quanto supra esposto circa la censurabile condotta del convenuto, in relazione all'assenza di un ragionevole motivo per il rifiuto della proposta del Giudice, si ritiene equo ed appropriato condannare il sig. (...) al pagamento di una somma pari a due volte il compenso di causa liquidato a suo carico. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del D.M. n. 55/14, come modificato dal D.M. 13 AGOSTO 2022 N. 147, nella somma di Euro 1.270,00, con la precisazione che in base al valore della controversia, dichiarato in sede di iscrizione al ruolo, è stato applicato lo scaglione compreso tra gli Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00, nei valori minimi e dimidiati, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, c.p.a., IVA e accessori di legge, come e se per legge dovuti ed esborsi documentati, P.Q.M. Il Tribunale di Trani definitivamente pronunziando nella causa promossa come in narrativa, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 314/2017 r.g. n. 519/2017 emesso dal Tribunale di Trani in data 06.02.2017, e, per l'effetto, conferma il predetto provvedimento monitorio ivi compresa la sua esecutività; - condanna l'opponente, sig. (...), al pagamento in favore dell'opposta (...)., e per esso al suo procuratore costituito dichiaratosi antistatario, delle spese di giudizio che liquida in complessive euro 1.270,00 oltre rimborso forfetario al 15%, I.V.A. e C.P.A. e accessori di legge, come e se per legge dovuti ed esborsi documentati; - condanna, altresì il sig. (...) al pagamento, ai sensi dell'art. 96, co.III° cpc, della somma di Euro. 2.540,00, onnicomprensivi, in favore della (...) spa; - pone definitivamente a carico dell'opponente le spese relative alla CTU come liquidate nei separati decreti; - assorbito ogni altro profilo. Così deciso in Trani, li 30 giugno 2023. Depositata in Canceleria il 30 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRANI nella persona del Giudice monocratico dr.ssa Laura Cantore, la quale ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 4433/2016 del Ruolo Generale Affari Contenziosi avente ad oggetto risarcimento del danno, promossa Da (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...), giusto mandato in atti - Attore - CONTRO (...) S.p.A., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), giusto mandato in atti, - Convenuta- RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato l'Ing. (...) citava in giudizio la (...) S.p.A., al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: "1) accertare e dichiarare che l'Ing. (...), a causa della illegittima segnalazione in CAI - segmento CARTER, descritta e documentata nella narrativa del presente atto effettuata dalla Banca convenuta il 30.01.2015, si è trovato nell'impossibilità di utilizzare l'affidamento presso il (...) S.p.A., acceso su proprio conto corrente, come documentato nella narrativa del presente atto di citazione e come provato altresì dalla comunicazione effettuata da parte del (...) del 26.02.2015 (vds. all.to n. 15); 2) accertare e dichiarare quindi che l'Ing. (...), a causa della accertata illegittima segnalazione in CAI di cui in narrativa del presente atto effettuata dalla (...), ha subito un danno alla propria immagine professionale, nonché un danno non patrimoniale, danno morale, danno alla propria reputazione e danno da impossibilità di accesso ad ogni forma di credito e danno da mancato legittimo utilizzo di propri affidamenti, complessivamente quantificabile in Euro 50.000,00, o nella somma maggiore o minore quantificabile da parte dell'Elmo Sig. Giudice adito secondo criteri equitativi; 3) condannare la (...) S.p.A., odierna convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento di Euro 50.000,00 o di quella somma maggiore o minore determinata con criteri equitativi da parte dell'Ill.mo Sig. Giudice adito, in favore dell'Ing. (...), a titolo di risarcimento per danno alla propria immagine professionale, nonché per danno non patrimoniale, danno morale, danno alla reputazione, danno da impossibilità di accesso ad ogni forma di credito e danno da mancato legittimo utilizzo dei propri affidamenti; 4) condannare infine la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento di spese e competenze del presente giudizio, oltre spese generali, IVA e CAP come per legge, da distrarsi in favore dell'Avv. (...) quale procuratore distrattario". In sede di memoria ex art. 183 VI comma n. 1), parte attrice modificava e precisava il petitum nel seguente modo: "1) condannare la (...) S.p.A. al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 5.000,00, ovvero in subordine nella misura equitativamente stabilita di giustizia dall'Ill.mo Sig. Giudice, ai sensi dell'art. 96 I comma c.p.c., per aver la suddetta convenuta resistito in giudizio con colpa grave, considerata l'evidenza documentale; 2) condannare la (...) S.p.A. anche al pagamento delle spese e competenze del procedimento di mediazione obbligatoria espletato in corso di causa, con distrazione dei relativi compensi in favore dell'Avv. (...), che se ne dichiara anticipatario...". Assumeva parte attrice di essere stata, all'epoca dei fatti, titolare di un conto corrente acceso presso la (...) Spa, a cui veniva associata una carta di credito, che alla data del 31.12.2014 presentava un saldo passivo di euro 2.778,65, che l'attore provvedeva ad azzerare con distinti versamenti del 13.2.2015 e del 17.2.2017 determinandosi, poi, ad estinguere tale conto. Assumeva, ancora, di aver ricevuto dal (...), di cui lo stesso era cliente, una comunicazione in data 26/2/2015 con cui veniva informato della sospensione dell'affidamento di euro 2.000,00 in quanto 'segnalato alla Centrale Allarme Intercambiaria in data 29/1/2015 per provvedimento di revoca carte di credito'; all'esito di tale comunicazione l'attore provvedeva personalmente a interrogare la predetta Centrale, apprendendo che in data 28/1/2015 lo stesso era stato iscritto nel segmento Carter della C.A.I., senza essere stato mai informato prima dalla (...), così subendo danni sia all'immagine che alla propria attività professionale, oltre a trovarsi nella impossibilità di accedere a qualsiasi forma di finanziamento. A seguito di tanto, l'attore promuoveva innanzi al Tribunale di Trani ricorso ex art. 700 c.p.c., iscritto al n. 2867/2015 R.G., che però veniva rigettato; impugnato tale provvedimento con reclamo, l'attore dava atto che il Tribunale di Trani, in composizione collegiale, accoglieva il ricorso, ordinando "alla (...) spa ... di richiedere alla Centrale di Allarme Interbancaria - segmento Carter la cancellazione della segnalazione effettuata il 29/1/2015 a carico di (...)", ritenendo illegittima la segnalazione a carico dell'attore. Quest'ultimo, pertanto, instaurava il presente giudizio di merito per sentire accogliere le conclusioni sopra riportate. Si costituiva la (...) S.p.A., rappresentando che oggetto del giudizio doveva costituire la sola quantificazione dell'eventuale danno patito dall'attore, non potendosi più sottoporre a riesame l'oggetto principale della controversia, ossia che la segnalazione di cui si discute, già ritenuta illegittima dal Tribunale in composizione collegiale in sede di reclamo; con riferimento alla domanda di risarcimento del danno la banca convenuta chiedeva il rigetto per insussistenza dei presupposti in fatto e in diritto della stessa, oltre che per mancanza di prova in ordine agli asseriti danni. In corso di causa veniva espletato il tentativo di mediazione, che però aveva esito negativo, e concessi i termini per il deposito di memorie autorizzate ex art. 183 VI comma c.p.c., all'esito la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 22.12.2022 la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche. La domanda è fondata e merita accoglimento. Stante il provvedimento del Tribunale di Trani in composizione collegiale del 25/2/2016 che ha accolto il reclamo di cui in narrativa con motivazione del tutto condivisibile in questa sede si discute del quantum e non già dell'an debeatur. Il Tribunale, nel citato provvedimento si è così condivisibilmente espresso.: "...La normativa in materia di Centrale d'Allarme Interbancaria, introdotta con il Titolo V del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, nell'ambito di una nuova disciplina sanzionatoria per gli assegni bancari e postali, non consente margini interpretativi agli intermediari che segnalano anomalie nel trattamento degli assegni e delle carte di pagamento. Per queste ultime, l'obbligo di segnalazione è circoscritto ai casi di sottrazione e smarrimento, ovvero di revoca dell'autorizzazione all'utilizzo deliberata dall'intermediario "in conseguenza del mancato pagamento o della mancata costituzione dei fondi relativi alle transazioni effettuate" (artt. 7 e 8 del D.M. Giustizia del 7 novembre 2001, n. 458). Le vigenti disposizioni prescrivono, altresì, l'onere per l'emittente di segnalare - nello stesso giorno in cui è disposta la revoca - i dati relativi alla carta revocata al segmento PROCAR (Procedura carte) dell'archivio, e le generalità del titolare al segmento CARTER (artt. 8 e 9 del Regolamento del Governatore della Banca d'Italia del 29 gennaio 2002). Quanto alle conseguenze dell'iscrizione, il sistema in vigore contempla per le carte di pagamento effetti meramente informativi, mentre dalla stessa segnalazione in CA possono discendere effetti interdittivi per chi emette un assegno in difetto di autorizzazione o in mancanza di provvista (c.d. revoca di sistema di cui all'art. 9 della Legge 15 dicembre 1990, n. 386). Questa diversa funzione spiega - secondo la ricostruzione accolta dall'Arbitro Bancario Finanziario (cfr., fra le altre, Collegio ABF di Roma, decisione n. 6192/2013; Collegio ABF di Napoli, decisione n. 1524/2012) - la differente disciplina dettata dall' art. 9-bis della Legge n. 386/1990, che dispone l'obbligo del preavviso solo con riguardo all'ipotesi di mancato pagamento di assegni e non anche rispetto alle anomalie nell'uso delle carte di pagamento. La diversità di disciplina condurrebbe altresì a negare l'illegittimità della segnalazione operata in assenza di preavviso in caso di revoca dell'autorizzazione all'utilizzo delle carte di pagamento (v., ad esempio, Collegio ABF di Napoli, decisione n. 1287/2011), proprio come ritenuto dal Giudice di prime cure. Il citato Arbitro non manca, tuttavia, di rilevare come la necessità della comunicazione del preavviso di segnalazione possa comunque discendere dai principi che regolano la materia delle iscrizioni di dati nell'archivio CAI (cfr., in tal senso, Collegio ABF di Roma, decisione n. 1080/2010). Tale adempimento è altresì imposto dal fondamentale canone di trasparenza nei rapporti fra intermediari e clienti, come pure dagli standards di diligenza, correttezza e di buona fede contrattuale, che la banca, in considerazione del suo peculiare ruolo e status professionale, deve osservare in maniera particolarmente puntuale (cfr., ex multis, Cass., n. 20543/2009; Cass., n. 1618/2009). Nel contempo, merita segnalare come l'art. 125, comma 3, del Testo Unico Bancario, novellato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, sancisce l'obbligo del finanziatore di informare preventivamente il consumatore la prima volta che sta per effettuare una segnalazione pregiudizievole a una banca dati contenente informazioni nominative sul credito. Tale intervento normativo, antecedente ai fatti di causa, contribuisce a rafforzare l'esigenza che la raccolta e trasmissione dei dati del proprio cliente sia effettuata dall'intermediario nel rispetto delle regole che presiedono all'attuazione del rapporto contrattuale, ivi comprese quelle derivanti dai summenzionati principi di correttezza e buona fede in executivis (artt. 1175 e 1375 c.c.). In questa prospettiva, può considerarsi illegittima l'iscrizione in CAI non preceduta dalla comunicazione di preavviso in forme che - secondo quanto statuito dal Collegio di Coordinamento dell'ABF nella propria decisione n. 3089/2012 - attestino l'avvenuta ricezione della medesima da parte del destinatario (cfr. Collegio ABF di Napoli, decisione n. 2931/2015; Collegio ABF di Napoli, decisione del 13 maggio 2015 n. 3769). Nel caso di specie, il mancato invio del preavviso di segnalazione in CAI è un dato pacificamente indiscusso fra le parti. Né può sostenersi che costituisca un valido preavviso, neanche della revoca della carta di pagamento, la diffida invocata dalla banca, che sarebbe stata inviata all'(...) ed alla moglie (...) il 27.1.2015. Invero, nella lettera datata 27.1.2015 "costituzione in mora e recesso dal contratto di conto corrente di corrispondenza n. 4814694. Conteggi alla data del 25.1.2015"), la (...) spa, attesa la perdurante morosità sul rapporto in oggetto, invitava al pagamento entro 15 giorni dal ricevimento, dello scoperto del c/c ammontante ad Euro 2.785,65, oltre interessi maturati e maturandi. Ora, a prescindere dalla mancanza di qualunque preavviso che, in caso di mancato pagamento nel termine, contestualmente alla revoca della carta di pagamento vi sarebbe stata anche la segnalazione in CAI, la illegittimità della segnalazione per violazione dei canoni di buona fede e correttezza si apprezza sotto un duplice profilo. La Banca, senza attendere il decorso di 15 giorni dal ricevimento della missiva, già dopo 2 giorni, il 29.1.2015, provvedeva a revocare la carta di pagamento e ad iscrivere il nominativo dell'(...) nella CAI - segmento CARTER, non consentendo così in alcun modo ai correntisti ((...) e (...)) di sanare la morosità ed evitare sia la revoca della carta di pagamento che la segnalazione in CAI. Ma vi è di più: la missiva del 27.1.2015 veniva inizialmente inviata all'(...) all'indirizzo di via (...), Molfetta, ove lo stesso risultava "sconosciuto". Solo successivamente, il 9.3.2015, veniva inviata all'indirizzo di via (...), Molfetta, ma ciò avveniva quando ormai l'(...) aveva provveduto ad estinguere la debitoria (con versamenti del 13.2. e 20.2.2015) con l'(...) spa ed a estinguere il conto corrente (il 23.2.2015), e ben oltre dopo che (29.1.2015) la (...) spa aveva segnalato per l'iscrizione il nominativo dell'(...) alla (...). A tanto discende l'illegittimità della segnalazione, e, dunque, la sussistenza del fumus boni iuris dell'invocata cautela. Quanto al periculum in mora, il ricorrente ha già in tale sede dimostrato di avere subito un pregiudizio di natura economica derivante dalla sospensione (comunicata il 26.2.2015) degli affidamenti di Euro 2.000,00, utilizzabili quale elasticità di cassa a valere sul conto corrente acceso dall'(...) presso il (...) spa, a causa della segnalazione pervenuta dalla CAI il 29.1.2015 per il provvedimento di revoca della carta di pagamento da parte dell'(...) spa. Sicché, il permanere di una illegittima segnalazione - tenuto conto che (ai sensi dell'art. 10 del succitato D.M. n. 458/2001) "i dati identificativi personali iscritti a seguito di revoche all'utilizzo di carte di pagamento restano iscritti in archivio per due anni"- è sicuramente idonea ad aggravare il danno già verificatosi e, comunque, ad arrecare un pregiudizio - per definizione grave ed irreparabile - per la reputazione e l'immagine dell'(...). Non vi è dubbio dunque che l'iscrizione del nominativo dell'(...), ingegnere esercente l'attività di libero professionista, abbia provocato un pregiudizio imminente ed irreparabile non solo in termini di discredito ed effetti negativi sull'immagine e sulla reputazione del predetto, ma anche in termini di effetti negativi sul merito creditizio. Pertanto, in accoglimento del reclamo, l'ordinanza emessa dal Giudice di prime cure in data 31.7.2015 va revocata e, per l'effetto, va ordinato alla (...) spa, in persona del legale rappresentante p.t., di richiedere alla Centrale di Allarme (...), la cancellazione della segnalazione effettuata il 29.1.2015 a carico di (...)". Accertata pertanto la illegittimità della segnalazione dell'attore nel sistema interbancario, passando all'esame della pretesa risarcitoria avanzata secondo il costante orientamento della S.C. si esclude che il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, possa essere considerato in re ipsa, quale conseguenza automatica di una segnalazione illegittima da parte della Banca, dovendo invece essere allegato e provato (anche per presunzioni) da parte di chi ne chiede il risarcimento lo specifico pregiudizio subito, ossia la lesione alla reputazione personale e commerciale (v. Cass. Civ. n. 7594/2018, sul danno da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi; Cass. Civ., n. 31537/2018 sul danno da illegittimo protesto dove la Corte ha ribadito che "Il danno infatti consiste non nella lesione d'un diritto, ma nelle conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate. Una lesione di diritto od interesse, dalle quali non siano derivate perdite patrimoniali o sofferenze morali, non fa sorgere alcun diritto al risarcimento, perché non esiste alcuna perdita da risarcire)". Il danno alla reputazione può essere provato in via presuntiva sulla base di determinati" ' circostanze di fatto, purché le allegazioni siano state adeguate e complete, perché in difetto di esse, il ricorso alle presunzioni darebbe in concreto vita ad un automatismo tra illegittimità della segnalazione e sussistenza del danno che, appunto, per la natura di danno-conseguenza, deve essere ripudiato (così Cass. n. 207/2019). Tra le circostanze che possono essere allegate dal danneggiato vi è la durata della pubblicazione della segnalazione, i dettagli dell'eventuale difficoltà di accesso al credito, l'eventuale contrazione dell'attività economica, nonché qualsiasi elemento atto a desumere l'effettivo discredito del buon nome dell'imprenditore in termini di gravità della lesione e non futilità del danno (così Cass. n. 7661/2015). Orbene, nel caso di specie, l'attore ha allegato che all'epoca dei fatti "svolgeva da oltre trentacinque anni l'attività di ingegnere", facendo parte "di uno studio tecnico professionale affermato in territorio di Molfetta", circostanze queste rimaste non contestate dalla controparte; ha provato che la segnalazione è stata cancellata solo in data 29/1/2017, nonostante il provvedimento positivo ottenuto in sede di reclamo; ha infine provato documentalmente di aver ricevuto da parte del (...), presso cui lo stesso intratteneva un altro rapporto di conto corrente, la sospensione degli affidamenti di Euro 2.000,00, utilizzabili quali elasticità di cassa sul conto corrente, e tanto proprio a causa della segnalazione illegittima di cui si discute, effettuata dalla (...) S.p.A. Alla luce di tali concreti elementi, in applicazione dell'art. 1226 c.c. il pregiudizio sofferto da quest'ultimo può essere determinato in via equitativa nella misura di euro 5.000,00. Sono altresì dovuti, sulla predetta somma, a decorrere dal giorno della iscrizione, anche gli interessi compensativi al tasso legale sulla somma suddetta devalutata - sulla base dell'indice ISTAT del costo della vita - sino allo stesso giorno del sinistro e successivamente rivalutata anno per anno, sino alla pubblicazione della presente sentenza, e ciò al fine di compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito, conformemente ai criteri dettati dal Supremo Collegio (Cass. Sez. Un. n. 1712/95 nonché da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 21396 del 10/10/2014 (Rv. 632983 - 01); sulla somma odiernamente liquidata decorreranno altresì gli ulteriori interessi legali, dalla data della presente sentenza sino al soddisfo. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del Giudice dr.ssa Laura Cantore, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta come in epigrafe, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1. accoglie la domanda formulata da. (...) nei termini di cui alla parte motiva e, per l'effetto, condanna la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento della somma di Euro 5.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione secondo i criteri sopra indicati; 2. condanna la società convenuta al pagamento in favore dell'attore delle spese e del compenso di giudizio, che si liquidano nella complessiva somma di Euro 2.552,00, oltre Euro 593,80 a titolo di spese borsuali e oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA, come per legge, con distrazione in favore dell'avv. (...), dichiaratosi procuratore antistatario. Così deciso in Trani, 27 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI Il Tribunale di Trani, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario di Pace, avv.to Onofrio Montecalvo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 7244 Ruolo Generale 2017, tra (...), (...), (...) e (...), tutti rapp.ti e difesi dall'avv.to (...), giusta mandato alle liti posto in calce all'atto di citazione ritualmente notificato e presso il cui Studio, posto in Molfetta alla via (...) sono elettivamente domiciliati, -attori-, e Società (...) s.r.l., con sede in Trani alla via (...), in persona di (...), quale liquidatore e legale rappresentante pro-tempore, nonché (...), quale liquidatore e legale rapp.te p.t., all'epoca dei fatti, contumace, rapp.ta e difesa dagli avv.ti (...), presso il cui Studio, posto in Trani alla p.zza (...), elett.te domicilia (Studio (...)), giusta mandato alle liti posto in calce alla comparsa di costituzione e risposta, come ritualmente depositata, -convenuta-, nonché (...) s.r.l., con sede in Trani alla via (...), in persona di (...) quale amm.re unico e legale rapp.te pro-tempore, oltre che di (...), quale liquidatore, -contumace-. Oggetto: vendita di cose immobili. Conclusioni: come da scritti introduttivi, comparse e verbali di udienza in atti. FATTO E CENNI SULLO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In data 15.01.2005, (...), nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società (...) s.r.l., con contratto preliminare, prometteva di acquistare da (...), (...) e (...), le quote di comproprietà di alcuni beni immobili ubicati in Trani, alla (...), meglio descritti nell'atto di citazione per cui è causa. Il corrispettivo della promessa vendita era fissato in euro 350.000,00, di cui euro 10.000,00 erano formalmente corrisposti ed i residui euro 340.000,00 dovevano essere versati dalla parte promittente acquirente al momento della stipula del contratto definitivo di compravendita da sottoscrivere entro e non oltre l'8 novembre 2007 e, nel caso di inadempimento o ritardo nell'adempimento, la parte inadempiente avrebbe dovuto versare, a titolo di penale, la somma di euro 100.000,00, fatto salvo il maggior danno. In realtà, la somma di euro 10.000,00 non era stata mai pagata mentre, la clausola 7) dell'atto sottoscritto, prevedeva come, la (...) s.r.l., fosse immessa nel compossesso giuridico e materiale a partire dalla stessa data di sottoscrizione dell'atto di cessione (quello datato 15.01.2005). Al suddetto contratto preliminare di cessione di quote veniva data pubblicità con la trascrizione presso la Conservatoria dei RR.II. di Trani in data 03.02.2005 (n. 2667 Reg. d'ordine - n. 1932 Reg. Port.). In seguito, attraverso le visure storiche presso la Direzione Provinciale di Bari - Ufficio Provinciale del Territorio, si appurava come, la (...) s.r.l., avesse illegittimamente volturato in proprio favore l'intera proprietà delle particelle (solo promesse in vendita) a partire dal 22 gennaio 2005. Successivamente, in data 22 ottobre 2010, la (...) s.r.l. e (...) raggiungevano altri e diversi accordi, caducando, consensualmente, gli impegni sottoscritti con il preliminare per cui è causa. Va precisato che la (...) s.r.l. era comproprietaria pro-quota delle medesime particelle promesse in vendita dagli attori (quote acquistate in precedenza da altri comproprietari). Nel frattempo, in data 30.06.2010, la (...) s.r.l. prometteva di cedere le quote di cui era proprietaria (circa la metà del suolo) alla (...) s.r.l., società di cui era amministratore unico e legale rappresentante (...), madre di (...). L'articolo 5) del suddetto preliminare prevedeva che "il possesso legale e materiale di quanto promesso in vendita sarà trasferito il giorno della stipula dell'atto pubblico di compravendita, e da tale data frutti ed oneri saranno, rispettivamente, a beneficio ed a carico della parte promittente acquirente", contratto che doveva essere stipulato entro il 30 giugno 2013. Tale termine veniva successivamente prorogato al 30 giugno 2016, con atto sottoscritto in data 3 luglio 2013, con firme autenticate dal Notaio (...) (Rep. n. 32305 e Racc. n. 16060, registrato a Barletta il 03/07/2013, al n. 4794). Infine, con atto di compravendita del 22.06.2016, redatto dal Notaio (...), trascritto a Trani con il n. 13498/10368 in data 23.06.2016, venivano definitivamente trasferiti dalla (...) s.r.l. alla (...) s.r.l. tutti i diritti da quest'ultima vantati sui beni immobili oggetto del rogito. In particolare, l'art. 3 del contratto di compravendita prevedeva che "Nella vendita, a corpo e non a misura, sono compresi tutti i diritti accessori, accessioni, pertinenze, dipendenze, servitù attive e passive preesistenti, e comunque nello stato di fatto e di diritto in cui quanto alienato si trova e così come pervenuto nei precedenti titoli di provenienza". La (...) s.r.l., acquisendo i suoli di proprietà della (...) s.r.l. subentrava, di fatto e diritto, nella posizione giuridica di quest'ultima, tanto da essere il soggetto proponente di un Progetto Urbanistico Esecutivo (P.U.E.) presso il Comune di Trani. Infatti, in data 11 agosto 2010 (successivamente al primo preliminare sottoscritto con la (...) s.r.l.), la (...) s.r.l. presentava il P.U.E. al Comune di Trani dichiarandosi unica proprietaria dell'intero compendio immobiliare, circostanza palesemente non veritiera tanto che, il progetto, giammai arrivava per l'adozione in Consiglio Comunale, come si evince attraverso la lettura dei documenti nn. 6 e 7 depositati nel fascicolo di parte attrice, ossia l'istanza di accesso agli atti ed il riscontro del Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Trani. Per tali motivazioni, in data 14.01.2015, (...) e (...), per mezzo del proprio difensore, notificavano alla società (...) s.r.l. ed alla (...) s.r.l., atto di diffida ad adempiere il contratto preliminare di cessione di quote del 15.01.2005, invitando le società a comparire, il giorno 5 marzo 2015, alle ore 16,00, nello studio del Notaio dr. (...), sito in Corato al (...), a norma dell'art. 1454 c.c.. Le notifiche venivano perfezionate presso l'indirizzo risultante dalle Visure Camerali allegate in atti (per entrambe: Via (...)). Nonostante tale impegno, nessuno si presentava alla data ed ora indicate presso lo studio del Notaio rogante per cui, essendo spirato il termine indicato in diffida, il contratto preliminare di cessione di quote tra la (...) s.r.l. e (...), nonché (...), relativamente alle rispettive quote, era da intendersi risolto ipso iure. In data 23.02.2015, decedeva (...) e gli potevano succedere in giudizio, dopo avere ottemperato a tutti gli oneri ed adempimenti in materia di successione ereditaria, i propri eredi (...). In data 20.12.2017, veniva notificato l'atto di citazione finalizzato ad ottenere una sentenza dichiarativa di risoluzione contrattuale e la condanna al pagamento della penale prevista e di cui sopra dalla/dalle società inadempiente/i. Nel frattempo, le due società avevano cambiato le sedi sociali, gli amministratori e persino gli indirizzi pec, ma tutte le notifiche andavano a buon fine. All'udienza del 15.05.2018, si costituiva (...), nel frattempo divenuto amministratore unico della (...) s.r.l., con gli avvocati (...), il quale ultimo, in data 14 marzo 2019, rinunciava al mandato, impugnando e contestando ogni assunto avversario, in particolare chiedendo che venisse dichiarata l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, ex D.Lgs. 28/2010, nonché, nel merito, perché infondate le avverse domande. A tale ultimo riguardo, la parte convenuta affermava una impossibilità alla realizzazione del programma negoziale a causa delle azioni promosse da terzi per l'accertamento dei diritti sulle aree promesse in vendita oltre all'inesistenza di qualsivoglia responsabilità per inadempimento contrattuale da parte della (...) s.r.l.. La (...) s.r.l. non si costituiva in giudizio e neanche (...) e (...), per cui vi era dichiarazione di loro contumacia per parte del giudicante. Alla stessa udienza venivano concessi i termini previsti dell'art. 183 c.p.c. cui seguiva il deposito di memorie da parte degli attori. La causa veniva quindi trattata all'udienza del 7 marzo 2019 e, poi, per la precisazione delle conclusioni rinviata a quella del 10 novembre 2020, quindi, differita d'ufficio al 17.06.2021 e, sempre d'ufficio, al 21.07.2022, per poi giungere all'udienza del 10 marzo 2022 per tale definitivo adempimento rimarcando come, la stessa precisazione delle conclusioni, veniva rassegnata esclusivamente dagli attori, non essendo alcuno presente per i convenuti costituiti. Premesso che la causa ha natura prettamente documentale, si afferma come, la domanda proposta dalla parte attrice e per cui è causa, deve essere totalmente accolta, in punto di fatto e diritto, come da successiva motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente, è assolutamente destituita di ogni fondamento la dedotta eccezione circa l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, come formulata dalle parti convenute. Infatti, quella risoluzione contrattuale di una compravendita immobiliare non è materia compresa tra quelle indicate all'art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28/2010, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità in subjecta materia (cfr.: Cass., n. 22736/2021). Sempre in via preliminare, non si può non rimarcare come, la dedotta carenza di interesse sostanziale e processuale delle parti evocate in giudizio, trovi senz'altro fondamento, in quanto entrambe spontaneamente cancellate dal Registro delle imprese. Più precisamente la (...) s.r.l. risulta cancellata dal Registro delle Imprese in data 19 agosto 2019 e l'(...) s.r.l. in data 15.07.2019, senza contare come, contro la società (...) s.r.l. penda un'istanza di fallimento (Proc.to n. 102/2020). Per l'effetto, risulterebbe evidente come, entrambe le società citate ma, in particolare, la (...) s.r.l., non avendone la disponibilità economica, giammai potrebbero adempiere al regolamento negoziale previsto nel contratto preliminare di cessione di quote e non avrebbero alcun interesse all'acquisizione delle aree di proprietà degli attori. Infine, essendosi cancellate spontaneamente dal Registro delle Imprese, le due società hanno implicitamente rinunciato ai progetti edificatori conformi al previgente oggetto sociale, simile per entrambe, come si può evincere dalla lettura delle visure camerali prodotte (costruzione di fabbricati, ristrutturazioni, compravendita e gestione di immobili). Il tutto, da un punto di vista processuale, non può non tradursi nella carenza di interesse alla pronuncia giudiziale contraria alle conclusioni degli attori, come si può evincere dalla stessa assenza di controparte all'udienza di precisazione delle conclusioni. La (...) s.r.l., in buona sostanza, essendo società estinta e non avendo alcuna liquidità, è impossibilitata ad adempiere il contratto preliminare, per cui dovrebbe aderire alla richiesta di risoluzione contrattuale, piuttosto che opporsi. Nel merito, quella proposta, si qualifica come domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento. Il contratto preliminare di cessione di quote prevedeva un termine per la stipula ma, poiché le parti sono rimaste inerti dopo la scadenza del termine, deve presumersi che non vi fosse interesse all'adempimento. In tema di trasferimento di diritti reali e, in particolare, nella compravendita di beni immobili, la parte promittente venditrice che richieda l'adempimento ha diritto ad ottenere il compenso pattuito dalla vendita, soprattutto se con un mero atto negoziale obbligatorio, quale è il compromesso, sia stato concordato il trasferimento di diritto del possesso del bene. Perciò, nonostante l'avvenuto spirare del termine, i (...) tutti hanno inteso sollecitare l'adempimento contrattuale notificando la diffida ad adempiere a norma dell'art. 1454 c.c. Tale diffida possiede tutti i requisiti di forma sostanza richiesti dalla norma, ossia la forma scritta, l'intimazione ad adempiere, la fissazione di un congruo termine per l'adempimento e la comminatoria della risoluzione di diritto nel caso di omesso riscontro all'invito di stipulare dinanzi al notaio rogante. La diffida è stata regolarmente notificata a mani presso l'indirizzo risultante dal Registro delle Imprese all'epoca della notifica (14.01.2015) ovvero alla via (...), come risulta dalle visure camerali in atti. Trattasi di un atto giuridico recettizio regolarmente pervenuto ai destinatari e, per tabulas, risulta evidente come nessun rappresentante delle imprese diffidate abbia accolto l'invito ad adempiere, dinanzi al notaio rogante, come provato dalla documentazione in atti, nemmeno facendo pervenire un'offerta reale di adempimento, per cui non vi è alcun motivo giuridico che possa giustificare il vincolo e gli effetti collegati al contratto di cessione di quote e tale inerzia, riguardo ai suoi effetti, trova opportuno riscontro nell'indirizzo della giurisprudenza di legittimità (cfr.: Cass., n. 23315/2007; id., n. 3477/2012). L'inerzia mostrata dalla parte acquirente nella fattispecie all'invito rivolto dagli attori ad adempiere la controprestazione, determina, altresì, un grave inadempimento, rientrante nella previsione di cui all'art. 1218 c.c., in quanto la non esecuzione della prestazione è dipesa da causa imputabile all'obbligato, effetto a cui aderisce anche la stessa giurisprudenza di legittimità (cfr.: Cass., n. 3669/1995; id., n. 3742/2006). Del resto, in tal senso, è univoco il proprio indirizzo quando sostiene come non possa ritenersi di scarsa importanza l'inadempimento che abbia coinvolto le obbligazioni essenziali e primarie assunte con il contratto preliminare, cioè la stipulazione del contratto definitivo entro il termine stabilito ed il pagamento entro tale data del residuo prezzo (cfr.: Cass. n. 16084/2001; id., n. 3477/2012). Nella fattispecie, la gravità dell'inadempimento non può non essere valutato pure se appena si analizzi lo sbilanciamento del rapporto sinallagmatico, in quanto, a fronte del trasferimento del possesso (di fatto e diritto) che ha autorizzato il promittente acquirente a comportarsi, uti dominus, tanto da attribuirsi illegittimamente e arbitrariamente presso Pubblici Uffici la qualità di unico proprietario, non vi sia stato alcun pagamento. Sinteticamente, i proprietari, pur risultando formalmente come tali e, quindi, gravati dagli oneri fiscali di legge, non hanno ricevuto alcun vantaggio economico nell'affare, al contrario, i promittenti acquirenti, in virtù di un contratto preliminare di cessione di quote, hanno persino volturato in proprio favore le particelle promesse quindi attualizzando un comportamento assolutamente meritevole di censura. A fronte delle esposte gravi inadempienze, l'asserita impossibilità di realizzare il programma negoziale a causa delle azioni promosse da terzi per l'accertamento dei diritti sulle aree promesse in vendita, le parti Controparte convenute formulano possibili cause di evizione e di altri oneri non apparenti a carico della parte attrice, tuttavia, senza spiegare alcuna domanda riconvenzionale, né proporre un'esplicita eccezione ma, soprattutto, senza introdurre alcun argomento probatorio, riservandosi soltanto "di proporre un distinto giudizio per l'accertamento dei danni subiti in conseguenza della condotta omissiva tenuta da parte attrice in sede di stipula dei contratti preliminari di compravendita immobiliare" (cfr.: pag. 3 della comparsa di costituzione della (...) s.r.l.). Sinteticamente, la (...) s.r.l. assume, a giustificazione dell'inadempimento, la circostanza che graverebbe sulla proprietà comune (sia della (...) s.r.l. che degli attori) un'azione di accertamento dell'usucapione da parte di tale (...). E' stato provato dagli attori che, la (...) s.r.l.., avendo già acquistato in precedenza la proprietà della metà delle quote ed essendo stata citata in giudizio dal pretendente, era già a conoscenza che l'azione di usucapione era stata notificata in data 31 agosto 2009 ovvero in data successiva al 15 gennaio 2005 (data della conclusione del contratto preliminare di compravendita). In verità, per quanto emerge in atti, risulta come, la (...) s.r.l., sia stata parte attiva nel contenzioso contro (...), in ogni caso evincendosi come, la suddetta causa, sia stata decisa con sentenza n. 1432/2019 di questo Tribunale con cui è stata rigettata la domanda, successivamente appellata. In ogni caso, la (...) s.r.l. non ha promosso alcuna separata azione nei confronti degli attori quindi mostrando acquiescenza per anni ad una situazione ben nota almeno dalla sottoscrizione del preliminare e, la stessa (...) s.r.l., non ha mai dichiarato di voler sospendere il pagamento del prezzo per tali motivi e nemmeno mai chiesto di fissare un termine per la cancellazione delle cause pregiudizievoli (art. 1482 c.c.). Riguardo alla presunta inesistenza della responsabilità per inadempimento contrattuale da parte della (...) s.r.l., come eccepita dalla parte convenuta, giova rimarcare come, la giurisprudenza di merito, sia unanime nel ritenere che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno da inadempimento ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr.: Trib. Arezzo, n. 548/2015; Trib. Parma, n. 623/2018). La (...) s.r.l., nel corso presente giudizio, non ha fornito alcuna prova del proprio adempimento, anzi, si evidenzia come: non abbia negato l'invito ad adempiere notificato a gennaio 2015; non abbia mostrato l'intenzione di voler adempiere, piuttosto cercando di rappresentare una diversa verità fattuale, particolarmente deducendo come, gli attori, dopo aver acquisito informazioni sull'esistenza di un Progetto Urbanistico presso il Comune di Trani, avrebbero cercato di sottrarsi all'esecuzione contrattuale affermando un motivo di risoluzione del vincolo discendente dal contratto preliminare. Per tali motivazioni, sussistono tutti gli elementi per l'accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale e condanna al pagamento della penale contrattualmente stabilita nella misura di euro 100.000,00, per l'inadempimento di cui alla precedente parte motiva. Per quanto sopra esposto, sussistendo la totale soccombenza in giudizio delle parti convenute, le spese di lite seguono la condanna al pagamento da parte di queste ultime, in solido, quindi, liquidabili come da successivo dispositivo in ragione dei valori medi di cui ai parametri D.M. n. 55/2014, con succ. mod., tenuto conto del valore della domanda, come indicato in ragione di euro 350.000,00. P. Q. M. il Tribunale Civile di Trani, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da (...), (...), (...) e (...), tutti rapp.ti e difesi dall'avv.to (...), giusta mandato alle liti posto in calce all'atto di citazione ritualmente notificato e presso il cui Studio, posto in Molfetta alla via (...) sono elettivamente domiciliati, contro Società (...) s.r.l., con sede in Trani alla via (...), in persona di (...), quale liquidatore e legale rappresentante pro-tempore, nonché (...), quale liquidatore e legale rapp.te p.t., all'epoca dei fatti, contumace, rapp.ta e difesa dagli avv.ti (...), presso il cui Studio, posto in Trani alla p.zza (...), elett.te domicilia (Studio (...)), giusta mandato alle liti posto in calce alla comparsa di costituzione e risposta, come ritualmente depositata, nonché (...) s.r.l., con sede in Trani alla via (...), in persona di (...) quale amm.re unico e legale rapp.te pro-tempore, oltre che di (...), quale liquidatore, assorbita e disattesa ogni ulteriore e/o contraria istanza, domanda ed eccezione, così provvede: 1. dichiara, in favore degli attori ed in danno della Società (...). s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, nonché della (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, la risoluzione di diritto del contratto di cessione di quote di comproprietà di beni immobili, stipulato in data 15.01.2005 dinanzi al dottor (...), Notaio in Corato, con studio in Corso (...), Repertorio n. 34477, Raccolta n. 10880, trascritto presso la Conservatoria RR.II. di Trani in data 03.02.2005, n. 2657 Reg. d'Ordine, n. 1932 Reg. Port., per tutti i motivi meglio esposti in narrativa; 2. per l'effetto, dichiara la retrocessione del possesso delle rispettive quote relative alle particelle così descritte nel contratto preliminare di cessione di quote e condanna i convenuti a porre i terreni descritti nella disponibilità degli attori, come così indicati: a) 92/384 del suolo sito in Trani alla Via (...) di mq. 299 distinto nel N.C.T. Comune di Trani al fg. (...), particella (...); b) 1/4 del suolo ubicato in Trani alla Via (...) di complessivi mq. 6.303 nel N.C.T. del Comune di Trani al fg. (...) particella (...); c) 1/4 del complesso di suoli e fabbriche sito in Trani alla Via (...) allibrato, nel N.C.T. Comune di Trani al fg. (...) e alla particella (...) (mq 3.020), particella (...) (mq 810), particella (...) (mq 530), particella (...) (mq 50), particella (...) (mq. 470), particella (...), sub 1, cat. D/1 e particella (...), sub 2, cat. A/6 Classe 4; particelle (...), cat. A/6; d) 1/4 dei suoli posti in Trani alla Via (...) della superficie catastale totale di mq. 4.536 identificati in N.C.T. del Comune di Trani al fg. (...) particella (...) (mq. 2.039), particella 992 (mq. 176); particella (...) (mq. 1.801), particella (...) (mq. 520); e) 20/128 dei suoli ubicati in Trani alla Via (...) della estensione nominale di mq. 1.334 identificati in catasto al fg. (...) particella (...) (mq. 203), particella (...) (mq. 188), particella (...) (mq. 40), particella (...) (mq. 66), particella (...) (mq. 59), particella (...) (mq. 147), particella (...) (mq. 134), particella (...) (mq. 159), particella (...) (mq. 154), particella (...) (mq. 184); f) 20/144 dei suoli siti in Trani alla Via (...) della complessiva estensione di mq. 2.022 censiti in N.C.T. del Comune di Trani al fg. (...) ed alla particella (...) (mq. 1.875), particella (...) (mq. 26), particella (...) (mq. 121); g) 20/128 dei suoli siti in Trani alla Via (...) della complessiva estensione nominale di mq. 549 circa distinti nel N.C.T. del Comune di Trani al fg. (...) ed alla particella n. (...) (mq. 38), particella (...) (mq. 73), particella (...) (mq. 68), particella (...) (mq. 45), particella (...) (mq. 103), particella (...) (mq. 86), particella (...) (mq. 70), particella (...) (mq. 66); h) 20/128 dei suoli siti in Trani alla Via (...) della complessiva estensione nominale di mq. 1997 circa distinti nel N.C.T. del Comune di Trani al fg. (...) ed alla particella (...) (mq. 244), particella (...) (mq. 224), particella (...) (mq. 252), particella (...) (mq. 293), particella (...) (mq. 248), particella (...) (mq. 240), particella (...) (mq. 261), particella (...) (mq. 235); 3. sempre per l'effetto, ordina all'Agenzia del Territorio di effettuare le relative trascrizioni e volture in favore di: (...), nata a Varese il 14 luglio 1946 (cod. fisc.: (...)); (...), nata a Varese il (...) (cod. fisc.: (...)); (...), nato a Varese il (...) (cod. fisc.: (...)); (...), nato a Varese il (...) (cod. fisc.: (...)); in danno dei convenuti, con esonero da qualsiasi responsabilità; 4. condanna, i convenuti, in solido tra loro, al pagamento della penale concordemente stabilita dalle parti in ragione di euro 100.000,00 (centomila,00), oltre interessi legali dal giorno della domanda e fino all'effettivo soddisfo; 5. condanna, i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle competenze del presente giudizio, liquidate, per quanto sopra esposto circa l'applicazione dei parametri, in ragione di complessivi euro 23.745,62 (scaglione compreso tra euro 260.001,00 ed euro 520.000,00) di cui euro 1.288,62 per spese documentate, nonché rimb. forf. 15% ed oneri di legge, se dovuti, oltre quelle relative alla trascrizione della presente domanda giudiziale e della presente sentenza, nonché le successive e comunque affrontate e/o occorrende. Trani, 20 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2023.
Il Tribunale di Trani, sez. civile, riunito in camera di Consiglio nelle persone dei magistrati: - dott. Giuseppe Rana - presidente - dott.ssa Laura Cantore - giudice - dott.ssa Maria Anna Altamura - giudice rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA PARZIALE nella controversia, iscritta al n. .../2018 R.G.A.C., TRA F.G., F.C., F.R., P.G. e P..M.S., rappresentati e difesi, come in atti, dall'avv....; - ATTORI - E F.D., rappresentato e difeso, come in atti, dall'avv. ...e dall'avv....; - CONVENUTO - Svolgimento del processo F.G., F.R. e F.C., quali figli della de cuius D.M., vedova di F.R., e P.G. e P.A.S., quali nipoti della de cuius, in quanto figli della figlia premorta F.A., convenivano in giudizio dinanzi a questo Tribunale F.D., altro figlio della D., nominato erede universale dalla genitrice con testamento pubblico del 13.4.2010. Essendo stati totalmente pretermessi dalle disposizioni testamentarie della D., nata a B. il 9.8.1931, già ivi residente e deceduta in Bari il 26.12.2017, proponevano azione di riduzione, al fine di far accertare la loro qualità di eredi necessari (i germani P. in via di rappresentazione), unitamente al convenuto e vedersi attribuita la loro quota di eredità spettante per legge. Una volta riconosciuta la qualità di eredi, gli attori chiedevano, infatti, lo scioglimento della comunione ereditaria, previo accertamento della invalidità degli atti dispositivi compiuti in vita dalla de cuius o declaratoria di indegnità dell'erede universale nominato, ai sensi dell'art. 463, n. 4, c.c.. Assumevano che i testamenti redatti dalla D.M. erano frutto di inganni e rappresentazioni fittizie della realtà indotti da F.D., al fine di fuorviare la volontà della genitrice a discapito degli altri coeredi. Aggiungevano che la de cuius aveva effettuato donazioni a favore del solo figlio D., da dichiararsi nulle; riferivano, in particolare, che in più tranche fossero state prelevate somme dal conto cointestato tra la D. e il coniuge, in denaro contante o con assegni "a me medesimo" per Euro 400.000,00, che gli attori ritenevano essere state poi riversate dalla madre al figlio D., giacché la de cuius aveva risorse economiche tali da consentirle una vita dignitosa e, pertanto, non aveva nessun altro motivo per effettuare prelevamenti di rilevantissimi importi, se non quello di donare il denaro al figlio D.. Impugnavano anche il contratto vitalizio stipulato dalla D. con il figlio D. per atto del notaio dott.ssa F.P.N. del 22.9.2009, perché nullo per difetto di causa, in assenza del requisito della aleatorietà, oltre che per la sproporzione tra il valore dei beni ceduti, pari a Euro 710.900,00, rispetto alle presumibili esigenze della vitalizianda, in considerazione anche della sua età al momento della stipula del contratto. Assumevano, comunque, trattarsi, di una donazione di immobili, per cui una gran parte dei beni donati (non tutti) dovevano confluire nel patrimonio relitto. Così nel relictum reputavano dovessero essere considerati Euro 400.000,00 circa quale importo donato in denaro in favore del figlio D., Euro 710.900,00 quale valore dei beni oggetto del contratto di vitalizio del 22.9.2009, Euro 752.484,73 quale quota spettante alla de cuius della eredità del coniuge F.R. (in relazione alla quale pendeva altro procedimento previamente iscritto dinanzi a questo Tribunale), Euro 20.000,00 circa (salvo miglior conteggio) pari alla sua quota delle somme esistenti sui c/c n.(...) e (...) accesi presso la B.A. (ora I.S.P. S.P.A.) e la B.C., filiali di B.. Concludevano, pertanto, chiedendo dichiararsi che D.M. non aveva rispettato il disposto delle norme in tema di successione necessaria e, per l'effetto, accogliersi l'azione di riduzione, così riconoscendo gli attori eredi legittimari della de cuius, aventi diritto alla quota di eredità prevista dagli artt. 536 e segg. c.c., con contestuale riduzione delle disposizioni testamentarie della de cuius nella parte in cui gli istanti venivano pretermessi e veniva nominato erede universale il solo convenuto; accolta l'azione di riduzione, accertata la qualità di eredi degli attori e dichiarata aperta la successione della D.M., conseguentemente e subordinatamente all'accoglimento dell'azione di riduzione, procedersi alla divisione dei beni relitti dalla de cuius, previo accertamento della entità dell'asse ereditario; accertata la nullità del contratto di vitalizio, stipulato in data 22.9.2009 dalla de cuius con il convenuto, dichiararsi, conseguentemente, che tutti i beni che con quell'atto erano trasferiti al convenuto concorrono nella formazione del relictum; in via subordinata, ove il contratto di vitalizio non fosse ritenuto nullo, ma fosse ritenuto costituire una donazione, parimenti dichiarare detto bene facente parte della massa ereditaria sia pure in ragione delle norme della successione necessaria; dichiararsi, poi, nulle per difetto forma le donazioni effettuate dalla D. in favore del figlio D., mediante prelievi di denaro dal conto B.C., ovvero, ove non dichiarate nulle, dichiararsi che costituiscono donazioni indirette e, conseguentemente, che compresa nell'asse ereditario è anche la somma di Euro 400.000,00 prelevata dalla D.; dichiararsi che fa parte dell'asse ereditario anche la quota spettante alla de cuius della eredità del defunto F.R., nonché le somme giacenti sui conti della D.. Determinato il valore del relictum, domandavano attribuirsi agli attori le quote di loro pertinenza secondo legge e secondo gli accertamenti peritali, previa declaratoria di indegnità dell'erede universale F.D.. Instaurato il contraddittorio si costituiva il convenuto, assumendo di non aver mai indotto la madre a disporre per testamento in proprio favore e che, comunque, le circostanze ex adverso allegate a sostegno della domanda di indegnità a succedere non concretassero le ipotesi di cui all'art. 463, comma 4, c.c.. Spiegava in via riconvenzionale domanda di indegnità a succedere dei germani G., R. e C., per le condotte agite nei confronti della mamma, come da procedimento penale conclusosi con mera pronuncia di prescrizione del reato. Ove accolta la domanda di riduzione, specificava che l'asse ereditario fosse costituito solo dalla quota parte dell'eredità del coniuge F.R., per la cui determinazione pendeva altro giudizio, a cui aggiungersi solo eventuali somme presenti sui conti correnti. Su tali somme poteva disporsi lo scioglimento della comunione ereditaria, salvo il riconoscimento al convenuto della quota disponibile. Ove accertate eventuali donazioni a favore del figlio D., affermava che le stesse dovessero essere poste in collazione e non essere dichiarate nulle. Ribadiva la validità del contratto di vitalizio, considerando le necessità economiche, morali e assistenziali della D.. Ove ritenuto il contratto vitalizio quale donazione, anche questo dovesse essere posto in collazione. Il fascicolo era rimesso ex art. 274 c.p.c. al Presidente della Sezione Civile per la valutazione della riunione a quello previamente iscritto sub n. (...) r.g. avente ad oggetto la divisione dei beni relitti da F.R. coniuge della D., della cui successione si discorre nel presente giudizio, costituita dalla quota parte dei beni pervenuti dal coniuge; il Presidente del Tribunale riteneva la sussistenza dei presupposti per la riunione dei due giudizi, ma il giudice titolare del fascicolo di più remota iscrizione reputava di non procedere alla riunione e rimetteva il fascicolo alla scrivente (il Presidente della Sezione Civile a cui era rimesso il fascicolo, procedeva alla formale riassegnazione dello stesso). La causa era così istruita con la assunzione dell'interrogatorio formale deferito dagli attori al convenuto e con la disposizione di una consulenza tecnica di ufficio per la stima del valore dei beni oggetto del contratto di vitalizio. Fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni in modalità cartolare, le parti depositavano note scritte, così, all'udienza del 16.1.2023 la causa era trattenuta alla decisione del Tribunale in composizione collegiale con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali e di replica. Il fascicolo era rimesso al giudice relatore il 12.4.2023. Motivi della decisione Preliminarmente, si osserva che la presente causa rientra nell'ipotesi prevista dal primo comma n. 6 (riduzione per lesione di legittima) dell'art. 50 bis c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, e come tale è riservata alla decisione del Tribunale in composizione collegiale. azione di riduzione avverso le disposizioni testamentarie della de cuius. Orbene, gli attori lamentano che la de cuius D.M. aveva disposto per testamento a favore del solo figlio D., istituendolo erede universale. Sulla base di tale presupposto hanno proposto azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della propria posizione di legittimari. In punto di diritto, si osserva che l'azione di riduzione è quello strumento che viene concesso ai legittimari per ottenere la reintegrazione della quota di riserva, mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre. In punto di fatto, non è controverso che con la disposizione testamentaria di cui al testamento pubblico del 13.4.2010, di analogo contenuto di quello precedente del 22.9.2009, con cui D.M. istituì erede universale il convenuto F.D., è stata lesa la quota di legittima dei suoi figli F.G., F.R. e F.C., nonché di P.G. e P.A.S., nipoti della de cuius, quali figli della figlia premorta F.A., totalmente pretermessi. Invero, in ossequio al principio di intangibilità quantitativa della legittima, a tutela dell'interesse generale alla solidarietà familiare, l'ordinamento giuridico prevede, con disposizioni che hanno carattere inderogabile, che i più stretti congiunti del de cuius abbiano il diritto di ottenere, anche contro la volontà del defunto ed in contrasto con gli atti di disposizioni dallo stesso posti in essere, una quota di valore del patrimonio ereditario e dei beni donati in vita dal defunto stesso (c.d. diritto di legittima o di riserva). La legge configura così una "successione necessaria", in forza della quale le disposizioni del defunto lesive della "quota di legittima", pur non essendo invalide (nulle o annullabili), sono, tuttavia, soggette a riduzione, sono cioè suscettibili, su domanda del legittimario leso (c.d. azione di riduzione), di essere private della loro efficacia giuridica nella misura necessaria e sufficiente a reintegrare il diritto del legittimario. In tal senso, l'azione di riduzione, di cui all'art. 557 c.c., si distingue dalle azioni dirette ad impugnare il testamento o le donazioni per vizi di volontà o di forma e si configura propriamente come un'azione a carattere costitutivo, con la quale il legittimario, leso nel suo diritto di legittima dalle disposizioni testamentarie o dagli atti di donazione posti in essere dal de cuius, può ottenere la pronuncia di inefficacia, nei suoi confronti, delle disposizioni del defunto lesive della sua quota di riserva. Il legittimario, quando sia stato interamente pretermesso dal testatore, non ha la posizione di chiamato all'eredità; tuttavia, egli, a seguito dell'esercizio dell'azione di riduzione, acquista la qualità di erede, conseguendo perciò una quota dell'eredità. La legge non riserva ai legittimari tutta l'eredità, ma riserva loro solo una quota o frazione di essa (c.d. quota di riserva), consentendo che la restante parte (c.d. quota disponibile) possa mantenere la destinazione voluta dal de cuius. La domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie della D., come proposta dagli attori, merita accoglimento. Gli attori hanno allegato in giudizio la propria qualità di legittimari (quali figli della de cuius e, con riferimento ai germani P., nipoti della stessa, che succedono in via di rappresentazione ex art. 467 c.c.), la lesione totale della quota riservata loro dalla legge, l'atto dispositivo mortis causa (testamento pubblico per notar dott.ssa F.P.N.) che tale lesione ha concretato ed il relativo beneficiario, nella persona del convenuto. Ciò posto, va dichiarata aperta la successione di D.M. e riconosciuta, in accoglimento della domanda di riduzione, la qualità di eredi degli attori gli uni, F.G., F.R. e F.C., figli della de cuius, gli altri, P.G. e P.A.S., nipoti della de cuius, eredi per rappresentazione, in quanto figli della figlia premorta F.A.. Nel caso di specie, tra le parti trova applicazione la disposizione dell'art. 537, comma 2, c.c. che, nel concorso di più figli, individua in 2/3 del patrimonio del defunto la quota riservata ai figli, da dividersi tra tutti in parti uguali (ai germani P. spetta la quota che sarebbe spettata alla loro madre) e nel restante terzo la quota disponibile. Orbene, poiché nella fattispecie de qua la de cuius istituì il convenuto P.D. come erede universale, pretermettendo gli altri figli, occorre procedere a ridurre le disposizioni testamentarie ai sensi dell'art. 554 c.c., dichiarando inefficace in parte qua il testamento perché lesivo della quota di riserva spettante agli attori. reciproche domande di indegnità a succedere ex art. 463, n. 4, c.c. Non meritevoli di accoglimento sono, invece, le reciproche domande di indegnità a succedere formulate dagli attori nei confronti del convenuto e da quest'ultimo nei confronti di F.G., F.C. e F.R.. Con riferimento alla domanda formulata dagli attori, si osserva che "la dichiarazione d'indegnità a succedere, ai sensi dell'art. 463, n. 4), cod. civ., per captazione della volontà testamentaria, richiede la dimostrazione dell'uso, da parte sua, di mezzi fraudolenti tali da trarre in inganno il testatore, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26258 del 30.10.2008). Come argomentato anche nella memoria di replica, gli attori sostengono che F.D. avesse captato la volontà testamentaria della madre sulla base della dichiarazione resa nel procedimento penale a carico di F.G., F.C. e F.R. per maltrattamenti nei confronti della D. dalla teste L.L., che nel corso del dibattimento ritrattava quanto riferito alla Polizia di Stato, affermando " ... quello che ho dichiarato non è vero perché me l'hanno detto loro ... ... oggi non posso dire la bugia ... io quando l'ho detto, era per aiutarla perché lei piangeva. È anziana, aveva paura e così l'ho fatto". Orbene, la dichiarazione non è affatto indicativa di violenza o mezzi fraudolenti usati dal F.D. per trarre in inganno la testatrice. La teste nulla riferiva in merito a condotte di F.D. e non è possibile desumere dalla allegazione di parte attrice che la de cuius avesse contatti solo con il figlio D., che fosse quest'ultimo ad aver incusso timore nella madre. Si tratta di una deduzione priva di riscontri oggettivi. Gli stessi attori discorrono di una "prova (sia pure indiretta ed atipica)", non idonea secondo l'insegnamento della Corte di legittimità a suffragare una domanda di indegnità, che richiede una prova, seppur presuntiva, che sia fondata su fatti certi. Non vi è prova che sia stato il convenuto a indurre la madre a ritenere che i figli, odierni attori, avessero costretto il coniuge a sottoscrivere un preliminare di vendita e/o permuta ovvero a denunciare il figli, ovvero ancora che sia stato il convenuto ad ostacolare le visite dei figli nei confronti del padre F.R., coniuge della D.. Così come risulta dal decreto del G.T., trattasi di circostanza allegata nel procedimento per la apertura di amministrazione di sostegno a favore del F.R., dai figli odierni attori, dunque, di una circostanza priva di riscontro probatorio e basata su dichiarazioni della stessa parte che la invoca nel presente giudizio a supporto dei propri assunti. "In tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali - avuto riguardo all'età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso - siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano, di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14011 del 28.5.2008, conf. da Sez. 2 -, Sentenza n. 4653 del 28.2.2018). Ancora, "in tema di impugnazione della disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore, non potendosi tale prova desumere unicamente dal fatto che il beneficiario (nella specie, figlio del testatore) convivesse col de cuius" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 824 del 16.1.2014). Allo stesso modo non meritevole di accoglimento è la domanda riconvenzionale del convenuto di dichiararsi indegni a succedere nei confronti della D. i figli F.G., F.C. e F.R., sempre ai sensi dell'art. 463, n. 4, c.c.; la norma prevede che "è escluso dalla successione come indegno chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l'ha impedita". In assenza del fatto materiale della revoca o del mutamento del precedente testamento, manca proprio l'elemento della fattispecie che consentirebbe di porre a carico degli attori la sanzione civile con funzione essenzialmente afflittiva che è la dichiarazione di indegnità a succedere. Non è, infatti, sufficiente, come invece ritenuto nella comparsa conclusionale dal convenuto, un assunto intento doloso, persecutorio e fraudolento posto in essere dagli attori in danno della madre, che, se pure fosse stato dimostrato in giudizio, non essendosi tradotto effettivamente in una induzione a modificare le proprie volontà testamentarie, non avrebbe potuto essere sussunto nella fattispecie di cui all'art. 463, n. 4, c.c.. I casi di indegnità sono, infatti, tassativamente contemplati dalla legge, come conferma la giurisprudenza; già nella remota pronuncia della Corte di legittimità, Sez. 2, Sentenza n. 314 del 25.3.1946, non disattesa da successive pronunce difformi, si affermava che "i casi di indegnità a succedere sono tassativamente stabiliti dalla legge, che non è suscettibile di interpretazione estensiva". domanda di nullità delle donazioni in denaro a favore del convenuto Ancora non merita accoglimento la domanda di nullità delle donazioni in denaro effettuate dalla D. a favore di F.D., perché manca la dimostrazione in giudizio che effettivamente la madre abbia donato al figlio quelle somme di denaro, prelevate dal conto cointestato con il coniuge. Vi è documentazioni in atti che dimostra prelievi in contanti o con assegni a sé medesimo da parte della de cuius, ma non si è dimostrato che tali somme siano state, poi, corrisposte dalla D. al convenuto. F.D. ha negato, nell'interrogatorio formale deferitogli ed assunto alla udienza del 14.7.2021, di aver ricevuto dalla madre elargizioni in denaro. Esplorative sarebbero state le richieste indagini tributarie sulla destinazione dei prelievi di somme da parte della de cuius, così come la C.T.U. contabile sollecitata nell'atto introduttivo, su cui, comunque, parte attrice non ha insistito. Gli attori hanno meramente affermato che il prelievo della ingente somma in contanti fosse sintomatica "dell'intento della D.M.", rimettendo al Tribunale la valutazione "se il prelievo poteva avere una diversa giustificazione rispetto alla volontà di donare la somma prelevata". A livello generale, la donazione diretta viene definita all'art. 769 c.c. come: "il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione". Due sono, dunque, gli elementi costitutivi propri della donazione diretta, ossia l'elemento oggettivo, consistente nell'arricchimento del beneficiario, e l'elemento soggettivo, consistente nello spirito di liberalità (animus donandi) del benefattore. Nel caso di specie manca la prova dell'elemento oggettivo, ovvero del trasferimento delle somme dalla D. al figlio D., con impoverimento dell'una e arricchimento dell'altro. Nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. gli attori discorrevano di "prelievi di svariate centinaia di migliaia di Euro la cui sorte non è dato di conoscere". Alla dimostrazione della effettiva attribuzione di denaro, in via diretta o indiretta, non può sopperirsi con la generica asserzione della mancanza di diversa giustificazione del prelievo di somme ingenti da parte della D., come assunto dagli attori. Come correttamente argomentato dal convenuto nella comparsa conclusionale "nessuna prova è stata fornita dagli attori in corso di giudizio. Solo semplici supposizioni sulla base di prelievi di denaro effettuati dalla sig.ra D. astrattamente elargibile a chiunque". Non provato è l'uso della carta bancomat associata al conto cointestato ai genitori per effettuare prelievi da parte di F.D. (nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., argomentavano gli attori "Chi è andato ad effettuare l'operazione presso l'apparecchio bancomat?", ma nessuna istanza probatoria articolavano sul punto); non allegata prima della comparsa conclusionale e non provata è la circostanza addotta dagli attori che i prelevamenti erano stati effettuati direttamente "per il tramite della delega ad operare sul conto cointestato alla D.M. e al F.R."; gli attori, oltre a riferire nella stessa comparsa conclusionale, in pagine successive, che il prelievo era "effettuato personalmente dalla D.M. presso la Filiale della B.C.", nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. articolavano il capitolo di prova per l'interrogatorio formale deferito a F.D. nei seguenti termini "Vero che ha ricevuto dalla D.M. in più riprese la complessiva somma di oltre Euro.360.000,00 prelevata da essa D. dal conto C. e di cui alla documentazione prodotta da parte attrice". Sempre nella comparsa conclusionale gli attori introducevano la diversa nuova circostanza, non prima tempestivamente allegata, non provata e che neppure avevano chiesto di provare, che F.D. accompagnava la D. in banca per effettuare i prelievi ovvero che fosse stato il F.D. a negoziare e incassare gli assegni firmati dalla D.. La documentazione bancaria prodotta reca la firma, in calce alle distinte delle operazioni in contanti, di D.M., per cui proprio i documenti prodotti in giudizio dagli attori smentiscono le loro affermazioni. Inoltre, dalle copie prodotte risulta che gli assegni erano negoziati dalla stessa D., che firmava sul retro per quietanza. domanda di nullità del contratto vitalizio del 22.9.2009 Occorre ora valutare la domanda formulata dagli attori in merito al contratto vitalizio stipulato dalla de cuius con F.D. il 22.9.2009 per atto del notaio dott.ssa F.P.N.. Gli attori hanno proposto domanda di nullità del contratto, per mancanza di causa, perché assente era l'alea del contratto. Nell'atto introduttivo riferivano che la disponente aveva 78 anni all'epoca di conclusione del contratto ed era affetta da una malattia che "sia pure dopo circa otto anni", la avrebbe portata alla morte. Aggiungevano che non avesse necessità economiche e/o assistenziali, disponendo di proprie rendite, che giustificassero tale attribuzione di beni di valore sproporzionato rispetto alle presumibili e prevedibili esigenze della vitalizianda. Come osservato dal convenuto nella comparsa di costituzione, nessuna specifica malattia da cui era affetta la D. veniva indicata dagli attori nell'atto di citazione; neppure con le memorie istruttorie nulla era specificato, tanto che il G.I. con ordinanza dell'11.5.2021 osservava che "Esplorativa, anche in mancanza di documentazione medica e di allegazione delle patologie di cui era affetta la D., è la richiesta di C.T.U. medica sulla situazione di salute della disponente". Solo con la memoria di replica ex art. 190 c.p.c. gli attori adducono che la D. era affetta da una patologia di natura ematologica, ma non vi è prova che trattavasi di una malattia talmente grave da essere mortale (anche tenendo conto che, come detto, il decesso della de cuius interveniva dopo otto anni). Sul punto occorre richiamare la motivazione di una recentissima sentenza della Corte di Appello di Bari in cui si legge: "A giudizio del Tribunale, le condizioni precarie anche per l'età avanzata delle germane omissis, non consentivano di prevederne la morte nel volgere di pochi mesi, tanto che la omissis è morta a distanza di anni dalla conclusione del contratto in questione. Né parte attrice aveva dato la prova del nesso causale tra il decesso delle omissis e le patologie di cui le medesime erano affette al momento della stipula del contratto di mantenimento. Questa Corte condivide la pronuncia del Tribunale anche alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità a mente della quale "il contratto è nullo per mancanza di alea ove, al momento della sua conclusione, il beneficiario sia affetto da malattia che, per natura e gravità, renda estremamente probabile un esito letale e ne provochi la morte dopo breve tempo o abbia un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere oltre un arco di tempo determinabile" (Cass. civ., II sez., ordinanza del 27.10.2017, n.25624). L'aleatorietà postula, pertanto, un giudizio di presumibile equivalenza (o di palese sproporzione) da impostarsi con riferimento al momento della conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, che deve sussistere a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato. Nella specie, infatti, non è stata data valida prova del prevedibile decesso a breve termine del vitaliziato, nonostante l'età avanzata delle germane omissis. Difatti, dall'attività istruttoria svolta non è emerso, in termini di prevedibilità della durata della sopravvivenza delle germane omissis, che dal momento della stipula del contratto di mantenimento in questione il loro decesso sarebbe sopraggiunto in breve termine. Pertanto, quando non è possibile prevedere anticipatamente, in termini di altissima probabilità, i vantaggi e le perdite cui le parti vanno incontro, l'alea deve ritenersi sussistente. Con riferimento specifico all'età delle beneficiarie vitaliziate, è utile richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n.15848/2011, con cui si è riconosciuta la validità del contratto di mantenimento stipulato in favore di una persona di 84 anni, poiché all'epoca del contratto non sussistevano elementi di fatto tali da indurre a ritenere estremamente probabile un imminente decesso. Sul punto è opportuno osservare che diversamente opinando si giungerebbe inevitabilmente a snaturare la finalità e l'efficacia del contratto in esame, posta la sua innegabile funzione sociale di tutela della popolazione di età più avanzata" (Sentenza n. 657/2023 pubbl. il 21.4.2023). Tanto deve argomentarsi ancor più nel caso di specie, in considerazione della età della vitalizianda, settantottenne all'epoca di conclusione del contratto, in assenza di allegazione e prova di patologie gravi da cui la stessa fosse affetta. Né dimostrata e anzi documentalmente smentita è la asserzione di cui agli scritti conclusionali di parte attrice che, data la sua patologia e la sua età, D.M. fosse stata ritenuta inidonea a gestire il coniuge nella attività di vita quotidiana; invero il G.T., nel decreto di apertura della amministrazione di sostegno a favore di F.R., decideva di nominare un amministrazione esterno al nucleo familiare non per difficoltà fisiche della D., che pure era stata proposta da F.D., difficoltà a cui neppure faceva riferimento, ma sulla base dell'alta conflittualità tra i membri della famiglia. La domanda di nullità del contratto di vitalizio per assenza di aleatorietà, quale causa tipica dello stesso, non può essere accolta. Gli attori hanno lamentato anche la sproporzione tra il valore della nuda proprietà dei beni ceduta al F.D. dalla madre e le prestazioni dovute dall'obbligato. "Il contratto atipico di vitalizio improprio o assistenziale si differenzia dalla donazione per l'elemento dell'aleatorietà, essendo caratterizzato dall'incertezza obiettiva iniziale circa la durata di vita del beneficiario e il conseguente rapporto tra valore complessivo delle prestazioni dovute dall'obbligato e valore del cespite patrimoniale cedutogli in corrispettivo. Ne consegue che l'originaria macroscopica sproporzione del valore del cespite rispetto al minor valore delle prestazioni fa presumere lo spirito di liberalità tipico della donazione, eventualmente gravata da modus" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15904 del 29.7.2016). Si legge in motivazione: "Al riguardo, si osserva che, per costante giurisprudenza, il contratto con il quale una parte, dietro corrispettivo della cessione di un immobile, si obbliga, anche per i propri eredi e aventi causa, a prestare all'altra, per tutta la durata della vita, una completa assistenza materiale e morale, provvedendo ad ogni sua esigenza, integra un negozio atipico qualificabile come vitalizio improprio o assistenziale. Detto contratto è caratterizzato: dall'aleatorietà, che può essere accertata comparando le prestazioni dedotte sulla base di dati omogenei, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento alla data di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, a detta epoca, della durata della vita e delle esigenze assistenziali del vitaliziato; dall'infungibilità di quanto pattuito, intesa come insostituibilità con una somma in denaro ed incoercibilità; dalla non patrimonialità, dovuta all'elemento di fiduciarietà che informa la scelta dell'obbligato e all'incertezza derivante dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno del beneficiario (Cass. S.U. n. 6532/94 e Cass. n. 1503/98). La differenza fra il contratto de quo ed una donazione va apprezzata, soprattutto, avendo riguardo all'elemento dell'aleatorietà, poiché il vitalizio assistenziale è caratterizzato dall'incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del beneficiario e dalla correlativa eguale incertezza del rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dall'obbligato ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, potendosi, peraltro, ritenere presuntivamente sussistere lo spirito di liberalità, tipico della donazione, proprio tramite la verifica della originaria sproporzione tra le prestazioni (Cass. n. 7479/13, resa in un giudizio finalizzato ad accertare la simulazione di una donazione). Nello specifico, la Corte d'appello ha ritenuto che il negozio in questione fosse ispirato "da un intento di liberalità" (peraltro, non negato dal ricorrente nel suo atto di impugnazione). Tale intento è stato desunto dalla corte territoriale, coerentemente con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, sulla base di una serie di elementi di fatto, quali l'età dei coniugi al momento della stipula del contratto, l'obbligo alimentare che, comunque, sarebbe gravato sul figlio per legge, e, soprattutto, la macroscopica differenza fra il minor valore della prestazione gravante sull'obbligato e quello, ben maggiore, dell'immobile trasferito. La corte territoriale ha messo in evidenza che l'impegno assunto da omissis, "attesa la segnalata sproporzione del suo contenuto economico rispetto al valore del bene alienato", non era sufficiente a imprimere al negozio carattere di onerosità, "essendo piuttosto qualificabile come modus", con la conseguenza che, nella specie, doveva ritenersi che le parti avessero stipulato una donazione modale, da considerare valida perché conclusa "dinanzi a un notaio e alla presenza di testimoni, quindi secondo la forma prescritta per le donazioni" (Cass 15904/16 cit.). Anche nel caso di specie si apprezza la notevole sproporzione tra il valore delle prestazioni da rendere alla vitalizianda e il valore della nuda proprietà dei beni oggetto del contratto di vitalizio, come calcolata in Euro 634.700,00 dal C.T.U. ing. L.L., le cui conclusioni, immuni da vizi logici e di metodo, il Collegio condivide appieno. Il C.T.U., infatti, con una valutazione peritale da cui non v'è motivo di discostarsi, ha tenuto conto del metodo del valore normale dei beni, corrispondente al valore di mercato, come determinato dall'Agenzia delle Entrate, quale valore ufficiale di riferimento per le compravendite immobiliari. I dati relativi all'anno 2009, in cui era stipulato il contratto, dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare hanno costituito l'elemento di riferimento; a questi il C.T.U. correttamente ha applicato l'opportuno coefficiente di cui al decreto 7 gennaio 2008 - Adeguamento delle modalità di calcolo dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni (GU Serie Generale n. 9 dell'11.1.2008). D.M. (nata a B. il 9.8.1931) alla data del vitalizio (22.9.2009) aveva 78 anni compiuti e, quindi, ai sensi e per gli effetti del suddetto decreto, il coefficiente per la determinazione dei diritti di usufrutto calcolati al saggio di interesse del 3% è pari a 9,00. Discende che i diritti di usufrutto e di nuda proprietà sono così calcolati: Diritti di usufrutto = 3 % x 9,00 = 27 % Diritto di nuda proprietà = 100 % - 27 % = 73 % Pertanto, il valore della nuda proprietà degli immobili di cui al contratto di vitalizio alla data del 22.9.2009 era pari al 73% del valore commerciale di detti immobili alla stessa data. Non può accedersi al diverso calcolo del valore della nuda proprietà come indicato dal convenuto negli scritti conclusionali, utilizzando un diverso coefficiente che sostanzialmente retrodati l'epoca del contratto, considerando la dichiarazione resa nell'atto dalla D. che nell'atto pubblico "ad ogni buon conto riconosce" che il figlio D. aveva prestato già da dieci anni prima assistenza alla madre. La dichiarazione non circostanziata non consente neppure, in assenza di diversa ed univoca indicazione della volontà della disponente, di conferire alla donazione anche carattere remuneratorio. Invero, secondo l'insegnamento della Corte di legittimità, tenuto conto dell'ingente valore dei beni trasferiti e il minor valore della assistenza da prestare da parte del figlio D. alla madre, anche a voler considerare una aspettativa di vita della vitalizianda di altri venti anni rispetto all'epoca dell'atto, in assenza di prova di specifici e rilevanti esborsi che l'assistenza da prestarsi alla D. comportasse, il contratto di vitalizio va riqualificato come donazione modale. In questo senso erano le conclusioni subordinate degli attori, ove chiedevano in via gradata, "laddove l'atto richiamato nella conclusione precedente non venga ritenuto nullo per i motivi indicati in narrativa ma venga ritenuto costituire donazione, parimenti dichiarare che detto bene fa parte della massa ereditaria sia pure in ragione delle norme della successione necessaria". Si aggiunge per completezza che, alla luce della citata pronuncia della Corte di legittimità del 2016, priva di fondamento è l'eccezione di parte convenuta di cui agli scritti conclusionali di mancata proposizione da parte attrice della domanda di simulazione del contratto di vitalizio, trattandosi di contratto effettivamente voluto dalle parti, riqualificabile dal Collegio, per l'intento di liberalità che lo caratterizza, quale donazione di cui il contratto possedeva i requisiti di forma (atto notarile stipulato alla presenza di due testimoni), come in via subordinata richiesto dagli attori. Con separata ordinanza va disposta la prosecuzione del giudizio per la determinazione dell'asse ereditario, relictum e donatum, e per lo scioglimento della comunione ereditaria, con individuazione delle quote spettanti a ciascun erede (considerando che la disponibile per volontà della de cuius spetta a F.D.). Le spese di lite vanno rimesse alla decisione definitiva, anche in relazione alle spese di C.T.U.. già liquidate con decreto del 14/21.4.2022. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Civile, parzialmente pronunciando sulle domande proposte da F.G., F.C., F.R., P.G. e P.M.S. nei confronti di F.D., nonché sulle domande riconvenzionali del convenuto, ogni altra domanda, eccezione e difesa rigettate, così provvede: - dichiara che le disposizioni del testamento pubblico del 13.4.2010 di D.M. (nata a B. il (...), già ivi residente e deceduta in Bari il 26.12.2017), per atto del notaio dott.ssa F.P.N. (rep. degli atti di ultima volontà n. (...), racc. n. (...)), ledono la quota di legittima degli attori e, per l'effetto, riduce le suddette disposizioni nei limiti della disponibile in favore degli attori, dichiarando l'inefficacia in parte qua del citato testamento; - rigetta la domanda di indegnità a succedere proposta dagli attori nei confronti del convenuto; - rigetta la domanda di indegnità a succedere proposta dal convenuto nei confronti di F.G., F.C., F.R.; - rigetta la domanda di nullità del contratto vitalizio stipulato il 22.9.2009, per atto del notaio dott.ssa F.P.N. (rep. n. (...), racc. n. (...)); - rigetta la domanda di nullità delle donazioni in denaro da parte della D. a favore del figlio F.D.; - dichiara aperta la successione ereditaria di D.M.; - dispone da separata ordinanza la prosecuzione del giudizio; - rimette la decisione sulle spese alla sentenza definitiva. Così deciso in Trani, addì 16 maggio 2023, nella Camera di consiglio della Sezione civile del Tribunale. Depositata in Cancelleria il 1 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI Il Tribunale di Trani, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario di Pace, avv.to Onofrio Montecalvo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al N. 4724 R. G. 2019 tra: (...), rapp.ta e difesa dall'avv.to (...), giusta mandato alle liti conferito con l'atto di citazione di cui in atti e presso il cui Studio, posto in Barletta alla Via (...), è elettivamente domiciliata, - attrice-; contro: (...) S.p.a., in persona del suo procuratore "pro tempore" dott. (...), rapp.ta e difesa dall'avv.to (...), giusta mandato alle liti conferito con la comparsa di costituzione e risposta di cui in atti e presso il cui Studio, posto in Andria alla (...), è elettivamente domiciliata; - convenuta- Oggetto: Assicurazione contro i danni. Conclusioni: Come da scritti introduttivi, memorie e verbali di udienza in atti. PRELIMINARMENTE deve precisarsi che, a seguito dell'entrata in vigore della L.n. 69/09 - che ha modificato l'art. 132 c.p.c. - è stata eliminata la necessità di indicare sinteticamente, in sentenza, lo svolgimento del processo, richiedendosi unicamente la esposizione dei motivi della decisione. FATTO E CENNI SULLO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 04/09/2019, (...), dopo avere premesso di essere proprietaria dell'autovettura Mini Cooper Countryman, targata (...), lamentava che il giorno 04/03/2017, la stessa era stata sottratta da ignoti ladri. Conveniva pertanto in giudizio la (...) s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, società che assicurava l'autovettura in questione per il rischio furto, al fine di sentirla condannare al pagamento, in suo favore, della somma di Euro. 18.000,00, oltre agli interessi ed al danno da svalutazione monetaria, nonché al rimborso delle spese sostenute per la procedura di mediazione che ha preceduto il presente giudizio. Il tutto, con vittoria delle spese e competenze di causa. Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda, eccependo che la lettura dei dati forniti dal rilevatore g.p.s. posto all'interno dell'autovettura aveva evidenziato uno svolgersi degli avvenimenti contrastante rispetto alla versione fornita dall'attrice. La domanda è fondata e deve, nei limiti in seguito precisati e per quanto di ragione, essere accolta come da successiva motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Per quanto concerne l'an della pretesa attorea, la causa può trovare pronta soluzione se si affronta preventivamente la questione della attendibilità dell'apparecchio satellitare inserito nel veicolo assicurato, il quale ne ha rilevato gli ultimi movimenti. Invero, per quanto risulta agli atti, la Compagnia di assicurazioni convenuta, ha ritenuto di non dovere indennizzare l'attrice per il furto della sua autovettura supponendo che, detto veicolo, alla data del 04.03.2017, alle ore 11.00, non si trovava in Ruvo di Puglia, dove invece è stato denunciato il furto, bensì in Terlizzi. Dette risultanze emergerebbero da un documento (datato 15.11.2019), prodotto dalla convenuta, allegato alla propria comparsa di costituzione, dal quale si ricaverebbe che l'ultimo movimento rilevato dal sistema satellitare in dotazione al veicolo sarebbe avvenuto il 04.03.2017 alle ore 10.47.51 sulla S.P.2 in Terlizzi. Per quanto emerso dagli atti di causa, non appare essere stata dimostrata da parte della convenuta l'attendibilità dei dati riportati nel documento datato 15.11.2019 e, in modo particolare, non risulta fornita la prova circa la perfetta funzionalità dell'apparato g.p.s. a cui quei dati si riferiscono ed maggior ragione se si considera che, parte attrice, sin da subito, ha puntualmente contestato l'attendibilità del predetto documento, sotto molteplici profili, in gran parte condivisi da questo giudicante e che di seguito si richiamano per sintesi espositiva. In primo luogo, il report datato 15.11.2019 è da ritenersi privo di attendibilità probatoria, perché privo di sottoscrizione del soggetto che avrebbe emesso la certificazione. Inoltre, i dati della geolocalizzazione, nel medesimo documento trascritti, potrebbero non risultare attendibili in mancanza di prova del corretto funzionamento del dispositivo g.p.s.. In ogni caso, la circostanza che il dispositivo di geolocalizzazione non abbia registrato i movimenti successivi alle ore 10.47 del 04 marzo 2017, tecnicamente può essere imputabile a diversi fattori, di per sé non escludenti a priori l'accadimento dei fatti come riportati dall'attrice in atto di citazione. Inoltre, non vi è prova agli atti di causa che il dispositivo g.p.s. identificato a mezzo di specifico numero di serie nel documento prodotto dalla convenuta, datato 15.11.2019, corrisponda effettivamente al g.p.s. montato sull'autovettura dell'attrice. Non va altresì sottaciuta l'ulteriore circostanza che, parte attrice, avvalendosi di un proprio consulente di parte, nella fase stragiudiziale del sinistro, ha tentato, ma invano, di ottenere da parte della società (...) s.p.a., il report completo dei dati della centralina g.p.s., in dotazione all'autovettura oggetto di furto. Come è emerso all'esito dell'istruttoria del presente giudizio (si veda l'istanza di accesso agli atti prodotta da parte attrice, nonché le dichiarazioni rese dal teste (...) all'udienza del 12.07.2022), la società (...) s.p.a., in seguito alle numerose richieste dell'attrice, finalizzate all'acquisizione del dettaglio della geolocalizzazione del proprio veicolo alla data del furto, rilasciava un report i cui dati si riferivano al giorno 03.03.2017, con ultimo rilevamento alle ore 21.37, non documentando alcunché in relazione alla giornata del 04.03.2017. Tanto, lascia ulteriore spazio ai già prospettati dubbi di inattendibilità del documento prodotto dalla convenuta, il quale, tra l'altro, risulta emesso a circa due anni di distanza dal denunciato furto. L'istruttoria svolta nel presente giudizio ha, invece, confermato il verificarsi degli avvenimenti riportati da parte attrice nell'atto di citazione e, infatti, all'udienza del 12.07.2022, i testi escussi hanno dichiarato che l'autovettura di parte attrice, la Mini Countryman targata (...), alle ore 11.10 circa del giorno 04.03.2017, si trovava regolarmente parcheggiata e chiusa a chiave in Ruvo di Puglia e che la stessa autovettura non veniva più ritrovata dopo circa mezz'ora in quanto presumibilmente sottratta ad opera di ignoti. Invero, per quanto sopra, l'attrice ha pienamente dato corso alla dimostrazione della fondatezza della propria domanda, come rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità, quando afferma che "in tema di diritto al pagamento dell'indennizzo assicurativo, grava sull'attore l'onere di dimostrare tutti i presupposti della sua domanda, in primo luogo, l'effettivo verificarsi del sinistro, trattandosi del fatto costitutivo della domanda, ai sensi del primo comma dell'art. 2697 c.c., in quanto, le eccezioni sollevate dall'assicuratore convenuto, al fine di escludere l'obbligo di prestare la garanzia, non valgono a sollevare l'assicurato dall'obbligo di fornire la prova dell'effettivo verificarsi del sinistro e di ogni altro presupposto del diritto all'indennizzo" (cfr., explurimis: Cass. Civ., 20 marzo 2006 n. 6108; id., 20 aprile 2012 n. 6267). In sintesi, nel caso specifico, l'attrice, onerata della prova dell'effettivo avvenimento del furto, ha prodotto elementi idonei a dimostrarne l'esistenza. Al contrario, la linea difensiva della convenuta, gravata della prova contraria, è stata fondata principalmente su mere supposizioni di fatti ed illazioni, assunte dalla stessa quali postulati, risultati, all'evidenza, non solo non provati ma, soprattutto, contraddetti da opposte risultanze probatorie. Infatti, la convenuta (...), ha fondato le proprie controdeduzioni sulla base della presunta infallibilità del rilevatore satellitare, contestando che il furto denunciato si sia verificato con le modalità descritte dall'attrice nella denuncia presentata alle autorità competenti. Tali affermazioni sarebbero, a dire della convenuta, supportate dal tabulato fornito dalla (...) s.p.a., il quale, riportando i movimenti del veicolo sottratto all'attrice, indicherebbe, quale ultimo rilevamento, quello delle ore 10.47 del giorno 04.03.2017, a partire del quale nessun altro spostamento del veicolo sarebbe stato effettuato. Tale assunto risulta smentito dalle prove testimoniali raccolte nell'istruttoria svoltasi in giudizio, le quali possono essere considerate più che attendibili, rispetto ad un dispositivo elettronico complesso, per sua stessa natura fallibile, il quale se non correttamente funzionante, può riportare dati non corretti. Si pensi, ad esempio, alla semplice manomissione dell'antenna g.p.s. dell'impianto satellitare che non consentendo un corretto aggiornamento dei dati, avrebbe, quale conseguenza logico-giuridica, l'inattendibilità probatoria dei dati risultanti dal report del dispositivo satellitare. Riguardo al quantum debeatur, rimarcata la sostanziale assenza di contestazione sul punto da parte della convenuta, ritiene, il giudicane, che, il valore dell'autovettura in questione (immatricolata nell'aprile del 2014) al momento del furto (gennaio 2017), fosse pari ad euro 17.300,00. Trattasi di valore commerciale parametrato dalla primaria rivista di settore Quattroruote, peraltro, depositata nel fascicolo di parte attoreo, per cui, non sembra esservi esosità nella richiesta. Detta somma (Euro. 17.300,00), pari al valore commerciale dell'autovettura al momento del furto, deve essere rivalutata all'attualità e, pertanto, risulta ad oggi pari ad Euro. 20.258,30. In ordine alla richiesta di rimborso delle spese per l'avvio della procedura di mediazione che ha preceduto il presente giudizio, ritiene questo giudice di dover accogliere la richiesta formulata da parte attrice per le ragioni di seguito esposte. La procedura di mediazione, per la materia oggetto del presente giudizio, è prevista dalla legge a pena di improcedibilità della domanda, quindi, necessaria. Risulta dal verbale di mediazione versato in atti che, la convenuta (...) S.p.A., pur formalmente invitata a partecipare alla procedura di mediazione, per tentare la composizione della controversia, non vi aderiva senza addurre alcun motivo. Questo giudice, in forza del principio di causalità intercorrente tra la procedura di mediazione ed il successivo giudizio di accertamento, ritiene che le spese sostenute dall'attrice per l'espletamento della fase di mediazione siano rimborsabili in quanto esborsi. La convenuta va perciò condannata anche al rimborso delle spese sostenute per l'introduzione del procedimento conciliativo previsto per legge, sostanzialmente riconducendo le spese affrontate al regime di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. e che si liquidano in complessivi euro 800,00. Stante l'accoglimento della domanda, le spese processuali seguono la soccombenza e, quindi, vengono quantificate come nel successivo dispositivo. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), con atto di citazione notificato il 04/09/2019 nei confronti della (...) s.p.a., in persona del suo legale rappresentante e procuratore pro tempore, così provvede: 1) accoglie la domanda di parte attrice e, per l'effetto, condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...), della somma di Euro. 20.258,30, rivalutata all'attualità, a titolo di indennizzo per il furto dell'autovettura Mini Countryman targata (...), oltre interessi legali dal dì sinistro; 2) condanna la (...) s.p.a. al pagamento in favore dell'attrice dell'ulteriore somma di euro 800,00 a titolo di danno emergente quale rimborso spese per l'attivazione della procedura di mediazione conclusasi con esito negativo per mancata adesione della stessa convenuta; 3) condanna inoltre la convenuta a rimborsare al procuratore dell'attrice, che si dichiara anticipatario, le spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 5.413,25 (di cui Euro 336,25 per spese), con parametri medi, oltre rimborso forfettario 15%, C.A.P. ed I.V.A. 22%, se dovuta. Trani, 28 marzo 2023 Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo nel procedimento r.g.n. 3318/2020 avente ad oggetto: retribuzione ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA TRA (...), nata a Barletta il (...), rappresentata e difesa, in virtù di procura allegata al ricorso, dall'avv. (...), presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RICORRENTE E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura allegata alla memoria difensiva, dall'avv. (...), presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RESISTENTE CONCLUSIONI In data 20 febbraio 2023 la causa è decisa mediante lettura del dispositivo in udienza e deposito telematico dello stesso, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 127 ter c.p.c. che consente, per le cause che non richiedono la presenza personale delle parti, di procedere alla trattazione della stessa con la modalità "scritta". Si precisa che non è stato redatto verbale d'udienza e che entrambe le parti hanno depositato note di trattazione scritta. MOTIVI DELLA DECISIONE Il fatto Con ricorso depositato il 10.06.2020 e notificato il 30.06.2020, (...) ha agito in giudizio per ottenere l'accertamento della sussistenza della qualifica superiore di 3° livello alle dipendenze della (...) s.p.a., con conseguente condanna di quest'ultima al relativo inquadramento e al pagamento delle differenze stipendiali. Più specificamente, a sostegno del ricorso ha dedotto: di lavorare alle dipendenze della società resistente dall'8.11.2000, assunta con contratto a tempo indeterminato, con qualifica di impiegata e inquadramento nel 4° livello del CCNL Commercio, con retribuzione medica mensile di Euro 1.616,88; che fin dall'assunzione ha svolto mansioni superiori occupandosi, in autonomia, di procedere alla quantificazione della tassa per l'occupazione di spazi di aree pubbliche, dal che consegue il diritto all'inquadramento nel 3° livello tenuto conto di quanto previsto dall'art. 113 del CCNL e dalle categorie di impiegati indicati in via esemplificativa nel livello 3°; che la retribuzione spettante è di Euro 1.791,04; che, inoltre, dal febbraio 2017, la (...) non ha provveduto a corrispondere l'indennità di maneggio di denaro già precedentemente riconosciuta ai dipendenti inquadrati nel 3° livello e pari al 5% della paga base; che la richiesta stragiudiziale dell'11.06.2019 è rimasta senza esito. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale accerti e dichiari lo svolgimento di mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio con condanna della (...) s.p.a. al relativo inquadramento e al pagamento delle differenze retributive, pari ad Euro 43.738,41, di cui Euro 41.148,96 per il diverso inquadramento ed Euro 2.589,45 per l'indennità di maneggio non corrisposta, o alla diversa somma stabilita in corso di causa; con condanna anche al pagamento dei contributi non correttamente versati; con vittoria di spese. Costituitasi in giudizio, la (...) s.p.a. ha eccepito l'infondatezza della domanda, evidenziando, in particolare, che rispetto all'invocato livello superiore di inquadramento, non ricorrono le condizioni rappresentate dalla sussistenza di autonomia nell'esecuzione delle mansioni affidatele e lo svolgimento di procedure operative complesse. Inoltre, ha eccepito che l'attività di riscossione dei tributi minori, tra i quali rientra la Tosap cui fa riferimento la ricorrente non è mai stata affidata a quest'ultima che comunque non ha mai svolto sul tema compiti in autonomia e di rilievo; inoltre, ha eccepito che non vi è un'attività di quantificazione autonoma degli importi dovuti come tassa poiché vi è un regolamento sulla base del quale sono effettuati i calcoli degli interventi dovuti frutto di mere operazioni matematiche. Quanto all'indennità di maneggio di denaro, ha eccepito che essa è stata corrisposta fino al 2012 ma dall'1.02.2012 è stata assorbita dall'indennità di conglobamento che è stata corrisposta alla ricorrente e che è superiore a quella pretesa. In via subordinata ha eccepito la prescrizione degli importi pretesi. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale dichiari inammissibile la domanda per genericità e, nel merito, la rigetti anche in relazione all'indennità di maneggio; in subordine che applichi la prescrizione ex art. 2948 c.c.; con vittoria di spese. LA DECISIONE 1. La domanda è fondata e va accolta nei termini che seguono. In primo luogo deve premettersi che, ai sensi dell'art. 2094 c.c., "è prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando la propria opera manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Gli indici rilevatori della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sono dunque la presenza di un orario di lavoro, l'esercizio del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, il pagamento di una retribuzione a scadenza fissa, l'inserimento stabile e costante del lavoratore nella compagine organizzativa aziendale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14434/15, ha affermato il seguente principio: "La sussistenza dell'elemento della subordinazione nell'ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità...". Inoltre, per quanto concerne il diritto all'inquadramento e alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, com'è noto, occorre, innanzitutto, l'accertamento dello svolgimento, in fatto, di mansioni ascrivibili alla qualifica superiore, perché, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "nel procedimento logico - giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda." (Cass., sez. L, 30.10.2008, n. 26234; Cass., sez. L, 27.09.2010, n. 20272). Del resto, al fine di poter riconoscere la qualifica superiore, così come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, non disattesa da questo Tribunale, è necessario che l'assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori sia stata piena nel senso che essa abbia comportato anche l'assunzione delle relative responsabilità e l'autonomia propria della qualifica rivendicata (cfr. Cass. civ. sez. lav. n. 12353/2003, n. 11125/2001, n. 2859/2001, n. 7170/98, n. 4200/92). Più specificamente, sul lavoratore che agisce in giudizio per il riconoscimento della qualifica riconducibile alle presunte mansioni superiori esercitate, incombe l'onere di allegare e provare gli elementi posti a sostegno della domanda, ossia di aver svolto, in via continuativa e prevalente, per il periodo previsto dalle norme collettive o dall'art. 2103 c.c. medesimo, mansioni riconducibili al superiore inquadramento rivendicato (cfr. Cass. n. 18418/13). 2. Applicando tali principi al caso di specie deve osservarsi che nel corso del giudizio è stata fornita adeguata prova dello svolgimento da parte della ricorrente, con continuità e prevalenza, di mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio in luogo del 4° livello del medesimo CCNL in cui è stata formalmente inquadrata. Appare opportuno, a tal fine, prendere le mosse dalle previsioni contenute nel CCNL Commercio. In primo luogo deve osservarsi che l'art. 113 del CCNL, nel prevedere i diversi livelli di inquadramento, dispone che: "Al IV livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari, nonché i lavoratori adibiti ai lavori che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche comunque acquisite, e cioè: 1) contabile d'ordine; 2) cassiere comune; 3) traduttore (adibito alle sole traduzioni scritte); 4) astatore; 5) controllore di settore tecnico di centro elaborazione dati, compreso il settore delle telecomunicazioni; 6) operatore meccanografico; 7) commesso alla vendita al pubblico". La disposizione prosegue poi con l'elencazione di ulteriore figure professionali a titolo esemplificativo, tra cui "esattore, esclusi i fattorini e portapacchi autorizzati a riscuotere l'importo della merce all'atto della consegna", "addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita nelle aziende ad integrale libero servizio (grandi magazzini, magazzini a prezzo unico, supermercati ed esercizi similari)", "commesso di rosticceria, friggitoria e gastronomia, anche se addetto normalmente alla preparazione e confezione", "magazziniere; magazziniere anche con funzioni di vendita". Sempre secondo la citata disposizione del CCNL di riferimento si prevede che appartengano, invece, al 3° livello "i lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportino particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza, e i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e tecnico-pratica comunque conseguita, e cioè: 1) steno-dattilografo in lingue estere; 2) disegnatore tecnico; 3) figurinista; 4) vetrinista; 5) creatore o redattore di rapporti negli istituti di informazioni commerciali, con discrezionalità di valutazione dei dati informativi; 6) commesso stimatore di gioielleria; (...) 9) commesso di libreria che abbia la responsabilità tecnica per il rifornimento librario della azienda o di un reparto di essa, che sappia provvedere alla corrispondenza inerente al rifornimento stesso e che abbia sufficiente conoscenza di una lingua estera e della bibliografia". La disposizione prosegue poi indicando ancora altre figure a titolo esemplificativo tra cui "sportellista nelle concessionarie di pubblicità", "contabile/impiegato amministrativo: personale che in condizioni di autonomia operativa e di adeguata determinante iniziativa nell'ambito delle proprie mansioni, sulla base di istruzioni e applicando procedure operative complesse relative al sistema contabile e/o amministrativo adottato nell'ambito dello specifico campo di competenza, è incaricato di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: rilevare, riscontrare, imputare, contabilizzare dati e chiudere conti, elaborare situazioni contabili ed effettuare operazioni anche funzionali a bilanci preventivi o consuntivi, evidenziare posizioni irregolari e gestire i conseguenti interventi operativi". Dal raffronto tra i due diversi livelli di inquadramento contrattuale emerge che gli elementi che li differenziano attengono, essenzialmente, allo svolgimento in via prevalente di mansioni di concetto e/o allo svolgimento di mansioni che "comportano una specifica ed adeguata capacità professionale" espletate "in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni": sono questi, infatti, gli elementi che caratterizzano i lavoratori inquadrati nel 3° livello. Il che trova conferma nella esemplificazione delle varie figure professionali in cui, a fronte del 4° livello nel quale si indicano figure come quelle del "contabile d'ordine" e del "cassiere comune" si registrano, invece, nel 3° livello figure che si caratterizzano o per le spiccate competenze tecnico professionali specializzate ("steno - dattilografo in lingue estere", "disegnatore tecnico", "figurinista") o per l'esercizio di mansioni in autonomia operativa. Significativa, in questo senso, l'indicazione, ad esempio, della figura del "contabile/impiegato amministrativo: personale che in condizioni di autonomia operativa e di adeguata determinante iniziativa nell'ambito delle proprie mansioni, sulla base di istruzioni e applicando procedure operative complesse relative al sistema contabile e/o amministrativo adottato nell'ambito dello specifico campo di competenza, è incaricato di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: rilevare, riscontrare, imputare, contabilizzare dati e chiudere conti, elaborare situazioni contabili ed effettuare operazioni anche funzionali a bilanci preventivi o consuntivi, evidenziare posizioni irregolari e gestire i conseguenti interventi operativi". Così come, in senso inverso, è significativo che nel 4° livello sia indicata, tra le altre, la figura dell'"esattore, esclusi i fattorini e portapacchi autorizzati a riscuotere l'importo della merce all'atto della consegna", quindi con esplicita esclusione di chi è autorizzato a riscuotere i corrispettivi della merce in consegna. Ciò posto, alla luce di quanto emerso dall'istruttoria espletata e tenuto conto della documentazione prodotta, deve ritenersi che le mansioni svolte dalla ricorrente si sostanzino sia in mansioni prevalentemente di concetto che in mansioni svolte con un significativo grado di autonomia operativa, e siano tali quindi da giustificare il diverso inquadramento nel 3° livello del CCNL Commercio. Diversi testimoni escussi, infatti, hanno confermato che la ricorrente svolgeva con prevalenza e continuità attività di calcolo funzionale alla riscossione di alcuni tributi, compiti che non possono essere ritenuti, per definizione stessa, come meramente materiali, tali quindi da essere sussunti nel 4° livello. 3. Più specificamente, esaminando gli esiti dell'istruttoria orale, risultano particolarmente rilevanti le dichiarazioni rese dal teste (...), citato da parte ricorrente, che ha precisato di essere dipendente della (...) dal 2007, di occuparsi di c.d. tributi minori dal 1987 e di essere dal 2018 il coordinatore del gruppo di lavoro dei tributi minori presso la società resistente, ossia proprio il gruppo ove presta la propria attività la sig.ra (...). Il teste ha riferito che "La sig.ra (...) si è sempre occupata anche di riscossione soprattutto negli ultimi 6-7 anni. Man mano il personale dedito allo svolgimento di tale attività è stato ridotto, ragione per cui le attività della (...) sono aumentate". Il teste ha anche dichiarato che "La sig.ra (...) svolge tutte le mansioni di tutti i suoi colleghi al livello superiore". Quanto all'attività di calcolo per la Tosap, il teste ha precisato "Il calcolo per la Tosap temporanea è sempre stato effettuato a mano, diversamente per quella permanente. Non si tratta di operazioni meramente aritmetiche". Le dichiarazioni rese dal teste risultano sufficientemente specifiche e pienamente attendibili perché frutto di una cognizione diretta dei fatti di causa, trattandosi di teste che ha riferito di lavorare con continuità con la ricorrente e all'interno del medesimo settore. Significativo poi è il riferimento del teste al fatto che le mansioni svolte dalla ricorrente siano del tutto sovrapponibili a quelle svolte da colleghi che hanno ricevuto un inquadramento superiore e anche sul fatto che le operazioni di calcolo della Tosap, di cui si occupava la ricorrente come confermano anche le difese della (...) e la documentazione in atti non si traducessero in mere operazioni aritmetiche. Parimenti significative sono le dichiarazioni rese dal teste (...), sempre citato da parte ricorrente, che ha premesso di essere operaio affissatore. Il teste ha confermato le mansioni svolte dalla ricorrente come indicate in ricorso, precisando che la ricorrente "si occupa anche di abbonamenti quindi maneggia anche denaro". Il teste ha poi ulteriormente chiarito che la ricorrente si occupa "del conteggio per i manifesti, del calcolo per l'occupazione del suolo pubblico edile o mercatorio e quindi anche della riscossione, accertamento e rendicontazione". Significativa è poi la precisazione del teste che ha dichiarato che la ricorrente, nello svolgere tali compiti "È completamente autonoma e non riceve indicazioni da nessuno". Anche tali dichiarazioni risultano sufficientemente specifiche e attendibili, anche perché sostanzialmente in linea con quelle rese dal teste (...). Particolarmente rilevante risulta poi il riferimento ai diversi compiti svolti dalla ricorrente concernenti la raccolta dei tributi, avendo espressamente riferito il teste che la ricorrente si occupava e si occupa di tutte le diverse fasi, dal calcolo per l'occupazione di suolo, alla riscossione e alla rendicontazione del tributo. Tale riferimento assume particolare rilievo se si considera che la disposizione innanzi citata del CCNL nel prevedere, a titolo esemplificativo, alcune figure professionali riconducibili al 3° livello indica, tra le altre, la figura del "contabile/impiegato amministrativo", descrivendola come il "personale che in condizioni di autonomia operativa e di adeguata determinante iniziativa nell'ambito delle proprie mansioni, sulla base di istruzioni e applicando procedure operative complesse relative al sistema contabile e/o amministrativo adottato nell'ambito dello specifico campo di competenza, è incaricato di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: rilevare, riscontrare, imputare, contabilizzare dati e chiudere conti, elaborare situazioni contabili ed effettuare operazioni anche funzionali a bilanci preventivi o consuntivi, evidenziare posizioni irregolari e gestire i conseguenti interventi operativi". Si tratta, a ben vedere, di compiti in gran parte coincidenti proprio con quelli svolti dalla ricorrente. In questo senso anche le dichiarazioni rese dal teste (...), che ha riferito di lavorare dal 2017 nello stesso ufficio della ricorrente. Il teste ha confermato che la (...) si occupa della riscossione della tessa per il Comune di Barletta e che "dal 2017 lavoro nello stesso ufficio e svolgo le stesse mansioni, tuttavia io sono inquadrato nel livello superiore". Il teste ha quindi precisato che "Per la Sosap calcoliamo metro quadro per tariffa per numero giornate", chiarendo che "l'esercizio di questa attività viene da noi svolta in piena autonomia senza ricevere direttiva da alcuno" e precisando che "per attività intendo dire l'istruttoria di ciascuna pratica". Il teste Piazzolla ha anche confermato che sia lui che la ricorrente hanno rapporti con il pubblico e svolgono anche attività di accertamento istruttorio e annullamento e che in caso di mancato pagamento provvedono ad emettere accertamento ed eventualmente ingiunzione di pagamento. Anche tali dichiarazioni assumono particolare rilievo perché evidenziano lo svolgimento con continuità da parte della ricorrente di mansioni di concetto, svolte con un sufficiente grado di autonomia operativa nell'istruzione e nella gestione delle singole pratiche e con un'attività che investe le diverse fasi, da quella del calcolo del tributo a quella della riscossione. Peraltro, la ricostruzione dei fatti emersa sulla base delle dichiarazioni fin qui esaminate ha trovato riscontro, quanto meno parziale, anche nelle dichiarazioni rese da alcuni dei testi citati da parte resistente. E così, il teste (...), dipendente della società resistente da dicembre 2000, dopo aver precisato che da dicembre 2014 ha assunto la responsabilità della gestione operativa del servizio di riscossione dei tributi minori e fino al gennaio 2017, ha riferito che "sebbene i gestionali siano stati adottati dal 2005, dal 2015 la rendicontazione della Tosap è stata gestita in forma cartacea per circa un mese a causa dell'aggiornamento del software". Il teste ha poi precisato che "la ricorrente si occupa anche della rendicontazione dei flussi finanziari dell'ufficio e quindi dell'entrate dei singoli tributi che viene trasmessa all'uffici o di ragioneria (...). La signora (...), nell'ambito delle funzioni amministrative, si occupa anche dell'attività di accertamento istruttoria ed eventualmente annullamento. La sig.ra (...) riceve anche personalmente gli utenti soprattutto nelle ipotesi di occupazione di suolo pubblico". È evidente, quindi, che anche tale testimone ha sostanzialmente confermato le mansioni svolte dalla ricorrente che attengono alla diverse fasi, di accertamento e riscossione, della Tosap. Quanto al teste (...), direttore amministrativo della società resistente, pur affermando che "le direttive e indicazioni le da il coordinatore del servizio (...)", ha anche precisato che "per tali intendo attività di coordinamento dell'intero ufficio" e che il coordinatore "non fornisce alla signora (...) indicazioni e ordini per ciascuna pratica in quanto le attività possono ritenersi autonome perché ripetitive". La precisazione svolta dal teste assume particolare rilievo perché conferma la sostanziale autonomia operativa della ricorrente nella istruttoria delle singole pratiche. Del resto, appare certamente verosimile che ciò avvenga all'interno di un coordinamento generale, considerata la rilevanza del tipo di attività e la necessità che essa sia svolta per criteri omogenei e certi sostanziandosi nell'attività di accertamento e riscossione di tributi, e ciò spiega, quindi, l'esigenza di un coordinamento che, però, non intacca la autonomia operativa della ricorrente. Quanto alla precisazione svolta dal teste in ordine al fatto che le attività sarebbero "autonome perché ripetitive", si tratta in realtà di una valutazione svolta dal teste che, come tale, non assume rilievo; del resto, è notorio che la ripetitività contraddistingue la quasi totalità delle prestazioni lavorative e, come tale, non può essere considerato un dato decisivo per differenziarle. All'interno di un quadro istruttorio così ricostruito assumono scarso rilievo le dichiarazioni rese dal teste (...), dirigente del personale dal 2 012", che ha dichiarato che la ricorrente "Non si occupa del calcolo degli importi dovuti dai contribuenti per occupazione di suolo pubblico perché sono gestiti da software secondo schemi e parametri prestabiliti", ha negato lo svolgimento da parte della stessa di "attività accertamento e istruttoria". Tali dichiarazioni, per un verso, risultano del tutto contrastanti con quelle rese da tutti gli altri testi escussi e, per altro verso, appaiono il frutto di una conoscenza indiretta dei fatti di causa, laddove gli altri testi hanno precisato tutti, sia pure con diverse modalità e tempistiche, di aver lavorato a stretto contatto con la ricorrente, mostrando, quindi, una conoscenza maggiormente specifica e diretta dei fatti di causa che rende le relative deposizioni più attendibili. Inoltre, a conferma di quanto dichiarato dalla maggior parte dei testi, risultano prodotti anche alcuni documenti, per lo più copie di ricevute di tassa per occupazione spazio pubblico e per spazi a parcheggio che, pur avendo una datazione recente, confermano il tipo di mansione svolta dalla ricorrente che deve presumersi sia stata svolta dalla stessa con continuità e prevalenza durante il periodo in oggetto, proprio alla luce di quanto dichiarato dai testi. 4. Deve ritenersi, quindi, che le mansioni svolte dalla ricorrente con continuità e prevalenza siano riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio applicato al rapporto. Occorre, a questo punto, stabilire se da tale premessa discenda il diritto della parte all'inquadramento nel livello superiore. Sul punto la difesa della resistente nelle note conclusive ha eccepito la inammissibilità/infondatezza della domanda perché sarebbe preclusa la possibilità di modificare l'inquadramento in via giudiziale per le società a totale partecipazione pubblica. In primo luogo deve premettersi che tale osservazione, pur formulata solo nelle note conclusive, è ammissibile vertendo su una questione sostanzialmente interpretativa di norme giuridiche e come tale ammissibile. Peraltro, sulla stessa ha comunque replicato la difesa della ricorrente nelle note di trattazione scritta, quindi si è pienamente realizzato il contraddittorio tra le parti. Con riferimento a tale questione appare condivisibile la soluzione affermata dalla recente decisione resa dai Giudici di Legittimità in materia n. 35421 dell'1.12.2022, secondo cui " Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, bensì, in assenza di una disciplina derogatoria speciale, dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati; ne consegue che l'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif, dalla l. n. 133 del 2008, e la legislazione della Regione Sicilia che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all'assunzione di nuovo personale, imponendo il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all'applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell'art. 2103 c.c.". Appare opportuno, per ragioni di chiarezza espositiva, riportare di seguito alcuni passi della motivazione della citata decisione: "(...) 6.1. Le Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno affermato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società, la quale resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016). L'orientamento espresso, condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stat. Ad. Plen. n. 10/2011), è stato fatto proprio dal legislatore che già con l'art. 4, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, nel testo risultante all'esito della conversione disposta dalla legge n. 135 del 2012, aveva previsto, con norma dichiarata espressamente di interpretazione autentica, che "le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali". Il sistema delle fonti così delineato è stato ribadito dal D.Lgs. n. 175 del 2016 che, all'art. 1, comma 3, ha previsto, con disposizione di carattere generale, che "per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato" ed ha aggiunto, con specifico riferimento al rapporto di lavoro, che "salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi" (art. 19, comma 1). (...) Si tratta di un percorso argomentativo, sviluppato in continuità con quello seguito, sia pure in diversa fattispecie, da Cass. S.U. n. 4685/2015, sul quale non si può fare leva per estendere ai rapporti di lavoro validamente instaurati con la società partecipata la nullità dell'assegnazione di fatto a mansioni superiori sancita, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, dall'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che prevede anche il correlato divieto di attribuzione della qualifica superiore, per effetto dello svolgimento di fatto di mansioni diverse da quelle corrispondenti al livello di inquadramento attribuito al momento dell'assunzione. In relazione ai rapporti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 2 del richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, l'art. 52, per il suo carattere speciale, impedisce, tenuto conto del sistema delle fonti delineato dall'art. 3, comma 2, l'applicazione della disciplina generale delle mansioni dettata dall'art. 2103 cod. civ., non compatibile con l'impiego pubblico, sia pure contrattualizzato, non solo per l'incidenza che su detta disciplina ha il principio della necessaria concorsualità dell'assunzione (incidenza che, come si vedrà, giustificherebbe il divieto solo nel caso di svolgimento di mansioni riferibili ad un'area diversa da quella di inquadramento), ma anche e soprattutto perché la normativa privatistica non si concilia con le regole e con i principi ai quali le amministrazioni pubbliche, non i soggetti privati, devono attenersi nell'organizzazione degli uffici, nella determinazione del fabbisogno di personale, nella correlata e necessaria previsione della spesa. 7.1. Un'analoga disposizione derogatoria della disciplina dettata dall'art. 2103 cod. civ. non si rinviene per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle società a partecipazione pubblica, giacché il richiamato art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, disciplina il reclutamento del personale e, quanto alla gestione dei rapporti costituiti, si limita a prevedere, al comma 2 bis, che "le predette società adeguano inoltre le proprie politiche di personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze.". Anche l'art. 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016 (ratione temporis non applicabile alla fattispecie), dopo avere enunciato il principio generale dell'applicazione ai dipendenti delle società a controllo pubblico delle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle imprese private, limita la nullità testuale prevista dal comma 4 ai soli "contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2" e, quanto alla gestione dei rapporti, prevede unicamente il potere del socio pubblico di fissare "con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale e tenuto conto di quanto stabilito all'articolo 25, ovvero delle eventuali disposizioni che stabiliscono, a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera". (....) 7.3. Escluso, quindi, che l'attribuzione definitiva della qualifica superiore possa essere impedita dalle disposizioni di leggi, statali e regionali, che onerano gli amministratori delle società controllate di perseguire nella gestione del personale politiche di contenimento dei costi, va parimenti escluso che l'applicazione dell'art. 2103 cod. civ. si ponga in contrasto con gli obblighi imposti in tema di reclutamento alle società a controllo pubblico. È risalente nel tempo, ma ancora attuale, l'orientamento espresso da questa Corte secondo cui nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati il mutamento delle mansioni e della qualifica non comporta novazione oggettiva del rapporto di lavoro intercorso, senza soluzione di continuità, fra i medesimi soggetti, giacché l'art. 2103 cod. civ., in tutte le versioni succedutesi nel tempo, prevedendo la possibilità di assegnazione del lavoratore a mansioni diverse, considera il mutamento delle mansioni originarie come semplice modificazione dell'oggetto dello stesso rapporto, anche nell'ipotesi in cui l'attribuzione di una diversa qualifica comporti l'applicazione di una diversa normativa collettiva o il passaggio ad altra categoria (cfr. Cass. n. 11/1988, Cass. n. 186/1984, Cass. n. 1055/1975). Nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, pertanto, l'attribuzione della qualifica superiore avviene nell'ambito dell'unico rapporto già costituito e non determina l'instaurazione di un rapporto autonomo, distinto dal precedente, sicché non può essere equiparata all'assunzione. Alla luce del richiamato principio, applicabile alle società a partecipazione pubblica per la natura privatistica delle stesse e dei rapporti dalle medesime instaurati, è da escludere che la disciplina del reclutamento, dettata dapprima dall'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e poi dall'art. 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016, possa essere interpretata nel senso di ricomprendere anche le progressioni di carriera. (...) L'equiparazione alla costituzione del rapporto di impiego del passaggio fra aree diverse, non si presta, però, ad essere applicata alle società controllate né può costituire un argomento per estendere all'assegnazione di fatto di mansioni superiori la nullità virtuale derivante dalla previsione dell'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 o quella testuale prevista dall'art. 19, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2016. Quanto al primo aspetto va detto che la contrattazione collettiva applicabile ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle società controllate non è quella disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001 che, in relazione alla classificazione del personale, tiene conto della distinzione fra area di inquadramento e livello o posizione economica all'interno dell'area. D'altro canto, e questo argomento potrebbe essere assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, l'orientamento che riconosce un'efficacia novativa al passaggio di area ha ragionato su rapporti di impiego pubblico che richiedono, nella normalità, il superamento di una procedura concorsuale in senso stretto, attuativa del precetto dell'art. 97 Cost., procedura alla quale la stessa Corte Costituzionale ha escluso che possa essere equiparata quella prevista dai richiamati artt. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016. In particolare, ha sottolineato la Corte che "con l'art. 18 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modifiche, e poi con il citato art. 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016, sono stati introdotti criteri di selezione ai fini delle assunzioni del personale in questione, ma è anche vero che non si è mutata la natura strettamente privatistica del rapporto, né si è imposta una procedura propriamente concorsuale. Rimane dunque fra questo personale e quello dipendente delle pubbliche amministrazioni una barriera tuttora insuperabile, che trova la sua giustificazione anzitutto sul piano delle scelte discrezionali compiute dal legislatore statale nell'esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile ..." (Corte Cost. n. 227/2020). 7.5. In altri termini, fermo restando che le procedure di reclutamento imposte dalle disposizioni inderogabili più volte richiamate costituiscono formalità necessarie per l'instaurazione del rapporto alle dipendenze delle società controllate, rapporto del quale condizionano la validità, sulla previsione delle stesse non si può fare leva per ritenere derogata, in assenza di un'espressa previsione normativa, la disciplina delle mansioni del rapporto già costituito, sia perché alle società partecipate non possono essere estesi né l'art 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 né i principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di concorsi pubblici interni, sia in quanto la nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, cod. civ., richiede che la norma proibitiva si riferisca al contratto o all'atto del quale si vuole porre in discussione la validità. 7.6. Non avvalora la tesi della nullità virtuale, come si è detto non predicabile, l'ipotizzare un uso distorto della disciplina delle mansioni per ottenere un risultato finale contrastante con i principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità che stanno alla base della norma sul reclutamento. In quel caso, infatti, alla responsabilità civilistica ed erariale nei confronti della società e del socio pubblico dell'amministratore che detto uso distorto abbia realizzato, sul piano contrattuale si può affiancare, sempre che ne ricorrano i presupposti, il rimedio civilistico tratto dalla disciplina della frode alla legge, ravvisabile nei casi in cui nonostante la liceità del mezzo impiegato, sia illecito il risultato ottenuto. (...) In via conclusiva meritano accoglimento il secondo ed il terzo motivo di ricorso; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto che, sulla base degli argomenti esposti nei punti che precedono, di seguito si enuncia: "Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, che trovano applicazione in assenza di una disciplina speciale derogatoria. L'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e la legislazione della Regione Sicilia, che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all'assunzione di nuovo personale ed impone il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all'applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell'art 2103 cod. civ.". La ricostruzione operata dalla Suprema Corte appare pienamente condivisi bile perché frutto di un'attenta analisi della disciplina in materia di pubblico impiego privatizzato e, al contempo, ispirata alla necessità di considerare le dovute e ragionevoli differenze tra i rapporti di lavoro alle dipendenze di P.A. ed enti pubblici e alle dipendenze di società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria, in virtù delle quali, quindi, non può esservi una totale equiparazione. E ciò anche in considerazione della necessità di tenere distinta nettamente la disciplina del reclutamento da quella delle mansioni superiori che, secondo la condivisibile ricostruzione operata dalla Corte, in quanto disciplina di carattere generale, non può essere derogata sulla base di previsioni speciali derogatorie. Da ciò consegue, quindi, che la domanda sul punto può essere accolta e, per l'effetto, va accertato e dichiarato che (...) dall'8.11.2000 al 10.06.2020 ha svolto mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio con condanna della (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, a inquadrarla nel suddetto 3° livello. 5. Per quanto concerne la quantificazione degli importi dovuti a titolo di differenze retributive, deve osservarsi che la resistente ha tempestivamente eccepito la prescrizione quinquennale all'atto della costituzione in giudizio. Sul punto assume particolare rilievo la recente decisione della Corte di Cassazione n. n. 26246 del 06.09.2022 che, nell'affrontare la questione concernente la individuazione del momento di decorrenza della prescrizione per i rapporti di lavoro alla luce delle modifiche intervenute sulla disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro, ha affermato che "Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro". Si tratta di un principio particolarmente rilevante perché individua nel momento dell'entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 il momento al quale riferimento, nel senso che per i diritti che a tale data non siano ancora prescritti sarà possibile considerare come dies a quo della prescrizione il momento di cessazione del rapporto di lavoro; il che comporta, quindi, che per tali diritti non decorre la prescrizione fino al momento della relativa cessazione del rapporto. Ciò del resto si giustifica, in via di estrema sintesi, secondo la ricostruzione dei Giudici di Legittimità, con il fatto che è proprio la legge n. 92 del 2012 ad aver introdotto elementi di forte modifica del sistema di tutela precedente innescando, in questo modo, un elemento di incertezza nella tutela del lavoratore che giustifica, quindi, la decorrenza dei relativi diritti alla cessazione del rapporto lavorativo. Alla luce di ciò, considerata la data di entrata in vigore della legge n. 92/2012, ossia il 18.07.2012, devono ritenersi prescritti i crediti per le differenze retributive scaturenti dal diverso inquadramento e maturati fino al 18.07.2012. Pertanto, possono essere riconosciuti alla ricorrente crediti per differenze retributive derivanti dall'inquadramento nel livello superiore secondo il seguente conteggio: - 5 mesi del 2012; - 7 anni (ossia dal 2013 al 2019), ossia per 12 mesi x 7 ossia 84 mesi; - 5 mesi del 2020, considerando che il giudizio è stato iscritto a ruolo il 10.06.2020. Quanto alla differenza retributiva essa risulta indicata in ricorso in quella pari alla differenza tra Euro 1.791,04 (retribuzione mensile 3 livello) ed Euro 1.616,78 (retribuzione mensile 4 livello), ossia Euro 174,36, importo poi rettificato (in misura minore) nelle note conclusive in Euro 170,69. Tali importi non sono stati oggetto di specifica contestazione ad opera della parte resistente e quindi possono essere considerati. Pertanto, poiché la differenza tra la retribuzione ricevuta dalla ricorrente e quella che avrebbe dovuto ricevere è pari ad Euro 170,69 mensile (cifra indicata a pagina 8 delle note conclusive e non oggetto di specifica contestazione), moltiplicando tale importo per il totale dei mesi considerati accogliendo nei termini chiariti l'eccezione si prescrizione (ossia 94 mesi), la ricorrente risulta creditrice di Euro 16.044,86 (ossia 94 mesi x 170,69). Alla luce di ciò, la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, va condannata al pagamento in favore di (...) di Euro 16.044,86 a titolo di differenze retributive per il diverso inquadramento dovuto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla maturazione al saldo. 6. Infine, con riferimento all'indennità di maneggio pure richiesta dalla ricorrente, premesso che i testi escussi hanno confermato che la ricorrente curava anche l'attività di riscossione e che vi sono stati periodi nei quali non è stato possibile l'uso del POS, considerato che in realtà non può dirsi dimostrato quanto eccepito dalla (...) in ordine al fatto che la voce conglobamento fosse idonea ad assorbirla e ricomprenderla, non essendovi elementi documentali certi che ne provino l'identità e considerato, infine, che non vi è contestazione dello specifico importo richiesto a tal fine dalla ricorrente, la domanda va accolta sul punto e, conseguentemente, la (...) va condannata al pagamento in favore della ricorrente di Euro 2.589,45 per l'indennità di maneggio non corrisposta, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla maturazione al saldo. Quanto alla domanda relativa alla regolarizzazione contributiva, considerato l'oggetto della stessa, la mancata citazione in giudizio dell'INPS, che è considerato litisconsorte necessario in questo tipo di giudizi (cfr. Cass. n. 17320/2020), la stessa va rigettata. Spese processuali Il non totale accoglimento della domanda nei termini formulati e la sussistenza di orientamenti anche di segno contrario al presente sulla questione concernente il diritto all'inquadramento nella qualifica superiore da parte di società a partecipazione pubblica giustificano la compensazione parziale delle spese processuali nella misura di 1/3; per la restante parte le spese processuali tra la ricorrente e la resistente (...) s.p.a. seguono la soccombenza e sono liquidate d'ufficio ai sensi del d.m. n. 55/14, come modificato dal d.m. n. 147/22, applicando i valori non inferiori ai minimi dello scaglione di riferimento (indeterminabile - complessità bassa), tenuto conto della natura della controversia, delle ragioni della decisione, e della limitata attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 3318/2020 come innanzi proposta, così provvede: 1. accerta e dichiara che (...) dall'8.11.2000 al 10.06.2020 ha svolto mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio e, per l'effetto, condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, a inquadrarla nel suddetto 3° livello; 2. condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, al pagamento in favore di (...) di Euro 16.044,86 a titolo di differenze retributive per il diverso inquadramento dovuto, nonché al pagamento di Euro 2.589,45 per l'indennità di maneggio non corrisposta, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla maturazione al saldo; 3. rigetta la domanda di regolarizzazione della posizione contributiva; 4. condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, al pagamento delle spese processuali in favore di (...) che, al netto della compensazione di 1/3, liquida in Euro 2.500,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge. Trani, 20 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione ex artt. 127 ter, 429 e 442 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 8620 dell'anno 2018 TRA (...), nata a (...) il (...), rappresentata e difesa dall'avv. Sa.An., giusta procura a margine del ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO (...) s.r.l., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Do.Ga. e dall'avv. An.Di., giusta procura a margine della memoria di costituzione e risposta; - Resistente - In data 09.03.2023 la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 127-ter c.p.c. Si precisa che non viene redatto verbale d'udienza e che almeno una delle parti in causa ha depositato note di trattazione scritta. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 3 dicembre 2018, (...) adiva codesto Giudice del Lavoro per vedere accertata e dichiarata la natura subordinata ovvero di collaborazione etero-organizzata del rapporto dalla stessa intrattenuto con la (...) s.r.l. dal 1 luglio 2017 al 31 marzo 2018, in forza di plurimi contratti di collaborazione autonoma coordinata e continuativa. Domandava altresì che i predetti contratti fossero dichiarati illegittimi, che il vincolo con la società fosse convertito in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che di conseguenza la resistente fosse condannata alla riammissione in servizio della lavoratrice, alla regolarizzazione della relativa posizione contributiva, nonché alla rifusione delle spese del giudizio. In particolare, (...) deduceva di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l., con la mansione di operatrice di call center, dal 01.07.2017 al 31.03.2018, in forza di plurimi contratti di collaborazione autonoma coordinata e continuata della durata di trenta giorni ciascuno; di averli impugnati mediante monitoria del 20.04.2018; di aver formulato richiesta di conciliazione ex art. 6 co. 2 L. n. 604 del 1966 in data 15.10.2018, non riscontrata dalla società datrice di lavoro; Rappresentava, inoltre, che il rapporto di lavoro summenzionato, sebbene qualificato come collaborazione coordinata e continuativa ex artt. 2 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2015 e 409 n. 3 c.p.c., configurasse in realtà un rapporto di lavoro subordinato ovvero una collaborazione etero-organizzata. In merito, sul piano fattuale, la lavoratrice esponeva di: aver prestato la propria attività presso i locali della società all'interno dei quali utilizzava, previa prenotazione, le postazioni e gli strumenti di lavoro messi a disposizione, la cui mancata fruizione determinava l'applicazione di una multa in busta paga; di essere stata munita di badge che monitorava gli orari di ingresso e d'uscita; di aver lavorato dalle 13:00 alle 21:00 osservando 15 minuti di pausa ogni 2 ore, trascorsi sul luogo di lavoro; di aver potuto abbandonare il luogo di lavoro solo per motivi di salute durante la predetta attività; di essere stata assoggettata al potere di controllo dell'azienda, da questa esercitato mediante "team leader"; di aver percepito un'indennità di frequenza in misura fissa, solo se presente tutti i giorni del mese, ed un altro emolumento eventuale, corrisposto solo alla conclusione di 900 contratti da parte dell'operatore; Mentre, sul piano normativo, esponeva che il vincolo negoziale sussistente tra le parti avrebbe dovuto essere sussunto nell'alveo della fattispecie di cui al co. 1 dell'art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2015, piuttosto che al co. 2 lett a). Ciò in quanto l'associazione sindacale (...) che aveva stipulato l'accordo collettivo nazionale applicato al rapporto non sarebbe comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale. In via ulteriore, rilevava altresì che la (...), altra associazione sindacale firmataria dell'accordo, avrebbe disdetto l'accordo applicato ritirando la propria firma. Si costituiva in giudizio la (...) s.r.l., in persona del proprio rappresentante pro-tempore, rilevando che tra le parti in causa non sarebbe sussistito un rapporto di lavoro subordinato per carenza degli elementi costitutivi della fattispecie, in quanto il datore di lavoro non avrebbe esercitato poteri direttivo, disciplinare e di organizzazione. Stando alla ricostruzione della resistente, la lavoratrice avrebbe determinato autonomamente il luogo presso cui svolgere la propria prestazione, avendo potuto scegliere tra le sedi messe a disposizione dall'azienda e le postazioni private attrezzate, la quantità di ore da dedicarvi e i momenti in cui sospenderla. L'operatrice avrebbe altresì deciso quando assentarsi, senza avere l'obbligo di motivare tale scelta, non sarebbe stata assoggettata al controllo dei "team leader" svolgendo questi funzioni di supporto tecnico e motivazionale, né avrebbe subito una decurtazione in busta paga per la mancata fruizione della postazione di lavoro prenotata, trattandosi tale misura di una penale di importo pari ad Euro 2,00 dovuta per aver inutilmente occupato le attrezzature. Quanto al trattamento economico, la (...) ha eccepito che la retribuzione dovuta era costituita da: indennità mensile di garanzia, corrisposta dalla società in proporzione ai contatti telefonici validamente raggiunti dalla lavoratrice; indennità variabile di progetto, maturata in base ai contatti positivi instaurati; indennità economiche suppletive, consistenti in bonus eventualmente previsti a livello individuale o collettivo. In relazione alla qualificazione giuridica del rapporto, la società resistente rilevava che il vincolo non poteva essere ascritto neppure alla collaborazione etero-organizzata dal committente di cui all'art. 2 co. 1 del D.Lgs. n. 81 del 2015, soggetta alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, in quanto la prestazione della ricorrente era stata dalla stessa autonomamente organizzata, senza alcun'ingerenza da parte della società datrice, fatto salvo il coordinamento della stessa con le esigenze dell'azienda. In ultima battuta, la società datrice ribadiva l'assoggettamento del rapporto alla disciplina di cui all'art. 2 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2015 sulla scorta della circostanza per cui la (...), associazione di categoria dei datori di lavoro del settore, sottoscrittrice del CCNL del 22.07.2013, rientrerebbe tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, conformemente alla previsione normativa. Parimenti privo di fondamento sarebbe la disdetta della UGL dal predetto contratto collettivo. La causa veniva istruita oralmente. La domanda è infondata e va rigettata per i motivi che di seguito si precisano. Il caso in esame ha ad oggetto l'accertamento della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intercorso tra (...) e la (...) s.r.l. Parte ricorrente domanda che il ridetto vincolo venga qualificato come rapporto di lavoro subordinato ovvero, in caso di mancato accertamento degli indici costitutivi della fattispecie, come collaborazione etero-organizzata di cui all'art. 2 co.1 D.Lgs. n. 81 del 2015. La società resistente, da parte sua, chiede che il contratto di lavoro venga ricondotto nell'alveo della collaborazione autonoma di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c., ovvero all'ipotesi di cui all'art. 2 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2015. Le parti, oltre a divergere sulla veste giuridica da attribuire al contratto, divergono altresì sulle modalità di svolgimento della prestazione (funzione del badge; orario di lavoro; cancellazione della prenotazione della postazione; potere di controllo esercitato dai "team leader"; articolazione della retribuzione). Al fine di accertare la natura del vincolo, occorre stabilire se, nel caso in esame siano rinvenibili gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato ovvero quelli tipici della collaborazione coordinata e continuativa, attese le peculiarità delle mansioni tipiche di un operatore di call center inbound, per la cui definizione si richiama la prassi amministrativa, sulla scorta della quale il compito del collaboratore inbound è quello di "di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza di un prodotto o un servizio riconducibile ad un singolo committente" (Circ. Min. Lav. n.17/2006). Detto profilo giustifica il riconoscimento di una maggiore autonomia al collaboratore, rispetto all'operatore di call center outbound, tale per cui la prassi amministrativa ha previsto che, il contratto di lavoro dei collaboratori in questione non sia vincolato alla sussistenza di un progetto ad hoc, ma alla previsione di una retribuzione non inferiore alla soglia fissata dalla contrattazione collettiva. Quanto detto depone nel senso dell'astratta riconducibilità del rapporto di lavoro entro la fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa "autonoma", ex art. 409 n. 3) c.p.c. la quale annovera le collaborazioni coordinate e continuative nelle quali il lavoratore s'impegna a svolgere una prestazione a carattere prevalentemente personale e continuativo in favore di un committente, coordinando con esso le modalità di esecuzione, in assenza di vincoli di subordinazione. La norma richiamata poi precisa che "la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa", facendo così salva l'autonomia del prestatore nella definizione dei tempi, dei luoghi e delle modalità di esecuzione dell'attività allorquando le parti del negozio predeterminino le regole generali del rapporto stesso, affinché l'attività del collaboratore sia funzionale all'organizzazione e agli obiettivi dell'impresa del committente. Alla collaborazione coordinata e continuata così disciplinata, si contrappone quella etero-organizzata introdotta dal D.Lgs. n. 81 del 2015, attuativo della legge delega n. 183/2014, che al co. 1 dispone "a far data dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente". Talché l'elemento discriminante rispetto alla collaborazione autonoma è dato dalla circostanza per cui il committente non si limita ad un coordinamento con il collaboratore ma ne organizza direttamente la prestazione, definendone anche tempi e luoghi di lavoro. Di conseguenza, posto che l'organizzazione della prestazione da parte del committente avvicina il rapporto di collaborazione a quello subordinato, alla collaborazione si applica la relativa disciplina. Giova evidenziare che l'applicazione dell'art. 2 comma 1 D.Lgs. n. 81 del 2015 in ogni caso non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, ma lascia inalterata la natura parasubordinata, estendendo al lavoratore solo la relativa disciplina. Tuttavia, la predetta norma non trova applicazione, per espressa previsione dell'art. 2 co. 2 lett. a), alle "collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore". Orbene, le collaborazioni coordinate e continuative autonoma ed etero-diretta si distinguerebbero dal rapporto di lavoro subordinato, la prima in modo netto e la seconda in modo attenuato, per l'assenza del vincolo di soggezione verso il datore di lavoro, da intendersi come assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e organizzativo. Posto che l'art. 2094 c.c., affermando che è prestatore di lavoro subordinato "chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore", non individua gli elementi identificativi del rapporto, occorre richiamare gli indici rilevatori del vincolo in esame consolidatisi in giurisprudenza, quali "la retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l'orario di lavoro fisso e continuativo; la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l'inserimento nell'organizzazione aziendale" (Cass. Ordinanza 23 gennaio 2020 n. 1555). Orbene, tornando al caso di specie, si ritiene che la domanda di accertamento del rapporto di lavoro tra le parti in causa sia rimasta sfornita di prova, non avendo la ricorrente, su cui incombeva il relativo onere probatorio, dimostrato la sussistenza dei suesposti indici costitutivi del rapporto. In relazione all'orario di lavoro, la ricorrente ha dedotto di aver lavorato dalle 13:00 alle 21:00 con 15 minuti di pausa ogni due ore e di aver utilizzato un badge in ingresso ed in uscita, avente la funzione di monitorare i relativi orari di inizio e fine prestazione. Dalle dichiarazioni dei testi di parte ricorrente P.A. e A.R. è emerso che la lavoratrice e gli altri dipendenti avessero la possibilità di scegliere la fascia oraria, tra quelle individuate dalla società datrice di lavoro (13-17, 17-21 dal lunedì al venerdì, mentre 11:30-17:30 il sabato) entro cui rendere la prestazione tramite un applicativo aziendale, il quale consentiva al contempo la cancellazione della prenotazione della postazione così effettuata. È altresì emerso che il tesserino serviva ad aprire le porte della struttura ed i tornelli interni, ad attivare le postazioni di lavoro, il tutto senza segnare l'orario. In merito, i testi di cui sopra hanno affermato: (...) "confermo la circostanza sub b) del ricorso; preciso che l'ingresso era unico per tutti i dipendenti, entravano tutti allo stesso orario. Preciso che entravamo tutti da quell'ingresso ma i dipendenti avevano il badge per entrare; preciso che il tornello non riportava alcun orario di ingresso o uscita, ma se si arrivava in ritardo si bloccava e doveva essere aperto manualmente dalla ragazza del front office"; "confermo la circostanza sub d) del ricorso; preciso che il sabato l'orario era diverso, e cioè dalle 11:30 alle 17:30; preciso che esisteva un applicativo con il quale l'operatore poteva scegliere la fascia oraria, ovvero dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 17 o dalle 17:00 alle 21:00, mentre il sabato dalle 11:30 alle 17:30; preciso inoltre che una volta selezionata la fascia oraria, non era più possibile modificarla; preciso meglio, l'opzione di cambio di fascia c'era, ma di fatto non era possibile scegliere il part-time; "confermo la circostanza sub e) e preciso che il badge veniva utilizzato per loggarsi in postazione", A.R.: "confermo la circostanza sub b) del ricorso che mi viene letta; il badge serviva per aprire le porte di interno della struttura che dava sulla strada ma non segnava un orario; il badge veniva poi utilizzato per aprire un tornello che, all'interno della struttura, consentiva di entrare nella zona lavoro"; " confermo la circostanza sub d) del ricorso che mi viene letta per quanto sopra riferito, la ricorrente osservava lo stesso orario; il sabato l'orario di lavoro era differente ma non ricordo di preciso se era dalle 13:00 alle 17:00"; "c'era la possibilità di annullare la prenotazione previo pagamento di una multa di Euro 2,00 per il giorno dopo entro la sera". Sulle medesime circostanze, i testi di parte resistente, A.(...), C.T. e S.M.G., hanno tutte concordemente dichiarato che ciascun prestatore decideva quando prestare la propria attività, le fasce orarie (ribadendo quelle indicate dai testi di parte ricorrente, fatta eccezione per la (...), la quale precisava che il sabato venivano osservate le fasce 11:30 - 14:30, 14:30 - 17:30) e la quantità di tempo da dedicarvi, utilizzando il portale aziendale e, in riferimento al badge, che lo stesso era necessario per accedere alla struttura e alla zona di lavoro. In merito a quest'ultima circostanza, la teste (...) ha precisato che, per motivi di sicurezza, anche i visitatori venivano dotati di tesserino provvisorio da parte dell'addetto alla reception dell'azienda. Si ritiene, dunque, che dalle risultanze dell'istruttoria su tali aspetti, la ricorrente non abbia dimostrato la continuità della prestazione resa in favore della società resistente, essendo emerso che la scelta di lavorare era rimessa al collaboratore. Non si ritengono sufficienti ad escludere la facoltà di scelta dalla ricorrente, la circostanza sollevata dalla teste (...) circa l'impossibilità di cancellare la prestazione effettuata tramite il portale aziendale, dal momento che le affermazioni erano riferite esclusivamente alla dichiarante e, quindi, non possono riferirsi alla C.. Quanto alla sede di lavoro, (...) ha dedotto di aver lavorato presso la sede di (...) sita in via L. D. V. n.14 e tale circostanza è stata confermata dai testi dalla stessa addotti, i quali hanno affermato di aver prestato la loro attività nella stessa sede della ricorrente per alcuni periodi. Tuttavia, dalla memoria di costituzione della resistente e dall'esame dei testi di controparte è emerso che gli operatori avevano la facoltà di scegliere la sede di lavoro fra quelle messe a disposizione dalla società (una sita a (...) e l'altra a (...)) ovvero svolgerla presso la propria abitazione, se provvisti delle strumentazioni necessarie. In particolare, la (...), interrogata in ordine alla circostanza sub (...)) della memoria difensiva ha affermato: "confermo la circostanza sub (...)) della memoria; preciso che gli operatori possono lavorare in sede o da casa se hanno a disposizione gli strumenti informatici idonei (pc, connessione internet e credenziali per poter parlare) se invece lavoravano in azienda gli operatori devono affittare sotto cauzione le cuffie; la cauzione viene restituita purché l'apparecchio risulti integro quando viene reso". Di eguale tenore sono le dichiarazioni della (...) e della (...). In relazione agli strumenti di lavoro, preso atto della facoltà dei collaboratori di poter rendere la prestazione da casa con strumenti propri, i testi (...) e (...), interrogati in ordine alla circostanza sub c) del ricorso, hanno rispettivamente dichiarato che "confermo la circostanza sub c) del ricorso; io portavo la mia agenda dove avevo segnato gli appuntamenti e che utilizzavo per appuntarmi gli aggiornamenti; preciso che anche gli altri collaboratori si portavano un'agenda, compresa la ricorrente. Preciso che le cuffie erano consegnate dalla (...) previa cauzione di 60 Euro trattenuta dallo stipendio che veniva restituita quando si rendevano in ottimo stato al termine della collaborazione", "confermo la circostanza sub c) del ricorso che mi viene letta; tutto era di proprietà della società resistente, ad eccezione delle cuffie che ci venivano consegnate in comodato d'uso previo pagamento di Euro 60,00 che ci venivano scomputati mensilmente in busta paga e che ci venivano restituiti alla cessazione del rapporto di lavoro nel momento in cui le cuffie venivano restituite e sempre che fossero integre". I testi di parte resistente, sul medesimo punto, rendevano circostanze di egual tenore. In ordine alla retribuzione, (...) deduceva che il contratto prevedeva un'indennità di frequenza corrisposta solo se il collaboratore "fosse stato presente per tutti i giorni del mese", che all'aumentare del numero dei contratti conclusi scattasse il diritto ad un compenso aggiuntivo e che al raggiungimento dei 900 contratti la stessa maturava un diritto al compenso pari ad Euro 450 lordi. Tuttavia, tali deduzioni non convergono con quanto dichiarato dagli stessi testi di parte ricorrente, difatti la (...) affermava che: "confermo le circostanze sub l), m), n); preciso che 900 sono i contatti e non i contratti come scritto nella circostanza sub n); preciso che se i contatti fossero stati meno di 900, in ogni caso si maturava il diritto al compenso in proporzione; c'era comunque un numero minimo di contatti che bisognava contattare". Allo stesso modo, (...) dichiarava: "confermo la circostanza sub n) del ricorso con la precisione che si tratta di "contatti" e non di "contratti"; per contatto utile s'intende una chiamata di almeno 60 secondi; se non si fossero raggiunti i 900 contatti non era riconosciuta l'indennità; anche se si superavano i 900 contatti venivano calcolati sempre e solo quelli". La società resistente, di contro, in merito al medesimo punto, ha fornito prova di quanto dedotto nella memoria di costituzione, dal momento che i suoi testi hanno reso dichiarazioni non contraddittorie. (...) affermava che: "con riferimento alla circostanza sub (...)) la confermo. Preciso che anche in caso di contatti inferiori ai 900 viene riconosciuta l'indennità di cui alla circostanza; oltre ai contatti utili ci sono dei bonus per il raggiungimento dei contratti conclusi. Confermo la circostanza sub (...))". Sulle medesime circostanze, l'altra teste della (...), S.M., dichiarava: "Confermo la circostanza n. 20 e chiarisco che il collaboratore percepisce la somma di Euro 450,00; al raggiungimento di 900 contatti utili, cioè quei contatti che durano almeno 60 secondi. In caso di contatti utili inferiori a 900, l'indennità di garanzia è corrisposta in misura proporzionale. Confermo che è prevista un'indennità variabile di progetto che viene erogata in caso di conclusione del contratto. Confermo che tale indennità è determinata in proporzione al valore del bene da commercializzare. Io, personalmente, avendo concluso diversi contratti ho sempre ricevuto questa indennità che riesce a far maturare dei bonus di produzione determinati step 1, 2, 3". Sulla scorta delle testimonianze rese, si rileva che la resistente non abbia provato, in ordine all'aspetto retributivo, che la stessa fosse fissa e predeterminata. In più, la (...) ha fatto impropriamente riferimento ai "contratti" e non ai "contatti", essendo stato tale ultimo aspetto precisato dai testimoni in sede di istruttoria. Ancora, è anche emersa una contraddittorietà in seno alle affermazioni di (...) e (...), dal momento che la prima ha affermato "in ogni caso si maturava il diritto al compenso in proporzione", mentre il secondo escludeva che al superamento dei 900 scattasse il diritto al compenso ulteriore. Di conseguenza, la sussistenza di detto elemento costitutivo del rapporto di lavoro subordinato va esclusa. In ultima istanza, occorre esaminare la sussistenza del potere organizzativo, direttivo e disciplinare da parte della società resistente. Relativamente ad esso, la ricorrente ha dedotto che: una volta sul posto di lavoro, poteva abbandonarlo solo per motivi di salute, previo permesso accordato dal responsabile "team leader"; questi ultimi controllavano il loro operato ed accordavano loro la possibilità di utilizzare i servizi igienici; i responsabili monitoravano la conclusione di contratti da parte loro e che non abbandonassero il luogo di lavoro durante la pausa di quindici minuti osservata ogni due ore di lavoro. In ordine a tali deduzioni, la teste (...), oltre a confermare le circostanze sub g), h) e i) del ricorso, dichiarava: "il controllo avveniva in presenza nel senso che i team leader passavano tra noi, sia da remoto ovvero dal loro pc; preciso che il team leader non poteva accedere ai nostri pc, ma i dati nostri venivano trasmessi ad un server centrale; ciò avveniva in tempo reale. Preciso che i team leader verificano che ognuno di noi stesse svolgendo l'attività secondo le indicazioni, al fine della migliore produttività. Il team leader rimproverava il lavoratore che non produceva; io ho visto piangere la ricorrente in più di un'occasione per aver ricevuto un rimprovero. Ricordo che il team leader in quelle occasioni era la sig.ra (...)". Le medesime circostanze venivano confermate dal teste (...), il quale, in relazione alla circostanza sub g) precisava di "aver visto la ricorrente fare quanto indicato nella circostanza". Tuttavia, in ordine alla circostanza e) del ricorso, (...) che "la ricorrente non poteva uscire dal luogo di lavoro salvo che per motivi di salute. La ricorrente poteva allontanarsi dalla postazione per andare in bagno previo permesso del team leader; in questi casi l'operatore doveva mettere in pausa il sistema operativo per poter telefonare e togliere il badge da una "scatoletta" che leggeva il badge. Una volta tornato in postazione l'operatore doveva reinserire il badge e inserire di nuovo la password personale per poter riaprire il sistema e poter operare, durante la pausa il monitor rimaneva acceso ma non si poteva operare. Posso dire questo perché è una procedura uguale per tutti gli operatori. Preciso che se l'operatore andava via prima della fine del turno doveva togliere il badge e chiudere il sistema. In questo caso non mi furono pagate le ore non lavorate. Non so dire della ricorrente". Le risultanze dell'istruttoria di parte ricorrente non si ritengono da sole sufficienti a dimostrare l'esercizio del potere di eterodirezione da parte della (...) sulla lavoratrice per una serie motivazioni. In primo luogo, si rileva una contraddizione in senso alle affermazioni del teste (...), il quale, dopo aver dichiarato che la ricorrente non poteva allontanarsi dalla postazione, conclude la propria testimonianza affermando di non saper dire della ricorrente. Sempre in ordine alla attendibilità dei testimoni, occorre dar rilievo a quanto sollevato dalla resistente nelle proprie note autorizzate, avendo la ricorrente, escussa nel giudizio instaurato dal sig. (...), dichiarato che i collaboratori avrebbero potuto far riferimento ai team leader per necessità inerenti alle attività di lavoro. In secondo luogo, la sussistenza di detto elemento è esclusa sulla scorta di un orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si fa proprio, in base al quale "secondo un costante orientamento di questa Corte, quanto allo schema normativo di cui all'articolo 2094 c.c., costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicché, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario prede terminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria. Tali elementi, lungi dall' assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatto oggetto di una valutazione complessiva e globale (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 27.9.2019, n. 24154, ed ivi in motivazione i precedenti di legittimità, anche a Sezioni Unite, in senso conforme)" (Cass. ord. n. 1095/2023). Nel caso di specie, a fronte della mancata prova in ordine al potere di eterodirezione del datore, non è neppure possibile fare riferimento agli altri indici sintomatici della subordinazione, dal momento che ne è stata esclusa la sussistenza. Dal canto suo, la società resistente ha dimostrato l'insussistenza del ridetto potere a mezzo delle proprie testimonianze, tra loro concordi, fra le quali si dà rilevanza a quella resa dalla (...) sulla circostanza sub 6 della memoria, la quale ha affermato: "l'applicativo è composto da un'agenda personale che gestisce l'operatore dove vengono segnati i contatti dei clienti già chiamati precedentemente e per i quali hanno fissato un appuntamento per un giorno e ora concordate; dall'altra parte ci sono i contatti dei clienti da chiamare che io, in qualità di team leader, assegno dal mio terminale una volta terminati quelli già chiamati. L'assegnazione dei contatti avviene casualmente; è la macchina che mi fornisce i numeri dei contatti e io casualmente li assegno agli operatori quando mi comunicano di aver terminato quelli precedenti. La ricorrente e gli altri operatori decidono in autonomia chi chiamare non devono seguire un ordine o un criterio; possono non terminare le chiamate in giornata, potendole gestire per le altre volte. Io assegno 50 schede alla volta ovvero contatti dei clienti (...)". In definitiva, l'istruttoria orale svolta ha smentito la ricostruzione dei fatti operata dalla ricorrente, non risultando provata la sussistenza del rapporto subordinato. Di conseguenza, il rapporto di lavoro oggetto di causa non può essere sussunto entro la predetta fattispecie. Parimenti, non risultando provata la sussistenza del potere di eterodirezione da parte del datore di lavoro per ciò che concerne le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione, essendo emersa l'autonomia del collaboratore in merito, nonché nella gestione dei contatti da chiamare, non è neppure possibile ricondurre il rapporto tra (...) e la (...) s.r.l. alla collaborazione coordinata e continuata etero-organizzata di cui all'art. 2 co. 1 D.Lgs. n. 81 del 2015. È opportuno delineare la differenza tra la collaborazione continuativa etero-organizzata (co.co.org.) di cui all'art. 2, co.1, D.Lgs. n. 81 del 2015 (ratione temporis applicabile e quindi prima della novella del 2019) e la collaborazione coordinata autonomamente organizzata (co.co.a.org.) di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c. come novellato dall'art. 15 L. n. 81 del 2017 per comprendere se la fattispecie in esame, una volta esclusa la riconducibilità nell'alveo della subordinazione ai sensi dell'art. 2094 c.c., possa rientrare nella prima o nella seconda fattispecie. Nella prima ipotesi (co.co.org.) devono essere ravvisabili modalità di esecuzione della prestazione organizzate dal committente anche con riferimento al tempo e al luogo; nella seconda ipotesi (co.co.a.org.), invece, tali modalità devono essere totalmente assenti, dovendo, al contrario, ricorrere un'organizzazione totalmente autonoma dell'attività lavorativa, seppur nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti. La riconducibilità ad una o all'altra delle due fattispecie è dettata, quindi, dalle modalità di coordinamento, posto che tale requisito è imprescindibile per entrambe, dovendo il collaboratore sempre rapportarsi al committente ed al suo contesto organizzativo, oltre che alle esigenze della produzione e all'oggetto dell'incarico. Se il coordinamento si traduce in un condizionamento nelle modalità di esecuzione della prestazione del collaboratore (luogo e orario sono soltanto due ipotesi tipizzate, visto che il legislatore utilizza l'espressione "anche") allora diventa "etero-organizzazione", così comprimendosi l'autonomia del collaboratore, con conseguente applicazione della disciplina del lavoro subordinato, pur senza che sussista, ex art. 2094 c.c., una etero-direzione in senso tecnico. Nel caso opposto, cioè se il coordinamento non risulta mai imposto o condizionato dal committente e quindi non incide sulle modalità di svolgimento dell'attività dedotta nel contratto in quanto organizzata in autonomia dal collaboratore, seppur nel rispetto delle modalità stabilite di comune accordo, allora si resta nell'area del lavoro autonomo continuativo disciplinato, al momento, dal codice civile (titolo III del Libro IV) e dallo Statuto del Lavoro autonomo (L. n. 81 del 2017). In questa fattispecie l'autonomia del collaboratore non risulta scalfita dal requisito del coordinamento il quale si limita ad orientare l'esecuzione della prestazione alle condizioni definite nel programma negoziale in vista del soddisfacimento dell'interesse creditorio. I rapporti di collaborazione disciplinati dai contratti individuali del ricorrente e ancor prima dal CCNL applicato dalla società resistente (e dal successivo AEC), sono riconducibili alle co. co. a. org. di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c., per la presenza di fattori quali: - Possibilità di autodeterminare il ritmo di lavoro (art. 2 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Possibilità di determinare unilateralmente e discrezionalmente, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa (art. 3 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Rimessione al collaboratore della scelta delle fasce orarie (art. 3 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Presenza di forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione (art. 3 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Messa a disposizione da parte della committente di una postazione informatica, telefono ed eventuali appositi software con facoltà accordata al collaboratore di avvalersene previo corrispettivo al committente (art. 6 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione). Nel caso di specie manca le etero-organizzazione del committente, anche nei tempi e nei luoghi, considerato che, per quanto concerne i "tempi", pur trattandosi di fasce orarie predeterminate dalla società, questa non aveva il potere di imporre ai collaboratori di lavorare nei turni in questione tanto che v'era la possibilità di non prenotare la postazione oppure di cancellare la prenotazione. Quanto ai "luoghi", si è detto che i collaboratori erano liberi di decidere dove svolgere l'attività, senza alcuna imposizione da parte della società resistente. Potevano optare al momento della prenotazione per una delle due sedi aziendali oppure di svolgere l'attività da remoto (a casa o in qualunque altro luogo dotato di strumentazione adeguata). Se poi si va oltre il momento genetico del rapporto (ovvero la prenotazione della postazione) e si guarda alla modalità di svolgimento dell'attività, anche in questo caso non si rinviene alcuna ingerenza spazio-temporale da parte del committente, considerato che gli operatori telefonici, per quanto detto, erano liberi (nel tempo) di effettuare le telefonate senza dover rispettare tempi o tetti minimi, e potevano svolgere la loro attività in sede o da casa. Tanto comprova l'inesistenza di un'etero-organizzazione da parte dell'azienda con conseguente applicazione dell'art. 2, co.1, D.Lgs. n. 81 del 2015. Da tale affermazione discende che ai rapporti di collaborazione per cui è causa non si applica la disciplina del lavoro subordinato in quanto l'azienda non ha organizzato le modalità di esecuzione della prestazione anche relativamente ai tempi ed al luogo del lavoro; di contro i collaboratori, tra cui la ricorrente, hanno svolto una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale con autonomia organizzativa che si è concretizzata, seppur nel rispetto delle forme di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, in modalità di esecuzione della prestazione autonomamente determinate anche con riferimento ai tempi e al luogo. La fattispecie realizzatasi rientra a pieno titolo nell'alveo delle co.co.co. disciplinate dall'art. 409, n. 3, c.p.c. che prevede una modalità di coordinamento concordata di comune accordo dalle parti Passando all'esame della domanda di illegittimità della reiterazione dei contratti di collaborazione autonoma, essi si ritengono legittimi, dal momento che, data la natura della prestazione svolta, gli stessi presuppongono l'affidamento di una commessa da parte di una società per lo svolgimento di un determinato incarico. Sicché, la sottoscrizione di negozi aventi carattere temporaneo, come quello di collaborazione coordinata e continuativa, ben si adattano alle caratteristiche del rapporto oggetto di causa. In definitiva e per le ragioni innanzi indicate ogni domanda della ricorrente deve essere rigettata. Tenuto conto della qualità delle parti e della controvertibilità della questione trattata, sussistono i presupposti per compensare le spese processuali nella misura di un mezzo, ponendo la restante parte a carico della ricorrente in ragione della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i.. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato il 3 dicembre 2018 da (...) nei confronti della (...) s.r.l., rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1) rigetta la domanda; 2) compensa le spese processuali nella misura di un mezzo e condanna (...) al pagamento della restante parte delle spese processuali della società resistente, che liquida in Euro 1.350,00 per compensi (importo già ridotto al 50%), oltre RSG CAP e IVA come per legge. Così deciso in Trani il 9 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo avente ad oggetto: altre ipotesi ha pronunciato, ex art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA TRA (...), rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Sa.Se. e Ce.Li., presso il cui studio elettivamente domicilia come da ricorso RICORRENTE E MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA PUGLIA, UFFICIO III, AMBITO TERRITORIALE PER LA PROVINCIA DI BARI, tutti costituiti in giudizio in persona del dirigente scolastico pro tempore, e con questi elettivamente domiciliati come da memoria difensiva RESISTENTI MOTIVI DELLA DECISIONE Il presente giudizio ha ad oggetto l'accertamento del diritto della parte ricorrente, quale docente che ha lavorato per il Ministero dell'Istruzione con contratti a tempo determinato, a ottenere la c.d. carta docenti. Il fatto Con ricorso depositato il 25.11.2022, (...), dopo aver premesso di aver lavorato alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione e del Merito, ha dedotto: di aver lavorato dal 14.01.2019 al 30.06.2019, dal 09.10.2019 al 30.06.2020, dal 16.10.2020 al 30.06.2021, dal 21.09.2021 al 31.08.2022 ed infine dal 08.09.2022 al 30.06.2023, con contratto a tempo determinato, in qualità di docente temporaneo; che per i suddetti periodi non le è stata riconosciuta la cd. "Carta del docente", di importo pari ad Euro 500 annui, finalizzata all'acquisto di beni e servizi formativi per lo sviluppo delle competenze professionali e riservata, in base alla disciplina vigente (L. n. 107 del 13 luglio 2015 cd. "Buona Scuola" - D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015), ai soli docenti di ruolo, a tempo pieno o part-time, con esclusione, quindi, dei docenti cd. precari come la ricorrente medesima; che tale disciplina è discriminatoria per contrasto anche con l'art. 3 e 35 della Costituzione e per violazione articoli 63 e 64 del CCNL di categoria che prevedono la centralità della formazione del docente; che con diffida stragiudiziale, rimasta senza esito, ha chiesto al Ministero il riconoscimento del diritto a beneficiare della cd. "Carta del docente" e del relativo bonus di Euro 500 per ciascun anno scolastico in cui ha lavorato, e quindi per complessivi Euro 2.500,00. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale accerti lo svolgimento del lavoro alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione come insegnante con contratti a tempo determinato, riconosca il diritto a ottenere il beneficio della CartaDocenti, con valore di Euro 500,00 annui e condanni il Ministero dell'Istruzione e l'USR al pagamento di complessivi Euro 2.500,00; con vittoria di spese con attribuzione. Costituitisi in giudizio, il Ministero dell'Istruzione e del Merito e l'Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia hanno eccepito, preliminarmente, l'incompetenza territoriale del Tribunale adito per essere collocata l'ultima sede di lavoro nel circondario del Tribunale di Parma; il difetto di giurisdizione del giudice adito. Nel merito hanno eccepito l'infondatezza della domanda e la legittimità del comportamento assunto dal Ministero, evidenziando che il differente regime appare giustificato dalla diversa disciplina dei docenti di ruolo rispetto a quella dei c.d. precari e che in ogni caso il meccanismo della carta docenti non prevede l'erogazione di una somma di denaro tout court ma un vincolo al relativo utilizzo. LA DECISIONE Questioni preliminari 1. Preliminarmente va respinta l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'adito giudice ordinario. L'oggetto principale della domanda, infatti, consiste nella richiesta di riconoscimento di una prestazione di natura economica - che anzi può essere qualificata, come si evidenzierà nel prosieguo, come richiesta di un ristoro economico corrispondente al valore della c.d. carta docenti di cui non si è potuto fruire -, con la conseguenza che la controversia verte, in realtà, sulla pretesa di una prestazione di natura economica nei confronti del Ministero dell'Istruzione derivante dallo svolgimento del rapporto di lavoro. Ne consegue, quindi, che alla luce del condivisibile orientamento costante dei Giudici di Legittimità, questo tipo di controversie, vertendo su atti che rientrano tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (cfr. Cass. SS.UU. n. 16765/2014 e Cass. SS.UU. n. 3032/2011) rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Il merito Nel merito la domanda è fondata e va accolta. Il quadro normativo 2.1 In primo luogo appare opportuno prendere le mosse dal quadro normativo di riferimento. L'art. 35 della Costituzione prevede che "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro", con ciò, quindi, attribuendo rilevanza costituzionale alla formazione dei lavoratori. Il C.C.N.L. Scuola, inoltre, attribuisce rilievo centrale alla formazione dei docenti, disponendo, all'art. 63, rubricato "Formazione in Servizio", che "1. La formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un'efficace politica di sviluppo delle risorse umane. L'Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio. La formazione si realizza anche attraverso strumenti che consentono l'accesso a percorsi universitari, per favorire l'arricchimento e la mobilità professionale mediante percorsi brevi finalizzati ad integrare il piano di studi con discipline coerenti con le nuove classi di concorso e con profili considerati necessari secondo le norme vigenti. Conformemente all'Intesa sottoscritta il 27 giugno 2007 tra il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e le Confederazioni sindacali, verrà promossa, con particolare riferimento ai processi d'innovazione, mediante contrattazione, una formazione dei docenti in servizio organica e collegata ad un impegno di prestazione professionale checontribuisca all'accrescimento delle competenze richieste dal ruolo. 2.Per garantire le attività formative di cui al presente articolo l'Amministrazione utilizza tutte le risorse disponibili, nonché le risorse allo scopo previste da specifiche norme di legge o da norme comunitarie. (...)". Il successivo art. 64 del medesimo C.C.N.L., rubricato "Fruizione del diritto alla formazione", prevede che "1. La partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità". La clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, al punto 1 prevede: "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive"; in particolare, al punto 4 della clausola si dispone che: "I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive". z L'art. 1, comma 121, della L. n. 107 del 13 luglio 2015 di riforma della scuola (cd. "Buona Scuola") prevede che: "Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile". Nel dare attuazione alla previsione normativa si è previsto, all'art. 2 del D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015, che i destinatari della carta docenti siano "I docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova", con ciò, quindi, escludendo i docenti assunti con contratto a tempo determinato. 2.2 Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, appare evidente, già dalla lettura in sequenza delle disposizioni appena richiamate, che: a) la Carta Docenti costituisce uno strumento destinato a favorire la formazione dei docenti; b) la formazione costituisce elemento essenziale nell'attività lavorativa dei docenti, senza che rilevi, in questa prospettiva, la distinzione tra docenti assunti a tempo indeterminato e determinato. Nel dare attuazione al disposto della L. n. 107 del 2015, che ha introdotto la "Carta Docenti", si è scelto di riconoscere tale strumento solo ai docenti assunti a tempo indeterminato, dando luogo, in questo modo, a una evidente disparità di trattamento a danno dei docenti assunti a tempo determinato, senza che ciò trovi alcun tipo di giustificazione, considerata la omogeneità della prestazione lavorativa svolta - peraltro di rilevanza centrale e costituzionale in quanto tesa allo sviluppo della formazione e dell'istruzione del corpo docenti e, quindi, tramite esso, della popolazione - e l'identità della finalità di formazione del personale docente che, quindi, non può che essere comune a tutti i docenti, indipendentemente dalle relative modalità di assunzione. Peraltro, la scelta effettuata appare ancora più irragionevole se si considera che sono stati inclusi nei destinatari della "Carta Docente" anche docenti assunti con contratto a tempo parziale - che, quindi, almeno astrattamente, potrebbero svolgere un numero di ore inferiore a quello di docenti assunti a tempo determinato ma con contratto a tempo pieno -, nonché docenti in periodo di prova e, quindi, come tali, non ancora inseriti a tutti gli effetti nell'organico ministeriale. Ne consegue, quindi, l'illegittimità della determinazione assunta con il D.P.C.M. n. 32313 del 2015 nella parte in cui ha escluso dai destinatari dell'attribuzione della Carta Docenti i docenti assunti con contratto a tempo determinato, con conseguente disapplicazione della stessa e riconoscimento del diritto azionato in questa sede. Il quadro giurisprudenziale 3.1 Tale ricostruzione del quadro normativo ha trovato riscontro in rilevanti decisioni giurisprudenziali, emesse sia in ambito interno che comunitario. E così con la sentenza n. 1842/2022 del 16.03.2022, il Consiglio di Stato ha riformato la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, Sezione Terza Bis, che con sentenza n. 7799/2016 del 7 luglio 2016 aveva respinto il ricorso proposto per l'annullamento della nota del M.I.U.R. n. 15219 del 15 ottobre 2015, nella parte in cui specificava che la "Carta del docente" e i relativi Euro 500,00 annui erano assegnati ai soli docenti di ruolo e non anche ai docenti con contratto a tempo determinato, nonché dell'art. 2 del D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015. Più specificamente, il Consiglio di Stato, in riforma della decisione del TAR Lazio, ha affermato che la scelta del Ministero di escludere dal beneficio della Carta Docenti il personale con contratto a tempo determinato presenta profili di irragionevolezza e contrarietà ai principi di non discriminazione e di buon andamento della P.A., con ciò affermando, quindi, l'illegittimità degli atti impugnati rispetto ai parametri di diritto interno desumibili dagli artt. 3, 35 e 97 Cost, distaccandosi quindi dall'idea di un sistema di formazione a "doppia trazione" tra docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l'erogazione della Carta e docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico. Ancora più recentemente della questione è stata investita la Corte di Giustizia Europea che, con ordinanza del 18 maggio 2022, resa nella causa C-450-21, chiamata a pronunciarsi della questione concernente la compatibilità con la normativa comunitaria della disposizione di cui all'articolo 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015 con la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, ha affermato che la stessa deve essere interpretata nel senso che "(?) osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'Istruzione, e non anche al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di Euro 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti". In termini analoghi, peraltro, si è pronunciato il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 515/2022 del 24.03.2022 resa in fattispecie analoga alla presente e, ancora più recentemente, il Tribunale di Marsala, con sentenza n. 803/2022 del 7.09.2022 3.2 Peraltro, l'interpretazione che equipara anche con riferimento alla Carta Docenti la posizione dei docenti non di ruolo a quella dei docenti di ruolo appare in linea anche con i principi affermati costantemente dalla Corte di Giustizia Europea, in relazione ad alcune note questioni come quella concernete il riconoscimento del servizio c.d. pre-ruolo svolto dai docenti precari nel periodo antecedente la stabilizzazione. Così, ad esempio, la decisione della Corte di Giustizia 22.12.2010, nei procedimenti riuniti C-444/09, Gaviero e C-456/09, I.T. in cui si afferma che: "un'indennità per anzianità di servizio ? rientra nell'ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell'Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d'impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell'Accordo Quadro". Del resto, sempre in materia di anzianità di servizio, ma affermando un principio che presenta sicuramente dei profili di connessione con la questione in esame, la Corte di Cassazione, con la nota sentenza della Suprema Corte n. 31149/2019, ha affermato che: "In tema di riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, l'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall'art. 11, comma 14, della L. n. 124 del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto "ab origine" a tempo indeterminato; il giudice del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all'assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l'altro, né applicare la regola dell'equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di disapplicazione, computare l'anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per l'assunto a tempo indeterminato". Secondo i principi affermati dalla Suprema Corte, in particolare, occorre verificare che non vi siano in concreto ragioni che giustifichino la disparità di trattamento dei docenti assunti a tempo determinato, come ad esempio, lo svolgimento di compiti e mansioni non del tutto assimilabili a quelle svolte dai docenti assunti a tempo indeterminato. Nel caso di specie, nulla è stato provato che possa giustificare il diverso trattamento dei docenti e ciò ancora di più se si considera che viene in rilievo la formazione e l'aggiornamento del docente che non può che essere considerata identica sia per i docenti assunti a tempo indeterminato che per quelli assunti a tempo determinato. A ragionare diversamente, infatti, si dovrebbe ipotizzare che l'attività svolta dai docenti c.d. precari possa essere caratterizzata da un minor grado di aggiornamento del personale docente, il che certamente risulterebbe irragionevole e in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e finirebbe, in definitiva, anche con il ledere irrimediabilmente il diritto all'istruzione costituzionalmente garantito, considerando che si avrebbe un corpo docenti la cui formazione è differenziata a seconda della stabilità o meno del rapporto di lavoro; il che, evidentemente, non è concepibile senza che si dia luogo ad una inammissibile disparità di trattamento. 3.3 Quanto al fatto che la Carta Docenti è stata concepita come uno strumento vincolato, che consente l'acquisto di libri e altri strumenti per la formazione del docente, mentre con il ricorso in esame si chiede il mero pagamento del corrispondente valore della carta, deve ritenersi che la domanda vada qualificata come di risarcimento danno per non aver fruito della somma di denaro corrispondente al valore della Carta Docenti in conseguenza di un illegittimo comportamento del Ministero dell'Istruzione e come tale sia ammissibile nei termini proposti; ciò anche in considerazione del fatto che essendo la domanda proposta da un docente precario questi potrebbe non essere attualmente inserito nell'organigramma scolastico, il che renderebbe sostanzialmente inattuabile l'esecuzione della decisione di condanna al rilascio della Carta. Né può condividersi quanto eccepito dal Ministero secondo cui il docente dovrebbe dare prova dell'esborso di somme ai fini della formazione, perché una soluzione di questo tipo finirebbe con il ledere ulteriormente la posizione del docente non di ruolo che, oltre a non aver ottenuto la Carta Docenti nei tempi e nella modalità previsti per i docenti di ruolo, avrebbe anche dovuto investire in autonomia sulla formazione senza nessuna certezza di ottenere il ristoro dell'esborso sostenuto. Quanto alle singole annualità richieste, va respinta l' eccezione relativa al fatto che la docente avrebbe svolto un numero di giorni di servizio non sufficiente a riconoscerle il diritto alla carta docenti per l'anno 2018/19: infatti, le parti resistenti hanno eccepito lo svolgimento di 168 giorni di servizio, ossia un lasso di tempo rilevante e certamente sufficiente a determinare la necessità per la docente di ottemperare agli obblighi di formazione e aggiornamento alla cui attuazione è funzionale il riconoscimento della carta docenti e che, soprattutto, non si riflette concretamente sulla condizione del docente nel senso di determinare una situazione differente rispetto a quella dei docenti di ruolo. Diversamente, l'eccezione va accolta l'eccezione sollevata dal Ministero in relazione all'anno scolastico in corso (2022/2023), considerato sia che, allo stato, risulta che la ricorrente ha svolto 79 giorni di servizio effettivo: il limitato periodo di servizio effettivamente svolto induce a escludere che sussista il diritto all'attribuzione della carta docenti, e che, in ogni caso, non può dirsi ancora verificata la situazione descritta in ricorso, in cui si fa riferimento alla stipula del contratto per l'anno 2022/2023 cui però non può essersi, essendo ancora in corso l'anno scolastico, accompagnato l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa. Alla luce di ciò, considerato che è documentato e non contestato lo svolgimento dell'attività di docente per il periodo prospettato in ricorso, la domanda va accolta e va dichiarato il diritto di (...) a ottenere il beneficio economico della cd. "Carta del docente" e, quindi, del relativo bonus di Euro 500 per ciascun anno scolastico, con conseguente condanna del Ministero dell'Istruzione e del Merito al pagamento di Euro 2.000,00 in favore della parte ricorrente (escludendo, quindi, l'anno scolastico in corso), oltre interessi e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla presente sentenza al saldo. Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, applicando i valori non inferiori ai minimi dello scaglione di riferimento (fino ad Euro 5.200,00), con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria/di trattazione, tenuto conto della limitata attività processuale svolta (processo definito in un'unica udienza). Le spese sono liquidate con attribuzione ai procuratori antistatari avv.ti Sa.Se. e Ce.Li. che ne hanno fatto richiesta nell'atto introduttivo. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 7389/2022 come innanzi proposta, così provvede: 1. dichiara il diritto di (...) a ottenere il beneficio economico della cd. "Carta del docente" e, quindi, del relativo bonus di Euro 500 per ciascun anno scolastico svolto come documentato in ricorso, con esclusione dell'anno scolastico in corso; 2. condanna, per l'effetto, il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento di Euro 2.000,00 in favore della parte ricorrente; 3. condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese processuali in favore della parte ricorrente che liquida in Euro 49,00 per spese vive ed Euro 1.030,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge con attribuzione con attribuzione ai procuratori antistatari avv.ti Sa.Se. e Ce.Li.. Così deciso in Trani il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo avente ad oggetto: opposizione L. n. 92 del 2012 cd. Legge Fornero ha pronunciato, ex art. 429 c.p.c. e a scioglimento della riserva assunta ai sensi dell'art. 1, comma 57, L. n. 92 del 2012 la seguente SENTENZA TRA (...), nato a (...) il (...), rappresentato e difeso, in virtù di procura allegata al ricorso, dall'avv. Vi.Cu., presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RICORRENTE - OPPONENTE E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce alla memoria difensiva, dagli avv.ti An.Di. e Do.Le., presso il cui studio in Bari, alla via (...), elettivamente domicilia RESISTENTE - OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE Il fatto Con ricorso depositato il 10.12.2021, (...) ha proposto opposizione avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Trani - Sezione Lavoro il 24.11.2021 e comunicata in pari data, con la quale era respinta l'impugnativa di licenziamento proposta dal medesimo. Più specificamente, nella fase sommaria (giudizio r.g.n. 1376/2020), riassunta, a seguito di ordinanza dichiarativa di incompetenza per territorio emessa dal Tribunale di Mari, con ricorso depositato il 25.02.2020, (...) premetteva di essere stato assunto dalla (...) s.r.l. il 01.05.2013, con inquadramento nel III livello del CCNL dei lavoratori dei porti e mansioni di operaio addetto alla movimentazione merci, e impugnava il licenziamento intimatogli con nota del 3.06.2019 con cui la società gli comunicava la risoluzione del rapporto di lavoro per la chiusura del proprio sito collocato all'interno dell'Area Demaniale del Porto di Barletta al quale era adibito esso ricorrente. Sempre con il ricorso introduttivo della fase sommaria deduceva: che le motivazioni poste alla base del licenziamento erano ribadite con nota del 10.07.2019; che con raccomandate del 5.06.2019 e del 24.07.2019 impugnava il licenziamento; che al momento della cessazione del rapporto la retribuzione mensile era pari ad Euro 1.835,70; che il licenziamento era illegittimo per insussistenza del fatto posto alla base dello stesso e per violazione degli obblighi che il datore di lavoro deve osservare al momento del licenziamento, in quanto contestualmente era licenziato anche il collega (...), dotato di minore anzianità di servizio e inquadrato in un livello inferiore che, però, era collocato nel porto di (...), laddove a lui era proposta la collocazione presso il sito di (...) (G.) alle dipendenza di altra società che conseguentemente era costretto a rifiutare; che, ancora, il licenziamento era illegittimo perché la società non aveva considerato che egli era affetto da invalidità riconosciuta dall'INAIL per infortunio sul lavoro occorsogli sempre alle dipendenze di altra società del medesimo gruppo e che aveva chiesto di essere assegnato alla sede di (...) della (...) dell'(...) s.r.l. senza ricevere un riscontro positivo. In conseguenza di ciò chiedeva la condanna del datore di lavoro alla reintegra nel posto di lavoro nonché al risarcimento dei danni nella misura massima di dodici mensilità oltre al versamento dei contributi dal licenziamento alla reintegra; in subordine, la condanna del datore di lavoro pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra le dodici e le ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; e in via ulteriormente subordinata al pagamento di un'indennità compresa tra le sei e le dodici mensilità; con vittoria di spese. Costituitasi in giudizio, la (...) s.r.l. eccepiva l'infondatezza della domanda, evidenziando che la società era stata costretta a dismettere alcuni siti come il porto di Palermo, di Ancona e quello di (...) e che quest'ultimo in particolare richiedeva interventi di manutenzione straordinaria il cui costo non consentiva un adeguato ritorno dell'investimento; che al suddetto sito erano addetti due operai, il ricorrente e (...), entrambi operai addetti alla movimentazione merci; che in sede sindacale il legale rappresentate della società riferiva di poter ricollocare una sola unità presso il Porto di (...), dove poteva liberarsi una postazione, a seguito del trasferimento al Porto di Catania di un lavoratore precedentemente assegnato al Porto di (...) e di origine siciliana; che la società, quindi, considerando i carichi familiari del (...), padre di due figli di giovanissima età, proponeva il trasferimento di quest'ultimo al Porto di (...), mentre al (...), inconsiderazione della relativa situazione familiare (moglie con un'attività commerciale propria e figlio quindicenne studente in Pescara), proponeva l'assunzione alle dipendenze della (...) s.p.a., società facente parte del medesimo gruppo, presso il sito portuale di Monfalcone (GO), ma il lavoratore non accettava la proposta. Ciò posto eccepiva la legittimità del licenziamento e concludeva per il rigetto del ricorso. L'ordinanza impugnata respingeva il ricorso ritenendo il licenziamento legittimo. Avverso tale ordinanza ha proposto opposizione il ricorrente prospettando, in primo luogo, la pretestuosità del licenziamento, poiché la società aveva utilizzato la chiusura dello stabilimento di (...) come pretesto, laddove, in realtà, il gruppo (...) s.p.a. della quale fa parte, aveva quintuplicato il proprio fatturato anche a seguito delle vicende legate al lockdown che avevano determinato un aumento della domanda di farina e prodotti simili; inoltre, ha dedotto l'illegittimità del licenziamento poiché altro lavoratore adibito allo stesso sito, (...), era stato licenziato con licenziamento poi revocato e trasferito al sito di (...), il che poteva essere fatto anche per il ricorrente che comunque avrebbe potuto essere trasferito presso altro sito del G.(...) e che, in ogni caso, il raffronto tra i posti disponibili ai fini del repechage avrebbe dovuto essere effettuato considerando anche tutte le altre unità produttive e non solo quelle presso cui lavorava il ricorrente e che avrebbe dovuto essere esteso a tutte le società del G.(...). Infine, ha ribadito l'illegittimità del licenziamento per non aver considerato nella gradazione della scelta l'invalidità da cui esso è affetto. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale, in riforma dell'impugnata ordinanza, dichiari la illegittimità dellicenziamento e condanni la società resistente alla reintegra nel posto di lavoro nonché al risarcimento dei danni nella misura massima di dodici mensilità oltre al versamento dei contributi dal licenziamento alla reintegra; in subordine, condanni la società al pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra le dodici e le ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; e in via ulteriormente subordinata al pagamento di un'indennità compresa tra le sei e le dodici mensilità; con vittoria di spese. Costituitasi in giudizio, la (...) s.r.l. ha eccepito l'infondatezza dell'opposizione, evidenziando la correttezza dell'ordinanza impugnata anche in relazione ai motivi di impugnazione. In conseguenza di ciò ha concluso per il rigetto dell'opposizione con vittoria di spese. LA DECISIONE Questioni preliminari Preliminarmente va confermata l'ordinanza con la quale sono state respinte le richieste istruttorie delle parti; la causa, infatti, alla luce dell'istruttoria orale svolta nella fase sommaria, e delle difese svolte dalle parti, risulta sufficientemente istruita e comunque verte su questioni essenzialmente documentali e giuridiche rispetto alle quali le ulteriori richieste istruttorie delle parti risultano irrilevanti. Il merito 1.1 L'opposizione è infondata e va rigettata. In primo luogo deve premettersi che i fatti principali oggetto del giudizio non sono stati contestati: in particolare non è contestata la circostanza di fatto che è stata posta alla base del licenziamento intimato al ricorrente, ossia la chiusura del sito aziendale presso il porto di (...) cui era adibito il ricorrente. Ciò che contesta il ricorrente, infatti, anche nell'opposizione è che tale circostanza costituisca in realtà un mero pretesto, poiché la società, anche e soprattutto in considerazione del fatto che fa parte di un gruppo aziendale più ampio, avrebbe comunque potuto collocare diversamente il ricorrente senza doverlo licenziare. Sul punto appare opportuno, ai fini di un corretto inquadramento della vicenda sul piano giuridico, individuare i limiti che incontra il sindacato giurisdizionale in questo tipo di licenziamento. La Corte di Cassazione, sul punto, ha costantemente affermato che "In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell'art. 41 Cost.; ove, però, il giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta" (Cass. 10699/2017). Quanto all'onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali condizioni, è pacifico che esso gravi sul datore di lavoro, precisandosi al contempo che "Ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa; ove, però, il recesso sia motivato dall'esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese di carattere straordinario, ed in giudizio se ne accerti, in concreto, l'inesistenza, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità e la pretestuosità della causale addotta" (Cass. n. 25201/2016); occorre, quindi, che il datore di lavoro dia prova dell'effettiva sussistenza di un mutamento organizzativo che abbia condotto alla scelta di sopprimere il posto di lavoro. Sempre in tema di onere probatorio si è anche affermato che il datore di lavoro può assolverlo anche mediante presunzioni (cfr. Cass. n. 24882/2017). 1.2 Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che la società ricorrente ha licenziato il ricorrente in conseguenza della chiusura del sito collocato nel porto di Barletta presso il quale lo stesso era assegnato, motivando tale scelta con la circostanza che "negli ultimi tempi, il nuovo trend alimentare che privilegia pasta e derivati prodotti da grano nazionale e non estero, ha determinato un drastico calo delle importazioni e di conseguenza una contrazione dei ricavi" e che "a seguito di un'approfondita analisi, è emerso che l'Area Demaniale del Porto di Barletta" necessitava di "importanti interventi di manutenzione straordinaria, il cui costo, tuttavia, è tale da non consentire un adeguato ritorno dell'investimento" e da ciò scaturiva, quindi, la necessità di chiudere il sito in questione (cfr. lettera del 3.6.2019 di comunicazione di avvio della procedura di licenziamento in atti). La circostanza della soppressione del sito non è in realtà contestata dalla parte ricorrente e risulta comunque provata sia dalla documentazione in atti, - da cui emerge l'interlocuzione con l'autorità portuale in ordine alla dismissione e riconsegna dell'area del Porto di Barletta precedentemente occupata dalla società (cfr. comunicazioni allegate alla produzione di parte resistente della fase sommaria) - sia dall'istruttoria svolta nella fase sommaria, in cui è stata confermata dagli informatori escussi. Un primo elemento decisivo è quindi rappresentato dal fatto che la circostanza addotta a motivo del licenziamento si è realmente verificata e risulta giustificata da una valutazione di costi ricavi che, nei limiti in cui può essere sindacata in questa sede, non appare irragionevole. La scelta, infatti, risulta essere frutto di una valutazione in termini di antieconomicità che considera la contrazione del settore per la maggiore domanda di prodotti derivati dal grano provenienti dall'Italia e non importati dall'estero e il fatto che il mantenimento del sito di Barletta richiedeva l'espletamento di intervenuti di manutenzione straordinaria; si tratta, quindi, di una scelta legittima e ragionevole perché motivata facendo riferimento ai rapporti costi-benefici. Secondo la prospettazione del ricorrente ciò però non sarebbe sufficiente perché si tratterebbe, in realtà, di un mero pretesto per licenziarlo, non essendosi verificata alcuna contrazione dell'attività della ricorrente, ma anzi un aumento dei ricavi e in particolare del gruppo aziendale del quale la società resistente fa parte. Sul punto deve, in primo luogo, osservarsi che nel ricorso in opposizione il ricorrente menziona alcune fonti, tra le quali un articolo de "Il Sole 24 Ore", che, aldilà della relativa attendibilità o meno, risultano inconferenti ai fini della valutazione sulla legittimità dell'intimato licenziamento, poiché relative a un lasso di tempo successivo (anno 2020) rispetto alla data del licenziamento che risale al giugno 2019. È evidente, allora, che la società resistente, indipendentemente da ogni valutazione sul fatto che le vicende del gruppo societario possano incidere o meno su scelte che sono della singola società datrice di lavoro, non poteva prevedere, al momento del licenziamento, un'eventuale evoluzione positiva, e ciò tanto più se si considera che questa, come prospetta lo stesso ricorrente, va ricondotta a un evento del tutto eccezionale e imprevedibile, ossia l'aumento della domanda di farina e derivati in conseguenza della note vicende che hanno portato alla scelta di misure come il lockdown in conseguenza della diffusione della pandemia da Covid-19. Ne consegue, quindi, che le circostanze addotte e poste in evidenza nel ricorso in opposizione (cfr. pp. 20-22) sono inconferenti e irrilevanti e, in ogni caso, non consentono di provare la pretestuosità della circostanza posta alla base del licenziamento, che costituisce una circostanza pacifica e frutto di una scelta aziendale che, per quel che può essere valutato in questa sede attesi i richiamati limiti del sindacato giurisdizionale come innanzi ricostruiti, appare non irragionevole come emerge, in particolare, dall'interlocuzione con l'Autorità Portuale che rende evidente la problematica inerente i lavori di ristrutturazione che avrebbero dovuto essere sostenuti dalla società e, quindi, i relativi costi. 1.3 Per quanto concerne poi la pretesa erroneità dell'ordinanza impugnata per non aver considerato che la valutazione in ordine all'individuazione dei lavoratori da licenziare dovesse riguardare, in primo luogo, l'intera platea dei dipendenti della (...) e poi anche quella della (...) s.p.a., deve osservarsi che, in realtà, nel caso di specie assume rilievo la circostanza che il licenziamento è stata la conseguenza di una scelta aziendale, effettiva e non pretestuosa per le ragioni sin qui evidenziate, che ha attinto una specifica unità produttiva, sub specie di sito al quale era assegnato il ricorrente insieme ad altro lavoratore. Ciò assume rilievo perché, come affermato dai Giudici di Legittimità, "qualora la ristrutturazione aziendale sia riferita ad una specifica unità produttiva, contestualmente soppressa, non è contraria a buona fede la decisione aziendale di limitare agli addetti della predetta unità la platea dei lavoratori da licenziare, ove risulti l'effettiva impossibilità di utile collocazione nell'assetto organizzativo dell'impresa, non sussistendo alcun automatismo nell'applicazione dei criteri di scelta previsti dall'art. 5 della L. n. 223 del 2020 utilizzabili invece nell'ipotesi di recesso motivato da generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile" (cfr. Cass. n. 22672/2018). Sul punto, deve osservarsi che, in realtà, la società ha anche motivato tale scelta con il fatto che ai diversi siti aziendali era stabilmente assegnato da tempo personale e che, quindi, anche per ragioni di continuità nello svolgimento della prestazione lavorativa, era necessario considerare solo le posizioni dei lavoratori assunti e assegnati all'unità soppressa. Ciò ha trovato riscontro sia nelle dichiarazioni rese dall'informatore (...), che ha confermato che ai siti di (...) e (...) erano sempre stati assegnati i dipendenti (...) e (...) e al sito di (...) i dipendenti (...), (...) e (...), sia nella documentazione prodotta dalla resistente (cfr. all.ti 19, 20 e 21 della produzione della parte resistente della presente fase). Quanto al fatto che il ricorrente sarebbe stato l'unico lavoratore attinto da licenziamento pur essendo adibito con (...) alla medesima unità soppressa, deve osservarsi che, in ordine a tale profilo, la società resistente ha documentato che, in realtà, entrambi sono stati destinatari di una nota di avvio di procedura ex art. 7 L. n. 604 del 1966 (cfr. note del 3.06.2019 sub all.ti (...) e (...) della produzione di parte resistente) e che il mancato licenziamento del (...) è dipeso dal fatto che a quest'ultimo è stata offerta la possibilità di essere trasferito presso il sito di (...), e tale proposta era stata accettata mentre non era stata accettata dal ricorrente quella di trasferirsi presso il sito di Monfalcone (GO). Con riferimento a tale profilo, deve ritenersi, come già osservato nell'ordinanza impugnata, che tale scelta sia stata legittima e conforme ai doveri di buona fede, avendo la società provato che il lavoratore (...) è padre di due figli minori, nati nel 2009 e nel 2012 (come risulta dalla C.U. 2019 versata in atti), laddove il ricorrente risulta genitore di un figlio minore, nato nel (...) (come risulta dalla C.U. 2019 in atti). Tale situazione, quindi, rende conforme a buona fede la scelta operata dalla società resistente, che, pur a fronte di una maggiore anzianità di servizio del ricorrente, ha ritenuto di offrire all'altro dipendente la soluzione logisticamente più vicina in considerazione del maggior carico familiare dello stesso, oltre che del fatto che la famiglia del ricorrente risultava stabilmente residente a Pescara (circostanza non contestata). Quanto al profilo dell'invalidità da cui è affetto il ricorrente, si tratta di una circostanza che, come già evidenziato nell'ordinanza impugnata, non risulta essere stata comunicata alla società, con la conseguenza che non poteva rientrare tra gli elementi da valutare ai fini della scelta del lavoratore da destinare all'unità di B.. In ogni caso, deve escludersi che l'invalidità prospettata - che ha condotto al riconoscimento di un danno per invalidità del 17% da parte dell'INAIL - avrebbe dovuto assumere rilievo ai fini di tale scelta, quand'anche fosse stata conosciuta, non trattandosi di una circostanza che aveva concretamente inciso sulla capacità lavorativa del ricorrente. 1.4 Infine, va osservato che, quanto alla pretesa illegittimità del licenziamento, perché l'obbligo di repechage avrebbe dovuto investire l'intera posizione del gruppo (...) che detiene il 100% della società resistente, deve osservarsi che tale prospettazione non è condivisibile. Essa, infatti, secondo l'orientamento giurisprudenziale costante, presuppone che si fornisca la prova della sussistenza di una condizione di "codatorialità", "ovvero la sussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro" perché solo in questo caso si impone "che l'assolvimento dell'obbligo di "repechage" sia valutato in relazione a tutte le società del gruppo, pertanto, ai fini di tale estensione, non è sufficiente la mera deduzione dell'esistenza di un gruppo di imprese" (cfr. Cass. n. 11166/2018). In termini ancora più chiari i Giudici di Legittimità hanno affermato che "Il collegamento economico-funzionale tra imprese di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta e non determina "ex se" l'estensione degli obblighi inerenti al rapporto di lavoro con una di esse alle altre dello stesso gruppo, mentre la codatorialità nell'impresa di gruppo presuppone l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l'interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, anche ai fini dell'applicazione delle disposizioni in tema di licenziamento collettivo" (cfr. Cass. n. 267/2019). Nel caso di specie non può dirsi fornita la prova della sussistenza di una situazione di questo tipo: nulla, in particolare, è stato dedotto e dimostrato che provi, ad esempio, l'intercambiabilità della società datrice di lavoro e la possibilità per i dipendenti di essere adibiti ad una piuttosto che a un'altra società del gruppo. Né può ritenersi che la sussistenza di una tale situazione sia provata dal fatto che, allorquando la società resistente ha prospettato possibili diverse occupazioni ai lavoratori attinti dalla vicenda della soppressione della unità di (...), lo ha fatto considerando disponibilità di altre società del gruppo; è evidente, infatti, che tale comportamento, lungi dal provare la sussistenza di una condizione di codatorialità nei termini appena chiariti, dimostra soltanto che è stato fatto uno sforzo per cercare di trovare una collocazione lavorativa diversa al ricorrente prima di licenziarlo, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede, che risultano rispettati. Pertanto, l'opposizione è infondata e va rigettata, dovendosi ritenere corretta e legittima l'ordinanza ex art. 1, comma 42, L. n. 92 del 2012 impugnata, pur con le precisazioni e integrazioni svolte. Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 147 del 2022 applicando i valori non inferiori ai minimi dello scaglione di riferimento individuato in base alla domanda (indeterminabile - complessità media), tenuto conto della natura della controversia, delle ragioni della decisione e dell'attività processuale svolta, con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria/di trattazione considerata la mancanza di attività istruttoria in senso stretto. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 7866/2021 come innanzi proposta, così provvede: 1. rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma l'ordinanza impugnata e la legittimità del licenziamento impugnato; 2. condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente, che liquida in Euro 2.906,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA e rimborso spese forfettarie del 15% come per legge. Così deciso in Trani il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione ex artt. 127 ter e 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 1999 dell'anno 2018 TRA (...), nato a B. il giorno (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti An.No. e Do.St., giusta procura a margine del ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO (...), nella qualità di titolare della ditta (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Sa., giusta procura a margine della memoria di costituzione e risposta; - Resistente - NONCHE' INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Tedone, giusta procura generale alle liti; - Terzo chiamato in causa - In data 02.03.2023, la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 127-ter c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 16.03.2018, il ricorrente adiva questo Giudice del Lavoro per vedere accertata e dichiarata la sussistenza del rapporto di lavoro intrattenuto alle dipendenze di (...), titolare della ditta "(...)", meglio nota come "(...)", dal 20.12.2012 al 29.11.2016, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento in proprio favore della somma pari ad Euro 57.062,44 a titolo di differenze retributive, tredicesima mensilità, ferie non godute, lavoro straordinario, nonché saldo T.F.R. Il ricorrente domandava altresì che il datore fosse condannato a regolarizzare la propria posizione contributiva, mediante versamenti all'ente previdenziale per tutta la durata del rapporto di lavoro. In particolare, (...) deduceva di aver lavorato alle dipendenze del resistente dapprima senza un contratto di lavoro, poi, a partire dal 15.04.2013 fino al 29.11.2016, data di licenziamento, in forza di un contratto di lavoro subordinato part-time, con inquadramento entro il livello V del CCNL Alimentaristi aziende artigiane con le mansioni di barista. Inoltre, rappresentava che, malgrado il contatto di lavoro a tempo parziale, aveva lavorato dal lunedì alla domenica, escluso il martedì in cui l'esercizio commerciale era fermo al pubblico, per otto ore giornaliere, secondo turni stabiliti dal datore di lavoro, nelle fasce orarie 6:00/14:00 ovvero 14:00/22:00; che aveva percepito la retribuzione risultante dalle buste paga prodotte, nonché una parte del TFR, recuperata dopo l'esperimento di procedura esecutiva, ma detti emolumenti risultavano non conformi a quanto previsto dal CCNL e dall'art. 36 Cost.; che, pertanto, rimaneva creditore della somma come sopra esposta, in ragione della maggior quantità di lavoro prestato, delle ferie non godute e di tutti gli emolumenti non percepiti; che con pec del 14.12.2016, oltre ad impugnare il licenziamento intimatogli, tentava il recupero delle somme rivendicate. Costituendosi in giudizio, il resistente contestava la fondatezza della domanda, eccependo l'inapplicabilità del CCNL menzionato dal ricorrente nell'atto introduttivo, l'inattendibilità dei conteggi, nonché l'insussistenza del diritto del lavoratore alle differenze retributive. Nel merito, rilevava che il (...) avrebbe lavorato alle sue dipendenze dal 06.06.2012 al 30.11.2012 in forza di un contratto a chiamata, mentre dal 15.04.2013 al 29.11.2016 sulla scorta di un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale; che il lavoratore avrebbe prestato la propria attività come barista per tre ore giornaliere, talvolta quattro, dal lunedì alla domenica, escluso il martedì; che lo stesso avrebbe regolarmente fruito delle ferie; che, di conseguenza, la retribuzione percepita era commisurata alla quantità di lavoro prestato. Si costituiva in giudizio l'INPS, domandando nel merito che, in caso di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro fosse condannato al pagamento della contribuzione nei limiti della prescrizione ovvero che, in caso negativo, il lavoratore fosse condannato a rifondere le spese all'istituto. La domanda è parzialmente fondata e deve essere accolta nei termini di seguito precisati. Dalle deduzioni svolte dalle parti non è in contestazione la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato fra (...) e la ditta "(...)" dell'omonimo resistente, contestando piuttosto il ricorrente di aver lavorato in misura quantitativamente superiore rispetto a quanto pattuito, vantando così differenze retributive. Occorre precisare che la sussistenza del predetto vincolo tra le odierne parti in causa è stata altresì cristallizzata dalla sentenza n. 1486/2022, resa da codesto Giudice il 15 settembre 2022 nel giudizio r.g. n. 4446/2017, con cui è stata accertata l'illegittimità del licenziamento intimato dal (...). Non è in contestazione neppure l'inquadramento contrattuale del ricorrente entro il livello V del CCNL per i dipendenti da Aziende (...), dal momento che, data l'eccezione del datore di lavoro di inapplicabilità del contratto collettivo indicato dal (...) nell'atto introduttivo, la procuratrice del resistente ha chiarito in prima udienza che il contratto di riferimento sia quello indicato nei conteggi del lavoratore, diversamente menzionato nel ricorso. Le parti divergono poi sulla data di inizio del rapporto di lavoro. In particolare, il ricorrente chiede la condanna del datore di lavoro alla corresponsione delle somme quantificate nell'atto introduttivo del presente giudizio, che lo stesso avrebbe maturato in costanza di rapporto per aver lavorato in misura superiore all'orario convenuto e per non aver fruito di giorni di riposo, festività o permessi, né percepito il saldo del TFR. Sulla scorta dell'art. 2697 c.c., in tema di crediti da rapporto di lavoro, è onere del lavoratore dimostrare, la sussistenza del titolo su cui si fonda la pretesa, gravando invece sul datore di lavoro l'onere di provare i fatti estintivi del diritto azionato, ossia l'esatto adempimento della prestazione ovvero l'impossibilità di eseguirla per causa al medesimo non imputabile. Occorre, però, precisare che, in tema di diritto al pagamento di maggiorazioni retributive, l'onere probatorio come sopra definito muta nella misura in cui pone a carico del lavoratore l'onere di dimostrare non solo l'esistenza del rapporto, bensì anche la sua durata, l'articolazione oraria, nonché le mansioni svolte. Ancora, con specifico riferimento alla domanda di pagamento del lavoro straordinario, il prestatore deve provare non solo lo svolgimento del lavoro in eccedenza rispetto a quello convenuto ma altresì la sua esatta collocazione temporale e consistenza, escludendo così una valutazione equitativa da parte del giudice. Difatti, sul punto si richiama il principio giurisprudenziale secondo cui "sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell'onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice (Cass. n. 13150/2018)". Orbene, passando al vaglio dei fatti di causa, si osserva quanto segue. Nello specifico, (...) ha dedotto che il rapporto di lavoro ha avuto inizio il 20.12.2012, senza la stipulazione di alcun contratto, mentre la controparte ha eccepito che lo stesso sarebbe cominciato a partire dal 06.06.2012 con la sottoscrizione di contratti a chiamata stipulati fino al 15.04.2013. A sostegno del proprio assunto, il lavoratore ha addotto plurime testimonianze, rese da (...), figlia del ricorrente, (...) e (...), i quali hanno concordemente affermato di aver visto il (...) lavorare presso la ditta resistente a partire dal dicembre 2012, sino al termine del 2016. In relazione alle dichiarazioni rese da (...), (...) e (...), rispettivamente figlia, nipote della moglie del ricorrente e cognato, occorre rilevare che le stesse si ritengono attendibili, dal momento che, posta la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 247 c.p.c. che ha caducato il divieto di testimonianza da parte del coniuge, parenti e affini in linea retta, l'attendibilità di dette testimonianze è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, sulla scorta del principio giurisprudenziale, ormai consolidato, in base al quale "in materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti ..., l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità" (Cass. n. 25358/2015). Invero, nel caso in esame, non sussistono elementi tali da minare alla credibilità dei testi, pertanto, le affermazioni della (...), della (...) e del (...) si ritengono attendibili. Dal proprio canto, la ditta resistente, a supporto della propria eccezione, non ha fornito prova documentale dei contratti che assume essere stati sottoscritti. Al contrario, fra le prove addotte dal resistente, la sottoscrizione di detti vincoli è emersa solo dalle dichiarazioni della teste (...), figlia del titolare della pasticceria, la quale ha affermato che: "è vero che ha lavorato in un primo periodo con contratto a chiamata. Non ricordo il periodo. Successivamente è stato assunto con contratto part-time a tempo indeterminato. Io ero presente al momento della sottoscrizione dei contratti. Tanto so in quanto porto la contabilità della pasticceria. Il primo contratto è intercorso da giugno 2012 fino ad aprile 2013, se non ricordo male e successivamente fino ad ottobre/novembre 2016 con il contratto part-time a tempo indeterminato. Preciso che il contratto a chiamata fu stipulato perché il sig. (...) percepiva l'indennità di disoccupazione". L'altro testimone, (...), ha dichiarato che "nulla posso dire sul rapporto di lavoro del sig. (...) dal 06.06.2012 al 30.11.2012, in quanto non avevo ancora iniziato alcuna attività presso la pasticceria". Ne consegue che, considerate complessivamente le dichiarazioni dei testimoni, può ritenersi provato che il rapporto abbia avuto inizio a partire dal 20.12.2012 come indicato dal lavoratore, in quanto i testi dal medesimo addotti hanno reso dichiarazioni concordi sul punto, mentre la teste di parte resistente ha affermato la sottoscrizione di contratti a chiamata eccepiti in maniera generica, senza indicarne il numero o l'esatta collocazione temporale. Pertanto, la durata del rapporto va collocata dal 20.12.2012 al 29.11.2016, data di licenziamento del lavoratore. Quanto alle mansioni svolte dal ricorrente, esse risultano pacifiche, essendo state confermate sia dal (...) in sede di interrogatorio formale che da tutti i testi delle parti in causa. Poi, in relazione all'orario di lavoro osservato, il (...) ha dedotto di aver lavorato per otto ore giornaliere, alternativamente dalle 6:00 alle 14:00 ovvero dalle 14:00 alle 22:00, dal lunedì alla domenica escluso il martedì e detta circostanza è stata concordemente ribadita dai testimoni di parte ricorrente. In particolare, (...) ha affermato che "confermo che mio padre lavorava tutti i giorni della settimana, tranne il martedì che era giorno di chiusura del bar. In ordine agli orari lavorativi posso confermare che mio padre se lavorava al mattino osservava l'orario dalle 6:00 alle 14:00; se lavorava al pomeriggio osservava l'orario dalle 14:00 alle 22:00. Tali orari di fine turno erano indicativi in quanto so per certo per cognizione diretta che mio padre finiva di lavorare oltre le 14:00, ovvero oltre le 22:00, in quanto restava a pulire. Tale ulteriore attività variava a seconda dei casi e dunque si protraeva rispetto all'orario di fine turno, da mezz'ora a due ore. Tanto so perché, come detto, spesse volte ricevevo la telefonata per andarlo a riprendere dal posto di lavoro in quanto la mia famiglia ha una sola macchina. Altre volte, quando non lo andavo a riprendere, comunque non lo vedevo a casa sapendolo al lavoro". Di analogo tenore appaiono le dichiarazioni di (...), il quale affermava: "La mia frequentazione nel bar era mediamente di due o tre volte a settimana; preciso che martedì era chiuso. Avevo diversi orari di frequentazione del bar e dunque non andavo in un orario fisso; e cioè capitava che andassi al massimo e/o al pomeriggio. Mi recavo al bar sia come cliente e sia per trovare mio figlio. A prescindere dagli orari in cui frequentavo e mi trattenevo nel bar io in ogni occasione vedevo lavorare il sig. (...) è capitato di vederlo nella fascia oraria sub 3) del ricorso; al mattino dalle 6:00 alle 14:00 ed al pomeriggio dalle 14:00 alle 22:00". Parimenti, (...) dichiarava: "Le mie frequentazioni al bar non avevano un'unica fascia oraria; e pertanto in ogni occasione di cui ho riferito, e dunque sia al mattino che al pomeriggio/sera, ho sempre visto il (...) svolgere le mansioni di barista. Nelle fasce orarie di cui al capitolo sub 3) del ricorso ho visto il (...) lavorare nel bar pasticceria (...)". Sulla medesima circostanza, dei testi di parte resistente, (...) affermava che "confermo che il (...) ha lavorato per l'intero periodo della vigenza di due contratti, per 3-4 ore al giorno per sei giorni alla settimanali ad eccezione del martedì, giorno di chiusura settimanale con mansioni di barista", mentre (...) dichiarava che "non so che tipo di contratto avesse il (...). Posso dire che alcune volte i nostri turni coincidevano, anche se ribadisco che io ero nel laboratorio della pasticceria ed il (...) fuori dallo stesso cioè al banco", dopo aver precisato che "conosco il ricorrente, in quanto l'ho visto lavorare nella stessa pasticceria durante il periodo di alternanza scuola-lavoro. Poi l'ho visto anche quando io sono stato a lavorare prima come stagista durante il cui periodo lavoravo otto ore, e poi come dipendente a tempo determinato fino a tutt'oggi svolgendo sei ore al giorno per sei giorni settimanali". Pertanto, considerate complessivamente le testimonianze acquisite, si ritiene che il ricorrente abbia adeguatamente dimostrato di aver lavorato giornalmente per almeno sei ore, dovendosi dare rilievo, tre le dichiarazioni rese, a quelle del teste di parte resistente che ha affermato che, talvolta, i propri turni (prima da otto e poi da sei ore) coincidevano con quelli del ricorrente, avvalorando così l'assunto sostenuto dal lavoratore, nonché le dichiarazioni degli altri testi. Sicché, alla luce dell'istruttoria svolta, si ritiene provato che il (...) abbia prestato la propria attività per almeno 40 ore settimanali, quale normale orario lavorativo settimanale ex art. 3 D.Lgs. n. 66 del 2003, da intendersi in tal caso come quantità media di ore lavorate dal ricorrente ciascuna settimana. Peraltro, ai fini della prova dello svolgimento di lavoro straordinario, eccedente le 40 ore settimanali, la prova acquisita in giudizio deve essere rigorosa e, alla luce delle dichiarazioni rese, tale prova non può ritenersi raggiunta, se si considera che la maggior parte dei testimoni erano clienti del bar e dunque non appare possibile che possano aver direttamente appurato l'inizio e la fine dei turni di lavoro. Al fine di quantificare le somme effettivamente spettanti al ricorrente a titolo di differenze retributive e di saldo TFR, è stata espletata una CTU contabile a mezzo della dott.ssa (...), la quale, sulla base dei parametri definiti con Provv. del 28 ottobre 2021 (rapporto di lavoro dal 20.12.2012 al 29.11.2016, mansioni come da contratto e buste paga, svolgimento di attività lavorativa per n. 40 ore settimanali, regolare fruizione di ferie e permessi), ha ritenuto che al lavoratore spetti la somma pari ad Euro 44.800,29 a titolo di differenze retributive e quella pari ad Euro 3.209,18 a titolo di TFR (cfr. CTU in atti a cui si rinvia, la quale non è stata contestata specificatamente dalle parti in ordine ai conteggi eseguiti). In definitiva, facendo proprie le conclusioni del CTU, si ritiene che al ricorrente spetti la somma complessiva pari ad Euro 48.009,47, di cui 44.800,29 a titolo di differenze retributive e 3.209,18 a titolo di saldo TFR. Pertanto, la domanda deve essere parzialmente accolta e, per l'effetto, il resistente deve essere condannato al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di 48.009,47 Euro, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo. Parimenti, (...), essendo stato integrato il contraddittorio nei confronti dell'INPS, deve essere condannato a regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale del C., sulla base di quanto accertato con la presente sentenza, nei limiti della prescrizione quinquennale di legge. Le spese processuali, comprese le spese di CTU, seguono la soccombenza e sono interamente poste a carico del resistente nella misura liquidata nel dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i.. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato il 16.03.2018 da (...) nei confronti di (...) quale titolare della ditta "(...)" e dell'INPS, rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1) accoglie parzialmente la domanda e, per l'effetto, condanna il resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 44.800,29 a titolo di differenze retributive e della somma di Euro 3.209,18 a titolo di saldo TFR, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo; 2) condanna il resistente a regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale del ricorrente sulla base di quanto accertato con la presente sentenza, nei limiti della prescrizione quinquennale; 3) condanna il resistente al pagamento delle spese processuali di parte ricorrente che liquida in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari in Euro 4.629,00 per compensi, oltre RSG CAP e IVA come per legge; 4) condanna il resistente al pagamento delle spese processuali dell'INPS, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre RSG CAP e IVA se dovuti per legge; 5) pone le spese di CTU definitivamente a carico della parte resistente. Così deciso in Trani il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRANI AREA 5 - CONT/DIRITTI-REALI/LOCAZ/COND. Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Silvia Sammarco, all'odierna udienza, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti, ha pronunciato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221 D.L. n. 34 del 2020, convertito con modifiche nella L. n. 77 del 2020, nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3985/2021 promossa da: (...) SPA ((...)), rappresentata da (...) SPA ((...)), rappresentata e difesa, in virtù di mandato in atti, dall'avv. Da.Ro., presso il cui studio in bari alla via (...) è elettivamente domiciliata ATTRICE contro (...) ((...)), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), rappresentato e difeso, in virtù di mandato in atti, dall'avv. Sa.Mo., presso il cui studio in Barletta alla via (...) è elettivamente domiciliato CONVENUTO (...) ((...)), nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), (...) ((...)), nella qualità di curatore speciale e rappresentante delle minori (...) e (...), ALTRE CONVENUTE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, notificato il 3 agosto 2021, (...) S.P.A. (d'ora innanzi, per brevità, (...) spa), rappresentata da (...) spa, conveniva in giudizio (...), (...) e (...), nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale su (...) e (...), premettendo che: - con atto di scissione parziale del 25 novembre 2020, indicato nell'estratto della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 29.12.2020, parte II, foglio delle inserzioni n.(...), era diventata titolare esclusiva dei crediti, ivi incluso quello per cui vi era causa, e dei rapporti appartenenti alla (...) S.p.A.; - la società "(...) S.a.s. di (...)" aveva intrattenuto con la (...) S.p.A. un rapporto di conto corrente di corrispondenza, contraddistinto con il n. (...), come da contratto stipulato in data 22 maggio 2006; - con atto di fideiussione omnibus del 24 luglio 2006, limitata fino alla concorrenza dell'importo di Euro 300.000,00, si erano costituiti fideiussori (...), (...), (...) e (...), a garanzia dell'adempimento della citata obbligazione; - a seguito del decesso di (...), la società "(...) S.a.s. di (...)", riconoscendosi debitrice della somma di Euro 223.725,80 per saldo debitore del c/c n. (...), aveva formulato alla (...) S.p.A., in data 22 maggio 2014, un'istanza di estinzione della propria obbligazione mediante versamenti con cadenza bimestrale e rimodulazione del residuo debito al 31 luglio 2015; tale istanza era stata sottoscritta per ratifica ed accettazione anche dai fideiussori (...), (...) e (...), nonché da (...), erede legittima del de cuius; - con lettera raccomandata dell'11 agosto 2016, la (...) spa aveva richiesto alla società debitrice e ai garanti di adempiere alle obbligazioni contratte, senza ricevere, tuttavia, alcun riscontro, sicché, con lettera raccomandata del 21 settembre 2018, comunicava alla debitrice principale e ai relativi garanti il recesso dal rapporto contrattuale; - la (...) risultava, quindi, essere creditrice, nei confronti della società "(...) S.a.s. di (...)", dei fideiussori (...), (...) e (...), e dell'erede del de cuius, (...), dell'importo complessivo di Euro 289.789,99, cristallizzato, poi, nel decreto ingiuntivo n. 569/2019, emesso dal Tribunale di Trani il 29 marzo 2019 e ritualmente notificato il 19 aprile 2021; - nell'ambito del costante monitoraggio delle possidenze immobiliari dei debitori, la (...) si era avveduta che (...), nonostante le obbligazioni fideiussorie assunte con l'istituto bancario, aveva sottratto beni immobili alla propria disponibilità patrimoniale; - in particolare, con atto del 25 luglio 2016, rep. n. (...) - racc. n. (...) a rogito del notaio (...), (...) aveva donato alle figlie (...) e (...) l'intera nuda proprietà dell'immobile sito in T.A.V.M. n. 147 e, in particolare: "- appartamento posto al piano quarto, composto da quattro vani ed accessori, confinante con vano scala, detta Via, vano ascensore, salvo altri oltre a locale ripostiglio al piano quinto con annesso terrazzo pertinenziale al quale si accede tramite scala posta sul terrazzo dell'appartamento, confinante con vano scale, detta Via, lastrico solare condominiale; - box posto al piano cantinato di un vano, confinante con corsia di scorrimento vano ascensore e vano scale, salvo ,altri. Le suddette unità immobiliari sono censite nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio (...), particella (...), - sub (...), categoria (...), classe (...), vani catastali 8, rendita Euro 785,01, già censito alla particella (...), sub (...) e sub (...) giusta variazione in data 13 maggio 2013 protocollo n. B.; - sub (...), categoria (...), classe (...), metri quadri 79, rendita Euro 102,00", riservandosi il diritto di abitazione vita natural durante; - il detto atto dispositivo era stato compiuto scientemente e volontariamente in pregiudizio delle sue ragioni creditorie. Concludeva, pertanto, chiedendo, in via principale, che fosse dichiarata l'inefficacia, ai sensi dell'art. 2901 c.c., ovvero, in via subordinata, la simulazione assoluta ex art. 1414 c.c. dell'atto di donazione del cennato bene immobile, con ordine al Conservatore dei registri immobiliari di Trani di procedere alla trascrizione della sentenza di revocatoria. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata il 23 novembre 2021, si costituiva in giudizio (...), il quale eccepiva: - l'intervenuta prescrizione della domanda di revoca dell'atto dispositivo sull'assunto per cui il termine di prescrizione era decorso, ai sensi dell'art. 2903 c.c., dalla data di stipulazione e non da quella di trascrizione del detto atto; - la necessità di sospensione necessaria del presente procedimento ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in attesa del passaggio in giudicato del giudizio teso a riconoscere con certezza la sussistenza della pretesa creditoria per cui è causa; - il disconoscimento della conformità all'originale della copia della lettera di fideiussione prodotta in atti dalla società attrice; - la nullità della fideiussione prestata da (...), (...) e (...) per violazione, in riferimento alle clausole nn. 2, 6 e 8, dell'art. 2, co.2, lett. a, della L. n. 287 del 1990 (secondo l'accertamento compiuto dalla (...) con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005), con conseguente liberazione dei garanti per intervenuta decadenza della (...) dall'azione ex art. 1957 c.c.; - l'assenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di revocatoria: in particolare, il consilium fraudis, trattandosi di un atto anteriore al sorgere del credito, e l'eventus damni, posto che la società attrice non aveva dimostrato l'incapienza del suo patrimonio residuo che, a suo dire, era sufficiente ad assicurare il soddisfacimento del credito. Concludeva, quindi, chiedendo, in via preliminare, che fosse disposta la sospensione del presente giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. e dichiarata l'intervenuta prescrizione dell'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2903 c.c.; nel merito, chiedeva che fosse accertata e dichiarata la nullità totale o parziale della fideiussione con liberazione dei garanti per intervenuta decadenza della (...) dall'azione ex art. 1957 c.c.; il rigetto della domanda per carenza dei presupposti di cui all'art. 2901 c.c. e, per l'effetto, che fosse considerato efficace l'atto di donazione; in via subordinata, che fosse rigettata la domanda proposta ex art. 1414 c.c., con vittoria di spese e competenze di giudizio. (...) e (...), pur ritualmente citate, non si costituivano in giudizio, di talché, all'udienza del 16 dicembre 2021, ne veniva dichiarata la contumacia. A seguito della concessione dei termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e del rigetto delle richieste istruttorie formulate dalle parti con ordinanza del 26 ottobre 2022, la causa veniva rinviata per la discussione all'udienza del 16 febbraio 2023, la cui trattazione veniva fissata con la modalità cartolare. Depositate le note conclusive e le note di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221 D.L. n. 34 del 2020, convertito con modifiche in L. n. 77 del 2020, la causa è stata decisa con deposito, fuori udienza, del presente provvedimento. La domanda proposta da (...) S.P.A., rappresentata da (...) spa, è fondata e merita, pertanto, accoglimento. Occorre preliminarmente esaminare, per priorità logica, l'eccezione con la quale (...) ha dedotto la nullità della garanzia fideiussoria prestata in favore della società "(...) S.a.s. di (...)", per violazione della normativa sulla libera concorrenza attuata, nel contratto di fideiussione, con la generalizzata adozione delle clausole di reviviscenza, sopravvivenza e di rinuncia al termine decadenziale di cui all'art. 1957 c.c., contenute nello schema predisposto dall'(...)I, e dichiarate parzialmente nulle dalla (...) con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005. Sul punto, la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha osservato che "i contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti" (Cass. civ. Sez. Unite Sent., n. 41994/2021). Orbene, nel caso in esame, il convenuto non ha provato, né tantomeno allegato: 1) la potenziale e diversa volontà delle parti in relazione all'eventualità del mancato inserimento di tale clausola, e, dunque, in funzione dell'interesse in concreto dalle stesse perseguito; 2) la circostanza per cui la parte del contratto colpita da invalidità non avesse un'esistenza autonoma, né perseguisse un risultato distinto, ma avesse una correlazione inscindibile con il resto del programma negoziale, nel senso che il contraente non avrebbe concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità; 3) l'estensione della dedotta nullità parziale all'intero contenuto della disciplina negoziale. A ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione per cui, anche con la presenza di clausole invalide, il contratto di fideiussione ha perseguito le due utilità del contratto principale, ovvero la concessione del finanziamento in favore della società e il mantenimento della garanzia in favore della banca creditrice, anche espunte le clausole invalide, atteso che l'alternativa sarebbe stata quella dell'assenza completa della fideiussione, con minore garanzia del debito della debitrice principale. Per tali ragioni, l'eccezione di nullità della fideiussione appare, pertanto, priva di ogni fondamento. Sempre in via preliminare, deve verificarsi la fondatezza dell'eccezione di prescrizione dell'azione revocatoria proposta da (...) sull'assunto per cui il termine quinquennale dell'actio pauliana decorrerebbe dalla data della stipula e non da quella della trascrizione dell'atto dispositivo. Nel giudizio di revocazione ordinaria di un atto dispositivo compiuto dal debitore, la disposizione dell'art. 2903 c.c., che disciplina la prescrizione dell'azione, deve essere interpretata alla luce delle regole generali in tema di prescrizione e, in particolare, della norma contenuta nell'art. 2935 c.c., secondo la quale essa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. A tal riguardo, la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito è unanime nel ritenere che "la disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo" (cfr. Trib. Lecco, 17 gennaio 2023 n. 36; Cass. civ. sez. III, Ord. n. 7281/2021; Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 5889/2016). Nel caso di specie, l'atto di donazione è stato trascritto presso la competente Conservatoria il 5 agosto 2016, mentre la notifica dell'atto di citazione ex art. 2901 c.c. si è perfezionata nei confronti dei convenuti il 3 agosto 2021 e, dunque, prima della scadenza del termine di prescrizione ex art. 2903 c.c. Per tali ragioni, l'eccezione di prescrizione dell'azione deve essere rigettata. Nel merito, la domanda proposta da (...) S.p.A. è fondata e merita accoglimento, sussistendo i presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901, comma I c.c. Com'è noto, l'azione revocatoria è finalizzata a tutelare l'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale del debitore contro ogni atto di disposizione patrimoniale che possa arrecare un pregiudizio alle ragioni del credito. Per il suo fruttuoso esperimento, l'art. 2901 c.c. pone determinate condizioni, sia soggettive che oggettive, che si sostanziano nell'esistenza: a) di un credito in capo all'attore che agisce in revocatoria, anche se sottoposto a condizione ovvero a termine; b) di un pregiudizio ai danni del creditore che deriva dall'atto di disposizione patrimoniale (eventus damni); c) del nesso di causalità tra l'atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e il pregiudizio alle ragioni creditorie; d) della conoscenza del pregiudizio alle ragioni creditorie da parte del debitore (scientia damni), ai sensi dell'art. 2901, 1 comma, n. 1), c.c. ovvero, per un atto anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione in pregiudizio alle ragioni creditorie; e) con riferimento agli atti di disposizione patrimoniale a titolo oneroso, la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio subito dal creditore del suo dante causa, ai sensi dell'art. 2901, 1 comma, n. 2), c.p.c. (consilium fraudis) e, per il caso di atto anteriore al sorgere del credito, la partecipazione dolosa dell'acquirente all'operazione fraudolenta (partecipatio fraudis). La verifica della fondatezza della domanda attorea muove, quindi, dalla compiuta analisi degli elementi testè evidenziati. Il primo presupposto, di natura oggettiva, è rappresentato dalla sussistenza di un diritto di credito verso il debitore, a nulla rilevando che il titolare del detto diritto non abbia iniziato o proseguito un'esecuzione nei confronti del medesimo debitore, ovvero non sia intervenuto in procedure esecutive avviate da altri creditori (cfr. su quest'ultimo punto Cass. n. 3113/1997; Cass. N. 8013/1996). Sul punto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sulla normativa di cui agli artt. 2901 e ss. c.c., l'utile esperimento dell'azione revocatoria non richiede la sussistenza di un credito certo o attuale o di una ragione di credito liquida od esigibile, potendo l'azione essere esperita, nel concorso degli altri requisiti richiesti dalla legge, per crediti anche solo eventuali (Cass. civ. n. 2400/1990), essendo a tal fine sufficiente la presenza di una semplice aspettativa, non prima facie assolutamente pretestuosa e che si atteggi come probabile, in rapporto alla complessiva peculiarità del caso concreto, nella sua esistenza, ancorché non risulti ancora definitivamente accertata (Cass. Civ. n. 12678/2001). Inoltre, quando l'azione revocatoria viene promossa dalla banca nei confronti del fideiussore, al fine di verificare l'anteriorità del credito per gli effetti di cui all'art. 2901 c.c., occorre fare riferimento al momento dell'accreditamento a favore del garantito e non a quello successivo dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione. Infatti, l'azione revocatoria presuppone la sola esistenza del debito e non anche la concreta esigibilità, essendone consentito l'esperimento, in concorso con gli altri requisiti di legge, anche a garanzia di crediti condizionali, non scaduti o soltanto eventuali (Cass. Sez. II N. 1413/2006) con la conseguenza che, prestata la fideiussione, in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c., prima parte, c.c. in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) (Cass. S.U. n.9349/2002). Ebbene, nel caso in esame, è indubbia l'esistenza del credito, pari all'importo di Euro 289.789,99, vantato dalla (...) S.p.A. nei confronti di (...), (...) e (...): tale credito, deriva dalla fideiussione rilasciata da questi ultimi il 24 luglio 2006, a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società (...) S.a.s. di (...), società in cui il (...) rivestiva il ruolo di socio accomandatario e legale rappresentante dell'impresa ed è documentalmente provato dal riconoscimento di debito del 22 aprile 2015, nonché dal decreto ingiuntivo n. 569/2019 emesso dal Tribunale di Trani, avverso il quale è stata proposta opposizione. A tal riguardo deve rammentarsi che, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria da parte del creditore avverso un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, la definizione dell'eventuale controversia sull'accertamento del credito non costituisce l'antecedente logico-giuridico indispensabile della pronunzia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto a sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito (Cass. civ. n. 2673/2016; Cass. civ. n. 17257/2013). Pertanto, sulla scorta delle considerazioni svolte in ordine alla tutelabilità, in sede revocatoria, del credito litigioso, è evidente che l'atto di donazione del 5 agosto 2016 sia successivo al sorgere del credito, consistente nel diritto al pagamento del saldo debitore del contratto di conto corrente di corrispondenza (maggio 2006) e della relativa fideiussione (luglio 2016) su cui si fonda la pretesa, successivamente, cristallizzata in sede monitoria (2019). Ed invero, l'anteriorità del credito deve essere esaminata con riferimento al momento in cui questo è sorto e non al momento successivo della sua pretesa, non occorrendo, in tal senso, la preventiva formazione di un titolo stragiudiziale o giudiziale. Sussiste, altresì, nel caso di specie, il c.d. eventus damni, ossia il pregiudizio consistente nel fatto che il patrimonio del debitore, in ragione dell'atto di disposizione, sia divenuto insufficiente a soddisfare il creditore. È noto, infatti, che il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cd. "eventus damni") ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (ex multis, Cass. Civ. Sez. VI Ord. n. 16221/2019; Cass. n. 19207/18). Nella fattispecie in esame, occorre innanzitutto evidenziare come la donazione abbia comportato un obiettivo impoverimento del disponente, il quale si è spogliato del diritto di proprietà di cui era titolare sull'immobile sito in T. alla Via M. n. 147 senza ricevere alcun corrispettivo. Con tale atto il garante si è, quindi, privato di una consistente porzione della proprietà immobiliare di cui aveva la disponibilità esclusiva, dopo aver sottoscritto una dichiarazione di riconoscimento di debito (aprile 2015) ed essersi impegnato all'estinzione del credito, ed ha reso impossibile la soddisfazione del credito da parte del suo creditore. Di contro, (...) non ha dimostrato la capienza e la sufficienza del suo patrimonio residuo, né tantomeno la titolarità di altri beni il cui valore fosse idoneo a soddisfare le pretese creditorie delle attrici, ma si è limitato ad allegare, al proprio fascicolo, la produzione di una visura catastale che, allo stato, non può ritenersi fonte di prova certa sulla situazione di fatto esistente sul proprio piano immobiliare, posto che l'accatastamento rappresenta, al più, un adempimento di tipo fiscale-tributario. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la c.d. scientia damni, ogniqualvolta l'atto dispositivo sia successivo al sorgere del credito e sia a titolo gratuito, è sufficiente la mera consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, e cioè la semplice conoscenza, cui va equiparata la agevole conoscibilità, da parte del debitore di tale pregiudizio. La prova della predetta consapevolezza può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis), né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore (cfr. Cass. n. 31227/2019; Cass. Sez. III n. 966/2007). Ciò premesso, la certezza circa la sussistenza della consapevolezza, da parte di tutti i contraenti, del pregiudizio arrecato alla società creditrice si desume: 1) dal ruolo ricoperto da (...), nella qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società (...) S.a.s. di (...), debitrice principale di parte attrice; 2) dalla situazione economica negativa in cui il (...) versava sin dal mese di maggio 2014, tanto che l'istituto di credito era stato costretto a chiedere il pagamento del debito; 3) dal rapporto di parentela tra le parti (il garante/debitore (...) è padre delle donatarie (...) e (...)), tale da rendere estremamente plausibile la presunzione che tutti fossero a conoscenza della situazione patrimoniale della società dagli stessi gestita e 4) dalle modalità di trasferimento del cespite immobiliare, idonee a far sorgere il sospetto di perseguire, attraverso l'alienazione, l'obiettivo di sottrarre i beni alle pretese delle creditrici. Per le ragioni testé esposte, la domanda revocatoria proposta da (...) S.p.A. deve essere accolta e, dunque, deve essere dichiarato inefficace nei suoi confronti l'atto di donazione a rogito del notaio (...) del (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), trascritto presso la Conservatoria dei RR.II di Trani il 5 agosto 2016, rep. (...) - racc. (...), con cui (...) ha donato alle figlie (...) e (...) l'intera nuda proprietà dell'immobile sito in T.A.V.M. n. 147 e, in particolare: - appartamento posto al piano quarto, composto da quattro vani ed accessori, confinante con vano scala, detta Via, vano ascensore, salvo altri oltre a locale ripostiglio al piano quinto con annesso terrazzo pertinenziale al quale si accede tramite scala posta sul terrazzo dell'appartamento, confinante con vano scale, detta Via, lastrico solare condominiale; - box posto al piano cantinato di un vano, confinante con corsia di scorrimento vano ascensore e vano scale, salvo, altri. Le suddette unità immobiliari sono censite nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio (...), particella (...), - sub (...), categoria (...), classe (...), vani catastali 8, rendita Euro 785,01, già censito alla particella (...), sub (...) e sub (...) giusta variazione in data 13 maggio 2013 protocollo n. (...); - sub (...), categoria (...), classe (...), metri quadri 79, rendita Euro 102,00, di cui si è riservato il diritto di abitazione vita natural durante. L'integrale accoglimento della domanda esperita ai sensi dell'art. 2901 c.c. consente di ritenere assorbita la domanda di simulazione assoluta dell'atto di donazione, proposta in via subordinata e non può che determinare, con rilievo assorbente rispetto ad ogni altra valutazione, il rigetto delle domande e delle eccezioni proposte da (...). Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno, dunque, poste a carico di (...), (...) e (...), in solido tra di loro, e liquidate in favore di (...) S.p.A. in Euro 1.241,00 per spese borsuali ed in Euro 22.457,00 per compensi ed Euro 1.241,00 per spese borsuali (applicate le tariffe medie ex D.M. n. 55 del 2014 così come modificato dal D.M. n. 147 del 2022 in ragione della media complessità delle questioni trattate e avuto riguardo allo scaglione di valore compreso tra Euro 260.001,00 ed Euro 520.000,00), oltre IVA, CAP e rimborso forfettario al 15%. P.Q.M. il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, nei confronti di (...), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), di (...), nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), e di (...), nella qualità di curatore speciale e rappresentante delle minori (...) e (...), con atto di citazione notificato il 3 agosto 2021, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: 1) accoglie la domanda proposta da (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, nei confronti di (...), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), di (...), nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), e di (...), nella qualità di curatore speciale e rappresentante delle minori (...) e (...); 2) per l'effetto, dichiara inefficace nei confronti di (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, l'atto di donazione a rogito del notaio (...) del (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), trascritto presso la Conservatoria dei RR.II di Trani il 5 agosto 2016, rep. (...) - racc. (...), con cui (...) ha donato alle figlie (...) e (...) l'intera nuda proprietà dell'immobile sito in T.A.V.M. n. 147 e, in particolare: - appartamento posto al piano quarto, composto da quattro vani ed accessori, confinante con vano scala, detta Via, vano ascensore, salvo altri oltre a locale ripostiglio al piano quinto con annesso terrazzo pertinenziale al quale si accede tramite scala posta sul terrazzo dell'appartamento, confinante con vano scale, detta Via, lastrico solare condominiale; - box posto al piano cantinato di un vano, confinante con corsia di scorrimento vano ascensore e vano scale, salvo, altri. Le suddette unità immobiliari sono censite nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio (...), particella (...), - sub (...), categoria (...), classe (...), vani catastali 8, rendita Euro 785,01, già censito alla particella (...), sub (...) e sub (...) giusta variazione in data 13 maggio 2013 protocollo n. (...); - sub (...), categoria (...), classe (...), metri quadri 79, rendita Euro 102,00, di cui si è riservato il diritto di abitazione vita natural durante; 3) condanna (...), (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento in favore di (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.241,00 per spese borsuali ed in Euro 22.457,00 per compensi, oltre IVA, CAP e rimborso forfettario al 15%. Sentenza resa all'esito di udienza svolta secondo modalità cartolare, con deposito immediato in cancelleria. Si comunichi. Così deciso in Trani il 16 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO SEZIONE CIVILE AREA 2 - COMMERCIALE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Giuseppe Rana ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 281 sexies c.p.c. nella causa civile di I Grado iscritta al N. 1538/2021 R.G. promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato presso i difensori (...); ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. (...); CONVENUTO/I Oggetto: Intermediazione mobiliare (fondi, di invest., gestione risparmio, etc.) CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza. Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato unitamente al pedissequo decreto di fissazione d'udienza in data 15 aprile 2021, (...) ha convenuto in giudizio (...) lamentando taluni illeciti commessi, in qualità di intermediario finanziario, nel prestare in favore del ricorrente, i servizi di investimento con riguardo a titoli emessi dalla (...). Concludeva come segue. "1. Accertare e dichiarare il grave inadempimento degli obblighi precontrattuali e contrattuali della convenuta nelle operazioni finanziarie descritte in narrativa e per l'effetto, previa risoluzione del contratto, ove occorra, condannare (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore (...), con sede in (...), al risarcimento dei danni subiti dall'attore da calcolarsi nella differenza fra il valore di acquisto di euro 27.057,55 e il valore attuale delle azioni detenute emesse dallo stesso istituto, attualmente pari a zero, oltre interessi e rivalutazione monetaria; 2. In subordine, accertare e dichiarare il grave inadempimento degli obblighi precontrattuali e contrattuali della convenuta nelle operazioni finanziarie descritte in narrativa e per l'effetto, previa risoluzione del contratto, ove occorra, condannare (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in (...), al risarcimento dei danni subiti dall'attore (...), nella misura ritenuta di giustizia da codesto Tribunale oltre interessi e rivalutazione monetaria; 3. Condannare in ogni caso la (...), in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in (...), al pagamento delle spese e competenze di causa da distrarsi in favore dei sottoscritti difensori che si dichiarano antistatari. 4. Accertata la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, condannare la (...), in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in (...), al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma dì un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio". Si costituiva la banca, la quale chiedeva il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Trasformato il rito e ritenuta la causa matura per la decisione, la stessa era discussa e decisa sulle conformi conclusioni delle parti. Motivi della decisione La domanda è fondata. Non è in discussione che l'ultraottantenne attore acquistava, a più riprese, titoli azionari emessi dalla banca convenuta che svolgeva anche funzioni di intermediazione in data 28/11/2014, nn. 1848 azioni (...) ad un prezzo pari ad euro 8,95 per un controvalore complessivo di euro 16.539,60; in data nn. 752 azioni (...) ad un prezzo pari ad euro 8,95 per un controvalore complessivo di euro 6.730,40; in data 17/06/2015 nr. 41 (...) ad un prezzo pari ad euro 8,95 per un controvalore complessivo di euro 366,95; in data 3/09/2015 nn. 359 (...) ad un prezzo pari ad euro 9,53 per un controvalore complessivo di euro 3.421,27. L'attore lamenta altresì che provò sia nel 2016, sia nel 2017 e sia nel 2018 a vendere le proprie azioni ma senza successo, fino a quando apprendeva dai giornali, con non poco sgomento, della crisi irreversibile della (...) e dell'avvenuto azzeramento delle sue azioni. E' fatto notorio, d'altra parte, che con provvedimento del 13 dicembre 2019, la (...) ha avviato nei confronti dell'intermediario convenuto la procedura dì amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 70 TUB in ragione delle gravi perdite patrimoniali registrate, e la CONSOB, con la delibera n. (...) la sospensione temporanea delle negoziazioni su tutti i mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione italiani di titoli emessi o garantiti dall'intermediario. Il valore delle azioni è stato di fatto azzerato. Ciò premesso, l'attore si duole, tra l'altro, che era mancato un passaggio irrinunciabile in sede di intermediazione finanziaria in regime di consulenza, ossia la valutazione di adeguatezza delle operazioni di acquisto delle azioni emesse dalla (...), tenuto conto che la odierna convenuta aveva impropriamente attribuito alle azioni di propria emissione la classe di rischio sintetica pari a 3 (media) e nel contempo aveva omesso di dare all'attore informazioni in ordine ad una caratteristica fondamentale dei titoli venduti, che se conosciuta, avrebbe indotto l'attore a ben guardarsi dall'acquistare le azioni della (...): la illiquidità delle azioni. Concludeva che se il titolo fosse stato venduto per quello che è ossia ad alto rischio di liquidità, se fosse stato chiarito in che modo veniva assegnato alle azioni della (...) il prezzo, se fosse stata effettuata una seria valutazione di adeguatezza da parte della (...) in ordine al rapporto risparmiatore/investimento, non soltanto non lo avrebbe mai sottoscritto. Ebbene, nella specie si deve ritenere che sussistono i presupposti di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. per effetto dell'inadempimento dell'Intermediario di non scarsa importanza, avendo questi agito nella fase esecutiva dei predetti contratti quadro, in violazione dei doveri di diligenza di cui all'art. 117 6, comma 2, c.c. Non sussiste pertanto la prescrizione quinquennale eccepita dalla banca, atteso che la domanda attiene al risarcimento da inadempimento contrattuale. Né è rilevante, quand'anche provato, il fatto che l'attore al momento delle negoziazioni fosse accompagnato e consigliato dal figlio, che a dire della banca sarebbe un esperto commercialista: tutte le questioni in gioco hanno qui una dimensione esclusivamente personale e non si possono certamente confondere le diverse età, esperienze finanziarie e propensioni al rischio. Sempre in premessa, va rilevato che la domanda, contrariamente a quanto ritiene la banca, non si fonda affatto su una sorta di interessato pentimento postumo derivante dall'insuccesso (peraltro totale) dell'investimento ma sua una puntuale disamina, alia luce delle norme vigenti, dei comportamenti della banca quale intermediario. Emerge infatti documentalmente almeno un profilo attinente alla negoziazione dei singoli titoli e dunque in esecuzione del contratto quadro, che sarebbe già di per sé dirimente: la mancata e corretta valutazione di adeguatezza dell'investimento. La S.C., con ordinanza n. 3578 9 del 6 dicembre 2022 ha compiuto una ricognizione dei principi in materia di valutazione di adeguatezza affermando che in tema di intermediazione finanziaria, gli obblighi sanciti "ratione temporis" dall'art. 21 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e dall'art. 28, commi 1 e 2, del Reg. Consob n. 11522 del 1998, non vengono meno nei confronti dell'investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato, risultanti dalla sua condotta pregressa, seguitando a rispondere l'obbligo informativo all'obiettivo del riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore medesimo, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole. In motivazione si legge che "è principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità (su cui per tutte, cfr. Cass., ord., 31 agosto 2017, n. 20617), quello per cui, in tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, gli obblighi di comportamento sanciti dall'art. 21 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 1152 2 de) I "98, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull'investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è il caso dell'obbligo d'informazione ed. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); con particolare riferimento all'obbligo di informazione attiva, si rammenta che l'art. 28, secondo comma, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all'investitore "informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento"; ai sensi dell'art. 23, sesto comma, del D.Lgs. n. 58 del 1998, grava sull'intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, dunque, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio; pertanto, l'intermediario convenuto in un giudizio di responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell'investimento, posto che l'inosservanza dei doveri informativi da parte del l'intermediario è fattore di disorientamento dell'investitore, che condiziona le sue scelte di investimento (cosi, Cass., ord., 31 agosto 2020, n. 18153); l'assolvimento dell'obbligo di informazione dunque, all'intermediario di attivarci per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell'emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente (cfr. Cass. 23 aprile 2017, n. 8619); con particolare riferimento, poi, all'obbligo di informazione passiva previsto dall'art. 28, primo comma, lett. a), consistente nella richiesta di notizie al l'investitore circa la sua esperienza in materia dì investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la propensione alle singole operazioni che l'investitore porrà in essere; infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la valutazione di adeguatezza di un'operazione da parte dell'intermediario - come tale inidonea a far sorgere l'obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto -richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell'investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione di adeguatezza effettuata dall'intermediario" (nello stesso senso anche Corte di Cassazione, ord. 19891 del 20 giugno 2022)". Va precisato per completezza che alla specie è applicabile la deliberazione CONSOB 29/10/2007 - N. 16190 (abrogata dall'articolo 2, comma 1, della Deliberazione CONSOB 15 febbraio 2018, n. 20307), la quale, in particolare, all'art. 27, 2 comma, disponeva che gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi a: essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. Tali informazioni, che possono essere fornite in formato standardizzato, si riferiscono: a) all'impresa di investimento e ai relativi servizi; b) agli strumenti finanziarie e alle strategie di investimento proposte, inclusi opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento; c) alle sedi di esecuzione, e d) ai costi e oneri connessi. All'art. 39 si prevedeva che al fine di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o potenziale cliente, nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio, gli intermediari ottengono dal cliente o potenziale cliente le informazioni necessarie in merito: a) alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio; b) alla situazione finanziaria; c) agli obiettivi di investimento. L'art. 40 prescriveva in punto di adeguatezza che "sulla base delle informazioni ricevute dal cliente, e tenuto conto della natura e delle caratteristiche del servizio fornito, gli intermediari valutano che la specifica operazione consigliata o realizzata nel quadro della prestazione del servizio di gestione di portafogli soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all'investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all'operazione o alla gestione del suo portafoglio". Invero la banca afferma che ha compiutamente valutato come adeguate l'operazione di acquisto di azioni (...) effettuati (...), atteso che il livello di rischiosità di tali titoli (all'epoca degli acquisti per cui è causa "medio") risultava perfettamente in linea rispetto al profilo finanziario e al livello di esperienza e competenza finanziaria - per l'appunto, "medio" - del ricorrente. Senonchè la stessa banca asserisce che il cliente dichiarò in sede di profilatura di perseguire una "crescita del capitale nel medio-lungo periodo, pur accettando il rischio di perderlo in parte", nonché di essere disposto a perdere "anche una parte media del mio capitale investito". A bene vedere non si tratta affatto di dichiarazioni compatibili con l'acquisto dei titoli BPE oggetto di contestazione. A parte l'età avanzata del cliente, proprio l'orizzonte temporale molto ampio doveva indurre l'intermediario ad una maggiore diligenza atteso che se al momento delle negoziazioni la situazione della banca era (relativamente) sicura, nell'orizzonte temporale previsto si è verificato un fatto che nella vita di un'impresa bancaria non è infrequente, ovvero il default. Ciò ha comportato la perdita totale del valore dell'investimento, cui certamente il cliente non era disposto, né era stato informato, a poco valendo la generica e puramente rituale dichiarazione di essere disposto a prendere una parte (non certo il tutto) dell'investimento medesimo. D'altra parte il contesto descritto rende evidente che il cliente mai avrebbe sottoscritto l'investimento se avesse avuto la consapevolezza di poterlo perdere del tutto nell'orizzonte temporale dichiarato, né si può negare che le due raccomandazioni scritta prodotte da parte attrice denotano un condizionamento ulteriore della libera volontà dell'investitore ed escludono di per sé un concorso nell'illecito. In ogni caso, la sopra ricordata giurisprudenza di legittimità afferma che dalla funzione sistematica assegnata all'obbligo informativo gravante sull'intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell'intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell'investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l'investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni delio stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati (cfr. Cass. n. 335 96 del 2021; Cass. n. 16125 del 2020). In ordine al quantum debeatur, la stessa banca conferma il valore complessivo dell'investimento al netto delle azioni gratuite (euro 27.058,22) e rivendica l'applicazione del principio secondo il quale in punto di quantificazione del danno da investimento va escluso che lo stesso possa essere quantificato in una somma pari agli importi investiti, potendosi al limite liquidare "in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell'acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria" (cfr. Cass. 10 agosto 2016, n. 16939, in www.dejure.it). Ebbene, non è in discussione il fatto che allo stato le azioni in discorso non sono commerciabili, mentre nessuna cedola o dividendo risulta ricollegabile alle azioni in discorso. In definitiva la convenuta va condannata al risarcimento del danno pari alla somma di euro 27.058,22, oltre interessi legali dalla domanda. Ogni ulteriore attività istruttoria appare superflua. Le spese di lite, liquidate come appresso, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore degli avv.ti (...) antistatari. Valore della Causa: Da euro 26.001 a euro 52.000. Fase di studio della controversia, valore medio: (...); Fase introduttiva del giudizio, valore medio: (...); Fase istruttoria e/o di trattazione, valore minimo: (...); Fase decisionale, valore minimo: compenso tabellare: (...); La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, 1) dichiara la responsabilità contrattuale della convenuta e la condanna al risarcimento del danno nella somma di euro 27.058,22, oltre interessi legali dalla domanda; 2) condanna la convenuta alla rifusione in favore degli avvocati (...), antistatari delle spese di lite, che liquida in euro (...) per esborsi ed euro (...) per compensi, oltre RSG 15 per cento IVA e CAP. 3) dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva per legge. Sentenza resa ex Articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale, per l'immediato deposito in cancelleria. Così deciso in Trani il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Civile, in persona della dott.ssa Maria Azzurra Guerra, in funzione di giudice unico, esaminati gli scritti defensionali conclusivi, ai sensi dell'art. 190 secondo comma c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2275/2019 R.G.A.C.C. TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Elisabetta Mastrototaro, in virtù di mandato a margine all'atto di citazione in primo grado - APPELLANTE- CONTRO U.C.I. SOC. CONS. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore De Gaetanis e Luca Perrone, in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello - APPELLATA- (...) - ALTRA APPELLATA/CONTUMACE - OGGETTO: appello sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie n. 323/2018 FATTO E DIRITTO Nei limiti della dovuta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in termini succinti ed essenziali (artt. 132, 281-sexies, 352 c.p.c., e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. (...) conveniva, innanzi al GDP di Bisceglie, l'(...) SOC. CONS. A R.L. e (...), al fine di accertare la responsabilità esclusiva di quest'ultima nella causazione del sinistro verificatosi il 21.3.2017 in Bisceglie alla via della Repubblica e, per l'effetto, sentirli condannare in solido, al risarcimento dei danni materiali quantificati in Euro 1.289,65, oltre interessi e rivalutazione. Con sentenza N. 323 pubblicata il 26.11.2018 il Giudice di Pace di Bisceglie rigettava la domanda, ritenendola non sufficientemente provata. Con atto di citazione notificato il 29.4.2019, (...) ha interposto gravame sulla scorta di due motivi: 1. violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze istruttorie; 2. erronea imputazione in capo a parte attrice delle spese di ctu non espletata ed erronea compensazione delle spese legali. Al gravame ha resistito l'(...) SOC. CONS. A R.L., chiedendo di rigettare l'impugnazione ex adverso proposta in quanto infondata e di confermare la sentenza di prime cure, con condanna dell'appellante alle spese del secondo grado di giudizio. (...), già contumace in primo grado, è rimasta tale anche nel presente grado di giudizio. Acquisito il fascicolo del primo grado di giudizio, in assenza di attività istruttoria, all' udienza del 17.10.2022- celebrata in modalità cartolare- la causa, ritenuta non abbisognevole di istruttoria, è stata riservata per la decisione, con concessione alle parti dei termini ex art. 190 secondo comma c.p.c., stante l'anzianità della lite. Le parti hanno provveduto a depositare le comparse conclusionali e le note di replica. In particolare, l'appellante, con comparsa conclusionale depositata il 10.11.2022 ha rassegnato le seguenti conclusioni. " Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta e rigettata ogni contraria istanza: 1. Accogliere l'appello e riformulare integralmente la sentenza impugnata n. 323/2018, pronunciata dall'Ufficio del Giudice di Pace di Bisceglie, in persona dell'Avv. R.G. in data 26.11.2018 e depositata in pari data; 2. Per l'effetto accertare e dichiarare la totale responsabilità del sinistro de quo in capo al conducente dell'autovettura targata (...), di proprietà della sig.ra (...); 3. Di conseguenza condannare la (...) SOC. CONS. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in M., al Corso S. n. 39 e la sig.ra (...), elettivamente domiciliata presso la sede legale della (...) SOC. CONS. A R.L., in solido fra loro al pagamento, in favore della sig.ra (...) nata a B. (B.) il (...) (CF (...)), e residente in Bisceglie alla via (...) della somma complessiva di Euro 1.289,65, oltre interessi e svalutazione monetaria dal giorno della domanda all'effettivo soddisfo a titolo di risarcimento dei danni materiali subiti dalla sig.ra (...) all'autovettura di sua proprietà targata (...); 4. Condannare i convenuti in solido tra loro al pagamento in favore della sig.ra (...) delle spese processuali del doppio grado di giudizio nella misura che l'Ill.mo Tribunale adito ritenga congrua oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario". La Compagnia appellata, con memoria conclusionale depositata il 16.11.2022 ha insistito nell'accoglimento delle seguenti conclusioni "accertare e dichiarare l'infondatezza dell'appello proposto dalla sig.ra (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie n. 323/2018, depositata in Cancelleria in data 26/11/2018; - rigettare, quindi, l'appello così come proposto ex adverso e, per l'effetto, - confermare integralmente il contenuto della sentenza appellata; - condannare, infine, l'appellante, al pagamento delle spese e delle competenze per il secondo grado di giudizio.". Nelle note di replica depositate il 21.11.2022 l'appellante ha contestato l'eccepita incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. sollevata dall'appellata in sede di comparsa conclusionale, rilevandone la tardività. Ha, insistito, dunque, nell'accoglimento delle conclusioni rassegnate. Con le note di replica depositate il 30.11.2022, la Società appellata ha contestato la dedotta tardività dell'eccezione ex art. 246 c.p.c., insistendo nell'accoglimento delle conclusioni rassegnate. L'appello è infondato, non essendovi prova del nesso causale fra i danni materiali lamentati dall'attrice e l'evento processualmente dedotto. Non appare superfluo rilevare che, in tema di sinistri stradali verificatisi a causa di tamponamento, la Cassazione ha chiarito che "ai sensi dell'art. 149, comma 1, del D.Lgs. n. 285 del 1992, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo dello stesso, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l'avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione "de facto" di inosservanza della distanza di sicurezza; ne consegue che, esclusa l'applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., egli resta gravato dall'onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto del mezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili" (Cass., ord. n. 18708 del 01/07/2021; cfr. anche Cass., ord. n. 13703 del 31/05/2017). Grava, dunque, in capo al danneggiato l'onere probatorio dell'effettiva verificazione del sinistro occorso, della sua esatta dinamica e del nesso causale tra la condotta del convenuto e l'evento-danno, mentre il convenuto, esclusa la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., deve dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo, allo stesso in tutto e in parte non imputabile, che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità. Il danno alla carrozzeria dell'autovettura lamentato dalla (...) è stato contestato dalla compagnia assicurativa sia nel corso del giudizio di primo grado che nel giudizio di appello, sicché gravava sulla danneggiata, sulla base dei principi generali stabiliti dall'art. 2697 c.c. l'onere di dimostrare il verificarsi del danno quale conseguenza dell'incidente e la sua consistenza. L'appellante, invece, non ha fornito la prova né della riconducibilità all'impatto fra i veicoli di un danno alla sua autovettura né dell'ammontare del pregiudizio di carattere patrimoniale subito per aver sostenuto le spese necessarie per la riparazione del veicolo. Infatti, sul primo aspetto le dichiarazioni testimoniali rese da (...) e (...) all'udienza del 5.4.2018 sono di fatto ininfluenti, in quanto nulla indicano in ordine ai danni riportati dall'autovettura. Ferma l'evidente lacunosità e genericità di tali dichiarazioni, la domanda attorea non è supportata neppure da alcuna documentazione fotografica dell'autovettura di proprietà dell'attrice (in tal senso, Cass., ord., 5.10.2022 n. 28924). Con riferimento al quantum risarcibile, poi, nessuna valenza ai fini della prova della riparazione del veicolo e del quantum del relativo esborso può essere riconosciuta alla fattura rilasciata dalla Carrozzeria incaricata della riparazione (cfr. all. n. 2 fascicolo di primo grado dell'attrice). Infatti, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale da cui non vi sono ragioni per discostarsi, la fattura commerciale emessa dal soggetto incaricato della riparazione della cosa danneggiata, come il relativo preventivo di spesa, in quanto documento redatto da un terzo e in assenza di contraddittorio, non può costituire prova dell'ammontare del pregiudizio economico verificatosi nella sfera giuridica del danneggiato, ma può assumere eventualmente valenza probatoria a condizione che sia accompagnata dalla prova del relativo pagamento o sia confermata in giudizio dal suo autore (cfr., Cass., ord., 12.12.2018 n. 3293; nonché meno recentemente Cass., 28.11.2013, n. 26693). Nel caso che ci occupa né la intervenuta riparazione del veicolo né il pagamento al prestatore d'opera del relativo costo ad opera del danneggiato sono stati confermati dal soggetto che ha emesso la fattura commerciale in atti nel corso del giudizio di primo grado né l'attrice ha fornito prova dell'effettivo pagamento di quanto in esso contenuto. Pertanto, occorre concludere che correttamente il Giudice di prime cure ha escluso che fosse stata raggiunta la prova del danno al veicolo di proprietà dell'attrice, della sua riconducibilità sul piano causale all'incidente e dell'ammontare del pregiudizio patrimoniale verificatosi nella sfera patrimoniale dell'attrice in misura corrispondete all'esborso sostenuto per la riparazione. Né coglie nel segno il secondo motivo di impugnazione inerente l'erronea imputazione all'attrice delle spese di ctu, in quanto mai svolta. Trattasi, tuttavia, di mero errore materiale, che non ha inficiato il dispositivo della sentenza di primo grado, nel quale non si fa alcun riferimento alle spese di consulenza. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i parametri valoriali medi dettati dal D.M. n. 147 del 2022, con esclusione della fase istruttoria, di fatto, non svolta per la natura documentale della controversia.. L'infondatezza nel merito del gravame impone l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 113 del 2002, con condanna dell'appellante al pagamento di un importo pari a quello versato a titolo di contributo unificato per l'impugnazione. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie n. 323/2018, proposto da (...) nei confronti dell'(...) SOC. CONS. A R.L. e di (...), con atto di citazione notificato il 29.4.2019 ed iscritta al n. 2275/2019 R.G.A.C.C., così provvede: 1. rigetta l'appello; 2. per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; 3. condanna (...) al pagamento in favore dell'(...) SOC. CONS. A R.L. delle spese del presente grado di giudizio che quantifica in Euro 1.700,00 per compensi, oltre rimborso forfettario del 15%, C.A.P. ed Iva; 4. dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 con conseguente condanna dell'appellante al pagamento di un ulteriore importo pari a quello dovuto a titolo di contributo unificato versato per l'impugnazione. Così deciso in Trani il 2 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.
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