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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI Il Tribunale di Trani, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario di Pace, avv.to Onofrio Montecalvo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al N. 4724 R. G. 2019 tra: (...), rapp.ta e difesa dall'avv.to (...), giusta mandato alle liti conferito con l'atto di citazione di cui in atti e presso il cui Studio, posto in Barletta alla Via (...), è elettivamente domiciliata, - attrice-; contro: (...) S.p.a., in persona del suo procuratore "pro tempore" dott. (...), rapp.ta e difesa dall'avv.to (...), giusta mandato alle liti conferito con la comparsa di costituzione e risposta di cui in atti e presso il cui Studio, posto in Andria alla (...), è elettivamente domiciliata; - convenuta- Oggetto: Assicurazione contro i danni. Conclusioni: Come da scritti introduttivi, memorie e verbali di udienza in atti. PRELIMINARMENTE deve precisarsi che, a seguito dell'entrata in vigore della L.n. 69/09 - che ha modificato l'art. 132 c.p.c. - è stata eliminata la necessità di indicare sinteticamente, in sentenza, lo svolgimento del processo, richiedendosi unicamente la esposizione dei motivi della decisione. FATTO E CENNI SULLO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 04/09/2019, (...), dopo avere premesso di essere proprietaria dell'autovettura Mini Cooper Countryman, targata (...), lamentava che il giorno 04/03/2017, la stessa era stata sottratta da ignoti ladri. Conveniva pertanto in giudizio la (...) s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, società che assicurava l'autovettura in questione per il rischio furto, al fine di sentirla condannare al pagamento, in suo favore, della somma di Euro. 18.000,00, oltre agli interessi ed al danno da svalutazione monetaria, nonché al rimborso delle spese sostenute per la procedura di mediazione che ha preceduto il presente giudizio. Il tutto, con vittoria delle spese e competenze di causa. Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda, eccependo che la lettura dei dati forniti dal rilevatore g.p.s. posto all'interno dell'autovettura aveva evidenziato uno svolgersi degli avvenimenti contrastante rispetto alla versione fornita dall'attrice. La domanda è fondata e deve, nei limiti in seguito precisati e per quanto di ragione, essere accolta come da successiva motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Per quanto concerne l'an della pretesa attorea, la causa può trovare pronta soluzione se si affronta preventivamente la questione della attendibilità dell'apparecchio satellitare inserito nel veicolo assicurato, il quale ne ha rilevato gli ultimi movimenti. Invero, per quanto risulta agli atti, la Compagnia di assicurazioni convenuta, ha ritenuto di non dovere indennizzare l'attrice per il furto della sua autovettura supponendo che, detto veicolo, alla data del 04.03.2017, alle ore 11.00, non si trovava in Ruvo di Puglia, dove invece è stato denunciato il furto, bensì in Terlizzi. Dette risultanze emergerebbero da un documento (datato 15.11.2019), prodotto dalla convenuta, allegato alla propria comparsa di costituzione, dal quale si ricaverebbe che l'ultimo movimento rilevato dal sistema satellitare in dotazione al veicolo sarebbe avvenuto il 04.03.2017 alle ore 10.47.51 sulla S.P.2 in Terlizzi. Per quanto emerso dagli atti di causa, non appare essere stata dimostrata da parte della convenuta l'attendibilità dei dati riportati nel documento datato 15.11.2019 e, in modo particolare, non risulta fornita la prova circa la perfetta funzionalità dell'apparato g.p.s. a cui quei dati si riferiscono ed maggior ragione se si considera che, parte attrice, sin da subito, ha puntualmente contestato l'attendibilità del predetto documento, sotto molteplici profili, in gran parte condivisi da questo giudicante e che di seguito si richiamano per sintesi espositiva. In primo luogo, il report datato 15.11.2019 è da ritenersi privo di attendibilità probatoria, perché privo di sottoscrizione del soggetto che avrebbe emesso la certificazione. Inoltre, i dati della geolocalizzazione, nel medesimo documento trascritti, potrebbero non risultare attendibili in mancanza di prova del corretto funzionamento del dispositivo g.p.s.. In ogni caso, la circostanza che il dispositivo di geolocalizzazione non abbia registrato i movimenti successivi alle ore 10.47 del 04 marzo 2017, tecnicamente può essere imputabile a diversi fattori, di per sé non escludenti a priori l'accadimento dei fatti come riportati dall'attrice in atto di citazione. Inoltre, non vi è prova agli atti di causa che il dispositivo g.p.s. identificato a mezzo di specifico numero di serie nel documento prodotto dalla convenuta, datato 15.11.2019, corrisponda effettivamente al g.p.s. montato sull'autovettura dell'attrice. Non va altresì sottaciuta l'ulteriore circostanza che, parte attrice, avvalendosi di un proprio consulente di parte, nella fase stragiudiziale del sinistro, ha tentato, ma invano, di ottenere da parte della società (...) s.p.a., il report completo dei dati della centralina g.p.s., in dotazione all'autovettura oggetto di furto. Come è emerso all'esito dell'istruttoria del presente giudizio (si veda l'istanza di accesso agli atti prodotta da parte attrice, nonché le dichiarazioni rese dal teste (...) all'udienza del 12.07.2022), la società (...) s.p.a., in seguito alle numerose richieste dell'attrice, finalizzate all'acquisizione del dettaglio della geolocalizzazione del proprio veicolo alla data del furto, rilasciava un report i cui dati si riferivano al giorno 03.03.2017, con ultimo rilevamento alle ore 21.37, non documentando alcunché in relazione alla giornata del 04.03.2017. Tanto, lascia ulteriore spazio ai già prospettati dubbi di inattendibilità del documento prodotto dalla convenuta, il quale, tra l'altro, risulta emesso a circa due anni di distanza dal denunciato furto. L'istruttoria svolta nel presente giudizio ha, invece, confermato il verificarsi degli avvenimenti riportati da parte attrice nell'atto di citazione e, infatti, all'udienza del 12.07.2022, i testi escussi hanno dichiarato che l'autovettura di parte attrice, la Mini Countryman targata (...), alle ore 11.10 circa del giorno 04.03.2017, si trovava regolarmente parcheggiata e chiusa a chiave in Ruvo di Puglia e che la stessa autovettura non veniva più ritrovata dopo circa mezz'ora in quanto presumibilmente sottratta ad opera di ignoti. Invero, per quanto sopra, l'attrice ha pienamente dato corso alla dimostrazione della fondatezza della propria domanda, come rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità, quando afferma che "in tema di diritto al pagamento dell'indennizzo assicurativo, grava sull'attore l'onere di dimostrare tutti i presupposti della sua domanda, in primo luogo, l'effettivo verificarsi del sinistro, trattandosi del fatto costitutivo della domanda, ai sensi del primo comma dell'art. 2697 c.c., in quanto, le eccezioni sollevate dall'assicuratore convenuto, al fine di escludere l'obbligo di prestare la garanzia, non valgono a sollevare l'assicurato dall'obbligo di fornire la prova dell'effettivo verificarsi del sinistro e di ogni altro presupposto del diritto all'indennizzo" (cfr., explurimis: Cass. Civ., 20 marzo 2006 n. 6108; id., 20 aprile 2012 n. 6267). In sintesi, nel caso specifico, l'attrice, onerata della prova dell'effettivo avvenimento del furto, ha prodotto elementi idonei a dimostrarne l'esistenza. Al contrario, la linea difensiva della convenuta, gravata della prova contraria, è stata fondata principalmente su mere supposizioni di fatti ed illazioni, assunte dalla stessa quali postulati, risultati, all'evidenza, non solo non provati ma, soprattutto, contraddetti da opposte risultanze probatorie. Infatti, la convenuta (...), ha fondato le proprie controdeduzioni sulla base della presunta infallibilità del rilevatore satellitare, contestando che il furto denunciato si sia verificato con le modalità descritte dall'attrice nella denuncia presentata alle autorità competenti. Tali affermazioni sarebbero, a dire della convenuta, supportate dal tabulato fornito dalla (...) s.p.a., il quale, riportando i movimenti del veicolo sottratto all'attrice, indicherebbe, quale ultimo rilevamento, quello delle ore 10.47 del giorno 04.03.2017, a partire del quale nessun altro spostamento del veicolo sarebbe stato effettuato. Tale assunto risulta smentito dalle prove testimoniali raccolte nell'istruttoria svoltasi in giudizio, le quali possono essere considerate più che attendibili, rispetto ad un dispositivo elettronico complesso, per sua stessa natura fallibile, il quale se non correttamente funzionante, può riportare dati non corretti. Si pensi, ad esempio, alla semplice manomissione dell'antenna g.p.s. dell'impianto satellitare che non consentendo un corretto aggiornamento dei dati, avrebbe, quale conseguenza logico-giuridica, l'inattendibilità probatoria dei dati risultanti dal report del dispositivo satellitare. Riguardo al quantum debeatur, rimarcata la sostanziale assenza di contestazione sul punto da parte della convenuta, ritiene, il giudicane, che, il valore dell'autovettura in questione (immatricolata nell'aprile del 2014) al momento del furto (gennaio 2017), fosse pari ad euro 17.300,00. Trattasi di valore commerciale parametrato dalla primaria rivista di settore Quattroruote, peraltro, depositata nel fascicolo di parte attoreo, per cui, non sembra esservi esosità nella richiesta. Detta somma (Euro. 17.300,00), pari al valore commerciale dell'autovettura al momento del furto, deve essere rivalutata all'attualità e, pertanto, risulta ad oggi pari ad Euro. 20.258,30. In ordine alla richiesta di rimborso delle spese per l'avvio della procedura di mediazione che ha preceduto il presente giudizio, ritiene questo giudice di dover accogliere la richiesta formulata da parte attrice per le ragioni di seguito esposte. La procedura di mediazione, per la materia oggetto del presente giudizio, è prevista dalla legge a pena di improcedibilità della domanda, quindi, necessaria. Risulta dal verbale di mediazione versato in atti che, la convenuta (...) S.p.A., pur formalmente invitata a partecipare alla procedura di mediazione, per tentare la composizione della controversia, non vi aderiva senza addurre alcun motivo. Questo giudice, in forza del principio di causalità intercorrente tra la procedura di mediazione ed il successivo giudizio di accertamento, ritiene che le spese sostenute dall'attrice per l'espletamento della fase di mediazione siano rimborsabili in quanto esborsi. La convenuta va perciò condannata anche al rimborso delle spese sostenute per l'introduzione del procedimento conciliativo previsto per legge, sostanzialmente riconducendo le spese affrontate al regime di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. e che si liquidano in complessivi euro 800,00. Stante l'accoglimento della domanda, le spese processuali seguono la soccombenza e, quindi, vengono quantificate come nel successivo dispositivo. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), con atto di citazione notificato il 04/09/2019 nei confronti della (...) s.p.a., in persona del suo legale rappresentante e procuratore pro tempore, così provvede: 1) accoglie la domanda di parte attrice e, per l'effetto, condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...), della somma di Euro. 20.258,30, rivalutata all'attualità, a titolo di indennizzo per il furto dell'autovettura Mini Countryman targata (...), oltre interessi legali dal dì sinistro; 2) condanna la (...) s.p.a. al pagamento in favore dell'attrice dell'ulteriore somma di euro 800,00 a titolo di danno emergente quale rimborso spese per l'attivazione della procedura di mediazione conclusasi con esito negativo per mancata adesione della stessa convenuta; 3) condanna inoltre la convenuta a rimborsare al procuratore dell'attrice, che si dichiara anticipatario, le spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 5.413,25 (di cui Euro 336,25 per spese), con parametri medi, oltre rimborso forfettario 15%, C.A.P. ed I.V.A. 22%, se dovuta. Trani, 28 marzo 2023 Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo nel procedimento r.g.n. 3318/2020 avente ad oggetto: retribuzione ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA TRA (...), nata a Barletta il (...), rappresentata e difesa, in virtù di procura allegata al ricorso, dall'avv. (...), presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RICORRENTE E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura allegata alla memoria difensiva, dall'avv. (...), presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RESISTENTE CONCLUSIONI In data 20 febbraio 2023 la causa è decisa mediante lettura del dispositivo in udienza e deposito telematico dello stesso, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 127 ter c.p.c. che consente, per le cause che non richiedono la presenza personale delle parti, di procedere alla trattazione della stessa con la modalità "scritta". Si precisa che non è stato redatto verbale d'udienza e che entrambe le parti hanno depositato note di trattazione scritta. MOTIVI DELLA DECISIONE Il fatto Con ricorso depositato il 10.06.2020 e notificato il 30.06.2020, (...) ha agito in giudizio per ottenere l'accertamento della sussistenza della qualifica superiore di 3° livello alle dipendenze della (...) s.p.a., con conseguente condanna di quest'ultima al relativo inquadramento e al pagamento delle differenze stipendiali. Più specificamente, a sostegno del ricorso ha dedotto: di lavorare alle dipendenze della società resistente dall'8.11.2000, assunta con contratto a tempo indeterminato, con qualifica di impiegata e inquadramento nel 4° livello del CCNL Commercio, con retribuzione medica mensile di Euro 1.616,88; che fin dall'assunzione ha svolto mansioni superiori occupandosi, in autonomia, di procedere alla quantificazione della tassa per l'occupazione di spazi di aree pubbliche, dal che consegue il diritto all'inquadramento nel 3° livello tenuto conto di quanto previsto dall'art. 113 del CCNL e dalle categorie di impiegati indicati in via esemplificativa nel livello 3°; che la retribuzione spettante è di Euro 1.791,04; che, inoltre, dal febbraio 2017, la (...) non ha provveduto a corrispondere l'indennità di maneggio di denaro già precedentemente riconosciuta ai dipendenti inquadrati nel 3° livello e pari al 5% della paga base; che la richiesta stragiudiziale dell'11.06.2019 è rimasta senza esito. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale accerti e dichiari lo svolgimento di mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio con condanna della (...) s.p.a. al relativo inquadramento e al pagamento delle differenze retributive, pari ad Euro 43.738,41, di cui Euro 41.148,96 per il diverso inquadramento ed Euro 2.589,45 per l'indennità di maneggio non corrisposta, o alla diversa somma stabilita in corso di causa; con condanna anche al pagamento dei contributi non correttamente versati; con vittoria di spese. Costituitasi in giudizio, la (...) s.p.a. ha eccepito l'infondatezza della domanda, evidenziando, in particolare, che rispetto all'invocato livello superiore di inquadramento, non ricorrono le condizioni rappresentate dalla sussistenza di autonomia nell'esecuzione delle mansioni affidatele e lo svolgimento di procedure operative complesse. Inoltre, ha eccepito che l'attività di riscossione dei tributi minori, tra i quali rientra la Tosap cui fa riferimento la ricorrente non è mai stata affidata a quest'ultima che comunque non ha mai svolto sul tema compiti in autonomia e di rilievo; inoltre, ha eccepito che non vi è un'attività di quantificazione autonoma degli importi dovuti come tassa poiché vi è un regolamento sulla base del quale sono effettuati i calcoli degli interventi dovuti frutto di mere operazioni matematiche. Quanto all'indennità di maneggio di denaro, ha eccepito che essa è stata corrisposta fino al 2012 ma dall'1.02.2012 è stata assorbita dall'indennità di conglobamento che è stata corrisposta alla ricorrente e che è superiore a quella pretesa. In via subordinata ha eccepito la prescrizione degli importi pretesi. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale dichiari inammissibile la domanda per genericità e, nel merito, la rigetti anche in relazione all'indennità di maneggio; in subordine che applichi la prescrizione ex art. 2948 c.c.; con vittoria di spese. LA DECISIONE 1. La domanda è fondata e va accolta nei termini che seguono. In primo luogo deve premettersi che, ai sensi dell'art. 2094 c.c., "è prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando la propria opera manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Gli indici rilevatori della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sono dunque la presenza di un orario di lavoro, l'esercizio del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, il pagamento di una retribuzione a scadenza fissa, l'inserimento stabile e costante del lavoratore nella compagine organizzativa aziendale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14434/15, ha affermato il seguente principio: "La sussistenza dell'elemento della subordinazione nell'ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità...". Inoltre, per quanto concerne il diritto all'inquadramento e alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, com'è noto, occorre, innanzitutto, l'accertamento dello svolgimento, in fatto, di mansioni ascrivibili alla qualifica superiore, perché, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "nel procedimento logico - giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda." (Cass., sez. L, 30.10.2008, n. 26234; Cass., sez. L, 27.09.2010, n. 20272). Del resto, al fine di poter riconoscere la qualifica superiore, così come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, non disattesa da questo Tribunale, è necessario che l'assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori sia stata piena nel senso che essa abbia comportato anche l'assunzione delle relative responsabilità e l'autonomia propria della qualifica rivendicata (cfr. Cass. civ. sez. lav. n. 12353/2003, n. 11125/2001, n. 2859/2001, n. 7170/98, n. 4200/92). Più specificamente, sul lavoratore che agisce in giudizio per il riconoscimento della qualifica riconducibile alle presunte mansioni superiori esercitate, incombe l'onere di allegare e provare gli elementi posti a sostegno della domanda, ossia di aver svolto, in via continuativa e prevalente, per il periodo previsto dalle norme collettive o dall'art. 2103 c.c. medesimo, mansioni riconducibili al superiore inquadramento rivendicato (cfr. Cass. n. 18418/13). 2. Applicando tali principi al caso di specie deve osservarsi che nel corso del giudizio è stata fornita adeguata prova dello svolgimento da parte della ricorrente, con continuità e prevalenza, di mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio in luogo del 4° livello del medesimo CCNL in cui è stata formalmente inquadrata. Appare opportuno, a tal fine, prendere le mosse dalle previsioni contenute nel CCNL Commercio. In primo luogo deve osservarsi che l'art. 113 del CCNL, nel prevedere i diversi livelli di inquadramento, dispone che: "Al IV livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari, nonché i lavoratori adibiti ai lavori che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche comunque acquisite, e cioè: 1) contabile d'ordine; 2) cassiere comune; 3) traduttore (adibito alle sole traduzioni scritte); 4) astatore; 5) controllore di settore tecnico di centro elaborazione dati, compreso il settore delle telecomunicazioni; 6) operatore meccanografico; 7) commesso alla vendita al pubblico". La disposizione prosegue poi con l'elencazione di ulteriore figure professionali a titolo esemplificativo, tra cui "esattore, esclusi i fattorini e portapacchi autorizzati a riscuotere l'importo della merce all'atto della consegna", "addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita nelle aziende ad integrale libero servizio (grandi magazzini, magazzini a prezzo unico, supermercati ed esercizi similari)", "commesso di rosticceria, friggitoria e gastronomia, anche se addetto normalmente alla preparazione e confezione", "magazziniere; magazziniere anche con funzioni di vendita". Sempre secondo la citata disposizione del CCNL di riferimento si prevede che appartengano, invece, al 3° livello "i lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportino particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza, e i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e tecnico-pratica comunque conseguita, e cioè: 1) steno-dattilografo in lingue estere; 2) disegnatore tecnico; 3) figurinista; 4) vetrinista; 5) creatore o redattore di rapporti negli istituti di informazioni commerciali, con discrezionalità di valutazione dei dati informativi; 6) commesso stimatore di gioielleria; (...) 9) commesso di libreria che abbia la responsabilità tecnica per il rifornimento librario della azienda o di un reparto di essa, che sappia provvedere alla corrispondenza inerente al rifornimento stesso e che abbia sufficiente conoscenza di una lingua estera e della bibliografia". La disposizione prosegue poi indicando ancora altre figure a titolo esemplificativo tra cui "sportellista nelle concessionarie di pubblicità", "contabile/impiegato amministrativo: personale che in condizioni di autonomia operativa e di adeguata determinante iniziativa nell'ambito delle proprie mansioni, sulla base di istruzioni e applicando procedure operative complesse relative al sistema contabile e/o amministrativo adottato nell'ambito dello specifico campo di competenza, è incaricato di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: rilevare, riscontrare, imputare, contabilizzare dati e chiudere conti, elaborare situazioni contabili ed effettuare operazioni anche funzionali a bilanci preventivi o consuntivi, evidenziare posizioni irregolari e gestire i conseguenti interventi operativi". Dal raffronto tra i due diversi livelli di inquadramento contrattuale emerge che gli elementi che li differenziano attengono, essenzialmente, allo svolgimento in via prevalente di mansioni di concetto e/o allo svolgimento di mansioni che "comportano una specifica ed adeguata capacità professionale" espletate "in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni": sono questi, infatti, gli elementi che caratterizzano i lavoratori inquadrati nel 3° livello. Il che trova conferma nella esemplificazione delle varie figure professionali in cui, a fronte del 4° livello nel quale si indicano figure come quelle del "contabile d'ordine" e del "cassiere comune" si registrano, invece, nel 3° livello figure che si caratterizzano o per le spiccate competenze tecnico professionali specializzate ("steno - dattilografo in lingue estere", "disegnatore tecnico", "figurinista") o per l'esercizio di mansioni in autonomia operativa. Significativa, in questo senso, l'indicazione, ad esempio, della figura del "contabile/impiegato amministrativo: personale che in condizioni di autonomia operativa e di adeguata determinante iniziativa nell'ambito delle proprie mansioni, sulla base di istruzioni e applicando procedure operative complesse relative al sistema contabile e/o amministrativo adottato nell'ambito dello specifico campo di competenza, è incaricato di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: rilevare, riscontrare, imputare, contabilizzare dati e chiudere conti, elaborare situazioni contabili ed effettuare operazioni anche funzionali a bilanci preventivi o consuntivi, evidenziare posizioni irregolari e gestire i conseguenti interventi operativi". Così come, in senso inverso, è significativo che nel 4° livello sia indicata, tra le altre, la figura dell'"esattore, esclusi i fattorini e portapacchi autorizzati a riscuotere l'importo della merce all'atto della consegna", quindi con esplicita esclusione di chi è autorizzato a riscuotere i corrispettivi della merce in consegna. Ciò posto, alla luce di quanto emerso dall'istruttoria espletata e tenuto conto della documentazione prodotta, deve ritenersi che le mansioni svolte dalla ricorrente si sostanzino sia in mansioni prevalentemente di concetto che in mansioni svolte con un significativo grado di autonomia operativa, e siano tali quindi da giustificare il diverso inquadramento nel 3° livello del CCNL Commercio. Diversi testimoni escussi, infatti, hanno confermato che la ricorrente svolgeva con prevalenza e continuità attività di calcolo funzionale alla riscossione di alcuni tributi, compiti che non possono essere ritenuti, per definizione stessa, come meramente materiali, tali quindi da essere sussunti nel 4° livello. 3. Più specificamente, esaminando gli esiti dell'istruttoria orale, risultano particolarmente rilevanti le dichiarazioni rese dal teste (...), citato da parte ricorrente, che ha precisato di essere dipendente della (...) dal 2007, di occuparsi di c.d. tributi minori dal 1987 e di essere dal 2018 il coordinatore del gruppo di lavoro dei tributi minori presso la società resistente, ossia proprio il gruppo ove presta la propria attività la sig.ra (...). Il teste ha riferito che "La sig.ra (...) si è sempre occupata anche di riscossione soprattutto negli ultimi 6-7 anni. Man mano il personale dedito allo svolgimento di tale attività è stato ridotto, ragione per cui le attività della (...) sono aumentate". Il teste ha anche dichiarato che "La sig.ra (...) svolge tutte le mansioni di tutti i suoi colleghi al livello superiore". Quanto all'attività di calcolo per la Tosap, il teste ha precisato "Il calcolo per la Tosap temporanea è sempre stato effettuato a mano, diversamente per quella permanente. Non si tratta di operazioni meramente aritmetiche". Le dichiarazioni rese dal teste risultano sufficientemente specifiche e pienamente attendibili perché frutto di una cognizione diretta dei fatti di causa, trattandosi di teste che ha riferito di lavorare con continuità con la ricorrente e all'interno del medesimo settore. Significativo poi è il riferimento del teste al fatto che le mansioni svolte dalla ricorrente siano del tutto sovrapponibili a quelle svolte da colleghi che hanno ricevuto un inquadramento superiore e anche sul fatto che le operazioni di calcolo della Tosap, di cui si occupava la ricorrente come confermano anche le difese della (...) e la documentazione in atti non si traducessero in mere operazioni aritmetiche. Parimenti significative sono le dichiarazioni rese dal teste (...), sempre citato da parte ricorrente, che ha premesso di essere operaio affissatore. Il teste ha confermato le mansioni svolte dalla ricorrente come indicate in ricorso, precisando che la ricorrente "si occupa anche di abbonamenti quindi maneggia anche denaro". Il teste ha poi ulteriormente chiarito che la ricorrente si occupa "del conteggio per i manifesti, del calcolo per l'occupazione del suolo pubblico edile o mercatorio e quindi anche della riscossione, accertamento e rendicontazione". Significativa è poi la precisazione del teste che ha dichiarato che la ricorrente, nello svolgere tali compiti "È completamente autonoma e non riceve indicazioni da nessuno". Anche tali dichiarazioni risultano sufficientemente specifiche e attendibili, anche perché sostanzialmente in linea con quelle rese dal teste (...). Particolarmente rilevante risulta poi il riferimento ai diversi compiti svolti dalla ricorrente concernenti la raccolta dei tributi, avendo espressamente riferito il teste che la ricorrente si occupava e si occupa di tutte le diverse fasi, dal calcolo per l'occupazione di suolo, alla riscossione e alla rendicontazione del tributo. Tale riferimento assume particolare rilievo se si considera che la disposizione innanzi citata del CCNL nel prevedere, a titolo esemplificativo, alcune figure professionali riconducibili al 3° livello indica, tra le altre, la figura del "contabile/impiegato amministrativo", descrivendola come il "personale che in condizioni di autonomia operativa e di adeguata determinante iniziativa nell'ambito delle proprie mansioni, sulla base di istruzioni e applicando procedure operative complesse relative al sistema contabile e/o amministrativo adottato nell'ambito dello specifico campo di competenza, è incaricato di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: rilevare, riscontrare, imputare, contabilizzare dati e chiudere conti, elaborare situazioni contabili ed effettuare operazioni anche funzionali a bilanci preventivi o consuntivi, evidenziare posizioni irregolari e gestire i conseguenti interventi operativi". Si tratta, a ben vedere, di compiti in gran parte coincidenti proprio con quelli svolti dalla ricorrente. In questo senso anche le dichiarazioni rese dal teste (...), che ha riferito di lavorare dal 2017 nello stesso ufficio della ricorrente. Il teste ha confermato che la (...) si occupa della riscossione della tessa per il Comune di Barletta e che "dal 2017 lavoro nello stesso ufficio e svolgo le stesse mansioni, tuttavia io sono inquadrato nel livello superiore". Il teste ha quindi precisato che "Per la Sosap calcoliamo metro quadro per tariffa per numero giornate", chiarendo che "l'esercizio di questa attività viene da noi svolta in piena autonomia senza ricevere direttiva da alcuno" e precisando che "per attività intendo dire l'istruttoria di ciascuna pratica". Il teste Piazzolla ha anche confermato che sia lui che la ricorrente hanno rapporti con il pubblico e svolgono anche attività di accertamento istruttorio e annullamento e che in caso di mancato pagamento provvedono ad emettere accertamento ed eventualmente ingiunzione di pagamento. Anche tali dichiarazioni assumono particolare rilievo perché evidenziano lo svolgimento con continuità da parte della ricorrente di mansioni di concetto, svolte con un sufficiente grado di autonomia operativa nell'istruzione e nella gestione delle singole pratiche e con un'attività che investe le diverse fasi, da quella del calcolo del tributo a quella della riscossione. Peraltro, la ricostruzione dei fatti emersa sulla base delle dichiarazioni fin qui esaminate ha trovato riscontro, quanto meno parziale, anche nelle dichiarazioni rese da alcuni dei testi citati da parte resistente. E così, il teste (...), dipendente della società resistente da dicembre 2000, dopo aver precisato che da dicembre 2014 ha assunto la responsabilità della gestione operativa del servizio di riscossione dei tributi minori e fino al gennaio 2017, ha riferito che "sebbene i gestionali siano stati adottati dal 2005, dal 2015 la rendicontazione della Tosap è stata gestita in forma cartacea per circa un mese a causa dell'aggiornamento del software". Il teste ha poi precisato che "la ricorrente si occupa anche della rendicontazione dei flussi finanziari dell'ufficio e quindi dell'entrate dei singoli tributi che viene trasmessa all'uffici o di ragioneria (...). La signora (...), nell'ambito delle funzioni amministrative, si occupa anche dell'attività di accertamento istruttoria ed eventualmente annullamento. La sig.ra (...) riceve anche personalmente gli utenti soprattutto nelle ipotesi di occupazione di suolo pubblico". È evidente, quindi, che anche tale testimone ha sostanzialmente confermato le mansioni svolte dalla ricorrente che attengono alla diverse fasi, di accertamento e riscossione, della Tosap. Quanto al teste (...), direttore amministrativo della società resistente, pur affermando che "le direttive e indicazioni le da il coordinatore del servizio (...)", ha anche precisato che "per tali intendo attività di coordinamento dell'intero ufficio" e che il coordinatore "non fornisce alla signora (...) indicazioni e ordini per ciascuna pratica in quanto le attività possono ritenersi autonome perché ripetitive". La precisazione svolta dal teste assume particolare rilievo perché conferma la sostanziale autonomia operativa della ricorrente nella istruttoria delle singole pratiche. Del resto, appare certamente verosimile che ciò avvenga all'interno di un coordinamento generale, considerata la rilevanza del tipo di attività e la necessità che essa sia svolta per criteri omogenei e certi sostanziandosi nell'attività di accertamento e riscossione di tributi, e ciò spiega, quindi, l'esigenza di un coordinamento che, però, non intacca la autonomia operativa della ricorrente. Quanto alla precisazione svolta dal teste in ordine al fatto che le attività sarebbero "autonome perché ripetitive", si tratta in realtà di una valutazione svolta dal teste che, come tale, non assume rilievo; del resto, è notorio che la ripetitività contraddistingue la quasi totalità delle prestazioni lavorative e, come tale, non può essere considerato un dato decisivo per differenziarle. All'interno di un quadro istruttorio così ricostruito assumono scarso rilievo le dichiarazioni rese dal teste (...), dirigente del personale dal 2 012", che ha dichiarato che la ricorrente "Non si occupa del calcolo degli importi dovuti dai contribuenti per occupazione di suolo pubblico perché sono gestiti da software secondo schemi e parametri prestabiliti", ha negato lo svolgimento da parte della stessa di "attività accertamento e istruttoria". Tali dichiarazioni, per un verso, risultano del tutto contrastanti con quelle rese da tutti gli altri testi escussi e, per altro verso, appaiono il frutto di una conoscenza indiretta dei fatti di causa, laddove gli altri testi hanno precisato tutti, sia pure con diverse modalità e tempistiche, di aver lavorato a stretto contatto con la ricorrente, mostrando, quindi, una conoscenza maggiormente specifica e diretta dei fatti di causa che rende le relative deposizioni più attendibili. Inoltre, a conferma di quanto dichiarato dalla maggior parte dei testi, risultano prodotti anche alcuni documenti, per lo più copie di ricevute di tassa per occupazione spazio pubblico e per spazi a parcheggio che, pur avendo una datazione recente, confermano il tipo di mansione svolta dalla ricorrente che deve presumersi sia stata svolta dalla stessa con continuità e prevalenza durante il periodo in oggetto, proprio alla luce di quanto dichiarato dai testi. 4. Deve ritenersi, quindi, che le mansioni svolte dalla ricorrente con continuità e prevalenza siano riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio applicato al rapporto. Occorre, a questo punto, stabilire se da tale premessa discenda il diritto della parte all'inquadramento nel livello superiore. Sul punto la difesa della resistente nelle note conclusive ha eccepito la inammissibilità/infondatezza della domanda perché sarebbe preclusa la possibilità di modificare l'inquadramento in via giudiziale per le società a totale partecipazione pubblica. In primo luogo deve premettersi che tale osservazione, pur formulata solo nelle note conclusive, è ammissibile vertendo su una questione sostanzialmente interpretativa di norme giuridiche e come tale ammissibile. Peraltro, sulla stessa ha comunque replicato la difesa della ricorrente nelle note di trattazione scritta, quindi si è pienamente realizzato il contraddittorio tra le parti. Con riferimento a tale questione appare condivisibile la soluzione affermata dalla recente decisione resa dai Giudici di Legittimità in materia n. 35421 dell'1.12.2022, secondo cui " Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, bensì, in assenza di una disciplina derogatoria speciale, dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati; ne consegue che l'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif, dalla l. n. 133 del 2008, e la legislazione della Regione Sicilia che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all'assunzione di nuovo personale, imponendo il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all'applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell'art. 2103 c.c.". Appare opportuno, per ragioni di chiarezza espositiva, riportare di seguito alcuni passi della motivazione della citata decisione: "(...) 6.1. Le Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno affermato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società, la quale resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016). L'orientamento espresso, condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stat. Ad. Plen. n. 10/2011), è stato fatto proprio dal legislatore che già con l'art. 4, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, nel testo risultante all'esito della conversione disposta dalla legge n. 135 del 2012, aveva previsto, con norma dichiarata espressamente di interpretazione autentica, che "le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali". Il sistema delle fonti così delineato è stato ribadito dal D.Lgs. n. 175 del 2016 che, all'art. 1, comma 3, ha previsto, con disposizione di carattere generale, che "per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato" ed ha aggiunto, con specifico riferimento al rapporto di lavoro, che "salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi" (art. 19, comma 1). (...) Si tratta di un percorso argomentativo, sviluppato in continuità con quello seguito, sia pure in diversa fattispecie, da Cass. S.U. n. 4685/2015, sul quale non si può fare leva per estendere ai rapporti di lavoro validamente instaurati con la società partecipata la nullità dell'assegnazione di fatto a mansioni superiori sancita, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, dall'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che prevede anche il correlato divieto di attribuzione della qualifica superiore, per effetto dello svolgimento di fatto di mansioni diverse da quelle corrispondenti al livello di inquadramento attribuito al momento dell'assunzione. In relazione ai rapporti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 2 del richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, l'art. 52, per il suo carattere speciale, impedisce, tenuto conto del sistema delle fonti delineato dall'art. 3, comma 2, l'applicazione della disciplina generale delle mansioni dettata dall'art. 2103 cod. civ., non compatibile con l'impiego pubblico, sia pure contrattualizzato, non solo per l'incidenza che su detta disciplina ha il principio della necessaria concorsualità dell'assunzione (incidenza che, come si vedrà, giustificherebbe il divieto solo nel caso di svolgimento di mansioni riferibili ad un'area diversa da quella di inquadramento), ma anche e soprattutto perché la normativa privatistica non si concilia con le regole e con i principi ai quali le amministrazioni pubbliche, non i soggetti privati, devono attenersi nell'organizzazione degli uffici, nella determinazione del fabbisogno di personale, nella correlata e necessaria previsione della spesa. 7.1. Un'analoga disposizione derogatoria della disciplina dettata dall'art. 2103 cod. civ. non si rinviene per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle società a partecipazione pubblica, giacché il richiamato art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, disciplina il reclutamento del personale e, quanto alla gestione dei rapporti costituiti, si limita a prevedere, al comma 2 bis, che "le predette società adeguano inoltre le proprie politiche di personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze.". Anche l'art. 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016 (ratione temporis non applicabile alla fattispecie), dopo avere enunciato il principio generale dell'applicazione ai dipendenti delle società a controllo pubblico delle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle imprese private, limita la nullità testuale prevista dal comma 4 ai soli "contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2" e, quanto alla gestione dei rapporti, prevede unicamente il potere del socio pubblico di fissare "con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale e tenuto conto di quanto stabilito all'articolo 25, ovvero delle eventuali disposizioni che stabiliscono, a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera". (....) 7.3. Escluso, quindi, che l'attribuzione definitiva della qualifica superiore possa essere impedita dalle disposizioni di leggi, statali e regionali, che onerano gli amministratori delle società controllate di perseguire nella gestione del personale politiche di contenimento dei costi, va parimenti escluso che l'applicazione dell'art. 2103 cod. civ. si ponga in contrasto con gli obblighi imposti in tema di reclutamento alle società a controllo pubblico. È risalente nel tempo, ma ancora attuale, l'orientamento espresso da questa Corte secondo cui nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati il mutamento delle mansioni e della qualifica non comporta novazione oggettiva del rapporto di lavoro intercorso, senza soluzione di continuità, fra i medesimi soggetti, giacché l'art. 2103 cod. civ., in tutte le versioni succedutesi nel tempo, prevedendo la possibilità di assegnazione del lavoratore a mansioni diverse, considera il mutamento delle mansioni originarie come semplice modificazione dell'oggetto dello stesso rapporto, anche nell'ipotesi in cui l'attribuzione di una diversa qualifica comporti l'applicazione di una diversa normativa collettiva o il passaggio ad altra categoria (cfr. Cass. n. 11/1988, Cass. n. 186/1984, Cass. n. 1055/1975). Nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, pertanto, l'attribuzione della qualifica superiore avviene nell'ambito dell'unico rapporto già costituito e non determina l'instaurazione di un rapporto autonomo, distinto dal precedente, sicché non può essere equiparata all'assunzione. Alla luce del richiamato principio, applicabile alle società a partecipazione pubblica per la natura privatistica delle stesse e dei rapporti dalle medesime instaurati, è da escludere che la disciplina del reclutamento, dettata dapprima dall'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e poi dall'art. 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016, possa essere interpretata nel senso di ricomprendere anche le progressioni di carriera. (...) L'equiparazione alla costituzione del rapporto di impiego del passaggio fra aree diverse, non si presta, però, ad essere applicata alle società controllate né può costituire un argomento per estendere all'assegnazione di fatto di mansioni superiori la nullità virtuale derivante dalla previsione dell'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 o quella testuale prevista dall'art. 19, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2016. Quanto al primo aspetto va detto che la contrattazione collettiva applicabile ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle società controllate non è quella disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001 che, in relazione alla classificazione del personale, tiene conto della distinzione fra area di inquadramento e livello o posizione economica all'interno dell'area. D'altro canto, e questo argomento potrebbe essere assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, l'orientamento che riconosce un'efficacia novativa al passaggio di area ha ragionato su rapporti di impiego pubblico che richiedono, nella normalità, il superamento di una procedura concorsuale in senso stretto, attuativa del precetto dell'art. 97 Cost., procedura alla quale la stessa Corte Costituzionale ha escluso che possa essere equiparata quella prevista dai richiamati artt. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016. In particolare, ha sottolineato la Corte che "con l'art. 18 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modifiche, e poi con il citato art. 19 del D.Lgs. n. 175 del 2016, sono stati introdotti criteri di selezione ai fini delle assunzioni del personale in questione, ma è anche vero che non si è mutata la natura strettamente privatistica del rapporto, né si è imposta una procedura propriamente concorsuale. Rimane dunque fra questo personale e quello dipendente delle pubbliche amministrazioni una barriera tuttora insuperabile, che trova la sua giustificazione anzitutto sul piano delle scelte discrezionali compiute dal legislatore statale nell'esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile ..." (Corte Cost. n. 227/2020). 7.5. In altri termini, fermo restando che le procedure di reclutamento imposte dalle disposizioni inderogabili più volte richiamate costituiscono formalità necessarie per l'instaurazione del rapporto alle dipendenze delle società controllate, rapporto del quale condizionano la validità, sulla previsione delle stesse non si può fare leva per ritenere derogata, in assenza di un'espressa previsione normativa, la disciplina delle mansioni del rapporto già costituito, sia perché alle società partecipate non possono essere estesi né l'art 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 né i principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di concorsi pubblici interni, sia in quanto la nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, cod. civ., richiede che la norma proibitiva si riferisca al contratto o all'atto del quale si vuole porre in discussione la validità. 7.6. Non avvalora la tesi della nullità virtuale, come si è detto non predicabile, l'ipotizzare un uso distorto della disciplina delle mansioni per ottenere un risultato finale contrastante con i principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità che stanno alla base della norma sul reclutamento. In quel caso, infatti, alla responsabilità civilistica ed erariale nei confronti della società e del socio pubblico dell'amministratore che detto uso distorto abbia realizzato, sul piano contrattuale si può affiancare, sempre che ne ricorrano i presupposti, il rimedio civilistico tratto dalla disciplina della frode alla legge, ravvisabile nei casi in cui nonostante la liceità del mezzo impiegato, sia illecito il risultato ottenuto. (...) In via conclusiva meritano accoglimento il secondo ed il terzo motivo di ricorso; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto che, sulla base degli argomenti esposti nei punti che precedono, di seguito si enuncia: "Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, che trovano applicazione in assenza di una disciplina speciale derogatoria. L'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e la legislazione della Regione Sicilia, che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all'assunzione di nuovo personale ed impone il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all'applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell'art 2103 cod. civ.". La ricostruzione operata dalla Suprema Corte appare pienamente condivisi bile perché frutto di un'attenta analisi della disciplina in materia di pubblico impiego privatizzato e, al contempo, ispirata alla necessità di considerare le dovute e ragionevoli differenze tra i rapporti di lavoro alle dipendenze di P.A. ed enti pubblici e alle dipendenze di società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria, in virtù delle quali, quindi, non può esservi una totale equiparazione. E ciò anche in considerazione della necessità di tenere distinta nettamente la disciplina del reclutamento da quella delle mansioni superiori che, secondo la condivisibile ricostruzione operata dalla Corte, in quanto disciplina di carattere generale, non può essere derogata sulla base di previsioni speciali derogatorie. Da ciò consegue, quindi, che la domanda sul punto può essere accolta e, per l'effetto, va accertato e dichiarato che (...) dall'8.11.2000 al 10.06.2020 ha svolto mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio con condanna della (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, a inquadrarla nel suddetto 3° livello. 5. Per quanto concerne la quantificazione degli importi dovuti a titolo di differenze retributive, deve osservarsi che la resistente ha tempestivamente eccepito la prescrizione quinquennale all'atto della costituzione in giudizio. Sul punto assume particolare rilievo la recente decisione della Corte di Cassazione n. n. 26246 del 06.09.2022 che, nell'affrontare la questione concernente la individuazione del momento di decorrenza della prescrizione per i rapporti di lavoro alla luce delle modifiche intervenute sulla disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro, ha affermato che "Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro". Si tratta di un principio particolarmente rilevante perché individua nel momento dell'entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 il momento al quale riferimento, nel senso che per i diritti che a tale data non siano ancora prescritti sarà possibile considerare come dies a quo della prescrizione il momento di cessazione del rapporto di lavoro; il che comporta, quindi, che per tali diritti non decorre la prescrizione fino al momento della relativa cessazione del rapporto. Ciò del resto si giustifica, in via di estrema sintesi, secondo la ricostruzione dei Giudici di Legittimità, con il fatto che è proprio la legge n. 92 del 2012 ad aver introdotto elementi di forte modifica del sistema di tutela precedente innescando, in questo modo, un elemento di incertezza nella tutela del lavoratore che giustifica, quindi, la decorrenza dei relativi diritti alla cessazione del rapporto lavorativo. Alla luce di ciò, considerata la data di entrata in vigore della legge n. 92/2012, ossia il 18.07.2012, devono ritenersi prescritti i crediti per le differenze retributive scaturenti dal diverso inquadramento e maturati fino al 18.07.2012. Pertanto, possono essere riconosciuti alla ricorrente crediti per differenze retributive derivanti dall'inquadramento nel livello superiore secondo il seguente conteggio: - 5 mesi del 2012; - 7 anni (ossia dal 2013 al 2019), ossia per 12 mesi x 7 ossia 84 mesi; - 5 mesi del 2020, considerando che il giudizio è stato iscritto a ruolo il 10.06.2020. Quanto alla differenza retributiva essa risulta indicata in ricorso in quella pari alla differenza tra Euro 1.791,04 (retribuzione mensile 3 livello) ed Euro 1.616,78 (retribuzione mensile 4 livello), ossia Euro 174,36, importo poi rettificato (in misura minore) nelle note conclusive in Euro 170,69. Tali importi non sono stati oggetto di specifica contestazione ad opera della parte resistente e quindi possono essere considerati. Pertanto, poiché la differenza tra la retribuzione ricevuta dalla ricorrente e quella che avrebbe dovuto ricevere è pari ad Euro 170,69 mensile (cifra indicata a pagina 8 delle note conclusive e non oggetto di specifica contestazione), moltiplicando tale importo per il totale dei mesi considerati accogliendo nei termini chiariti l'eccezione si prescrizione (ossia 94 mesi), la ricorrente risulta creditrice di Euro 16.044,86 (ossia 94 mesi x 170,69). Alla luce di ciò, la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, va condannata al pagamento in favore di (...) di Euro 16.044,86 a titolo di differenze retributive per il diverso inquadramento dovuto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla maturazione al saldo. 6. Infine, con riferimento all'indennità di maneggio pure richiesta dalla ricorrente, premesso che i testi escussi hanno confermato che la ricorrente curava anche l'attività di riscossione e che vi sono stati periodi nei quali non è stato possibile l'uso del POS, considerato che in realtà non può dirsi dimostrato quanto eccepito dalla (...) in ordine al fatto che la voce conglobamento fosse idonea ad assorbirla e ricomprenderla, non essendovi elementi documentali certi che ne provino l'identità e considerato, infine, che non vi è contestazione dello specifico importo richiesto a tal fine dalla ricorrente, la domanda va accolta sul punto e, conseguentemente, la (...) va condannata al pagamento in favore della ricorrente di Euro 2.589,45 per l'indennità di maneggio non corrisposta, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla maturazione al saldo. Quanto alla domanda relativa alla regolarizzazione contributiva, considerato l'oggetto della stessa, la mancata citazione in giudizio dell'INPS, che è considerato litisconsorte necessario in questo tipo di giudizi (cfr. Cass. n. 17320/2020), la stessa va rigettata. Spese processuali Il non totale accoglimento della domanda nei termini formulati e la sussistenza di orientamenti anche di segno contrario al presente sulla questione concernente il diritto all'inquadramento nella qualifica superiore da parte di società a partecipazione pubblica giustificano la compensazione parziale delle spese processuali nella misura di 1/3; per la restante parte le spese processuali tra la ricorrente e la resistente (...) s.p.a. seguono la soccombenza e sono liquidate d'ufficio ai sensi del d.m. n. 55/14, come modificato dal d.m. n. 147/22, applicando i valori non inferiori ai minimi dello scaglione di riferimento (indeterminabile - complessità bassa), tenuto conto della natura della controversia, delle ragioni della decisione, e della limitata attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 3318/2020 come innanzi proposta, così provvede: 1. accerta e dichiara che (...) dall'8.11.2000 al 10.06.2020 ha svolto mansioni riconducibili al 3° livello del CCNL Commercio e, per l'effetto, condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, a inquadrarla nel suddetto 3° livello; 2. condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, al pagamento in favore di (...) di Euro 16.044,86 a titolo di differenze retributive per il diverso inquadramento dovuto, nonché al pagamento di Euro 2.589,45 per l'indennità di maneggio non corrisposta, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla maturazione al saldo; 3. rigetta la domanda di regolarizzazione della posizione contributiva; 4. condanna la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempre, al pagamento delle spese processuali in favore di (...) che, al netto della compensazione di 1/3, liquida in Euro 2.500,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge. Trani, 20 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione ex artt. 127 ter, 429 e 442 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 8620 dell'anno 2018 TRA (...), nata a (...) il (...), rappresentata e difesa dall'avv. Sa.An., giusta procura a margine del ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO (...) s.r.l., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Do.Ga. e dall'avv. An.Di., giusta procura a margine della memoria di costituzione e risposta; - Resistente - In data 09.03.2023 la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 127-ter c.p.c. Si precisa che non viene redatto verbale d'udienza e che almeno una delle parti in causa ha depositato note di trattazione scritta. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 3 dicembre 2018, (...) adiva codesto Giudice del Lavoro per vedere accertata e dichiarata la natura subordinata ovvero di collaborazione etero-organizzata del rapporto dalla stessa intrattenuto con la (...) s.r.l. dal 1 luglio 2017 al 31 marzo 2018, in forza di plurimi contratti di collaborazione autonoma coordinata e continuativa. Domandava altresì che i predetti contratti fossero dichiarati illegittimi, che il vincolo con la società fosse convertito in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che di conseguenza la resistente fosse condannata alla riammissione in servizio della lavoratrice, alla regolarizzazione della relativa posizione contributiva, nonché alla rifusione delle spese del giudizio. In particolare, (...) deduceva di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l., con la mansione di operatrice di call center, dal 01.07.2017 al 31.03.2018, in forza di plurimi contratti di collaborazione autonoma coordinata e continuata della durata di trenta giorni ciascuno; di averli impugnati mediante monitoria del 20.04.2018; di aver formulato richiesta di conciliazione ex art. 6 co. 2 L. n. 604 del 1966 in data 15.10.2018, non riscontrata dalla società datrice di lavoro; Rappresentava, inoltre, che il rapporto di lavoro summenzionato, sebbene qualificato come collaborazione coordinata e continuativa ex artt. 2 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2015 e 409 n. 3 c.p.c., configurasse in realtà un rapporto di lavoro subordinato ovvero una collaborazione etero-organizzata. In merito, sul piano fattuale, la lavoratrice esponeva di: aver prestato la propria attività presso i locali della società all'interno dei quali utilizzava, previa prenotazione, le postazioni e gli strumenti di lavoro messi a disposizione, la cui mancata fruizione determinava l'applicazione di una multa in busta paga; di essere stata munita di badge che monitorava gli orari di ingresso e d'uscita; di aver lavorato dalle 13:00 alle 21:00 osservando 15 minuti di pausa ogni 2 ore, trascorsi sul luogo di lavoro; di aver potuto abbandonare il luogo di lavoro solo per motivi di salute durante la predetta attività; di essere stata assoggettata al potere di controllo dell'azienda, da questa esercitato mediante "team leader"; di aver percepito un'indennità di frequenza in misura fissa, solo se presente tutti i giorni del mese, ed un altro emolumento eventuale, corrisposto solo alla conclusione di 900 contratti da parte dell'operatore; Mentre, sul piano normativo, esponeva che il vincolo negoziale sussistente tra le parti avrebbe dovuto essere sussunto nell'alveo della fattispecie di cui al co. 1 dell'art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2015, piuttosto che al co. 2 lett a). Ciò in quanto l'associazione sindacale (...) che aveva stipulato l'accordo collettivo nazionale applicato al rapporto non sarebbe comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale. In via ulteriore, rilevava altresì che la (...), altra associazione sindacale firmataria dell'accordo, avrebbe disdetto l'accordo applicato ritirando la propria firma. Si costituiva in giudizio la (...) s.r.l., in persona del proprio rappresentante pro-tempore, rilevando che tra le parti in causa non sarebbe sussistito un rapporto di lavoro subordinato per carenza degli elementi costitutivi della fattispecie, in quanto il datore di lavoro non avrebbe esercitato poteri direttivo, disciplinare e di organizzazione. Stando alla ricostruzione della resistente, la lavoratrice avrebbe determinato autonomamente il luogo presso cui svolgere la propria prestazione, avendo potuto scegliere tra le sedi messe a disposizione dall'azienda e le postazioni private attrezzate, la quantità di ore da dedicarvi e i momenti in cui sospenderla. L'operatrice avrebbe altresì deciso quando assentarsi, senza avere l'obbligo di motivare tale scelta, non sarebbe stata assoggettata al controllo dei "team leader" svolgendo questi funzioni di supporto tecnico e motivazionale, né avrebbe subito una decurtazione in busta paga per la mancata fruizione della postazione di lavoro prenotata, trattandosi tale misura di una penale di importo pari ad Euro 2,00 dovuta per aver inutilmente occupato le attrezzature. Quanto al trattamento economico, la (...) ha eccepito che la retribuzione dovuta era costituita da: indennità mensile di garanzia, corrisposta dalla società in proporzione ai contatti telefonici validamente raggiunti dalla lavoratrice; indennità variabile di progetto, maturata in base ai contatti positivi instaurati; indennità economiche suppletive, consistenti in bonus eventualmente previsti a livello individuale o collettivo. In relazione alla qualificazione giuridica del rapporto, la società resistente rilevava che il vincolo non poteva essere ascritto neppure alla collaborazione etero-organizzata dal committente di cui all'art. 2 co. 1 del D.Lgs. n. 81 del 2015, soggetta alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, in quanto la prestazione della ricorrente era stata dalla stessa autonomamente organizzata, senza alcun'ingerenza da parte della società datrice, fatto salvo il coordinamento della stessa con le esigenze dell'azienda. In ultima battuta, la società datrice ribadiva l'assoggettamento del rapporto alla disciplina di cui all'art. 2 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2015 sulla scorta della circostanza per cui la (...), associazione di categoria dei datori di lavoro del settore, sottoscrittrice del CCNL del 22.07.2013, rientrerebbe tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, conformemente alla previsione normativa. Parimenti privo di fondamento sarebbe la disdetta della UGL dal predetto contratto collettivo. La causa veniva istruita oralmente. La domanda è infondata e va rigettata per i motivi che di seguito si precisano. Il caso in esame ha ad oggetto l'accertamento della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intercorso tra (...) e la (...) s.r.l. Parte ricorrente domanda che il ridetto vincolo venga qualificato come rapporto di lavoro subordinato ovvero, in caso di mancato accertamento degli indici costitutivi della fattispecie, come collaborazione etero-organizzata di cui all'art. 2 co.1 D.Lgs. n. 81 del 2015. La società resistente, da parte sua, chiede che il contratto di lavoro venga ricondotto nell'alveo della collaborazione autonoma di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c., ovvero all'ipotesi di cui all'art. 2 co. 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2015. Le parti, oltre a divergere sulla veste giuridica da attribuire al contratto, divergono altresì sulle modalità di svolgimento della prestazione (funzione del badge; orario di lavoro; cancellazione della prenotazione della postazione; potere di controllo esercitato dai "team leader"; articolazione della retribuzione). Al fine di accertare la natura del vincolo, occorre stabilire se, nel caso in esame siano rinvenibili gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato ovvero quelli tipici della collaborazione coordinata e continuativa, attese le peculiarità delle mansioni tipiche di un operatore di call center inbound, per la cui definizione si richiama la prassi amministrativa, sulla scorta della quale il compito del collaboratore inbound è quello di "di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza di un prodotto o un servizio riconducibile ad un singolo committente" (Circ. Min. Lav. n.17/2006). Detto profilo giustifica il riconoscimento di una maggiore autonomia al collaboratore, rispetto all'operatore di call center outbound, tale per cui la prassi amministrativa ha previsto che, il contratto di lavoro dei collaboratori in questione non sia vincolato alla sussistenza di un progetto ad hoc, ma alla previsione di una retribuzione non inferiore alla soglia fissata dalla contrattazione collettiva. Quanto detto depone nel senso dell'astratta riconducibilità del rapporto di lavoro entro la fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa "autonoma", ex art. 409 n. 3) c.p.c. la quale annovera le collaborazioni coordinate e continuative nelle quali il lavoratore s'impegna a svolgere una prestazione a carattere prevalentemente personale e continuativo in favore di un committente, coordinando con esso le modalità di esecuzione, in assenza di vincoli di subordinazione. La norma richiamata poi precisa che "la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa", facendo così salva l'autonomia del prestatore nella definizione dei tempi, dei luoghi e delle modalità di esecuzione dell'attività allorquando le parti del negozio predeterminino le regole generali del rapporto stesso, affinché l'attività del collaboratore sia funzionale all'organizzazione e agli obiettivi dell'impresa del committente. Alla collaborazione coordinata e continuata così disciplinata, si contrappone quella etero-organizzata introdotta dal D.Lgs. n. 81 del 2015, attuativo della legge delega n. 183/2014, che al co. 1 dispone "a far data dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente". Talché l'elemento discriminante rispetto alla collaborazione autonoma è dato dalla circostanza per cui il committente non si limita ad un coordinamento con il collaboratore ma ne organizza direttamente la prestazione, definendone anche tempi e luoghi di lavoro. Di conseguenza, posto che l'organizzazione della prestazione da parte del committente avvicina il rapporto di collaborazione a quello subordinato, alla collaborazione si applica la relativa disciplina. Giova evidenziare che l'applicazione dell'art. 2 comma 1 D.Lgs. n. 81 del 2015 in ogni caso non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, ma lascia inalterata la natura parasubordinata, estendendo al lavoratore solo la relativa disciplina. Tuttavia, la predetta norma non trova applicazione, per espressa previsione dell'art. 2 co. 2 lett. a), alle "collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore". Orbene, le collaborazioni coordinate e continuative autonoma ed etero-diretta si distinguerebbero dal rapporto di lavoro subordinato, la prima in modo netto e la seconda in modo attenuato, per l'assenza del vincolo di soggezione verso il datore di lavoro, da intendersi come assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e organizzativo. Posto che l'art. 2094 c.c., affermando che è prestatore di lavoro subordinato "chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore", non individua gli elementi identificativi del rapporto, occorre richiamare gli indici rilevatori del vincolo in esame consolidatisi in giurisprudenza, quali "la retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l'orario di lavoro fisso e continuativo; la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l'inserimento nell'organizzazione aziendale" (Cass. Ordinanza 23 gennaio 2020 n. 1555). Orbene, tornando al caso di specie, si ritiene che la domanda di accertamento del rapporto di lavoro tra le parti in causa sia rimasta sfornita di prova, non avendo la ricorrente, su cui incombeva il relativo onere probatorio, dimostrato la sussistenza dei suesposti indici costitutivi del rapporto. In relazione all'orario di lavoro, la ricorrente ha dedotto di aver lavorato dalle 13:00 alle 21:00 con 15 minuti di pausa ogni due ore e di aver utilizzato un badge in ingresso ed in uscita, avente la funzione di monitorare i relativi orari di inizio e fine prestazione. Dalle dichiarazioni dei testi di parte ricorrente P.A. e A.R. è emerso che la lavoratrice e gli altri dipendenti avessero la possibilità di scegliere la fascia oraria, tra quelle individuate dalla società datrice di lavoro (13-17, 17-21 dal lunedì al venerdì, mentre 11:30-17:30 il sabato) entro cui rendere la prestazione tramite un applicativo aziendale, il quale consentiva al contempo la cancellazione della prenotazione della postazione così effettuata. È altresì emerso che il tesserino serviva ad aprire le porte della struttura ed i tornelli interni, ad attivare le postazioni di lavoro, il tutto senza segnare l'orario. In merito, i testi di cui sopra hanno affermato: (...) "confermo la circostanza sub b) del ricorso; preciso che l'ingresso era unico per tutti i dipendenti, entravano tutti allo stesso orario. Preciso che entravamo tutti da quell'ingresso ma i dipendenti avevano il badge per entrare; preciso che il tornello non riportava alcun orario di ingresso o uscita, ma se si arrivava in ritardo si bloccava e doveva essere aperto manualmente dalla ragazza del front office"; "confermo la circostanza sub d) del ricorso; preciso che il sabato l'orario era diverso, e cioè dalle 11:30 alle 17:30; preciso che esisteva un applicativo con il quale l'operatore poteva scegliere la fascia oraria, ovvero dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 17 o dalle 17:00 alle 21:00, mentre il sabato dalle 11:30 alle 17:30; preciso inoltre che una volta selezionata la fascia oraria, non era più possibile modificarla; preciso meglio, l'opzione di cambio di fascia c'era, ma di fatto non era possibile scegliere il part-time; "confermo la circostanza sub e) e preciso che il badge veniva utilizzato per loggarsi in postazione", A.R.: "confermo la circostanza sub b) del ricorso che mi viene letta; il badge serviva per aprire le porte di interno della struttura che dava sulla strada ma non segnava un orario; il badge veniva poi utilizzato per aprire un tornello che, all'interno della struttura, consentiva di entrare nella zona lavoro"; " confermo la circostanza sub d) del ricorso che mi viene letta per quanto sopra riferito, la ricorrente osservava lo stesso orario; il sabato l'orario di lavoro era differente ma non ricordo di preciso se era dalle 13:00 alle 17:00"; "c'era la possibilità di annullare la prenotazione previo pagamento di una multa di Euro 2,00 per il giorno dopo entro la sera". Sulle medesime circostanze, i testi di parte resistente, A.(...), C.T. e S.M.G., hanno tutte concordemente dichiarato che ciascun prestatore decideva quando prestare la propria attività, le fasce orarie (ribadendo quelle indicate dai testi di parte ricorrente, fatta eccezione per la (...), la quale precisava che il sabato venivano osservate le fasce 11:30 - 14:30, 14:30 - 17:30) e la quantità di tempo da dedicarvi, utilizzando il portale aziendale e, in riferimento al badge, che lo stesso era necessario per accedere alla struttura e alla zona di lavoro. In merito a quest'ultima circostanza, la teste (...) ha precisato che, per motivi di sicurezza, anche i visitatori venivano dotati di tesserino provvisorio da parte dell'addetto alla reception dell'azienda. Si ritiene, dunque, che dalle risultanze dell'istruttoria su tali aspetti, la ricorrente non abbia dimostrato la continuità della prestazione resa in favore della società resistente, essendo emerso che la scelta di lavorare era rimessa al collaboratore. Non si ritengono sufficienti ad escludere la facoltà di scelta dalla ricorrente, la circostanza sollevata dalla teste (...) circa l'impossibilità di cancellare la prestazione effettuata tramite il portale aziendale, dal momento che le affermazioni erano riferite esclusivamente alla dichiarante e, quindi, non possono riferirsi alla C.. Quanto alla sede di lavoro, (...) ha dedotto di aver lavorato presso la sede di (...) sita in via L. D. V. n.14 e tale circostanza è stata confermata dai testi dalla stessa addotti, i quali hanno affermato di aver prestato la loro attività nella stessa sede della ricorrente per alcuni periodi. Tuttavia, dalla memoria di costituzione della resistente e dall'esame dei testi di controparte è emerso che gli operatori avevano la facoltà di scegliere la sede di lavoro fra quelle messe a disposizione dalla società (una sita a (...) e l'altra a (...)) ovvero svolgerla presso la propria abitazione, se provvisti delle strumentazioni necessarie. In particolare, la (...), interrogata in ordine alla circostanza sub (...)) della memoria difensiva ha affermato: "confermo la circostanza sub (...)) della memoria; preciso che gli operatori possono lavorare in sede o da casa se hanno a disposizione gli strumenti informatici idonei (pc, connessione internet e credenziali per poter parlare) se invece lavoravano in azienda gli operatori devono affittare sotto cauzione le cuffie; la cauzione viene restituita purché l'apparecchio risulti integro quando viene reso". Di eguale tenore sono le dichiarazioni della (...) e della (...). In relazione agli strumenti di lavoro, preso atto della facoltà dei collaboratori di poter rendere la prestazione da casa con strumenti propri, i testi (...) e (...), interrogati in ordine alla circostanza sub c) del ricorso, hanno rispettivamente dichiarato che "confermo la circostanza sub c) del ricorso; io portavo la mia agenda dove avevo segnato gli appuntamenti e che utilizzavo per appuntarmi gli aggiornamenti; preciso che anche gli altri collaboratori si portavano un'agenda, compresa la ricorrente. Preciso che le cuffie erano consegnate dalla (...) previa cauzione di 60 Euro trattenuta dallo stipendio che veniva restituita quando si rendevano in ottimo stato al termine della collaborazione", "confermo la circostanza sub c) del ricorso che mi viene letta; tutto era di proprietà della società resistente, ad eccezione delle cuffie che ci venivano consegnate in comodato d'uso previo pagamento di Euro 60,00 che ci venivano scomputati mensilmente in busta paga e che ci venivano restituiti alla cessazione del rapporto di lavoro nel momento in cui le cuffie venivano restituite e sempre che fossero integre". I testi di parte resistente, sul medesimo punto, rendevano circostanze di egual tenore. In ordine alla retribuzione, (...) deduceva che il contratto prevedeva un'indennità di frequenza corrisposta solo se il collaboratore "fosse stato presente per tutti i giorni del mese", che all'aumentare del numero dei contratti conclusi scattasse il diritto ad un compenso aggiuntivo e che al raggiungimento dei 900 contratti la stessa maturava un diritto al compenso pari ad Euro 450 lordi. Tuttavia, tali deduzioni non convergono con quanto dichiarato dagli stessi testi di parte ricorrente, difatti la (...) affermava che: "confermo le circostanze sub l), m), n); preciso che 900 sono i contatti e non i contratti come scritto nella circostanza sub n); preciso che se i contatti fossero stati meno di 900, in ogni caso si maturava il diritto al compenso in proporzione; c'era comunque un numero minimo di contatti che bisognava contattare". Allo stesso modo, (...) dichiarava: "confermo la circostanza sub n) del ricorso con la precisione che si tratta di "contatti" e non di "contratti"; per contatto utile s'intende una chiamata di almeno 60 secondi; se non si fossero raggiunti i 900 contatti non era riconosciuta l'indennità; anche se si superavano i 900 contatti venivano calcolati sempre e solo quelli". La società resistente, di contro, in merito al medesimo punto, ha fornito prova di quanto dedotto nella memoria di costituzione, dal momento che i suoi testi hanno reso dichiarazioni non contraddittorie. (...) affermava che: "con riferimento alla circostanza sub (...)) la confermo. Preciso che anche in caso di contatti inferiori ai 900 viene riconosciuta l'indennità di cui alla circostanza; oltre ai contatti utili ci sono dei bonus per il raggiungimento dei contratti conclusi. Confermo la circostanza sub (...))". Sulle medesime circostanze, l'altra teste della (...), S.M., dichiarava: "Confermo la circostanza n. 20 e chiarisco che il collaboratore percepisce la somma di Euro 450,00; al raggiungimento di 900 contatti utili, cioè quei contatti che durano almeno 60 secondi. In caso di contatti utili inferiori a 900, l'indennità di garanzia è corrisposta in misura proporzionale. Confermo che è prevista un'indennità variabile di progetto che viene erogata in caso di conclusione del contratto. Confermo che tale indennità è determinata in proporzione al valore del bene da commercializzare. Io, personalmente, avendo concluso diversi contratti ho sempre ricevuto questa indennità che riesce a far maturare dei bonus di produzione determinati step 1, 2, 3". Sulla scorta delle testimonianze rese, si rileva che la resistente non abbia provato, in ordine all'aspetto retributivo, che la stessa fosse fissa e predeterminata. In più, la (...) ha fatto impropriamente riferimento ai "contratti" e non ai "contatti", essendo stato tale ultimo aspetto precisato dai testimoni in sede di istruttoria. Ancora, è anche emersa una contraddittorietà in seno alle affermazioni di (...) e (...), dal momento che la prima ha affermato "in ogni caso si maturava il diritto al compenso in proporzione", mentre il secondo escludeva che al superamento dei 900 scattasse il diritto al compenso ulteriore. Di conseguenza, la sussistenza di detto elemento costitutivo del rapporto di lavoro subordinato va esclusa. In ultima istanza, occorre esaminare la sussistenza del potere organizzativo, direttivo e disciplinare da parte della società resistente. Relativamente ad esso, la ricorrente ha dedotto che: una volta sul posto di lavoro, poteva abbandonarlo solo per motivi di salute, previo permesso accordato dal responsabile "team leader"; questi ultimi controllavano il loro operato ed accordavano loro la possibilità di utilizzare i servizi igienici; i responsabili monitoravano la conclusione di contratti da parte loro e che non abbandonassero il luogo di lavoro durante la pausa di quindici minuti osservata ogni due ore di lavoro. In ordine a tali deduzioni, la teste (...), oltre a confermare le circostanze sub g), h) e i) del ricorso, dichiarava: "il controllo avveniva in presenza nel senso che i team leader passavano tra noi, sia da remoto ovvero dal loro pc; preciso che il team leader non poteva accedere ai nostri pc, ma i dati nostri venivano trasmessi ad un server centrale; ciò avveniva in tempo reale. Preciso che i team leader verificano che ognuno di noi stesse svolgendo l'attività secondo le indicazioni, al fine della migliore produttività. Il team leader rimproverava il lavoratore che non produceva; io ho visto piangere la ricorrente in più di un'occasione per aver ricevuto un rimprovero. Ricordo che il team leader in quelle occasioni era la sig.ra (...)". Le medesime circostanze venivano confermate dal teste (...), il quale, in relazione alla circostanza sub g) precisava di "aver visto la ricorrente fare quanto indicato nella circostanza". Tuttavia, in ordine alla circostanza e) del ricorso, (...) che "la ricorrente non poteva uscire dal luogo di lavoro salvo che per motivi di salute. La ricorrente poteva allontanarsi dalla postazione per andare in bagno previo permesso del team leader; in questi casi l'operatore doveva mettere in pausa il sistema operativo per poter telefonare e togliere il badge da una "scatoletta" che leggeva il badge. Una volta tornato in postazione l'operatore doveva reinserire il badge e inserire di nuovo la password personale per poter riaprire il sistema e poter operare, durante la pausa il monitor rimaneva acceso ma non si poteva operare. Posso dire questo perché è una procedura uguale per tutti gli operatori. Preciso che se l'operatore andava via prima della fine del turno doveva togliere il badge e chiudere il sistema. In questo caso non mi furono pagate le ore non lavorate. Non so dire della ricorrente". Le risultanze dell'istruttoria di parte ricorrente non si ritengono da sole sufficienti a dimostrare l'esercizio del potere di eterodirezione da parte della (...) sulla lavoratrice per una serie motivazioni. In primo luogo, si rileva una contraddizione in senso alle affermazioni del teste (...), il quale, dopo aver dichiarato che la ricorrente non poteva allontanarsi dalla postazione, conclude la propria testimonianza affermando di non saper dire della ricorrente. Sempre in ordine alla attendibilità dei testimoni, occorre dar rilievo a quanto sollevato dalla resistente nelle proprie note autorizzate, avendo la ricorrente, escussa nel giudizio instaurato dal sig. (...), dichiarato che i collaboratori avrebbero potuto far riferimento ai team leader per necessità inerenti alle attività di lavoro. In secondo luogo, la sussistenza di detto elemento è esclusa sulla scorta di un orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si fa proprio, in base al quale "secondo un costante orientamento di questa Corte, quanto allo schema normativo di cui all'articolo 2094 c.c., costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicché, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario prede terminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria. Tali elementi, lungi dall' assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatto oggetto di una valutazione complessiva e globale (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 27.9.2019, n. 24154, ed ivi in motivazione i precedenti di legittimità, anche a Sezioni Unite, in senso conforme)" (Cass. ord. n. 1095/2023). Nel caso di specie, a fronte della mancata prova in ordine al potere di eterodirezione del datore, non è neppure possibile fare riferimento agli altri indici sintomatici della subordinazione, dal momento che ne è stata esclusa la sussistenza. Dal canto suo, la società resistente ha dimostrato l'insussistenza del ridetto potere a mezzo delle proprie testimonianze, tra loro concordi, fra le quali si dà rilevanza a quella resa dalla (...) sulla circostanza sub 6 della memoria, la quale ha affermato: "l'applicativo è composto da un'agenda personale che gestisce l'operatore dove vengono segnati i contatti dei clienti già chiamati precedentemente e per i quali hanno fissato un appuntamento per un giorno e ora concordate; dall'altra parte ci sono i contatti dei clienti da chiamare che io, in qualità di team leader, assegno dal mio terminale una volta terminati quelli già chiamati. L'assegnazione dei contatti avviene casualmente; è la macchina che mi fornisce i numeri dei contatti e io casualmente li assegno agli operatori quando mi comunicano di aver terminato quelli precedenti. La ricorrente e gli altri operatori decidono in autonomia chi chiamare non devono seguire un ordine o un criterio; possono non terminare le chiamate in giornata, potendole gestire per le altre volte. Io assegno 50 schede alla volta ovvero contatti dei clienti (...)". In definitiva, l'istruttoria orale svolta ha smentito la ricostruzione dei fatti operata dalla ricorrente, non risultando provata la sussistenza del rapporto subordinato. Di conseguenza, il rapporto di lavoro oggetto di causa non può essere sussunto entro la predetta fattispecie. Parimenti, non risultando provata la sussistenza del potere di eterodirezione da parte del datore di lavoro per ciò che concerne le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione, essendo emersa l'autonomia del collaboratore in merito, nonché nella gestione dei contatti da chiamare, non è neppure possibile ricondurre il rapporto tra (...) e la (...) s.r.l. alla collaborazione coordinata e continuata etero-organizzata di cui all'art. 2 co. 1 D.Lgs. n. 81 del 2015. È opportuno delineare la differenza tra la collaborazione continuativa etero-organizzata (co.co.org.) di cui all'art. 2, co.1, D.Lgs. n. 81 del 2015 (ratione temporis applicabile e quindi prima della novella del 2019) e la collaborazione coordinata autonomamente organizzata (co.co.a.org.) di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c. come novellato dall'art. 15 L. n. 81 del 2017 per comprendere se la fattispecie in esame, una volta esclusa la riconducibilità nell'alveo della subordinazione ai sensi dell'art. 2094 c.c., possa rientrare nella prima o nella seconda fattispecie. Nella prima ipotesi (co.co.org.) devono essere ravvisabili modalità di esecuzione della prestazione organizzate dal committente anche con riferimento al tempo e al luogo; nella seconda ipotesi (co.co.a.org.), invece, tali modalità devono essere totalmente assenti, dovendo, al contrario, ricorrere un'organizzazione totalmente autonoma dell'attività lavorativa, seppur nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti. La riconducibilità ad una o all'altra delle due fattispecie è dettata, quindi, dalle modalità di coordinamento, posto che tale requisito è imprescindibile per entrambe, dovendo il collaboratore sempre rapportarsi al committente ed al suo contesto organizzativo, oltre che alle esigenze della produzione e all'oggetto dell'incarico. Se il coordinamento si traduce in un condizionamento nelle modalità di esecuzione della prestazione del collaboratore (luogo e orario sono soltanto due ipotesi tipizzate, visto che il legislatore utilizza l'espressione "anche") allora diventa "etero-organizzazione", così comprimendosi l'autonomia del collaboratore, con conseguente applicazione della disciplina del lavoro subordinato, pur senza che sussista, ex art. 2094 c.c., una etero-direzione in senso tecnico. Nel caso opposto, cioè se il coordinamento non risulta mai imposto o condizionato dal committente e quindi non incide sulle modalità di svolgimento dell'attività dedotta nel contratto in quanto organizzata in autonomia dal collaboratore, seppur nel rispetto delle modalità stabilite di comune accordo, allora si resta nell'area del lavoro autonomo continuativo disciplinato, al momento, dal codice civile (titolo III del Libro IV) e dallo Statuto del Lavoro autonomo (L. n. 81 del 2017). In questa fattispecie l'autonomia del collaboratore non risulta scalfita dal requisito del coordinamento il quale si limita ad orientare l'esecuzione della prestazione alle condizioni definite nel programma negoziale in vista del soddisfacimento dell'interesse creditorio. I rapporti di collaborazione disciplinati dai contratti individuali del ricorrente e ancor prima dal CCNL applicato dalla società resistente (e dal successivo AEC), sono riconducibili alle co. co. a. org. di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c., per la presenza di fattori quali: - Possibilità di autodeterminare il ritmo di lavoro (art. 2 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Possibilità di determinare unilateralmente e discrezionalmente, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa (art. 3 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Rimessione al collaboratore della scelta delle fasce orarie (art. 3 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Presenza di forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione (art. 3 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione); - Messa a disposizione da parte della committente di una postazione informatica, telefono ed eventuali appositi software con facoltà accordata al collaboratore di avvalersene previo corrispettivo al committente (art. 6 dell'AEC e art. 5 dei contratti di collaborazione). Nel caso di specie manca le etero-organizzazione del committente, anche nei tempi e nei luoghi, considerato che, per quanto concerne i "tempi", pur trattandosi di fasce orarie predeterminate dalla società, questa non aveva il potere di imporre ai collaboratori di lavorare nei turni in questione tanto che v'era la possibilità di non prenotare la postazione oppure di cancellare la prenotazione. Quanto ai "luoghi", si è detto che i collaboratori erano liberi di decidere dove svolgere l'attività, senza alcuna imposizione da parte della società resistente. Potevano optare al momento della prenotazione per una delle due sedi aziendali oppure di svolgere l'attività da remoto (a casa o in qualunque altro luogo dotato di strumentazione adeguata). Se poi si va oltre il momento genetico del rapporto (ovvero la prenotazione della postazione) e si guarda alla modalità di svolgimento dell'attività, anche in questo caso non si rinviene alcuna ingerenza spazio-temporale da parte del committente, considerato che gli operatori telefonici, per quanto detto, erano liberi (nel tempo) di effettuare le telefonate senza dover rispettare tempi o tetti minimi, e potevano svolgere la loro attività in sede o da casa. Tanto comprova l'inesistenza di un'etero-organizzazione da parte dell'azienda con conseguente applicazione dell'art. 2, co.1, D.Lgs. n. 81 del 2015. Da tale affermazione discende che ai rapporti di collaborazione per cui è causa non si applica la disciplina del lavoro subordinato in quanto l'azienda non ha organizzato le modalità di esecuzione della prestazione anche relativamente ai tempi ed al luogo del lavoro; di contro i collaboratori, tra cui la ricorrente, hanno svolto una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale con autonomia organizzativa che si è concretizzata, seppur nel rispetto delle forme di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, in modalità di esecuzione della prestazione autonomamente determinate anche con riferimento ai tempi e al luogo. La fattispecie realizzatasi rientra a pieno titolo nell'alveo delle co.co.co. disciplinate dall'art. 409, n. 3, c.p.c. che prevede una modalità di coordinamento concordata di comune accordo dalle parti Passando all'esame della domanda di illegittimità della reiterazione dei contratti di collaborazione autonoma, essi si ritengono legittimi, dal momento che, data la natura della prestazione svolta, gli stessi presuppongono l'affidamento di una commessa da parte di una società per lo svolgimento di un determinato incarico. Sicché, la sottoscrizione di negozi aventi carattere temporaneo, come quello di collaborazione coordinata e continuativa, ben si adattano alle caratteristiche del rapporto oggetto di causa. In definitiva e per le ragioni innanzi indicate ogni domanda della ricorrente deve essere rigettata. Tenuto conto della qualità delle parti e della controvertibilità della questione trattata, sussistono i presupposti per compensare le spese processuali nella misura di un mezzo, ponendo la restante parte a carico della ricorrente in ragione della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i.. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato il 3 dicembre 2018 da (...) nei confronti della (...) s.r.l., rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1) rigetta la domanda; 2) compensa le spese processuali nella misura di un mezzo e condanna (...) al pagamento della restante parte delle spese processuali della società resistente, che liquida in Euro 1.350,00 per compensi (importo già ridotto al 50%), oltre RSG CAP e IVA come per legge. Così deciso in Trani il 9 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo avente ad oggetto: altre ipotesi ha pronunciato, ex art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA TRA (...), rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Sa.Se. e Ce.Li., presso il cui studio elettivamente domicilia come da ricorso RICORRENTE E MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA PUGLIA, UFFICIO III, AMBITO TERRITORIALE PER LA PROVINCIA DI BARI, tutti costituiti in giudizio in persona del dirigente scolastico pro tempore, e con questi elettivamente domiciliati come da memoria difensiva RESISTENTI MOTIVI DELLA DECISIONE Il presente giudizio ha ad oggetto l'accertamento del diritto della parte ricorrente, quale docente che ha lavorato per il Ministero dell'Istruzione con contratti a tempo determinato, a ottenere la c.d. carta docenti. Il fatto Con ricorso depositato il 25.11.2022, (...), dopo aver premesso di aver lavorato alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione e del Merito, ha dedotto: di aver lavorato dal 14.01.2019 al 30.06.2019, dal 09.10.2019 al 30.06.2020, dal 16.10.2020 al 30.06.2021, dal 21.09.2021 al 31.08.2022 ed infine dal 08.09.2022 al 30.06.2023, con contratto a tempo determinato, in qualità di docente temporaneo; che per i suddetti periodi non le è stata riconosciuta la cd. "Carta del docente", di importo pari ad Euro 500 annui, finalizzata all'acquisto di beni e servizi formativi per lo sviluppo delle competenze professionali e riservata, in base alla disciplina vigente (L. n. 107 del 13 luglio 2015 cd. "Buona Scuola" - D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015), ai soli docenti di ruolo, a tempo pieno o part-time, con esclusione, quindi, dei docenti cd. precari come la ricorrente medesima; che tale disciplina è discriminatoria per contrasto anche con l'art. 3 e 35 della Costituzione e per violazione articoli 63 e 64 del CCNL di categoria che prevedono la centralità della formazione del docente; che con diffida stragiudiziale, rimasta senza esito, ha chiesto al Ministero il riconoscimento del diritto a beneficiare della cd. "Carta del docente" e del relativo bonus di Euro 500 per ciascun anno scolastico in cui ha lavorato, e quindi per complessivi Euro 2.500,00. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale accerti lo svolgimento del lavoro alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione come insegnante con contratti a tempo determinato, riconosca il diritto a ottenere il beneficio della CartaDocenti, con valore di Euro 500,00 annui e condanni il Ministero dell'Istruzione e l'USR al pagamento di complessivi Euro 2.500,00; con vittoria di spese con attribuzione. Costituitisi in giudizio, il Ministero dell'Istruzione e del Merito e l'Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia hanno eccepito, preliminarmente, l'incompetenza territoriale del Tribunale adito per essere collocata l'ultima sede di lavoro nel circondario del Tribunale di Parma; il difetto di giurisdizione del giudice adito. Nel merito hanno eccepito l'infondatezza della domanda e la legittimità del comportamento assunto dal Ministero, evidenziando che il differente regime appare giustificato dalla diversa disciplina dei docenti di ruolo rispetto a quella dei c.d. precari e che in ogni caso il meccanismo della carta docenti non prevede l'erogazione di una somma di denaro tout court ma un vincolo al relativo utilizzo. LA DECISIONE Questioni preliminari 1. Preliminarmente va respinta l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'adito giudice ordinario. L'oggetto principale della domanda, infatti, consiste nella richiesta di riconoscimento di una prestazione di natura economica - che anzi può essere qualificata, come si evidenzierà nel prosieguo, come richiesta di un ristoro economico corrispondente al valore della c.d. carta docenti di cui non si è potuto fruire -, con la conseguenza che la controversia verte, in realtà, sulla pretesa di una prestazione di natura economica nei confronti del Ministero dell'Istruzione derivante dallo svolgimento del rapporto di lavoro. Ne consegue, quindi, che alla luce del condivisibile orientamento costante dei Giudici di Legittimità, questo tipo di controversie, vertendo su atti che rientrano tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (cfr. Cass. SS.UU. n. 16765/2014 e Cass. SS.UU. n. 3032/2011) rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Il merito Nel merito la domanda è fondata e va accolta. Il quadro normativo 2.1 In primo luogo appare opportuno prendere le mosse dal quadro normativo di riferimento. L'art. 35 della Costituzione prevede che "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro", con ciò, quindi, attribuendo rilevanza costituzionale alla formazione dei lavoratori. Il C.C.N.L. Scuola, inoltre, attribuisce rilievo centrale alla formazione dei docenti, disponendo, all'art. 63, rubricato "Formazione in Servizio", che "1. La formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un'efficace politica di sviluppo delle risorse umane. L'Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio. La formazione si realizza anche attraverso strumenti che consentono l'accesso a percorsi universitari, per favorire l'arricchimento e la mobilità professionale mediante percorsi brevi finalizzati ad integrare il piano di studi con discipline coerenti con le nuove classi di concorso e con profili considerati necessari secondo le norme vigenti. Conformemente all'Intesa sottoscritta il 27 giugno 2007 tra il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e le Confederazioni sindacali, verrà promossa, con particolare riferimento ai processi d'innovazione, mediante contrattazione, una formazione dei docenti in servizio organica e collegata ad un impegno di prestazione professionale checontribuisca all'accrescimento delle competenze richieste dal ruolo. 2.Per garantire le attività formative di cui al presente articolo l'Amministrazione utilizza tutte le risorse disponibili, nonché le risorse allo scopo previste da specifiche norme di legge o da norme comunitarie. (...)". Il successivo art. 64 del medesimo C.C.N.L., rubricato "Fruizione del diritto alla formazione", prevede che "1. La partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità". La clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, al punto 1 prevede: "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive"; in particolare, al punto 4 della clausola si dispone che: "I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive". z L'art. 1, comma 121, della L. n. 107 del 13 luglio 2015 di riforma della scuola (cd. "Buona Scuola") prevede che: "Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile". Nel dare attuazione alla previsione normativa si è previsto, all'art. 2 del D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015, che i destinatari della carta docenti siano "I docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova", con ciò, quindi, escludendo i docenti assunti con contratto a tempo determinato. 2.2 Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, appare evidente, già dalla lettura in sequenza delle disposizioni appena richiamate, che: a) la Carta Docenti costituisce uno strumento destinato a favorire la formazione dei docenti; b) la formazione costituisce elemento essenziale nell'attività lavorativa dei docenti, senza che rilevi, in questa prospettiva, la distinzione tra docenti assunti a tempo indeterminato e determinato. Nel dare attuazione al disposto della L. n. 107 del 2015, che ha introdotto la "Carta Docenti", si è scelto di riconoscere tale strumento solo ai docenti assunti a tempo indeterminato, dando luogo, in questo modo, a una evidente disparità di trattamento a danno dei docenti assunti a tempo determinato, senza che ciò trovi alcun tipo di giustificazione, considerata la omogeneità della prestazione lavorativa svolta - peraltro di rilevanza centrale e costituzionale in quanto tesa allo sviluppo della formazione e dell'istruzione del corpo docenti e, quindi, tramite esso, della popolazione - e l'identità della finalità di formazione del personale docente che, quindi, non può che essere comune a tutti i docenti, indipendentemente dalle relative modalità di assunzione. Peraltro, la scelta effettuata appare ancora più irragionevole se si considera che sono stati inclusi nei destinatari della "Carta Docente" anche docenti assunti con contratto a tempo parziale - che, quindi, almeno astrattamente, potrebbero svolgere un numero di ore inferiore a quello di docenti assunti a tempo determinato ma con contratto a tempo pieno -, nonché docenti in periodo di prova e, quindi, come tali, non ancora inseriti a tutti gli effetti nell'organico ministeriale. Ne consegue, quindi, l'illegittimità della determinazione assunta con il D.P.C.M. n. 32313 del 2015 nella parte in cui ha escluso dai destinatari dell'attribuzione della Carta Docenti i docenti assunti con contratto a tempo determinato, con conseguente disapplicazione della stessa e riconoscimento del diritto azionato in questa sede. Il quadro giurisprudenziale 3.1 Tale ricostruzione del quadro normativo ha trovato riscontro in rilevanti decisioni giurisprudenziali, emesse sia in ambito interno che comunitario. E così con la sentenza n. 1842/2022 del 16.03.2022, il Consiglio di Stato ha riformato la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, Sezione Terza Bis, che con sentenza n. 7799/2016 del 7 luglio 2016 aveva respinto il ricorso proposto per l'annullamento della nota del M.I.U.R. n. 15219 del 15 ottobre 2015, nella parte in cui specificava che la "Carta del docente" e i relativi Euro 500,00 annui erano assegnati ai soli docenti di ruolo e non anche ai docenti con contratto a tempo determinato, nonché dell'art. 2 del D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015. Più specificamente, il Consiglio di Stato, in riforma della decisione del TAR Lazio, ha affermato che la scelta del Ministero di escludere dal beneficio della Carta Docenti il personale con contratto a tempo determinato presenta profili di irragionevolezza e contrarietà ai principi di non discriminazione e di buon andamento della P.A., con ciò affermando, quindi, l'illegittimità degli atti impugnati rispetto ai parametri di diritto interno desumibili dagli artt. 3, 35 e 97 Cost, distaccandosi quindi dall'idea di un sistema di formazione a "doppia trazione" tra docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l'erogazione della Carta e docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico. Ancora più recentemente della questione è stata investita la Corte di Giustizia Europea che, con ordinanza del 18 maggio 2022, resa nella causa C-450-21, chiamata a pronunciarsi della questione concernente la compatibilità con la normativa comunitaria della disposizione di cui all'articolo 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015 con la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, ha affermato che la stessa deve essere interpretata nel senso che "(?) osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'Istruzione, e non anche al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di Euro 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti". In termini analoghi, peraltro, si è pronunciato il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 515/2022 del 24.03.2022 resa in fattispecie analoga alla presente e, ancora più recentemente, il Tribunale di Marsala, con sentenza n. 803/2022 del 7.09.2022 3.2 Peraltro, l'interpretazione che equipara anche con riferimento alla Carta Docenti la posizione dei docenti non di ruolo a quella dei docenti di ruolo appare in linea anche con i principi affermati costantemente dalla Corte di Giustizia Europea, in relazione ad alcune note questioni come quella concernete il riconoscimento del servizio c.d. pre-ruolo svolto dai docenti precari nel periodo antecedente la stabilizzazione. Così, ad esempio, la decisione della Corte di Giustizia 22.12.2010, nei procedimenti riuniti C-444/09, Gaviero e C-456/09, I.T. in cui si afferma che: "un'indennità per anzianità di servizio ? rientra nell'ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell'Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d'impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell'Accordo Quadro". Del resto, sempre in materia di anzianità di servizio, ma affermando un principio che presenta sicuramente dei profili di connessione con la questione in esame, la Corte di Cassazione, con la nota sentenza della Suprema Corte n. 31149/2019, ha affermato che: "In tema di riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, l'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall'art. 11, comma 14, della L. n. 124 del 1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto "ab origine" a tempo indeterminato; il giudice del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all'assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l'altro, né applicare la regola dell'equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di disapplicazione, computare l'anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per l'assunto a tempo indeterminato". Secondo i principi affermati dalla Suprema Corte, in particolare, occorre verificare che non vi siano in concreto ragioni che giustifichino la disparità di trattamento dei docenti assunti a tempo determinato, come ad esempio, lo svolgimento di compiti e mansioni non del tutto assimilabili a quelle svolte dai docenti assunti a tempo indeterminato. Nel caso di specie, nulla è stato provato che possa giustificare il diverso trattamento dei docenti e ciò ancora di più se si considera che viene in rilievo la formazione e l'aggiornamento del docente che non può che essere considerata identica sia per i docenti assunti a tempo indeterminato che per quelli assunti a tempo determinato. A ragionare diversamente, infatti, si dovrebbe ipotizzare che l'attività svolta dai docenti c.d. precari possa essere caratterizzata da un minor grado di aggiornamento del personale docente, il che certamente risulterebbe irragionevole e in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e finirebbe, in definitiva, anche con il ledere irrimediabilmente il diritto all'istruzione costituzionalmente garantito, considerando che si avrebbe un corpo docenti la cui formazione è differenziata a seconda della stabilità o meno del rapporto di lavoro; il che, evidentemente, non è concepibile senza che si dia luogo ad una inammissibile disparità di trattamento. 3.3 Quanto al fatto che la Carta Docenti è stata concepita come uno strumento vincolato, che consente l'acquisto di libri e altri strumenti per la formazione del docente, mentre con il ricorso in esame si chiede il mero pagamento del corrispondente valore della carta, deve ritenersi che la domanda vada qualificata come di risarcimento danno per non aver fruito della somma di denaro corrispondente al valore della Carta Docenti in conseguenza di un illegittimo comportamento del Ministero dell'Istruzione e come tale sia ammissibile nei termini proposti; ciò anche in considerazione del fatto che essendo la domanda proposta da un docente precario questi potrebbe non essere attualmente inserito nell'organigramma scolastico, il che renderebbe sostanzialmente inattuabile l'esecuzione della decisione di condanna al rilascio della Carta. Né può condividersi quanto eccepito dal Ministero secondo cui il docente dovrebbe dare prova dell'esborso di somme ai fini della formazione, perché una soluzione di questo tipo finirebbe con il ledere ulteriormente la posizione del docente non di ruolo che, oltre a non aver ottenuto la Carta Docenti nei tempi e nella modalità previsti per i docenti di ruolo, avrebbe anche dovuto investire in autonomia sulla formazione senza nessuna certezza di ottenere il ristoro dell'esborso sostenuto. Quanto alle singole annualità richieste, va respinta l' eccezione relativa al fatto che la docente avrebbe svolto un numero di giorni di servizio non sufficiente a riconoscerle il diritto alla carta docenti per l'anno 2018/19: infatti, le parti resistenti hanno eccepito lo svolgimento di 168 giorni di servizio, ossia un lasso di tempo rilevante e certamente sufficiente a determinare la necessità per la docente di ottemperare agli obblighi di formazione e aggiornamento alla cui attuazione è funzionale il riconoscimento della carta docenti e che, soprattutto, non si riflette concretamente sulla condizione del docente nel senso di determinare una situazione differente rispetto a quella dei docenti di ruolo. Diversamente, l'eccezione va accolta l'eccezione sollevata dal Ministero in relazione all'anno scolastico in corso (2022/2023), considerato sia che, allo stato, risulta che la ricorrente ha svolto 79 giorni di servizio effettivo: il limitato periodo di servizio effettivamente svolto induce a escludere che sussista il diritto all'attribuzione della carta docenti, e che, in ogni caso, non può dirsi ancora verificata la situazione descritta in ricorso, in cui si fa riferimento alla stipula del contratto per l'anno 2022/2023 cui però non può essersi, essendo ancora in corso l'anno scolastico, accompagnato l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa. Alla luce di ciò, considerato che è documentato e non contestato lo svolgimento dell'attività di docente per il periodo prospettato in ricorso, la domanda va accolta e va dichiarato il diritto di (...) a ottenere il beneficio economico della cd. "Carta del docente" e, quindi, del relativo bonus di Euro 500 per ciascun anno scolastico, con conseguente condanna del Ministero dell'Istruzione e del Merito al pagamento di Euro 2.000,00 in favore della parte ricorrente (escludendo, quindi, l'anno scolastico in corso), oltre interessi e rivalutazione monetaria nei limiti di legge dalla presente sentenza al saldo. Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, applicando i valori non inferiori ai minimi dello scaglione di riferimento (fino ad Euro 5.200,00), con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria/di trattazione, tenuto conto della limitata attività processuale svolta (processo definito in un'unica udienza). Le spese sono liquidate con attribuzione ai procuratori antistatari avv.ti Sa.Se. e Ce.Li. che ne hanno fatto richiesta nell'atto introduttivo. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 7389/2022 come innanzi proposta, così provvede: 1. dichiara il diritto di (...) a ottenere il beneficio economico della cd. "Carta del docente" e, quindi, del relativo bonus di Euro 500 per ciascun anno scolastico svolto come documentato in ricorso, con esclusione dell'anno scolastico in corso; 2. condanna, per l'effetto, il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento di Euro 2.000,00 in favore della parte ricorrente; 3. condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese processuali in favore della parte ricorrente che liquida in Euro 49,00 per spese vive ed Euro 1.030,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge con attribuzione con attribuzione ai procuratori antistatari avv.ti Sa.Se. e Ce.Li.. Così deciso in Trani il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo avente ad oggetto: opposizione L. n. 92 del 2012 cd. Legge Fornero ha pronunciato, ex art. 429 c.p.c. e a scioglimento della riserva assunta ai sensi dell'art. 1, comma 57, L. n. 92 del 2012 la seguente SENTENZA TRA (...), nato a (...) il (...), rappresentato e difeso, in virtù di procura allegata al ricorso, dall'avv. Vi.Cu., presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RICORRENTE - OPPONENTE E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce alla memoria difensiva, dagli avv.ti An.Di. e Do.Le., presso il cui studio in Bari, alla via (...), elettivamente domicilia RESISTENTE - OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE Il fatto Con ricorso depositato il 10.12.2021, (...) ha proposto opposizione avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Trani - Sezione Lavoro il 24.11.2021 e comunicata in pari data, con la quale era respinta l'impugnativa di licenziamento proposta dal medesimo. Più specificamente, nella fase sommaria (giudizio r.g.n. 1376/2020), riassunta, a seguito di ordinanza dichiarativa di incompetenza per territorio emessa dal Tribunale di Mari, con ricorso depositato il 25.02.2020, (...) premetteva di essere stato assunto dalla (...) s.r.l. il 01.05.2013, con inquadramento nel III livello del CCNL dei lavoratori dei porti e mansioni di operaio addetto alla movimentazione merci, e impugnava il licenziamento intimatogli con nota del 3.06.2019 con cui la società gli comunicava la risoluzione del rapporto di lavoro per la chiusura del proprio sito collocato all'interno dell'Area Demaniale del Porto di Barletta al quale era adibito esso ricorrente. Sempre con il ricorso introduttivo della fase sommaria deduceva: che le motivazioni poste alla base del licenziamento erano ribadite con nota del 10.07.2019; che con raccomandate del 5.06.2019 e del 24.07.2019 impugnava il licenziamento; che al momento della cessazione del rapporto la retribuzione mensile era pari ad Euro 1.835,70; che il licenziamento era illegittimo per insussistenza del fatto posto alla base dello stesso e per violazione degli obblighi che il datore di lavoro deve osservare al momento del licenziamento, in quanto contestualmente era licenziato anche il collega (...), dotato di minore anzianità di servizio e inquadrato in un livello inferiore che, però, era collocato nel porto di (...), laddove a lui era proposta la collocazione presso il sito di (...) (G.) alle dipendenza di altra società che conseguentemente era costretto a rifiutare; che, ancora, il licenziamento era illegittimo perché la società non aveva considerato che egli era affetto da invalidità riconosciuta dall'INAIL per infortunio sul lavoro occorsogli sempre alle dipendenze di altra società del medesimo gruppo e che aveva chiesto di essere assegnato alla sede di (...) della (...) dell'(...) s.r.l. senza ricevere un riscontro positivo. In conseguenza di ciò chiedeva la condanna del datore di lavoro alla reintegra nel posto di lavoro nonché al risarcimento dei danni nella misura massima di dodici mensilità oltre al versamento dei contributi dal licenziamento alla reintegra; in subordine, la condanna del datore di lavoro pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra le dodici e le ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; e in via ulteriormente subordinata al pagamento di un'indennità compresa tra le sei e le dodici mensilità; con vittoria di spese. Costituitasi in giudizio, la (...) s.r.l. eccepiva l'infondatezza della domanda, evidenziando che la società era stata costretta a dismettere alcuni siti come il porto di Palermo, di Ancona e quello di (...) e che quest'ultimo in particolare richiedeva interventi di manutenzione straordinaria il cui costo non consentiva un adeguato ritorno dell'investimento; che al suddetto sito erano addetti due operai, il ricorrente e (...), entrambi operai addetti alla movimentazione merci; che in sede sindacale il legale rappresentate della società riferiva di poter ricollocare una sola unità presso il Porto di (...), dove poteva liberarsi una postazione, a seguito del trasferimento al Porto di Catania di un lavoratore precedentemente assegnato al Porto di (...) e di origine siciliana; che la società, quindi, considerando i carichi familiari del (...), padre di due figli di giovanissima età, proponeva il trasferimento di quest'ultimo al Porto di (...), mentre al (...), inconsiderazione della relativa situazione familiare (moglie con un'attività commerciale propria e figlio quindicenne studente in Pescara), proponeva l'assunzione alle dipendenze della (...) s.p.a., società facente parte del medesimo gruppo, presso il sito portuale di Monfalcone (GO), ma il lavoratore non accettava la proposta. Ciò posto eccepiva la legittimità del licenziamento e concludeva per il rigetto del ricorso. L'ordinanza impugnata respingeva il ricorso ritenendo il licenziamento legittimo. Avverso tale ordinanza ha proposto opposizione il ricorrente prospettando, in primo luogo, la pretestuosità del licenziamento, poiché la società aveva utilizzato la chiusura dello stabilimento di (...) come pretesto, laddove, in realtà, il gruppo (...) s.p.a. della quale fa parte, aveva quintuplicato il proprio fatturato anche a seguito delle vicende legate al lockdown che avevano determinato un aumento della domanda di farina e prodotti simili; inoltre, ha dedotto l'illegittimità del licenziamento poiché altro lavoratore adibito allo stesso sito, (...), era stato licenziato con licenziamento poi revocato e trasferito al sito di (...), il che poteva essere fatto anche per il ricorrente che comunque avrebbe potuto essere trasferito presso altro sito del G.(...) e che, in ogni caso, il raffronto tra i posti disponibili ai fini del repechage avrebbe dovuto essere effettuato considerando anche tutte le altre unità produttive e non solo quelle presso cui lavorava il ricorrente e che avrebbe dovuto essere esteso a tutte le società del G.(...). Infine, ha ribadito l'illegittimità del licenziamento per non aver considerato nella gradazione della scelta l'invalidità da cui esso è affetto. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale, in riforma dell'impugnata ordinanza, dichiari la illegittimità dellicenziamento e condanni la società resistente alla reintegra nel posto di lavoro nonché al risarcimento dei danni nella misura massima di dodici mensilità oltre al versamento dei contributi dal licenziamento alla reintegra; in subordine, condanni la società al pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra le dodici e le ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; e in via ulteriormente subordinata al pagamento di un'indennità compresa tra le sei e le dodici mensilità; con vittoria di spese. Costituitasi in giudizio, la (...) s.r.l. ha eccepito l'infondatezza dell'opposizione, evidenziando la correttezza dell'ordinanza impugnata anche in relazione ai motivi di impugnazione. In conseguenza di ciò ha concluso per il rigetto dell'opposizione con vittoria di spese. LA DECISIONE Questioni preliminari Preliminarmente va confermata l'ordinanza con la quale sono state respinte le richieste istruttorie delle parti; la causa, infatti, alla luce dell'istruttoria orale svolta nella fase sommaria, e delle difese svolte dalle parti, risulta sufficientemente istruita e comunque verte su questioni essenzialmente documentali e giuridiche rispetto alle quali le ulteriori richieste istruttorie delle parti risultano irrilevanti. Il merito 1.1 L'opposizione è infondata e va rigettata. In primo luogo deve premettersi che i fatti principali oggetto del giudizio non sono stati contestati: in particolare non è contestata la circostanza di fatto che è stata posta alla base del licenziamento intimato al ricorrente, ossia la chiusura del sito aziendale presso il porto di (...) cui era adibito il ricorrente. Ciò che contesta il ricorrente, infatti, anche nell'opposizione è che tale circostanza costituisca in realtà un mero pretesto, poiché la società, anche e soprattutto in considerazione del fatto che fa parte di un gruppo aziendale più ampio, avrebbe comunque potuto collocare diversamente il ricorrente senza doverlo licenziare. Sul punto appare opportuno, ai fini di un corretto inquadramento della vicenda sul piano giuridico, individuare i limiti che incontra il sindacato giurisdizionale in questo tipo di licenziamento. La Corte di Cassazione, sul punto, ha costantemente affermato che "In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell'art. 41 Cost.; ove, però, il giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta" (Cass. 10699/2017). Quanto all'onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali condizioni, è pacifico che esso gravi sul datore di lavoro, precisandosi al contempo che "Ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa; ove, però, il recesso sia motivato dall'esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese di carattere straordinario, ed in giudizio se ne accerti, in concreto, l'inesistenza, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità e la pretestuosità della causale addotta" (Cass. n. 25201/2016); occorre, quindi, che il datore di lavoro dia prova dell'effettiva sussistenza di un mutamento organizzativo che abbia condotto alla scelta di sopprimere il posto di lavoro. Sempre in tema di onere probatorio si è anche affermato che il datore di lavoro può assolverlo anche mediante presunzioni (cfr. Cass. n. 24882/2017). 1.2 Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che la società ricorrente ha licenziato il ricorrente in conseguenza della chiusura del sito collocato nel porto di Barletta presso il quale lo stesso era assegnato, motivando tale scelta con la circostanza che "negli ultimi tempi, il nuovo trend alimentare che privilegia pasta e derivati prodotti da grano nazionale e non estero, ha determinato un drastico calo delle importazioni e di conseguenza una contrazione dei ricavi" e che "a seguito di un'approfondita analisi, è emerso che l'Area Demaniale del Porto di Barletta" necessitava di "importanti interventi di manutenzione straordinaria, il cui costo, tuttavia, è tale da non consentire un adeguato ritorno dell'investimento" e da ciò scaturiva, quindi, la necessità di chiudere il sito in questione (cfr. lettera del 3.6.2019 di comunicazione di avvio della procedura di licenziamento in atti). La circostanza della soppressione del sito non è in realtà contestata dalla parte ricorrente e risulta comunque provata sia dalla documentazione in atti, - da cui emerge l'interlocuzione con l'autorità portuale in ordine alla dismissione e riconsegna dell'area del Porto di Barletta precedentemente occupata dalla società (cfr. comunicazioni allegate alla produzione di parte resistente della fase sommaria) - sia dall'istruttoria svolta nella fase sommaria, in cui è stata confermata dagli informatori escussi. Un primo elemento decisivo è quindi rappresentato dal fatto che la circostanza addotta a motivo del licenziamento si è realmente verificata e risulta giustificata da una valutazione di costi ricavi che, nei limiti in cui può essere sindacata in questa sede, non appare irragionevole. La scelta, infatti, risulta essere frutto di una valutazione in termini di antieconomicità che considera la contrazione del settore per la maggiore domanda di prodotti derivati dal grano provenienti dall'Italia e non importati dall'estero e il fatto che il mantenimento del sito di Barletta richiedeva l'espletamento di intervenuti di manutenzione straordinaria; si tratta, quindi, di una scelta legittima e ragionevole perché motivata facendo riferimento ai rapporti costi-benefici. Secondo la prospettazione del ricorrente ciò però non sarebbe sufficiente perché si tratterebbe, in realtà, di un mero pretesto per licenziarlo, non essendosi verificata alcuna contrazione dell'attività della ricorrente, ma anzi un aumento dei ricavi e in particolare del gruppo aziendale del quale la società resistente fa parte. Sul punto deve, in primo luogo, osservarsi che nel ricorso in opposizione il ricorrente menziona alcune fonti, tra le quali un articolo de "Il Sole 24 Ore", che, aldilà della relativa attendibilità o meno, risultano inconferenti ai fini della valutazione sulla legittimità dell'intimato licenziamento, poiché relative a un lasso di tempo successivo (anno 2020) rispetto alla data del licenziamento che risale al giugno 2019. È evidente, allora, che la società resistente, indipendentemente da ogni valutazione sul fatto che le vicende del gruppo societario possano incidere o meno su scelte che sono della singola società datrice di lavoro, non poteva prevedere, al momento del licenziamento, un'eventuale evoluzione positiva, e ciò tanto più se si considera che questa, come prospetta lo stesso ricorrente, va ricondotta a un evento del tutto eccezionale e imprevedibile, ossia l'aumento della domanda di farina e derivati in conseguenza della note vicende che hanno portato alla scelta di misure come il lockdown in conseguenza della diffusione della pandemia da Covid-19. Ne consegue, quindi, che le circostanze addotte e poste in evidenza nel ricorso in opposizione (cfr. pp. 20-22) sono inconferenti e irrilevanti e, in ogni caso, non consentono di provare la pretestuosità della circostanza posta alla base del licenziamento, che costituisce una circostanza pacifica e frutto di una scelta aziendale che, per quel che può essere valutato in questa sede attesi i richiamati limiti del sindacato giurisdizionale come innanzi ricostruiti, appare non irragionevole come emerge, in particolare, dall'interlocuzione con l'Autorità Portuale che rende evidente la problematica inerente i lavori di ristrutturazione che avrebbero dovuto essere sostenuti dalla società e, quindi, i relativi costi. 1.3 Per quanto concerne poi la pretesa erroneità dell'ordinanza impugnata per non aver considerato che la valutazione in ordine all'individuazione dei lavoratori da licenziare dovesse riguardare, in primo luogo, l'intera platea dei dipendenti della (...) e poi anche quella della (...) s.p.a., deve osservarsi che, in realtà, nel caso di specie assume rilievo la circostanza che il licenziamento è stata la conseguenza di una scelta aziendale, effettiva e non pretestuosa per le ragioni sin qui evidenziate, che ha attinto una specifica unità produttiva, sub specie di sito al quale era assegnato il ricorrente insieme ad altro lavoratore. Ciò assume rilievo perché, come affermato dai Giudici di Legittimità, "qualora la ristrutturazione aziendale sia riferita ad una specifica unità produttiva, contestualmente soppressa, non è contraria a buona fede la decisione aziendale di limitare agli addetti della predetta unità la platea dei lavoratori da licenziare, ove risulti l'effettiva impossibilità di utile collocazione nell'assetto organizzativo dell'impresa, non sussistendo alcun automatismo nell'applicazione dei criteri di scelta previsti dall'art. 5 della L. n. 223 del 2020 utilizzabili invece nell'ipotesi di recesso motivato da generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile" (cfr. Cass. n. 22672/2018). Sul punto, deve osservarsi che, in realtà, la società ha anche motivato tale scelta con il fatto che ai diversi siti aziendali era stabilmente assegnato da tempo personale e che, quindi, anche per ragioni di continuità nello svolgimento della prestazione lavorativa, era necessario considerare solo le posizioni dei lavoratori assunti e assegnati all'unità soppressa. Ciò ha trovato riscontro sia nelle dichiarazioni rese dall'informatore (...), che ha confermato che ai siti di (...) e (...) erano sempre stati assegnati i dipendenti (...) e (...) e al sito di (...) i dipendenti (...), (...) e (...), sia nella documentazione prodotta dalla resistente (cfr. all.ti 19, 20 e 21 della produzione della parte resistente della presente fase). Quanto al fatto che il ricorrente sarebbe stato l'unico lavoratore attinto da licenziamento pur essendo adibito con (...) alla medesima unità soppressa, deve osservarsi che, in ordine a tale profilo, la società resistente ha documentato che, in realtà, entrambi sono stati destinatari di una nota di avvio di procedura ex art. 7 L. n. 604 del 1966 (cfr. note del 3.06.2019 sub all.ti (...) e (...) della produzione di parte resistente) e che il mancato licenziamento del (...) è dipeso dal fatto che a quest'ultimo è stata offerta la possibilità di essere trasferito presso il sito di (...), e tale proposta era stata accettata mentre non era stata accettata dal ricorrente quella di trasferirsi presso il sito di Monfalcone (GO). Con riferimento a tale profilo, deve ritenersi, come già osservato nell'ordinanza impugnata, che tale scelta sia stata legittima e conforme ai doveri di buona fede, avendo la società provato che il lavoratore (...) è padre di due figli minori, nati nel 2009 e nel 2012 (come risulta dalla C.U. 2019 versata in atti), laddove il ricorrente risulta genitore di un figlio minore, nato nel (...) (come risulta dalla C.U. 2019 in atti). Tale situazione, quindi, rende conforme a buona fede la scelta operata dalla società resistente, che, pur a fronte di una maggiore anzianità di servizio del ricorrente, ha ritenuto di offrire all'altro dipendente la soluzione logisticamente più vicina in considerazione del maggior carico familiare dello stesso, oltre che del fatto che la famiglia del ricorrente risultava stabilmente residente a Pescara (circostanza non contestata). Quanto al profilo dell'invalidità da cui è affetto il ricorrente, si tratta di una circostanza che, come già evidenziato nell'ordinanza impugnata, non risulta essere stata comunicata alla società, con la conseguenza che non poteva rientrare tra gli elementi da valutare ai fini della scelta del lavoratore da destinare all'unità di B.. In ogni caso, deve escludersi che l'invalidità prospettata - che ha condotto al riconoscimento di un danno per invalidità del 17% da parte dell'INAIL - avrebbe dovuto assumere rilievo ai fini di tale scelta, quand'anche fosse stata conosciuta, non trattandosi di una circostanza che aveva concretamente inciso sulla capacità lavorativa del ricorrente. 1.4 Infine, va osservato che, quanto alla pretesa illegittimità del licenziamento, perché l'obbligo di repechage avrebbe dovuto investire l'intera posizione del gruppo (...) che detiene il 100% della società resistente, deve osservarsi che tale prospettazione non è condivisibile. Essa, infatti, secondo l'orientamento giurisprudenziale costante, presuppone che si fornisca la prova della sussistenza di una condizione di "codatorialità", "ovvero la sussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro" perché solo in questo caso si impone "che l'assolvimento dell'obbligo di "repechage" sia valutato in relazione a tutte le società del gruppo, pertanto, ai fini di tale estensione, non è sufficiente la mera deduzione dell'esistenza di un gruppo di imprese" (cfr. Cass. n. 11166/2018). In termini ancora più chiari i Giudici di Legittimità hanno affermato che "Il collegamento economico-funzionale tra imprese di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta e non determina "ex se" l'estensione degli obblighi inerenti al rapporto di lavoro con una di esse alle altre dello stesso gruppo, mentre la codatorialità nell'impresa di gruppo presuppone l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l'interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, anche ai fini dell'applicazione delle disposizioni in tema di licenziamento collettivo" (cfr. Cass. n. 267/2019). Nel caso di specie non può dirsi fornita la prova della sussistenza di una situazione di questo tipo: nulla, in particolare, è stato dedotto e dimostrato che provi, ad esempio, l'intercambiabilità della società datrice di lavoro e la possibilità per i dipendenti di essere adibiti ad una piuttosto che a un'altra società del gruppo. Né può ritenersi che la sussistenza di una tale situazione sia provata dal fatto che, allorquando la società resistente ha prospettato possibili diverse occupazioni ai lavoratori attinti dalla vicenda della soppressione della unità di (...), lo ha fatto considerando disponibilità di altre società del gruppo; è evidente, infatti, che tale comportamento, lungi dal provare la sussistenza di una condizione di codatorialità nei termini appena chiariti, dimostra soltanto che è stato fatto uno sforzo per cercare di trovare una collocazione lavorativa diversa al ricorrente prima di licenziarlo, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede, che risultano rispettati. Pertanto, l'opposizione è infondata e va rigettata, dovendosi ritenere corretta e legittima l'ordinanza ex art. 1, comma 42, L. n. 92 del 2012 impugnata, pur con le precisazioni e integrazioni svolte. Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 147 del 2022 applicando i valori non inferiori ai minimi dello scaglione di riferimento individuato in base alla domanda (indeterminabile - complessità media), tenuto conto della natura della controversia, delle ragioni della decisione e dell'attività processuale svolta, con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria/di trattazione considerata la mancanza di attività istruttoria in senso stretto. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 7866/2021 come innanzi proposta, così provvede: 1. rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma l'ordinanza impugnata e la legittimità del licenziamento impugnato; 2. condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente, che liquida in Euro 2.906,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA e rimborso spese forfettarie del 15% come per legge. Così deciso in Trani il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione ex artt. 127 ter e 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 1999 dell'anno 2018 TRA (...), nato a B. il giorno (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti An.No. e Do.St., giusta procura a margine del ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO (...), nella qualità di titolare della ditta (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Sa., giusta procura a margine della memoria di costituzione e risposta; - Resistente - NONCHE' INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Tedone, giusta procura generale alle liti; - Terzo chiamato in causa - In data 02.03.2023, la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 127-ter c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 16.03.2018, il ricorrente adiva questo Giudice del Lavoro per vedere accertata e dichiarata la sussistenza del rapporto di lavoro intrattenuto alle dipendenze di (...), titolare della ditta "(...)", meglio nota come "(...)", dal 20.12.2012 al 29.11.2016, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento in proprio favore della somma pari ad Euro 57.062,44 a titolo di differenze retributive, tredicesima mensilità, ferie non godute, lavoro straordinario, nonché saldo T.F.R. Il ricorrente domandava altresì che il datore fosse condannato a regolarizzare la propria posizione contributiva, mediante versamenti all'ente previdenziale per tutta la durata del rapporto di lavoro. In particolare, (...) deduceva di aver lavorato alle dipendenze del resistente dapprima senza un contratto di lavoro, poi, a partire dal 15.04.2013 fino al 29.11.2016, data di licenziamento, in forza di un contratto di lavoro subordinato part-time, con inquadramento entro il livello V del CCNL Alimentaristi aziende artigiane con le mansioni di barista. Inoltre, rappresentava che, malgrado il contatto di lavoro a tempo parziale, aveva lavorato dal lunedì alla domenica, escluso il martedì in cui l'esercizio commerciale era fermo al pubblico, per otto ore giornaliere, secondo turni stabiliti dal datore di lavoro, nelle fasce orarie 6:00/14:00 ovvero 14:00/22:00; che aveva percepito la retribuzione risultante dalle buste paga prodotte, nonché una parte del TFR, recuperata dopo l'esperimento di procedura esecutiva, ma detti emolumenti risultavano non conformi a quanto previsto dal CCNL e dall'art. 36 Cost.; che, pertanto, rimaneva creditore della somma come sopra esposta, in ragione della maggior quantità di lavoro prestato, delle ferie non godute e di tutti gli emolumenti non percepiti; che con pec del 14.12.2016, oltre ad impugnare il licenziamento intimatogli, tentava il recupero delle somme rivendicate. Costituendosi in giudizio, il resistente contestava la fondatezza della domanda, eccependo l'inapplicabilità del CCNL menzionato dal ricorrente nell'atto introduttivo, l'inattendibilità dei conteggi, nonché l'insussistenza del diritto del lavoratore alle differenze retributive. Nel merito, rilevava che il (...) avrebbe lavorato alle sue dipendenze dal 06.06.2012 al 30.11.2012 in forza di un contratto a chiamata, mentre dal 15.04.2013 al 29.11.2016 sulla scorta di un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale; che il lavoratore avrebbe prestato la propria attività come barista per tre ore giornaliere, talvolta quattro, dal lunedì alla domenica, escluso il martedì; che lo stesso avrebbe regolarmente fruito delle ferie; che, di conseguenza, la retribuzione percepita era commisurata alla quantità di lavoro prestato. Si costituiva in giudizio l'INPS, domandando nel merito che, in caso di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro fosse condannato al pagamento della contribuzione nei limiti della prescrizione ovvero che, in caso negativo, il lavoratore fosse condannato a rifondere le spese all'istituto. La domanda è parzialmente fondata e deve essere accolta nei termini di seguito precisati. Dalle deduzioni svolte dalle parti non è in contestazione la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato fra (...) e la ditta "(...)" dell'omonimo resistente, contestando piuttosto il ricorrente di aver lavorato in misura quantitativamente superiore rispetto a quanto pattuito, vantando così differenze retributive. Occorre precisare che la sussistenza del predetto vincolo tra le odierne parti in causa è stata altresì cristallizzata dalla sentenza n. 1486/2022, resa da codesto Giudice il 15 settembre 2022 nel giudizio r.g. n. 4446/2017, con cui è stata accertata l'illegittimità del licenziamento intimato dal (...). Non è in contestazione neppure l'inquadramento contrattuale del ricorrente entro il livello V del CCNL per i dipendenti da Aziende (...), dal momento che, data l'eccezione del datore di lavoro di inapplicabilità del contratto collettivo indicato dal (...) nell'atto introduttivo, la procuratrice del resistente ha chiarito in prima udienza che il contratto di riferimento sia quello indicato nei conteggi del lavoratore, diversamente menzionato nel ricorso. Le parti divergono poi sulla data di inizio del rapporto di lavoro. In particolare, il ricorrente chiede la condanna del datore di lavoro alla corresponsione delle somme quantificate nell'atto introduttivo del presente giudizio, che lo stesso avrebbe maturato in costanza di rapporto per aver lavorato in misura superiore all'orario convenuto e per non aver fruito di giorni di riposo, festività o permessi, né percepito il saldo del TFR. Sulla scorta dell'art. 2697 c.c., in tema di crediti da rapporto di lavoro, è onere del lavoratore dimostrare, la sussistenza del titolo su cui si fonda la pretesa, gravando invece sul datore di lavoro l'onere di provare i fatti estintivi del diritto azionato, ossia l'esatto adempimento della prestazione ovvero l'impossibilità di eseguirla per causa al medesimo non imputabile. Occorre, però, precisare che, in tema di diritto al pagamento di maggiorazioni retributive, l'onere probatorio come sopra definito muta nella misura in cui pone a carico del lavoratore l'onere di dimostrare non solo l'esistenza del rapporto, bensì anche la sua durata, l'articolazione oraria, nonché le mansioni svolte. Ancora, con specifico riferimento alla domanda di pagamento del lavoro straordinario, il prestatore deve provare non solo lo svolgimento del lavoro in eccedenza rispetto a quello convenuto ma altresì la sua esatta collocazione temporale e consistenza, escludendo così una valutazione equitativa da parte del giudice. Difatti, sul punto si richiama il principio giurisprudenziale secondo cui "sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell'onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice (Cass. n. 13150/2018)". Orbene, passando al vaglio dei fatti di causa, si osserva quanto segue. Nello specifico, (...) ha dedotto che il rapporto di lavoro ha avuto inizio il 20.12.2012, senza la stipulazione di alcun contratto, mentre la controparte ha eccepito che lo stesso sarebbe cominciato a partire dal 06.06.2012 con la sottoscrizione di contratti a chiamata stipulati fino al 15.04.2013. A sostegno del proprio assunto, il lavoratore ha addotto plurime testimonianze, rese da (...), figlia del ricorrente, (...) e (...), i quali hanno concordemente affermato di aver visto il (...) lavorare presso la ditta resistente a partire dal dicembre 2012, sino al termine del 2016. In relazione alle dichiarazioni rese da (...), (...) e (...), rispettivamente figlia, nipote della moglie del ricorrente e cognato, occorre rilevare che le stesse si ritengono attendibili, dal momento che, posta la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 247 c.p.c. che ha caducato il divieto di testimonianza da parte del coniuge, parenti e affini in linea retta, l'attendibilità di dette testimonianze è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, sulla scorta del principio giurisprudenziale, ormai consolidato, in base al quale "in materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti ..., l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità" (Cass. n. 25358/2015). Invero, nel caso in esame, non sussistono elementi tali da minare alla credibilità dei testi, pertanto, le affermazioni della (...), della (...) e del (...) si ritengono attendibili. Dal proprio canto, la ditta resistente, a supporto della propria eccezione, non ha fornito prova documentale dei contratti che assume essere stati sottoscritti. Al contrario, fra le prove addotte dal resistente, la sottoscrizione di detti vincoli è emersa solo dalle dichiarazioni della teste (...), figlia del titolare della pasticceria, la quale ha affermato che: "è vero che ha lavorato in un primo periodo con contratto a chiamata. Non ricordo il periodo. Successivamente è stato assunto con contratto part-time a tempo indeterminato. Io ero presente al momento della sottoscrizione dei contratti. Tanto so in quanto porto la contabilità della pasticceria. Il primo contratto è intercorso da giugno 2012 fino ad aprile 2013, se non ricordo male e successivamente fino ad ottobre/novembre 2016 con il contratto part-time a tempo indeterminato. Preciso che il contratto a chiamata fu stipulato perché il sig. (...) percepiva l'indennità di disoccupazione". L'altro testimone, (...), ha dichiarato che "nulla posso dire sul rapporto di lavoro del sig. (...) dal 06.06.2012 al 30.11.2012, in quanto non avevo ancora iniziato alcuna attività presso la pasticceria". Ne consegue che, considerate complessivamente le dichiarazioni dei testimoni, può ritenersi provato che il rapporto abbia avuto inizio a partire dal 20.12.2012 come indicato dal lavoratore, in quanto i testi dal medesimo addotti hanno reso dichiarazioni concordi sul punto, mentre la teste di parte resistente ha affermato la sottoscrizione di contratti a chiamata eccepiti in maniera generica, senza indicarne il numero o l'esatta collocazione temporale. Pertanto, la durata del rapporto va collocata dal 20.12.2012 al 29.11.2016, data di licenziamento del lavoratore. Quanto alle mansioni svolte dal ricorrente, esse risultano pacifiche, essendo state confermate sia dal (...) in sede di interrogatorio formale che da tutti i testi delle parti in causa. Poi, in relazione all'orario di lavoro osservato, il (...) ha dedotto di aver lavorato per otto ore giornaliere, alternativamente dalle 6:00 alle 14:00 ovvero dalle 14:00 alle 22:00, dal lunedì alla domenica escluso il martedì e detta circostanza è stata concordemente ribadita dai testimoni di parte ricorrente. In particolare, (...) ha affermato che "confermo che mio padre lavorava tutti i giorni della settimana, tranne il martedì che era giorno di chiusura del bar. In ordine agli orari lavorativi posso confermare che mio padre se lavorava al mattino osservava l'orario dalle 6:00 alle 14:00; se lavorava al pomeriggio osservava l'orario dalle 14:00 alle 22:00. Tali orari di fine turno erano indicativi in quanto so per certo per cognizione diretta che mio padre finiva di lavorare oltre le 14:00, ovvero oltre le 22:00, in quanto restava a pulire. Tale ulteriore attività variava a seconda dei casi e dunque si protraeva rispetto all'orario di fine turno, da mezz'ora a due ore. Tanto so perché, come detto, spesse volte ricevevo la telefonata per andarlo a riprendere dal posto di lavoro in quanto la mia famiglia ha una sola macchina. Altre volte, quando non lo andavo a riprendere, comunque non lo vedevo a casa sapendolo al lavoro". Di analogo tenore appaiono le dichiarazioni di (...), il quale affermava: "La mia frequentazione nel bar era mediamente di due o tre volte a settimana; preciso che martedì era chiuso. Avevo diversi orari di frequentazione del bar e dunque non andavo in un orario fisso; e cioè capitava che andassi al massimo e/o al pomeriggio. Mi recavo al bar sia come cliente e sia per trovare mio figlio. A prescindere dagli orari in cui frequentavo e mi trattenevo nel bar io in ogni occasione vedevo lavorare il sig. (...) è capitato di vederlo nella fascia oraria sub 3) del ricorso; al mattino dalle 6:00 alle 14:00 ed al pomeriggio dalle 14:00 alle 22:00". Parimenti, (...) dichiarava: "Le mie frequentazioni al bar non avevano un'unica fascia oraria; e pertanto in ogni occasione di cui ho riferito, e dunque sia al mattino che al pomeriggio/sera, ho sempre visto il (...) svolgere le mansioni di barista. Nelle fasce orarie di cui al capitolo sub 3) del ricorso ho visto il (...) lavorare nel bar pasticceria (...)". Sulla medesima circostanza, dei testi di parte resistente, (...) affermava che "confermo che il (...) ha lavorato per l'intero periodo della vigenza di due contratti, per 3-4 ore al giorno per sei giorni alla settimanali ad eccezione del martedì, giorno di chiusura settimanale con mansioni di barista", mentre (...) dichiarava che "non so che tipo di contratto avesse il (...). Posso dire che alcune volte i nostri turni coincidevano, anche se ribadisco che io ero nel laboratorio della pasticceria ed il (...) fuori dallo stesso cioè al banco", dopo aver precisato che "conosco il ricorrente, in quanto l'ho visto lavorare nella stessa pasticceria durante il periodo di alternanza scuola-lavoro. Poi l'ho visto anche quando io sono stato a lavorare prima come stagista durante il cui periodo lavoravo otto ore, e poi come dipendente a tempo determinato fino a tutt'oggi svolgendo sei ore al giorno per sei giorni settimanali". Pertanto, considerate complessivamente le testimonianze acquisite, si ritiene che il ricorrente abbia adeguatamente dimostrato di aver lavorato giornalmente per almeno sei ore, dovendosi dare rilievo, tre le dichiarazioni rese, a quelle del teste di parte resistente che ha affermato che, talvolta, i propri turni (prima da otto e poi da sei ore) coincidevano con quelli del ricorrente, avvalorando così l'assunto sostenuto dal lavoratore, nonché le dichiarazioni degli altri testi. Sicché, alla luce dell'istruttoria svolta, si ritiene provato che il (...) abbia prestato la propria attività per almeno 40 ore settimanali, quale normale orario lavorativo settimanale ex art. 3 D.Lgs. n. 66 del 2003, da intendersi in tal caso come quantità media di ore lavorate dal ricorrente ciascuna settimana. Peraltro, ai fini della prova dello svolgimento di lavoro straordinario, eccedente le 40 ore settimanali, la prova acquisita in giudizio deve essere rigorosa e, alla luce delle dichiarazioni rese, tale prova non può ritenersi raggiunta, se si considera che la maggior parte dei testimoni erano clienti del bar e dunque non appare possibile che possano aver direttamente appurato l'inizio e la fine dei turni di lavoro. Al fine di quantificare le somme effettivamente spettanti al ricorrente a titolo di differenze retributive e di saldo TFR, è stata espletata una CTU contabile a mezzo della dott.ssa (...), la quale, sulla base dei parametri definiti con Provv. del 28 ottobre 2021 (rapporto di lavoro dal 20.12.2012 al 29.11.2016, mansioni come da contratto e buste paga, svolgimento di attività lavorativa per n. 40 ore settimanali, regolare fruizione di ferie e permessi), ha ritenuto che al lavoratore spetti la somma pari ad Euro 44.800,29 a titolo di differenze retributive e quella pari ad Euro 3.209,18 a titolo di TFR (cfr. CTU in atti a cui si rinvia, la quale non è stata contestata specificatamente dalle parti in ordine ai conteggi eseguiti). In definitiva, facendo proprie le conclusioni del CTU, si ritiene che al ricorrente spetti la somma complessiva pari ad Euro 48.009,47, di cui 44.800,29 a titolo di differenze retributive e 3.209,18 a titolo di saldo TFR. Pertanto, la domanda deve essere parzialmente accolta e, per l'effetto, il resistente deve essere condannato al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di 48.009,47 Euro, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo. Parimenti, (...), essendo stato integrato il contraddittorio nei confronti dell'INPS, deve essere condannato a regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale del C., sulla base di quanto accertato con la presente sentenza, nei limiti della prescrizione quinquennale di legge. Le spese processuali, comprese le spese di CTU, seguono la soccombenza e sono interamente poste a carico del resistente nella misura liquidata nel dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i.. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato il 16.03.2018 da (...) nei confronti di (...) quale titolare della ditta "(...)" e dell'INPS, rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1) accoglie parzialmente la domanda e, per l'effetto, condanna il resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 44.800,29 a titolo di differenze retributive e della somma di Euro 3.209,18 a titolo di saldo TFR, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo; 2) condanna il resistente a regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale del ricorrente sulla base di quanto accertato con la presente sentenza, nei limiti della prescrizione quinquennale; 3) condanna il resistente al pagamento delle spese processuali di parte ricorrente che liquida in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari in Euro 4.629,00 per compensi, oltre RSG CAP e IVA come per legge; 4) condanna il resistente al pagamento delle spese processuali dell'INPS, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre RSG CAP e IVA se dovuti per legge; 5) pone le spese di CTU definitivamente a carico della parte resistente. Così deciso in Trani il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRANI AREA 5 - CONT/DIRITTI-REALI/LOCAZ/COND. Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Silvia Sammarco, all'odierna udienza, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti, ha pronunciato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221 D.L. n. 34 del 2020, convertito con modifiche nella L. n. 77 del 2020, nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3985/2021 promossa da: (...) SPA ((...)), rappresentata da (...) SPA ((...)), rappresentata e difesa, in virtù di mandato in atti, dall'avv. Da.Ro., presso il cui studio in bari alla via (...) è elettivamente domiciliata ATTRICE contro (...) ((...)), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), rappresentato e difeso, in virtù di mandato in atti, dall'avv. Sa.Mo., presso il cui studio in Barletta alla via (...) è elettivamente domiciliato CONVENUTO (...) ((...)), nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), (...) ((...)), nella qualità di curatore speciale e rappresentante delle minori (...) e (...), ALTRE CONVENUTE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, notificato il 3 agosto 2021, (...) S.P.A. (d'ora innanzi, per brevità, (...) spa), rappresentata da (...) spa, conveniva in giudizio (...), (...) e (...), nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale su (...) e (...), premettendo che: - con atto di scissione parziale del 25 novembre 2020, indicato nell'estratto della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 29.12.2020, parte II, foglio delle inserzioni n.(...), era diventata titolare esclusiva dei crediti, ivi incluso quello per cui vi era causa, e dei rapporti appartenenti alla (...) S.p.A.; - la società "(...) S.a.s. di (...)" aveva intrattenuto con la (...) S.p.A. un rapporto di conto corrente di corrispondenza, contraddistinto con il n. (...), come da contratto stipulato in data 22 maggio 2006; - con atto di fideiussione omnibus del 24 luglio 2006, limitata fino alla concorrenza dell'importo di Euro 300.000,00, si erano costituiti fideiussori (...), (...), (...) e (...), a garanzia dell'adempimento della citata obbligazione; - a seguito del decesso di (...), la società "(...) S.a.s. di (...)", riconoscendosi debitrice della somma di Euro 223.725,80 per saldo debitore del c/c n. (...), aveva formulato alla (...) S.p.A., in data 22 maggio 2014, un'istanza di estinzione della propria obbligazione mediante versamenti con cadenza bimestrale e rimodulazione del residuo debito al 31 luglio 2015; tale istanza era stata sottoscritta per ratifica ed accettazione anche dai fideiussori (...), (...) e (...), nonché da (...), erede legittima del de cuius; - con lettera raccomandata dell'11 agosto 2016, la (...) spa aveva richiesto alla società debitrice e ai garanti di adempiere alle obbligazioni contratte, senza ricevere, tuttavia, alcun riscontro, sicché, con lettera raccomandata del 21 settembre 2018, comunicava alla debitrice principale e ai relativi garanti il recesso dal rapporto contrattuale; - la (...) risultava, quindi, essere creditrice, nei confronti della società "(...) S.a.s. di (...)", dei fideiussori (...), (...) e (...), e dell'erede del de cuius, (...), dell'importo complessivo di Euro 289.789,99, cristallizzato, poi, nel decreto ingiuntivo n. 569/2019, emesso dal Tribunale di Trani il 29 marzo 2019 e ritualmente notificato il 19 aprile 2021; - nell'ambito del costante monitoraggio delle possidenze immobiliari dei debitori, la (...) si era avveduta che (...), nonostante le obbligazioni fideiussorie assunte con l'istituto bancario, aveva sottratto beni immobili alla propria disponibilità patrimoniale; - in particolare, con atto del 25 luglio 2016, rep. n. (...) - racc. n. (...) a rogito del notaio (...), (...) aveva donato alle figlie (...) e (...) l'intera nuda proprietà dell'immobile sito in T.A.V.M. n. 147 e, in particolare: "- appartamento posto al piano quarto, composto da quattro vani ed accessori, confinante con vano scala, detta Via, vano ascensore, salvo altri oltre a locale ripostiglio al piano quinto con annesso terrazzo pertinenziale al quale si accede tramite scala posta sul terrazzo dell'appartamento, confinante con vano scale, detta Via, lastrico solare condominiale; - box posto al piano cantinato di un vano, confinante con corsia di scorrimento vano ascensore e vano scale, salvo ,altri. Le suddette unità immobiliari sono censite nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio (...), particella (...), - sub (...), categoria (...), classe (...), vani catastali 8, rendita Euro 785,01, già censito alla particella (...), sub (...) e sub (...) giusta variazione in data 13 maggio 2013 protocollo n. B.; - sub (...), categoria (...), classe (...), metri quadri 79, rendita Euro 102,00", riservandosi il diritto di abitazione vita natural durante; - il detto atto dispositivo era stato compiuto scientemente e volontariamente in pregiudizio delle sue ragioni creditorie. Concludeva, pertanto, chiedendo, in via principale, che fosse dichiarata l'inefficacia, ai sensi dell'art. 2901 c.c., ovvero, in via subordinata, la simulazione assoluta ex art. 1414 c.c. dell'atto di donazione del cennato bene immobile, con ordine al Conservatore dei registri immobiliari di Trani di procedere alla trascrizione della sentenza di revocatoria. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata il 23 novembre 2021, si costituiva in giudizio (...), il quale eccepiva: - l'intervenuta prescrizione della domanda di revoca dell'atto dispositivo sull'assunto per cui il termine di prescrizione era decorso, ai sensi dell'art. 2903 c.c., dalla data di stipulazione e non da quella di trascrizione del detto atto; - la necessità di sospensione necessaria del presente procedimento ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in attesa del passaggio in giudicato del giudizio teso a riconoscere con certezza la sussistenza della pretesa creditoria per cui è causa; - il disconoscimento della conformità all'originale della copia della lettera di fideiussione prodotta in atti dalla società attrice; - la nullità della fideiussione prestata da (...), (...) e (...) per violazione, in riferimento alle clausole nn. 2, 6 e 8, dell'art. 2, co.2, lett. a, della L. n. 287 del 1990 (secondo l'accertamento compiuto dalla (...) con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005), con conseguente liberazione dei garanti per intervenuta decadenza della (...) dall'azione ex art. 1957 c.c.; - l'assenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di revocatoria: in particolare, il consilium fraudis, trattandosi di un atto anteriore al sorgere del credito, e l'eventus damni, posto che la società attrice non aveva dimostrato l'incapienza del suo patrimonio residuo che, a suo dire, era sufficiente ad assicurare il soddisfacimento del credito. Concludeva, quindi, chiedendo, in via preliminare, che fosse disposta la sospensione del presente giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. e dichiarata l'intervenuta prescrizione dell'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2903 c.c.; nel merito, chiedeva che fosse accertata e dichiarata la nullità totale o parziale della fideiussione con liberazione dei garanti per intervenuta decadenza della (...) dall'azione ex art. 1957 c.c.; il rigetto della domanda per carenza dei presupposti di cui all'art. 2901 c.c. e, per l'effetto, che fosse considerato efficace l'atto di donazione; in via subordinata, che fosse rigettata la domanda proposta ex art. 1414 c.c., con vittoria di spese e competenze di giudizio. (...) e (...), pur ritualmente citate, non si costituivano in giudizio, di talché, all'udienza del 16 dicembre 2021, ne veniva dichiarata la contumacia. A seguito della concessione dei termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e del rigetto delle richieste istruttorie formulate dalle parti con ordinanza del 26 ottobre 2022, la causa veniva rinviata per la discussione all'udienza del 16 febbraio 2023, la cui trattazione veniva fissata con la modalità cartolare. Depositate le note conclusive e le note di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221 D.L. n. 34 del 2020, convertito con modifiche in L. n. 77 del 2020, la causa è stata decisa con deposito, fuori udienza, del presente provvedimento. La domanda proposta da (...) S.P.A., rappresentata da (...) spa, è fondata e merita, pertanto, accoglimento. Occorre preliminarmente esaminare, per priorità logica, l'eccezione con la quale (...) ha dedotto la nullità della garanzia fideiussoria prestata in favore della società "(...) S.a.s. di (...)", per violazione della normativa sulla libera concorrenza attuata, nel contratto di fideiussione, con la generalizzata adozione delle clausole di reviviscenza, sopravvivenza e di rinuncia al termine decadenziale di cui all'art. 1957 c.c., contenute nello schema predisposto dall'(...)I, e dichiarate parzialmente nulle dalla (...) con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005. Sul punto, la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha osservato che "i contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti" (Cass. civ. Sez. Unite Sent., n. 41994/2021). Orbene, nel caso in esame, il convenuto non ha provato, né tantomeno allegato: 1) la potenziale e diversa volontà delle parti in relazione all'eventualità del mancato inserimento di tale clausola, e, dunque, in funzione dell'interesse in concreto dalle stesse perseguito; 2) la circostanza per cui la parte del contratto colpita da invalidità non avesse un'esistenza autonoma, né perseguisse un risultato distinto, ma avesse una correlazione inscindibile con il resto del programma negoziale, nel senso che il contraente non avrebbe concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità; 3) l'estensione della dedotta nullità parziale all'intero contenuto della disciplina negoziale. A ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione per cui, anche con la presenza di clausole invalide, il contratto di fideiussione ha perseguito le due utilità del contratto principale, ovvero la concessione del finanziamento in favore della società e il mantenimento della garanzia in favore della banca creditrice, anche espunte le clausole invalide, atteso che l'alternativa sarebbe stata quella dell'assenza completa della fideiussione, con minore garanzia del debito della debitrice principale. Per tali ragioni, l'eccezione di nullità della fideiussione appare, pertanto, priva di ogni fondamento. Sempre in via preliminare, deve verificarsi la fondatezza dell'eccezione di prescrizione dell'azione revocatoria proposta da (...) sull'assunto per cui il termine quinquennale dell'actio pauliana decorrerebbe dalla data della stipula e non da quella della trascrizione dell'atto dispositivo. Nel giudizio di revocazione ordinaria di un atto dispositivo compiuto dal debitore, la disposizione dell'art. 2903 c.c., che disciplina la prescrizione dell'azione, deve essere interpretata alla luce delle regole generali in tema di prescrizione e, in particolare, della norma contenuta nell'art. 2935 c.c., secondo la quale essa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. A tal riguardo, la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito è unanime nel ritenere che "la disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo" (cfr. Trib. Lecco, 17 gennaio 2023 n. 36; Cass. civ. sez. III, Ord. n. 7281/2021; Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 5889/2016). Nel caso di specie, l'atto di donazione è stato trascritto presso la competente Conservatoria il 5 agosto 2016, mentre la notifica dell'atto di citazione ex art. 2901 c.c. si è perfezionata nei confronti dei convenuti il 3 agosto 2021 e, dunque, prima della scadenza del termine di prescrizione ex art. 2903 c.c. Per tali ragioni, l'eccezione di prescrizione dell'azione deve essere rigettata. Nel merito, la domanda proposta da (...) S.p.A. è fondata e merita accoglimento, sussistendo i presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901, comma I c.c. Com'è noto, l'azione revocatoria è finalizzata a tutelare l'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale del debitore contro ogni atto di disposizione patrimoniale che possa arrecare un pregiudizio alle ragioni del credito. Per il suo fruttuoso esperimento, l'art. 2901 c.c. pone determinate condizioni, sia soggettive che oggettive, che si sostanziano nell'esistenza: a) di un credito in capo all'attore che agisce in revocatoria, anche se sottoposto a condizione ovvero a termine; b) di un pregiudizio ai danni del creditore che deriva dall'atto di disposizione patrimoniale (eventus damni); c) del nesso di causalità tra l'atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e il pregiudizio alle ragioni creditorie; d) della conoscenza del pregiudizio alle ragioni creditorie da parte del debitore (scientia damni), ai sensi dell'art. 2901, 1 comma, n. 1), c.c. ovvero, per un atto anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione in pregiudizio alle ragioni creditorie; e) con riferimento agli atti di disposizione patrimoniale a titolo oneroso, la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio subito dal creditore del suo dante causa, ai sensi dell'art. 2901, 1 comma, n. 2), c.p.c. (consilium fraudis) e, per il caso di atto anteriore al sorgere del credito, la partecipazione dolosa dell'acquirente all'operazione fraudolenta (partecipatio fraudis). La verifica della fondatezza della domanda attorea muove, quindi, dalla compiuta analisi degli elementi testè evidenziati. Il primo presupposto, di natura oggettiva, è rappresentato dalla sussistenza di un diritto di credito verso il debitore, a nulla rilevando che il titolare del detto diritto non abbia iniziato o proseguito un'esecuzione nei confronti del medesimo debitore, ovvero non sia intervenuto in procedure esecutive avviate da altri creditori (cfr. su quest'ultimo punto Cass. n. 3113/1997; Cass. N. 8013/1996). Sul punto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sulla normativa di cui agli artt. 2901 e ss. c.c., l'utile esperimento dell'azione revocatoria non richiede la sussistenza di un credito certo o attuale o di una ragione di credito liquida od esigibile, potendo l'azione essere esperita, nel concorso degli altri requisiti richiesti dalla legge, per crediti anche solo eventuali (Cass. civ. n. 2400/1990), essendo a tal fine sufficiente la presenza di una semplice aspettativa, non prima facie assolutamente pretestuosa e che si atteggi come probabile, in rapporto alla complessiva peculiarità del caso concreto, nella sua esistenza, ancorché non risulti ancora definitivamente accertata (Cass. Civ. n. 12678/2001). Inoltre, quando l'azione revocatoria viene promossa dalla banca nei confronti del fideiussore, al fine di verificare l'anteriorità del credito per gli effetti di cui all'art. 2901 c.c., occorre fare riferimento al momento dell'accreditamento a favore del garantito e non a quello successivo dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione. Infatti, l'azione revocatoria presuppone la sola esistenza del debito e non anche la concreta esigibilità, essendone consentito l'esperimento, in concorso con gli altri requisiti di legge, anche a garanzia di crediti condizionali, non scaduti o soltanto eventuali (Cass. Sez. II N. 1413/2006) con la conseguenza che, prestata la fideiussione, in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c., prima parte, c.c. in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) (Cass. S.U. n.9349/2002). Ebbene, nel caso in esame, è indubbia l'esistenza del credito, pari all'importo di Euro 289.789,99, vantato dalla (...) S.p.A. nei confronti di (...), (...) e (...): tale credito, deriva dalla fideiussione rilasciata da questi ultimi il 24 luglio 2006, a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società (...) S.a.s. di (...), società in cui il (...) rivestiva il ruolo di socio accomandatario e legale rappresentante dell'impresa ed è documentalmente provato dal riconoscimento di debito del 22 aprile 2015, nonché dal decreto ingiuntivo n. 569/2019 emesso dal Tribunale di Trani, avverso il quale è stata proposta opposizione. A tal riguardo deve rammentarsi che, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria da parte del creditore avverso un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, la definizione dell'eventuale controversia sull'accertamento del credito non costituisce l'antecedente logico-giuridico indispensabile della pronunzia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto a sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito (Cass. civ. n. 2673/2016; Cass. civ. n. 17257/2013). Pertanto, sulla scorta delle considerazioni svolte in ordine alla tutelabilità, in sede revocatoria, del credito litigioso, è evidente che l'atto di donazione del 5 agosto 2016 sia successivo al sorgere del credito, consistente nel diritto al pagamento del saldo debitore del contratto di conto corrente di corrispondenza (maggio 2006) e della relativa fideiussione (luglio 2016) su cui si fonda la pretesa, successivamente, cristallizzata in sede monitoria (2019). Ed invero, l'anteriorità del credito deve essere esaminata con riferimento al momento in cui questo è sorto e non al momento successivo della sua pretesa, non occorrendo, in tal senso, la preventiva formazione di un titolo stragiudiziale o giudiziale. Sussiste, altresì, nel caso di specie, il c.d. eventus damni, ossia il pregiudizio consistente nel fatto che il patrimonio del debitore, in ragione dell'atto di disposizione, sia divenuto insufficiente a soddisfare il creditore. È noto, infatti, che il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cd. "eventus damni") ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (ex multis, Cass. Civ. Sez. VI Ord. n. 16221/2019; Cass. n. 19207/18). Nella fattispecie in esame, occorre innanzitutto evidenziare come la donazione abbia comportato un obiettivo impoverimento del disponente, il quale si è spogliato del diritto di proprietà di cui era titolare sull'immobile sito in T. alla Via M. n. 147 senza ricevere alcun corrispettivo. Con tale atto il garante si è, quindi, privato di una consistente porzione della proprietà immobiliare di cui aveva la disponibilità esclusiva, dopo aver sottoscritto una dichiarazione di riconoscimento di debito (aprile 2015) ed essersi impegnato all'estinzione del credito, ed ha reso impossibile la soddisfazione del credito da parte del suo creditore. Di contro, (...) non ha dimostrato la capienza e la sufficienza del suo patrimonio residuo, né tantomeno la titolarità di altri beni il cui valore fosse idoneo a soddisfare le pretese creditorie delle attrici, ma si è limitato ad allegare, al proprio fascicolo, la produzione di una visura catastale che, allo stato, non può ritenersi fonte di prova certa sulla situazione di fatto esistente sul proprio piano immobiliare, posto che l'accatastamento rappresenta, al più, un adempimento di tipo fiscale-tributario. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la c.d. scientia damni, ogniqualvolta l'atto dispositivo sia successivo al sorgere del credito e sia a titolo gratuito, è sufficiente la mera consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, e cioè la semplice conoscenza, cui va equiparata la agevole conoscibilità, da parte del debitore di tale pregiudizio. La prova della predetta consapevolezza può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis), né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore (cfr. Cass. n. 31227/2019; Cass. Sez. III n. 966/2007). Ciò premesso, la certezza circa la sussistenza della consapevolezza, da parte di tutti i contraenti, del pregiudizio arrecato alla società creditrice si desume: 1) dal ruolo ricoperto da (...), nella qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società (...) S.a.s. di (...), debitrice principale di parte attrice; 2) dalla situazione economica negativa in cui il (...) versava sin dal mese di maggio 2014, tanto che l'istituto di credito era stato costretto a chiedere il pagamento del debito; 3) dal rapporto di parentela tra le parti (il garante/debitore (...) è padre delle donatarie (...) e (...)), tale da rendere estremamente plausibile la presunzione che tutti fossero a conoscenza della situazione patrimoniale della società dagli stessi gestita e 4) dalle modalità di trasferimento del cespite immobiliare, idonee a far sorgere il sospetto di perseguire, attraverso l'alienazione, l'obiettivo di sottrarre i beni alle pretese delle creditrici. Per le ragioni testé esposte, la domanda revocatoria proposta da (...) S.p.A. deve essere accolta e, dunque, deve essere dichiarato inefficace nei suoi confronti l'atto di donazione a rogito del notaio (...) del (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), trascritto presso la Conservatoria dei RR.II di Trani il 5 agosto 2016, rep. (...) - racc. (...), con cui (...) ha donato alle figlie (...) e (...) l'intera nuda proprietà dell'immobile sito in T.A.V.M. n. 147 e, in particolare: - appartamento posto al piano quarto, composto da quattro vani ed accessori, confinante con vano scala, detta Via, vano ascensore, salvo altri oltre a locale ripostiglio al piano quinto con annesso terrazzo pertinenziale al quale si accede tramite scala posta sul terrazzo dell'appartamento, confinante con vano scale, detta Via, lastrico solare condominiale; - box posto al piano cantinato di un vano, confinante con corsia di scorrimento vano ascensore e vano scale, salvo, altri. Le suddette unità immobiliari sono censite nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio (...), particella (...), - sub (...), categoria (...), classe (...), vani catastali 8, rendita Euro 785,01, già censito alla particella (...), sub (...) e sub (...) giusta variazione in data 13 maggio 2013 protocollo n. (...); - sub (...), categoria (...), classe (...), metri quadri 79, rendita Euro 102,00, di cui si è riservato il diritto di abitazione vita natural durante. L'integrale accoglimento della domanda esperita ai sensi dell'art. 2901 c.c. consente di ritenere assorbita la domanda di simulazione assoluta dell'atto di donazione, proposta in via subordinata e non può che determinare, con rilievo assorbente rispetto ad ogni altra valutazione, il rigetto delle domande e delle eccezioni proposte da (...). Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno, dunque, poste a carico di (...), (...) e (...), in solido tra di loro, e liquidate in favore di (...) S.p.A. in Euro 1.241,00 per spese borsuali ed in Euro 22.457,00 per compensi ed Euro 1.241,00 per spese borsuali (applicate le tariffe medie ex D.M. n. 55 del 2014 così come modificato dal D.M. n. 147 del 2022 in ragione della media complessità delle questioni trattate e avuto riguardo allo scaglione di valore compreso tra Euro 260.001,00 ed Euro 520.000,00), oltre IVA, CAP e rimborso forfettario al 15%. P.Q.M. il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, nei confronti di (...), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), di (...), nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), e di (...), nella qualità di curatore speciale e rappresentante delle minori (...) e (...), con atto di citazione notificato il 3 agosto 2021, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: 1) accoglie la domanda proposta da (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, nei confronti di (...), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), di (...), nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori (...) e (...), e di (...), nella qualità di curatore speciale e rappresentante delle minori (...) e (...); 2) per l'effetto, dichiara inefficace nei confronti di (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, l'atto di donazione a rogito del notaio (...) del (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), trascritto presso la Conservatoria dei RR.II di Trani il 5 agosto 2016, rep. (...) - racc. (...), con cui (...) ha donato alle figlie (...) e (...) l'intera nuda proprietà dell'immobile sito in T.A.V.M. n. 147 e, in particolare: - appartamento posto al piano quarto, composto da quattro vani ed accessori, confinante con vano scala, detta Via, vano ascensore, salvo altri oltre a locale ripostiglio al piano quinto con annesso terrazzo pertinenziale al quale si accede tramite scala posta sul terrazzo dell'appartamento, confinante con vano scale, detta Via, lastrico solare condominiale; - box posto al piano cantinato di un vano, confinante con corsia di scorrimento vano ascensore e vano scale, salvo, altri. Le suddette unità immobiliari sono censite nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio (...), particella (...), - sub (...), categoria (...), classe (...), vani catastali 8, rendita Euro 785,01, già censito alla particella (...), sub (...) e sub (...) giusta variazione in data 13 maggio 2013 protocollo n. (...); - sub (...), categoria (...), classe (...), metri quadri 79, rendita Euro 102,00, di cui si è riservato il diritto di abitazione vita natural durante; 3) condanna (...), (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento in favore di (...) S.p.A., rappresentata da (...) spa, delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.241,00 per spese borsuali ed in Euro 22.457,00 per compensi, oltre IVA, CAP e rimborso forfettario al 15%. Sentenza resa all'esito di udienza svolta secondo modalità cartolare, con deposito immediato in cancelleria. Si comunichi. Così deciso in Trani il 16 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO SEZIONE CIVILE AREA 2 - COMMERCIALE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Giuseppe Rana ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 281 sexies c.p.c. nella causa civile di I Grado iscritta al N. 1538/2021 R.G. promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato presso i difensori (...); ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. (...); CONVENUTO/I Oggetto: Intermediazione mobiliare (fondi, di invest., gestione risparmio, etc.) CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza. Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato unitamente al pedissequo decreto di fissazione d'udienza in data 15 aprile 2021, (...) ha convenuto in giudizio (...) lamentando taluni illeciti commessi, in qualità di intermediario finanziario, nel prestare in favore del ricorrente, i servizi di investimento con riguardo a titoli emessi dalla (...). Concludeva come segue. "1. Accertare e dichiarare il grave inadempimento degli obblighi precontrattuali e contrattuali della convenuta nelle operazioni finanziarie descritte in narrativa e per l'effetto, previa risoluzione del contratto, ove occorra, condannare (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore (...), con sede in (...), al risarcimento dei danni subiti dall'attore da calcolarsi nella differenza fra il valore di acquisto di euro 27.057,55 e il valore attuale delle azioni detenute emesse dallo stesso istituto, attualmente pari a zero, oltre interessi e rivalutazione monetaria; 2. In subordine, accertare e dichiarare il grave inadempimento degli obblighi precontrattuali e contrattuali della convenuta nelle operazioni finanziarie descritte in narrativa e per l'effetto, previa risoluzione del contratto, ove occorra, condannare (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in (...), al risarcimento dei danni subiti dall'attore (...), nella misura ritenuta di giustizia da codesto Tribunale oltre interessi e rivalutazione monetaria; 3. Condannare in ogni caso la (...), in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in (...), al pagamento delle spese e competenze di causa da distrarsi in favore dei sottoscritti difensori che si dichiarano antistatari. 4. Accertata la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, condannare la (...), in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in (...), al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma dì un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio". Si costituiva la banca, la quale chiedeva il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Trasformato il rito e ritenuta la causa matura per la decisione, la stessa era discussa e decisa sulle conformi conclusioni delle parti. Motivi della decisione La domanda è fondata. Non è in discussione che l'ultraottantenne attore acquistava, a più riprese, titoli azionari emessi dalla banca convenuta che svolgeva anche funzioni di intermediazione in data 28/11/2014, nn. 1848 azioni (...) ad un prezzo pari ad euro 8,95 per un controvalore complessivo di euro 16.539,60; in data nn. 752 azioni (...) ad un prezzo pari ad euro 8,95 per un controvalore complessivo di euro 6.730,40; in data 17/06/2015 nr. 41 (...) ad un prezzo pari ad euro 8,95 per un controvalore complessivo di euro 366,95; in data 3/09/2015 nn. 359 (...) ad un prezzo pari ad euro 9,53 per un controvalore complessivo di euro 3.421,27. L'attore lamenta altresì che provò sia nel 2016, sia nel 2017 e sia nel 2018 a vendere le proprie azioni ma senza successo, fino a quando apprendeva dai giornali, con non poco sgomento, della crisi irreversibile della (...) e dell'avvenuto azzeramento delle sue azioni. E' fatto notorio, d'altra parte, che con provvedimento del 13 dicembre 2019, la (...) ha avviato nei confronti dell'intermediario convenuto la procedura dì amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 70 TUB in ragione delle gravi perdite patrimoniali registrate, e la CONSOB, con la delibera n. (...) la sospensione temporanea delle negoziazioni su tutti i mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione italiani di titoli emessi o garantiti dall'intermediario. Il valore delle azioni è stato di fatto azzerato. Ciò premesso, l'attore si duole, tra l'altro, che era mancato un passaggio irrinunciabile in sede di intermediazione finanziaria in regime di consulenza, ossia la valutazione di adeguatezza delle operazioni di acquisto delle azioni emesse dalla (...), tenuto conto che la odierna convenuta aveva impropriamente attribuito alle azioni di propria emissione la classe di rischio sintetica pari a 3 (media) e nel contempo aveva omesso di dare all'attore informazioni in ordine ad una caratteristica fondamentale dei titoli venduti, che se conosciuta, avrebbe indotto l'attore a ben guardarsi dall'acquistare le azioni della (...): la illiquidità delle azioni. Concludeva che se il titolo fosse stato venduto per quello che è ossia ad alto rischio di liquidità, se fosse stato chiarito in che modo veniva assegnato alle azioni della (...) il prezzo, se fosse stata effettuata una seria valutazione di adeguatezza da parte della (...) in ordine al rapporto risparmiatore/investimento, non soltanto non lo avrebbe mai sottoscritto. Ebbene, nella specie si deve ritenere che sussistono i presupposti di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. per effetto dell'inadempimento dell'Intermediario di non scarsa importanza, avendo questi agito nella fase esecutiva dei predetti contratti quadro, in violazione dei doveri di diligenza di cui all'art. 117 6, comma 2, c.c. Non sussiste pertanto la prescrizione quinquennale eccepita dalla banca, atteso che la domanda attiene al risarcimento da inadempimento contrattuale. Né è rilevante, quand'anche provato, il fatto che l'attore al momento delle negoziazioni fosse accompagnato e consigliato dal figlio, che a dire della banca sarebbe un esperto commercialista: tutte le questioni in gioco hanno qui una dimensione esclusivamente personale e non si possono certamente confondere le diverse età, esperienze finanziarie e propensioni al rischio. Sempre in premessa, va rilevato che la domanda, contrariamente a quanto ritiene la banca, non si fonda affatto su una sorta di interessato pentimento postumo derivante dall'insuccesso (peraltro totale) dell'investimento ma sua una puntuale disamina, alia luce delle norme vigenti, dei comportamenti della banca quale intermediario. Emerge infatti documentalmente almeno un profilo attinente alla negoziazione dei singoli titoli e dunque in esecuzione del contratto quadro, che sarebbe già di per sé dirimente: la mancata e corretta valutazione di adeguatezza dell'investimento. La S.C., con ordinanza n. 3578 9 del 6 dicembre 2022 ha compiuto una ricognizione dei principi in materia di valutazione di adeguatezza affermando che in tema di intermediazione finanziaria, gli obblighi sanciti "ratione temporis" dall'art. 21 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e dall'art. 28, commi 1 e 2, del Reg. Consob n. 11522 del 1998, non vengono meno nei confronti dell'investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato, risultanti dalla sua condotta pregressa, seguitando a rispondere l'obbligo informativo all'obiettivo del riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore medesimo, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole. In motivazione si legge che "è principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità (su cui per tutte, cfr. Cass., ord., 31 agosto 2017, n. 20617), quello per cui, in tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, gli obblighi di comportamento sanciti dall'art. 21 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 1152 2 de) I "98, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull'investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è il caso dell'obbligo d'informazione ed. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); con particolare riferimento all'obbligo di informazione attiva, si rammenta che l'art. 28, secondo comma, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all'investitore "informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento"; ai sensi dell'art. 23, sesto comma, del D.Lgs. n. 58 del 1998, grava sull'intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, dunque, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio; pertanto, l'intermediario convenuto in un giudizio di responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell'investimento, posto che l'inosservanza dei doveri informativi da parte del l'intermediario è fattore di disorientamento dell'investitore, che condiziona le sue scelte di investimento (cosi, Cass., ord., 31 agosto 2020, n. 18153); l'assolvimento dell'obbligo di informazione dunque, all'intermediario di attivarci per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell'emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente (cfr. Cass. 23 aprile 2017, n. 8619); con particolare riferimento, poi, all'obbligo di informazione passiva previsto dall'art. 28, primo comma, lett. a), consistente nella richiesta di notizie al l'investitore circa la sua esperienza in materia dì investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la propensione alle singole operazioni che l'investitore porrà in essere; infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la valutazione di adeguatezza di un'operazione da parte dell'intermediario - come tale inidonea a far sorgere l'obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto -richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell'investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione di adeguatezza effettuata dall'intermediario" (nello stesso senso anche Corte di Cassazione, ord. 19891 del 20 giugno 2022)". Va precisato per completezza che alla specie è applicabile la deliberazione CONSOB 29/10/2007 - N. 16190 (abrogata dall'articolo 2, comma 1, della Deliberazione CONSOB 15 febbraio 2018, n. 20307), la quale, in particolare, all'art. 27, 2 comma, disponeva che gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi a: essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. Tali informazioni, che possono essere fornite in formato standardizzato, si riferiscono: a) all'impresa di investimento e ai relativi servizi; b) agli strumenti finanziarie e alle strategie di investimento proposte, inclusi opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento; c) alle sedi di esecuzione, e d) ai costi e oneri connessi. All'art. 39 si prevedeva che al fine di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o potenziale cliente, nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio, gli intermediari ottengono dal cliente o potenziale cliente le informazioni necessarie in merito: a) alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio; b) alla situazione finanziaria; c) agli obiettivi di investimento. L'art. 40 prescriveva in punto di adeguatezza che "sulla base delle informazioni ricevute dal cliente, e tenuto conto della natura e delle caratteristiche del servizio fornito, gli intermediari valutano che la specifica operazione consigliata o realizzata nel quadro della prestazione del servizio di gestione di portafogli soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all'investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all'operazione o alla gestione del suo portafoglio". Invero la banca afferma che ha compiutamente valutato come adeguate l'operazione di acquisto di azioni (...) effettuati (...), atteso che il livello di rischiosità di tali titoli (all'epoca degli acquisti per cui è causa "medio") risultava perfettamente in linea rispetto al profilo finanziario e al livello di esperienza e competenza finanziaria - per l'appunto, "medio" - del ricorrente. Senonchè la stessa banca asserisce che il cliente dichiarò in sede di profilatura di perseguire una "crescita del capitale nel medio-lungo periodo, pur accettando il rischio di perderlo in parte", nonché di essere disposto a perdere "anche una parte media del mio capitale investito". A bene vedere non si tratta affatto di dichiarazioni compatibili con l'acquisto dei titoli BPE oggetto di contestazione. A parte l'età avanzata del cliente, proprio l'orizzonte temporale molto ampio doveva indurre l'intermediario ad una maggiore diligenza atteso che se al momento delle negoziazioni la situazione della banca era (relativamente) sicura, nell'orizzonte temporale previsto si è verificato un fatto che nella vita di un'impresa bancaria non è infrequente, ovvero il default. Ciò ha comportato la perdita totale del valore dell'investimento, cui certamente il cliente non era disposto, né era stato informato, a poco valendo la generica e puramente rituale dichiarazione di essere disposto a prendere una parte (non certo il tutto) dell'investimento medesimo. D'altra parte il contesto descritto rende evidente che il cliente mai avrebbe sottoscritto l'investimento se avesse avuto la consapevolezza di poterlo perdere del tutto nell'orizzonte temporale dichiarato, né si può negare che le due raccomandazioni scritta prodotte da parte attrice denotano un condizionamento ulteriore della libera volontà dell'investitore ed escludono di per sé un concorso nell'illecito. In ogni caso, la sopra ricordata giurisprudenza di legittimità afferma che dalla funzione sistematica assegnata all'obbligo informativo gravante sull'intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell'intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell'investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l'investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni delio stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati (cfr. Cass. n. 335 96 del 2021; Cass. n. 16125 del 2020). In ordine al quantum debeatur, la stessa banca conferma il valore complessivo dell'investimento al netto delle azioni gratuite (euro 27.058,22) e rivendica l'applicazione del principio secondo il quale in punto di quantificazione del danno da investimento va escluso che lo stesso possa essere quantificato in una somma pari agli importi investiti, potendosi al limite liquidare "in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell'acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria" (cfr. Cass. 10 agosto 2016, n. 16939, in www.dejure.it). Ebbene, non è in discussione il fatto che allo stato le azioni in discorso non sono commerciabili, mentre nessuna cedola o dividendo risulta ricollegabile alle azioni in discorso. In definitiva la convenuta va condannata al risarcimento del danno pari alla somma di euro 27.058,22, oltre interessi legali dalla domanda. Ogni ulteriore attività istruttoria appare superflua. Le spese di lite, liquidate come appresso, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore degli avv.ti (...) antistatari. Valore della Causa: Da euro 26.001 a euro 52.000. Fase di studio della controversia, valore medio: (...); Fase introduttiva del giudizio, valore medio: (...); Fase istruttoria e/o di trattazione, valore minimo: (...); Fase decisionale, valore minimo: compenso tabellare: (...); La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, 1) dichiara la responsabilità contrattuale della convenuta e la condanna al risarcimento del danno nella somma di euro 27.058,22, oltre interessi legali dalla domanda; 2) condanna la convenuta alla rifusione in favore degli avvocati (...), antistatari delle spese di lite, che liquida in euro (...) per esborsi ed euro (...) per compensi, oltre RSG 15 per cento IVA e CAP. 3) dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva per legge. Sentenza resa ex Articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale, per l'immediato deposito in cancelleria. Così deciso in Trani il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Civile, in persona della dott.ssa Maria Azzurra Guerra, in funzione di giudice unico, esaminati gli scritti defensionali conclusivi, ai sensi dell'art. 190 secondo comma c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2275/2019 R.G.A.C.C. TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Elisabetta Mastrototaro, in virtù di mandato a margine all'atto di citazione in primo grado - APPELLANTE- CONTRO U.C.I. SOC. CONS. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore De Gaetanis e Luca Perrone, in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello - APPELLATA- (...) - ALTRA APPELLATA/CONTUMACE - OGGETTO: appello sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie n. 323/2018 FATTO E DIRITTO Nei limiti della dovuta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in termini succinti ed essenziali (artt. 132, 281-sexies, 352 c.p.c., e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. (...) conveniva, innanzi al GDP di Bisceglie, l'(...) SOC. CONS. A R.L. e (...), al fine di accertare la responsabilità esclusiva di quest'ultima nella causazione del sinistro verificatosi il 21.3.2017 in Bisceglie alla via della Repubblica e, per l'effetto, sentirli condannare in solido, al risarcimento dei danni materiali quantificati in Euro 1.289,65, oltre interessi e rivalutazione. Con sentenza N. 323 pubblicata il 26.11.2018 il Giudice di Pace di Bisceglie rigettava la domanda, ritenendola non sufficientemente provata. Con atto di citazione notificato il 29.4.2019, (...) ha interposto gravame sulla scorta di due motivi: 1. violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze istruttorie; 2. erronea imputazione in capo a parte attrice delle spese di ctu non espletata ed erronea compensazione delle spese legali. Al gravame ha resistito l'(...) SOC. CONS. A R.L., chiedendo di rigettare l'impugnazione ex adverso proposta in quanto infondata e di confermare la sentenza di prime cure, con condanna dell'appellante alle spese del secondo grado di giudizio. (...), già contumace in primo grado, è rimasta tale anche nel presente grado di giudizio. Acquisito il fascicolo del primo grado di giudizio, in assenza di attività istruttoria, all' udienza del 17.10.2022- celebrata in modalità cartolare- la causa, ritenuta non abbisognevole di istruttoria, è stata riservata per la decisione, con concessione alle parti dei termini ex art. 190 secondo comma c.p.c., stante l'anzianità della lite. Le parti hanno provveduto a depositare le comparse conclusionali e le note di replica. In particolare, l'appellante, con comparsa conclusionale depositata il 10.11.2022 ha rassegnato le seguenti conclusioni. " Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta e rigettata ogni contraria istanza: 1. Accogliere l'appello e riformulare integralmente la sentenza impugnata n. 323/2018, pronunciata dall'Ufficio del Giudice di Pace di Bisceglie, in persona dell'Avv. R.G. in data 26.11.2018 e depositata in pari data; 2. Per l'effetto accertare e dichiarare la totale responsabilità del sinistro de quo in capo al conducente dell'autovettura targata (...), di proprietà della sig.ra (...); 3. Di conseguenza condannare la (...) SOC. CONS. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in M., al Corso S. n. 39 e la sig.ra (...), elettivamente domiciliata presso la sede legale della (...) SOC. CONS. A R.L., in solido fra loro al pagamento, in favore della sig.ra (...) nata a B. (B.) il (...) (CF (...)), e residente in Bisceglie alla via (...) della somma complessiva di Euro 1.289,65, oltre interessi e svalutazione monetaria dal giorno della domanda all'effettivo soddisfo a titolo di risarcimento dei danni materiali subiti dalla sig.ra (...) all'autovettura di sua proprietà targata (...); 4. Condannare i convenuti in solido tra loro al pagamento in favore della sig.ra (...) delle spese processuali del doppio grado di giudizio nella misura che l'Ill.mo Tribunale adito ritenga congrua oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario". La Compagnia appellata, con memoria conclusionale depositata il 16.11.2022 ha insistito nell'accoglimento delle seguenti conclusioni "accertare e dichiarare l'infondatezza dell'appello proposto dalla sig.ra (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie n. 323/2018, depositata in Cancelleria in data 26/11/2018; - rigettare, quindi, l'appello così come proposto ex adverso e, per l'effetto, - confermare integralmente il contenuto della sentenza appellata; - condannare, infine, l'appellante, al pagamento delle spese e delle competenze per il secondo grado di giudizio.". Nelle note di replica depositate il 21.11.2022 l'appellante ha contestato l'eccepita incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. sollevata dall'appellata in sede di comparsa conclusionale, rilevandone la tardività. Ha, insistito, dunque, nell'accoglimento delle conclusioni rassegnate. Con le note di replica depositate il 30.11.2022, la Società appellata ha contestato la dedotta tardività dell'eccezione ex art. 246 c.p.c., insistendo nell'accoglimento delle conclusioni rassegnate. L'appello è infondato, non essendovi prova del nesso causale fra i danni materiali lamentati dall'attrice e l'evento processualmente dedotto. Non appare superfluo rilevare che, in tema di sinistri stradali verificatisi a causa di tamponamento, la Cassazione ha chiarito che "ai sensi dell'art. 149, comma 1, del D.Lgs. n. 285 del 1992, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo dello stesso, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l'avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione "de facto" di inosservanza della distanza di sicurezza; ne consegue che, esclusa l'applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., egli resta gravato dall'onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto del mezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili" (Cass., ord. n. 18708 del 01/07/2021; cfr. anche Cass., ord. n. 13703 del 31/05/2017). Grava, dunque, in capo al danneggiato l'onere probatorio dell'effettiva verificazione del sinistro occorso, della sua esatta dinamica e del nesso causale tra la condotta del convenuto e l'evento-danno, mentre il convenuto, esclusa la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., deve dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo, allo stesso in tutto e in parte non imputabile, che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità. Il danno alla carrozzeria dell'autovettura lamentato dalla (...) è stato contestato dalla compagnia assicurativa sia nel corso del giudizio di primo grado che nel giudizio di appello, sicché gravava sulla danneggiata, sulla base dei principi generali stabiliti dall'art. 2697 c.c. l'onere di dimostrare il verificarsi del danno quale conseguenza dell'incidente e la sua consistenza. L'appellante, invece, non ha fornito la prova né della riconducibilità all'impatto fra i veicoli di un danno alla sua autovettura né dell'ammontare del pregiudizio di carattere patrimoniale subito per aver sostenuto le spese necessarie per la riparazione del veicolo. Infatti, sul primo aspetto le dichiarazioni testimoniali rese da (...) e (...) all'udienza del 5.4.2018 sono di fatto ininfluenti, in quanto nulla indicano in ordine ai danni riportati dall'autovettura. Ferma l'evidente lacunosità e genericità di tali dichiarazioni, la domanda attorea non è supportata neppure da alcuna documentazione fotografica dell'autovettura di proprietà dell'attrice (in tal senso, Cass., ord., 5.10.2022 n. 28924). Con riferimento al quantum risarcibile, poi, nessuna valenza ai fini della prova della riparazione del veicolo e del quantum del relativo esborso può essere riconosciuta alla fattura rilasciata dalla Carrozzeria incaricata della riparazione (cfr. all. n. 2 fascicolo di primo grado dell'attrice). Infatti, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale da cui non vi sono ragioni per discostarsi, la fattura commerciale emessa dal soggetto incaricato della riparazione della cosa danneggiata, come il relativo preventivo di spesa, in quanto documento redatto da un terzo e in assenza di contraddittorio, non può costituire prova dell'ammontare del pregiudizio economico verificatosi nella sfera giuridica del danneggiato, ma può assumere eventualmente valenza probatoria a condizione che sia accompagnata dalla prova del relativo pagamento o sia confermata in giudizio dal suo autore (cfr., Cass., ord., 12.12.2018 n. 3293; nonché meno recentemente Cass., 28.11.2013, n. 26693). Nel caso che ci occupa né la intervenuta riparazione del veicolo né il pagamento al prestatore d'opera del relativo costo ad opera del danneggiato sono stati confermati dal soggetto che ha emesso la fattura commerciale in atti nel corso del giudizio di primo grado né l'attrice ha fornito prova dell'effettivo pagamento di quanto in esso contenuto. Pertanto, occorre concludere che correttamente il Giudice di prime cure ha escluso che fosse stata raggiunta la prova del danno al veicolo di proprietà dell'attrice, della sua riconducibilità sul piano causale all'incidente e dell'ammontare del pregiudizio patrimoniale verificatosi nella sfera patrimoniale dell'attrice in misura corrispondete all'esborso sostenuto per la riparazione. Né coglie nel segno il secondo motivo di impugnazione inerente l'erronea imputazione all'attrice delle spese di ctu, in quanto mai svolta. Trattasi, tuttavia, di mero errore materiale, che non ha inficiato il dispositivo della sentenza di primo grado, nel quale non si fa alcun riferimento alle spese di consulenza. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i parametri valoriali medi dettati dal D.M. n. 147 del 2022, con esclusione della fase istruttoria, di fatto, non svolta per la natura documentale della controversia.. L'infondatezza nel merito del gravame impone l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 113 del 2002, con condanna dell'appellante al pagamento di un importo pari a quello versato a titolo di contributo unificato per l'impugnazione. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bisceglie n. 323/2018, proposto da (...) nei confronti dell'(...) SOC. CONS. A R.L. e di (...), con atto di citazione notificato il 29.4.2019 ed iscritta al n. 2275/2019 R.G.A.C.C., così provvede: 1. rigetta l'appello; 2. per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; 3. condanna (...) al pagamento in favore dell'(...) SOC. CONS. A R.L. delle spese del presente grado di giudizio che quantifica in Euro 1.700,00 per compensi, oltre rimborso forfettario del 15%, C.A.P. ed Iva; 4. dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 con conseguente condanna dell'appellante al pagamento di un ulteriore importo pari a quello dovuto a titolo di contributo unificato versato per l'impugnazione. Così deciso in Trani il 2 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione orale ex art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 5 dell'anno 2019 TRA (...), nato a B. il (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Am., Ma.Di. e Va.Gi., giusta procura in calce al ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO (...) "(...)" O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, p.iva (...), rappresentata e difesa dall'avv. An.La., giusta procura in calce alla memoria difensiva; - Resistente - In data 20/10/2022 la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020 e dall'art. 36 del D.L. n. 23 del 2020 e s.m.i., nonché dal Protocollo di Intesa per lo svolgimento delle udienze civili e del lavoro sottoscritto il 17.04.2020 dal Presidente del Tribunale di Trani, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani e dal Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Trani. Si precisa che non viene redatto verbale d'udienza e che almeno una delle parti in causa ha depositato note di trattazione scritta. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 3.01.2019 il ricorrente impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli dalla (...) S. Onlus, chiedendo la condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione e/o al pagamento della massima indennità risarcitoria prevista dalla legge. Deduceva a tal fine che era stato dipendente della ONLUS resistente, con contratto a tempo indeterminato, con qualifica di conducente di autoambulanza/autista soccorritore, dal 14.05.2012 al 04.06.2018/07.07.2018, data in cui era stato licenziato per giusta causa; che sin dall'inizio della sua attività lavorativa era stato assegnato alla postazione 118 di Polignano a Mare; che, per alcuni periodi, su disposizione della ONLUS datrice di lavoro, era stato adibito alle postazioni di (...) e di (...); che nel mese di novembre 2017 aveva denunciato il malfunzionamento di un defribillatore; che dopo due giorni da tale segnalazione era stato trasferito presso la postazione 118 di (...) (ricadente nella (...), anzichè nella (...) come Polignano a mare); che nel corso dei mesi, anche a seguito della denuncia per l'illegittimo trasferimento subito, era stato estromesso dallo svolgimento di turni festivi e notturni, con una diminuzione della retribuzione, ed erano state inserite nelle buste paga giorni di ferie e permessi mai richiesti; che, con contestazione del 28.5.2018, gli era stato contestato l'abbandono del posto di lavoro nel turno compreso tra le ore 20,00 del 25.5.2018 e le ore 8,00 del 26.5.2018, prima delle ore 7,00, al fine di recarsi a Taranto per tenere in qualità di docente un corso remunerato di (...); che in data 31.5.2018 aveva contestato ogni addebito evidenziando l'insussistenza del fatto contestato, atteso che era prassi darsi il cambio-turno una mezz'oretta prima di quanto previsto; che non vi era stato alcun abbandono del posto di lavoro, atteso che la postazione era presidiata dal collega (...) subentrato in turno una mezz'oretta prima delle otto; che, nonostante avesse richiesto l'audizione personale, era stato licenziato in data 4.6.2018; che, contestata la violazione procedimentale, la resistente in data 20.6.2018 aveva revocato il licenziamento al fine di ascoltarlo, fissando all'uopo la data del 26.6.2018, poi differita al 7.7.2018; che invero il rapporto di lavoro si era ripristinato e che dunque occorreva una nuova contestazione per procedere al licenziamento; che, invece, in data 7.7.2018 era stato licenziato per giusta causa. Alla luce di tali fatti il ricorrente chiedeva accertarsi la natura ritorsiva del licenziamento, essendo tutto scaturito dalla denuncia del malfunzionamento di un defribillatore della "(...)"; aggiungeva che il licenziamento (il secondo) era nullo perché era stata completamente omessa una nuova contestazione e che comunque esso era illegittimo perché privo di giusta causa (insussistenza del fatto contestato), oltre che sproporzionato rispetto alla gravità dei fatti. Costituendosi in giudizio, l'associazione resistente impugnava ogni avverso assunto, denunciando la legittimità del licenziamento e l'assenza di revoca del procedimento disciplinare, essendo solo stato revocato l'atto formale al fine di procedere con l'audizione orale del ricorrente; aggiungeva l'assenza di motivi ritorsivi, nonché la sussistenza della giusta causa del licenziamento, considerato l'abbandono del posto di lavoro e l'insussistenza di qualsivoglia prassi che autorizzasse un cambio turno in anticipo. La causa veniva istruita oralmente. La domanda formulata dal ricorrente è fondata e deve essere accolta per le seguenti ragioni, essendo il licenziamento intimato al ricorrente privo di giusta causa. Si evidenzia che le varie questioni vengono esaminate nella presente sentenza secondo il principio processuale della ragione "più liquida", desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui "la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c." (cfr., in termini, Cass. n. 363/2019). Ebbene, nel caso di specie al ricorrente è stato contestato in data 28.5.2018 che, mentre era in servizio presso la postazione 118 di Polignano a Mare coprendo il turno dalle ore 20,00 del 25.5.2018 alle ore 8,00 del 26.5.2018, aveva abbandonato il posto di lavoro, come era stato denunciato dal medico del medesimo turno, concordando con il collega (...) il cambio turno alle ore 7,00, senza chiedere l'autorizzazione né del medico di turno che dell'Associazione, per recarsi a Taranto per tenere un corso quale docente. Nonostante le giustificazioni scritte rese dal lavoratore, cioè che il cambio turno era avvenuto alle ore 7,30, come di consueto accadeva, e che la postazione non era mai rimasta sguarnita di un autista-soccorritore, l'associazione resistente ha licenziato il ricorrente in data 4.6.2018 per abbandono del posto di lavoro, peraltro mettendosi alla guida verso Taranto in un orario in cui doveva essere al lavoro, violando i doveri di correttezza, buona fede, fedeltà. Ebbene, fermo restando che l'onere della prova della fondatezza degli addebiti incombe sul datore di lavoro, la (...) "(...)" ONLUS non ha fornito la prova di quanto contestato al ricorrente. Infatti, atteso che il ricorrente non ha contestato di aver fatto cambio turno con il collega (...) in anticipo, deducendo di averlo fatto alle ore 7,30 anziché alle ore 7,00, come contestato, dall'istruttoria orale è emersa l'esistenza di una prassi secondo cui i colleghi del turno successivo si presentano al lavoro prima per effettuare una serie di verifiche e per la consegna del mezzo, di modo che, in caso di chiamata di emergenza pochi minuti prima della fine del turno, essa sia gestita dai "subentranti", evitando il prolungamento del turno degli "smontanti". Ad esempio la teste Dott.ssa (...) (teste parte ricorrente) ha così dichiarato: "confermo che era prassi di tutti gli autisti soccorritori quella di anticipare di circa mezz'ora l'entrata in servizio ... Posso riferire che gli autisti soccorritori sono sempre arrivati per montare in servizio o verso le 7.30 o in alcuni casi anche prima. Per quanto mi consta tale prassi di "anticipo dell'inizio del turno" era conosciuta dal presidente della (...) anche perché eseguita da tutti". La testimone, Medico in servizio presso la medesima postazione del ricorrente, in turno il 25.5.2018 dalle ore 8,00 alle ore 20,00, ha dichiarato che quella sera il ricorrente arrivò alle ore 19,10 e che il collega del turno smontante, dopo che il Panza si vestì (per la qual cosa occorrevano mediamente 5/10 minuti), andò via. Di simile tenore sono le dichiarazioni del teste (...): "per tutto il periodo che ho lavorato a Polignano, posso confermare che vi era un accordo interno tra gli autisti soccorritori per cui chi subentrava nel turno di lavoro anticipava l'entrata in servizio di circa mezz'ora, perché se vi era una chiamata pochi minuti prima del cambio turno i subentranti iniziavano a lavorare qualche minuto in anticipo evitando così prolungamenti del turno del soccorritore uscente. Tale prassi riguardava anche noi medici. Per quanto a mia conoscenza, la (...) era a conoscenza di questa prassi perché ho ascoltato, in alcune occasioni, che gli autisti soccorritori si accordassero per uscite anticipate ed in quelle occasioni mi riferivano che avevano comunicato tale circostanza alla (...)". Lo stesso dicasi per il teste (...), soccorritore volontario della Onlus resistente, che ha confermato l'esistenza di una prassi - evidentemente nota alla Onlus - dell'effettuazione di un cambio turno effettuato una mezz'oretta prima della fine del turno. La prassi di anticipare l'inizio del turno è stata confermata, anche se con un minor anticipo, anche dai testi di parte resistente. Il teste (...) ha dichiarato: "Confermo che io personalmente mi reco a lavoro all'incirca un quarto d'ora prima per effettuare la vestizione e il passaggio di consegne e per evitare l'ultima uscita. Ciò significa che per evitare di uscire in ritardo, anticipiamo di dieci minuti, un quarto d'ora, l'ingresso per poter soddisfare la chiamata che arriva in quel frangente." Anche il teste dott. (...) ha dichiarato: "preciso che per comodità degli stessi autisti soccorritori questi anticipano di circa 10/15 minuti il loro arrivo in postazione al fine di provvedere alla vestizione e al passaggio di consegne e alla check list e verifica del mezzo. Pertanto, così facendo essi sono già operativi all'inizio del turni alle ore 8 o alle 20". Di simile tenore sono le dichiarazioni di (...), dipendente della "(...)" dal 2021, ma volontaria dal 2014. Le dichiarazioni di tale ultima teste appaiono tuttavia influenzate da un timore reverenziale nei confronti del datore di lavoro, evincibile proprio dalla parte in cui ha dichiarato che, nonostante l'arrivo in anticipo dei "subentranti", se arriva una chiamata pochi minuti prima del cambio turno, esce la squadra in servizio, cioè quella "smontante" e non la subentrante. Tali dichiarazioni, oltre che essere di segno contrario a quelle rese dagli altri testi, non appaiono credibili, se sol si pensa che la prassi del cambio turno in anticipo, molto probabilmente, aveva ed ha lo scopo di evitare allungamenti del turno ed evitare il pagamento di lavoro straordinario da parte del datore di lavoro. Che la (...) "(...)" non ne fosse a conoscenza appare assai improbabile, oltre che smentito dai testi, perché tale prassi evitava o riduceva le ipotesi di prolungamento del turno e dunque di pagamento di lavoro straordinario. Alla luce delle riferite dichiarazioni, la condotta del ricorrente appare priva di offensività, perché eseguita in attuazione di una prassi quotidiana, che non richiedeva una particolare autorizzazione della datrice di lavoro, né può sostenersi che il ricorrente abbia "abbandonato il posto di lavoro", atteso che a lui è indiscutibilmente subentrato il collega (...), senza creare alcuna disfunzione al servizio. La postazione di sevizio, in altre parola, non è mai rimasta priva di un autista-soccorritore. Pertanto la giusta causa di licenziamento è insussistente, con conseguente illegittimità del licenziamento medesimo. E se anche si ritenesse che la sanzione sia stata comminata non per l'abbandono del posto di lavoro, ma per la mancata comunicazione del subentro del collega (...) e dunque per la mancata preventiva autorizzazione, anche in tal caso il licenziamento sarebbe illegittimo, perché non è stato dimostrato che occorreva una autorizzazione scritta per un cambio turno effettuato mezz'ora prima - come da prassi - e comunque perché la sanzione comminata sarebbe a dir poco sproporzionata rispetto all'infrazione commessa. Non può, tuttavia, ritenersi che il licenziamento sia stato anche ritorsivo nei confronti del lavoratore per il fatto che quest'ultimo avesse denunciato il malfunzionamento di un defibrillatore. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale il licenziamento per ritorsione o rappresaglia è rappresentato dall'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essendo necessario, in tali casi, che il lavoratore dimostri, anche per presunzioni, che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall'intento ritorsivo (cfr, Cass. n. 24648/2015, che ha ritenuto che il licenziamento ritorsivo sia una species del genus licenziamento discriminatorio). Nel caso di specie il lavoratore non ha fornito prova di uno specifico intento ritorsivo del datore di lavoro. Accertata l'illegittimità del licenziamento, per quanto riguarda la tutela applicabile, deve trovare applicazione l'art. 8 della L. n. 604 del 1966, trattandosi di associazione con meno di 15 dipendenti (non è stata infatti contestata la circostanza che l'associazione resistente abbia dodici dipendenti, sebbene molti altri soci volontari) ed applicabile ratione temporis. In definitiva e per tutte le ragioni innanzi indicate, la domanda deve essere accolta ed il licenziamento intimato al Panza in data 7.7.2018 deve dichiararsi illegittimo, con conseguente condanna del datore di lavoro alla riassunzione del lavoratore entro tre giorni o, in mancanza, al pagamento di una indennità pari a 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (pari ad Euro 1.426,78, come da buste paga in atti), oltre accessori di legge. La misura dell'indennità è stata determinata alla luce della durata del rapporto di lavoro (sei anni), del numero dei dipendenti, delle ragioni del licenziamento e del comportamento processuale delle parti. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono integralmente poste a carico della resistente, nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i.. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato in data 03.01.2019 da (...) nei confronti della (...) "(...)" ONLUS, rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1. dichiara illegittimo il licenziamento intimato al ricorrente in data 7.7.2018 e, per l'effetto, condanna l'associazione resistente alla riassunzione del lavoratore entro 3 giorni o, in mancanza, al pagamento a titolo di risarcimento del danno di un'indennità pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (pari ad Euro 1.426,78, come da buste paga in atti), oltre accessori di legge; 2. condanna la resistente al pagamento delle spese processuali del ricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compensi, oltre RSG CAP e IVA come per legge. Così deciso in Trani il 20 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione ex artt. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 9153 dell'anno 2018 TRA (...), nata a B. il (...), rappresentata e difesa dall'avv. An.Sa., giusta procura a margine del ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO PROVINCIA DI BARLETTA - ANDRIA - TRANI, in persona del proprio legale rappresentante p.t., con sede in Andria, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Di., giusta procura in calce alla memoria difensiva; - Resistente - In data 15/09/2022 la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 83 del (...) n. 18 del 2020 e dall'art. 36 del (...) n. 23 del 2020 e s.m.i., nonché dal Protocollo di Intesa per lo svolgimento delle udienze civili e del lavoro sottoscritto il 17.04.2020 dal Presidente del Tribunale di Trani, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani e dal Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Trani. Si precisa che non viene redatto verbale d'udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 21 dicembre 2018, la ricorrente adiva questo Giudice del lavoro al fine di veder accertata e dichiarata la natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto con la Provincia di Barletta - Andria - Trani, in forza di convenzioni di incarico stipulate con la resistente tra il 2010 ed il 2018, con conseguente riconoscimento del diritto all'inquadramento nel livello D/2 del CCNL cooperative sociali e a percepire la relativa retribuzione. Domandava, inoltre, che fosse accertata e dichiarata l'illegittimità delle plurime convenzioni di incarico professionale perché stipulate violando gli artt. 7 e 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e, per l'effetto, che la Provincia resistente fosse condannata al risarcimento del danno, da liquidarsi ai sensi dell'art. 32 della L. n. 183 del 2010. In particolare, (...) deduceva di aver partecipato a due avvisi di selezione pubblica, indetti dalla Provincia BT nel 2010 e nel 2014, volti all'assunzione di educatori addetti al servizio di integrazione scolastica ed extrascolastica di alunni diversamente abili nelle scuole secondarie di secondo grado della provincia e di assistenti alla comunicazione di studenti audiolesi. Rappresentava altresì che, collocatasi in posizione utile nelle graduatorie stilate negli anni predetti, la stessa aveva stipulato con l'ente territoriale reiterate convenzioni di incarico per il ruolo di educatrice: dal 03.12.2010 al 22.12.2010 e dal 12.01.2011 al 31.05.2011 presso l'Istituto IPSIA Archimede di Andria; dal 10.10.2011 al 01.06.2012 e dal 15.10.2012 al 01.06.2013 presso l'Istituto IPSIA Archimede di Barletta; dal 14.10.2013 al 30.05.2014 presso l'Istituto Archimede di Andria; dal 11.11.2014 al 30.05.2015, dal 16.11.2015 al 30.05.2016, dal 10.10.2016 al 30.05.2017 e dal 10.10.2017 al 30.05.2018 presso l'Istituto Garrone di Barletta. Aggiungeva che dette convenzioni erano state impugnate con missiva del 26.07.2018 a firma della CGIL BAT, a cui era iscritta, unitamente alla NIDL CGIL BAT, con cui si eccepiva la natura subordinata del rapporto di lavoro, nonché la violazione dell'art. 7 D.Lgs. n. 165 del 2001. La ricorrente deduceva che l'attività, consistita nel favorire l'integrazione scolastica ed extrascolastica degli alunni con disabilità e l'incremento della loro autonomia, veniva svolta durante l'orario scolastico, sotto la direzione dell'organizzazione scolastica che trasmetteva alla Provincia BT il monitoraggio delle presenze della lavoratrice e la relazione bimestrale circa l'attività svolta nell'interesse dell'alunno. Costituendosi in giudizio, la resistente contestava nel merito la fondatezza della domanda, rilevando l'insussistenza degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato, nonché la legittimità delle convenzioni di incarico stipulate con la C.. Eccepiva, inoltre, la prescrizione quinquennale dei crediti maturati nel quinquennio antecedente alla notificazione del ricorso o comunque al primo atto di messa in mora. La causa veniva istruita oralmente. La domanda è fondata e deve essere accolta nei termini di seguito precisati. I fatti dedotti dalla ricorrente (la prestazione di lavoro sulla base di convenzioni di incarico professionale stipulate con la Provincia di Barletta - Andria - Trani dal 2014 al 2018 formalmente ai sensi dell'art. 2222 c.c.) non sono stati contestati dalla resistente e risultano documentalmente provati. È dunque possibile esaminare la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intrattenuto dalla (...) con l'odierna resistente. In particolare, parte attrice domanda che venga accertata la natura subordinata del predetto vincolo, ad onta del contratto di collaborazione formalmente sottoscritto, con conseguente applicazione alla medesima del CCNL cooperative sociali categoria (...). Il rapporto di lavoro subordinato è disciplinato dall'art. 2094 c.c. che definisce prestatore di lavoro subordinato "chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Sulla scorta di tale norma, i requisiti che configurano detto vincolo sono la subordinazione e l'eterodirezione, che, rispettivamente consistono nell'inserimento nell'organizzazione del datore di lavoro con soggezione al potere organizzativo e disciplinare del medesimo e nella sottoposizione alle direttive del superiore nell'esecuzione della prestazione. Posto che l'art. 2094 c.c. non individua gli elementi identificativi del rapporto di lavoro subordinato, occorre richiamare gli indici rilevatori del vincolo in esame consolidatisi in giurisprudenza, quali "la retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l'orario di lavoro fisso e continuativo; la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l'inserimento nell'organizzazione aziendale" (Cass. Ordinanza 23 gennaio 2020 n. 1555). L'accertamento circa la sussistenza di tali indici deve avere ad oggetto i dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento della prestazione, onde discernere l'eventuale rapporto di lavoro autonomo dedotto in contratto da quello risultante dall'attuazione del medesimo. Difatti, nella vicenda che qui ci occupa la Provincia resistente chiede, per converso, la conferma della natura autonoma del rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 2222 c.c., a tenore del quale è lavoratore autonomo colui che si obbliga verso il committente a compiere un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, a fronte del pagamento di un corrispettivo. Tutto ciò premesso, è necessario verificare la sussistenza degli indici rilevatori su esposti nel rapporto di lavoro oggetto di causa, sulla scorta delle risultanze dell'istruttoria espletata. Nel caso in esame, la ricorrente ha svolto le proprie mansioni (integrazione scolastica ed extrascolastica degli alunni con disabilità; sviluppo dell'autonomia degli alunni; rafforzamento delle potenzialità degli stessi; promozione della socializzazione e della partecipazione alla vita scolastica) in funzione delle esigenze organizzative e produttive della Provincia, dal momento che, come evidenziato dalla stessa resistente, sulla scorta dell'assetto normativo in vigore, le funzioni relative all'assistenza per l'autonomia e la comunicazione degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali sono state attribuite dalla Regione Puglia alle province. Per quanto concerne l'orario di lavoro osservato dalla ricorrente, dalla documentazione prodotta risulta che esso dovesse essere di nove ore settimanali, da coordinare con l'Istituto di assegnazione. La prestazione lavorativa doveva essere svolta durante l'orario di apertura dell'Istituto Scolastico e comunque quando era presente il beneficiario della prestazione. Dall'istruttoria orale è emerso che l'orario di lavoro veniva concordato in accordo con la referente scolastica, tenendo conto delle esigenze dell'alunno, nonché nei limiti di quello osservato dall'istituto (vd. sul punto dichiarazioni delle testimoni (...), (...) e (...)). Sono emersi durante l'istruttoria aspetti del rapporto di lavoro sintomatici della poca autonomia delle educatrici in relazione alla gestione del rapporto di lavoro: peculiare è quanto è emerso in ordine alla gestione dei ritardi e delle assenze, per la cui fruizione la lavoratrice era tenuta a dare avviso alla referente, al fine di consentire la riorganizzazione del servizio da parte della scuola. Tanto è stato confermato dalle testimoni sopra citate. Le assenze, poi, dovevano essere recuperate entro un lasso di tempo determinato. In riferimento alla rilevazione delle presenze, la ricorrente compilava giornalmente un apposito modulo di attestazione dell'orario di ingresso e di uscita, successivamente controfirmato dal Dirigente dell'istituto ed infine trasmesso alla Provincia; ciò all'evidente scopo di attestare che il numero di ore pattuite fosse stato espletato. Anche tale circostanza è stata confermata dalle dichiarazioni delle testimoni escusse. Quanto alla retribuzione, essa era predeterminata su base oraria e commisurata alle ore di lavoro effettivamente prestate, come provato dalle testi ed in particolare dalla teste (...), addetta all'istruttoria dei provvedimenti di liquidazione, la quale ha affermato che il pagamento avveniva su presentazione di fattura da parte dell'educatrice. In relazione alla compresenza dell'insegnante di sostegno e dell'educatrice, a dire della ricorrente esclusa su disposizione del dirigente scolastico, dall'istruttoria è emerso che, al fine di garantire che lo studente destinatario dell'assistenza non ne rimanesse privo, l'orario di lavoro tra insegnante di sostengo ed educatrice veniva organizzato in modo tale che quando mancava una c'era l'altra. Dunque la compresenza non era esclusa ab origine, ma veniva data priorità alla circostanza che lo studente non rimanesse senza assistenza. Esaminate le caratteristiche dell'attività lavorativa svolta dalla C., occorre ora soffermarsi sulla sussistenza del requisito della subordinazione, dirimente ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo. Sul punto occorre far riferimento ad una pronuncia resa dalla Corte di Cassazione in merito alla prestazione avente carattere professionale o intellettuale, sulla scorta della quale "in ordine alla qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in presenza di prestazione con un elevato contenuto intellettuale, questa Corte ha costantemente affermato che è necessario verificare se il lavoratore possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale potendosi ricorrere altresì, in via sussidiaria, a elementi sintomatici della situazione della subordinazione quali l'inserimento nell'organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l'inerenza al ciclo produttivo, l'intensità della prestazione, la retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato" (Cass. Ord. 12919/2022). Tale orientamento può essere applicato al caso oggetto di giudizio, in quanto la prestazione resa dalla ricorrente si sostanziava in un'attività di carattere professionale le cui modalità di esecuzione (specialmente in relazione alla quantità di lavoro da prestare) non erano rimesse ad una effettiva autonomia della lavoratrice ma erano vincolate in ragione del numero di ore che dovevano comunque essere garantite, la cui organizzazione era coordinata con un referente dell'Istituto scolastico e quanto meno con l'insegnante di sostegno dello studente beneficiario. Dunque, l'autonomia di cui godeva la (...) nello svolgimento dell'attività non era sussumibile in quella che connota la prestazione di lavoro autonomo, nella quale il lavoratore può autodeterminarsi rispetto alle modalità di esecuzione della prestazione, essendo vincolato al conseguimento del risultato concordato con il committente. Altrettanto determinante ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato è la retribuzione conseguita dalla ricorrente che è emerso essere non solo predeterminata, ma altresì commisurata alla quantità di ore svolte e non ai risultati conseguiti dall'alunno assistito. Peraltro, se è vero che la ricorrente era titolare di partita IVA, non è emerso che essa utilizzasse tale P. IVA per lo svolgimento di distinte attività, utilizzando tale sistema solo ai fini della convenzione sottoscritta con la Provincia. Altro elemento rilevante, come accennato in precedenza, era la necessità di coprire quante più ore possibili che l'alunno beneficiario trascorreva a scuola: ciò evidenzia proprio l'illogicità del diverso inquadramento dell'insegnante di sostegno e dell'educatrice, la prima assunta quale lavoratrice subordinata e la seconda quale collaboratrice autonoma. Di conseguenza, le argomentazioni della Provincia resistente appaiono prive di pregio, nella misura in cui evidenziano il mancato esercizio da parte della stessa di alcun potere di controllo sulla lavoratrice. Invero, tale potere può dirsi esercitato in vari modi, considerando la necessità di compilare e controfirmare i moduli attestanti le presenze, nonchè il sistema del coordinamento delle assenze e quello dei ritardi, da recuperare entro un certo lasso temporale. Parimenti prive di rilievo sono le argomentazioni con cui la resistente rileva il mancato esercizio di potere direttivo, disciplinare ed organizzativo da parte della Provincia nei riguardi della ricorrente, dal momento che, sebbene l'ente territoriale abbia provveduto al reclutamento della lavoratrice, quest'ultima ha svolto la propria attività in favore di un ente diverso, l'istituto scolastico, con conseguente e necessario inserimento nella relativa organizzazione. In tal senso, la differenza tra il soggetto con cui la ricorrente ha stipulato il contratto di lavoro e quello nei cui confronti la prestazione è stata effettivamente resa non può escludere il carattere subordinato del rapporto sussistendone tutti gli elementi costitutivi. Pertanto, alla luce delle argomentazioni svolte, va riconosciuta la natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto dalla (...) con la Provincia di Barletta - Andria - Trani e, per l'effetto, in accoglimento della relativa domanda, i diversi rapporti di lavoro dedotti in ricorso devono essere considerati come rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, con inquadramento nel livello D/2 del CCNL delle cooperative sociali (livello non oggetto di contestazione). La ricorrente ha dunque diritto ad ottenere il pagamento delle differenze retributive (non prescritte) tra la retribuzione lorda che avrebbe percepito qualora fosse stata assunta con un contratto di lavoro subordinato per 9 ore settimanali e il compenso effettivamente percepito, tenuto conto dei periodi in cui è stata effettivamente prestata l'attività lavorativa. A tal fine si ritiene fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Provincia resistente e dunque devono dichiararsi prescritte tutte le differenze retributive relative a periodi anteriori al 26.7.2013, considerato che la priva missiva di messa in mora è del 26.7.2018. In definitiva, in parziale accoglimento della domanda, la Provincia BT deve essere condannata al pagamento in favore della ricorrente delle differenze retributive tra la retribuzione lorda che avrebbe percepito qualora fosse stata assunta con un contratto di lavoro subordinato per 9 ore settimanali (livello D/2 del CCNL delle cooperative sociali) e il compenso effettivamente percepito, dal mese di luglio 2013 al 30.5.2018, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo. La ricorrente ha inoltre richiesto accertarsi l'abusività della reiterazione delle convenzioni sottoscritte dalla Provincia e dunque, sostanzialmente, ha chiesto condannarsi la Provincia al risarcimento del danno cd. comunitario ex art. 32 della L. n. 183 del 2010. Anche tale domanda è fondata e merita di essere accolto per le ragioni che di seguito si precisano. In particolare, l'art. 7 co. 6 dispone che, fermo restano il divieto imposto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione consistenti in prestazioni di carattere prevalentemente personale, continuative e soggette alla direzione e all'organizzazione del committente, con conseguente nullità del contratto, le stesse hanno la facoltà di stipulare contratti di lavoro autonomo con esperti aventi particolare e comprovata specializzazione, per far fronte ad esigenze temporanee non risolvibili con il personale in servizio. La stessa norma, ai fini della legittimità di detti incarichi, postula che: l'oggetto della prestazione sia conforme alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione; quest'ultima abbia accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane già in servizio; la prestazione abbia natura temporanea ed altamente qualificata e sia consentito il rinnovo solo nell'ipotesi in cui occorra completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore; siano preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione. L'art. 36 co. 2, invece, disciplina la facoltà della pubblica amministrazione di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché forme contrattuali flessibili, limitandone l'esercizio al soddisfacimento di esigenze temporanee o eccezionali, nel rispetto delle procedure previste dall'art. 35 del medesimo testo normativo. Tanto premesso, nel caso di specie, sussistono sufficienti elementi per ritenere l'abusività della reiterazione delle convenzioni sottoscritte dalla Provincia con la ricorrente (il cui rapporto di lavoro - come innanzi detto - è da considerarsi subordinato a tempo determinato). Infatti è risultato che la prestazione eseguita dalla (...) non era preordinata a soddisfare esigenze temporanee o eccezionali, ma permanenti, essendo ella stata utilizzata dalla p.a. resistente per ben otto anni sulla base di due graduatorie stilate nel 2010 e nel 2014. Dall'istruttoria orale espletata è emerso che il primo incarico è stato assegnato alla (...) sulla base della graduatoria stilata dalla Provincia (venendo ella convocata per la scelta tra le sedi disponibili), mentre i successivi incarichi sono stati conferiti presso il medesimo istituto scolastico in attuazione del principio della continuità nella relazione educativa. Ciò è accaduto per tutte le educatrici. Pertanto, si può affermare che lo strumento della convenzione non era preordinato all'esecuzione e al completamento di un determinato progetto, né a garantire il soddisfacimento di esigenze temporanee ed eccezionali, ma, al contrario, tali convenzioni servivano a garantire lo svolgimento dell'attività di assistenza specialistica di alunni disabili in maniera permanente. Dunque il progetto non era un elemento ulteriore rispetto alla prestazione lavorativa, ma costituiva l'essenza stessa ed il contenuto della prestazione lavorativa, aggirando di fatto la necessità di svolgere un'apposita procedura concorsuale per l'assunzione di personale subordinato a tempo indeterminato. Pertanto la sottoscrizione delle molteplici convenzioni sottoscritte tra la Provincia e la ricorrente per tutto l'arco temporale dal 2010 al 2018 è stata illegittima sotto un duplice aspetto: sia perché celava rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato sia perché tali rapporti si sono reiterati nel corso degli anni senza che fossero giustificati dalla sussistenza di esigenze temporanee ed eccezionali; tale illegittimità, che non può essere sanzionata con la conversione del contratto ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (misura correttamente non richiesta dalla ricorrente), giustifica tuttavia la tutela risarcitoria richiesta, anche alla luce della durata complessiva del rapporto di lavoro (vd. sul punto la giurisprudenza inaugurata da Cass. n. 5072/2016 e successivamente confermata; vd., da ultimo, Cass. n. 2175/2021, secondo cui "Nel lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del contratto a tempo determinato da parte di una P.A., il dipendente, che abbia subito l'illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato di cui all'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione, con esonero dall'onere probatorio, nella misura e nei limiti dell'indennità di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010; poiché il danno presunto, qualificabile come "danno comunitario", non ha ad oggetto la nullità del termine dei singoli contratti bensì la loro abusiva reiterazione, in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE, sentenza 7 maggio 2018, in C-494/16, tale indennità va liquidata una sola volta e non in riferimento ad ogni contratto di cui venga accertata l'illegittimità"). Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento richiesto, tenuto conto dei criteri enunciati nella sentenza n. 5072/2016 della Corte di Cassazione innanzi richiamata, si ritiene congruo (considerato l'arco temporale complessivo delle convenzioni stipulate, per otto anni scolastici) un risarcimento quantificato in otto mensilità da calcolarsi su una paga lorda di Euro 752,34 (Euro 1.504,68:2). Si osserva a tal fine che il calcolo è stato effettuato tenuto conto della paga base mensile indicata in ricorso in relazione al livello D/2 del CCNL coop. sociali e del numero di ore settimanali effettuate dalla ricorrente (9). Si sottolinea che "l'indennità di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010, dovuta al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per l'illegittima apposizione del termine al rapporto di lavoro, non ha natura retributiva e su di essa non spettano la rivalutazione monetaria e gli interessi legali se non dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato" (cfr., in termini, Cass. n. 3062/2016). In definitiva anche tale domanda deve essere accolta e, per l'effetto, la Provincia di Barletta-Adria - Trani deve essere condannata al pagamento in favore della ricorrente di un'indennità risarcitoria pari a otto mensilità da calcolarsi su una paga lorda di Euro 752,34. Tenuto conto dell'assoluta novità della questione e della controvertibilità della controversia, sussistono i presupposti per una integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato in data 21 dicembre 2018 da (...) nei confronti della Provincia Barletta - Andria - Trani, rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1) accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna la Provincia Barletta-Andria-Trani al pagamento in favore della ricorrente delle differenze retributive tra la retribuzione lorda che avrebbe percepito qualora fosse stata assunta con un contratto di lavoro subordinato per 9 ore settimanali (livello D/2 del CCNL delle cooperative sociali) e il compenso effettivamente percepito, dal mese di luglio 2013 al 30.5.2018, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione dei singoli crediti e sino al soddisfo. 2) condanna altresì la Provincia Barletta-Andria-Trani al pagamento in favore della ricorrente di un'indennità risarcitoria pari a otto mensilità da calcolarsi su una paga mensile lorda di Euro 752,34; 3) compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Trani il 15 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trani, Eugenio Carmine Labella, nella presente controversia in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie tra (...) -c.f.(...), con l'assistenza e difesa dell'avv. QU.GI. - c.f. (...); -parte ricorrente- e INPS; -parte resistente contumace- all'udienza del 14/06/2022 - all'esito della trattazione scritta disposta, ai sensi dell'art.83 D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (conv. in L. n. 27 del 2020) come novellato ai sensi dell'art. 221 D.L. n. 34 del 2020 (conv. in L. n. 77 del 2020), con decreto ritualmente comunicato alle parti - ha emesso, ai sensi dell'art. 429 c.p.c., la seguente sentenza. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I. - Con ricorso depositato in data 08/04/2021 la parte ricorrente chiedeva che l'INPS fosse condannato a provvedere a tutti gli atti necessari ai fini della regolarizzazione della sua posizione contributiva "in particolare mediante l'adozione degli atti necessari alla ricezione dei contributi ad oggi risultanti mancanti". I.1. - A fondamento delle sue pretese, la parte ricorrente deduceva che aveva lavorato alle dipendenze della società (...) S.R.L. (...) dal 14/03/2007 al 29/02/2008; che, a fronte della introduzione di precedente giudizio (contrassegnato con il n.4478/2010 R.G.) nei confronti della (...) S.R.L. (...), aveva ottenuto, oltre alla condanna della parte datoriale al pagamento delle differenze retributive rivendicate in relazione all'intercorso rapporto di lavoro, la condanna della (...) S.R.L. (...) alla "regolarizzazione contributiva in favore del ricorrente, per il periodo per cui è causa" (sentenza n.4396/2012 della Sezione Lavoro del Tribunale di Trani); che aveva impugnato per quanto di interesse (declaratoria di inammissibilità della impugnativa del licenziamento orale) la predetta sentenza in appello, ottenendo dalla Corte di Appello di Bari sentenza n.1184/2015 del 23/06/2015, con cui, in riforma parziale della sentenza di primo grado, era stata pronunciata, tra l'altro, la condanna della società appellata di "procedere alla regolarizzazione contributiva in favore dell'appellante"; che, senza alcun esito positivo, aveva domandato in via amministrativa all'INPS (con domande prot. INPS n. (...) e n. (...)) la regolarizzazione della sua posizione contributiva, previo accreditamento dei contributi mancanti, in quanto non versati dalla parte datoriale. II. - Nonostante la regolarità della notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di discussione, l'INPS è rimato contumace. III. - La domanda è infondata e deve essere rigettata per le ragioni esposte in precedenti conformi della Sezione Lavoro del Tribunale di Trani (Sentenza n. 1565/2021 pubbl. il 25/10/2021; RG n.8225/2019; est. Dott.ssa (...)), che, essendo pienamente condivise, vengono trascritte in termini sostanzialmente integrali. La parte ricorrente, dipendente della (...) S.R.L. (...), ha chiesto all'INPS di accreditare in suo favore sostanzialmente in automatico i contributi relativi al periodo dal 14/03/2007 al 29/02/2008, che non risultavano dall'estratto contributivo in proprio possesso, sebbene fosse intervenuta sentenza di condanna nei confronti della parte datoriale "alla regolarizzazione contributiva in favore dell'appellante" (si veda da ultimo la sentenza sopra menzionata della Corte di Appello di Bari). Ebbene, sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione di recente con l'ordinanza n. 2164/2021, secondo cui "In caso di omissione contributiva, il lavoratore, pur se abbia dato comunicazione all'ente previdenziale dell'inadempimento e quest'ultimo non si sia attivato per il recupero, non può agire nei confronti dell'istituto per l'accertamento dell'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né chiedere all'ente di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, atteso che l'obbligazione contributiva vede quale soggetto attivo l'ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore, residuando in favore del lavoratore soltanto l'azione di risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. e la facoltà di chiedere all'ente la costituzione della rendita ai sensi dell'art. 13 della L. n. 1338 del 1962". Tale orientamento è stato confermato dalla sentenza n. 6722/2021 della medesima Corte, che ha ulteriormente precisato: "In caso di omesso versamento di contributi da parte del datore di lavoro, l'ordinamento non prevede un'azione dell'assicurato volta a condannare l'ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, nemmeno nell'ipotesi in cui l'ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell'inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l'adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato, residuando unicamente in suo favore la facoltà di chiedere all'INPS la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 della L. n. 1338 del 1962 ed il rimedio risarcitorio di cui all'art. 2116 c.c. Né tale ultima azione è impedita dalla cancellazione della società datrice di lavoro dal registro delle imprese, determinandosi in tale ipotesi un fenomeno successorio in forza del quale l'obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente a seconda che, "pendente societate", fossero responsabili per i debiti sociali in via limitata o illimitata". Alla luce della richiamata giurisprudenza, che si condivide, la domanda oggetto del presente giudizio deve essere rigettata, proprio perché l'azione di regolarizzazione della posizione contributiva è stata già indirizzata nei confronti del datore di lavoro, ottenendo nei suoi confronti una pronuncia di condanna alla regolarizzazione della posizione contributiva; sicché non è possibile ottenere, in assenza della prova dell'effettivo versamento dei contributi da parte della società datrice di lavoro in ottemperanza alla predetta sentenza della Corte di Appello di Bari, la condanna dell'Istituto previdenziale ad aggiornare la posizione contributiva della parte ricorrente. Per le ragioni innanzi esposte, la domanda attorea deve essere integralmente rigettata. IV. - Tenuto conto della contumacia dell'INPS, nulla si dispone in merito alla regolamentazione delle spese di lite. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione così definitivamente provvede: - rigetta integralmente il ricorso; - nulla per le spese processuali. Così deciso in Trani il 14 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo nel procedimento r.g.n. 4518/2019 avente ad oggetto: licenziamento individuale per giust. motivo soggettivo ha pronunciato, ex art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA TRA (...), nato (...), rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce al ricorso, dall'avv. Vi.Pe. e dall'avv. Cl.Tr., presso il cui studio in Ruvo di Puglia, alla via (...), elettivamente domicilia RICORRENTE E CONSORZIO (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura a margine della memoria difensiva, dall'avv. Do.Ga., e con questi elettivamente domiciliato in Trani, al Corso (...), presso lo studio dell'avv. Ro.Di. RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Il fatto Con ricorso depositato il 9.07.2019, (...), dopo aver premesso di essere stato assunto dal Consorzio (...) con contratto a tempo indeterminato l'11.02.1998, con qualifica di operaio di terzo livello e occupandosi in particolare della vigilanza dell'agro ruvese, pari a 23.000 ettari, ha dedotto: che dal novembre 2018 ha subito una serie di contestazioni disciplinari infondate e pretestuose; che il Consorzio è passato da 16 dipendenti del 1993 a cinque dipendenti del 2016 con il compito di controllare e intervenire su un territorio estremamente vasto; che nel corso degli anni si sono ridotte le vetture e le guardie di turno e il Consorzio è diventato irregolare nel pagare le retribuzioni; che il ricorrente con altri colleghi ha presentato una serie di denunce querele, poi ritirate su accordo delle parti; che dal dicembre 2015 fino a tutto il 2016 non sono state consegnate le buste paga; che, quanto agli addebiti mossi nei suoi confronti culminati nel licenziamento, con una prima contestazione del 20.11.2018 il Consorzio gli ha addebitato il mancato intervento presso la proprietà (...), fornita si sistema antifurto collegato con la sede del Consorzio; che con la contestazione del 21.03.2019, posta alla base del licenziamento, risultavano noti al Consorzio tutti gli spostamenti della vettura condotta da esso ricorrente, il che fa presumere che si siano serviti di un sistema GPS non consentito perché teso a controllare a distanza la prestazione del lavoratore, tant'è che l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, con circolare n. 2/2016 ha ritenuto questo tipo di apparecchiatura tendenzialmente non essenziale e quindi soggetta ad autorizzazione preventiva o ad accordo sindacale, tranne che nel caso in cui la prestazione non possa essere resa se non attraverso GPS, come nel caso dei portavalori; che, infine, il Consorzio è debitore di Euro 12.878,69 a titolo di retribuzioni dovute e non corrisposte. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale dichiari illegittimo il licenziamento e condanni il Consorzio resistente al pagamento di Euro 12.878,69; con vittoria di spese. Costituitosi in giudizio, il Consorzio (...) ha eccepito l'infondatezza del ricorso. In particolare, ha eccepito: che con nota del 18.08.2018, affissa nella bacheca aziendale, il Presidente del Consorzio comunicava ai dipendenti che vi erano state numerose lamentele di associati che minacciavano la disdetta dal servizio per le continue fermate o soste di auto in servizio senza effettuare i controlli dovuti; che con nota del 20.11.2018 era contestato al ricorrente che il giorno 8.11.2018 durante il turno di guardia non perlustrava la zona di pertinenza della proprietà (...), in cui nei giorni precedenti vi erano stati tentativi di furto; che per tale circostanza gli era irrogata la sanzione disciplinare di un giorno di sospensione dal servizio e dalla retribuzione; che con nota dell'11.01.2019 gli era contestato che il 24.12.2018 non aveva avvisato il collega subentrante nel turno successivo che il veicolo da lui condotto presentava il cuscinetto della ruota completamente consumato; che per tale circostanza gli era comminata la sanzione di due ore di multa; che stante anche il persistere di lamentele della clientela era affidato all'Agenzia Investigativa Janis il compito di verificare la sussistenza di comportamenti penalmente rilevanti e/o fraudolenti e all'esito di ciò gli erano contestate tre violazioni disciplinari relative al 9.02.2019, al 4 e al 5.03.2019 in cui, in particolare, era emerso che durante il suo turno di guardia stazionava col veicolo fermo per circa tre ore senza effettuare tutti i controlli che invece riferiva di aver svolto su una serie di fondi come da rapporto da esso redatto; che le giustificazioni fornite dal lavoratore erano ritenute insufficienti e quindi il 10.04.2019 gli era irrogato il licenziamento per giusta causa nonché per la recidiva, sulla base delle precedenti contestazioni disciplinari non impugnate. Ciò posto, ha dedotto, in primo luogo, la legittimità del controllo investigativo perché finalizzato a verificare la sussistenza di comportamenti del lavoratore penalmente rilevanti o comunque fraudolenti, con la conseguenza che i fatti contestati al ricorrente devono ritenersi correttamente riscontrati e quindi sufficienti a giustificare il recesso dal rapporto di lavoro. In subordine ha eccepito che in caso di accoglimento del ricorso, il ricorrente avrebbe diritto solo a un'indennità risarcitoria compresa tra le 2,5 e le 6 mensilità, considerato che l'azienda ha solo cinque dipendenti. Inoltre, ha eccepito la inammissibilità della domanda di pagamento delle retribuzioni asseritamente non corrisposte. Infine ha chiesto che in caso di accoglimento della domanda, le somme dovute al ricorrente siano compensate con quelle dovute dallo stesso a titolo di risarcimento del danno all'immagine subito dal Consorzio per il comportamento dallo stesso tenuto nell'adempimento della prestazione lavorativa. In conseguenza di ciò ha concluso per il rigetto della domanda e in subordine per la compensazione delle somme dovute; con vittoria di spese. LA DECISIONE 1. Preliminarmente va osservato che sulla domanda concernente le pretese retribuzioni non corrisposte le parti hanno raggiunto una transazione in data 20.12.2021 (cfr. transazione allegata alle note conclusive di parte resistente), con la conseguenza che su di essa va dichiarata la cessazione della materia del contendere. 2. Ciò posto, nel merito la domanda è infondata e va rigettata. In primo luogo va osservato che il rapporto investigativo alla base della contestazione disciplinare che ha condotto al licenziamento del ricorrente è pienamente utilizzabile. Come affermato dalla Corte di Cassazione, tra l'altro, con la sentenza n. 20613 del 2012 è possibile porre alla base del licenziamento per giusta causa comportamenti del lavoratore accertati mediante l'ausilio di investigazioni private. Nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte una lavoratrice proponeva ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano che aveva confermato la decisione del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo con cui era stata respinta la domanda diretta all'accertamento della illegittimità del licenziamento intimatole per giusta causa dalla società per la quale lavorava. La Corte territoriale affermava che erano da considerare attendibili i rapporti redatti dai dipendenti dell'agenzia investigativa, alla quale si era rivolta la datrice di lavoro, atteso che dai riscontri di cassa erano risultate provate le mancate registrazioni degli importi di vendita di alcuni pacchetti di sigarette e l'appropriazione di tali somme da parte della dipendente, per cui appariva giustificato il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato all'appellante. In motivazione la Suprema Corte osserva, tra l'altro, che: "Per quel che concerne la legittimità del controllo svolto dal datore di lavoro per il tramite di terzi esterni all'impresa, in maniera non invasiva e rispettosa delle garanzie di libertà e di dignità dei propri dipendenti, ai fini della semplice verifica della regolarità delle operazioni che questi sono tenuti ad eseguire in adempimento degli obblighi contrattuali concernenti la prestazione lavorativa, questa Corte ha già avuto modo di pronunziarsi (Cass. Sez. Lav. n. 9576 del 14/7/2001), statuendo quanto segue: "Le norme di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 2 e 3, che garantiscono la libertà e la dignità del lavoratore, non escludono il potere dell'imprenditore di controllare, direttamente o mediante la propria organizzazione - adibendo, quindi, a mansioni di vigilanza determinate categorie di prestatori d'opera, anche se privi di licenza prefettizia di guardia giurata, ai fini della tutela del proprio patrimonio mobiliare ed immobiliare, all'interno dell'azienda (indifferentemente, in ambienti chiusi o in aree all'aperto) - non già l'uso, da parte dei dipendenti, della diligenza richiesta nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali, bensì il corretto adempimento delle prestazioni lavorative al fine di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione. Ciò senza che tale potere subisca deroghe in relazione alla normativa in materia di pubblica sicurezza ed indipendentemente dalla modalità del controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, non ostandovi né il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui alla citata L. n. 300 del 1970, art. 4, che riguarda esclusivamente l'uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non è applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato". Sempre in motivazione, prosegue la sentenza in esame: "Ancor prima, in un caso analogo al presente, si era affermato (Cass. Sez. Lav. n. 10761 del 3/11/1997) che "lo statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970), e specificamente i suoi artt. 2, 3 e 4, lungi dall'eliminare il potere di controllo attribuito al datore di lavoro dal codice civile, ne ha disciplinato le modalità di esercizio, privando la funzione di vigilanza dell'impresa degli aspetti più "polizieschi". In particolare non può contestarsi la legittimità dei controlli posti in essere da dipendenti di un'agenzia investigativa i quali, operando come normali clienti di un esercizio commerciale e limitandosi a presentare alla cassa la merce acquistata e a pagare il relativo prezzo, verifichino la mancata registrazione della vendita e l'appropriazione della somma incassata da parte dell'addetto alla cassa". In termini analoghi si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12489 del 08.06.2012, in cui si afferma che: "La sentenza impugnata ha fatto richiamo al costante orientamento di questa Corte, che si condivide, secondo cui le disposizioni dell'art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento delle persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest'ultimo di ricorrere ad agenzie investigative - purché non sconfinino nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata dall'art. 3 dello statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l'intervento in questione non solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (cfr. Cass. n. 3590 del 14 febbraio 2011; Cass. n. 18821 del 9 luglio 2008; Cass. n. 9167 del 7 giugno 2003 ed altre conformi)". In questo caso, la decisione fa riferimento alla violazione di obblighi extracontrattuali penalmente rilevanti. Nei medesimi termini si era espressa la Suprema Corte anche nella sentenza n. 18821 del 9 luglio 2008. Così la sentenza in motivazione: "È in proposito noto l'orientamento ormai consolidato di questa Corte (e non contestato dalla difesa della ricorrente) in ordine alla legittimità del tipo di controlli in esame, quantomeno ove finalizzati alla rilevazione di eventuali illeciti da parte del personale dipendente a danno del patrimonio aziendale. Secondo, tra le altre, Cass. 7 giugno 2003 n. 9167, infatti, le disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 3000, art. 2, che limitano la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale non precludono a questi diricorrere alla collaborazione di soggetti diversi dalle guardie giurate per la tutela di tale patrimonio, in particolare ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata dalla legge al personale di cui all'art. 3, dello (...) e direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Secondo tale orientamento, condiviso da questo collegio e al quale si è richiamata anche la sentenza impugnata, l'attivazione di tali tipi di controlli, in particolare attraverso agenzie di investigazione (ed. controlli occulti), non presuppongono necessariamente illeciti già commessi, come pure sostenuto in passato da una parte della dottrina che si è occupata della sistemazione giuridica del fenomeno, ma anche il sospetto (nascente dal rilievo delle ed. differenze inventariali, cui deve ritenersi del resto aver fatto riferimento anche la società, quando ha parlato, sia pure impropriamente, di "attività di controllo antitaccheggio") o anche la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione. Ciò che appare viceversa essenziale per la legittimità di tali tipi di controllo, oltre alla finalità di accertamento di illeciti a carico del patrimonio aziendale e non di meri inadempimenti contrattuali, è la necessità che il controllo si svolga secondo tecniche che richiamano quello che un qualsiasi cliente accorto pone normalmente in essere quando transita attraverso una qualunque delle casse per pagare e non si traducano in manovre dirette ad indurre in errore l'operatore". In una più recente decisione, la n. 18507 del 21.09.2016 la Cassazione ha affermato l'utilizzabilità dei rapporti investigativi anche in un caso diverso rispetto a quelli fin qui esaminati; in particolare si è affermato che: "È legittimo il licenziamento del dipendente che, grazie all'utilizzo di foto e filmati realizzati dall'investigatore privato ingaggiato dall'azienda per verificare l'attendibilità del suo certificato di malattia, venga trovato asvolgere lavori faticosi e ritenuti incompatibili con la patologia per la quale non si è recato al lavoro. Nella specie, si trattava di lavori sul tetto e nella corte della propria abitazione. Per la Cassazione, è pienamente legittimo il ricorso da parte del datore di lavoro a un'agenzia investigativa per verificare l'attendibilità della certificazione medica, mentre non sussiste alcuna lesione del diritto alla riservatezza e alla privacy, come sostenuto invece dal lavoratore". Quindi, in via di estrema sintesi, dalle sentenze passate in rassegna può desumersi: - la possibilità di utilizzare l'attività investigativa in relazione al compimento di atti illeciti dei dipendenti che non rientrino nel mero inadempimento degli obblighi contrattuali; - la possibilità di utilizzare l'attività investigativa anche quando c'è il mero sospetto di comportamenti illeciti dei dipendenti in corso di esecuzione; - l'esclusione della possibilità di ricorrere a rapporti investigativi in relazione all'attività principale oggetto del rapporto di lavoro, ossia l'esecuzione della prestazione da parte del lavoratore. Ne consegue, quindi, che un caso come quello in esame - in cui il ricorso agli investigatori privati era finalizzato a verificare la sussistenza di comportamenti illeciti dei dipendenti, nel senso di comportamenti che, andando aldilà del mero inadempimento della obbligazione lavorativa, si sostanziassero in comportamenti di fatto pregiudizievoli dell'azienda, atteso che, evidentemente, non effettuare i controlli dovuti, esponeva il Consorzio a lamentele dei clienti e al pericolo di disdette dallo stesso oltre che di un vero e proprio danno all'immagine - rientra certamente tra quelle in cui è ammessa la possibilità di utilizzare un rapporto investigativo per provare i fatti contestati. Più specificamente appare rilevante la circostanza che in data 18.08.2018 il Consorzio (...) aveva emesso una nota del seguente tenore: "Continuano a pervenire lamentele da nostri associati (che minacciano disdetta dal servizio) riguardanti continue fermate o addirittura soste di nostre auto in servizio presso bar-tabacchi, sosta nei fondi di proprietà delle guardie e addirittura soste in fondi di persone non associate a questo ente, (ledendo le norme imposte dalla questura) e comunque la quasi totale assenza nel territorio di nostra appartenenza. Al riguardo saranno espletati controlli in merito, da parte di questa presidenza, e in caso di veridicità di tali comportamenti, saranno adottati i più incisivi provvedimenti sanzionatori". Vi era quindi una particolare problematica scaturente da comportamenti precedenti tenuti da dipendenti del Consorzio che avevano condotto a lamentele specifiche da parte della clientela e, di conseguenza, anche alla necessità di rafforzare i controlli per evitare il reiterarsi di comportamenti che, evidentemente, andando aldilà del mero inadempimento della prestazione lavorativa, rischiavano di pregiudicare le finalità istituzionali del Consorzio. 3. Passando a esaminare la domanda di impugnativa di licenziamento, essa è infondata e va rigettata. Com'è noto, "In tema di licenziamento, l'art. 5 della L. n. 604 del 1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un'eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l'onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l'altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte,fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte" (cfr. Cass. n. 7830/18, e Cass. n. 17108/16). Applicando tali principi al caso di specie, va osservato che gli episodi contestati al ricorrente devono ritenersi provati in virtù del rapporto investigativo, la cui utilizzabilità deve ritenersi consentita alla luce dei principi innanzi richiamati, e che è stato sostanzialmente confermato dai testimoni escussi. Più specificamente gli episodi in occasione dei quali il ricorrente, durante il proprio turno di guardia, in luogo dell'attività di perlustrazione e controllo prevista, ha di fatto per un consistente numero di ore disatteso l'obbligo di eseguire la prestazione, sostando all'interno del veicolo spento, senza quindi perlustrare e controllare, sono numericamente rilevanti se si considera il limitato lasso di tempo preso in considerazione (meno di un mese). Inoltre, il comportamento tenuto dal ricorrente appare particolarmente grave se si considera anche la circostanza innanzi già rappresentata, relativa al fatto che la società datrice di lavoro, presumibilmente in seguito a una serie di segnalazioni, aveva specificamente allertato i propri dipendenti (cfr. nota del 18.08.2018) non solo in ordine al fatto che avrebbe proceduto a dei controlli specifici ma anche in ordine al fatto che evidentemente vi erano state delle condotte negligenti da parte dei dipendenti; il che imponeva che i dipendenti tenessero una condotta ancora più diligente e attenta nell'eseguire l'attività di controllo, e certamente non può ritenersi tale il comportamento tenuto dal ricorrente che, pur a fronte di questa specifica sollecitazione della società, di fatto ometteva una parte consistente della attività di controllo che avrebbe dovuto esercitare durante il suo turno. Ancora, sul piano personale, assume rilievo la circostanza che al ricorrente erano già state irrogate delle sanzioni disciplinari (cfr. note del 20.11.2018 e dell'11.01.2019), sempre per negligenze tenute nell'esecuzione della prestazione lavorativa. A ciò si aggiunga che il ricorrente, nel relazionare sul servizio svolto durante i turni oggetto di contestazione, ha di fatto dichiarato circostanze non rispondenti al vero, facendo risultare come tenute determinate condotte, di vigilanza e controllo, che, invece, non erano state tenute, circostanza che anch'essa incide certamente nel senso di minare alla radice e in maniera irreversibile il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Quanto alla proporzionalità della sanzione disciplinare applicata, essa sussiste certamente, tenuto conto della gravità dei comportamenti addebitati al lavoratore e confermati in questa sede, tali da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il ricorrente anche nella prospettiva di possibili reiterazioni di questo tipo di comportamento (cfr. Cass. n. 13152/06, n. 11430/00 e n. 1412/00), reiterazioni che, del resto, si erano già verificate se si considera che, nel circoscritto periodo di tempo preso in considerazione di circa un mese, erano state tre le condotte gravemente inadempienti tenute dal ricorrente e risultate dimostrate all'esito dell'istruttoria svolta. Né assumono rilievo in senso contrario le dichiarazioni rese dai testi indicati da parte ricorrente, che hanno riferito che di fatto non vi erano state lamentele pregresse da parte della clientela e che il comportamento del ricorrente era stato sempre corretto; si tratta, infatti, di circostanze non idonee, dì per sé, a confutare quanto invece emerso, attraverso la conferma dell'attività di osservazione e del contenuto del rapporto investigativo da parte degli investigatori sentiti come testimoni, in ordine alla condotte effettivamente tenuta dal ricorrente in relazione agli episodi contestati che hanno condotto la società resistente a decidere di licenziarlo. Alla luce di ciò, devono ritenersi provati i fatti contestati al ricorrente e quindi il reiterato inadempimento, in un periodo temporalmente circoscritto, dell'obbligo di eseguire l'attività di vigilanza e controllo secondo le modalità che avrebbe dovuto svolgere durante il suo turno - con pregiudizio indiretto, quindi, anche per quei beni come la proprietà privata e la sicurezza personale che, trattandosi di attività di vigilanza, quest'ultima mira per definizione a tutelare - nonché, attraverso ciò, anche la falsa rappresentazione dell'attività svolta, con conseguente violazione anche degli obblighi di correttezza e buona fede, comportamento tale, quindi, da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che contraddistingue il rapporto di lavoro e da non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 13512/2016) giustificando, quindi, la sanzione espulsiva. Pertanto, il licenziamento impugnato deve ritenersi legittimo e la domanda va rigettata. In termini analoghi si è espressa questa Sezione anche con l'ordinanza del 30.09.2021 resa in una fattispecie analoga alla presente, allegata alle note conclusive di parte ricorrente e il cui deposito deve ritenersi consentito, trattandosi di pronuncia giudiziale, peraltro successiva all'introduzione del presente giudizio. Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 applicando i valori minimi dello scaglione di riferimento individuato in base alla domanda (indeterminabile-complessità bassa), tenuto conto del valore della natura della controversia, delle ragioni della decisione e della attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla controversia r.g.n. 4518/2019 come innanzi proposta, così provvede: 1. dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda relativa alle differenze retributive; 2. rigetta la domanda di impugnativa di licenziamento e, per l'effetto, conferma la legittimità di quest'ultimo; 3. condanna (...) al pagamento delle spese processuali in favore del Consorzio (...), che liquida in Euro 4.766,00, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge. Così deciso in Trani il 13 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione ex art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 1915 dell'anno 2018 TRA (...), nata a B. il (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ca.An., giusta procura a margine del ricorso introduttivo; - Ricorrente - CONTRO (...) SRL, con sede legale in R. al viale del T. n.432, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Am.Fr., Di.Ma., Gi.Va., giusta procura ad litem digitale nella memoria difensiva; - Resistente - In data 09/06/2022 la causa viene decisa mediante deposito telematico della sentenza, all'esito della trattazione scritta, disciplinata dall'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020 e dall'art. 36 del D.L. n. 23 del 2020 e s.m.i., nonché dal Protocollo di Intesa per lo svolgimento delle udienze civili e del lavoro sottoscritto il 17.04.2020 dal Presidente del Tribunale di Trani, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani e dal Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Trani. Si precisa che non viene redatto verbale d'udienza e che almeno una delle parti in causa ha depositato note di trattazione scritta. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14.03.2018 la ricorrente (...) chiedeva la dichiarazione di inefficacia del licenziamento senza preavviso, irrogato quale sanzione disciplinare, e l'immediata reintegrazione nel posto di lavoro, oltre alla corresponsione della retribuzione globale maturata dal giorno del licenziamento; chiedeva, in subordine, la dichiarazione di non proporzionalità della sanzione e la condanna della società al pagamento del risarcimento del danno. Deduceva a tal fine di essere stata dipendente della società resistente con le mansioni di addetta alle informazioni telefoniche e front-line dal 3.10.2016 con contratto di lavoro part-time a tempo determinato fino al 31.12.2016, il quale era stato poi convertito in contratto di lavoro part-time a tempo indeterminato il 28.12.2016; da ultimo, il 31.08.2017 l'orario di lavoro era stato incrementato a 30 ore settimanali. Deduceva, inoltre, di non esser mai stata coinvolta da alcun procedimento disciplinare, fino al licenziamento avvenuto l'8.11.2017, a seguito di verifiche emerse dopo il suo coinvolgimento in una richiesta di indagini per il reato ex art. 640 co. II c.p., il quale vedeva coinvolti anche altri suoi colleghi. In particolare, argomentava che la (...) era risultata aggiudicataria dell'appalto del servizio informativo per la MCTC Trento; che lei con altri colleghi si occupava di rispondere agli utenti della MCTC, rispondendo alle loro domande; che in data 16.10.2017 le era stato notificato dall'Ufficio GIP del Tribunale di Trento una richiesta del PM di proroga delle indagini preliminari; che in data 23.10.2017 a lei e ad altri colleghi era stato notificato un invito a rendere l'interrogatorio libero in relazione ai delitti di cui agli artt. 56, 110 e 640 comma II, c..c. per aver effettuato, con il proprio cellulare ed in modo anonimo, delle telefonate al numero del call center dagli stessi gestito, per aumentare il volume di chiamate in entrata all'utenza della MCTC e far aumentare il corrispettivo del contratto di appalto aggiudicatosi dalla società resistente nei confronti della Motorizzazione Civile di Trento (poiché il servizio offerto per la MTC Trento era solo di in bound). Aggiungeva la ricorrente che sempre in data 23.10.2017 lei ed i suoi colleghi avevano riferito ai vertici aziendali della (...) di aver effettuato numerose chiamate al call center, ma sulla scorta di direttive ricevute dal proprio superiore gerarchico ing. (...) e non in modo autonomo; che, nonostante le rassicurazioni ricevute circa l'applicazione di una blanda sanzione per il comportamento assunto, le era stata contestata l'assoluta gravità della condotta assunta tanto da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto, con la conseguenza che era stata licenziata senza preavviso per giusta causa. Costituendosi in giudizio, la società resistente contestava ogni avverso assunto; deduceva che trattandosi di rapporto di lavoro disciplinato dal Jobs Act, anche in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento, la lavoratrice non sarebbe stata reintegrabile nel posto di lavoro; che invero il licenziamento era legittimo, sia perché la condotta costituente in astratto reato era stata ammessa dalla lavoratrice sia perché non vi era alcuna scriminante per il fatto che l'ordine provenisse da un superiore gerarchico della ricorrente, considerando che oggetto del contratto di lavoro era esclusivamente rispondere alle telefonate in entrata e dunque quell'ordine - se anche impartito - era illegittimo e rifiutabile. La società resistente insisteva dunque per il rigetto del ricorso ovvero, in subordine, chiedeva convertirsi il licenziamento da giusta causa in giustificato motivo soggettivo, nell'eventualità di accertamento della violazione del principio di proporzionalità fra la condotta e la sanzione inflitta. La causa veniva istruita oralmente. Si osserva in via preliminare che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti è interamente disciplinato dal D.Lgs. n. 23 del 2015, con la conseguenza che al lavoratore, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento, sono garantite le tutele previste dal detto decreto e non quelle della (...) n. 300 del 1970. Ciò detto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le seguenti ragioni. Dalla documentazione in atti e dalle deduzioni svolte dalle parti, si evince che, a seguito di regolare partecipazione a gara d'appalto svoltasi nel corso dell'anno 2015, la (...) S.r.l. si era aggiudicata il Servizio di Contact Center per il Servizio Motorizzazione Civile della Provincia Autonoma di Trento (cfr. docc. n. 4 - 4bis - Copia Bando di Gara e copia capitolato tecnico, allegati dalla resistente); che il relativo contratto d'appalto, stipulato in data 28.01.2016 (n. racc. (...) - Cfr. doc. n. 5 - Copia contratto d'appalto), prevedeva l'affidamento del predetto Servizio di Contact Center per la durata di due anni, rinnovabili per ulteriori due anni, per un importo complessivo (per i soli primi due anni) di Euro 92.385,87, derivante dal prezzo unitario di Euro 1,16 a singolo contatto ricevuto, per una stima presunta di 78.000 contatti telefonici ricevuti nel biennio, più un prezzo a corpo pari ad Euro 1.905,87 per gli interventi tecnici necessari (predisposizione software) all'avvio del servizio; che per lo svolgimento del servizio in parola la società aggiudicataria, (...) S.r.l., appartenente al (...), in aderenza all'accordo quadro regolante i rapporti intercorrenti tra le varie società del ridetto (...), si era avvalsa di talune risorse (tra cui la ricorrente) dipendenti dalla società (...) S.r.l., società, quest'ultima, anch'essa appartenente al (...), la cui Capogruppo è la (...) S.p.A. (cfr. doc. n. 2 e doc. n. 6 - Copia stralcio visura camerale (...) prima della fusione in (...) S.p.a.); che il servizio oggetto di contratto aveva lo scopo di fornire informazioni ai cittadini in merito a taluni servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione (nella specie dalla Motorizzazione Civile di Trento) e prevedeva ab origine una stima annua dei contatti inoltrati via telefono al call center da parte dei predetti cittadini; che gli operatori (...) addetti a tale servizio (tra cui la ricorrente), quindi, avevano l'esclusivo compito di ricevere i contatti telefonici in parola, impegnandosi a fornire le adeguate risposte alle richieste formulate dagli utenti; che in data 20.10.2017, nella sede sita in (...) della società resistente, si erano presentati due Agenti della Polizia Postale di Bari chiedendo di poter conferire con sette dipendenti dell'azienda, nominativamente indicati, tra cui la ricorrente, al fine di poter effettuare la notifica di un invito a rendere interrogatorio, in quanto indagati in un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di Trento; che, a seguito di una immediata ricognizione interna, era emerso che detti dipendenti, che avevano ammesso il loro comportamento, avevano effettuato in un lasso temporale piuttosto lungo una serie di telefonate dai propri cellulari e in modo anonimo al numero di telefono della MCTC, falsando dunque il numero di telefonate in entrata a cui essi avrebbero dovuto rispondere, con incidenza sul costo dell'appalto. Innanzi tutto vi è da dire che i lavoratori coinvolti, fra cui l'odierna ricorrente, hanno subito ammesso le loro responsabilità, ma hanno evidenziato di aver agito in esecuzione di una disposizione precisa del loro superiore gerarchico, ing. (...), circostanza che pertanto era idonea a loro dire a scriminare la loro condotta o comunque a renderla meno grave rispetto a quanto dedotto dall'azienda, che aveva comminato il licenziamento in tronco per giusta causa. Ebbene, dall'istruttoria orale è innanzi tutto stato confermato il fatto che le mansioni della lavoratrice erano esclusivamente quelle di rispondere alle telefonate in entrata sul numero della MCTC per rispondere alle domande degli utenti; che vi erano state le telefonate contestate (numerose telefonate) e che vi erano state disposizioni in proposito del superiore gerarchico (...). E' dunque determinante verificare se l'ordine impartito dal (...) scrimini la condotta della ricorrente o ne attutisca il disvalore. Ebbene, deve a tal proposito richiamarsi l'orientamento della Corte di Cassazione secondo cui "L'esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico non basta di per sé ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro privato l'art. 51 c.p." (cfr. in termini Cass. n. 23600/2018). Nella parte motiva della sentenza così si legge: "19. Questa Corte (Cass. n. 21214 del 2009; Cass. n. 8254 del 2004) ha ripetutamente affermato che la giusta causa di licenziamento, quale "fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto" è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica, e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici. 20. Si è poi precisato come l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare clausole generali come quella dell'art. 2119 c.c., che, in tema di licenziamento per giusta causa, detta una tipica "norma elastica", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca (cfr. Cass. n. 9266 del 2005; Cass. n. 5299 del 2000; Cass.). 21. E' solo l'integrazione giurisprudenziale, a livello generale ed astratto, della nozione di giusta causa che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge, mediante specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale; mentre l'applicazione in concreto del canoneintegrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, (cfr. Cass. n. 7838 del 2005; Cass. n. 21214 del 2009; Cass. 6901 del 2016; Cass. n. 18715 del 2016). 22. Occorre infine considerare che, anche in presenza di clausole generali, il controllo di legittimità veicolato dall'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. non si esaurisce nella verifica di correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, come accertato dal giudice di merito, nell'ipotesi normativa. Costituisce, infatti, errore di diritto anche la falsa applicazione di legge, che ricorre "quando una norma rettamente intesa sia applicata ad una fattispecie concreta che non corrisponde a quella astratta prevista dalla norma ovvero in modo da giungere a conseguenze giuridiche ad essa contrarie, (Cass., S.U., n. 5 del 2001; Cass. n. 18782 del 2005; Cass. n. 15499 del 2004). 23. Nel caso in esame, la Corte di merito ha accertato in fatto che: il B. aveva comunicato ai sottoposti, tra cui l'Aiuti, la necessità di inserire nelle cartografie e nel patrimonio aziendale alcuni metri lineari di tubature installate negli anni precedenti; che l'unico modo per aggiornare la cartografia e il patrimonio aziendale era quello di simulare l'esecuzione ex novo dei lavori con contabilizzazione degli stessi nel sistema informatico; che il (...) (diretto superiore dell'Aiuti) si occupò, su incarico del (...), di aprire le c.d. richieste di consegna (RdC) per assegnare fittiziamente i lavori alle ditte appaltatrici; che compito dell'Aiuti era stato quello di confermare l'avvenuta esecuzione dei lavori in modo da generare nel sistema informatico (S.) i c.d. moduli di acquisizione prestazioni (MAP) che consentivano l'inserimento delle tubature nella cartografia; che la simulazione dei lavori aveva comportato anche il pagamento effettivo degli importi preventivati in favore delle ditte indicate come appaltatrici, con emissione da parte delle stesse delle relative fatture. 24. La Corte di merito ha escluso la configurabilità di una giusta causa di recesso sul rilievo che l'Aiuti avesse agito in esecuzione di un ordine impartitogli dal superiore gerarchico, di simulare nel sistema informatico l'esecuzione di lavori in realtà non eseguiti, e che tale stratagemma fosse necessario per aggiornare la cartografia e il patrimonio aziendale, elementi ritenuti idonei ad escludere ogni intenzionalità lesiva degli interessi aziendali e ogni profilo di negligenza. 25. La conclusione cui è pervenuta la Corte di merito non tiene conto che l'ordine impartito dal superiore gerarchico all'Aiuti comportava pacificamente la violazione delle procedure interne, in quanto era diretto a far apparire nel sistema informatico come realizzati in quel momento lavori di posizionamento di tubature, in realtà eseguiti anni prima, ad opera di altre ditte e per i quali erano già stati effettuati i pagamenti. Il fatto che, secondo quanto accertato nella sentenza impugnata, non vi fosse una procedura alternativa che consentisse l'aggiornamento della cartografia e del patrimonio aziendale non vale a rendere automaticamente legittimo, sul piano logico, ogni possibile stratagemma utile ad aggirare le rigidità del sistema, essendo certamente ipotizzabile l'attuazione di interventi migliorativi sulle procedure in uso ed anzi esigibile dai dipendenti, in adempimento del dovere di diligenza e fedeltà, la segnalazione di inefficienze o limiti del sistema stesso. 26. L'esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico non basta di per sé ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro privato l'art. 51 c.p.. Difatti, secondo un risalente ma ancora valido indirizzo della giurisprudenza di legittimità, la scriminante di cui all'art. 51 c.p. "trova la sua giustificazione nel divieto imposto ai cittadini di sindacare le norme giuridiche e di disubbidire agli ordini legittimi della pubblica autorità, considera non punibili i fatti preveduti dalla legge come reati, se siano commessi per adempiere ad un dovere derivante da tali norme ed ordini. Tuttavia, gli ordini, come si evince dalla precisa e chiara formulazione della legge, debbono emanare da una pubblica autorità, il che significa che i rapporti di subordinazione presi in considerazione sono esclusivamente quelli che sono previsti dal diritto pubblico. Nei rapporti di diritto privato, tra i quali sono compresi quelli che intercorrono tra i privati datori di lavoro e i loro dipendenti, non è applicabile la causa di giustificazione sopra indicata, perché manca un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge", (Cass. pen. n. 3394 del 2017; Cass. pen. n. 34961 del 2013; Cass. pen. n. 133 del 1971). 27. Non solo, la valutazione di sussumibilità o meno nell'art. 2119 c.c. della condotta di esecuzione di un ordine dato dal superiore gerarchico non può prescindere dal grado di divergenza dell'ordine rispetto ai principi e ai vincoli dell'ordinamento e dal carattere palese o meno di tale illegittimità. 28. Nel caso di specie in cui, secondo la ricostruzione in fatto operata dalla Corte di merito, l'ordine impartito all'Aiuti era tale da comportare una plateale violazione delle procedure amministrative e contabili, oltre che dei principi e delle regole poste dal Codice Etico, mediante simulazione di lavori non eseguiti ed esborsi effettivi in favore delle ditte apparentemente appaltatrici, la valutazione ai fini della giusta causa di recesso avrebbe dovuto tener conto del carattere palesemente illegittimo dell'ordine impartito dal superiore, quale elemento idoneo ad incidere sulla lesione del vincolo fiduciario. 29. La sentenza impugnata avrebbe dovuto, nel percorso valutativo ai fini della sussunnibilità della condotta accertata nella giusta causa o nel giustificato motivo soggettivo di recesso, stabilire se la società datoriale potesse riporre affidamento sul futuro esatto adempimento della prestazione nei confronti di chi si era posto supinamente, ove anche non intenzionalmente, in condizioni di violare in modo ripetuto i doveri di diligenza e fedeltà, di forzare le procedure interne certificando l'esecuzione di lavori in realtà non eseguiti dalle ditte appaltatrici e determinando pagamenti indebiti in favore di queste ultime, senza opporre alcun rifiuto o ostacolo agli ordini in tal senso dati dal superiore gerarchico, ordini della cui illegittimità il dipendente era in condizione di rendersi perfettamente conto. Difatti, "l'esecuzione di un ordine impartito dal superiore gerarchico non vale a scriminare la condotta del dipendente ove questi era in grado di rendersi conto della illegittimità dell'ordine in quanto palese". 30. La sentenza impugnata ha escluso la sussunzione del fatto accertato nel paradigma della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento nonostante la contrarietà ai valori dell'ordinamento e ai parametri della civiltà del lavoro di una condotta posta in essere dal dipendente in aperta violazione delle procedure interne e in esecuzione di un ordine del superiore palesemente illegittimo ..."). Questo Giudice ha ritenuto opportuno riportare interi passaggi motivazionali della pronuncia di legittimità richiamata, perché il caso in esame è analogo a quello appena riportato: la (...) ha ammesso di aver effettuato una serie di chiamate dal proprio cellulare al numero di call center, oggetto del contratto tra la (...) e la MCTC di Trento, pur deducendo che ciò derivava da un ordine del suo superiore gerarchico. Ebbene, per le stesse ragioni espresse dai giudici di legittimità nel caso richiamato, la condotta della ricorrente non è affatto scriminata dal fatto che vi sia stato un ordine del superiore, essendo tale ordine palesemente illegittimo e fraudolento, perché finalizzato ad aumentare il costo del contratto che la MCTC aveva sottoscritto con la (...). La ricorrente ben avrebbe potuto rifiutare l'esecuzione di quell'ordine, che non rientrava affatto tra le mansioni previste in contratto (ella doveva solo rispondere alle telefonate che arrivavano al call center e non certo simulare telefonate di utenti in entrata); anzi, qualora l'avesse fatto, e fosse stata sanzionata per il rifiuto, qualsivoglia sanzione irrogata nei suoi confronti sarebbe stata illegittima. La condotta della ricorrente non può poi ritenersi meno grave per il fatto che anche altri colleghi abbiano avuto lo stesso comportamento. La sanzione del licenziamento appare inoltre proporzionata rispetto alla gravità della condotta, che inevitabilmente ha leso il vincolo fiduciario tra le parti, non essendovi i presupposti per porre nuovamente fiducia nel rispetto del dovere di fedeltà e lealtà del lavoratore. Infatti ai sensi dell'art. 48 lett. b) del CCNL di categoria nel licenziamento senza preavviso "incorre il lavoratore che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge". Nel caso di specie l'azienda ha certamente subito da tale comportamento un danno materiale, poiché la MCTC ha rescisso il contratto di appalto, e comunque la sua immagine è stata compromessa dal comportamento dei suoi dipendenti; ragion per cui il licenziamento non è una sanzione sproporzionata rispetto ai fatti commessi. Si evidenzia inoltre che la contestazione disciplinare del 25.10.2017 ed il successivo provvedimento di licenziamento dell'8.11.2017 sono tempestivi, poiché dagli atti si evince che l'azienda è venuta a conoscenza della condotta contestata solo ad ottobre 2017, edotta da Agenti della Polizia Postale di Bari che si erano recati presso la sede di Molfetta per procedere all'interrogatorio libero degli indagati, fra cui la ricorrente. Da ultimo si rileva che l'archiviazione del procedimento penale nei confronti della ricorrente e degli altri operatori di call center non è un elemento determinante ai fini del giudizio, perché, a prescindere dalla sussistenza di un comportamento penalmente rilevante, è evidente come il vincolo fiduciario tra le parti sia irrimediabilmente venuto meno, essendo stato il comportamento della dipendente manifestamente in contrasto con i principi etici sia dell'ordinamento giuridico sia dell'ordinamento aziendale. In definitiva e per tutte le ragioni innanzi indicate, la domanda deve essere rigettata. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono integralmente poste a carico della ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana Dibenedetto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato in data 14.3.2018 da (...) contro (...) s.r.l., rigettata ogni diversa istanza, così provvede: 1) rigetta il ricorso; 2) condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali della società resistente, che liquida in Euro 2.600,00 per compensi, oltre RSG CAP e IVA come per legge. Così deciso in Trani il 9 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRANI SEZIONE LAVORO Il giudice dott. Luca Caputo nel procedimento r.g.n. 2347/2020 (al quale è riunito il procedimento r.g.n. 3785/2020) avente ad oggetto: altre controversie in materia di previdenza obbligatoria ha pronunciato, ex artt. 429 e 442 c.p.c., la seguente SENTENZA TRA (...), nata a B. il (...), rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine del ricorso, dall'avv. Sa.Ca., presso il cui studio in Barletta, alla via (...), elettivamente domicilia RICORRENTE E INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura generale in atti, dall'avv. An.Bo. e con questi elettivamente domiciliato in Andria, alla via (...), presso la sede legale dell'INPS RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Il fatto Con un primo ricorso depositato il 14.04.2020, iscritto a ruolo con r.g.n. 2347/2020, (...), dopo aver premesso di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l. dal 15.01.2007 al 28.02.2015, ha dedotto: che introduceva con ricorso depositato il 29.01.2016 innanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale di Trani il giudizio iscritto al numero r.g. 663/2016 con il quale chiedeva la condanna della società al pagamento di differenze retributive; che nelle more del giudizio la (...) s.r.l. già in liquidazione era sottoposta a concordato preventivo; che presentava una prima dichiarazione di credito il 15.02.2016 in base alla quale era ammessa al concordato per Euro 4.664,90, di cui Euro 3.886,42 per TFR ed Euro 778,48 per retribuzioni non corrisposte; che con sentenza n. 1419/2018 il Tribunale di Trani condannava la società al pagamento di differenze retributive di cui, sulla base della ctu, l'importo di Euro 4.775,50 andava imputato a titolo di TFR ed Euro 1.581,85 a titolo di retribuzione del mese di febbraio 2015; che tale sentenza diventava definitiva e, sulla base di essa, presentava nuova domanda di ammissione al passivo ed era ammessa per Euro 42.591,38; che tale somma deve imputarsi nei termini innanzi descritti; che il 16.07.2019 presentava domanda di condanna al pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità all'INPS ai sensi della L. n. 297 del 1982; che non avendo ricevuto risposta entro 60 giorni presentava ricorso al Comitato Provinciale rimasto senza esito; che il credito è documentato. In conseguenza di ciò ha chiesto che il Tribunale accerti la sussistenza dei crediti suddetti, con conseguente condanna dell'INPS al pagamento di Euro 4.775,50 a titolo di TFR e di Euro 1.581,85 a titolo di retribuzione di febbraio 2015; con vittoria di spese con attribuzione. Con successivo ricorso depositato il 2.07.2020, iscritto al ruolo con numero di r.g. 3785/2020 la medesima ricorrente, premessi i fatti già prospettati nel precedente ricorso, ha dedotto che con missiva del 10.04.2020, comunicata il 16.04.2020, l'INPS comunicava l'accoglimento della domanda relativamente al TFR corrispondendo la insufficiente somma di Euro 2.425,40 e che con altra missiva recante la medesima data comunicava il rigetto della domanda relativa alla retribuzione di febbraio 2015 per intervenuta prescrizione. Ciò posto, ha quindi dedotto l'insussistenza della decadenza e della prescrizione e ha chiesto la condanna dell'INPS al pagamento di Euro 2.350,10 a titolo di TFR e di Euro 1.581,85 a titolo di retribuzione. L'INPS, costituitosi in giudizio, ha eccepito, preliminarmente, l'inammissibilità della domanda per intervenuta decadenza, avendo la ricorrente depositato una prima istanza il 29.05.2017 rispetto alla quale l'INPS liquidava il TFR l'8.09.2017, con la conseguenza che, anche considerando come dies a quo la data del pagamento, era intervenuta la decadenza; inoltre, con riferimento all'importo richiesto per le ultime tre retribuzioni, ha eccepito che esso è prescritto poiché la domanda amministrativa è stata presentata solo il 16.07.2019. Infine, ha eccepito la correttezza del calcolo del TFR operato dall'INPS. In conseguenza di ciò ha chiesto l'accoglimento delle eccezioni preliminari e il rigetto della domanda. Nel successivo giudizio r.g.n. 3785/2020 ha eccepito anche l'inammissibilità della domanda per abuso del diritto stante il frazionamento del credito. LA DECISIONE Questioni preliminari 1. In via preliminare va osservato che con ordinanza del 26.01.2022 è stata disposta la riunione al presente procedimento del procedimento r.g.n. 3785/2020 di più recente iscrizione a ruolo; ciò comporta che deve ritenersi superata l'eccezione di inammissibilità della domanda proposta in tale ultimo giudizio per abuso del diritto, atteso che, appunto, proprio per evitare tale situazione di duplicazione dei giudizi, si è disposta la riunione. Peraltro, va osservato che la proposizione del secondo giudizio è scaturito dal fatto che successivamente al deposito del ricorso introduttivo del giudizio più risalente l'INPS ha effettuato un pagamento parziale, che ha reso quindi necessario la sua impugnazione per evitare di incorrere in decadenza. 2. Ancora in via preliminare va osservato che il ricorso è tempestivo e non è maturata alcuna decadenza. Assume rilievo decisivo sul punto la circostanza che il 16.07.2019 la ricorrente, in seguito alla presentazione di nuova dichiarazione di credito in virtù della sentenza emessa nel 2018, era ammessa alle passività del concordato preventivo per l'importo di Euro 4.775,50 a titolo di TFR ancora dovuto e per l'importo di Euro 1.581,85 a titolo di retribuzione ancora dovuta per febbraio 2015. Ne consegue, quindi, che a tale domanda amministrativa occorre far riferimento per verificare l'intervenuta decadenza, risultando la stessa legittimamente presentata sulla base della rideterminazione del credito scaturente dalla sentenza del 2018. Del resto, ciò è indirettamente provato dal fatto che l'INPS, sia pure parzialmente, ha accolto la domanda presentata il 16.07.2019. Ne consegue, quindi, che alla data del 14.04.2020, di deposito del ricorso, non era ancora decorso il termine massimo di un anno e 300 giorni entro il quale deve presumersi completato l'iter amministrativo e deve essere depositato il ricorso giudiziale. Nel caso di specie risulta che la ricorrente ha proposto ricorso al Comitato Provinciale il 13.12.2019, con la conseguenza che il procedimento amministrativo deve ritenersi concluso il 13.03.2020 e da tale data va fatto decorrere il termine di decadenza annuale, che non può ritenersi maturato, atteso che il ricorso è stato depositato il 14.04.2020, tempestivamente. Ciò, del resto, appare in linea con l'orientamento giurisprudenziale consolidato che considera di complessivi 300 giorni il termine entro il quale il procedimento amministrativo deve concludersi; così, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 15969/17: "In tema di decadenza dall'azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, l'art. 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 (nel testo modificato dall'art. 4 del D.L. n. 384 del 1992, conv., con modif., dalla L. n. 438 del 1992), dopo avere enunciato due diverse decorrenze della decadenza (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o da quella di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua - nella "scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo" - la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione, di cui all'art. 7 della L. n. 533 del 1973, e di centottanta giorni, previsto dall'art. 46, commi 5 e 6, della L. n. 88 del 1989), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo - pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell'azione giudiziaria - non consente lo spostamento in avanti del "dies a quo" per l'inizio del computo del termine di decadenza (di tre anni o di un anno); tale disposizione, quale norma di chiusura volta ad evitare una incontrollabile dilatabilità del termine di una decadenza avente natura pubblica, deve trovare applicazione anche se il ricorso amministrativo, o la relativa decisione, siano intervenuti in ritardo rispetto al termine previsto". Quanto al fatto che nel caso di specie debba considerarsi la domanda amministrativa del 16.07.2019, ciò deriva dal fatto che, come dedotto e documentato dal ricorrente, quest'ultimo, dopo aver presentato una prima domanda basata sull'iniziale ammissione alle passività quando il giudizio di accertamento del diritto alle differenze retributive era ancora in corso, ne ha poi presentata una seconda dopo la sua conclusione, allorquando, quindi, il credito si era cristallizzato, il che. legittima la proposizione di una nuova domanda amministrativa successivamente a tale pronuncia, e anche alla conseguente infruttuosa esecuzione, con la conseguenza che il dies a quo ai fini della verifica della decadenza va calcolato dal 16.07.2019, data di presentazione della nuova domanda; pertanto, il ricorso giudiziale, proposto prima che fosse decorso un anno, è tempestivo. Il merito 1. Ciò posto la domanda è fondata e va accolta nei termini che seguono. Com'è noto, l'art. 2 della L. n. 297 del 1982 ha istituito un Fondo di G. gestito dall'INPS, che ha lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto spettante ai lavoratori o loro aventi diritto. Il pagamento del TFR a carico del Fondo è stato previsto sia quando il datore di lavoro sia soggetto a fallimento sia quando il datore di lavoro, pur non soggetto a fallimento, non adempia alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale (in tal caso la domanda al Fondo di G. può essere proposta a seguito dell'infruttuoso esperimento dell'esecuzione forzata per la realizzazione del credito). La giurisprudenza ormai consolidata interpreta la norma nel senso che debba essere valutata l'assoggettabilità a fallimento dell'impresa non in astratto, ma in concreto, ritenendo ad esempio ammissibile l'intervento del Fondo di G.: 1) in caso di insolvenza del datore di lavoro, ove quest'ultimo, pur assoggettabile al fallimento, non possa in concreto essere dichiarato fallito per aver cessato l'attività da oltre un anno, purché il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione forzata, salvo che risulti l'esistenza di altri beni aggredibili con l'azione esecutiva (cfr. Cass. n. 15662/2010); 2) nel caso in cui il datore di lavoro, sebbene assoggettabile a fallimento, non sia dichiarabile fallito per la esiguità del credito azionato (cfr. Cass. n. 7585/2011). Ancora, la Corte di Cassazione ha precisato che "Ai fini della tutela di cui all'art. 2, quinto comma, della L. n. 297 del 1982 in favore del lavoratore per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di G. costituito presso l'INPS, alle condizioni previste dal comma stesso, ogniqualvolta il datore di lavoro non sia assoggettato in concreto a fallimento, sia per condizioni soggettive sia per ragioni oggettive, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l'azione esecutiva" (cfr., in termini, Cass. n. 8529/2012). Nel caso di specie il credito azionato è di Euro 2.350,10 a titolo di TFR ed Euro 1.581,85 a titolo di ultima retribuzione del mese di febbraio 2015; l'importo del TFR considerato tiene conto dell'intervenuto pagamento parziale da parte dell'INPS confermato dalla ricorrente e sulla base del quale è stato introdotto il secondo giudizio riunito a quello più risalente. I crediti devono ritenersi provati e documentati perché accertati in giudizio con titolo divenuto definitivo (la sentenza n. 1419/2018 del Tribunale di Trani - cfr. all. 4 produzione di parte ricorrente); inoltre, i crediti azionati in questa sede hanno ricevuto il vaglio positivo del Liquidatore Giudiziale nominato in sede di concordato preventivo (cfr. all 7, 15 e 18 della produzione di parte ricorrente). In altri termini, i crediti azionati in questa sede devono ritenersi documentalmente provati sulla base dei provvedimenti giudiziali emessi e allegati al ricorso, senza che, quindi, rilevano le contestazioni sollevate in questa sede dall'INPS, essendo stati i relativi importi ammessi alle passività in sede di concordato preventivo e peraltro così riconosciuti sulla base di titolo giudiziale divenuto definitivo. L'importo esiguo dei crediti non ne consente la assoggettabilità a fallimento del datore di lavoro, considerato che l'art. 15, comma 9, del R.D. n. 267 del 1942 stabilisce che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati è inferiore ad Euro 30.000,00. In ogni caso, come evidenziato, si tratta di crediti ammessi al passivo in sede di concordato preventivo, il che legittima l'esperimento dell'azione contro il Fondo di G.. 2. Ciò posto, deve ritenersi che il diritto ad ottenere il pagamento da parte del Fondo di G. istituito presso l'INPS spetti al ricorrente sia per l'importo di Euro 2.350,10, pari a quello dovuto a titolo di TFR, e di Euro 1.581,85 per la retribuzione di febbraio 2015. Con riferimento a tale credito, infatti, deve osservarsi che l'articolo 2 del D.Lgs. n. 80 del 1992 prevede che il pagamento effettuato dal Fondo relativo a crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro abbia ad oggetto crediti maturati nei dodici mesi che precedono: a) la data del provvedimento che determina l'apertura di una delle procedure indicate nell'art. 1, comma 1; b) la data di inizio dell'esecuzione forzata; c) la data del provvedimento di messa in liquidazione o di cessazione dell'esercizio provvisorio ovvero dell'autorizzazione alla continuazione dell'esercizio di impresa per i lavoratori che abbiano continuato a prestare attività lavorativa, ovvero la data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la continuazione dell'attività dell'impresa. La Corte di Cassazione ha precisato che "il Fondo di G. (istituito presso l'INPS e dal medesimo gestito, ai sensi dell'art. 2 della L. n. 297 del 1982 e dell'art. 2 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80) si sostituisce al datore di lavoro inadempiente per insolvenza nel pagamento dei crediti di lavoro inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono (alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE 10 luglio 1997, nella causa C - 373/95), non la data d'apertura della procedura concorsuale, ma la data di proposizione della domanda volta all'apertura della stessa procedura, ovvero decorrenti dalla data di proposizione dell'atto d'iniziativa volto a far valere in giudizio il credito del lavoratore, fermo restando che tale G. non può essere concessa prima della decisione d'apertura della procedura concorsuale" (cfr. Cass. Sez. Lav. n. 1885/2005, che ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda del lavoratore, essendo trascorsi oltre due anni tra la data di cessazione del rapporto di lavoro e l'apertura della procedura concorsuale, senza considerare che il lavoratore si era attivato a richiedere, entro l'anno dalla cessazione del rapporto di lavoro, un decreto d'ingiunzione; cfr. nel medesimo senso, Cass. Sez. Lav. n. 12634/2008). La Corte di Appello di Bari, con la sentenza n. 5136/2012 ha ulteriormente precisato che "Al fine di verificare se i crediti per i quali viene chiesto l'intervento del Fondo di G. rientrino o meno nel termine di dodici mesi calcolato a ritroso dalla data di inizio dell'esecuzione forzata, diventa indispensabile l'accertamento della data di proposizione dell'azione giudiziaria volta alla precostituzione del titolo esecutivo e di quella di formazione di quest'ultimo, richiedendosi necessariamente che l'iniziativa del lavoratore sia di carattere giudiziale e non già di carattere amministrativo e non giurisdizionale. Va attribuita rilevanza esclusiva all'azione giudiziaria proposta dal lavoratore, sempre che si verifichi l'insolvenza del datore anche successivamente ad essa, mentre va esclusa la rilevanza di altri atti, pur concordati tra le parti del rapporto di lavoro prima dell'accertamento dell'insolvenza, restando così esclusa ogni idoneità a spostare il termine di eventuali accordi di proroga intervenuti tra datore di lavoro e lavoratore. Ne consegue che alla richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, pertanto, non può riconoscersi valore di atto idoneo a comprovare l'inizio dell'esecuzione forzata ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 80 del 1992". Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che la prima iniziativa giudiziaria in senso stretto, ossia consistente nel compimento di atti giudiziari, è rappresentata dal ricorso introduttivo del giudizio r.g.n. 663/2016 depositato il 29.01.2016; è, quindi, da tale data che deve farsi decorrere il termine annuale entro il quale deve necessariamente maturare il credito azionato; ne consegue, quindi, che essendo il credito di lavoro azionato relativo alla retribuzione di febbraio 2015 esso rientra nell'anno precedente l'iniziativa giudiziaria, con la conseguenza che la prescrizione non è maturata. Alla luce di ciò, quindi, la domanda va accolta e, per l'effetto, l'INPS, quale gestore del Fondo di G. ex L. n. 297 del 1982, deve essere condannato al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 2.350, 10 a titolo di TFR ed Euro 1.581,85 a titolo di retribuzione di febbraio 2015 lavorando alle dipendenze della (...) s.r.l., oltre interessi legali e rivalutazione dal 16.07.2019, data di presentazione della domanda amministrativa. Spese processuali Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate d'ufficio ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018, applicando i valori minimi dello scaglione di riferimento (fino ad Euro 5.200,00), tenuto conto delle ragioni della decisione, della natura della controversia e della limitata attività processuale svolta. Le spese sono liquidate con attribuzione al procuratore antistatario avv.to Sa.Ca.. P.Q.M. Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunziando sulla controversia r.g.n. 2347/2020 (al quale è riunita la controversia r.g.n. 3785/2020) come innanzi proposta, così provvede: 1.accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna l'INPS, quale gestore del Fondo di G. ex L. n. 297 del 1982, al pagamento in favore di (...) della somma Euro 2.350,10 a titolo di TFR ed Euro 1.581,85 a titolo di retribuzione di febbraio 2015, oltre interessi legali e rivalutazione dal 16.07.2019; 2.condanna l'INPS al pagamento delle spese processuali in favore di (...), che liquida in Euro 1.400,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario avv.to Sa.Ca.. 01/06/2022 Trani Così deciso in Trani l'1 giugno 2022. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2022.

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