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  • TRIBUNALE ORDINARIO di TRAPANI VERBALE DI CAUSA Oggi 21/05/2024 2022, alle ore 11.45, innanzi al Giudice dott.ssa (...) sono comparsi: (...) l'avv. (...) e (...) nessuno è presente (...). (...) chiede di discutere la causa Il Giudice dispone in conformità (...). (...) discute la causa anche riportandosi agli atti di causa ed alle note conclusive depositate Il Giudice Dopo la discussione del procuratore pone la causa in decisione e si ritira in camera di consiglio all'esito dell'udienza. Il presente verbale è chiuso alle ore 12.00. TRIBUNALE ORDINARIO di TRAPANI All'esito della camera di consiglio, alle ore 18.10, il (...) provvede come da separata sentenza, di cui dà lettura in udienza, dando atto che nessuno è presente. Sentenza che costituisce parte integrante del presente verbale. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRAPANI SEZIONE ORDINARIA CIVILE In composizione monocratica nella persona del (...) dott.ssa (...) ha pronunciato e pubblicato mediante lettura in udienza ai sensi dell'art. 281 sexies cpc la seguente la seguente SENTENZA nella causa civile di I (...) iscritta al n. r.g. (...)/2023 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliata (...), presso il difensore ATTORE RICORRENTE contro (...) (C.F. (...)), nato il (...) ad Erice e residente (...) (C.F. (...)), nato il (...) a (...) ed ivi residente (...) CONVENUTI RESISTENTI CONTUMACI CONCLUSIONI Parte attrice ricorrente conclude "come in atto introduttivo con il vantaggio delle spese di lite". MOTIVI DELLA DECISIONE (...) ha proposto ricorso e(...) art 281 decies e seguenti c.p.c. nei confronti di (...) e (...) al fine di sentire, in via principale, accertare e dichiarare l'inadempimento dei convenuti agli obblighi assunti nei confronti dell'attore con la scrittura privata datata 22.12.2009, coeva all'atto di cessione di quote societarie stipulato in pari data; accertare e dichiarare, conseguentemente, il diritto dell'attore all' integrale ristoro, da parte dei convenuti di quanto dallo stesso versato a vantaggio di (...) s.r.l. con riferimento alla con-fideiussione prestata in favore di (...) s.p.a. nell' interesse di (...) s.r.l.; per l' effetto, condannare i convenuti, per quanto di rispettiva competenza, al rimborso in favore dell'attor e della complessiva somma di Euro 86.059,52 dallo stesso esborsata a vantaggio di (...) s.p.a. ((...) s.r.l.) nell' interesse di (...) s.r.l., e ciò oltre agli interessi al tasso legale ed agli accessori tutti; condannare, altresì, i convenuti al risarcimento dei danni subiti dall'attore, in misura da liquidarsi in via equitativa e oltre agli interessi al tasso legale ed agli accessori tutti; in via subordinata, accertare e dichiarare, il diritto di (...) al ristoro, da parte dei convenuti, nei limiti delle quote di rispettiva spettanza, di quanto da lui personalmente corrisposto a vantaggio di (...) s.r.l., riferito alla con-fideiussione prestata in favore di (...) s.p.a. nell' interesse di (...) s.r.l.; per l' effetto, condannare i convenuti, per quanto di rispettiva competenza, al rimborso in favore dell'attore delle somme da lui esborsate a vantaggio di (...) s.p.a. ((...) s.r.l.) nell' interesse di (...) s.r.l. e ciò oltre agli interessi al tasso legale ed agli accessori tutti; condannare, altresì, i convenuti al risarcimento dei danni subiti dall'attore, in misura da liquidarsi in via equitativa e oltre agli interessi al tasso legale ed agli accessori tutti; con il vantaggio delle spese di lite. I convenuti, ritualmente citati, non si sono costituiti ed all'udienza del 12/10/2023 ne è stata dichiarata la contumacia. A sostegno della domanda, la parte ricorrente ha dedotto, e documentalmente provato, che in data (...) è stata costituita la società (...) s.r.l. con originariamente la titolarità del capitale ripartita tra i soci (...) per la quota del 33%, (...) per la quota del 33% e (...) per la quota del 34% (cfr. doc. n. 5 allegato al ricorso introduttivo). (...) s.r.l. ha intrattenuto rapporti con la filiale di (...) di (...) s.p.a. (oggi (...) s.p.a.), inveratisi nella apertura di un c/c di esercizio e nell'accensione di un mutuo chirografario di Euro 156.000,00 (cfr. doc. n. 3 allegato al ricorso introduttivo) e, contestualmente, i tre soci si sono costituiti, contestualmente e con il medesimo atto, fideiussori della società, garantendone i debiti fino alla concorrenza dell'importo finanziato (cfr. doc. n. 4 allegato al ricorso introduttivo). Successivamente l'attore, con atto in (...) F. (...) del 22.12.2009 ha ceduto al socio (...) la sua quota di capitale sociale che ha fatto assurgere la quota sociale di quest'ultimo al 67% (cfr. doc. n. 5 allegato al ricorso introduttivo). Contestualmente al rogito le parti hanno sottoscritto una scrittura privata con la quale i due convenuti, soci superstiti, hanno consentito alla liberazione del socio cedente (...) dalle fideiussioni prestate a favore della società entro il (...) (cfr. doc. n. 6 allegato al ricorso introduttivo). Nell'anno 2011, il mancato pagamento di cinque ratei mensili del finanziamento de quo ha indotto (...) ad avviare il recupero coattivo del credito agendo, in sede monitoria, nei confronti di (...) s.r.l. e dei garanti ed ottenendo dal Tribunale di (...) decreto ingiuntivo per Euro 67.205,10 oltre spese legali, interessi ed accessori (cfr. doc. n. 8 allegato al ricorso introduttivo). (...) quindi, ha dapprima iscritto ipoteca giudiziale per euro 95.000,00 su alcuni immobili di proprietà dell'attore (cfr. doc. n. 9 allegato al ricorso introduttivo) e, nel Luglio 2017, ha dato avvio all'azione esecutiva pignorando uno degli immobili ipotecati (cfr. doc. n. 10 allegato al ricorso introduttivo). (...) è stata proseguita, poi da (...) s.r.l., cessionaria del credito azionato (cfr. doc. n. 11 allegato al ricorso introduttivo) e nel corso del giudizio di esecuzione il G.E., con ordinanza 25.06.2019, ha ammesso la richiesta debitoria di conversione del pignoramento, disponendo la sostituzione ai beni pignorati della complessiva somma di Euro 72.740,02, (cfr. doc. n. 12 allegato al ricorso introduttivo). (...) ha inizialmente proceduto al pagamento dei ratei di conversione per la complessiva somma di Euro 61.060,52 (cfr. doc. n. 13 e 14 allegati al ricorso introduttivo) e successivamente, d'intesa con il creditore procedente, ha definito anticipatamente l'esposizione debitoria pagando la rimanente somma concordata di Euro 25.000,00 (cfr. doc. n. 15 allegato al ricorso introduttivo) con conseguente dichiarazione del creditore di rinunzia agli atti del procedimento espropriativo (cfr. doc. n. 17 allegato al ricorso introduttivo), poi dichiarato estinto il (...). (...) s.r.l., in liquidazione dal 13.08.2014, si è estinta, in data (...), per effetto della cancellazione dal Registro delle (...) (cfr. doc. n. 1 allegato al ricorso introduttivo). (...) ha invitato i convenuti a stipulare una convenzione di negoziazione assistita al fine di comporre bonariamente la vicenda in esame (cfr. doc. n.18 allegato al ricorso) ma l'invito non ha avuto esito positivo e, pertanto, ha incoato il presente giudizio. La causa è stata istruita con produzione di documenti; all'odierna udienza il procuratore di parte ricorrente ha precisato le conclusioni come sopra riportato ed ha discusso la causa. A mente dell'art. 1936 c.c. "è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui. La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza". Inoltre, l'art 1946 c.c. stabilisce che "se più persone hanno prestato fideiussione per un medesimo debitore e a garanzia di un medesimo debito, ciascuna di esse è obbligata per l'intero debito, salvo che sia stato pattuito il beneficio della divisione". Ed ancora l'art. 1954 c.c. statuisce che "se più persone hanno prestato fideiussione per un medesimo debitore e per un medesimo debito, il fideiussore che ha pagato ha regresso contro gli altri fideiussori per la loro rispettiva porzione. Se uno di questi è insolvente, si osserva la disposizione del secondo comma dell'articolo 1299". Sul punto la (...) ha stabilito che "l'istituto della confideiussione, di cui all'art. 1946 c.c., è caratterizzato da un collegamento necessario tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori, mossi consapevolmente, anche se non contestualmente, dal comune interesse di garantire lo stesso debito ed il medesimo creditore, salva la divisione dell'obbligazione nei rapporti interni in virtù del diritto di regresso, che, e(...) art. 1954 c.c., spetta a colui che ha pagato per l'intero" (Cass. civ. 3628/2016) Ed ancora "in tema di "confideiussione", e(...) art. 1946 c.c., al confideiussore che ha pagato l'intero spetta nei confronti degli altri un diritto che è suscettibile di duplice inquadramento: come di surroga, e(...) artt. 1203, n. 3), e 1204 c.c., ma anche come di regresso, e(...) art. 1954 c.c., trattandosi di diritti tra i quali non sussiste alcun rapporto di alternatività o incompatibilità, in quanto chi agisce in regresso fa valere anche il diritto di surrogazione legale, sia pure nei limiti della parte di obbligazione che non deve restare definitivamente a suo carico" (Cass. civ. 18782/2017). Osserva il Tribunale che nel caso di fideiussione prestata a garanzia del credito vantato da una banca nei confronti del cliente mutuatario, il pagamento da parte del cofideiussore della somma dovuta per l'obbligazione fideiussoria ha efficacia estintiva del debito, e fa sorgere il diritto di regresso e(...) art. 1954 c.c. nei confronti degli altri cofideiussori, il cui fatto costitutivo è rappresentato dall'estinzione del debito principale per effetto del depauperamento del patrimonio del solvens oltre la propria quota, considerata la ratio della norma di impedire il corrispondente indebito arricchimento dei condebitori. Non manca di osservare decidente che nel caso in esame il debito per cui l'attore ha subito la procedura esecutiva sul proprio immobile è sorto successivamente alla cessione delle quote sociali e successivamente alla data del 30/09/2010, termine entro il quale i due convenuti, con la scrittura privata sottoscritta da tutte le parti, in data (...), si erano obbligati ad ottenere la liberazione dell'attore dalle fideiussioni dallo stesso prestate a favore della società. Nel caso di specie deve ritenersi ricorrente la fattispecie della confideiussione, con relativo diritto di regresso per l'attore, fideiussore solvente, poiché i tre soci originari hanno prestato contestualmente e congiuntamente, in un unico atto, fideiussione per la medesima società debitrice, (...) srl, e nei confronti del medesimo creditore, (...) proprio con una unica contestuale manifestazione di volontà, dovendosi ritenere, pertanto, chiaro l'intento, comune a tutti e tre i confideiussori, di collegarsi reciprocamente nella garanzia del debito principale verso lo stesso creditore garantito. Con la dichiarazione resa a (...) e sottoscritta in data (...), con la quale i tre originari soci si sono costituiti fideiussori della società (...) srl, gli stessi hanno costituito un insieme di vincoli di fideiussione, relativi alla medesima obbligazione, tra loro collegati da un interesse comune ai cogaranti, che ha determinato l'obbligazione confideiussoria e la divisione del debito tra i coobbligati. Il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi. Quale sia questa parte è stabilito dall'art. 1298 c.c. secondo cui le quote si presumono uguali, ma trattasi di presunzione semplice che può essere oppugnata con prova contraria; perciò chi assume il contrario deve dame la prova. Dai documenti prodotti non risulta pattuito alcun beneficio della divisione del debito tra i coobbligati e, pertanto, l'attore che ha poi dovuto pagare al creditore l'intero debito ha diritto di regresso nei confronti degli altri due fideiussori, ciascuno per la propria rispettiva porzione che si presume uguale e, pertanto, pari ad un terzo dell'intera somma. (...), inoltre, che ha pagato al creditore, si surroga allo stesso nei limiti della parte di obbligazione che non deve restare definitivamente a suo carico. Alla luce della sopra espresse considerazioni i convenuti cofideiussori devono ritenersi entrambi obbligati alla restituzione in favore dell'attore della quota di propria spettanza della somma di euro 86.059,52 corrisposta al creditore procedente, nei limiti della rispettiva porzione, quindi, pari ad un terzo ciascuno dell'intero esborso, oltre interessi dalla domanda al soddisfo. Passando ad esaminare la domanda di risarcimento danni da liquidarsi in via equitativa, il Tribunale ritiene di aderire al principio sancito sul punto dalla (...) secondo cui "l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso" (Cass. civ. 127/2016). Nel caso di specie non risulta in alcun modo assolto l'onere della parte attrice di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno né risulta nemmeno alligato quali siano i danni in concreto subiti dall'attore tali da consentire al decidente l'esercizio del potere di procedere alla liquidazione degli stessi in via equitativa, pertanto, la relativa domanda non può essere accolta. Le spese del giudizio, tenuto conto dell'esito della causa, del rito incoato in forma semplificata, con cui si è celebrato il processo, del comportamento processuale delle parti e, in specie, della contumacia delle parti convenute e dell'attività effettivamente prestata, vanno poste a carico dei convenuti, in solido, applicando i valori minimi dei parametri forensi, nella misura liquidata in dispositivo secondo le indicazioni del DM 55/2014 coordinato con il DM 37/2018 e con il DM 147/2022. P.Q.M. Il Tribunale di Trapani in composizione monocratica definitivamente pronunciando ogni altra istanza e/o eccezione disattesa e/o assorbita così dispone: - Accoglie la domanda di regresso e, per l'effetto, condanna i convenuti, secondo la quota di rispettiva competenza, al rimborso in favore dell'attore di un terzo ciascuno della somma di Euro 86.059,52 dallo stesso corrisposta al creditore, oltre interessi dalla domanda al soddisfo; - condanna i convenuti, in solido, al pagamento delle spese di lite per il presente giudizio in favore di parte attrice che liquida in euro 840,00 per spese borsuali ed euro 7.052,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, CPA ed IVA come per legge. Sentenza emessa a seguito di discussione orale e(...) art. 281 c.p.c. e pubblicata mediante lettura in udienza il giorno 21 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. (...)/2020 promossa da: (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ATTORE contro (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), entrambi rappresentati e difesi dagli Avv.ti (...) e (...) CONVENUTI CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da note scritte di precisazione delle conclusioni. Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione, ritualmente notificato, (...) premetteva di essere proprietaria di una delle due unità abitative componenti il piano terra di un fabbricato sito in (...) censita al N.C.E.U. del Comune di (...) al foglio 2, particella (...) sub 3. Rappresentava che i proprietari dell'unità abitativa confinante, censita al sub 2, a far data dal mese di giugno dell'anno 2010, arbitrariamente e senza alcuna autorizzazione amministrativa e men che dire, alcun diritto, provvedevano, lungo il muro di confine tra i due immobili, ad aprire un varco rectius collocare un cancello in ferro per ivi consentirgli di accedere alla propria unità abitativa mediante l'attraversamento della veranda di proprietà dell'odierna attrice. Si doleva, inoltre, del fatto che "parte degli spiazzali condominiali, un tempo di pertinenza dell'intero fabbricato, erano stati occupati indebitamente mediante la realizzazione di opere abusive" da parte dei convenuti. Aggiungeva di aver diffidato i convenuti, in data (...), "a cessare detto non autorizzato passaggio nonché a provvedere alla rimozione di quanto realizzato sine titulo" e di aver reiterato detta diffida il (...), stante il perdurare delle turbative. Evidenziava, comunque, l'esistenza di una via di accesso alternativa per i coniugi (...) ossia un passaggio dal lato (...) Pertanto, chiedendo accertarsi l'insussistenza di alcuna servitù di passaggio sulla propria veranda, chiedeva la cessazione delle turbative e la rimozione dei manufatti, nonché il risarcimento del danno patito per le turbative poste in essere dai vicini (quantificato in misura non inferiore ad Euro 5.200,00). Si costituivano (...) e (...) contestando le deduzioni avversarie e, in via riconvenzionale, chiedendo accertarsi e dichiararsi l'acquisto a titolo originario, per destinazione del padre di famiglia, della servitù di passaggio sulla striscia antistante la veranda della parte attrice ed in subordine il relativo acquisto per usucapione. Precisavano, infatti, che l'intero fabbricato a due elevazioni era stato in origine di proprietà di un unico soggetto, (...) che, per accedervi, era obbligato ad attraversare il passaggio (...) antistante l'unita abitativa contraddistinta con il mappale (...), sub 3, attualmente appartenente all'attrice. Rappresentavano che, suddiviso l'immobile tra gli eredi di detto (...) (deceduto nel 1978), e, successivamente, trasferite le unità immobiliari alle odierne parti in causa, si era perfezionato l'acquisto della servitù di passaggio a carico del mappale (...) sub 3 ed in favore del mappale (...) sub 2. Chiarivano che il cancello menzionato da parte attrice era stato in realtà collocato su un passaggio già esistente a far data dalla fine degli anni sessanta, in prossimità dell'unità abitativa di esclusiva proprietà dei convenuti, esclusivamente per motivi di sicurezza. In ulteriore subordine, stigmatizzando l'interclusione - in caso di chiusura del varco - del proprio fondo, chiedevano la costituzione di servitù di passaggio coattivo. Ad ogni modo deducevano l'infondatezza della domanda risarcitoria. ***** La causa veniva istruita tramite approfondimento peritale e prova testimoniale; indi, avviata a decisione. Tanto premesso, è bene rammentare che l'actio negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla res dell'attore e, dunque, non soltanto all'accertamento dell'inesistenza di una pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la piena di libertà di esercizio del diritto di proprietà. Inoltre, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà - neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte - essendo sufficiente, in mancanza di specifica contestazione sul punto, la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possede (...)forza di un titolo valido. Tale azione, infatti, non mira all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione della condotta lesiva, mentre sul convenuto incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere detta attività (Cass. sent. nn. 24028/2004 e 10149/2004). Ebbene, nel caso di specie, la prova di detto diritto emerge dalla documentazione in atti, corroborata dal rilievo dei luoghi come effettuato dal nominato perito. E', infatti dalla esegesi delle clausole accessorie alla divisione che riposa il fondamento di quanto invocato dai convenuti, con ricadute tuttavia anche rispetto alla posizione della parte attrice. E' pacifico innanzitutto che gli appartamenti delle parti costituivano, in origine, insieme alla unità di piano primo, una unica proprietà di comune ascendente ((...) deceduto in (...) il (...)), in seguito suddiviso tra gli eredi con atto di compravendita e divisione del 3.10.1990. In detto contratto, a ben vedere, è distinguibile, oltre alla descrizione delle tre singole unità immobiliari che risultano comporre il fabbricato (sub a) all'esito della suddivisione, un duplice riferimento a spiazzi comuni. Da un lato, c'è il riferimento ad un "... piccolo spiazzo circostante il fabbricato ... in comune, in proporzione millesimale, tra tutte e tre le unità immobiliari che compongono detto fabbricato in premessa descritto alla lettera -a)"; dall'altro, il riferimento a "tutto il rimanente spiazzo comune, distinto nel N.C.T. con la particella (...) ... di uso comune tra tutte e tre le unità immobiliari di detto fabbricato". (...) i canoni di ermeneutica contrattuale, allora, dovendosi attribuire senso logico alla suddetta distinzione, descrittiva di (non di uno ma di) due spiazzi (uno piccolo ed uno rimanente e catastalmente individuabile), va valorizzata la locuzione "circostante il fabbricato", sì che detto piccolo spiazzo coincide necessariamente con una fascia che costeggia il fabbricato (circostante, appunto), fascia da "considerarsi in comune, in proporzione millesimale, tra tutte e tre le unità immobiliari che compongono detto fabbricato". Dunque, è vero che il titolo chiarisce più esplicitamente la situazione dominicale e degli accessori e pertinenze rispetto ai lati nord (titolarità della stradella privata di accesso) e ovest (grande spiazzo comune di accesso); per il lato est, lo stesso CTU (pag. 18 primo elaborato) ha evidenziato che Gli appartamenti dell'attore e del convenuto hanno sul lato est l'uso esclusivo (non proprietà) della fascia di area libera prospiciente la "via (...) a nord". Ma, in base a quanto sopra testualmente riepilogato, è vero anche che il titolo, sebbene non altrettanto perspicuamente, non ignora il lato sud: e cioè lo spazio prospiciente le singole proprietà di piano terra (su cui poi ciascun proprietario può esercitare l'uso esclusivo limitatamente ad un singolo spiazzo di pertinenza sito in corrispondenza ed in direzione tra ciascuna delle due casette e la via privata sita immediatamente a nord..., dunque con proiezione orizzontale - cfr. anche pag. 14 rel. CTU -). Certamente, nel caso di specie è verosimile ritenere che le attuali criticità nel compossesso di tale area discendano dalla mancata precisa delineazione testuale e planimetrica della estensione longitudinale delle aree frontistanti di uso esclusivo, rispetto al sopracitato "piccolo spiazzo circostante", risultando solo chiarita la collocazione della linea di demarcazione orizzontale (oggi muraria, ma prima solo virtuale, in uno spazio libero), tracciabile come il prolungamento ideale della parete divisoria interna tra le due singole proprietà. Tuttavia, l'esistenza risalente di una fascia di comune - e bidirezionale - passaggio pedonale prospiciente le aree di uso esclusivo (non solo quella di pertinenza (...) ma entrambe) risulta chiaramente dall'esito della prova orale con i testi di entrambe le parti: il teste (...) ha infatti confermato che i coniugi (...) per raggiungere la loro abitazione e prima di loro i loro danti causa, avevano da sempre utilizzato lo spiazzo comune antistante le due unità abitative poste al piano terra anche perché questa era ed è una scelta obbligata, nonché che detto spiazzo era ...da sempre l'unico passaggio per raggiungere l'unità abitativa posta al lato est, e che tale spiazzo prima era libero. Simmetricamente, la teste (...) ha affermato che, prima della realizzazione del muro, tutti ..., compresi i signori (...) attraversavano liberamente questo spiazzo che era a disposizione di tutti, mentre oggi ci passano solo costoro, sì che, dopo la chiusura del cancello, sia lei che la (...) per accedervi per qualsiasi causa devono chiedere il permesso ai (...) Pertanto, è vero che la sussistenza di una area comune rende illegittima la presenza di un cancello, ma solo in caso di sua chiusura o di possesso esclusivo delle relative chiavi: in altre parole, illegittima non per le ragioni addotte dalla parte attrice (ossia la dedotta abusività di ogni apertura sul muro di delimitazione, della cui parte restante infatti ella non ha chiesto la demolizione) quanto per il rispetto del principio secondo cui l'utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condomino è consentita, quando la stessa non alteri l'equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti di costoro (Cass. n. 1072 del 19/01/2005). Come è infatti noto, è vietato al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarlo in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa di tale spazio comune. Pertanto, per detta fascia prospiciente le aree di uso singolo, salvo che intervenga diverso accordo tra le parti, trattandosi come sopra detto di area comune, in proporzione millesimale, tra tutte e tre le unità immobiliari, l'esistenza della facoltà di passaggio pedonale bidirezionale è già connaturata al titolo ed allo stato dei luoghi: naturalmente, trattandosi di spazio prospiciente private abitazioni, detta facoltà va esercitata nel costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. n. 17208 del 24/06/2008), considerando il doveroso ossequio al canone di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali. Ciò determina sia il rigetto delle domande attoree ma anche il non doversi provvedere sulle domande riconvenzionali. La domanda risarcitoria va pure respinta, non risultando allegati e provati nella presente sede atti emulativi o antigiuridici esorbitanti l'esercizio di detta facoltà. Le spese di lite (liquidate in dispositivo) e quelle occorse per la consulenza tecnica (liquidate in separato decreto) vanno compensate, attesa la specifica complessità della fattispecie, la natura dell'accertamento tecnico ed il tenore delle statuizioni. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e/o difesa disattesa e/o assorbita: - respinge le domande di parte attrice; - dichiara non doversi provvedere su ogni altra domanda; - compensa le spese di lite tra le parti e ripartisce al 50% tra attrice e convenuta le spese occorse per la C.T.U., liquidate come da separato decreto in atti.

  • Tribunale di Trapani, Sentenza n. 130/2024 del 05-03-2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRAPANI Il Giudice del lavoro, dott. (...) nella causa iscritta al n. 1996/2021 R.G.L. promossa DA (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) - ricorrente - CONTRO (...) in persona del (...) pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) - resistente - ha pronunciato la seguente SENTENZA Con ricorso ritualmente depositato in data (...) il ricorrente in epigrafe, avendo premesso di avere prestato attività lavorativa presso l'(...) di (...) da ultimo con la qualifica di (...) di (...) e (...) presso i (...) per l'U.O.C. per la Tutela della (...) dell'(...) della (...) e della (...) del (...) sino al giorno 01.05.2020 data in cui veniva collocato a riposo, rilevava: - che alla cessazione del rapporto di lavoro aveva maturato 72 giorni di ferie non godute; - che con pec del giorno 11.05.2020, rinnovata il successivo 15.07.2020, aveva presentato richiesta di pagamento dell'indennità sostitutiva per corrispondenti n. 39 giorni di ferie maturati e non fruiti per fatti a lui non imputabili, ai sensi dell'art. 33 del CCNL della (...) - che contestualmente, ai sensi dell'art. 34 del predetto (...) manifestava la volontà di voler cedere ed a titolo gratuito all'(...) sanitaria i 33 giorni di ferie residui; - che alle predette note non perveniva alcun riscontro e fino al mese di ottobre 2021 l'Asp non aveva utilizzato alcun giorno dei 33 giorni di ferie messi a disposizione dal ricorrente. Tanto premesso, il ricorrente chiedeva dichiararsi il suo diritto all'indennità sostitutiva per mancato godimento delle ferie e, di conseguenza, la condanna dell'azienda resistente al relativo pagamento per complessivi Euro 17.467,01, ovvero in subordine, nella denegata ipotesi in cui non venisse riconosciuto il diritto relativamente ai 33 giorni di ferie in precedenza ceduti ma mai utilizzati dall'(...) la minore somma di Euro. 9.473,08. (...) convenuta, regolarmente costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza del ricorso chiedendone il rigetto. La causa, istruita in via documentale, è stata decisa sulle conclusioni di cui alle note di trattazione scritta. Ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, occorre delineare il quadro normativo di riferimento. In particolare, l'art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla legge 135/2012, prevede che "Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche ... sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile". La disposizione in esame, finalizzata al contenimento della spesa pubblica, non introduce, di fatto, un divieto assoluto di monetizzazione delle ferie maturate e non godute all'atto della cessazione del rapporto, dovendosi piuttosto ricercare un'interpretazione coerente alla "ratio" della disposizione, che si sostanzia in esigenze di contenimento della spesa pubblica, nonché conforme al dettato costituzionale e comunitario. Come è noto, l'art. 36 della (...) riconosce il diritto del lavoratore alle ferie annuali retribuite. Come affermato dalla Corte Suprema, il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall'articolo 36 (...) è ricollegabile non solo ad una funzione di corrispettivo dell'attività lavorativa, ma altresì - riconosciuto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 616 del 1987 e n. 158 del 2001 - al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore, il quale - a prescindere dalla effettività della prestazione - mediante le ferie può partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell'interesse dello stesso datore di lavoro (Cass., sez. un., n. 14020 del 2001). Seguendo il medesimo solco interpretativo, a livello comunitario si ravvisa l'articolo 7, paragrafo 1, della (...) 2003/88/CE, il quale statuisce che "gli (...) membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali" e, analogamente, l'art. 31, paragrafo 2, della (...) dei (...) fondamentali dell'(...) riconosce il diritto fondamentale di ogni lavoratore a un periodo annuale di ferie retribuite. Alla luce dei predetti paradigmi, la Corte di Giustizia dell'(...) sull'assunto che "il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'(...) al quale non si può derogare"((...) 12 giugno 2014, causa C 118/13, (...) punto 15) ha rimarcato la funzione delle ferie, essendo queste dirette a "consentire al lavoratore di riposarsi rispetto all'esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e, dall'altra, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione" ((...) 20 gennaio 2009, cit., punto 25; (...) 22 novembre 2011, cit., punto 31; (...) 21 giugno 2012, cit., punto 19). Da tale sistema si evince, quindi, come debba essere apprestata ogni misura necessaria a far sì che le ferie siano effettivamente fruite, vietando che, nel corso del rapporto di lavoro, il diritto alla fruizione in natura sia sostituito dalla monetizzazione, poiché ciò si risolverebbe di fatto nella rinuncia alle ferie in cambio di denaro. Tuttavia, il sopra richiamato art. 7 della Direttiva CE, nel vietare la monetizzazione delle ferie, prevede il diritto comunitario inderogabile all'indennità sostitutiva se il rapporto di lavoro cessa con ferie maturate e non godute per causa non imputabile al lavoratore. Il divieto di monetizzazione in corso di rapporto ha infatti la funzione di non vanificare la fruizione del riposo quale bene in natura. Pertanto, una volta che questo, a causa della cessazione del rapporto, resti irreversibilmente pregiudicato, viene garantita l'indennità sostitutiva al lavoratore incolpevole. In tal senso, la Corte di Giustizia UE (sentenza 20 luglio 2016, causa C-341/15) ha ribadito che, qualora sia cessato il rapporto di lavoro e non sia più possibile la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite, il lavoratore ha diritto a un'indennità finanziaria in virtù dell'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, per evitare che, a causa di tale impossibilità, il lavoratore non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria (sul punto v. sentenze del 20 gennaio 2009, (...) e a., C 350/06 e C 520/06, EU:C:2009:18; del 3 maggio 2012, (...) C 337/10, EU:C:2012:263, nonché del 12 giugno 2014, (...) C 118/13, EU:C:2014:1755), così intendendo limitare tale diritto alle ipotesi in cui il lavoratore non sia stato in grado di usufruire del suo diritto alle ferie prima della fine di tale rapporto di lavoro. In particolare, la Corte, con riferimento alla fattispecie ad essa sottoposta, ha affermato "conformemente all'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un'indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute. A tal fine è privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato" concludendo che "(...) luce di quanto precede, si deve constatare che l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che priva del diritto a un'indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute il lavoratore il cui rapporto di lavoro è cessato a seguito della sua domanda di pensionamento e che non è stato in grado di usufruire del suo diritto alle ferie prima della fine di tale rapporto di lavoro" (CGE sent. 20.7.2016, C-341/15) e cioè che non le ha godute senza sua colpa. In sintonia con gli approdi della Corte di Giustizia, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha rimarcato che, costituendo il diritto alle ferie oggetto "di una tutela rigorosa, di rilievo costituzionale, visto che l'art. 36 Cost., comma 3, prevede testualmente che "il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi" - il mancato godimento del periodo feriale, per causa non imputabile al lavoratore, dà diritto al pagamento della relativa indennità sostitutiva" (Cass. n. 17353/2012; Cass. n. 11462/2012). Occorre, altresì, rilevare che la normativa comunitaria estende i propri effetti in tema di ferie anche ai dirigenti, infatti, l'art. 17 della (...) 2003/88/CE, nel consentire agli (...) membri un diverso trattamento rispetto ai diritti dei dirigenti, esclude dalle norme derogabili l'art. 7, riguardante appunto le ferie. Da tale assunto ne consegue che sarà compito del giudice nazionale, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, pervenire ad un'interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell'(...) (si veda Corte di Giustizia 6 novembre 2018, (...). In tal senso, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell'attuare il coordinamento fra i diversi livelli normativi e al fine di assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie, il giudice nazionale dovrebbe improntare il proprio ragionamento su dei punti cardini, consistenti: a) nella necessità che il lavoratore sia invitato "se necessario formalmente" a fruire delle ferie e "nel contempo informandolo in modo accurato e in tempo utile... se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento" (punto 45); b) nella necessità di "evitare una situazione in cui l'onere di assicurarsi dell'esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore" (punto 43); c) infine, sul piano processuale, nel prevedere che "l'onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro .... sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore "non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto". (Cass. 6 giugno 2022, n. 18140). Facendo applicazione dei suddetti principi, occorre dunque valutare se la mancata fruizione delle ferie sia imputabile al ricorrente ovvero se lo stesso non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro per causa a lui non imputabile. Nel caso di specie, con riferimento a n. 39 giorni, la mancata fruizione delle ferie residue non può essere addebitata al ricorrente, avendo questi ottemperato al proprio obbligo di cooperazione nell'attuazione del proprio diritto. Come emerge dalla ricostruzione dei fatti e dalla produzione documentale offerta, il dott. (...) avendo i requisiti stabiliti dall'art. 14, comma 1, del D. L. n.4/ 19 - convertito in L. n. 26/2019 - ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione anticipata, presentava in data (...) le proprie dimissioni volontarie alla (...) di (...) All'uopo, con il precipuo fine di assicurare il rispetto del termine di preavviso di mesi sei (6), stabilito dall'art. 14, comma 6 lettera c, del sopra citato (...) e, tenuto conto del periodo di ferie maturate ed ancora non godute, indicava quale termine ultimo del rapporto di lavoro la data del 30.04.2020. Infatti, decorso il tempo da imputarsi al prescritto periodo di preavviso, presentava in data (...) alla competente (...) umane, tre distinte domande di ferie relative al periodo intercorrente dal 11.12.2019 al 24.01.2020, istanze tutte regolarmente vistate dal (...) della (...) dell'(...) nella qualità di (...) F.F. della (...) Alle precedenti, seguirono altre istanze di ferie che coprivano tutto il periodo dal 27.01.2020 al 30.04.2020 (all. 12-13-14). Tuttavia, la (...) con nota prot. n. 28880/2020 del 5 marzo 2020, vista l'emergenza epidemiologica legata all'insorgenza del (...) ed al fine di garantire la piena efficienza assistenziale, disponeva la sospensione delle ferie per tutto il personale dipendente, e conseguentemente anche del dott. (...) il quale riprendeva il servizio dal 06.03.2020. (...) revoca della precedente sospensione del periodo di ferie, disposta nei confronti del ricorrente con nota prot. 101 del 9.03.2020 (all.16), faceva seguito nuovamente la chiamata in servizio con nota prot. n. 111 del 10.03.2020 (all.21) al fine di ottemperare alle prescrizioni di cui al (...) del 09.03.2020. Pertanto, alla luce dell'esigenze e della normativa emergenziale e della consecutio delle note aziendali, il dott. (...) dal 06.03.2020 riprendeva il servizio fino al 30.04.2020 senza aver fruito più di alcun giorno di ferie. Il rilievo dell'ASP di (...) secondo cui la permanenza in servizio del Dott. (...) sarebbe da addebitare ad una personale scelta "non essendo le sue prestazioni essenziali ai fini della cura per il contrasto alla pandemia" ed evidenziando che la direzione strategica aveva stabilito che la presenza in servizio del personale non strettamente necessario sarebbe stata da ricondurre ad una responsabilità delle direzioni mediche dei (...) (v. nota (...) del 3.4.2020 - all.1 memoria), appare inconferente alla fattispecie in esame. All'uopo, infatti, occorre richiamare la nota n. 7865 del 25.03.2020 del Ministero della (...) che fra le attività non procrastinabili durante il periodo emergenziale, evidenziava quelle ostetriche e ginecologiche tipiche dei servizi assistenziali offerti dal (...) di (...) presso il quale l'odierno ricorrente prestava la propria attività, in qualità di unico ginecologo. Analogamente la (...) per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale del Ministero del (...) e delle politiche sociali, con il precipuo obiettivo di garantire la continuità degli interventi svolti, stabiliva a pag. 4 della Circolare n.1 del 27 marzo 2020 che "non è prevista alcuna sospensione per consultori, (...) centri diurni, centri per senza tetto" (v. produzione documentale del ricorrente del 30.05.2022). Ciò posto, le motivazioni e le condizioni che condussero il ricorrente a non fruire delle ferie non ancora godute sia da ascrivere a fatti sopravvenuti e non imputabili al dipendente. La tempistica della presentazione delle proprie dimissioni, delle diverse richieste di ferie fatte per tempo e della imprevista ed imprevedibile situazione emergenziale devono condurre a ritenere che il mancato godimento dei 39 giorni di ferie residui all'epoca del pensionamento sia da addebitare ad una circostanza sopravvenuta e non imputabile al ricorrente, sicché appare del tutto illegittimo il diniego dell'ASP di monetizzarle e corrispondere al ricorrente la relativa indennità sostitutiva. Del resto, non osta a tale soluzione, ma anzi vi appare conforme, la disciplina contrattuale che prevede, al comma 9 dell'art. 33, del (...) area sanità 2016-2018, "Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 10 (...)" e al comma 10 che "Le ferie maturate e non godute per esigenze di servizio sono monetizzabili solo all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti delle vigenti norme di legge e delle relative disposizioni applicative (...)" (comma 10). Concludendo la domanda relativa alla condanna della resistente al pagamento dell'indennità sostitutiva relativa a n.39 giorni di ferie maturate, richieste e non godute deve essere accolta. Passando alla quantificazione, tenuto conto della mancata contestazione di parte convenuta dei conteggi elaborati dal ricorrente, l'ASP di (...) va condannata al pagamento della somma di euro 9.473,08, a titolo di indennità sostituiva di trentanove (39) giorni di ferie non godute, di cui ventotto (28) giorni relativi all'anno 2019 e undici (11) giorni relativi all'anno 2020. Va invece respinta l'ulteriore domanda relativa alla richiesta di monetizzazione delle 33 giornate di ferie non godute e cedute dal Dott. (...) per le finalità di cui all'art. 34 del Contratto Collettivo Area Sanità - triennio 2016 2018. La tesi del ricorrente secondo cui, non avendo l'(...) fornito prova della richiesta pervenuta da dirigenti che si trovassero nelle condizioni di necessità legittimanti la fruizione, le predette giornate di ferie cedute dal ricorrente cedente sarebbero poi ritornate nella sua disponibilità ai sensi del comma 9 dell'art. 34 cit., non coglie nel segno. Vero è che la predetta disposizione, dopo aver previsto la facoltà del dirigente di cedere, in tutto o in parte, ad altro dirigente della stessa azienda o ente che abbia necessità di prestare assistenza a figli minori che necessitano di cure costanti per particolari condizioni di salute, le giornate di ferie nella propria disponibilità (quelle eccedenti le quattro settimane annuali e le quattro giornate di riposo per le festività soppresse di cui all'art. 33, comma 6), statuisce al comma 9 che "(...) cessino le condizioni di necessità legittimanti, prima della fruizione, totale o parziale, delle ferie e delle giornate di riposo da parte del richiedente, i giorni tornano nella disponibilità degli offerenti, secondo un criterio di proporzionalità.". Epperò, nel caso di specie, a prescindere dal fatto che la natura sperimentale della norma potrebbe anche avallare la scelta dell'ASP di accantonare le giornate di ferie cedute in una banca ore, appare comunque tranciante la considerazione che la mancata fruizione delle predette giornate di ferie sia indubbiamente imputabile al ricorrente il quale, con scelta spontanea e fatta in prossimità del pensionamento, ha ceduto dette giornate di ferie per finalità solidaristiche, senza che fino alla data del pensionamento ne chiedesse la remissione in disponibilità, così impedendo di fatto, per sua esclusiva scelta, qualsivoglia possibilità di fruirne prima della cessazione del rapporto. Le spese di lite vanno compensate per metà, in considerazione del parziale accoglimento della domanda, mentre la restante metà va posta a carico della resistente, liquidata come in dispositivo tenuto conto dell'assenza di attività istruttoria. P.Q.M. Condanna l'ASP di (...) al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro 9.473,08, oltre accessori di legge, a titolo di indennità sostituiva di ferie non godute. Compensa per metà le spese di lite e condanna l'ASP di (...) al pagamento della restante metà che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori, con distrazione al difensore.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati: dott.ssa Daniela Galazzi - Presidente dott.ssa Arianna Lo Vasco - Giudice relatore estensore dott. Gaetano Sole - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. .../2021, promossa da: DI M.G. (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. ... ATTORE contro V.B. (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. .... e G.R. (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. ... CONVENUTI Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, D.M.G. rappresentava di essere stato nominato erede universale dalla zia A.V., deceduta il 7.09.2020, a sua volta erede del marito V.F., il quale nel proprio testamento olografo, pubblicato in data 11.01.2021, aveva così disposto: "1) Lascio a mia moglie A.V. la piena proprietà della mia casa di C.F., quella acquistata da A.A. in data 19.06.1980; 2) Lascio a mia moglie A.V. l'usufrutto della mia casa di via M., quella ereditata dai miei genitori, ivi compreso il vano terra di via M. e il seminterrato con ingresso dal C.F.. La nuda proprietà di detta casa andrà a mio nipote V.L., il pediatra, figlio di mio fratello B.", Lamentava la lesione della quota di legittima spettante alla propria dante causa, precisando che il de cuius V.F. aveva beneficiato la propria moglie A.V. con beni del complessivo valore di Euro 18.884,65, "valore di gran lunga inferiore a quanto alla stessa spettantele e pari ed Euro 45.135,18 (90.270,36 : 2 = 45.135,18) con conseguente lesione della quota di legittima per l'importo di differenza di Euro 26.250,52"; allegava a sostegno perizia di stima dallo stesso commissionata. Citava gli odierni convenuti, giacché eredi (moglie e figlio) di V.L., beneficiato di quanto al punto 2 del testamento di V.F. ed imputava a detta disposizione la lesione della quota di legittima spettante alla propria dante causa, A.V.. Rassegnava le seguenti conclusioni: - "Ricostruire ed accertare il valore dell'intero patrimonio relitto del de cuius V.F. nato il (...) e deceduto il 30.12.2011 quantificando l'ammontare della quota di legittima riservata alla coniuge A.V.; - Ritenere e dichiarare l'inefficacia delle disposizioni testamentarie del de cuius V.F., per lesione della quota di legittima spettante alla Sig.ra A.V., dante causa dell'attore, nella misura necessaria al reintegro della quota del 50% del patrimonio spettante alla coniuge legittimaria, stante l'assenza di prole; - Ritenere e dichiarare, conseguentemente, che va integrata la quota riservata dalla legge alla Sig.ra A.V., operando a tal fine la riduzione delle disposizioni testamentarie medesime in danno del dante causa dei convenuti, per la parte eccedente; - Disporre lo scioglimento della costituitasi comunione e condannare il convenuto V.B. alla restituzione, in favore dell'attore quale erede universale della Sig.ra A.V., di quella quota parte degli immobili, meglio descritti in premessa, spettantigli per effetto della riduzione delle disposizioni testamentarie del de cuius V.F. e della conseguente reintegrazione della quota di legittima in favore della propria dante causa Sig.ra A.V.; - Condannare il convenuto al pagamento in favore dell'attore dei frutti civili, sulla quota dei beni che verranno attribuiti alla Sig.ra A.V. ad integrazione della legittima, a far data dal 07.09.2020, epoca di ricongiungimento dell'usufrutto alla nuda proprietà". Si costituiva V.B., preliminarmente eccependo l'improcedibilità dell'azione per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria. Rilevava, altresì, l'inammissibilità dell'azione di riduzione per la mancata accettazione dell'eredità con beneficio di inventario da parte sia dell'attore che di A.V.. Evidenziava, ancora, l'incompleta descrizione dell'asse, e che "Ai fini della corretta individuazione e quantificazione dell'asse ereditario ...dovranno peraltro considerarsi tutte le proprietà riconducibili al de cuius, ai beni mobili, ai veicoli e particolarmente i depositi bancari di cui lo stesso era titolare al momento dell'apertura della successione e all'utilizzo degli stessi da parte del coniuge, dante causa dell'attore". Nel merito in subordine, lamentava l'infondatezza della domanda attorea, contestando il valore di stima attribuito all'immobile assegnato a V.L., ritenuto abnorme e, comunque, non comprovato da idonea perizia estimativa, chiedendo anche l'accertamento della consistenza dei depositi bancari di pertinenza del de cuius al momento dell'apertura della successione e degli importi prelevati dalla coniuge prima e dopo la morte del marito. Si costituiva anche la convenuta G.R. che, oltre ad eccepire l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, negando di essere erede di V.L.. Precisava infatti che, a seguito del decesso di A.V., V.B. aveva acquistato la piena proprietà dell'immobile in contestazione per il ricongiungimento di usufrutto. Nel merito, rilevava l'improponibilità della domanda di riduzione per carenza dei presupposti e delle condizioni di cui all'art. 564 c.c., sostenendo la qualità di legatario (e non di erede) di V.L. e facendone conseguire che l'attore avrebbe dovuto accettare con beneficio di inventario per agire in riduzione; aggiungeva che anche la dante causa dell'attore aveva accettato puramente e semplicemente e che era stata beneficiaria di donazioni da parte del marito, sia dirette che indirette. Ad ogni modo, adduceva l'infondatezza della domanda attorea giacché sguarnita di prova e basata su una relazione di stima "disancorata dai principi di legge e priva degli elementi minimi per poter essere attendibile", anche in ragione della mancata considerazione del patrimonio mobiliare, costituito sia da rapporti bancari che da oggetti di valore. Alla prima udienza questo istruttore disponeva l'invio di tutte le parti in mediazione (26.01.2022), non andata a buon fine per l'espresso diniego manifestato dalle parti convenute V.B. e G.R. (cfr. verbale negativo allegato alle note di udienza del 7.06.2022). Nel corso del giudizio, l'attore negava la sussistenza di depositi bancari attivi alla data di apertura della successione; reiterava, pertanto, la propria volontà di agire in riduzione. All'udienza del 2.11.2022, disattese le richieste istruttorie, le parti venivano invitate a precisare le proprie conclusioni in ordine alle eccezioni preliminari di rito e di merito. Va sin d'ora evidenziato, in relazione al tentativo di mediazione disposto in corso di causa, che la secca dichiarazione di non intendere partecipare alla mediazione non può essere sussumibile nell'area semantica del "giustificato motivo" di cui alle norme che dispongono l'obbligatorietà di un tentativo effettivo di conciliazione. Infatti, da un lato è noto che la distanza fisica non osta alla partecipazione all'incontro di mediazione, ben potendo la parte invitata conferire procura speciale ad un proprio rappresentante sostanziale ovvero chiedere ed ottenere di partecipare da remoto. Dall'altro, è noto che la mera enunciazione della propria posizione non può considerarsi, anche alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, giustificativa della mancata comparizione personale (v. anche Cass. 8473/2019). Ne discende la condanna per i convenuti al pagamento della sanzione prevista dall'art. 12-bis del D.Lgs. n. 28 del 2010, pari al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. Tanto premesso, sulla preliminare eccezione di inammissibilità della domanda di riduzione per carenza dei presupposti si osserva quanto segue. Rileva infatti il Collegio che, a norma dell'art. 556 c.c., "per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull'asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre". Quindi, la titolarità dei beni asseritamente ereditari si pone quale elemento fondamentale per la ricostruzione della massa, di talchè la parte che agisce in riduzione ha l'onere di fornire la prova rigorosa della proprietà del bene stesso già in capo al de cuius, non potendo tale circostanza neppure essere surrogata dalla dimostrazione del titolo in via meramente presuntiva, ovvero altresì di desumere l'esistenza della proprietà in capo ai condividenti dalla eventuale mancata contestazione delle altre parti sul punto. Ed invece, nella fattispecie in esame, è mancata la prova (oltre che della regolarità urbanistica ed edilizia, solo richiamati dalla relazione di parte) della titolarità di tutti i diritti dominicali in capo al de cuius dei beni immobili indicati in citazione, constando agli atti solo il titolo relativo all'immobile di C.F. e non una adeguata individuazione dell'immobile "di via M." (vieppiù considerando che nella relazione di parte appare menzionata una concessione per "fabbricato danneggiato dal sisma del 1968 tra il c.le F. e la via M.", "intestata" a nome di V.F., ma anche a nome di A.V. - V.E. - Voi A. - Voi V. - B.L.). Né consta una perspicua enunciazione delle attività e delle passività dell'asse anche a seguito delle contestazioni della parte convenuta. All'uopo, non avrebbe potuto essere ritenuta sufficiente la produzione della denuncia di successione (di rilievo fiscale), ovvero del testamento (insufficiente alla ricostruzione della titolarità della massa nei rigorosi termini sopra enunciati) o delle ispezioni ipotecarie, piuttosto finalizzate a dimostrare l'esistenza o meno di vincoli pregiudizievoli; né, infine, potevano soccorrere le visure catastali. Esse, infatti, sono preordinate al fine esclusivo dell'attribuzione e determinazione dell'onere tributario, non già a quello di documentare la proprietà degli immobili. Va, quindi, richiamato il criterio della ragione più liquida (n. 12002 del 28/05/2014, peraltro applicabile anche in presenza di questioni pregiudiziali - cfr. Cass. SS.UU, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014) e fatto ossequio al principio rammentato dalla Suprema Corte, a tenore del quale (Cass. n. 14473/2011) "in materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal "de cuius" (cfr. anche Cass. 13310/2002). La natura di tale questione, la condotta preprocessuale dei convenuti, che ha ostacolato un confronto preventivo sulle questioni poi sollevate in sede di costituzione (Cass. n. 23997 del 16/11/2011) suggeriscono la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e/o difesa disattesa e/o assorbita: - dichiara inammissibile la domanda presentata da D.M.G.; - compensa le spese di lite; - condanna G.R. e V.B. al versamento della sanzione prevista dall'art. 12-bis del D.Lgs. n. 28 del 2010. Conclusione Così deciso in Trapani, il 30 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2023.

  • IL TRIBUNALE DI TRAPANI In composizione collegiale, nelle persone dei giudici: 1) Dott.ssa Daniela Galazzi - Presidente 3) Dott.ssa Arianna Lo Vasco - Giudice rel. 2) Dott. Gaetano Sole - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n. .../2018 R.G., promosso da: M.R. (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. ... RICORRENTE contro M.I. (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. ... RESISTENTE e con l'intervento del Pubblico Ministero Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 24.07.2018, M.R. rappresentava di aver contratto matrimonio concordatario con il resistente M.I., in data 5.07.2012, trascritto nei registri dello stato civile del Comune di Trapani al n. ..., Parte II, Serie A, Ufficio 1, anno 2012. Deduceva, altresì, che dalla loro unione era nato il figlio G., in data (...). Avanzava domanda di separazione con addebito nei confronti del coniuge, rappresentando che il rapporto coniugale si era incrinato a causa degli atteggiamenti possessivi e maltrattanti tenuti dal marito, volti a denigrarla e ad allontanarla sia dalla famiglia che dalle amicizie e tali da indurla a lasciare il proprio lavoro. Chiedeva l'affidamento esclusivo del figlio minore, lamentando l'inidoneità del resistente a svolgere il ruolo di genitore, anche alla luce delle condotte violente da costui agite incurante in talune occasioni della presenza del minore. Si doleva altresì delle condotte inappropriate tenute dalla famiglia di origine del marito, e dei gesti inopportuni nei confronti del nipotino anche quando lo stesso veniva svestito a pochi mesi per i cambi, nella indifferenza del padre. Rappresentava di versare in condizioni di difficoltà economica, in quanto disoccupata e percettrice di soli Euro 382,50 mensili a titolo di assegno REI; pertanto, chiedeva la corresponsione da parte del M., lavoratore dipendente presso una segheria, di un assegno a titolo di contributo al mantenimento della prole di Euro 300,00 e del 75% delle spese straordinarie, nonché di un assegno di mantenimento in proprio favore di Euro 150,00. La ricorrente instava, quindi, affinché il Tribunale, dichiarasse la separazione personale dei coniugi con addebito al resistente, alle seguenti condizioni: - "Affidare il figlio minore G. in via esclusiva alla ricorrente, con facoltà per il padre di vederlo e tenerlo con sé nei tempi e secondo le modalità che l'On. Tribunale riterrà conformi al canone del superiore interesse del minore, alla presenza di uno o più familiari della ricorrente; - Statuire a carico del M.I. l'obbligo di corrispondere la somma di 300,00 Euro mensili per il mantenimento del figlio G. oltre alle spese straordinarie nella misura del 75%, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat; - Porre a carico del sig. M. l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento in favore della ricorrente, non inferiore ad Euro 150,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat". Si costituiva il resistente e, pur aderendo alla domanda di separazione, chiedeva in via riconvenzionale l'addebito alla M.: contestava, infatti, le allegazioni della controparte, imputando alla ricorrente la crisi della convivenza coniugale per aver costei abbandonato la casa familiare ed aver portato con sé il figlio minore della coppia, nonché per avergli poi precluso qualsiasi contatto con il bambino. Si opponeva alla richiesta di affidamento esclusivo del figlio minore e stigmatizzava la condotta della ricorrente che a suo dire aveva usato il proprio figlio come merce di scambio economica. Affermava di aver sempre contribuito al mantenimento del minore, versando regolarmente l'importo di Euro 150,00 al mese, nonostante la cessazione del proprio rapporto di lavoro, grazie al sostegno economico dei propri fratelli. Inoltre, riteneva la coniuge capace di provvedere alle proprie esigenze e chiedeva, dunque, di non venire gravato dall'obbligo di mantenerla. Rassegnava le seguenti conclusioni: - "dichiarare la separazione personale dei coniugi con addebito alla ricorrente; - rigettare la formulata domanda di addebito, perché infondata; - per i motivi indicati disporre l'affido condiviso ad entrambi i coniugi dettando, visto la condotta ostruzionista della madre, i tempi e modalità ovvero per i giorni di Lunedì, Mercoledì, e Venerdì dalle 16 alle ore 20.00, nonché consentire al figlio di stare con il padre e pernottare con lo stesso alternandosi nei fine settimana a giorni alterni; tale criterio dovrà valere anche per il periodo estivo e per le festività e in tali occasione il figlio potrà pernottare alternativamente con entrambi genitori; - per i motivi di cui alla parte motiva, in considerazione del fatto che la ricorrente percepisce la somma di Euro 382,50 carta REI anche per la quota del marito, fissare la somma in Euro 150,00 mensili per il mantenimento del figlio oltre le spese straordinari nella misura del 50%; - per i motivi di cui alla parte motiva, rigettare la domanda di erogazione di assegno in favore della moglie, in quanto infondata e perché comunque non vi sono i requisiti per l'attribuzione di un assegno in favore della medesima, stante che la stessa comunque percepisce un reddito con la carta REI pro-quota e altri redditi non dichiarati; - in via riconvenzionale per i motivi di cui nella parte motiva pronunciare separazione con addebito nei confronti della ricorrente M.R.". Il Presidente, a seguito dell'audizione delle parti, con ordinanza del 29.11.2018, nell'autorizzare i coniugi a vivere separati, disponeva l'affido esclusivo del figlio G. alla madre con facoltà per il padre di vederlo una volta a settimana presso lo Spazio Neutro del Comune di residenza del minore, con esclusione di qualsiasi contatto con i nonni paterni; imponeva al resistente il versamento di Euro 300,00 a titolo di contributo per il mantenimento della moglie (Euro 100,00) e del figlio (Euro 200,00) e lo obbligava al pagamento del 70% delle spese straordinarie mediche e scolastiche. Nella stessa sede, venivano incaricati i Servizi Sociali, la N.P.I. e il Consultorio familiare di riferire "sulle condizioni di vita e di relazione dei soggetti sopra indicati, indicando in particolare quale sia il regime di affidamento e di visita più indicato per lo sviluppo psico-fisico dei minori e le eventuali cautele da adottare nello svolgimento dei rapporti fra la prole e i propri genitori". In corso di causa, data l'impossibilità di svolgere gli incontri padre/figlio nel prescritto Spazio Neutro attesa l'indisponibilità di locali all'uopo predisposti, a parziale modifica del regime già prefissato, veniva consentito al padre di incontrare il minore per un pomeriggio alla settimana e precisamente il mercoledì all'uscita dalla scuola alla presenza della madre. Da ultimo, lo stesso resistente dichiarava in atti conclusivi, di incontrare il minore due volte a settimana per circa un'ora. La causa veniva istruita a mezzo prove orali, C.T.U. psicologica su base familiare ed indagini tributarie "circa i redditi, i patrimoni e l'effettivo tenore di vita delle parti"; nelle more veniva anche previsto l'obbligo per le parti di intraprendere un percorso di mediazione familiare, poi fallita. Successivamente il nucleo veniva preso in carico dal CPG e dalla NPI, che, anche in esito a specifica segnalazione della madre, effettuavano interventi sulla coppia e sul minore, suggerendo opportuni percorsi e proponendo il mantenimento, quanto al diritto di visita, del vigente regime. Tanto premesso, è pacifico che sia venuta meno l'affectio coniugalis tra le parti e che la convivenza sia divenuta intollerabile, di talchè sussistono i presupposti di cui all'art. 151 c.c. Quanto alla domanda di addebito formulata dalla ricorrente e, in via riconvenzionale, anche dal resistente, si osserva in punto di diritto che l'accoglimento di siffatta pretesa presuppone, per costante giurisprudenza di legittimità, non solo la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ma anche che sussista la prova rigorosa di un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati e il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza (cfr. Cass. Sez.1 n.25618 del 7 dicembre 2007 e Cass. e Sez. 1 n.14840 del 27 giugno 2006). Deve, infatti, premettersi che, per ripetuto insegnamento della Suprema Corte, la dichiarazione di addebito della separazione implica la dimostrazione, "che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito" (Cass. civ., Sez. I, 27/06/2006, n. 14840). Nel caso di specie, all'evidenza disponibile, nessuna delle domande di addebito può essere accolta: è vero, infatti, rispetto alla domanda formulata dalla ricorrente, che le prove raccolte sulla violenza ed i maltrattamenti non sono state ritenute sufficienti nel procedimento penale a carico del marito, in primo grado conclusosi con un'assoluzione per "la contraddittorietà delle prove acquisite ed, in particolare, l'inaffidabilità della persona offesa, che condiziona anche le testimonianze indirette" (cfr. sent. penale, allegata alle note di parte resistente del 15.11.2022); ed è vero anche che le stesse non appaiono sufficienti, anche ove integralmente ammesse, a pervenire ad una circostanziata prova diretta dei fatti come descritti dalla ricorrente - e non invece meramente de relato - anche nel presente procedimento. E' vero tuttavia anche che ciò non colora automaticamente di illiceità l'allontanamento della ricorrente: ed infatti, la presenza di una conflittualità tra le parti, in sé non negata, e le difficoltà nei rapporti con la famiglia di origine della M. - con cui costei aveva interrotto i rapporti durante il matrimonio con il resistente, per riprenderli successivamente, raccontando di non vivere felicemente (cfr. dichiarazioni rese dalle testi della ricorrente) - rendono conto di un clima familiare non sereno, in cui tale allontanamento ben poteva ritenersi l'effetto e non invece la causa della crisi matrimoniale. Ciò posto, riguardo al regime di affidamento del piccolo G., si osserva che è vero che l'affido condiviso rappresenta l'opzione legislativa prioritaria, secondo il disposto dell'art. 337-ter c.c. (in cui è confluito l'abrogato art. 155 c.c.), giacché permette di mantenere un rapporto continuativo con entrambe le figure genitoriali ed è finalizzato a preservare l'equilibrio psico-fisico del minore. Tuttavia, è vero anche che suddetto regime può essere derogato in presenza di specifiche situazioni di pericolo e di concreto pregiudizio per il benessere psicologico e fisico dei figli minori. È noto, infatti, che "in materia di affidamento dei figli minori, il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore" (v. Cass. Civ. n. 28244/2019). Pertanto, occorre valorizzare quanto attualmente emerso nel corso degli interventi dei servizi sociosanitari: a carico del minore è stato riscontrato "Disabilità intellettiva di grado lieve, Disturbo di Attenzione sottotipo combinato di grado moderato; Disturbo della sfera emozionale in soggetto con problemi correlati ad eventi negativi dell'infanzia", da cui è scaturita la necessità di prendere in carico il minore e di attivare un parent-training genitoriale, per manifeste ragioni di tutela del piccolo G. (cfr. rel. NPI del 16.09.2022), segnato dalla sopracitata profonda conflittualità familiare. Da un lato, la M. è stata dipinta come "una madre presente nella vita del figlio che si è dedicata a G. con attenzione e costanza", dall'altro sono state sottolineate le carenze del M. ("Non sembra pienamente consapevole delle criticità e vulnerabilità del figlio riscontrate nel percorso presso la NPI. Appare necessario potenziare la capacità di sintonizzarsi con i bisogni emotivi ed affettivi del figlio, con le suespecifiche esigenze educative, in quanto si mostra talvolta evasivo e poco attento alle ricadute che il suo comportamento potrebbe avere nella relazione con il figlio e nella sua crescita"). Infine, è stata evidenziata l'utilità della presa in carico del minore e dell'avvio di un percorso di parent-training per la coppia genitoriale, "finalizzato a sviluppare una maggiore consapevolezza delle fragilità del minore e delle strategie psico-educative maggiormente funzionali ad una gestione più adeguata del minore stesso", oltre che di indagini socio-familiari. Gli operatori hanno suggerito di mantenere il regime vigente. Allo stato, secondo quanto riferito dalla stessa difesa del M., costui con l'accordo della madre incontra il figlio due pomeriggi a settimana per un'ora, regime peraltro ampliativo rispetto a quello originariamente previsto alla presenza della madre. Non è stato suggerito né considerato confacente l'avvio di incontri in spazio neutro, tuttavia occorre mantenere un monitoraggio sulle condizioni di benessere psicofisico del minore, mantenendo allo stato le condizioni di esclusivo contatto con il padre come da ordinanza presidenziale. Gli operatori sociosanitari monitoreranno l'andamento del regime di visita, lo stato di benessere del minore, supporteranno i genitori anche nella eventuale adozione di modifiche in senso ampliativo, ove conformi al superiore interesse della prole. Riferiranno a mesi 3 anche sul grado di adesione assicurato da entrambe le parti ai percorsi suggeriti dagli operatori, attesa la persistente immaturità relazionale all'interno della coppia genitoriale: condizione che giustifica, rispetto al regime decisorio, il mantenimento, allo stato dell'affido monogenitoriale già vigente, pur se con la condivisione - nell'ottica di una maggiore responsabilizzazione delle parti - della responsabilità delle decisioni di maggiore interesse riguardanti istruzione e salute. Quanto agli obblighi di natura economica, stante l'indefettibile dovere del padre di contribuire al mantenimento della prole, il Tribunale ritiene che anche in considerazione dell'età del minore, dei tempi ristretti in cui il padre esercita il mantenimento diretto (quasi del tutto a carico della madre) e delle capacità e potenzialità reddituali di costui, abile al lavoro anche come operaio specializzato, può accogliersi la domanda di corresponsione di un assegno per il mantenimento di G. pari ad Euro 300,00 mensili. Le spese straordinarie, definite secondo il locale Protocollo, via via necessarie per la prole rimangono a carico dei genitori nella misura del 50% ciascuno. In relazione, invece, all'istanza di mantenimento avanzata dalla ricorrente, si prende atto della rinuncia da ultimo formalizzata (cfr. comparsa conclusionale). Considerato il tenore delle statuizioni, le spese possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda eccezione difesa disattesa e/o assorbita: - pronuncia la separazione personale tra M.R. e M.I., i quali hanno contratto matrimonio concordatario in data 5.07.2012 in Erice, trascritto nei registri dello stato civile del Comune di Trapani al n. ..., Parte II, Serie A, Ufficio 1, anno 2012; - affida il minore G. esclusivamente alla madre, salva la condivisione della responsabilità delle decisioni in materia di salute ed istruzione, articolando il diritto di visita del padre nei termini di cui in parte motiva; - dispone che gli operatori coinvolti nel monitoraggio del nucleo e delle condizioni di vita del minore riferiscano entro mesi 3 al G.T., salve urgenze; - pone a carico di M.I. l'obbligo di corrispondere, entro il giorno cinque di ogni mese, un assegno dell'importo di Euro 300,00, rivalutabile annualmente secondo l'indice ISTAT di variazione del costo della vita, a titolo di contributo al mantenimento del figlio G.; - obbliga entrambe le parti a sostenere le spese straordinarie che sorgeranno per far fronte alle esigenze della prole nella misura del 50% ciascuna, secondo il protocollo sottoscritto con il COA; - dispone che la presente sentenza, se passata in giudicato, in copia autentica venga trasmessa al competente ufficiale di stato civile per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui al D.P.R. n. 396 del 2000; - compensa le spese di lite e pone a carico delle parti le spese di CTU liquidate come da separato decreto. Conclusione Così deciso in Trapani, nella camera di consiglio del 29 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Daniela Galazzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1063/2021 promossa da: tra (...), (...), (...) rappresentati e difesi dall'avv. Gi.Vi., ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Alcamo viale (...), giusta procura in atti attori contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. Rosa Galante ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Palermo, via Ruggero Settimo nr. 55 convenuto e (...) di T., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Al.Ma. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Trapani nella piazza (...), convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE (...), (...) e (...) convenivano in giudizio l'(...) ed il dott. (...) al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale subito a seguito del decesso della loro madre, (...), avvenuto in data 25.11.2014. In particolare, allegavano che la (...), che si era presentata alla guardia medica dell'Ospedale San Vito e Santo Spirito di Alcamo alle 22,46 del 24.11.2014 lamentando dolore toracico e bruciore alla scapola sinistro, era stata visitata dal dott. A. il quale le aveva somministrato una terapia farmacologica e l'aveva dimessa, non avendo riconosciuto la patologia cardiaca da cui la paziente era affetta, mentre avrebbe dovuto inviarla con urgenza al Pronto Soccorso dell'Ospedale per la somministrazione delle opportune cure e terapie: infatti, la (...), in seguito all'aggravamento del suo stato di salute, era deceduta il giorno successivo alle ore 15:00 per "tamponamento cardiaco secondario correlato alle alterazioni strutturali cardiache di base". Allegavano inoltre che, per questo fatto, l'(...) era stato ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo nel procedimento penale definito con la sentenza n. 1548/2019 resa in data 5.12.2019 dal Tribunale di Trapani e passata in giudicato: con la medesima pronuncia, il Tribunale aveva imposto, a carico del medesimo A., il pagamento di una provvisionale di Euro 5.000,00, rimettendo, per il risarcimento del danno, al giudice civile. Gli attori concludevano quindi chiedendo al Tribunale di "ritenere e dichiarare che il decesso della sig.ra (...), avvenuto in data 25.11.2014, è eziologicamente riconducibile al negligente operato del dr. (...), medico in servizio presso la Guardia Medica dell'Ospedale di Alcamo, dipendente dell'(...) di T.; ritenere e dichiarare, anche alla luce dell'intervenuto giudicato formatosi con la sentenza penale n. 1548/19 reg. sent. del 05.12.2019, la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dei convenuti per tutti i fatti meglio descritti in parte narrativa, riconoscendo in favore degli odierni attori, il diritto ad avere risarcito il danno biologico e morale patito per la perdita del congiunto; per l'effetto, condannare i convenuti in solido tra loro, al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dai figli della vittima, e ciò nella misura di Euro 280.000,00 per ciascuno di essi, o in quella diversa somma che verrà ritenuta di giustizia, con rivalutazione monetaria ed interessi compensativi dal fatto al saldo; Condannare i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle spese e delle competenze professionali da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore". Costituendosi in giudizio, (...) contestava la domanda, sostenendo la correttezza del proprio operato e concludeva chiedendo al Tribunale di "respingere o con qualsiasi altra formula rigettare tutte le domande proposte dai signori (...), (...) e (...), nei confronti del Dott. (...); Respingere o con qualsiasi altra formula rigettare ogni domanda proposta dall'(...) di T., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nei confronti del Dott. (...), con vittoria di spese e compensi professionali". L'(...) eccepiva di essere rimasta estranea al procedimento penale, con conseguente impossibilità di estendere il giudicato penale nei suoi confronti; contestava nel merito la domanda sul presupposto della mancanza di prova del nesso causale tra la condotta del sanitario ed il decesso della paziente, nonché con riferimento al quantum richiesto a titolo di risarcimento. Concludeva quindi chiedendo al Tribunale di "respingere, in quanto infondata in fatto ed in diritto, la pretesa avanzata dagli attori; in subordine, in caso di accoglimento, anche parziale della domanda attorea, accertata un'eventuale responsabilità solidale del dott. (...) e dell'(...), gradarne le colpe (ai fini di un riparto interno e di una eventuale azione di regresso) Con vittoria di spese, competenze ed onorario del presente giudizio". Orbene, deve in via preliminare rilevarsi, ai fini dell'esatta individuazione del regime probatorio applicabile alla presente controversia nella quale gli attori svolgono un'azione risarcitoria iure proprio quali congiunti di (...), che non può essere condiviso l'assunto di parte attrice secondo cui l'Azienda ospedaliera sarebbe chiamata a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. Al riguardo, va richiamato il costante orientamento della Suprema Corte in base al quale, mentre con riguardo ai danni iure hereditatis, ovvero a quelli patiti direttamente dal paziente e fatti valere dai congiunti in via successoria, la responsabilità dell'Ente ospedaliero ha pacificamente natura contrattuale (cfr. tra le tante Cass. Civ., n. 16828/2018 che fa discendere da tale inquadramento, sul piano della ripartizione dell'onere della prova, il principio in base al quale "il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non", restando a carico dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione sanitaria sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile"), per le pretese azionate iure proprio dai parenti della persona deceduta deve essere invece richiamato il diverso istituto della responsabilità aquiliana, posto che colui che agisce in giudizio, in mancanza di un rapporto negoziale diretto con la struttura sanitaria, può far valere la violazione, da parte della convenuta, non già di una specifica obbligazione contrattuale, bensì del dovere generico del neminem laedere nella vita di relazione ex art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Civ. sez. III 14471/2022, secondo la quale "la responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati "iure proprio" dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall'altro i parenti non rientrano nella categoria dei "terzi protetti dal contratto", potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch'esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale"). Il regime dell'onere probatorio in tal caso è quindi differente, dovendo i congiunti dimostrare la condotta dolosa o colposa, oltre al danno e alla sua derivazione eziologica dalla condotta. Per quanto riguarda il profilo della causalità - la cui prova incombe ex art. 2697 c.c. sulla parte che richiede il risarcimento del danno - nella sua ricostruzione vengono in rilievo due momenti, distinguendosi: - la causalità materiale tra la condotta e l'evento di danno che è quella fondante la responsabilità e che ricorre quando il comportamento abbia generato o contribuito a generare l'evento secondo i criteri previsti dagli artt. 40 e 41 c.p.; - la causalità giuridica, successiva all'accertamento della causalità materiale, consistente nella determinazione dell'intero danno cagionato, che costituisce l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria. Relativamente all'accertamento della causalità materiale, ossia, nel caso di specie, la verifica del nesso causale tra l'operato medico e il danno - evento rappresentato dal decesso della (...) -, è noto che la verifica eziologica in sede civile è anch'essa governata dal combinato disposto degli 40 e 41 c.p. per i quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, ma, a differenza di quanto avviene in ambito penale, deve essere compiuta attraverso un criterio necessariamente probabilistico, fondato sulla cd. "regola della preponderanza dell'evidenza" o "del più probabile che non". Per la costante giurisprudenza della S.C., detto criterio non va inteso nel senso che l'accertamento del nesso causale nella sua materialità debba essere condotto sulla base di calcoli meramente statistici, dovendosi invece far ricorso ad un giudizio di probabilità logico-razionale, cioè di ragionevole verosimiglianza da operare alla stregua degli elementi di conferma (tra cui, soprattutto, l'esclusione di altri possibili e alternativi processi causali) disponibili in relazione al caso concreto. In definitiva, dunque, l'esistenza del rapporto di causalità tra una condotta illecita ed un evento di danno può essere affermata dal giudice civile anche soltanto sulla base di una prova che lo renda probabile nei termini appena evidenziati, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire una assoluta certezza al di là di ogni ragionevole dubbio; infatti, la differente regola probatoria, in ambito penale e in ambito civile, trova la propria giustificazione nella diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e, viceversa, nell'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti. Gli attori hanno senz'altro assolto l'onere assertivo di loro pertinenza, avendo chiaramente ascritto alla trascuratezza del medico convenuto, in servizio presso la guardia medica di Alcamo, nella gestione del primo intervento sulla loro congiunta la causa del suo decesso. A dimostrazione del predetto assunto, essi hanno depositato in atti la sentenza penale di condanna dell'(...), nella quale sono sinteticamente ma esaustivamente richiamate le testimonianze assunte nel corso del procedimento penale; la documentazione sanitaria relativa alla defunta; la consulenza disposta dal Pubblico Ministero nel corso delle indagini e la perizia disposta dal Giudice del dibattimento penale. Sul punto, va ricordato il consolidato principio giurisprudenziale della Suprema Corte secondo il quale "il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento anche gli elementi probatori raccolti in un giudizio penale, ed in particolare le risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell'ambito delle indagini preliminari, soprattutto quando la relazione abbia ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi" (Cass. Sez. civ, 15714/2010). Ed invero, in mancanza di divieti di legge, nel processo civile sono utilizzabili le prove atipiche, ossia quelle prove formatesi in altro procedimento giudiziario, la cui efficacia probatoria deve essere assimilata a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova e che tecnicamente trovano ingresso nel processo civilistico con lo strumento della produzione documentale, soggiacendo ai limiti temporali posti a pena di decadenza e nel rispetto quindi delle preclusioni istruttorie. Più specificamente, sono utilizzabili nel procedimento civile: gli atti dell'istruttoria penale; i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, in giudizi penali od amministrativi, compresi gli accertamenti di natura tecnico-peritale, che hanno valore di indizio, prescindono dalla circostanza che la prova sia stata raccolta in un processo tra le stesse od altre parti e possono essere vagliate dal Giudice senza che egli sia vincolato dalla valutazione fatta dal Giudice della causa precedente; infine il Giudice civile può comunque trarre elementi di giudizio dalle sentenze penali non irrevocabili, con riferimento alle risultanze dei mezzi di prova esperite e alle affermazioni di fatti (cfr. Cass. Civ., sez. II 5440/2010; 11426/2006). Risulta dal predetto compendio probatorio che la (...) si recò, in data 24.11.2014, al pronto soccorso dell'Ospedale di Alcamo, lamentando un dolore toracico che dal petto si irradiava alla spalla sinistra, inequivocabile sintomo di una patologia ischemica in atto; da lì venne indirizzata alla Guardia Medica, il cui ambulatorio si trova a fianco del Pronto soccorso, in considerazione della presenza di numerosi pazienti in attesa al Pronto Soccorso. Visitata dal dott. (...), questi, nonostante la presenza dei sintomi sopra descritti, omise di effettuare più approfondita analisi e di disporre adeguati esami, quali ad esempio un ECG, che avrebbero senz'altro riscontrato la presenza di infarto in atto. La paziente, quindi, venne rimandata a casa, per poi ritornare al Pronto Soccorso il giorno successivo ed infine decedere. Orbene, gli esperti sentiti nel corso delle indagini e del dibattimento penale hanno riferito che, dall'esame autoptico, è emerso che l'infarto che ha condotto alla morte la paziente risaliva a circa 24 ore prima della morte, avvenuta alle ore 15,00 del 25.11.2014, ossia risaliva al momento in cui la (...) si trovava presso la Guardia Medica. Inoltre, hanno concordato nel ritenere che il tempestivo riconoscimento della presenza di un infarto in corso avrebbe consentito di somministrare tempestivamente alla anziana una terapia ad azione anti-ischemica, come da protocollo standard, così evitando, con elevata probabilità, il decesso della paziente: dette conclusioni sono pure confortate dalla letteratura medica e dalle statistiche che rivelano che la mortalità dei pazienti che subiscono un infarto acuto del miocardio si riduce costantemente in caso di trattamento precoce. A fronte di queste risultanze, A. si è limitata a sostenere, in maniera invero generica, la correttezza dell'operato del medico di turno, continuando a sostenere che non vi era prova della circostanza che la paziente manifestasse, al momento dell'accesso alla Guardia Medica, sintomi inequivocabili di infarto in atto, contrariamente a quanto giudizialmente accertato in sede penale, nonché l'insussistenza di sua colpa sotto il profilo organizzativo del servizio. Vanno dunque ritenuti integrati tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale dell'Azienda ospedaliera, alla quale va fatto carico delle conseguenze dannose derivate dall'imperito trattamento medico della (...) da parte del dott. (...). Passando alla liquidazione del danno non patrimoniale sofferto dagli attori a causa della recisione del rapporto parentale con la congiunta, deve preliminarmente rammentarsi che la Suprema Corte sulla scorta di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. secondo la quale, nel caso di compromissione di valori della persona di rango costituzionale, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti assoluti della persona ha il suo referente normativo direttamente nella carta costituzionale senza il limite della riserva di legge dell'art. 185 c.p., ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale prodottosi in capo agli stretti congiunti della vittima, non ostandovi il disposto contenuto nell'art. 1223 c.c. posto che questo danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso che lede in pari tempo le situazioni giuridiche dei diversi soggetti legati dal vincolo di parentela: l'uccisione della vittima causa non solo il massimo danno configurabile in capo alla stessa, ma anche e simultaneamente, l'estinzione del rapporto parentale con gli stretti congiunti che a loro volta subiscono immediatamente e direttamente la compromissione del loro interesse all'intangibilità degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare. Ciascuno dei familiari superstiti ha quindi diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente secondo massime di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio (cfr. Cass. Civ., sez. III, 9231/2013). L'onere probatorio dell'effettività e consistenza della relazione parentale - rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità (ex multis, Cass. 7743/2020) - grava sul danneggiato, ma l'intensità del legame vale come prova presuntiva del pregiudizio, essendo ammesso a tal fine il ricorso alle presunzioni fondate sul normale atteggiarsi delle relazioni all'interno della famiglia: nel caso di specie, trattandosi dei figli della vittima, non può certo dubitarsi della sussistenza del pregiudizio conseguente alla recisione della relazione instaurata, anticipata rispetto all'aspettativa di sopravvivenza stimata. Con riferimento alla quantificazione del risarcimento, occorre avere riguardo alle sentenze del novembre 2008 (S.U. 26972/08), nelle quali. nell'ottica dell'unitarietà del danno patrimoniale e della unicità ed onnicomprensività del relativo risarcimento, le Sezioni Unite hanno affermato che non può più trovare spazio una duplice liquidazione del danno morale soggettivo e del danno parentale, perché la sofferenza patita nel momento della perdita del congiunto, sia nel momento in cui viene percepita sia nell'arco delle propria esistenza, costituisce una forma di pregiudizio suscettibile di un unico integrale ristoro (nozione ripresa da SS.UU. sent. n. 557/09). In definitiva, nella nuova sistematica del danno non patrimoniale delineata dalle Sezioni Unite, la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale. Per la sua liquidazione, da effettuarsi secondo il criterio equitativo previsto dagli artt. 1226 e 2056 c.c., vanno utilizzate, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, le tabelle basate sul c.d. sistema a punti, che prevedono, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (cfr. Cass. Civ., sez. III, 21.4.2021 n. 10579; 10.11.2021 n. 33005) e ha precisato che la Tabella che, allo stato, assolve alle summenzionate caratteristiche "risulta essere quella di Roma". (Cass. civ. sez. III 29.9.2021 n.26300). Tanto premesso, va ricordato che la (...) aveva 79 anni al momento del decesso, mentre i tre attori, (...), (...) e (...), suoi figli, avevano rispettivamente anni 54, 45 e 50. Orbene, la tabella romana nell'edizione aggiornata all'anno 2019 fissa in Euro 9.806,70 il valore di ciascun punto e attribuisce un punteggio ad alcuni parametri, ossia: a. il rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il congiunto avente diritto al risarcimento, potendosi presumere che il danno sia maggiore quanto più stretto il rapporto; b. l'età del congiunto: il danno è tanto maggiore quanto minore è l'età del congiunto superstite; c. l'età della vittima: anche in questo caso è ragionevole ritenere che il danno sia inversamente proporzionale all'età della vittima, in considerazione del progressivo avvicinarsi al naturale termine del ciclo della vita; d. la convivenza tra la vittima ed il congiunto superstite, dovendosi presumere che il danno sarà tanto maggiore quanto più costante e assidua è stata la frequentazione tra la vittima ed il superstite; e. la presenza all'interno del nucleo familiare di altri conviventi o di altri familiari non conviventi (fino al 4, inclusi, quindi, i cugini): infatti il danno derivante dalla perdita è sicuramente maggiore se il congiunto superstite rimane solo, privo di quell'assistenza morale e materiale che gli derivano dal convivere con un'altra persona o dalla presenza di altri familiari, anche se non conviventi. Il risarcimento totale, quindi, risulta pari al punteggio dato dalla sommatoria dei punti previsti per ciascuna delle ipotesi ricorrenti nel caso concreto in esame, moltiplicato per il valore del punto determinato sulla base dei concreti importi già liquidati dal Tribunale di Roma. Sull'importo finale possono essere, poi, applicati dei correttivi per adeguare ulteriormente il risarcimento alla fattispecie concreta in esame. Si è infatti previsto che la circostanza della non convivenza con la vittima possa essere apprezzata con una riduzione del punteggio complessivamente conseguito fino alla metà, mentre la situazione della inesistenza di altri familiari possa comportare un aumento da un terzo alla metà del punteggio complessivamente conseguito. Nel caso in esame, andrà quindi liquidata agli attori la somma complessiva di Euro 360.000,00 in valori attuali, pari ad Euro 120.000,00 per ciascuno, applicando al numero di punti dagli stessi riportato (23) la riduzione della metà (quindi sino a 11,5) in relazione: all'età degli attori e della vittima, alla circostanza della presumibile presenza di un proprio nucleo familiare che, avrà, per ciascuno di essi, attenuato il dolore per la scomparsa del genitore, all'assenza di coabitazione oltre che di elementi sintomatici di significative ripercussioni del lutto sulle abitudini di vita e sulle relazioni sociali di ciascuno di essi (sul punto, infatti, le prove testimoniali articolate erano assai generiche ed intrise di valutazioni soggettive). Agli attori va, altresì, riconosciuta la giusta compensazione dell'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità del denaro nel tempo intercorso tra la lesione del diritto tutelato e la sua liquidazione per equivalente monetario del bene leso. Nei debiti di valore possono infatti essere corrisposti interessi (ad un tasso che, in mancanza di specifiche indicazioni circa gli impieghi maggiormente remunerativi nei quali il danaro sarebbe stato investito, può determinarsi in misura pari al tasso legale tempo per tempo vigente), in modo da rimpiazzare il mancato godimento del denaro dovuto. Secondo un indirizzo ormai consolidato tali interessi, cosiddetti compensativi, vanno calcolati non sulla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, ma sulla somma capitale (determinata nel giorno dell'insorgenza del credito) via via rivalutata, conformemente all'insegnamento espresso nella nota pronuncia a sezioni unite della suprema Corten.1712/95 (conformi fra le tante Cass. 3666/96; 8459/96; 2745/97; 492/01; 18445/05). Rispetto alle superiori voci di danno non patrimoniale, nell'effettuare il relativo calcolo, occorre dunque procedere alla preventiva devalutazione nominale dell'importo risarcitorio liquidato in valuta attuale sì da rapportarlo all'equivalente alla data di insorgenza del danno medesimo (dunque, per il danno per il danno jure proprio, la data del decesso 25.11.2014) e procedere poi alla successiva rivalutazione si dà conteggiare gli interessi sulle somme che progressivamente si incrementano per effetto della rivalutazione, con cadenza annuale alla stregua delle variazioni degli indici ISTAT - FOI; gli interessi così ottenuti vanno accantonati e cumulati tra loro senza rivalutazione. Operati i conteggi, ai tre figli spetta, a titolo di danno jure proprio, l'importo di Euro 126.089,00 per ciascuno, pari ad Euro 378.267,00 complessivi. Su questa somma spettano gli interessi legali dalla data della presente decisione al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno addossate ai convenuti in solido e liquidate in dispositivo sulla base dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, applicando i valori medi previsti dalla tabella n. 2 (valore fino ad Euro 520.000,00) per le prime due fasi e riducendo del 40% i compensi tabellari relativi alle fasi di trattazione e decisionale, non essendosi svolta attività istruttoria. P.Q.M. Definitivamente pronunziando nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni diversa domanda, eccezione o difesa; in accoglimento delle domande spiegate da (...), (...) e (...), condanna (...) e (...) al pagamento, in solido tra loro, della complessiva somma di Euro 378.267,00 in favore degli attori, oltre interessi legali dalla data della decisione sino al soddisfo; condanna (...) e (...) al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 15.883,00, di cui Euro 1713,00 per spese, oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Così deciso in Trapani il 18 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRAPANI Il Giudice del Lavoro, dott. Dario Porrovecchio, nella causa civile iscritta al n.461 del 2020, promossa DA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Sa.Vi.. - ricorrente - CONTRO (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. Fa.Sa. - convenuta - FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato in data 19.03.2020 la ricorrente in epigrafe, avendo premesso di avere prestato dal 01.09.2018 al 20.10.2018 attività di lavoro subordinato alle dipendenze e nell'interesse di (...) S.R.L., senza essere regolarizzata, svolgendo le mansioni rientranti nella qualifica di O.S.S. di livello IV del CCNL "per i dipendenti di Istituti Socio - Assistenziali - UNEBA", osservando l'orario lavorativo giornaliero dalle ore 21 alle ore 07 e senza percepire retribuzione alcuna, chiedeva condannarsi la convenuta al pagamento della somma di Euro 5.678,85 lordi, a titolo di retribuzione mai percepita, e di Euro 478,49 lordi, a titolo di Tfr o, in subordine, il differente importo giudizialmente accertato. Inoltre, avendo dedotto di essere stata licenziata oralmente in data 20.10.2018, chiedeva dichiararsi l'inefficacia del predetto licenziamento e condannarsi la convenuta al pagamento di un'indennità risarcitoria di importo compreso fra un minimo di 3 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, nonché dell'indennità sostitutiva di preavviso. Ritualmente costituitasi, la parte convenuta contestava la fondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto. La causa, istruita mediante l'escussione testimoniale di (...), (...) e (...), è stata discussa mediante scambio di note di trattazione scritta e posta in decisione. Il ricorso appare fondato nei limiti che seguono. Deve preliminarmente osservarsi che spettava alla ricorrente, in conformità ai principi generali sulla ripartizione dell'onus probandi, dare prova rigorosa della sussistenza del credito vantato in ricorso e dei suoi fatti costitutivi, ossia: l'esistenza del rapporto, la natura subordinata, la durata, le mansioni svolte, l'orario di lavoro effettuato. Ciò premesso, devono ritenersi provate le circostanze dedotte dalla ricorrente a fondamento delle proprie pretese, sia relativamente al rapporto di subordinazione e all'inquadramento contrattuale, sia relativamente all'orario di lavoro osservato. Quanto alla sussistenza del rapporto lavorativo alle dipendenze della convenuta, vanno richiamate le dichiarazioni rese dalla teste (...) ("La ricorrente è stata mia collega a partire dal mese di settembre 2018 e per circa due mesi. In un primo momento ha lavorato presso la diversa struttura di (...), infatti io ricordo che le davo il cambio quando facevo il turno la mattina in quanto la ricorrente smontava dal turno della notte; in un secondo momento la ricorrente è passata presso (...) ed anche presso questa struttura la ricorrente lavorava nel turno notturno (...): la ricorrente ha lavorato nel mese di settembre e nel mese di ottobre") e dal teste (...) ("Io ricordo che la ricorrente ha iniziato a lavorare dopo di me, se non ricordo male nel mese di ottobre 2018 (...) (...) che la ricorrente aveva cominciato a lavorare nel mese di settembre, ma presso una struttura diversa da quella dove lavoravo io cioè (...), avevo infatti sentito fra colleghi che era arrivata un'altra signora che lavorava presso Villa adriana che è un'altra struttura del nostro titolare"). Né coglie nel segno l'obiezione della convenuta secondo cui nel periodo in esame la lavoratrice sarebbe stata assunta alle dipendenze di una Società terza (la "(...) alle (...) srl"), in quanto dalla documentazione esibita dalla ricorrente all'udienza del 23/3/2022 si evince che la stessa fosse stata alle dipendenze di detta società solo a far data dal 20.10.2018, epoca successiva all'oggetto del presente giudizio. Appaiono poi univoche le dichiarazioni rese dai testi escussi in merito all'orario lavorativo osservato dalla ricorrente, collocabile nella fascia oraria compresa dalle ore 21 alle ore 07 ((...): "Ricordo che una notte a settimana io lavoravo insieme alla ricorrente, mentre negli altri turni, quando montavo la mattina vedevo la ricorrente che smontava, mentre quando lavoravo nel pomeriggio, al termine del turno ricordo che arrivava la ricorrente. La ricorrente infatti ricordo che era stata assunta per lavorare nel turno notturno"; (...): "Io ricordo che le davo il cambio quando facevo il turno la mattina in quanto la ricorrente smontava dal turno della notte; in un secondo momento la ricorrente è passata presso (...) ed anche presso questa struttura la ricorrente lavorava nel turno notturno. Che io ricordi lavorava tutte le notti ad eccezione di un giorno libero. Lo posso affermare perché avevamo dei foglietti nei quali erano indicati i turni settimanali e lì vedevo scritto che la ricorrente osservava i turni della notte. Inoltre, quando la ricorrente è passata a (...) lavoravo insieme a lei quando io facevo il mio turno notturno settimanale. Allo stesso modo io vedevo la ricorrente quando montavo la mattina oppure quando io smontavo dal pomeriggio"; (...): "Conosco la ricorrente in quanto faceva il turno notturno (...) Quando io facevo il turno delle 7 quasi sempre vedevo smontare la ricorrente"). In definitiva, dalle suesposte emergenze istruttorie può trarsi la conferma delle deduzioni della ricorrente e cioè che la stessa ha lavorato alle dipendenze della convenuta nei mesi di settembre e ottobre del 2018, dapprima presso la struttura (...) e poi presso la struttura (...), entrambe di proprietà della società convenuta, svolgendo le mansioni di assistenza agli ospiti della struttura, e che abbia osservato il turno di lavoro notturno, dalle ore 21 alle ore 07 del giorno successivo. Passando alla quantificazione del dovuto, possono ritenersi corretti i conteggi allegati in ricorso, in quanto non specificamente contestati (essendosi la convenuta limitata a contestare l'an ma non specificamente il quantum) e redatti da un professionista sulla scorta dei parametri contrattuali corretti e dei parametri fattuali confermati in giudizio. La società convenuta va pertanto condannata al pagamento della somma di Euro 5.678,85, a titolo di retribuzione, e di Euro 478,49, a titolo di Tfr. Va invece respinta la domanda relativa alla dedotta inefficacia del licenziamento. La ricorrente, infatti, non ha fornito, com'era suo onere, la prova del lamentato licenziamento orale. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 21 settembre 2000, n. 12520) ha più volte chiarito che : "Il lavoratore, che agisca in giudizio per la dichiarazione dell'illegittimità di un licenziamento, ha l'onere di provare l'esistenza del licenziamento medesimo (e non la sola circostanza della cessazione di fatto del rapporto), spettando al datore di lavoro la prova della giusta causa o del giustificato motivo oppure della riconducibilità del recesso alle dimissioni del lavoratore stesso. (Nella specie il datore di lavoro non aveva contrapposto l'esistenza di una diversa causa di risoluzione, contestando la sussistenza stessa di un rapporto di lavoro subordinato; il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva rilevato, sulla base di un approfondita considerazione delle circostanze di fatto, che non era intervenuto un licenziamento, sia pure orale, ma un allontanamento volontario del lavoratore - qualificabile come dimissioni - causato da disinteresse per le mansioni prospettategli nell'ultimo colloquio)". Ciò significa che, allorquando il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento la prova gravante sul lavoratore è di regola limitata alla sua estromissione dal rapporto (Cass. n. 4760/2000, n. 6132/01, n. 21684/11), estromissione che, però, non consiste nella "semplice constatazione della cessazione di fatto dell'attuazione del rapporto di lavoro", bensì nella dimostrazione di "uno specifico comportamento del datore di lavoro che a un certo punto abbia rifiutato le prestazioni offerte dal lavoratore", (Cass. n. 6727/01, nonché Cass. n. 12520/00, n. 7614/05), esonerandosi altrimenti il lavoratore dall'onere della prova della effettiva sussistenza di un licenziamento. Alla luce di tale condivisibile orientamento, una volta accertata l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, la ricorrente, ai sensi dell'art. 2967, primo comma cod. civ., avrebbe dovuto dimostrare l'estromissione dal rapporto stesso, vale a dire di esserne stata posta fuori per determinazione del datore. Orbene, la ricorrente non ha dimostrato la sussistenza del licenziamento quale fatto costitutivo del proprio diritto, ossia che la cessazione del rapporto di lavoro inter partes sia avvenuta per effetto di una manifestazione di volontà unilaterale del datore di lavoro e da questi manifestata verbalmente. Ed invero, una prova di tal genere non può dirsi raggiunta, non avendo nessuno dei testi sentiti in giudizio fornito alcun elemento utile a chiarire le modalità della conclusione del rapporto di lavoro. Le spese vanno poste a carico della resistente tenuto conto della prevalente soccombenza nonché del rifiuto della proposta conciliativa da parte della resistente. P.Q.M. In parziale accoglimento del ricorso, condanna (...) S.R.L., a corrispondere alla ricorrente la somma di Euro 5.678,85, a titolo di retribuzione, e di Euro 478,49, a titolo di Tfr, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. Rigetta le restanti domande. Condanna la società resistente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla ricorrente, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori. Così deciso in Trapani il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di TRAPANI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: Dott.ssa Daniela Galazzi - Presidente rel. est. Dott.ssa Arianna Lo Vasco - Giudice Dott. Gaetano Sole - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r. g. .../2021 promossa da: O.M., nata ad E. (T.), il (...) ed elettivamente domiciliata in Trapani, nella Via...., presso lo studio dell'Avv. ....che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso Ricorrente E B.G., nato a T. il (...) Resistente contumace CON L'INTERVENTO del Pubblico Ministero AVENTE AD OGGETTO Separazione giudiziale Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 15/04/2021, M.O. ha chiesto che venisse pronunciata la separazione personale dal marito G.B., con il quale ha contratto matrimonio concordatario in Trapani, in data 05/03/1994, e dalla cui unione sono nati quattro figli - B.E., il (...), B.A., in data (...), e le gemelle O.L. e O.M., in data (...), queste ultime nate in costanza di matrimonio, ma non riconosciute formalmente dal padre -. La domanda principale è senz'altro fondata, poiché è pacifico che da circa 10 anni i rapporti tra i coniugi si sono guastati: la ricorrente ha infatti spiegato per lunghi periodi il marito si è assentato da casa, ritornandovi per brevi periodi di convivenza. Ché l'affectio coniugalis sia venuta meno è ulteriormente comprovato dalla mancata comparizione in questo giudizio del resistente e dal disinteresse mostrato nei confronti dei figli, culminato nel non avere dichiarato la nascita delle gemelle, che portano quindi il solo cognome della madre. A questo riguardo va da subito chiarito che le minori, nate in costanza di matrimonio, si presumono figlie del B., non essendo stata spiegata alcuna azione di disconoscimento di paternità. Quanto alle domande relative all'affidamento delle predette minori, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per mantenere il loro affidamento esclusivo rafforzato alla madre. Sul punto, va evidenziato che le norme introdotte con la L. n. 54 del 2006, e ora inserite negli artt. 337 bis e ss., hanno profondamente modificato il regime di affidamento dei figli, imponendo l'affidamento condiviso come la regola e l'affidamento ad un genitore l'eccezione possibile solo in presenza di determinati presupposti. In altri termini, l'affidamento condiviso e il conseguente esercizio della potestà di entrambi i genitori anche in ordine alle decisioni relative all'ordinaria amministrazione, impone l'assunzione di responsabilità in ordine alla cura ed all'educazione della prole, cui si può derogare solo quando il Tribunale ritenga contrario all'interesse del minore l'affido ad uno dei due genitori. Applicando tali principi al caso di specie, va osservato che il totale disinteresse del padre nei confronti delle figlie, che non ha nemmeno riconosciuto alla nascita e nei cui confronti non ha adempiuto a nessuno degli obblighi di educazione e mantenimento che incombono su di un genitore, costituisca un evidente esempio di condotta tale da giustificare la deroga al regime dell'affidamento condiviso. Ed invero, osserva il Collegio che secondo l'orientamento dominante della Cassazione Civile "integrano comportamenti altamente sintomatici dell'inidoneità di uno dei genitori ad affrontare le maggiori responsabilità conseguenti ad un affidamento condiviso sia la violazione dell'obbligo di mantenimento dei figli che la discontinuità nell'esercizio del diritto di visita degli stessi. Ne discende che, in questi casi, si configura una situazione di contrarietà all'interesse del figlio minore, ostativa, per legge, ad un provvedimento di affidamento condiviso" (Cass. Civ. 17 dicembre 2009 n. 26587). E' infatti pacifico (e non smentito dal resistente) che egli non dà alcuna notizia di sé da tempo, né ha aiutato la moglie a mantenere i figli (precisando sul punto che anche A., di anni 25, non è economicamente indipendente e vive ancora con la madre), nemmeno presentandosi all'udienza presidenziale. Va quindi manutenuto il già disposto affido esclusivo delle minori alla madre nella sua versione rafforzata: competerà, quindi, alla sola O. l'assunzione delle decisioni di maggiore interesse per le figlie, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni delle stesse (cd. affido super-esclusivo). Quanto al regime di visita con il genitore non affidatario si ritiene sussistente l'esigenza di effettuare un monitoraggio degli incontri delle minori con la figura paterna con l'assistenza di personale professionalmente specializzato ed appare opportuno che gli incontri tra il padre e le minori, qualora il primo ritenga di riprendere i rapporti con la prole, si svolgano presso i locali del Servizio Sociale del Comune di residenza delle minori anche al fine di valutare, nell'ambito di tali incontri, per un verso la idoneità del padre ad avviare e sostenere un percorso volto alla instaurazione di un corretto rapporto genitoriale con le figlie e, per l'altro verso, la sussistenza di un serio atteggiamento di collaborazione del padre e le conseguenze che tale atteggiamento spiegano sul rapporto tra il padre e le minori. Va poi posto a carico del B. l'obbligo di concorrere al mantenimento del figlio A., non economicamente indipendente, e delle due figlie minori, L. e M.O., con il versamento dell'importo mensile di Euro 600,00 (Euro 200,00 per ciascun figlio), rivalutabile secondo indici ISTAT; il predetto dovrà anche concorrere nella misura del 50% al pagamento delle spese straordinarie sopportate per i predetti figli, secondo i criteri previsti dal Protocollo in uso presso il Tribunale di Trapani. Quanto alle spese del giudizio, infine, tenuto conto della natura della controversia ed al suo esito, appaiono sussistere giusti motivi per disporne l'integrale compensazione tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, come sopra composto, uditi i procuratori delle parti costituite ed il Pubblico Ministero; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando: pronuncia la separazione personale di O.M., nata ad E. (T.), il (...) e B.G., nato a T. il (...), i quali hanno contratto matrimonio concordatario in Trapani il 05/03/1994, trascritto nei registri dello Stato Civile del medesimo comune al n. 272, parte II, Serie A, Uff. 01, dell'anno 1994; dispone l'affidamento cd. rafforzato delle minori O.L. e O.M. alla ricorrente; dispone che, ove manifesti tale volontà, il padre incontri le figlie minori presso i locali del Servizio Sociale del Comune di residenza delle minori, con modalità e secondo orari determinati dagli Operatori responsabili del predetto Servizio; dispone che B.G. versi a O.M. l'importo di Euro 600,00 a titolo di contributo al mantenimento delle figlie minori e di B.A., importo rivalutabile secondo indici ISTAT, oltre al 50% delle spese straordinarie sostenute nell'interesse della predetta prole, secondo i criteri previsti dal Protocollo in uso presso il Tribunale di Trapani; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali; Dispone che questa sentenza, in copia autentica, venga trasmessa al competente Ufficiale di Stato Civile per le annotazioni e per le ulteriori incombenze di cui al D.P.R. 3 novembre 2000, n. 369. Conclusione Così deciso nella camera di consiglio della Sezione civile del Tribunale di Trapani in data 3 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Arianna Lo Vasco, ha pronunciato la seguente SENTENZA (...) Nella causa civile al n. r.g. (...) promossa da: (...) OPPONENTI Contro (...) OPPOSTA RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...) proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (...) emesso dal Tribunale di Trapani in data 24.09.2018 - integrato con provvedimento di correzione del 25.10.2018 -, con cui era stato ingiunto il pagamento di complessivi Euro 52.809,98 oltre interessi e spese processuali. Premettevano che la Banca opposta aveva fondato la propria pretesa creditoria sul contratto di conto corrente con apertura di credito n. (...) (poi ceduto dalla opposta in favore del (...) in ragione di uno scoperto di Euro 40.086,51, oltre interessi convenzionali e di mora al tasso del 10,25%) e sul contratto di mutuo chirografario n. (...) recante una esposizione debitoria di Euro 9.467,26, oltre che sul contratto di mutuo chirografario n. (...) con esposizione di Euro 3.256,21. Aggiungevano che, a garanzia dei predetti contratti, (...) avevano rilasciato idonea fideiussione. Imputavano l'asserita esposizione debitoria all'indebita applicazione di svariate poste illegittime (spese di gestione, costi di invio dell'estratto conto, operazioni secondo valute fittizie e c.m.s.), al superamento del tasso soglia dell'usura, nonché all'applicazione di un non consentito meccanismo anatocistico. Eccepivano la nullità dei contratti di conto corrente in quanto privi della sottoscrizione da parte della banca - nonché del contratto di apertura di eredito per mancanza di forma scritta, evidenziando che l'opposta in sede monitoria si era limitata a depositare una richiesta di concessione di fido e una comunicazione di concessione fido (che rappresentavano come carenti dell'indicazione delle condizioni economiche applicate). Eccepivano altresì la nullità dei contratti di mutuo chirografario n. (...) e n. (...) per mancanza di causa, giacché stipulati al fine di ripianare l'esposizione debitoria - ritenuta superiore a quella effettiva - nei confronti dell'istituto di credito relativa al c/c di corrispondenza n. (...). Contestavano la validità delle obbligazioni fideiussorie, dolendosi sia della mancata indicazione dell'importo massimo garantito, in alcun modo determinabile, sia della insussistenza dell'obbligazione principale. Spiegavano richiesta di C.T.U. contabile e rassegnavano le seguenti conclusioni: "I. revocare il decreto ingiuntivo opposto, e ciò per le motivazioni di cui in premessa; II. ritenere e dichiarare per i motivi di cui in narrativa, la nullità dei contratti regolamentanti il conto corrente ordinario con apertura di credito alla luce di quanto argomentalo in parte motiva e/o delle clausole contenenti la previsione della capitalizzazione periodica degli interessi passivi ultralegali e delle cms e di ogni altra spesa o costo di tenuta del conto, perché applicati in assenza di valida e/o regolare convenzione scritta; III. ritenere e dichiarare la nullità delle clausole contenenti la previsione della corresponsione della cms, posta la mancata pattuizione e/o non valida e/o non regolare pattuizione delle stesse e/o per mancanza di causa od insufficiente determinatezza; IV. ritenere e dichiarare nulle in quanto indeterminate e-o prive di causa le clausole che impongano spese e costi di tenuta del conto, inserite nel contratto di conto corrente intercorso ira le parti; V. ritenere e dichiarare che il lasso effettivo globale, ai fini della rilevazione dell'usura, debba essere calcolato includendo commissioni sul fido accordato, costi vari di tenuta conto, effetti delle valute differenziate (a sfavore del cliente) per le operazioni attive/passive; VI. accertare e dichiarare che per alcuni periodi vi è stato superamento del tasso soglia di usura, e per l'effetto ritenere interamente non dovuti detti interessi usurari; VII. accertare, la mancata e/o valida pattuizione del tasso di interesse ultralegale, e, per l'effetto, ritenere e dichiarare che non sono dovuti tutti gli interessi addebitati in eccedenza rispetto al tasso legale, pro tempore, vigente; VIII. per l'effetto, e previa consulenza tecnica d'ufficio come infra analiticamente formulata, nonché in base ai criteri ivi indicati: rideterminare il saldo del conto corrente, depurandolo dal tasso ultralegale, dalle commissioni, dalle spese e con corretta applicazione della valuta secondo i criteri indicati in narrativa; IX. da ultimo, ed in base agli esiti delle verifiche sopra indicate, ricalcolare ed accertare il saldo attuale del conto intrattenuto da parte opponente presso la banca convenuta; X. All'esito del predetto ricalcolo dell'attuale saldo del conto intrattenuto presso la banca, accertare se vi è ed a quanto ammonti il debito residuo dell'odierna parte attrice, ovvero se ed in che misura vi è un credito della medesima; XI. Ritenere e dichiarare che i mutui chirografari, meglio descritti in parte motiva, sono nulli e/o parzialmente nulli nella parte eccedente l'importo concesso rispetto all'effettivo debito della correntista, perché carente di causa e/o di oggetto e ciò per le motivazioni esposte in premessa; XII. Per l'effetto, previa depurazione degli interessi applicati al mutuo de quo e/o ricalcolo al tasso legale degli stessi, ritenere e dichiarare a quanto ammonta il presunto credito della banca; XIII. Ritenere e dichiarare che la banca convenuta non può fare valere la garanzia fideiussoria nei confronti dei fideiussori, in quanto l'obbligazione è nulla ovvero estinta, o comunque può farlo solo nei limiti in cui è valido ed esistente il debito principale, e dunque decurtando quelle somme che sono frutto dell'applicazione sul conto corre file e/o sul mutuo di clausole illegittime e/o nulle; XIV. Ritenere e dichiarare, comunque, nulle le fideiussioni perché eccessivamente sproporzionate rispetto al debito principale e ciò per le motivazioni di cui in premessa; XV. Per l'effetto revocare in tutto od in parte il decreto ingiuntivo opposto e ciò per tutte le motivazioni esposte in premessa; XVI. con vittoria di spese, diritti ed onorari da distrarre in favore dei sottoscritti legali". Si costituiva l'opposta (...) n. q. di mandataria con rappresentanza del (...), contestando spiegata opposizione ed invocando la conferma del d.i. opposto, nonché la concessione di provvisoria esecutività. Affermava la correttezza del proprio operato, escludendo sia l'applicazione di poste illegittime - sia la dedotta nullità dei contratti di c/c per carenza di firma della banca nel documento in possesso del correntista. Rilevava che l'opponente non aveva mai mosso contestazioni agli estratti conto periodicamente inviati. Contestava le doglianze degli opponenti relativamente alla validità dei contratti di mutuo, osservando l'assenza di specifica destinazione delle somme erogate e, quindi, di un collegamento funzionale con le aperture di credito su c/c. Evidenziava, con riguardo alle fideiussioni, la sussistenza della precisa indicazione dell'ammontare di ognuna delle garanzie rilasciate. Si opponeva alla chiesta consulenza tecnica, ritenuta meramente esplorativa, e, nel caso di eventuale ammissione della stessa, chiedeva che la ricostruzione del rapporto venisse circoscritta ai dicci anni antecedenti alla chiusura del conto, eccependo la prescrizione del diritto di parte opponente alla ripetizione delle poste eventualmente accertate in epoca antecedente. Nell'ipotesi di revoca del d.i.. chiedeva di condannare: "1) la (...) di (...) ... in persona del legale rappresentante sig. (...) .... pagare al (...), ... la somma complessiva di Euro 52.809,98 di cui Euro 40.086.51, oltre interessi convenzionali e di mora al tasso del 10.25% a far data dal 22.06.2017 quale saldo debitore in linea capitale alla medesima data del contratto di conto corrente di corrispondenza n. (...) Euro 9.467,26 quale saldo dare alla data del 22.06.2017 del contratto di mutuo chirografario oltre interessi corrispettivi e di mora calcolati al tasso contrattualmente convenuto dovuti sulla quota capitale dalla data del 22.06.2017 al soddisfo ed Euro 3.256.21. quale saldo dare alla data del 22.06.2017 del contratto di mutuo chirografario "oltre interessi corrispettivi e di mora calcolati al tasso dell'8,50% dovuti sulla quota capitale dalla data del 22.06.2017 al soddisfo, ovvero quella diversa somma, maggiore o minore, che dovesse essere accertata in corso di causa; 2) i Sig.ri (...) ... a pagare al (...) ricorrente ... la somma complessiva di Euro 49.553,77, di cui Euro 40.086,51 per sorte capitale oltre interessi convenzionali e di mora al tasso del 10,25% a far data dal 22.06.2017 quale saldo debitore in linea capitale alla medesima data del contratto di conto corrente di corrispondenza n. (...) ed Euro 9.467,26 quale saldo dare alla data del 22.06.2017 del contratto di mutuo chirografario n. (...) oltre interessi corrispettivi e di mora calcolati al tasso contrattualmente convenuto dovuti sulla quota capitale dalla data del 22.06.2017 al soddisfo, ovvero quella diversa somma, maggiore o minore, che dovesse essere accertata in corso di causa; 3) la Sig.ra (...) ... di pagare al (...) ricorrente ... la somma complessiva di Euro 40.086,51, oltre interessi convenzionali e di mora al tasso del 10,25% a far data dal 22.06.2017 quale saldo debitore in linea capitale alla medesima data del contratto di conto corrente di corrispondenza ovvero quella diversa somma, maggiore o minore, che dovesse essere accertata in corso di causa; 4) Sig.ri (...) ... e (...) ... pagare al (...) ricorrente ... la somma complessiva di Euro 9.467,26, quale saldo dare alla data del 22.06.2017 del contratto di mutuo chirografario n. (...) oltre interessi corrispettivi e di mora calcolati al tasso contrattualmente convenuto dovuti sulla quota capitale dalla data del 22.06.2017 al soddisfo, ovvero quella diversa somma, maggiore o minore, che dovesse essere accertata in corso di causa". Nel corso del procedimento, veniva inutilmente tentata la mediazione tra le parti, che venivano pure invitate a valutare la seguente proposta conciliativa: - corresponsione da parte della opponente, di una somma unitariamente e complessivamente determinata, puri ad Euro 25.000.00 in favore dell'attrice in 4 rate trimestrali delle quali la prima entro il 31.12.21. con la sottoscrizione di piano di rientro che preveda I immediata decadenza dal beneficio del termine al mancato pagamento di una sola rata e revoca del decreto ingiuntivo; - compensazione delle spese di lite e di CTU; - rinuncia delle parti alle proprie domande ed eccezioni come da atti di causa. La causa veniva istruita tramite approfondimento tecnico-contabile; indi, avviata a decisione. Tanto premesso, si rammenta che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo vede invertirsi la posizione solo processuale delle parti, nel senso che colui che propone l'opposizione al decreto ingiuntivo riveste, solo formalmente, la veste di "attore", ritrovandosi davanti al giudice nella medesima posizione sostanziale che avrebbe avuto qualora il decreto non fosse mai stato pronunciato; il convenuto formale rimane nella sostanza attore. Difatti, giacché l'opposizione vale solo ad invertire l'onere di instaurazione formale del contraddittorio, senza influire né modificare la posizione delle parti, l'opposto, che è attore in senso sostanziale, deve spiegare le proprie domande nel ricorso introduttivo del procedimento monitorio, e provarne il fondamento secondo i principi generali in tema di riparto dell'onere della prova (Cass. sent. n. 2529/06; Cass. sent. n. 7571/06). Pertanto, sulla parte opposta incombe l'onere di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa, non diversamente da quanto accade nell'ordinario giudizio di cognizione. E, proprio "nell'ordinario giudizio di cognizione" è noto che la domanda di adempimento, la domanda di risoluzione per inadempimento e la domanda autonoma di risarcimento del danno da inadempimento (quale quella pure avanzata nella specie) si collegano al medesimo presupposto, costituito dall'inadempimento, mirando tutte a far statuire che il debitore non ha adempiuto (cfr. Cassazione Sezioni Unite Civili n. 13533 del 30 ottobre 2001). Infatti, il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (e, se previsto, del termine di scadenza), mentre può allegare l'inadempimento della controparte, anche alla stregua di fattispecie idonea alla produzione del danno: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. Ciò posto, può sin d'ora premettersi che la trattazione nel merito non è impedita dall'intervento del periodico invio di estratti al correntista: infatti, l'approvazione dell'estratto conto, ai sensi dell'art. 1832 c.c., non comporta allatto la decadenza da eventuali successive eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui dette annotazioni derivano (fra le tante, Cass. 1112/84, 1978/96, 8989/97), e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell'inclusione o dell'eliminazione di partite del conto corrente (così Cass. nn. 2871/2007 e 11749/2006). In nessun caso, infatti, l'eccezione di nullità della clausola avente ad oggetto la pattuizione degli interessi può restare preclusa dall'approvazione tacita del conto (Cass. n. 10376/2006). Deve poi rammentarsi che spetta al giudice - oltre che, come è noto, rilevare l'eventuale nullità parziale, pur ove adito con domanda di nullità integrale - verificare ex officio (Cass. sent. n. 14828/2012), la nullità di clausole contrastanti con nonne imperative, qualora vi sia contestazione, ancorché per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della domanda degli interessi stessi (in caso di anatocismo, Cass. seni. n. 19882/2005), ed analogamente in ordine alla pattuizione di tassi usurari (cfr. Cass. sent. n. 305/2013). Traslando il ragionamento sul piano della ripartizione degli oneri probatori, inoltre, si osserva che. a fronte di specifiche contestazioni di nullità, illegittimità ed indeterminatezza delle pattuizioni, sussiste l'interesse dell'istituto bancario - cui si correla funzionale onere - all'allegazione e prova integrale della rivendicata validità delle medesime (cfr. anche Tribunale di Palermo, V sez., sent. n. 4383/2015 pubbl. il 31/07/2015 e, più di recente, con riferimento al principio della vicinanza della prova, Cass. Civ. sent. n. 24051/2019, punto 4.6 in motivazione). Ad ogni modo, ove, come nel caso di specie, la Banca sia anche attrice in monitorio, è pacificamente gravata da ogni relativo onere. A questo punto, la trattazione nel merito non è neppure impedita dall'eccezione sollevata dall'opponente circa la nullità dei contratti per vizio di forma, giacché manchevoli della sottoscrizione del delegato della banca. Sul punto sia consentito richiamo al principio affermato da Cass. SS.UU. sent. n. 898/2018 (pertinentemente richiamata dalla parte opposta, v. anche Cass. sent. n. 14646/2018): "in tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dal D. Lgs. n. 385 del 1993. art. 117, comma 3, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale. Ne consegue che è sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti". A questo punto, passando alle questioni relative ai rapporti bancari intrattenuti dalle parti, possono essere richiamate le deduzioni del C.T.U., nei termini sotto meglio circoscritti, supportale dai necessari rilievi di specifica competenza e considerando (v. p. 4 elaborato del 23.12.21) l'eccezione di prescrizione utilmente sollevata dalla Banca (Ordinanza n. il del 14/07/2020). Ebbene, il nominato perito, dopo aver esaminato la documentazione versata nel fascicolo telematico, quanto al c/c/ (...), ha correttamente escluso la necessità del ricalcolo del saldo applicando il tasso di interesse legale, in ragione del riscontro, nelle lettere di apertura susseguitesi, di pattuizioni puntuali concernenti tassi di interesse, spese di c/c, c.m.s. e criteri di capitalizzazione. Passando all'analisi di dette poste, il consulente: - non ha espunto la c.m.s. (poi sostituita dalla c.f.a.), ritenendola sufficientemente determinata; - ha condivisibilmente depurato il saldo dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e creditori dall'apertura del c/c sino al 30.06.2000, dal momento che solo in seguito, "l'istituto di credito a partire dall'1/7/2000 si è adeguato alla delibera CICR operando la capitalizzazione degli interessi trimestralmente, e questo per tutta la durata del rapporto"; - secondo la preferibile applicazione dei criteri dettati dalla Banca d'Italia, non ha riscontrato in alcun trimestre il superamento del tasso soglia usura. Il C.T.U. ha, inoltre, esaustivamente risposto alle osservazioni pervenute (Cass. sent. n. 282 del 09/01/2009) ed alle richieste di questo istruttore (cfr. anche ordinanza del 28.02.2022 ritenuto dover invitare il CTU a fornire prospetti alternativi di calcolo in relazione alle osservazioni presentate dalla parte attrice anche in relazione alla dedotta nullità del rapporto di affidamento chiarendo in particolare rispetto a quali pattuizioni sia stata valutata la conformità delle poste applicate e se in concreto eventuali sconfinamenti siano stati pertinentemente classificati rispetto alle valutazioni delle commissioni di scoperto, sempre comunque attenendosi, per quanto riguarda la eventuale usurari età, ai criteri dettati dalla Banca d'Italia tempo per tempo vigenti, ed ai chiarimenti resi da Cass. 16303/18 e non operando riconduzione al tasso soglia in caso di rilievo di mera usura sopravvenuta"), chiarendo che il conto era sempre stato affidato (peraltro specificando anche la data di intervento - prossima alla data di origine del rapporto, 10-5-94/13-6-94, p. 6 dell'elaborato del 4.4.22 - della esplicita indicazione integrativa del tasso fido) e che il complesso delle condizioni pattuite non aveva generato usura originaria. Pertanto, all'evidenza disponibile, il C.T.U. ha originariamente concluso sintetizzando il saldo contabile del c/c n. (...) complessivi Euro 33.281,54 in favore della Banca, comprensivi di accessori alla data del decreto ingiuntivo. Tuttavia, da tale saldo vanno espunte, in accoglimento delle eccezioni di parte attrice, le poste accessorie per CMS e CFA, da un lato perché la compiuta indicazione della prima è stata dedotta solo dalla integrazione con le basi di calcolo indicate nei prospetti trimestrali e, dall'altro, perché l'introduzione di una nuova clausola non può parificarsi alla mera variazione (quand'anche sfavorevole) di condizioni già pattuite ab origine. Il saldo da ritenersi corretto è pertanto quello di Euro 20.551,62 (p. 4 elaborato del 4.4.22) Quanto ai contratti di mutuo chirografario n. (...) e n. (...) il C.T.U. ha riepilogato le rispettive condizioni economiche e ne ha confermato la regolarità, escludendo l'intervenuta applicazione di tassi usurari. Va, poi, disatteso il motivo di opposizione fondato sulla carenza di causa dei mutui stipulati dalle parti, attesa la loro destinazione al ripianamelo di precedenti esposizioni debitorie della mutuataria. Del resto, non è emerso essersi trattato di mutui di scopo: nel caso di specie, come dedotto da parte opposta, la pattuita erogazione doveva direttamente intervenire tramite il versamento sul conto corrente intestato alla stessa mutuataria, di talché il contratto risultava esattamente perfezionato con il suddetto accredito. Ne può essere in linea generale ritenuto che il fine esplicitato di ripianare precedenti passività specie per soggetto operativo sul mercato, non debba essere considerato dall'ordinamento meritevole di tutela. Dunque, accertata la correttezza delle pretese creditorie vantate dalla banca in relazione ai mutui chirografari, rideterminato il saldo contabile del c/c con epurazione delle poste anatocistiche illegittime, gli opponenti vanno condannati (i fideiussori nei limiti dell'importo massimo) al pagamento della minor somma dovuta al creditore opposto, oltre interessi come richiesti dalla costituzione in mora sino al soddisfo (cfr. Cass. civ. n. 24021/2004, n. 5074/1999, n. 1656/1998 e n. 3319/1996). Passando, poi, alla dedotta invalidità delle obbligazioni dei fideiussori, pacifico l'interesse riflesso dei medesimi all'accertamento del saldo contabile, l'istituto di credito, onde contrastare le censure mosse da parte opponente, ha prodotto i contratti sottoscritti da ciascun garante, alla stregua dei quali l'obbligazione di garanzia risulta regolarmente assunta per un importo massimo garantito (indicazione che - come chiarito dalla Cassazione, sent n. 1520/2010 -"corrisponde ad un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico"), affatto sproporzionato (fino alla concorrenza di Euro 60.000.00) rispetto all'entità dei rapporti in esame. Le spese di lite e quelle resesi necessarie per l'approfondimento peritale (liquidate in separato decreto) debbono ritenersi compensate in ragione della reciproca soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e/o difesa disattesa c/o assorbita: - accoglie parzialmente la proposta opposizione e per l'effetto revoca il d.i. n. (...); - condanna l'opponente al pagamento in favore della banca della somma di Euro 20.551,62 oltre accessori come richiesti quale saldo debitore del contratto di conto corrente di corrispondenza n Euro 9.467,26 quale saldo dare alla data del 22.06.2017 del contratto di mutuo chirografario n. (...) oltre interessi come richiesti ed Euro 3.256,21, quale saldo dare alla data del 22.06.2017 del contratto di mutuo chirografario n. (...) oltre interessi come richiesti; - compensa tra le parti le spese di lite; - pone a carico di entrambe le parti le spese occorse per espletare la C.T.U., liquidate come da separato decreto in atti. Così deciso in Trapani il 28 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati: dott.ssa Daniela Galazzi - Presidente dott.ssa Arianna Lo Vasco - Giudice relatore estensore dott. Bucalo Carlo Maria - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 1969/2019 promossa da: (...) e (...) (c.f. (...) n.q. di eredi di (...) (c.f. (...) rappresentati e difesi dall'avv.(...) PARTE ATTRICE contro (...), rappresentata e difesa dall'avv.(...) (...), rappresentata e difesa dall'avv.(...) (...) (c.f. (...) rappresentata e difesa dagli avv.ti (...). e con atto di integrazione del contraddittorio nei confronti di (...), rappresentata e difesa dall'avv.(...) e (...) e (...), rappresentate e difese dagli avv.ti (...) e (...) PARTE CONVENUTA (...) (c.f. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. (...) PARTE INTERVENUTA RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) premetteva che in data 25.08.2018 era deceduto il proprio coniuge (...) il quale aveva cristallizzato le ultime volontà in un testamento pubblico, in cui "nominava eredi universali di tutto il suo patrimonio le nipoti (...) e disponeva, altresì, in favore della moglie l'usufrutto vitalizio di tutti i beni mobili e immobili, nonché, un rendita vitalizia di Euro 2.000,00 mensili a carico dei successori universali", aggiungendo ulteriori disposizioni a titolo particolare Dichiarava l'attrice di non volere accettare il legato in sostituzione di legittima previsto nel testamento del marito e di essere disposta a restituire le somme già percepite a titolo di rendita vitalizia; invocava la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni ritenute lesive della propria quota di legittima (determinata in Euro 681.817,17). Rassegnava le seguenti conclusioni: - In via principale: accertare e dichiarare che la sig.ra (...) è legittimata a chiedere la riduzione delle disposizioni testamentarie che risultano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre; - accertate e dichiarare che all'odierna attrice è riservata la metà del patrimonio lasciata dal marito ... ; - accertare e dichiarare che il legato fatto da (...) alla moglie (...) con testamento pubblico ... va inteso come legato in sostituzione di legittima; - accertare e dichiarare che la volontà della sig.ra (...) di rinunzia espressa al legato di usufrutto vitalizio di beni mobili e immobili e della rendita vitalizia pari ad Euro 2.000,00 mensili, nonché, dei frutti locati come disposto nel testamento ... contenuta nel presente atto soddisfa il requisito della sottoscrizione ai sensi e per gli effetti dell'art. 1350 n. 5 c.c.; - onerare l'odierna attrice alla restituzione della rendita vitalizia pari ad Euro 24.000,00 maturata e maturando, nonché alla restituzione dei frutti locati pari ad Euro 4.000,00, maturandi e maturandi, secondo le disposizioni conseguenziali che il Giudice riterrà più opportune; - Per l'effetto: ordinare la reintegrazione nella quota di legittima spettante alla sig.ra (...) pari alla metà dell'asse ereditario, mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie sia del relictum sia a causa donativo, che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre; - ordinare la riduzione proporzionale della quota ereditaria delle convenute fino alla concorrenza di integrazione della quota di legittima spettante alla sig.ra (...) ...; - condannare le convenute (...) e (...) alle spese, competenze ed onorari del presente giudizio; - In subordine: accertare e dichiarare che la somma percepita dall'odierna attrice pari ad Euro 24.000,00 maturata e maturanda a titolo di rendita vitalizia, nonché, la somma di Euro 4.000,00 maturata e maturanda a titoli di frutti locati sia considerata come somma in acconto sulle maggiori somme dovute a titolo di lesione di legittima. Si costituiva (...) preliminarmente eccependo l'improcedibilità dell'azione per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, nonché l'inammissibilità della domanda per avvenuta accettazione del legato e decadenza dall'azione di riduzione. Rappresentava che parte attrice aveva manifestato inequivocabilmente la propria volontà di accettare il legato, pure costituendo in mora le eredi affinché le corrispondessero le somme previste a titolo di rendita vitalizia e, comunque, godendo sin da subito dell'usufrutto vitalizio sui beni immobili del de cuius, anche tramite l'incasso dei canoni di locazione di un immobile. Negava ad ogni modo la sussistenza di una lesione della quota di legittima, contestando l'avversa ricostruzione del valore della massa ereditaria all'apertura della successione. Chiedeva condanna dall'attrice ex art. 96 c.p.c., ritenendo pretestuose le domande come spiegate. Si costituiva (...) dichiarando di essere venuta ugualmente a conoscenza dell'avvio del presente giudizio ancorché in difetto di regolare notifica dell'atto di citazione, dubitando della regolarità della procura della attrice, in relazione alla quale si riservava di proporre separata querela di falso. Eccepiva l'improcedibilità della domanda ex adverso proposta per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, nonché la disintegrità del contraddittorio per mancata citazione di (...) e (...) pure beneficiarie di legati testamentari, e della donataria (...) Del pari stigmatizzava la definitività della intervenuta accettazione del legato in sostituzione di legittima da parte della (...) che si era immessa nel possesso dei beni ereditari e che aveva già ricevuto dagli eredi diverse mensilità di rendita vitalizia. Contestava, comunque, anche nel merito la sussistenza dell'asserita lesione segnalando, rispetto alle risorse mobiliari, che, nell'ultimo periodo di vita del de cuius, la Banca aveva registrato frequenti ed anomale operazioni di prelevamento in contanti. Così originariamente concludeva: 1) ritenere e dichiarare l'inammissibilità dell'azione avversaria per difetto di notificazione dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio alla deducente Sig.ra(...) 2) ritenere e dichiarare improcedibilità delle domande attoree, per difetto di valido previo esperimento della prevista obbligatoria mediazione, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 28 del 2010, in forza di tutto quanto al riguardo dedotto in narrativa, adottando tutti i provvedimenti consequenziali; 3) ritenere e dichiarare l'eccepito difetto di contraddittorio con riferimento alla mancata citazione in giudizio anche delle Signore (...) e (...) sebbene beneficiarie di legati testamentari, ed eventualmente anche della Sig.ra (...) sebbene beneficiaria di donazione del 4 dicembre 2012 da parte del defunto Sig. (...) adottando per l'effetto tutti i provvedimenti consequenziali; 4) ritenere e dichiarare inammissibili e/o infondate tutte le domande attoree, sia svolte in via principale che in via subordinata e/o gradata, con qualsivoglia motivazione di rito e/o di merito, in forza di tutto quanto dedotto ed eccepito in narrativa; 5) determinare eventualmente per il tramite di apposita consulenza tecnica d'ufficio il corretto valore della massa ereditaria tenendo conto di tutto quanto eccepito in narrativa, soprattutto con riferimento al valore della rendita vitalizia mensile disposta in favore della Sig.ra (...) e del compendio immobiliare in Erice; 6) ritenere e dichiarare, previo accertamento dell'illegittimità dell'impedimento frapposto al riguardo da parte attrice, che al pagamento della rendita vitalizia testamentaria disposta in favore della Sig.ra (...) e del legato in favore della Sig.ra (...) possano le coeredi del defunto marito Sig. (...) procedere utilizzandone le risorse finanziarie depositate sul relativo conto corrente o svincolandone i relativi titoli e azioni, pronunciando al riguardo apposito provvedimento autorizzativo in tal senso, con riserva sin d'ora di domandarlo eventualmente anche già nel corso del giudizio in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c.; 7) quanto al legato in favore della pure convenuta Sig.ra (...) per le ragioni spiegate in narrativa, ritenere e dichiarare che ogni eventuale maggiorazione del legato per effetto dell'applicazione di accessori sulla relativa sorte capitale o spese legali dovrà essere posta solo a carico della stessa Sig.ra (...) con esonero pertanto di tale eventuale aggravio in capo alla odierna convenuta Sig.ra (...) che andrà quindi, eventualmente garantita e manlevata in tal senso; 8) ritenere e dichiarare l'inadempimento della Sig.ra (...) agli obblighi di manutenzione ordinaria dei beni immobili che la stessa possiede in usufrutto e, per l'effetto, risarcire la nuda proprietaria Sig.ra (...) per quanto di ragione e spettanza, dei danni conseguenti, da accertarsi, anche eventualmente in via equitativa, a mezzo di apposita consulenza tecnica d'ufficio di cui si chiede l'ammissione, soprattutto con riferimento al compendio immobiliare in Erice, al fine di descrivere e "fotografare" lo stato dei luoghi, ed il loro stato di manutenzione così da accertarsi se la Sig.ra (...) debba appunto risarcire la nuda proprietaria Sig.ra (...) per tutti i danni, che dovessero riscontrarsi dipendere dall'inadempimento degli obblighi di manutenzione ordinaria a carico dell'usufruttuario, già comunque riscontrabili; 9) in via subordinata, nell'ipotesi di accoglimento delle domande attoree, ritenere e dichiarare che la Sig.ra (...) debba anch'Ella partecipare, pro quota, al pagamento dei debiti ereditari e ciò eventualmente nella misura del 50 % e, pertanto, avuto riguardo alla anticipazioni effettuate dalla Sig.ra (...) condannare parte attrice a rimborsare in favore di quest'ultima il 25 % di quanto dalla stessa corrisposto per debiti ereditari, oltre interessi legali come per legge, eventualmente anche procedendo a compensazione tra le parti, fino alla concorrenza di quanto reciprocamente dovuto; 10 ) sempre in via subordinata, nell'ipotesi di accoglimento delle domande attoree, ritenere e dichiarare che la Sig.ra (...) debba risarcire la Sig.ra (...) per la esclusiva occupazione degli immobili già del "de cuius" ed i percepiti e/o percipiendi frutti civili della locazione e delle somme e titoli presso la (...) S.p.a. secondo la quota del 25% di riconosciuta spettanza di quest'ultima a far data dall'apertura della successione ovvero, in subordine, dalla data della presente domanda giudiziale, con quantificazione del relativo ammontare da demandarsi ad apposita consulenza tecnica d'ufficio di cui si chiede sin d'ora l'ammissione, ed eventualmente anche sempre procedendo a compensazione tra le parti fino alla concorrenza di quanto reciprocamente dovuto. Si costituiva, (...) contestando in punto di fatto e di diritto tutto quanto dedotto da controparte e, in particolare, affermando la tardività della rinunzia al legato di cui in citazione. Concludeva chiedendo il rigetto delle domande attoree, reputate prive di fondamento giuridico. In corso di causa, parte attrice chiedeva l'immediato sequestro giudiziario delle somme di titoli, azioni e quote di partecipazione intestate al defunto (...) presso la (...) Tale istanza cautelare veniva rigettata per difetto di periculum. Nelle more (16.01.2020) decedeva l'attrice (...) successivamente, in data 27.01.2020, con formale comparsa per prosecuzione, costituivano, n.q., (...) affermando di essere stati designati eredi universali nel testamento della zia. Così, in vista della decisione precisavano le conclusioni: - Nel merito in via principale: 1. Accertare e dichiarare che alla sig.ra (...) nella qualità di coniuge superstite del sig. (...) dalla cui unione non sono nati figli, è riservata la metà del patrimonio lasciato dal de cuius; 2.Accertare e dichiarare che la sig.ra (...) è legittimata a chiedere la riduzione delle disposizioni testamentarie che risultano eccedenti la quota di cui il defunto marito poteva disporre. 3. Accertare e dichiarare che il valore complessivo della rendita vitalizia attribuita alla sig.ra (...) dal testamento pubblicato in data 05.09.2018, risultante dalla dichiarazione di successione dell'11.12.2018 n. 1920 Vol. 9990 ove viene indicato in Euro 620.000,00 è incongruo e/o errato con tutte le conseguenze di legge. 4. Accertare e dichiarare che la sig.ra (...) con l'atto introduttivo del presente giudizio, ha espresso valida ed inequivocabile volontà di rinuncia al legato di usufrutto vitalizio dei beni mobili ed immobili e della rendita vitalizia pari, ad Euro 2.000,00 mensili disposti nel testamento pubblico in data 05.09.2018 ai sensi e per gli effetti dell'art. 1350 n. 5 c.c. e che la predetta è disponibile alla restituzione della somma di Euro 24.000,00 maturata e maturanda percepita a titolo di rendita vitalizia e della somma di Euro 4.000,00 maturata e maturanda percepita a titolo di frutti locati e conseguentemente onerare la sig.ra (...) alla restituzione delle somme predette; - Per l'effetto: ordinare l'assegnazione della quota di legittima spettante alla sig.ra (...) pari alla metà dell'asse ereditario mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie sia del relictum sia a causa donativa che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre. Ordinare la riduzione proporzionale della quota ereditaria delle convenute sig.ra(...) fino alla concorrenza di integrazione della quota di legittima spettante alla sig.ra(...) in qualità di moglie del de cuius, alla quale spetta di diritto la metà del patrimonio ereditario che è pari, ad Euro 681.817,17 o in quella maggiore o minore somma che verrà accertata in corso di causa E, comunque, trattandosi di debito di valore, l'importo deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 25.082018 e fino al soddisfo e maggiorato degli interessi legali con decorrenza dal 25.082018 e fino al soddisfo. Qualora tale integrazione venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l'esistenza, nell'asse di beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta, essa deve essere adeguata al mutato valore - al momento della decisione giudiziale- del bene o dei beni a cui l'odierna attrice avrebbe diritto, affinché ne costituisca l'esatto equivalente dovendo, pertanto, procedersi alla relativa rivalutazione. 6. Rigettare tutte le domande, eccezioni e deduzioni spiegate in via principale e in subordine in tutti gli atti di causa da tutti i convenuti e intervenuti, poiché infondate in fatto ed in diritto, con condanna degli stessi al pagamento delle spese, competenze ed onorari. 7. Accertare e dichiarare l'inammissibilità delle memorie 183 co. 6 n.2 e 3 c.p.c. delle convenute (...) e (...) per tutti i motivi spiegati in narrativa e, per l'effetto dichiarare l'espunzione di dette memorie dal presente giudizio. 8. Rigettare le domande formulate dagli, intervenuti, di sospensione del giudizio, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in relazione al giudizio portante R.G. n. 721/2021, pendente innanzi, a Codesto Tribunale dagli intervenienti (...) e/o di riunione degli stessi giudizi, per carenza dei presupposti di legge. 9. Rigettare l'ammissione dei mezzi istruttori di tutti i convenuti ed intervenuti, in quanto inammissibili ed inconcludenti, e l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.. 10. Rigettare tutte le domande di tutti i convenuti, e intervenuti, sia svolte in via principale che in via subordinata e/o gradata, per tutto quanto dedotto ed eccepito in atti e in narrativa. 11. Dichiarare l'accoglimento dell'istanza ex art. 89 c.p.c. volto alla cancellazione delle espressioni offensive per le ragioni spiegate. Con vittoria di spese e competenze professionali sia del giudizio ordinario e sia del sub procedimento. - In subordine: accertare e dichiarare che la somma percepita dall'odierna attrice pari ad Euro 24.000,00 maturata e maturanda a titolo di rendita vitalizia, nonché, la somma di Euro 4.000,00 maturata e maturanda a titolo di frutti locati sia considerata come somma in acconto sulle maggiori somme dovute a titolo di lesione di legittima: Si costituiva, in esito alla notifica di atto di integrazione del contraddittorio, (...) premettendo di aver svolto attività lavorativa non formalmente regolarizzata alle dipendenze dei coniugi (...) in ragione della quale il de cuius si era determinato a stipulare un contratto di donazione avente ad oggetto una somma di denaro pari ad Euro 120.000,00. Deduceva l'improcedibilità dell'azione per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria e l'inammissibilità della domanda attorea per intervenuta e irretrattabile accettazione del legato, nonché la carenza di interesse ad agire dell'attrice per insussistenza della lesione della quota di legittima. Concludeva come segue: - in via preliminare: estromettere dal presente giudizio gli intervenuti Sigg.ri (...) per carenza di legittimazione attiva e inammissibilità dell'intervento; - nel merito, in via principale: accertare e dichiarare l'inammissibilità e/o l'infondatezza in fatto e in diritto delle domande attoree, in quanto la Sig.ra (...) accettando e dando esecuzione per facta concludenza al legato tacitativo, ha rinunciato alla qualità di erede decadendo altresì dal diritto di esercizio dell'azione di riduzione e pertanto rigettare la Domanda; in via subordinata: accertare e dichiarare, in ogni caso, l'insussistenza della lesione della quota di legittima spettante ex lege alla Sig. (...) Per le causali indicate in narrativa e pertanto rigettare la domanda In ogni caso con vittoria di spese, competenze e onorari del presente giudizio. Si costituivano (...) opponendosi all'eccezione di disintegrità del contraddittorio sollevata dalle altre parti, ritenendosi estranee al presente procedimento. Affermavano l'improcedibilità dell'azione di riduzione, evidenziando che l'attrice non aveva accettato con beneficio di inventario. Rassegnavano le seguenti conclusioni: - Dichiarare improcedibile l'azione di riduzione promossa nei confronti delle signore (...) per le ragioni esposte. - NEL MERITO: rigettare qualsiasi domanda di riduzione nei confronti delle signore (...) avendo il testatore disposto in loro favore con la quota disponibile; con richiesta di. condanna ai compensi di lite. Intervenivano infine (...) affermandosi eredi della attrice per rappresentazione in quanto nipoti ex sorore. Deducevano di aver iniziato un parallelo giudizio finalizzato ad ottenere pronuncia di nullità ed invalidità del testamento del 24.11.2018 di (...) profilando l'instabilità della qualità di successore deglieredi (...) e (...) Chiedevano, infatti, la sospensione del presente giudizio o, in subordine, la riunione al detto procedimento pendente innanzi al Tribunale Trapani, recante R.G. n. 794/2021. Così precisavano le conclusioni in vista della decisione: In via preliminare: dichiarare l'ammissibilità dell'intervento spiegato nel presente giudizio; Nel merito in via principale: 1. Accertare e dichiarare che alla sig.ra (...) nella qualità di coniuge superstite del sig. (...) dalla cui unione non sono nati, figli è riservata la metà del patrimonio lasciato dal de cuius; 2. Accertare e dichiarare pertanto che la sig.ra (...) è legittimata a chiedere la riduzione delle disposizioni testamentarie che risultano eccedenti la quota di cui il defunto marito poteva disporre; 3. Accertare e dichiarare, sulla scorta di quanto dedotto in narrativa, che il valore complessivo della rendita vitalizia attribuita alla sig.ra (...) dal testamento pubblicato in data 05.092018, risultante dalla dichiarazione di successione dell'11.12.2018 n 1920 Voi. 9990 ove viene indicato in Euro 620.000,000 è incongruo e/o errato con tutte le conseguenze di legge; 4. Accertare e dichiarare che la sig.ra (...) con l'atto introduttivo del giudizio, ha espresso valida ed inequivocabile volontà di rinuncia al legato di usufrutto vitalizio dei beni mobili ed immobili e della rendita vitalizia pari ad Euro 2.000,00 mensili disposti, nel testamento pubblicato in data 05.09.2018 e che la predetta è disponibile alla restituzione della somma di. Euro 24.000,00 maturata e maturanda percepita a titolo di rendita vitalizia e della somma di Euro 4.000,00 maturata e maturanda percepita a titolo di frutti locati e conseguentemente onerare la sig.ra (...) alla restituzione delle predette somme; 5. Per l'effetto ordinare l'assegnazione della quota di legittima spettante alla sig.ra (...) pari alla metà dell'asse ereditario mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie sia del relictum sia a causa donativo che eccedono la quota di delle de cuius poteva disporre; 6. In subordine accertare e dichiarare cheil legato di usufrutto vitalizio di tutti i beni mobili ed immobili, e la rendita vitalizia di. Euro 2.000,00 disposto nel testamento pubblicato in data 05.09.2018 è da intendersi quale come legato in conto di legittima e che la sig.ra (...) ha diritto di conseguire beni, per un valore pari alla differenza tra la sua quota di legittima e quanto ricevuto a titolo di legato; 7. Per l'effetto dichiarare che la somma percepita dall'attrice pari ad Euro 24.000,00 a titolo di. rendita vitalizia, nonché la somma di Euro 4.000,00 a titolo di frutti locati sia considerata come legato in conto di legittima e che pertanto la sig.ra (...) ha diritto di conseguire beni fino alla concorrenza della propria quota di riserva. Con vittoria di spese e competenze di lite". Essendo andato deserto (salva la comparizione della convenuta (...) il tentativo di mediazione ante causam, questo istruttore disponeva rinvio di tutte le parti in mediazione (12.10.20), invito disatteso dalle convenute (...) (che faceva pervenire dichiarazione di non adesione per infondatezza della domanda avversaria). La convenuta (...) modificava ripetutamente in corso di causa le conclusioni, via via riducendo le domande, ritenendo su taluni punti sopravvenuta la cessazione della materia del contendere e formulando domande nuove di rimborso nei confronti degli eredi dichiarati di (...) Si trascrivono quindi per completezza le domande come precisate in atti conclusivi, unitamente alla reiterazione delle richieste istruttorie: 1) ritenere e dichiarare l'inammissibilità dell'azione avversaria per difetto di notificazione dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio alla deducente Sig.ra (...) 2) ritenere e dichiarare inammissibili e/o infondate tutte le domande attoree, sia svolte in via principale che in via subordinata e/o gradata, con qualsivoglia motivazione di rito e/o di merito, in forza di tutto quanto dedotto ed eccepito in atti ed in narrativa; 3) determinare eventualmente per il tramite di apposita consulenza tecnica d'ufficio il corretto valore della massa ereditaria tenendo conto di tutto quanto eccepito in atti ed in narrativa, soprattutto con riferimento al valore della rendita vitalizia mensile disposta in favore della Sig.ra (...) e del compendio immobiliare in Erice; 4) quanto al legato in favore della pure convenuta Sig.ra (...) per le ragioni spiegate in atti ed in narrativa, ritenere e dichiarare che ogni eventuale maggiorazione del legato per effetto dell'applicazione di accessori sulla relativa sorte capitale o spese legali dovrà essere posta solo a carico della Sig.ra (...) e, ora, dei suoi eredi, con esonero pertanto di tale eventuale aggravio in capo alla odierna convenuta Sig.ra (...) che andrà quindi eventualmente garantita e manlevata in tal senso; 5) in via subordinata, nell'ipotesi di. accoglimento delle domande attoree, ritenere e dichiarare che la Sig.ra (...) e, ora, i suoi eredi, debbano partecipare, pro quota, al pagamento dei debiti ereditari, e ciò eventualmente nella misura del 50% e, pertanto, avuto riguardo alla anticipazioni effettuate dalla Sig.ra (...) condannare parte attrice a rimborsare in favore di quest'ultima il 25 % di quanto dalla stessa corrisposto per debiti ereditari, oltre interessi legali come per legge, eventualmente anche procedendo a compensazione tra le parti fino alla concorrenza di quanto reciprocamente dovuto; 6) sempre in via subordinata, nell'ipotesi di accoglimento delle domande attoree, ritenere e dichiarare che la Sig.ra (...) e, ora i suoi eredi, debbano risarcire la Sig.ra (...) per la esclusiva occupazione degli immobili già del "de cuius", per i percepiti frutti civili della locazione e delle somme e titoli presso la (...) S.p.a., secondo la quota del 25 % di riconosciuta spettanza di quest'ultima, a far data dall'apertura della successione, ovvero, in subordine, dalla data della presente domanda giudiziale, con quantificazione del relativo ammontare da demandarsi ad apposita consulenza tecnica d'ufficio di cui si chiede sin d'ora l'ammissione, ed eventualmente anche sempre procedendo a compensazione tra le parti fino alla concorrenza di. quanto reciprocamente dovuto; 7) ritenere e dichiarare che la Sig.ra (...) e, ora i suoi eredi, sono tenuti, a rimborsare alla Sig.ra (...) l'importo, calcolato come pari ad Eurouro 1.084,35, o quell'altra somma che eventualmente sarà ritenuta dovuta, eventualmente per il tramite di apposita C.T.U., oltre interessi legali dal dovuto fino all'effettivo soddisfo, a titolo di spese pro quota dovute quale usufruttuaria per la dichiarazione di successione al defunto marito Sig. (...) la cui imposta è stata anticipata dalla Sig.ra (...) e, per l'effetto, condannare chi di ragione al relativo pagamento. Con istanza ex art. 89 c.p.c. del 28.6.21 il difensore della parte attrice, ritenendo offensivo del proprio decoro professionale parte del contenuto della memoria n. 3 ex art. 183 co. 6 c.p.c. depositata dal procuratore costituito Avv. (...) della convenuta (...) (che indicava pure condiviso dal procuratore Avv. (...) della convenuta (...) chiedeva disporsi la cancellazione della pag. 2 della memoria n.3 a firma dell'Avv. (...) (contenente le seguenti deduzioni "Con la presente memoria la convenuta sig.ra (...) si trova subito costretta e denunziare formalmente grave illecito disciplinare commesso dall'Avvocato (...) e consistente nel deposito in atti di corrispondenza intercorsa tramite pec con il Sottoscritto legale e con quello della sig.ra (...) ed avente ad oggetto trattative transattive mei formalizzatesi, nell'evidentemente "disperato ma inutile- tentativo di superare le difese di. parte convenuta." adesso la Legale si è infatti spinta a violare manifestamente l'art. 28 del Codice Deontologico Forense che, al primo comma, prevede chiaramente che "Non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi" ....Ciò doverosamente subito lamentato, e con espressa riserva di notiziarne il Consiglio Dell'Ordine di appartenenza della Legale ") e della pag.2 della memoria n. 3 a firma dell'Avv. (...) ("Questa difesa si associa alle eccezioni, già articolate dalla sig.ra (...) con terza memoria 183 6 comma c.p.c., relativamente alle violazioni del codice deontologico perpetrate dall'Avv. (...) nel produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa tra il sottoscritto procuratore, l'avv. (...) e la medesima avv. (...) perché afferente ad un fase di valutazione strogiudiziale al solo fine di evitare l'alea ed i costi dell'attuale procedimento giudiziario... La violazione del codice deontologico forense è palese."). Disattese le richieste istruttorie, la causa veniva avviata a decisione. Tanto premesso, va sin d'ora evidenziato, in relazione al tentativo di mediazione disposto in corso di causa, con la specifica finalità di favorire l'incontro delle parti al completo, che la ferma opposizione preventiva (...) con il mero invio di una pec nella quale si espone la propria convinzione in ordine al merito della lite, ed a maggior ragione la mancata comparizione personale (...) sono condotte che si scontrano con la natura, i presupposti, e la finalità dello stesso istituto preventivo concepito allo scopo di facilitare il reciproco e contestuale chiarimento delle proprie posizioni. Ne discende la condanna per le tre parti sopra indicate al pagamento della sanzione prevista dall'art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010, pari al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Sempre preliminarmente, l'eccezione sull'omessa notifica dell'atto di citazione, sollevata dalla convenuta (...) deve ritenersi superata dalla costituzione di costei, comprensiva di ampie ed articolate difese in via preliminare e nel merito. Ciò posto, osserva il Tribunale che l'eccezione di decadenza ex art. 551 cc. è fondata ed assorbente rispetto alle ulteriori questioni agitate dalle parti. Ed invero, la volontà - esplicitata e declinata in comportamenti ed atti in sé non contestati - dell'attrice originaria di conseguire il legato tacitativo, risulta incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione, nonché inconciliabile con il diritto patrimoniale (perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie ritenute lesive della sua quota di riserva (Cass. sent. n. 1373/2009). Né la rinunzia al legato formulata in citazione (ancorché con dichiarazione di disponibilità a restituire quanto medio tempore ottenuto) può rilevare a privare di significato concludente la condotta esecutiva posta in essere anteriormente alla causa. Né tantomeno rileva il fatto che la (...) nel chiedere l'adempimento della prestazione di rendita vitalizia, si fosse "riservata" ogni azione a tutela dei propri diritti, trattandosi di mera formula di stile, inidonea a contrastare l'efficacia di una effettiva costituzione in mora, finalizzata proprio a conseguire le prestazioni oggetto del legato. Il superiore più liquido rilievo preclude pertanto ogni restante questione. Le riconvenzionali, in larga parte subordinate, risultano assorbite. Risulta poi tardiva ed in ogni caso inammissibile ex art. 36 c.p.c. la domanda tesa al rimborso delle spese funerarie nei confronti degli eredi dichiarati in morte di (...) Infondata risulta la domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata nei confronti della parte attrice, non ricorrendo i presupposti di cui alla richiamata norma, la quale - nel disciplinare come figura di danno extracontrattuale la responsabilità processuale aggravata per mala fede o colpa grave della parte soccombente in un giudizio di cognizione - non deroga al principio secondo il quale colui che intende ottenere il risarcimento dei danni deve dare la prova sia dell'an che del quantum, ed il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente Resistenza (cfr., ex plurimiy, Cassazione civile, sez. III, 27.2.1980 n. 1384). Detta condanna, quale sanzione dell'inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuno è tenuto, non può derivare solo dal fatto della prospettazione di tesi giuridiche non condivise dal giudice, occorrendo che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell'ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi. L'accoglibilità di detta domanda è quindi condizionata alla dimostrazione di specifici presupposti, individuabili nel dolo o nella colpa grave di controparte, nonché nella dimostrazione dell'effettiva e concreta esistenza di un danno consequenziale al comportamento di quest'ultima. Nel caso di specie, invece, la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. è sfornita di ogni elemento probatorio a sostegno, sia per quanto attiene all'elemento soggettivo (dolo o colpa grave) che oggettivo (entità del danno sofferto) e quindi non può essere accolta. Non è stata infatti raggiunta la prova né dell'esistenza di un danno risarcibile conseguente all'instaurazione del giudizio, naturalmente ulteriore rispetto alle spese processuali sostenute. Vanno infine disattese le richieste, avanzate da parte attrice, di cancellazione delle frasi indicate come offensive e sconvenienti, poiché sebbene formulate in un'ottica di aspro confronto dialettico, esse non si contraddistinguono comunque per una primaria funzione offensiva dell'avversario, né ledono il rispetto dovuto al Giudice ed all'amministrazione della giustizia. Al riguardo deve dunque trovare applicazione il principio secondo cui la sussistenza dei presupposti per la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute negli scritti difensivi, va esclusa allorquando le espressioni in parola, come nella specie, non siano dettate da un passionale ed incomposto intento dispregiativo e non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della controparte (o dell'ufficio), ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento dell'avversario, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni (Cass. 26 luglio 2002, n. 11063; Cass. 20 gennaio 2004, n. 805), come nella specie. Le spese seguono la preminente soccombenza e si liquidano in dispositivo a carico della parte attrice ed intervenuta, portatori di identico interesse, comprensive di quelle occorse per la fase cautelare. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e/o difesa disattesa e/o assorbita: - respinge le domande principali e degli intervenuti; - dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale residua proposta da (...) - condanna gli attori e gli intervenuti nella prosecuzione del giudizio a rimborsare alle parti convenute e chiamate (per (...) in favore dell'Erario) le spese di lite della fase di merito che si liquidano in Euro 2767.00 per compensi, oltre oneri fiscali e previdenziali nella misura legalmente dovuta e spese ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014 nella misura del 15%; per (...) esborsi nella misura di Euro 518,00; in favore di quelle resistenti nella fase cautelare anche Euro 1250.00 per compensi oltre oneri fiscali e previdenziali nella misura legalmente dovuta e spese ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014 nella misura del 15%; - condanna (...) al versamento della sanzione prevista dall'art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010. Così deciso in Trapani il 26 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TRAPANI Sezione Civile Il Tribunale, nella persona della Dott.ssa Daniela Galazzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2023/2020 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente TRA (...), elettivamente domiciliata in Calatafimi Segesta, via (...) presso lo studio dell'Avv. Fr.Ma., che la rappresenta e difende giusta procura in atti; Opponente CONTRO C. s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in Trapani, Via (...) presso lo studio dell'avv. Gi.Sc., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti; Opposta MOTIVI DELLA DECISIONE (...) ha proposto tempestiva opposizione avverso il decreto ingiuntivo 479/2020, con il quale il Tribunale di Trapani le ha ingiunto di pagare, in favore della (...) in liquidazione, la somma di Euro 110.000,00, oltre interessi e spese, in adempimento al contratto di appalto sottoscritto dalle parti in data 15.2.2008, relativo a lavori di urbanizzazione primaria del Piano di Lottizzazione Pioppo-Franco, giusta convenzione di lottizzazione stipulata con il Comune di (...) S. da eseguire su terreni di proprietà della signora (...) siti nel Comune di (...) S. nel N. C.T. Foglio (...) p.lle (...) destinati a zona industriale, Assumeva l'opponente la carenza di legittimazione attiva della società ingiungente, in quanto la società identificata con partita IVA (...) risulta cessata a far data dal 13.4.1990. Rilevava poi che la fattura azionata era stata emessa dalla (...) srl - P.IVA (...), ovvero da un soggetto diverso dal ricorrente, ovvero Impresa (...) srl in liquidazione avente P.IVA (...), e di non avere mai ricevuto alcuna comunicazione né dell'avanzamento dei lavori né di altra attività relativa al contratto di appalto azionato. Sosteneva infine che obbligati all'eventuale pagamento sarebbero pure i terzi che, nel corso del tempo, avevano acquistato molti lotti di proprietà dell'odierna opponente. L'opposizione è infondata e va rigettata. In via preliminare, deve rilevarsi che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione (cfr. ex multis Cass. n. 5186/2003). Ne consegue che il giudice dell'opposizione è investito del potere - dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte ex adverso ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso (cfr. ex multis Cass. N. 7188/2003). Di conseguenza, il presente giudizio di opposizione, non essendo mera impugnazione del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma costituendo un ordinario giudizio di cognizione di merito, teso all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito azionato dal creditore con il ricorso ex artt. 633 cod. proc. civ. (cfr. Cass. N. 6421/2003) deve procedere alla verifica della fondatezza o meno della pretesa sostanziale azionata dall'ingiungente in sede monitoria, ed ove il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l'ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino l'insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura e che potrebbero valere soltanto ai fini di una diversa statuizione sulle spese della fase monitoria (Cass. N. 6663/2002). Va poi ricordato che, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per l'adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione. Del pari, quando sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell'esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione. (cfr. Cassazione civile, Sez. 3, 20/01/2015, n. 826). Tanto premesso, non coglie nel segno l'eccezione di carenza di legittimazione attiva spiegato dall'opponente. E' invero evidente che nel contratto di appalto (...) ha indicato partita IVA e CF con lo stesso numero, quando, in verità, il codice fiscale è (...) e la partita IVA è (...). Inoltre, risulta dagli atti che l'impresa venne iscritta nel registro delle imprese di M.- M. - B. - L. il 12/02/1996, che cessò la sua attività in data 13/04/1990, causa trasferimento nella provincia di Trapani, (come espressamente richiamato pure nella visura depositata dall'opponente) con cancellazione dalla posizione (...) della provincia di Milano; in seguito al trasferimento della sede legale ad A., l'impresa venne iscritta il 15.10.1990 con (...) n. Tp 89903 e sempre con codice fiscale (...) e partita iva (...) (cfr. Cass. 16775/2020: "l'effetto estintivo della cancellazione del registro delle imprese si ha solamente a seguito di una procedura di liquidazione e comunque della cessazione dell'attività d'impresa: non rientra dunque in tale ambito il caso in cui detta cancellazione venga effettuata per il trasferimento della sede sociale. In tale ipotesi la società rimane titolare delle obbligazioni tributarie e mantiene anche la capacità processuale"). In ultima analisi, non vi sono dubbi che la società che ha agito in monitorio sia la stessa che ha concluso il contratto di appalto con esso azionato, né risulta che la stessa sia estinta. A nulla rileva che (...) abbia ceduto un ramo di azienda da (...) ad altra società, posto che non si fa questione di pagamento effettuati ad eventuale cessionario. Infine, deve rilevarsi che parte opposta non ha contestato l'effettuazione dei lavori, limitandosi a sostenere genericamente di non avere ricevuto SAL né informazioni sul loro svolgimento; soltanto con la prima memoria, ha contestato genericamente il computo metrico ed i prezzi applicati. Orbene, la circostanza che l'opponente non abbia tempestivamente avanzato alcuna osservazione rispetto ai lavori indicati nella fattura posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, e che, anche in fase di prima memoria ex art. 183 IV co c.p.c., abbia formulato generiche contestazioni, non rende ammissibile la richiesta di consulenza tecnica, in quanto la stessa sarebbe esplorativa. In ultima analisi, l'opposizione è infondata. Al rigetto dell'opposizione segue la condanna dell'opponente in favore dell'opposta al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 5.621,00 (applicati i parametri medi, senza la fase istruttoria che non vi è stata, con riduzione del 30% in assenza di questioni di fatto e di diritto), oltre accessori di legge. DISPOSITIVO P.Q.M. Il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così provvede: rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 479/2020; condanna parte opponente al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte opposta, liquidate in complessivi Euro 5.621,00, oltre iva, cpa e spese generali come per legge. Così deciso in Trapani il 10 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice (...) all'esito della discussione orale, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura di dispositivo e contestuale motivazione (art. 281 sexies c.p.c.) la seguente SENTENZA nella eausa iscritta al n. del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente TRA (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, e (...), rappresentati e difesi dall'avv. (...) per procura a margine dell'atto di citazione. OPPONENTI E (...) - (...)., in persona del procuratore speciale, nella qualità di mandataria con rappresentanza del (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) per procura in atti OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE La controversia ha ad oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo n. (...) emesso dal Tribunale di Trapani in data in accoglimento del ricorso proposto da (...) "(...)" di (...) - per l'importo di Euro 28.843,85 oltre interessi di mora al TASSO DEL 10.25% a far data dal 6.9.2017 oltre accessori e spese, pari all'ammontare del saldo debitorio del rapporto di conto corrente di corrispondenza n. (...), acceso in data 16.2.2009 a nome della societa (...) presso l'Agenzia di Trapani del detto istituto di credito estinto e passato a sofferenza il 30.6.2017. con aperture di credito meglio indicate in atti garantite da fideiussione fino ad Euro 15.000,00 da pane del legale rappresentante della società, (...) Gli opponenti hanno chiesto, con vittoria delle spese di lite, la revoca del decreto ingiuntivo stante la insussistenza del credito ingiunto; hanno lamentato, in particolare, l'avvenuta posticipazione delle valute, l'applicazione dell'anatocismo - in tesi illegittimo perché non fondato su valide clausole contrattuali - oltre che di spese, valute, e commissioni non concordate, nonché l'applicazione di interessi oltre soglia. Hanno, dunque, chiesto la revoca del decreto ingiuntivo opposto, con ricalcolo del saldo del conto previa declaratoria di nullità del contratto e delle sue clausole. (...), n. q. di mandataria con rappresentanza del (...) - cessionari del credito giusta ano di cessione di crediti in blocco pro soluto del 02.12.2017 a rogito del notaio dott. (...) di (...) Rep. (...) Racc. (...)) con comparsa di costituzione del 6.6.2018 ha dedotto, invece, la validità delle clausole contrattuali contestate e comunque la legittimità dell'operato dell'istituto di credito per le ragioni meglio spiegate nella propria comparsa. Ha chiesto, pertanto, il rigetto delle domande attorce e la conferma del decreto ingiuntivo con vittoria delle spese di lite. Negata la provvisoria esecuzione del decreto e avviate le parti in mediazione; la causa, istruita mediante produzione documentale e ctu contabile (cfr. ordinanza del 22.1.2019) le cui conclusioni supportate dai necessari rilievi di competenza specifica questo giudice ritiene di condividere (cfr. relazione dott.ssa (...) depositata in data 22.1.2021) - è pervenuta all'odierna udienza di discussione, tenuta nelle forme della trattazione scritta, previa concessione di termine per il deposito di note conclusive. 2. Merito della lite Occorre in primo luogo ricordare che con il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un ordinario giudizio a cognizione piena nel quale le parti, pur risultando processualmente invertite, conservano la loro posizione sostanziale, ovvero il creditore opposto quella di attore in senso sostanziale ed il debitore opponente quella di convenuto di fatto, donde il permanere dei rispettivi oneri probatori ex art. 2697 c.c. non diversamente da quanto accade nell'ordinario giudizio di cognizione (cfr. Cass. 77/1969): in altri termini, chi agisce in giudizio ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato e, quindi, deve dimostrare l'esistenza del contratto da cui deriva l'obbligazione dedotta in giudizio e l'adempimento della propria obbligazione, gravando sul debitore l'onere di fornire la prova di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento (cfr. Cass. S.U. 13533/2001). Applicando tale principio al caso di specie, va rilevato come l'esistenza dei rapporti bancari posti a fondamento della domanda monitoria risulta documentatamente provata alla luce della produzione da parte della Banca opposta dei contratti stipulati dalle parti (cfr. lettera di apertura di conto corrente n. (...) apertura di credito n. (...) del 27.11.2009 fino alla concorrenza di Euro 10.000.00; contratto di aumento di apertura di credito del 23.02.2012 fino alla concorrenza di Euro 25.000.00) nonché degli estratti conto completi, dal 18.02.2009 al 30.06.2017. lettera di fideiussione e attestazione ex art. 50 TUB. a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo e della comparsa di risposta. Tanto premesso, il Tribunale rileva e osserva quanto segue. Orbene, infondate sono le deduzioni inerenti alla capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito (o anatocismo, cioè quell'operazione di "conversione degli interessi in debito di capitale allo scopo di provocare la decorrenza di nuovi interessi sulla somma per tale titolo dovuta"). Sul punto deve ricordarsi che l'art. 120 TU Bancario, nel testo applicabile al caso di specie, ha attribuito al CICR il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria. Con l'emanazione della relativa deliberazione (in data 9.2.2000, pubblicala nella G.U. 22 febbraio 2000), deve da quella data ritenersi la legittimità della capitalizzazione degli interessi pattuita mediante apposite clausole contenute nei contratti bancari. Quindi, la disciplina introdotta dal CICR vale per: - i contratti bancari stipulati dopo la data di entrata in vigore della Del.CICR 9 febbraio 2000; - contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della delibera, ma con l'adeguamento con effetto dal 1 luglio 2000: l'art. 7 della delibera CICR stabilisce che le condizioni pattuite devono essere adeguate alle disposizioni contenute nella delibera entro il 30/6/2000. Nella fattispecie, dall'esame del contrano stipulato inter partes emerge ictu aculi il rispetto, nel periodo di interesse, della pari periodicità tra interessi debitori e creditori per la capitalizzazione (trimestrale), sicché il motivo di opposizione deve ritenersi infondato. Per quanto attiene alle spese di tenuta di conto e altre voci di spesa applicate dalla banca nonché la c.m.s., per come anche puntualmente evidenziato dal CTU. dall'analisi del contratto prodotto è emersa la loro precipua pattuizione e previsione. Nemmeno può ritenersi fondato il motivo di opposizione correlato alla illegittimità del computo delle valute. Ed infatti, il ctu. previa verifica della conformità dei criteri seguiti dalla banca per il calcolo delle valute sugli addebiti e accrediti alle previsioni negoziali, ha chiaramente e condivisibilmente affermato che "il conto corrente di corrispondenza è conforme alle norme sia con riferimento alla disponibilità delle somme versate, sia con riferimento ai bonifici in entrata e in uscita che con riferimento alle altre operazioni bancarie; pertanto, le valute applicate non violano alcun principio". 2.2. Vanno, poi, esaminali i motivi di opposizione relativi alla fondatezza della pretesa creditoria formulata nei confronti degli opponenti. Quanto alle doglianze in materia di CMS, occorre ricordare che la clausola che la prevede deve esser determinata o determinabile, prevedendo base di calcolo, periodicità e aliquota (cfr. Cass. 870 del 18.1.2006. ove la commissione di massimo scoperto viene indicata come "la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma"). Nel caso in esame, l'istituto di credito pur determinando l'aliquota non ha specificato né il metodo di calcolo né il valore sul quale la stessa debba essere applicata, sicché la relativa pattuizione può e deve ritenersi affetta da evidente genericità cd indeterminatezza. Orbene, è necessario, a questo punto, analizzare la doglianza relativa all'applicazione al rapporto di conto corrente oggetto di causa di un tasso di interesse usurario. Tale motivo di opposizione è infondato. Per il calcolo del TEG contrattuale ai fini della verifica di un eventuale superamento dei limiti imposti dalla normativa antiusura del tasso interesse pattuito nei contratti, occorre applicare le istruzioni di B.I. tempo per tempo vigenti, considerate quali normativa secondaria di natura tecnica vincolante per il presente giudizio. E', infatti, coerente con la normativa bancaria vigente che la B.I. abbia emanato Istruzioni per la rilevazione del TEG. attesa l'ineludibile esigenza di raccogliere dagli intermediari dati tra loro coerenti cd omogenei in modo da poterli raffrontare e conglobale al line di determinare il valore medio. Le Istruzioni della B.I. rispondono, quindi, alla necessità logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare e hanno, altresì, natura di nonne tecniche previste ed autorizzate dalla disciplina regolamentare, necessarie per l'applicazione di tutta la normativa unti-usura. Ebbene, in applicazione di tali criteri, all'esito della CTU. è stato accertato che per il conto corrente (e relative aperture id credito) non sono stati pattuiti interessi in misura superiore al tasso soglia. E' bene evidenziare che, alla luce del più recente orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si esclude che il superamento del tasso soglia degli interessi corrispettivi originariamente convenuti in modo legittimo (senza oltrepassare il limite dell'usurarietà). in corso di esecuzione del rapporto possa determinarne ex artt. 1339 e 1418 cod. civ. la riconduzione entro il predetto tasso soglia stabilito dalla legge così come integrata dal d.m. periodicamente emanati al riguardo (cfr. Cass.. SU n. 24675 del 2017). In particolare, la Suprema Corte, prendendo spunto dalla questione relativa all'incidenza del sistema normativo antiusura, introdotto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 sui contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, anche alla luce della norma di interpretazione autentica di cui all'art. I. comma I. D.L. 29 dicembre 2000, n. 394. conv. dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24. ha espresso un principio di respiro più ampio, chiarendo che, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996. non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto. Tuttavia, va precisato che, appurata la presenza di una clausola contrattuale legittimante l'esercizio dello ius variandi, può accertarsi l'esistenza di variazioni pattuite dei tassi praticati in misura oltre soglia. Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, atteso che, per le motivazioni sopra esposte, il calcolo ai fini dell'usura va condona sulla base del c.d. criterio del Teg, ovverosia sulla scoria delle indicazioni tempo per tempo offerte dalla B.I., e non già in base al diverso criterio del Taeg (rispetto al quale la consulente ha evidenziato il ricorrere dello sforamento del tasso soglia per alcuni periodi). In definitiva, l'opposizione va integralmente rigettata. Va a questo punto sottolineato come la stessa parte opposta ha espressamente rilevato l'erroneità del decreto ingiuntivo opposto nella parte in cui non limita la responsabilità solidale del fideiussore all'impone massimo garantito, pari ad Euro 15.000.00. con la conseguenza che il decreto ingiuntivo va revocato nella parte in cui condanna (...) al pagamento dell'intera somma e non già entro la misura dell'importo garantito. 3. Spese di lite Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico della (...) e liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Alla luce della revoca del decreto ingiuntivo nei confronti di (...), con condanna di costui al pagamento di una somma pari a meno della metà della somma ingiunta con il decreto ingiuntivo, sussistono giusti motivi per compensare le spese tra l'opponente (...) (n.q. di fideiussore) e la banca opposta. Le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, vanno definitivamente poste a carico di (...) e (...), in solido tra loro. P.Q.M. Come in epigrafe Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede: 1) rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (...) reso dal Tribunale di Trapani in data (...) che conferma con riguardo alla posizione della (...). 2) revoca, per le ragioni di cui in parte motiva, il decreto ingiuntivo n. con riguardo alla posizione del fideiussore (...); (...) condanna (...) a pagare a parte opposta, in solido con la (...) 4) condanna (...) al pagamento delle spese di lite che liquida, a sensi del D.M. n. 55 del 2014. in Euro 3.655.00 per compensi, oltre IVA. CPA e spese generali come per legge; 5) compensa le spese di lite tra (...) e (...).; 6) pone le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, definitivamente a carico di (...) e (...), in solido tra loro. Così deciso in Trapani il 12 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI SEZIONE CIVILE Il Giudice, nella persona della Dott.ssa Daniela Galazzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 733/2019 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente TRA (...) S.R.L. IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA nella persona degli Amministratori p.t. Avv. Gr.Fi. e Avv. St.Ma., elettivamente domiciliata in Palermo, nella Via (...), presso lo studio dell'Avv. Fl.Bl. che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce all'atto di citazione; Opponente CONTRO CONDOMINIO (...), in persona dell'Amministratore p.t. Na.In., elettivamente domiciliato in Misilmeri (PA), in Cors (...), n. 498, presso lo studio dell'Avv. Be.Sp. che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce alla comparsa di risposta Opposto MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposizione proposta dall'Amministrazione giudiziaria della s.r.l. (...) nei confronti del decreto ingiuntivo n. 66/2019 emesso da questo Tribunale in data 5/2/2019 è fondata e va accolta. Con il predetto decreto monitorio, il Condominio (...) ha chiesto all'opponente il pagamento delle quote accessorie ordinarie e del consumo di acqua per le annualità comprese tra il 2015 e il 2018, relative a due magazzini facenti parte del magazzino, di proprietà della società sottoposto a misura di prevenzione. L'opponente ha eccepito la mancanza di prova dell'importo richiesto, allegando l'omessa delibera di approvazione della ripartizione degli oneri condominiali di cui ai bilanci consuntivi approvati per gli anni 2015,2016,2017 e 2018, nonché la propria carenza di legittimazione passiva, avendo concesso in locazione l'immobile facente parte del Condominio ingiungente alla società (...) s.r.l. unipersonale, oggi denominata (...) S.r.l.. Ha infine concluso chiedendo al Tribunale di "nel merito, ed in accoglimento della spiegata opposizione, ritenere e dichiarare illegittimo ed inammissibile il D.I. n. 66/19 emesso in data 5 febbraio 2019 dal G.U. Dott.ssa (...), del Tribunale di Trapani, in mancanza delle prescrizioni di cui all'art. 63 disp. Att. C.C. e per tutti i motivi spiegati; e perciò stesso revocare il decreto ingiuntivo opposto dichiarandone la assoluta inefficacia; in via subordinata, ritenere e dichiarare che di nessuna somma risulta debitrice nei confronti del Condominio (...) la S.r.l. (...) in Amministrazione Giudiziaria, per i motivi tutti superiormente spiegati; qualora dovesse invece risultare corretta e dovuta la sorte ingiunta, trattandosi di quote ordinarie, ritenere e dichiarare la (...) r.l. (già (...) srl), in persona dell'Amministratore pro tempore, con sede in (...), via (...) n.6, al relativo pagamento e quindi, condannare la detta Società, in persona dell'Amministratore pro tempore, al pagamento in favore del Condominio (...) della sorte e delle spese del procedimento di cui al D.I. n. 66/19 emesso il 5 febbraio 2019 dal G.U. del Tribunale di Trapani. E perciò stesso revocare il decreto ingiuntivo opposto dichiarandone la assoluta inefficacia. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio". Costituitosi in giudizio, il Condominio ha contestato le domande attoree ed ha chiesto al Tribunale di "nel merito, ritenere e dichiarare fondato il credito di Euro 14.077,31 vantato dal "Condominio (...)" nei confronti della società "(...) S.r.l. in Amministrazione Giudiziaria" e, conseguentemente, confermare il decreto ingiuntivo n. 66/2019 emesso in data 05 febbraio 2019 e notificato in data 11 febbraio 2019; - Con vittoria di spese e onorari del procedimento monitorio e del presente". In via preliminare, deve rilevarsi che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione (cfr. ex multis Cass. n. 5186/2003). Ne consegue che il giudice dell'opposizione è investito del potere - dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte ex adverso ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso (cfr. ex multis Cass. N. 7188/2003). Di conseguenza, il presente giudizio di opposizione, non essendo mera impugnazione del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma costituendo un ordinario giudizio di cognizione di merito, teso all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito azionato dal creditore con il ricorso ex artt. 633 cod. proc. civ. (cfr. Cass. N. 6421/2003) deve procedere alla verifica della fondatezza o meno della pretesa sostanziale azionata dall'ingiungente in sede monitoria, ed ove il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l'ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino l'insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura e che potrebbero valere soltanto ai fini di una diversa statuizione sulle spese della fase monitoria (Cass. N. 6663/2002). Sempre in via preliminare, deve poi rigettarsi l'eccezione dell'opponente di improcedibilità della domanda per l'irregolarità del procedimento di mediazione obbligatorio introdotto, sul presupposto che l'amministratore del condominio, Natale Ingrassia, non abbia mai ricevuto specifica autorizzazione dell'assemblea a parteciparvi. Ed infatti, pur essendo pacifico che, nella procedura di mediazione obbligatoria, l'amministratore del condominio può partecipare solo "previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136 c.c., comma 2" - delibera che nel caso di specie manca -, deve però rilevarsi che parte opponente ha eccepito l'improcedibilità soltanto in sede di comparsa conclusionale, non avendo spiegato nessuna contestazione sulla legittimazione dell'amministratore né in sede di mediazione - che si è svolta per due incontri attesa la richiesta di rinvio al primo incontro formulata proprio dal difensore dell'opponente - né tantomeno nel corso del giudizio, se non, appunto in sede di comparsa conclusionale. Ne consegue che l'eccezione è da reputarsi tardiva e va rigettata. E' inoltre infondata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall'Amministrazione Giudiziaria opponente. Sul punto, deve rammentarsi che, ai sensi dell'art. 9 della L. 392/1978, espressamente richiamato dall'art. 41 della stessa legge per la locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, gli oneri accessori, tra i quali anche le spese relative alla fornitura dell'acqua, sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario; pur tuttavia, in caso di concessione in locazione di unità immobiliare inserita in condominio, poiché il citato art. 9 è norma relativa ai soli rapporti tra locatore e conduttore, nell'ipotesi in cui il conduttore non adempia la propria prestazione, obbligato nei confronti del condominio sarà il proprietario dell'immobile (ossia il condomino), salva ovviamente la rivalsa sul conduttore. Ne consegue che correttamente il condominio ha formulato la domanda di adempimento nei confronti del proprietario dei locali (cfr. Cass. che ha stabilito che "tenuti a contribuire alle spese comuni, anche dopo l'entrata della legge sul cd. Equo canone, sono esclusivamente i proprietari delle varie porzioni di piano di un edificio, pur se locate, salvo il diritto ad esserne rimborsati (in parte) dai conduttori. Tra questi ultimi e il condominio, pertanto, non si instaura alcun rapporto, che legittimi l'esercizio di azioni dirette verso gli uni da parte dell'altro"). L'opposizione è, però, parzialmente fondata. Deve invero premettersi che, secondo l'art. 1137 c.c., le delibere condominiali sono efficaci e obbligatorie per tutti i condomini fintanto che non vengano impugnate e annullate dall'autorità giudiziaria (salvo sospensione disposta dal Giudice), con la conseguenza che il singolo condomino che non impugni la delibera condominiale entro il termine di 30 giorni dalla deliberazione o comunicazione è vincolato alle decisioni nella stessa adottate: la mancata impugnazione determina l'inammissibilità di qualsiasi successiva contestazione su quanto approvato. Inoltre, secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. sez. VI, 12.10.2021 n. 27849) "Il bilancio consuntivo che riporti nei conti individuali del singolo condomino tutte le somme dovute al Condominio, comprese le morosità relative ad annualità precedenti, dopo la rituale approvazione da parte dell'assemblea, qualora non venga impugnato ex art. 1137 c.c., costituisce un titolo idoneo al fine di ottenere il decreto ingiuntivo per l'intero importo posto a carico del predetto condomino. Infatti, la delibera condominiale di approvazione del bilancio costituisce titolo sufficiente del credito vantato dal Condominio e legittima, non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme dovute". Orbene, nel caso di specie, con il verbale del 25.3.2017, sono stati approvati il bilancio consuntivo al 2015 ed il bilancio consuntivo al 2016, mentre non è stato approvato il bilancio consuntivo al 2017: ne consegue che l'opponente è tenuta versare i soli importi approvati, pari a complessivi Euro 9.573,65. In ultima analisi, l'opposizione va accolta ed il decreto ingiuntivo revocato, ma l'opponente va condannata a pagare al Condominio (...) il minor importo di Euro 9.573,65, oltre agli interessi legali dalla data di messa in mora al soddisfo. La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così provvede: in accoglimento dell'opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 66/2019 reso dal Tribunale di Trapani in data 5.2.2019; condanna (...) S.R.L. in Amministrazione Giudiziaria al pagamento, in favore del Condominio (...), del complessivo importo di Euro 9.573,65, oltre agli interessi legali dalla data di messa in mora al soddisfo; compensa integralmente le spese del giudizio. Così deciso in Trapani il 19 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRAPANI SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Federica Emanuela Lipari, ha pronunciato la seguente SENTENZA (ex art. 429 c.p.c.) nella causa iscritta al n. 734 /2018 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente TRA (...) - (...) - (...), (...), (...), N.Q. DI EREDI DI (...), elettivamente domiciliati in Alcamo nella via (...) presso lo studio dell'avv. AM.SA. che li rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione RICORRENTI E (...) SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, (...), elettivamente domiciliata in Palermo nella via (...) presso lo studio dell'avv. SC.LU. che la rappresenta e difende giusta procura in calce comparsa di costituzione e risposta RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Fatti controversi Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), (...) e (...) - premesso di esser proprietari, rispettivamente, degli immobili siti in (...) nella Via (...), 117/A e nella Via (...) n. 60 (in proprietà esclusiva di (...)) in (...), nella Via (...) n. 109 (in comproprietà tra (...) e (...)), in (...) nella Via (...) n. 30 (in comproprietà tra il (...) e (...)) - convenivano in giudizio (...) soc. coop. soc. esponendo che: - in data 24.11.2016 le parti avevano stipulato un contratto denominato "proposta di affitto immobiliare", con il quale (...) soc. coop. soc. prometteva e si obbligava a condurre in locazione - mediante la successiva stipula di contratto di locazione transitorio - n. 4 immobili di proprietà degli odierni attori, esattamente individuati nella suddetta proposta, per un canone pari ad Euro 120.000,00 annui, inserendo quali condizioni la partecipazione di (...) ad un bando indetto dal Comune di Alcamo relativo al progetto SPRAR 2017/2019 nonché l'aggiudicazione da parte della stessa della gara; - entrambe le condizioni si avveravano atteso che la domanda di partecipazione al bando veniva presentata in data 25.11.2016 e che con determina dirigenziale n. 00773 del 24.4.2017 era stata formalizzata l'avvenuta aggiudicazione del progetto SPRAR in favore della convenuta (notizia questa, secondo la tesi attorea, mai formalmente comunicata ai promittenti locatori da parte della società convenuta); - nonostante i numerosi solleciti, nel silenzio frattanto perpetrato dalla convenuta, veniva inviata, in data 13.12.2017, veniva inviata da parte dei promittenti locatori formale diffida ad adempiere al contratto entro e non oltre 15 giorni (seguita poi da ulteriore diffida inviata in data 8.2.2018), cui però non faceva seguito la stipula del contratto definitivo di locazione stante l'assenza di alcun riscontro da parte della società (...); - tale condotta della promissaria conduttrice integra gli estremi di un grave inadempimento contrattuale imputabile a fatto e colpa della stessa, tale da giustificare la risoluzione del contratto; - la condotta inadempitiva è stata, altresì, fonte di gravi danni patrimoniali - correlati, in particolare, all'indisponibilità degli immobili da parte dei proprietari per un rilevante periodo di tempo nonché al mancato guadagno, ovverosia alla mancata riscossione dei canoni per tutta la durata del contratto di locazione - e non patrimoniali, questi ultimi connessi al disagio creato ai coniugi (...) per aver dovuto traslocare in altro immobile nonché alla frustrazione delle aspettative circa la conclusione dell'affare. Tanto premesso in fatto, parte attrice chiedeva al Tribunale di "Ritenere e dichiarare che la (...) Società Cooperativa Sociale, è gravemente inadempiente del contratto preliminare di locazione stipulato con i sigg.ri (...) e (...) per tutti i motivi esposti in fatto e in diritto. Conseguentemente, ritenere e dichiarare la risoluzione ipso iure del contratto suddetto ex art. 1454 c.c. in virtù della diffida del 8 febbraio 2018, ovvero, in subordine, statuirne giudizialmente la risoluzione. Per l'effetto, condannare la (...) Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, causati agli odierni attori, quantificabili complessivamente in Euro. 370.000,00, o nella maggiore o minore somma che vorrà ritenere più equa. In subordine, condannare controparte al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata disponibilità degli immobili per il periodo intercorrente tra la stipula e la risoluzione del contratto preliminare per un importo pari ad Euro. 145.000,00 ovvero nella maggiore o minore somma che si riterrà di giustizia. Con vittoria di spese, competenze ed onorari". Con comparsa di costituzione e risposta del 5.7.2018 si costituiva in giudizio (...) soc. coop. sociale, la quale contestava in fatto ed in diritto quanto affermato dalla controparte, sottolineando che dopo la stipula del preliminare fosse sopravvenuta disciplina che contemplava nuove, più rigorose e complesse procedure di verifica delle strutture da destinare alle finalità di cui al progetto SPRAR (trasfuse nella nota protocollare n. 3259 del 20 marzo 2017) che avevano determinato la necessità dell'espletamento di attività volte all'adeguamento degli immobili per cui è causa (non idonei, in tesi, all'uso che la promittente conduttrice intendeva farne, anche a causa della mancanza della Segnalazione Certificata di Agibilità), circostanze note alla controparte anche in ragione del fatto che professionista incaricato da (...) fosse proprio il figlio di (...), ovvero (...) (adducendo altresì una situazione di tolleranza da parte di controparte in ordine al ritardo nell'adempimento). Concludeva, dunque, chiedendo al Tribunale di: "Rigettare le domande spiegate in atto di citazione dagli attori, perché infondate o comunque non meritevoli di accoglimento, per le ragioni esposte in comparsa di risposta; In via subordinata, dichiarare risolto il contratto preliminare di locazione a causa dell'assenza della Segnalazione Certificata di Agibilità; In via ulteriormente subordinata, in caso di accoglimento delle domande attoree, quantificare il danno anche in ossequio all'art. 1227 c.c.", il tutto col favore delle spese di lite. Mutato il rito e avviate le parti in mediazione; costituiti gli eredi di (...), deceduta in data 16.4.2019; la causa, assunte le prove orali ammesse con ordinanza del 9.1.2020, perveniva all'odierna udienza di discussione e decisione, previa concessione di termine per il deposito di note conclusive. 2. Merito della lite. 2.1. Preliminarmente occorre soffermarsi sulla natura giuridica del contratto inter partes stipulato in data 24.11.2016, da entrambe le parti qualificato quale preliminare di locazione. Ritiene il Tribunale che tale qualificazione giuridica dell'operazione economica realizzata dalle odierne parti in causa sia corretta ed effettivamente rispondente alla tipologia di negozio posto. Ed invero, dalla lettura del documento denominato "proposta di affitto immobiliare - destinata a divenire contratto in caso di accettazione del locatore" (cfr. all. 1 fascicolo parte ricorrente), contenente la proposta irrevocabile formulata dalla società resistente in data 24 novembre 2016, con l'intermediazione dell'agenzia immobiliare, ed accettata dai ricorrenti nella medesima data, si desume che le parti hanno stipulato un preliminare di locazione, obbligandosi alla stipula del definitivo entro il 31 dicembre 2016, salvo concordate proroghe. Ciò è chiaramente evincibile, al di là del nomen iuris della scrittura, dalle relative clausole, che permettono di ricostruire il contenuto e dunque l'oggetto del consenso: le parti si sono impegnate, rispettivamente con la sottoscrizione della proposta e della relativa accettazione, a concludere in relazione agli immobili siti in (...) (meglio descritti in seno al contratto) un contratto definitivo di locazione entro il 31 dicembre 2016 (salvo proroghe), con contestuale previsione degli elementi essenziali del futuro contratto di locazione, contratto che risulta pure, per volere dei paciscenti, sospensivamente condizionato dalla partecipazione della cooperativa (...) a.r.l. ad un bando del Comune di Alcamo relativo al progetto SPRAR 2017-19 e risolutivamente condizionato dalla successiva aggiudicazione del bando da parte della promissaria conduttrice. È contemplata nel contratto anche la previsione delle opere di "adeguamento" e di ordinaria e straordinaria manutenzione a carico della parte proponente per tutta la durata del contratto. Nell'atto si rinvengono, dunque, i caratteri tipici del preliminare, corredati, a monte, dallo scambio di proposta e accettazione tra le parti. Fatta tale necessaria premessa, si rileva come la parte promittente locatrice ha agito in giudizio al fine di accertare/dichiarare la risoluzione del detto preliminare a fronte dell'inadempimento della promissaria conduttrice, con condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati ai ricorrenti. Orbene, la domanda di risoluzione del preliminare per grave inadempimento imputabile all'odierna resistente è fondata per i motivi di seguito espressi. In prima battuta, preme ricordare che, in tema di azioni di adempimento, risarcimento danni per inadempimento e risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.), grava sull'attore l'onere di provare il titolo legittimante la pretesa, oltre alla scadenza delle obbligazioni asseritamente inadempiute, gravando, invece, sul debitore l'onere di dimostrare gli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa attorea. (In questo senso, Cass. n. 15659/2011: " in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento"; conf. Cass. n. 3373.2010; Cass. n. 9351.2007; Cass. Sezioni Unite n. 13533.2001). Nel caso di specie, parte ricorrente, mediante la produzione del contratto preliminare di locazione intercorso tra le parti, con dimostrazione dell'avvenuto avveramento della condizioni cui era sospensivamente condizionato e del mancato verificarsi della condizione risolutiva (stante l'avvenuta aggiudicazione della gara da parte della resistente), ha compiutamente assolto l'onere anzidetto, allegando pure l'inadempimento della promittente conduttrice rispetto all'obbligo di stipula del contratto di locazione definitivo. Parte resistente, dall'altro lato, ha confermato l'avvenuto avveramento della condizione sospensiva pattuita e l'avvenuta aggiudicazione del bando pubblico, non contestando nemmeno la circostanza della mancata stipula del definitivo ma allegando la sopravvenienza (rispetto alla stipula del preliminare) di nuovi e più stringenti controlli e verifiche da parte degli organi amministrativi competenti in ordine all'idoneità degli immobili da locare rispetto alla destinazione degli stessi quali "strutture di accoglienza", e rispetto ai quali la stessa società cooperativa sociale (...), unitamente al tecnico di fiducia (...), figlio dell'(...) e (...), si è prontamente attivata per farvi fronte, intraprendendo, nello specifico, un lungo iter burocratico-amministrativo necessario a consentire il trasferimento dei soggetti ospitanti presso le nuove strutture; ha, dunque, allegato, nella sostanza, l'esistenza di un "ritardo" a sé non imputabile, nonché l'inidoneità degli immobili all'uso che la promissaria conduttrice intendeva farne, attesa anche l'assenza della Segnalazione Certificata di Agibilità in ordine a tutti gli immobili oggetto di contratto. Ebbene, tali assunti si profilano del tutto insufficienti a paralizzare la pretesa di parte ricorrente. Deve, infatti, ricordarsi l'orientamento giurisprudenziale, applicabile anche nel caso di preliminare di locazione in assenza di ragioni ostative, secondo cui, nei contratti di locazione ad uso non abitativo, grava sul conduttore - in ragione delle proprie qualità professionali di esercente attività imprenditoriale - l'onere di accertarsi della insussistenza di vizi e della sussistenza delle autorizzazioni necessarie. Ed invero, si afferma costantemente in giurisprudenza che "grava sul conduttore l'onere di assicurarsi che il locale oggetto della locazione sia idoneo allo svolgimento della specifica attività che si accinge ad esercitare. Salvo specifica pattuizione, il locatore non può essere ritenuto responsabile per il mancato rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative" (così Cass. n°1735 del 2011), e ancora che "nei contratti di locazione relativi a immobili destinati a uso non abitativo, grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che egli intende esercitarvi, nonché il rilascio delle autorizzazioni amministrative indispensabili alla legittima utilizzazione del benelocato. Escluso che sia onere del locatore conseguire tali autorizzazioni, ove il conduttore non riesca a ottenerle, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al proprietario, e ciò quand'anche il diniego di autorizzazione sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato (sono conformi, tra le tante: Cass. n. 8303.2008; Cass. n. 13395.2007; in particolare così Cass. n. 5836.2007: "la destinazione particolare dell'immobile locato, tale da richiedere che l'immobile stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto soltanto se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento della idoneità dell'immobile da parte del conduttore"; conf. anche Cass. n. 20831.2006, Cass. n. 9019.2005, Cass. n. 4598.2000; Cass. n. 3154.1977). In altri termini, "il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso di beni immobili non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto di locazione sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d'uso convenuta, mentre del mancato rilascio il locatore è responsabile nei confronti del conduttore quando la destinazione particolare dell'immobile in conformità alle richieste autorizzazioni, concessioni o licenze amministrative abbia costituito il contenuto dell'obbligo specifico dello stesso locatore di garantire il pacifico godimento dell'immobile in rapporto all'uso convenuto" (così Cass. n. 14772.2009). Applicando tali principi al caso in esame - essendo questi agevolmente trasponibili anche con riguardo alla fase della contrattazione preliminare - deve ritenersi che non possa gravare sulla parte promittente locatrice né il mancato ottenimento del nulla osta ministeriale al trasferimento in altra struttura dei migranti e richiedenti asilo già ospitati in altro complesso immobiliare facente capo a (...), né, a monte, la mancanza di taluni requisiti strutturali degli immobili prodromici all'atto di assenzo amministrativo, tanto più che in assenza di una precipua pattuizione in ordine alla assunzione di obbligo in tal senso in capo agli stessi promittenti locatori. Va, poi, sottolineato che della specifica destinazione degli immobili - sebbene sottointesa dalle parti, come evincibile dal tenore della condizione risolutiva - non è stata fatta puntuale menzione nel preliminare, né in ogni caso alcun riferimento è stato compiuto con riguardo al progetto del "cambio struttura" di (...), ossia del trasferimento dei migranti dal complesso immobiliare in cui si trovavano alle nuove strutture oggetto del contratto de quo, elemento questo del tutto estraneo al contenuto del regolamento contrattuale. Tale circostanza, peraltro, rende pure inoperante il ricorso al concetto di "presupposizione", occorrendo a tal fine, come la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, che "dal contenuto del contratto si evinca l'esistenza di una situazione di fatto, non espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venir meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti" (v. Cass. 20620/2016 e Cass. 20245/2009), laddove dal contratto preliminare per cui è causa non emerge il benché minimo elemento per ritenere che i contraenti avessero inteso condizionare il perfezionamento del contratto definitivo di locazione all'ottenimento del nulla osta ministeriale per il "cambio struttura" da parte della società (...). Né può opinarsi diversamente sol perché sono sopravvenute ulteriori indicazioni a tal fine promananti dal Ministero dell'Interno, con la nota n. 3254 del 20 marzo 2017, dal momento che trattasi di previsioni che mirano soltanto a specificare e dettagliare le condizioni già sommariamente contemplate in seno alle Linee Guida per i progetti SPRAR approvate con D.M. del 10 agosto 2016, e rispetto alle quali era, è bene ribadire, comunque onere della società resistente accertarne la effettiva sussistenza in capo agli immobili da locare, escludendosi ex contractu l'assunzione di qualsivoglia obbligazione in tal senso da parte dell'(...) e dei (...). Priva di fondatezza è, inoltre, l'eccezione della resistente correlata alla mancanza della Segnalazione Certificata di agibilità degli immobili in questione, anche in ragione del fatto che parte ricorrente ha fornito la prova che tutti gli immobili da locare fossero dotati della suddetta certificazione di agibilità (cfr. all. 3 memoria integrativa di parte ricorrente). Del tutto irrilevante è, poi, la circostanza (pacifica tra le parti) che il tecnico cui la società cooperativa si è avvalsa nel corso dell'iter di adeguamento degli immobili fosse il figlio dei promittenti locatori, ossia l'arch. (...) (oggi parte, n.q. di erede di (...)), come pure documentalmente dimostrato dalla resistente attraverso il deposito del carteggio tra costui ed il rappresentante legale della società coop. sociale (...). Si tratta, infatti, di opera professionale svolta da un soggetto che, sebbene legato da rapporti di parentela con i promissari locatori, non era parte del contratto preliminare, talché quanto da costui compiuto deve ritenersi funzionalmente e strettamente collegato all'adempimento del mandato professionale conferito dalla (...), e realizzato, dunque, nell'interesse esclusivo di quest'ultima, non essendo in alcun modo manifestazione di un coinvolgimento diretto della parte promittente locatrice rispetto alle procedure di natura amministrativa intraprese dalla società odierna resistente. Pertanto, nel caso di specie, a fronte di un adempimento certamente possibile, sia in termini fattuali che giuridici - in quanto nulla ostava alla manifestazione del consenso alla stipula del contratto definitivo di locazione, a prescindere o meno dal perfezionamento dell'iter burocratico intrapreso dalla promissaria conduttrice - la mancata stipula del definitivo deve imputarsi a fatto e colpa esclusivi della odierna resistente. Non è, infatti, intervenuto alcun evento straordinario ed imprevedibile tale da scompaginare il progetto imprenditoriale del (...), il quale, invero, avrebbe potuto valutare in maniera più attenta e ponderata la effettiva conformità degli immobili alla destinazione prefissata, già sulla scorta delle indicazioni evincibili dalle emanate Linee Guida ministeriali, dovendo quindi ascriversi a negligenza del promissario conduttore l'avere trascurato di valutare la possibile incidenza sui suoi programmi delle formalità necessarie alla completa realizzazione delle condizioni necessarie per accedere ai finanziamenti e ai benefici connessi al progetto SPRAR di cui era aggiudicatario, rispetto alle quali comunque conservava pieno e assoluto dominio gravando solo in capo allo stesso aggiudicatario l'onere di provvedere al deposito della documentazione e certificazioni richieste dal Ministero dell'Interno. Non si è, dunque, verificata alcuna impossibilità sopravvenuta della prestazione a carico della odierna resistente, ex art. 1463 c.c., posto che l'impossibilità della prestazione, come è noto, ai fini dell'esonero da responsabilità del debitore, si concretizza non in una mera difficoltà, bensì in un impedimento oggettivo ed assoluto (cfr., in materia di obbligazioni pecuniarie, Cass. 25777/2013). Si tratta, peraltro, di un inadempimento connotato dal requisito della gravità ex art. 1455 c.c.. Ora, vero è che nel contratto preliminare inter partes stipulato il termine indicato per la stipula del definitivo (31.12.2016) non è certamente inquadrabile quale termine essenziale (né tantomeno lo è quello del 15.12.2016 espressamente pattuito solo quale termine di irrevocabilità della proposta), e che dopo lo spirare dello stesso gli odierni ricorrenti hanno posto in essere, almeno fino ad una certa data, una condotta certamente tollerante; allo stesso tempo, mediante la produzione in giudizio delle lettere di invito e di diffida alla stipula del contratto di locazione inviate alla controparte (cfr. all. 2 - 6 atto di citazione), i ricorrenti hanno dimostrato inequivocabilmente di aver manifestato alla controparte la loro volontà di dar corso al programma contrattuale contenuto nel preliminare, manifestando anche la perdita di un interesse all'adempimento dopo il termine fissato in seno alla lettera di diffida. Rispetto alle suddette raccomandate parte resistente nulla ha dedotto, nemmeno dimostrando di aver riscontrato le stesse chiedendo a controparte un ulteriore termine per la stipula a fronte delle asserite difficoltà burocratiche riscontrate. Risulta, dunque, gravemente frustrato l'interesse concreto della parte promittente locatrice rispetto alla compiuta realizzazione dell'operazione economica programmata e la slealtà della condotta tenuta dalla controparte, circostanza questa pure evincibile dalle dichiarazioni rese dal teste (...), socio dell'(...) s.a.s., il quale ha dato conto, anzitutto, della mancata diretta comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione del bando da parte del legale rappresentante della società (...) ("si è vero il sig. (...) è venuto da me in ufficio con questo foglio, era una copia di un bando dove si evinceva l'aggiudicazione del-la gara alla (...) Coop"), nonché dei rinvii degli incontri fissati per la stipula del definitivo per cola del (...) ("abbiamo provato più volte a contattare telefonicamente il sig. (...), ma o non rispondeva o rinviava gli appuntamenti", "le riunioni venivano fissate per la stipula del contratto ma venivano sempre rinviate perché si aspettava l'esito della gara o per altri impegni"). Orbene, in ragione dell'accertato grave inadempimento dell'obbligo di procedere alla stipula del contratto di locazione definitivo da parte dell'odierna resistente, vista la formale diffida ad adempiere inviata dai promittenti locatori in data 13.1.2017, deve affermarsi l'avvenuta risoluzione ope legis del contratto preliminare per cui è causa ai sensi dell'art. 1454 c.c.. 2.2. Vanno, a questo punto analizzate le domande risarcitorie svolte dalla parte ricorrente afferenti i danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente scaturiti dalla condotta inadempiente della controparte. I coniugi (...) e (...) hanno dedotto, in primis, il danno da "indisponibilità" dei propri immobili per un rilevante lasso temporale, facendo un generico riferimento alla avvenuta rinunzia alla valutazione di ulteriori alternative di sfruttamento economico. Orbene, la domanda risarcitoria correlata al pregiudizio per la mancata disponibilità dei beni oggetto del preliminare di locazione non può trovare accoglimento posto che parte ricorrente non ha in alcun modo fornito la prova in ordine al pregiudizio di cui chiede il ristoro. Ed invero, sebbene, infatti, non manchino pronunce che ritengono integrato "in re ipsa" un danno di tal fatta, questo Tribunale, in linea anche con la più recente giurisprudenza formatasi con riguardo al danno da occupazione sine titulo, esclude in radice l'esistenza di una categoria di danni che non necessitano di esser provati da parte di chi ne invoca il ristoro. Come detto, va in questa sede condiviso quanto espresso da una recentissima pronunzia della Corte di legittimità, secondo cui "Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa", atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione "sine titulo", in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dall'allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto"(cfr. Cass.14268/2021). Non è, dunque, escluso il ricorso alla prova per presunzioni, giacché esse "costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione", spettando, pertanto, "al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge" (così Cass. Sez. 3, sent. n. 15111 del 2013). Il danno, dunque, deve essere allegato e provato da chi ne invoca il ristoro, anche attraverso il ricorso alla prova presuntiva, volta a facilitare l'assolvimento dell'onere della prova da parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria. Ora, nel caso di specie, i ricorrenti nel qualificare il danno di cui chiedono il ristoro quale danno in re ipsa omettono anche di allegare, prima ancora che di provare, i pregiudizi collegati alla mancata disponibilità dei beni per cui è causa, limitandosi a evidenziare la mancata disponibilità degli stessi per un rilevante periodo di tempo, sicché la relativa domanda risarcitoria non può trovare accoglimento. Parte ricorrente ha chiesto, altresì, il ristoro del danno correlato all'inadempimento della controparte avente ad oggetto tutti i vantaggi che avrebbero incrementato il patrimonio ove fosse stato dato corso alla stipula del definitivo di locazione, in particolare connessi alla riscossione dei canoni di locazione per tutta la durata del contratto (nel caso di specie, tre anni). Orbene, sul tema del ristoro dei danni patiti dal promittente locatore in caso di inadempimento del promittente conduttore alla stipula di un contratto definitivo di locazione è intervenuta di recente la Corte di Cassazione con ordinanza n. 20989 del 2020; la Corte di legittimità ha affermato che "Il contratto preliminare, avendo superato lo stadio precontrattuale, costituisce un accordo perfettamente compiuto, benché proteso alla stipulazione di un ulteriore contratto, quello definitivo, con la conseguenza che allo stesso preliminare non è applicabile l'art. 1337 c.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che non aveva limitato al mero interesse negativo il danno risarcibile in favore del promittente locatore, ma aveva impiegato quale parametro di riferimento l'utilità perduta dal medesimo in seguito alla mancata conclusione del contratto definitivo, individuata nel canone di locazione che sarebbe stato corrisposto per un periodo di sei mesi, lasso di tempo considerato utile per il reperimento di un nuovo conduttore sul mercato). Sulla scorta di tale insegnamento, qui condiviso, va riconosciuto alla parte adempiente il ristoro del pregiudizio connesso alla mancata compiuta realizzazione del programma contrattuale contemplato nel preliminare, parametrato, appunto, non già al mero interesse negativo ma all'utilità perduta a fronte della mancata conclusione del contratto di locazione definitivo. Orbene, per la determinazione del quantum, deve farsi riferimento, in via equitativa, all'ammontare del canone di locazione, stabilito nella specie - con il contratto preliminare - nella misura annua di Euro 120.000,00. Tuttavia non può prendersi quale riferimento temporale l'intero triennio pattuito quale durata complessiva della locazione, ma, potendo valutarsi ragionevolmente in sei mesi il periodo di tempo entro il quale gli odierni ricorrenti, se si fossero immediatamente attivati rimettendo l'immobile sul mercato non appena ricevuta dalla società (...) la comunicazione del rifiuto di sottoscrivere il contratto definitivo, avrebbero potuto reperire un nuovo conduttore, il mancato utile (e quindi il danno relativo) direttamente derivato ai ricorrenti dalla mancata conclusione, imputabile ad inadempimento della promissaria conduttrice, del contratto definitivo, può essere equitativamente liquidato nella misura di Euro 60.000,00 (corrispondente, appunto, a sei mensilità del canone concordato). Non possono, invece, trovare accoglimento, in quanto prive di adeguato supporto probatorio le domande risarcitorie volte al ristoro degli asseriti danni di natura non patrimoniale patiti dai ricorrenti. In particolare, il danno connesso al disagio patito dai coniugi (...) a fronte del trasloco dalla propria abitazione, è rimasto una labiale asserzione, non essendo stata nemmeno dimostrata la effettiva correlazione tra l'inadempimento della controparte e l'asserito danno; allo stesso modo, prive di alcun riscontro probatorio, sono le doglianze connesse all'inutile affidamento sulla conclusione dell'affare, considerato anche il principio di buona fede ex art. 1374 c.c. impone di dare il dovuto rilievo alla circostanza che le parti stipularono un contratto preliminare, per cui evidentemente, non vi era da parte loro la volontà di impegnarsi subito in via definitiva, circostanza questa che non può non avere indebolito in qualche misura l'affidamento riposto da ciascuna di esse sulla stipulazione del contratto definitivo, con conseguente attenuazione delle reciproche aspettative risarcitorie. 3. Spese di lite. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede: - dichiara che il contratto preliminare di locazione inter partes stipulato si è risolto di diritto a seguito della diffida ad adempiere formulata da parte ricorrente per grave inadempimento di (...) Società Cooperativa Sociale; - condanna (...) Società Cooperativa Sociale al pagamento in favore di (...), (...) e (...), (...) e (...) della somma di Euro 60.000,00, oltre interessi legali dal dì della sentenza sino al soddisfo; - condanna (...) Società Cooperativa Sociale a rifondere nei confronti di parte ricorrente le spese di lite che si liquidano, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, in complessivi euro in complessivi euro 9.785,00 per onorari di difesa oltre euro 545,00 per spese vive, Iva e cpa come per legge e rimborso spese generali al 15%; - rigetta ogni altra domanda. Così deciso in Trapani il 22 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRAPANI SEZIONE CIVILE Nella persona della dr.ssa Daniela Galazzi, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato ad esito della discussione orale svolta dalle parti, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., sulle conclusioni precisate all'odierna udienza - la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...) del Ruolo Generale del (...) TRA (...) (Avv.to (...)) contro (...) S.p.A. (avv. (...)) convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE (...) anche quale contestataria del buono fruttifero postale serie (...) Lire (...) emesso dall'Ufficio postale di (...) il g. 11 maggio 1989 del valore nominale di Lire (...), hanno convenuto in giudizio (...) S.p.A. allegando: - di avere il diritto di riscuotere a vista, presso l'ufficio di emissione, e con preavviso di 6 giorni in altri Uffici, la somma indicata a tergo del Buono; - che i tassi di interesse applicati al B.F.P. sono i seguenti (come indicato a tergo del B.F.P.): 8% fino al 5 anno; 9% dal 6 al 10 anno; 10,50% dall'11 al 15 anno; 12% dal 16 al 20 anno; più Lire 1.290.751, pari ad Euro 666,62, per ogni successivo bimestre maturato fino al 31 dicembre del 30 anno solare successivo a quello di emissione. Dal 1 gennaio del 31 anno solare successivo a quello di emissione, il buono non riscosso cessa di essere fruttifero; - che il valore del montante maturato, determinato previa conversione in Euro, a compimento del ventesimo anno è pari ad Euro così quantificato: Euro (...) quale valore del montante maturato, cui si aggiunge l'importo Euro (...), calcolato in base al rateo bimestrale (di Lire (...) pari ad Euro (...)) degli ulteriori interessi per i successivi dieci anni fino al trentesimo anno dalla sottoscrizione, oltre interessi moratori ulteriori maturati dalla domanda all'introduzione del giudizio. Gli attori, sostenendo la prevalenza delle condizioni contrattuali sottoscritte al momento dell'emissione del buono rispetto alle condizioni risultanti dal combinato disposto degli artt. 173 D.P.R. n. 156/1973 e 6 D M. n. 148/1986, la mancata indicazione espressa che i tassi e le condizioni indicate sul buono dovessero ritenersi modificate dal DM 148/1986, nonché la mancata comunicazione personale ai sottoscrittori dell'intervenuta variazione dei tassi di interesse, chiedevano al Tribunale di "accertare e dichiarare che il valore del Buono Fruttifero per cui è causa, serie Q/P n. (...) è di Euro (...) condannare (...), nella persona del legale rappresentante pro (...) della somma di Euro (...) per le causali di cui in premessa oltre agli interessi legali dalla data del dovuto fino all'introduzione del procedimento giudiziario, oltre ancora agli interessi di mora dalla data del giudizio fino al saldo, oltre, infine, ad Euro 100,00 per la perizia econometrica di parte sul Buono oggetto del presente giudizio ed Euro 48,00 quale diritti di segreteria corrisposti per il tentativo di mediazione: in ogni caso, condannare (...) S.p.A. alla refusione a favore di parte attrice delle, spese e degli onorari del presente procedimento". (...) S.p.A. nel costituirsi, contestava le avverse pretese invocando la prevalenza delle disposizioni normative (in particolare, l'art. 5 D.M. 13.6.1986) sulle indicazioni contenute nel buono fruttifero postale e l'inammissibilità della domanda di pagamento degli interessi di cui all'art. 1284 comma quarto c.c. per carenza dei requisiti del ritardo imputabile e della mancata pattuizione della misura del tasso di interesse tra le parti. Ha, quindi, concluso chiedendo al Tribunale di "nel merito: accertare e dichiarare, corretto il valore di rimborso dei buoni oggetto di causa, offerto da Poste Italiane, secondo i rendimenti previsti dal DAI 13 giugno 1986 istitutivo della serie "Q" cui appartengono i buoni oggetto di causa, secondo i tassi di interesse ivi specificati; Ritenere e dichiarare, inammissibili le domande di parte attrice, basate su calcoli errati, per aver erroneamente preso a riferimento rendimenti della precedente serie, ed altresì, per la erronea applicazione della normativa vigente in materia di applicazione della ritenuta fiscale; conseguentemente: per i motivi esposti nel presente atto e/o per qualsivoglia altro motivo ritenuto di giustizia, respingere ogni richiesta avanzata dagli attori, in quanto inammissibile e/o infondata in fatto e in diritto. In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio". La domanda è fondata. Questo Tribunale è consapevole dell'attuale contrasto nel panorama giurisprudenziale in ordine alla valenza della mancata apposizione del timbro riportante ì tassi aggiornati dal D.M. 13.6.86 dal ventesimo anno in poi sui buoni fruttiferi postali della serie "Q", emessi utilizzando ì moduli prestampati relativi alla vecchia serie P, che prevedeva rendimenti pili alti (si vedano da ultimo le due sentenze che addivengono a soluzioni differenti Corte d'Appello di Milano Sez. I, 27/11/2020, n. 3117 e Corte d'Appello di Brescia sez. I, 17/11/2020, n. 1238, nonché l'ordinanza della Suprema Corte di Cassazione del 10.2.2022), ma ritiene di adeguarsi all'orientamento già espresso, tra l'altro, da questo Tribunale con la sentenza n. 476/19 del 30.4.2019 (in senso conforme Trib. Milano, 9.1.2020 n. 91). Deve rammentarsi, infatti, che l'esatta indicazione nei buoni fruttiferi postali dei dati considerati essenziali per una corretta informazione è finalizzata a garantire al sottoscrittore un'oggettiva valutazione dei profili di convenienza e di rischio connessi al suo investimento ed anche la disciplina normativa in materia di buoni fruttiferi postali è ispirata all'esigenza di tutela del risparmio diffuso. Da ciò discende l'impossibilità di considerare non vincolante quanto riportato sui buoni in ordine alla determinazione della prestazione dovuta dall'intermediario: le stesse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione mediante la sentenza n. 13979/2009 hanno sul punto ritenuto che "la discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e le indicazioni riportate sui buoni postali offerti in sottoscrizione ai richiedenti debba essere risolta dando prevalenza alle seconde". Più precisamente, se deve ritenersi ammissibile che le condizioni del contratto vengano modificate, anche in senso peggiorativo per il risparmiatore, mediante decreti ministeriali successivi alla sottoscrizione del titolo, è da escludere che le condizioni alle quali l'amministrazione postale si obbliga possano invece essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto stesso della sottoscrizione del buono. Qualora il decreto ministeriale modificativo dei tassi sia antecedente alla data di emissione del buono fruttifero ed al sottoscrittore non dovessero essere applicate le condizioni riprodotte sul titolo, infatti, si finirebbe per ledere il legittimo affidamento ingenerato nel cliente sulla validità dei tassi di interesse riportati sul buono. Pertanto, qualora il tasso di interesse risulti ab origine in contrasto con le disposizioni vigenti al momento della sottoscrizione, deve ritenersi che "il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si formi sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti" (Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sent. del 15 giugno 2007, n. 13979). Orbene, il buono fruttifero postale in oggetto è stato emesso in data successiva all'entrata in vigore del D.M. n. 148/1986 che, all'art. 5, ha disposto l'ultima modifica dei tassi di interesse precedente all'emissione qui in rilievo secondo quanto previsto dall'art. 173 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Codice Postale) - che prevede e regola le variazioni dei tassi-, stabilendo altresì l'obbligo per gli uffici emittenti, pur quando fossero stati utilizzati moduli preesistenti, di indicare sul documento il differente regime cui essi erano soggetti. Nel caso in esame, non risulta apposta alcuna annotazione sul titolo relativa ai tassi applicati dal 21esimo al 30esimo anno, sicché il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore deve reputarsi tonnato sulla base degli elementi risultanti dal testo del buono postale, fatta salva, appunto, la possibilità di una etero - integrazione soltanto successiva per effetto di decreti ministeriali modificativi dei tassi di rendimento, ai sensi dell'art. 173 del Codice Postale. Proprio l'art. 173 cod. postale, infatti, opera un ragionevole bilanciamento tra tutela del risparmio ed esigenza di contenimento della spesa pubblica, nel pieno dei principi sanciti dagli artt. 3 e 47 Cost. (così Corte Cost., n. 26/2020). In tale ottica, diviene del tutto irrilevante la circostanza che nel corso della durata dell'investimento vengano ad alternarsi due criteri di determinazione degli interessi ira loro eterogenei, quello in regime di interessi composti della serie Q per i primi venti anni e quello in regime di capitalizzazione semplice della serie P per l'ultimo decennio, dando luogo ad una sorta di titolo "ibrido". Una simile alternanza, comunque fondata sulla regolazione negoziale riferibile al rapporto, non risulta, invero, impedita da norme di legge. In ultima analisi, nonostante la discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e le condizioni contrattualmente convenuta deve necessariamente darsi prevalenza a queste ultime posto che e stata la società convenuta a non aver diligentemente incorporato nel buono le esatte determinazioni ministeriali relative al rendimento del titolo, né si può attribuirsi valenza meramente informativa alle indicazioni presenti sul buono, dal momento che va garantita piena tutela al legittimo affidamento ingenerato nel sottoscrittore. In ultima analisi, la domanda attorea, volta ad ottenere, con riguardo al buono per cui è causa il rendimento previsto dalla tabella posta sul retro del buono, va accolta e (...) dovrà, pertanto, essere condannata al pagamento di Euro (...), oltre interessi legali dalla data della costituzione in mora al saldo. E', infatti, infondata la richiesta di interessi di mora ex D.Lgs. 232/2001, non vertendosi nell'alveo applicativo del corpo normativo in questione. In considerazione del perdurante contrasto giurisprudenziale, le spese di giudizio vanno compensate. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così provvede: condanna (...) S.p.A. al pagamento in favore degli attori dell'importo pari ad Euro (...), oltre interessi legali dalla data della costituzione in mora al saldo. Così deciso in Trapani il 16 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2022.

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