Sentenze recenti Tribunale Trento

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 85 del 2023, proposto da Gr. Bo. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Na. Ca. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 57 del 2.3.2023, ricevuta in data 22.3.2023; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 31.10.2022 del Comune di (omissis) di avviso di avvio del procedimento amministrativo ex 10 L. 241 /1990 e ss. mm.; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 28.9.2022 del Comune di (omissis) di diffida ad adempiere al contratto n. 15554 del 25.2.2009; - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 71 del 10.2.2009 del Comune di (omissis) di approvazione dello schema di contratto preliminare e di compravendita; - del parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato del 2022 richiesto dal Comune di (omissis) con nota prot. n. 18196 del 5.12.2022, non conosciuto; e, per quanto occorrer possa - di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e conseguente e con riserva di proporre motivi aggiunti e agire per il risarcimento dei danni subiti Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 35, comma 1, lettera b), c.p.a.; Visto l'art. 60 c.p.a.; Visto il decreto del Presidente di questo Tribunale n. 9 del 29 marzo 2023; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 il consigliere Antonia Tassinari e udita per la parte ricorrente l'avvocato Ad. Ba. in sostituzione dell'avvocato Na. Ca. e per il Comune di (omissis) l'avvocato distrettuale dello Stato Da. Be., come specificato nel relativo verbale; Sentite ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con contratto di compravendita sottoscritto il 25 febbraio 2009 repertorio n. 15554 raccolta n. 6534 avanti il dott. Fl. Na., notaio in (omissis) (Trento), il Comune di (omissis) ha trasferito al Gr. Bo. s.r.l., in esecuzione della legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, la piena proprietà della p.f. (omissis) p.t. (omissis) C.C. (omissis) per il prezzo complessivo di euro 454.000,00. Va dunque sin d'ora evidenziato che il Comune ha nella specie utilizzato, al fine del trasferimento al privato di una sua proprietà, uno strumento contrattuale ai sensi dell'art. 1321 e ss. cod. civ. e, segnatamente, disciplinato dall'art. 1470 e ss. cod. civ. e dall'art. 2 del Regio Decreto 28 marzo 1929, n. 499: vale a dire un atto di natura non autoritativa bensì paritetica, ossia agendo secondo le norme di diritto privato in applicazione della disciplina di principio contenuta nell'art. 1 comma 1bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e per quanto segnatamente attiene alla Provincia Autonoma di Treno e agli Enti locali ricadenti in tale territorio, nell'art. 2, comma 2, della legge provinciale 30 novembre 1992, n, 23, così come sostituito dall'art. 2 della legge provinciale 27 marzo 2007, n. 7, a sua volta modificato dall'art. 2 della legge provinciale 3 aprile 2009, n. 4 e - da ultimo - dall'art. 15 della legge provinciale 24 gennaio 2023, n. 2 (cfr. ivi: "L'amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente"). La società acquirente, ai sensi dell'art. 5 del suddetto contratto, ha assunto l'obbligo di destinare l'immobile alla realizzazione di uno stabilimento, inclusa la costruzione di edifici civili e per scopi sociali a servizio dello stabilimento, occupandovi 11 unità lavorative. La costruzione e la messa in attività dello stabilimento sarebbe dovuta avvenire entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto e la destinazione a stabilimento avrebbe dovuto essere mantenuta per 25 anni. Nel caso di ritardo nella costruzione e/o nella messa in produzione dello stabilimento l'art. 7 del medesimo contratto di compravendita ne ha previsto la risoluzione di diritto a norma dell'art. 1456 c.c. con la restituzione dell'area al Comune e la corresponsione di penali da parte della società acquirente. 2. Va ora evidenziato che la legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, "Interventi della Provincia autonoma di Trento per il sostegno dell'economia e della nuova imprenditorialità locale" ha previsto anche la partecipazione dei Comuni nell'ambito delle iniziative di aiuto rivolte alle imprese per sostenerne e promuoverne l'attività . Per quanto qui di interesse, i Comuni, in armonia con gli strumenti urbanistici in vigore, intervengono in particolare con la cessione di aree e strutture ad imprese che risultino assegnatarie delle stesse a seguito di confronto tra gli aspiranti all'assegnazione nel caso di domande concorrenti sul medesimo lotto o su una stessa struttura. Il Comune di (omissis) ai fini di cui alla anzidetta legge ha approvato il Piano di lottizzazione dell'area industriale artigianale della località (omissis); le superfici relative, dotate delle infrastrutture primarie realizzate a cura della Provincia Autonoma di Trento, sono state riservate ad insediamenti produttivi e soggette a vincolo di destinazione ad attività compatibili con quella produttiva. Il Gr. Bo. s.r.l. (in seguito Bo.) ha presentato il 10 giugno 2008 domanda di assegnazione di un terreno ricompreso nell'area lottizzata da destinare, come si è detto, alla realizzazione di uno stabilimento; nello specifico il progetto riguarda lo stoccaggio temporaneo di rifiuti. Risulta pertanto assodato che il sopradescritto contratto di compravendita è stato stipulato tra le parti quale atto che trova il proprio essenziale presupposto in tale legge provinciale, come del resto inequivocabilmente risulta dal suo testo (cfr. ivi la premessa A: "La Giunta provinciale di Trento ha approvato i criteri e le modalità per l'applicazione della legge 13 dicembre 1999, n. 6 con deliberazione n. 2607 di data 16 ottobre 2000, modificata ed integrata con deliberazioni n. 2770 di data 25 ottobre 2001 e n. 444 di data 28 febbraio 2003", nonché ibidem la premessa I "Il presente contratto è stipulato in esecuzione della legge provinciale 13 dicembre 1999, n. 6, Capo III, Sezione II"). 3. Con determinazione n. 57 del 2 marzo 2023, preceduta da avviso di avvio del procedimento, il Responsabile del Servizio Tecnico-Gestionale del Comune di (omissis) ha provveduto alla risoluzione ex art. 1456 c.c. del contratto stipulato con Bo. nel 2009 chiedendo a quest'ultima ai sensi dell'art. 7 comma 2 del contratto medesimo in particolare il versamento della penale di euro 454.000,00 pari al corrispettivo versato alla sottoscrizione dello stesso e la restituzione dell'area contraddistinta dalla p.f. (omissis).. Secondo quanto evidenziato in tale provvedimento Bo. non ha infatti adempiuto agli obblighi stabiliti dall'art. 5 del contratto non avendo realizzato e messo in attività nei termini ivi prescritti lo stabilimento produttivo, e ciò nonostante la ripetuta proroga dei termini medesimi accordata in suo favore. Il provvedimento richiama il parere al riguardo espresso dall'Avvocatura distrettuale di Trento secondo cui gli obblighi suddetti sono vincolanti ed inderogabili per le parti, in quanto sottoscritti ex 1372, comma 1, c.c. In calce alla medesima determinazione n. 57 del 2023 risulta apposta l'indicazione del T.R.G.A. di Trento quale autorità innanzi alla quale è possibile impugnare tale provvedimento. 4. Con nota dd. 17 aprile 2023 l'attuale patrocinio della ricorrente ha evidenziato al Comune, sulla scorta di consolidata giurisprudenza, che la giurisdizione nella specie spettava e spetta al riguardo al Giudice ordinario, per cui "al fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in oggetto e onde evitare inutile attività processuale che comporti la dichiarazione di inammissibilità dei gravami proposti per carenza di giurisdizione, si chiede a Codesta Spett.le Amministrazione di voler richiedere tempestivamente un parere all'Avvocatura Distrettuale dello Stato al fine di valutare l'opportunità di una rettifica dei provvedimenti in oggetto, eliminando il riferimento alla giurisdizione amministrativa e ai conseguenti termini decadenziali, confermando la giurisdizione del Giudice Ordinario. In difetto, lo scrivente sarà costretto ad adire prudenzialmente il Giudice amministrativo nei termini indicati nei ridetti provvedimenti". Con nota dd. 20 aprile 2023 - alquanto paradossale nel suo contenuto - il predetto Responsabile dei Servizi Tecnico - Gestionali del Comune rispondeva alla surriferita nota del patrocinio dell'attuale ricorrente affermando "che la supposta erronea indicazione dell'Autorità cui ricorrere avverso la risoluzione contrattuale in parola configurerebbe comunque una mera irregolarità, condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo schema normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratterebbe, quindi, di una condizione diversa dall'invalidità : a essa la giurisprudenza fa spesso riferimento proprio per evitare l'annullamento di atti la cui anormalità non sia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme. (Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28 luglio 2015, n. 3710 per la quale la mancanza delle indicazioni richieste dall'art. 3, comma 4, della l. n. 241 del 1990, concernenti il termine per l'impugnazione e l'Autorità cui ricorrere, non solo non è causa autonoma di illegittimità, rappresentando soltanto una mera irregolarità, ma non giustifica, di per sé, neppure l'automatica concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Ed infatti tale riconoscimento può trovare applicazione solo qualora nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie, a contrasti giurisprudenziali od al comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti, poiché, opinando diversamente, tale inadempimento formale si risolverebbe in un'assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico) 5. Con il ricorso in esame Bo., anche al dichiarato fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in epigrafe, ha quindi adito questo Tribunale chiedendo in principalità l'annullamento della determinazione n. 57 del 2 marzo 2023 nell'assunto della nullità del presupposto contratto di compravendita, o quantomeno degli artt. 5 e 7 del medesimo, sottoscritto nel 2009 con il Comune. A dire della ricorrente qualora l'acquisto del lotto avvenga a prezzo di mercato come nel caso in esame l'unico obbligo cui il privato sarebbe tenuto è il vincolo di destinazione produttiva del terreno (cfr. art. 29, comma 7, della l.p. n. 7 del 1999). Viceversa nel caso di vendita a prezzo agevolato il contratto può prevedere l'assunzione di ulteriori obblighi. Solo in tal modo infatti sarebbe assicurato il debito equilibrio del sinallagma contrattuale. 6. L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio con una memoria di mero stile avvalendosi del patrocinio dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116 7. Alla camera di consiglio, convocata per la trattazione dell'incidente cautelare, le parti presenti sono state avvisate della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. Quindi il ricorso è stato trattenuto in decisione. 8. In via preliminare, il Collegio ritiene che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata, a norma dell'art. 60 c.p.a., secondo il quale "In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione...", ricorrendone i presupposti poiché il contraddittorio è integro, l'istruttoria è completa e le parti costituite non hanno manifestato l'intenzione di proporre motivi aggiunti o un ricorso incidentale o regolamento di competenza ovvero regolamento di giurisdizione. 9. Premesso tutto quanto precede, è appena il caso di sottolineare che non vale a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo la natura di provvedimento, conclusivo di un procedimento, dell'atto contestato e neppure lo sviluppo in termini procedimentali, appunto, della vicenda con l'applicazione delle garanzie partecipative e procedimentali di cui agli artt. 7 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (corrispondenti agli artt. 25 e 27 bis della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23). La giurisdizione del giudice amministrativo secondo il tradizionale criterio di riparto, trova infatti idoneo fondamento nell'esercizio di poteri autoritativi di norma connotati dall'ampia discrezionalità che di tale potere costituisce l'essenza. Quindi se il cattivo esercizio di tale potere determina la spettanza della cognizione della controversia al giudice amministrativo, alla carenza di tale potere consegue viceversa la giurisdizione del giudice ordinario. Detto altrimenti e in estrema sintesi: la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria qualora si faccia questione dell'esercizio di un "diritto potestativo governato dal diritto comune e non di poteri autoritativi di matrice pubblicistica dell'amministrazione pubblica nei confronti del privato" (Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543). 10. Vale allora considerare che la ricorrente si duole della risoluzione per inadempimento a cui con il provvedimento in principalità impugnato si è determinata l'Amministrazione comunale ex art. 1456 c.c., disposizione quest'ultima espressamente richiamata all'art. 7 (Inadempimenti) del contratto sottoscritto nel 2009. Ebbene la giurisprudenza ha affermato non solo che le controversie le quali hanno ad oggetto il provvedimento di risoluzione del contratto adottato per inadempimento "sono devolute alla cognizione del giudice ordinario perché attinenti alla fase esecutiva, dovendo l'atto risolutivo essere qualificato come una forma di autotutela contrattuale riconosciuta alla Pubblica amministrazione che incide sul diritto soggettivo del contraente privato" ma, altresì, che "allo stesso modo, qualora l'amministrazione pubblica ottenga la risoluzione del contratto invocando la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., ivi contenuta, la controversia tra le parti contraenti appartiene alla giurisdizione ordinaria" (T.A.R. Toscana, sez. I, 29 maggio 2023, n. 525; T.A.R. Toscana, sez. I, 29 dicembre 2022, n. 1548; Cons. Stato, sez. III, 5 luglio 2022, n. 5589; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 27 gennaio 2022, n. 20). "Ciò indipendentemente dalla veste formalmente amministrativa della determinazione adottata dalla committente, la quale non ha natura provvedimentale, nonostante il carattere unilaterale della risoluzione" (TAR Toscana, sez. I, sent. 1625/2021, Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2019, n. 2128). Non essendo stato, nella specie, esercitato un potere - anche solo mediatamente autoritativo - di risoluzione contrattuale che implichi valutazioni di carattere discrezionale circa la convenienza di proseguire nel rapporto contrattuale in essere, la presente questione si prospetta semmai quale attività paritetica dell'Amministrazione finalizzata a dare applicazione a regole predeterminate che prefigurano una posizione di diritto soggettivo (T.A.R. Toscana, sez. I, 23 giugno 2022, n. 849). In ragione di ciò la cognizione della questione qui sottoposta va ricondotta alla giurisdizione ordinaria. 11. A riguardo del fuorviante avviso apposto in calce all'impugnato provvedimento, poi, è innanzitutto vero in linea di principio che, come rilevato dall'Amministrazione, nella sua nota del 20 aprile 2023, l'omessa o, come nel caso di specie, anche l'erronea indicazione, dell'Autorità cui è possibile ricorrere, indicazione di natura meramente agevolativa prevista dal comma 4 dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, rappresenta una mera irregolarità e non un'illegittimità dell'atto. (cfr. sul punto, ad es., la recente sentenza di T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 maggio 2023, n. 1696 con espressa citazione in essa della più che consolidata giurisprudenza risalentemente formatasi al riguardo, quale Cons. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2014 n. 4623; id IV, 13 ottobre 2017 n. 4758; id. VI, 17 maggio 2018, n. 2984). Ma, anche se vale in linea di principio l'assunto secondo cui è pur sempre il ricorrente il soggetto su cui grava l'onere di individuare gli strumenti di tutela giurisdizionale azionabili e in particolare l'Autorità giudiziaria competente a conoscerne (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2019, n. 8889), non può essere nella specie sottaciuto che la parte qui ricorrente aveva puntualmente fatto constare all'Amministrazione Comunale l'erroneità, nella predetta determina n. 57 del 2023, dell'avvenuta indicazione di questo Tribunale quale Giudice titolare della giurisdizione sulla controversia insorta tra le parti, e che a fronte della richiesta di rettifica di ciò che sebbene costituisca una irregolarità comunque ingenera equivoci, la medesima Amministrazione ha pretestuosamente ricusato di provvedere in proposito richiamandosi ad una giurisprudenza non conferente al caso di specie in quanto presupponente, al fine della non corretta individuazione della giurisdizione da parte del destinatario del provvedimento, la sussistenza di "una situazione normativa ambigua o confusa... uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma", ovvero la sussistenza di una " particolare complessità della fattispecie", oppure ancora di "contrasti giurisprudenziali", quando - a ben vedere - l'unica ipotesi conferente al caso di specie richiamata nella citazione da parte dell'Amministrazione medesima del precedente di Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2015, n. 3710 è - semmai - proprio quella del "comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti". D'altra parte, la stessa attuale ricorrente, proprio in quanto di fatto (e a ragione) intimamente convinta della sussistenza al riguardo della giurisdizione del Giudice ordinario, meglio avrebbe fatto ad adirlo con immediatezza, anche a prescindere dall'erronea indicazione sulla giurisdizione pur caparbiamente riaffermata dal Comune, lasciando pertanto a quest'ultimo il ben grave onere di ribadirne il relativo assunto in sede di giudizio. 12. Il ricorso deve, in definitiva, essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando la controversia alla cognizione del giudice ordinario, dinanzi al quale l'attuale parte ricorrente potrà pertanto riassumere la causa nei termini di cui all'art. 11 c.p.a. Le spese e gli onorari del presente giudizio non possono che essere integralmente compensati tra le parti, stante la reciprocamente erronea loro condotta che, in via alquanto deprecabile, ha determinato l'inutile proposizione del presente ricorso in una sede di giudizio manifestamente a ciò inidonea. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di giustizia amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 85 del 2023 in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, rientrando la controversia nella cognizione devoluta al giudice ordinario dinanzi al quale la causa potrà essere riassunta nei termini di legge. Spese compensate Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023, con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 84 del 2023, proposto da Er. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Na. Ca. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 64 del 6.3.2023, ricevuta in data 22.3.2023; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 31.10.2022 del Comune di (omissis) di avviso di avvio del procedimento amministrativo ex 10 L. 241 /1990 e ss. mm.; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 28.9.2022 del Comune di (omissis) di diffida ad adempiere al contratto n. 15555 del 25.2.2009; - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 57 del 3.2.2009 del Comune di (omissis) di approvazione dello schema di contratto preliminare e di compravendita; - del parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato del 2022 richiesto dal Comune di (omissis) con nota prot. n. 18196 del 5.12.2022, non conosciuto; e, per quanto occorrer possa - di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e conseguente e con riserva di proporre motivi aggiunti e agire per il risarcimento dei danni subiti Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 35, comma 1, lettera b), c.p.a.; Visto l'art. 60 c.p.a.; Visto il decreto del Presidente di questo Tribunale n. 9 del 29 marzo 2023; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 il consigliere Antonia Tassinari e udita per la parte ricorrente l'avvocato Ad. Ba. in sostituzione dell'avvocato Na. Ca. e per il Comune di (omissis) l'avvocato distrettuale dello Stato Da. Be., come specificato nel relativo verbale; Sentite ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con contratto di compravendita sottoscritto il 25 febbraio 2009 repertorio n. 15555 raccolta n. 6535 avanti il dott. Fl. Na., notaio in (omissis) (Trento), il Comune di (omissis) ha trasferito alla Er. s.r.l., in esecuzione della legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, la piena proprietà della p.f. (omissis) p.t. (omissis) C.C. (omissis) per il prezzo complessivo di euro 459.000,00. Va dunque sin d'ora evidenziato che il Comune ha nella specie utilizzato, al fine del trasferimento al privato di una sua proprietà, uno strumento contrattuale ai sensi dell'art. 1321 e ss. cod. civ. e, segnatamente, disciplinato dall'art. 1470 e ss. cod. civ. e dall'art. 2 del Regio Decreto 28 marzo 1929, n. 499: vale a dire un atto di natura non autoritativa bensì paritetica, ossia agendo secondo le norme di diritto privato in applicazione della disciplina di principio contenuta nell'art. 1 comma 1bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, per quanto segnatamente attiene alla Provincia Autonoma di Treno e agli Enti locali ricadenti in tale territorio, nell'art. 2, comma 2, della legge provinciale 30 novembre 1992, n, 23, così come sostituito dall'art. 2 della legge provinciale 27 marzo 2007, n. 7, a sua volta modificato dall'art. 2 della legge provinciale 3 aprile 2009, n. 4 e - da ultimo - dall'art. 15 della legge provinciale 24 gennaio 2023, n. 2 (cfr. ivi: "L'amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente"). La società acquirente, ai sensi dell'art. 4 del suddetto contratto, ha assunto l'obbligo di destinare l'immobile alla realizzazione di uno stabilimento, inclusa la costruzione di edifici civili e per scopi sociali a servizio dello stabilimento, occupandovi 11 unità lavorative. La costruzione e la messa in attività dello stabilimento sarebbe dovuta avvenire entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto e la destinazione a stabilimento avrebbe dovuto essere mantenuta per 25 anni. Nel caso di ritardo nella costruzione e/o nella messa in produzione dello stabilimento l'art. 6 del medesimo contratto di compravendita ne ha previsto la risoluzione di diritto a norma dell'art. 1456 c.c. con la restituzione dell'area al Comune e la corresponsione di penali da parte della società acquirente. 2. Va ora evidenziato che la legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, "Interventi della Provincia autonoma di Trento per il sostegno dell'economia e della nuova imprenditorialità locale" ha previsto anche la partecipazione dei Comuni nell'ambito delle iniziative di aiuto rivolte alle imprese per sostenerne e promuoverne l'attività . Per quanto qui di interesse, i Comuni, in armonia con gli strumenti urbanistici in vigore, intervengono in particolare con la cessione di aree e strutture ad imprese che risultino assegnatarie delle stesse a seguito di confronto tra gli aspiranti all'acquisizione in proprietà nel caso di domande concorrenti sul medesimo lotto o su una stessa struttura. Il Comune di (omissis) ai fini di cui alla anzidetta legge ha approvato il Piano di lottizzazione dell'area industriale artigianale della località Mala; le superfici relative, dotate delle infrastrutture primarie realizzate a cura della Provincia Autonoma di Trento, sono state riservate ad insediamenti produttivi e soggette a vincolo di destinazione ad attività compatibili con quella produttiva. Er. s.r.l. (in seguito Er.) ha presentato il 13 giugno 2008 domanda di assegnazione di un terreno ricompreso nell'area lottizzata da destinare, come si è detto, alla realizzazione di uno stabilimento; nello specifico il progetto riguarda un impianto di produzione di energia elettrica e termica alimentato a biogas. Risulta pertanto assodato che il sopradescritto contratto di compravendita è stato stipulato tra le parti quale atto che trova il proprio essenziale presupposto in tale legge provinciale, come del resto inequivocabimente risulta dal suo testo (cfr. ivi la premessa A: "La Giunta provinciale di Trento ha approvato i criteri e le modalità per l'applicazione della legge 13 dicembre 1999, n. 6 con deliberazione n. 2607 di data 16 ottobre 2000, modificata ed integrata con deliberazioni n. 2770 di data 25 ottobre 2001 e n. 444 di data 28 febbraio 2003", nonché ibidem la premessa I "Il presente contratto è stipulato in esecuzione della legge provinciale 13dicembre 1999, n.,. Capo III, Sezione II"). 3. Con determinazione n. 64 del 6 marzo 2023, preceduta da avviso di avvio del procedimento, il Responsabile del Servizio Tecnico-Gestionale del Comune di (omissis) ha provveduto alla risoluzione ex art. 1456 c.c. del contratto stipulato con Er. nel 2009 chiedendo a quest'ultima ai sensi dell'art. 6 comma 2 del contratto medesimo in particolare il versamento della penale di euro 459.000,00 pari al corrispettivo versato alla sottoscrizione dello stesso e la restituzione dell'area contraddistinta dalla p.f. (omissis). Secondo quanto evidenziato in tale provvedimento Er. non ha infatti adempiuto agli obblighi stabiliti dall'art. 4 del contratto non avendo realizzato e messo in attività nei termini ivi prescritti lo stabilimento produttivo, e ciò nonostante la ripetuta proroga dei termini medesimi accordata in suo favore. Il provvedimento richiama il parere al riguardo espresso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trento secondo cui gli obblighi suddetti sono vincolanti ed inderogabili per le parti, in quanto sottoscritti ex 1372, comma 1, c.c. In calce alla medesima determinazione n. 64 del 2023 risulta apposta l'indicazione del T.R.G.A. di Trento quale autorità innanzi alla quale è possibile impugnare tale provvedimento. 4. Con nota dd. 17 aprile 2023 l'attuale patrocinio della ricorrente ha evidenziato al Comune, sulla scorta di consolidata giurisprudenza, che la giurisdizione nella specie spettava e spetta al riguardo al Giudice ordinario, per cui "al fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in oggetto e onde evitare inutile attività processuale che comporti la dichiarazione di inammissibilità dei gravami proposti per carenza di giurisdizione, si chiede a Codesta Spett.le Amministrazione di voler richiedere tempestivamente un parere all'Avvocatura Distrettuale dello Stato al fine di valutare l'opportunità di una rettifica dei provvedimenti in oggetto, eliminando il riferimento alla giurisdizione amministrativa e ai conseguenti termini decadenziali, confermando la giurisdizione del Giudice Ordinario. In difetto, lo scrivente sarà costretto ad adire prudenzialmente il Giudice amministrativo nei termini indicati nei ridetti provvedimenti". Con nota dd. 20 aprile 2023 - alquanto paradossale nel suo contenuto - il predetto Responsabile dei Servizi Tecnico - Gestionali del Comune rispondeva alla surriferita nota del patrocinio dell'attuale ricorrente affermando "che la supposta erronea indicazione dell'Autorità cui ricorrere avverso la risoluzione contrattuale in parola configurerebbe comunque una mera irregolarità, condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo schema normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratterebbe, quindi, di una condizione diversa dall'invalidità : a essa la giurisprudenza fa spesso riferimento proprio per evitare l'annullamento di atti la cui anormalità non sia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme. (Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28 luglio 2015, n. 3710 per la quale "la mancanza delle indicazioni richieste dall'art. 3, comma 4, della l. n. 241 del 1990, concernenti il termine per l'impugnazione e l'Autorità cui ricorrere, non solo non è causa autonoma di illegittimità, rappresentando soltanto una mera irregolarità, ma non giustifica, di per sé, neppure l'automatica concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Ed infatti tale riconoscimento può trovare applicazione solo qualora nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie, a contrasti giurisprudenziali od al comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti, poiché, opinando diversamente, tale inadempimento formale si risolverebbe in un'assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico" . Si rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti"). 5. Con il ricorso in esame Er., anche al dichiarato fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in epigrafe, ha quindi adito questo Tribunale chiedendo in principalità l'annullamento della determinazione n. 64 del 6 marzo 2023 nell'assunto della nullità del presupposto contratto di compravendita, o quantomeno degli artt. 4 e 6 del medesimo, sottoscritto nel 2009 con il Comune. A dire della ricorrente qualora l'acquisto del lotto avvenga a prezzo di mercato come nel caso in esame l'unico obbligo cui il privato sarebbe tenuto è il vincolo di destinazione produttiva del terreno (cfr. art. 29, comma 7, della l.p. n. 7 del 1999). Viceversa nel caso di vendita a prezzo agevolato il contratto può prevedere l'assunzione di ulteriori obblighi. Solo in tal modo infatti sarebbe assicurato il debito equilibrio del sinallagma contrattuale. 6. L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio con una memoria di mero stile avvalendosi del patrocinio dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116 7. Alla camera di consiglio, convocata per la trattazione dell'incidente cautelare, le parti presenti sono state avvisate della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a. Quindi il ricorso è stato trattenuto in decisione. 8. In via preliminare, il Collegio ritiene che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata, a norma dell'art. 60 c.p.a., secondo il quale "In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione...", ricorrendone i presupposti poiché il contraddittorio è integro, l'istruttoria è completa e le parti costituite non hanno manifestato l'intenzione di proporre motivi aggiunti o un ricorso incidentale o regolamento di competenza ovvero regolamento di giurisdizione. 9. Premesso tutto quanto precede, è appena il caso di sottolineare che non vale a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo la natura di provvedimento, conclusivo di un procedimento, dell'atto contestato e neppure lo sviluppo in termini procedimentali, appunto, della vicenda con l'applicazione delle garanzie partecipative e procedimentali di cui agli artt. 7 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (corrispondenti agli artt. 25 e 27 bis della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23). La giurisdizione del giudice amministrativo secondo il tradizionale criterio di riparto, trova infatti idoneo fondamento nell'esercizio di poteri autoritativi, di norma connotati dall'ampia discrezionalità che di tale potere costituisce l'essenza. Quindi se il cattivo esercizio di tale potere determina la spettanza della cognizione della controversia al giudice amministrativo, alla carenza di tale potere consegue viceversa la giurisdizione del giudice ordinario. Detto altrimenti e in estrema sintesi: la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria qualora si faccia questione dell'esercizio di un "diritto potestativo governato dal diritto comune e non di poteri autoritativi di matrice pubblicistica dell'amministrazione pubblica nei confronti del privato." (Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543). 10. Vale allora considerare che la ricorrente si duole della risoluzione per inadempimento a cui con il provvedimento in principalità impugnato si è determinata l'Amministrazione comunale ex art. 1456 c.c., disposizione quest'ultima espressamente richiamata all'art. 6 (Inadempimenti) del contratto sottoscritto nel 2009. Ebbene la giurisprudenza ha affermato non solo che le controversie le quali hanno ad oggetto il provvedimento di risoluzione del contratto adottato per inadempimento "sono devolute alla cognizione del giudice ordinario perché attinenti alla fase esecutiva, dovendo l'atto risolutivo essere qualificato come una forma di autotutela contrattuale riconosciuta alla Pubblica amministrazione che incide sul diritto soggettivo del contraente privato" ma, altresì, che "allo stesso modo, qualora l'amministrazione pubblica ottenga la risoluzione del contratto invocando la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., ivi contenuta, la controversia tra le parti contraenti appartiene alla giurisdizione ordinaria" (T.A.R. Toscana, sez. I, 29 maggio 2023, n. 525; T.A.R. Toscana, sez. I, 29 dicembre 2022, n. 1548; Cons. Stato, sez. III, 5 luglio 2022, n. 5589; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 27 gennaio 2022, n. 20). "Ciò indipendentemente dalla veste formalmente amministrativa della determinazione adottata dalla committente, la quale non ha natura provvedimentale, nonostante il carattere unilaterale della risoluzione" (TAR Toscana, sez. I, sent. 1625/2021, Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2019, n. 2128). Non essendo stato nella specie esercitato un potere - anche solo mediatamente autoritativo - di risoluzione contrattuale che implichi valutazioni di carattere discrezionale circa la convenienza di proseguire nel rapporto contrattuale in essere, la presente questione si prospetta - semmai - quale attività paritetica dell'Amministrazione finalizzata a dare applicazione a regole predeterminate che prefigurano una posizione di diritto soggettivo (T.A.R. Toscana, sez. I, 23 giugno 2022, n. 849). In ragione di ciò la cognizione della questione qui sottoposta va ricondotta alla giurisdizione ordinaria. 11. A riguardo del fuorviante avviso apposto in calce all'impugnato provvedimento, poi, è innanzitutto vero in linea di principio che, come rilevato dall'Amministrazione nella qui impugnata sua nota del 20 aprile 2023, l'omessa o, come nel caso di specie, anche l'erronea indicazione dell'Autorità cui è possibile ricorrere, indicazione di natura meramente agevolativa prevista dal comma 4 dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, rappresenta una mera irregolarità e non un'illegittimità dell'atto (cfr. sul punto, ad es., la recente sentenza di T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 maggio 2023, n. 1696 con espressa citazione in essa della più che consolidata giurisprudenza risalentemente formatasi al riguardo, quale Cons. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2014 n. 4623; id IV, 13 ottobre 2017 n. 4758; id. VI, 17 maggio 2018, n. 2984). Ma, anche se vale in linea di principio l'assunto secondo cui è pur sempre il ricorrente il soggetto su cui grava l'onere di individuare gli strumenti di tutela giurisdizionale azionabili e in particolare l'Autorità giudiziaria competente a conoscerne (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2019, n. 8889), non può essere nella specie sottaciuto che la parte qui ricorrente aveva puntualmente fatto constare all'Amministrazione Comunale l'erroneità, nella predetta determina n. 64 del 2023, dell'avvenuta indicazione di questo Tribunale quale Giudice titolare della giurisdizione sulla controversia insorta tra le parti, e che a fronte della richiesta di rettifica di ciò che sebbene costituisca una irregolarità comunque ingenera equivoci, la medesima Amministrazione ha pretestuosamente ricusato di provvedere in proposito richiamandosi ad una giurisprudenza non conferente al caso di specie in quanto presupponente, al fine della non corretta individuazione della giurisdizione da parte del destinatario del provvedimento, la sussistenza di "una situazione normativa ambigua o confusa... uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma", ovvero la sussistenza di una " particolare complessità della fattispecie", oppure ancora di "contrasti giurisprudenziali", quando - a ben vedere - l'unica ipotesi conferente al caso di specie richiamata nella citazione da parte dell'Amministrazione medesima del precedente di Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2015, n. 3710 è - semmai - proprio quella del "comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti". D'altra parte, la stessa attuale ricorrente, proprio in quanto di fatto (e a ragione) intimamente convinta della sussistenza al riguardo della giurisdizione del Giudice ordinario, meglio avrebbe fatto ad adirlo con immediatezza, anche a prescindere dall'erronea indicazione sulla giurisdizione pur caparbiamente riaffermata dal Comune, lasciando pertanto a quest'ultimo il ben grave onere di ribadirne il relativo assunto in sede di giudizio. 12. Il ricorso deve, in definitiva, essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando la controversia alla cognizione del giudice ordinario, dinanzi al quale l'attuale parte ricorrente potrà pertanto riassumere la causa nei termini di cui all'art. 11 c.p.a. Le spese e gli onorari del presente giudizio non possono che essere integralmente compensate tra le parti, stante la reciprocamente erronea loro condotta che, in via alquanto deprecabile, ha determinato l'inutile proposizione del presente ricorso in una sede di giudizio manifestamente a ciò inidonea. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di giustizia amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 84 del 2023 in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, rientrando la controversia nella cognizione devoluta al giudice ordinario dinanzi al quale la causa potrà essere riassunta nei termini di legge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023, con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 83 del 2023, proposto da: Ha. El Ay., rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Zo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via (...), presso lo studio del predetto avvocato Zo.; contro Ministero dell'Interno - Questura di Trento, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia - del provvedimento RI11/A12/2023/IMM, emesso dal Questore di Trento in data 6.2.2023, notificato il 7.3.2023, con cui è stata rigettata la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di attesa occupazione; - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Questura di Trento; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 35, comma 1 lettera c), c.p.a.; Visto l'art. 60 c.p.a.; Visto il decreto del Presidente di questo Tribunale n. 9 del 29 marzo 2023; Relatore nella udienza pubblica del giorno 22 giugno 2022, il consigliere Antonia Tassinari e uditi per la parte ricorrente l'avvocato Ro. Zo. e per il Ministero dell'Interno - Questura di Trento l'avvocato distrettuale dello Stato Da. Be., come specificato nel relativo verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il signor Ha. El Ay., odierno ricorrente, è giunto in Italia nel 2003 proveniente dal Marocco ottenendo sempre il rinnovo del titolo di soggiorno al fine della regolare permanenza nel territorio italiano. Peraltro, il permesso di soggiorno per lavoro autonomo scaduto da ultimo il 9 marzo 2023, non è stato rinnovato (cfr. provvedimento RI11/A12/2023/IMM, emesso dal Questore di Trento in data 6 febbraio 2023). La Questura ha motivato il diniego all'istanza di rinnovo del titolo, tra l'altro richiesto per attesa occupazione, per non aver il signor Ha. El Ay. documentato redditi sufficienti al sostentamento per gli anni 2021 e 2022 e per non aver sottoscritto ai sensi dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 286/1998 un contratto di soggiorno attualmente in corso di validità . Nello specifico il decreto di rigetto riporta che il ricorrente "... non ha raggiunto minimamente la somma che per legge è ritenuta sufficiente al mantenimento annuo". 2. Il signor Ha. El Ay. riferisce di aver sempre lavorato onestamente nel corso degli ultimi 20 anni sino a quando nell'anno 2021 a causa della crisi pandemica e di seri motivi di salute personale ha perso il lavoro. Egli fa presente che nel corso del 2022 è stato assunto con un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno quale operatore agricolo dall'1 giugno 2022 al 30 novembre 2022. Anche nel 2023 avrebbe ricevuto una promessa di assunzione per un rapporto di lavoro nell'ambito agricolo presso un'azienda di Be. in provincia di Verona; tuttavia tale possibilità è condizionata dal conseguimento del permesso di soggiorno. 3. Il provvedimento RI11/A12/2023/IMM del Questore di Trento del 6 febbraio 2023 è stato impugnato dal signor Ha. El Ay., il quale ha principalmente sostenuto la rilevanza della Circolare del Ministero dell'Interno n. 40579 del 3 ottobre 2016 ai fini del rilascio del titolo al ricorrente poiché il periodo di garanzia di un anno relativo alla prosecuzione del soggiorno regolare del lavoratore straniero disoccupato deve essere riferito alla durata "minima" del permesso di soggiorno per attesa occupazione. A dire del ricorrente, inoltre, il permesso per attesa occupazione ha la finalità di sopperire a temporanee o parziali carenze di reddito e può essere rilasciato anche al lavoratore autonomo in difficoltà ma che abbia, comunque, dimostrato di avere la capacità di svolgere una attività produttiva. Infine il signor Ha. El Ay. non comprende la lingua italiana con conseguente ulteriore vizio del provvedimento impugnato in quanto lo stesso non gli è stato tradotto. 4. Con deposito documentale del 15 giugno 2023 il patrocinio erariale del Ministero dell'Interno - Questura di Trento ha versato in atti il decreto RAO2/A12/2023/IMM. del 9 giugno 2023 di revoca in autotutela dell'impugnato decreto di rigetto. In particolare secondo la Questura "l'interessato in sede di ricorso ha dimostrato di possedere un rapporto di lavoro in essere e soprattutto di essere socialmente integrato sul territorio nazionale in quanto apprezzato da varie famiglie italiane che lo sostengono durante il suo percorso di vita nel nostro Paese". La Questura ha pure considerato la durata ventennale del soggiorno regolare dello straniero in Italia e l'assenza di precedenti penali. L'Avvocatura Distrettuale dello Stato chiede, quindi, che venga dato atto dell'improcedibilità del ricorso instando sulla compensazione delle spese di lite. 5. All'udienza camerale del 22 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione per l'immediata definizione con sentenza in forma semplificata. 6. Il Collegio, preso atto che il provvedimento del Questore di Trento del 6 febbraio 2023 di rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno di cui il ricorrente chiede l'annullamento è stato rimosso dall'Amministrazione, ritiene che nella fattispecie in esame il giudizio debba essere definito ai sensi dell'art. 35, comma 1, lettera c) del c.p.a. con declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse secondo la puntuale richiesta in tal senso formulata precipuamente dalla Questura. Invero la pretesa fatta valere dalla ricorrente ovvero il bene della vita al quale essa aspira - id est il titolo di soggiorno - non ha trovato piena e comprovata soddisfazione, non risultando ancora rilasciato dall'Amministrazione il rinnovo del permesso di soggiorno richiesto per attesa occupazione ed essendo scaduto già dal 9 marzo 2022 il precedente titolo per lavoro autonomo. 7. A riguardo della definizione della presente controversia, è appena il caso di rilevare la non sovrapponibilità degli esiti di cessazione della materia del contendere e di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse (Cons. Stato, sez. II, n. 148/2020; sez. II, n. 4318/2019; sez. II, n. 2904/2019), stante il fatto che, mentre la sentenza di cessazione della materia del contendere di cui all'art. 34, comma 5, c.p.a. costituisce una sentenza di merito che presuppone la soddisfazione piena del ricorrente, diversamente la sentenza dichiarativa dell'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse si configura come una pronuncia di rito disciplinata dall'art. 35, comma 1, lettera c), c.p.a., la quale sottende il venir meno dell'interesse a ricorrere attesa l'inutilità per il ricorrente dell'eventuale sentenza di accoglimento del ricorso. In conclusione nel caso in esame sussistono i presupposti per definire il ricorso con declaratoria di improcedibilità . 8. Con istanza depositata il 2 maggio 2023 il ricorrente ha chiesto di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato. L'esito del ricorso conferma che le pretese che sono state fatte valere non erano manifestamente infondate e del pari relativamente al requisito reddituale ricorrono le condizioni cui l'ammissione al beneficio è subordinata. Infatti il reddito prodotto in Italia del ricorrente è pari a euro 714,62 e per quanto attiene la sua posizione reddituale in Marocco deve reputarsi che egli non possieda beni immobili, né abbia ivi percepito redditi negli ultimi tre anni, posto che a tale proposito risulta perfezionata per silenzio assenso la richiesta di conferma indirizzata al Consolato del Marocco il 10 maggio 2023 circa la veridicità di quanto da lui autocertificato con la dichiarazione sostitutiva del 27 aprile 2023 (cfr. al riguardo la sentenza della Corte Costituzionale 10 giugno - 20 luglio 2021, n. 157 in relazione a quanto disposto dall'art. 79, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115). Il Collegio, atteso che la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato non si è a tutt'oggi espressa sull'istanza del ricorrente, agli effetti dell'art. 126, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ammette pertanto in via definitiva per il presente procedimento il signor Ha. El Ay. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, riservando la liquidazione di quanto dovuto al patrocinante del ricorrente ad un separato decreto che sarà emesso ai sensi dell'art. 82 del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002 allorquando sarà depositata la relativa parcella. 9. Le spese di lite possono essere compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 83 del 2023 in epigrafe indicato, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Ammette in via definitiva il ricorrente al beneficio per il presente procedimento del patrocinio a spese dello Stato. Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio. Riserva ad un separato decreto la liquidazione del compenso del patrocinio del ricorrente previo deposito della relativa parcella. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 40 del 2022, proposto da Fe. Fl. e Ro. Ni., rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento via (...), presso lo studio del predetto avvocato; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; nei confronti Pa. Al. ed altri, Condominio Re. Vi. Nu., in persona dell'amministratore Re. Sa., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021 in data 21 dicembre 2021, nonché tutti gli elaborati che ne costituiscono parte integrante, - di tutti i provvedimenti ivi richiamati e, in particolare, l'Autorizzazione della Commissione per la pianificazione e il paesaggio della Comunità delle Giudicarie di (omissis), con le relative prescrizioni, il parere della Commissione edilizia comunale riunitasi in data 28 settembre 2021, nella parte in cui si accerta la accerta la conformità urbanistica dell'edificio da sanare alla data della domanda e si esprime parere favorevole alla sanatoria, - di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2023 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Visti gli articoli 36, comma 2, e 66 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I signori Fe. Fl. e Ro. Ni. - comproprietari del terreno contraddistinto dalla particella fondiaria (omissis) CC (omissis), confinante con il terreno sul quale sorge l'edificio contraddistinto dalla particella edificiale (omissis) CC (omissis), di proprietà dei controinteressati - con il ricorso in epigrafe indicato, notificato in data 18 febbraio 2022, hanno impugnato il permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021 in data 21 dicembre 2021, rilasciato dal Comune di (omissis) a seguito della domanda presentata in data 29 luglio 2021, ai sensi dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, dal signor Re. Sa., in qualità di amministratore del Condominio Re. Vi. Nu., e intesa a ottenere la "sanatoria per difformità a carico del Condominio Re. Vi. Nu. - p.ed. (omissis) in CC (omissis)". I ricorrenti premettono che, avuta notizia del rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021, essi hanno richiesto al Comune di (omissis) copia integrale dei titoli edilizi nel tempo rilasciati (ivi compreso il predetto permesso di costruire in sanatoria) e in data 8 febbraio 2022 il Comune ha trasmesso la documentazione relativa alla concessione edilizia n. 30/1990, in base alla quale è stato realizzato l'edificio di cui trattasi, comunicando che a seguire sarebbe stata trasmessa l'ulteriore documentazione richiesta, che però non è stata a tutt'oggi esibita. I ricorrenti premettono altresì che essi hanno interesse all'annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021, perché intendono edificare sul fondo contraddistinto dalla predetta particella fondiaria (omissis), e che essi, avuta notizia dell'istanza di sanatoria presentata dall'amministratore del Condominio Re. Vi. Nu., si sono recati presso gli Uffici comunali per segnalare "l'invasione della loro proprietà con l'edificazione del garage e con una siepe, nonché il mancato rispetto delle distanze legali", ed hanno chiesto all'Amministrazione di eseguire controlli sulla presenza di abusi sull'interrato dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) e sul rispetto delle distanze legali con riferimento alle facciate est dell'edificio stesso. Ciononostante è stato rilasciato l'impugnato permesso di costruire in sanatoria. 2. Quindi i ricorrenti di tale provvedimento di sanatoria chiedono l'annullamento, affidando la propria domanda ai seguenti motivi. I) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà tra provvedimenti, istruttoria carente o falsa, carenza di motivazione. I provvedimenti impugnati sono stati adottati su documentazione non corrispondente al vero, ossia a fronte di una domanda di sanatoria incompleta e carente di elementi essenziali per la corretta rappresentazione dello stato dei luoghi. Sia la relazione tecnico-illustrativa datata 28 luglio 2021, recante un puntuale elenco delle difformità tra lo stato di fatto e quanto autorizzato con la concessione edilizia n. 30/1990, sia la tavola 7, denominata "stato di raffronto", non indicano "importanti difformità rispetto a quanto autorizzato dalla concessione edilizia n. 30/1990 in ordine al garage interrato". Trattasi di difformità, per forma e dimensione, riscontrabili attraverso un semplice confronto tra le tavole allegate alla concessione edilizia n. 30/1990 e quelle allegate alla concessione 21/2021. In particolare nella predetta relazione tecnico-illustrativa non sono indicate tutte le difformità esistenti, mentre la tavola 7 reca una falsa rappresentazione dello stato di fatto. Si configura, quindi, una carenza di istruttoria in quanto l'Amministrazione comunale ha fatto affidamento su dichiarazioni di parte che però risultano smentite sia dagli allegati alla concessione edilizia del 1990, sia dalle istanze dei ricorrenti, che hanno chiesto di eseguire controlli per accertare la presenza di abusi. Inoltre la documentazione allegata alla domanda di sanatoria manca di "una quotatura", a differenza delle tavole allegate alla concessione edilizia 30/1990. Tuttavia la quotatura, così come il raffronto tra le predette tavole, avrebbero consentito di accertare che "quanto realizzato è difforme da quanto autorizzato anche quanto al sedime, in presenza di una rotazione in senso orario" e che "l'edificio fuori terra è a distanza inferiore di ml 5,00 dal confine", in violazione della "distanza legale prevista dagli strumenti urbanistici in vigore ora e allora". In definitiva l'Amministrazione comunale non ha tenuto nella dovuta considerazione la segnalazione dei ricorrenti e in motivazione non ha indicato alcunché al riguardo. II) Violazione dell'art. 81 della legge provinciale n. 15/2015, dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, dell'art. 59, comma 2, della legge provinciale n. 15/2015 e dell'art. 8 delle Disposizioni provinciali in materia di distanze, di cui alla delibera della Giunta provinciale n. 2023 in data 3 settembre 2010 e ss.mm.ii. La sanabilità di un intervento edilizio presuppone necessariamente che non sia stata commessa "alcuna violazione di tipo sostanziale", essendo richiesta la "regolarità edilizia degli interventi realizzati". Invece nel caso in esame mancano i presupposti per il rilascio di una concessione edilizia ai sensi dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, sia perché non sono rispettate le distanze dai confini di proprietà, prevista in un minimo di 5,00 mt e misurata in ogni punto ed in tutte le direzioni, sia perché non è stato rispettato il titolo di proprietà dei ricorrenti. In particolare, posto che il permesso di costruire in sanatoria riguarda una costruzione realizzata in parte sulla p.f. (omissis), manca il requisito della conformità dell'intervento edilizio da sanare alla vigente normativa urbanistica in quanto l'art. 81 della legge provinciale n. 15/2015 postula che chi richiede il permesso di costruire sia in possesso di un titolo di proprietà o di altro titolo idoneo. Invece nel caso in esame la dichiarazione del richiedente il permesso di costruire in sanatoria non è conforme al vero perché l'edificio oggetto della domanda di sanatoria è "di estensione maggiore verso est rispetto a quella assentita (che già era a confine)", e ciò trova conferma nella documentazione allegata alla domanda di sanatoria che "attesta una realizzazione in difformità più estesa verso est rispetto a quanto assentito e come tale insistente sulla p.f. (omissis) di proprietà altrui". Inoltre, quanto alla denunciata violazione delle distanze dal confine con la p.f. (omissis), manca il requisito della conformità dell'intervento edilizio da sanare alla vigente normativa urbanistica, nella fattispecie costituita dall'art. 8 delle disposizioni provinciali in materia di distanze di cui alla delibera della Giunta provinciale n. 2023 in data 3 settembre 2010 e ss.mm. ii., perché l'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis), è stato costruito a una distanza inferiore a quella di m 5,00 dal confine tra la p.ed. (omissis) e la p.f. (omissis), e in assenza del consenso del proprietario confinante. III) Violazione dell'art. 135 della legge provinciale n. 1/2008, dell'art. 21 del piano di fabbrica, dell'art. 18.1 del P.U.C. e dell'art. art. 32 del P.d.F.. Premesso che l'art. 135 della legge provinciale n. 1/2008 richiede la conformità urbanistica degli interventi realizzati con riferimento sia al momento della realizzazione, sia a quello della presentazione della domanda di sanatoria, l'impugnata concessione in sanatoria è illegittima anche perché è stata rilasciata in violazione del combinato disposto dell'art. 135 della legge provinciale n. 1/2008 con gli strumenti urbanistici del Comune di (omissis), e in particolare, con l'art. 21 del piano di fabbrica (P.d.F.), l'art. 18.1 del Piano urbanistico comunale (P.U.C.) e l'art. art. 32 del medesimo P.d.F.. 3. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 16 maggio 2023 ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, evidenziando di aver prodotto "tutta la documentazione necessaria ai fini del decidere", mentre la parte ricorrente non ha allegato, né tanto meno provato lo specifico pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato, che non comporta l'esecuzione di lavori, né modifiche dello stato dei luoghi, e che la presente controversia ha ad oggetto "rapporti privatistici di vicinato, i quali rimangono notoriamente impregiudicati dal titolo edilizio". Sempre in via preliminare il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione di questo Tribunale invocando il principio secondo il quale i titoli edilizi sono sempre emanati con salvezza dei diritti di terzi, i quali possono agire innanzi alla competente Autorità giudiziaria, ossia innanzi al Giudice ordinario. Nel merito il Comune ha eccepito innanzi tutto che, stante il suddetto principio, l'Amministrazione comunale nell'ambito dell'istruttoria avviata a seguito dell'istanza per il rilascio di un titolo edilizio "non è tenuta a effettuare approfondite e autonome indagini sui rapporti di vicinato e, in particolare, non ha il dovere di dirimere controversie tra i confinanti". Inoltre il Comune ha eccepito che le suesposte censure, per come sono state formulate, si pongono in "contrasto (logico e concettuale) con la nozione stessa di sanatoria" che presuppone, per l'appunto, la necessità di sanare un intervento edilizio realizzato in assenza o in difformità dal prescritto titolo edilizio e comunque, quanto alla dedotta violazione dell'art. 81 della legge provinciale n. 15/2015, la censura è inammissibile, per carenza di interesse, in quanto i ricorrenti "non si presentano come concorrenti del Condominio in rapporto all'immobile che forma oggetto del titolo d'intervento". 4. I ricorrenti con memoria depositata in data 22 maggio 2023 hanno insistito per l'accoglimento del ricorso, precisando in particolare che con il terzo motivo è stata denunciata la mancanza de requisito della c.d. doppia conformità in quanto l'intervento da sanare è in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell'intervento stesso, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, ed hanno chiesto al Tribunale di disporre una consulenza tecnica d'ufficio per accertare che: A) l'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) è stato realizzato in violazione delle distanze legali dal confine con la p.f. (omissis); B) il garage di pertinenza dell'edificio è stato realizzato in parte sulla p.f. (omissis) e comunque in violazione delle distanze legali dal confine con la p.f. (omissis). Inoltre i ricorrenti con memoria depositata in data 30 maggio 2023 hanno replicato alle eccezioni processuali di controparte invocando i principi di diritto affermati nella sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 dicembre 2021, n. 22, ed osservando che gli accertamenti omessi dall'Amministrazione comunale non consistono in mere indagini sui rapporti di vicinato, bensì in una doverosa verifica dei presupposti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, perché il fatto che l'edificio di cui trattasi è stato realizzato in violazione delle distanze dai confini "non è dichiarato nella domanda di sanatoria, ma emerge per tabulas ed è oggetto di richiesta di accertamento da parte dei titolari di interessi legittimi". 5. Alla pubblica udienza del 22 giugno 2023 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente il Collegio ritiene che le eccezioni processuali dell'Amministrazione resistente non possano essere accolte. 2. Innanzi tutto il Collegio ritiene che la presente controversia rientri nella giurisdizione del Giudice amministrativo. Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2022, n. 10715), per le controversie concernenti le distanze fra costruzioni o di queste dai confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia di distanze è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti del responsabile dell'attività edilizia illecita (con conseguente giurisdizione del Giudice ordinario) e, dall'altro, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento amministrativo illegittimo con cui tale attività sia stata autorizzata o permessa (con conseguente giurisdizione del Giudice amministrativo). 3. Inoltre è priva di fondamento l'eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, sollevata dall'Amministrazione resistente sul presupposto che il provvedimento impugnato non comporta l'esecuzione di lavori, né una modifica dello stato dei luoghi, con particolare riferimento ai due fondi confinanti. A tal riguardo giova rammentare che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 9 dicembre 2021, n. 22, ha affermato i seguenti principi di diritto: A) "Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato"; B) "L'interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall'intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall'insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso"; C) "L'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d'ufficio dal giudicante, nel rispetto dell'art. 73, comma 3, c.p.a."; D) "Nelle cause in cui si lamenti l'illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l'immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell'accertamento dell'interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l'annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo". Ciò posto, non essendovi controversia tra le parti sull'esistenza del requisito della c.d. vicinitas, è sufficiente evidenziare che non vi è motivo di ritenere che l'azione dei ricorrenti sia sorretta da un intento emulativo, non essendo stato eccepito alcunché a tal riguardo, mentre i ricorrenti stessi hanno chiarito che l'interesse all'annullamento del provvedimento impugnato discende sia dal fatto che essi hanno interesse a costruire sul terreno di loro proprietà, nel qual caso evidentemente rileverebbe la distanza tra gli edifici realizzati su terreni confinanti, sia dal fatto che i ricorrenti stessi lamentano altresì che il garage di pertinenza dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) è stato realizzato in parte sulla p.f. (omissis). 4. Inoltre è ben vero che - come ricordato dall'Amministrazione resistente e in più occasioni evidenziato da questo Tribunale (T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento, 19 febbraio 2020, n. 29; id. 15 giugno 2020, n. 89) - la disposizione dell'art. 81, comma 1, della legge provinciale n. 15/2015 impone al Comune di accertare che il richiedente sia in possesso di un titolo civilistico astrattamente idoneo in relazione alla tipologia dell'intervento proposto, mentre non spetta al Comune "dirimere controversie tra i confinanti", in quanto aventi natura esclusivamente privatistica. Tuttavia, secondo una condivisibile giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745; T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. II, 26 luglio 2022, n. 2415) la regola generale per cui il permesso di costruire è rilasciato salvi i diritti dei terzi (sui quali il Comune non è tenuto a svolgere particolari indagini), trova un limite nei casi in cui il Comune stesso abbia notizia che il diritto di chi richiede il titolo abilitativo è contestato, perché in tal caso,l'Ente è tenuto a compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano o meno fondate, e a conseguentemente denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto. Dunque nel caso in esame rileva la circostanza che i ricorrenti, avuta notizia della domanda di sanatoria presentata in data 29 luglio 2021, abbiano chiesto all'Amministrazione comunale di eseguire controlli per accertare la presenza di abusi sull'interrato dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) e il mancato rispetto delle distanze legali con riferimento alle facciate est dell'edificio stesso (cfr. l'istanza a firma della signora Ro. Ni., acquisita dal Comune di (omissis) al prot. n. 5221 del 19 novembre 2021). 5. Passando al merito, il Collegio osserva che, come si evince dalla relazione tecnico-illustrativa allegata alla domanda presentata in data 29 luglio 2021, nonché dalla motivazione del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021, tale titolo è stato chiesto e rilasciato ai sensi dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008. Giova allora rammentare che la legge provinciale della Provincia di Trento 4 marzo 2008, n. 1, in materia di "Pianificazione urbanistica e governo del territorio", disciplina all'art. 135 l'istituto della concessione in sanatoria delle opere realizzate in assenza del previsto permesso di costruire o in difformità da tale titolo edilizio. In particolare, secondo il primo comma dell'art. 135, "Fino alla scadenza dei termini per l'esecuzione dell'ingiunzione prevista dall'articolo 129, comma 1, il responsabile dell'abuso o altro soggetto avente titolo possono chiedere la concessione in sanatoria se l'opera è conforme agli strumenti urbanistici in vigore e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda". Inoltre, secondo il settimo comma dell'art. 135, "Fermo restando quanto previsto dal comma 1, resta salvo il potere, ai soli fini amministrativi, di rilasciare la concessione edilizia quando è regolarmente richiesta e conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate, anche se l'opera per la quale è richiesta è già stata realizzata abusivamente. In tal caso le sanzioni pecuniarie previste dai commi 4 e 5 sono aumentate del 20 per cento". 6. Ciò posto, il Collegio non può esimersi dal rilevare che secondo una giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 23 novembre 2022, n. 10317) l'istituto della c.d. "sanatoria giurisprudenziale" deve ritenersi recessivo rispetto alla vigente normativa nazionale e ai principi dalla stessa desumibili in materia di abusiva trasformazione del territorio, essendo il permesso in sanatoria ottenibile soltanto in presenza dei presupposti delineati dall'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda. Difatti l'istituto in questione anche se recepito in norme di legge regionali o provinciali - come l'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, che in deroga alla disposizione del primo comma del medesimo art. 135 (il quale richiede il requisito della c.d. doppia conformità ) consente il rilascio della concessione in sanatoria "quando è regolarmente richiesta e conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate, anche se l'opera per la quale è richiesta è già stata realizzata abusivamente" - si pone in contrasto con la Costituzione, come dichiarato dalla Corte costituzionale in più occasioni (cfr., ad esempio, la sentenza n. 232 in data 8 novembre 2017, avente ad oggetto l'art. 14, commi 1 e 3, della legge della Regione Sicilia n. 16 del 2016). Risulta, quindi, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008. Difatti - anche a voler ritenere che la disciplina ivi prevista non invada la competenza esclusiva statale in materia di "ordinamento penale" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., perché il legislatore provinciale ha previsto che la disciplina stessa operi "ai soli fini amministrativi" - tuttavia non può sottacersi che la Corte costituzionale, nel riconoscere che la disciplina dell'accertamento di conformità attiene al governo del territorio, ha rimarcato che "spetta al legislatore statale la scelta sull'an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l'articolazione e la specificazione di tali disposizioni" (così la citata sentenza n. 232 in data 8 novembre 2017). Pertanto sarebbe comunque prospettabile la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del principio di uguaglianza e del principio di ragionevolezza, nonché del combinato disposto degli articoli 4 e 8 dello Statuto di autonomia della Regione Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nella parte in cui subordinano l'esercizio della potestà legislativa delle Province di Trento e Bolzano in materia di "urbanistica e piani regolatori" al rispetto dei "principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica". Del resto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 93 in data 12 maggio 2023 ha da ultimo ribadito che "La previsione regionale di una sanatoria extra ordinem viola, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, i criteri di riparto della potestà legislativa in tema di condono edilizio, e si traduce nella lesione di un principio fondamentale nella materia di governo del territorio, con conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. Spettano, infatti, alla legislazione statale le scelte di principio e, in particolare, quelle relative all'an del condono, con la conseguenza che "esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale" (sentenze n. 70 del 2020, n. 73 del 2017, n. 233 del 2015, oltre che, ancora, il precedente specifico costituito dalla sentenza n. 68 del 2018)". 7. Peraltro il rinvio, d'ufficio, della predetta questione alla Corte costituzionale (non prospettata dalla parte ricorrente) presuppone in via preliminare la verifica della rilevanza della questione stessa nel presente giudizio. Difatti, se fosse acclarato che il provvedimento impugnato è stato adottato nonostante la non conformità dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) alla disciplina in materia di distanze vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria (come segnalato dai ricorrenti già nell'ambito del procedimento amministrativo volto al rilascio della concessione in sanatoria), il provvedimento stesso andrebbe comunque annullato, in accoglimento delle specifiche censure formulate con il ricorso in esame. 8. Pertanto - avendo i ricorrenti fornito quantomeno un principio di prova in ordine ai vizi denunciati, attraverso il raffronto tra le tavole allegate alla concessione edilizia n. 30/1990 - sussistono i presupposti per disporre, in parziale accoglimento dell'istanza istruttoria formulata dai ricorrenti stessi con la memoria depositata in data 22 maggio 2023, l'esecuzione di una verificazione, ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm., per accertare se: A) l'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) CC (omissis) è stato realizzato in violazione delle distanze legali dal confine con la p.f. (omissis) CC (omissis); B) il garage di pertinenza dell'edificio è stato realizzato in parte sulla p.f. (omissis) e/o in violazione delle distanze legali dal confine con la medesima p.f. (omissis). L'incarico di eseguire la verificazione può essere affidato al dirigente responsabile del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento, con facoltà di delega ad uno dei tecnici operanti nell'ambito degli Uffici dipendenti dal predetto Sevizio, e dovrà concludersi con il deposito di una sintetica relazione motivata nel termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione e/o notifica della presente ordinanza. La Segreteria del Tribunale metterà tempestivamente a disposizione del verificatore, a sua richiesta, il fascicolo di causa, affinché egli possa consultarlo ed estrarne copia. Il verificatore potrà chiedere ai ricorrenti di accedere al terreno contraddistinto dalla p.f. (omissis) per accertare lo stato di fatto. Con separato provvedimento sarà fissato il compenso spettante al verificatore, su sua richiesta, avuto riguardo alla quantità e qualità del lavoro svolto. P.Q.M. Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 40 del 2022, respinge le eccezioni preliminari sollevate dall'Amministrazione resistente e, riservata ogni ulteriore pronuncia in rito, sul merito e sulle spese, dispone l'esecuzione della verificazione di cui in motivazione secondo le modalità ed i termini ivi specificati. Fissa, per la prosecuzione del merito del giudizio, l'udienza pubblica del 9 novembre 2023. Ordina alla Segreteria del Tribunale di provvedere alla comunicazione della presente ordinanza, a mezzo PEC, al dirigente responsabile del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere, Estensore Antonia Tassinari - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 124 del 2022, proposto da An. Di., rappresentato e difeso dall'avvocato St. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Provincia Autonoma di Trento, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Bo., Gi. Be. e Je. Ma. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'Avvocatura provinciale, sita in Trento, piazza (...); - Ministero dell'Istruzione (oggi Ministero dell'Istruzione e del Merito ai sensi dell'art. 6 del d.l. 11 novembre 2022, n. 173 convertito con modificazioni dalla l. 10 dicembre 2022, n. 104), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in Trento, largo (...); per l'annullamento con riferimento al Concorso ordinario, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo indeterminato del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado e per l'insegnamento del sostegno, per n. 185 posti nelle istituzioni scolastiche provinciali a carattere statale della Provincia autonoma di Trento bandito con delibera Giunta Provinciale n. 758 del giorno 5.6.2020 relativamente alla classe di concorso A042 Scienze e tecnologie meccaniche: - del provvedimento 6.4.2022 di correzione della prova scritta e conferimento al ricorrente del punteggio di 68 su 70, - del provvedimento 13.06.2022 di rettifica del punteggio da 68 a 66 su 100 anziché da 68 a 70 su 100 ovvero da 68 a 74 su 100, - del successivo provvedimento (implicito) di esclusione del ricorrente per non ammissione dello stesso alle prove orali; - dei quesiti n. 10, 34 e 43 somministrati nella prova scritta del concorso con conseguente rideterminazione in 94 del punteggio massimo raggiungibile nella prova e quindi in 66 il punteggio rappresentante la sufficienza utile per il superamento della prova scritta; - di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e consequenziale in quanto lesivo del diritto del ricorrente alla prosecuzione della partecipazione alla procedura de qua; nonché per l'accertamento: - del diritto del ricorrente ad essere ammesso allo svolgimento delle prove orali del concorso per la classe di concorso A042 Scienze e tecnologie meccaniche. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento e del Ministero dell'Istruzione e del merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2023 il consigliere Cecilia Ambrosi, uditi l'avvocato St. Gi. per il ricorrente e l'avvocato Fr. Pa., in delegata sostituzione dell'avvocato Lu. Bo., per la Provincia autonoma di Trento nonché l'avvocato dello Stato Da. Vo. per il Ministero dell'Istruzione, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La Provincia Autonoma di Trento, con la deliberazione della Giunta provinciale n. 758 del 5 giugno 2020, modificata con deliberazione n. 258 del 25 febbraio 2022, ha bandito il "Concorso ordinario, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo indeterminato del personale docente della scuola secondaria di I e II grado e per l'insegnamento del sostegno, per n. 185 posti nelle istituzioni scolastiche provinciali a carattere statale ai sensi dell'articolo 3 del Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 59 e dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107", tra cui n. 7 posti per la classe di concorso A042 Scienze e tecnologie meccaniche. Nella delibera da ultimo citata, quanto alle modalità di svolgimento del concorso, si legge che: "Nel rispetto di quanto previsto dall'art. 91, comma 2 ter, della Legge Provinciale n. 5 del 2006, la Provincia ha aderito alla procedura concorsuale indetta a livello nazionale, avvalendosi a tal fine della medesima piattaforma informatica fornita al Ministero dalla ditta individuata, e si rende necessario, pertanto, ai fini dello svolgimento e della somministrazione delle prove d'esame simultaneamente con quelle delle altre regioni, adeguare le previsioni del bando a quelle da ultimo approvate dal Ministero medesimo". In coerenza con tale scelta l'art. 5 del bando di concorso dispone che: "Conformemente a quanto previsto dal decreto ministeriale 9 novembre 2021, n. 326, i quesiti della prova scritta sono predisposti a livello nazionale dal Ministero dell'Istruzione, che si avvale della Commissione nazionale di cui all'articolo 7 del decreto ministeriale medesimo". Inoltre, l'art. 7, comma 4 del bando medesimo prevede che: "Il superamento di tutte le prove concorsuali, attraverso il conseguimento dei punteggi minimi di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, costituisce ai sensi dell'articolo 5, comma 4 ter, del suddetto decreto legislativo, abilitazione all'insegnamento per le medesime classi di concorso. Il Servizio responsabile della procedura è competente all'attestazione della relativa abilitazione". 2. L'ing. An. Di., ricorrente nel ricorso in esame, ha presentato domanda di partecipazione per la classe di concorso A042 Scienze e tecnologie meccaniche e in data 6 aprile 2022 ha sostenuto la prova scritta, per la quale espressamente il bando disponeva la somministrazione di 50 quesiti a risposta multipla e stabiliva che la prova era valutata al massimo 100 punti ed era superata da coloro che avessero conseguito il punteggio minimo di 70 punti. All'esito di tale prova il ricorrente apprendeva di aver conseguito un punteggio di 68 punti su 100, insufficiente per l'ammissione alla prova orale in quanto il bando concorsuale fissava la soglia per accedervi a 70 punti. 3. A seguito di accesso agli atti, ed in particolare dopo aver ottenuto copia del proprio elaborato, il ricorrente riteneva che "per molte risposte esatte" da lui "date vi erano comunque delle altre risposte che sarebbero state comunque esatte e si avvedeva che alcune delle sue risposte erano state valutate come errate seppur egli avesse certezza della correttezza delle risposte che egli aveva dato ai vari quesiti". In particolare, tale situazione si verificava, secondo il ricorrente, con riferimento ai quesiti nn. 9, 10, 34 e 43, per i quali vi erano più risposte da ritenersi esatte, salvo il quesito n. 34 ove nessuna risposta poteva dirsi esatta. Il ricorrente si rivolgeva pertanto a uno studioso della materia per far esaminare il proprio elaborato ed i quesiti proposti dal Ministero: l'interpellato concludeva nel senso che "ben 5 (recte 4) quesiti riportavano più risposte esatte ovvero risposte del tutto errate ovvero che il quesito era mal formulato". 4. Nelle more di tale approfondimento, a seguito di avviso pubblicato il 13.06.2022 sul sito istituzionale della scuola "Vi." (trattasi del portale digitale per le istituzioni scolastiche della Provincia Autonoma di Trento) l'esito della prova veniva rettificato con la pubblicazione di una tabella di rideterminazione del punteggio relativo a 3 dei 6 candidati partecipanti alla prova, tra cui anche il ricorrente che vedeva ridotto il proprio punteggio ad un totale di 66 punti in luogo dei precedenti 68: il tutto, peraltro, senza ricevere alcuna comunicazione specifica di quali erano state le sue risposte modificate in peius o in melius. Per effetto di tale rettifica nessuno dei 6 candidati che avevano sostenuto la prova scritta era ammesso alla prova orale. 5. Ritenendo illegittimo lo svolgimento della procedura concorsuale il ricorrente ha proposto il ricorso in esame, dolendosi della correttezza dei quesiti e/o delle risposte indicate come esatte dal Ministero, sulla scorta di una perizia di parte (rif. valutazione tecnica del prof. ing. An. Do., Professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Trento, doc. 10 ricorrente). In particolare, il ricorso è affidato ad un solo motivo con cui vengono censurati quattro quesiti e segnatamente i quesiti 9, 10, 34 e 43 per i quali il gravame conclude come segue: - domanda 9: due risposte potevano essere considerate corrette; - domanda 10: tre risposte potevano essere considerate corrette; - domanda 34: nessuna risposta poteva essere considerata corretta; - domanda 43 due risposte potevano essere considerate corrette. In via principale, pertanto, deduce il ricorrente che "nessuna motivazione ovvero nessuna fondata comunicazione sia stata fornita al ricorrente in merito alla correzione in peius dei risultati della sua prova e dei motivi per cui da una valutazione di 68 su 100 si sia passati ad una valutazione di 66 su 100 anziché di 70 su 100 in ragione dell'individuazione della risposta (d) (quella scelta dal ricorrente) al quesito Gruppo Frigo n. 9 indicata come esatta anche dal Ministero". Inoltre, egli contesta i quesiti 10, 34 e 43, stante quanto concluso nella consulenza di parte prodotta in giudizio alla luce della quale i richiamati quesiti "mancano chiaramente i caratteri necessari perché le domande e risposte ivi indicate possano ritenersi rispondenti al principio generale di ragionevolezza, buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa di cui anche all'art. 97 c. 2 e c. 4 della Carta Costituzionale". Infatti "laddove la prova scritta sia articolata su risposte multiple, contenenti soluzioni simili, da fornire ad altrettanti quesiti somministrati ai candidati, lo scopo di essa consiste nel valutare il pieno discernimento dei partecipanti; nondimeno, la formulazione del quesito deve contemplare la presenza di una sola risposta "oggettivamente" esatta, rimanendo preclusa ogni possibilità di interpretazione soggettiva da parte della Commissione e, quindi, ogni valutazione discrezionale, sia pure predeterminata con l'ausilio di un testo di riferimento, dovendosi ritenere illegittima la prova condotta alla stregua di un quiz a risposta multipla che non conduca ad una risposta univoca ovvero indubitabilmente esatta". A tale scopo le risposte devono essere formulate "in maniera chiara, non incompleta o ambigua, in modo da consentire l'univocità della risposta". Nel caso di specie il ricorrente si appunta dunque sull'"omessa motivazione e illogicità della prova scritta del 6.04.2022", del provvedimento di correzione della prova scritta con attribuzione del punteggio di 68 su 100 e anche del provvedimento di rettifica del punteggio da 68 a 66 su 100 del 13.06.2022 - anziché da 68 a 70 ovvero da 68 a 74, come viceversa sostenuto dal consulente di parte - nonché, in via consequenziale, del successivo provvedimento implicito di esclusione del ricorrente per non ammissione alle prove orali. L'ing. Di. conclude in definitiva per la "violazione del principio della par condicio desumibile dall'art. 97 Cost. della prova scritta per la classe di concorso A042 Scienze e tecnologie meccaniche svolta dal ricorrente relativamente ai quesiti n. 10, 34 e 43" e quindi chiede: - "la rideterminazione in 94 del punteggio massimo raggiungibile nella prova e quindi in 66 il punteggio rappresentante la sufficienza utile per il superamento della prova scritta"; - il conseguente "accertamento del diritto del ricorrente ad essere ammesso allo svolgimento delle prove orali del concorso per la classe di concorso A042 Scienze e tecnologie meccaniche". 6. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito si è costituito al solo fine di contestare la propria legittimazione passiva chiedendo di essere estromesso dal giudizio, poiché verrebbero in considerazione atti integralmente riferibili alla Provincia Autonoma di Trento, stante il trasferimento alla stessa delle funzioni statali in materia di personale della scuola avvenuto in base al d.lgs. 24 luglio 1996 n. 433 di modifica del d.lgs. 15 luglio 1988, n. 405 e recante "Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino - Alto Adige in materia di ordinamento scolastico in provincia di Trento". 7. Anche la Provincia Autonoma di Trento si è costituita in giudizio e con memoria del 20 gennaio 2023 ha eccepito a sua volta l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva, sussistendo invece la legittimazione passiva esclusivamente in capo il Ministero dell'Istruzione, il quale ha provveduto all'elaborazione della prova per il tramite della Commissione nazionale, mentre la Provincia si è solo limitata ad aderire alla procedura nazionale a mente dell'art. 91, comma 2 ter, della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 recante la disciplina del "Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino". In caso di sostituzione della Provincia alla Commissione nazionale, infatti, si determinerebbe la lesione della par condicio dei candidati. Quanto al lamentato difetto di motivazione, deduce la Provincia come "la determinazione del punteggio ad un test a risposta multipla non richieda un'apposita motivazione, essendo la motivazione in re ipsa nell'esattezza o meno delle risposte date", chiarendo per parte propria di aver provveduto tempestivamente a comunicare l'intervenuta rettifica del punteggio ai candidati interessati, non appena ricevuta la comunicazione da parte di CINECA, Consorzio Interuniversitario che è stato incaricato dello svolgimento della prova da parte del Ministero, "non potendo in alcun modo accedere ad alcun applicativo per visionare le prove dei singoli candidati o vedere le domande e/o le risposte che hanno rideterminato in concreto il punteggio finale dei candidati, tra cui l'odierno ricorrente". Infine l'intimata Provincia ricusa la possibilità di prendere in considerazione le correzioni formulate dal ricorrente mediante la consulenza di parte per rettificare in proprio le domande formulate dalla Commissione nazionale poiché ciò determinerebbe "una palese e inammissibile violazione della par condicio dei candidati, con conseguente diversa modalità di attribuzione dei punteggi, a seconda che la medesima prova si sia svolta in Trentino o nelle altre Regioni". 8. Nell'udienza pubblica del 23 febbraio 2023, con ordinanza n. 26 pubblicata il 27 febbraio 2023, questo Tribunale ha ritenuto di disporre incombenti istruttori così motivati: "il Collegio rileva che nella controversia in esame non è stata prodotta in giudizio una specifica comunicazione, a cura della Provincia autonoma di Trento oppure del Ministero intimato, resa al ricorrente e recante la spiegazione circa le rettifiche e correzioni intervenute sull'esito della prova svolta, con particolare riferimento alle risposte ai quesiti oggetto di successiva correzione intervenuta in data 13.06.2022. Invero la Provincia autonoma di Trento ha confermato nella propria memoria l'assenza di siffatta comunicazione mentre il ricorrente ha desunto l'occorso, con un dichiarato margine di incertezza, da analoga comunicazione pervenuta in altri contesti territoriali per altri candidati (rif. doc. 15 ricorrente). Neppure dalle memorie prodotte in giudizio dalle parti intimate è possibile evincere quanto sopra esposto. Ne discende la difficoltà per questo Giudice di ricostruire la vicenda, ulteriormente complicata dall'erogazione casuale dei quesiti, avvenuta a livello informatico per ciascun candidato... Alla luce di quanto sopra considerato, il Collegio ritiene pertanto necessario al fine del decidere, disporre un preliminare incombente istruttorio richiedendo al Ministero intimato, in persona del Dirigente pro tempore preposto all'Ufficio III Reclutamento del personale docente ed educativo della Direzione Generale per il personale scolastico - responsabile della redazione e della somministrazione dei quesiti, dell'esito della prova scritta e della sua correzione successiva, in questa sede contestate - la produzione di una relazione adeguatamente documentata e circostanziata in fatto che illustri quanto accaduto in sede di rettifica e rideterminazione del punteggio complessivo dell'attuale ricorrente pubblicato in data 13.06.2022, con riferimento specifico ai quesiti la cui risposta è stata oggetto di rettifica nonché alla prova svolta dal ricorrente medesimo, che ha visto la rideterminazione in peius del suo punteggio finale da 68 a 66 punti". Per il predetto adempimento all'Amministrazione era assegnato un termine di 40 giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa dell'ordinanza, rinviando al merito ogni ulteriore determinazione in rito, nel merito e sulle spese del presente giudizio. 9. In data 5 maggio 2023 il Ministero dell'istruzione e del merito - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione - Direzione generale per il personale scolastico - Uff. III Reclutamento del personale docente ed educativo, ha depositato la propria relazione con la quale ha preliminarmente precisato la spettanza della predisposizione, somministrazione e correzione dei quesiti e delle relative risposte in capo alla "Commissione nazionale di cui all'art. 7 del D.M. 9 novembre 2021, n. 326, nominata con decreto dipartimentale n. 174 del 21 gennaio 2022" e composta "da professori universitari, ricercatori a tempo indeterminato, a tempo determinato di tipo A o tipo B di cui all'articolo 24, comma 3 lettere a) e b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, assegnisti di ricerca, docenti AFAM, dirigenti tecnici, dirigenti scolastici, docenti di ruolo", ed ha chiarito le regole, anche procedurali, per la redazione e correzione dei quesiti, anche per il tramite del Consorzio CINECA - soggetto responsabile della piattaforma informatica riservata per la gestione delle prove scritte - con estraneità di tali incombenti alla commissione esaminatrice. Ha poi dedotto in merito alla procedura di rettifica dei risultati dell'originaria correzione della prova scritta, conclusasi con la pubblicazione del punteggio rettificato il 13.06.2022. Il Ministero ha chiarito che, a seguito del riconoscimento della sussistenza di errori nei quesiti da parte della Commissione nazionale, è stato dallo stesso provveduto, in base al potere di autotutela dell'Amministrazione, a richiedere al CINECA di procedere al ricalcolo dei punteggi. Il Ministero ha precisato altresì che: "All'esito della rideterminazione dei punteggi, viene data notizia ai candidati interessati per il tramite dell'Ufficio scolastico regionale che ha gestito la procedura. Di tale comunicazione non sono destinatarie le Amministrazioni scolastiche di Trento e Bolzano, in quanto la procedura concorsuale di cui trattasi, non è destinata alle province autonome di Trento e Bolzano, così come previsto dall'art. 18 comma 2 del D.D. 23 del 5/01/2022. In particolare, la provincia autonoma di Trento, con la deliberazione della Giunta provinciale n. 758 del 5 giugno 2020, modificata con deliberazione n. 258 del 25 febbraio 2022, ha emanato un proprio bando di concorso prevedendo di avvalersi della medesima piattaforma informatica fornita al Ministero dal CINECA. Pertanto, questa Amministrazione non gestisce l'organizzazione del concorso nell'ambito della provincia autonoma". Nel contempo il Ministero ha comunicato che, nel caso di specie, a seguito dell'ordinanza istruttoria la Commissione nazionale ha riesaminato tutti i quesiti censurati dal ricorrente Di. - numeri 9, 10, 34 e 43, corrispondenti rispettivamente a quelli caricati in piattaforma CINECA ai numeri 25, 32, 40 e 12 - con le seguenti risultanze: "si precisa che è stato ritenuto errato dalla Commissione soltanto il numero 9 (corrispondente al numero 25 caricato sulla piattaforma CINECA), per il quale si è proceduto a disporre la rideterminazione del punteggio con nota di questo Ufficio, protocollo n. 21574 del 6 giugno 2022. Con la suddetta nota è stato rideterminato il punteggio anche dei quesiti caricati in piattaforma CINECA numeri 2, 5, 6 e 10, corrispondenti rispettivamente ai quesiti somministrati al candidato numeri 47, 48, 22 e 18. In particolare, nei riguardi del candidato si prospetta la seguente situazione: - Quesito numero 9 (numero 25 piattaforma CINECA): con il ricalcolo del punteggio sono stati attribuiti due punti sia ai candidati che hanno risposto all'opzione: " Si può ricorrere all'interposizione di un inverter nell'impianto" e " Si possono aumentare le superfici di scambio termico" . Pertanto, anche nei confronti del ricorrente sono stati attribuiti due punti. - Quesito numero 18 (numero 10 piattaforma CINECA): con il ricalcolo del punteggio sono stati attribuiti due punti ai candidati che hanno risposto all'opzione: " C=0.06% Cr=18% Ni=10% Ti con percentuale non specificata" e sottratti due punti ai candidati, fra cui il ricorrente, che hanno risposto all'opzione: " C=0.06% Cr=18% Ni=10% Ti con percentuale inferiore" . - Quesito numero 22 (numero 6 piattaforma CINECA): con il ricalcolo del punteggio sono stati attribuiti due punti ai candidati che hanno risposto all'opzione: " Il regime del suo moto è turbolento" e sottratti due punti ai candidati, fra cui il ricorrente, che hanno risposto all'opzione: " Il regime del suo moto è incerto (o di transizione)" . - Quesiti numeri 47 e 48 (numeri 2 e 5 piattaforma CINECA): al ricorrente non è stato rettificato alcun punteggio in quanto le risposte inizialmente date sono state confermate come corrette. Da quanto sopra descritto si evince che il punteggio rideterminato nei confronti del ricorrente deriva dalla seguente somma algebrica: 68 (punteggio iniziale) + 2 (rettifica quesito numero 25 piattaforma CINECA) - 2 (rettifica quesito numero 6 piattaforma CINECA) - 2 (rettifica quesito numero 10 piattaforma CINECA) = 66. In relazione agli altri quesiti ritenuti errati dal candidato (10, 34 e 43, corrispondenti rispettivamente a quelli caricati in piattaforma CINECA ai numeri 32, 40 e 12), si comunica che sono stati riesaminati dalla Commissione che li ha ritenuti comunque corretti come da relazione tecnica in allegato". Il Ministero ha quindi prodotto tale relazione agli atti di causa (doc. 2) a conforto di tale conclusione. 10. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito, inoltre, con memoria depositata il 5 maggio 2023, ribadendo la domanda di estromissione dal giudizio già in precedenza formulata, in via subordinata ha chiesto che il ricorso sia rigettato nel merito in quanto infondato, alla luce delle risultanze dell'incombente istruttorio disposto da questo Tribunale. In primo luogo, il medesimo Ministero osserva come l'atto di rettifica del punteggio pubblicato il 13 giugno 2022 è da ricondurre all'esercizio del potere di autotutela dell'Amministrazione, ove "è stato anteposto l'interesse pubblico al buon andamento di cui all'articolo 97 Cost. sotto il profilo della prevalenza del merito nelle procedure concorsuali, teso alla valorizzazione dei migliori". L'autotutela è giustificata dalla necessità di non equiparare la posizione di chi ha risposto in maniera corretta con quella di coloro i quali hanno risposto erroneamente, in assenza di alcun legittimo affidamento nel superamento della prova scritta in capo al ricorrente tenuto conto del fatto che la rettifica ha avuto luogo dopo soli due mesi dallo svolgimento della prova, ossia prima dell'immissione in ruolo e, quindi, prima del conseguimento dell'utilità finale del concorso. Quanto poi alle censure svolte sui quesiti indicati dal ricorrente, secondo il Ministero il ricorso si prospetta del tutto infondato alla luce della giurisprudenza che rimette alla discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, nei concorsi pubblici, l'individuazione dei quesiti nei test a risposta multipla così come delle risposte ritenute esatte: profili, questi, sui quali non può estendersi il sindacato del Giudice amministrativo, se non in caso di macroscopica illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto. L'Amministrazione adduce, a conforto del proprio argomentare le risultanze del riesame da parte della Commissione nazionale sui quesiti contestati dall'ing Di., ad esclusione del quesito n. 9 corretto in suo favore, come documentato in giudizio. Segnatamente, con riferimento ai singoli quesiti, chiarisce che la rettifica nella risposta al quesito 18 del ricorrente - corrispondente al quesito 10 caricato sulla piattaforma - è stata confermata in altri giudizi (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-bis ordinanza n. 1880/2023) e i rimanenti quesiti riesaminati dalla Commissione - taluni dei quali, in tesi del resistente, parimenti confermati in altrettanti giudizi - non sono stati ritenuti dalla stessa "né errati, né ambigui, né con due opzioni di risposta corrette o nessuna risposta corretta". 11. All'odierna udienza pubblica il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO I. Il ricorso non è meritevole di accoglimento, per le motivazioni di seguito esposte. II. In via preliminare deve essere respinta la richiesta della Provincia Autonoma di Trento di essere estromessa dal giudizio, come già statuito da questo Tribunale da ultimo nella sentenza 13 giugno 2023, n. 96, pur riferita ad altra classe del medesimo concorso. La resistente Provincia invero rileva che con il concorso in argomento si è limitata ad aderire alla procedura nazionale ed il soggetto che ha proceduto all'elaborazione della prova, per il tramite della Commissione nazionale, è il Ministero dell'Istruzione, unico soggetto legittimato a contraddire nel ricorso in esame. Conseguentemente la Provincia deduce di non aver avuto alcun potere in merito alla redazione ed alla correzione della prova scritta nonché alla sua successiva revisione e pertanto anche alla determinazione del contenuto dei provvedimenti adottati e impugnati, essendosi limitata a trasmettere ai candidati le decisioni del Ministero, e per esso della Commissione nazionale. Tale prospettazione non è peraltro convincente. Giova richiamare in tale senso le statuizioni della richiamata sentenza, da confermarsi in questa sede: "Invero la legittimazione passiva in capo ad un'Amministrazione intimata è sussistente tutte le volte in cui siano in contestazione gli atti dalla stessa assunti: nel caso di specie il bando di concorso è incontrovertibilmente un atto della Provincia autonoma di Trento, la quale per propria scelta, di per sé condivisibile, ha ritenuto di mutuare l'articolazione di taluna fase concorsuale dall'omo e contestuale concorso ministeriale anche in ragione del carattere abilitante assegnato al concorso. In particolare, per quanto di interesse, la prova scritta, computer based, è stata redatta sulla scorta dei quesiti predisposti dalla Commissione nazionale su incarico del Ministero dell'Istruzione (ora Ministero dell'Istruzione e del Merito ai sensi dell'art. 6 del d.l. 11 novembre 2022 n. 173 convertito con modificazioni dalla l. 16 dicembre 2022, n. 204) e svolta sulla piattaforma informatica della ditta incaricata dal Ministero stesso (CINECA) contestualmente alle prove effettuate nelle varie Regioni quanto al concorso nazionale. Anche la correzione della prova scritta è avvenuta ad opera degli organismi cui si è affidato il Ministero per l'omo concorso ministeriale. Ciò, tuttavia, non determina l'esclusiva attribuzione all'allora Ministero dell'Istruzione della fase procedurale in questione, che invece costituisce un segmento del più ampio procedimento concorsuale indetto dalla Provincia autonoma di Trento, che ha preso le mosse dall'approvazione del bando di concorso, avvenuta con delibera della Giunta provinciale n. 758 del 5 giugno 2020, poi modificata con deliberazione n. 258 del 25 febbraio 2022, nonché dalla domanda di partecipazione al concorso presentata alla Provincia autonoma di Trento dai candidati, tra i quali il ricorrente. Sulla scorta della previsione del bando medesimo è previsto altresì che, susseguentemente alla prova scritta, il concorso si sviluppa poi nella comunicazione di ammissione alla prova orale, nell'espletamento della prova orale medesima, nella valutazione dei titoli e nella formazione della graduatoria, atti tutti demandati alla Provincia autonoma di Trento, in parte qua per il tramite della Commissione nominata con delibera della Giunta provinciale, la quale ultima, infine, approva anche la graduatoria, così come in effetti avvenuto per la procedura qui in considerazione con delibera 30 settembre 2022, n. 1742, con ciò confermando che il concorso rimane a pieno titolo provinciale. Come correttamente indicato anche dall'Amministrazione intimata, nel territorio della provincia di Trento, in forza della norma di attuazione approvata con d.P.R. 15 luglio 1988, n. 405 - recante " Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino - Alto Adige in materia di ordinamento scolastico in provincia di Trento" - e successive modificazioni e della legislazione provinciale attuativa, nella quale assume primario rilievo la legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 e successive modificazioni - recante: " Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino" - le funzioni esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in relazione alle scuole di ogni ordine e grado, compreso quelle riguardanti lo stato giuridico ed economico del personale insegnante delle scuole ed istituti di istruzione elementare e secondaria, sono state trasferite, per il suo territorio, alla Provincia Autonoma di Trento. Dunque, la medesima Provincia ha una propria autonomia, sia in termini di competenza normativa che in materia di organizzazione scolastica, ivi compresa l'assunzione del personale insegnante che dipende dalla stessa Amministrazione provinciale. In forza di tali presupposti è pertanto avvenuta l'approvazione del bando di concorso a cura della Provincia autonoma di Trento, e così la conclusione dello stesso, suggellata con l'approvazione della graduatoria da parte della Provincia medesima, riverbera nell'assunzione dei vincitori nei ruoli scolastici provinciali. Tutto ciò pertanto avvalora la piena riconduzione della titolarità del rapporto controverso alla Provincia, rilevando invece l'accordo con il Ministero sul piano strettamente gestorio dell'articolazione e sviluppo della prova scritta in contestazione. Quanto sopra argomentato, ad avviso del Collegio, non è scalfito dalla previsione dell'articolo 91, comma 2 ter della l.p. n. 5 del 2006, di cui si è avvalsa la resistente Provincia nel caso di specie, il quale invero espressamente dispone che: " La Provincia può aderire alle procedure concorsuali indette dal ministero competente e costituisce, in tal caso, ambito territoriale esclusivo. A tal fine, anche tramite la stipulazione di appositi protocolli d'intesa con il competente ministero, la Provincia definisce autonomamente i posti e le classi di concorso oggetto delle procedure, i relativi fabbisogni e può prevedere programmi d'esame specifici con riferimento al sistema educativo d'istruzione e formazione provinciale, fatto comunque salvo il rispetto del comma 2 bis" . Tale disciplina non vale peraltro a trasferire la titolarità del concorso in argomento in capo al Ministero, secondo quanto previsto nel disaminato bando di concorso. In definitiva, alla luce di tutto quanto sopra esposto, la Provincia autonoma di Trento assume una legittimazione passiva piena a contraddire nel ricorso in esame" (in termini T.A.R. Lazio Roma Sez. IV, Sent., 26 ottobre 2022, n. 13845; T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., 19 luglio 2021, n. 5002)". III. Quanto sopra esposto non consente tuttavia di accogliere l'analoga richiesta di estromissione formulata in via principale dal Ministero dell'Istruzione (ora Ministero dell'Istruzione e del Merito) nel presupposto che il bando in argomento deve essere esclusivamente attribuito alla Provincia Autonoma di Trento in forza della norma di attuazione approvata con d.P.R. 15 luglio 1988, n. 405, recante "Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino - Alto Adige in materia di ordinamento scolastico in provincia di Trento" e ss.mm. Invero, la fase procedurale di cui si duole il ricorrente, per quanto sopra esposto, è integralmente riconducibile al Ministero, e per esso alla Commissione nazionale di cui quest'ultimo si è avvalso, la quale ha predisposto i quesiti e anche effettuato le correzioni, ivi compresa la fase di rettifica delle stesse. Pertanto, indubitabilmente sussiste nella specie la legittimazione passiva del Ministero intimato, secondo i noti principi i quali, in conformità al carattere impugnatorio del processo amministrativo, individuano la legittimazione passiva in capo all'Amministrazione i cui atti sono contestati in giudizio (cfr. Cons. Stato Sez. IV, Sent., 25 gennaio 2022, n. 490; T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 21-04-2016, n. 2089; T.A.R. Veneto, Sez. I, Sent., 7 gennaio 2020, n. 14). In tal senso è appena il caso di evidenziare che non è pertinente il riferimento dell'intimata alla sentenza di questo Tribunale 3 marzo 2022, n. 47, ivi trattandosi di provvedimenti di non ammissione del ricorrente alla classe successiva integralmente riferibili alla Provincia Autonoma di Trento. IV. Venendo al merito del ricorso, deve rammentarsi che il sindacato di cui è investito questo Giudice nella materia di cui trattasi investe profili di discrezionalità tecnica ed è, quindi, limitato alle sole ipotesi di manifesta illogicità, evidente irragionevolezza, travisamento dei fatti o di macroscopici vizi logici ovvero in presenza di veri e propri errori che possano ritenersi accertati in modo inequivocabile in base alle conoscenze proprie del settore di riferimento. Tale assunto si conforma alla giurisprudenza del tutto consolidata ed investe anche il tema della corretta formulazione dei quesiti a risposta multipla somministrati per selezionare i candidati nelle procedure concorsuali o idoneative, da ascriversi appunto alla discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, con conseguente impossibilità per il giudice amministrativo di compiere un sindacato sull'esattezza delle risposte ritenute corrette dalla commissione di esperti che ha elaborato i relativi quesiti (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sentenze 29 marzo 2022, n. 2296 e 2302, 26 gennaio 2022, n. 531). La condivisibile giurisprudenza, in particolare, ha avuto modo di precisare al riguardo che: "...sindacare la correttezza delle risposte significa sconfinare nel merito amministrativo, ambito precluso al giudice amministrativo, il quale non può sostituirsi ad una valutazione rientrante nelle competenze valutative specifiche degli organi dell'Amministrazione a ciò preposti, e titolari della discrezionalità di decidere quale sia la risposta esatta ad un quiz formulato; ciò secondo la propria visione culturale, scientifica e professionale che ben può essere espressa in determinazioni legittime nei limiti, complessivi, della attendibilità obiettiva, nonché (...) della sua non manifesta incongruenza/travisamento rispetto ai presupposti fattuali assunti o della sua non evidente illogicità " (cfr. citata sentenza Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 2022, n. 2302). Nel caso di test a risposta multipla, tali principi giurisprudenziali si declinano ulteriormente nella sicura attribuzione alla discrezionalità dell'Amministrazione l'individuazione delle domande da sottoporre ai candidati, sindacabile da questo Giudice solo nei limiti esterni di manifesta illogicità ed irragionevolezza o dell'inosservanza del limite oggettivo del programma e delle materie previste per lo specifico concorso (cfr. tra le più recenti, sentenza T.A.R. Campania Napoli, sez. V, sentenza 19 luglio 2021, n. 5002), mentre, quanto alle risposte individuate per le singole domande, l'ambito di discrezionalità si riduce nel senso che una sola dev'essere la risposta esatta (cfr. sentenza Consiglio di Stato, sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5820; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III quater, 27 agosto 2019, n. 10628) o, detto in altri ed ancor più puntuali termini, "risulta imprescindibile che l'opzione, da considerarsi valida per ciascun quesito, sia l'unica effettivamente e incontrovertibilmente corretta sul piano scientifico, costituendo tale elemento un preciso obbligo dell'Amministrazione" (cfr. sentenza Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4862). "Più precisamente, in sede di pubblico? concorso, laddove la prova scritta sia articolata su risposte multiple, contenenti soluzioni simili, da fornire ad altrettanti quesiti somministrati ai candidati, lo scopo di essa consiste nel valutare il pieno discernimento dei partecipanti; nondimeno, la formulazione del quesito deve contemplare la presenza di una sola risposta " oggettivamente " esatta, rimanendo preclusa ogni possibilità di interpretazione soggettiva da parte della Commissione (e, quindi, ogni valutazione discrezionale, sia pure predeterminata con l'ausilio di un testo di riferimento), dovendosi ritenere legittima esclusivamente la prova condotta alla stregua di un? quiz? a risposta multipla che conduca ad una risposta univoca ovvero che contempli, tra le risposte da scegliere, quella indubitabilmente esatta (cfr. Cons. Stato, sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5820)" (cfr. la richiamata sentenza T.A.R. Campania Napoli 5002/2021; cfr., altresì, Cons. Stato, sez. III, 5 gennaio 2021, n. 158; Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2015, n. 4432). Sempre con riguardo ai quesiti con pluralità di risposte, il Collegio condivide - altresì - l'orientamento citato dalla parte ricorrente che ne trae l'estensione della sindacabilità anche al profilo afferente alla formulazione ambigua dei quesiti, nei limiti in cui essa possa determinare la conseguente possibilità che vi siano incontrovertibilmente risposte alternative e comunque esatte, ovvero che manchi una sola risposta esatta (cfr. sempre la richiamata sentenza T.A.R. Campania, Napoli 5002/2021, nonché T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 5 febbraio 2020, n. 560; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III quater, 27 agosto 2019, n. 10628; Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2012 n. 4862; Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2015, n. 2673). V. Sulla scorta delle coordinate giurisprudenziali sopra indicate, occorre ora esaminare gli esiti dell'incombente istruttorio svolto dal Ministero dell'Istruzione e del merito e sortito nella relazione prodotta nel presente giudizio in data 5 maggio 2023. A) Come evidenziato in premessa, in primo luogo il Ministero, ha compiutamente dimostrato le ragioni per cui il punteggio del ricorrente è stato rettificato in 66 punti susseguentemente ad una prima attribuzione del punteggio di 68 punti, peraltro insufficiente in ogni caso all'ammissione alla prova orale, per la quale erano necessari 70 punti. Sul punto il Ministero ha precisato che: "In particolare, nei riguardi del candidato si prospetta la seguente situazione: - Quesito numero 9 (numero 25 piattaforma CINECA): con il ricalcolo del punteggio sono stati attribuiti due punti sia ai candidati che hanno risposto all'opzione: " Si può ricorrere all'interposizione di un inverter nell'impianto" e " Si possono aumentare le superfici di scambio termico" . Pertanto, anche nei confronti del ricorrente sono stati attribuiti due punti. - Quesito numero 18 (numero 10 piattaforma CINECA): con il ricalcolo del punteggio sono stati attribuiti due punti ai candidati che hanno risposto all'opzione: " C=0.06% Cr=18% Ni=10% Ti con percentuale non specificata" e sottratti due punti ai candidati, fra cui il ricorrente, che hanno risposto all'opzione: " C=0.06% Cr=18% Ni=10% Ti con percentuale inferiore" . - Quesito numero 22 (numero 6 piattaforma CINECA): con il ricalcolo del punteggio sono stati attribuiti due punti ai candidati che hanno risposto all'opzione: " Il regime del suo moto è turbolento" e sottratti due punti ai candidati, fra cui il ricorrente, che hanno risposto all'opzione: " Il regime del suo moto è incerto (o di transizione)" . - Quesiti numeri 47 e 48 (numeri 2 e 5 piattaforma CINECA): al ricorrente non è stato rettificato alcun punteggio in quanto le risposte inizialmente date sono state confermate come corrette. Da quanto sopra descritto si evince che il punteggio rideterminato nei confronti del ricorrente deriva dalla seguente somma algebrica: 68 (punteggio iniziale) + 2 (rettifica quesito numero 25 piattaforma CINECA) - 2 (rettifica quesito numero 6 piattaforma CINECA) - 2 (rettifica quesito numero 10 piattaforma CINECA) = 66". B) Da quanto sopraesposto si rinviene che non ha determinato alcun pregiudizio per il ricorrente: - la disposta rettifica relativamente ai quesiti 47 e 48 (numeri 2 e 5 piattaforma CINECA), poiché sin dall'origine egli aveva formulato la risposta corretta; - la correzione concernente il quesito numero 9 (numero 25 piattaforma CINECA), avendo riconosciuto la Commissione nazionale già in sede di rettifica la fondatezza della censura esposta dal ricorrente poiché effettivamente due erano le risposte ugualmente esatte, tra le quali anche quella data dal ricorrente. C) Invece i quesiti n. 18 (numero 10 piattaforma CINECA) e n. 22 (numero 6 piattaforma CINECA), hanno comportato la sottrazione di 4 punti dal punteggio totale conseguito in prima battuta, in quanto la risposta data dal ricorrente doveva intendersi errata. Peraltro, relativamente a tali quesiti, nel ricorso così come successivamente non sono state formulate specifiche censure. Alla luce di tutto quanto sopra esposto, non residuano pertanto ulteriori doglianze relativamente all'impugnato provvedimento pubblicato il 13.06.2022 e recante la rideterminazione del punteggio in capo al ricorrente in 66 punti in luogo dei 68 in precedenza assegnati. VI. Passando ora alla disamina delle censure sui quesiti rimanenti, merita evidenziare che la Commissione nazionale ha rivalutato i quesiti contestati dal ricorrente con puntuale riferimento alle considerazioni svolte nell'elaborato di parte presentato in giudizio. La conclusione cui è pervenuta la Commissione nazionale, quale si evince dalla relazione allegata alla relazione ministeriale, è la seguente: - quanto al quesito ministeriale 32, corrispondente al quesito 10 del ricorrente: " Sebbene i confini per classificare e quindi definire rigidamente i sistemi produttivi siano effettivamente labili anche per la letteratura di settore, il ricorrente confonde Sistemi di produzione, Ambienti di produzione e Layout di produzione. La risposta "b" indicata dal Ministero è relativa ai sistemi di produzione (ed è quindi da ritenersi giusta). (recte "a") La "c" fa riferimento per "make to stock" e "make to order" ad ambienti di produzione che sono concetti ben più ampi di un sistema (ciò che invece è la Lean Production, presente nella medesima risposta"). Ciò specificato, però, in una visione più allargata, ove il Ministero volesse non resistere al ricorrente, si potrebbe invocare anche in questo caso il criterio della eccessiva sottigliezza della domanda, ritenendo la risposta ammissibile, seppur non ortodossa. La risposta "d" (Linee Transfer, Layout a celle, Layout per reparti) è da ritenersi esplicitamente riferibile a configurazioni di layout tra loro alternativi, e non certo di sistemi produttivi. Pertanto è da ritenersi certamente errata" ; - quanto al quesito ministeriale 40, corrispondente al quesito 34 del ricorrente: " Valutazione Contestazioni riportate: Vanno fatte due considerazioni: in letteratura sussistono modelli (più tradizionali e per questo ritenuti in fase di compilazione della prova, di più larga diffusione) che vedono il Mean Time Between Failure come il lasso di tempo massimo che un qualsiasi dispositivo può sostenere continuando a funzionare correttamente senza ricevere manutenzione (J.D.Patton, Maintanability and Maintenance Management, North Carolina, Instrument Society of America, Research Triangle Park, 1998). In pratica nella visione tradizionale (se consideriamo l'MTTR come tempo per la risoluzione dei guasti, quindi molto variabile da guasto a guasto per la medesima macchina) l'MTBF ha il ruolo assegnato nelle visioni più recenti all'MTTF citato dal ricorrente; scegliere l'uno o l'altro, al di là delle implicazioni tassonomiche, esponeva comunque ad eventuali eccezioni; anche volendo rigidamente considerare imprecisa la definizione che sottende al concetto di MTBF, l'unica risposta possibile è la "a", poiché la "b" e la "d" sono destituite di alcun senso matematico, mentre la "c" prefigura un assurdo ancora maggiore, corrispondendo ad una macchina che non riparte mai. Tanto premesso si ritiene sostenibile considerare come risposta corretta quella indicata dal Ministero" . - quanto al quesito ministeriale 12, corrispondente al quesito 43 del ricorrente: "Pur ritenendo corrette le fonti prese in considerazione dal ricorrente, l'intaglio genera uno stato di tensione multiassiale localizzato all'apice, che ha lo scopo di innescare la frattura in questa area del provino e di garantire la propagazione della cricca e la successiva rottura nell'intorno dell'intaglio. Pertanto la risposta "a" (Con un intaglio che serve a garantire la multiassialità degli sforzi) indicata dal Ministero è assolutamente corretta, mentre la "d" (recte "c") (Con un intaglio per guidare geometricamente la rottura del provino) non lo è, perché l'intaglio non guida la rottura, genera multiassialità degli sforzi". VII. Alla luce della motivazione complessivamente espressa nella suddetta relazione sui quesiti contestati, ritiene il Collegio che non sia ravvisabile nelle risposte e/o nei quesiti formulati, quella manifesta irragionevolezza, illogicità e incongruità o palese erroneità, alla stregua della disciplina di settore, che sole potrebbero giustificare un sindacato da parte di questo Giudice, atteso che le risposte indicate dal Ministero ai quesiti sono univocamente indicate come sicuramente corrette, costituendo invece le altre risposte dei cc.dd. "distrattori", aventi dei meri margini di plausibilità e la cui funzione è proprio quella di "distrarre" dall'individuazione dell'unica risposta corretta onde verificare la solidità della preparazione del candidato. In particolare, non assume i crismi sufficienti ad aprire allo scrutinio di questo Giudice, quanto esposto con riferimento al quesito 40, corrispondente al quesito 34 del ricorrente, poiché la Commissione sottolinea che " l'unica risposta possibile è la "a", poiché la "b" e la "d" sono destituite di alcun senso matematico, mentre la "c" prefigura un assurdo ancora maggiore, corrispondendo ad una macchina che non riparte mai", e a tale conclusione perviene anche volendo "considerare imprecisa la definizione che sottende al concetto di MTBF". Né sul punto il ricorrente ha contrastato con qualsivoglia ulteriore argomento tecnico le conclusioni trancianti prospettate dalla Commissione nazionale. Nello stesso senso, ad avviso del Collegio, conduce l'analisi delle valutazioni della Commissione sul quesito 12, corrispondente al quesito 43 del ricorrente. Invero il riconoscimento della correttezza delle fonti citate dal ricorrente nelle perizie prodotte di per sé non significa che siano certamente esatte le conclusioni che ne sono tratte nel ricorso. Anche in questo caso, inoltre, l'ing. Di. non ha contrastato con qualsivoglia ulteriore argomento tecnico le conclusioni trancianti formulate dalla Commissione nazionale nel senso che: " la risposta "a" (Con un intaglio che serve a garantire la multiassialità degli sforzi) indicata dal Ministero è assolutamente corretta, mentre la "d" (RECTE "c")(Con un intaglio per guidare geometricamente la rottura del provino) non lo è, perché l'intaglio non guida la rottura, genera multiassialità degli sforzi" . VIII. Alla luce di quanto sopra esposto consegue che, anche valorizzando l'apertura dimostrata dalla Commissione nazionale in ordine al quesito ministeriale 32, corrispondente al quesito 10 del ricorrente, quanto alla possibile ambiguità dell'indicata risposta alla domanda formulata - che tuttavia non pare assurgere al richiesto livello di macroscopicità rilevante - l'attribuzione del punteggio positivo, corrispondente alla risposta esatta, non comporterebbe alcun effetto utile per l'attuale ricorrente, portando il suo punteggio totale a 68 punti, comunque insufficiente per il superamento della prova scritta e l'ammissione alla prova orale. Pertanto, la censura sul punto è inficiata dal difetto di interesse. IX. Per tutto quanto sopra argomentato il ricorso deve essere respinto. X. In ragione della peculiarità della fattispecie, le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per la Regione Autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Cecilia Ambrosi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 197 del 2022, conseguente alla trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da Vo. Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Trento, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’ avvocato An. Co. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via (…), presso l’avvocato An. Co. negli uffici dell’Avvocatura comunale; Tr. Ri. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio; per l’annullamento - del “Regolamento di applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche” del Comune di Trento vigente negli anni 2017-2020, nel testo risultante dalla Deliberazione consiliare 6.12.2016 n. 143 e confermato con le deliberazioni consiliari 7.11.2017 n. 139, 20.11.2019 n. 181 e 3.6.2020, n. 63 - anch’esse impugnate – con particolare riferimento agli artt. 24, 25, 27 e 28 e all’Allegato A, e nella parte in cui, per le occupazioni permanenti con stazioni radio base per la telefonia mobile è stabilito un coefficiente moltiplicatore della tariffa base pari a 14; - del “Regolamento di istituzione e di disciplina provvisoria del canone patrimoniale e del canone di concessione dei mercati, ai sensi della Legge 27 dicembre 2019, n. 160” adottato con deliberazione consiliare 28.1.2021, n. 18 – anch’essa impugnata – che, nelle more dell’approvazione del regolamento sul c.d. “canone unico patrimoniale”, sostitutivo di COSAP e TOSAP, ha confermato, in via transitoria, per il 2021 il versamento dei canoni con le tariffe del 2020; - del “Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria e del canone mercatale”, c.d. Regolamento CUP, approvato con deliberazione consiliare 14.4.2021, n. 42; - della deliberazione della Giunta Comunale n. 79 del 15.4.2021 recante determinazione delle tariffe per l’anno 2021, ivi compreso il suo Allegato B, che stabilisce per le stazioni radio base il coefficiente moltiplicatore di tariffa pari a 9,64; nonché, occorrendo, la successiva deliberazione di Giunta Comunale n. 311 del 6.12.2021 e il suo Allegato B, relativo alle tariffe per l’anno 2022; - di ogni altro atto e provvedimento connesso, presupposto o consequenziale, anche se non conosciuto, ivi comprese, ove ritenute di natura provvedimentale e in quanto attratte alla presente sede giurisdizionale, la nota prot. 125670 del 6.5.2022 del Comune di Trento – Servizio Risorse finanziarie e patrimoniali, recante quantificazione dei canoni e “richiesta pagamento canoni dal 1 ottobre 2016 al 31 dicembre 2022”, nonché la nota prot. 193633 dell’11.7.2022 del Comune di Trento – Servizio Risorse finanziarie e patrimoniali, recante “avviso di accertamento esecutivo”, entrambe a titolo di invalidità derivata, con riserva di impugnativa avanti al Giudice Ordinario anche per vizi propri.   Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Trento; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto il decreto n. 9 del 29 marzo 2023 del Presidente del T.R.G.A. di Trento; Relatore nella udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il consigliere Antonia Tassinari e uditi per la ricorrente l’avvocato St. Se. in sostituzione dell’avvocato Pa. Ca. e per il Comune di Trento l’avvocato An. Co. come specificato nel relativo verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:   FATTO In data 28 settembre 2011 è stata stipulata tra il Comune di Trento e Vo. Italia s.p.a. (di seguito Vo.), azienda di telecomunicazioni che gestisce il servizio radiomobile, un atto di concessione di bene patrimoniale indisponibile rep. n. 269 avente ad oggetto uno spazio di circa 27 mq sito in località Villazzano, via Valnigra n. 69, catastalmente e tavolarmente identificato con la particella edificiale 833, da adibire a stazione per la diffusione del segnale radiotelefonico. La suddetta concessione era stata preceduta dall’atto rep. n. 1359 del 2004 di analogo contenuto scaduto il 30 settembre 2010. La concessione del 28 settembre 2011 è stata rilasciata per la durata di sei anni, a decorrere dall’1 ottobre 2010 e sino al 30 settembre 2016 (art. 3), a fronte di un corrispettivo annuo, concordato tra le parti, di euro 19.000,00 soggetto ad aggiornamento nella misura del 100% della variazione Istat e da corrispondersi entro il 30 ottobre di ciascun anno (art. 4). Nell’area è stata quindi realizzata una stazione radio base, comprensiva di strutture, antenne, parabole ed apparecchiature radio posizionate su palo flangiato di circa metri lineari 20, per la diffusione del segnale radiotelefonico al servizio della telefonia cellulare. Se “il diritto di installazione e mantenimento dell’impianto è condizione essenziale ed imprescindibile per tutta la durata del contratto”, in ogni caso alla scadenza della concessione l’installato impianto avrebbe dovuto essere rimosso al fine di restituire al Comune la porzione immobiliare nelle medesime condizioni in cui era stata consegnata (art. 3). Peraltro a tutt’oggi la porzione immobiliare non risulta restituita, né l’impianto smantellato avendo continuato Vo. a utilizzare sine titulol’impianto medesimo - a dire della ricorrente non avendo il Comune di Trento voluto dar seguito alla richiesta di rinnovo della concessione - e tutto ciò nonostante la scadenza della concessione e la declaratoria dell’obbligo di rilasciare al Comune di Trento il bene oggetto della stessa pronunciata dal Tribunale ordinario di Trento il 28 dicembre 2022, come si dirà nel prosieguo. Con nota del 30 settembre 2013 Vo. ha segnalato al Comune di Trento la contrarietà delle disposizioni contrattuali inerenti alla determinazione del canone di concessione rispetto a norme imperative (nello specifico l’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259 “Codice delle comunicazioni elettroniche” in combinato disposto con l’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 “Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali”) precisando inoltre che, nelle more del preteso adeguamento, avrebbe provveduto al pagamento dell’importo di euro 516,46, desumendo tale somma dal disposto del citato art. 93, trattandosi ai sensi dell’art. 1339 c.c. di norma ritenuta idonea ad integrare la disciplina di fonte contrattuale vigente inter partes. Non avendo Vo. adempiuto al pagamento delle annualità di canone relative ai periodi 1 ottobre 2014 – 30 settembre 2015 e 1 ottobre 2015 – 30 settembre 2016, Tr. Ri. S.p.a., quale affidataria della funzione di riscossione coattiva delle entrate del Comune di Trento, su richiesta del Comune di Trento ha emesso a carico di Vo. due ingiunzioni fiscali di pagamento per l’importo complessivo di euro 39.822,49, oltre interessi, spese e aggio di riscossione. Vo. ha quindi proposto opposizione innanzi al Tribunale ordinario di Trento chiedendo l’accertamento della nullità delle ingiunzioni e dell’art. 4 della concessione, nonché la sostituzione di detta clausola con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme ex legedovute a titolo di canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), determinate nella misura minima di euro 516,46 annue. L’opposizione è stata accolta nei limiti di cui in motivazione con sentenza del Tribunale ordinario di Trento del 28 dicembre 2022 che ha dichiarato non dovute le somme ingiunte, contestualmente statuendo l’obbligo di Vo. Italia s.p.a. di rilasciare al Comune di Trento il bene oggetto della concessione. Con riferimento alla domanda di quantificazione del canone in difformità rispetto a quanto previsto nella concessione il medesimo Tribunale ha altresì ritenuto la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo al pagamento delle somme dovute a titolo di occupazione dell’area di cui trattasi oltre il termine di scadenza della concessione. Con nota del 6 maggio 2022 prot. 125670 il Comune di Trento – Servizio Risorse finanziarie e patrimoniali, ha quantificato i canoni ritenuti dovuti da Vo. per l’occupazione sine titulodal 1 ottobre 2016 al 31 dicembre 2022 richiedendone il pagamento. Le somme pretese per tale periodo di occupazione di fatto, sono state indicate in complessivi euro 66.924,07 sulla base delle tariffe approvate con il Regolamento di applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) vigente dal 2017 al 2020 e con il Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale (CUP) per il periodo successivo. In particolare il Comune ha effettuato i conteggi nei termini che seguono. Per il 2016 (ottobre – dicembre), ha fatto proporzionale applicazione dell’ultimo canone annuo della concessione scaduta, e da ciò è scaturito un ammontare di euro 5.089,75; per gli anni 2017-2018-2019-2020, ha applicato gli artt. 24 e 25 e l’Allegato A, del Regolamento COSAP vigente dal 2017 al 2020 che per le occupazioni permanenti effettuate con “stazioni base per la diffusione di segnale radiotelefonico al servizio della telefonia cellulare”, prevedono un coefficiente moltiplicatore pari a 14 da cui è derivato un importo di euro 12.161,22 per ogni anno; per l’anno 2021 ha applicato il “Regolamento di istituzione e di disciplina provvisoria del canone patrimoniale e del canone di concessione dei mercati, ai sensi della Legge 27 dicembre 2019, n. 160” che, nelle more dell’approvazione del regolamento sul c.d. “canone unico patrimoniale”, sostitutivo di COSAP (canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) e TOSAP (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche), ha confermato in via transitoria il versamento dei canoni con le stesse tariffe del 2020, poi di fatto confermate anche nel “Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria e del canone mercatale”, con la conseguente determinazione di un importo di euro 12.389,44; da ultimo, per il 2022 in applicazione del comma 831-bis dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019 n. 160 che ha fissato un canone unico patrimoniale pari a euro 800,00, è stato conseguentemente quantificato come dovuto tale ultimo importo. Successivamente il Comune di Trento con nota dell’11 luglio 2022 prot. 193633 ha emesso un “avviso di accertamento esecutivo” intimando a Vo. il pagamento del complessivo importo di euro 67.018,04 già maggiorato degli interessi legali per tardato pagamento, contestualmente avvisando che la nota stessa in caso di ulteriore inadempienza avrebbe costituito titolo esecutivo. Le richiamate note comunali sono state impugnate da Vo., unitamente ai regolamenti in epigrafe indicati, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Il Comune di Trento ha peraltro presentato opposizione ai sensi dell’art. 10 del medesimo d.P.R., chiedendo la trasposizione in sede giurisdizionale di tale impugnativa. Ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, Vo. si è quindi costituita in giudizio avanti a questo T.R.G.A. e, conseguentemente, il ricorso avverso le note e i regolamenti comunali suddetti risulta ora radicato in questa sede. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto già dedotti nel ricorso straordinario: Violazione dell’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche) e dell’art. 63, co. 2, lett. e), del d.lgs. n. 446/1997. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, contraddittorietà, travisamento dei fatti e disparità di trattamento. Violazione del principio di proporzionalità. Violazione artt. 23 e 97 cost. Violazione delle direttive 2002/20/ce, 2002/21/ce, 2014/61/UE. L’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e l’art. 63 comma 2 lettera e) del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 nel loro combinato disposto prevedono “speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche e istituzionali”. Tuttavia i canoni quantificati dal Comune di Trento per l’occupazione sine titulo da parte di Vo. dal 1 ottobre 2016 al 31 dicembre 2022 nonchè i presupposti regolamenti comunali - in particolare il Regolamento di applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) vigente dal 2017 al 2020 e il Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale (CUP) per il periodo successivo - non hanno considerato e non contengono alcuna “speciale agevolazione”. Anzi, il Comune di Trento con deliberazione consiliare 6 dicembre 2016, n. 143 ha introdotto nel Regolamento COSAP una disciplina tariffaria gravemente penalizzante per gli impianti di telefonia mobile avendo previsto all’art. 24 una tariffa base per le 5 categorie ivi individuate e all’art. 25 un coefficiente moltiplicatore pari a 14 per la tipologia di occupazione “stazioni base per la diffusione di segnale radiotelefonico al servizio della telefonia cellulare”, e quindi superiore a tutte le altre attività. Inoltre l’art. 28 del Regolamento COSAP, che prevede una serie di ipotesi di riduzione del 50% del canone determinato a norma degli articoli precedenti, illegittimamente non annovera in tale elenco gli impianti adibiti al servizio pubblico di telecomunicazioni, nel mentre sono ammesse alla riduzione le occupazioni che presentano mero “carattere di pubblico interesse comunale (o circoscrizionale)” Con riferimento al regolamento Cup provvisorio e definitivo. Violazione dell’art. 1, commi 816 e ss. della l. 160/2019. Violazione art. 93 del d.lgs. 259/2003 e art. 63, co. 2, del d.lgs. n. 446/1997. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, contraddittorietà, travisamento dei fatti e disparità di trattamento. Violazione del principio di proporzionalità. Violazione artt. 23 e 97 cost. Le censure rivolte al Regolamento COSAP vigente per le annualità dal 2017 al 2020 (poi abrogato con deliberazione del Consiglio comunale del 14 aprile 2021, n. 42) devono estendersi anche al “Regolamento di istituzione e di disciplina provvisoria del canone patrimoniale e del canone di concessione dei mercati, ai sensi della Legge 27 dicembre 2019, n. 160” che successivamente ha confermato, in via transitoria per il 2021, l’obbligo del versamento dei canoni con le tariffe del 2020. Le medesime censure devono, altresì, estendersi anche al “Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria e del canone mercatale” che ha determinato le tariffe per l’anno 2021, prevedendo per le stazioni radio base il coefficiente moltiplicatore di tariffa pari a 9,64. Tale coefficiente moltiplicatore, ancorché minore rispetto a quello pari a 14 contenuto nel Regolamento COSAP, una volta combinato con la tariffa standard annua di cui all’art. 1, comma 826, della legge 27 dicembre 2019 n. 160 restituisce lo stesso risultato del precedente regolamento. D’altra parte il comma 831-bis) dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019 n. 160 rappresenta anche per il passato un ragionevole parametro di adeguatezza delle speciali agevolazioni imposte alla determinazione della tariffa già per effetto della legislazione previgente. III. Sotto altro profilo: violazione dell’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 per illegittima maggiorazione del canone in caso di c.d. cositing o sharing. Il Regolamento COSAP vigente per il 2017-2020 e il Regolamento CUP sono illegittimi anche perché il primo all’art. 28, comma 6, il secondo, all’art. 51, comma 5, dispongono una significativa maggiorazione del canone, nella misura del 50%, “per ogni nuovo gestore che si collochi con propri impianti sulla stazione base esistente (co-siting) o che utilizzi l’impianto del concessionario originario (sharing)”. Per le infrastrutture condivise sono previsti canoni ancora più elevati, benché l’occupazione di suolo resti invariata: tale scelta risulta irrazionale e in contrasto con la tendenza che incentiva la riduzione del consumo del suolo. Lo stesso Comune di Trento nell’impugnata nota del 6 maggio 2022 ha stabilito di disapplicare tali disposizioni, le quali peraltro violano non solo l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003 ma anche il comma 823 dell’art. 1, della legge n. 160 del 2019, il quale a sua volta mette in relazione il canone con la superficie utilizzata e non con il numero degli utilizzatori, e il comma 824 del medesimo art. 1 che tra i criteri di determinazione del canone comunque non prevede l’ipotesi dell’utilizzazione da parte di più beneficiari. Violazione del principio di proporzionalità e del principio di non discriminazione. Violazione della direttiva 2018/1972/UE (“codice europeo delle comunicazioni elettroniche”). Eccesso di potere per travisamento di fatti, contraddittorietà, disparità di trattamento. Alle occupazioni effettuate per l’insediamento di impianti di telefonia mobile, che hanno carattere di pubblica utilità e sono assimilati alle opere di urbanizzazione primaria, viene riservata una disciplina peggiorativa e un canone vessatorio al solo fine di assicurare un vantaggio finanziario al Comune. Ciò configura una illegittima imposta extra ordinem sull’attività di impresa e la violazione della Direttiva 2018/1972/UE (“Codice europeo delle comunicazioni elettroniche”), recepito con d.lgs. 8 novembre 2021, n. 207. Eccesso di potere per disparità di trattamento, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione. A fronte di una tariffa annua standard di 60 euro al metro quadrato fissata dal comma 826 dell’art. 1 della Legge n. 160 del 219 per i Comuni aventi il numero di popolazione che ha Trento, il Comune di Trento ha applicato per la telefonia mobile una tariffa che è di dieci o di quindici volte più alta, a seconda che si tratti di un’occupazione con un solo operatore o con una struttura condivisa tra più stazioni radio base di diversi gestori (c.d. cositing). Avendo riguardo alle tariffe approvate con la delibera di Giunta Comunale n. 79 del 2021 (Allegato B), qui impugnata, risulta che il medesimo Comune non ha applicato, per tutte le altre tipologie di occupazione, la tariffa standard prevista dalla legge nazionale, ma abbia in effetti previsto tariffe più basse, ossia spesso inferiori alla misura standard prevedendo coefficienti inferiori a 1. Ciò risulterebbe, in astratto, legittimo se a fronte dei coefficienti di riduzione rispetto alla tariffa standard il Comune avesse reso chiare le ragioni di tale ribasso, alla luce di quanto previsto dall’anzidetto art. 1, comma 824, della legge n. 160 del 2019. Non essendo avvenuto ciò, l’intero sistema di tariffazione del canone unico del Comune di Trento risulta arbitrario ed illegittimo. Vo. precisa a tale riguardo di avere un interesse attuale e qualificato a contestare anche l’intero sistema tariffario per il principio di invarianza del gettito, per cui un eventuale aumento della tariffa delle altre tipologie di occupazione implicherebbe la doverosa riduzione della tariffa applicabile alle occupazioni per la telefonia mobile, e ciò al fine di renderla coerente con la tariffa standard prevista dalla legge nazionale. Il Comune ha ritenuto di maggiorare, rispetto agli standard di legge, la misura del canone dovuto per occupazioni di suolo di interesse pubblico primario, quali sono quelle relative allo sviluppo delle reti di telecomunicazioni e degli impianti 5G in particolare, attenuando invece la misura del canone per altri tipi di occupazione, volte a soddisfare interessi meramente privati e/o non destinatari di alcun favor legislativo. Violazione della legge n.241/1990 e degli obblighi di partecipazione L’approvazione dei Regolamenti impugnati e degli atti determinativi delle tariffe non è stata preceduta da alcuna comunicazione ai soggetti destinatari dei loro effetti in violazione degli obblighi di partecipazione procedimentale introdotti nell’ordinamento dalla legge 7 agosto 1990 n. 241. Il Comune di Trento, costituitosi in giudizio per resistere al ricorso, ha sostenuto che Vo. pretendeva nella sostanza di pagare l’importo minimo di euro 516,46 previsto dell'art. 63, comma 2, lett. f), punto 3 del d.lgs. n. 446 del 1997. Viceversa, come avrebbe riconosciuto anche il Tribunale ordinario civile, la determinazione del canone spetterebbe al Comune e costituirebbe espressione di discrezionalità amministrativa, per cui il giudice amministrativo - prosegue sempre il Comune - non può sostituirsi all’Amministrazione nell’esercizio di tale potere. Quanto alle speciali agevolazioni nella determinazione tariffaria in ragione dell’interesse pubblico svolto dagli impianti di telefonia, il Comune ha rappresentato di aver rinunciato alla maggiorazione del canone del 50% prevista nel Regolamento COSAP per la condivisione dell’impianto con un altro gestore (art. 28, comma 6, del Regolamento), di non aver chiesto il pagamento della maggiorazione del canone prevista a titolo di indennità, né le sanzioni pecuniarie previste per l’occupazione abusiva (art. 30, comma 1, lett. a) e b) del Regolamento) e di non aver applicato gli interessi moratori per “l’omesso, parziale o tardivo pagamento del canone o di sue rate”(art. 30, comma 2, del Regolamento). A dire del Comune, inoltre, considerate “le caratteristiche dell’area, la tipologia di attività svolta da Vo. nonché il vantaggio che la società trae dall’occupazione del suolo pubblico, il coefficiente moltiplicatore imposto dal regolamento COSAP del Comune di Trento non appare affatto irragionevole né penalizzante.” Nell’udienza in camera di consiglio del 26 gennaio 2023 si è preso atto della rinuncia all’istanza cautelare da parte della ricorrente, sottoscritta per accettazione anche dalla difesa del Comune, nel contempo disponendo la trattazione della causa nel merito alla pubblica udienza dell’11 maggio 2023 ora di rito. In vista della pubblica udienza le parti hanno insistito per l’accoglimento delle rispettive posizioni reiterando le argomentazioni già rispettivamente prospettate. Vo. ha rappresentato di aver impugnato con atto di citazione notificato il 27 settembre 2022 l’avviso di accertamento esecutivo prot. n. 193633 dell’11 luglio 2022 anche innanzi al Tribunale di Trento facendo valere vizi propri di tale pretesa patrimoniale. Il Comune infine ha rimarcato la connotazione abusiva dell’occupazione dello spazio da parte di Vo. successivamente alla scadenza della concessione e la debenza dei canoni anche per l’occupazione di fatto degli spazi pubblici. La difesa comunale ha altresì ribadito che il vantaggio che la società trae dall’occupazione del suolo pubblico esclude l’irragionevolezza del canone preteso e che, viceversa, la somma offerta dalla ricorrente di euro 516,46 sarebbe assolutamente inadeguata e priva di sostegno giuridico. Alla pubblica udienza dell’11 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I) Il ricorso, che in principalità censura le note del Comune del 6 maggio e dell’11 luglio 2022 per l’illegittimità in via derivata delle stesse conseguente ai regolamenti di cui è stata fatta applicazione senza che nei medesimi fossero introdotte, come in tesi dovuto, le “speciali agevolazioni” stabilite dall'art. 63, comma 2, lett. e) del d.lgs. n. 446 del 1997, è fondato e merita accoglimento. II) Va innanzitutto premesso, quanto alla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo nella presente controversia, che si condividono integralmente al riguardo le considerazioni contenute nella sentenza del Tribunale ordinario di Trento del 28 dicembre 2022, resa inter partes. A ragione infatti tale giudice ha rilevato che va negata la giurisdizione del giudice ordinario ed affermata quella del giudice amministrativo, rispetto alle domande dell’ivi opponente Vo. e del Comune in cui veniva in sostanza chiesta la determinazione del canone della concessione dell’area di proprietà comunale su cui la medesima Vo. aveva installato la propria stazione radio base in misura diversa rispetto all’importo ivi fissato. A tale riguardo il giudice ordinario ha infatti evidenziato che l’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 non stabilisce un criterio residuale di determinazione del canone concessorio, limitandosi a precisare un limite minino al corrispettivo di euro 516,46, mentre non sancisce che, in caso di inerzia regolamentare, tale debba essere la misura dell’imposizione. In tal senso il Tribunale ordinario di Trento ha evidenziato di non disporre di criteri certi ed univoci per determinare il dovuto e che nel caso di specie il Comune di Trento, con scelta di natura discrezionale, non aveva recepito nel proprio Regolamento COSAP l’unico criterio astrattamente applicabile alle concessioni in esame, cioè la previsione di una “speciale agevolazione”, ai sensi dell’art. 63, comma 2 lett. e), del /d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, sicché sul punto la controversia riguarda la verifica dell’azione autoritativa sull’intera economia del rapporto concessorio, avuto riguardo alle modalità di esercizio, con atto regolamentare, del potere impositivo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 giugno 2018, n. 3879), anche con riguardo all’art. 7, comma 1, c.p.a., ai sensi del quale “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”. Rettamente il giudice ordinario ha rilevato che la giurisdizione del giudice amministrativo pertanto si radica “ogniqualvolta sia identificabile la spendita di un potere, il rifiuto ovvero l’inerzia ad esercitarlo, allorché la norma istitutiva attribuisca alla pubblica amministrazione uno spazio di scelta rispetto alla cura dell’interesse pubblico ed al bilanciamento con gli interessi dei privati (nel caso di specie i gestori dei servizi di rete). Anche l’inattività, infatti, rappresenta una modalità di gestione del potere e, nel caso di specie, incide sull’economia dell’intero rapporto concessorio. Il principio è quello per cui il giudice ordinario può procedere all’accertamento dell’effettiva debenza o della esatta quantificazione di un corrispettivo, sulla base di criteri prestabiliti e vincolanti per l’Ente pubblico, mentre spetta al giudice amministrativo il sindacato inerente all’esercizio della discrezionalità amministrativa (in termini Cass. SS.UU n. 20939/2011 “qualora (…) la controversia coinvolga l’esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione del canone, dell’indennità o di altro corrispettivo (…), la questione appartiene alla sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo”) Per quanto attiene quindi alle domande dell’opponente e del Comune volte alla quantificazione del canone in difformità rispetto a quanto previsto nella concessione, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. A tale conclusione non osta la specificità del presente giudizio, di opposizione all’ingiunzione fiscale, atteso che la disposizione di cui all’art. 3 R.D. n. 639/2010 (recte: 639/1910), che regola l’opposizione alle ingiunzioni fiscali, non deroga alle norme che attribuiscono la giurisdizione, ma stabilisce unicamente che, nelle materie sottoposte alla cognizione del giudice ordinario, l’opposizione va introdotta nelle forme prescritte dall’art. 32 d.lgs. n. 150/2011 (in termini, T.A.R. Lombardia n. 2770/2018; Cass. SS.UU. n. 29/2016; Cass. SS.UU. n. 1238/2002)” Nella specie, pertanto, l’opposizione proposta da Vo. ai sensi dell’art. 3 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639 e nelle forme dell’art. 32 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 innanzi al Tribunale ordinario in composizione monocratica avverso l’ingiunzione di pagamento ad essa notificata dal Comune di Trento non era idonea a ricondurre nella sfera alla giurisdizione del giudice ordinario controversie che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla disciplina ad essi relativa,risultano per contro attribuite ex lege alla giurisdizione del giudice amministrativo. Lo stesso giudice ordinario ha inoltre condivisibilmente statuito nel senso che “parimenti appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione della domanda del Comune volta ad ottenere il pagamento di somme per l’occupazione del bene concessionato oltre il termine della concessione, trattandosi un importo per la cui determinazione viene in rilievo il potere discrezionale della P.A. concedente (in relazione all’importo del canone, da determinare nei limiti di legge, equiparandosi al canone il corrispettivo della detenzione proseguita a concessione scaduta)”. III) Venendo ora alla definizione del merito della presente causa, vale altresì premettere in linea generale che “la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, …..è di preminente interesse generale, ….” (cfr. art. 3 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259). Inoltre le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria (cfr. art. 86 comma 3 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 nel testo ante riforma 2021) e gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno “carattere di pubblica utilità” (cfr. art. 90 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 nel testo ante riforma 2021). IV) Giova, poi, evidenziare il particolare contenuto della normativa di riferimento della controversia in esame, essenzialmente rappresentato dall’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 nonché dall’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 nel loro combinato disposto. Secondo l’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche “1. Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. 2 (…) Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507”. Peraltro la disciplina anzidetta è stata oggetto anche di una interpretazione autentica ad opera dell’art. 12 comma 3 del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33/2016 “Attuazione della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità” nel senso che segue “3. L'articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione, restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto”. Pertanto il fine perseguito dall’anzidetto art. 93 “consiste nell’agevolare l’installazione di nuovi apparati di telecomunicazione, impedendo che gli operatori del settore, per poter conseguire la disponibilità dei beni pubblici e delle infrastrutture occorrenti alla gestione del servizio, siano costretti a subire condizioni inique o discriminatorie” (cfr. T.A.R. Torino, sez. II, 6 marzo 2019, n. 244). In proposito anche la Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 246/2020) ha rilevato che“la disciplina del settore della comunicazione elettronica persegue il duplice e concorrente obiettivo della libertà nella fornitura del relativo servizio, in quanto di preminente interesse generale, e della tutela del diritto di iniziativa economica degli operatori, da svolgersi in regime di concorrenza proprio al fine di garantire il più ampio accesso all’uso dei mezzi di comunicazione elettronica”. L’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, cui rimanda l’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche al fine della determinazione del canone che l’Ente locale può imporre al gestore, a propria volta dispone al comma 2, lettera e) che gli Enti locali prevedono nel regolamento COSAP speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali. Al comma 2, lettera f) il medesimo articolo stabilisce inoltre che gli Enti locali possano contemplare la “previsione per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, di un canone determinato forfetariamente come segue: 1) per le occupazioni del territorio comunale il canone è commisurato al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita alle sottoindicate classi di comuni (…)”. È stato introdotto, in tal modo, il criterio riferito al numero di utenze servite, con la precisazione che “in ogni caso l’ammontare complessivo dei canoni dovuti a ciascun comune o provincia non può essere inferiore a [€ 516,14]” Peraltro il parametro del numero complessivo delle utenze non risulta applicabile alle telecomunicazioni mobili, non essendo possibile determinare con riferimento a tali servizi il numero complessivo di utenti che usufruiscono della rete. Ne consegue che la determinazione del canone imposto ai gestori di servizi di telefonia mobile non può effettuarsi alla stregua del comma 2 lettera f) del citato art. 63, dovendo allora trovare necessariamente applicazione la lettera e) del comma 2 del medesimo articolo e, quindi, la previsione di un canone agevolato a fronte dell’interesse pubblico connesso all’erogazione dei servizi di rete. V) Ciò posto, occorre sottolineare che il fondamentale principio derivante dall’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 è stato introdotto – nell’attuale formulazione – dal d.lgs. 28 maggio 2012, n. 70 ed è in vigore dall’1 giugno 2012. La concessione di cui si tratta risale, come detto, al 28 settembre 2011 e, tuttavia, “stante il carattere imperativo, la norma deve ritenersi idonea a modificare, alla stregua di una sopravvenienza giuridica di natura inderogabile, il regolamento negoziale” (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1689), vale a dire nella specie l’art. 4 della concessione. VI) Se un canone agevolato avrebbe dovuto essere previsto già nel corso (e per la vigenza) della concessione, in realtà il discorso non cambia con riferimento al periodo successivo alla scadenza della medesima intervenuta il 30 settembre 2016. Relativamente al periodo dal 1 ottobre 2016 al 31 dicembre 2022 in cui, come riportato in fatto, l’occupazione si è svolta sine titulo, il Comune in particolare con la nota del 6 maggio 2022 - poi confermata con l’avviso di accertamento esecutivo dell’11 luglio 2022 – ha preteso un importo per una minima parte derivante dalla concessione (art. 4) e per il resto sostanzialmente ancorato alle tariffe approvate con il Regolamento di applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) vigente dal 2017 al 2020 e con il Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale (CUP)per il periodo successivo. Sennonché sull’art. 4 della concessione ha inciso la sopravvenienza consistente nella “speciale agevolazione” di cui al comma 2 lettera e) dell’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, ed in senso analogo anche tali Regolamenti non recavano alcuna “speciale agevolazione”. VII) Anche tenuto conto di quanto precede merita perciò favorevole apprezzamento il primo motivo, con il quale Vo. ha dedotto la violazione del combinato disposto dell’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e dell’art. 63 comma 2 lettera e) del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Al riguardo coglie, infatti, senz’altro nel segno la difesa di parte ricorrente laddove rileva che non solo non sono state previste “speciali agevolazioni” ma, all’opposto, sono state disposte condizioni particolarmente peggiorative del canone. Nonostante che nella determinazione dell’importo del canone e del pari del corrispettivo, equiparato al canone, della detenzione proseguita a concessione scaduta, venga in rilievo il potere discrezionale dell’Amministrazione concedente (cfr. art. 133 comma 1 lett. b), c.p.a.), nella specie l’agire dell’Amministrazione evidenzia manifesti profili di irragionevolezza e sproporzione che giustificano il sindacato di legittimità del giudice amministrativo. Si badi che con deliberazione consiliare del 6 dicembre 2016, n. 143, quindi ben successivamente all’entrata in vigore l’1 giugno 2012 della disposizione che impone ai Comuni di contemplare “speciali agevolazioni” nel regolamento COSAP, è stato introdotto un coefficiente moltiplicatore pari a 14 per la tipologia di occupazione “stazioni base per la diffusione di segnale radiotelefonico al servizio della telefonia cellulare” che risulta essere superiore a tutte le altre attività. Infatti anche le occupazioni di suolo pubblico, non certo di “particolare interesse pubblico”, per impianti pubblicitari o per chioschi che, eccettuata l’occupazione per stazioni base, comportano i coefficienti più elevati, si arrestano comunque al valore di 10 o 5. In altri termini, non vi è stata da parte del Comune una mera inerzia regolamentare bensì un’azione puntuale in senso opposto rispetto a quanto il Comune era tenuto, e l’aver previsto un coefficiente superiore a tutti gli altri equivale palesemente a non introdurre le speciali agevolazioni per occupazioni di particolare interesse pubblico (quale quella in esame) che invece la legge prescrive. Un coefficiente pari a 14 è inoltre irragionevole e sproporzionato anche considerato che dal 2022 il canone non può superare l’importo di 800 euro ai sensi del comma 831-bis dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019 n. 160, e che tale importo non può che rappresentare un ragionevole parametro di adeguatezza delle speciali agevolazioni imposte nella determinazione della tariffa già dalla legislazione previgente (cfr. T.A.R. Bologna, sez. II, 28 ottobre 2021, n. 886). Anche il fatto che il Regolamento COSAP preveda una serie di ipotesi di riduzione del 50% del canone senza annoverare in tale elenco gli impianti adibiti al servizio pubblico di telecomunicazioni se aggiunto a un coefficiente moltiplicatore elevato è suscettibile di integrare la mancanza delle “speciali agevolazioni” prescritte dal combinato disposto dell’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e dell’art. 63 comma 2 lettera e) del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. In tutta evidenza non possono infine essere accolte le argomentazioni difensive del Comune laddove in buona sostanza viene sostenuto che alla ricorrente le “speciali agevolazioni” prescritte dalla normativa sarebbero state comunque applicate de facto. Il Comune infatti avrebbe rinunciato: alla maggiorazione del canone del 50% prevista per la condivisione dell’impianto con un altro gestore (art. 28, comma 6, del Regolamento), alla maggiorazione del canone prevista a titolo di indennità e alle sanzioni pecuniarie stabilite per l’occupazione abusiva (art. 30, comma 1, lett. a) e b) del Regolamento) nonché agli interessi moratori per “l’omesso, parziale o tardivo pagamento del canone o di sue rate” (art. 30, comma 2, del Regolamento). Un siffatto comportamento, peraltro, non trova alcun riscontro nelle norme, semmai evidenziando - a tacer d’altro - profili di possibile arbitrarietà del tutto incompatibili con il modus agendi che deve viceversa improntare l’azione di una pubblica amministrazione. VIII) Analogamente va condiviso pure il secondo motivo, con il quale Vo. ha rivolto le censure contenute nel primo motivo anche al “Regolamento di istituzione e di disciplina provvisoria del canone patrimoniale e del canone di concessione dei mercati, ai sensi della Legge 27 dicembre 2019, n. 160” il quale ha confermato, in via transitoria per il 2021, il versamento dei canoni con le tariffe del 2020 nonché al “Regolamento per la disciplina del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria e del canone mercatale” che ha determinato le tariffe per l’anno 2021, prevedendo per le stazioni radio base il coefficiente moltiplicatore di tariffa pari a 9,64. Le considerazioni espresse nel motivo che precede valgono evidentemente anche con riferimento al regolamento che transitoriamente ha confermato il canone come calcolato per il 2020 vale a dire con il coefficiente 14 previsto dal Regolamento COSAP. Quanto alle censure riferite al Regolamento CUP, vale considerare che il coefficiente moltiplicatore di 9,64 ancorché minore rispetto a quello pari a 14 contenuto nel Regolamento COSAP, una volta combinato come previsto con la tariffa standard annua di cui all’art. 1, comma 826, della legge 27 dicembre 2019 n. 160 in effetti conduce ad un risultato pressoché pari al precedente regolamento. Sul punto non vi è contestazione, per cui, così stando le cose, il canone ancora una volta non può pertanto che risultare penalizzante, irragionevole e sproporzionato, atteso che dal 2022 il canone non può superare 800 euro ai sensi del comma 831-bis dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019 n. 160 e, come si è già detto, tale importo non può che rappresentare un ragionevole parametro di adeguatezza delle speciali agevolazioni imposte nella determinazione della tariffa già dalla legislazione previgente. IX) Per concludere quanto ai primi due motivi, sui quali essenzialmente trova radicamento il ricorso, vale spendere qualche considerazione relativamente alla questione degli introiti considerevoli che verrebbero conseguiti da Vo., nonché alle questioni dell’occupazione abusiva da parte della medesima società e della sua pretesa di corrispondere al riguardo un canone di euro 516,46, trattandosi di aspetti su cui la difesa del Comune insiste particolarmente. Il canone agevolato di cui si fa questione è un beneficio prescritto da norme imperative per un fine pubblico e non dipende dalla situazione economica del soggetto che occupa il suolo pubblico. La Pubblica Amministrazione in tutta evidenza non può pertanto condizionare la previsione e la pretesa o meno di un canone di favore alla disponibilità di risorse dell’occupante. A maggior ragione, la florida situazione economica di quest’ultimo non vale nemmeno a dar conto e giustificare l’omissione del recepimento di una prescrizione imperativa di legge con la conseguente e del tutto arbitraria pretesa di un canone peggiorativo. Quanto all’occupazione abusiva (recte: senza titolo) non va sottaciuto che il 30 settembre 2016, ossia alla scadenza della concessione, il Comune non si è adoperato puntualmente né per il suo rinnovo, né per la restituzione dell’area previa rimozione dell’impianto ivi realizzato. Infatti soltanto nel 2018, chiamato in causa da Tr. Ri. s.p.a. a seguito dell’opposizione di Vo. alle due ingiunzioni fiscali di pagamento relative alle annualità del canone 2014/2015 e 2015/2016, il Comune ha chiesto al Tribunale ordinario in via riconvenzionale la condanna al pagamento di tutti i canoni oggetto dell’esecuzione esattoriale e nel contempo l’accertamento della sussistenza, a carico di Vo., dell’obbligo di riconsegna del bene. Alla declaratoria dell’obbligo di rilascio del bene pronunciata dal Tribunale il 28 dicembre 2022 non risulta tuttavia che sia stato dato seguito, neppure con mera nota di sollecito e tantomeno di intimazione o diffida. In precedenza, del resto, nemmeno avevano trovato applicazione, come qui riconosciuto dallo stesso Comune, le sanzioni pecuniarie previste dal proprio Regolamento per l’occupazione abusiva . D’altra parte è appena il caso di rilevare che la concessione stipulata in data 28 settembre 2011 reca una decorrenza retroattiva dall’1 ottobre 2010 in quanto il 30 settembre 2010 era scaduta la precedente concessione stipulata il 2 novembre 2004. Ciò posto, a tacere in ogni caso del fatto che il canone per l'occupazione di suolo pubblico è in tutta evidenza dovuto anche da parte dell'occupante di fatto o abusivo: il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), diversamente dalla tassa per l'occupazione di aree pubbliche (TOSAP), costituisce infatti il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l'occupazione di fatto dei menzionati beni (Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16 febbraio 2023, n. 1655 secondo cui “La tassa per l'occupazione di aree pubbliche (TOSAP) e il canone di concessione per il suolo oggetto di occupazione (COSAP), hanno natura e presupposti impositivi differenti: la prima è un tributo che trova la propria giustificazione nell'espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica; il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione di uso esclusivo o speciale di beni pubblici, per l'occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell'ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma presuppone la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico.”; Cons. Stato sez. V, 28 ottobre 2022, n. 9311). A riguardo della pretesa da parte di Vo. di corrispondere un canone di euro 516,46, va evidenziato in primo luogo che ciò costituisce in parte l’oggetto della domanda rivolta al Giudice ordinario nella citata causa iscritta al n. 1630/2018 R.G. Nel giudizio incardinato presso questo Giudice amministrativo, infatti, il bene della vita invocato da Vo. è rappresentato sostanzialmente dalle “speciali agevolazioni” previste dal combinato disposto dell’art. 93 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e dell’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 che invece il Comune con le note impugnate le ha negato. Ciò premesso, la determinazione del canone imposto ai gestori di servizi di telefonia mobile non può effettuarsi alla stregua del comma 2, lettera f) del citato art. 63 poiché, come si è già detto, il numero di utenze servite è indeterminato ed indeterminabile. L’importo di euro 516, 14 si riferisce peraltro all’ammontare minimo del canone dovuto ai Comuni nell’ipotesi di determinazione con il criterio suddetto e di cui è esclusa l’applicazione. Pertanto, a ristoro del canone che avrebbe dovuto essere versato in caso di occupazione autorizzata quale compenso dell’uso esclusivo o speciale del bene pubblico, Vo. deve al Comune un corrispettivo il cui importo, individuato discrezionalmente dal Comune medesimo, non potrà essere commisurato ai correnti valori di mercato, dovendosi peraltro configurare le “speciali agevolazioni” prescritte dalla legge, senza necessariamente corrispondere ad euro 516, 14. X) La riscontrata fondatezza dei primi due motivi determina di per sé l’accoglimento del ricorso con assorbimento delle rimanenti doglianze, tra l’altro meno sostanzialmente connotate. Per l’effetto vanno annullate le impugnate note del Comune di Trento del 6 maggio 2022 prot. n. 125670 e dell’11 luglio 2022 prot. n. 193633. Per quanto occorrer possa, qualora ancora vigenti e nei limiti dell’interesse dedotto in ricorso, vanno annullati pure gli impugnati presupposti Regolamenti comunali nella parte in cui non hanno previsto le “speciali agevolazioni” imperativamente prescritte dall'art. 63, comma 2, lett. e) del d.lgs. n. 446 del 1997. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di giustizia amministrativa per la Regione autonoma del Trentino – Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla le impugnate note del Comune del 6 maggio 2022 prot. n. 125670 e dell’11 luglio 2022 prot. n. 193633 e per quanto occorrer possa, qualora ancora vigenti e nei limiti dell’interesse dedotto in ricorso, pure gli impugnati presupposti Regolamenti comunali nella parte in cui non hanno previsto le “speciali agevolazioni” imperativamente prescritte dall'art. 63, comma 2, lett. e) del d.lgs. n. 446 del 1997. Condanna il Comune di Trento a corrispondere alla società ricorrente le spese del giudizio, che si liquidano nella misura di euro 1.500,00 oltre al 15% per spese generali e agli altri accessori di legge e a rifondere il contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023, con l’intervento dei magistrati: Fulvio Rocco, Presidente Carlo Polidori, Consigliere Antonia Tassinari, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 168 del 2022, integrato con motivi aggiunti, proposto dall'-OMISSIS- - società agricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - AGEA - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio in Trento, largo (...), presso gli uffici dell'Avvocatura; - Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso introduttivo: A) del provvedimento prot. n. -OMISSIS-, con il quale l'AGEA ha comunicato alla società ricorrente la decadenza dei contributi erogati in relazione alla domanda n. -OMISSIS-, riguardante la misura 13 di sviluppo rurale richiesta per l'anno 2021, ed ha intimato alla società ricorrente, nonché ai soci della stessa, quali coobbligati in solido, di restituire entro sessanta giorni la somma complessiva di Euro 8.976,92, maggiorata degli interessi calcolati al tasso legale nel caso di inottemperanza entro il predetto termine, con la duplice avvertenza che "decorso inutilmente il termine di sessanta giorni assegnato per la restituzione spontanea, si provvederà, senza ulteriore preavviso, al recupero coattivo delle somme dovute con ulteriore aggravio di spese ed oneri" e che, "ai sensi dell'art. 28 del Regolamento di esecuzione (UE) n. 908/2014, il recupero avviene anche tramite deduzione delle somme dovute in restituzione dai contribuiti all'agricoltura eventualmente spettanti", nonché del provvedimento di iscrizione del debito, sia della società che dei soci, all'interno del registro debitori, e di ogni atto presupposto connesso e conseguenziale; B) dei provvedimenti impliciti o, se esistenti, non conosciuti e non comunicati ai ricorrenti, con i quali l'AGEA ha rigettato le domande n. -OMISSIS-, proposte anch'esse dalla società ricorrente per l'anno 2021; - quanto al ricorso per motivi aggiunti, del provvedimento prot. n. -OMISSIS- con il quale l'AGEA ha integrato la motivazione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo e di ogni atto presupposto connesso e conseguenziale; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2023 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO 1. La parte ricorrente con il ricorso introduttivo del presente giudizio riferisce che: A) l'-OMISSIS- ha presentato all'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (di seguito AGEA) una domanda unica di pagamento per l'anno 2021 ai sensi del Regolamento UE n. 1306/2013 e del Regolamento UE n. 1307/2013, chiedendo il riconoscimento dell'aiuto di cui agli articoli 21 e 32 del Regolamento UE 1307/2013, ossia il contributo per lo svolgimento pratiche agricole benefiche per il clima e l'ambiente e, sempre per l'anno 2021, due domande di aiuto nell'ambito del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) di cui al Regolamento UE n. 1305/2013 - PSR Misura 13 e 10; B) tali domande sono state iscritte, rispettivamente, ai numeri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-; C) l'-OMISSIS- ha dichiarato superfici ammissibili a premio pari a 486,65 ettari, ubicate nel territorio del Comune di -OMISSIS- (-OMISSIS-) e destinate a prati permanenti, ai sensi dell'art. 4, lett. h), del Regolamento UE n. 1307/2013, e tali superfici sono state regolarmente inserite nel c.d. fascicolo aziendale; D) l'-OMISSIS- aveva in uso tali superfici grazie a due contratti di associazione temporanea di imprese (di seguito ATI), sottoscritti dall'Azienda stessa nel marzo 2021 in qualità di mandante, e in particolare quello relativo alla ATI avente come mandataria l'-OMISSIS-(di seguito denominata ATI -OMISSIS-), risultata aggiudicataria dei lotti 5 e 6 di cui alla gara per l'affidamento di concessioni demaniali per la stagione pascoliva 2021/2022, indetta dal comune di -OMISSIS- con deliberazione di Giunta del marzo 2021, e quello relativo alla ATI avente come mandataria l'-OMISSIS- (di seguito denominata ATI -OMISSIS-), a sua volta risultata aggiudicataria del lotto 7; E) i contratti di concessione, aventi efficacia dal 15 maggio 2021 al 14 maggio 2022, prevedevano un diritto di pascolo limitato al periodo dal 20 giugno al 15 novembre 2021; F) con riferimento alle domanda n. -OMISSIS- essa ha ricevuto due anticipi (per una somma complessiva pari a la somma complessiva di Euro 8.976,92), mentre nessun anticipo è stato concesso in relazione alle altre due domande di contributo; G) in data 17 -OMISSIS- il Comune di -OMISSIS- con le note prot. n. -OMISSIS- ha però comunicato l'intervenuta risoluzione di diritto dei contratti di concessione relativi ai lotti 5 e 6, stipulati con la ATI -OMISSIS- per la stagione 2021/2022, e con la nota prot. -OMISSIS- ha comunicato la risoluzione di diritto del contratto di concessione relativo al lotto 7, stipulato con la ATI -OMISSIS- per la stagione 2021/2022; H) tali comunicazioni hanno fatto seguito alla determinazione n. -OMISSIS-, con cui lo stesso Comune di -OMISSIS- ha preso atto della risoluzione di diritto dei predetti contratti di concessione, ai sensi degli articoli 91, 92 e 94 del decreto legislativo n. 159/2011 e delle disposizioni degli articoli 7 e 8 dei medesimi contratti, a causa dell'interdittiva antimafia di cui alla nota della -OMISSIS-, adottata nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS-; I) in ragione di quanto precede la ATI -OMISSIS- ha sottoscritto in data 13 maggio 2022 un atto modificativo della compagine associativa, sostituendo l'Azienda Agricola -OMISSIS-, colpita dal provvedimento interdittivo, con la società agricola -OMISSIS-; J) analogamente l'ATI -OMISSIS- con atto sottoscritto in data 13 maggio 2022 ha modificato la compagine associativa escludendo l'Azienda Agricola -OMISSIS-; K) di seguito con riferimento ai lotti 5 e 6 è stato trasmesso al Comune di -OMISSIS- l'atto di sostituzione dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, mandataria dell'ATI -OMISSIS-, così come con riferimento al lotto 7 è stato comunicato l'atto di esclusione dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, mandante dell'ATI -OMISSIS-, con contestuali richieste di applicazione dell'art. 8 dei contratti di concessione dei terreni e dell'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016 ai fini della di revoca della predetta determinazione n. -OMISSIS-; L) il comune di -OMISSIS-, a sua volta, con la determinazione n. -OMISSIS- ha preso atto dell'intervenuta sostituzione dell'Azienda Agricola -OMISSIS- nelle due ATI e, per l'effetto, ha revocato la determinazione n. -OMISSIS- dando espressamente atto "della vigenza ed efficacia dei primari contratti periodo 15 maggio 2021-14 maggio 2022"; M) in ragione di tali sopravvenienze il legale dell'-OMISSIS- in data 9 luglio 2022 ha chiesto all'AGEA di provvedere sulle domande presentate dalla sua assistita entro il termine di trenta giorni, ma l'AGEA ha riscontrato la richiesta adottando solo l'impugnato provvedimento in data -OMISSIS-, con il quale ha chiesto la restituzione della somma complessiva di Euro 8.976,92, corrispondente ai due anticipi corrisposti in relazione alla domanda n. -OMISSIS-. 2. Dalla motivazione dell'impugnato provvedimento in data -OMISSIS- si evince che l'AGEA - richiamata l'interdittiva antimafia prot. n. -OMISSIS- e richiamati gli articoli 94, comma 1, e 92, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 159/2011 - ha evidenziato che: A) "a seguito della predetta interdittiva, i contratti per la concessione a titolo oneroso dei terreni demaniali da destinare a pascolo ovino e bovino per la stagione pascoliva, ricompresi nel Lotto 5 (contratto prot. n. -OMISSIS-) e nel Lotto 6 (contratto prot. n. -OMISSIS-), tra il Comune di -OMISSIS- e l'azienda agricola -OMISSIS-, in qualità di Capofila di una Associazione Temporanea di Imprese (ATI) sono... risolti di diritto"; B) nonostante "la Determinazione n. -OMISSIS- con cui il Comune di -OMISSIS-, a fronte della sostituzione nell'ATI dei soggetti interessati dai provvedimenti di interdittiva antimafia, "revoca" la precedente Determinazione n. -OMISSIS-...", tuttavia rileva "l'inapplicabilità al caso di specie dell'art. 48, comma 17, D.Lgs. 50/2016 (Codice degli appalti) richiamato dall'art. 8, comma 2 dei contratti di concessione summenzionati in quanto detta disciplina - che consente alla stazione appaltante di proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario in sostituzione del precedente colpito da informazione antimafia interdittiva - è applicabile ai soli "lavori o servizi o forniture ancora da eseguire", quindi a tipologie di contratti pubblici tra cui non rientrano le concessioni demaniali per uso pascolo"; C) "la Determinazione n. 97 è intervenuta il giorno stesso della scadenza delle concessioni e, pertanto, si ritiene comunque carente l'interesse pubblico, ritenuto meritevole di tutela dall'ordinamento giuridico, alla continuità del contratto di appalto in esecuzione"; D) l'-OMISSIS- "compare quale associata all'Associazione Temporanea di Imprese (ATI), con capofila l'azienda agricola -OMISSIS-"; E) "risulta venuto meno l'idoneo titolo di conduzione delle superfici che è obbligatoriamente richiesto per l'inserimento delle superfici nel fascicolo aziendale e per l'ottenimento dei contributi agricoli". 3. Dei provvedimenti impugnati la parte ricorrente chiede l'annullamento affidando la propria domanda alle seguenti censure. I) Violazione dell'art. 7, dell'art. 3, nonché dell'art. 21-octies della legge n. 241/1990; difetto assoluto di motivazione. L'impugnato provvedimento del -OMISSIS- non è stato preceduto dalla prescritta comunicazione di avvio del procedimento, nonostante l'insussistenza di ragioni di urgenza che possano giustificare l'omissione di tale comunicazione, e alla fattispecie in esame non è applicabile l'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, innanzi tutto perché l'-OMISSIS- non è stata attinta da alcun provvedimento interdittivo e, quindi, se l'Azienda stessa fosse stata posta in condizione di partecipare al procedimento, ben avrebbe potuto rappresentare circostanze idonee ad incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento finale. II) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, carenza ed erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà, violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità, violazione dei principi di correttezza e buona fede, sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. É erronea l'affermazione contenuta nell'impugnato provvedimento del -OMISSIS- secondo la quale "risulta venuto meno il titolo di conduzione delle superfici" qualora l'affermazione stessa sia riferita anche ai terreni costituenti il lotto 7, assegnati in uso all'-OMISSIS- dalla ATI -OMISSIS-. Difatti dal provvedimento impugnato risulta che la risoluzione dei contratti di concessione è dipesa dal provvedimento interdittivo adottato nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS- quale mandataria della ATI aggiudicataria dei lotti 5 e 6, ma nell'elenco delle particelle catastali indicate nel prospetto incluso nella motivazione del provvedimento stesso (particelle che contraddistinguono i terreni per i quali si sarebbe verificato l'asserito effetto risolutivo) l'AGEA ha inserito anche particelle che contraddistinguono terreni non inclusi nei lotti 5 e 6. III) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, carenza ed erronea valutazione dei presupposti contraddittorietà, violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità, violazione dei principi di correttezza e buona fede, sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. L'AGEA ha ritenuto di poter revocare gli aiuti già concessi all'-OMISSIS- quale "effetto a cascata" della risoluzione di diritto dei contratti di concessione stipulati per i lotti 5 e 6 tra il Comune di -OMISSIS- e l'ATI -OMISSIS-. Tuttavia gli articoli 92, commi 3 e 4, e 94 del decreto legislativo n. 159/2011 non possono trovare applicazione nei confronti di un soggetto che non risulta destinatario di un'interdittiva antimafia - qual è l'-OMISSIS- - e ciò a prescindere da ogni considerazione in ordine all'errata interpretazione, da parte della stessa AGEA, dell'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016, oggetto del quarto ed il quinto motivo di ricorso. In particolare l'impugnato provvedimento in data -OMISSIS- si fonda su un inammissibile "automatismo" in forza del quale l'AGEA "finisce per estendere gli effetti interdittivi anche nei confronti di soggetti terzi, che in totale buona fede ed assolutamente incolpevoli rispetto alle situazioni di controindicazione - non conosciute né conoscibili con l'ausilio dell'ordinaria diligenza al momento della conclusione del rapporto - sono entrate in correlazione con l'impresa interdetta". Difatti l'-OMISSIS- all'inizio dell'anno 2021, data di adesione alla ATI -OMISSIS-, ben difficilmente avrebbe potuto prefigurarsi che la mandataria dell'ATI nel mese di -OMISSIS- sarebbe stata colpita da un provvedimento interdittivo. Inoltre l'AGEA, altrettanto erroneamente, ha ritenuto di poter prescindere dalla sopravvenuta adozione della determinazione n. -OMISSIS-, con cui il Comune di -OMISSIS- ha revocato con effetto ex tunc la propria precedente determinazione n. -OMISSIS-, ossia ha erroneamente ritenuto irrilevante il sopravvenuto esercizio del potere di conservazione del rapporto concessorio da parte dell'Ente concedente. Difatti, a prescindere da ogni considerazione in ordine alle valutazioni che il Comune di -OMISSIS- ha posto a fondamento della determinazione n. -OMISSIS-, resta il fatto che il ruolo dell'AGEA "si esaurisce nella verifica della sussistenza di un titolo idoneo, in astratto, a comprovare la conduzione dei fondi sui quali vengono richiesti i contributi", sicché deve escludersi che l'AGEA possa sindacare la validità e/o l'efficacia del titolo stesso. Dunque, posto che l'AGEA non è titolare del potere di operare un "accertamento c.d. incidentale" sulla validità o sull'efficacia del titolo di conduzione dei fondi (nella fattispecie i contratti di concessione relativi ai lotti 5 e 6), l'impugnato provvedimento del -OMISSIS- è illegittimo perché l'AGEA, ritenendo carente l'interesse pubblico alla continuità del contratti di concessione - interesse che invece il Comune di -OMISSIS- ha ritenuto meritevole di tutela - ha avocato a sé competenze di un altro Ente senza avere alcun titolo. In altri termini, l'AGEA per contestare l'operato del Comune di -OMISSIS- avrebbe dovuto impugnare nelle competenti sedi di giudizio la determinazione n. -OMISSIS-, ma non poteva ignorarne l'esistenza. IV) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011, nonché degli articoli 4 e 48 del decreto legislativo n. 50/2016; violazione dell'avviso pubblico relativo alla gara indetta dal Comune di -OMISSIS- per la concessione dei pascoli demaniali; violazione del contratto di concessione; eccesso di potere per violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità, violazione dei principi di correttezza e buona fede; eccesso di potere per sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. Anche a voler ammettere che l'AGEA sia titolare del potere di estendere all'-OMISSIS- gli effetti del provvedimento interdittivo adottato nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, nonché del potere di avocare a sé la valutazione circa l'interesse pubblico perseguito dal Comune di -OMISSIS- con la determinazione n. -OMISSIS-, comunque l'impugnato provvedimento del -OMISSIS- risulterebbe adottato sul falso ed erroneo presupposto che la disciplina posta dall'art. 48 del decreto legislativo n. 50 del 2016 non fosse applicabile al rapporto concessorio tra il Comune di -OMISSIS- e l'ATI -OMISSIS-. Difatti l'art. 2 dell'avviso pubblico della gara indetta dal comune di -OMISSIS- per la concessione dei terreni demaniali disponeva che "al fine di garantire un ordinato rapporto tra ente ed imprese raggruppate ed associato, alla presente procedura si applicano, in via analgica i commi 9, 17 e 18, 19 bis e 19 ter dell'art. 48 del D.lgs. 50 del 2016". Dunque l'AGEA non si è avveduta dell'autovincolo derivante dal predetto art. 2, che ha reso applicabile inter partes la disciplina posta dall'anzidetto art. 48 del decreto legislativo n. 50 del 2016, così come l'AGEA non si è avveduta dell'analoga previsione contenuta nell'art. 7 dei contratti stipulati tra il Comune di -OMISSIS- e l'ATI -OMISSIS-, secondo la quale "il concessionario prende atto che in caso di successivo accertamento del difetto del possesso dei requisiti prescritti, nonché delle condizioni soggettive richieste dalla legge ai fini dell'idoneità a contrarre con la pubblica amministrazione, il presente contratto sarà risolto di diritto". V) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011, nonché degli articoli 4 e 48 del decreto legislativo n. 50/2016; violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità e gradualità, violazione dei principi di correttezza e buona fede, eccesso di potere per sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. L'impugnato provvedimento del -OMISSIS- è illegittimo perché l'AGEA, a prescindere dal suddetto auto-vincolo, afferma in motivazione che l'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016 "è applicabile ai soli "lavori o servizi o forniture ancora da eseguire", quindi a tipologie di contratti pubblici tra cui non rientrano le concessioni demaniali ad uso pascolo", senza tuttavia considerare che la concessione di beni demaniali è un contratto attivo disciplinato dall'art. 4 del decreto legislativo n. 50/2016 e l'istituto della sostituzione della mandataria e/o della mandante dell'ATI rientra tra i principi generali richiamati da tale articolo. VI) Violazione dell'art. 4 del Reg. CE n. 640/2014 per impossibilità di statuire la decadenza e/o mancata ammissione del beneficio per esistenza di una circostanza eccezionale; violazione e falsa applicazione del considerando n. 41 e dell'art. 44 del Reg. CE n. 2419/2001 per impossibilità di statuire la decadenza e/o mancata ammissione del beneficio per esistenza assenza di colpa in capo al beneficiario. L'-OMISSIS- ha indicato nel proprio fascicolo aziendale i contratti di concessione relativi ai lotti 5, 6 e 7, ed è quindi dimostrato che essa disponeva di un valido titolo per ottenere gli aiuti richiesti, così come è certo che essa, al momento della costituzione delle due ATI, non poteva sapere che l'Azienda Agricola -OMISSIS- sarebbe stata colpita da un provvedimento interdittivo. Dunque tale accadimento integra una delle ipotesi disciplinate dall'art. 4 del Reg. CE n. 640/2014, rubricato "Forza maggiore e circostanze eccezionali", secondo il quale "Per quanto riguarda i pagamenti diretti, qualora non abbia potuto adempiere ai criteri di ammissibilità o ad altri obblighi per cause di forza maggiore o circostanze eccezionali, il beneficiario continua a godere del diritto all'aiuto per la superficie o gli animali che risultavano ammissibili nel momento in cui è sopravvenuta la forza maggiore o la circostanza eccezionale": disciplina che dev'essere letta in combinato disposto con il Considerando 5 del Reg. CE n. 1306/2013, secondo il quale le Autorità nazionali "dovrebbero adottare decisioni sui casi di forza maggiore o sulle circostanze eccezionali caso per caso, sulla base delle pertinenti prove, ed applicando il concetto di forza maggiore nell'ambito del diritto agrario dell'Unione alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia". Rilevano in tal senso, da un lato, il lungo lasso di tempo tra l'aggiudicazione delle concessioni, l'avvenuto inserimento del titolo di conduzione dei fondi nel fascicolo aziendale dell'-OMISSIS- e l'avvenuta presentazione della domanda unica di pagamento; dall'altro. l'adozione dell'interdittiva antimafia nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, nonché la circostanza che il provvedimento interdittivo si fonda su attività ispettive coperte da segreto. Né potrebbe configurarsi un profilo di colpa in capo all'-OMISSIS-, tale da giustificare comunque la revoca del contributo, perché ai sensi dall'art. 44 del Reg. CE n. 2419/2001 "Le riduzioni ed esclusioni... non si applicano quando l'imprenditore abbia fornito informazioni effettivamente corrette o quando possa in altro modo dimostrare che è esente da colpa", e - per l'appunto - l'-OMISSIS- al momento della presentazione delle domande di aiuto faceva affidamento sulla validità ed efficacia dei contratti di concessione dei fondi. VII) Eccesso di potere per disparità di trattamento; violazione del principio di ragionevolezza e del principio del buon andamento dell'amministrazione, sancito dall'art. 97 Cost. La determinazione del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- è stata ritenuta dall'Organismo Pagatore Regione Lombardia (OPLO) idonea a giustificare la concessione dell'aiuto richiesto da altro soggetto - l'Azienda Agricola -OMISSIS- - che pure aveva partecipato in qualità di mandante alla gara indetta dal medesimo Comune per la concessione dei terreni demaniali. Dunque, posto che l'AGEA e l'OPLO, pur essendo soggetti diversi, in qualità di organismi pagatori svolgono entrambi il medesimo compito in nome e per conto dell'Unione europea, l'impugnato provvedimento del -OMISSIS- determina anche un'ingiustificata disparità di trattamento. VIII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 28 del Reg. CE n. 908/2014 in relazione all'art. 2268 cod. civ.; eccesso di potere per sviamento. L'impugnato provvedimento del -OMISSIS- è stato adottato non solo nei confronti dell'-OMISSIS-, ma anche nei confronti dei relativi soci, e il recupero delle somme erogate dovrebbe intervenire, come previsto nel provvedimento, mediante compensazione ai sensi dell'art. 28 del Reg. CE n. 908/2014, ossia tramite deduzione delle somme dovute dai contributi eventualmente spettanti. Ciò posto, la prevista possibilità di operare la compensazione ai sensi del predetto art. 28 anche nei confronti dei soci è illegittima in quanto la relativa disposizione si riferisce solo al beneficiario dei contributi percepiti. Inoltre il patrimonio dei soci è tutelato dal beneficio della preventiva escussione a norma dell'art. 2268 cod. civ., mentre il predetto art. 28 comporta l'iscrizione immediata del debito nei confronti dei soci all'interno del registro debitori, così neutralizzando l'operatività dell'art. 2268 cod. civ., che risulta, quindi violato. IX) Illegittimità derivata. Le censure dedotte con i primi sette motivi di ricorso riguardano anche i provvedimenti impliciti o, se esistenti, non conosciuti e non comunicati alla società ricorrente, con i quali l'AGEA ha ritenuto di rigettare le suddette domande n. -OMISSIS-. 4. L'AGEA si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 5 dicembre 2022 ha preliminarmente evidenziato che con il provvedimento prot. n. -OMISSIS- è stata integrata la motivazione del provvedimento impugnato per precisare che la carenza di titolo contestata all'-OMISSIS- riguarda anche i terreni che compongono il lotto 7, ciò in quanto la risoluzione di diritto si sensi dell'art. 92, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 159/2011 riguarda anche il contratto di concessione relativo a tale lotto. Dunque, posto che non può dubitarsi della legittimità dell'integrazione della motivazione del provvedimento impugnato perché il nuovo provvedimento si configura come un provvedimento di convalida, è venuto meno l'interesse all'accoglimento della censura dedotta con il secondo motivo. Quindi l'AGEA, in replica al primo motivo, ha osservato che non occorre comunicare l'avvio del procedimento amministrativo nel caso dell'interdittiva antimafia e del conseguente provvedimento di revoca di un contributo, sia perché trattasi di provvedimenti caratterizzati da profili di urgenza, sia in ragione della natura vincolata della revoca conseguente all'interdittiva medesima. Al terzo motivo di ricorso l'AGEA ha replicato osservando innanzi tutto che, quando il Comune di -OMISSIS- per effetto dell'interdittiva antimafia adottata nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS- ha disposto la risoluzione dei contratti di concessione con l'ATI -OMISSIS-, gli effetti di tale provvedimento si sono prodotti anche nei confronti dell'-OMISSIS- non perché l'interdittiva prefettizia antimafia abbia esplicato i suoi effetti diretti nei confronti di tale Azienda, bensì perché l'Azienda stessa, "essendo legata in ATI con un soggetto colpito da interdittiva prefettizia antimafia, la risoluzione del contratto non poteva non riguardare anch'essa (v. artt. 83, 94 e 95 d.lgs. n. 159/2011)". Difatti il contratto di concessione risolto costituiva il presupposto di fatto e di diritto per l'erogazione del contributo in favore dell'-OMISSIS- e, quindi, "venendo meno il contratto, non poteva che venir meno anche il contributo". Inoltre, sempre secondo l'AGEA, non giova alla parte ricorrente invocare la determinazione del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- perché tale provvedimento produce effetti ex nunc: ciò in quanto solo a far data dal 14 maggio 2022 - ossia quando il Comune ha preso atto della modifica della compagine della ATI -OMISSIS-, peraltro avvenuta solo il 13 maggio 2022 - sono venuti meno i presupposti che hanno determinato la risoluzione dei contratti di concessione. Dunque, posto che la revoca del provvedimento di risoluzione dei contratti di concessione è intervenuta lo stesso giorno in cui quelle concessioni venivano a scadenza, si deve concludere nel senso che "per tutta la loro durata, le concessioni sono state in capo ad un soggetto che non aveva i requisiti morali per esserne titolare e che, per quel che riguarda la posizione di AGEA, non aveva titolo a percepire i contributi al settore agricolo". Inoltre, proprio in considerazione dell'efficacia ex nunc del provvedimento di revoca, l'AGEA non era affatto tenuta ad impugnarlo. Avuto riguardo al quarto ed al quinto motivo di ricorso l'AGEA ha evidenziato che, come ribadito nel sopravvenuto provvedimento prot. n. -OMISSIS-, l'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016 consente alla stazione appaltante di proseguire il rapporto derivante dal contratto di appalto con altro operatore economico al ricorrere dei presupposti di cui ai commi 17, 18, ma solo se si tratta di un contratto ancora da eseguire; invece nel caso in esame si tratta di contratti già eseguiti. In replica al sesto motivo di ricorso l'AGEA ha osservato che la revoca del contributo è dipesa dal fatto che il Comune di -OMISSIS- ha risolto i contratti di concessione per carenza di un fondamentale requisito morale di partecipazione in capo alla ATI concessionaria dei terreni, mentre la determinazione del Comune di -OMISSIS- del 14 maggio 2022, producendo effetti ex nunc, "non può far risorgere in capo alle associate - e meno che meno in capo all'odierna ricorrente - la legittima pretesa a farsi erogare un contributo di sostegno al settore agricolo che trovava la sua ratio nella legittima titolarità di una concessione, che, tuttavia, è venuta meno per difetto di un requisito morale". Al settimo motivo di ricorso l'AGEA ha replicato rammentando, in particolare, che il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento non si configura se è rivendicata l'applicazione di illegittime statuizioni relative a soggetti terzi. Da ultimo l'AGEA ha eccepito che l'ottavo motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 34, comma 2, cod. proc. amm. perché con esso si chiede a questo Tribunale di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, mentre l'infondatezza dei primi sette motivi preclude l'accoglimento del nono motivo. 5. Come evidenziato in memoria dall'Amministrazione resistente, con il sopravvenuto provvedimento in data 1° dicembre 2022 è stata integrata la motivazione del provvedimento in data -OMISSIS-, in modo da precisare sia che tale provvedimento riguarda anche l'aiuto relativo ai terreni che compongono il lotto 7, sia che l'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016 non è applicabile non solo perché si riferisce solo ai contratti con i quali sono affidati lavori o servizi o forniture, ossia "tipologie di contratti pubblici tra cui non rientrano le concessioni demaniali per uso pascolo", ma anche perché ha ad oggetto contratti "ancora da eseguire", ossia a fattispecie nelle quali le attività affidate sono ancora in corso di esecuzione, a differenza del caso in esame. 6. La parte ricorrente con motivi aggiunti depositati in data 17 gennaio 2023 ha pertanto impugnato anche il suddetto provvedimento prot. n. -OMISSIS-, affidando tale domanda alle seguenti censure. I) Violazione dell'art. 24 Cost.; violazione degli articoli 1 e 2 cod. proc. amm.; violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 21-octies della legge n. 241/1990; eccesso di potere per sviamento. L'AGEA per sanare il vizio denunciato con il secondo motivo del ricorso introduttivo ha posto in essere un'inammissibile integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato, così violando i principi di effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo, anche perché non sono applicabili al caso in esame né l'art. 21-octies della legge n. 241/1990, perché il difetto di motivazione non può essere assimilato alla violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, né l'art. 21-nonies della legge n. 241/1990, perché la questione relativa alla detenzione dei fondi di cui al lotto 7, da parte dell'-OMISSIS-, non era stata in alcun modo oggetto dell'istruttoria dell'AGEA. II) Violazione dell'art. 7, dell'art. 3, nonché dell'art. 21-octies della legge n. 241/1990; difetto assoluto di motivazione. Neppure l'impugnato provvedimento del 1° dicembre 2022 è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, sebbene la novità degli elementi posti a base del provvedimento stesso richiedesse il contraddittorio procedimentale. III) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, carenza ed erronea valutazione dei presupposti, violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità, violazione dei principi di correttezza e buona fede, sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. Come già dedotto con il terzo motivo del ricorso introduttivo, gli articoli 92, commi 3 e 4, e 94 del decreto legislativo n. 159/2011 non possono trovare applicazione nei confronti di un soggetto non destinatario di un provvedimento interdittivo - qual è l'-OMISSIS- - e ciò a prescindere da ogni considerazione in ordine all'errata interpretazione, da parte dell'AGEA, dell'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016. Difatti anche l'impugnato provvedimento del 1° dicembre 2022 si fonda su un automatismo in forza del quale l'AGEA "finisce per estendere gli effetti interdittivi anche nei confronti di soggetti terzi, che in totale buona fede ed assolutamente incolpevoli rispetto alle situazioni di controindicazione - non conosciute né conoscibili con l'ausilio dell'ordinaria diligenza al momento della conclusione del rapporto - sono entrate in correlazione con l'impresa interdetta". Inoltre, come pure dedotto con il terzo motivo del ricorso introduttivo, l'AGEA ha erroneamente ritenuto di poter prescindere dalla sopravvenuta adozione della determinazione n. -OMISSIS-, con cui il Comune di -OMISSIS- ha revocato con effetto ex tunc la precedente determinazione n. -OMISSIS-. IV) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011, nonché degli articoli 4 e 48 del decreto legislativo n. 50/2016; violazione dell'avviso pubblico relativo alla gara indetta dal Comune di -OMISSIS- per la concessione dei pascoli demaniali; violazione del contratto di concessione; eccesso di potere per violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità, violazione dei principi di correttezza e buona fede; eccesso di potere per sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. Come già dedotto con il quarto motivo del ricorso introduttivo, pur volendo ammettere che l'AGEA sia titolare del potere di estendere all'-OMISSIS- gli effetti dell'interdittiva antimafia relativa all'Azienda Agricola -OMISSIS-, nonché del potere di avocare a sé la valutazione circa l'interesse pubblico perseguito dal Comune di -OMISSIS- con la determinazione n. -OMISSIS-, anche l'impugnato provvedimento del 1° dicembre 2022 risulta adottato sul falso ed erroneo presupposto che la disciplina posta dall'art. 48 del decreto legislativo n. 50 del 2016 non fosse applicabile al rapporto concessorio tra il Comune di -OMISSIS- e l'ATI -OMISSIS-. V) Violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 91, 92, 94 e 94-bis del decreto legislativo n. 159/2011, nonché degli articoli 4 e 48 del decreto legislativo n. 50/2016; violazione del principio dell'affidamento, violazione del principio di proporzionalità e gradualità, violazione dei principi di correttezza e buona fede, eccesso di potere per sviamento, illogicità ed ingiustizia manifesta, perplessità dell'azione amministrativa e irragionevolezza. Innanzi tutto l'AGEA non ha considerato che il Comune di -OMISSIS-, tenuto conto della funzione dell'istituto della sostituzione della mandante e/o della mandataria di cui all'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016, con la determinazione n. -OMISSIS- ha disposto "la prosecuzione dei contratti prot. 2602-2604-2605 del 13/05/2021 in virtù dell'art. 8 dei contratti di concessione stipulati e dell'art. 48 del D. Lgs. 50/2016" e, quindi, la prosecuzione anche del rapporto con l'ATI -OMISSIS- senza alcuna soluzione di continuità, precisando in motivazione "la vigenza ed efficacia dei primari contratti periodo 15 maggio 2021-14 maggio 2022". Deve allora ritenersi che il Comune di -OMISSIS- - avvedutosi dell'errore in cui è incorso adottando la determinazione n. -OMISSIS- senza aver preventivamente interpellato il soggetto interessato per consentire la sostituzione dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, colpita dall'interdittiva antimafia - abbia "ristabilito la vigenza ed efficacia dei primari contratti periodo 15 maggio 2021-14 maggio 2022 disponendo, quindi, la prosecuzione del rapporto". Pertanto la determinazione n. -OMISSIS-, nonostante il nomen iuris utilizzato dal Comune, ha "natura ed effetti di autotutela con efficacia ex tunc". Inoltre, come già dedotto con il quinto motivo del ricorso introduttivo, anche l'impugnato provvedimento del 1° dicembre 2022 è illegittimo perché l'AGEA afferma che l'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016 "è applicabile ai soli "lavori o servizi o forniture ancora da eseguire", quindi a tipologie di contratti pubblici tra cui non rientrano le concessioni demaniali ad uso pascolo", senza tuttavia considerare che la concessione di beni demaniali è un contratto attivo disciplinato dall'art. 4 del decreto legislativo n. 50/2016 e l'istituto della sostituzione della mandataria e/o della mandante dell'ATI rientra tra i principi generali richiamati dall'art. 4 del decreto legislativo n. 50/2016. VI) Violazione dell'art. 4 del Reg. CE n. 640/2014 per impossibilità di statuire la decadenza e/o mancata ammissione del beneficio per esistenza di una circostanza eccezionale; violazione e falsa applicazione del considerando n. 41 e dell'art. 44 del Reg. CE n. 2419/2001 per impossibilità di statuire la decadenza e/o mancata ammissione del beneficio per esistenza assenza di colpa in capo al beneficiario. Come già dedotto con il sesto motivo del ricorso introduttivo, l'-OMISSIS- non poteva sapere che l'Azienda Agricola -OMISSIS- sarebbe stata colpita da un provvedimento interdittivo e, quindi, si configura una delle ipotesi disciplinate dall'art. 4 del Reg. CE n. 640/2014; né potrebbe ritenersi sussistente un profilo di colpa in capo l'-OMISSIS- perché essa al momento della presentazione della domanda di aiuto faceva affidamento sulla validità ed efficacia dei contratti di concessione dei fondi. VII) Eccesso di potere per disparità di trattamento; violazione del principio di ragionevolezza e del principio del buon andamento dell'amministrazione, sancito dall'art. 97 Cost. Per le ragioni già dedotte con il settimo motivo del ricorso introduttivo, se si considera la posizione dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, anche l'impugnato provvedimento del 1° dicembre 2022 è illegittimo perché determina un'ingiustificata disparità di trattamento. VIII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 28 del Reg. CE n. 908/2014 in relazione all'art. 2268 cod. civ.; eccesso di potere per sviamento. Per le ragioni già dedotte con l'ottavo motivo del ricorso introduttivo anche l'impugnato provvedimento del 1° dicembre 2022 si pone in contrasto con l'art. 28 del Reg. CE n. 908/2014 e con l'art. 2268 cod. civ. IX) Illegittimità derivata. Le censure dedotte con i primi sette motivi di ricorso riguardano anche i provvedimenti impliciti o, se esistenti, non conosciuti e non comunicati, con i quali l'AGEA ha ritenuto di rigettare le domande n. -OMISSIS-. 7. L'AGEA con memoria depositata in data 17 aprile 2022 ha replicato alle censure dedotte con i motivi aggiunti ribadendo innanzi tutto che: A) quello in data 1° dicembre 2022 si configura come un provvedimento di convalida e, quindi, non risulta violato il divieto di integrazione della motivazione del provvedimento impugnato; B) il provvedimento del 1° dicembre 2022 si limita a "precisare come la decadenza dai contributi avesse ad oggetto anche il lotto 7", ciò in quanto tale lotto - seppure non menzionato in motivazione - era anch'esso oggetto del provvedimento del -OMISSIS-, sia perché tra le particelle indicate in motivazione erano comprese anche quelle relative ai terreni compresi nel lotto 7, sia perché la somma di cui era chiesta la restituzione si riferiva anche alle particelle del lotto 7 indicate in motivazione, sia perché con la determinazione del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, espressamente richiamata in motivazione, è stata disposta la risoluzione di diritto dei contratti di concessione relativi ai lotti 5, 6 e 7; C) il provvedimento di revoca conseguente ad una interdittiva antimafia non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, fermo restando che nel caso in esame tale comunicazione non era comunque necessaria perché l'-OMISSIS- era già a conoscenza del procedimento, come dimostra il fatto che il ricorso introduttivo è stato notificato alla Difesa erariale in data 28 ottobre 2022. In replica al terzo dei motivi aggiunti l'AGEA ha ribadito che il contratto di concessione risolto costituiva il presupposto di fatto e di diritto per l'erogazione del contributo in favore dell'-OMISSIS-, sicché "venendo meno il contratto, non poteva che venir meno anche il contributo". Inoltre l'AGEA ha precisato che: A) essa non si è sostituita al Comune di -OMISSIS-, ma piuttosto - quale Ente pubblico sul quale grava, ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 74/2018 e dell'art. 7, par. 6, del Reg. CE n. 1306/2013, la responsabilità della corretta gestione dei contributi erogati dalla UE - ha ritenuto di dover "prescindere dal potere conservativo che ha inteso esercitare il Comune di -OMISSIS-", perché tale potere è stato esercitato "in violazione di legge e, comunque, senza alcun effetto utile"; B) come risulta dalla corrispondenza tra essa e il Comune di -OMISSIS-, quest'ultimo "non è stato in grado di indicare l'interesse pubblico" cui è preordinata la determinazione n. -OMISSIS-, né può ritenersi, come invece sostiene la parte ricorrente, che l'interesse pubblico alla conservazione dei contratti di concessione consista nell'interesse del Comune al percepimento dell'entrata derivante dai contratti stessi; C) in ogni caso la determinazione n. -OMISSIS- produce effetti solamente ex nunc, ossia dal giorno (14 maggio 2022) della presa d'atto della modifica della compagine delle due ATI e, quindi, "considerato che la determina di revoca della determina di risoluzione delle concessioni è intervenuta lo stesso giorno in cui quelle concessioni venivano a scadenza naturale, si deve concludere nel senso che, per tutta la loro durata, le concessioni sono state in capo ad un soggetto che non aveva i requisiti morali per esserne titolare e che, per quel che riguarda la posizione di AGEA, non aveva titolo a percepire i contributi al settore agricolo"; D) in considerazione dell'efficacia ex nunc della determinazione n. -OMISSIS-, non era necessario impugnare tale provvedimento, anche perché la motivazione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo è stata integrata per chiarire che la sostituzione dell'Azienda Agricola -OMISSIS- è intervenuta quando i contratti di concessione non erano più in corso di esecuzione. Al quarto ed al quinto dei motivi aggiunti l'AGEA ha replicato ribadendo che l'art. 48 del decreto legislativo n. 50/2016 consente alla stazione appaltante di proseguire il rapporto derivante dal contratto di appalto con un operatore economico diverso solo se si tratta di un contratto ancora da eseguire, mentre nel caso in esame si tratta di contratti già eseguiti. Avuto riguardo al sesto dei motivi aggiunti l'AGEA ha precisato che: A) ai sensi dell'art. 2, par. 2, del Regolamento CE n. 1306/2013 sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola, "la 'forza maggiorè e le 'circostanze eccezionalà possono essere, in particolare, riconosciute nei seguenti casi: a) il decesso del beneficiario; b) l'incapacità professionale di lunga durata del beneficiario; c) una calamità naturale grave che colpisce seriamente l'azienda; d) la distruzione fortuita dei fabbricati aziendali adibiti all'allevamento; e) un'epizoozia o una fitopatia che colpisce la totalità o una parte, rispettivamente, del patrimonio zootecnico o delle colture del beneficiario; f) l'esproprio della totalità o di una parte consistente dell'azienda se tale esproprio non poteva essere previsto alla data di presentazione della domanda", sicché tra le fattispecie espressamente indicate dal Regolamento non rientra quella oggetto del presente giudizio; B) avuto riguardo alla casistica residuale cui si riferisce l'inciso "in particolare", contenuto nel predetto art. 2, par. 2, nella Comunicazione della Commissione europea C(88) 1696, relativa alla "forza maggiore" nel diritto dell'Unione europea, è stato precisato come la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia individui la forza maggiore nella circostanza anormale, indipendente dall'operatore (elemento oggettivo) e nelle conseguenze inevitabili malgrado tutta la diligenza usata (elemento soggettivo); C) nel dettaglio, secondo tale Comunicazione la "circostanza anormale" è quella che va considerata imprevedibile o, almeno, tanto improbabile che un operatore diligente può considerarne il rischio trascurabile, mentre la circostanza "indipendente dall'operatore" è quella che si trova fuori dal suo controllo in senso lato, ossia nel senso che "non sono indipendenti dall'operatore gli atti, anche dolosi, commessi dagli altri contraenti in quanto spetta all'operatore scegliere con cura i suoi partner commerciali e imporre loro, nel contratto, il rispetto delle clausole contrattuali in modo sufficientemente vincolante (se del caso occorre prevedere delle penali per inadempimento degli obblighi contrattuali)"; D) nella fattispecie la ragione della risoluzione dei contratti di concessione e della conseguente revoca del contributo risiede nella carenza di un fondamentale requisito morale in capo alle due ATI in quanto, "sebbene una tale mancanza sia da attribuire ad una sola delle imprese parte delle ATI (in una mandataria, nell'altra mandante), la condizione risolutiva del contratto normativamente prevista produceva effetti anche per tutte le altre"; E) l'-OMISSIS-, pur non avendo le capacità investigative della Prefettura, tuttavia aveva ben presente la condizione risolutiva cui sono assoggettate le concessioni di terreni demaniali agricoli e, quindi, "avrebbe potuto cautelarsi decidendo di non associarsi ad un'azienda non ancora in possesso della documentazione antimafia liberatoria, o pretendendo l'inserimento nel contratto di associazione di imprese di una clausola di rivalsa che la tutelasse in caso di risoluzione del contratto per carenza di requisiti degli altri contraenti"; F) in ogni caso, ai sensi dell'art. 4, par. 2, del Reg. CE n. 640/2014, invocato da controparte, l'esimente della forza maggiore può riconoscersi solo quando questa sia comunicata per iscritto all'autorità competente, entro 15 giorni lavorativi dalla data in cui il beneficiario o il suo rappresentante sia in condizione di farlo, ma questo termine decadenziale non è stato rispettato. Alle restanti censure dedotte con i motivi aggiunti l'AGEA ha replicato ribadendo sostanzialmente quanto osservato con la precedente memoria difensiva. 8. La parte ricorrente con la memoria depositata in data 20 aprile 2023 ha insistito per l'accoglimento del ricorso evidenziando che il Consiglio di Stato con le ordinanze cautelari n. 747 e n. 749 del 24 febbraio 2023 (versate in atti), si è pronunciato su questioni identiche a quelle oggetto del presente giudizio. In particolare con la seconda ordinanza è stato accolto l'appello cautelare proposto dall'Azienda Agricola -OMISSIS- (mandataria) precisando in motivazione che "la determina del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, la quale non risulta essere stata sospesa né annullata, in via giurisdizionale o di autotutela, ha dato atto della "vigenza ed efficacia dei primari contratti periodo 15 maggio 2021-14 maggio 2022", con ciò evidentemente assegnando effetti retroattivi al subentro della società -OMISSIS- quale mandataria della ATI". Dunque, a detta della ricorrente, "se il rapporto contrattuale è stato fatto salvo retroattivamente nei confronti della mandataria in sostituzione, a fortiori lo stesso deve ritenersi tale nei confronti della mandante odierna ricorrente con la conseguenza che la detenzione legale delle particelle dichiarate in domanda deve ritenersi a tutti gli effetti valida ed efficace". 9. L'AGEA con la memoria di replica depositata in data 25 aprile 2022 ha a sua volta insistito per la reiezione del ricorso osservando innanzi tutto che le due ordinanze cautelari del Consiglio di Stato invocate dalla parte ricorrente sono frutto di una cognizione solo sommaria delle controversie e sono succintamente motivate, senza prendere posizione su questioni di assoluto rilievo, come la differenza tra le funzioni attribuite all'AGEA nell'ambito delle procedure di assegnazione dei contributi previsti dalla politica agricola comune e quelle, di tutt'altra natura, attribuite ai Comuni in materia di gestione dei beni demaniali. In particolare l'AGEA: A) da un lato, ha stigmatizzato la tendenza del Comune di -OMISSIS- a salvaguardare "sempre e comunque", anche a seguito di interdittive antimafia, gli effetti dei contratti di concessione demaniale dallo stesso stipulati, con conseguenti "ricadute negative anche sulla successiva concessione di contributi europei a sostegno della produzione agricola"; B) dall'altro, ha evidenziato che essa, finanche nel caso di delega di funzioni, "resta in ogni caso responsabile dell'efficace gestione dei fondi", "rimane l'unico responsabile della legittimità e regolarità delle operazioni sottostanti, compresa la tutela degli interessi finanziari dell'Unione" e "sottopone periodicamente a verifica i compiti delegati per accertarsi che l'operato dell'organismo sia di livello soddisfacente e conforme alla normativa dell'Unione" (cfr. Allegato I al Reg. CE n. 907/2014). Dunque, secondo l'AGEA, rimane in capo ad essa "un dovere di controllo sull'intera procedura al fine di garantire che gli aiuti/contributi vengano concessi in modo conforme alla normativa, tanto nazionale quanto comunitaria" (come si evince dall'Allegato al Regolamento CE n. 907/2014, ove si prevede altresì che "il pagamento può essere autorizzato solo quando sono stati effettuati controlli sufficienti per verificare la conformità alla normativa dell'Unione" dell'intera procedura di erogazione degli aiuti) e, quindi, essa non può ritenersi "vincolata all'attività compiuta da soggetti che, a vario titolo - anche in maniera indiretta - incidono sul procedimento che porta al conferimento degli aiuti/contributi europei in materia". L'AGEA ha poi ribadito le contestazioni relative alla "discutibile attività dell'Ente locale competente al rilascio dei titoli di conduzione per quelle superfici dichiarate dagli interessati nella domanda di contributo e la cui sussistenza rappresentava la condizione per la loro attribuzione", osservando che il Comune di -OMISSIS-, "pur avendo dapprima riconosciuto la risoluzione di diritto dei contratti di concessione demaniale per intervenuta interdittiva antimafia, ha poi proceduto - solo in un momento successivo e solo nel giorno di scadenza naturale delle concessioni - a far rivivere quei contratti, di fatto determinando la sopravvivenza delle condizioni per l'attribuzione dei contributi". In definitiva, secondo l'AGEA, laddove essa ravvisi "serie violazioni", da parte di un'altra Amministrazione, di una normativa di settore e, in particolare, della normativa Antimafia, ben può discostarsi dai provvedimenti adottati da tale Amministrazione, stante la necessità di "tutelare gli interessi finanziari dell'Unione europea, i quali verrebbero seriamente compromessi laddove l'Agenzia fosse vincolata tout court all'attività di Amministrazioni nazionali che nessuna responsabilità hanno nella gestione degli aiuti e degli interventi derivanti dalla politica agricola comune". 10. Il ricorrente con la memoria depositata in data 20 aprile 2023 ha insistito per l'accoglimento del ricorso osservando, in particolare, che le ordinanze del Consiglio di Stato del 24 febbraio 2023 hanno: A) confermato che ben potesse applicarsi alla fattispecie in esame la disciplina posta dall'art. 48, commi 17 e 18, del decreto legislativo n. 50 del 2016; B) "escluso l'improvvida volontà di AGEA di disapplicare attraverso un potere extra ordinem la determina n. -OMISSIS-"; C) "conferito efficacia (retroattiva) alla sostituzione ed al subentro della società -OMISSIS- quale mandataria della ATI", confermando che la determina n. -OMISSIS- non è stata sospesa né annullata, e ciò ad ulteriore riprova che l'AGEA ben avrebbe potuto impugnarla innanzi al Giudice amministrativo invece di disapplicarla senza tenere conto delle prerogative riservate alle Amministrazioni indicate nell'art. 83 del decreto legislativo n. 159/2011. 11. Alla pubblica udienza del 25 maggio 2023 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Ai fini della disamina delle complesse questioni poste all'attenzione del Collegio si rende necessaria una preliminare ricostruzione del quado normativo nel quale vanno ad inserirsi il provvedimento prot. n. -OMISSIS-, impugnato con il ricorso introduttivo, ed il provvedimento prot. n. -OMISSIS-, impugnato con i motivi aggiunti. La materia delle misure interdittive antimafia è disciplinata dal decreto legislativo n. 159/2011, il quale, per quanto interessa in questa sede, prevede innanzi tutto al comma 1 dell'art. 67 (rubricato "Effetti delle misure di prevenzione") che "Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere:... b)... concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; ... g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; ...". Rilevano poi le seguenti, ulteriori disposizioni del decreto legislativo n. 159/2011: A) l'art. 83 (rubricato "Ambito di applicazione della documentazione antimafia"), il quale dispone al comma 1 che "Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici,... devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'articolo 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67"; B) l'art. 84 (rubricato "Definizioni"), il quale dispone al comma 3 che "L'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4"; C) l'art. 92 (rubricato "Procedimento di rilascio delle informazioni antimafia"), il quale dispone al comma 3 che "... I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite", e al comma 4 che "La revoca e il recesso di cui al comma 3 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto"; D) l'art. 94 (rubricato "Effetti delle informazioni del prefetto"), il quale dispone al comma 1 che "Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 84, comma 4 ed all'articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni"; E) l'art. 95 (rubricato "Disposizioni relative ai contratti pubblici"), il quale dispone al comma 1 che "Se taluna delle situazioni da cui emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 84, comma 4, ed all'articolo 91, comma 6, interessa un'impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un'associazione o raggruppamento temporaneo di imprese, le cause di divieto o di sospensione di cui all'articolo 67 non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto. La sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto". Rileva infine l'art. 48 del decreto legislativo n. 50 del 2016, il quale a sua volta dispone: A) al comma 17, che "... in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante deve recedere dal contratto"; B) al comma 18, che "... in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire"; C) al comma 19-ter, che "Le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara". 2. Tanto premesso, l'esame delle censure formulate dalla ricorrente deve iniziare da quelle dedotte con il terzo ed il sesto motivo del ricorso introduttivo, poi ulteriormente ribadite ed illustrate con i motivi aggiunti, con cui la parte ricorrente deduce che ambedue i provvedimenti l'impugnati si fondano su un inammissibile "automatismo, in forza del quale l'AGEA "finisce per estendere gli effetti interdittivi anche nei confronti di soggetti terzi, che in totale buona fede ed assolutamente incolpevoli rispetto alle situazioni di controindicazione - non conosciute né conoscibili con l'ausilio dell'ordinaria diligenza al momento della conclusione del rapporto - sono entrate in correlazione con l'impresa interdetta". In particolare, a detta della parte ricorrente, l'AGEA avrebbe omesso di considerare che l'-OMISSIS- non è destinataria diretta di alcuna interdittiva antimafia e che, comunque, essa all'inizio dell'anno 2021 ben difficilmente avrebbe potuto immaginare che l'Azienda Agricola -OMISSIS- nel mese di -OMISSIS- sarebbe stata colpita da un provvedimento interdittivo. L'AGEA, quindi, non avrebbe considerato che nella fattispecie si configura una delle ipotesi disciplinate dall'art. 4 del Reg. CE n. 640/2014, rubricato "Forza maggiore e circostanze eccezionali". Tali censure sono prive di fondamento alla luce delle articolate e condivisibili considerazioni svolte dall'Amministrazione resistente nelle proprie difese. 3. Innanzi tutto va rilevato che l'-OMISSIS- è un soggetto diverso dall'Azienda Agricola -OMISSIS-, destinataria dell'interdittiva antimafia della -OMISSIS-, così come i rapporti giuridici derivanti dai contratti di concessione sottoscritti tra il Comune di -OMISSIS- e le due ATI sono rapporti diversi da quelli sorti tra l'AGEA e l'-OMISSIS- a seguito delle domande di aiuto presentate da quest'ultima. Peraltro si configura una relazione di presupposizione tra i predetti rapporti: ciò in quanto l'-OMISSIS- nelle proprie domande ha indicato all'AGEA le superfici dei fondi detenuti grazie ai contratti di associazione temporanea di imprese sottoscritti dall'Azienda stessa nel marzo 2021, ossia ha puntualmente individuato i terreni che la ATI -OMISSIS- e la ATI -OMISSIS- hanno ottenuto in concessione in quanto aggiudicatarie, rispettivamente, dei lotti 5 e 6 e del lotto 7 della gara indetta dal Comune di -OMISSIS-. Coglie allora nel segno l'AGEA quando afferma che a seguito dell'interdittiva antimafia che ha colpito l'Azienda Agricola -OMISSIS- si è verificata la risoluzione di diritto dei contratti di concessione con le due ATI, come accertato dal Comune di -OMISSIS- con la determinazione n. -OMISSIS-, e di conseguenza gli effetti di tale provvedimento si sono inevitabilmente prodotti anche nei confronti dell'-OMISSIS- non già perché il provvedimento fosse direttamente efficace nei suoi confronti, bensì perché la medesima Azienda Agricola era legata all'Azienda Agricola -OMISSIS- (quale mandataria dell'ATI -OMISSIS- e mandante dell'ATI -OMISSIS-) dai contratti di associazione temporanea di imprese sottoscritti nel marzo 2021. Decisiva in tal senso risulta l'interpretazione dell'art. 95, comma 1, del decreto legislativo n. 159/2011, il quale - laddove il tentativo di infiltrazione mafiosa riguardi un'impresa diversa da quella che partecipa come mandataria ad un'associazione temporanea di imprese - consente la estromissione o la sostituzione di tale impresa anteriormente alla stipulazione del contratto proprio al fine di impedire che le cause di cui all'art. 67 del medesimo decreto legislativo operino anche nei confronti delle altre imprese partecipanti all'associazione e, quindi, sul presupposto che (in assenza di un atto di estromissione o di sostituzione) le cause di cui all'anzidetto art. 67 siano inevitabilmente destinate ad operare anche nei confronti delle altre imprese. In definitiva il Collegio condivide la tesi dell'AGEA secondo cui i contratti di concessione tra il Comune di -OMISSIS- e le due ATI, in forza dei quali l'-OMISSIS- deteneva i terreni indicati nelle proprie domande di contributo, costituivano il presupposto per l'erogazione dei contributi richiesti e, quindi, una volta risolti tali contratti, è venuto meno anche il presupposto per la concessione del contributo. 4. Né miglior sorte merita l'ulteriore censura dedotta dalla parte ricorrente, secondo la quale l'-OMISSIS- mai avrebbe potuto immaginare che nel mese di -OMISSIS- l'Azienda Agricola -OMISSIS- sarebbe stata colpita da un provvedimento interdittivo e che, quindi, nei suoi confronti potrebbero trovare applicazione le norme europee che consentono di mantenere l'aiuto. A tal riguardo il Collegio condivide il ragionamento svolto dall'AGEA nella memoria depositata il 17 aprile 2022, secondo il quale: A) l'-OMISSIS- avrebbe potuto cautelarsi decidendo di non associarsi ad un soggetto non ancora in possesso della prescritta documentazione antimafia, oppure pretendendo l'inserimento nel contratto di associazione di imprese di una clausola di rivalsa che la tutelasse in caso di risoluzione del contratto per carenza di requisiti degli altri contraenti; B) anche a voler considerare quanto accaduto come un'ipotesi di "forza maggiore", ai sensi dell'art. 4, par. 2, del Reg. CE n. 640/2014, la relativa esimente può riconoscersi solo quando sia comunicata per iscritto all'autorità competente entro 15 giorni lavorativi dalla data in cui il beneficiario o il suo rappresentante sia in condizione di farlo, ma tale termine decadenziale non è stato rispettato dall'-OMISSIS-. 5. Parimenti infondate sono le censure dedotte con il quarto ed il quinto motivo del ricorso introduttivo, poi ribadite ed illustrate con i motivi aggiunti, con le quali la parte ricorrente si duole del fatto che l'AGEA abbia ritenuto inapplicabile ai rapporti concessori tra il Comune di -OMISSIS- e le due ATI la disciplina posta dall'art. 48, commi 9, 17, 18, 19-bis e 19-ter del decreto legislativo n. 50 del 2016, senza considerare che tale disciplina è richiamata dall'art. 2 dell'avviso pubblico della gara indetta dal comune di -OMISSIS- per la concessione dei terreni demaniali e senza considerare che l'istituto della sostituzione della mandataria e/o della mandante dell'ATI è uno dei principi generali richiamati dall'art. 4 del decreto legislativo n. 50/2016 e, quindi, applicabili anche ai contratti attivi, come i contratti di concessione di beni demaniali. A tal riguardo coglie ancora una volta nel segno l'AGEA quando nel provvedimento in data 1° dicembre 2022 e nei propri scritti evidenzia che - come si desume dal combinato disposto dei commi 17 e 18 dell'art. 48 con il comma 19-ter dello stesso articolo - la stazione appaltante può proseguire il rapporto derivante dal contratto di appalto con un operatore economico diverso, purché la modifica della composizione del raggruppamento temporaneo intervenga "in fase di gara" o comunque "in corso di esecuzione". Invece nel caso in esame - a fronte di contratti di concessione, aventi efficacia dal 15 maggio 2021 al 14 maggio 2022, che prevedevano un diritto di pascolo limitato al periodo dal 20 giugno al 15 novembre 2021 - l'estromissione dell'Azienda Agricola -OMISSIS-, colpita dall'interdittiva antimafia, e la conseguente modifica della compagine associativa delle due ATI sono intervenute in data 13 maggio 2022, ossia solo il giorno antecedente la scadenza dei contratti di concessione. Inoltre il Comune di -OMISSIS- ha preso atto della modifica della compagine associativa delle due ATI in data 14 maggio 2022, ossia il giorno stesso in cui è cessata l'esecuzione dei contratti. 6. Diverse considerazioni valgono per la seconda censura dedotta con il terzo motivo del ricorso introduttivo e poi ribadita con i motivi aggiunti, con la quale la parte ricorrente lamenta che l'AGEA ha ritenuto di poter prescindere dalla sopravvenuta adozione della determinazione n. -OMISSIS- sulla base dell'erroneo presupposto che essa, in qualità di soggetto "responsabile nei confronti dell'Unione europea" degli adempimenti connessi con la gestione degli aiuti derivanti dalla politica agricola comune, sarebbe titolare del potere di disapplicare la predetta determinazione n. -OMISSIS-. In particolare, secondo la parte ricorrente, il ruolo dell'AGEA "si esaurisce nella verifica della sussistenza di un titolo idoneo, in astratto, a comprovare la conduzione dei fondi sui quali vengono richiesti i contributi". Pertanto, da un lato, deve escludersi che l'AGEA potesse operare un "accertamento c.d. incidentale" sulla validità o sull'efficacia del titolo di conduzione dei fondi indicato dall'-OMISSIS- nella propria domanda (ossia sulla validità o sull'efficacia dei contratti di concessione relativi ai lotti 5, 6 e 7). Dall'altro, deve ritenersi che l'AGEA avrebbe dovuto impugnare innanzi al Giudice amministrativo la determinazione n. -OMISSIS- per contestare le valutazioni del Comune di -OMISSIS- sulla modifica della compagine associativa delle due ATI e sull'interesse pubblico alla continuità dei contratti di concessione in corso di esecuzione. A tale censura l'AGEA ha diffusamente replicato nei propri scritti evidenziando che: A) come risulta dalla corrispondenza tra essa e il Comune di -OMISSIS-, quest'ultimo non è stato in grado di indicare l'interesse pubblico alla prosecuzione dei contratti cui risulta preordinata la determinazione n. -OMISSIS-, interesse che - a differenza di quanto sostiene la parte ricorrente - non può essere individuato nell'interesse (pur risultante dalla motivazione del provvedimento) a percepire l'entrata derivante dai contratti stessi; B) in ogni caso la determinazione n. -OMISSIS- produce effetti solo ex nunc, ossia dal momento in cui il Comune ha presa atto della modifica della compagine delle due ATI e, quindi, "per tutta la loro durata, le concessioni sono state in capo ad un soggetto che non aveva i requisiti morali per esserne titolare e che, per quel che riguarda la posizione di AGEA, non aveva titolo a percepire i contributi al settore agricolo"; C) in definitiva essa, proprio in considerazione dell'efficacia ex nunc della determinazione n. -OMISSIS-, non era affatto tenuta ad impugnare tale provvedimento. La parte ricorrente, a sua volta, nei propri scritti difensivi ha puntualmente replicato a tali assunti evidenziando che: A) la determinazione n. -OMISSIS-, a dispetto del nomen iuris utilizzato nel provvedimento stesso, dev'essere qualificata come un provvedimento di annullamento d'ufficio, con efficacia ex tunc, perché è stata adottata dal Comune di -OMISSIS- per porre rimedio all'errore in cui lo stesso è incorso adottando la determinazione n. -OMISSIS- senza aver preventivamente consentito alle due ATI di modificare la rispettiva compagine associativa estromettendo l'Azienda Agricola -OMISSIS-; B) l'efficacia retroattiva della determinazione n. -OMISSIS- è stata comunque riconosciuta nelle ordinanze n. 747 e n. 749 del 24 febbraio 2023, con le quali il Consiglio di Stato ha accolto le istanze cautelari presentate in primo grado avverso provvedimenti analoghi a quelli qui impugnati, evidenziando in motivazione che la determina del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, che "non risulta essere stata sospesa né annullata, in via giurisdizionale o di autotutela, ha dato atto della "vigenza ed efficacia dei primari contratti periodo 15 maggio 2021-14 maggio 2022", con ciò evidentemente assegnando effetti retroattivi al subentro della società -OMISSIS- quale mandataria della ATI". 7. Poste tali premesse, giova innanzi tutto precisare che il Comune di -OMISSIS- con la determinazione n. -OMISSIS-, avente il seguente oggetto: "Revoca della determinazione n. -OMISSIS- a seguito della sostituzione nell'A.T.I. dei soggetti interessati dai provvedimenti di interdittiva antimafia ai sensi dell'art. 91 comma 7 bis, del D. Lgs. 159/2011 e ss.mm.ii, emessi dalla -OMISSIS-" ha preso atto della modifica della compagine associativa delle due ATI, determinata dagli atti sottoscritti in data 13 maggio 2022, ed ha conseguentemente disposto di "revocare" la precedente determinazione n. -OMISSIS-, ma ha dato espressamente atto "della vigenza ed efficacia dei primari contratti periodo 15 maggio 2021-14 maggio 2022". Dunque la tesi dell'efficacia retroattiva della determinazione n. -OMISSIS- trova un solido appiglio nella parte dispositiva di tale provvedimento e risulta per di più avallata da quanto affermato dal Consiglio di Stato nelle predette ordinanze cautelari n. 747 e n. 749 del 24 febbraio 2023. Tuttavia, a giudizio del Collegio, ciò non significa affatto che il Consiglio di Stato abbia, altresì, avallato l'operato del Comune di -OMISSIS-. Difatti nella motivazione delle predette ordinanze cautelari è stato evidenziato soltanto che la determinazione n. -OMISSIS- "non risulta essere stata sospesa né annullata, in via giurisdizionale o di autotutela". Piuttosto, proprio le considerazioni innanzi svolte dal Collegio in merito all'inapplicabilità della disciplina posta dall'art. 48 del decreto legislativo n. 50 del 2016 ai rapporti concessori tra il Comune di -OMISSIS- e le due ATI inducono a dubitare della legittimità della determinazione n. -OMISSIS-. Difatti - giova ribadirlo - il Comune di -OMISSIS- ha preso atto della modifica della compagine associativa delle due ATI solo in data 14 maggio 2022, ossia il giorno stesso in cui è cessata l'esecuzione dei due contratti di concessione, e senza considerare quanto previsto dall'art. 48 del decreto legislativo n. 50 del 2016. 8. Tenuto conto di quanto precede, e considerato che neppure dagli atti del presente giudizio risulta che la suddetta determinazione n. -OMISSIS- sia stata sospesa o annullata, in via giurisdizionale, giustiziale o di autotutela, nonostante la corrispondenza tra l'AGEA e il Comune di -OMISSIS-, occorre chiedersi se l'AGEA, nell'esercizio delle funzioni ad essa attribuite dall'art. 4, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 74/2018 e dell'art. 7, par. 6, del Regolamento UE n. 1306/2013, fosse titolare, o meno, del potere di disapplicare la determinazione n. -OMISSIS-, in quanto ritenuta (si ribadisce, correttamente) illegittima. A tale quesito il Collegio ritiene debba rispondersi negativamente - nonostante le osservazioni formulate dall'AGEA nella memoria di replica depositata in data 26 aprile 2023 - sia in ragione del combinato disposto dell'art. 67, comma 1, del decreto legislativo n. 159/2011 con l'art. 83, comma 1, del medesimo decreto legislativo, sia in ragione della già evidenziata relazione di presupposizione che si configura tra i rapporti giuridici derivati dai contratti sottoscritti tra il Comune di -OMISSIS- e le due ATI ed i diversi rapporti giuridici sorti tra l'AGEA e l'-OMISSIS- a seguito delle domande di aiuto presentate da quest'ultima. Innanzi tutto dal combinato disposto tra le due disposizioni del decreto legislativo n. 159/2011 sopra richiamate emerge che, ai fini dell'applicazione della normativa antimafia, devono essere tenute distinte le funzioni del Comune di -OMISSIS-, Ente cui compete la gestione dei rapporti concessori derivati dai contratti stipulati con le due ATI, dalle funzioni dell'AGEA, Ente cui compete la gestione dei diversi rapporti amministrativi derivati dalle domande di aiuto presentate dall'-OMISSIS-. Tale distinzione rileva in quanto il Comune di -OMISSIS- nell'esercizio delle proprie funzioni: A) dapprima, con la determinazione n. -OMISSIS-, ha preso atto della risoluzione di diritto dei contratti stipulati con le due ATI a causa della sopravvenuta interdittiva antimafia adottata nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS- e, di conseguenza, con le proprie note in data 17 -OMISSIS- ha comunicato l'intervenuta risoluzione di diritto dei contratti anzidetti; B) in un secondo momento, con la determinazione n. -OMISSIS-, ha ritenuto di poter revocare la determinazione n. -OMISSIS- in ragione dell'avvenuta estromissione dell'Azienda Agricola -OMISSIS- dalla compagine associativa delle due ATI. Invece l'AGEA, nell'esercizio delle proprie funzioni, posto che l'-OMISSIS- non risultava destinataria diretta di un'interdittiva antimafia, non ha potuto adottare direttamente un provvedimento di revoca del contributo (ovviamente limitato agli anticipi concessi all'-OMISSIS-), ma proprio in ragione della suddetta relazione di presupposizione ha correttamente ritenuto di tener conto dei provvedimenti adottati dal Comune di -OMISSIS- in ragione degli effetti che tali provvedimenti hanno prodotto, seppure indirettamente, sui rapporti sorti a seguito delle domande presentate dall'-OMISSIS-. Del resto non si spiegherebbe per quale ragione l'AGEA nel provvedimento in data -OMISSIS- abbia menzionato anche la determinazione del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- se si ritenesse che la medesima AGEA avrebbe potuto tenere conto dell'interdittiva antimafia adottata dal Prefetto nei confronti dell'Azienda Agricola -OMISSIS- senza la "mediazione" dei provvedimenti adottati dal Comune di -OMISSIS- nell'esercizio delle proprie competenze. In altri termini l'AGEA non ha considerato che ad essa non compete la gestione dei rapporti concessori derivanti dai contratti stipulati dal Comune di -OMISSIS- con le due ATI, rispetto ai quali essa si configura un soggetto terzo, né che essa per tutelare gli interessi finanziari dell'Unione europea affidati alla sua cura, al pari di qualunque altro soggetto terzo rispetto ai predetti rapporti concessori, avrebbe dovuto impugnare innanzi al Giudice amministrativo, ovvero con ricorso straordinario, la predetta determinazione n. -OMISSIS- contestando la decisione del Comune di -OMISSIS- di caducare con efficacia retroattiva gli effetti risolutori dell'interdittiva antimafia conseguenti alla determinazione n. -OMISSIS-. Difatti non può sottacersi la significativa circostanza che l'AGEA, nonostante la puntuale censura dedotta dalla parte ricorrente, non ha saputo indicare la norma attributiva del potere di operare un "accertamento c.d. incidentale" sulla validità o sull'efficacia dei titoli di conduzione dei fondi indicati nelle domande di concessione dei contributi, ma si è limitata ad invocare dapprima (nella memoria depositata in data 17 aprile 2023) le funzioni ad essa attribuite dall'art. 4, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 74/2018 e dell'art. 7, par. 6, del Regolamento UE n. 1306/2013, e poi (nella memoria depositata in data 26 aprile 2023) le disposizioni contenute nell'Allegato I al Regolamento UE n. 907/2014. Tuttavia da tali disposizioni non si desume affatto l'esistenza, in capo all'AGEA, di un potere di disapplicazione ana a quello attribuito al Giudice ordinario dall'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E. 9. Con ciò non s'intende negare - giova precisarlo - il primato del diritto dell'Unione europea, ossia l'efficacia vincolante delle disposizioni del Reg. CE 11 marzo 2014, n. 907/2014 ("Regolamento delegato della Commissione che integra il regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli organismi pagatori e altri organismi, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le cauzioni e l'uso dell'euro") e, in particolare, della disposizione secondo quale l'organismo pagatore, ossia l'AGEA, "resta in ogni caso responsabile dell'efficace gestione dei fondi interessati; esso rimane l'unico responsabile della legittimità e regolarità delle operazioni sottostanti, compresa la tutela degli interessi finanziari dell'Unione, e ad esso compete dichiarare alla Commissione la spesa corrispondente e contabilizzarla", nonché dell'ulteriore disposizione secondo la quale "il pagamento può essere autorizzato solo quando sono stati effettuati controlli sufficienti per verificare la conformità alla normativa dell'Unione". S'intende piuttosto affermare il seguente principio di diritto: l'AGEA, nell'esercizio delle funzioni di controllo sull'intera procedura ad essa attribuite, laddove ravvisi violazioni, da parte di altra Amministrazione nazionale, di una normativa di settore e, in particolare, della normativa Antimafia, deve attivare i rimedi ordinari previsti dall'ordinamento nei confronti dei provvedimenti illegittimi, ossia adire il Giudice amministrativo, ovvero proporre un ricorso straordinario al Capo dello Stato, e/o stimolare l'esercizio dei poteri di autotutela da parte dell'altra Amministrazione, e disporre nel contempo la sospensione del pagamento. Ciò che invece non può ammettersi - in ossequio al principio di legalità, da cui discendono i principi di nominatività e tipicità dei poteri amministrativi - è l'esercizio, da parte dell'AGEA, di un potere di disapplicazione dei provvedimenti adottati da altre Amministrazioni, che non si rinviene né nell'ordinamento dell'Unione europea, né in quello nazionale. 10. In ragione di quanto precede i provvedimenti dell'AGEA prot. n. -OMISSIS- e prot. n. -OMISSIS- sono illegittimi e devono essere annullati, con assorbimento delle restanti censure: ciò in quanto risulta pienamente satisfattivo dell'interesse fatto valere in giudizio dai ricorrenti l'accoglimento della censura incentrata sul fatto che la determinazione del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- abbia determinato con effetto retroattivo il venir meno del presupposto per la revoca del contributo oggetto della domanda n. -OMISSIS-. 11. Diverse considerazioni valgono per la domanda di annullamento provvedimenti impliciti o, se esistenti, non conosciuti e non comunicati, con i quali l'AGEA avrebbe rigettato le domande n. -OMISSIS-. Non ignora il Collegio la giurisprudenza invocata dalla parte ricorrente (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 3) secondo la quale "è ammessa la sussistenza del provvedimento implicito quando l'Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell'organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l'atto implicito deve essere l'unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà ". Peraltro tale assunto di fonte giudiziale deve essere coordinato con la disposizione dell'art. 34, comma 1, cod. proc. amm., secondo la quale "In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati". Ciò posto, e non risultando dalle difese dell'AGEA che quest'ultima si sia finora pronunciata sulle predette domande n. -OMISSIS-, il Collegio ritiene che: A) da un lato, perduri l'inerzia dell'AGEA, nonostante l'istanza presentata dal legale dell'-OMISSIS- in data 9 luglio 2022 al fine di indurre l'AGEA a provvedere sulle predette domande, e che quindi l'Azienda stessa ben potrà agire ai sensi dell'art. 31, comma 1, cod. proc. amm. per contestare il silenzio-inadempimento dell'AGEA; B) dall'altro, dagli atti di causa non si evincano elementi sufficienti per ritenere che i provvedimenti in epigrafe indicati possono valere anche come provvedimenti impliciti di rigetto delle predette domande, sicché un'eventuale accoglimento della domanda di annullamento relativa agli asseriti provvedimenti impliciti dell'AGEA è precluso in radice dall'art. 34, comma 1, cod. proc. amm.. Dunque la domanda di annullamento in esame dev'essere respinta, fermo restando che l'AGEA nel provvedere sulle predette domande n. -OMISSIS- avrà cura di tener conto di quanto affermato nella presente sentenza circa l'operato del Comune di -OMISSIS-. 12. Avuto riguardo all'accoglimento solo parziale del ricorso e dei motivi aggiunti e considerato che gli atti della parte ricorrente sono stati redatti in violazione dei doveri di chiarezza e sinteticità, sancito dall'art. 3, comma 2, cod. proc. amm., sussistono comunque i presupposti per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 168 del 2022 e sul ricorso per motivi aggiunti in epigrafe indicato, li accoglie entrambi nei limiti indicati in motivazione e, per l'effetto, annulla i provvedimenti dell'AGEA prot. n. -OMISSIS- e prot. n. -OMISSIS- e il conseguente provvedimento di iscrizione del debito, sia della società che dei soci, all'interno del registro debitori. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità dei soggetti menzionati nella presente sentenza, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle relative generalità . Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere, Estensore Antonia Tassinari - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 22 del 2023, proposto da Pi. To. e Si. Gi., rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Be., Gi. Fo. e Ma. Zi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocato Gi. Fo. e l'avvocato Ma. Zi. in Trento, Piazza (...), nella sede dell'Avvocatura della Provincia; nei confronti Collegio Provinciale Maestri di Sci del Trentino, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della nota del 7 febbraio 2023 della Provincia Autonoma di Trento con cui è stata rifiutata la Dichiarazione preventiva per l'esercizio temporaneo e occasionale dei maestri di sci numero cff50bdf-0834-4385-9989-3e75dd587995 presentata dal signor Pi. To. e comunicata mediante posta elettronica il 7 febbraio 2023; - della nota del 7 febbraio 2023 della Provincia Autonoma di Trento con cui è stata rifiutata la Dichiarazione preventiva per l'esercizio temporaneo e occasionale dei maestri di sci numero c4dfe9ef-06d2-440e-b888-77024d6c8f75 presentata dal signor Si. Gi. e comunicata mediate posta elettronica il 7 febbraio 2023; tutte note aventi ad oggetto la dichiarazione di esercizio temporaneo e occasionale della professione di maestro di sci ex art. 10, comma 1, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 per la stagione invernale 2022- 2023; nonché per l'annullamento, previa sospensione, di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente e/o comunque connesso con quello impugnato, anche non conosciuto ed eventualmente richiamato nella parte motivata del provvedimento ad oggi impugnato; nel caso possa occorrere per la declaratoria del diritto dei ricorrenti a prestare in modo occasionale e temporaneo la professione di maestro di sci in regime di libera prestazione di servizi presso la Provincia Autonoma di Trento e/o se del caso all'interno di una scuola di sci Italiana riconosciuta dalla Provincia autonoma di Trento sotto la diretta vigilanza e responsabilità del direttore della stessa; nonché, previa declaratoria del diritto dei ricorrenti ad esercitare temporaneamente l'attività professionale di maestro di sci nella Provincia Autonoma di Trento in regime di libera prestazione di servizi e/o all'interno di una scuola di sci Italiana riconosciuto dalla Provincia Autonoma di Trento, per la condanna della convenuta al risarcimento del danno per equivalente pecuniario in favore dei ricorrenti che attualmente è quantificabile a titolo di lucro cessante derivante dalla mancato esercizio dell'attività professionale di maestro di sci nella Provincia Autonoma di Trento per la stagione invernale 2022/ 2023 nella misura che ci si riserva di quantificare o, in via subordinata il danno per perdita di chance - stante il mancato esercizio della professione di maestro di sci nella Provincia Autonoma di Trento per la stagione invernale 2022 / 2023 - nella misura che ci si riserva di quantificare, aggiunti annessi di legge dalla debenza al saldo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva della Provincia Autonoma di Trento; Visti l'atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva del Collegio Provinciale Maestri di Sci del Trentino; Viste le ulteriori memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto il decreto del Presidente di questo Tribunale n. 9 del 29 marzo 2023; Relatore nella udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il consigliere Antonia Tassinari e uditi per i ricorrenti l'avvocato Al. Ma., per la Provincia Autonoma di Trento l'avvocato Gi. Fo. e per il Collegio Provinciale Maestri di Sci del Trentino l'avvocato El. Za. in sostituzione dell'avvocato Ma. Vi. come specificato nel relativo verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO 1. I signori Pi. To. e Si. Gi., odierni ricorrenti, sono cittadini italiani, residenti nel territorio nazionale, che nella Repubblica di Slovenia, in cui la professione di maestro di sci è regolamentata, hanno acquisito rispettivamente in data 30 gennaio 2020 e in data 16 aprile 2018 la qualifica di maestro di sci indicata nell'Allegato 1 Qualifiche del Regolamento delegato (UE) 2019/907 della Commissione del 14 marzo 2019 istitutivo di una prova di formazione comune per i maestri di sci ai sensi dell'articolo 49 ter della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Il signor To. ha ottenuto dall'Ente Smuc arska zveza Slovenije il rilascio del diploma di Strokovni delavec 2 - š portno treniranje - smuc anje - alpsko (Lavoratore nello sport di livello 2 nello sci alpino), mentre il signor Gi. risulta essere titolare di attestazione sostanzialmente analoga (Ucitelj alpskega smuc anja 3 2 stopnja rilasciata anch'essa dalla Smuc arska zveza Slovenije) benché diversamente denominata essendo stata conseguita precedentemente all'entrata in vigore del suddetto Regolamento 2019/907. I signori To. e Gi. sono iscritti all'associazione maestri di sci Sl. Sl. - Zu. e sono in possesso di tessera IS. (Associazione In. dei Ma. di sc.), rispettivamente n. 27086 e n. 25112. Inoltre, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 comma 1 lett. n-septies del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 "Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonchè della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania", i medesimi signori To. e Gi. risultano "legalmente stabiliti" in Slovenia (cfr. ivi: "un cittadino dell'Unione europea è legalmente stabilito in uno Stato membro quando soddisfa tutti i requisiti per l'esercizio di una professione in detto Stato membro e non è oggetto di alcun divieto, neppure temporaneo, all'esercizio di tale professione. È possibile essere legalmente stabilito come lavoratore autonomo o lavoratore dipendente"). Essi riferiscono - altresì - di aver ottenuto nelle stagioni invernali precedenti l'autorizzazione a svolgere la professione di maestro di sci in modo temporaneo ed occasionale nella Provincia Autonoma di Trento. 2. Entrambi i maestri di sci, secondo quanto previsto dall'art. 10, comma 1, del citato d.lgs. n. 206 del 2007, hanno presentato alla Provincia Autonoma di Trento, rispettivamente in data 14 gennaio 2023 e in data 12 gennaio 2023, la "Dichiarazione preventiva di esercizio temporaneo ed occasionale della professione di maestro di sci" al fine di svolgere tale attività in forma autonoma dal 29 gennaio 2023 al 4 marzo 2023. Secondo l'art. 11 del d.lgs. n. 206 del 2007 entro un mese dalla presentazione della documentazione si perfeziona per silenzio-assenso la verifica preliminare circa la sussistenza delle qualifiche professionali del prestatore e, quindi, la prestazione di servizi può essere effettuata. Il Servizio provinciale turismo e sport - Ufficio ricettività e professioni turistiche (in seguito Servizio provinciale) con due distinte note comunicate a mezzo pec nella medesima data del 7 febbraio 2023, ha peraltro rigettato le dichiarazioni presentate dagli interessati in quanto non rispondenti ai criteri di accettazione. La Provincia ha infatti ritenuto che il mancato possesso da parte degli interessati medesimi del certificato di competenza previsto dall'art. 8 del Regolamento delegato (UE) 2019/907 della Commissione, del 14 marzo 2019, vale a dire della prova di formazione comune (PFC) e in particolare della prova certificante l'abilità tecnica (Eurotest) determini l'applicazione della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, recepita con il d.lgs. n. 206 del 2007. Conseguentemente, il Servizio provinciale, in relazione all'asserito significativo divario ravvisato tra la qualifica dei ricorrenti e lo standard formativo e di sicurezza richiesto ai cittadini italiani per poter esercitare la professione di maestro di sci nella Provincia di Trento, ai sensi dell'art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 206 del 2007, ha disposto l'applicazione di misure compensative consistenti nel superamento della prova Eurotest, negando al To. e al Gi. l'esercizio dell'attività professionale di maestro di sci, ancorché svolta in via occasionale e temporanea. 3. Ritenendo illegittimi i dinieghi ad esercitare temporaneamente la professione di maestro di sci espressi dalla Provincia Autonoma di Trento, i signori To. e Gi. hanno pertanto proposto il ricorso in esame affidandolo ai seguenti motivi: I. Violazione e falsa applicazione art. 11, comma 4, d.lgs. n. 206/2007 e artt. 1, 2 e 3 legge n. 241/1990 - Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, contraddittorietà, sviamento, ingiustizia manifesta - Violazione art. 97 cost I provvedimenti impugnati, che inibiscono ai ricorrenti l'esercizio temporaneo della professione di maestro di sci, si fondano meramente sul ritenuto significativo divario tra la qualifica da loro posseduta e lo standard formativo e di sicurezza richiesto ai cittadini italiani per poter esercitare la professione di maestro di sci in Provincia autonoma di Trento. Ciò evidenzia peraltro un'assoluta inadeguatezza delle motivazioni e l'assenza di una qualsivoglia valutazione circa la documentazione prodotta dagli interessati unitamente alla dichiarazione, e ciò in violazione non soltanto dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ma anche del comma 4 dell'art. 11 del d.lgs. n. 206 del 2007 che prevede il superamento di una specifica prova attitudinale al fine di colmare differenze sostanziali "nella misura in cui tale differenza sia tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica". Al riguardo anche il "Codice di condotta approvato dal gruppo di coordinatori per la Direttiva 2005/36/CE" indica nel proprio allegato 5, punto 10, lettera C) quale "prassi inaccettabile" quella di "imporre un provvedimento di compensazione senza aver fornito al migrante la possibilità di dimostrare di avere acquisito le conoscenze e le competenze mancanti attraverso l'esperienza professionale, la formazione supplementare, il continuo sviluppo professionale e/o la partecipazione a seminari", obbligando l'Amministrazione ad informarlo "in merito alla data, al luogo, al contenuto ed all'organizzazione della prova stessa (durata, forma scritta e orale, opzioni, ecc.)", con l'ulteriore precisazione che "la decisione deve altresì indicare che in caso di mancata conclusione entro un mese di tutte le fasi previste per la prova, ivi i risultati della stessa, il migrante potrà prestare servizio". La prova compensativa non solo è pertanto eventuale ma è pure eccezionale, in quanto derogatoria rispetto al generalissimo principio comunitario di libera prestazione dei servizi, oltreché rispetto al principio costituzionale di libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost. II. Violazione e falsa applicazione dell'art. 27 bis della l.p. 23.8.1993, n. 20 - deliberazione della giunta provinciale n. 16 novembre 2017, n. 1889 - Violazione del giusto procedimento - Violazione dei principi di buon andamento, trasparenza, chiarezza e correttezza dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. Eccesso di potere per violazione dell'autolimite e di situazioni giuridiche protette dall'ordinamento comunitario quali la libera circolazione delle persone. Contraddittorietà e difetto di motivazione. Dal combinato disposto dell'art. 27 bis della legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20 e della deliberazione n. 1889 del 16 novembre 2017 emerge che in caso di esercizio temporaneo della professione di maestro di sci legalmente stabilito in uno stato membro dell'Unione Europea nel quale la professione è regolamentata, la Provincia Autonoma di Trento ha distinto tra chi possiede un titolo di massimo grado che può esercitare in modo autonomo e chi è in possesso di un titolo non del massimo grado per il quale viene applicato l'art. 11 comma 4 del d.lgs. n. 206 del 2007 con la conseguenza che l'autorizzazione all'esercizio temporaneo può essere rilasciata o attraverso il superamento di una prova compensativa o. in alternativa, all'interno delle scuole di sci italiane riconosciute dalla Provincia autonoma di Trento. Entrambi i ricorrenti incontestatamente sono in possesso del titolo di maestro di sci di massimo grado, tra l'altro corrispondente a quello indicato nell'allegato 1 del Regolamento Delegato 907 / 2019 per cui non poteva essere richiesta la prova compensativa avendo i ricorrenti medesimi il diritto di esercitare in modo occasionale e temporaneo, nonchè in forma autonoma, la professione di maestro di sci. III. Violazione e falsa applicazione dell'art. 11 e dell'art. 9 del d.lgs. n. 206/2007 e degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 - Violazione della direttiva 2005/36/CE - Violazione del giusto procedimento e delle regole procedurali del "codice di condotta approvato dal gruppo di coordinatori per la direttiva 2005/36/CE" - Violazione dei principi di buon andamento, trasparenza, chiarezza e correttezza dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. Eccesso di potere per violazione dell'autolimite e di situazioni giuridiche protette dall'ordinamento comunitario- quali la libera circolazione delle persone. Contraddittorietà e difetto di motivazione. Il "Codice di condotta approvato dal gruppo di coordinatori per la Direttiva 2005/36/CE" indica nell'allegato 5, punto 10, lettera C) quale "prassi inaccettabile" quella di "imporre un provvedimento di compensazione senza aver fornito al migrante la possibilità di dimostrare di avere acquisito le conoscenze e le competenze mancanti attraverso l'esperienza professionale, la formazione supplementare, il continuo sviluppo professionale e/o la partecipazione a seminari" obbligando l'Amministrazione ad evitare di fornire un "minor numero di informazioni o meno diritti di quanto previsto" informando il migrante, inoltre, ove sia ritenuta necessaria una prova, "in merito alla data, al luogo, al contenuto ed all'organizzazione della prova stessa (durata, forma scritta e orale, opzioni, ecc.). La decisione deve altresì indicare che in caso di mancata conclusione entro un mese di tutte le fasi previste per la prova, ivi i risultati della stessa, il migrante potrà prestare servizio". Le note impugnate sono prive di tali informazioni. La prova compensativa non solo è eventuale, ma è pure eccezionale e deve andare a colmare eventuali lacune formative che potrebbero nuocere alla pubblica sicurezza, potendo essere richiesta esclusivamente nel caso in cui il richiedente non possa dimostrare di aver acquisito le conoscenze e le competenze mancanti e tali a garantire appunto la pubblica sicurezza. Tuttavia i ricorrenti sono in possesso del certificato Eurosicurite, ovvero del certificato conseguente alla prova di sicurezza che "persegue l'obiettivo di valutare il rispetto dei requisiti minimi dei candidati in termini di sicurezza", i quali sono sottoposti ad una formazione continua. E la mancanza della certificazione Eurotest non costituisce una differenza sostanziale e tale da poter "nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica", come richiesto dall'art. 11 comma 4 del d.lgs. n. 206 del 2007. Nella Repubblica di Slovenia, infine, la formazione di professionisti esperti nello sport non è di competenza statale, bensì delle singole federazioni/associazioni riconosciute che annualmente, prima dell'inizio della stagione invernale, organizzano corsi di perfezionamento e di aggiornamento professionale. 4. Alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati i ricorrenti aggiungono, per quanto possa occorrere, la richiesta di declaratoria del loro diritto a prestare in modo occasionale e temporaneo la professione di maestro di sci in regime di libera prestazione di servizi nell'ambito della Provincia Autonoma di Trento e/o, se del caso, all'interno di una scuola di sci italiana riconosciuta dalla medesima Provincia Autonoma di Trento, nonché la domanda per la condanna della Provincia Autonoma di Trento al risarcimento del danno per equivalente pecuniario in loro favore. Per tale danno, pur indicato a titolo di lucro cessante sulla scorta dell'accordo economico da loro concluso con la Tr. Sk. Em. a.t.p. con sede in Pinzolo per i periodi oggetto di richiesta di esercizio temporaneo della professione, viene comunque chiesta una liquidazione del danno che tenga conto delle perdite in termini di mancata esperienza, crescita professionale e perdita di chance, equitativamente pari a euro 5.000 per ciascun ricorrente. 5. Con decreto cautelare n. 10 del 21 febbraio 2023 il Presidente di questo Tribunale ha accordato la misura cautelare richiesta avendo prevalentemente riguardo all'irreparabilità del pregiudizio allegato dalle parti, e ha pertanto sospeso l'efficacia dei provvedimenti impugnati fino alla camera di consiglio fissata per il 23 marzo 2023 al fine della disamina in sede collegiale del proposto incidente cautelare. 6. Si è costituita in giudizio per resistere al ricorso la Provincia Autonoma di Trento, la quale, diffusamente argomentando circa l'infondatezza delle censure di merito dedotte, ha pregiudizialmente sollevato la questione in rito dell'inammissibilità del gravame ex art. 41, comma 2, c.p.a. per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati, nonché in quanto irritualmente proposto in forma collettiva. Secondo la Provincia infatti non è ravvisabile alcuna piena identità fra le posizioni sostanziali dei ricorrenti che, viceversa, risultano differenziate in ragione della diversità delle situazioni di fatto sottese alle rispettive domande giudiziali, come del resto comprovato dalla eterogenea documentazione allegata alle dichiarazioni preventive rese dai ricorrenti, e in particolare con rigauardo alla mancata allegazione da parte del signor Gi. della traduzione in italiano o in inglese della propria polizza assicurativa. Nel merito la Provincia ha rilevato che il Regolamento delegato 907/2019, come previsto dall'art. 49-ter della Direttiva 2005/36/CE, ha istituito una prova di formazione comune (PFC) per i maestri di sci comprendente a sua volta una prova certificante l'abilità tecnica dei maestri di sci (cosiddetto Eurotest) e una prova certificante le competenze relative alla sicurezza dei maestri di sci (cosiddetto Eurosecurite). Il superamento della PFC determina il rilascio del Certificato di competenza previsto dall'art. 8 del Regolamento predetto, che abilita il titolare all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante alle stesse condizioni applicabili ai possessori di qualifiche professionali acquisite nello Stato medesimo. La Provincia ha particolarmente sottolineato che il Regolamento trova applicazione sia in caso di esercizio stabile della professione, sia in caso di esercizio temporaneo come confermato dal parere del 20 settembre 2019 rilasciato dall'European Commission DG for Internal Market, Industry, Entrepreneurship and SMEs Regulation of Professions (GROW/DDG2/E-5) e dal parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio per il mercato interno, la competitività e gli affari generali prot. n. 0290276 del 28 aprile 2021. I ricorrenti, che a dire della Provincia ai sensi della citata deliberazione di Giunta provinciale n. 1889 del 2017 non sono in possesso di un titolo di "massimo grado" coincidente con il superamento delle prove Eurotest ed Eurosecurite, e sarebbero pertanto tenuti a sostenere le prove compensative previste dall'art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 206 del 2007 richieste per tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica nei riguardi di tutti coloro che - per l'appunto - non sono in possesso del Certificato di competenza, della PFC né dell'Eurotest. Poiché i ricorrenti sono già in possesso dell'Eurosecurite, tali misure compensative sono state dalla Provincia discrezionalmente individuate nel superamento della prova dell'Eurotest. Tali prove, ai sensi dell'articolo 23, comma 4-bis, del decreto del Presidente della Provincia 27 febbraio 2007, n. 3-83/Leg (Regolamento di esecuzione della l.p. n. 20/1993) costituiscono infatti un requisito necessario per accedere alla qualifica di maestro di sci nel territorio della Provincia Autonoma di Trento. Pertanto il significativo divario tra le qualifiche prodotte dai ricorrenti e lo standard formativo e di sicurezza richiesto ai cittadini italiani in Provincia Autonoma di Trento, per poter accedere alla qualifica di maestro di sci, è giustificato in ragione dell'oggettiva mancanza nella specie dell'Eurotest, in assenza di specifica documentazione atta a dimostrare l'esperienza professionale, le conoscenze, l'abilità e le competenze acquisite attraverso l'apprendimento permanente. Infine il Servizio turismo e sport della Provincia non ha precluso ai ricorrenti di dimostrare le proprie conoscenze e competenze poiché in sede di presentazione delle dichiarazioni preventive di esercizio temporaneo gli istanti hanno la possibilità di allegare tutta la documentazione che ritengono opportuna: il che, peraltro, nel caso di specie non è avvenuto. 7. Il Collegio provinciale dei maestri di sci del Trentino, a sua volta costituitosi in giudizio, ha rilevato di non rivestire la posizione processuale di controinteressato bensì di cointeressato, insistendo in via preliminare per l'inammissibilità del ricorso ex art. 41, comma 2, c.p.a. attesa la mancata notifica dello stesso ad almeno un controinteressato, non rimediabile con la notifica all'organismo di autogoverno e autodisciplina. Il Collegio provinciale ha poi eccepito l'inammissibilità del ricorso collettivo proposto, e ciò in relazione alla diversità delle posizioni sostanziali collettivamente fatte valere. Quanto al merito anche il Collegio provinciale dei maestri di sci ha rilevato, analogamente alla amministrazione provinciale, che il "significativo divario" tra la qualifica prodotta dai ricorrenti e lo standard formativo e di sicurezza richiesto ai cittadini italiani per poter esercitare la professione di maestro di sci nella Provincia di Trento è stato correttamente ravvisato nella mancanza della prova di formazione comune, ed in particolare dell'Eurotest, in capo ad entrambi i ricorrenti. Infatti l'art. 23 comma 4 bis, del regolamento di esecuzione della l.p. n. 20 del 1993 approvato con d.P.P. 27 febbraio 2007, n. 3- 83/Leg., rubricato "Esami di abilitazione per maestro di sci e criteri di valutazione delle relative prove", impone chiaramente l'obbligo del superamento delle prove Eurotest ed Eurosicurite al fine di ottenere il certificato unico di competenza previsto dall'art. 8 del Regolamento Delegato n. 907/2019, la cui mancanza precluderebbe - a dire dell'organo di governo e disciplina dei maestri di sci - ogni esercizio professionale, ivi compreso quello svolto in via occasionale e temporanea. È infine stato evidenziato che l'esercizio dell'insegnamento dello sci, a differenza di altre attività sportive, comporta più marcatamente la tutela della sicurezza dei destinatari di tali servizi: sicurezza che solo l'adeguata qualifica e competenza professionale dei prestatori può assicurare. Secondo la prospettazione del medesimo organo professionale, pertanto, tutto ciò comporta che, di fatto, i maestri di sci non sono equiparabili agli altri istruttori sportivi. Del resto il signor To. risulta avere il titolo di "lavoratore nello sport di 2° livello nello sci alpino", mentre il signor Gi. risulta essere "maestro di sci alpino 3 di 2° livello" nonché "guida sciistica di 2° livello", con la conseguenza che nessuno di loro risulta in possesso di un titolo di "massimo grado" 8. ll Presidente di questo T.R.G.A., nella camera di consiglio del 23 marzo 2023 essendo la stagione invernale oramai prossima alla fine e non sussistendo più la situazione di periculum avendo comunque i ricorrenti già materialmente svolto l'attività per cui è causa, ha proposto un rinvio della causa al merito per la pubblica udienza dell'11 maggio 2023, su cui le parti hanno convenuto. 9. Nel prosieguo del giudizio le parti hanno insistito per l'accoglimento delle rispettive tesi. 10. I ricorrenti hanno rilevato che nella domanda per l'esercizio temporaneo della professione di maestro di sci non vi era alcun cenno a riguardo della necessità della prova PFC tra i documenti richiesti per ottenere l'autorizzazione. Con riferimento al "Codice di condotta approvato dal gruppo di coordinatori per la Direttiva 2005/36/CE" i medesimi ricorrenti hanno evidenziato che pur non avendo la forza vincolante di una legge il documento individua le "pratiche" amministrative nazionali per l'applicazione di tale direttiva. L'amministrazione, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto metterli in condizione di dimostrare di aver acquisito le conoscenze e le competenze mancanti (ed oggetto di verifica con le prove PFC) attraverso "l'esperienza professionale, la formazione supplementare, lo sviluppo professionale e la partecipazione a seminari", anche perché la prova compensativa ha carattere eccezionale. I ricorrenti hanno poi evidenziato che il superamento dell'Eurotest avrebbe dato loro il diritto di ottenere il CTT (Certificato Tecnico di Competenza) e, conseguentemente, di poter esercitare la professione di maestro di sci nel territorio della Provincia Autonoma di Trento alle medesime condizioni previste per coloro che possiedono il titolo rilasciato dalla medesima amministrazione provinciale ai sensi dell'art. 4 del Regolamento Delegato. I ricorrenti hanno inoltre contestato puntualmente le eccezioni preliminari relative alla mancata notifica "ad almeno un cointeressato" e all'inammissibilità del ricorso collettivo. Quanto al possesso della qualifica di maestro di sci di massino grado i ricorrenti sostengono che secondo la deliberazione della Giunta provinciale n. 1889 / 2017 esso è riferito al titolo ottenuto nello Stato di provenienza e non nello Stato in cui intendono saltuariarmente esercitare la propria attività . Infatti il titolo straniero deve essere di massimo grado nello Stato membro che lo ha rilasciato e non ha alcuna rilevanza che esso non sia di massimo grado per l'Italia. I ricorrenti rilevano di possedere il titolo di Strokovni delavec 2 - š portno treniranje - smuc anje - alpsko (Lavoratore nello sport di livello 2 nello sci alpino) e, quindi, un titolo di massimo grado in Slovenia per cui avrebbero potuto esercitare temporaneamente la professione di maestro di sci in forma autonoma e nel solo rispetto del limite massimo delle 7 settimane, come previsto espressamente dalla deliberazione della Giunta Provinciale del 16 novembre 2017 n. 1889: tanto più che essi sono legalmente stabiliti in Slovenia e l'Italia riconosce l'I. (In. Sk. In. Association) facendone parte attraverso l'A. (Associazione Ma. Sc. It.) 11. La Provincia Autonoma di Trento, per parte propria, ha reiteratamente sottolineato che i ricorrenti non risultano in possesso del Certificato di competenza, previsto dal Regolamento delegato n. 907/2019, attestante il superamento della Prova di formazione comune (PFC), comprensiva delle prove Eurotest ed Eurosecurite e che non sono in possesso di un titolo di "massimo grado" ai sensi della deliberazione di Giunta provinciale n. 1889/2017. Infatti la suddetta locuzione si riferirebbe a qualifiche di maestro di sci di livello comparabile a quello richiesto in Italia, dove attualmente si prevede - per l'appunto -il superamento delle predette prove Eurotest ed Eurosecurite. Pertanto il Servizio provinciale turismo e sport a ragione avrebbe applicato le misure compensative previste dall'art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 206 del 2007, "richieste per tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica, legittimamente individuandole, nell'esercizio della propria discrezionalità, nel superamento della prova dell'Eurotest, essendo i ricorrenti già in possesso dell'Eurosecurite". La Provincia nega inoltre che l'essere in possesso di un'attestazione IS. (sia del livello più elevato quale è IS. card sia di quello più basso, quale è IS. stamp) giovi rispetto all'odierna materia del contendere, non supplendo al necessario superamento delle prove Eurotest ed Eurosecurite. Anche considerata l'oggettiva complessità del quadro di riferimento e la difficoltà di svolgere un confronto coerente tra i diversi livelli di qualifiche dei maestri di sci nei Paesi europei, la Provincia esclude il difetto motivazionale dedotto dai ricorrenti. 12. Anche il Collegio provinciale dei maestri di sci ha sostenuto la tesi secondo cui con titolo di "massimo grado" deve intendersi il possesso del certificato di competenza di cui all'art. 8 del Regolamento. Il Collegio ha inoltre sottolineato la contraddittorietà da parte dei ricorrenti nel ritenere inapplicabile al loro caso il disposto del Regolamento Delegato EU 2019/907, viceversa valorizzandolo quanto all'Allegato 1 al fine di dimostrare il possesso di un titolo di massimo livello. A dire del Collegio, infine, solo il signor To. sarebbe in possesso di un'attestazione IS. e comunque, considerata la natura giuridica e la funzione di IS. nonché di AM., ovvero dell'associazione di categoria ex art. 36 c.c., facente parte di IS., la circostanza non assumerebbe rilevanza al fine di legittimare lo svolgimento temporaneo dell'attività di maestro di sci preteso dai ricorrenti. 13. Alla pubblica udienza dell'11 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I) In limine litis deve essere respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata sia dalla Provincia Autonoma di Trento, sia dal Collegio provinciale dei maestri di sci con riferimento all'omissione della notificazione del ricorso ad almeno uno dei controinteressati. Invero l'art. 41, comma 2, c.p.a. nel prevedere, qualora sia proposta azione di annullamento, l'onere di notifica del ricorso ad almeno uno dei controinteressati, stabilisce pure che tale controinteressato "sia individuato nell'atto stesso" impugnato. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, d'altra parte, "nel processo amministrativo la nozione di controinteressato al ricorso si fonda sulla simultanea sussistenza di due elementi: a) quello formale, rappresentato dalla contemplazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato, tale da consentirne alla parte ricorrente l'agevole individuazione; b) quello sostanziale, derivante dall'esistenza in capo a tale soggetto di un interesse legittimo uguale e contrario a quello fatto valere attraverso l'azione impugnatoria, e cioè di un interesse al mantenimento della situazione esistente, fonte di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa." (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 8 marzo 2023, n. 2411). Tale elemento formale nella fattispecie in esame non sussiste poiché i provvedimenti impugnati non recano alcuna indicazione, tantomeno nominativa, dei soggetti in questione. Tanto basta, quindi, ad escludere l'inammissibilità eccepita sotto tale profilo: e ciò anche a prescindere dalle argomentazioni sostenute dal Collegio provinciale dei maestri di sci a riguardo del proprio ruolo di cointeressato, anziché di controinteressato, dichiaratamente da esso rivestito. II) Sempre in via preliminare questo Tribunale ritiene superabile anche l'eccezione di inammissibilità formulata in relazione alla natura, collettiva, e cumulativa insieme, che connota il ricorso in esame. Il Collegio non ignora, ed anzi condivide la consolidata giurisprudenza per cui "Nel processo amministrativo, la proposizione contestuale di un'impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2023, n. 1775). Tuttavia, diversamente dal ricorso sub R.G. n. 194, chiamato in discussione all'udienza odierna, il quale risulta proposto oltreché dai signori To. e Gi., muniti di titolo sloveno anche da altri soggetti che ricadono in una situazione oggettivamente del tutto diversa (i signori Da. e Fe. muniti di titolo croato, i quali hanno peraltro depositato anche il loro separato ricorso sub R.G. n. 23, parimenti in discussione all'udienza odierna), nella fattispecie per cui è ora causa emergono in realtà proprio quegli aspetti che valgono eccezionalmente a giustificare la deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda fondata su di un interesse meritevole di tutela deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione. Vale allora evidenziare che il ricorso collettivo e cumulativo qui in esame, ossia presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto avverso più provvedimenti non facenti parte di una medesima sequenza procedimentale ma derivanti da distinti procedimenti ciascuno riguardante uno dei ricorrenti, risulta ammissibile. A tale conclusione si perviene con riguardo alla congiunta sussistenza, nella specie, dei requisiti dell'identità delle situazioni sostanziali e processuali, nonchè dell'assenza di un conflitto di interessi anche solo potenziale, tra le parti. (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 21 marzo 2023, n. 2858; Cons. Stato, sez. III, 8 marzo 2023, n. 2470; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 23 marzo 2023, n. 1819). Giova considerare quanto al primo requisito che le domande giudiziali sono identiche nell'oggetto e che gli atti impugnati, aventi il medesimo contenuto (invero di tipo pressoché seriale) vengono censurati per gli stessi motivi. A riguardo del secondo requisito è sufficiente rilevare che l'accoglimento della domanda di uno dei ricorrenti non sarebbe per certo logicamente incompatibile con l'accoglimento di quella dell'altro. In definitiva la questione di diritto dedotta dai signori To. e Gi. è esattamente la medesima, ed esprime l'esigenza di accertare se i ricorrenti, entrambi in possesso del titolo di maestro di sci ottenuto in Slovenia di cui all'allegato I del Regolamento e dell'Eurosicurite, ma ambedue privi del Certificato di Competenza - CTT e della prova di formazione comune - PFC, possano esercitare temporaneamente ed occasionalmente la propria attività in Italia secondo le procedure di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 206 del 2007. È appena il caso di rilevare che il possesso del medesimo titolo da parte dei ricorrenti è comprovato dalla documentazione versata in atti poiché la Smuc arska zveza Slovenije, vale a dire l'Ente che rilascia le qualifiche, ha dichiarato espressamente che "il Sig. Pi. To. (il Sig. Si. Gi.) attraverso i corsi di formazione organizzati dalla Federazione di Sci della Slovenia - ZUTS Slovenia ha conseguito il titolo di lavoratore nello sport di 2 livello nello sci alpino" (cfr. note del 24 e del 28 novembre 2022). Non assumono infine il rilievo che pretenderebbe la Provincia Autonoma di Trento, e del pari il Collegio provinciale dei maestri di sci, la circostanza che il signor Gi. non abbia allegato alla dichiarazione presentata la traduzione della sua polizza assicurativa e neppure il fatto che egli sia in possesso o meno della card dell'associazione IS.. Il diniego distintamente rivolto ad entrambi i ricorrenti ad esercitare temporaneamente la professione di maestro di sci non trova testuale fondamento in tali aspetti che, quindi, non valgono ad escludere la sostanziale omogeneità e sovrapponibilità delle situazioni postulate al fine dell'ammissibilità del ricorso collettivo. Per concludere la reazione collettiva e cumulativa in sede giurisdizionale condotta a guisa di un'unica parte processuale trova nella fattispecie legittimazione. III) Accertata nei termini e per le ragioni che precedono l'ammissibilità del ricorso, quanto al merito ne va affermata la fondatezza. IV) Il primo motivo di ricorso merita di essere favorevolmente apprezzato. I ricorrenti censurano il rifiuto opposto dalla Provincia Autonoma di Trento alle dichiarazioni preventive per l'esercizio temporaneo e occasionale della professione di maestro di sci sul territorio trentino da loro presentate, in quanto la motivazione sarebbe carente nella parte relativa al ravvisato significativo divario tra la qualifica prodotta a supporto delle dichiarazioni medesime e lo standard formativo e di sicurezza richiesto ai cittadini italiani per poter esercitare la professione di maestro di sci nel territorio della Provincia Autonoma di Trento. V) Vale allora premettere che nella controversia in esame si fa questione di professioni regolamentate, sia in Italia sia in Slovenia, così come definite dalla direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, recepita in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania), che ha istituito un sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in ciascun Paese dell'Unione europea: sistema finalizzato a consentire ai cittadini europei di accedere a "professioni regolamentate" presso gli altri Stati membri dell'Unione in condizioni di parità con i cittadini del Paese estero, diverso da quello d'origine, presso il quale si intende esercitare l'attività . Allo svolgimento delle professioni regolamentate è dunque sotteso il riconoscimento di due libertà fondamentali direttamente discendenti dal regime di mercato interno proprio dell'ordinamento eurounitario (cfr. artt. 4, paragrafo 2, lettera a), e 26, 27, 114 e 115 del TFUE): il diritto di stabilimento e il diritto di prestazione di servizi (cfr., rispettivamente, gli artt. da 49 a 55 e da 56 a 62 del medesimo TFUE). VI) Giova poi evidenziare che i ricorrenti, non avendo superato la Prova di Formazione Comune (PFC), nello specifico la prova certificante l'abilità tecnica, indicata dall'art. 2 e dall'Allegato II del Regolamento delegato (UE) 2019/907, non sono in possesso del Certificato di Competenza previsto dall'art. 8 del medesimo Regolamento che secondo il principio del riconoscimento automatico avrebbe loro consentito, ex art. 4 del più volte citato Regolamento, di esercitare in Italia la propria attività senza alcuna limitazione temporale e senza dover procedere al riconoscimento del titolo, bensì meramente con la diretta iscrizione all'albo tenuto dal Collegio regionale (o provinciale) dei maestri di sci ex art. 3 della legge 8 marzo 1991, n. 81 "Legge quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina." VII) Merita, peraltro, sin d'ora rilevare che i ricorrenti sono comunque in possesso della qualifica di maestro di sci - si ripete, rilasciata in uno Stato membro dell'Unione europea nel quale la professione è regolamentata - indicata nell'Allegato 1 Qualifiche del Regolamento delegato (UE) 2019/907, nonché del certificato attestante le competenze relative alla sicurezza (Eurosecurite) di cui all'art. 2 del Regolamento 2019/907. In particolare l'Allegato II Parte II del Regolamento anzidetto con riferimento alla prova di sicurezza prevede "La prova di sicurezza persegue l'obiettivo di valutare il rispetto dei requisiti minimi dei candidati in termini di sicurezza, indispensabili per l'esercizio della professione di maestro di sci in ambiente specifico". Quanto alla prova tecnica l'Allegato II Parte I del medesimo Regolamento dispone invece "La prova tecnica consiste in uno slalom gigante in sci alpino. Essa è organizzata secondo le norme tecniche stabilite dalla Federazione Internazionale Sci ("FIS") ed è adattata per tenere conto degli obiettivi della prova tecnica." VIII) Tanto puntualizzato, la mancanza del Certificato di competenza da parte dei ricorrenti assume rilevanza quanto alla cornice normativa di riferimento, che nel caso di specie è soprattutto rappresentata dalle disposizioni di cui agli artt. 4 (recante, per quanto qui interessa, le definizioni di "professione regolamentata" e di "qualifica professionale"), 9 ("Libera prestazione di servizi e prestazione occasionale e temporanea"), 11 ("Verifica preliminare") e 16 ("Procedura di riconoscimento in regime di stabilimento") del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, il quale ha dato applicazione alla direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali al fine della libera circolazione di persone e servizi tra gli Stati membri. Infatti, come disposto dal paragrafo 1 del Regolamento delegato (UE) 2019/907 (in seguito Regolamento), per i maestri di sci che non possiedono i requisiti necessari per partecipare alla prova di formazione comune (PFC) o che non hanno superato la PFC, continua ad essere applicato il quadro generale per il riconoscimento delle loro qualifiche ai sensi della precedente direttiva 2005/36/CE emanata nella medesima materia. In altri termini il Regolamento, istituendo una prova di formazione comune (PFC) per i maestri di sci degli Stati membri comprensiva di una prova certificante l'abilità tecnica e di una prova certificante le competenze relative alla sicurezza secondo le norme stabilite nell'allegato II, parti I e II, ha di fatto introdotto una modalità di riconoscimento automatico per determinate qualifiche di maestri di sci, ulteriormente facilitando lo spostamento tra gli Stati membri di coloro che esercitano tale professione: e ciò in linea con l'obiettivo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi. Nondimeno il Regolamento non ha posto nel nulla, né ha sostituito, quantomeno non in toto e neppure relativamente ad ogni fattispecie, la direttiva 2005/36/CE, per cui il principio di riconoscimento reciproco delle qualifiche stabilito da quest'ultima fonte normativa di rango eurounitario seguita comunque a trovare applicazione per le parti non innovate dall'anzidetto Regolamento. La cornice normativa del caso in esame comprende peraltro anche la legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20 "Ordinamento della professione di guida alpina, di accompagnatore di media montagna e di maestro di sci nella provincia di Trento e modifiche alla legge provinciale 21 aprile 1987, n. 7 (Disciplina delle linee funiviarie in servizio pubblico e delle piste da sci)", emanata in forza della competenza legislativa primaria espressamente attribuita in tale materia alla Provincia Autonoma di Trento ai sensi dell'art. 8, n. 20, dello Statuto di autonomia speciale della Regione Trentino - Alto Adige/ Sü dtirol approvato con D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e fatta salva dall'art. 5, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 206/2007. In attuazione della legge provinciale n. 20 del 1993 è stato quindi approvato anche il regolamento di cui al decreto del Presidente della Provincia 27 febbraio 2007, n. 3-83/Leg (Regolamento di esecuzione della l.p. n. 20/1993) il quale tuttavia reca in particolare disposizioni attinenti all'esercizio stabile della professione di maestro di sci. L'art. 27 bis della legge provinciale suddetta ha distinto tra esercizio stabile (commi 1 e 2) e temporaneo (comma 5) della professione, il primo consentito previa iscrizione all'albo professionale della provincia di Trento subordinata al riconoscimento professionale disposto secondo quanto previsto dall'art. 16 del decreto legislativo n. 206 del 2007, il secondo permesso in conformità al regime della libera prestazione dei servizi previsto dall'art. 9 del decreto legislativo n. 206 del 2007 e previa fissazione da parte della Giunta provinciale, sentito il parere del Collegio provinciale dei maestri di sci, dei criteri e delle modalità per la valutazione, caso per caso, del carattere temporaneo dell'esercizio della professione di maestro di sci, tenuto conto della durata della prestazione, della frequenza, della periodicità e della continuità . Con la deliberazione n. 1889 del 16 novembre 2017, la Giunta provinciale ha quindi stabilito che una prestazione che si protragga per un periodo superiore alla metà della durata convenzionale di una stagione sciistica, assume il carattere dell'esercizio stabile della professione e che il limite massimo delle sette settimane qualifica l'esercizio come temporaneo. L'esercizio temporaneo della professione di maestro di sci è ammesso in forma autonoma per i prestatori in possesso del titolo di massimo grado, mentre per i titoli non di massimo grado è prevista l'applicazione dell'art. 11, comma 4, del d.lgs n. 206 del 2007, e conseguentemente l'autorizzazione all'esercizio temporaneo può essere rilasciata o attraverso il superamento di una prova compensativa o in alternativa all'interno delle scuole di sci italiane riconosciute dalla Provincia autonoma di Trento (cfr. ivi: "in caso di differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta dalle norme nazionali, nella misura in cui tale differenza sia tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica, il prestatore può colmare tali differenze attraverso il superamento di una specifica prova attitudinale con oneri a carico dell'interessato"). IX) Ciò posto, quanto ai ricorrenti che intendevano esercitare la propria attività nella Provincia Autonoma di Trento quali maestri di sci in forma temporanea ed occasionale per il periodo dal 29 gennaio 2023 al 4 marzo 2023, trovano in tutta evidenza applicazione precipuamente l'art. 27 bis, comma 5, della l.p. n. 20 del 1993 e il richiamato art. 9 del d.lgs. n. 206 del 2007, nonché la deliberazione della Giunta provinciale 16 novembre 2017, n. 1889. Diversamente da quanto ritenuto dalle Amministrazioni resistenti, nella fattispecie non rileva invece il regolamento di esecuzione della l.p. n. 20 del 1993 approvato con d.P.P. 27 febbraio 2007, n. 3- 83/Leg. considerato che quanto disposto dall'art. 23 comma 4 bis circa le prove, entrambe da superarsi, Eurotest ed Eurosicurite, attiene in ogni caso agli "Esami di abilitazione per maestro di sci e criteri di valutazione delle relative prove". Ebbene, a tacere del fatto che nei provvedimenti impugnati non si rinviene - quale eloquente indizio dell'estrema superficialità con la quale le pratiche in questione sono state trattate - alcun esplicito cenno alla disciplina di fonte provinciale, per inciso nemmeno all'art. 23 comma 4 bis del d.P.P. 27 febbraio 2007, n. 3- 83/Leg., essendo richiamate esclusivamente e pure parzialmente le disposizioni di fonte eurounitaria e statuale - vale a dire l'art. 8 del Regolamento delegato (UE) 2019/907 e l'art. 11 comma 4 del d.lgs. n. 206/2007 - con riferimento al ben evidente deficit motivazionale dedotto rileva particolarmente che, oltre a non trovare esplicazione alcuna in cosa consista il "significativo divario riscontrato tra la qualifica da lei prodotta e lo standard formativo e di sicurezza richiesto ai cittadini italiani per poter esercitare la professione di maestro di sci in Provincia autonoma di Trento" (circostanza, questa, già evidenziata in sede di provvedimento monocratico di sospensione degli atti impugnati emanato à sensi dell'art. 56 c.p.a.), neppure sono spiegate le ragioni per cui i titoli dei ricorrenti non sarebbero di massimo grado: condizione quest'ultima prevista - si badi - ai fini dell'applicazione del citato art. 11, comma 4, dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 1889 del 16 novembre 2017. Come poi l'anzidetto divario "sia tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica", presupposto che, merita sottolineare, condiziona l'espletamento della prova attitudinale ma che rimane inspiegato e invero oggettivamente inspiegabile, atteso che i ricorrenti sono in possesso del certificato attestante proprio le competenze relative alla sicurezza (Eurosecurite) di cui all'art. 2 del Regolamento 2019/907. Al riguardo le argomentazioni spese dalla difesa provinciale nel corso del giudizio circa la possibilità di colmare con il superamento della prova Eurotest, secondo quanto discrezionalmente, in tesi, potrebbe decidere la Provincia stessa, la (pretesa ma del tutto indimostrata) differenza "tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica", appaiono stridenti e non soltanto inammissibili, in quanto trattasi con ogni evidenza di motivazioni che integrano ex post l'originaria motivazione (sul punto, cfr. ex multis T.R.G.A. di Trento, sentenza 17 maggio 2021, n. 81: "nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto un provvedimento amministrativo che costituisce espressione di un potere discrezionale, non è consentita l'integrazione postuma della motivazione del provvedimento stesso mediante le memorie prodotte in giudizio dell'Amministrazione, perché tale divieto: A) discende direttamente dal combinato disposto dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990, che sancisce l'obbligo di motivazione, con l'art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge n. 241 del 1990, che non ammette la c.d. dequotazione della motivazione del provvedimento discrezionale; B) deriva altresì dall'art. 31, comma 3, cod. proc. amm., che impedisce al giudice amministrativo di pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio se il giudizio ha ad oggetto un provvedimento discrezionale; C) trova conferma nell'art. 21-nonies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, da interpretare nel senso che, in presenza di un provvedimento discrezionale che risulti viziato per carenza di motivazione, l'impugnazione di tale provvedimento non preclude all'Amministrazione intimata la possibilità di agire in autotutela, convalidandolo"). Non vi è chi non veda che il ragionamento sviluppato dalla Provincia nel pretendere il superamento da parte dei ricorrenti della prova Eurotest sconta l'errore di fondo di pretendere ciò che è prescritto esclusivamente per esercitare stabilmente in Italia mediante il riconoscimento della qualifica estera secondo la procedura prevista dall'art. 27 bis, commi 1 e 2, della l.p. n. 20 del 1993 e delineata dall'art. 16 del d.lgs. n. 206 del 2007, mentre i casi in esame configurano la fattispecie del comma 5 dell'art. 27 bis della l.p. n. 20 del 1993 prevista dall'art. 9 del d.lgs. n. 206 del 2007 nonché dalla deliberazione della Giunta provinciale 16 novembre 2017, n. 1889, per contro totalmente ignorata dall'Ufficio della stessa Amministrazione provinciale che ha adottato i provvedimenti impugnati. Il motivo in esame merita pertanto di essere accolto in tutta la sua estensione, atteso che l'accertato difetto di motivazione ridonda pure nella violazione, in particolare, dell'art. 11 comma 4 del d.lgs n. 206 del 2007 così come delle indicate disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241. X) Coglie peraltro nel segno anche il secondo motivo, con il quale i ricorrenti censurano l'illegittimità dei dinieghi impugnati in quanto essi sarebbero in possesso di un titolo di massimo grado e conseguentemente, ai sensi dell'art. 27 bis, comma 5, della l.p. n. 20 del 1993 e della deliberazione di Giunta provinciale n. 1889/2017, potrebbero esercitare la professione di maestro di sci in forma autonoma senza che possano trovare legittima applicazione le misure previste ex art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 206 del 2007. Si è già accertato nell'esposizione riguardante il primo motivo che nei provvedimenti impugnati non sono spiegate le ragioni per cui i titoli dei ricorrenti non sarebbero di massimo grado, ed è ancora una volta il caso di rilevare che le considerazioni in proposito sviluppate negli atti difensivi dalla Provincia si connotano quali ragioni che inammissibilmente integrano ex post l'originaria motivazione. E, per di più, le considerazioni anzidette neppure risultano convincenti poiché muovono dall'erroneo presupposto che per "massimo grado" delle qualifiche debba intendersi "quello di livello comparabile a quello richiesto in Italia in cui attualmente si prevede il superamento delle prove Eurotest ed Eurosecurite". Infatti, così ragionando si finisce ancora una volta per pretendere ai fini dell'esercizio temporaneo della professione di maestro di sci ciò che è viceversa prescritto per esercitare stabilmente in Italia tale attività mediante il riconoscimento della qualifica estera secondo la procedura prevista dall'art. 27 bis, commi 1 e 2, della l.p. n. 20 del 1993 e delineata dall'art. 16 del d.lgs. n. 206 del 2007. Per contro, il "massimo grado" va definito con riferimento allo Stato membro che ha rilasciato il titolo, ossia nella specie la Slovenia, e non già assumendo quale termine di paragone l'Italia e la disciplina attuale della PFC (comprensiva della prova tecnica e di quella relativa alla sicurezza), cui consegue l'ottenimento del Certificato di competenza. In tal senso il titolo posseduto dai ricorrenti, vale a dire Strokovni delavec 2 - š portno treniranje - smuc anje - alpsko (Lavoratore nello sport di livello 2 nello sci alpino) rilasciato dalla Smuc arska zveza Slovenije corrisponde a quello indicato per lo Stato membro Slovenia nell'Allegato I del Regolamento 907/2019, laddove peraltro per lo Stato membro Italia è testualmente indicato il titolo di "Maestro di Sci". Tali qualifiche secondo quanto precisa l'Allegato citato "sono concepite per garantire un approccio equilibrato tra apprendimento teorico e tirocinio pratico, inclusi lo sci su pista e fuori pista e devono in particolare conferire le seguenti abilità e conoscenze: a) la comprensione delle metodologie di insegnamento, istruzione e formazione e la capacità di applicarle alle lezioni di sci alpino sia su pista che fuori pista; b) la capacità di adattare una sessione di insegnamento alla luce delle condizioni meteorologiche variabili; c) la capacità di creare, attuare e valutare in modo autonomo i requisiti d'insegnamento appropriati per tutte le classi, a ogni livello di insegnamento di sci alpino, da principiante a esperto; d) la capacità di ideare un programma d'insegnamento di sci alpino utilizzando tecniche idonee; e) la capacità di creare una situazione formativa; f) la capacità di preparare materiale didattico, informativo e formativo da utilizzare durante qualsiasi tipo di lezione di sci alpino; g) la capacità di effettuare una dimostrazione tecnica che include una spiegazione dei diversi elementi per tutte le classi, a ogni livello di insegnamento di sci alpino; h) la capacità di valutare una sessione o un ciclo di insegnamento di sci alpino; i) la conoscenza dei principi di primo soccorso e la capacità di applicarli in caso di infortunio durante la pratica di sport invernali e la capacità di avviare le operazioni di salvataggio." Si tratta, conclusivamente, di un titolo che ben può essere ricondotto a quelli di "massimo grado" secondo la dizione e nel senso della deliberazione di Giunta provinciale n. 1889/2017, rimanendo del tutto indimostrate le ragioni di un opinare in senso contrario anche alla luce delle - dirimenti al riguardo - informazioni rinvenibili nel link: http://sloski.si/wpcontent/uploads/2021/10/Programma_corsi_formazione_e_licenze_ZUTS_Slovenia ITA def.pdf. In quest'ottica non trova quindi spazio il rilievo, in particolare del Collegio provinciale dei maestri di sci, che si appunta sulla contraddittorietà dell'argomentare dei ricorrenti, i quali invocherebbero il Regolamento con riferimento all'aspetto che attiene al grado del titolo posseduto pur avendone esclusa l'applicazione nella fattispecie in esame, viceversa regolata - come dianzi precisato - dall'art. 27 bis, comma 5, della l.p. n. 20 del 1993 e dal richiamato art. 9 del d.lgs. n. 206 del 2007. Infatti nel caso che ci occupa - vertente sul preteso esercizio in forma temporanea e saltuaria nel territorio provinciale trentino dell'attività di maestro di sci da parte di titolari di una qualifica ottenuta in Slovenia - a sostegno della tesi favorevole ai ricorrenti viene richiamato esclusivamente l'Allegato I di tale Regolamento recante l'elenco delle qualifiche, mentre è per quanto riguarda il regime di stabilimento che trova effettiva applicazione il Regolamento ovvero l'Allegato I unitamente alle disposizioni circa il superamento della PFC e il certificato di competenza. In realtà a fare la differenza è per l'appunto la diversità ontologicamente sussistente tra regime stabile e modalità temporanea e saltuaria dell'esercizio della professione: circostanza, questa, che costituisce lo snodo vero della controversia. Peraltro l'ineguaglianza delle due situazioni cui corrispondono in generale discipline differenti non esclude l'applicabilità del Regolamento anche alla fattispecie di esercizio temporaneo, ma ciò non tanto perché non sarebbe esplicitamente disposto diversamente, bensì in quanto - per così dire - nel più sta sempre il meno, per cui coloro che possiedono i requisiti per esercitare stabilmente la propria attività ben possono farlo pure temporaneamente. Non va sottaciuto, ed è considerazione sul punto conclusiva, che quanto precede prescinde comunque dall'attribuzione di rilevanza sostanziale all'eventuale possesso da parte dei ricorrenti della attestazione IS. (card o stamp). Ciò non tanto perché l'Italia avrebbe revocato l'adesione a tale associazione, come in modo inesatto affermato dalla Provincia, bensì attesa la natura e le funzioni di tale associazione, l'appartenenza alla quale non è in grado ex sé di incidere sulla qualifica a priori posseduta e circa il grado della medesima. D'altra parte, come correttamente rilevato dalla stessa Provincia, nel preambolo del documento "IS. quality standard for the IS. stamp and IS. card" viene precisato che "lo standard di qualità IS. non dà automaticamente il diritto al riconoscimento reciproco della formazione professionale nazionale di un paese da parte delle autorità statali (cfr. ivi: "The IS. quality standard does not automatically give the right to mutual recognition of a country's national professional training by state authorities)". Ne consegue ancora una volta, ai sensi del combinato disposto dell'art. 27 bis, comma 5, della l.p. n. 20 del 1993 e della deliberazione di Giunta provinciale n. 1889/2017, la possibilità da parte dei ricorrenti legalmente stabiliti in Slovenia di esercitare temporaneamente, nel limite massimo delle sette settimane, la professione di maestro di sci in modo autonomo nella Provincia Autonoma di Trento. XI) Merita condivisione anche il terzo mezzo con il quale i ricorrenti censurano l'illegittimità dei provvedimenti impugnati sul preteso contrasto con la disciplina contenuta nel "Codice di condotta approvato dal gruppo di coordinatori per la Direttiva 2005/36/CE" laddove "stabilisce nell'allegato 5, punto 10, lettera C) quale prassi inaccettabile" quella di "imporre un provvedimento di compensazione senza aver fornito al migrante la possibilità di dimostrare di avere acquisito le conoscenze e le competenze mancanti attraverso l'esperienza professionale, la formazione supplementare, il continuo sviluppo professionale e/o la partecipazione a seminari". Infatti, se è ben vero che il suddetto Codice non si configura direttamente quale strumento giuridicamente vincolante, tuttavia, come precisato nel Codice medesimo, esso è basato sulla direttiva 2005/26/CE e sul trattato CE, come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, per cui "le denunce relative alla mancata osservanza del presente codice saranno esaminate da parte delle autorità competenti alla luce di tali basi giuridiche" Ciò posto, discende allora in tutta evidenza dal principio del riconoscimento reciproco delle qualifiche in linea generale stabilito dalla Direttiva 2005/36/CE, cui sono sottesi il diritto di stabilimento e il diritto di prestazione di servizi in particolare se in forma temporanea e occasionale, che coloro i quali hanno acquisito la qualifica di maestro di sci in un altro Stato membro solo eccezionalmente possono essere costretti a sostenere prove attitudinali in via compensativa. A ciò consegue che prima di imporre la compensazione, quantomeno deve essere effettivamente assodata la concreta mancanza di competenze del migrante, per cui quest'ultimo deve aver avuto la possibilità di dimostrarne invece il possesso. Pertanto l'aver disposto le misure in questione senza prima aver chiesto chiarimenti agli interessati circa la formazione, la competenza e l'esperienza possedute, viola di per sé e in ogni caso la Direttiva 2005/36/CE, senza che assuma il rilievo preteso dall'Amministrazione provinciale la circostanza che non sia preclusa in generale la possibilità di depositare autonomamente documentazione al riguardo in sede di presentazione delle dichiarazioni preventive di esercizio temporaneo. Quanto precede vale a maggior ragione se si considera che in anni precedenti la Provincia non aveva inibito l'attività di maestro di sci, né soprattutto aveva evidenziato la mancanza di competenze professionali da parte dei ricorrenti, per cui non si vede come questi ultimi avrebbero dovuto ritenere di essere tenuti a dimostrare quanto per l'innanzi mai era stato reputato mancante da parte dell'Ufficio a ciò competente. XII) In conclusione attesa la fondatezza nei termini suesposti dei motivi dedotti, il ricorso deve essere accolto sia con riferimento alla domanda di annullamento con conseguente caducazione dei provvedimenti impugnati, sia relativamente all'ulteriore richiesta dei ricorrenti avente ad oggetto la declaratoria del loro diritto a prestare in modo occasionale e temporaneo la professione di maestro di sci autonomamente in regime di libera prestazione di servizi nella Provincia Autonoma di Trento. Rimane pertanto assorbita la subordinata declaratoria richiesta al fine dell'esercizio della professione di maestro di sci all'interno di una scuola di sci italiana riconosciuta dalla Provincia autonoma di Trento sotto la diretta vigilanza e responsabilità del direttore della stessa. La domanda diretta al risarcimento del danno deve viceversa essere respinta sia in ragione della sua genericità che non ne consente il relativo riconoscimento neppure in via equitativa, sia alla luce del decreto cautelare n. 10 del 21 febbraio 2023 del Presidente di questo Tribunale, sulla scorta del quale l'efficacia dei provvedimenti impugnati è stata sospesa fino all'udienza cautelare consentendo ai ricorrenti medesimi di esercitare la propria attività per buona parte del periodo da loro richiesto. Le spese di giudizio seguono la regola generale della soccombenza di lite e sono poste in capo all'Amministrazione provinciale e al Collegio provinciale maestri di sci del Trentino nella misura liquidata nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l'effetto annulla i provvedimenti gravati dichiarando il diritto dei ricorrenti a prestare in modo occasionale e temporaneo la professione di maestro di sci autonomamente in regime di libera prestazione di servizi nella Provincia Autonoma di Trento. Condanna la Provincia Autonoma di Trento e il Collegio provinciale maestri di sci del Trentino al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente, liquidandole a carico di ciascuna di tali parti nella misura di euro 1.000,00 (mille/00), oltre al 15% di spese generali ed agli altri oneri di legge nonché al rimborso del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023, con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 21 del 2023, proposto da Ri. Ca. Ce. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore e El. Mi., rappresentati e difesi dagli avvocati Da. Ar. e Ti. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1° febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 14 aprile 2004, n. 116, con sede in Trento, largo (...); nei confronti Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, non costituitosi in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento n. prot. 18004/P del 21/11/2022 del Comune di (omissis) con il quale è stata rigettata l'istanza di "Permesso di costruire per Regolarizzazione opere eseguite in difformità dai titoli edilizi e realizzazione fabbricato accessorio alla p.ed. P.F. (omissis) C.C (omissis) - LOC. (omissis)", con contestuale ordine di immediata rimessione in pristino; - del provvedimento del Comune di (omissis) n. prot. 11921/P del 4/08/2022 avente ad oggetto "Permesso di costruire per Regolarizzazione opere eseguite in difformità dai titoli edilizi e realizzazione fabbricato accessorio alla p.ed. P.F. (omissis) C.C (omissis) - LOC. (omissis) - rigetto pratica"; nonché di ogni atto ad essi prodromico e conseguenziale ovvero presupposto; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto il decreto n. 9 del 29 marzo 2023 del Presidente del T.R.G.A. di Trento; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il consigliere Cecilia Ambrosi nessuno intervenuto per le parti, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società Ri. Ca. Ce. S.r.l. - parte ricorrente nel ricorso in esame unitamente a El. Mi. presentatrice dell'istanza rigettata con il provvedimento impugnato - è proprietaria di un complesso rifugistico - escursionistico denominato, appunto, (omissis) a (omissis) nel comune catastale di (omissis). In adiacenza a tale complesso insiste una costruzione in legno, adibita a deposito, autorizzata a titolo precario con concessione 29 dicembre 1995, n. 112 fino al 30 aprile 1996, emessa dall'ex Comune di (omissis), attualmente Comune di (omissis), in favore dei danti causa della società ricorrente. 2. Con ordinanza 27 luglio 2009 n. 71 il Comune di (omissis), rilevata la mancata rimozione della struttura autorizzata provvisoriamente, ingiungeva alla società Ca. S.r.l., dante causa dell'odierna parte ricorrente, la relativa rimozione "entro il termine perentorio di 90 (novanta) giorni dalla notifica del presente provvedimento". 3.Avverso l'ordinanza-ingiunzione il 30 novembre 2009 veniva interposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, a mente dell'art. 8 del d.P.R. 24.11.1971, n. 1199, inteso a far accertare l'illegittimità della richiamata ordinanza e, dunque, ad ottenerne l'annullamento. 4. Ricevuta la notifica del decreto del Presidente della Repubblica del 1° dicembre 2021 di rigetto del ricorso previo parere n. 01106/2020 emesso in data 26 maggio 2021 dalla Sezione I^ del Consiglio di Stato, l'Amministrazione comunale disponeva in data 3 gennaio 2022 un nuovo sopralluogo, al fine di verificare l'intervenuta rimozione del manufatto, constatando la persistenza della costruzione abusiva, giusto verbale del 17 febbraio 2022 della Polizia locale. 5. Ne seguiva un sollecito indirizzato alla odierna parte ricorrente per la rimozione della struttura, emesso in data 22 marzo 2022 ed indicante al fine di provvedere un termine di 30 giorni dalla ricezione della comunicazione. Il 22 aprile 2022 veniva depositata dalla società Ri. Ca. Ce. un'istanza di proroga del termine di rimessa in pristino per inaccessibilità dei luoghi, dipendente dalla stagione invernale, proroga che veniva concessa in data 12 maggio 2022 differendo il termine ultimo per l'adempimento al 30 giugno 2022. 6. L'8 giugno 2022 veniva altresì depositata dalla stessa società, per il tramite del tecnico di fiducia, un'istanza di permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'art. 135, comma 1, della l.p. 4 marzo 2008, n. 1 a cui conseguivano anche due richieste di proroga dei tempi di rimessa in pristino, motivate dalla presentazione di tale istanza di sanatoria. 7. Con provvedimento di data 4 agosto 2022 il Comune decideva per il rigetto dell'istanza di sanatoria, con espresso richiamo alle considerazioni espresse nel parere del Servizio Urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia autonoma di Trento, all'uopo richiesto, ricevuto al protocollo comunale l'8 luglio 2022, parere reso disponibile al destinatario in allegato al provvedimento medesimo e di cui peraltro la parte ricorrente aveva già avuto informale contezza. Inoltre, nel provvedimento di diniego è citato il corrispondente parere "Non conforme", espresso dalla Commissione edilizia comunale nella seduta del 2 agosto 2022. In sostanza le ragioni addotte in ordine al rigetto dell'istanza, in sintesi richiamate nel provvedimento di rigetto e risultanti dal parere provinciale al quale è fatto rinvio, sono le seguenti: A) dal punto di vista formale, l'intervenuta scadenza del termine di 90 gg., da ritenersi perentorio, per la presentazione dell'istanza di sanatoria, termine decorso già al momento della presentazione del ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso all'ordinanza ingiunzione; B) nel merito, il venir meno, per l'intervenuta scadenza del termine finale, del titolo edilizio idoneo a legittimare la costruzione in quanto "venute meno le ragioni della sua precarietà . Né si giunge a conclusioni diverse grazie alla catalogazione del manufatto da parte del Piano del Parco del 2016 che ben poteva non essere a conoscenza dello stato illegittimo del medesimo; non è infatti sufficiente la catalogazione e la specifica norma di Piano per riconoscere conformità, nemmeno parziale, al manufatto in questione la cui illiceità per assenza di titolo permane" (rif. richiamato parere provinciale, doc. 21 dell'Amministrazione resistente). 8. In data 9 settembre 2022 la Ri. Ca. Ce. S.r.l.,, a mezzo del legale di fiducia, esprimeva osservazioni nei riguardi del surriferito provvedimento di rigetto, segnatamente censurando la natura perentoria del termine per la presentazione dell'istanza di sanatoria e la stessa scadenza del predetto termine in ragione della concessa proroga. Tali deduzioni davano luogo ad un riesame della pratica da parte del Comune ed in tale fase procedimentale l'Amministrazione acquisiva il parere dell'Ente Parco di Paneveggio Pale di San Martino circa la conformità urbanistica dell'anzidetta opera realizzata in precario, la quale ricade nell'area di competenza del Parco. Il parere, pervenuto al protocollo comunale in data 24 ottobre 2022, dava luogo alla conclusione del procedimento di riesame con un nuovo provvedimento di rigetto dell'istanza di sanatoria del 21 novembre 2022. Nel nuovo provvedimento sono richiamati in premessa: "il parere di non conformità espresso dalla Commissione Edilizia Comunale nella seduta del 02/08/2022 voto n° 7 e comunicato in data 04/08/2022 prot. n° 11921"; "le controdeduzioni inviate dallo studio legale Da. Ar., Ti. St. pervenuta a prot. n° 13835 di data 09/09/2022"; "il parere di conformità negativo espresso dall'Ente Parco Paneveggio Pale di San Martino" ed è altresì comunicato "che la Commissione Edilizia Comunale nella seduta del 17/11/2022 voto n° 8 ha espresso il seguente parere " Non conforme" ". Quindi l'atto impugnato così conclude: "Confermando la non conformità dell'intervento ed il rigetto dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria, si invita la S.V. a provvedere all'immediata rimessa in pristino delle opere". In ordine a tale ultima ingiunzione la parte ricorrente ha presentato nuova istanza di proroga, accordata da parte del Comune con ordinanza del 9 dicembre 2022 sino al 30 marzo 2023. 9. Peraltro, ritenendo comunque illegittime le ragioni poste a fondamento dei sopradescritti atti di diniego ed a seguito di accesso alla relativa documentazione, la Ri. Ca. Ce. S.r.l. unitamente alla signora El. Mi. ha presentato il ricorso in esame per chiederne l'annullamento, previa sospensione della relativa esecuzione, avanzando i seguenti motivi di gravame. "(1) Violazione di legge: art. 10 bis e artt. 1 e 3 L.241/90, nonché art. 21 octies L. 241/90. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione". Ritiene la parte ricorrente che l'assenza del previo inoltro dei motivi di diniego, ai sensi dell'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, abbia irrimediabilmente inficiato la legittimità dei provvedimenti impugnati, non reputando che tale vizio possa essere sanato dalla vincolatività dei provvedimenti medesimi. "(2) Violazione di legge: art. 3 comma 1 e 3 L. 241/90; Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione". Il motivo deduce la carenza di motivazione derivante dal fatto di non aver preso visione del parere di non conformità espresso dalla Commissione edilizia comunale il 2 agosto 2022, mai comunicato alla parte ricorrente sino al 7 dicembre 2022. La motivazione dell'atto deve essere chiara ed immediatamente intellegibile e, in tesi della società, non lo è stata nel caso di specie. "(3) Violazione di legge: art. 1 comma 2 bis e art. 3 comma 1 L. 241/90; Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione". Con il motivo di gravame la parte ricorrente si appunta sul parere espresso dalla Provincia autonoma di Trento, sostenendo che "non è mai stato oggetto di specifico richiamo all'interno dell'atto impugnato". Nel merito del parere medesimo, alla luce della giurisprudenza più recente, la parte ricorrente contesta la natura perentoria del termine per la richiesta dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del d.P.R. 380 del 2001 (disposizione statale omologa all'istituto descritto dall'art. 135 della l.p. n. 1 del 2008). Inoltre, deduce che il termine doveva ritenersi non ancora spirato all'atto della presentazione dell'istanza, stante la proroga del termine di demolizione accordata dal Comune intimato, con violazione, in caso di diversa interpretazione, del principio del legittimo affidamento. "(4) Violazione di legge: art. 1 comma 2 bis e art. 3 comma 1 e 3 L. 241/90; Eccesso di potere sotto il profilo della carenza e contraddittorietà della motivazione e della insufficiente istruttoria. Violazione di legge: art. 135 comma 7 L. Provincia di Trento n. 1/2008". Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente contesta il contenuto del parere dell'Ente Parco Paneveggio Pale di San Martino, il quale "non pare esprimere alcun parere negativo anzi si potrebbe sostenere che lo stesso si limita a riservarsi di approfondire un aspetto normativo non ancora eseguito". Inoltre, "Nessuna deduzione viene, invece formulata in merito alla conformità all'attuale disciplina urbanistica. È evidente e non disconosciuto che l'attuale disciplina del parco prevede per tale struttura il suo mantenimento con l'attuale destinazione d'uso a deposito (si veda doc. n. 2). È quindi confermata la conformità urbanistica alla disciplina attuale. Ogni altra - comunque infondata - deduzione del Parco Paneveggio in merito alla presunta non conformità all'epoca di realizzazione non potrebbe neppure costituire motivo di diniego, per la previsione dell'art. 135, comma 7, della L.P. 1/2008". La censura è poi estesa anche alla conclusione cui è pervenuto l'Ente Parco circa la non conformità dell'opera all'atto della realizzazione dell'intervento. Infatti "l'edificazione del fabbricato di cui è causa si situa in data successiva all'adozione del piano e anteriore alla sua entrata in vigore... Non vi è dubbio che l'opera in questione era esistente al momento dell'entrata in vigore del piano, sia pure con concessione medio tempore scaduta, e pertanto le schede tecniche successivamente redatte durante il lavoro di mappatura degli edifici esistenti e l'indicazione del loro eventuale mantenimento devono intendersi come meramente ricognitive di una situazione di diritto, da far risalire alla data della sua adozione del piano parco". Infine, il parere dell'Ente Parco si esprimerebbe in termini contraddittori, con richiamo alla chiusura da ultimo espressa nel seguente tenore letterale: "Rimane infine da verificare se, rispetto alle norme di salvaguardia al tempo vigenti, il volume fosse compatibile rispetto allo strumento urbanistico previgente al Piano di Parco (come detto il Piano Urbanistico Comprensoriale)" che adombrerebbe la necessità di ulteriori verifiche. 10. Si è costituito il Comune di (omissis), a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1° febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 14 aprile 2004, n. 116, chiedendo il rigetto del ricorso perché inammissibile ed infondato. In particolare, nel procedimento in argomento non era necessario l'inoltro del preavviso di rigetto, stante la natura sostanzialmente vincolata del permesso di costruire, anche in sanatoria: e ciò in applicazione del primo periodo del comma 2 dell'art. 21 octies della l. n. 241 del 1990. La natura vincolata degli atti impugnati è conclamata nel caso di specie dal rigetto, con decreto decisorio, del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso l'ordinanza ingiunzione a suo tempo emessa per la rimozione del manufatto abusivo. Sotto altro profilo, tutti gli atti che hanno costituito il fondamento della decisione di rigetto impugnata sono stati resi disponibili alla parte ricorrente, non sussistendo l'obbligo di specifica notifica a mente della consolidata giurisprudenza, poiché la fattispecie integra una motivazione per relationem pienamente ammessa dall'ordinamento. Nel merito, rileva la resistente come la condotta tenuta dal Comune nel tempo, nell'ambito del procedimento, ha consentito alla società ricorrente l'interlocuzione in più occasioni, ed inoltre è stata "ispirata dai canoni di buona fede e buona amministrazione", poiché il Comune "ha in più di un'occasione deliberatamente vagliato l'eventuale sussistenza dei presupposti per procedere in senso diverso dall'ordinanza di demolizione". Sotto altro profilo, le censure avverso il parere provinciale sono inammissibili, in quanto il parere non è richiamato nell'atto impugnato, e comunque infondate stante l'orientamento giurisprudenziale che si è attestato sul carattere perentorio del termine per la presentazione dell'istanza di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, al contrario di quanto dedotto nel ricorso. Infine, l'Amministrazione intimata deduce la genericità del quarto motivo di ricorso, da dichiararsi inammissibile, e in subordine la sua infondatezza stante il chiaro tenore delle "ragioni diffusamente esposte nel parere del Servizio Urbanistico della PAT e nel parere dell'Ente Parco, cui ultimo integralmente si rinvia" ed in particolare "il rigetto impugnato è giustificato dalla circostanza secondo cui " il Piano di Parco approvato nel 1996 non prevedeva... la possibilità di edificare volumi precari come nel caso in esame; i volumi precari potevano essere autorizzati direttamente dal Sindaco per esigenze particolari e limitate nel tempo" ". 11. Con ordinanza 9 marzo 2023, n. 13 questo Tribunale, nell'ambito della valutazione sommaria propria della fase cautelare del giudizio, ha respinto l'istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati ritenendo insussistenti consistenti profili di fumus boni iuris per le seguenti motivazioni: "A) il diniego del permesso di costruire ha natura di atto vincolato, con conseguente applicazione dell'art. 21 octies, comma 2, primo periodo della l. 8 agosto 1990, n. 241 (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15/09/2022 n. 7993) che esclude l'obbligo di previo inoltro del preavviso di rigetto previsto dall'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 e dall'omo art. 27 bis della l.p. 30 novembre 1992, n. 23; B) la motivazione degli atti di diniego impugnati riposa sulle considerazioni espresse dalla Provincia autonoma di Trento, nel parere richiesto dall'Amministrazione intimata e pervenuto al protocollo comunale in data 8.07.2022, e nel parere reso dall'Ente Parco di Paneveggio Pale di San Martino, pervenuto al Comune il 24.10.2022. Si tratta di atti cui è fatto rinvio nei provvedimenti di rigetto dell'istanza di sanatoria che, pur promananti da altre autorità rispetto agli organi del Comune, sono stati fatti propri da questi ultimi. Inoltre, i medesimi documenti sono stati comunque ostesi alla parte ricorrente in sede di accesso agli atti. Pertanto, la motivazione espressa negli atti di diniego impugnati assume il carattere di una motivazione per relationem pienamente ammessa dall'art. 3 della l. n. 241 del 1990, e dall'omo art. 4 della l.p. 23 del 1992 (ex multis sentenza Cons. Stato, sez. II, 7 febbraio 2020, n. 987); C) alla stregua del parere espresso dall'Ente Ente Parco di Paneveggio Pale di San Martino la costruzione in argomento non è conforme né alla disciplina urbanistica vigente all'atto della realizzazione, costituita dalla disciplina di salvaguardia del Piano del Parco adottato il 22 settembre del 1995 ed entrato in vigore il 25.12.1996, che non ammetteva ampliamenti quale quello considerato. Essa neppure è conforme alla disciplina urbanistica vigente all'atto della presentazione dell'istanza di sanatoria, costituita dalla Variante generale del Piano del Parco del 2016: la previsione in tale strumento urbanistico di una scheda dedicata al manufatto, che prevede il mantenimento del volume e della destinazione, non vale a determinare un'implicita, inammissibile sanatoria della costruzione abusivamente mantenuta in sito nonostante la scadenza del termine previsto nell'originario titolo edilizio precario". Nell'ordinanza è stata altresì condannata la parte ricorrente al pagamento in favore della resistente Amministrazione delle spese della fase di giudizio nell'importo di euro 1.000,00 (mille/00), oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge. 12. Da ultimo con nota del 3 maggio 2023 la parte ricorrente ha formalizzato espressa rinuncia al ricorso a spese compensate, ad eccezione di quelle già liquidate per la fase cautelare, a mente dell'articolo 84 c.p.a. Tale atto è stato ritualmente notificato all'Amministrazione resistente che vi ha prestato espressa adesione con specifico riguardo alla compensazione delle spese "ad eccezione delle spese già liquidate in sede cautelare", sottoscrivendo in calce la dichiarazione di accettazione della rinuncia. 13. Alla odierna pubblica udienza la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione. 14. Tenuto conto di quanto precede al Collegio non resta che dichiarare, a mente dell'art. 35, comma 2, lett. c), cod. proc. amm., l'estinzione del giudizio per rinuncia, con compensazione delle spese della presente fase del merito del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, dichiara l'estinzione del giudizio. Spese della fase compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Cecilia Ambrosi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 181 del 2022, proposto da Pa. Ha., rappresentato e difeso dall'avvocato An. Vo. Wa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis) - Comun de (omissis), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1° febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 14 aprile 2004, n. 116; per l'annullamento del provvedimento prot. N. 10208/6/3 di diniego della domanda di permesso di costruire in merito alle opere di suddivisione dell'appartamento sulla p.ed. (omissis) p.m. (omissis) sub. (omissis) in C.C. di (omissis) in n. 2 unità immobiliari, emesso nell'ambito della "Pratica edilizia in ingresso N. 1094/2019 (Pa. Ha.)" del Comune di (omissis) - Comun de (omissis) (TN), emesso in data 21.09.2022 e comunicato in pari data, oltre che di ogni atto presupposto e preliminare, anche non conosciuto. In conseguenza dell'annullamento: Domanda di condanna al rilascio del permesso di costruire ex art. 30 e 34 c.p.a. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) - Comun de (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto il decreto n. 9 del 29 marzo 2023 del Presidente del T.R.G.A. di Trento; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 il consigliere Cecilia Ambrosi e uditi l'avvocato An. Vo. Wa. per il ricorrente e l'avvocato dello Stato Da. Vo. per il Comune di (omissis) - Comun de (omissis), come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue. FATTO 1. Il signor Ha. Pa., proprietario dell'appartamento in p.ed. (omissis), sub. (omissis) p.m. (omissis) C.C. (omissis), impugna con il ricorso in esame il diniego di permesso di costruire del 21 settembre 2022, espresso dal Comune di (omissis) - Comun de (omissis), sulla domanda presentata in data 26 settembre 2019 per la suddivisione dell'appartamento medesimo in due unità immobiliari, previa chiusura del loggiato posto a sud. In particolare, il provvedimento di diniego è motivato con richiamo al parere negativo della Commissione edilizia, da ultimo espresso nella seduta del 18 febbraio 2021 - e conforme al precedente reso nella seduta del 28 ottobre 2019 - motivato nel modo seguente: "in quanto l'intervento eccede la categoria d'intervento R2 - Risanamento conservativo (contrasto con l'art. 33 delle N.d.A.)". Il parere contrario della Commissione edilizia originariamente emesso il 28 ottobre 2019, era stato notificato alla parte ricorrente che aveva inoltrato osservazioni in data 28 novembre 2019 originanti, in un primo tempo, nella seduta del 17 dicembre 2019, la sospensione dell'esame della domanda "per approfondimenti sui titoli edilizi precedenti". Successivamente la Commissione edilizia confermava il parere sfavorevole nella seduta del 18 febbraio 2021, e detto esito veniva parimenti trasmesso alla parte ricorrente con nota del 25 febbraio 2021, senza dar luogo all'inoltro di ulteriori osservazioni. 2. Ritenendo illegittimi i provvedimenti impugnati il signor Ha. Pa. ha presentato il ricorso in esame, affidato ai seguenti motivi: "1. Eccesso di potere e/o violazione di legge - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 co. 6 lett. o) Regolamento Urbanistico Edilizio Provinciale - Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 29 e 33 delle Norme di Attuazione al PRG di (omissis) - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 77 c.1 lett. d) della L.P.15/2015 - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 co. 6 lett. o) Regolamento Urbanistico Edilizio Provinciale". Il provvedimento impugnato sarebbe stato assunto in violazione delle norme dettate dal Regolamento urbanistico-edilizio provinciale, approvato con decreto del Presidente della Provincia 19 maggio 2017, n. 8-61/Leg. in esecuzione della legge provinciale di Trento 4 agosto 2015, n. 15, che reca la definizione di "volume edilizio", secondo la quale la chiusura della loggia in questione, mediante il tamponamento previsto nel progetto presentato, non aumenterebbe il volume dell'unità immobiliare e dunque sarebbe ammissibile quale intervento di risanamento conservativo. Così la proposta presentata sarebbe conforme alla categoria di intervento edilizio ammessa (risanamento conservativo), secondo la definizione datane dall'art. 77, comma 1, lett. d) della legge provinciale n. 15 del 2015, formulazione del tutto analoga a quella delle norme di attuazione (NTA) del PRG del Comune di (omissis) (art. 29, comma 1 lett. d e 33 comma 2 lett. f). Infatti, da esse "si ricava chiaramente che è consentita la modifica parziale dei prospetti di un edificio, volta al ripristino dell'unitarietà dei prospetti e al ripristino degli elementi essenziali della morfologia dell'edificio, così come previsto nel progetto del ricorrente". Tanto sarebbe comprovato dalle fotografie storiche dell'edificio trasmesse al Comune resistente, che dimostrerebbero come "l'edificio in origine non prevedeva alcuna loggia e anzi, come il classico edificio montano, era caratterizzato da volumi compatti, essendo in origine chiuso su tutte le facciate". Pertanto, il progetto presentato avrebbe "ripristinato il carattere originario dell'edificio, migliorato le condizioni di funzionalità dell'immobile e al contempo ripristinato l'unitarietà dei prospetti tra lato nord e lato sud". Ancora: "Nel caso di specie è manifesto che l'edificio del ricorrente appartiene alla tipologia ricorrente e tipica della zona. Essendo l'edificio caratterizzato da una base in muratura sovrastata da elementi in legno grezza, esso rispecchia l'ideale della casa di montagna". "2. Violazione di legge e/o eccesso di potere - Violazione dell'art. 13 co. 4 L.R. 13/1993 - Violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990 - Mancato preavviso di rigetto - Omessa motivazione del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dal ricorrente in data 25.11.2019". Nel provvedimento di diniego non è stata data alcuna motivazione del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dal ricorrente, "in violazione di quanto disposto dall'art. 13 co. 4 L.R. 13/1993 e dall'art. 10-bis l. 241/1990 in tema di preavviso di rigetto". Il provvedimento di diniego si è infatti limitato a riproporre letteralmente la succinta, apparente, motivazione già esposta nei pareri contrari della Commissione edilizia comunale, inoltrati in data 30 ottobre 2019 e in data 25 febbraio 2021, per cui l'intervento "eccederebbe" la categoria d'intervento R2, senza fare alcun riferimento alle osservazioni presentate dal ricorrente e limitandosi, nell'ultimo dei pareri negativi, ad un generico richiamo all'art. 33 della NTA del PRG comunale. "3. Violazione di legge e/o eccesso di potere - Difetto assoluto di motivazione, motivazione apparente - Violazione dell'art. 4 L.P. n. 23/1992 - Violazione dell'art. 5 L.R. 13/1993 - Violazione dell'art. 3 l. 241/1990 - Violazione degli artt. 29 e 33 delle Norme di Attuazione". Ribadisce il ricorrente che il provvedimento impugnato esprime una motivazione apparente ed in ogni caso errata, impedendo di ricostruire il percorso logico-giuridico che ha giustificato il provvedimento di rigetto del permesso di costruire. In particolare, il diniego sarebbe stato adottato in manifesta violazione delle previsioni di cui agli artt. 29 e 33 delle NTA del Piano regolatore comunale che consentono gli interventi di risanamento conservativo "R2", definendoli come "quelli tendenti alla conservazione o al ripristino degli elementi essenziali della morfologia" e al "recupero dell'impianto tipologico iniziali". E tale sarebbe l'intervento proposto come si evincerebbe dalle fotografie storiche prodotte in giudizio dalle quali si desumerebbe che l'edificio in questione non presentava alcuna loggia: "La loggia è notoriamente un elemento estraneo alla morfologia caratteristica delle abitazioni site in zone montane, che sono tradizionalmente caratterizzate da una base rettangolare in pietra con un livello superiore in legno". Il progetto presentato esprimerebbe chiaramente le caratteristiche di ripristino perseguite, quali legittimo intervento di risanamento conservativo, così come meglio precisato anche nelle osservazioni presentate dal ricorrente nel 2019, e su tali osservazioni il diniego impugnato non è stato adeguatamente motivato. 3. In conclusione, con il ricorso è chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato ed inoltre, quale sua conseguenza, la condanna del Comune intimato a rilasciare il titolo edilizio richiesto ex artt. 30 e 34 del c.p.a., trattandosi del rilascio di permesso di costruire, fattispecie per pacifica giurisprudenza espressione di attività vincolata. Tanto anche in ragione del lungo tempo impiegato nell'attività istruttoria espletata da parte del Comune senza alcuna eccezione circa la documentazione allegata alla domanda o in ordine alla necessità di approfondire ulteriormente l'istruttoria. 4. In data 2 gennaio 2023 si è costituito il Comune di (omissis) - Comun de (omissis), a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1° febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 14 aprile 2004, n. 116, e con memoria del 16 febbraio 2023 ha chiesto che il ricorso sia rigettato in quanto inammissibile ed infondato. In particolare, l'intervento proposto dal ricorrente consiste nella realizzazione di una "nuova muratura perimetrale tesa ad inglobare all'interno dell'immobile uno spazio autorizzato in passato quale " andito esterno coperto" " e ciò è in contrasto con la categoria di intervento ammessa (risanamento conservativo). Sul punto non è rilevante la definizione di volume edilizio (urbanistico), quale si evince dal Regolamento urbanistico-edilizio provinciale, in quanto tale definizione sussisteva già molto prima dell'entrata in vigore di tale regolamento, ed in particolare nella delibera della Giunta provinciale 3 settembre 2010, n. 2023, dalla quale si desume che non costituiscono volume le rientranze degli edifici, quale è quella in questione. Sotto altro profilo, il Comune contesta la circostanza che tale chiusura dell'andito fosse già storicamente presente, in quanto "non è mai stata depositata documentazione storica comprovante quanto asserito", così come i vari titoli edilizi prodotti nel tempo "evidenziano sempre e costantemente la presenza di un deposito esterno aperto ovvero di un andito esterno coperto (C.E. 26/2005 e variante prima C.E. 36/2008)....Come si vede nella documentazione fotografica e planimetrica allegata (docc. 15-18), l'andito oggetto di controversia risulta ben delimitato da una muratura esterna di adeguato spessore (cm. 45) a riprova che tale spazio appare da sempre quale spazio esterno". La resistente deduce che non può essere inclusa nella tipologia di intervento ammessa l'introduzione di nuove murature perimetrali come si evince dagli artt. 32 e 33 delle NTA relative al restauro, categoria sovrapponibile a quella del risanamento e come confermano dagli Indirizzi e Criteri Generali per la Pianificazione degli Insediamenti Storici, dal tenore dei quali si evince che non si ammettono "né interventi limitati né rilevanti per le facciate degli edifici consistenti in nuova chiusura perimetrale". Tanto è altresì confermato dalla giurisprudenza amministrativa in tema di verande, considerate come opere di trasformazione urbanistico-edilizia del preesistente manufatto, incompatibili con la l'intervento di risanamento conservativo. Neppure sono fondati il secondo e terzo motivo di ricorso, stante la natura tendenzialmente vincolata del permesso di costruire, il che esclude la necessità di comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, nonché la confutazione analitica delle deduzioni dell'interessato, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza. In ogni caso trova applicazione il primo periodo del secondo comma dell'art. 21 octies della l. n. 241 del 1990 ove si legge che: "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". 5. Con successive memorie la parti hanno insistito per le rispettive conclusioni. Il ricorrente ha ribadito, con le memorie di data 20 marzo 2023 e di data 30 marzo 2023 ed in particolare sulla scorta delle fotografie depositate in giudizio, che "in origine l'immobile aveva una facciata chiusa. La fotografia sub. doc. 12 rappresenta una parte del muro poi parzialmente crollato (cerchiato in blu), per cui è certo che in origine il locale fosse totalmente chiuso: all'esterno vi era la ruota del mulino, di cui residua la macina ancora visibile. Essendo la ruota di mulino esterna all'edificio ed essendo, come in tutti i mulini, azionata dall'acqua, è certo che la facciata fosse completamente chiusa, al fine di prevenire l'ingresso dell'acqua nella zona della molitura.... In origine la costruzione non prevedeva affatto un " andito esterno coperto", come sostiene la PA convenuta, andito che peraltro sarebbe stato totalmente inutile in considerazione della tipologia dell'edificio e della sua posizione concreta, ma una camera chiusa contenente un mulino". In definitiva si tratterebbe di ripristinare la muratura perimetrale crollata, la cui esistenza sarebbe provata dai documenti; nessuna modifica di volume e sagoma deriverebbe pertanto dall'intervento proposto che si propone invece l'intento di "ripristinare l'unitarietà dei prospetti e ripristinare gli elementi essenziali della morfologia dell'abitazione". Dal canto suo l'Amministrazione resistente, con la memoria del 28 marzo 2023, rileva che le documentazioni prodotte in giudizio, peraltro rinvenibili nel fascicolo e dunque non nuove, "non dimostrano affatto che la facciata dell'edificio fosse totalmente chiusa. La porzione di muro da cui parte ricorrente tanto vorrebbe dedurre, perfettamente visibile nelle foto dimesse dal Comune sub doc. 8, ha uno sviluppo ortogonale (perpendicolare, dunque) rispetto ad un ipotetico - mai esistito - muro perimetrale, che avrebbe dovuto fungere da chiusura. Non solo. Trattasi - all'evidenza - di muro che neppure arrivava all'altezza della sovrastante struttura in legno", anzi "dal PRG dell'ex Comune di Vigo, riportato per estratto sub doc. 3 (secondo riquadro in alto a sinistra - estratto P.R.G. scala 1:2000), è perfettamente evidente la sagoma dell'edificio di allora (all'interno del cerchio), che presentava una rientranza ben visibile". 6. Alla odierna pubblica udienza la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione. DIRITTO I. Il ricorso si prospetta infondato per le ragioni di seguito esposte concernenti tutti e tre i motivi di gravame, trattati congiuntamente data la loro evidente connessione. II. Come statuito dalla giurisprudenza consolidata, richiamata dalla resistente Amministrazione e condivisa anche dalla parte ricorrente per farvi discendere la richiesta di condanna al rilascio del titolo edilizio, il permesso di costruire dà luogo ad un'attività sostanzialmente vincolata in quanto limitata a verificare la conformità del progetto alla normativa di settore e alla strumentazione urbanistica vigente, avendo l'Amministrazione esaurito la propria discrezionalità in sede pianificatoria (ex multis tra le più recenti cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, 10 marzo 2023, n. 219; Cons. Stato, sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8943; Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2021, n. 2965). Tanto si realizza anche nel caso di specie ove neppure vengono in evidenza profili valutativi in concreto correlati alla specifica tipologia dell'intervento programmato, potenzialmente rilevanti in punto discrezionalità tecnica. III. Invero, nell'ambito della valutazione istruttoria sulla domanda di permesso di costruire in questione, rimessa al Comune di (omissis) - Comun de (omissis), assume rilievo determinante ed assorbente la preesistenza storica del muro perimetrale e del tamponamento in legno sul lato sud dell'edificio che, negli intenti del ricorrente, una volta ricostruiti vedrebbero "ripristinato il carattere originario dell'edificio, migliorato le condizioni di funzionalità dell'immobile e al contempo ripristinato l'unitarietà dei prospetti tra lato nord e lato sud". Solo ove dimostrato tale stato storico del bene immobile, infatti, l'intervento progettuale proposto con la domanda di permesso di costruire potrebbe annoverarsi nella categoria del risanamento conservativo. IV. In via preliminare, evidenzia il Collegio che non è controverso tra le parti il fatto che l'edificio di proprietà del ricorrente sia sottoposto esclusivamente alla categoria di intervento del "Risanamento Conservativo - R2", a mente del combinato disposto degli articoli 29 e 33 delle NTA del PRG comunale, i quali, per quanto di interesse, definiscono interventi di "Risanamento Conservativo - R2" "quelli diretti alla conservazione o al ripristino degli elementi essenziali della morfologia,... mediante un insieme sistematico di opere volte al recupero del legame con l'impianto tipologico-organizzativo iniziale" (cfr. art. 29, comma 1, lett. d) Norme di Attuazione) oltre che gli interventi volti al "f. Ripristino e valorizzazione dei prospetti nella loro unitarietà . Parziali modifiche sono consentite nel rispetto dei caratteri originari e della tipologia edilizia, in particolare a: balconi e ballatoi; portoni, finestre, portefinestre, purché i contorni originali non siano in pietra...." (cfr. art. 33, comma 2, lett. f) Norme di Attuazione). A sua volta, l'articolo 29 - al quale fa espresso rinvio il comma 1 dell'articolo 33, rubricato "Risanamento Conservativo - R2" delle NTA, (testualmente: "Sono gli Interventi cosi come definiti nel precedente Art. 29") - richiama per la definizione della categoria del risanamento conservativo l'articolo 77, comma 1, lett. d) della l.p. n. 15 del 2015, il quale recita "costituiscono interventi di risanamento conservativo: quelli diretti alla conservazione o al ripristino degli elementi essenziali della morfologia, della distribuzione e della tecnologia edilizia e all'adeguamento dell'unità edilizia, o di una sua parte, a una destinazione d'uso compatibile, migliorando le condizioni di funzionalità, mediante un insieme sistematico di opere volte al recupero del legame con l'impianto tipologico organizzativo iniziale". V. Pertanto, nel caso di specie, la preesistenza storica del muro perimetrale in questione sul quale, in tesi del ricorrente, poggiava originariamente il tamponamento in legno a formare una facciata chiusa, elementi che ora si vuole ricostruire, rappresenta l'aspetto determinante per la realizzabilità dell'intervento alla luce della disciplina urbanistica applicabile. Viene in considerazione un aspetto meramente fattuale (esistenza o inesistenza del muro) che non lascia alcuno spazio di discrezionalità in capo all'Amministrazione, vertendo sull'accertamento in concreto dei presupposti di fatto del richiesto permesso di costruire. Trattandosi di attività vincolata in astratto ed anche in concreto, ne consegue che trova applicazione l'articolo 21 octies, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241 come di recente novellato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella l. 11 settembre 2020, n. 120, il quale espressamente dispone che: "Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'art. 10-bis". Invero, in base al combinato disposto tra il primo e terzo periodo del medesimo comma 2 dell'art. 21 octies, la c.d. sanatoria processuale o per raggiungimento dello scopo - cioè la sanatoria che deriva dalla non incidenza dell'omissione procedimentale sul contenuto del provvedimento finale - rimane possibile anche in caso di violazione dell'articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990 (al quale deve essere equiparato l'omo articolo 27 bis della l.p. 30 novembre 1992, n. 23 più puntualmente applicabile alla fattispecie in considerazione) ove si tratti di attività vincolata, quale quella oggi in esame, mentre è da ritenersi preclusa nell'ipotesi di provvedimenti discrezionali (cfr. negli stessi termini sentenza T.R.G.A Trento, 19 ottobre 2020, n. 177). Da ciò consegue, come meglio si dirà, l'infondatezza del motivo di gravame che si appunta sulla violazione di tale disposizione. VI. Nel merito del caso di specie, vale evidenziare che la prova dello stato storico dell'edificio spetta al richiedente secondo i generali principi in materia, trattandosi di prova nella disponibilità dell'interessato, dato che solo quest'ultimo può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'affermata preesistenza di tali opere "in applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova", come confermato dalla consolidata giurisprudenza in materia di istanza di sanatoria che può ben essere estesa al caso di specie (cfr., da ultimo, ex multis Cons. Stato, Sez. VI 7 gennaio 2022, n. 61). Ritiene il Collegio, come meglio sarà illustrato nel successivo paragrafo, che tale prova non sia stata fornita in sede di istanza di permesso di costruire, né nel relativo sviluppo procedimentale e neppure nel presente giudizio. Infatti, il ricorrente in sede di richiesta di permesso di costruire si è limitato ad asserire la conformità di quanto proposto all'originario tamponamento preesistente ("peraltro già storicamente presente": rif. Relazione tecnica a corredo dell'istanza doc. 1 resistente). Successivamente il signor Ha. ha reiteratamente prodotto, in sede di osservazioni nel 2019 ed anche in giudizio, le stesse, sole, due fotografie (rispettivamente doc. 3 e 12, memoria del 20 marzo 2023 e del 30 marzo 2023) ritenute dal Comune, a ragione, palesemente non idonee ad offrire neppure elementi indiziari per la dimostrazione della preesistenza del muro perimetrale e del tamponamento in legno sul lato sud dell'edificio a formare una facciata interamente chiusa. Ne deriva che non possono essere accolte le censure espresse nel primo e terzo motivo di gravame quanto alla riconducibilità dell'intervento alla categoria del risanamento conservativo. VII. Pertanto, alla luce della mancata prova dello stato storico dell'edificio e del carattere vincolato del potere esercitato, neppure può trovare accoglimento la censura esposta nel secondo motivo di gravame che deduce l'illegittimità del diniego in ragione del difetto di motivazione derivante dalla mancata confutazione espressa delle osservazioni fornite dalla parte ricorrente. Al riguardo giova ricordare che l'istituto del preavviso di diniego è declinato nell'art. 27 bis della l.p. n. 23 del 1992, il quale, in termini sostanzialmente consonanti con la disciplina contenuta nell'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, testualmente dispone: "1. Nei procedimenti ad istanza di parte l'organo o la struttura competente all'adozione del provvedimento finale, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di quindici giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione del procedimento che riprendono a decorrere dieci giorni dopo la data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale, indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'organo o la struttura competente non possono addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato". La ratio dell'istituto si sostanzia in tal senso nell'introduzione di una modalità di partecipazione al procedimento, con la quale si è voluta anticipare l'esplicitazione delle ragioni del provvedimento sfavorevole alla fase endoprocedimentale, allo scopo di consentire una difesa ancora migliore all'interessato, mirata a rendere possibile il confronto con l'Amministrazione sulle ragioni da essa ritenute ostative all'accoglimento della sua istanza, ancor prima della decisione finale. La comunicazione dei motivi ostativi ha, dunque, "lo scopo di far conoscere alle Amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte in base agli esiti dell'istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, prospettate dall'interessato, che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti" (così Cons. Stato, sez. III, sentenza 11 novembre 2021, n. 7529). Nel procedimento in considerazione l'Amministrazione intimata ha notificato, sia in data 30 ottobre 2019 che in data 25 febbraio 2021, il parere contrario della Commissione edilizia "in quanto l'intervento eccede la categoria d'intervento R2 - Risanamento conservativo (contrasto con l'art. 33 delle N.d.A.)", che costituisce la motivazione sostanziale della valutazione negativa. Solo nel 2019 il ricorrente ha inoltrato le proprie osservazioni con la nota del 28 novembre 2019, peraltro poi non reiterate a seguito della successiva conferma del parere negativo del 18 febbraio 2021, osservando testualmente quanto segue: "la chiusura del porticato sul lato sud dell'edificio, si configura come " ripristino degli elementi essenziali della morfologia" e " recupero dell'impianto tipologico iniziale" e quindi compatibile con gli interventi ammessi dalla categoria di intervento del Risanamento conservativo R2. L'edificio, infatti, rientra nella tipologia dei fabbricati tipici della zona caratterizzati da volumi compatti orientati nel senso perpendicolare al pendio con il corpo di fabbrica a valle in muratura e quello a monte in legno con tamponamento, a seconda dei casi, in blockbau oppure in assito. Conseguentemente è il porticato ad essere un elemento estraneo alla tipologia edilizia e non il suo tamponamento come si evince anche dallo stato dell'immobile prima dei lavori di risanamento complessivi. Dalle fotografie dell'epoca emerge infatti chiaramente l'intervento edilizio sulle murature in pietra, successive al momento della costruzione dell'edificio, che ha portato all'apertura del porticato per qualche ragione non più indagabile. Dalle medesime fotografie si può notare anche la presenza di un muro in pietra, al centro della nicchia, che presumibilmente fungeva da sostegno della struttura lignea superiore nonché la precarietà della tavola che sostiene il tavolato superiore indice del suo inserimento in un memento successive alia costruzione. Se ciò non fosse avvenuto anche la facciata sud, come ancora oggi quella nord, si presenterebbe complanare e priva di nicchia, con dei cantonali in pietra e un assito di tamponamento centrale". È vero che tali osservazioni non sono state oggetto di puntuale controdeduzione nel provvedimento di diniego oggi impugnato, il quale rinviene la propria motivazione ob relationem nei reiterati pareri contrari della Commissione edilizia comunale, come sopra succintamente motivati. E tuttavia, come detto, tenuto conto della acclarata natura vincolata del potere esercitato dall'Amministrazione non sussisteva in capo alla stessa un preciso obbligo dell'inoltro del preavviso di diniego né, conseguentemente, di considerazione puntuale ed analitica di tutte delle osservazioni formulate dall'interessato (cfr. citata sentenza Cons. Stato n. 2965/2021): tanto tenuto conto anche del fatto che l'apporto procedimentale in concreto dispiegato dal signor Ha., sotto il profilo della necessaria prova documentale, non ha introdotto novità rispetto a quanto già dedotto nell'iter procedurale in questione e, dunque, si è rivelato non utile all'assunzione di una diversa decisione da parte dell'Amministrazione (cfr. ex multis T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 6 ottobre 2022, n. 1509). Il richiamo alle fotografie prodotte, per se stanti non dimostrative dello stato storicamente preesistente dell'immobile in questione, si limita infatti ad essere corroborato da deduzioni di carattere generico e per lo più assertivo, non sorrette da alcun ulteriore elemento probatorio e, dunque, non idonee a dimostrare che effettivamente lo stato di fatto originario prevedesse un muro perimetrale, con correlato tamponamento in legno. Ad esempio, sebbene in ipotesi potrebbe ritenersi verosimile che la ruota del mulino fosse posta sul muro perimetrale esterno all'edificio, tuttavia non è provato che fosse proprio in quel punto e che effettivamente in quel punto vi fosse un corso d'acqua - una fossa in cui passasse l'acqua -, e soprattutto non sono introdotti elementi fattuali documentati atti a comprovare, anche per indizi, che la camera di molitura fosse originariamente collocata proprio nell'attuale rientranza, ossia in un luogo ivi storicamente racchiuso dall'originario muro perimetrale, ove poter accreditare l'esistenza ed il funzionamento della macina abbandonata a terra nella fotografia. VIII. La mancata dimostrazione della preesistenza del muro perimetrale e del tamponamento di legno assorbe, in senso sfavorevole per la parte ricorrente, anche la questione della esistenza di un vero e proprio volume, in luogo di un andito esterno o di una rientranza, alla stregua della definizione recata dall'articolo 3, comma 6, lett. o) della Regolamento urbanistico edilizio provinciale approvato con decreto del Presidente della Provincia 19 maggio 2017, n. 8-61/Leg., con rigetto pertanto delle censure in tal senso prospettate sempre nel primo motivo di gravame. IX. L'infondatezza dei tre motivi di gravame determina il rigetto della domanda di annullamento dell'atto di diniego impugnato, con conseguente inaccoglibilità dell'accessoria domanda di condanna al rilascio del titolo edilizio richiesto. X. Le spese del giudizio seguono la regola generale della soccombenza di lite, nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore dell'Amministrazione resistente nella misura di euro 2.000,00 (duemila/00) oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Cecilia Ambrosi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica) Il Presidente ha pronunciato il presente DECRETO sul ricorso numero di registro generale 56 del 2023, proposto da Le. Od. Le. An., in persona del suo legale rappresentante -, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Provincia Autonoma di Trento, non costituitasi in giudizio; nei confronti - Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, non costituitosi in giudizio; - Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), non costituitosi in giudizio; - Presidenza del Consiglio Ministri, non costituitasi in giudizio; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del decreto del Presidente della Provincia autonoma di Trento n. 9 del 19 aprile 2023 avente ad oggetto: "Legge provinciale 11 luglio 2018, n. 9. Autorizzazione alla rimozione tramite abbattimento, previa identificazione genetica, dell'esemplare di Orso bruno (Ursus arctos) identificato in MJ5", facoltà esercitata in forza della Legge provinciale 11 luglio 2018 n. 9 (Attuazione dell'articolo 16 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturale della flora e della fauna selvatiche; - di ogni altro atto, precedente, successivo o comunque connesso con quello qui impugnato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista l'istanza di misure cautelari monocratiche proposta dal ricorrente, à sensi dell'art. 56 c.p.a.; Rilevato che il qui impugnato decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento n. 9 del 19 aprile 2023 avente ad oggetto: "Legge provinciale 11 luglio 2018, n. 9. Autorizzazione alla rimozione tramite abbattimento, previa identificazione genetica, dell'esemplare di Orso bruno (Ursus arctos) identificato in MJ5" assume testualmente a proprio fondamento la circostanza che "in data 5 marzo 2023 verso le ore 8:00 un uomo è stato aggredito da un orso in località Ma., all'uscita della val (...), in comune di (Omissis), mentre procedeva da solo con il proprio cane, su un sentiero segnato SAT-CAI. In sintesi, secondo i rapporti del Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento del 14 marzo 2023 e del 24 marzo 2023, l'uomo ha dichiarato di aver tenuto il cane al guinzaglio durante tutta l'escursione e che il cane era legato anche al momento dell'incontro con l'orso. L'escursionista ha avvistato l'orso, che gli dava le spalle a 10-15 m di distanza, e si è fermato per non intimorirlo o disturbarlo. Ciò nonostante, l'orso si è girato e lo ha avvicinato con intenzioni aggressive. L'uomo ha quindi lasciato il cane e si è precipitato verso valle, uscendo dal sentiero. L'orso lo ha raggiunto e c'è stata una colluttazione dalla quale l'uomo ha riportato diverse ferite. Subito dopo l'orso è fuggito. L'uomo è rientrato in autonomia seguendo il sentiero e successivamente è stato accompagnato al pronto soccorso dell'Ospedale di (Omissis), dove sono state rilevate lesioni sul braccio e sulla testa riconducibili ad aggressione da orso; ... evidenziato che dalle analisi genetiche realizzate dalla Fondazione Ed. Ma., comunicate con note del 10 marzo 2023 e 4 aprile 2023, sui reperti biologici raccolti dal Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento, è emerso che il genotipo identificato dal DNA ottenuto corrisponde con quello dell'orso denominato MJ5"; Rilevato che tale provvedimento non è stato emesso quale ordinanza contingibile e urgente adottata à sensi dell'art. 52, comma 2, dello Statuto di autonomia speciale della Regione Autonoma Trentino - Alto Adige/Südtirol approvato D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e dell'art. 18, comma 2, della l.r. 4 gennaio 1993, n. 1 confermato dall'art. 62, comma 4, della l.r. 3 maggio 2018, n. 2, bensì in esito ad un procedimento ordinariamente disciplinato dall'art. 1, comma 1, della l.p. 11 luglio 2018, n. 9, recante "Attuazione dell'articolo 16 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche: tutela del sistema alpicolturale", e in forza del quale "al fine di conservare il sistema alpicolturale del territorio montano provinciale il Presidente della Provincia, per proteggere le caratteristiche fauna e flora selvatiche e conservare gli habitat naturali, per prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all'allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico, alle acque e ad altre forme di proprietà, per garantire l'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente, può, acquisito il parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, limitatamente alle specie Ursus arctos e Canis lupus, autorizzare il prelievo, la cattura o l'uccisione, a condizione che non esista un'altra soluzione valida e che il prelievo non pregiudichi il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente della popolazione della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale. La Giunta provinciale informa con tempestività il Consiglio provinciale in merito alle misure assunte. La Provincia autonoma di Trento assicura le informazioni necessarie all'adempimento degli obblighi di comunicazione dello Stato alla Commissione europea". Rilevato che tale disciplina di legge è stata ritenuta costituzionalmente legittima con sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 27 settembre 2019; Rilevato che nel percorso argomentativo della parte motiva del decreto qui impugnato si afferma - tra l'altro - quanto segue: "valutato in particolare che sulla base dell'istruttoria condotta del Servizio Faunistico nel caso concreto, secondo quanto riportato nell'Allegato 1 alla nota del 27/03/2023 n. 238179, "è possibile escludere le forme di provocazione esplicitate nella fattispecie comportamentale n. 15 del PACOBACE." Riporta infatti il citato rapporto istruttorio che: "è possibile escludere la reazione "per difendere i propri piccoli", essendo l'attacco attribuito ad un maschio adulto, sia quella "per difendere la propria preda", non essendo state riscontrate evidenze di questo genere dall'unità cinofila specializzata nell'intorno del punto dell'aggressione. Dalla caratterizzazione dell'animale (cap. 2) è possibile escludere anche che l'aggressione sia l'effetto di un comportamento confidenziale con l'uomo (assuefazione). L'attacco potrebbe essere invece spiegato dal fatto che l'incontro tra l'orso e l'uomo con il proprio cane al guinzaglio si è verificato in modo improvviso e ravvicinato. Nel contempo, anche il fatto che nell'istante del contatto ravvicinato l'orso fosse di spalle e non si fosse immediatamente accorto della presenza dell'uomo (rimasto fermo) farebbe escludere un comportamento provocatorio da parte dell'uomo e/o del cane."; considerato che il PACOBACE, che costituisce il documento tecnico di riferimento per la gestione degli orsi cosiddetti problematici, pone le fattispecie comportamentali n. 15 e 18 della tabella 3.1 del medesimo documento ai livelli massimi della scala di pericolosità, tali da giustificare l'adozione dell'intervento previsto nel capitolo "3.4.2. Definizione delle procedure di intervento" alla lettera k), ovvero l'abbattimento, secondo quanto riportato nella tabella 3.2 dello stesso capitolo; valutato che, in coerenza con la previsione del PACOBACE, anche le "Linee guida per l'attuazione della legge provinciale n. 9/2018 e dell'articolo 16 della direttiva Habitat" approvate con deliberazione della Giunta provinciale n. 1091 del 25.06.2021 classificano l'attacco rientrante nella classe 18 della tabella 3.1) tale da giustificare l'adozione della misura di cui alla lettera k), e valutato che con il parere di data 22.06.2021, prot. 450115, ISPRA", ossia l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, qui peraltro anche evocato in giudizio quale parte controinteressata, "ritiene che le Linee guida possano rappresentare un utile strumento a supporto degli iter decisionali in materia di orsi bruni e "risultino in linea generale coerenti con il PACOBACE..."; considerato il parere del 12.04.2023 n. 278452, con il quale ISPRA conferma la classificazione dell'aggressione del 05/03/2023 quale "attacco in assenza di fattori scatenati", categoria 18 del PACOBACE alla quale è ascritta la massima gravità nella Tabella 3.1 del PACOBACE, nonché nella categoria "Orsi ad alto rischio" proposta nel rapporto ISPRA-MUSE (2021); considerato che nel citato Protocollo: 278452]">parere del 12.04.2023 prot. n. 278452, alla luce di quanto previsto dal PACOBACE, tenuto conto delle considerazioni tecniche contenute nel rapporto ISPRA-MUSE (2021), ISPRA ritiene che la rimozione tramite abbattimento dell'individuo MJ5, una volta assicurata la corretta identificazione dell'esemplare tramite analisi genetiche, sia coerente con il PACOBACE; considerata la gravità oggettiva del fatto avvenuto e il giustificato alto livello di allarme sociale che ne è derivato; considerato quanto emerso nella riunione del Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica del 7 aprile 2023 con riguardo all'interesse della salute e della sicurezza pubblica e alle esigenze di natura sociale; osservato che già due volte in passato orsi che avevano aggredito l'uomo hanno reiterato tale pericolosissimo comportamento, giungendo a provocare in un caso recentissimo (05.04.2023) la morte della persona aggredita"; Visto il Pianp d'Azione interregionale per la Conservazione dell'Orso Bruno sulle Alpi Centro-Orientali" (PACOBACE), recepito dalla Giunta della Provincia Autonoma di Trento con deliberazione n. 1476d el 13 luglio 2007 e approvato con decreto direttoriale del Ministero dell'Ambiente n. 1810 del 5 novembre 2008 anche à sensi della disciplina contenuta nel d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, recante il regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche; Rilevato che, anche a voler ammettere che la presenza del cane (indifferentemente se al guinzaglio, o meno) accompagnato dall'uomo aggredito non abbia costituito una provocazione per l'orso, e che pertanto quest'ultimo abbia effettivamente posto in essere il comportamento tipizzato alla lettera v della tab. 3.2. del PACOBACE "Orso attacca senza essere provocato", le misure in astratto adottabili al riguardo si identificano alternativamente secondo la tabella predetta con quelle previste alle lettere i), j) e k) del § 3.4.2. del medesimo PACOBACE, ossia "i) cattura con rilascio allo scopo di spostamento e/o radiomarcaggio; j) cattura per captivazione permanente; k) abbattimento"; Visto lo stesso § 3.4.2. del PACOBACE nel suo punto "Abbattimento degli orsi" laddove - tra l'altro - si precisa che "nel caso... in cui un soggetto d'orso assuma atteggiamenti che possano comportare un concreto rischio per l'incolumità delle persone, il Soggetto decisore, valutate le informazioni in suo possesso, il grado di problematicità dell'orso, la praticabilità di soluzione alternative idonee a risolvere e/o contenere i problemi e gli eventuali rischi connessi alla presenza dell'orso problematico, e l'impatto derivante da tale rimozione sullo status di conservazione della popolazione, potrà... procedere all'abbattimento dell'individuo" Ritenuto che, in effetti, la non evanescente possibilità di reiterazione del comportamento aggressivo rileva indubbiamente in senso negativo per l'ipotesi del rilascio dell'animale, ancorchè munito di radiocollare, in quanto potenzialmente pericoloso per la sicurezza e l'incolumità pubblica pubblica; e che - allo stesso tempo - la circostanza, parimenti enunciata nella motivazione del provvedimento impugnato (e dichiaratamente rimarcata anche dal presupposto parere di ISPRA n. 278452 dd. 12 aprile 2023), secondo cui la soppressione di MJ5 non determinerebbe "alcun significativo impatto sulla popolazione di orsi bruni delle Alpi centro orientali", appare allo stato condivisibile poiché risponde ad un dato di per sé oggettivo; Ritenuto, viceversa, che appare abbisognevole di accertamenti l'ulteriore assunto contenuto nella motivazione del provvedimento impugnato, secondo cui non risulterebbe "possibile assicurare la captivazione permanente dell'esemplare MJ5 al centro del Casteller e considerato che in Provincia di Trento non esiste un'altra struttura idonea a garantire la custodia in sicurezza di tale esemplare di orso, altamente pericoloso", e ciò anche in quanto "al momento attuale non è in conoscenza dell'amministrazione una soluzione alternativa per la capitvazione permanente fuori dal territorio provinciale, posto che le manifestazioni di interesse in tal senso pervenute non risultano in alcun modo circostanziate e tali da garantire la sicurezza pubblica", avuto riguardo - per contro - a pregressi e notori casi in cui è stato già possibile per la stessa Amministrazione provinciale ottenere il trasferimento di orsi analogamente problematici anche presso riserve naturali ubicate in Stati esteri; Vista la propria sentenza n. 150 del 29 settembre 2021 recante l'annullamento l'annullmento dellala delibera della Giunta Provinciale della Provincia Autonoma di Trento n. 1091 del 25 giugno 2021 avente ad oggetto l'approvazione delle"Linee guida per l'attuazione della legge provinciale n. 9/2018 e dell'art. 16 della direttiva habitat" limitatamente alle disposizioni dei paragrafi 5.3.1 e 6 delle Linee guida medesime, e rilevato che tale statuizione, essendo stata confermata con sentenza n. 1937 del 17 marzo 2022 resa dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, è passata in giudicato; Ritenuto, comunque, che in termini generali la problematica riguardante i possibili incidenti tra uomo e orso nel territorio della Provincia Autonoma di Trento non può che essere risolta, anche al di là delle singole azioni effettuabili attraverso le cc.dd. "Misure energiche" contemplate dal PACOBACE nei confronti degli orsi cc.dd. "problematici" e "pericolosi, mediante l'urgente e non più differibile revisione del Programma Life Ursus, atteso che l'incontrollato incremento degli esemplari di orso da esso determinato nel territorio provinciale si configura quale grave pericolo per l'incolumità delle persone e la continuità delle attività economiche in aree ampiamente antropizzate, e che pertanto appare necessario provvedere, anche mediante azioni amministrative di protezione civile da concordare tra la Provincia Autonoma e lo Stato, al trasferimento in altri siti di una consistente parte degli orsi qui attualmente insediati; Ritenuto conclusivamente, nell'esclusiva considerazione dell'irreparabilità del pregiudizio dedotto dalla parte ricorrente e salva restando ogni diversa valutazione del Collegio nella susseguente fase di trattazione dell'incidente cautelare di cui all'art. 55 c.p.a. e proprio al fine che il Collegio medesimo possa esprimersi sulla fattispecie re adhuc integra, di poter contingentemente sospendere l'efficacia del provvedimento impugnato sino all'esito dell'udienza camerale di cui all'anzidetto art. 55 c.p.a. limitatamente alla parte con cui è ivi disposto l'abbattimento dell'animale dopo la sua captivazione e identificazione; Ritenuto, nel contempo, di chiedere alla Provincia Autonoma di Trento di depositare nel fascicolo di causa, entro la data del 5 maggio 2023, ore 12.00, tutti gli atti dell'istruttoria conclusasi con l'adozione del provvedimento impugnato; Rilevato - da ultimo - che l'atto introduttivo del presente giudizio è stato notificato in data 21 aprile 2023 e depositato nella stessa data e che pertanto, ai fini dell'osservanza dei termini a difesa delle parti contemplati dall'art. 55, comma 5, c.p.a., la trattazione dell'incidente cautelare in sede collegiale deve avvenire alla susseguente camera di consiglio del 25 maggio 2023, ora di rito. P.Q.M. - Accoglie in via interinale, nei limiti di cui in motivazione e sino all'esito della camera di consiglio convocata per la disamina in sede collegiale della presente fattispecie, la domanda proposta nella presente sede di giudizio monocratico; - Dispone a carico della Provincia Autonoma di Trento l'incombente istruttorio descritto nella parte motiva del presente decreto; - Fissa per la trattazione collegiale dell'incidente cautelare la camera di consiglio del 25 maggio 2023, ora di rito, con l'avvertenza che la stessa si svolgerà con le modalità allo stato contemplate dal proprio decreto n. 9 dd. 29 marzo 2023, pubblicato nel sito www.giustizia-amministrativa.it. Il presente decreto sarà eseguito dall'Amministrazioni intimata ed è depositato presso la Segreteria del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per la Regione Trentino - Alto Adige/ Südtirol, Sede di Trento, che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Trento il giorno 22 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 166 del 2022, proposto da Sa. Ga., rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via (...) presso lo studio del predetto avvocato; contro - Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Bo., Gi. Be. e Sa. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, piazza (...), presso l'Avvocatura della Provincia; - Istituto Comprensivo Trento 5 - Scuola Secondaria di Primo Gr. "G. Br." ed altri; nei confronti Sa. Mo., non costituita in giudizio; per l'ottemperanza alla sentenza di questo Tribunale 4 agosto 2022, n. 147, con conseguente accertamento della nullità, ex art. 114, comma 4, lett. b), cod. proc. amm., verbale trasmesso in data 9 settembre 2022, relativo alla seduta del 26 agosto 2022 della Commissione per la valutazione dei titoli artistici dei docenti che hanno presentato domanda di aggiornamento delle graduatorie di Istituto per il triennio 2021-2024, nella quale sono stati rivalutati i titoli artistici del ricorrente nella classe di concorso A-56 a seguito della predetta sentenza n. 147/2022, nonché di ogni altro atto allo stesso connesso e conseguente - ivi comprese le graduatorie d'istituto d'interesse del ricorrente, la nota della dirigente del Servizio per il Reclutamento e Gestione del Personale della Scuola in data 6 settembre 2022, con cui è stato comunicato il nuovo punteggio attribuito al ricorrente, e la nota dell'Avvocatura della Provincia di Trento prot. n. 693885 in data 10 ottobre 2022, con cui è stata rigettata l'istanza di autotutela presentata dal ricorrente in data 28 settembre 2022 - e conseguente condanna della Provincia autonoma di Trento ad ottemperanza alla predetta sentenza n. 147 del 2022 mediante la rivalutazione dei titoli del ricorrente, ovvero con nomina di un commissario ad acta che provveda in sostituzione dell'Amministrazione; nonché, in via subordinata, per l'annullamento del predetto verbale della seduta del 26 agosto 2022 e di ogni altro atto presupposto, infraprocedimentale e connesso; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2023 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il prof. Sa. Ga. è un docente iscritto dal 2017 per la classe di concorso A-56 (strumento musicale nelle scuole secondarie di I grado - violino) nella terza fascia delle graduatorie d'istituto della Provincia di Trento. Con delibera della Giunta Provinciale della Provincia di Trento n. 376 del 5 marzo 2021 è stato approvato il bando relativo ai "Termini e modalità per la presentazione delle domande ai fini della formazione delle graduatorie d'Istituto del personale docente per il triennio scolastico 2021/2024 e ulteriori direttive applicative". In data 12 aprile 2021 il prof. Ga. ha presentato domanda di inserimento, anche per il triennio 2021-2024, per la classe di concorso A-56, nella terza fascia delle graduatorie d'istituto della Provincia, relativamente alle graduatorie dei seguenti istituti: Istituto Comprensivo Trento 5 - Scuola Secondaria di Primo Gr. "G. Br." ed altri. Nella domanda erano indicati, tra gli altri, i titoli artistici dell'istante, con particolare riferimento all'attività concertistica. In data 24 giugno 2021 il Servizio per il Reclutamento e gestione del personale della Provincia di Trento ha pubblicato una tabella recante il punteggio relativo ai titoli artistici relativo alle classi di concorso A-56 Strumento musicale nella scuola secondaria di I grado e, per il Ga., tale tabella riportava un punteggio complessivo di 14,9 punti per la valutazione dei titoli artistici. In data 25 giugno 2021 il Ga. ha presentato reclamo, contestando l'attribuzione del punteggio per i titoli artistici, ma le graduatorie d'istituto sono state confermate. Pertanto il Ga. con il ricorso n. 139 del 2021 di R.G. ha impugnato innanzi a questo Tribunale, chiedendone l'annullamento, i seguenti atti: A) la scheda di valutazione dei titoli artistici in data 9 giugno 2021, redatta dalla Commissione esaminatrice nominata per l'aggiornamento delle graduatorie di Istituto provinciali per il triennio scolastico 2021/2024; B) gli eventuali verbali, non conosciuti, della medesima Commissione giudicatrice relativi alla valutazione dei titoli artistici del ricorrente; C) gli eventuali ulteriori criteri di valutazione dei titoli artistici rispetto a quelli previsti nel bando; D) per quanto d'interesse, la determinazione del dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo Tr. 5 n. 68 in data 9 luglio 2021, la determinazione del dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo Tr. 7 n. 44 in data 9 luglio 2021, la determinazione del dirigente scolastico del Liceo "Be. Ru." di Cl. n. 58 in data 9 luglio 2021 e la determinazione del dirigente scolastico del Liceo "An. Ro." di Tr. n. 69 in data 9 luglio 2021, con le quali sono state approvate le graduatorie d'istituto definitive del personale docente per il triennio scolastico 2021/2024, con riferimento alla terza fascia, classe di concorso AM56. 2. Questo Tribunale con la sentenza 4 agosto 2022, n. 147, ha accolto il predetto ricorso nei limiti indicati in motivazione e, per l'effetto, ha disposto "l'annullamento in parte qua, e solo per quanto di interesse del ricorrente, dei provvedimenti gravati con il ricorso introduttivo - ossia relativamente al punteggio attribuito per i titoli artistici relativi all'attività concertistica svolta e conseguente punteggio totale - con conseguente obbligo per l'Amministrazione di procedere ad una nuova valutazione dei titoli artistici del dott. Ga., tenendo altresì conto di quanto affermato nella presente pronuncia. A ciò dovrà conseguire la congruente modifica, nei limiti del nuovo punteggio assegnato al ricorrente, degli ulteriori atti della procedura e delle determinazioni impugnate recanti l'approvazione delle graduatorie definitive di Istituto. Stante il precitato perimetro della valutazione richiesta ed in ragione dei richiamati limiti del sindacato giurisdizionale, dai quali discende che l'operato delle Commissioni esaminatrici non deve far sorgere dubbi di sorta sulla capacità degli organi stessi di operare con l'indispensabile trasparenza, il compito dev'essere affidato ad una nuova Commissione esaminatrice, come precisato in precedenti arresti di questo stesso Tribunale...". 3. Il Ga. con il presente ricorso riferisce che l'Avvocatura della Provincia in data 7 settembre 2022 gli ha comunicato l'avvenuta esecuzione della sentenza n. 147 del 2022, trasmettendo la nota del Servizio per il Reclutamento e Gestione del Personale della Scuola prot. S166/2022/4.1 in data 6 settembre 2022, ove si legge che: "la Commissione per la valutazione dei titoli artistici nominata con determinazione del Dirigente Servizio per il Reclutamento e Gestione del Personale della Scuola n. 8895 del 19.08.2022 ha proceduto, nella seduta del 26.08 u.s. ad una nuova valutazione dei titoli artistici presentati dal docente in oggetto. Il punteggio assegnato per il triennio 2021-2024, come da verbale allegato, è pari a 19,9 punti.... Il punteggio complessivo aggiornato spettante al Prof. Ga. è pari quindi a punti 129,9. Rimane invariata la sua posizione in graduatoria". Il Ga. riferisce, altresì, che a seguito di specifica richiesta gli è stato trasmesso il predetto verbale della seduta del 26 agosto 2022, dal quale risulta che la nuova Commissione, nominata in data 19 agosto 2022, era presieduta dal dott. Ro. Gi., ossia dallo stesso dirigente dell'Amministrazione provinciale che aveva presieduto anche la precedente Commissione. Pertanto in data 28 settembre 2022 egli ha presentato un'istanza di autotutela rappresentando che la sentenza n. 147 del 2022 risultava elusa in quanto, sebbene questo Tribunale avesse espressamente disposto che la nuova valutazione dei titoli avrebbe dovuto essere affidata ad una "nuova Commissione esaminatrice", tuttavia tale attività era stata affidata e svolta da una Commissione presieduta, come la precedente, dal dott. Gi., e contestando altresì l'erronea esecuzione della sentenza e comunque la non imparziale valutazione dei titoli nn. 6, 8, 11, 13, 21, 22 e 26. Tuttavia, secondo quanto riferisce il Ga., la predetta istanza veniva negativamente riscontrata dall'Avvocatura della Provincia con l'impugnata nota prot. n. 693885 in data 10 ottobre 2022 per le seguenti ragioni: "la rivalutazione dei titoli artistici presentati dal prof. Ga. è stata correttamente effettuata da una "nuova Commissione" in quanto il componente esperto sullo specifico insegnamento (Violino) è stato nominato ex novo. A parere della Scrivente non rileva il fatto che il Presidente, dott. Gi., sia lo stesso nominato nella precedente Commissione: il compito del Presidente è infatti quello di guidare i lavori della Commissione e di essere garante del corretto svolgimento dell'intera procedura, nel rispetto della trasparenza e dell'imparzialità dell'intera attività . Con riferimento invece all'asserita erronea rivalutazione dei titoli artistici del prof. Ga., richiamando quanto osservato dal Giudice di prime cure, si ricorda che l'attribuzione dei punteggi "postula una valutazione di merito spettante esclusivamente all'Amministrazione...". In conclusione, si ritiene che - stante i richiamati limiti del sindacato sul merito dell'operato della Commissione... - l'Amministrazione abbia correttamente eseguito le statuizioni contenute nella sentenza sopracitata". 4. Quindi il Ga. - avuto riguardo alla composizione della nuova Commissione esaminatrice, nominata con la determinazione del Dirigente Servizio per il Reclutamento e Gestione del Personale della Scuola n. 8895 in data 19 agosto 2022 - con il presente ricorso deduce che la sentenza n. 147 del 2022 risulta elusa innanzitutto perché la partecipazione del dott. Gi., come Presidente della Commissione, alla nuova valutazione dei titoli non può essere giustificata da quanto affermato dall'Avvocatura della Provincia nella suddetta nota del 10 ottobre 2022. Difatti, come specificato nella predetta sentenza, la nomina di una Commissione in composizione integralmente rinnovata era indispensabile ai fini di una valutazione trasparente e imparziale. Invece la presenza del dott. Gi., "primo responsabile delle precedenti gravi illegittimità rilevate dalla sentenza eseguenda in quanto asserito "garante della procedura", evidentemente rende la valutazione operata "parziale" e viziata, a maggior ragione per il fatto che il presidente guida i lavori e nella valutazione ha un peso preponderante". Per tali ragioni - a detta del ricorrente - sono nulli, per elusione del giudicato, sia il verbale della seduta del 26 agosto 2022, sia la determinazione dirigenziale del 19 agosto 2022, perché si pongono in palese contrasto con la sentenza di questo Tribunale n. 147 del 2022 nella parte in cui viene imposta (al punto IX della parte in diritto) la nomina di una "nuova Commissione esaminatrice". 5. Secondo il Ga. la sentenza n. 147 del 2022 risulta elusa anche perché non sono stati valutati ben sei titoli (ossia i titoli nn. 6, 8, 13, 21, 22 e 26) in palese contrasto con la predetta sentenza, nella parte in cui (al punto V della parte in diritto) viene precisato quanto segue: "... in assenza di una diversa specificazione dell'ambito di valutazione demandato alla Commissione, con particolare riguardo alla sussistenza di un preliminare giudizio di ammissibilità, sotto il profilo qualitativo, dei titoli artistico-professionali oggetto di scrutinio - id est l'attività concertistica - e mancando una declinazione del punteggio diversa dalla previsione "da 1 a 2 punti" per l'attività concertistica afferente allo stesso strumento musicale (ossia in difetto di una graduazione del punteggio attribuibile da 0 a 2 punti), deve convenirsi con quanto argomentato nel ricorso circa l'attribuzione all'organo giudicante, in presenza di un titolo concernente "l'attività concertistica solistica in complessi di musica da camera, dal duo in poi," del solo compito di assegnare un punteggio variabile tra 1 e 2 punti, in ragione della "rilevanza" della medesima attività concertistica documentata.... In altri termini, in mancanza di una previsione atta ad orientare in senso diverso, il concetto di "rilevanza"... non può condurre a non considerare una specifica attività concertistica documentata, dovendosi invece sposare un'interpretazione che consente di superare l'ambiguità in senso favorevole al partecipante, senza per questo eliminare la discrezionalità del giudizio della Commissione". Difatti nel verbale della seduta del 26 agosto 2022 si legge quanto segue: "6. Concerto con Th. St. So. & Li. Ja. - Periodo attività /Data: 8/10/2017, presso: (omissis) (NL); rientra nel punto 1 della tabella di valutazione titoli non viene attribuito alcun punteggio in quanto si tratta della ripetizione del brano di cui al punto 5,... 8. Concerto con Th. St. So. & Li. Ja. - Fondazione Do. - Periodo attività /Data: 2/12/2017, presso: Palazzo Mo. - Bergamo; rientra nel punto 1 della tabella di valutazione titoli non viene attribuito alcun punteggio in quanto si tratta della ripetizione del brano di cui al punto 5,... 13. Concerto con Th. St. So. & Li. Ja. - "Stagione Slotconcerten" - Periodo attività /Data: 25/11/2018, presso: Zeist (NL); trattasi di attività analoga a quella di cui ai punti 11 e 12 non si attribuisce punteggio,... 21. Concerto con En. Mo. st. - direttore Mi. We. - Periodo attività /Data: 18/05/2019, presso: Sa. Ca. - Trento (TN); sulla base di quanto proposto dal programma di sala e dei criteri fissati si stabilisce di non valutare il concerto,... 22. Concerto solistico - Festival Effetti Corali 2019 - Periodo attività /Data: 19/05/2019, presso: Chiesa di S. Maria Maggiore - Trento (TN); sulla base di quanto proposto dal programma di sala e dei criteri fissati si stabilisce di non valutare il concerto... 26. Concerto per Concorso internazionale "Roberto Mellini" - Periodo attività /Data: 5/10/2019, presso: Ca. Ra. Ro. te. (TN); Si tratta di edizione successiva di eventi già valutati,...". Dunque la Commissione, omettendo di valutare i predetti titoli, ha attribuito al ricorrente un erroneo punteggio complessivo e in particolare ha commesso i seguenti, macroscopici errori di valutazione. Quanto al titolo n. 6, risulta non valutato perché, a detta della Commissione, costituisce "ripetizione del brano di cui al punto 5", ossia il concerto n. 5 svoltosi ad Haarlem (NL) in data 1° ottobre 2017. Tuttavia la Commissione sul punto ha errato sia perché il programma, e quindi non il singolo brano, è differente; sia perché il contesto, nonché il luogo (secondo gli stessi criteri valutativi che la Commissione si è previamente imposta) è totalmente diverso. Difatti il titolo 6 è stato conseguito per la Fondazione "Ka." di Go. (NL), mentre il titolo 5 presso la Sa. Ph. di Ha. (NL). Quanto al titolo n. 8, dal verbale risulta non valutato perché, a detta della Commissione, costituisce "ripetizione del brano di cui al punto 5", ossia il concerto n. 5 svoltosi ad Haarlem in data 1° ottobre 2017. Tuttavia la Commissione sul punto ha errato sia perché il ruolo del ricorrente nel titolo n. 5 era (in un solo brano) di solista ma soprattutto di concertino dei primi violini, come è specificato nella locandina del concerto, mentre nel titolo n. 8, come si evince dall'ordine dei nomi indicati in locandina, il ricorrente ha svolto per tutta la durata del concerto il ruolo di Spalla dei primi violini e anche di solista (certamente con lo stesso brano di Vivaldi), e quindi nei due concerti il ruolo del ricorrente era diverso; sia perché il titolo n. 8 presenta per il 50% un programma nuovo e diverso rispetto al titolo n. 5 (con riferimento il concerto di Locatelli op. 3 n. 2 e il concerto in Do Maggiore di Haydn). Quanto al titolo n. 13, dal verbale risulta non valutato perché, a detta della Commissione, il programma presenta "analogia con titoli 11 e 12". Tuttavia anche in questo caso la Commissione è incorsa in un grave errore perché il titolo 13, conseguito a Zeist in data 25 novembre 2018, presentava il seguente programma: Bach concerto per 2 violini, Locatelli n. 2 op.3, Vivaldi Autunno; Haydn Concerto n. 4 in Sol maggiore; Ysaye Rê ve d'Enfant, Piazzolla Libertango; invece il titolo 11 presentava il seguente programma: Locatelli n. 2 op.3, Bach concerto per 2 violini, Paganini Cantabile; Locatelli n. 1 op.3. Dunque tra il titolo 11 e il titolo 13 risultano in comune soltanto due brani (Locatelli n. 2 op. 3 e Bach), mentre il 50% del programma è diverso. Inoltre il titolo 12 presentava il seguente programma: Vivaldi Inverno; Ysaye Les neiges d'antan op.23; Locatelli n. 2 op.3; Piazzolla Invierno Porteno. Dunque il titolo 13 (non valutato) presenta analogia per solo 1/3 con il titolo 11 (Locatelli n. 2 op. 3 e Bach) e 1/3 con il titolo n. 12 (Locatelli n. 2 op. 3 e Vivaldi). Pertanto, nel titolo 13 oltre il 50% del programma risulta nuovo rispetto ai titoli 11 e 12. Quanto ai titoli 21 e 22 (Festival Effetti Corali), non sono stati valutati dalla Commissione con la seguente motivazione: "sulla base di quanto proposto dal programma di sala e dei criteri fissati si stabilisce di non valutare il concerto". Tuttavia, anche analizzando i criteri fissati dalla Commissione, non si comprende la ragione dell'omessa valutazione in quanto, da un lato, il Festival Effetti Corali è stato voluto dalla Società Fi. di Tr. (e ciò emerge in modo evidente sulla prima pagina delle due locandine); dall'altro, i criteri parlano di unicità del programma: unicità che va reputata esistente per entrambi i titoli. In particolare nel titolo 21, ove il Ga. svolgeva un ruolo di primo violino dell'ensemble, venivano suonate musiche composte da Ola Gjeilo e che non erano mai state suonate prima dal Ga.. Inoltre nel titolo n. 22 il Ga. svolgeva un ruolo in qualità di solista per lo stesso festival. ma con programma radicalmente diverso e con direttore (M° . Burak Onur Erdem) di rilevanza internazionale nell'ambito musicale e corale. Per quanto riguarda, poi, la Società Fi. di Tr., essa è un ente di rilievo nazionale nell'organizzazione di concerti (dal 1795); pertanto a maggior ragione risulta incomprensibile l'omessa valutazione dei titoli 21 e 22, relativi a concerti organizzati da tale ente. Quanto al titolo n. 26, non è stato valutato dalla Commissione con la seguente motivazione: "edizione successiva ad eventi già valutati". Però anche in questo caso la Commissione è incorsa in macroscopico errore in quanto gli eventi già valutati dalla Commissione sono i titoli n. 3 e 15 del verbale, i quali sono stati anch'essi conseguiti all'interno del Concorso pianistico internazionale Roberto Melini, ma ovviamente in anni diversi, nei quali cambiano totalmente sia il programma eseguito, sia gli esecutori. Dunque, se è vero che il ricorrente e Stefano Guarino (che la stessa Commissione ha definito "violoncellista di primo piano") sono sempre rimasti immutati, è anche vero che i pianisti sono sempre stati diversi in ognuno degli anni in considerazione. Inoltre il titolo n. 26 è stato acquisito in una sala diversa (la Casa Raphael di Roncegno Terme), dai titoli 3 e 15 (il Centro Congressi di Pinè ). In definitiva - a detta del ricorrente - i sei titoli artistici non valutati sono conformi ai criteri valutativi che la Commissione Giudicatrice si è imposta, senza considerare che ogni concerto ha di per sé una sua autonomia, a maggior ragione quando si differenzia nel programma rispetto agli altri concerti valutati, e in contrasto con la suddetta sentenza n. 147 del 2022, ove si legge che: "in mancanza di una previsione atta ad orientare in senso diverso, il concetto di "rilevanza,"..., non può condurre a non considerare una specifica attività concertistica documentata...". L'erronea esecuzione della sentenza anzidetta e, comunque, la non imparziale valutazione dei titoli come sopra esposto ha, quindi, determinato l'erronea ed illegittima attribuzione del punteggio complessivo riassegnato al docente, il quale ha subito una penalizzazione di minimo 6 punti, considerato che i sei titoli innanzi elencati e non valutati dalla Commissione dovevano essere valutati, invece, ognuno da 1 a 2 punti (e, quindi, complessivamente tra 6 a 12 punti). Per tali ragioni - a detta del ricorrente - il verbale della seduta dalla riconvocata Commissione in data 26 agosto 2022 è nullo per elusione del giudicato anche perché è stata omessa la valutazione di ben sei titoli/concerti documentati, e ciò in contrasto con la sentenza n. 147 del 2022 nella parte in cui era precisato che il solo compito della commissione era quello "di assegnare un punteggio variabile tra 1 e 2 punti, in ragione della "rilevanza" della medesima attività concertistica documentata", sicché la Commissione non poteva considerare irrilevante un concerto, omettendo di attribuire almeno un punto "in mancanza di una previsione atta ad orientare in senso diverso". 6. In via subordinata, sempre con riferimento all'omessa valutazione dei titoli nn. 6, 8, 13, 21 e 22, 26, nonché con riferimento all'erronea valutazione del titolo n. 11, il ricorrente chiede l'annullamento del verbale della seduta del 26 agosto 2022 per i seguenti motivi: violazione dei criteri di attribuzione del punteggio, eccesso di potere per travisamento e/o erronea valutazione dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifeste. Innanzi tutto, per il caso in cui l'omessa valutazione dei titoli nn. 6, 8, 13, 21, 22 e 26 non fosse ritenuta elusiva della sentenza n. 147 del 2022, il ricorrente -richiamate le doglianze innanzi esposte - contesta che la Commissione, nella valutazione dei predetti titoli abbia travisato i programmi e i contesti di esecuzione dei concerti, come attestati dalla documentazione prodotta unitamente alla domanda di inserimento nelle graduatorie. In particolare, a detta del ricorrente, la motivazione di "ripetitività " espressa dalla Commissione a supporto dell'omessa valutazione dei titoli è palesemente illogica ed ingiusta, a fronte di quanto innanzi illustrato e documentato, specie se si considera che ogni concerto dal vivo, per sua natura, è di per sé un unicum e non potrà mai consistere nella ripetizione meccanica del precedente. Inoltre, sempre a detta del ricorrente, un ulteriore vizio di legittimità inficia la valutazione del titolo n. 11. Difatti tale titolo è stato valutato (solo) 1 punto, ma dal verbale risultano indicazioni sbagliate in merito al ruolo del ricorrente. Difatti, secondo la Commissione, "si evince dal programma che il ruolo del candidato è di violinista di ripieno (violinista d'orchestra)"; invece il nome del Ga. è il primo nell'ordine dei violini, ed egli ha svolto il ruolo di Spalla dei primi violini, come risulta anche dal programma allegato alla domanda. 7. La Provincia di Trento si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 28 febbraio 2023 ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità dell'azione di ottemperanza, in quanto proposta dal ricorrente unitamente all'azione di annullamento, osservando in particolare che: A) "il giudizio di ottemperanza mira a rendere concreto il contenuto della sentenza presuntivamente non eseguita", mentre nel caso in esame è stata data esecuzione alla sentenza di questo Tribunale n. 147 del 2022 con la nomina di "una Commissione rinnovata nella componente dell'esperto, unico soggetto depositario della discrezionalità tecnica necessaria, e nel pieno rispetto del Regolamento per la formazione e l'attività delle Commissioni esaminatrici", e "si è proceduto ad una nuova valutazione dei titoli artistici del ricorrente"; B) il fatto stesso che sia stata fissata la discussione del ricorso in udienza pubblica "induce a ritenere che il ricorso notificato sia interpretato come nuovo ricorso per annullamento di diverso e nuovo provvedimento". Inoltre la Provincia ha chiesto il rigetto di tutte le domande formulate dal ricorrente, osservando - con particolare riferimento alla nomina del dott. Ro. Gi. - che tale nomina "non solo ha assicurato la tempestività richiesta per i lavori della nuova Commissione (entro 30 giorni dal Provvedimento del Collegio), ma ha comunque garantito il rispetto delle regole di carattere generale dell'operare amministrativo, quale la par condicio e il divieto di reformatio in pejus". 8. Il Ga. con memoria depositata in data 16 marzo 2023, oltre ad insistere per l'accoglimento delle domande proposte con il presente ricorso, ha chiesto al Tribunale di nominare un Commissario ad acta al dichiarato fine "di evitare ulteriori questioni sulla composizione della Commissione e di ottenere un'esecuzione corretta e rapida della sentenza". 9. Alla pubblica udienza del 6 aprile 2023 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente dev'essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Provincia di Trento perché il Ga. nell'atto introduttivo del presente giudizio ha formulato due distinte e autonome domande, una di ottemperanza e una di annullamento. A tal riguardo giova rammentare che la possibilità di proporre contestualmente nei confronti del medesimo provvedimento, ai sensi dell'art. 32, comma 1, cod. proc. amm., l'azione di ottemperanza, per violazione o elusione del giudicato, e l'azione di annullamento, è stata da tempo riconosciuta dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2 del 15 gennaio 2013. In particolare in tale pronuncia è stato precisato come possa "ammettersi che, al fine di consentire l'unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall'interessato a fronte della riedizione del potere, conseguente ad un giudicato, le doglianze relative vengano dedotte davanti al giudice dell'ottemperanza, sia in quanto questi è il giudice naturale dell'esecuzione della sentenza, sia in quanto egli è il giudice competente per l'esame della forma di più grave patologia dell'atto, quale è la nullità . Naturalmente questi in presenza di una tale opzione processuale è chiamato in primo luogo a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all'ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell'azione amministrativa che non impinge nel giudicato, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori. Nel caso in cui il giudice dell'ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall'amministrazione costituisca violazione ovvero elusione del giudicato, dichiarandone così la nullità, a tale dichiarazione non potrà che seguire la improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della seconda domanda. Viceversa, in caso di rigetto della domanda di nullità il giudice disporrà la conversione dell'azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione". Dunque, qualora le azioni siano - come nel caso in esame - soggette a riti diversi, trova applicazione il rito ordinario, ragion per cui il ricorso in esame è stato iscritto nel ruolo della pubblica udienza, ma il giudice chiamato a pronunciare sull'azione dell'ottemperanza ben può esercitare i poteri di cui all'art. 114, comma 4, cod. proc. amm., ossia, per quanto qui interessa: A) ordinare l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione; B) dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato; C) nominare, ove occorra, un commissario ad acta. In ogni caso l'eccezione sollevata dalla Provincia risulta palesemente infondata, fermo restando che dev'essere esaminata con priorità l'azione di ottemperanza proposta dal ricorrente. 2. Sempre in via preliminare il Collegio osserva che - sebbene la determinazione dirigenziale n. 8895 in data 19 agosto 2022, con la quale è stata nominata la nuova Commissione, non risulti tra i provvedimenti menzionati nell'epigrafe e nelle conclusioni del presente ricorso - tuttavia vi è motivo di ritenere che anche tale determinazione dirigenziale costituisca oggetto di entrambe le domande giudiziali proposte dal ricorrente. Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4207), nel processo amministrativo l'individuazione degli atti impugnati dev'essere operata non con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione all'effettiva volontà del ricorrente, qual è desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte; di conseguenza è possibile ritenere che siano oggetto di impugnativa tutti gli atti che, seppure non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione in epigrafe, costituiscano però oggetto delle doglianze di parte ricorrente in base ai contenuti dell'atto di ricorso. Ciò posto, è innegabile che la predetta determinazione dirigenziale sia oggetto delle domande proposte dal ricorrente, sia perché è espressamente menzionata nel corpo del ricorso, sia perché ad essa (ancor prima che al verbale della seduta del 26 agosto 2022) si riferiscono le doglianze di parte ricorrente incentrate sull'elusione della sentenza di questo Tribunale n. 147 del 2022, nella parte in cui viene imposta la nomina di una "nuova Commissione esaminatrice". 3. Giova poi rammentare che con l'azione di ottemperanza può essere censurata sia l'inerzia dell'amministrazione che lasci del tutto inattuata la decisione del giudice, sia la condotta dell'amministrazione che si traduca in un'ottemperanza solo parziale, o in una vera e propria violazione e/o elusione del giudicato. Difatti il ricorrente con la prima domanda rivolta al Tribunale chiede di accertare la nullità della determinazione dirigenziale n. 8895 in data 19 agosto 2022 e del verbale della seduta del 26 agosto 2022 deducendo che - sebbene l'Amministrazione abbia dato attuazione alla sentenza n. 147 del 2022, che risulta passata in giudicato (sul punto non vi è contestazione) - tuttavia l'operato dell'Amministrazione non è conforme a quanto affermato nella medesima sentenza, innanzi tutto perché l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione integrale della composizione della Commissione esaminatrice, ossia a nominare anche un Presidente diverso dal dott. Gi., il quale aveva presieduto la precedente Commissione. Si rende allora necessario illustrare preliminarmente le ragioni per le quali questo Tribunale nella sentenza n. 147 del 2022 ha disposto che il compito di rivalutare i titoli del ricorrente avrebbe dovuto essere affidato ad una "nuova Commissione esaminatrice", ossia ad un organo collegiale composto da persone fisiche tutte diverse da quelle che avevano fatto parte della precedente Commissione, il cui operato è stato ritenuto illegittimo con la medesima sentenza. In particolare si rende necessario formulare alcune premesse di carattere generale sulla ratio del fenomeno della collegialità e sul ruolo che il presidente dell'organo collegiale svolge nel procedimento di formazione della volontà dell'organo stesso, nonché esaminare la delicata questione della riconvocazione del c.d. "organo collegiale straordinario" a seguito di un provvedimento giurisdizionale. 4. La ragion d'essere dell'attribuzione di una o più funzioni ad un organo collegiale, piuttosto che ad un organo individuale, varia a seconda dei casi. Innanzi tutto l'attribuzione di una o più funzioni ad un organo collegiale può rispondere all'esigenza di garantire un contemperamento o un coordinamento di interessi diversi, introdotti nel collegio attraverso l'immissione - ratione officii, oppure tramite un'elezione, oppure ancora a seguito di designazione in rappresentanza una determinata comunità o categoria - di soggetti portatori dei predetti interessi. Si parla in questo caso di organi rappresentativi. Ben diverso è il caso in cui l'attribuzione di una o più funzioni ad un organo collegiale risponde all'esigenza di garantire una maggiore ponderazione della decisione da assumere, attraverso l'apporto degli argomenti addotti pro e contra da più soggetti, tutti particolarmente qualificati, come accade nel caso degli organi con funzioni consultive (si pensi, ad esempio, al Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, definito dall'art. 215, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016 "massimo organo tecnico consultivo dello Stato"), sul presupposto che - come recita un noto brocardo - "il consigliare è dei molti, il decidere è di pochi o di uno solo", oppure nel caso delle apposite commissioni chiamate a formulare i giudizi di idoneità all'avanzamento e a valutare i candidati nelle relative procedure per la promozione al grado superiore (trattasi infatti di collegi composti da militari con una matura esperienza professionale e una competenza specifica, garantite rispettivamente dall'elevato grado gerarchico rivestito e dall'appartenenza alla stessa Forza armata dei valutandi). Un'ulteriore ragion d'essere attiene all'esigenza di garantire l'apporto di più soggetti aventi competenze diverse, laddove la decisione da assumere presenti notevole complessità dal punto di vista tecnico o giuridico, come nel caso delle commissioni di concorso o delle commissioni giudicatrici che le stazioni appaltanti debbono nominare, ai sensi dell'art. 77 del decreto legislativo n. 50/2010, quando aggiudicano un contratto con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. In ambedue i casi da ultimo richiamati l'organo collegiale agisce per la cura di interessi pubblici generali, ossia di interessi per i quali non si configura una rappresentanza di interessi specifici facenti capo ad un determinato soggetto o ad una determinata comunità o categoria. Dunque in tali casi la diversità di opinioni dei componenti dell'organo collegiale si spiega considerando che la cura dell'unico e medesimo interesse può atteggiarsi in modo diverso tra i componenti del collegio. Indipendentemente dalla ragione giustificativa della collegialità, si possono comunque enucleare caratteri comuni ad ogni collegio, uno dei quali attiene alla necessità di prevedere la figura del presidente. Difatti - sebbene il fenomeno della collegialità sia ontologicamente caratterizzato dalla reciproca equiordinazione di tutti componenti dell'organo, chiamati a svolgere identiche funzioni, con le medesime prerogative - tuttavia, in ossequio ai principi di efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa in ogni collegio il potere di convocazione e gestione dell'adunanza nella quale si forma la volontà dell'organo collegiale spetta, di norma, al presidente. Dunque ogni collegio deve avere un presidente, che - operando come un primus inter pares - predisponga l'ordine del giorno, curi la convocazione delle adunanze, diriga i lavori assicurandone il corretto svolgimento e sovrintenda alla redazione dei verbali delle adunanze. Deve, comunque, escludersi che sussista un rapporto di gerarchia tra il presidente ed i componenti del collegio, posto che - si badi - ciascun componente dell'organo collegiale dev'essere messo in grado di poter esprimere liberamente la propria opinione senza alcun timore reverenziale e in condizioni di perfetta parità con gli altri componenti dell'organo. Resta fermo in tal senso che anche il presidente, mediante il proprio voto, contribuisce alla formazione della volontà dell'organo collegiale: sono infatti eccezionali i casi nei quali il presidente non esprime il proprio voto (come accade negli organi collegiali cc.dd. politico-assembleari, nei quali il presidente, per prassi, non vota). 5. Come accennato, molto delicato è il tema della composizione dell'organo collegiale straordinario (ossia costituito ad hoc), riconvocato a seguito di un provvedimento giurisdizionale, come dimostra il fatto che sul tema stesso è intervenuto nella disciplina dell'aggiudicazione dei contratti pubblici il legislatore con l'art. 77, comma 11, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo il quale "In caso di rinnovo del procedimento di gara, a seguito di annullamento dell'aggiudicazione o di annullamento dell'esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione, fatto salvo il caso in cui l'annullamento sia derivato da un vizio nella composizione della commissione". A tal riguardo la giurisprudenza (T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. III, 13 novembre 2018, n. 1490) ha chiarito che la riconvocazione della commissione giudicatrice per il riesame dell'offerta tecnica dell'aggiudicataria, pur dopo l'apertura delle offerte economiche, costituisce un'evenienza fisiologica, stante la previsione dell'art. 77, comma 11. Dunque, laddove il rinnovo delle operazioni di gara intervenga a seguito di annullamento dell'aggiudicazione, non osta alla riconvocazione della medesima commissione la circostanza che la commissione stessa abbia già conosciuto le offerte economiche dei concorrenti. Anzi, è stato in tal senso espressamente precisato (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 17 ottobre 2018, n. 2320) che, in applicazione dell'art. 77, comma 11, riconvocare la medesima commissione non è solo possibile, ma addirittura doveroso, per esigenze di economia del procedimento. Osta però ad un'applicazione analogica dell'art. 77, comma 11, del decreto legislativo n. 50/2016 ad altri organi collegiali straordinari (come, ad esempio, le commissioni di concorso) la circostanza che nell'ordinamento non si rinviene una disciplina generale relativa a tale categoria di organi, avendo il legislatore provveduto a disciplinare separatamente le diverse tipologie di collegi nelle varie leggi di settore. Inoltre, posto che nell'ordinamento non si rinviene una gerarchia dei principi dell'azione amministrativa, non è possibile ritenere che la scelta operata dal legislatore con il predetto art. 77, comma 11 - che costituisce una chiara espressione del principio di economicità dell'azione amministrativa (cfr. l'art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990) e del principio di non aggravamento del procedimento (cfr. l'art. 1, comma 2, della legge n. 241/1990) - valga per tutti gli organi collegiali straordinari, mancando un'espressa presa di posizione del legislatore in tal senso. Tanto premesso, con particolare riferimento alle commissioni di concorso, parte della giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3882) - a supporto della tesi per cui il nuovo esercizio della funzione amministrativa, per essere legittimo, dev'essere demandato a una commissione in composizione diversa rispetto a quella che ha adottato gli atti annullati - ha valorizzato l'esigenza di evitare "qualunque condizionamento collegabile alla pregressa vicenda concorsuale". Invece in altre occasioni per avvalorare la possibilità di confermare la commissione nella sua composizione originaria è stato posto in risalto che la garanzia d'imparzialità, richiesta dall'art. 97 Cost., "scaturisce dalla qualità di pubblici ufficiali dei commissari, i quali, nello svolgimento della loro attività, sono tenuti a operare nel rispetto dei principi dell'ordinamento e sono responsabili di eventuali danni arrecati al candidato o all'amministrazione per la quale operano, mentre nell'ordinamento non è rinvenibile - salvo il diverso caso della concomitante violazione della normativa sulla formazione dell'organo - un principio generale per cui a seguito dell'annullamento giurisdizionale di atti si debba procedere, per ciò solo, al mutamento del titolare dell'organo che li abbia adottati al fine della loro rinnovazione" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3896); oppure è stata valorizzato il principio della par condicio dei concorrenti, evidenziando che se fosse stata nominata una nuova commissione "gli elaborati della candidata sarebbero stati valutati da persone diverse da quelle "naturalmente" competenti, preposte alla valutazione degli scritti degli altri candidati" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 marzo 2015, n. 1248). A fronte di tali contrapposti orientamenti, appare tuttavia condivisibile la tesi, fatta propria dalla prevalente giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 396; id., 11 marzo 2015, n. 1248; id., 5 aprile 2019, n. 2238), secondo la quale la scelta in ordine alla necessità di sostituire, o meno, la commissione di concorso a seguito all'annullamento giurisdizionale dei suoi atti "non si fonda sull'applicazione necessaria di un preciso comando legislativo, ma comporta la valutazione discrezionale delle circostanze che hanno portato all'annullamento degli atti". 6. Tenuto conto di quanto precede, è fondata e deve essere accolta con effetto assorbente la prima domanda proposta con il presente ricorso, volta a far accertare la nullità, per elusione del giudicato, della determinazione dirigenziale del 19 agosto 2022 (atto presupposto), con cui è stata nominata la nuova Commissione, e del verbale della seduta del 26 agosto 2022 (atto consequenziale), nella quale la nuova Commissione ha provveduto alla rivalutazione dei titoli del ricorrente, perché si pongono in palese contrasto con la sentenza di questo Tribunale n. 147 del 2022, nella parte in cui viene imposta (al punto IX della parte in diritto) la nomina di una "nuova Commissione esaminatrice", ossia ad un organo collegiale integralmente rinnovato nella sua composizione. 7. Sebbene questo Tribunale nella motivazione della sentenza n. 147 del 2022 - dopo aver disposto che il compito di rivalutare i titoli del ricorrente avrebbe dovuto essere affidato ad "una nuova Commissione esaminatrice, come precisato in precedenti arresti di questo stesso Tribunale (sentenza T.R.G.A. di Trento, 27 ottobre 2020, n. 180)" - non abbia esplicitamente previsto che tale organo avrebbe dovuto essere composto da persone fisiche tutte diverse da quelle che componevano la prima Commissione, tuttavia puntuali indicazioni in tal senso potevano e dovevano trarsi dai passi della motivazione della medesima sentenza ove si afferma che "l'operato delle Commissioni esaminatrici non deve far sorgere dubbi di sorta sulla capacità degli organi stessi di operare con l'indispensabile trasparenza" e, soprattutto, vengono richiamati i "precedenti arresti di questo stesso Tribunale (sentenza T.R.G.A. di Trento, 27 ottobre 2020, n. 180)". In particolare questo Tribunale nella testé richiamata sentenza n. 180 del 2020 - con riferimento ad una fattispecie caratterizzata da un grave errore commesso dalla Commissione esaminatrice, palesato dal fatto che, "sebbene le valutazioni complessive relative a ciascuno dei sei candidati ammessi alla seconda fase della procedura fossero palesemente inidonee a dimostrare la preferenza espressa nei confronti dei tre candidati ritenuti idonei, tuttavia la Commissione... ha ritenuto di non essere tenuta affatto a dar conto dell'avvenuta comparazione dei candidati e dei relativi esiti" - dopo aver rimarcato che "l'autorevolezza delle Commissioni esaminatrici si rende necessaria anche perché va a compensare i già richiamati limiti che inevitabilmente incontra il sindacato di legittimità del Giudice amministrativo sulle valutazioni delle Commissioni stesse", ha ritenuto che "nel caso in esame - per effetto del suddetto, grave errore - la Commissione esaminatrice abbia perso l'autorevolezza necessaria per rendere credibili le proprie scelte, quantomeno di fronte alla ricorrente, la quale ha correttamente dedotto che la rinnovazione della valutazione comparativa dei candidati ammessi alla seconda fase, da parte della Commissione già nominata, si era risolta in una mera integrazione della precedente motivazione (come in effetti è accaduto). In altri termini, proprio alla luce dei limiti del sindacato giurisdizionale sulle valutazioni delle Commissioni esaminatrici, si rende necessario che l'operato di tali organi non faccia sorgere dubbi di sorta sulla capacità degli organi stessi di operare con l'indispensabile trasparenza, com'è invece accaduto nella fattispecie in esame, nella quale la Commissione ha indicato i tre candidati ritenuti idonei senza dar conto di come era stata operata la prescritta valutazione comparativa dei candidati selezionati all'esito della prima fase della procedura". Dunque - in ossequio al prevalente orientamento innanzi illustrato, secondo il quale la scelta in ordine alla necessità di sostituire, o meno, la commissione di concorso in seguito all'annullamento giurisdizionale dei suoi atti è frutto di un giudizio discrezionale del giudice sulle circostanze che hanno portato all'annullamento degli atti stessi - questo Tribunale con la sentenza n. 147 del 2022, ritenendo grave l'errore commesso dalla Commissione nella valutazione dei titoli del Ga., ha inequivocabilmente affermato che la valutazione dei titoli stessi avrebbe dovuto essere affidata ad una nuova Commissione, integralmente rinnovata nella sua composizione. Ciò in quanto, a giudizio di questo Tribunale, solo la nomina di persone fisiche tutte diverse da quelle che componevano la precedente Commissione avrebbe garantito l'indispensabile trasparenza e imparzialità dell'operato del nuovo organo collegiale. 8. Né valgono a giustificare l'operato dell'Amministrazione le ragioni addotte dall'Avvocatura della Provincia, secondo la quale il compito del presidente è "quello di guidare i lavori della Commissione e di essere garante del corretto svolgimento dell'intera procedura, nel rispetto della trasparenza e dell'imparzialità dell'intera attività " (cfr. l'impugnata nota del 10 ottobre 2022). È ben vero che tra i compiti del presidente di un organo collegiale rientrano anche quelli di organizzare i lavori e di garantire il corretto esercizio della funzione affidata all'organo stesso. Tuttavia - come innanzi ricordato - negli organi collegiali, di norma, anche il presidente mediante il proprio voto contribuisce alla formazione della volontà dell'organo collegiale, e ciò vale a maggior ragione nel caso delle commissioni di concorso per le quali la ratio della collegialità è connessa all'esigenza di garantire l'apporto di più soggetti aventi competenze diverse, ivi compreso il presidente, nell'assunzione di decisioni che spesso presentano notevole complessità dal punto di vista tecnico o giuridico. Anzi, sebbene sia innegabile che il presidente di un organo collegiale opera come un primus inter pares, tuttavia è parimenti innegabile che - come osservato dal ricorrente - il presidente, organizzando i lavori dell'organo, quantomeno di fatto può assumere "un peso preponderante". Pertanto, a differenza di quanto affermato dall'Avvocatura della Provincia, comunque non può ritenersi che la Commissione nominata per la rivalutazione dei titoli del Ga. potesse essere presieduta dal dottor Gi. sol perché questi - in via del tutto anomala - avrebbe dovuto limitarsi ad organizzare il lavoro dell'organo collegiale, astenendosi di fatto dall'esprimere in modo autonomo il proprio voto. 9. Né tantomeno valgono a giustificare la nomina del dottor Gi. le ulteriori, e quanto mai singolari, ragioni addotte dalla Provincia nella memoria depositata in data 28 febbraio 2023, ove si legge che è stata data corretta esecuzione al dictum di questo Tribunale mediante la nomina di "una Commissione rinnovata nella componente dell'esperto, unico soggetto depositario della discrezionalità tecnica necessaria". A tal riguardo giova premettere che, secondo la giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. II, 19 ottobre 2021, n. 7031), ai fini della legittima composizione della commissione di concorso è sufficiente che i componenti siano esperti in discipline non estranee alle tematiche oggetto delle prove concorsuali, fermo restando che l'esperienza della commissione va verificata nel suo complesso e con ragionevolezza, onde evitare che una interpretazione troppo rigorosa della qualifica di esperto comporti un intollerabile aggravamento del procedimento selettivo già nella fase della formazione dell'organo tecnico chiamato a operare le valutazioni sui titoli e le prove d'esame dei candidati. Risulta allora evidente che in caso di riconvocazione di una commissione di concorso a seguito di un provvedimento giurisdizionale, laddove il giudice abbia imposto (come nel caso in esame) la nomina di una nuova commissione, non può ritenersi che l'Amministrazione possa far leva sulla maggiore o minore esperienza di ciascun componente nelle tematiche oggetto del concorso (esperienza evidentemente funzionale al corretto esercizio della discrezionalità tecnica insita nei giudizi di competenza delle commissioni di concorso) per selezionare quale dei componenti della precedente commissione da sostituire o confermare. Difatti, alla luce di quanto si è detto in merito alla reciproca equiordinazione di tutti componenti dell'organo collegiale, tutti i componenti concorrono, mediante il proprio voto, in egual misura alla formazione della volontà dell'organo collegiale, a prescindere dalla maggiore o minore esperienza di ciascun di essi nelle tematiche oggetto del concorso. In altri termini, accedendo alla tesi dell'Avvocatura della Provincia, di fatto la Commissione diverrebbe un organo sostanzialmente monocratico, dove tutti gli altri membri diversi dal componente "esperto" sarebbero preposti non già ad esprimere un proprio autonomo e paritario giudizio nell'ambito dell'organo collegiale, bensì a convalidare acriticamente, con una loro presenza di mera forma, la valutazione individualmente resa dal componente "esperto", in palese contrasto con quanto si è detto circa la natura e le regole di funzionamento degli organi collegiali. 10. Passando alle ulteriori domande proposte dal ricorrente, si deve rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 5 novembre 2018, n. 6257), i vizi inerenti la costituzione e la composizione dell'organo collegiale hanno carattere assorbente rispetto alle residue censure, dato che in questi casi - al pari dei casi di incompetenza, o di carenza di proposta o di parere obbligatorio - si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato; pertanto il giudice, anche ai sensi dell'art. 34, comma 2, cod. proc. amm., deve rilevare il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure. Dunque l'accertamento della nullità della determinazione dirigenziale del 19 agosto 2022 e del verbale della seduta del 26 agosto 2022, per le ragioni innanzi esposte, preclude al Collegio di esaminare tutte le ulteriori domande proposte dal ricorrente, le quali devono quindi essere dichiarate improcedibili, dovendosi ritenere applicabile l'anzidetto art. 34, comma 2, cod. proc. amm. anche in una fattispecie come quella in esame, nella quale la commissione esaminatrice, come individuata da questo Tribunale nella sentenza n. 147 del 2022, non si è mai pronunciata. 11. L'accoglimento della prima domanda formulata dal ricorrente comporta che l'Amministrazione dovrà procedere alla nomina di una nuova Commissione esaminatrice - avente questa volta una composizione integralmente diversa da quella della Commissione che ha adottato gli atti annullati con la sentenza n. 147 del 2022 e da quella della Commissione nominata con la determinazione dirigenziale del 19 agosto 2022 - affinché provveda a dare esecuzione a quanto disposto da questo Tribunale con la predetta sentenza n. 147 del 2022. Non si ravvisano invece, allo stato, i presupposti per accogliere la richiesta del ricorrente di nominare un commissario ad acta che provveda in sostituzione dell'Amministrazione. Difatti, da un lato la Provincia non è rimasta inerte a fronte di quanto disposto con la sentenza n. 147 del 2022 e, dall'altro, risulta tuttora preminente l'esigenza che la rivalutazione dei titoli del ricorrente venga affidata ad un organo collegiale nominato in conformità alla normativa regolamentare in materia di formazione e di attività delle commissioni esaminatrici, richiamata dalla Provincia stessa nella memoria depositata in data 28 febbraio 2023. 12. In applicazione della regola della soccombenza le spese di lite, liquidate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico della Provincia autonoma di Trento. Nulla deve disporsi, per le spese, con riferimento agli Istituti scolastici evocati in giudizio dal ricorrente, che non risulta abbiano adottato nuovi atti lesivi della sfera giuridica del ricorrente medesimo e che comunque non si sono costituiti nel presente giudizio, nonché con riferimento alla controinteressata, parimenti non costituita in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 166/2022, lo accoglie nei limiti indicati in motivazione e lo dichiara improcedibile per il resto. Per l'effetto, dichiara nulli i seguenti atti: A) la determinazione dirigenziale n. 8895 in data 19 agosto 2022; B) il verbale della seduta del 26 agosto 2022; C) la comunicazione del 6 settembre 2022; D) la nota dell'Avvocatura della Provincia di Trento prot. n. 693885 in data 10 ottobre 2022. Condanna la Provincia di Trento a procedere alla nomina di una nuova Commissione, composta come indicato in motivazione, affinché provveda a dare esecuzione a quanto disposto da questo Tribunale con la sentenza n. 147 del 2022. Condanna altresì la Provincia di Trento al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese di lite, liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere, Estensore Antonia Tassinari - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 176 del 2022, proposto da Mi. Da. e Ca. De Ol. di Da. Mi. & C. S.a.s., rappresentati e difesi dall'avvocato Mi. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Comune di (omissis), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ex art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 14 aprile 2004, n. 116, domiciliata in Trento, largo (...); - Provincia Autonoma di Trento, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Be., Sa. Az. e Ma. El. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Sa. Az. in Trento, piazza (...); - Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, non costituitasi in giudizio; nei confronti Istituto Comprensivo Ba. Va. di So., non costituitosi in giudizio; per l'annullamento del verbale di deliberazione n. 126 di data 13.9.2022 della Giunta comunale del Comune di (omissis) avente ad oggetto: "Individuazione luoghi sensibili presenti sul territorio comunale per l'applicazione delle limitazioni alla collocazione di apparecchi da gioco" ed atti antecedenti, presupposti, preordinati e consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento e del Comune di (omissis) ; Visti tutti gli atti della causa; Visto il decreto n. 9 del 2 maggio 2022 del Presidente del T.R.G.A. di Trento; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023, il Consigliere Cecilia Ambrosi e uditi, per la parte ricorrente, l'avvocato Mi. Bu., per la Provincia Autonoma di Trento l'avvocato Sa. Az. e per il Comune di (omissis) il procuratore dello Stato An. Za., come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'articolo 5, comma 1, della legge provinciale di Trento 22 luglio 2015, n. 13, recante "Interventi per la prevenzione e la cura della dipendenza da gioco", prevede quanto segue: "1. Per tutelare determinate categorie di persone più vulnerabili e per prevenire la dipendenza da gioco, è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), a una distanza inferiore a trecento metri dai seguenti luoghi: a) istituti scolastici o formativi di qualsiasi ordine e grado; b) strutture sanitarie e ospedaliere, incluse quelle dedicate all'accoglienza, assistenza e recupero di soggetti affetti da qualsiasi forma di dipendenza o in particolari condizioni di disagio sociale o che comunque fanno parte di categorie protette; c) strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario, scolastico o socio-assistenziale; d) strutture e aree ricreative e sportive frequentate principalmente da giovani, nonché centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 14 febbraio 2007, n. 5 (legge provinciale sui giovani 2007); e) circoli pensionati e anziani previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 25 luglio 2008, n. 11 (Istituzione del servizio di volontariato civile delle persone anziane, istituzione della consulta provinciale della terza età e altre iniziative a favore degli anziani); f) luoghi di culto." A sua volta l'art. 14 della medesima legge provinciale dispone: "1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, gli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto n. 773 del 1931 posti a una distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 5, comma 1, sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore di questa legge se collocati nelle sale da gioco ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi. In caso di mancata rimozione si applica l'articolo 10, comma 1". 2. Con delibera della Giunta comunale 13 settembre 2022, n. 126, avente ad oggetto "Individuazione luoghi sensibili presenti sul territorio comunale per l'applicazione delle limitazioni alla collocazione di apparecchi da gioco", il Comune di (omissis) ha individuato i luoghi sensibili di cui al citato art. 5 della legge provinciale, tanto al fine dell'applicazione delle limitazioni alla collocazione degli apparecchi da gioco di cui all'art. 110, comma 6 del r.d. 18 giugno 1931 n. 773, approvando l'elenco dei ridetti luoghi sensibili e le planimetrie idonee ad individuarli, titolate: "1 Planimetria (omissis) "; "2 Planimetria (omissis)"; "3 Planimetria (omissis)"; "4 Planimetria (omissis)" e "5 Planimetria (omissis)". 3. La società Ca. De Ol. di Da. Mi. & C. S.a.s., gestisce il locale collocato nel Comune di (omissis), Piazza (omissis), sotto l'insegna "Ca. De Ol.", nel quale sono installati 9 apparecchi per la raccolta del gioco lecito di cui all'art. 110, comma 6 del r.d. 18 giugno 1931 n. 773, connessi alla rete telematica gestita dal concessionario di rete Lo. Vi. Re. S.p.a.. L'esercizio si trova a distanza inferiore a 300 mt. da almeno uno dei luoghi sensibili individuati nella richiamata deliberazione della Giunta comunale, nel ricorso identificato nella sede "Sat giovanile" sita in (omissis), via (omissis), situantesi a circa 217 metri. Pertanto, Mi. Da. anche in qualità di legale rappresentante e socio accomandatario della società Ca. De Ol. di Da. Mi. & C. S.a.s., ha impugnato la deliberazione in argomento, della quale ha richiesto l'annullamento, per gli effetti lesivi da essa derivanti, ossia l'obbligo di rimozione degli apparecchi da gioco installati nel locale gestito. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi: "1. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e/o di motivazione e/o per motivazione illogica in relazione all'individuazione sia delle " determinate categorie di persone", che delle esigenze di prevenzione della " dipendenza dal gioco" ". In tesi della parte ricorrente manca da parte del Comune l'individuazione delle categorie tutelande invece imposta dall'articolo 5, comma 1, della legge provinciale n. 13 del 2015 "non avendo provveduto a svolgere alcuna istruttoria diretta ad acquisire gli elementi necessari per compiutamente argomentare la ricomprensione di determinate classi tra quelle " più vulnerabili" ", poiché la disciplina provinciale sul punto non può ritenersi in sé autosufficiente. Mancherebbe parimenti un'adeguata istruttoria e motivazione al fine di dare conto dei motivi che dovrebbero giustificare la convinzione che determinate categorie di persone siano più o meno soggette al rischio di ludopatia, come invece sarebbe imposto dalla giurisprudenza non essendo "offerto alcun dato, descrittivo e/o statistico" al riguardo delle categorie interessate e dell'entità del problema nel Comune di (omissis), poiché "in tanto può dirsi correttamente applicata la norma di copertura (l'articolo 5 della " LP" ), in quanto l'ente pubblico dia conto dell'esistenza di tale vizio o, quanto meno, del rischio che tale " vizio" esista sul territorio comunale". "2. Violazione di legge, eccesso di potere per carenza di istruttoria e/o di motivazione e/o per motivazione illogica in relazione all'individuazione dei luoghi sensibili". L'elencazione dei siti sensibili recata nella delibera impugnata sarebbe costituita "da numerosissimi siti privi di qualsiasi specificazione, di dubbia sussumibilità nelle categorie di riferimento e la cui inclusione nelle stesse è priva sia di istruttoria che di motivazione". "3. Violazione di legge in relazione all'articolo 6 della legge 11 novembre 2011 n. 180 (Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese)". La delibera impugnata contrasterebbe con le previsioni dell'art. 6 della l. 11 novembre 2011, n. 180, poiché "nel momento di formazione della delibera giuntale di (omissis), la quale, pur andando fortissimamente ad incidere in maniera assolutamente pregiudizievole, su una molteplice serie di attività imprenditoriali (non solo quella dell'odierna ricorrente, ma, anche, quella dei concessionari di rete, nonché di tutti gli imprenditori che svolgono attività nel settore degli esercizi pubblici, atteso che gli apparecchi de quibus possono essere installati in bar, ristoranti, alberghi, rivendite di generi di monopolio, sale giochi, sale dedicate, sale bingo, sale lotterie) non è stata anticipata né da alcuna " previa ponderazione" delle ricadute delle sue previsioni sui menzionati settori economici, né, tanto meno ha applicato i criteri di proporzionalità e gradualità di cui, specificatamene, all'articolo 6, comma 1 lettera c)". "4. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e/o di motivazione e/o per motivazione illogica". Per le stesse ragioni esposte nel precedente motivo "la delibera della Giunta n. 126/2022, non è stata preceduta da adeguata (più correttamente, da alcuna) istruttoria, non avendo, in tal modo dato conto né delle ragioni della necessità del ricorso a tale provvedimento né della avvenuta ponderazione, da parte dell'organo deliberante, dell'incidenza degli stessi sul tessuto imprenditoriale", conseguendone anche un'assenza di motivazione sul punto. "5. Eccesso di potere per sviamento e/o violazione di legge: nello specifico della legge provinciale Trento 04 agosto 2015 n. 15 (Pianificazione urbanistica e governo del territorio)". In difetto di espressa previsione della l.p. 13 del 2015 circa lo strumento utilizzabile per la definizione dei luoghi sensibili, si tratterebbe di una disposizione operante nella materia del governo del territorio, secondo la sua definizione giurisprudenziale e dottrinale, ma il Comune di (omissis) non ha assunto alcuno degli strumenti di pianificazione territoriale previsti dalla relativa disciplina, ossia dalla l.p. n. 15 del 2015, bensì una mera delibera, con conseguente violazione anche delle prerogative di partecipazione. Al sesto motivo la parte ricorrente deduce la frizione della legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13, ed in particolare dei suoi articoli 5 e 14, a varie norme fondamentali della Costituzione, chiedendo che questo Giudice sollevi la questione di legittimità costituzionale indispensabile e necessaria per la definizione della controversia in esame. In particolare, è rilevato il contrasto con i seguenti articoli della Carta: "A) ART. 41 COSTITUZIONE": la parte ricorrente lamenta l'effetto espulsivo "cioè escludente, non solo dal territorio amministrato dal Comune di (omissis) e, ancor più, dall'intero territorio provinciale, di un intero comparto imprenditoriale, quello, cioè, della raccolta del gioco lecito, della cui filiera gli attuali ricorrenti fanno parte, nel suo già ricordato ruolo di esercente" derivante dall'applicazione della legge provinciale in argomento, come si evincerebbe dall'elaborato peritale del consulente di parte, geom. Um. Sa., che computa nel 98,20% del territorio comunale l'area in tal modo preclusa per l'attività di impresa, a cui si aggiungerebbe il fatto che la limitatissima parte del territorio esterna alla fascia di interdizione non sarebbe idonea a trasferivi l'attività né per aprirne di nuove, sia per la destinazione urbanistica che per la relativa conformazione (doc. 5a ricorrente). Al riguardo, la parte ricorrente rileva "di particolare interesse l'elaborato peritale laddove esso si sofferma su ognuna delle 5 circoscrizioni delle quali è composto il Comune deliberante, al fine di motivare, con dovizia di argomenti, le ragioni per le quali nelle aree astrattamente disponibili non si rinvengono zone adatte per gli insediamenti imprenditoriali in argomento, o perché tra loro disperse o perché circondate da verde o da zone destinate a coltivazione" oltre alla "insostenibilità del costo connesso all'ipotetico trasferimento in altra zona quantificabile in migliaia di euro al metro quadro, attesa la necessità - rinvenuto il locale - di porre mano agli interventi tecnici necessari per il collegamento ed il funzionamento degli apparecchi". Anche nel resto del territorio provinciale sussisterebbe tale effetto espulsivo, come dimostrerebbero analoghi elaborati relativi ai Comuni di (omissis), redatti sulla scorta della previgente disciplina costituita dall'art. 13 bis della l.p. Trento 14 luglio 2000 n. 9 (doc. 6 dalla lett. a) alla lett. d) di parte ricorrente), oltre a quello relativo al Comune di Trento (doc. 6 lett. e) redatto sulla scorta della nuova disciplina recata dalla l..p. n. 13 del 2015. Dunque, si tratterebbe di un problema generalizzato nel territorio della provincia di Trento, che esprime percentuali di interdizione variabili dal 96,2 al 100% nei Comuni considerati, e comporterebbe "una totale impossibilità di esercizio dell'attività di impresa..... evidenziando che anche per gli altri comuni si impone un ragionamento ana a quello appena sviluppato per (omissis), in ordine al fatto che le aree teoricamente insediabili non sono, nel concreto, idonee". La situazione sarebbe aggravata dal fatto che la disciplina provinciale in argomento, segnatamente l'art. 5, comma 2, della l.p. n. 13 del 2015, consente ai Comuni, senza particolari giustificazioni, di ampliare la distanza dai 300 mt. ai 500 mt. Sotto altro profilo, secondo la parte ricorrente, sarebbe evidente la non ricorrenza dell'esigenza di tutela della salute, esigenza che non è mai stata adeguatamente esplorata e che "in realtà, ove compiutamente esaminata con la necessaria attenzione porta a fortemente dubitare che la scelta normativa (traducentesi nell'annichilimento dell'intero settore economico) sia giustificata e proporzionata, considerando che l'approccio proibizionista porta - in realtà -ad un mero spostamento del giocatore verso altre forme di gioco", citando al riguardo la relazione della "Commissione Parlamentare d'inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico" e gli interventi resi in tal contesto dal dott. Ba. e Ma. nonché l'analisi della professoressa Va. Mo., collaboratrice di ricerca in forza al Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università di Trento, la quale avrebbe rilevato l'inefficacia del "distanziometro", che si tradurrebbe solo in una traslazione del giocatore verso altre forme di gioco, non solo legale. Sul piano giuridico, inoltre, la parte ricorrente produce il consonante parere del prof. An. Ma. Pr. emerito della Corte costituzionale richiamandone riassuntivamente i seguenti capisaldi motivazionali: "(i) Gli interventi della Corte Costituzionale, sino ad oggi, si sono limitati " al versante del riparto di competenza normativa tra Stato e Regioni e non si estendono al contenuto della regolamentazione concretamente adottata, sul quale la Corte non si è ancora pronunciata" (parere citato, punto II, 4, pag. 6); (ii) è certamente ammissibile una limitazione della libertà di iniziativa economica privata ai sensi dell'art. 41 della Costituzione " solo allorquando risultino giustificate dall'esigenza di tutelare interessi di rango costituzionale e purché le relative misure risultino congrue e proporzionali rispetto alla stessa limitazione. In tal senso, una disposizione di legge che introduca la previsione di un limite minimo di distanza fra i locali che ospitano apparecchi da gioco e luoghi sensibili - pur astrattamente legittima, in quanto rispondente a indubbie esigenze di utilità sociale - rischia di porsi in contrasto con la libertà di iniziativa economica dei privati, vincolandola in modo incongruo e sproporzionato, laddove individui un numero così eccessivo di punti sensibili o distanze minime così elevate da vietare integralmente o quasi l'esercizio sul territorio di un'attività economica lecita utilizzata dallo Stato...in altri termini, l'effetto espulsivo si verifica non solo nelle ipotesi in cui si raggiunge una percentuale identica o prossima alla totalità, e dunque al cento per cento, del territorio della Regione, ma anche laddove si superino soglie più basse ma tali da rendere non attrattiva l'attività economica da risultare non proporzionate. In mancanza della fissazione di una soglia minima da parte di una legge cornice statale...non potrà che essere la Corte Costituzionale a valutare se la percentuale di esclusione debba considerarsi ragionevole...è evidente, infatti, che anche una percentuale, ad esempio, del 75 per cento in alcune Regioni prevalentemente montuose possa risultare del tutto inadeguata e dunque di dubbia legittimità costituzionale, essendo una larga parte del territorio non utilizzabile per qualsiasi attività economica" (parere citato, punto IV, 2, pagg. 9 e 10); (iii) quanto al bilanciamento di interessi, tenuto in considerazione dall'art. 41 della Costituzione, ha da tenersi presente che " un simile risultato (ndr: vale a dire quello della totale o pressoché totale espulsione del comparto imprenditoriale dal territorio) non potrebbe dirsi giustificato neppure dalla presenza di un altro interesse costituzionalmente tutelato, quale la tutela della salute, poiché la norma costituzionale parla esplicitamente di limiti e implicitamente di bilanciamento di interessi, non già di completa (o quasi) interdizione della libertà di iniziativa economica" (parere citato, punto IV, 2, pag. 11)". "B) ART. 3 Cost.". La disciplina richiamata contrasterebbe con il principio di uguaglianza e ragionevolezza, poiché il legislatore provinciale ha omesso, ingiustificatamente, una paritaria o omologa previsione vincolistica per tutti gli altri "giochi" gestiti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze - Agenzia delle Dogane, quali "Lotto", "10 e Lotto", "Superenalotto", "Superstar", "SiVinceTutto", "Lotterie istantanee", "Bingo", "Totocalcio", "Totogol". "C) ART. 97 Cost.". Vi sarebbe "la violazione del principio di imparzialità che deve caratterizzare l'operato della Pubblica Amministrazione, la quale è andata a normare solo una limitata parte dell'offerta di gioco pubblica (quella, per l'appunto, a mezzo degli apparecchi da intrattenimento), ignorando inspiegabilmente tutto il resto del palinsesto dei giochi pubblici, sicuramente più onerosi e più sopra ricordati". "C) (RECTE D) ART. 117, II comma lettera m) e art. 32 Cost.". Il legislatore provinciale avrebbe esorbitato dalla sfera di attribuzioni riconosciuta al legislatore regionale ed invaso la competenza statale esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, sancita dall'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. In tesi dei ricorrenti i livelli essenziali sarebbero già stati stabiliti dalla disciplina statale costituita dal d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito nella legge 8 novembre 2012, n. 189, che prevede una serie di misure dirette alla prevenzione ed al contrasto della ludopatia (segnatamente nell'art. 7) demandando all'Agenzia delle Dogane una pianificazione di forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi in questione: e ciò sulla base di criteri anche relativi alla prossimità da luoghi sensibili, da definirsi con decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze di concerto con il Ministero della Salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Altresì, la ridetta pianificazione sarà orientata anche sulla base dei risultati conseguiti all'esito dei controlli effettuati dalle Amministrazioni competenti e dalle forze dell'ordine presso gli esercizi pubblici; è previsto un apposito Osservatorio con il compito di valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Inoltre, le disposizioni di cui all'art. 7 del d.l. n. 158 del 2012 debbono essere inserite nella cornice di un più generale e complesso disegno regolatorio, trovante la propria fonte nella legislazione nazionale, diretto all'individuazione e al contrasto della "ludopatia". Tutto ciò dimostrerebbe come la legge provinciale in questione non sia rispettosa dei principi fondamentali previsti dalla legislazione statale "essendo, al contrario, evidente come la norma provinciale de qua così come la delibera di Giunta, limitanti la collocazione degli apparecchi da gioco, contrastano apertamente con la menzionata norma statale, che invece disciplina in maniera compiuta ed esaustiva, a livello nazionale, il procedimento di pianificazione delle forme di progressiva ricollocazione dei medesimi apparecchi da gioco, senza considerare, come già abbiamo più sopra posto in evidenza, che l'intervento degli enti locali (Comuni e Province), nel contesto della recente normativa nazionale, è limitato alla sola presentazione di proposte motivate". "D) (RECTE E) ART. 117, COMMA 1, COST., IN RELAZIONE ALL'ARTICOLO 1, DEL 1° PROTOCOLLO ADDIZIONALE ALLA CEDU (PROTEZIONE DELLA PROPRIETÀ ) E AGLI ARTT. 16 (LIBERTÀ DI IMPRESA) E 17 (DIRITTO DI PROPRIETÀ ) DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA", poiché "la contrazione del (rectius espulsione dal) mercato è tale da incidere micidialmente su attività già autorizzate e in corso di svolgimento, con un effetto sostanzialmente espropriativo". Infine, la parte ricorrente, sempre con riguardo alla richiamata disciplina della l. p. 13 del 2015, deduce nel settimo motivo "Le " tensioni" con le direttive comunitarie (Direttiva 98/34/CE così come modificata dalla Direttiva 98/48/CE) e con gli articoli 49 e 56 del TFUE (già articoli 43 e 49 del TCE)". La legge provinciale dovrebbe sussumersi tra le "regole tecniche" di cui alla direttiva 98/34/CE, modificata dalla direttiva 98/48/CE, ovvero nella nozione di "altro requisito" oppure di "regola relativa ai servizi", con conseguente violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione alla Commissione Europea, determinandosi di conseguenza l'impossibilità della relativa applicazione. In particolare, gli artt. 5 e 14 della medesima legge provinciale integrerebbero "regole tecniche destinate ad incidere sulla libera circolazione dei beni e servizi mediante l'introduzione di restrizioni (nella forma del divieto di collocazione degli apparecchi rispetto a luoghi definiti sensibili)". Da un lato, i servizi resi nel settore dell'offerta di gioco pubblica, rientrerebbero indubitabilmente nell'ambito applicativo della direttiva, ossia nella definizione di servizi (definizione che comprende "qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi") in quanto si tratta di "attrezzature elettroniche, con le quali un concessionario di rete mette a disposizione del singolo giocatore, che ne fa espressa richiesta versando l'importo previsto per ciascuna partita, una rete telematica, controllata a distanza". Sotto altro profilo si tratterebbe comunque di "regole tecniche afferenti alla libera commerciabilità dei beni/prodotti", per cui difetterebbe la previa notifica, invece effettuata nel precedente caso del Decreto dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato del 22.02.2010 (quanto alla previsione del suo articolo 9, che definisce le caratteristiche degli "ambienti dedicati" nei quali le VLT, ossia le videolotterie, possono essere installate e del successivo articolo 11, che prevede le forme di tutela del giocatore). Infine, le disposizioni in questione sarebbero da annoverare nella definizione di "altro requisito", incidendo sulla commercializzazione degli apparecchi. Nè sussisterebbero nella specie le ipotesi di esclusione previste dalla medesima direttiva (art. 9, comma 7), quanto in particolare ai "motivi urgenti giustificati da una situazione grave e imprevedibile inerente alla tutela della salute", stante l'ampio differimento del termine di rimozione accordato ex lege nel caso di apparecchi già installati (5 o 7 anni) ed in considerazione del fatto che, anche ove ricorrente tale motivo di esclusione, la notificazione dovrebbe essere comunque fatta successivamente. In definitiva le conseguenze dell'inadempimento da parte di uno Stato membro dell'obbligo di notificare, allo stato di progetto, una regola riguardante i servizi della società dell'informazione, determina la conseguente inapplicabilità e inopponibilità della regola medesima. Inoltre, sotto il profilo della violazione degli articoli 49 e 56 del TFUE, si tratterebbe di una restrizione delle libertà di circolazione e di stabilimento, che si traduce "in una totale eradicazione dal territorio dell'attività imprenditoriale" mentre "i principi di libera prestazione di servizi e di libertà di stabilimento possono subire limitazioni unicamente per giustificati motivi di interesse generale di natura non economica, purché le restrizioni costituiscano misure proporzionate e non discriminatorie, fatte salve peraltro le procedure di informazione". In subordine i ricorrenti chiedono che sia posta alla Corte di Giustizia CE la questione pregiudiziale in ordine all'interpretazione della citata direttiva ai sensi dell'art. 267 TFUE con lo scopo di chiarire se l'articolo 5 della l.p 13 del 2015 è "regola tecnica" o "altro requisito" o una "regola relativa ai servizi" che avrebbe dovuto essere previamente notificata ai sensi della richiamata direttiva. Sul piano istruttorio la parte ricorrente ha chiesto che sia disposta consulenza tecnica d'ufficio "diretta a verificare il lamentato effetto espulsivo della " LP" e/o altamente contrattivo del mercato di riferimento". In conclusione nel ricorso si fa domanda di quanto segue: "In via pregiudiziale: - sospendere il processo amministrativo e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale in relazione alle questioni di illegittimità costituzionale rilevate nel sopra steso ricorso; - sospendere il processo amministrativo e proporre alla Corte di Giustizia CE, ai sensi dell'art. art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea la questione pregiudiziale in ordine all'interpretazione della direttiva 98/34/CE (come modificata dalla direttiva 98/48/CE) in relazione alle questioni rilevate nel sopra steso ricorso. Nel merito: per tutti i motivi di cui al ricorso annullare e/o dichiarare nulla la delibera assunta dalla Giunta Comunale del Comune di (omissis) di cui " al verbale di deliberazione n. 126 della Giunta Comunale" avente ad oggetto " Individuazione dei luoghi sensibili presenti sul territorio comunale per l'applicazione delle limitazioni alla collocazione degli apparecchi da gioco di cui all'art. 110, comma 6 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773", di data 13 settembre 2022, pubblicata all'albo telematico del Comune di (omissis) dal giorno 16 settembre 2022 al giorno 26 settembre 2022 ed i relativi allegati composti dall'elenco dei luoghi sensibili e dalle planimetrie titolate " 1 Planimetria (omissis) ; 2 Planimetria (omissis); 3 Planimetria (omissis); 4 Planimetria (omissis) e 5 Planimetria (omissis)", nonché gli atti tutti antecedenti, presupposti, preordinati, consequenziali e, comunque, connessi al procedimento". 5. Con decreto n. 43, pubblicato in data 28 novembre 2022, il Presidente di questo Tribunale ha respinto ai sensi dell'art. 56 c.p.a. la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati proposta dalla parte ricorrente in sede di giudizio monocratico, ma ha contestualmente disposto un incombente istruttorio a carico del Comune di (omissis), consistente nel deposito agli atti del giudizio, entro il termine del 7 dicembre 2022, ore 12.00, di "una relazione nella quale si evidenzino le distanze dell'esercizio gestito dalla ricorrente rispetto ai luoghi sensibili ad esso più vicini così come individuati dall'anzidetta deliberazione giuntale n. 126 del 2022, con la precisazione se la misurazione delle distanze medesime sia stata eseguita in linea d'aria ovvero avendo riguardo al percorso pedonale tra tali luoghi; qualora la misurazione sia stata eseguita in linea d'aria, si chiede comunque di fornire anche l'indicazione della lunghezza del percorso pedonale tra l'esercizio predetto e i luoghi sensibili più vicini e che renderebbero l'esercizio medesimo incompatibile nella sua attuale ubicazione à sensi della l.p. n. 15 del 2013". Inoltre con il medesimo provvedimento giudiziale è stato chiesto alla Provincia di Trento, di depositare agli atti di causa, entro il predetto termine del 7 dicembre 2022, ore 12.00, "copia dell'ultima relazione prodotta in Consiglio Provinciale à sensi dell'art. 11 della predetta l.p. n. 13 del 2015, segnatamente comprendente le seguenti informazioni: a) la diffusione delle sale da gioco e dei luoghi dove sono installati gli apparecchi per il gioco nel territorio provinciale e i cambiamenti nella loro distribuzione rispetto alla situazione preesistente; b) le attività di informazione, sensibilizzazione e formazione realizzate e i soggetti coinvolti; c) le dimensioni, le caratteristiche e la distribuzione territoriale della domanda e dell'offerta di servizi di assistenza ai giocatori patologici e di sostegno alle loro famiglie; d) le attività, i progetti e i programmi in corso, le spese sostenute nonché le somme annualmente recuperate dalla Provincia dal prelievo erariale unico sugli apparecchi da gioco indicati nell'articolo 110, comma 6, del regio decreto n. 773 del 1931; e) i risultati dell'attività di vigilanza e le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate" nonché di conoscere il dato - ove disponibile - del "complessivo numero delle sale giochi e dei pubblici esercizi dotati di apparecchi automatici di gioco che attualmente si trovano in posizione non conforme alle distanze contemplate dalla l. p. n. 13 del 2015". 6. L'incombente istruttorio è stato assolto dal Comune di (omissis) in data 7 dicembre 2022, mediante il deposito di una relazione dalla quale risulta che l'esercizio in argomento si trova a 51 metri lineari dalla Chiesa parrocchiale, a 102 metri lineari dalla Biblioteca comunale e a 152 metri lineari dalla scuola di infanzia, calcolati con percorso pedonale a piedi. 7. La Provincia autonoma di Trento si è costituita in data 7 dicembre 2022 chiedendo il rigetto del ricorso in quanto inammissibile ed infondato. Nel contempo ha prodotto la relazione sull'attuazione della l.p. n. 13 del 2015 presentata dall'Assessore alla Salute, politiche sociali, disabilità e famiglia al Presidente della quarta Commissione consiliare del Consiglio provinciale di Trento dell'11 ottobre 2021, in adempimento all'art. 11 della l.p. n. 13 del 2015. Con successiva memoria del 12 dicembre 2022, premessa in rito l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse originario - derivando l'obbligo di rimozione in capo alle parti ricorrenti direttamente dalla localizzazione del locale a 51 mt. lineari dalla chiesa parrocchiale - deduce l'infondatezza nel merito del ricorso. In primo luogo, osserva la resistente che le tipologie di gioco legale diverse da quelle che operano mediante gli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del TULPS (come scommesse ippiche e non, gratta e vinci, lotterie varie, lotto, enalotto e videogame) non sono soggette all'applicazione del limite della distanza minima dai luoghi sensibili di cui all'art. 5 della legge provinciale n. 13/2015, il che depone per la ragionevolezza della legislazione provinciale. Inoltre, alla luce della disciplina statale costituita dal d.l. 158 del 2012 e dai successivi interventi legislativi in materia, sussiste un principio fondamentale "in materia di tutela della salute - della opportunità dell'introduzione di una misura di prevenzione del rischio di ludopatia consistente nella collocazione delle sale-giochi ad una distanza minima dai luoghi sensibili". Sotto altro punto di vista, pur evidenziando l'irrilevanza delle affermazioni svolte nel ricorso in ordine all'inefficacia dei limiti distanziali dai luoghi sensibili quanto alla prevenzione del fenomeno della ludopatia, già positivamente apprezzata dal legislatore statale, ne ha sottolineato l'infondatezza, poiché il documento redatto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico (costituita il 22 giugno 2021 e che ha iniziato i propri lavori il 5 agosto 2021) fa richiamo all'audizione del prof. Alberto Ba., vicedirettore dell'Istituto Eurispes, un ente di ricerca privato, il quale a sua volta genericamente cita gli studi svolti dall'Istituto superiore di sanità, essendo tuttavia "smentito... che l'Istituto Superiore di Sanità abbia assunto un giudizio negativo riguardo all'efficacia della distanza minima legale degli apparecchi da gioco dai luoghi sensibili". Inoltre, i ricorrenti si riferiscono ad uno studio del dott. Gi. Ma. che "non ha ad oggetto la misurazione dell'efficacia delle misure di prevenzione o di contrasto alla dipendenza (ossia non reca un monitoraggio dei dati relativi al fenomeno della dipendenza da gioco a seguito dell'introduzione di misure di prevenzione), bensì solo il sondaggio delle opinioni che di quelle misure hanno i giocatori e i professionisti che si occupano di prevenzione". Lo studio della professoressa Va. Mo., poi, "è basato su dati anteriori alla scadenza dei termini previsti per la rimozione degli apparecchi da gioco collocati entro i 300 m dai luoghi sensibili e quindi le considerazioni ivi svolte in merito all'efficacia di tale misura costituiscono delle mere congetture, prive di base scientifica" ed inoltre riporta considerazioni del tutto opposte a quelle svolte dal dott. Ma. nel proprio studio richiamato dalla Commissione parlamentare: "la contraddizione tra i due studi rende pertanto del tutto irrilevanti gli studi prodotti dai Ricorrenti". Ciò detto, l'Amministrazione intimata ha contestato la fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale avanzati dalla parte ricorrente, poiché la disciplina in questione trova il proprio fondamento nei limiti cui può essere assoggettata la libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., come riconosciuto dalla Consulta (sentenza 300/2011; sentenze 108/2017 e 27/2019), in particolare per la tutela della salute, così come si giustificano i ridetti limiti di distanza alla luce della maggiore pericolosità degli apparecchi da gioco ex art. 110, coma 6 TULPS, (slot e videolottery) rispetto ad altre forme di gioco lecito, come risulta dallo studio curato dal Ministero della Salute e prodotto in giudizio. Infondati sono anche gli ulteriori dubbi di costituzionalità delle disposizioni provinciali richiamate, anche alla luce della giurisprudenza di questo Tribunale. Sotto altro profilo "una politica di controllo dell'espansione delle attività del gioco d'azzardo concepita per salvaguardare i consumatori contro la dipendenza dal gioco è conforme al diritto europeo", come risulta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Infondate sono altresì le censure di violazione della direttiva europea 98/34/CE (sostituita dalla direttiva 2015/1535/UE) esposte nell'ambito del settimo motivo di impugnazione, come chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5251. 8. Con ordinanza collegiale 15 dicembre 2022, n. 48 - similmente a quanto già in precedenza deciso in ordine a separati giudizi aventi ad oggetto controversie sostanzialmente analoghe alla presente (ordinanze n. 37 in data 28 ottobre 2022, n. 40 in data 11 novembre 2022 e n. 42 in data 24 novembre 2022) - questo Tribunale ha disposto l'esecuzione di una verificazione "per appurare - sulla base degli atti di causa (compresa la consulenza di parte prodotta in giudizio dalla ricorrente) e di ogni accertamento ritenuto utile ai fini della verificazione - se, tenuto conto della conformazione del territorio del Comune di (omissis) e della relativa disciplina urbanistica vigente, l'applicazione del criterio della distanza di trecento metri dai siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015, così come anche definiti nella delibera n. 126 dd.13.9.2022 della Giunta comunale di (omissis), determini che una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di esercizi in cui sono installati apparecchi da gioco come quello gestito dall'impresa ricorrente, ivi comprese le sale gioco ecc., e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di esercizi in cui possano installarsi gli apparecchi da gioco, di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione. L'analisi sopra indicata (comprensiva dell'indagine della conformazione del territorio della disciplina urbanistica vigente e dei provvedimenti di individuazione dei luoghi sensibili), dovrà essere compiuta anche con riferimento ai comuni contermini al Comune di (omissis) nei quali, in ipotesi, l'attività potrebbe essere delocalizzata. In tutti i casi la distanza dai luoghi sensibili dovrà essere considerata distintamente sia in linea d'aria che in termini di percorso pedonale a piedi", incaricando all'uopo il Direttore del Dipartimento Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito - DABC del Politecnico di Milano o suo delegato, già individuato nelle precedenti ordinanze. Il termine per assolvere all'incombente istruttorio, già fissato il 31 gennaio 2023, è stato poi prorogato, a seguito di istanza del verificatore del 5 gennaio 2023, al 15 febbraio 2023, con ordinanza collegiale 16 gennaio 2023, n. 4, ferma restando la fissazione dell'udienza di merito alla data odierna. 9. La parte ricorrente in data 16 dicembre 2022 ha nominato un proprio consulente nella persona del geom. Um. Sa.. 10. Il Direttore del Dipartimento Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito - DABC del Politecnico di Milano, con nota depositata il 5 gennaio 2023, ha delegato le operazioni di verificazione, anche per la controversia in esame, al Prof. Pi. Vi., già incaricato per i precedenti giudizi richiamati sub. 8. 11. In data 17 gennaio 2023, la Provincia autonoma di Trento, in adempimento della già citata ordinanza n. 48 del 2022, ha comunicato il dato relativo al numero complessivo delle sale giochi e dei pubblici esercizi dotati di apparecchi automatici di gioco che, nel dicembre 2022, si trovavano in posizione non conforme rispetto alla distanza minima legale di 300 metri: numero, questo, pari a 40 e che è comprensivo di 23 esercizi insediati nel territorio comunale di Trento. 12. Susseguentemente alla fase di deposito della bozza di relazione a cura del verificatore - avvenuto il 3 febbraio 2023 - ed all'inoltro in data 8 febbraio 2023 di osservazioni da parte del ricorrente avvalsosi anche del proprio del consulente, il medesimo verificatore, in data 11 febbraio 2023, ha depositato la relazione definitiva prendendo posizione sulle osservazioni della parte ricorrente. In particolare, il prof. Vi. accoglieva l'osservazione n. 1 della parte ricorrente e respingeva motivatamente le ulteriori osservazioni, concludendo come segue: "1. L'applicazione della distanza di 300 m. (buffer) dai siti sensibili individuati dall'amministrazione comunale di (omissis) non determina una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di esercizi in cui sono installati apparecchi da gioco come quello gestito dall'impresa ricorrente, in quanto l'applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili non comporta un'impossibilità assoluta dell'esercizio di queste attività all'interno del " Territorio urbanizzato" né del " Territorio comunale" . 2. La de-localizzazione rimane infatti possibile e ammessa in due ambiti urbani - che, quindi, non ricadono all'interno dei buffer di 300 metri determinati dalla presenza dei luoghi sensibili - e riguarda circa 1,9 ha, che rappresentano il 3,2% del Territorio urbanizzato, nonché lo 0,07% del Territorio comunale (2.653 ha). 3. Le aree urbanisticamente ospitali il gioco d'azzardo lecito, seppur quantitativamente limitate, consentono la possibilità di delocalizzazione al loro interno dell'attività presente nel centro storico di (omissis) . Si tratta come visto di un dato che consegue la particolare configurazione ambientale, insediativa, morfologica del territorio comunale. 4. Dal punto di vista urbanistico-funzionale generale, come ricordato nel precedente paragrafo 4.2, le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito sono rappresentate da ambiti a destinazione prevalentemente residenziale (di matrice storica, nella frazione di (omissis)) e da un'area a destinazione produttiva (in località via (omissis))". Quanto all'indagine relativa ai Comuni contermini, il verificatore ha preliminarmente individuato, ai fini della verificazione richiesta, i soli Comuni con l'accessibilità diretta attraverso la viabilità esistente, ossia i Comuni di (omissis) e di (omissis). Quindi ha dato atto che gli stessi non hanno assunto il provvedimento che individua i luoghi sensibili in questione e, pertanto, ha effettuato preliminarmente un'analisi speditiva dei principali luoghi sensibili esistenti (scuole, chiese, attrezzature pubbliche, ecc.) verificando, in ragione delle conformazioni territoriali e geografico-ambientali esistenti, che il territorio urbanizzato esistente è pressoché interamente interessato dai buffers (i.e. "respingenti") dei principali luoghi sensibili. Ha pertanto concluso come segue: "per queste ragioni, la presente verificazione ipotizza che, nei comuni contermini come precedentemente definiti, in rapporto all'accessibilità diretta e alla conformazione geografico-ambientale, non vi siano, per potenzialità urbanistiche, aree ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito". 13. Il Comune di (omissis), costituitosi il 13 dicembre 2022, con memoria del 15 febbraio 2023 ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile in quanto il provvedimento impugnato costituisce il mero aggiornamento della precedente deliberazione della Giunta comunale 11 agosto 2020, n. 104 che già individuava quasi tutti i punti sensibili presenti nei vari centri abitati che compongono il Comune, e dunque l'eventuale annullamento dell'atto censurato non potrebbe far venir meno la precedente deliberazione, la quale confermava la preesistenza di molti punti sensibili in prossimità dell'attività economica della parte ricorrente, con conferma anche dell'obbligo di rimozione degli apparecchi da gioco. Nel merito, inoltre, ha sottolineato l'infondatezza del ricorso alla luce delle conclusioni rese dal verificatore che "ha chiaramente dimostrato che nel Comune di (omissis), per effetto dell'impugnata deliberazione non è affatto impedita la possibilità di installare macchine da gioco quali quelle in esercizio presso il ricorrente". 14. Con memoria depositata il 16 febbraio 2023 la parte ricorrente, anche a seguito del deposito della verificazione, oltre a quanto già dedotto nel ricorso introduttivo, insiste in particolare sull'accoglimento della questione pregiudiziale costituzionale per il profilo che deduce il contrasto della legge provinciale n. 13 del 2015 con l'art. 41 della Costituzione. Premesso il rinnovato rinvio al parere del prof. An. Ma. - già ampiamente richiamato a sostegno di analoga doglianza nel ricorso introduttivo - ed ai decreti n. 5688/2022 del 5 dicembre 2022 e n. 5761/2022 del 7 dicembre 2022 emessi dal Presidente della Sezione IV^ del Consiglio di Stato nell'ambito dei giudizi di appello rispettivamente proposti ai sensi dell'art. 62 c.p.a. avverso le ordinanze cautelari di rigetto n. 37/2022 e n. 40/2022 di questo T.R.G.A a loro volta emesse nell'ambito dei separati ricorsi qui pendenti sub. RG. 144/2022 e sub. RG. 137/2022, secondo la parte ricorrente l'effetto espulsivo conseguente al "distanziometro" previsto nella l.p. 13 del 2015, troverebbe "robusto avvallo negli accertamenti tecnici confluiti nell'odierno procedimento", difettando in particolare la proporzionalità nella scelta espressa dal legislatore. In primo luogo, e riproponendo le osservazioni formulate dal geom. Sa., la parte ricorrente evidenzia l'esiguità dell'area teoricamente insediabile, determinata nella relazione del consulente di parte nello 0,12%, ulteriormente ridotta dal verificatore nello 0,07% del territorio comunale, e che costituisce "l'unico termine di raffronto corretto e possibile", ritenendo doveroso escludere qualunque rilievo al "territorio urbanizzato", il quale non solo esorbita dal quesito prospettato ma considera "anche strade ed aree pubbliche, dove la collocazione di " aree per il gioco lecito" risulta oggettivamente non possibile". Si appunta, poi, quanto alla "miserrima" area individuata come insediabile sul centro urbano della frazione comunale di (omissis), deducendo l'impossibilità di localizzare ivi l'attività per la raccolta del gioco lecito, così come emergerebbe dalle fotografie del luogo. In aggiunta sottolinea come sia il verificatore, sia il consulente di parte, hanno concordemente rilevato che nessuna possibilità di localizzazione può essere individuata nei Comuni contermini: "Ecco, quindi, che il contesto accertato nell'ambito del Comune di (omissis) evidenzia una interdizione alla attività di impresa pari al 99,93% ed una impossibilità di trasferimento della stessa al di fuori dei confini comunali". 15. Con memoria del 19 febbraio 2023 la Provincia autonoma di Trento ha osservato come la relazione depositata dal prof. Vi. ha approfondito in concreto la situazione fattuale del Comune di (omissis), nel solco della giurisprudenza del Consiglio di Stato, ed ha consentito di escludere la sussistenza di un effetto espulsivo derivante dall'applicazione della legge provinciale n. 13 del 2015, da cui consegue, invece, solo una marginalizzazione dell'attività economica. La Provincia si è soffermata, poi, sull'infondatezza del settimo motivo di ricorso, già dedotta nelle precedenti memorie, quanto all'insussistenza della tensione della disciplina di fonte provinciale con la direttiva comunitaria 98/34/CE, come modificata dalla direttiva 98/48/CE e da ultimo sostituita dalla direttiva 2015/1535/UE, nonché con gli artt. 49 e 56 del TFUE, non integrando la distanza minima dai luoghi sensibili una regola tecnica afferente ai servizi della società dell'informazione o alla libera commerciabilità dei prodotti, come più volte statuito al riguardo dal Consiglio di Stato. Inoltre ha ribadito che "la Corte di Giustizia ha escluso che i " giochi elettronici messi a disposizione di un giocatore presente in una sala giochi" costituiscono un servizio fornito a distanza, sicché la distanza minima legale degli apparecchi da gioco dai luoghi sensibili non rientra nella categoria " regole relative ai servizi" (Corte di Giustizia, sentenza Admiral, 8 ottobre 2020, C-711/19)". Tale distanza non può altresì essere considerata "specificazione tecnica" di un prodotto "in quanto non riguarda le caratteristiche che deve possedere il terminale di gioco, i suoi livelli di qualità o di proprietà di utilizzazione, ovvero la sicurezza", né "è riconducibile alla categoria delle " regole tecniche" di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2015/1535 concernenti l'utilizzazione di un prodotto... che hanno una portata evidentemente più ampia di una semplice restrizione dell'utilizzo e comportano un utilizzo puramente marginale del prodotto in questione". Infine, la distanza minima non può rilevare quale "altro requisito" in quanto non influenza in modo significativo la commercializzazione di simili apparecchiature. Infatti: "Anche alla luce degli esiti della verificazione tecnica si deve concludere che risulta evidente, come già ritenuto dal Consiglio di Stato, che l'introduzione di una distanza minima legale dai luoghi sensibili non ha comportato l'introduzione di un numero massimo di esercizi pubblici nei quali gli apparecchi possono essere installati, né l'introduzione di un numero massimo di apparecchi autorizzabili all'interno degli esercizi stessi". 16. Infine, nelle memorie conclusive di replica delle Amministrazioni resistenti, rispettivamente del 28 febbraio 2023 e del 1° marzo 2023: A) il Comune di (omissis) si sofferma sull'infondatezza del settimo motivo di ricorso, ricordando la previsione dell'allegato V della direttiva 22/06/1998, n. 98/34/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio) che "include espressamente nell'elenco indicativo dei servizi non contemplati dall'articolo 1, i servizi non forniti " a distanza", i servizi forniti in presenza del prestatario e del destinatario, anche se mediante dispositivi elettronici, tra i quali indica anche alla lettera d) i giochi elettronici messi a disposizione di un giocatore presente in una sala giochi. A questo proposito la Corte di Giustizia UE ha affermato che ai sensi dell'articolo 1, punto 2), della direttiva 98/34, la categoria di "regola tecnica" include nel proprio ambito soltanto le regole riguardanti i servizi della società dell'informazione, ossia ogni servizio prestato a distanza per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi (così Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 20/12/2017, n. 255/16). In buona sostanza, secondo costante giurisprudenza comunitaria, disposizioni nazionali che si limitano a fissare le condizioni per lo stabilimento delle imprese o la prestazione di servizi da parte di queste ultime, come le disposizioni che assoggettino l'esercizio di un'attività professionale ad un previo atto autorizzativo, non costituiscono regole tecniche ai sensi dell'articolo 1, punto 11), della direttiva 98/34 (v. in tal senso, sentenze del 4 febbraio 2016, Ince, C-336/14, EU:C:2016:72, punto 76, e del 1° febbraio 2017, Municipio de Palmela, C-144/16, EU:C:2017:76, punto 26)"; B) la Provincia autonoma di Trento richiama ancora la relazione del prof. Vi. a sostegno della verifica in concreto dell'assenza dell'effetto espulsivo, rinviando alle relative conclusioni che espongono la possibilità di insediare l'attività dei ricorrenti nel territorio comunale di (omissis) . Inoltre, rigetta l'argomentazione della parte ricorrente che si riferisce ai contenuti dei decreti cautelari monocratici del Presidente del Consiglio di Stato, con particolare riferimento alla questione relativa al lungo periodo della vacatio applicativa che, al contrario di quanto osservato, attiene "al solo profilo della sussistenza del periculum in mora, e non al profilo, proprio della fase di merito, della fondatezza della pretesa" deducendo che "... il periodo di sette anni per le sale giochi e di cinque anni per gli altri esercizi, riconosciuto agli operatori economici per la rimozione degli apparecchi da gioco ha costituito una giusta misura di contemperamento tra le esigenze di tutela della salute e le esigenze di tutela dell'iniziativa economica privata..... non costituisce la conferma della insussistenza dell'esigenza di tutela della salute (esigenza già ritenuta sussistente dal Legislatore statale e dalla Corte costituzionale)". Prospetta, infine, la non rilevanza ai fini del decidere del richiamo alla possibilità del Comune di estendere la distanza dai luoghi sensibili oltre i 300 mt., prevista dall'art. 5, comma 2, della l.p. n. 13 del 2015, posto che tale facoltà non è stata esercitata nel caso di specie. Da ultimo, quanto alla censura secondo la quale la Provincia autonoma di Trento avrebbe dovuto notificare preventivamente la misura alla Commissione europea ai sensi della direttiva 2015/1535/UE, "ribadisce che il Consiglio di Stato ha già dichiarato l'infondatezza della censura con riferimento ad analoghe prescrizioni di una distanza minima legale degli apparecchi da gioco (Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5251; sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1618)". 17. Da ultimo anche la parte ricorrente, nella memoria di replica del 2 marzo 2023, ha insistito per le conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo e ribadite nelle memorie difensive depositate, in particolare soffermandosi sull'assenza di qualsivoglia riflessione delle controparti sugli ulteriori motivi, rispetto alla lamentata tensione della legge provinciale con l'art. 41 della Cost., ribadendo il "grave errore metodologico consistente nel ritenere aprioristicamente certe e non bisognose di investigazioni ulteriori le tematiche sanitarie che sarebbero sottese alle norme di riferimento, costituendone la ratio", osservando altresì che: - "l'adozione dello strumento del distanziometro da parte delle legislazioni di settore non è l'unico mezzo efficace e funzionale per contrastare un approccio patologico al gioco lecito"; - l'effetto espulsivo lamentato non ricorre solo ed esclusivamente alla condizione di aver accertato un'espulsione totale dell'attività economica; - è "oggettivamente insostenibile demandare alla giurisprudenza l'individuazione della percentuale al di sopra della quale possa discorrersi di interdizione non tollerabile al di sotto della quale è invece possibile discutere di interdizione consentita e proporzionata; - la valutazione deve invece concernere la proporzionalità e ragionevolezza di un criterio normativo omogeneo per tutta la Provincia di Trento "che va ad imporre l'osservanza di una determinata distanza da parte di un solo e specifico comparto imprenditoriale rispetto ad una moltitudine di siti sensibili di enorme diffusività con la riconosciuta facoltà dei comuni di prevedere ad libitum distanze superiori ai 300 m senza alcun limite prefissato" come fatto, ad esempio, dal Comune di (omissis) con la propria deliberazione n. 20 del 3 giugno 2019 che ha previsto una distanza di ben 1000 mt. L'effetto espulsivo lamentato dovrebbe considerare un orizzonte più vasto rispetto a quello del solo Comune di (omissis) per estendersi all'intero territorio trentino, laddove anche il criterio della distanza stradale pedonale, in luogo del criterio del "raggio in linea retta ed in linea d'aria" - adottato in sede applicativa in assenza di un riferimento nella legge provinciale - non farebbe venir meno l'obiezione circa l'effetto espulsivo dell'attività "non variandone le percentuali di interdizione come è stato esplicitamente riconosciuto dalle parti resistenti". Secondo la parte ricorrente, nel caso di attività preesistenti, la verifica della possibilità di delocalizzazione dovrebbe essere effettuata in concreto ed invece il verificatore non si sarebbe spinto a tale verifica concreta e fattuale "per comprendere non in astratto ma nella realtà se la delocalizzazione sia o meno possibile con quali costi ed oneri e se sia o meno ostacolata da impedimenti anche solo fattuali", come richiesto dalla giurisprudenza più recente (Cons. Stato, Sez. V, n. 11426 del 2022). 18. Alla pubblica udienza odierna il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO I. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni in rito prospettate dalle Amministrazioni resistenti poiché il ricorso non è meritevole di favorevole apprezzamento per le ragioni di seguito esposte. II. Difetta innanzitutto il presupposto di non manifesta infondatezza necessario per accogliere la richiesta di sollevare la questione pregiudiziale di legittimità costituzionale delle disposizioni degli articoli 5 e 14 della legge provinciale della Provincia autonoma di Trento 22 luglio 2015, n. 13, alla luce delle seguenti considerazioni. II.1. In premessa vale rammentare che la disciplina recata dalla legge provinciale n. 13 del 2015 mira a far fronte all'emergenza insorta in seguito alla diffusione capillare del gioco d'azzardo che ha prodotto in un'ampia fascia dei fruitori forme patologiche di dipendenza con conseguenze devastanti, in termini di deterioramento delle attività personali, familiari e lavorative, a cui non è estraneo l'ambito locale, come risulta dalla relazioni prodotte dalla qui resistente Provincia autonoma di Trento (doc. 1, 2 e 3 del 7.12.2022 Provincia). Secondo la letteratura scientifica il disturbo da gioco d'azzardo presenta molte similitudini con il disturbo da uso di sostanze, e per le perdite finanziarie che implica è anche suscettibile di avviare nella persona affetta una catena di conseguenze negative, sino al ricorso a comportamenti antisociali che possono trasmodare nella commissione di reati. Il gioco legale, dunque, oltre a rappresentare un'importante occasione d'iniziativa d'impresa economica e ragguardevoli entrate per l'erario dello Stato, allo stesso tempo scarica sulla collettività enormi costi sociali (cfr. doc. 6 Provincia). In tal senso la Provincia autonoma di Trento (al pari di altre Regioni e della contigua Provincia autonoma di Bolzano), emanando le succitate disposizioni di legge in materia, ha inteso opporre un argine a tali emergenze, per quanto di interesse, attraverso gli artt. 5 e 14, mediante l'adozione di misure preventive volte ad allontanare l'offerta di gioco dai luoghi in cui si concentrano soggetti considerati maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socioassistenziale, esplicitando in tal senso il fine di "tutelare determinate categorie di persone più vulnerabili e per prevenire la dipendenza da gioco". Allo scopo è stata così introdotta la misura, per brevità definita "distanziometro", consistente nel divieto di collocare gli apparecchi da gioco di cui all'art. 110, comma sesto del testo unico approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 525, della l. 23 dicembre 2005, n. 266, recante "Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza" (d'ora in avanti: TULPS) - di dimostrata maggior pericolosità in termini di insorgenza della ludopatia - ad una distanza inferiore a 300 mt. da luoghi sensibili, elencati nell'articolo 5 più volte richiamato. Nel contempo all'art. 14 la legge provinciale di cui trattasi impone un obbligo di rimozione degli apparecchi già situati a distanza inferiore, entro un termine di sette o cinque anni, in ragione della rispettiva collocazione in sale da gioco o in altri locali: termini, questi, rispettivamente scaduti il 12 agosto 2022 e il 12 agosto 2020. II.2. Relativamente a tale disciplina, la parte ricorrente prospetta nuovamente i dubbi di costituzionalità che in passato sono già stati, più volte, oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale e avanzati anche in sede di giurisdizione amministrativa, tra cui anche innanzi a questo Tribunale. II.3. Muovendo dai precedenti della Corte Costituzionale, è bene ricordare la nota sentenza n. 300/2011, che ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di costituzionalità prospettate con riguardo all'art. 11, comma 1 bis, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 14 dicembre 1988, n. 58 e all'art. 5 bis della legge della medesima Provincia autonoma 13 maggio 1992, n. 13, allora introdotti dalla legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13. Tali disposizioni hanno individuato, appunto, le misure volte alla prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza dal gioco d'azzardo lecito (c.d. ludopatia o GAP - gioco d'azzardo patologico) consistenti nell'imposizione di una distanza minima di 300 mt. delle sale giochi e scommesse dai luoghi cc.dd. "sensibili", vale a dire luoghi nei quali si presume la presenza di soggetti appartenenti alle categorie più vulnerabili o, comunque, in condizioni contingenti di difese ridotte rispetto alla tentazione del gioco d'azzardo ed all'illusione di poter conseguire attraverso di esso facili guadagni. Si tratta di disciplina dunque sostanzialmente analoga, per questo aspetto, a quella provinciale di Trento oggi in considerazione. La Corte costituzionale nella richiamata sentenza ha escluso al riguardo la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza. In particolare, la Corte ha precisato che: - tali disposizioni "sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica", mentre la materia ordine pubblico e sicurezza, secondo la consolidata giurisprudenza della stessa Corte, "attiene alla " prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico" inteso questo quale " complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale" "; - "la semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale"; - per il profilo lamentato, le suddette disposizioni provinciali sono costituzionalmente legittime in quanto "hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell'ordine pubblico, inteso nei termini dianzi evidenziati, preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso a detti giochi degli utenti" poiché "non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità ) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dall'altro, influire sulla viabilità e sull'inquinamento acustico delle aree interessate". La conclusione sopraesposta ha poi trovato conferma anche con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, come risulta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 108/2017 con riguardo alla legge regionale Puglia 13 dicembre 2013, n. 43. Con tale pronuncia, la Corte ha ribadito che il legislatore regionale, con la ivi censurata disposizione, persegue in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente "tutela della salute" (art. 117, terzo comma, Cost. come sostituito dall'art. 3 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.) nella quale le Regioni possono legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale, muovendosi pertanto la norma regionale su un piano distinto da quella del TULPS. In tale contesto, la Consulta ha anche escluso il contrasto della legge regionale con la norma interposta di cui all'art. 7, comma 10, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito nella l. 8 novembre 2012, n. 189, ricavandosi dalla citata disposizione statale soltanto il principio della legittimità di interventi di contrasto della ludopatia fondati sul rispetto di distanze minime dai luoghi cc.dd. "sensibili" e non anche quello della necessità della previa definizione della relativa pianificazione a livello nazionale, affermando altresì che: "La pianificazione prefigurata dalla disposizione statale invocata come norma interposta non è, peraltro, mai avvenuta, non essendo stato emanato, malgrado il tempo trascorso, il decreto interministeriale che doveva definirne i criteri. Il che rende l'intiero meccanismo inoperante, non potendosi ritenere che la mancanza di detto decreto paralizzi sine die la competenza legislativa regionale (al riguardo, sentenza n. 158 del 2016)". In senso conforme si è espressa anche la successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 27/2019 con riguardo alla legge regionale Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40. Ivi si legge, altresì, che "in data 7 settembre 2017 è stata siglata in Conferenza unificata l'intesa prevista dall'art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", volta alla definizione delle caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché dei criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età . L'intesa fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali, ove recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive. Sebbene tuttora non recepita dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze previsto dalla legge n. 208 del 2015, tale intesa è stata espressamente richiamata dalla successiva legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che all'art. 1, comma 1049, stabilisce che le Regioni adeguino la propria legislazione a quanto sancito dalla stessa. Il quadro normativo e giurisprudenziale, dunque, consente espressamente alle Regioni d'intervenire prevedendo distanze minime dai luoghi sensibili per l'esercizio delle attività legate ai giochi leciti, anche individuando luoghi diversi da quelli indicati dal D.L. n. 158 del 2012, come convertito" (cfr. anche sentenza 185/2021 ove l'inclusione nell'ambito materiale della "tutela della salute" è incidentalmente ribadito: "La tutela della salute, nella cui cornice si inscrivono le misure intese a contrastare il gioco d'azzardo patologico (sentenze n. 27 del 2019, n. 108 del 2017 e n. 300 del 2011), è obiettivo di sicuro rilievo costituzionale"). II.4. Anche nell'esercizio della giurisdizione amministrativa i dubbi di costituzionalità avanzati nel ricorso in esame sono stati scrutinati pervenendo all'esito della loro manifesta infondatezza. Anzitutto questo Tribunale, chiamato ad esprimersi sulla previgente disciplina legislativa provinciale, costituita dall'art. 13 bis della legge provinciale 14 luglio 2000, n. 9, recante la previsione di analoga misura - ossia la facoltà dei Comuni di limitare o vietare la installazione degli apparecchi da gioco entro i limiti di distanza di 300 metri dai luoghi sensibili - ha a sua volta statuito, con giurisprudenza costante, che il legislatore provinciale è abilitato a dettare siffatta disciplina limitativa, in quanto opera nell'ambito riservatogli dallo Statuto di autonomia (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) relativo alla tutela della salute o della tutela del territorio (cfr, ivi, rispettivamente, gli artt. 8, n. 5 e 9, n. 10) e non incide in tema di sicurezza o di ordine pubblico (cfr. sentenze 63, 64, 86, 100, 101, 104, 160, 161, 194 e 195 del 2013). In particolare, nella sua sentenza n. 63 del 21 febbraio 2013, questo Tribunale ha affermato che costituisce "uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi (ndr. d.l. 158 del 2012) l'esigenza - sia pure valutata con un diverso grado di urgenza - che tra i locali, ove sono installati gli apparecchi da gioco, e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione debba intercorrere una distanza minima, idonea ad arginare i richiami e le suggestioni consistenti nell'illusoria possibilità di facile ed immediato arricchimento" (nello stesso senso cfr. anche T.R.G.A. Trento, 7 marzo 2013, n. 104). Procedendo in termini generali, tra le numerose sentenze del Giudice amministrativo d'appello, assume dirimente rilievo anche nell'ambito del presente giudizio la recente sentenza resa dal Consiglio di Stato, sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1618. Con tale pronuncia sono stati respinti gli appelli riuniti proposti avverso le sentenze rese dalla Sezione autonoma di Bolzano del TRGA e con le quali erano stati rigettati i ricorsi aventi ad oggetto provvedimenti di decadenza adottati in ragione del fatto che le sale giochi erano ubicate entro un raggio di 300 mt. da luoghi sensibili, come definiti dall'art. 5 bis, comma 1, della legge provinciale di Bolzano n. 13 del 1992 (secondo il quale "Per ragioni di tutela di determinate categorie di persone e per prevenire il vizio del gioco, l'autorizzazione di cui all'articolo 1, comma 2, per l'esercizio di sale da giochi e di attrazione non può essere concessa ove le stesse siano ubicate in un raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente dai giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale. L'autorizzazione viene concessa per 5 anni e ne può essere chiesto il rinnovo dopo la scadenza. Per le autorizzazioni esistenti il termine di 5 anni decorre dal 1° gennaio 2011"). Tale pronuncia è stata preceduta da una consulenza tecnica d'ufficio disposta con riguardo al territorio della provincia di Bolzano per acclarare la sussistenza dell'effetto espulsivo lamentato dai ricorrenti. L'esito di tale indagine è stato riportato in tale sentenza nei termini così riassunti: "è emerso che, sotto un profilo geografico-territoriale-urbanistico, l'applicazione del criterio della distanza dai siti c.d. sensibili individuati nell'art. 5-bis, commi 1 e 1-bis, l. prov. n. 13/1992 non determina in nessuno dei comuni presi in considerazione nei due elaborati peritali una privazione dell'intero segmento di mercato..., in quanto l'applicazione del criterio distanziale non comporta un'interdizione/espulsione assoluta degli esercizi gestiti dalle imprese ricorrenti né dal territorio dei singoli comuni interessati dai vari ricorsi (compresi i territori dei comuni limitrofi) né, tanto meno, dall'intero territorio provinciale. Infatti, le simulazioni e i rilevamenti effettuati dal consulente tecnico d'ufficio hanno evidenziato la persistente sussistenza di uno spazio utile residuo nell'ambito dei singoli terrori comunali, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l'organizzazione economica delle attività delle sale giochi gestite dalle imprese odierne appellanti....il consulente tecnico d'ufficio.....è pervenuto alla conclusione (in risposta al secondo quesito sottopostogli) che l'attuale configurazione dell'offerta provinciale mostra come le sale gioco abbiano operato nel corso degli anni passati in modo da rendere la localizzazione un parametro strategicamente non rilevante per la propria raccolta di gioco.....collegando la struttura dell'offerta alla struttura della domanda, il consulente tecnico d'ufficio, in applicazione del modello sviluppato, poggia la conclusione della sostanziale indifferenza, in termini di entità della raccolta e dei ricavi, della ricollocazione delle sale gioco di ciascun ricorrente nelle aree disponibili in conseguenza del criterio distanziale previsto dalla normativa provinciale, sui rilievi che, per un verso, la spesa complessiva destinata ai diversi prodotti di gioco è molto più elevata nel caso di giocatori problematici e patologici..., i quali, al contempo, sono molto più propensi allo spostamento verso i nuovi siti..., e che, per altro verso, la specializzazione dell'offerta sulle categorie dei giocatori ad elevato rischio è più redditizia per le imprese offerenti...". Sulla scorta di tali assunti il Consiglio di Stato ha pertanto conclusivamente escluso che "la censurata disciplina legislativa determini un'interdizione assoluta del diritto all'esercizio dell'attività economica del gioco lecito in ambito comunale e/o provinciale e una soppressione di tale settore di mercato, con sequela di manifesta infondatezza, sotto tale profilo, della questione di legittimità costituzionale per violazione della libertà di iniziativa economica sancita dall'art. 41, primo comma, della Costituzione". In particolare, nella citata sentenza si legge: "Quanto al profilo dell'adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite - vò lte, oltre a preservare il contesto urbano dai danni alla viabilità e alla quiete pubblica, a tutelare determinate categorie di persone (giovani o soggetti in particolari condizioni sociali e psichiche) e di prevenire il gioco d'azzardo patologico, ovvero la dipendenza dal gioco - ritiene il Collegio che, nella specie, le scelte del legislatore rientrino ampiamente nei limiti della discrezionalità riservata all'attività legislativa, nella specie esercitata correttamente, attesa l'indubbia ragionevolezza della disciplina censurata, realizzando la stessa in modo plausibile il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tramite l'introduzione di criteri distanziali di localizzazione, idonei ad arginare in via preventiva le esternalità negative dell'attività d'impresa del gioco lecito sulla salute pubblica, con ciò concretizzando, nel settore di riferimento, la clausola del mancato contrasto con l'utilità sociale di cui all'art. 41, secondo comma, Cost. (nella quale rientrano anche le esigenze di tutela della sanità e della salute pubblica), e superando con ciò la norma limitativa dell'attività d'impresa il vaglio positivo di ragionevolezza, nel rispetto di tale principio generale enucleabile dall'art. 3 della Costituzione. Infatti, premesso che deve ritenersi assodato che lo spostamento delle sale gioco in aree periferiche e la minore capillarità nella distribuzione delle stesse comportino una riduzione significativa del gioco negli apparecchi da intrattenimento in prevalenza nell'ambito della categoria dei giocatori consumatori occasionali/sociali, si osserva che, sebbene secondo le valutazioni del c.t.u. tale categoria di giocatori sia caratterizzata da un profilo di rischio assente o basso rispetto alla possibilità di sviluppare comportamenti patologici di gioco, l'introduzione del distanziometro, sotto il profilo della tutela della salute, ben può essere ritenuto un intervento idoneo ed efficace per prevenire forme di ludopatia, nella misura in cui il gioco occasionale sia interpretato come lo stadio iniziale di un processo che, ancorché in termini probabilistici, porti linearmente allo sviluppo di una dipendenza. Siffatta interpretazione, ancorché controversa nella letteratura del settore, si muove pur sempre entro i limiti dell'attendibilità tecnico-scientifica - infatti il c.t.u., nelle relazioni peritali, dà atto che " le tre categorie di consumatori descritte (ossia, quelle del giocatore sociale, del giocatore problematico e del giocatore patologico; n. d.e.) sono spesso implicitamente o esplicitamente collocate in un continuum che va dai giocatori sociali a quelli patologici e dunque interpretate da alcuni studiosi come differenti stadi di un'evoluzione in senso patologico del comportamento di gioco che, purtuttavia, va considerata come sequenza di fasi di un processo lineare solo per alcuni soggetti", citando correlativa letteratura - sicché alla disciplina dei criteri distanziali dai siti sensibili può essere attribuita, in modo non implausibile, un'efficacia preventiva nella lotta a fenomeni di ludopatia. Occorre, sul punto, precisare che la discrezionalità del legislatore non va confusa con la discrezionalità (amministrativa e/o tecnica) dell'amministrazione pubblica, nel senso che la prima costituisce l'esplicazione delle scelte politiche degli organi investiti del potere legislativo e trova i suoi limiti nelle sole norme sovraordinate di rango costituzionale (ed, eventualmente, nel diritto eurounitario), talché la stessa, una volta rispettati tali limiti (compresi i principi di ragionevolezza e di razionalità intrinseca), non appare ulteriormente sindacabile (in sede di giudizio di costituzionalità ). Ulteriori elementi utili a suffragio dell'efficacia del distanziometro possono trarsi dalla tabella 3.1. delle relazioni peritali, da cui emerge che la percentuale di giocatori con profili di rischio moderato e severo, nell'arco temporale 2007-2017, cresce nella fascia di età dai 15 ai 34 anni, raggiungendo nel 2017-2018 il 9,9% del totale dei giocatori, rispetto al 5,4% del 2007-2008. Ne deriva l'indubbia congruità /adeguatezza dell'individuazione di siti sensibili frequentati da appartenenti alla fascia della popolazione giovanile. Né le considerazioni innanzi svolte possono ritenersi infirmate dalle osservazioni del c.t.u. per cui la contrazione dei segmenti di domanda da servire porterebbe inevitabilmente gli operatori degli esercizi dedicati a concentrare le proprie strategie commerciali verso i giocatori non occasionali, disposti a spostarsi per soddisfare il proprio bisogno di giocare, talché, nel breve termine, la raccolta di gioco relativa ai giocatori patologici o problematici, ovvero relativa a coloro che si caratterizzano per profilo di rischio moderato e/o severo, non dovrebbe subire per il complesso delle sale ubicate nel territorio provinciale variazioni significative, poiché tali consumatori, per i meccanismi sottesi alle dipendenze, sarebbero disposti a spostarsi anche di molto al fine di soddisfare il bisogno di gioco, con il conseguente rischio di una concentrazione delle strategie degli operatori verso i giocatori problematici con la finalità di attirarne un maggior numero all'interno delle sale e con la possibilità che una parte più o meno ampia di questi possa aggravare il proprio comportamento di gioco nella direzione dello sviluppo di una reale dipendenza patologica. Trattasi, invero, di effetti negativi nel breve periodo, da affrontare in un momento successivo con interventi adeguati incentrati sulle categorie dei giocatori problematici, mentre nella presente sede appare dirimente la non implausibile efficacia preventiva sulle categorie dei giocatori sociali/occasionali e delle fasce giovanili, onde impedirne un'evoluzione in senso patologico nel comportamento di gioco. Ne deriva l'indubbia congruità /adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite e la mancata violazione dell'art. 41 Cost. e del principio di ragionevolezza, con conseguente insussistenza dei presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale". La sentenza da ultimo richiamata è passata in giudicato, poiché i plurimi ricorsi per revocazione incardinati da diversi operatori del settore, sono stati tutti dichiarati inammissibili con le sentenze della sez. VI del Consiglio di Stato, nn. 10322/2022; 10323/2022; 10324/2022 e 10326/2022, pubblicate il 23 novembre 2022. A tali decisioni hanno, poi, formato seguito le sentenze del T.R.G.A. di Bolzano di rigetto degli ulteriori ricorsi nel frattempo presentati nella medesima materia (cfr. sentenze T.R.G.A. Bolzano n. 49, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63 e 66 del 2023). Così anche di sicuro rilievo è la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato depositata il 28 dicembre 2022, n. 11426 di conferma della decisione del T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, 23 dicembre 2020, n. 856 e che ha ritenuto non produttiva di effetto espulsivo una percentuale di aree idonee all'insediamento di apparecchi da gioco pari allo 0,28% del territorio comunale: e ciò sulla scorta, anche in quel caso, dell'analisi svolta sulla situazione materialmente in essere. In quest'ultima sentenza risulta, però, ulteriormente valorizzata l'esigenza di analizzare i casi concretamente sottoposti alla disamina in sede giudiziale al fine di accertare non solo se l'imposizione dei limiti distanziali determini nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di cui trattasi, ma anche se l'individuazione delle aree destinate all'attività medesima renda, di fatto, impossibile la delocalizzazione delle imprese esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico-edilizie, secondo una valutazione nell'ambito della quale rilevano non soltanto gli impedimenti di natura giuridica, ma anche "gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali". In particolare nella motivazione della predetta sentenza n. 11426 del 2022 si legge quanto segue: "Non è in discussione la conformità a Costituzione, in specie all'art. 41, comma 2, della legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili (cfr. Cons. Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8298), né la compatibilità con la normativa euro unitaria, considerato che la Corte di Giustizia UE ammette le misure derogatorie alle libertà di stabilimento, di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi per giustificati motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, oltreché per " motivi di interesse generale" (cfr., tra le altre, Cons. Stato, VI, 11 marzo 2019, n. 1618 e id., 19 marzo 2019, n. 1806). Quanto alla ragionevolezza dell'interdizione, si osserva che in plurime occasioni, ed in modo puntuale con la sentenza n. 108 del 2017, la Corte Costituzionale è intervenuta a difesa della normativa regionale, precisando che serve ad " evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo"" . La questione tuttora controversa attiene piuttosto agli effetti delle misure adottate sulle attività in essere ed alla loro idoneità a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l'ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi. Rileva al riguardo il principio di proporzionalità ... che impone all'amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato; evidenziandosi, altresì, che, definito lo scopo avuto di mira, il principio è rispettato se la scelta concreta dell'amministrazione è in potenza capace di conseguire l'obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità ), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza), come da giurisprudenza costante (cfr. Cons. Stato, V, 26-8-2020, n. 5223; V, 4-12-2019, n. 8298; V, 20-2-2017, n. 746; V, 23-12-2016, n. 5443; IV, 22-6-2016, n. 2753; IV, 3-11-2015, n. 4999; IV, 26-2-2015, n. 964). Questo Consiglio di Stato ha affermato, con argomentazioni che si richiamano e si condividono, che il limite distanziale, comportante il divieto di esercizio delle sale da gioco, delle sale scommesse e dei punti di raccolta in locali che si trovino a una distanza inferiore a 500 metri dai luoghi sensibili, costituisce mezzo idoneo al perseguimento degli obiettivi prefissati di contrasto al fenomeno c.d. della ludopatia (così, con specifico riferimento alla normativa della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna, Cons. Stato, pareri n. 686/21, n. 1840/21 e 550/22; ma, più in generale, cfr. anche Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147). In particolare, il già citato parere n. 686/21 ha osservato che " si è di fronte ad una misura che realizza la finalità delle norme dettate in materia, atteso che essa consente di salvaguardare, attraverso la riduzione delle occasioni di gioco, fasce di consumatori psicologicamente più vulnerabili ed immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni (cfr. sul punto, Cons. Stato, V, 4-12-2019, n. 8298; VI, 19-3-2019, n. 1806); in particolare, essa, ponendo limitazioni spaziali agli esercizi dove si raccolgono il gioco e le scommesse, rende maggiormente difficoltoso, specie per le categorie a rischio, l'incontro con l'offerta di gioco", senza che possa rilevare in senso contrario la considerazione... che la " marginalizzazione" dei centri di raccolta potrebbe favorire situazioni di maggiore illegalità, dato che risulta perseguita la finalità principale della legislazione statale di ridurre le occasioni di gioco lecito, malgrado la necessità di ulteriori interventi di diversa natura (cfr. Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147, citata nel detto parere)". Proprio sulla scorta di tale ragionamento il Giudice d'appello ha pertanto ritenuto necessario disporre l'esecuzione, ai sensi dell'art. 66 c.p.a., di una verificazione (poi affidata al prof. Pi. Vi.) mediante ordinanza collegiale n. 1766 del 2022: e ciò, per l'appunto, allo scopo di accertare in concreto la situazione in essere nel territorio comunale di Bologna. Alla luce degli esiti di tale verificazione sono stati individuati nel Comune di Bologna spazi di delocalizzazione pari "a circa 330 ha e rappresentano il 5,4% del territorio urbanizzato" aree "prevalentemente rappresentate da ambiti a destinazione produttiva - artigianale e/o caratterizzate da funzioni urbane miste, commerciali e terziarie in particolare", ed è stato concluso che "anche nel caso astratto e poco probabile che tutte le attività di gioco d'azzardo lecito autorizzate e in esercizio in ambito comunale alla data di entrata in vigore della legge regionale decidessero la loro delocalizzazione - fattispecie assai poco probabile dal punto di vista delle effettive scelte e volontà imprenditoriali - appare comunque in via teorica possibile che tali attività possano delocalizzarsi nelle porzioni urbane urbanisticamente ospitali individuate, in ragione della loro non trascurabile dimensione quantitativa (330 ha, pari al 5,4% del Territorio urbanizzato)". La sentenza ha pertanto statuito nel senso seguente: "Quanto alla conformità della misura al principio di proporzionalità, in riferimento ai parametri della stretta necessità e dell'adeguatezza, non è condivisibile, in linea di principio, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata che " l'esistenza di aree all'uopo idonee seppur pari ad una minuscola porzione del territorio superstite (0,39 kmq pari allo 0,28% del totale)" sarebbe preclusiva del c.d. effetto espulsivo illegittimamente pregiudizievole degli interessi privati. Invero, questa affermazione è accettabile con riguardo all'installazione di nuove attività imprenditoriali. Diversamente tuttavia va atteggiato il giudizio relativo alla stretta necessità e, soprattutto, all'adeguatezza della misura distanziometrica quando applicata alle attività imprenditoriali esistenti. La violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si potrebbe configurare, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determinasse nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l'individuazione delle aree destinate rendesse impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene - in ciò parzialmente discostandosi da quanto affermato in altre occasioni (cfr. Cons. Stato, V, n. 8298/19 cit., nonché Cons. Stato, parere n. 689/21) - debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato, gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali. Formulato perciò in tal senso il secondo quesito della verificazione, va apprezzato l'accertamento del verificatore (sopra esposto) secondo cui la ri-collocazione nel territorio comunale bolognese dell'attività delle sale giochi, quali quelle della ricorrente, non è né esclusa né resa particolarmente gravosa - tale cioè da rendere in concreto inesigibile il trasferimento - dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione". Infine, è necessario fare riferimento anche alla sentenza di questo stesso Tribunale 4 febbraio 2020, n. 12 poiché riferita ad un ricorso ana a quello oggi in esame, proposto avverso la deliberazione del Comune di (omissis) n. 8 del 15/05/19 avente parimenti ad oggetto l'individuazione dei "luoghi sensibili" presenti sul territorio comunale al fine di applicare i limiti alla collocazione degli apparecchi da gioco con vincita in denaro di cui all'art. 110, comma 6, TULPS e successive modifiche, che ha condotto a respingere le ragioni espresse dalla parte ricorrente nei motivi di ricorso, per buona parte coincidenti con quelli in esame. II.5. Ciò premesso, è ora il tempo di scendere nel dettaglio delle questioni di costituzionalità poste all'attenzione del Collegio. A) Con una prima censura la parte ricorrente lamenta il contrasto delle ridette disposizioni di legge provinciale con l'articolo 41 della Costituzione che stabilisce la libertà di iniziativa economica, stante l'effetto ritenuto sostanzialmente espulsivo dell'attività da gioco lecito esercitata dalla parte ricorrente nel Comune di (omissis), sotto l'insegna Ca. De Ol., con asserita impossibilità di trasferimento dall'attuale sede logistica. Tale effetto deriverebbe dall'applicazione in concreto dell'art. 5 della legge provinciale n. 13 del 2015, in combinato disposto con la delibera della Giunta comunale n. 126/2022, attuativa delle anzidette disposizioni di legge di fonte provinciale, oggi per l'appunto in principalità impugnata e che individua i luoghi sensibili nell'ambito del territorio comunale. Siffatta conclusione sarebbe comprovata dall'elaborato tecnico, redatto dal geom. Um. Sa. e prodotto in giudizio, che determina nel 98,20% del territorio comunale la percentuale preclusa all'esercizio del gioco lecito nel Comune di (omissis) e rappresenta, per la restante parte, come "le aree insediabili risultino marginali ai centri cittadini, poco frequentate, dove insediare attività per il Gioco Legale risulta quasi impossibile". Conclude il consulente di parte nel senso seguente: "il rispetto dei vincoli introdotti dagli art. 5 e 14 della L.P. 13 del 22/07/2015 " Interventi per la prevenzione e la cura della dipendenza da gioco" rendono di fatto incompatibile il territorio comunale di (omissis) con l'insediamento delle Attività di Gioco Legale, ed in particolare, la distribuzione del Gioco Legale attraverso gli apparecchi ex art. 110 comma 6, TULPS presso esercizi pubblici come sale da gioco e di attrazione". A1) Al riguardo si evidenzia come l'articolo 41 della Costituzione, nel riconoscere la liberà di iniziativa economica, stabilisce che la stessa non possa "svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana", nonché ammette che la legge possa indirizzare e coordinare "a fini sociali ed ambientali" l'attività economica privata e pubblica. Altresì la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che la tutela della salute può integrare proprio uno dei limiti imposti alla libertà di iniziativa economica, per il valore che viene ad essa attribuito (cfr. sul punto, da ultimo, Corte Cost., 8 luglio 2022, n. 171). Si è già detto che la condivisibile e del tutto consolidata giurisprudenza riconosce nelle misure qui in considerazione l'espressione della competenza legislativa regionale ovvero delle Province autonome in materia di tutela della salute e dunque esse, sotto un primo profilo, devono annoverarsi nei richiamati limiti imposti alla libera iniziativa economica per ragioni di tutela della salute, nel caso di specie costituiti dalla necessità di prevenire la ludopatia (cfr. ancora, in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 6 settembre 2018, n. 5237). Del resto, una soluzione di questo tenore si pone anche in linea con la consolidata giurisprudenza eurounitaria, sulla base della quale "le restrizioni alle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco" (cfr. Corte di Giustizia UE, 24 gennaio 2013, C-33/2013). A2) Tuttavia, questo Tribunale ha anche aderito all'impostazione del Giudice di appello, secondo il ragionamento svolto nelle sentenze n. 1618 del 2019 e n. 11426 del 2022 già citate, che reputa indispensabile all'indagine dell'eventuale contrasto di simile disciplina con l'articolo 41 della Costituzione, anche - e soprattutto - l'approfondimento della situazione materialmente in essere, e ciò allo scopo di poter apprezzare il concreto atteggiarsi del pregiudizio alla libertà di iniziativa economica in modo da verificare la proporzionalità e la ragionevolezza della misura legislativamente imposta, poiché trattasi di un profilo non affrontato ex professo dalla Corte Costituzionale nelle precedenti sentenze (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 1618/2019, ove si legge anche "il parametro di legittimità costituzionale dell'art. 41 Cost. e dell'ivi contenuta clausola di utilità sociale deve essere rapportato al principio di ragionevolezza ex art. 3, comma 2, Cost., la cui valutazione deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (sul principio di ragionevolezza riconducibile all'art. 3, secondo comma, Cost., v. Corte cost. n. 1130/1988)". Coerentemente, con l'ordinanza collegiale 15 dicembre 2022, n. 48 è stata dunque disposta da questo Giudice un'apposita verificazione "per appurare - sulla base degli atti di causa (compresa la consulenza di parte prodotta in giudizio dalla ricorrente) e di ogni accertamento ritenuto utile ai fini della verificazione - se, tenuto conto della conformazione del territorio del Comune di (omissis) e della relativa disciplina urbanistica vigente, l'applicazione del criterio della distanza di trecento metri dai siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015, così come anche definiti nella delibera n. 126 dd.13.9.2022 della Giunta comunale di (omissis), determini che una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di esercizi in cui sono installati apparecchi da gioco come quello gestito dall'impresa ricorrente, ivi comprese le sale gioco ecc., e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di esercizi in cui possano installarsi gli apparecchi da gioco, di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione. L'analisi sopra indicata (comprensiva dell'indagine della conformazione del territorio della disciplina urbanistica vigente e dei provvedimenti di individuazione dei luoghi sensibili), dovrà essere compiuta anche con riferimento ai comuni contermini al Comune di (omissis) nei quali, in ipotesi, l'attività potrebbe essere delocalizzata. In tutti i casi la distanza dai luoghi sensibili dovrà essere considerata distintamente sia in linea d'aria che in termini di percorso pedonale a piedi", incaricando all'uopo il Direttore del Dipartimento Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito - DABC del Politecnico di Milano o suo delegato, poi individuato nel prof. Pi. Vi.. Come già esposto in fatto, il verificatore nella relazione definitiva depositata l'11 febbraio 2023 ha concluso come segue: "1. L'applicazione della distanza di 300 m. (buffer) dai siti sensibili individuati dall'amministrazione comunale di (omissis) non determina una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di esercizi in cui sono installati apparecchi da gioco come quello gestito dall'impresa ricorrente, in quanto l'applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili non comporta un'impossibilità assoluta dell'esercizio di queste attività all'interno del " Territorio urbanizzato" né del " Territorio comunale" . 2. La de-localizzazione rimane infatti possibile e ammessa in due ambiti urbani - che, quindi, non ricadono all'interno dei buffer di 300 metri determinati dalla presenza dei luoghi sensibili - e riguarda circa 1,9 ha, che rappresentano il 3,2% del Territorio urbanizzato, nonché lo 0,07% del Territorio comunale (2.653 ha). 3. Le aree urbanisticamente ospitali il gioco d'azzardo lecito, seppur quantitativamente limitate, consentono la possibilità di delocalizzazione al loro interno dell'attività presente nel centro storico di (omissis) . Si tratta come visto di un dato che consegue la particolare configurazione ambientale, insediativa, morfologica del territorio comunale. 4. Dal punto di vista urbanistico-funzionale generale, come ricordato nel precedente paragrafo 4.2, le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito sono rappresentate da ambiti a destinazione prevalentemente residenziale (di matrice storica, nella frazione di (omissis)) e da un'area a destinazione produttiva (in località via (omissis))". A3) Le conclusioni cui è pervenuto il prof. Vi., ad avviso del Collegio, sono idonee ad escludere la sussistenza del lamentato effetto preclusivo della disciplina provinciale, e con ciò il suo contrasto con l'art. 41 della Costituzione. Al riguardo non possono essere apprezzate le obiezioni rappresentate in giudizio e, prima ancora, in sede di osservazioni alla bozza di relazione di verificazione, quanto all'erronea considerazione, nell'indagine del verificatore, del solo territorio urbanizzato in luogo dell'intero territorio comunale. Al contrario, si condivide quanto al riguardo osservato dal verificatore: "- la verificazione richiesta presenta una natura squisitamente tecnico urbanistica, vale a dire di verifica delle aree che, dal profilo della destinazione urbanistica, possono ospitare le funzioni del gioco d'azzardo lecito, a partire dagli atti e dai documenti di pianificazione (in rapporto quindi allo stato di diritto vigente); - il territorio urbanizzato rappresenta il corretto e naturale riferimento per l'analisi urbanistica svolta: le aree extraurbane sono per loro natura e caratteristiche di diritto destinate a usi agricoli produttivi e di tutela ambientale e paesaggistica (si tratta delle zone E, di cui all'art. 2 del decreto interministeriale 1444/1968), all'interno delle quali sono ammesse le funzioni al servizio di tali attività ". Il riferimento al territorio comunale, nell'ambito del quesito di verificazione, deve invero essere inteso nella sua accezione tecnico-urbanistica, congruente con il perimetro dell'indagine richiesta e, dunque, con riguardo alla "conformazione del territorio del Comune di (omissis) " ed alla "relativa disciplina urbanistica vigente". Conseguentemente l'indagine è stata correttamente riferita al territorio urbanizzato (cfr. in termini sentenza T.R.G.A. Bolzano, 9 marzo 2023, n. 63 "la percentuale di aree insediabili per il gioco, pari, secondo la ricorrente all'1%": il che, peraltro, "offre un dato certamente falsato, atteso che non si può determinare la percentuale di superficie coperta dal divieto, derivante dall'applicazione del distanziometro, rapportandola all'intero territorio comunale, comprensivo cioè di quella sua parte, preponderante, in cui l'edificazione è interdetta tout court"). A4) La conclusione sopra esposta circa l'infondatezza della censura di costituzionalità, riposa sulla risultanza dell'indagine del verificatore che si traduce nell'individuazione di una percentuale di territorio urbanizzato del Comune di (omissis), disponibile al trasferimento dell'attività in questione, pari a 1,90 ha che rappresentano il 3,2% del territorio urbanizzato. Tale quantificazione in primis consente di escludere l'esistenza della lamentata impossibilità di delocalizzazione: e, se così è, il territorio del Comune di (omissis), contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non è precluso all'esercizio dell'attività da gioco lecito, mediante gli apparecchi previsti dall'art. 110, comma 6 del TUPLS. In secondo luogo, il dimensionamento sopradescritto neppure assume la risibile valenza rappresentata dalla parte ricorrente, posto che lo stesso è stato prudentemente computato sottraendo "le aree che per caratteristiche di diritto (vincoli storici, ambientali, paesaggistici) e di fatto (caratteristiche tipologiche e di urbanizzazione, o di difficile accessibilità ), rappresentano ambiti in cui l'effettivo stato dei luoghi rende altamente improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo lecito e che quindi possono essere conseguentemente considerate " resistenti" alla trasformazione" nonché "gli areali indicati come ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito sono stati già depurati dalle aree pubbliche, sia per la zona produttiva di interesse provinciale (la zona di via (omissis)), sia per la frazione di interesse storico di (omissis) (al netto della viabilità d'accesso a servizio degli edifici storici)". Dunque, si tratta di una quantificazione non meramente teorica ed astratta, ma declinata in concreto, ossia in relazione alla situazione territoriale del Comune considerato. Di ciò dà plateale evidenza il contenuto della relazione in argomento che, a pag. 16 e 17, dopo aver individuato le "aree potenzialmente e astrattamente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito" in "un dato che rappresenta l'8,3% del territorio urbanizzato (60,2 ha) che sua volta la rappresenta circa l'1,9% dell'intero territorio comunale (2653 ha)", sottrae "le aree che per le caratteristiche di diritto (vincoli storico, ambientali, paesaggistici) e di fatto (caratteristiche tipologiche di urbanizzazione, difficile accessibilità ) presentano ambiti il cui effettivo stato dei luoghi rende altamente improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo lecito e che quindi possono essere conseguentemente considerate " resistenti" alla trasformazione per complessivi 3,1ha", e così toglie dalla considerazione delle aree insediabili gli "insediamenti storici isolati (di cui all'art. 39 delle Norme del PRG 2014) diffusi in tutto il territorio extraurbano ma che presentano un'accessibilità difficoltosa e sono sottoposte a limitazioni degli interventi per le tutele e le salvaguardie previste dal PRG 2014, per complessivi 1,6ha" nonché le "aree pertinenziali esterne (di cui all'art 54 delle norme del PRG 2014), all'interno delle quali non è ragionevolmente ipotizzabile la localizzazione di funzioni del gioco d'azzardo lecito, per complessivi 1,5ha. Conseguentemente le aree effettivamente urbanisticamente ospitali all'interno del Comune di (omissis) ammontano a 1,9 ha ottenuti come visto sottraendo dai 5,0 teorici ettari astrattamente ospitali i 3,1 ettari " resistenti" alla trasformazione". A5) Sotto altro profilo, reputa il Collegio che l'identificazione del corretto parametro di riferimento atto a costituire la base di calcolo della percentuale di areale disponibile (concernente l'intero territorio comunale o il solo territorio urbanizzato) non meriti l'attenzione riservata nell'ambito degli atti difensivi della parte ricorrente, in quanto all'evidenza superata dall'individuazione in concreto delle aree per l'eventuale delocalizzazione, su cui deve invece concentrarsi la valutazione nell'ambito del giudizio. Invero il verificatore ha individuato due aree potenzialmente idonee ad una nuova collocazione dell'attività, segnatamente costituite da "due ambiti visivamente rappresentati negli elaborati prodotti e allegati alla presente relazione di verificazione (elaborati nn. 4 e 6): - il centro storico della frazione di (omissis), di matrice prevalentemente residenziale con una commistione di tipologie insediative derivante dall'originaria caratterizzazione produttiva rurale; - l'area esistente a destinazione produttiva di via (omissis), in corrispondenza dell'I. Ce. Ma. ". Anche la parte ricorrente riconosce che le predette aree sono effettivamente esterne ai buffers ("respingenti") determinanti il raggio di distanza di 300 mt. dai luoghi sensibili, salvo operare sulle stesse una valutazione di inidoneità così circostanziata: "le aree insediabili risultino marginali ai centri cittadini, poco frequentate, dove insediare attività per il Gioco Legale risulta quasi impossibile". Reputa il Collegio che tali ultime considerazioni non valgano affatto a comprovare l'effetto espulsivo in concreto lamentato, in quanto rappresentano - semmai - la ritenuta prospettiva di minore appetibilità economica del luogo deputato per il trasferimento, nonché il disagio derivante da tale spostamento, rispetto al locale oggi in gestione, situato al centro del principale nucleo urbano del comune: ossia elementi comunque non preclusivi per l'esercizio dell'attività in questione. A6) Vale ancora evidenziare che l'obiettivo delle disposizioni della legge provinciale in argomento, è proprio costituito dalla esigenza di frapporre una distanza tra i luoghi sensibili individuati e gli apparecchi di gioco lecito di cui all'articolo 110, comma 6 del TULPS e successive modifiche, e ciò al fine di prevenire l'insorgenza della ludopatia nei soggetti più fragili, come sopra già chiarito. In disparte la considerazione che l'introduzione di "distanziometri" costituisce - come ben evidenziato dalla difesa provinciale - misura perseguita anche dalla legislazione statale quale risultante nel d.l. n. 158 del 2012, come convertito nella l. n. 189 del 2012 e dalle disposizioni legislative susseguenti, ne deriva che l'allontanamento dei punti di offerta dai luoghi sensibili, è proprio l'effetto ricercato dalle disposizioni legislative provinciali ora in esame, che mirano a ridurre l'accesso occasionale al gioco legale e, per tale via, a prevenire l'accostamento al gioco d'azzardo di persone vulnerabili nell'intento di limitare, in tal modo, la probabilità dell'insorgere, in capo a queste ultime, di processi degenerativi verso forme ludopatiche. Ne viene che tale "marginalizzazione", lungi dal costituire il paradigma del contrasto con l'art. 41 della Costituzione, neppure costituisce una conseguenza ulteriore ed inattesa della disciplina introdotta dal legislatore provinciale, e tale argomentazione si impone nella sua oggettività nel caso di Comuni di piccola dimensione, quale il Comune di (omissis) che conta un numero di abitanti poco maggiore a 2000 e che si estende su di una superficie urbanizzata relativamente modesta (in consimili termini si esprime, per altre fattispecie, la sentenza del T.R.G.A. di Bolzano, 7 marzo 2023 n. 58). In altri termini, ciò che occorre verificare, non è la marginalizzazione dell'attività economica di cui si controverte, ma che l'obiettivo di prevenzione della ludopatia, in funzione della tutela della salute, non sia perseguito determinando il totale annichilimento dell'attività economica in questione nel territorio considerato. Al lume della svolta verificazione ribadisce il Collegio che tale effetto nel caso specie non si è realizzato in concreto, potendo individuarsi le due aree sopradescritte quale luogo di possibile delocalizzazione. In definitiva, tali aree testimoniano la persistente sussistenza di "uno spazio utile residuo, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l'organizzazione economica dell'attività ; in altri termini resta possibile l'apertura di esercizi commerciali con apparecchi da gioco nel territorio comunale, ma in un'area più limitata dello stesso e, tendenzialmente, al di fuori del centro abitato principale" (cfr. su tale specifico profilo, negli stessi termini, la sentenza Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1806 e la sentenza Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2019, n. 8298). A7) Alla luce degli approfondimenti in concreto svolti per il caso di specie e delle conclusioni cui il verificatore è pervenuto, non giova pertanto alla parte ricorrente richiamare quanto statuito dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 11426 del 2022 sulla circostanza che l'effetto preclusivo dell'attività di impresa possa ravvisarsi anche "quando, pur sopravvivendo degli spazi, essi non sono idonei e/o sufficienti a delocalizzare le attività esistenti" o all'esigenza che la possibilità di ricollocazione delle attività costrette alla chiusura sia accertata in concreto, "tenendo conto della sua effettiva e reale gravosità e avendo presenti gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali". Invero, non sono utili in tal senso le argomentazioni svolte dalla parte ricorrente che si appuntano semplicemente sul carattere di minor appetibilità degli areali individuati, poiché il Collegio non reputa corretto spingere l'indagine sino all'identificazione di elementi ultronei rispetto alla compatibilità urbanistica e all'insussistenza di ostacoli di diritto o di fatto, aspetti già approfonditi dal verificatore, il quale ha considerato nell'analisi gli ostacoli tali da "rendere altamente improbabile la possibilità di delocalizzazione" (rif. sopra citata relazione del verificatore). Il Collegio, viceversa, reputa che non devono essere presi in esame profili quali lo stato del mercato immobiliare o l'onerosità economica del trasferimento, ossia questioni che afferiscono alla valutazione di ricollocazione (oltreché di nuova collocazione) di qualsiasi attività economica (cfr. negli stessi termini T.R.G.A. Bolzano, sentenza 8 marzo 2023, n. 60). A8) Inoltre, ed è ultima considerazione sul punto, la conclusione sopraesposta trova a ben vedere un avvallo nell'elaborato peritale prodotto dalla stessa parte ricorrente laddove segnatamente si rinvengono le seguenti considerazioni: "come già sottolineato, tale vincolo imposto con la relativa legge provinciale, fa sì che le aree insediabili risultino marginali ai centri cittadini, poco frequentate, dove insediare attività per il gioco legale risulta quasi impossibile" "dal centro cittadino di (omissis), comunque luogo poco frequentato, ed isolato, luogo insolito dove sviluppare attività di questo tipo" "all'interno della frazione di (omissis) l'unica area insediabile è rappresentata da uno stabile e da un terreno posti nell'area produttiva, quindi un luogo poco frequentato e dove il passaggio di persone è limitato ad alcuni lavoratori. La localizzazione di strutture per il gioco legale in tale parte del paese risulterebbe poco efficiente e probabilmente con una ridotta durata dell'attività a causa della sua posizione decentrata rispetto al centro del paese" "(omissis): queste zone infatti hanno la caratteristica di essere lontane dal vero centro del comune e dai servizi primari, con una bassa densità abitativa e circondate da verde o da zone destinate a coltivazione. Caratteristiche queste che ne precludono la possibilità di un buon risultato in termini di affluenza e di gioco". Siffatto argomentare suffraga non tanto una valutazione di impossibilità di localizzazione, quanto un giudizio di non convenienza di tale prospettiva. E nello stesso senso si esprime lo stesso atto introduttivo del presente giudizio allorquando ivi si precisa che nelle "aree astrattamente disponibili non si rinvengono zone adatte per gli insediamenti imprenditoriali in argomento, o perché tra loro disperse o perché circondate da verde o da zone destinate a coltivazione". Sul punto preme ribadire che le specifiche censure formulate con il ricorso in esame sono incentrate esclusivamente sugli impedimenti di natura giuridica derivanti dalla legge provinciale n. 13 del 2015, e che la parte ricorrente neppure ha offerto un principio di prova per dimostrare l'impossibilità di delocalizzare la propria attività a causa dell'inadeguatezza dell'offerta di immobili sul mercato nell'ambito delle aree potenzialmente insediabili del territorio del Comune di (omissis) . In particolare, dagli atti di causa non risulta che nel lungo periodo di tempo (ben 5 anni) concesso dalla legge provinciale n. 13 del 2015 per la rimozione degli apparecchi da gioco la ricorrente abbia tentato di delocalizzare la propria attività, né si evincono circostanze che dimostrino l'oggettiva difficoltà di delocalizzare. A9) Infine, non giova allo scopo di sollevare la questione di legittimità costituzionale estendere il rilievo asseritamente espulsivo della legge provinciale n. 13 del 2015, al territorio di altri Comuni della provincia di Trento, né far richiamo alla facoltà data alle amministrazioni comunali dall'art. 5, comma 2, della medesima legge provinciale, di estendere la distanza dai luoghi sensibili sino a 500 mt., in luogo dei 300 mt. oggi previsti, difettando in entrambi i casi il necessario presupposto della "rilevanza" di tali questioni al fine del decidere. In definitiva è confermato, anche sulla scorta dell'indagine di fatto, che la legge provinciale in argomento costituisce l'espressione della discrezionalità spettante al legislatore, assumendo soluzioni dimostrate in concreto come proporzionate ed adeguate alle finalità perseguite. B) Quanto agli ulteriori profili di asserito contrasto delle disposizioni provinciali più volte richiamate con la Costituzione, non v'è ragione per discostarsi dalle conclusioni alle quali è già pervenuto questo stesso Tribunale in precedenti occasioni, da ultimo nella già richiamata sua sentenza 4 febbraio 2020, n. 12 riferita ad un ana ricorso avverso la deliberazione del Comune di (omissis) n. 8 del 15/05/19 ed avente parimenti ad oggetto l'individuazione dei "luoghi sensibili" presenti sul territorio comunale: e ciò per le ragioni sinteticamente riproposte nel proseguo del presente paragrafo. C) È invero manifestamente infondata la doglianza che si appunta sul contrasto della legge provinciale in argomento con gli artt. 3 e 97 della Costituzione asseritamente derivante dalla violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza, nonché dell'imparzialità che deve informare l'operato delle pubbliche Amministrazioni in quanto sarebbe stata omessa, ingiustificatamente, una paritaria o omologa previsione vincolistica per tutti gli altri "giochi" gestiti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze - Agenzia delle Dogane (esemplificativamente individuati nel "Lotto", "10 e Lotto", "Superenalotto", "Superstar", "SiVinceTutto", "Lotterie istantanee", "Bingo", "Totocalcio", "Totogol") ed in genere con riferimento a "tutto il resto del palinsesto dei giochi pubblici". Infatti, non è irragionevole la scelta di disincentivare la collocazione degli apparecchi da gioco in questione inducendo la loro collocazione lontano dai centri abitati per prevenire il fenomeno della ludopatia, né discriminatoria la relativa misura, avendo da un lato il legislatore considerato tutti gli esercizi commerciali nei quali possono essere installati apparecchi da gioco in questione, nel mentre sotto altro aspetto è scientificamente provata la differente pericolosità degli apparecchi da gioco ex art. 110, comma 6 TULPS e successive modifiche rispetto ad altre forme di gioco lecito (cfr. per tutte la sentenza di questo Tribunale 213/2013 con riferimento a predetti apparecchi da gioco "come già diffusamente evidenziato da questo tribunale con le sentenze numero 63/2013 e numero 96/2013, è ormai assodato da fonti scientifiche (vedasi, fra i i tanti, il progetto " Dipendenze comportamentali/Gioco d'azzardo patologico: progetto sperimentale nazionale di sorveglianza e coordinamento/monitoraggio degli interventi curati dal ministero della salute" che diversa e assai più pericolosa - per la possibilità che ne derivi lo sviluppo della ludopatia - è l'attrattiva che esercitano sul potenziale giocatori gli apparecchi da gioco di cui trattasi"), e quindi vertendosi in fenomeni e forme di gioco tra loro non comparabili. D) La parte ricorrente, deduce altresì che il legislatore provinciale avrebbe esorbitato dalla sfera di attribuzioni riconosciuta al legislatore regionale ed invaso la competenza statale esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, sancita dall'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. In tesi della stessa parte ricorrente i livelli essenziali sarebbero già stati stabiliti dalla disciplina statale, in particolare costituita dal d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito nella legge 8 novembre 2012, n. 189, che ha previsto il procedimento di pianificazione delle forme di progressiva ricollocazione degli apparecchi da gioco qui in considerazione, nel cui contesto gli Enti locali avrebbero solo una facoltà di presentare proposte motivate. Anche tale doglianza non può essere condivisa. Sul punto è sufficiente far richiamo a quanto descritto nel paragrafo II B della presente sentenza, ed in particolare alle statuizioni della Corte costituzionale, espresse nella sentenza n. 27 del 2019, ivi riportate e confortate dalle consolidate conclusioni cui è addivenuta la giurisprudenza amministrativa. E) Poiché la legge provinciale non incide in alcun modo sulla facoltà di esercitare impresa in tema di gioco lecito, ma sulle modalità relative, non si realizza l'effetto espropriativo lamentato dal ricorrente, al punto D) (RECTE E) del sesto motivo di ricorso, come statuito nella sentenza più volte richiamata del Consiglio di Stato n. 8298/2019, che si condivide: "Inesatto è, poi, il riferimento agli artt. 42 Cost., poiché le disposizioni regionali non operano, in via diretta ed immediata, l'acquisizione alla mano pubblica di beni e diritti facenti capo ai privati operatori economici (ovvero non dispongono un effetto espropriativo) e all'art. 97 Cost., poiché le misure in esame non regolano l'azione amministrativa ma esclusivamente attività private". Inoltre, sul punto può trovare applicazione nel caso in esame quanto ulteriormente affermato dallo stesso Consiglio di Stato nella sua già citata sentenza n. 11426 del 2022. In particolare, secondo quanto si legge nella motivazione di tale pronuncia, "Non essendo rimasto precluso lo svolgimento dell'attività della ricorrente ma solo imposta una delocalizzazione della medesima, in concreto non impossibile, si appalesano prive di pregio le censure concernenti un asserito effetto espropriativo generatore di un diritto di indennizzo (cfr. Cons. Stato, parere n. 1840/21), anche in relazione a quanto previsto dall'art. 1, Protocollo 1, CEDU (cfr. Cons. Stato, parere n. 550/22), nonché le censure concernenti la lesione del legittimo affidamento. La gradualità con la quale, nel caso della Regione Emilia Romagna, l'amministrazione ha agito, onde pervenire alla c.d. delocalizzazione, costituisce già una misura di salvaguardia degli interessi privati (cfr. sul tema, Cons. Stato, parere n. 550/22). La moratoria di cui si dirà ... integra infatti un elemento di tutela dell'operatore economico, diretto a consentirgli, entro un congruo lasso temporale (pari a dodici mesi ulteriormente prorogabili di sei, ma con decorrenza dalla data di comunicazione del provvedimento di " mappatura", intervenuto il 14 maggio 2018, a distanza di circa un anno dalla delibera regionale n. 831 del 12 giugno 2017) di svolgere tutte le attività necessarie al reperimento di nuovi locali continuando, nelle more, l'esercizio dell'attività e realizzando un equilibrato e ragionevole contemperamento degli interessi privati e pubblici coinvolti (così testualmente, Cons. Stato, parere n. 686/21). D'altronde, i motivi di asserita " oggettiva aleatorietà dell'eventuale spostamento dei locali di esercizio" esposti in ricorso sono prospettati in termini del tutto ipotetici per la parte riferita a sopravvenienze normative impeditive del trasferimento ed in termini del tutto svincolati dalla normativa applicabile per la parte riferita alla sopravvenienza di un nuovo " luogo sensibile" ..". Infatti, si rammenta che sin dall'entrata in vigore della legge provinciale n. 13 del 2015 (luglio 2015) le imprese del settore - ivi compresa la ricorrente - hanno appreso che ai sensi dell'art. 14, comma 1, di tale legge avrebbero dovuto rimuovere entro congruo termine gli apparecchi che avevano collocato presso i propri esercizi. Dunque, il lungo periodo concesso per delocalizzare, oppure per diversificare la propria attività (si ribadisce: 5 o 7 anni, a seconda della diversa tipologia dell'esercizio) smentisce qualsivoglia effetto espropriativo della disciplina in questione, nonché qualsivoglia lesione del legittimo affidamento. In definitiva, le considerazioni sopra svolte conducono il Collegio ad affermare la manifesta infondatezza dei plurimi profili d'illegittimità costituzionale prospettati nel ricorso. IV. Sempre procedendo con le questioni pregiudiziali avanzate nel gravame, nel settimo motivo di ricorso la parte ricorrente, prospetta "Le " tensioni" con le direttive comunitarie (Direttiva 98/34/CE così come modificata dalla Direttiva 98/48/CE) (RECTE DIRETTIVA (UE) 2015/1535) e con gli articoli 49 e 56 del TFUE (già articoli 43 e 49 del TCE)" della legge provinciale n. 13 del 2015. Gli artt. 5 e 14 dovrebbe sussumersi tra le "regole tecniche" di cui alla direttiva 98/34/CE, modificata dalla direttiva 98/48/CE, ovvero nella nozione di "altro requisito" oppure di "regola relativa ai servizi" e, dunque, sarebbe stato nella specie violato l'obbligo di preventiva comunicazione alla Commissione Europea, determinandosi di conseguenza l'impossibilità della relativa applicazione. Le richiamate disposizioni, in particolare, integrerebbero "regole tecniche destinate ad incidere sulla libera circolazione dei beni e servizi mediante l'introduzione di restrizioni (nella forma del divieto di collocazione degli apparecchi rispetto a luoghi definiti sensibili)". In tesi della parte ricorrente, i servizi resi nel settore dell'offerta di gioco pubblica rientrerebbero indubitabilmente nell'ambito applicativo della direttiva, ossia nella definizione di servizi (definizione che comprende "qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi") in quanto si tratta di "attrezzature elettroniche, con le quali un concessionario di rete mette a disposizione del singolo giocatore, che ne fa espressa richiesta versando l'importo previsto per ciascuna partita, una rete telematica, controllata a distanza". Sotto altro profilo si tratterebbe comunque di "regole tecniche afferenti alla libera commerciabilità dei beni/prodotti". Infine, le disposizioni in questione sarebbero da annoverare nella definizione di "altro requisito", incidendo sulla commercializzazione degli apparecchi. Inoltre, quanto alla violazione degli articoli 49 e 56 del TFUE, si tratterebbe di una restrizione delle libertà di circolazione e di stabilimento, che si traduce "in una totale eradicazione dal territorio dell'attività imprenditoriale" mentre "i principi di libera prestazione di servizi e di libertà di stabilimento possono subire limitazioni unicamente per giustificati motivi di interesse generale di natura non economica, purché le restrizioni costituiscano misure proporzionate e non discriminatorie, fatte salve peraltro le procedure di informazione". Il motivo non può essere accolto. A ben vedere la censura è ancora una volta fondata sul presunto effetto espulsivo della disciplina, che, secondo i ricorrenti, avrebbe influenzato significativamente la commercializzazione del prodotto. Ne deriva in primo luogo che, alla luce delle conclusioni esposte nella precedente lett. A), l'insussistenza di siffatto lamentato effetto mina nelle sue fondamenta anche la doglianza ora considerata. In secondo luogo, non v'è ragione per discostarsi dall'orientamento già univocamente espresso da questo stesso Tribunale in relazione a siffatta doglianza, da ultimo con sentenza n. 12 del 2020 e qui di seguito riportato: "preme evidenziare che per giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia UE, le restrizioni alle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, sicché, in assenza di un'armonizzazione eurounitaria in materia, spetta ad ogni singolo Stato membro valutare in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui trattasi implica (v. Corte di giustizia UE 22 ottobre 2014, nelle cause C-344/13 e C-367/13; id., 24 gennaio 2013, nella causa C-33/2013; id., 16 febbraio 2012, nelle cause C-70/10 e C-77/10; nonché Corte giustizia UE, 30 giugno 2011, nella causa C-212/08, secondo cui "gli obiettivi perseguiti dalle normative nazionali adottate nell'ambito dei giochi e delle scommesse si ricollegano, di regola, alla tutela dei destinatari dei servizi interessati e dei consumatori, nonché alla tutela dell'ordine sociale; siffatti obiettivi rientrano nel novero dei motivi imperativi di interesse generale che possono giustificare limitazioni alla libera prestazione dei servizi; anche le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l'individuo e la società che sono collegate ai giochi d'azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare, secondo la propria scala di valori, le prescrizioni a tutela del consumatore e dell'ordine sociale"). La Corte di giustizia ha escluso, per le medesime ragioni, la necessità di una previa comunicazione alla Commissione europea, ai sensi della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 sulla base del rilievo che i principi di libera circolazione e di divieto di limitazione o restrizione presidiati dalle regole di trasparenza e pubblicità della direttiva 98/34 non sono né assoluti né generalizzati (sentenza 24 gennaio 2013, cit.). Nel settore dell'esercizio dell'attività imprenditoriale del gioco lecito, pure a livello di diritto eurounitario, le esigenze di tutela della salute vengono ritenute del tutto prevalenti rispetto a quelle economiche che muovono le imprese" (in termini cfr. sentenza Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1806; sentenze T.R.GA. Trento, n. 206 e n. 213 del 2013, T.A.R. Lombardia, Milano, sentenza, sez. I, 30 dicembre 2020, n. 2643). Al riguardo si condivide quanto ulteriormente argomentato dalla difesa delle resistenti circa il fatto che le disposizioni richiamate non possono essere ricondotte ad una "regola tecnica afferente ai servizi" della società dell'informazione in quanto l'allegato I della direttiva (UE) 2015/1535 - che ha sostituito la direttiva 22/06/1998, n. 98/34/CE recante omologa previsione nell'allegato V - include espressamente nell'elenco indicativo dei servizi non contemplati dall'articolo 1, ossia i servizi non forniti "a distanza", i servizi forniti in presenza del prestatario e del destinatario, anche se mediante dispositivi elettronici, tra i quali alla lettera d) espressamente indica "i giochi elettronici messi a disposizione di un giocatore presente in una sala giochi": e neppure gli stessi possono annoverarsi quale "specificazione tecnica" di un prodotto "in quanto (ciò ) non riguarda le caratteristiche che deve possedere il terminale di gioco, i suoi livelli di qualità o di proprietà di utilizzazione, ovvero la sicurezza", né "è riconducibile alla categoria delle " regole tecniche" di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2015/1535 concernenti l'utilizzazione di un prodotto... che hanno una portata evidentemente più ampia di una semplice restrizione dell'utilizzo e comportano un utilizzo puramente marginale del prodotto in questione". Infine, la distanza minima non può rilevare quale "altro requisito" in quanto, alla luce della verificazione, non influenza in modo significativo la sua commercializzazione. Invero le disposizioni in questione possono rappresentare una "regola tecnica" soltanto laddove la loro portata sia tale da consentire un utilizzo puramente marginale di tali prodotti: ipotesi, questa, non ricorrente nel caso di specie, in cui non si tocca il "patrimonio" tecnologico esistente né il suo rinnovamento, ma si opera solo una sua limitazione spaziale per finalità di interesse socio-sanitario. La legge provinciale trentina, e le conseguenti deliberazioni comunali, non disciplinano le caratteristiche ovvero la fabbricazione, l'utilizzo, l'uso o la commercializzazione degli apparecchi da gioco, ma si limitano nel loro assieme a fissare limiti parziali, in particolare le aree (i cc.dd. "luoghi sensibili") ove è vietata l'utilizzazione di nuovi macchinari ai soli fini della tutela della salute di cittadini vulnerabili: il tutto senza alcun intento di alterare il libero assetto del mercato dei video giochi, il quale subisce effetti solamente indiretti, riflessi mediati e comunque geograficamente limitati. In tal senso, ha ragione la resistente Provincia, che annota come "l'introduzione di una distanza minima legale dai luoghi sensibili non ha comportato l'introduzione di un numero massimo di esercizi pubblici nei quali gli apparecchi possono essere installati, né l'introduzione di un numero massimo di apparecchi autorizzabili all'interno degli esercizi stessi". Né offre argomenti aggiuntivi la memoria di replica da ultimo depositata dalla parte ricorrente laddove richiama una giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, sentenza Admiral, 8 ottobre 2020, C-711/19) che risulta neutra rispetto alla qualificazione sopra dedotta, a tal punto da essere citata anche dalla resistente Provincia quale fondamento dell'opposto argomentare (rif. memoria replica Provincia del 19.02.2023). V. Passando al merito delle altre doglianze, non è fondato il primo motivo di ricorso che si appunta sul difetto di motivazione e di istruttoria del gravato provvedimento, per non aver individuato, con dati descrittivi e/o statistici, le categorie di persone tutelande nonché le concrete esigenze di prevenzione della dipendenza da gioco come sviluppate nel territorio considerato del Comune di (omissis), poiché "in tanto può dirsi correttamente applicata la norma di copertura (l'articolo 5 della " LP" ), in quanto l'ente pubblico dia conto dell'esistenza di tale vizio o, quanto meno, del rischio che tale " vizio" esista sul territorio comunale". Al riguardo deve osservarsi che il divieto di collocazione di apparecchi da gioco è stabilito in maniera vincolata dall''art. 5 della legge provinciale n. 13 del 2015 laddove prevede "Per tutelare determinate categorie di persone più vulnerabili e per prevenire la dipendenza da gioco, è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), a una distanza inferiore a trecento metri dai seguenti luoghi:..." così come il corrispondente obbligo di rimozione di cui al susseguente art. 14. Dunque, il Comune di (omissis), con l'approvazione della deliberazione impugnata, ha dato puntuale applicazione alla disciplina di fonte provinciale che non riserva, sul punto, alcun margine di apprezzamento discrezionale in capo all'ente locale. In particolare, l'incipit del comma 1 dell'art. 5 ("Per tutelare determinate categorie di persone più vulnerabili e per prevenire la dipendenza da gioco") esprime esclusivamente la ratio legis e non costituisce un elemento costitutivo della fattispecie di divieto, non onerando l'Amministrazione di alcuna istruttoria sul punto. La sussistenza della problematica per la salute dei cittadini amministrati cui il Comune intende far fronte (ludopatia) mediante le azioni preventive previste costituisce il fondamento che ha orientato il legislatore provinciale nella approvazione di una disciplina vincolante ed uniforme per tutto il territorio della Provincia di Trento, scelta pacificamente rimessa alla discrezionalità del medesimo legislatore a mente della consolidata giurisprudenza, già richiamata nel paragrafo II della presente sentenza, come confermato nelle precedenti sentenze di questo stesso Tribunale (cfr. ex plurimis, da ultimo sentenza 12/2020, nonchè n. 206 e n. 213, n. 225/2013: "Occorre, sul punto, precisare che la discrezionalità del legislatore non va confusa con la discrezionalità (amministrativa e/o tecnica) dell'amministrazione pubblica, nel senso che la prima costituisce l'esplicazione delle scelte politiche degli organi investiti del potere legislativo e trova i suoi limiti nelle sole norme sovraordinate di rango costituzionale (ed, eventualmente, nel diritto eurounitario), talché la stessa, una volta rispettati tali limiti (compresi i principi di ragionevolezza e di razionalità intrinseca), non appare ulteriormente sindacabile (in sede di giudizio di costituzionalità )"). VI. Neppure merita condivisione il secondo motivo del gravame che denuncia la "Violazione di legge, eccesso di potere per carenza di istruttoria e/o di motivazione e/o per motivazione illogica in relazione all'individuazione dei luoghi sensibili", poiché l'elencazione dei siti sensibili recata nella delibera impugnata sarebbe costituita "da numerosissimi siti privi di qualsiasi specificazione, di dubbia sussumibilità nelle categorie di riferimento e la cui inclusione nelle stesse è priva sia di istruttoria che di motivazione". La censura, prima ancora che infondata, è inammissibile. Come ricostruito in fatto (cfr. relazione del Comune di (omissis) del 7.12.2022), il locale gestito dalla parte ricorrente dista 51 metri lineari da un luogo sensibile individuato testualmente della legge provinciale, ossia la chiesa parrocchiale che è da annoverarsi incontrovertibilmente tra i "luoghi di culto" di cui all'art. 5, comma 1, lett. d) della legge provinciale. In relazione alla materiale sussistenza ostativa di tale luogo neppure era necessaria l'attività ricognitiva espressa nel provvedimento impugnato, conseguendo l'obbligo di delocalizzazione direttamente dalla legge. Sussiste, pertanto, un difetto di interesse originario all'accoglimento del motivo di ricorso che concerne gli altri luoghi sensibili individuati nella delibera impugnata, irrilevanti tuttavia per la posizione dei ricorrenti. VII. Né miglior sorte hanno i motivi terzo e quarto incentrati sulla violazione dell'articolo 6 della legge 11 novembre 2011 n. 180 (recante "norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese"), poiché : "nel momento di formazione della delibera giuntale di (omissis), la quale, pur andando fortissimamente ad incidere in maniera assolutamente pregiudizievole, su una molteplice serie di attività imprenditoriali non è stata anticipata né da alcuna " previa ponderazione" delle ricadute delle sue previsioni sui menzionati settori economici, né, tanto meno ha applicato i criteri di proporzionalità e gradualità di cui, specificatamene, all'articolo 6, comma 1 lettera c)" ed in tal senso vi sarebbe il difetto di motivazione del gravato provvedimento. L'articolo 6, di cui si lamenta la violazione, dispone quanto segue: "1. Lo Stato, le regioni, gli enti locali e gli enti pubblici sono tenuti a valutare l'impatto delle iniziative legislative e regolamentari, anche di natura fiscale, sulle imprese, prima della loro adozione, attraverso: a) l'integrazione dei risultati delle valutazioni nella formulazione delle proposte; b) l'effettiva applicazione della disciplina di cui all'articolo 14, commi 1 e 4, della legge 28 novembre 2005, n. 246, relativa all'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) e alla verifica dell'impatto della regolamentazione (VIR); c) l'applicazione dei criteri di proporzionalità e, qualora possa determinarsi un pregiudizio eccessivo per le imprese, di gradualità in occasione dell'introduzione di nuovi adempimenti e oneri a carico delle imprese, tenendo conto delle loro dimensioni, del numero di addetti e del settore merceologico di attività . 2. All'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Nella individuazione e comparazione delle opzioni le amministrazioni competenti tengono conto della necessità di assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato e la tutela delle libertà individuali."; b) al comma 5, la lettera a) è sostituita dalla seguente: "a) i criteri generali e le procedure dell'AIR, da concludere con apposita relazione, nonché ' le relative fasi di consultazione"; c) dopo il comma 5, è inserito il seguente: "5-bis. La relazione AIR di cui al comma 5, lettera a), dà conto, tra l'altro, in apposite sezioni, della valutazione dell'impatto sulle piccole e medie imprese e degli oneri informativi e dei relativi costi amministrativi, introdotti o eliminati a carico di cittadini e imprese. Per onere informativo si intende qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione". 3. I criteri per l'effettuazione della stima dei costi amministrativi di cui al comma 5-bis dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, introdotto dal comma 2 del presente articolo, sono stabiliti, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, tenuto conto delle attività svolte ai sensi dell'articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 4. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito della propria autonomia organizzativa e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, individuano l'ufficio responsabile del coordinamento delle attività di cui al comma 1. Nel caso non sia possibile impiegare risorse interne o di altri soggetti pubblici, le amministrazioni possono avvalersi del sistema delle camere di commercio, nel rispetto della normativa vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 5. I soggetti di cui al comma 1 prevedono e regolamentano il ricorso alla consultazione delle organizzazioni maggiormente rappresentative delle imprese prima dell'approvazione di una proposta legislativa, regolamentare o amministrativa, anche di natura fiscale, destinata ad avere conseguenze sulle imprese, fatto salvo quanto disposto ai sensi dell'articolo 14, comma 5, lettera a), della legge 28 novembre 2005, n. 246, come sostituita dal comma 2 del presente articolo". La disciplina adottata dal Comune per un verso deve intendersi come direttamente e inderogabilmente riferita al legislatore provinciale, poiché il Comune medesimo non ha assunto alcuna "iniziativa regolamentare" ma ha esercitato, con il provvedimento impugnato, un potere vincolato, come già chiarito nel precedente paragrafo V della presente sentenza non rilevandosi nel quadro normativo provinciale alcuna possibilità di scelta tra "più opzioni", presupposto invece che è previsto dall'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246. Sotto altro profilo, la richiamata disposizione della l. n. 180 del 2011, e segnatamente l'art. 6, comma 5, non pare di per sé idonea, stante il suo carattere essenzialmente programmatico, a fondare un indiscriminato dovere di consultazione in sede di adozione dei provvedimenti di regolazione ed, a tutto concedere, la partecipazione sarebbe in ogni caso circoscritta, come traspare dal dato testuale, alle sole "organizzazioni maggiormente rappresentative delle imprese", sicché l'eventuale violazione di un ipotetico dovere di consultazione potrebbe, al più, essere censurata esclusivamente da queste ultime se pretermesse, ma non anche dai singoli operatori, i quali non risultano legittimati ad accedere al procedimento, con conseguente sequela di inammissibilità del profilo di censura (cfr. in termini sentenza T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 11 febbraio 2020, n. 67). VIII. Deve essere da ultimo disatteso anche il quinto motivo di ricorso che censura la mancata adozione di uno strumento di pianificazione territoriale previsto dalla legge provinciale trentina 4 agosto 2015 n. 15 (recante la "Pianificazione urbanistica e governo del territorio"), ritenendo che, in difetto di espressa previsione della l.p. 13 del 2015 circa lo strumento utilizzabile per la definizione dei luoghi sensibili, si tratterebbe di una disposizione operante nella materia del governo del territorio, secondo la sua definizione giurisprudenziale e dottrinale, con conseguente violazione anche delle prerogative di partecipazione. Va rilevato al riguardo che la disciplina di fonte provinciale richiamata non esige affatto l'adozione di un provvedimento da individuarsi nell'ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica, invero aventi carattere di tipicità, della l.p. 15 del 2015. Inoltre, come statuito dalla giurisprudenza costituzionale ormai consolidata (rif. sentenza 27/2019) il potere esercitato dal Comune trova il proprio fondamento nella disposizione legislativa più volte richiamata che è espressione della competenza legislativa provinciale in materia di "tutela della salute" o delle "politiche sociali" attribuita dall'art. 9 dello Statuto speciale di autonomia (cfr. richiamata sentenza T.R.G.A Trento n. 12/2020). IX. Merita evidenziare, a chiusura di tutto quanto sopra argomentato, che le conclusioni sopra esposte sono confermate nell'orientamento ormai sedimentato della giurisprudenza amministrativa, anche molto recente (ex plurimis da ultimo sentenze Cons. Stato, sez. VI, n. 1806/2019, Cons. Stato, Sez. V, n. 8298/2019, Cons. Stato, sez. III 8563/2019, parere Cons. Stato, Sez. I, n. 2463/2019; Cons. Stato, Sez. III, 1382/2023; Cons. Stato, Sez. II, 7903/2021, Cons. Stato, Sez. V, 11426/2022). X. Le spese del giudizio seguono la regola generale della soccombenza di lite, nella misura indicata nel dispositivo, mentre nulla è dovuto per le parti non costituite. E' altresì posto a carico della parte ricorrente anche l'onorario spettante al verificatore nominato per l'esecuzione della verificazione disposta con l'ordinanza n. 48 del 2022 - al quale è stato peraltro già riconosciuto un anticipo pari a euro 2.000,00, già provvisoriamente posto a carico della parte ricorrente -, onorario che sarà liquidato con successivo decreto, a seguito della presentazione da parte del prof. Vi., a mente dell'art. 66, comma 4 c.p.a., dell'istanza corredata della documentazione necessaria, nel puntuale rispetto dei termini fissati dall'articolo 71 del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, in parte lo dichiara inammissibile e per il resto lo respinge. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di giudizio a favore delle Amministrazioni resistenti nella misura pari ad euro 3.000,00 (tremila/00), di cui euro 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore della Provincia autonoma di Trento e euro 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore del Comune di (omissis), oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge. Rinvia ad un successivo decreto la liquidazione delle spese di verificazione, parimenti poste solidalmente a carico delle parti ricorrenti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Cecilia Ambrosi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 137 del 2022, proposto dall'impresa individuale An. Vi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ge. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Be., Ma. Ca. e Je. Ma. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto con l'avvocato Je. Ma. Ra. in Trento, piazza (...), presso gli uffici dell'avvocatura della Provincia; nei confronti Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, non costituita in giudizio; per l'annullamento del provvedimento n. 8.6.3/2013/70, notificato all'impresa ricorrente in data 5 settembre 2022, con cui è stata ordinato di provvedere all'immediata rimozione degli apparecchi da gioco installati all'interno della sala giochi ubicata in via (omissis) - via (omissis) all'insegna "Sa. gi. Ve.", nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente, ivi inclusa la nota n. 8.6.3/2020/4, notificata in data 4 agosto 2022; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Trento e della Provincia Autonoma di Trento; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'impresa ricorrente opera nel settore del gioco legale attraverso apparecchi da gioco di cui all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del T.U.L.P.S. all'interno della Sa. gi. Ve., ubicata nel Comune di Trento in via (omissis) - via (omissis). In data 5 settembre 2022 il Comune di Trento ha notificato alla ricorrente il provvedimento in epigrafe indicato, con cui ha ordinato di "provvedere all'immediata rimozione degli apparecchi da gioco" installati all'interno della suddetta sala giochi, ai sensi del combinato disposto dell'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015, secondo il quale "è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, TULPS a una distanza inferiore a trecento metri" da una serie di "luoghi sensibili" (specificamente individuati dallo stesso art. 5, comma 1) con l'art. 14, comma 1, della medesima legge, ove si prevede che "gli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6 TULPS posti a una distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 5, comma 1, sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore di questa legge se collocati nelle sale da gioco (12 agosto 2022)...". In particolare nella motivazione del provvedimento impugnato si legge che la sala giochi "si trova ad una distanza inferiore a 300 metri dai seguenti luoghi sensibili, calcolata secondo il criterio del raggio, in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso/ingresso principale del locale interessato alla rimozione degli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6 del TULPS e l'accesso del luogo sensibile: E23 - Ci. An. Sa. Be.; F14 - Oratorio Parrocchia Trento - Sposalizio Di Maria Vergine; P62 - Chiesa Dello Sposalizio Di Maria Vergine¸ A44 - Scuola Materna S. An.; A45 - Scuola Materna Gi. Ro.; A108 - Succ.2 Istituto Te. Ec. "A. Ta. L. Ba."; A107 - Succ.1 Istituto Te. Ec. "A. Ta. L. Ba."; A94 - Istituto Te. Te. "A. Po."; H4 - Ospedale Sa. Ca.; H1 - C.T. Vi. Ig.". 2. La ricorrente - premesso che le entrate della sala giochi dipendono per la quasi totalità dai ricavi provenienti dagli apparecchi di cui trattasi e che la rimozione di tali apparecchi comporta la chiusura della medesima sala giochi - del provvedimento impugnato chiede l'annullamento, deducendo le seguenti censure: illegittimità derivata del provvedimento impugnato, causata dall'illegittimità costituzionale della legge provinciale n. 13/2015, derivante dall'errore tecnico che determina l'interdizione del gioco legale dalla sostanziale totalità del territorio del Comune di Trento (c.d. effetto espulsivo). Secondo la ricorrente la disciplina posta dagli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 sarebbe frutto di un "errore tecnico", consistente nel fatto che "i metri di interdizione (i.e. 300 metri) ed il numero dei luoghi sensibili che disegnano il distanziometro sono talmente tanti che dall'applicazione in concreto della normativa risulta vietata la sostanziale totalità del territorio, anziché solo porzioni di esso", come provato dalla consulenza di parte allegata al ricorso, dalla quale risulta come "dall'applicazione in concreto del distanziometro provinciale si determini una percentuale di interdizione pari al 96,14% dell'intero territorio". Dunque l'elevatissima percentuale di interdizione del territorio comunale determinerebbe "una sostanziale impossibilità di installare nuove realtà ed una sostanziale impossibilità di permanenza da parte delle realtà esistenti", ivi compresa la Sa. gi. Ve.. Inoltre dalla predetta consulenza emergerebbe che il rimanente 3,86% del territorio comunale "risulta marginalizzato in zone periferiche" e che "occorrerebbe operare un'ulteriore specifica analisi relativa all'individuazione di immobili idonei ed effettivamente disponibili in cui poter ricollocare tutti gli operatori esistenti, circostanza ragionevolmente impossibile". Peraltro, sempre a detta della ricorrente, la normativa provinciale non sarebbe affatto funzionale al contrasto del gioco d'azzardo, "per gli effetti sulla compulsività degli utenti problematici e patologici", causati dal divieto che la normativa stessa pone. Anzi, la concentrazione dell'offerta di gioco nelle periferie contrasterebbe con gli obiettivi di riqualificazione delle periferie stesse. Inoltre sarebbe incentivato il gioco illegale, con effetti negativi sull'ordine pubblico, si determinerebbe una perdita di gettito per l'erario e sarebbe inibita l'attività delle imprese del comparto del gioco legale. Pertanto - come osservato dal professor An. Ma. - Presidente emerito della Corte costituzionale, al quale è stato richiesto di "rendere un parere al fine di verificare se vi siano profili di illegittimità costituzionale delle leggi regionali che introducono la previsione di distanze minime delle sale da gioco rispetto a luoghi c.d. sensibili" - i cc.dd. "distanziometri territoriali", come quello di cui trattasi, si porrebbero in contrasto: A) con l'art. 41 Cost., perché comportano un'interdizione di fatto assoluta dell'esercizio di un'attività economica autorizzata dallo Stato, misura che non risulta giustificata neppure alla luce dell'invocata esigenza di tutela della salute; B) con l'art. 3 Cost., in combinato disposto con l'art. 41 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, da un lato, e del principio di ragionevolezza, dall'altro; C) con l'art. 117, comma 1, Cost., in combinato disposto con l'art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU e con gli articoli 16 e 17 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea, sotto i profili della tutela della proprietà, della libertà di iniziativa economica e del legittimo affidamento; D) con l'art. 3 Cost., in rapporto all'art. 32 Cost. per violazione del principio di razionalità e ragionevolezza, stante il rischio di non perseguire la tutela della salute, ma anzi di creare zone poco controllate ove possono proliferare fenomeni criminosi. In particolare - posto che "il concetto di effetto espulsivo non presuppone necessariamente un divieto assoluto del 100% dei territori di riferimento, sostanziandosi l'illegittimità della restrizione anche in presenza di percentuali minori, ma tali da comprimere l'attività economica e da risultare non proporzionate nell'applicazione in concreto" - risulterebbe violato l'art. 41 Cost.. Difatti, se è vero che la libertà di iniziativa economica può incontrare limiti per ragioni di utilità sociale, è altrettanto vero che il corretto bilanciamento con tali ragioni dev'essere perseguito mediante interventi congrui e non arbitrari, che non determinino l'azzeramento del diritto previsto e garantito dall'art. 41 Cost. a danno dell'intera filiera delle imprese operanti nel comparto del gioco legale. Dunque - essendo la disciplina prevista dagli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 viziata dall'errore tecnico che determina il contestato effetto espulsivo - risulterebbe non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tali articoli per contrasto con l'art. 41 Cost., anche in relazione all'art. 3, comma 1, Cost., inteso sia come principio di ragionevolezza delle scelte legislative, sia quale principio di eguaglianza delle fattispecie disciplinate dalla contestata normativa provinciale rispetto ad altre tipologie analoghe di gioco legale non incise dalla medesima normativa. Risulterebbe poi non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 per violazione degli articoli 32 e 47 Cost., che tutelano la salute ed il risparmio, e ciò in relazione "alla inefficacia del distanziometro come strumento idoneo a contrastare il fenomeno del disturbo da gioco d'azzardo, come invece indicato nelle intenzioni del legislatore, ed alla sua idoneità, al contrario, in quanto viziato da errore tecnico, ad aprire le porte all'offerta illegale, a prodotti non regolamentati che per definizione sono certamente più nocivi di quelli strettamente vigilati e limitati del gioco legale". Anzi, secondo la documentazione scientifica allegata al ricorso, il contestato effetto espulsivo "aumenterebbe addirittura la compulsività dei giocatori". Difatti sono noti gli effetti della diffusione del gioco illegale sulla salute, senza contare il pregiudizio per il risparmio. Sarebbero, invece, necessarie nuove e diverse strategie di prevenzione del fenomeno della ludopatia, supportate da studi scientifici che ne valutino l'adeguatezza, "per poter arrivare ad un'offerta moderata, sana e capillare, unita ad una forte azione di prevenzione per tutti gli utenti ed un'efficace azione per quelli problematici e patologici". Il contestato effetto espulsivo si porrebbe, altresì, in contrasto con il principio del legittimo affidamento. Difatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE, qualsiasi provvedimento che incida su interessi patrimoniali fondati su una legittima aspettativa dev'essere valutato nell'ambito di una operazione di bilanciamento con gli interessi generali che s'intendono tutelare. Invece estromettendo gli apparecchi di cui trattasi dalla totalità del territorio del Comune di Trento si determina un sacrificio inaccettabile per le imprese del settore. Del resto il contestato effetto espulsivo si porrebbe in contrasto anche con l'art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, comporta una sorta di esproprio illegittimo, non accompagnato da alcun indennizzo, come tale rilevante anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 42 Cost.. Inoltre, anche secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 209 del 2010) l'applicazione di una normativa sopravvenuta a situazione preesistenti e diversamente regolate incontra un limite nei principi di eguaglianza e ragionevolezza. Pertanto sarebbe non manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 per violazione degli articoli 3, 41, 42 e 97 Cost., nonché con il combinato disposto dell'art. 117 Cost. con l'art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU. La normativa provinciale sarebbe poi illegittima per violazione dei principi sanciti nell'Intesa raggiunta all'esito della Conferenza Unificata del 7 settembre 2017, ove si prevede che sul territorio nazionale debba essere garantita una presenza capillare, seppur ridotta, dell'offerta di gioco legale, demandando a Regioni ed Enti locali il compito di adottare criteri che "consentano un'equilibrata distribuzione nel territorio allo scopo di evitare il formarsi di ampie aree nelle quali l'offerta di gioco pubblico sia o totalmente assente o eccessivamente concentrata". In particolare l'art. 1, comma 1049, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di stabilità per il 2018) prevede che "le regioni adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico all'intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 settembre 2017". Inoltre l'Intesa: A) da un lato, mira a "mettere uno stop a distanziometri espulsivi e limitazioni di orari asfissianti previsti dagli enti locali e del territorio stabilendo sia il principio di un'equilibrata distribuzione dei punti di gioco (e dunque imponendo un divieto di distanziometri espulsivi) sia il principio del limite di sei ore massimo di interdizione oraria giornaliera (e dunque imponendo un divieto di limitazioni orarie asfissianti)"; B) dall'altro, nell'ottica del contemperamento dei contrapposti interessi e del contrasto dei fenomeni della ludopatia e del gioco illegale, prevede "la riduzione numerica dell'offerta di gioco pubblico sul territorio, nonché il monitoraggio puntuale di ogni volume di gioco su tutto il territorio nazionale a disposizione di Regioni ed Enti Locali per opera dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli". Ebbene tali previsioni risultano pienamente realizzate. Difatti, quanto alla riduzione dell'offerta di gioco, come risulta dal "libro blu 2020" dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nel 2020 il numero degli esercizi che ospitano gli apparecchi di cui trattasi si è ridotto a circa 54.000, così come il numero degli apparecchi risulta ridotto a circa 261.000. Quanto poi alla mappatura di ogni volume di gioco, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con il Decreto direttoriale n. 31516 del 22 febbraio 2019 ha dato attuazione alle previsioni dell'Intesa introducendo l'applicativo S.M.A.R.T (cioè Statistiche, Monitoraggio e Analisi della Raccolta Territoriale del gioco fisico). Dunque, pur mancando il prescritto decreto interministeriale di recepimento dell'Intesa, non può ritenersi che non abbiano alcun valore i principi sanciti dall'Intesa stessa, "soprattutto se si considera che sono definiti e sottoscritti da Stato, Regioni ed Enti Locali a valle di mesi e mesi di concertazione tra di essi". Del resto, come riconosciuto dalla giurisprudenza (cfr. la sentenza n. 1460 del 2019, con cui il T.A.R. del Lazio, nel censurare il divieto di limitazioni orarie asfissianti censurandole, ha affermato un principio che vale anche per il divieto di distanziometri con effetto espulsivo), "la mancata adozione del previsto decreto di recepimento non priva l'Intesa di qualsivoglia rilievo, e ciò in ragione del carattere condiviso del relativo contenuto, adottato allo scopo di dettare una disciplina uniforme ed omogenea sul territorio nazionale in esito al bilanciamento e ponderazione degli interessi di cui i soggetti partecipanti sono portatori, dovendo ritenersi le misure ivi previste come adottate in esito ad un giudizio di adeguatezza, necessità e proporzionalità atto a contemperare la polifonia di interessi coinvolti, convogliati in una decisione comune, la quale assume valenza di necessario parametro per l'esercizio dell'attività amministrativa"; pertanto, come chiarito dalla medesima giurisprudenza, l'Intesa "assume la valenza di norma di indirizzo per l'azione degli Enti locali, costituendo al contempo parametro per valutare la legittimità dei provvedimenti dagli stessi adottati in materia". A ciò si aggiunge, sempre a detta della parte ricorrente, che sono ormai numerose le Regioni che "hanno coraggiosamente e responsabilmente ritenuto di procedere con dei revirement dapprima più contenuti (con delle proroghe che di fatto hanno spostato in avanti la data dell'espulsione del gioco pubblico) e successivamente via via più tecnici (con la sospensione degli effetti dell'espulsione, in attesa della verifica tecnica delle denunzie fatte o del riordino a livello nazionale) sino a giungere a concreti casi di destrutturazione dei precedenti distanziometri e apposizione di diversi e meno invasivi criteri di distanze". La stessa Provincia di Trento in un primo momento ha prorogato l'entrata in vigore dell'effetto espulsivo derivante dalla legge provinciale n. 13/2015. Infine, secondo la ricorrente, "per l'ana caso del distanziometro espulsivo della Provincia di Bolzano, oggetto di numerosi contenziosi sin dal 2016 e tuttora al vaglio del Consiglio di Stato in sede di giudizio di revocazione della sentenza di secondo grado, i giudici hanno da sempre assicurato agli operatori la tutela cautelare invocata nelle more della decisione di merito". 3. La Provincia di Trento si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 24 ottobre 2022 - premesso che "la proliferazione del gioco lecito ha generato perniciose conseguenze individuali e sociali dando luogo a una vera e propria emergenza sanitaria e sociale, rispettivamente per i ricorrenti fenomeni di dipendenza patologica dal gioco e per il dilagare del vizio del gioco fra giovani e fra le categorie sociali economicamente più deboli" - ha evidenziato che il contestato effetto espulsivo sarebbe smentito dalla documentazione prodotta in giudizio dalla ricorrente stessa, da cui risulta l'esistenza di zone del territorio del Comune di Trento idonee all'esercizio dell'attività di gioco legale di cui trattasi, ed ha diffusamente replicato alle questioni di legittimità costituzionale prospettate da controparte. In particolare la Provincia ha osservato che - al fine di prevenire e curare la dipendenza da gioco d'azzardo, sacrificando nel minor modo possibile l'attività delle imprese del settore - la legge provinciale n. 13/2015 ha indicato in modo tassativo i cc.dd. "luoghi sensibili". Difatti, da un lato, la prossimità ai luoghi sensibili è stata valutata quale fattore di rischio determinante nell'accesso agli apparecchi da gioco di cui trattasi, che dagli esperti in materia di ludopatie sono stati ritenuti idonei a generare fenomeni di dipendenza. Dall'altro, diversamente da altre normative regionali, la legge provinciale n. 13/2015 pone limitazioni esclusivamente con riferimento alla collocazione di apparecchi da gioco di cui trattasi, e non per altri tipi di gioco legale. Dunque, la limitazione dell'iniziativa economica privata di cui si duole la ricorrente è ragionevole, perché le imprese titolari di licenze ai sensi degli articoli 86 e 88 del T.U.L.P.S. possono continuare a svolgere la propria attività sia mediante la raccolta scommesse, sia dotando la sala giochi di apparecchi da gioco diversi da quelli soggetti alle limitazioni. Inoltre, secondo la Provincia, le tesi di controparte sono ulteriormente smentite dal fatto che vi sono imprese che continuano a svolgere l'attività di gioco legale di cui trattasi, ma sono delocalizzate, nel pieno rispetto del bilanciamento tra il superiore interesse alla tutela della salute e della libera iniziativa economica. Quanto all'asserita violazione del principio dell'affidamento, la Provincia ha evidenziato che il legislatore provinciale del 2015 (anno di emanazione della legge n. 13) e del 2018 (anno di proroga del termine fissato per le sale da gioco ubicate entro la distanza di 300 mt dai luoghi sensibili) ha concesso alle imprese interessate ben sette anni dall'entrata in vigore dalla legge provinciale n. 13/2015 per effettuare le proprie valutazioni in ordine alla conversione della propria attività o alla delocalizzazione dell'attività stessa in zone del territorio comunale non soggette al divieto. Pertanto in questi sette anni coloro che intendevano continuare a investire esclusivamente sugli apparecchi da gioco di cui trattasi ben potevano delocalizzare la propria attività, oppure diversificare i propri investimenti, avendo peraltro goduto di un periodo di ammortamento. Infine, avuto riguardo all'asserita violazione dei principi sanciti nell'Intesa raggiunta all'esito della Conferenza Unificata del 7 settembre 2017, la Provincia ha evidenziato, in particolare, che: A) il Consiglio di Stato con la sentenza 26 agosto 2020, n. 5233, nel riformare la sentenza del T.A.R. del Lazio invocata dalla ricorrente, ha precisato che l'Intesa, "per essere prevista quale atto prodromico all'esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle regioni, all'intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente"; B) in ogni caso, come evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 27/2019), l'Intesa fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive. 4. Anche il Comune di Trento si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 24 ottobre 2022 ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità e l'irricevibilità del ricorso, osservando che il provvedimento impugnato ha natura vincolata, perché si limita a dare attuazione alle previsioni della legge provinciale n. 13/2015, e quindi la ricorrente avrebbe dovuto contestare tempestivamente la contestata normativa provinciale, oramai divenuta inoppugnabile. Nel merito il Comune, oltre a replicare alle questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla ricorrente, ha evidenziato che la consulenza allegata al ricorso, "se certamente potrebbe dimostrare una marginalizzazione delle aree di insediamento delle attività di sala giochi, non prova invece l'effetto espulsivo delle attività di gioco lecito, posto che risultano comunque disponibili delle aree, seppur esigue e marginali, idonee a ospitarle". 5. Questo Tribunale con l'ordinanza n. 37 in data 28 ottobre 2022 - avuto riguardo anche a quanto deciso dal Giudice d'appello (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza collegiale 14 marzo 2022, n. 1766) con riferimento ad un caso ana a quella oggetto del presente giudizio, relativo all'applicazione dell'art. 6, comma 2-bis, della legge regionale Emilia-Romagna, 4 luglio 2013, n. 5 (la quale vieta l'esercizio delle sale da gioco e delle sale scommesse, nonché la nuova installazione degli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, "in locali che si trovino a una distanza inferiore a cinquecento metri, calcolati secondo il percorso pedonale più breve, dai seguenti luoghi sensibili: gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, i luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori") - ha disposto l'esecuzione di una verificazione, a cura del Direttore del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito (DABC) del Politecnico di Milano. In particolare è stato chiesto al verificatore (poi individuato nella persona del prof. Pi. Vi.) di appurare "se, tenuto conto della conformazione del territorio del Comune di Trento e della relativa disciplina urbanistica vigente, l'applicazione del criterio della distanza di trecento metri dai siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 determini una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di sale gioco come quelle gestite dall'impresa ricorrente e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione". 6. Il Presidente di questo Tribunale, a sua volta, con l'ordinanza n. 20 in data 16 novembre 2022 ha ordinato al Comune di Trento di: A) produrre "una documentata relazione dalla quale risulti l'elenco di tutte le sale giochi e dei pubblici esercizi comunque dotati di apparecchi automatici di gioco che in tutto il territorio comunale attualmente si trovino in posizione non conforme alle distanze contemplate dalla l.p. n. 13 del 2015, nonché il complessivo numero delle licenze di pubblica sicurezza per i predetti apparecchi comunque attive nel territorio comunale"; B) confermare che "la distanza inferiore ai 300 metri da tutti i luoghi sensibili indicati nel provvedimento impugnato... e riscontrata relativamente all'esercizio di cui è causa... è stata calcolata secondo il criterio del raggio in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso principale del locale suddetto e l'accesso dei diversi luoghi sensibili", rendendo note comunque "le risultanze del computo della distanza a piedi dai predetti luoghi sensibili all'esercizio medesimo". Con la medesima ordinanza presidenziale è stato ordinato alla Provincia di Trento di: A) depositare copia dell'ultima relazione prodotta in Consiglio provinciale ai sensi dell'art. 11 della legge provinciale n. 13/2015, "comprendente le seguenti informazioni: a) la diffusione delle sale da gioco e dei luoghi dove sono installati gli apparecchi per il gioco nel territorio provinciale e i cambiamenti nella loro distribuzione rispetto alla situazione preesistente; b) le attività di informazione, sensibilizzazione e formazione realizzate e i soggetti coinvolti; c) le dimensioni, le caratteristiche e la distribuzione territoriale della domanda e dell'offerta di servizi di assistenza ai giocatori patologici e di sostegno alle loro famiglie; d) le attività, i progetti e i programmi in corso, le spese sostenute nonché le somme annualmente recuperate dalla Provincia dal prelievo erariale unico sugli apparecchi da gioco indicati nell'articolo 110, comma 6, del regio decreto n. 773 del 1931; e) i risultati dell'attività di vigilanza e le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate"; B) comunicare "il dato - ove disponibile - del complessivo numero delle sale giochi e dei pubblici esercizi dotati di apparecchi automatici di gioco che attualmente si trovano in posizione non conforme alle distanze contemplate dalla l.p. n. 13 del 2015". 7. La Provincia e il Comune hanno depositato la documentazione richiesta con la predetta ordinanza presidenziale. In particolare la Provincia in data 29 dicembre 2022 ha depositato copia dell'ultima relazione prodotta ai sensi dell'art. 11 della legge provinciale n. 13/2015, che prende in considerazione il biennio 2019/2020, e in data 17 gennaio 2023 ha fornito l'ulteriore dato richiesto, relativo al numero complessivo delle sale giochi e dei pubblici esercizi dotati di apparecchi che attualmente si trovano in posizione non conforme rispetto alle distanze contemplate dalla predetta normativa provinciale, comunicando che trattasi di 40 esercizi, dei quali 23 insediati nel Comune di Trento. Il Comune, a sua volta, in data 29 dicembre 2022 ha comunicato, in particolare, che "delle 23 sale e pubblici esercizi situati in posizione difforme rispetto all'articolo 5 della legge provinciale n. 13/2015 sulla base del criterio del raggio, solo 4 si troverebbero in posizione legittima se il Comune avesse adottato il criterio del tragitto pedonale più breve", ma che tra queste sale da gioco non figura quella oggetto del presente giudizio. 8. In data 23 gennaio 2023 il verificatore ha depositata la bozza della propria relazione e la ricorrente in data 27 gennaio 2023 ha trasmesso al verificatore le proprie osservazioni al riguardo. In data 31 gennaio 2023 il verificatore ha depositato la propria relazione finale, ove sono state esaminate e confutate le osservazioni della ricorrente e sono state integralmente confermate le conclusioni già riportate nella bozza di relazione. La relazione finale si articola in tre parti, la prima delle quali contiene una premessa sui quesiti formulati con la suddetta ordinanza n. 37/2022 e affronta il tema del rapporto fra il fenomeno della ludopatia e gli strumenti di pianificazione del territorio. Nella seconda parte sono descritte le attività svolte dal verificatore. In particolare il verificatore ha specificato che sono stati assunti come corretti: A) "sia il numero sia la localizzazione dei luoghi sensibili individuati negli atti e nella documentazione ufficiale a disposizione. Questo per una ragione sia formale (spetta alle Amministrazioni comunali tale attività ), che sostanziale (l'impossibilità di accedere ai dati e alle informazioni utili e necessarie per la loro puntuale determinazione)"; B) "i buffer (ossia le c.d. "zone cuscinetto") di 300 metri individuati con strumenti informatici dall'Amministrazione comunale di Trento, anche in riferimento alle specifiche modalità indicate dalla legislazione e regolamentazione provinciale e applicate dalle Amministrazioni comunali". Nella terza parte della relazione il verificatore, in risposta al quesito formulato da questo Tribunale, ha concluso che: A) "L'applicazione della distanza di 300 metri (buffer) dai siti sensibili individuati dall'Amministrazione comunale di Trento non determina una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di funzioni di gioco d'azzardo lecite, in quanto l'applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili non comporta un'impossibilità assoluta dell'esercizio di queste attività, in particolare all'interno del Territorio urbanizzato"; B) "La localizzazione rimane infatti possibile e ammessa in diversi ambiti della città - ambiti che, quindi, non ricadono all'interno dei buffer di 300 metri determinati dalla presenza dei luoghi sensibili - e riguarda circa 712,4 ha, che rappresentano il 22,4% del Territorio urbanizzato. Si tratta come detto di un dato che appare più che significativo in rapporto anche alla particolare configurazione ambientale, insediativa, morfologica del Territorio comunale"; C) "Anche sottraendo a queste il 50% (dato, come detto, prudenziale e precauzionale), percentuale che rappresenta le aree in cui l'effettivo stato dei luoghi (per caratteristiche insediative e di urbanizzazione, desunte attraverso la tecnica della fotointerpretazione e con alcuni rilievi sul campo) rende improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo e che quindi possono essere conseguentemente considerate "resistenti" alla trasformazione, le aree ospitali il gioco d'azzardo lecito ammontano a 356,2 ha (pari all'11,2% del Territorio urbanizzato). Una superficie ospitale in sé certamente ragguardevole per dimensioni quantitative, forma delle aree, contesti funzionali di riferimento"; D) "Dal punto di vista urbanistico-funzionale generale,... le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito sono rappresentate sia da ambiti a destinazione prevalentemente residenziale (di matrice storica e non), sia da aree a destinazione produttiva-artigianale, al netto delle specifiche esclusioni, ottenendo in questo modo nei fatti un effetto di marginalizzazione e non una sostanziale preclusione alla localizzazione, all'interno del territorio comunale, di sale da gioco d'azzardo lecito (il cosiddetto effetto espulsivo)". 9. La Provincia di Trento con memoria depositata in data 17 febbraio 2023 ha insistito per la reiezione del ricorso, evidenziando innanzi tutto che le risultanze della verificazione disposta da questo Tribunale confermano l'infondatezza delle doglianze di controparte, anche perché il verificatore - nel prendere in considerazione le osservazioni formulate dal consulente di controparte - ha osservato che questi "effettua alcuni passaggi metodologici e di calcolo che non si ritengono condivisibili, in quanto non corrispondono allo stato di diritto urbanistico vigente, sovradimensionando conseguentemente... in maniera arbitraria e infondata, le aree non ospitali il gioco d'azzardo lecito". Quindi la Provincia ha replicato alle osservazioni del consulente di controparte secondo il quale la superficie complessiva delle cc.dd. "aree astrattamente insediabili" (ossia le aree nelle quali potrebbero essere delocalizzate attività come quella svolta dalla ricorrente), come individuata dal verificatore, sarebbe in parte caratterizzata da ulteriori vincoli e/o restrizioni, essendo ivi localizzate aree universitarie e capannoni, e quindi la superficie delle aree astrattamente insediabili sarebbe pari a soli 151 ha, che corrispondono allo 0,97% del territorio comunale e al 7,55% del territorio urbanizzato. In particolare, a detta della Provincia, "la presenza di aree universitarie o di capannoni non integra un vincolo idoneo a determinare la non insediabilità dell'area, posto che le università non sono ricomprese tra i luoghi sensibili e che la presenza di un capannone industriale non esclude l'insediabilità dell'attività del gioco lecito". La Provincia ha poi rimarcato che - secondo il verificatore - anche a voler ritenere condivisibile la metodologia proposta dal consulente della ricorrente le aree astrattamente insediabili rappresentano "una superficie comunque ragguardevole, per dimensioni quantitative, forma delle aree, contesti funzionali di riferimento". Tanto premesso, secondo la Provincia, le tesi della ricorrente sono smentite da quanto affermato dal Consiglio di Stato nelle sentenze 11 marzo 2019, n. 1618 della Sezione VI, e 28 dicembre 2022, n. 11426 della Sezione V. In particolare è stato evidenziato dalla Provincia che secondo la prima sentenza - con cui è stato definito il contenzioso relativo alla disciplina posta dall'art. 5-bis della legge della Provincia autonoma di Bolzano, che fissa una distanza minima di 300 mt degli apparecchi da gioco di cui trattasi dai luoghi sensibili - la questione di legittimità costituzionale di tale disciplina, incentrata sulla violazione degli articoli 41 e 3, comma 2, Cost., deve passare "attraverso una verifica del concreto atteggiarsi del quadro fattuale connotante il segmento di mercato delle sale da gioco", valutando la "proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti". A tal fine il Consiglio di Stato ha disposto l'esecuzione di una consulenza tecnica d'ufficio volta ad accertare se la disciplina posta dall'art. 5-bis della legge della Provincia autonoma di Bolzano comportasse un sostanziale effetto espulsivo. Ebbene - posto che il CTU ha evidenziato "la persistente sussistenza di uno spazio utile residuo nell'ambito dei singoli territori comunali, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l'organizzazione economia delle attività delle sale giochi gestite" - il Consiglio di Stato ha escluso che la contestata disciplina provinciale determinasse un'espulsione delle imprese ricorrenti dal mercato. Parimenti nella seconda sentenza il Consiglio di Stato - a fronte di una relazione del CTU che aveva quantificato in 330 ha, corrispondenti al 5,4% del territorio urbanizzato, le aree disponibili all'interno del territorio comunale per l'insediamento delle attività di gioco lecito di cui trattasi - ha affermato che la distanza minima legale dai luoghi sensibili, fissata dall'art. 6, comma 2-bis, della legge regionale Emilia-Romagna n. 5 del 2013 nella misura di 500 mt, non ha reso impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti ed ha realizzato un equilibrato e ragionevole contemperamento dei contrapposti interessi. 10. Anche il Comune di Trento con memoria depositata in data 17 febbraio 2023 ha insistito per la reiezione del ricorso osservando innanzi tutto che, tenuto conto della documentazione versata in atti, il calcolo della distanza effettuato secondo il criterio del tragitto pedonale tra la sala giochi oggetto del presente ricorso e i luoghi sensibili indicati in motivazione non porterebbe comunque ad esiti differenti da quelli che si ottengono utilizzando il criterio del raggio in linea d'aria. Inoltre il Comune, al pari della Provincia, ha rimarcato che: A) come più volte affermato dalla giurisprudenza, occorre effettuare una valutazione in concreto, e non in astratto, di fattispecie come quella oggetto del presente giudizio, anche al fine di apprezzare l'effettiva possibilità di delocalizzare le attività per le quali trovano applicazione divieti come quello posto dall'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015; B) alla luce delle risultanze della verificazione disposta da questo Tribunale le doglianze della ricorrente sono prive di fondamento in quanto "l'interdizione alla localizzazione di sale da gioco è riferibile principalmente alla zona centrale del territorio del Comune di Trento e non alla totalità del territorio comunale". 11. La ricorrente con memoria depositata in data 20 febbraio 2023 ha insistito per l'accoglimento del ricorso osservando preliminarmente che la prima parte della relazione del verificatore è dedicata alle politiche di contrasto al fenomeno della ludopatia, sebbene tale aspetto esuli dal quesito posto con la suddetta ordinanza n. 37/2022, e che il verificatore ha espresso al riguardo opinioni personali, peraltro non supportate dai necessari approfondimenti e prive di riscontri oggettivi. La ricorrente ha poi contestato le "Assunzioni di natura generale" e le "Assunzioni di natura tecnico urbanistica e amministrativa" riportate nella seconda parte della relazione. In particolare la ricorrente, avuto riguardo all'affermazione del verificatore secondo la quale spetta alle Amministrazioni comunali individuare i luoghi sensibili, ha dedotto che il quesito formulato con l'ordinanza n. 37 del 2022 "presuppone proprio una verifica in concreto dell'operato del Comune ed al riguardo il verificatore avrebbe dovuto autonomamente ricercare dalle informazioni pubbliche e/o tramite specifici accessi quali punti sul territorio risultano effettivamente riconducibili alle tipologie di legge, con ciò fornendo una propria ricostruzione da proporre nella verificazione". Inoltre, secondo la ricorrente, non è dato comprendere cosa abbia impedito al verificatore di accedere ai dati e alle informazioni utili e necessarie per individuare i luoghi sensibili, specie se si considera che il consulente della ricorrente medesima ha, invece, operato "una ricostruzione ex novo dei siti sensibili che ha portato all'inclusione nel novero di questi ultimi molti punti riconducibili alla normativa provinciale invece "sfuggiti" dall'elenco pubblicato dal Comune". Dunque l'operato del verificatore non sarebbe conforme al quesito formulato da questo Tribunale, con cui è stato chiesto un accertamento non già dei siti sensibili individuati dal Comune di Trento, bensì dei siti sensibili "individuati nell'art. 5, comma 1 della legge provinciale n. 13/2015". Del resto lo stesso verificatore ha precisato che gli è stato trasmesso un elenco dal quale risulterebbero 337 luoghi sensibili ubicati nel territorio del Comune di Trento; tuttavia nelle osservazioni sulla bozza di relazione è stato evidenziato che sul sito web del Comune è pubblicata una cartografia del territorio comunale che rinvia ad uno specifico elenco da cui risultano ben 365 luoghi sensibili. Quindi la ricorrente - avuto riguardo all'ulteriore passaggio della relazione del verificatore ove si assume la correttezza dei buffer di 300 metri - ha osservato che l'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 si riferisce ad una distanza inferiore a 300 metri, senza fornire indicazioni sul metodo di calcolo di tale distanza. Ciononostante il criterio del raggio in linea d'aria viene utilizzato dalle Amministrazioni comunali senza alcun fondamento normativo: circostanza rilevata anche dal Presidente di questo Tribunale, che con l'ordinanza n. 20 del 2022 ha chiesto non solo di "confermare che la distanza inferiore ai 300 metri da luoghi sensibili... è stata calcolata secondo il criterio del raggio in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso principale del locale suddetto e l'accesso del luogo sensibile", ma altresì di fornire "le risultanze del computo della distanza a piedi". Inoltre la ricorrente ha osservato che neppure il verificatore nella propria relazione ha menzionato il "computo della distanza a piedi", precisando al riguardo che, sebbene tale computo non sia oggetto del quesito formulato con l'ordinanza n. 37 del 2022, tuttavia il Comune di Trento ha precisato che "tramite il criterio del percorso pedonale si "salverebbero" dai divieti quattro sale in più ". Per tali ragioni sarebbe necessario, a detta della ricorrente, disporre l'esecuzione di una nuova verificazione per individuare ex novo sia i luoghi sensibili, come indicati dalla legge provinciale n. 13/2015, sia le aree vietate, come risultanti dall'applicazione sia del criterio del raggio, sia del criterio alternativo del percorso pedonale, in modo da quantificare correttamente, sia in termini assoluti, sia in termini percentuali rispetto all'intero territorio comunale, la superficie oggetto del divieto posto dalla normativa provinciale. Del resto l'errore commesso dal Prof. Vi. deriverebbe dal fatto che egli ha seguito il metodo utilizzato per l'espletamento della verificazione che gli era stata commissionata dal T.A.R. Emilia-Romagna nell'ambito del giudizio definito con la sentenza n. 856 del 2020, ma non ha considerato che la legge regionale Emilia-Romagna n. 5/2013 "ha introdotto una disciplina del tutto peculiare laddove si prevede espressamente che siano proprio i singoli Comuni ad essere investiti dell'onere di effettuare la mappatura dei luoghi sensibili del territorio", mentre la legge provinciale n. 13/2015 non prevede che i Comuni possano individuare luoghi sensibili diversi da quelli indicati dalla medesima legge. La ricorrente ha contestato, altresì, le conclusioni alle quali è pervenuto il verificatore. Innanzi tutto questi avrebbe erroneamente preso a riferimento soltanto il territorio urbanizzato del Comune di Trento: ciò in quanto non considerare l'intera superficie del territorio del Comune di Trento significa non dare il giusto peso all'effettiva possibilità di continuare ad operare nel Comune stesso, perché per i Comuni molto urbanizzati la differenza può essere minima, mentre per i Comuni con ampie aree non urbanizzate - come il Comune di Trento - la differenza potrebbe risultare sensibile. Inoltre il verificatore, dopo aver determinato la superficie delle aree potenzialmente insediabili in misura pari al 22,4% del solo territorio urbanizzato, ha dichiarato di non soffermarsi ulteriormente sulla concreta disponibilità di tale superficie residua ed "ha ritenuto di poter giungere ad un calcolo soddisfacente delle zone "potenzialmente ospitali" applicando alla percentuale di insediabilità individuata, in via asseritamente prudenziale e precauzionale, un'ulteriore riduzione del 50%", così pervenendo a individuare una superficie pari a 7.12 kmq, corrispondente all'11,2% del territorio urbanizzato. Invece, secondo la ricorrente, calcolando correttamente la percentuale richiesta con l'ordinanza n. 37 del 2022, ossia prendendo come termine di riferimento l'intero territorio comunale, una superficie pari a 7.12 kmq rappresenta solamente il 2,2% del territorio comunale. Sempre a detta della ricorrente, una volta individuata la suddetta percentuale dell'11,2% del territorio urbanizzato, l'analisi del verificatore s'interrompe perché il verificatore stesso ritiene impossibile "stimare la capacità /capienza dell'offerta del mercato immobiliare urbano, negli ambiti all'interno dei quali la localizzazione delle attività del gioco d'azzardo lecito risultano ammesse, al fine di dare risposta all'eventuale e specifica domanda di immobili in grado di ospitare nuove attività e/o la delocalizzazione dell'attività esistenti". Tuttavia, così ragionando, il verificatore non risponde al quesito formulato con l'ordinanza n. 37 del 2022, con cui è stato chiesto di accertare se il distanziometro provinciale "determini una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale... considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione". Infine la ricorrente ha evidenziato che il proprio consulente ha determinato la superficie delle aree potenzialmente insediabili in misura pari a 8.18 kmq, che risulta sostanzialmente equivalente a quella di 7.12 kmq individuata dal verificatore; tuttavia il proprio consulente - diversamente dal verificatore - ha eseguito un'ulteriore analisi, pervenendo ad individuare altre aree non insediabili in quanto soggette ad altri vincoli e/o restrizioni. Si tratta in particolare di aree interamente residenziali, di aree universitarie e di aree già utilizzate da aziende produttive, che occupano insediamenti con capannoni superiori a 20.000. Ebbene, sottraendo tali aree dal complesso delle aree potenzialmente insediabili, si passa da 8.18 kmq a 3.68 kmq. Inoltre, considerando le aree individuate dai buffer di 300 mt rispetto ai luoghi sensibili che inspiegabilmente non risultano dall'elenco pubblicato dal Comune di Trento, la superficie delle aree potenzialmente insediabili si riduce da 3.68 kmq a 3.03 kmq. Tuttavia tali aree sono solo potenzialmente insediabili, perché trattasi di zone miste, residenziali con presenza di alcune attività commerciali, oppure di zone produttive con insediamenti parcellizzati. Pertanto, volendo seguire il metodo prudenziale utilizzato dal verificatore e applicando, quindi, la riduzione del 50%, la superficie delle aree del territorio del Comune di Trento effettivamente insediabili è pari a soli 1.51 kmq, ossia allo 0,97% dell'intero territorio comunale (con una percentuale di interdizione pari al 99.03%) e al 7.55% del territorio urbanizzato (con una percentuale di interdizione pari al 92.45%). Ciononostante, a detta del verificatore, anche a voler ritenere condivisibili i passaggi metodologici proposti dal consulente della parte ricorrente una superficie pari al 7.55% del territorio urbanizzato rappresenta "una superficie comunque ragguardevole, per dimensioni quantitative, forma delle aree, contesti funzionali di riferimento". Anche per tali ragioni - a detta della ricorrente - sarebbe necessario disporre l'esecuzione di una nuova verificazione: ciò in quanto affermare che una superficie di poco superiore al 7% del territorio urbanizzato risulta "comunque ragguardevole" e costituisce "una valutazione del tutto personale, non basata su alcuna evidenza tecnica e su cui non si è voluta effettuare alcuna ulteriore analisi", fermo restando che "il dibattito (tra Verificatore e CTP) verte su percentuali comunque bassissime di insediabilità, siano esse riferite al più contenuto territorio urbanizzato o più correttamente all'intero territorio comunale". Del resto dalla relazione versata in atti dal Comune di Trento risulta che solamente sei sale giochi risultano ubicate in zone ove non trova applicazione il divieto posto dalla legge n. 13/2015. 12. Tutte le parti del giudizio hanno presentato memorie di replica. In particolare la ricorrente con la propria memoria depositata in data 2 marzo 2023, oltre ad insistere per l'accoglimento del ricorso, ha nuovamente chiesto al Tribunale di disporre l'esecuzione di un'ulteriore verificazione, "che tenga conto della individuazione degli effetti in concreto prodotti sul territorio dalla normativa provinciale", evidenziando in particolare che la giurisprudenza formatasi sulle questioni oggetto del presente giudizio non è univocamente orientata nel senso indicato dalle Amministrazioni resistenti. Difatti, secondo una recente pronuncia del Giudice d'appello (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 11426 del 2022 cit.), "La violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si potrebbe configurare, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determinasse nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l'individuazione delle aree destinate rendesse impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene - in ciò parzialmente discostandosi da quanto affermato in altre occasioni (cfr. Cons. Stato, V, n. 8298/19 cit., nonché Cons. Stato, parere n. 689/21) - debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato, gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali". 13. Alla pubblica udienza del 23 marzo 2023 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente il Collegio ritiene di poter prescindere dall'esame delle eccezioni processuali sollevate dal Comune di Trento - incentrate sulla carenza di interesse ad agire della ricorrente e sulla tardività del presente ricorso - perché il ricorso stesso è privo di fondamento alla luce delle seguenti considerazioni. 2. Come ricordato in più occasioni dalla Sezione autonoma di Bolzano di questo Tribunale (da ultimo T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, 9 marzo 2023, n. 67), "il gioco d'azzardo, diffusosi capillarmente, produce in un'ampia fascia dei fruitori forme patologiche di dipendenza con conseguenze devastanti, in termini di deterioramento delle attività personali, familiari e lavorative. La dipendenza da gioco, in altre succinte parole, esercita un'influenza negativa sui domini personali, professionali, familiari e sociali. Secondo la letteratura scientifica il disturbo da gioco d'azzardo presenta molte similitudini con il disturbo da uso di sostanze, e per le perdite finanziarie che implica è suscettibile di avviare nella persona affetta una catena di conseguenze negative, sino al ricorso a comportamenti antisociali che possono trasmodare nella commissione di reati". Dunque il c.d. "gioco legale", pur costituendo un'importante occasione di guadagno per imprese come la ricorrente e pur generando ragguardevoli entrate per l'Erario, scarica però sulla collettività elevati costi sociali. Per far fronte a questa emergenza, stante la perdurante inerzia del legislatore nazionale, sono intervenute le Regioni, la Provincia autonoma di Bolzano e - per quanto interessa in questa sede - la Provincia autonoma di Trento, adottando misure volte ad allontanare l'offerta di gioco dai luoghi ove si concentrano soggetti considerati maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, con il dichiarato fine di prevenire lo sviluppo di forme di gioco compulsivo e con la finalità, non secondaria, di evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica. Tali considerazioni valgono evidentemente a spiegare perché il verificatore nominato in esecuzione dell'ordinanza n. 37 del 2022 - pur in assenza di una specifica richiesta formulata da questo Tribunale - nella propria relazione abbia inserito una premessa volta ad evidenziare che la Provincia di Trento, mediante la disciplina posta dagli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015, mira a prevenire il fenomeno della ludopatia attraverso una limitazione dell'offerta del gioco legale. 3. Come pure ricordato dalla Sezione autonoma di Bolzano in più occasioni (ex multis, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 67/2023 cit.) la cornice normativa statale entro la quale le Province di Trento e Bolzano hanno esercitato il proprio potere legislativo va individuata nell'art. 86 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (di seguito T.U.L.P.S., approvato con il R.D. 18 giugno 1931, n. 773), che disciplina le "sale pubbliche per bigliardi e per altri giochi leciti", espressamente definite quali "esercizi pubblici" dall'art. 174 del Regolamento d'esecuzione del T.U.L.P.S. (R.D. n. 635/1940), e nel successivo art. 88 del T.U.L.P.S., recante la disciplina delle "licenze per l'esercizio delle scommesse", per il quale queste possono essere concesse "esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione.". Peraltro l'art. 9 dello Statuto speciale di Autonomia per il Trentino-Alto Adige/Sü dtirol (D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) attribuisce alle Province autonome di Trento e di Bolzano la potestà legislativa in materia di "pubblici spettacoli" (art. 9, comma 1, n. 6) e di "esercizi pubblici" (art. 9, comma 1, n. 7), esclusi la determinazione dei "requisiti soggettivi richiesti dalle leggi dello Stato per ottenere le licenze e i poteri di vigilanza dello Stato ai fini della pubblica sicurezza" e restando riservata al Ministero dell'Interno "la facoltà ... di annullare d'ufficio, ai sensi della legislazione statale, i provvedimenti adottati nella materia, anche se definitivi" (art. 9, comma 1, n. 7). Nei limiti previsti dalle anzidette disposizioni statutarie le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'art. 16 dello Statuto speciale di Autonomia dispongono, altresì, della potestà amministrativa in materia. L'art. 1 del D.P.R. 1° novembre 1973, n. 686 (Norma d'attuazione in materia d'esercizi pubblici) dispone poi che le province autonome di Trento e Bolzano "esercitano nelle materie degli spettacoli pubblici e degli esercizi pubblici le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato ai sensi e nei limiti dell'art. 9, numeri 6) e 7), e dell'art. 16 del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670. Ai fini dell'eventuale annullamento d'ufficio, ai sensi della legislazione statale, dei provvedimenti adottati in materia d'esercizi pubblici, le province trasmettono al Ministro per l'interno un elenco mensile dei provvedimenti adottati con l'indicazione del loro oggetto". L'art. 20, comma 1, dello Statuto speciale di Autonomia dispone, infine che i Presidenti delle Province "esercitano le attribuzioni spettanti all'autorità di pubblica sicurezza, previste dalle leggi vigenti, in materia... di esercizi pubblici", aggiungendo che "Ai fini dell'esercizio delle predette attribuzioni i Presidenti delle Province si avvalgono anche degli organi di polizia statale, ovvero della polizia locale, urbana e rurale". 4. Dunque la Provincia autonoma di Trento con la legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 (recante "Interventi per la prevenzione e la cura della dipendenza da gioco"), nell'esercizio delle proprie competenze, ha adottato misure finalizzate a limitare la diffusione del gioco legale e, contestualmente, a promuovere e contrastare le dipendenze dal gioco d'azzardo, anche se legale, e a curare la dipendenza patologica. Per quanto interessa in questa sede, l'art. 5 della legge n. 13/2015 dispone, al comma 1, che "Per tutelare determinate categorie di persone più vulnerabili e per prevenire la dipendenza da gioco, è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), a una distanza inferiore a trecento metri dai seguenti luoghi: a) istituti scolastici o formativi di qualsiasi ordine e grado; b) strutture sanitarie e ospedaliere, incluse quelle dedicate all'accoglienza, assistenza e recupero di soggetti affetti da qualsiasi forma di dipendenza o in particolari condizioni di disagio sociale o che comunque fanno parte di categorie protette; c) strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario, scolastico o socio-assistenziale; d) strutture e aree ricreative e sportive frequentate principalmente da giovani, nonché centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 14 febbraio 2007, n. 5 (legge provinciale sui giovani 2007); e) circoli pensionati e anziani previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 25 luglio 2008, n. 11 (Istituzione del servizio di volontariato civile delle persone anziane, istituzione della consulta provinciale della terza età e altre iniziative a favore degli anziani); f) luoghi di culto". La medesima legge provinciale n. 13/2015 reca, all'art. 14, comma 1, una disposizione transitoria secondo la quale "gli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto n. 773 del 1931 posti a una distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 5, comma 1, sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore di questa legge (12 agosto 2022) se collocati nelle sale da gioco ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi (12 agosto 2020)". In applicazione di tale disciplina il Servizio Industria, artigianato, commercio e cooperazione della Provincia di Trento ha adottato la circolare prot. n. 491566 del 21 settembre 2016, con cui ha chiarito che - avuto riguardo al criterio di misurazione della distanza degli apparecchi da gioco dai luoghi sensibili - "al fine di assicurare l'applicazione di un criterio uniforme su tutto il territorio provinciale per la misurazione della distanza, si ritiene corretto l'utilizzo del criterio del raggio, in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso/ingresso principale dell'esercizio/locale/area interessati alla collocazione o alla rimozione degli apparecchi di cui all'art. 100 comma 6 del TULPS". Il Comune di Trento, a sua volta, con la delibera consiliare n. 32 in data 8 marzo 2017 ha provveduto ad individuare i luoghi sensibili di cui al suddetto art. 5, comma 1, presenti sul proprio territorio. 5. A detta della parte ricorrente l'illegittimità del provvedimento del Comune di Trento, oggetto di impugnazione, discenderebbe dall'illegittimità costituzionale della legge provinciale n. 13/2015. Non è infatti in contestazione la circostanza che la sala giochi di cui trattasi rientri nel raggio di 300 mt in linea d'aria dai luoghi sensibili indicati nella motivazione del provvedimento impugnato. In particolare, secondo la ricorrente, la distanza di 300 mt, indicata dal legislatore provinciale, e il numero dei luoghi sensibili, come individuati dallo stesso legislatore provinciale, determinerebbero un divieto di collocazione degli apparecchi da gioco di cui trattasi applicabile sulla sostanziale totalità del territorio del Comune di Trento, anziché solo su porzioni di esso, venendosi così a creare il c.d. "effetto espulsivo". Difatti solo su una ridottissima percentuale del territorio comunale (pari al 3,86%) potrebbero permanere tali apparecchi, e questo dato costituirebbe un divieto talmente afflittivo da intendersi come assoluto, ossia riguardante, per l'appunto, la sostanziale totalità del territorio comunale. Quindi la ricorrente lamenta l'incostituzionalità delle norme innanzi richiamate assumendo che gli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge n. 13/2015 si pongono in contrasto con gli articoli 3, 32, 41, 47 e 117 Cost, in relazione a quanto disposto dall'art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU e dagli articoli 16 e 17 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché con i principi sanciti nell'Intesa raggiunta all'esito della Conferenza Unificata del 7 settembre 2017. 6. A tal riguardo giova premettere: A) da un lato, che la ricorrente non ha impugnato né la suddetta circolare della Provincia di Trento prot. n. 491566 del 21 settembre 2016, né la delibera consiliare del Comune di Trento n. 32 in data 8 marzo 2017; B) dall'altro, che (come già osservato da questo Tribunale nell'ordinanza n. 37 del 2022) le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla ricorrente non sono state ancora esaminate dalla Corte costituzionale, neppure nella sentenza 27 febbraio 2019, n. 27. In particolare, secondo quanto si legge nella motivazione di tale sentenza, "Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi più volte riguardo alla disciplina dei giochi leciti, ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di "ordine pubblico e sicurezza" per le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e per l'individuazione dei giochi leciti. Si tratta di profili, infatti, che evocano finalità di prevenzione dei reati e di mantenimento dell'ordine pubblico (sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006), giustificando la vigenza del regime autorizzatorio previsto dagli artt. 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (da qui: TULPS). Ciò, tuttavia, non comporta che ogni aspetto concernente la disciplina dei giochi leciti ricada nella competenza statale, ben potendo le Regioni intervenire con misure tese a inibire l'esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati "sensibili", al fine di prevenire il fenomeno della "ludopatia". Disposizioni di tal fatta risultano "dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica" (sentenza n. 300 del 2011). Si tratta, in altri termini, di normative che prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso a detti giochi da parte degli utenti. Esse, pertanto, sono ascrivibili alle materie "tutela della salute" e "governo del territorio", nelle quali spetta alle Regioni e alle Province autonome una potestà legislativa concorrente. Entro tale cornice si è mosso il legislatore statale, che con il d.l. n. 158 del 2012, come convertito, ha previsto, all'art. 7, comma 10, la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante le cosiddette slot machines, ubicati in prossimità di luoghi sensibili (definendo come tali, in particolare, gli istituti di istruzione primaria e secondaria, le strutture sanitarie e ospedaliere, i luoghi di culto e i centri socio-ricreativi e sportivi). Nelle more dell'intervento ivi previsto, non ancora realizzato, quasi tutte le Regioni hanno adottato disposizioni tese a individuare luoghi sensibili, prevedendo distanze minime dagli stessi, oscillanti fra i 300 e i 500 metri, per l'ubicazione di sale da gioco e scommesse, e macchine da gioco. L'elencazione dei luoghi è piuttosto varia, ma comprende sempre gli istituti scolastici, i luoghi di culto, gli impianti sportivi e le strutture sanitarie e per categorie protette, con talune specificità, come per gli istituti di credito e gli sportelli bancomat, gli uffici postali, gli esercizi di acquisto e vendita di oggetti preziosi e d'oro usati (Regione Marche e Regione Piemonte), le stazioni ferroviarie (Regione Piemonte), i terminal bus (Regione Molise), i circoli pensionati e anziani (Provincia autonoma di Trento). Sovente, inoltre, si attribuisce la facoltà d'individuare ulteriori luoghi sensibili ai Comuni, che sono intervenuti di frequente sul punto, in taluni casi anche contemplando le caserme militari (è il caso, ad esempio, del Comune di Venezia, che così dispone all'art. 6 della deliberazione del Consiglio comunale 10 novembre 2016, n. 50, recante "Regolamento comunale in materia di giochi"). Tali interventi normativi hanno dato origine a un cospicuo contenzioso, riguardo al quale i giudici amministrativi hanno sottolineato l'estraneità di disposizioni siffatte all'ordine pubblico e alla sicurezza e la loro attinenza, invece, alla prevenzione della ludopatia. La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha sottolineato la legittimità delle norme regionali e comunali anche in assenza della pianificazione prevista dall'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, nonché la natura non tassativa dell'elencazione dei luoghi sensibili ivi prevista.... In seguito, con la sentenza n. 108 del 2017 questa Corte ha nuovamente sottolineato le finalità di carattere socio-sanitario di discipline regionali recanti limiti di distanza dai luoghi sensibili, ascrivibili quindi alla materia della "tutela della salute", così come presupposto, d'altronde, dallo stesso art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012. Inoltre, la pianificazione prevista dalla legislazione statale non costituisce una previa condizione necessaria per l'intervento delle Regioni, poiché la mancanza del decreto attuativo di tale pianificazione non può avere l'effetto di paralizzare sine die la competenza legislativa regionale, che si può esercitare nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale. I più recenti interventi regolatori confermano tale assetto. In particolare, in data 7 settembre 2017 è stata siglata in Conferenza unificata l'intesa prevista dall'art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", volta alla definizione delle caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché dei criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età . L'intesa fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali, ove recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive. Sebbene tuttora non recepita dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze previsto dalla legge n. 208 del 2015, tale intesa è stata espressamente richiamata dalla successiva legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che all'art. 1, comma 1049, stabilisce che le Regioni adeguino la propria legislazione a quanto sancito dalla stessa". Dunque non può dubitarsi (e comunque non è in contestazione) che la Provincia di Trento avesse titolo per adottare la legge n. 13/2015, come già precisato da questo Tribunale in altra occasione (T.R.G.A. Trentino - Alto Adige, Trento, 4 febbraio 2020, n. 12). 7. Tanto premesso, ai fini dell'esame delle censure formulate dalla ricorrente assume dirimente rilievo - a giudizio del Collegio - il ragionamento svolto dal Consiglio di Stato nelle due pronunce richiamate dalla Provincia di Trento nella memoria depositata in data 17 febbraio 2023, ossia la sentenza della Sez. VI n. 1618 del 2019 e la sentenza della Sez. V n. 11426 del 2022. 8. In particolare con la sentenza n. 1618 del 2019 sono stati respinti gli appelli riuniti proposti avverso le sentenze della Sezione autonoma di Bolzano con le quali erano stati rigettati i ricorsi aventi ad oggetto provvedimenti di decadenza adottati in ragione del fatto che le sale giochi erano ubicate entro un raggio di 300 mt da luoghi sensibili, come definiti dall'art. 5-bis, comma 1, della legge provinciale n. 13/1992 (secondo il quale "Per ragioni di tutela di determinate categorie di persone e per prevenire il vizio del gioco, l'autorizzazione di cui all'articolo 1, comma 2, per l'esercizio di sale da giochi e di attrazione non può essere concessa ove le stesse siano ubicate in un raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente dai giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale. L'autorizzazione viene concessa per 5 anni e ne può essere chiesto il rinnovo dopo la scadenza. Per le autorizzazioni esistenti il termine di 5 anni decorre dal 1° gennaio 2011"). Nella motivazione di tale sentenza si legge quanto segue: "... gli articoli 36, 49, 52 e 56 TFUE ammettono le misure derogatorie in materia di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi "che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica". Per giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia UE, le restrizioni alle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, sicché, in assenza di un'armonizzazione eurounitaria in materia, spetta ad ogni singolo Stato membro valutare in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui trattasi implica, ed ai giudici nazionali assicurarsi, in modo coerente e sistematico, tenendo conto delle concrete modalità di applicazione della normativa restrittiva di cui trattasi, che quest'ultima risponda veramente all'intento di ridurre le occasioni da gioco e di limitare le attività in tale settore (v. Corte di giustizia UE 22 ottobre 2014, nelle cause C-344/13 e C-367/13; id., 24 gennaio 2013, nella causa C-33/2013; id., 16 febbraio 2012, nelle cause C-70/10 e C-77/10; nonché Corte giustizia UE, 30 giugno 2011, nella causa C-212/08, secondo cui "gli obiettivi perseguiti dalle normative nazionali adottate nell'ambito dei giochi e delle scommesse si ricollegano, di regola, alla tutela dei destinatari dei servizi interessati e dei consumatori, nonché alla tutela dell'ordine sociale; siffatti obiettivi rientrano nel novero dei motivi imperativi di interesse generale che possono giustificare limitazioni alla libera prestazione dei servizi; anche le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l'individuo e la società che sono collegate ai giochi d'azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare, secondo la propria scala di valori, le prescrizioni a tutela del consumatore e dell'ordine sociale"). La Corte di giustizia ha, del pari, escluso la necessità di una previa comunicazione alla Commissione europea, ai sensi della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 (che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione), sulla base del rilievo che i principi di libera circolazione e di divieto di limitazione o restrizione presidiati dalle regole di trasparenza e pubblicità della direttiva 98/34 non sono né assoluti né generalizzati, rientrando, in particolare, la disciplina dei giochi d'azzardo nei settori in cui sussistono fra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, in base alle quali restrizioni alle predette attività di gioco possono essere introdotte se giustificate da ragioni imperative di interesse generale, come, ad es., la dissuasione dei cittadini da una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (v. sentenza 24 gennaio 2013, cit.)". Nella stessa sentenza n. 1618 del 2019 - con particolare riferimento alla prospettata questione di legittimità costituzionale dall'art. 5-bis, comma 1, della legge provinciale n. 13/1992 per contrasto con l'art. 41 Cost., laddove individua una serie di siti c.d. sensibili in un raggio di 300 m dalle sale giochi, causando "un effetto espulsivo dell'attività d'impresa, di per sé lecita, dall'intero territorio dei comuni in cui si trovano le sale da gioco gestite dalle imprese medesime, se non dall'intero territorio provinciale" - viene evidenziato che "il parametro di legittimità costituzionale dell'art. 41 Cost. e dell'ivi contenuta clausola di utilità sociale deve essere rapportato al principio di ragionevolezza ex art. 3, comma 2, Cost., la cui valutazione deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (sul principio di ragionevolezza riconducibile all'art. 3, secondo comma, Cost., v. Corte cost. n. 1130/1988)". Sulla scorta di tale ragionamento il Giudice d'appello (come pure risulta dalla motivazione della sentenza n. 1618 del 2019) ha disposto l'esecuzione di una consulenza tecnica d'ufficio allo scopo di chiarire: A) "se - previa analisi della struttura della domanda e dell'offerta nel segmento del mercato delle sale da gioco, quali quelle gestite dalle odierne appellanti, nonché tenuto conto della disciplina urbanistica vigente nei Comuni di ubicazione degli esercizi di cui è causa e nei Comuni limitrofi (sempre in ambito provinciale) sul cui territorio l'attività potrebbe eventualmente essere delocalizzata - sia attendibile ritenere che l'applicazione del criterio della distanza dai siti c.d. sensibili individuati nell'art. 5-bis, commi 1 e 1-bis, l. prov. n. 13/1992, sia idonea a determinare una contrazione del segmento di mercato de quo, e se, in particolare (come assunto dagli odierni appellanti), sia attendibile ritenere che vi possa derivare una privazione dell'intero segmento di mercato in ambito provinciale"; B) "se sia attendibile ritenere che l'eventuale marginalizzazione topografica delle sale da gioca in cinture extraurbane possa incidere, in senso positivo o negativo (in termini di affluenza), sul comportamento dei consumatori giocatori (tenuto conto del comportamento del consumatore medio) e, correlativamente, sull'attività d'impresa, tenuto conto dell'assetto territoriale provinciale e dei comuni di ubicazione degli esercizi gestiti dagli odierni appellanti"; C) "quali possano essere gli effetti di potenziale variazione della domanda, cioè le dinamiche di variazione del numero degli utenti-consumatori disposti, nelle nuove condizioni comparate con quelle precedenti, ad accedere ai servizi offerti dalle odierne parti appellanti alle nuove condizioni imposte dalla censurata disciplina provinciale". Le risposte del consulente tecnico d'ufficio a tali quesiti sono state sintetizzate come segue nella motivazione della sentenza n. 1618 del 2019. Innanzi tutto "è emerso che, sotto un profilo geografico-territoriale-urbanistico, l'applicazione del criterio della distanza dai siti c.d. sensibili individuati nell'art. 5-bis, commi 1 e 1-bis, l. prov. n. 13/1992 non determina in nessuno dei comuni presi in considerazione nei due elaborati peritali una privazione dell'intero segmento di mercato..., in quanto l'applicazione del criterio distanziale non comporta un'interdizione/espulsione assoluta degli esercizi gestiti dalle imprese ricorrenti né dal territorio dei singoli comuni interessati dai vari ricorsi (compresi i territori dei comuni limitrofi) né, tanto meno, dall'intero territorio provinciale. Infatti, le simulazioni e i rilevamenti effettuati dal consulente tecnico d'ufficio hanno evidenziato la persistente sussistenza di uno spazio utile residuo nell'ambito dei singoli terrori comunali, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l'organizzazione economica delle attività delle sale giochi gestite dalle imprese odierne appellanti...". Inoltre "il consulente tecnico d'ufficio - sviluppando ex novo un modello di stima della domanda potenziale, in relazione all'ubicazione delle sale gioco sul territorio, che consente di comprendere l'influenza del posizionamento delle sale sulla raccolta effettivamente realizzata e di valutare l'impatto che le nuove diverse condizioni di localizzazione, stabilite dalla normativa provinciale, produrrebbero sull'attività d'impresa dei ricorrenti a parità di ogni altra condizione - è pervenuto alla conclusione (in risposta al secondo quesito sottopostogli) che l'attuale configurazione dell'offerta provinciale mostra come le sale gioco abbiano operato nel corso degli anni passati in modo da rendere la localizzazione un parametro strategicamente non rilevante per la propria raccolta di gioco. In altri termini, la raccolta di gioco complessivamente realizzata dalle sale gioco in un orizzonte temporale sufficientemente ampio (2011-2017) risulta essere indipendente dalla loro distribuzione sul territorio, e i differenti risultati in termini di raccolta di gioco per apparecchio da intrattenimento delle singole sale sembrano determinati da fattori diversi, probabilmente riconducibili alla tipologia e alla varietà di servizi offerti in grado di attirare in misura maggiore o minore le differenti tipologie di consumatori. In particolare, da un raffronto tra i dati di raccolta nella media annuale relativi al periodo 2011-2017 e la raccolta di gioco stimata in esito alla ricollocazione degli esercizi (v. le tabelle dalla 3.13. alla 3.19. delle due relazioni peritali), emerge che la distanza degli esercizi dal baricentro dei vari comuni non costituisce un fattore incidente sulla capacità complessiva di raccolta degli esercizi medesimi. Tali conclusioni, in linea con il comportamento che può essere attribuito a operatori economici razionali, sono state confermate dall'applicazione del modello definito dal consulente tecnico d'ufficio ad hoc per il caso di specie, che si basa sulle caratteristiche dei consumatori/giocatori desunte dallo studio indipendente più completo e attendibile ora a disposizione in Italia effettuato dall'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ifc-CNR), sulla distribuzione della popolazione nei territori in questione e sulla posizione delle sale da gioco. Sul lato della domanda, il consulente tecnico d'ufficio ha preso le mosse dalle varie classificazioni delle tipologie di consumatori/giocatori: - secondo un primo approccio metodologico, i consumatori/giocatori sono classificabili nelle categorie: i) del giocatore sociale (social gambler), per il quale il gioco d'azzardo ha una motivazione prevalente di socializzazione o di intrattenimento da cui deriva una frequenza di gioco occasionale e una spesa complessiva contenuta; ii) del giocatore problematico, che si caratterizza per una maggiore frequenza nel consumo oltre che per un aumento del tempo e della spesa dedicata alle attività di gioco e, per tali ragioni, risulta esposto allo sviluppo di una dipendenza patologica; iii) del giocatore patologico (pathological gambler), il quale presenta una dipendenza patologica e che mostra una frequenza di gioco quotidiana o intensiva associata all'impossibilità di resistere al desiderio di giocare (cosiddetto craving) e all'insorgenza di problemi di astinenza; - seguendo un altro approccio metodologico - riconducibile all'applicazione di uno dei numerosi strumenti diagnostici e di valutazione dei disturbi associati al gioco d'azzardo - i giocatori sono classificabili secondo quattro distinti profili di problematicità connessi al comportamento di gioco di azzardo, precisamente i giocatori esposti i) a nessun rischio (no risk gambler, o giocatore sociale), ii) a basso rischio (low-risk gambling), iii) a rischio moderato (moderate-risk gambling) e iv) a rischio severo (severe problem gambling). Ebbene, collegando la struttura dell'offerta alla struttura della domanda, il consulente tecnico d'ufficio, in applicazione del modello sviluppato, poggia la conclusione della sostanziale indifferenza, in termini di entità della raccolta e dei ricavi, della ricollocazione delle sale gioco di ciascun ricorrente nelle aree disponibili in conseguenza del criterio distanziale previsto dalla normativa provinciale, sui rilievi che, per un verso, la spesa complessiva destinata ai diversi prodotti di gioco è molto più elevata nel caso di giocatori problematici e patologici..., i quali, al contempo, sono molto più propensi allo spostamento verso i nuovi siti..., e che, per altro verso, la specializzazione dell'offerta sulle categorie dei giocatori ad elevato rischio è più redditizia per le imprese offerenti". Alla luce delle risultanze della predetta consulenza tecnica d'ufficio il Consiglio di Stato ha conclusivamente escluso che "la censurata disciplina legislativa determini un'interdizione assoluta del diritto all'esercizio dell'attività economica del gioco lecito in ambito comunale e/o provinciale e una soppressione di tale settore di mercato, con sequela di manifesta infondatezza, sotto tale profilo, della questione di legittimità costituzionale per violazione della libertà di iniziativa economica sancita dall'art. 41, primo comma, della Costituzione". In particolare, secondo quanto si legge nella motivazione della sentenza, "Quanto al profilo dell'adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite - vò lte, oltre a preservare il contesto urbano dai danni alla viabilità e alla quiete pubblica, a tutelare determinate categorie di persone (giovani o soggetti in particolari condizioni sociali e psichiche) e di prevenire il gioco d'azzardo patologico, ovvero la dipendenza dal gioco - ritiene il Collegio che, nella specie, le scelte del legislatore rientrino ampiamente nei limiti della discrezionalità riservata all'attività legislativa, nella specie esercitata correttamente, attesa l'indubbia ragionevolezza della disciplina censurata, realizzando la stessa in modo plausibile il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tramite l'introduzione di criteri distanziali di localizzazione, idonei ad arginare in via preventiva le esternalità negative dell'attività d'impresa del gioco lecito sulla salute pubblica, con ciò concretizzando, nel settore di riferimento, la clausola del mancato contrasto con l'utilità sociale di cui all'art. 41, secondo comma, Cost. (nella quale rientrano anche le esigenze di tutela della sanità e della salute pubblica), e superando con ciò la norma limitativa dell'attività d'impresa il vaglio positivo di ragionevolezza, nel rispetto di tale principio generale enucleabile dall'art. 3 della Costituzione. Infatti, premesso che deve ritersi assodato che lo spostamento delle sale gioco in aree periferiche e la minore capillarità nella distribuzione delle stesse comportino una riduzione significativa del gioco negli apparecchi da intrattenimento in prevalenza nell'ambito della categoria dei giocatori consumatori occasionali/sociali, si osserva che, sebbene secondo le valutazioni del c.t.u. tale categoria di giocatori sia caratterizzata da un profilo di rischio assente o basso rispetto alla possibilità di sviluppare comportamenti patologici di gioco, l'introduzione del distanziometro, sotto il profilo della tutela della salute, ben può essere ritenuto un intervento idoneo ed efficace per prevenire forme di ludopatia, nella misura in cui il gioco occasionale sia interpretato come lo stadio iniziale di un processo che, ancorché in termini probabilistici, porti linearmente allo sviluppo di una dipendenza. Siffatta interpretazione, ancorché controversa nella letteratura del settore, si muove pur sempre entro i limiti dell'attendibilità tecnico-scientifica - infatti il c.t.u., nelle relazioni peritali, dà atto che "le tre categorie di consumatori descritte (ossia, quelle del giocatore sociale, del giocatore problematico e del giocatore patologico; n. d.e.) sono spesso implicitamente o esplicitamente collocate in un continuum che va dai giocatori sociali a quelli patologici e dunque interpretate da alcuni studiosi come differenti stadi di un'evoluzione in senso patologico del comportamento di gioco che, purtuttavia, va considerata come sequenza di fasi di un processo lineare solo per alcuni soggetti", citando correlativa letteratura - sicché alla disciplina dei criteri distanziali dai siti sensibili può essere attribuita, in modo non implausibile, un'efficacia preventiva nella lotta a fenomeni di ludopatia. Occorre, sul punto, precisare che la discrezionalità del legislatore non va confusa con la discrezionalità (amministrativa e/o tecnica) dell'amministrazione pubblica, nel senso che la prima costituisce l'esplicazione delle scelte politiche degli organi investiti del potere legislativo e trova i suoi limiti nelle sole norme sovraordinate di rango costituzionale (ed, eventualmente, nel diritto eurounitario), talché la stessa, una volta rispettati tali limiti (compresi i principi di ragionevolezza e di razionalità intrinseca), non appare ulteriormente sindacabile (in sede di giudizio di costituzionalità ). Ulteriori elementi utili a suffragio dell'efficacia del distanziometro possono trarsi dalla tabella 3.1. delle relazioni peritali, da cui emerge che la percentuale di giocatori con profili di rischio moderato e severo, nell'arco temporale 2007-2017, cresce nella fascia di età dai 15 ai 34 anni, raggiungendo nel 2017-2018 il 9,9% del totale dei giocatori, rispetto al 5,4% del 2007-2008. Ne deriva l'indubbia congruità /adeguatezza dell'individuazione di siti sensibili frequentati da appartenenti alla fascia della popolazione giovanile. Né le considerazioni innanzi svolte possono ritenersi infirmate dalle osservazioni del c.t.u. per cui la contrazione dei segmenti di domanda da servire porterebbe inevitabilmente gli operatori degli esercizi dedicati a concentrare le proprie strategie commerciali verso i giocatori non occasionali, disposti a spostarsi per soddisfare il proprio bisogno di giocare, talché, nel breve termine, la raccolta di gioco relativa ai giocatori patologici o problematici, ovvero relativa a coloro che si caratterizzano per profilo di rischio moderato e/o severo, non dovrebbe subire per il complesso delle sale ubicate nel territorio provinciale variazioni significative, poiché tali consumatori, per i meccanismi sottesi alle dipendenze, sarebbero disposti a spostarsi anche di molto al fine di soddisfare il bisogno di gioco, con il conseguente rischio di una concentrazione delle strategie degli operatori verso i giocatori problematici con la finalità di attirarne un maggior numero all'interno delle sale e con la possibilità che una parte più o meno ampia di questi possa aggravare il proprio comportamento di gioco nella direzione dello sviluppo di una reale dipendenza patologica. Trattasi, invero, di effetti negativi nel breve periodo, da affrontare in un momento successivo con interventi adeguati incentrati sulle categorie dei giocatori problematici, mentre nella presente sede appare dirimente la non implausibile efficacia preventiva sulle categorie dei giocatori sociali/occasionali e delle fasce giovanili, onde impedirne un'evoluzione in senso patologico nel comportamento di gioco. Ne deriva l'indubbia congruità /adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite e la mancata violazione dell'art. 41 Cost. e del principio di ragionevolezza, con conseguente insussistenza dei presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale". 9. Il ragionamento seguito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1618 del 2019 - che allo stato risulta passata in giudicato in quanto i ricorsi per revocazione proposti avverso tale sentenza, e menzionati dalla ricorrente, sono stati dichiarati inammissibili dal Consiglio di Stato con le sentenze n. 10322, n. 10323, n. 10324 e 10326 del 2022 - si rinviene, in gran parte, nella motivazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 11426 del 2022 (resa all'esito del giudizio nell'ambito del quale è stata adottata l'ordinanza collegiale n. 1766 del 2022, richiamata da questo Tribunale nell'ordinanza n. 37 del 2022); peraltro in tale sentenza risulta ulteriormente valorizzata l'esigenza di analizzare i casi concreti al fine di accertare non solo se l'imposizione dei limiti distanziali determini nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di gioco legale, ma anche se l'individuazione delle aree destinate a tale attività renda, di fatto, impossibile la delocalizzazione delle imprese esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione nell'ambito della quale rilevano non soltanto gli impedimenti di natura giuridica, ma anche "gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali". In particolare nella motivazione della sentenza n. 11426 del 2022 si legge quanto segue: "Non è in discussione la conformità a Costituzione, in specie all'art. 41, comma 2, della legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili (cfr. Cons. Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8298), né la compatibilità con la normativa euro unitaria, considerato che la Corte di Giustizia UE ammette le misure derogatorie alle libertà di stabilimento, di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi per giustificati motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, oltreché per "motivi di interesse generale" (cfr., tra le altre, Cons. Stato, VI, 11 marzo 2019, n. 1618 e id., 19 marzo 2019, n. 1806). Quanto alla ragionevolezza dell'interdizione, si osserva che in plurime occasioni, ed in modo puntuale con la sentenza n. 108 del 2017, la Corte Costituzionale è intervenuta a difesa della normativa regionale, precisando che serve ad "evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo"". La questione tuttora controversa attiene piuttosto agli effetti delle misure adottate sulle attività in essere ed alla loro idoneità a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l'ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi. Rileva al riguardo il principio di proporzionalità ... che impone all'amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato; evidenziandosi, altresì, che, definito lo scopo avuto di mira, il principio è rispettato se la scelta concreta dell'amministrazione è in potenza capace di conseguire l'obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità ), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza), come da giurisprudenza costante.... Questo Consiglio di Stato ha affermato, con argomentazioni che si richiamano e si condividono, che il limite distanziale, comportante il divieto di esercizio delle sale da gioco, delle sale scommesse e dei punti di raccolta in locali che si trovino a una distanza inferiore a 500 metri dai luoghi sensibili, costituisce mezzo idoneo al perseguimento degli obiettivi prefissati di contrasto al fenomeno c.d. della ludopatia (così, con specifico riferimento alla normativa della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna, Cons. Stato, pareri n. 686/21, n. 1840/21 e 550/22; ma, più in generale, cfr. anche Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147). In particolare, il già citato parere n. 686/21 ha osservato che "si è di fronte ad una misura che realizza la finalità delle norme dettate in materia, atteso che essa consente di salvaguardare, attraverso la riduzione delle occasioni di gioco, fasce di consumatori psicologicamente più vulnerabili ed immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni (cfr. sul punto, Cons. Stato, V, 4-12-2019, n. 8298; VI, 19-3-2019, n. 1806); in particolare, essa, ponendo limitazioni spaziali agli esercizi dove si raccolgono il gioco e le scommesse, rende maggiormente difficoltoso, specie per le categorie a rischio, l'incontro con l'offerta di gioco", senza che possa rilevare in senso contrario la considerazione... che la "marginalizzazione" dei centri di raccolta potrebbe favorire situazioni di maggiore illegalità, dato che risulta perseguita la finalità principale della legislazione statale di ridurre le occasioni di gioco lecito, malgrado la necessità di ulteriori interventi di diversa natura (cfr. Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147, citata nel detto parere)". Sulla scorta di tale ragionamento il Giudice d'appello con la predetta ordinanza collegiale n. 1766 del 2022 ha disposto l'esecuzione di una verificazione (poi affidata anch'essa al prof. Pi. Vi.) allo scopo di chiarire: A) "se, tenuto conto della conformazione naturale e della disciplina urbanistica vigente nel Comune di Bologna, l'applicazione del criterio della distanza dai siti c.d. sensibili individuati nell'art. 6 comma 2 bis, della legge della Regione Emilia Romagna n. 5 del 2013, come modificato dall'art. 48 della legge regionale n. 18 del 2016, così come attuato dalle deliberazioni della Giunta Regionale oggetto di impugnazione (n. 831 del 12 giugno 2017 e n. 68 del 21 gennaio 2019), unitamente alle modalità applicative di cui alla deliberazione del Consiglio comunale n. 239 del 2018, determini che non sia in assoluto possibile la localizzazione sull'intero territorio comunale delle sale gioco e delle sale scommesse come definite dalla legge regionale e quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti, secondo quanto appresso), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione"; B) "inoltre se, tenuto conto di tutte le sale gioco e le sale scommesse autorizzate ed in esercizio in ambito comunale alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 18 del 2016, nonché della "mappatura dei luoghi sensibili" realizzata dall'amministrazione comunale, l'applicazione della disciplina volta alla c.d. delocalizzazione dell'attività nello stesso territorio comunale ne consentisse, nei termini ivi fissati, il trasferimento e la prosecuzione in altro sito idoneo, contestualmente ad ana trasferimento da attuarsi da parte degli altri operatori economici destinatari del medesimo divieto di legge, anche alla stregua della zonizzazione vigente nel territoriale comunale e/o di altri atti, generali o di pianificazione, dell'amministrazione comunale utili all'individuazione di aree idonee allo scopo". Secondo quanto pure si legge nella motivazione della sentenza n. 11426 del 2022, in risposta al primo di tali quesiti il prof. Vi. ha affermato che: A) "le aree disponibili all'interno del territorio comunale per l'insediamento delle attività di gioco lecito (corrispondenti agli areali indicati nella relazione) ammontano a circa 330 ha e rappresentano il 5,4% del territorio urbanizzato; come detto, rispetto alle previsioni dei previgenti PSC-RUE, la quantità risulta ridotta, sia per la diminuzione del territorio urbanizzato, sia per la riduzione degli areali all'interno dei quali risultano ammissibili le attività in contestazione"; B) "le richieste di nuove localizzazioni accolte da parte dell'amministrazione comunale di Bologna (complessivamente in numero di 25, come da dettaglio contenuto nella relazione) dimostrano che la localizzazione delle attività legate al gioco lecito è probabile e praticabile, sia dal punto di vista delle potenzialità urbanistiche, sia della realtà del mercato urbano immobiliare locale"; C) "dal punto di vista urbanistico - funzionale generale, le aree potenzialmente ospitali le funzioni di gioco lecito sono prevalentemente rappresentate da ambiti a destinazione produttiva - artigianale e/o caratterizzate da funzioni urbane miste, commerciali e terziarie in particolare". In risposta al secondo quesito il prof. Vi. ha poi precisato che "anche nel caso astratto e poco probabile che tutte le attività di gioco d'azzardo lecito autorizzate e in esercizio in ambito comunale alla data di entrata in vigore della legge regionale decidessero la loro delocalizzazione - fattispecie assai poco probabile dal punto di vista delle effettive scelte e volontà imprenditoriali - appare comunque in via teorica possibile che tali attività possano delocalizzarsi nelle porzioni urbane urbanisticamente ospitali individuate, in ragione della loro non trascurabile dimensione quantitativa (330 ha, pari al 5,4% del Territorio urbanizzato)". Sulla scorta di tali risposte il Giudice d'appello ha concluso come segue: "Quanto alla conformità della misura al principio di proporzionalità, in riferimento ai parametri della stretta necessità e dell'adeguatezza, non è condivisibile, in linea di principio, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata che "l'esistenza di aree all'uopo idonee seppur pari ad una minuscola porzione del territorio superstite (0,39 kmq pari allo 0,28% del totale)" sarebbe preclusiva del c.d. effetto espulsivo illegittimamente pregiudizievole degli interessi privati. Invero, questa affermazione è accettabile con riguardo all'installazione di nuove attività imprenditoriali. Diversamente tuttavia va atteggiato il giudizio relativo alla stretta necessità e, soprattutto, all'adeguatezza della misura distanziometrica quando applicata alle attività imprenditoriali esistenti. La violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si potrebbe configurare, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determinasse nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l'individuazione delle aree destinate rendesse impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene - in ciò parzialmente discostandosi da quanto affermato in altre occasioni (cfr. Cons. Stato, V, n. 8298/19 cit., nonché Cons. Stato, parere n. 689/21) - debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato, gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali. Formulato perciò in tal senso il secondo quesito della verificazione, va apprezzato l'accertamento del verificatore (sopra esposto) secondo cui la ri-collocazione nel territorio comunale bolognese dell'attività delle sale giochi, quali quelle della ricorrente, non è né esclusa né resa particolarmente gravosa - tale cioè da rendere in concreto inesigibile il trasferimento - dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione". Dunque, a ben vedere, la sentenza n. 11426 del 2022 effettivamente segna un parziale superamento dell'orientamento in precedenza seguito dal Giudice d'appello (Consiglio di Stato, Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 8298), con riferimento ad una fattispecie nella quale le risultanze della verificazione avevano consentito di appurare che i divieti imposti con regolamento comunale, in attuazione di una legge regionale, non avevano quale effetto l'espulsione dell'attività imprenditoriale dell'appellante dal mercato, stante la possibilità di ubicare esercizi commerciali destinati alla collocazione di apparecchi da gioco "in significativa percentuale della parte cittadina edificata". Difatti in tale occasione il Giudice d'appello aveva affermato quanto segue: "Se, poi, tale astratta possibilità sia difficilmente attuabile in concreto, perché, come rappresentato dall'appellante, i locali commerciali disponibili risultano adibiti ad altre attività, ciò non modifica la conclusione raggiunta, perché non si tratta di conseguenza imputabile alla misura restrittiva in contestazione, e dunque, di barriera all'ingresso non di carattere normativo, ma meramente fattuale, dipendente dallo stato di fatto dei luoghi. Si tratta, insomma, di una situazione non dissimile da quella in cui viene a trovarsi un qualsiasi operatore economico che intenda reperire un locale commerciale idoneo per avviare una nuova attività commerciale e si trovi dinanzi ad un panorama immobiliare in cui tutti i locali commerciali sono già occupati da altre attività commerciali, con la sola differenza che, in questo caso, la cerchia degli immobili disponibili è più ristretta. Allo stesso modo di quanto accade, peraltro, in relazione ai divieti previsti all'interno degli strumenti urbanistici per la collocazione, in talune zone del territorio comunale, di altre - peculiari - attività (si pensi, ad es., alla collocazione di esercizi commerciali che producano residui dell'attività lavorativa pericolosi per l'ambiente e che per questo devono essere necessariamente collocati lontani dai centri cittadini). In ultimo, è evidente che la limitazione prospettata dall'appellante è per sua natura temporanea, per essere lo scenario cittadino continuamente mutevole e l'alternanza degli esercizi commerciali, anche di diversa tipologia, nell'ambito delle città, continua, molto più, può dirsi, di quanto accadeva in passato". In ogni caso - secondo quanto pure affermato nella sentenza n. 11426 del 2022 - "Non essendo rimasto precluso lo svolgimento dell'attività della ricorrente ma solo imposta una delocalizzazione della medesima, in concreto non impossibile, si appalesano prive di pregio le censure concernenti un asserito effetto espropriativo generatore di un diritto di indennizzo (cfr. Cons. Stato, parere n. 1840/21), anche in relazione a quanto previsto dall'art. 1, Protocollo 1, CEDU (cfr. Cons. Stato, parere n. 550/22), nonché le censure concernenti la lesione del legittimo affidamento. La gradualità con la quale, nel caso della Regione Emilia Romagna, l'amministrazione ha agito, onde pervenire alla c.d. delocalizzazione, costituisce già una misura di salvaguardia degli interessi privati (cfr. sul tema, Cons. Stato, parere n. 550/22). La moratoria di cui si dirà ... integra infatti un elemento di tutela dell'operatore economico, diretto a consentirgli, entro un congruo lasso temporale (pari a dodici mesi ulteriormente prorogabili di sei, ma con decorrenza dalla data di comunicazione del provvedimento di "mappatura", intervenuto il 14 maggio 2018, a distanza di circa un anno dalla delibera regionale n. 831 del 12 giugno 2017) di svolgere tutte le attività necessarie al reperimento di nuovi locali continuando, nelle more, l'esercizio dell'attività e realizzando un equilibrato e ragionevole contemperamento degli interessi privati e pubblici coinvolti (così testualmente, Cons. Stato, parere n. 686/21). D'altronde, i motivi di asserita "oggettiva aleatorietà dell'eventuale spostamento dei locali di esercizio" esposti in ricorso sono prospettati in termini del tutto ipotetici per la parte riferita a sopravvenienze normative impeditive del trasferimento ed in termini del tutto svincolati dalla normativa applicabile per la parte riferita alla sopravvenienza di un nuovo "luogo sensibile"...". 10. Passando ora alla fattispecie oggetto del presente giudizio, come già evidenziato nella parte in fatto questo Tribunale con l'ordinanza n. 37 del 2022 - tenuto conto di quanto deciso dal Consiglio di Stato con la predetta ordinanza n. 1766 del 2022, nonché delle specifiche censure formulate dalla ricorrente, incentrate esclusivamente su impedimenti di natura giuridica derivanti dalla legge provinciale n. 13/2015 - ha disposto l'esecuzione di una verificazione per appurare "se, tenuto conto della conformazione del territorio del Comune di Trento e della relativa disciplina urbanistica vigente, l'applicazione del criterio della distanza di trecento metri dai siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 determini una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di sale gioco come quelle gestite dall'impresa ricorrente e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione". Giova infatti ribadire che, a detta della ricorrente, neppure in astratto potrebbe ipotizzarsi una delocalizzazione dell'attività da essa svolta perché soltanto su una ridottissima porzione del territorio del Comune di Trento (pari al 3,86%) essa potrebbe continuare ad operare, e questo dato percentuale comporterebbe un divieto pressoché assoluto, ossia riguardante la sostanziale totalità del territorio comunale. In risposta a tale articolato quesito il verificatore ha concluso che: A) "L'applicazione della distanza di 300 metri (buffer) dai siti sensibili individuati dall'Amministrazione comunale di Trento non determina una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di funzioni di gioco d'azzardo lecite, in quanto l'applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili non comporta un'impossibilità assoluta dell'esercizio di queste attività, in particolare all'interno del Territorio urbanizzato"; B) "La localizzazione rimane infatti possibile e ammessa in diversi ambiti della città - ambiti che, quindi, non ricadono all'interno dei buffer di 300 metri determinati dalla presenza dei luoghi sensibili - e riguarda circa 712,4 ha, che rappresentano il 22,4% del Territorio urbanizzato. Si tratta come detto di un dato che appare più che significativo in rapporto anche alla particolare configurazione ambientale, insediativa, morfologica del Territorio comunale"; C) "Anche sottraendo a queste il 50% (dato, come detto, prudenziale e precauzionale), percentuale che rappresenta le aree in cui l'effettivo stato dei luoghi (per caratteristiche insediative e di urbanizzazione, desunte attraverso la tecnica della fotointerpretazione e con alcuni rilievi sul campo) rende improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo e che quindi possono essere conseguentemente considerate "resistenti" alla trasformazione, le aree ospitali il gioco d'azzardo lecito ammontano a 356,2 ha (pari all'11,2% del Territorio urbanizzato). Una superficie ospitale in sé certamente ragguardevole per dimensioni quantitative, forma delle aree, contesti funzionali di riferimento"; D) "Dal punto di vista urbanistico-funzionale generale,... le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito sono rappresentate sia da ambiti a destinazione prevalentemente residenziale (di matrice storica e non), sia da aree a destinazione produttiva- artigianale, al netto delle specifiche esclusioni, ottenendo in questo modo nei fatti un effetto di marginalizzazione e non una sostanziale preclusione alla localizzazione, all'interno del territorio comunale, di sale da gioco d'azzardo lecito (il cosiddetto effetto espulsivo)". 11. Dunque le conclusioni alle quali è pervenuto il prof. Vi. - lette alla luce del ragionamento svolto dal Consiglio di Stato nelle sentenze n. 1618 del 2019 n. 11426 del 2022, incentrato sull'esigenza di verificare in concreto la questione relativa "agli effetti delle misure adottate sulle attività in essere ed alla loro idoneità a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l'ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi" - smentiscono le affermazioni della ricorrente. Tuttavia l'operato del prof. Vi. è stato messo in discussione dalla ricorrente, la quale nella memoria depositata in data 20 febbraio 2023 ha contestato sia la rispondenza dell'attività svolta dal verificatore al quesito formulato con la predetta ordinanza n. 37 del 2022, sia le conclusioni alle quali è pervenuto il verificatore. Occorre, quindi, esaminare le contestazioni mosse dalla ricorrente, anche se - giova anticiparlo - tali contestazioni non sono condivisibili, alla luce delle considerazioni svolte dalla Provincia di Trento e dal Comune di Trento nelle rispettive memorie. 12. Innanzi tutto la parte ricorrente contesta l'individuazione dei luoghi sensibili operata dal verificatore, osservando che questi si è limitato a recepire l'elenco dei luoghi sensibili di cui alla delibera consiliare del Comune di Trento n. 32 del 2017, mentre avrebbe dovuto accertare autonomamente i luoghi sensibili presenti sul territorio comunale. Tale contestazione non è fondata in quanto - sebbene il quesito formulato con l'ordinanza n. 37 del 2022 effettivamente contenga solo un generico riferimento ai "siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015", e non uno specifico riferimento ai siti sensibili individuati con la suddetta delibera consiliare n. 32 del 2017 - tuttavia da ciò non può desumersi che il verificatore avrebbe dovuto accertare autonomamente i luoghi sensibili presenti sul territorio comunale. Difatti, come correttamente osservato dalla Provincia di Trento, da un lato la disciplina posta dall'art. 5 della legge provinciale n. 13/2015, in combinato disposto con l'art. 10, comma 7, della medesima legge (che attribuisce ai Comuni il compito di accertare gli illeciti commessi in violazione dell'art. 5, comma 1) si presta ad essere interpretata nel senso che compete alle Amministrazioni comunali valutare la sussistenza dei presupposti che consentono di acclarare la presenza di un luogo sensibile; dall'altro la parte ricorrente non ha dedotto che il Comune di Trento, nell'accertare i luoghi sensibili presenti sul territorio comunale, ha operato in carenza di potere, né ha impugnato la predetta delibera consiliare n. 32 del 2017. Dunque, tenuto conto dei limiti imposti per legge al sindacato del Giudice amministrativo, derivanti dal principio della domanda (art. 99 cod. proc. civ.), non si vede come questo Tribunale avrebbe potuto e dovuto richiedere al verificatore di disapplicare la predetta delibera consiliare n. 32 del 2017. La ricorrente sostiene poi che il verificatore, nella determinazione della superficie complessiva del territorio comunale non idonea all'installazione degli apparecchi da gioco, avrebbe dovuto utilizzare anche il criterio del tragitto pedonale, e non solo quello del raggio in linea d'aria. Anche tale contestazione è priva di fondamento, innanzi tutto perché il quesito formulato con l'ordinanza n. 37 del 2022 non reca alcun riferimento al criterio del raggio in linea d'aria. Né gli ulteriori quesiti formulati con l'ordinanza presidenziale n. 20 del 2022 - con la quale è stato chiesto al Comune di Trento di confermare che "la distanza inferiore ai 300 metri da tutti i luoghi sensibili indicati nel provvedimento impugnato... e riscontrata relativamente all'esercizio di cui è causa... è stata calcolata secondo il criterio del raggio in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso principale del locale suddetto e l'accesso dei diversi luoghi sensibili", rendendo note comunque "le risultanze del computo della distanza a piedi dai predetti luoghi sensibili all'esercizio medesimo" - possono indurre a ritenere che il verificatore avrebbe dovuto discostarsi dal criterio del raggio in linea d'aria. Difatti tale criterio è stato fissato con la circolare della Provincia di Trento prot. n. 491566 del 21 settembre 2016, e tale circolare non è stata impugnata dalla parte ricorrente. Dunque, anche a tal riguardo, non si vede come questo Tribunale avrebbe potuto e dovuto chiedere al verificatore di disapplicare tale circolare. 13. Passando alle contestazioni relative alle conclusioni del verificatore, il Collegio preliminarmente rileva che la parte ricorrente - pur muovendo diversi rilievi all'operato del verificatore, primo tra tutti quello inerente al riferimento al solo territorio urbanizzato del Comune di Trento ai fini del calcolo della percentuale del territorio comunale in cui trova applicazione il divieto di cui all'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 - non ha potuto negare che il proprio consulente ha finito per determinare la superficie delle aree potenzialmente insediabili in misura pari a 8.18 kmq del territorio comunale, ossia in una misura che risulta sostanzialmente equivalente a quella di 7.12 kmq individuata dal verificatore. Ciò posto il Collegio ritiene priva di fondamento la tesi del consulente della parte ricorrente secondo la quale dalle aree astrattamente insediabili andrebbero comunque escluse le aree interamente residenziali, le aree universitarie e le aree già utilizzate da aziende produttive che occupano insediamenti con capannoni superiori a 20.000. Difatti, come correttamente osservato dalla Provincia di Trento, il divieto di cui all'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 dev'essere riferito esclusivamente alla presenza dei luoghi sensibili, e quindi vi è motivo di ritenere che il verificatore correttamente, ai fini del calcolo della superficie complessiva delle aree astrattamente insediabili, non abbia tenuto conto di vincoli diversi da quelli posti dal predetto art. 5, comma 1. Parimenti infondata è l'affermazione della parte ricorrente secondo la quale il verificatore, ai fini del calcolo della percentuale del territorio comunale in cui trova applicazione il divieto di cui all'art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015, avrebbe erroneamente utilizzato come parametro di riferimento il solo territorio urbanizzato del Comune di Trento. A tal riguardo il Collegio condivide l'orientamento già fatto proprio dalla Sezione autonoma di Bolzano (ex multis, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 67/2023 cit.) secondo il quale - laddove si rapportasse la percentuale la superficie complessiva delle cc.dd. "aree astrattamente insediabili" all'intero territorio comunale, comprensivo cioè di quella sua parte, preponderante, in cui l'edificazione è interdetta tout court - si otterrebbe "un dato certamente falsato". Del resto con l'ordinanza n. 37 del 2022 è stato chiesto al verificatore di tenere conto "della conformazione del territorio del Comune di Trento e della relativa disciplina urbanistica vigente", ossia delle aree che, dal punto di vista della destinazione urbanistica, possono ospitare attività come quella svolta dalla parte ricorrente: e in tal senso il territorio urbanizzato rappresenta il corretto riferimento per l'analisi svolta dal verificatore, proprio in quanto le aree extraurbane sono per loro natura e caratteristiche destinate a usi agricoli produttivi e di tutela ambientale e paesaggistica (si tratta delle zone E, di cui all'art. 2 del D.M. n. 1444/1968). Né coglie nel segno la parte ricorrente quando contesta l'ulteriore affermazione conclusiva del verificatore secondo la quale, riducendo del 50% la superficie delle aree potenzialmente insediabili (ossia della "percentuale che rappresenta le aree in cui l'effettivo stato dei luoghi (per caratteristiche insediative e di urbanizzazione, desunte attraverso la tecnica della fotointerpretazione e con alcuni rilievi sul campo) rende improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo"), come detto pari a 7.12 kmq, si ottiene una superficie pari a 356,2 ha (corrispondente all'11,2% del territorio urbanizzato), che rappresenta "una superficie comunque ragguardevole, per dimensioni quantitative, forma delle aree, contesti funzionali di riferimento". A differenza di quanto asserisce la parte ricorrente, l'affermazione conclusiva del verificatore, se confrontata con quanto affermato dalla giurisprudenza in casi analoghi, non costituisce affatto "una valutazione del tutto personale, non basata su alcuna evidenza tecnica e su cui non si è voluta effettuare alcuna ulteriore analisi". Decisive in tal senso risultano, come altrettanto correttamente osservato dalla Provincia di Trento, le conclusioni alle quali è pervenuto il Consiglio di Stato nella sentenza n. 11426 del 2022. Difatti dalla motivazione di tale sentenza (innanzi integralmente riportata) si evince che - a fronte di una relazione del CTU che aveva quantificato in 330 ha, pari al 5,4% del territorio urbanizzato, la complessiva superficie nel territorio comunale delle aree potenzialmente insediabili - la distanza minima legale imposta dal legislatore regionale, pari a 500 mt, non ha reso impossibile la delocalizzazione delle attività di gioco lecito esistenti ed ha realizzato un equilibrato e ragionevole contemperamento dei contrapposti interessi. 14. Da ultimo, non giova alla parte ricorrente stigmatizzare che il verificatore, avuto riguardo al quesito formulato con l'ordinanza n. 37 del 2022, abbia affermato che non è possibile "stimare la capacità /capienza dell'offerta del mercato immobiliare urbano, negli ambiti all'interno dei quali la localizzazione delle attività del gioco d'azzardo lecito risultano ammesse, al fine di dare risposta all'eventuale e specifica domanda di immobili in grado di ospitare nuove attività e/o la delocalizzazione delle attività esistenti". A tal riguardo giova ribadire che, secondo parte della giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 8298 del 2019, cit.), nessun rilievo può assumere la circostanza che l'astratta possibilità di delocalizzare attività di gioco lecito sia "difficilmente attuabile in concreto, perché ... i locali commerciali disponibili risultano adibiti ad altre attività ": ciò in quanto si tratta "di barriera all'ingresso non di carattere normativo, ma meramente fattuale, dipendente dallo stato di fatto dei luoghi", ossia "di una situazione non dissimile da quella in cui viene a trovarsi un qualsiasi operatore economico che intenda reperire un locale commerciale idoneo per avviare una nuova attività commerciale e si trovi dinanzi ad un panorama immobiliare in cui tutti i locali commerciali sono già occupati da altre attività commerciali, con la sola differenza che, in questo caso, la cerchia degli immobili disponibili è più ristretta". Dunque, avendo questo Tribunale in altra occasione già prestato adesione a tale orientamento (T.R.G.A. Trentino - Alto Adige, Trento, n. 12 del 2020 cit.), la contestazione mossa dalla parte ricorrente all'operato del verificatore non ha pregio. In ogni caso - seppure si aderisse all'altro orientamento innanzi illustrato (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 11426 del 2022 cit.), invocato dalla medesima parte ricorrente nella memoria di replica depositata in data 2 marzo 2023, secondo il quale, nel caso di imprese titolari di esercizi soggetti a chiusura, risulta violato il principio di proporzionalità "anche se l'individuazione delle aree destinate rendesse impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato, gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali" - comunque la contestazione mossa all'operato del verificatore non potrebbe inficiare le conclusioni alle quali questi è pervenuto. Deve infatti ribadirsi che le specifiche censure formulate con il ricorso in esame sono incentrate esclusivamente sugli impedimenti di natura giuridica derivanti dalla legge provinciale n. 13/2015, e che comunque la ricorrente neppure ha offerto un principio di prova per dimostrare l'impossibilità di delocalizzare la propria attività a causa dell'inadeguatezza dell'offerta di immobili sul mercato nell'ambito delle aree potenzialmente insediabili del territorio comunale di Trento. In particolare, come osservato dal Comune di Trento, dagli atti di causa non risulta che nel lungo periodo di tempo (ben 7 anni) concesso dalla legge provinciale n. 13/2015 per la rimozione degli apparecchi da gioco la parte ricorrente abbia tentato di delocalizzare la propria attività, né si evincono circostanze che dimostrino l'oggettiva difficoltà della delocalizzazione. 15. In definitiva risulta manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 per contrasto con l'art. 41 Cost., in combinato disposto con l'art. 3 Cost.. Difatti, come nei casi oggetto delle pronunce del Consiglio di Stato n. 1618 del 2019 e n. 11426 del 2022, nella fattispecie in esame la relazione del verificatore ha evidenziato la persistente sussistenza di aree potenzialmente insediabili, di talché deve escludersi che la contestata normativa provinciale determini, di per sé, l'espulsione della parte ricorrente dal mercato. 16. Manifestamente infondata - alla luce dell'articolato ragionamento svolto dal Consiglio di Stato nella motivazione della sentenza n. 1618 del 2019, innanzi illustrata - è anche la prospettata questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 14, comma 1, della legge n. 13/2015 per contrasto con gli articoli 32 e 47 Cost.. Del resto, come evidenziato in più occasioni anche dalla Sezione autonoma di Bolzano (ex multis, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 67/2023 cit.), "la previsione di limiti distanziali da siti ritenuti sensibili, mirando, attraverso l'allontanamento dell'offerta di gioco, a ridurre l'accesso occasionale al gioco legale e per tale via a prevenire l'accostamento al gioco e l'insorgere di processi degenerativi verso forme ludopatiche, è in linea sia con il diritto alla salute sia con gli obiettivi di tutela del risparmio che mira a proteggere. L'inefficacia dello strumento distanziale in rapporto alla categoria dei giocatori patologici, per i quali è necessaria l'individuazione di altre strategie di sostegno e cura, non esclude la sua adeguatezza agli obiettivi di prevenzione perseguiti dal legislatore provinciale e tanto meno lo pone in contrasto con i parametri costituzionali incarnati dagli artt. 32 e 47 Cost., atteso che l'aggressione alla salute dei soggetti ludopatici e alla conservazione delle loro risorse economiche è da ascriversi all'offerta di gioco non agli strumenti di prevenzione introdotti dal legislatore". 17. Né si configura - specie alla luce di quanto affermato dal Consiglio di Stato nella motivazione della già richiamata sentenza n. 11426 del 2022 - il prospettato contrasto l'art. 117, comma 1, Cost., in combinato disposto con l'art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU e con gli articoli 16 e 17 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea, sotto i profili della tutela della proprietà, della libertà di iniziativa economica e del legittimo affidamento. Difatti la legge provinciale n. 13/2015 non preclude lo svolgimento dell'attività della ricorrente, ma si limita ad imporre una delocalizzazione della medesima, sicché non si realizza l'effetto espropriativo di cui si duole la parte ricorrente. Inoltre, come correttamente evidenziato dalla Provincia di Trento nella memoria depositata in data 17 febbraio 2023, sin dall'entrata in vigore della legge provinciale n. 13/2015 (luglio 2015) le imprese del settore, ivi compresa quella della parte ricorrente, hanno appreso che ai sensi dell'art. 14, comma 1, di tale legge avrebbero dovuto rimuovere gli apparecchi che avevano collocato presso i propri esercizi, e che nel 2018 il termine per la rimozione degli apparecchi è stato prorogato dal 2020 al 2022. Dunque il lungo periodo concesso alle imprese del settore per delocalizzare, oppure per diversificare la loro attività dell'investimento smentisce l'asserita violazione del principio del legittimo affidamento, perché l'obbligo di rimozione dei predetti apparecchi, senza previsione di alcun indennizzo, non può essere considerato improvviso né imprevedibile, avendo avuto la parte ricorrente a disposizione un lasso temporale decisamente congruo per assumere le iniziative più opportune. 18. Infine non si configura la prospettata violazione dei principi sanciti nell'Intesa raggiunta all'esito della Conferenza Unificata del 7 settembre 2017. Come evidenziato dalla Provincia di Trento nella memoria depositata in data 17 febbraio 2023, il Consiglio di Stato con la sentenza 26 agosto 2020, n. 5233, nel riformare la sentenza del T.A.R. del Lazio sentenza 5 febbraio 2019, n. 1460, invocata dalla parte ricorrente, ha precisato che l'Intesa, "per essere prevista quale atto prodromico all'esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle regioni, all'intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente". Inoltre, come innanzi evidenziato, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 27 del 2019 ha evidenziato che l'intesa "fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali, ove recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive". 19. In conclusione, posto che nessuna delle questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla parte ricorrente risultano manifestamente infondate, il presente ricorso dev'essere respinto. 20. In applicazione della regola della soccombenza le spese del presente giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, devono essere poste a carico della società ricorrente. Nulla si deve disporre per le spese con riferimento all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che non si costituita in giudizio. 21. Posto che, ai sensi dell'art. 66, comma 4, cod. proc. amm. il compenso del verificatore è liquidato a seguito di apposita istanza dallo stesso presentata, l'onorario spettante al verificatore nominato per l'esecuzione della verificazione disposta con l'ordinanza n. 37 del 2022 (al quale è stato già riconosciuto un anticipo pari a euro 2.000,00, provvisoriamente posto a carico della parte ricorrente) dev'essere sin d'ora posto per intero a carico della medesima parte ricorrente, e sarà liquidato con successivo decreto a seguito della presentazione di un'apposita istanza, da parte del prof. Vi., nel termine perentoriamente fissato dall'art. 71 del d.P.R. n. 115/2002. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 137 del 2022, lo respinge perché infondato. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite, complessivamente liquidate in misura pari ad euro 3.000,00 (tremila/00), di cui euro 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore della Provincia autonoma di Trento e euro 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore del Comune di Trento, oltre ad accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere, Estensore Cecilia Ambrosi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 144 del 2022 proposto da Al. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da Li. Ce., rappresentati e difesi dall'avvocato Ca. Ge. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Comune di Trento, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Co. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via (...), presso l'avvocato An. Co. negli uffici dell'Avvocatura comunale; - Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Be., Sa. Az. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, piazza (...), presso l'avvocato Sa. Az. negli uffici dell'Avvocatura della Provincia; nei confronti Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli, in persona del legale rappresentante pro tempore e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, non costituitisi in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento n. 8.6.3/2020/4 - 8.6.3/2015/1 notificato ai ricorrenti dal Comune di Trento in data 3.9.2022; - di ogni altro atto relativo, presupposto e conseguente, individuato ed individuabile ivi inclusa la nota 8.6.3/2020/4 notificata ai ricorrenti dal Comune di Trento in data 9.8.2022; nonché con richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità degli artt. 5, comma 1, laddove si prevede che è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, (TULPS) a una distanza inferiore a trecento metri da una serie di luoghi sensibili specificamente individuati e 14 laddove si prevede che gli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6 (TULPS) posti a una distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 5, comma 1, sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore di questa legge se collocati nelle sale da gioco (i.e. 12 agosto 2022) ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi (i.e. 12 agosto 2020), della legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Trento; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto il decreto n. 9 del 29 marzo 2023 del Presidente del T.R.G.A. di Trento; Relatore nella udienza pubblica del giorno 23 marzo 2022 il consigliere Antonia Tassinari e uditi per i ricorrenti l'avvocato Ca. Ge. Ca., per la Provincia Autonoma di Trento l'avvocato Sa. Az. e per il Comune di Trento l'avvocato An. Co. come specificato nel relativo verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO 1. L'impresa Al. s.r.l. (in seguito Al.) esercita su tutto il territorio nazionale attività di distribuzione del gioco legale. Nel Comune di Trento in particolare Al. gestisce sei sale in cui sono installati apparecchi idonei per il gioco lecito - quali quelli previsti all'art. 110 comma 6, lettere a) e b), del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) cioé apparecchi denominati anche VLT, ossia video lottery terminal - tra cui la sala giochi denominata Ad. Cl. situata in Viale (omissis) della cui licenza è titolare il signor Li. Ce.. 2. Nell'ambito del territorio della Provincia di Trento relativamente all'attività di distribuzione del gioco legale trova applicazione la disciplina dettata dalla legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 "Interventi per la prevenzione e la cura della dipendenza da gioco", con cui la Provincia ha inteso limitare la diffusione del gioco d'azzardo e promuovere la prevenzione, il contrasto e la cura delle dipendenze patologiche da gioco, anche se lecito (cfr. art. 1, comma 1). A tal scopo la suddetta legge ha innanzitutto vietato la collocazione degli apparecchi da gioco a una distanza inferiore a trecento metri da istituti scolastici o formativi, strutture sanitarie e ospedaliere, strutture residenziali o semiresidenziali, strutture e aree ricreative e sportive, circoli pensionati, luoghi di culto (cfr. art. 5, comma 1), così come la diffusione di messaggi pubblicitari concernenti l'apertura o l'attività di sale da gioco o la fruibilità presso gli esercizi pubblici degli apparecchi da gioco. Le disposizioni di fonte provinciale hanno inoltre stabilito la rimozione degli apparecchi da gioco posti a una distanza inferiore a quella prevista entro sette anni dalla data della loro entrata in vigore se collocati nelle sale da gioco ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi (cfr. art. 14 comma 1 successivamente modificato dall'art. 33 della legge provinciale 3 agosto 2018, n. 15), prevedendo anche la presentazione ogni due anni da parte della Giunta provinciale alla competente commissione permanente del Consiglio provinciale di una relazione sull'attuazione della legge. A riguardo della distanza degli apparecchi da gioco dai luoghi cosiddetti sensibili suddetti, con circolare n. prot. 491566 d.d. 21 settembre 2016, il Servizio Industria, artigianato, commercio e cooperazione della Provincia ha specificato che "al fine di assicurare l'applicazione di un criterio uniforme su tutto il territorio provinciale per la misurazione della distanza, si ritiene corretto l'utilizzo del criterio del raggio, in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso/ingresso principale dell'esercizio/locale/area interessati alla collocazione o alla rimozione degli apparecchi di cui all'art. 100 comma 6 del TULPS". Il Comune di Trento, dal canto suo, con deliberazione del Consiglio n. 32 in data 8 marzo 2017 ha provveduto ad individuare l'elenco dei luoghi sensibili presenti sul proprio territorio pubblicando la relativa mappatura. 3. Al., in vista della scadenza, il 12 agosto 2022, del termine di sette anni dall'entrata in vigore della l.p. n. 13 del 2015 e succ. mod. previsto per poter mantenere gli apparecchi da gioco, ha chiesto al Comune di Trento conferma del fatto che le proprie sei sale, tra cui quella denominata Ad. Cl., che non si configurano quali esercizi generalisti poiché vi si svolge esclusivamente attività di distribuzione del gioco, fossero effettivamente destinatarie dell'obbligo di rimozione in relazione alla distanza dai luoghi sensibili individuati. Il Comune ha comunicato (cfr. nota Fasc. 8.6.3/2020/4) che solo due di esse, cioè la sala Ad. di via (omissis) e la sala Slot & VLT di via (omissis), non sono collocate in luoghi vietati e non sono pertanto soggette ad alcun obbligo di rimozione. Successivamente, in data 22 agosto 2022, la Polizia Locale di Trento nel corso di un sopralluogo presso la sala Ad. Cl. in Viale (omissis) ha contestato che tre apparecchi da gioco, quelli contraddistinti dal codice identificativo 10202009560, SP05889535, SN6019566Y "risultavano accesi e funzionanti" e si trovavano "a una distanza inferiore ai 300 metri dai luoghi sensibili di cui all'art. 5 della L.P. 13/2015 come individuati dal Comune di Trento (...). Tali condizioni di collocazione non rispetta quanto disposto dalla normativa provinciale vigente che, in tale caso, prevede la rimozione degli apparecchi entro il 12/08/2022". Dopo aver disposto in relazione a tale violazione la sanzione di euro 5.000,00, il Comune ha quindi emesso il provvedimento n. 8.6.3/2020/4 - 8.6.3/2015/1 con cui ha ordinato ad Al. e al signor Li. Ce. "di provvedere all'immediata rimozione degli apparecchi da gioco" installati all'interno della sala. Da ciò la chiusura della sala medesima. 4. Al. e il signor Li. Ce. hanno quindi impugnato, chiedendone l'annullamento, il suddetto provvedimento di rimozione ritenuto lesivo dei propri interessi precisando che lo stesso è stato adottato in esecuzione della richiamata normativa provinciale, che "introduce un distanziometro talmente afflittivo da vietare l'insediabilità nella sostanziale totalità del territorio, con una percentuale di interdizione rilevata pari al 96,14% e conseguente possibilità di permanenza dell'offerta in uno spazio ridotto pari al 3, 86% ". In buona sostanza gli atti impugnati deriverebbero la loro invalidità dall'asserita illegittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 5, comma 1 e 14 comma 1 della legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 e succ. modd. che ne costituiscono il riferimento normativo e che determinerebbero il cosiddetto "effetto espulsivo" dell'attività delle sale giochi, inteso nel senso dell'interdizione nel territorio - non assoluta, ma di fatto sostanziale - dell'attività stessa, secondo il parere al riguardo reso dal Presidente emerito della Corte costituzionale Professor An. Ma., ampiamente richiamato in ricorso (tanto da determinare, sia detto per inciso, il superamento dei limiti dimensionali di tale atto prescritti dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016). In tal senso, i previsti 300 metri di interdizione, combinati all'alto numero dei luoghi sensibili presenti nel territorio e alla conformazione di quest'ultimo, comporterebbero in concreto il divieto di collocare apparecchi da gioco nella quasi totalità del territorio comunale. In ragione dell'afflittività nel senso anzidetto della misura distanziale imposta dalla normativa provinciale, i ricorrenti, che traggono i dati percentuali suesposti da una perizia affidata a propri consulenti di fiducia, sostengono che risulta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della richiamata normativa provinciale per violazione: A) dell'art. 41 Cost. che garantisce la libertà d'iniziativa economica in quanto il distanziometro determina "un'interdizione sostanzialmente assoluta (anche se non totale) di esercizio sul territorio di un'attività economica lecita autorizzata dallo Stato, non giustificata neppure alla luce dell'invocato bilanciamento degli interessi coinvolti rispetto all'altro interesse costituzionalmente tutelato (i.e. la salute)" privando gli esercenti dei ricavi derivanti dal gioco legale; B) dell'art. 3 Cost. in rapporto con l'art. 41 Cost., "sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, da un lato, e del principio di ragionevolezza, dall'altro"; C) dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione alla norma interposta dell'art. 1 del 1° protocollo addizionale alla CEDU e agli artt. 16 e 17 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione, "sotto i profili della tutela della proprietà e della libertà di iniziativa economica e del legittimo affidamento"; D) dell'art. 3 Cost. in rapporto con gli artt. 32 e 47 Cost., per la manifesta inadeguatezza del distanziometro a contrastare efficacemente il fenomeno del gioco patologico e perché, di fatto, aprirebbe le porte all'offerta illegale di gioco ("essendo concreto il rischio che la norma si ponga addirittura contro lo scopo prefissato di contrasto al disturbo da gioco d'azzardo, creando zone poco controllate e nascoste in cui ben possono proliferare fenomeni criminosi in grado di incidere negativamente sulla sicurezza e sull'ordine pubblico"). La concentrazione dell'offerta di gioco nelle periferie contrasterebbe, tra l'altro, anche con gli obiettivi di riqualificazione delle stesse periferie. Né va sottaciuta la perdita di gettito per l'erario derivante dalla chiusura delle sale da gioco. In particolare la normativa provinciale, in quanto determinante l'effetto espulsivo, violerebbe anche il principio del legittimo affidamento di rilevanza eurounitaria, poiché il sacrificio imposto al privato con il sostanziale azzeramento del gioco legale non sarebbe bilanciato da un prevalente interesse pubblico da tutelare. Le disposizioni di fonte provinciale contrasterebbero poi con i criteri, cogenti pur in mancanza del relativo decreto attuativo finale, stabiliti in sede di Intesa siglata il 7 settembre 2017 (repertorio atti 103/cu) da parte della Conferenza unificata Stato - Regioni in base ai quali va promossa "un'equilibrata distribuzione nel territorio allo scopo di evitare il formarsi di ampie aree nelle quali l'offerta di gioco pubblico sia o totalmente assente o eccessivamente concentrata" e devono essere evitate limitazioni orarie eccessive. La difesa dei ricorrenti, dopo aver evidenziato che la valenza precettiva di quanto sancito dall'Intesa è stata riconosciuta anche dal Consiglio di Stato (cfr. pareri n. 1418/2020; n. 1068/2019 e 1057/2019), dalla giurisprudenza (T.A.R. Lazio n. 1460/2019), dall'amministrazione dell'Interno (Circolare del Ministero dell'Interno n. 557/PAS/U/015223712001 del 06.11.2019) e dalla Guardia di Finanza (Nota n. 323412 del 13.11.2019), ha altresì osservato che la Conferenza unificata ha pure previsto la riduzione quantitativa dell'offerta di gioco pubblico sul territorio nonché il monitoraggio puntuale dei volumi di gioco su tutto il territorio nazionale per opera dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e che tali misure hanno trovato puntuale applicazione. Per concludere sul punto, e in estrema sintesi, i ricorrenti assumono che la normativa provinciale circa il distanziometro, su cui l'Amministrazione fonda il provvedimento di rimozione impugnato, sostanzia un conflitto con gli anzidetti parametri costituzionali nella misura in cui esprime un errore tecnico, non considerato in sede di concepimento normativo e che di fatto determina l'interdizione del gioco legale dall'intero territorio del Comune di Trento, producendo al riguardo il c.d. "effetto espulsivo" dell'attività da loro esercitata I ricorrenti hanno altresì rappresentato che undici Regioni hanno nell'ultimo periodo rimodulato le proprie normative in materia nel senso della sostenibilità della misura e che è imminente il riordino della disciplina da parte del legislatore statuale con l'introduzione di criteri distanziali uniformi per l'intero territorio nazionale con la conseguenza che, nelle more, le Regioni dovrebbero astenersi dall'introdurre norme restrittive: e ciò anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali del settore e le entrate erariali. I ricorrenti si sono infine riservati di proporre istanza risarcitoria. 5. Con decreto n. 36 del 10 ottobre 2022, il Presidente di questo Tribunale ha respinto la domanda di sospensione cautelare dell'efficacia dei provvedimenti impugnati proposta ai sensi dell'art. 56 c.p.a., rilevando, in particolare, che le "surriferite disposizioni di legge della Provincia Autonoma di Trento, individuano in via del tutto tassativa e inderogabile puntuali situazioni di incompatibilità tra l'attività svolta dalla medesima parte ricorrente e taluni, ben precisati ambiti sensibili". Il decreto presidenziale evidenzia anche che le stesse disposizioni mirano, in applicazione dell'art. 32 Cost., alla tutela del bene primario della salute, quale diritto del singolo e interesse della collettività, in quanto "prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell'offerta di una tipologia di giochi suscettivi di innescare pericolosi fenomeni compulsivi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso a tali giochi da parte degli utenti". 6. Nel contempo, considerato che in una controversia sostanzialmente analoga a quella in esame pendente presso questo stesso Tribunale sub R.G. 137/2022 era stata del pari prospettata una questione di legittimità costituzionale della richiamata normativa provinciale, con ordinanza n. 37 del 28 ottobre 2022 era stata disposta anche per il presente procedimento l'esecuzione di una verificazione per appurare "se, tenuto conto della conformazione del territorio del Comune di Trento e della relativa disciplina urbanistica vigente, l'applicazione del criterio della distanza di trecento metri dai siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015 determini una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di sale gioco come quelle gestite dall'impresa ricorrente e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione". La suddetta verificazione era stata disposta anche avuto riguardo a quanto statuito in via istruttoria dal Giudice d'appello (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza collegiale 14 marzo 2022, n. 1766) con riferimento ad un caso simile relativo all'applicazione dell'art. 6, comma 2-bis, della legge regionale Emilia-Romagna, 4 luglio 2013, n. 5 che vieta l'esercizio delle sale da gioco e delle sale scommesse, nonché la nuova installazione degli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, "in locali che si trovino a una distanza inferiore a cinquecento metri, calcolati secondo il percorso pedonale più breve, dai seguenti luoghi sensibili: gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, i luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori". L'incarico disposto con l'anzidetta ordinanza n. 37 del 28 ottobre 2022 è stato affidato, in qualità di verificatore, al Direttore del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito (DABC) del Politecnico di Milano, con autorizzazione a delegare la relativa attività ad altro docente del dipartimento. Con susseguente ordinanza n. 213 del 22 dicembre 2022, prorogato al 31 gennaio 2023 il termine finale relativo alla verificazione, è stato altresì disposto che il medesimo verificatore provvedesse ad inoltrare la bozza della relazione di verificazione alle parti almeno 10 giorni prima della scadenza del termine assegnatogli e che le parti medesime entro i successivi 5 giorni potessero presentare al verificatore, anche a mezzo di propri consulenti, eventuali osservazioni sinteticamente redatte e che il verificatore avrebbe dovuto motivatamene esaminare prima della redazione della relazione definitiva di verificazione. Inoltre con decreto monocratico n. 39 del 31 ottobre 2022 reso su un'ulteriore fattispecie fondamentalmente omologa (cfr. ricorso sub R.G. 152/2022), il Presidente di questo T.R.G.A. aveva disposto un incombente istruttorio a carico del Comune di Trento consistente nel deposito agli atti di tale causa di una documentata relazione dalla quale risultasse l'elenco di tutte le sale giochi e dei pubblici esercizi comunque dotati di apparecchi automatici di gioco che in tutto il territorio comunale a quel momento risultavano in posizione non conforme alle distanze contemplate dalla l.p. n. 13 del 2015, nonché il complessivo numero delle licenze di pubblica sicurezza per i predetti apparecchi comunque attive nel territorio comunale. 7. Con memoria depositata il 7 novembre 2022 la Provincia Autonoma di Trento si è costituita in giudizio per resistere al ricorso replicando in primo luogo alla sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 14 della legge provinciale n. 13 del 22 luglio 2015. Preso atto che il ricorso non contesta la potestà legislativa della Provincia che viene qui in rilievo, del resto riconosciuta anche dalla Corte costituzionale, ad adottare norme di tutela della salute contro la ludopatia, la difesa provinciale ha in via ricognitiva evidenziato le plurime disposizioni di fonte statuale vigenti in materia rilevando che lo strumento principale al fine di prevenire il rischio di ludopatia consiste nella collocazione delle sale-giochi ad una distanza minima dai luoghi sensibili, connotati dalla presenza di soggetti vulnerabili. A riguardo dell'effetto espulsivo la Provincia, appellandosi a recenti arresti giurisprudenziali (cfr. T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, Sez. I, Sent., 23 dicembre 2020, n. 856), ha sottolineato che esso non si determina qualora, come nel caso di specie, la permanenza degli apparecchi da gioco su una parte pur modesta del territorio è assicurata. Inoltre, ha osservato la Provincia, i titolari di licenze ai sensi degli artt. 86 e 88 del TULPS possono continuare ad esercitare sia l'attività di raccolta scommesse come del gioco cosiddetto del "gratta e vinci", sia di sala giochi con altri apparecchi da gioco diversi da quelli soggetti alle limitazioni, con ciò assicurandosi, in modo lecito, un profitto per cui la limitazione dell'iniziativa economica privata di cui si dolgono i ricorrenti risulta contenuta e ragionevole. Aggiunge la Provincia che la Corte Costituzionale ha costantemente negato che sia ravvisabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale, purché, per un verso, l'individuazione dell'utilità sociale non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue. La difesa provinciale ritiene in definitiva che con le disposizioni legislative provinciali qui censurate gli interessi privati di cui agli artt. 41 e 42 della Costituzione siano stati oggetto di un ragionevole bilanciamento con l'interesse generale alla salute e al contrasto della ludopatia. Quanto alla lesione del principio di affidamento sulla conservazione dei diritti delle imprese che utilizzano apparecchi da gioco la Provincia ha osservato che la rimozione degli apparecchi ai sensi dell'art. 14 della l.p. n. 13 del 2015 doveva avvenire entro sette anni (12 agosto 2022) ed entro cinque anni (12 agosto 2020) dalla data di entrata in vigore della legge stessa e che, quindi, la congruità del tempo previsto ha senz'altro permesso ai titolari delle sale giochi di determinarsi opportunamente in merito. Con riferimento all'Intesa della Conferenza unificata la Provincia ha rilevato che essa è stata rispettata dagli artt. 5 e 14 della l.p. n. 13 del 2015 poiché le Regioni e le Province autonome hanno sempre la possibilità di prevedere standard più elevati di tutela. 8. Nella medesima data del 7 novembre 2022 i ricorrenti, nel prendere atto della verificazione disposta da questo Tribunale per appurare i profili di illegittimità contenuti nel distanziometro provinciale nella fattispecie analoga a quella in esame di cui si è detto in precedenza nonché del diniego espresso nella medesima circostanza con riferimento alla misura cautelare richiesta, hanno peraltro insistito sul pregiudizio irreparabile, non risarcibile per equivalente, che la chiusura della sala comporta. I ricorrenti hanno anche indicato in oltre 65.000 euro le spese da sostenere a fronte di ricavi pari allo zero nel periodo intercorrente dalla chiusura della sala alla data dell'udienza pubblica per la trattazione della controversia. 9. Con ordinanza n. 40 dell'11 novembre 2022 questo Tribunale, ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a. ha fissato alla pubblica udienza del 9 febbraio 2023 la trattazione del merito di causa, disponendo incombenti istruttori a carico del Comune di Trento e della Provincia autonoma di Trento. In particolare al Comune di Trento è stato ordinato di versare anche agli atti della presente causa copia della verificazione richiesta con ordinanza n. 37 del 28 ottobre 2022 nonché copia della relazione richiesta con decreto monocratico n. 39 del 31 ottobre 2022, chiedendo inoltre nello specifico: "- di confermare che la distanza inferiore ai 300 metri da luoghi sensibili riscontrata relativamente all'esercizio "Ad. Cl." di viale Verona n. 25 di cui è causa è stata calcolata secondo il criterio del raggio in linea d'aria in tutte le direzioni tra l'accesso principale del locale suddetto e l'accesso del luogo sensibile; - di depositare agli atti di causa le risultanze del computo della distanza a piedi da luoghi sensibili dell'esercizio "Ad. Cl." di viale Verona n. 25." Alla Provincia autonoma di Trento è stato invece chiesto di depositare agli atti di causa copia dell'ultima relazione prodotta in Consiglio Provinciale à sensi dell'art. 11 della predetta l.p. n. 13 del 2015 ed altresì di conoscere il dato - ove disponibile - del complessivo numero delle sale giochi e dei pubblici esercizi dotati di apparecchi automatici di gioco che attualmente si trovano in posizione non conforme alle distanze contemplate dalla anzidetta l.p. n. 13 del 2015. Preso atto della verificazione disposta da questo Tribunale nel presente giudizio i ricorrenti con atto depositato il 23 novembre 2022 hanno nominato quale proprio consulente di fiducia lo Studio Associato WM Me. & Me. di Pa.. Sin d'ora vale evidenziare che i predetti incombenti hanno trovato adempimento, con le modalità e nei termini prescritti, sia da parte del Comune di Trento (cfr. atto, relazioni e elenchi allegati depositati il 30 dicembre 2022 nonché atto e allegata verificazione depositato l'1 febbraio 2023) sia da parte della Provincia Autonoma di Trento (cfr. atto e allegata relazione depositati il 28 dicembre 2022 nonché atto depositato il 17 gennaio 2023). 10. Il Comune di Trento, costituitosi in giudizio il 30 novembre 2022, con memoria del 3 gennaio 2023 ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso atteso che l'odierna ricorrente Al. aveva già sottoposto al T.R.G.A. di Trento la questione della rimozione degli apparecchi da gioco, sulla base di motivazioni del tutto analoghe a quelle attuali e che tale giudizio si era concluso con la rinuncia al ricorso (cfr. sent. 212/2020) avendo il Comune "concesso la richiesta proroga del termine di rimozione degli apparecchi installati nelle sale dei Ricorrenti sino al 12 agosto 2022". Con riferimento all'esercizio di cui è causa gestito da Al. in viale Verona n. 25, il Comune di Trento ha rappresentato che si trova ad una distanza inferiore a 300 metri da cinque luoghi sensibili (A10 - Scuola Primaria A. Ni. - Trento; B28 - Complesso Sportivo Ma.-Nuoto, Tuffi, Arti Marziali, Basket; A46 - Scuola Materna P. Pe.; H5 - Ser.D. Centro Dipendenze; P67 - Chiesa di Sant'Antonio di Padova) calcolata secondo il criterio del raggio, in linea d'aria in tutte le direzioni, tra l'ingresso principale del locale e l'accesso del luogo sensibile. Peraltro, rileva ancora il Comune, anche l'applicazione di un diverso criterio di calcolo, come quello della distanza a piedi da luoghi sensibili, ancorché più favorevole per la ricorrente Al., non porterebbe ad esiti differenti dal criterio del raggio (Scuola Primaria A. Ni. - a piedi 210 m; Complesso Sportivo Ma. - a piedi 290 m; Scuola Materna P. Pe. - a piedi 400 m; Ser.D. Centro Dipendenze - a piedi 400 m; Chiesa di Sant'Antonio di Padova - a piedi 450 m). Secondo l'Amministrazione comunale la richiesta di annullamento del provvedimento di rimozione degli apparecchi da gioco sottende in tutta evidenza l'affermazione dell'illegittimità della presupposta normativa di legge provinciale poiché il Comune ha applicato puntualmente il combinato disposto dagli articoli 5 e 14 della legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 e ss.mm. Nella comparazione degli interessi coinvolti, rimarca il Comune, gli interessi dei gestori di attività commerciali ed imprenditoriali collegate alle sale da gioco appaiono recessivi a fronte degli interessi di rilievo pubblico generale che determinano la tutela di obiettivi sensibili quali una scuola, un ospedale o una chiesa (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 300 del 9.11.2011). Inoltre, osserva ancora il Comune, l'interdizione alla localizzazione di sale da gioco è riferibile alla zona centrale del Comune di Trento e non alla totalità del territorio comunale, in quanto rimangono a disposizione le aree adibite a zone produttive, e ciò esclude l'effetto espulsivo sostenuto dalla parte ricorrente. D'altra parte, le norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale comunale consentono l'insediamento delle sale da gioco, che si configurano quali pubblici esercizi, nelle aree per la residenza e relativi servizi (art. 36), nelle aree destinate a nuovi complessi insediativi e ad interventi di riqualificazione urbana (art. 39), nonché nelle aree riservate alle attività di produzione e commercializzazione di beni e servizi (art. 43) e pur nelle zone destinate ai servizi privati (art 71). La verificazione disposta dimostrerà in concreto - come richiede il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato n. 11426 del 28 dicembre 2022) - l'adeguatezza della misura distanziometrica applicata relativamente alle attività esistenti. Il Comune ha osservato pure che la ricorrente potrebbe continuare l'attività nell'esercizio di viale Verona convertendola in raccolta scommesse, previa modifica del rapporto contrattuale con l'Agenzia delle Dogane e Monopoli. Il Comune ha infine concluso rilevando che nelle due sale da gioco collocate in posizione rispettosa della distanza di 300 m dai luoghi sensibili sono installati rispettivamente ben 58 (sala sita in via Ora del Garda) e 16 (sala di via Pomeranos) apparecchi. 11. La IV sezione del Consiglio di Stato, a seguito dell'appello avanzato dai ricorrenti, ha accolto la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati dapprima con decreto cautelare monocratico del Presidente della IV sezione medesima n. 5688 del 5 dicembre 2022. Tale decreto è stato successivamente confermato con ordinanza cautelare collegiale di data 16 gennaio 2023, n. 128. In particolare la IV sezione ha ritenuto "opportuno accogliere l'appello cautelare con conseguente sospensione degli effetti dei provvedimenti impugnati in primo grado, in considerazione del grave danno economico conseguente alla chiusura dell'attività imprenditoriale della appellante disposta dal Comune di Trento e ciò anche al fine di acquisire i necessari elementi istruttori, all'esito della verificazione già disposta dal T.R.G.A., sulla cui scorta potrà essere valutata la ragionevolezza e la proporzionalità del criterio "a compasso" adottato per la misurazione delle distanze dai luoghi sensibili che, ad un primo sommario esame, suscita perplessità " 12. Nel corso del giudizio le parti hanno ribadito e ulteriormente precisato le rispettive contrapposte tesi e ciò anche a seguito dei contenuti della relazione di verificazione definitiva versata in giudizio a cura del Comune di Trento l'1 febbraio 2023 che, quanto all'applicazione concreta nel caso di specie della misura distanziometrica, non ha ravvisato un sostanziale effetto espulsivo del gioco lecito. In particolare la relazione finale depositata a seguito delle osservazioni dei ricorrenti si articola in tre parti, la prima delle quali contiene una premessa sui quesiti formulati con la suddetta ordinanza n. 37/2022 e affronta il tema del rapporto fra ludopatia e dispositivi di pianificazione. Nella seconda parte sono descritte le attività svolte dal verificatore. In particolare il verificatore ha specificato che sono stati assunti come corretti: A) "sia il numero sia la localizzazione dei luoghi sensibili individuati negli atti e nella documentazione ufficiale a disposizione. Questo per una ragione sia formale (spetta alle Amministrazioni comunali tale attività ), che sostanziale (l'impossibilità di accedere ai dati e alle informazioni utili e necessarie per la loro puntuale determinazione)"; B) "i buffer ("zone cuscinetto") di 300 metri individuati con strumenti informatici dall'Amministrazione comunale di Trento, anche in riferimento alle specifiche modalità indicate dalla legislazione e regolamentazione provinciale e applicate dalle Amministrazioni comunali". Nella terza parte della relazione il verificatore ha risposto al quesito formulato da questo Tribunale nei termini favorevoli alle Amministrazioni intimate. 13. Il Comune di Trento (cfr. memoria depositata il 17 febbraio 2023) in particolare ha rilevato che la normativa provinciale, non eccedendo quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato, rispetta il principio di proporzionalità che, come da giurisprudenza costante, postula l'idoneità del mezzo, la sua stretta necessità nonché l'adeguatezza. 14. La Provincia Autonoma di Trento (cfr. memoria depositata il 19 febbraio 2023) dal canto suo, ha puntualmente replicato alle osservazioni depositate dai ricorrenti in ordine alle conclusioni raggiunte dal verificatore (documento depositato in data 10 febbraio 2023 recante le osservazioni formulate nel giudizio sub RG 137/2022) dopo aver rilevato che con il ricorso introduttivo del giudizio non è stata contestata la correttezza dell'individuazione - da parte del Comune - dei luoghi sensibili e della relativa cartografia (cfr. deliberazione del Consiglio comunale di data 8 marzo 2017 n. 32). Infine le sentenze del Consiglio di Stato Sez. VI dell'11 marzo 2019, n. 1618 e Sez. V del 28 dicembre 2022, n. 11426 smentirebbero le tesi dei ricorrenti. 15. I ricorrenti (cfr. memoria depositata il 20 febbraio 2023), dall'altro lato, hanno in primo luogo contestato i contenuti della verificazione laddove il documento si riferisce alle "politiche di contrasto alla ludopatia" nonostante tale aspetto non sia oggetto dei quesiti avanzati dal T.R.G.A. al verificatore. I ricorrenti, diversamente da quest'ultimo, sostengono l'inadeguatezza del metodo del distanziometro pari a 300 m e sostanzialmente espulsivo per contrastare il disturbo da gioco d'azzardo. Inoltre il verificatore avrebbe dovuto accertare direttamente la correttezza, negata dai medesimi ricorrenti, dei luoghi sensibili individuati dal Comune. Del pari il verificatore avrebbe dovuto individuare le aree vietate anche con il metodo del percorso pedonale e non solo con il metodo, peraltro non indicato dalla legge provinciale, del raggio, così come avrebbe dovuto considerare l'intero territorio comunale e non solo il territorio urbanizzato al fine di determinare il rapporto percentuale. L'effetto marginalizzante con la collocazione delle sale gioco per lo più in zone periferiche di Trento determinato dalla normativa provinciale, concludono i ricorrenti, è del resto riconosciuto dallo stesso consulente del Tribunale. Quest'ultimo in realtà è incorso in errore avendo applicato il metodo utilizzato per l'espletamento della verificazione che gli era stata commissionata dal T.A.R. Emilia-Romagna nell'ambito del giudizio definito con la sentenza di quest'ultimo n. 856 del 2020. Tuttavia la legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 5 del 2013 "ha introdotto una disciplina del tutto peculiare laddove si prevede espressamente che siano proprio i singoli Comuni ad essere investiti dell'onere di effettuare la mappatura dei luoghi sensibili del territorio", mentre la legge provinciale n. 13 del 2015 non prevede che i Comuni possano individuare luoghi sensibili diversi da quelli indicati dalla medesima legge provinciale. Comunque i ricorrenti invocano infine l'esecuzione di una nuova verificazione per individuare ex novo sia i luoghi sensibili, come indicati dalla legge provinciale n. 13 del 2015, sia le aree vietate, come risultanti dall'applicazione del criterio del raggio e del criterio alternativo del percorso pedonale in modo da quantificare correttamente, sia in termini assoluti, sia in termini percentuali rispetto al territorio comunale, la superficie oggetto del divieto posto dalla normativa provinciale. 16. In vista dell'udienza di merito la Provincia e il Comune hanno sostenuto la totale infondatezza dei rilievi prospettati dai ricorrenti, nello specifico delle osservazioni del consulente tecnico dei medesimi, alla relazione di verificazione. I ricorrenti, invece, hanno insistito in particolare per l'ammissibilità dell'odierno ricorso non avendo Al. prestato acquiescenza "intesa quale accettazione del termine del 12 agosto 2022" rinunciando al ricorso R.G. 78/2020 come, all'opposto, sostiene il Comune. Pure la giurisprudenza richiamata dal Comune viene censurata dai ricorrenti in quanto ritenuta inconferente ed estranea al caso di specie. I ricorrenti in definitiva ancora una volta propugnano la tesi della non manifesta infondatezza dei rilevati profili d'incostituzionalità che inficerebbero la disciplina provinciale sul distanziometro, instando per la rimessione della questione alla Corte Costituzionale. 17. Alla pubblica udienza, fissata dal Presidente di questo T.R.G.A. al 23 marzo 2023, a seguito dell'istanza di rinvio depositata dai ricorrenti per la trattazione congiunta del presente ricorso con ana gravame, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I) Il ricorso è infondato. L'infondatezza del gravame esime il Collegio dal vaglio dell'eccezione preliminare sollevata dal Comune che assume l'inammissibilità del ricorso in ragione della sostenuta violazione da parte dell'odierna ricorrente Al. del principio del "ne bis in idem" attesa la sentenza di questo T.R.G.A. n. 212 del 23 dicembre 2020. Al riguardo merita unicamente rammentare che, al di là dell'eventuale corrispondenza delle censure e della formazione sulle medesime del giudicato, la duplicazione vietata presuppone in ogni caso l'effettiva identità di due giudizi sia quanto ai soggetti coinvolti sia con riferimento all'oggetto che può essere rappresentato anche da un diverso provvedimento, purché consequenziale logicamente e giuridicamente al precedente (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. lav. 17 novembre 2017, n. 27348; C.d.S., Sez. III, 19 settembre 2022, n. 8077; Sez. III, 19 dicembre 2022, n. 11073; Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1676; Sez. V, 24 novembre 2011, n. 6220). II) Per la definizione del caso qui all'esame assume valenza dirimente l'analisi che questo Tribunale ha demandato al verificatore, integrata e corroborata dagli argomenti sviluppati negli arresti giurisprudenziali di cui alle pronunce del Consiglio di Stato della sez. VI n. 1618 del 2019 e della Sez. V n. 11426 del 2022. Infatti i ricorrenti mutuano l'illegittimità dell'impugnato provvedimento di rimozione degli apparecchi da gioco dalla pretesa illegittimità degli artt. 5, comma 1 e 14 comma 1 della legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 e succ. modd., i quali nella misura in cui determinano l'effetto espulsivo del gioco legale si prospetterebbero in conflitto con diversi parametri costituzionali, integrando il requisito di non manifesta infondatezza prescritto per sollevare la relativa questione di compatibilità costituzionale. D'altra parte, quanto all'ulteriore presupposto della rilevanza, cui del pari è subordinata la possibilità di avanzare l'incidente di costituzionalità, va evidenziato che il contestato provvedimento di rimozione, è stato adottato in pedissequa coerenza con le citate disposizioni di legge provinciali e sulla base dell'inoppugnata deliberazione consiliare di data 8 marzo 2017 n. 32 con cui il Comune di Trento ha provveduto alla mappatura dei luoghi sensibili, nonché delle indicazioni interpretative fornite dalla Provincia nella circolare di data 21 settembre 2016, analogamente rimasta inoppugnata e nella quale si precisa come effettuare la misurazione della distanza dai luoghi e si specifica quali strutture vanno escluse dal concetto di "luogo sensibile". Per inciso è appena il caso di sottolineare che il gioco cosiddetto "legale", se da un lato costituisce un'importante occasione di guadagno per imprese come Al. generando inoltre ragguardevoli entrate per l'Erario, dall'altro pesa tuttavia sulla collettività con elevati costi sociali (cfr. ex multis, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, 6 marzo 2023, n. 49; 9 marzo 2023, n. 67). III) Ciò posto, vale allora al riguardo considerare che l'art. 5, comma 1, della legge provinciale 22 luglio 2015, n. 13 prevede testualmente: "1. Per tutelare determinate categorie di persone più vulnerabili e per prevenire la dipendenza da gioco, è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), a una distanza inferiore a trecento metri dai seguenti luoghi: a) istituti scolastici o formativi di qualsiasi ordine e grado; b) strutture sanitarie e ospedaliere, incluse quelle dedicate all'accoglienza, assistenza e recupero di soggetti affetti da qualsiasi forma di dipendenza o in particolari condizioni di disagio sociale o che comunque fanno parte di categorie protette; c) strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario, scolastico o socio-assistenziale; d) strutture e aree ricreative e sportive frequentate principalmente da giovani, nonché centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 14 febbraio 2007, n. 5 (legge provinciale sui giovani 2007); e) circoli pensionati e anziani previsti o finanziati ai sensi della legge provinciale 25 luglio 2008, n. 11 (Istituzione del servizio di volontariato civile delle persone anziane, istituzione della consulta provinciale della terza età e altre iniziative a favore degli anziani); f) luoghi di culto". L'art. 14 della l.p. n. 13 del 2015 a sua volta dispone letteralmente: "1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, gli apparecchi da gioco individuati dall'articolo 110, comma 6, del regio decreto n. 773 del 1931 posti a una distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 5, comma 1, sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore di questa legge se collocati nelle sale da gioco ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi. In caso di mancata rimozione si applica l'articolo 10, comma 1". L'art. 1 della medesima legge provinciale d'altra parte indica in generale quali finalità della stessa la limitazione della diffusione del gioco, la promozione della prevenzione e il contrasto delle dipendenze da gioco, nonché la cura della dipendenza patologica da gioco, anche se lecito. Nello specifico per tali fini la Provincia: "a) promuove azioni dirette a prevenire la dipendenza da gioco anche attraverso la diffusione della conoscenza dei rischi correlati al gioco e delle sue possibili conseguenze a livello familiare, sociale e lavorativo; b) disincentiva l'accesso al gioco, anche se lecito, vietando la collocazione degli apparecchi da gioco in prossimità dei luoghi frequentati dalle persone più vulnerabili; c) adotta misure volte a contenere l'impatto negativo delle attività connesse alla pratica del gioco lecito sulla qualità del contesto urbano, sulla sicurezza urbana, sulla viabilità e sull'inquinamento acustico; d) promuove azioni volte alla cura e al recupero delle persone affette da dipendenza da gioco". È appena il caso di rilevare che dai precedenti dati normativi emerge in tutta evidenza come nell'ambito delle finalità generali e complessive della legge provinciale la tutela delle persone più vulnerabili, quali sono per lo più quelle in giovane età ovvero bisognose di cure di tipo sanitario o socio assistenziale frequentanti luoghi sensibili, assume una sua distinta, puntuale e pregnante consistenza, in particolare di tipo preventivo in relazione alla prospettiva di impedire l'insorgere della dipendenza da gioco. A tale finalità di tutela delle persone più vulnerabili si aggiunge l'obiettivo di cura e recupero dei giocatori patologici, così come quello di evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica. In proposito va rilevato che si tratta in ogni caso di finalità che, non essendo rivolte a contrastare il gioco illegale, né a disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti o ad individuare i giochi leciti, attengono alla materia della tutela della salute e non a quella dell'ordine pubblico e della sicurezza. Il tema - sia detto per inciso - è stato oggetto di puntuale chiarimento da parte della Corte costituzionale, la quale ha affermato che una disciplina volta ad "evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo"" deve ritenersi perseguire "in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente "tutela della salute" (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale" (cfr. Corte Costituzionale sentenza 108/2017). Secondo la Corte nell'individuazione della materia cui ricondurre la legge impugnata si deve tener conto infatti dell'oggetto, della ratio e della finalità della disciplina da essa stabilita, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi della stessa. Le conclusioni della Corte sono state ribadite e diffusamente sviluppate dalla Sez. VI del Consiglio di Stato con sentenza 1618/2019, di cui si dirà nel prosieguo. La materia nell'ambito della quale la Provincia ha esercitato con la propria legge n. 13 del 2015 la competenza legislativa nella fattispecie in esame costituisce un profilo di per sé significativo se solo si considera che la Corte Costituzionale ha in generale negato che possano derivare lesioni della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale - quale è innegabilmente l'interesse pubblico alla salute - purché, per un verso, l'individuazione dell'utilità sociale non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, Corte cost., sentenze n. 247 e n. 152 del 2010; n. 167 del 2009; n. 171 del 2022). Anche la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la libertà di iniziativa economica può essere legittimamente limitata, ai sensi del comma 2 dell'art. 41 della Costituzione, per perseguire finalità di tutela della salute (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, Sez. V, 6 settembre 2018, n. 5237); e, più recentemente, "In linea generale, emerge in rilievo un sistema nel quale il principio dell'iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione deve ritenersi recessivo rispetto a quello dell'articolo 32, laddove sia messa in pericolo la salute psico-fisica dei cittadini" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 8 febbraio 2023, n. 1382). E una soluzione di questo tenore si pone anche in linea con la consolidata giurisprudenza eurounitaria, in base alla quale "le restrizioni alle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco" (cfr. Corte di Giustizia UE, 24gennaio 2013, C-33/2013). IV) Ciò posto quanto alla ratio legis e alla competenza legislativa esercitata dalla Provincia, con riferimento al mezzo per raggiungere lo scopo prefissato va evidenziato che il legislatore statale non solo ha riconosciuto l'esigenza di introdurre meccanismi di contenimento dell'offerta del gioco legale ma, nell'esercizio della propria insindacabile discrezionalità, ha già ritenuto che l'introduzione di una distanza minima degli apparecchi da gioco da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi e la conseguente concentrazione territoriale della raccolta di gioco costituiscono strumenti idonei a contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave (art. 7, comma 10, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189; art. 14, comma 2, lett. e) della legge 11 marzo 2014, n. 23; art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; ). Inoltre risulta ormai consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il metodo del distanziometro "rappresenta, a tutt'oggi uno degli strumenti cui è affidata la tutela di fasce della popolazione particolarmente esposte al rischio di dipendenza da gioco" (cfr. C.d.S. n. 8298/2019 citato in T.R.G.A. Trento, sentenza n. 212/2020; C.d.S. V Sez. n. 5237/2018; IV Sez. n. 6714/2018; III Sez. n. 579/2016; V Sez. n. 4145/2018; Corte Cost. n. 27/2019). Il distanziometro introdotto dalla legge provinciale e che i ricorrenti contestano, in quanto sostenuto da una ratio legis diretta alla protezione di categorie deboli e alla prevenzione di possibili dipendenze patologiche da gioco, è pertanto in linea con le preoccupazioni manifestate anche dal legislatore nazionale. E in tal senso non può qui che ribadirsi come non solo le "surriferite disposizioni di legge della Provincia Autonoma di Trento, individuano in via del tutto tassativa e inderogabile puntuali situazioni di incompatibilità tra l'attività svolta dalla medesima parte ricorrente e taluni, ben precisati ambiti sensibili", ma che anche le stesse disposizioni mirano alla tutela del bene primario della salute, quale diritto del singolo e interesse della collettività, proprio in quanto esse "prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell'offerta di una tipologia di giochi suscettivi di innescare pericolosi fenomeni compulsivi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso a tali giochi da parte degli utenti" (cfr. decreto cautelare presidenziale di questo Tribunale n. 36 del 10 ottobre 2022). V) Considerato quanto precede e tenendo conto nello specifico dei condivisibili contenuti della verificazione depositata agli atti di causa è da escludersi il verificarsi in concreto dell'effetto espulsivo di cui si dolgono i ricorrenti, di talché perde anche decisamente consistenza l'illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 14 della l.p. n. 13 del 2015 che in particolare da tale effetto espulsivo deriverebbe. Si consideri, infatti, che la verificazione, che ha puntualmente replicato a tutte le critiche formulate dal consulente di parte, le quali pertanto non ne scalfiscono la portata fondamentale al fine del decidere la controversia, mette in luce "che le aree potenzialmente e astrattamente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito..... occupano una superficie di circa 712,4 ha...... si tratta di un dato che rappresenta il 22,4 % del Territorio urbanizzato (3.185 ha), che a sua volta rappresenta circa il 4,5% dell'intero Territorio comunale (15.785 ha)". L'analisi evidenzia, inoltre, che anche sottraendo in via prudenziale il 50% del territorio nella presunzione della presenza di caratteristiche insediative e di urbanizzazione che rendono improbabile la localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo (aree resistenti), residua una superficie di complessivi 356,2 ha, pari all'11,2% del territorio comunale urbanizzato, idonea all'insediamento delle attività di gioco lecito (aree ospitali), comprendenti ambiti a destinazione prevalentemente residenziale e aree a destinazione produttiva-artigianale. La verificazione precisa anche che rapportando i circa 356,2 ha delle aree che possono ospitare l'insediamento delle attività del gioco lecito alla dimensione dell'intero territorio comunale (che oltre ai tessuti urbanizzati comprende peraltro anche il sistema dei territori a valenza ambientale e rurale) la percentuale risulta pari al 2,2%. La verificazione prosegue poi affermando che "l'applicazione della distanza di 300 metri (buffer) dai siti sensibili individuati dall'Amministrazione comunale di Trento non determina una sostanziale preclusione alla localizzazione sull'intero territorio comunale di funzioni di gioco d'azzardo lecite, in quanto l'applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili non comporta un'impossibilità assoluta dell'esercizio di queste attività, in particolare all'interno del Territorio urbanizzato". Inoltre, poiché le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito sono rappresentate sia da ambiti a destinazione prevalentemente residenziale (di matrice storica e non), sia da aree a destinazione produttiva- artigianale, l'introduzione di una distanza minima legale di 300 m dai luoghi sensibili comporta, nei fatti, un effetto di marginalizzazione (ma non di preclusione) dell'attività di cui trattasi. VI) Si è già detto che le osservazioni dei ricorrenti circa la verificazione non convincono. In proposito deve essere ribadita in primis l'adeguatezza del metodo del distanziometro pari a 300 m che nemmeno determina, come pretenderebbero i ricorrenti, alcun effetto espulsivo. Infatti, secondo la condivisibile relazione di verificazione, non sussiste un effetto espulsivo, vale a dire preclusivo alla localizzazione sull'intero territorio comunale di sale da gioco, e ciò né in senso assoluto, né in senso sostanziale, ma un esito di marginalizzazione in aree della città, più che periferiche e riservate alle attività di produzione e commercializzazione di beni e servizi. Anche volendo sostenere che la circostanza si presti a favorire i giocatori patologici - i quali secondo alcuni studi scientifici citati dai ricorrenti non verrebbero dissuasi dalla necessità di percorrere grandi distanze per accedere al gioco e che, anzi, proprio dalla marginalizzazione dell'offerta di gioco nelle periferie trarrebbero addirittura un rinforzo alla propria malattia - in ogni caso l'allontanamento dai luoghi sensibili delle sale da gioco tutela le persone più vulnerabili rimuovendo le occasioni di gioco e in definitiva il rischio di dipendenza dal medesimo. Ebbene, come si è in precedenza detto, la ratio sottesa alla l.p. n. 13 del 2015 è rinvenibile in particolare nella tutela delle persone più vulnerabili in una prospettiva di generale prevenzione della dipendenza dal gioco che permea l'intera disciplina. D'altra parte "L'introduzione del distanziometro, sotto il profilo della tutela della salute, ben può essere ritenuto un intervento idoneo ed efficace per prevenire forme di ludopatia, nella misura in cui il gioco occasionale sia interpretato come lo stadio iniziale di un processo che, ancorché in termini probabilistici, porti linearmente allo sviluppo di una dipendenza" (cfr. Cons. Stato sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1618). Il che vale a dire che le categorie del giocatore sociale, del giocatore problematico e del giocatore patologico costituiscono un "continuum" e in molti casi differenti stadi di un'evoluzione in senso patologico del comportamento di gioco. In ragione di quanto precede, il distanziometro della Provincia di Trento sfugge pertanto alla censura dei ricorrenti secondo cui lo strumento sarebbe inadeguato rispetto al fine perseguito derivando altresì da tale indubbia adeguatezza della disciplina legislativa provinciale la mancata violazione ed elusione dei parametri costituzionali richiamati dai ricorrenti medesimi. Invero lo strumento risulta adottato nell'ambito della discrezionalità del legislatore - anche provinciale - e non solo è adeguato, ma è pure particolarmente connotato da ragionevolezza e proporzionalità rispetto ai prefissati obiettivi di prevenzione della ludopatia che ai sensi dell'art. 32 Cost. attengono alla tutela della salute. Tali caratteristiche valgono già in definitiva a privare di fondatezza la dedotta questione di costituzionalità, e ciò con riguardo all'art. 41 Cost., anche in rapporto all'art. 3 Cost. ed altresì con riferimento agli artt. 32 e 47 Cost. In proposito, al di là del fatto che la salute dei soggetti ludopatici e così le loro risorse economiche risultano per certo pregiudicate dall'offerta di gioco piuttosto che dagli strumenti di prevenzione introdotti dal legislatore, si sottolinea che i previsti limiti distanziali dai luoghi sensibili, proprio in quanto finalizzati a prevenire l'approccio di soggetti fragili al gioco d'azzardo e l'insorgere di forme ludopatiche, sono in linea sia con il diritto costituzionale alla salute, sia con gli obiettivi di tutela del risparmio parimenti enunciati dalla Costituzione. A riguardo poi dell'assunzione, come pretenderebbero i ricorrenti, a parametro utile per la determinazione della percentuale di area non coperta dal divieto, dell'intero territorio comunale - comprensivo cioè delle zone a valenza ambientale e rurale così come delle superfici delle infrastrutture stradali in cui l'edificazione è interdetta in assoluto - anziché della sola superficie insediativa, va rilevata la decettività di un tale metodo. Infatti il dato percentuale che ne deriva risulta falsato per difetto dall'incongrua estensione della base cui rapportare le aree potenzialmente ospitali, nonchè inidoneo per tale ragione a determinare l'effettiva percentuale di superficie incisa dal divieto e parimenti di aree ospitali (cfr. ex multis, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 67/2023 cit.) Le conclusioni raggiunte dal verificatore nemmeno sono inficiate dal fatto che le aree non coperte da divieto non siano state indagate con riguardo alla loro concreta insediabilità, atteso che un qualsiasi operatore economico che intenda reperire un locale commerciale idoneo per avviare una nuova attività commerciale sconta le medesime criticità . Si tratta in buona sostanza non di un impedimento normativo, ma di una difficoltà fattuale (cfr. C.d.S., sez. V, 28 dicembre 2022, n. 11426; sez. V, 4 dicembre 2019, n. 8298; T.R.G.A. Trentino - Alto Adige, Trento, 23 dicembre 2020, n. 212) Non coglie nel segno nemmeno la contestazione riguardante l'omessa autonoma individuazione dei luoghi sensibili da parte del verificatore, che si è viceversa limitato a recepire l'elenco dei luoghi sensibili di cui alla delibera consiliare del Comune di Trento n. 32 in data 8 marzo 2017. Nonostante il quesito formulato al verificatore rechi solo un generico riferimento ai "siti c.d. sensibili individuati nell'art 5, comma 1, della legge provinciale n. 13/2015" anziché uno specifico richiamo ai siti sensibili individuati con la predetta delibera consiliare n. 32 del 2017, tuttavia da ciò non può inferirsi che il verificatore medesimo sarebbe stato tenuto ad autonomamente individuare i luoghi sensibili presenti sul territorio comunale. Invero non solo la delibera del Consiglio comunale di Trento n. 32 dell'8 marzo 2017 non è stata impugnata (e dunque non è disapplicabile), ma è al Comune che logicamente compete valutare la sussistenza dei presupposti per accertare la presenza di un luogo sensibile secondo la disciplina posta dall'art. 5 in combinato disposto con l'art. 10, comma 7, della legge provinciale n. 13 del 2015. Neppure ha miglior sorte l'argomento secondo cui il verificatore avrebbe dovuto applicare non solo il metodo del raggio in linea d'aria bensì pure il criterio del percorso pedonale. In proposito è sufficiente considerare che il quesito non contiene alcun riferimento al criterio del raggio in linea d'aria stabilito con la circolare del Servizio Industria, artigianato, commercio e cooperazione della Provincia di Trento prot. n. 491566 del 21 settembre 2016, parimenti rimasta inoppugnata (e dunque non disapplicabile). Va pure respinto il rilievo circa il giudizio - ritenuto "una valutazione del tutto personale, non basata su alcuna evidenza tecnica e su cui non si è voluta effettuare alcuna ulteriore analisi" - espresso dal verificatore in merito alla superficie, ritenuta comunque ragguardevole, delle aree potenzialmente insediabili, attese le conclusioni alle quali è pervenuta la Sez. V del Consiglio di Stato nella sentenza n. 11426 del 2022. Emerge dalla suddetta pronuncia che la distanza minima legale in tal caso imposta dal legislatore regionale, pari a 500 mt, non ha reso impossibile la delocalizzazione delle attività di gioco lecito esistenti ed ha realizzato un equilibrato e ragionevole contemperamento dei contrapposti interessi. Le annotazioni che precedono valgono in definitiva a giustificare e a rendere del tutto condivisibili i contenuti della relazione di verificazione che i ricorrenti hanno messo in discussione. VII) Ma, come si è anticipato, ad avvalorare l'infondatezza del gravame concorrono anche i più recenti approdi della giurisprudenza. A riguardo della verificazione disposta per il giudizio in esame vale altresì considerare l'analoga consulenza - e la susseguente correlata sentenza - disposta dal Consiglio di Stato nel ricorso che ha interessato il distanziometro, esso pure pari a 300 m, adottato dalla Provincia di Bolzano (cfr. art. 5 bis della legge della Provincia di Bolzano n. 13 del 13 maggio 1992). La sentenza che ha definito tale contenzioso (cfr. sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1618, oggetto di ricorso per revocazione respinto con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 novembre 2022, n. 10322) ha escluso l'effetto espulsivo e, quindi, il contrasto di tale prescrizione con la libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 e con il principio di ragionevolezza ex art. 3, comma 2, della Costituzione, atteso lo spazio utile residuo - ancorché modesto - riconosciuto nell'ambito dei singoli territori comunali dal consulente (il CTU aveva evidenziato "la persistente sussistenza di uno spazio utile residuo nell'ambito dei singoli territori comunali, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l'organizzazione economia delle attività delle sale giochi gestite"). Del tutto condivisibilmente la sentenza richiamata afferma esplicitamente che un'eventuale illegittimità costituzionale della misura distanziale può trovare riconoscimento solo "attraverso una verifica del concreto atteggiarsi del quadro fattuale connotante il segmento di mercato delle sale da gioco" valutando la "proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti". In altri termini i medesimi dubbi di costituzionalità, declinati analogamente a quelli prospettati dagli odierni ricorrenti, sono già stati affrontati, con l'esito della loro manifesta infondatezza, dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 1618/2019 in cui si legge "il parametro di legittimità costituzionale dell'art. 41 Cost. e dell'ivi contenuta clausola di utilità sociale deve essere rapportato al principio di ragionevolezza ex art. 3, comma 2, Cost., la cui valutazione deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (sul principio di ragionevolezza riconducibile all'art. 3, secondo comma, Cost., v. Corte cost. n. 1130/1988)" per poi escludere, al lume delle risultanze della predetta consulenza tecnica, che "la censurata disciplina legislativa determini un'interdizione assoluta del diritto all'esercizio dell'attività economica del gioco lecito in ambito comunale e/o provinciale e una soppressione di tale settore di mercato, con sequela di manifesta infondatezza, sotto tale profilo, della questione di legittimità costituzionale per violazione della libertà di iniziativa economica sancita dall'art. 41, primo comma, della Costituzione". Merita risalto il ragionamento del Consiglio di Stato che trova sviluppo nei termini che seguono: "Quanto al profilo dell'adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite - vò lte, oltre a preservare il contesto urbano dai danni alla viabilità e alla quiete pubblica, a tutelare determinate categorie di persone (giovani o soggetti in particolari condizioni sociali e psichiche) e di prevenire il gioco d'azzardo patologico, ovvero la dipendenza dal gioco - ritiene il Collegio che, nella specie, le scelte del legislatore rientrino ampiamente nei limiti della discrezionalità riservata all'attività legislativa, nella specie esercitata correttamente, attesa l'indubbia ragionevolezza della disciplina censurata, realizzando la stessa in modo plausibile il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tramite l'introduzione di criteri distanziali di localizzazione, idonei ad arginare in via preventiva le esternalità negative dell'attività d'impresa del gioco lecito sulla salute pubblica, con ciò concretizzando, nel settore di riferimento, la clausola del mancato contrasto con l'utilità sociale di cui all'art. 41, secondo comma, Cost. (nella quale rientrano anche le esigenze di tutela della sanità e della salute pubblica), e superando con ciò la norma limitativa dell'attività d'impresa il vaglio positivo di ragionevolezza, nel rispetto di tale principio generale enucleabile dall'art. 3 della Costituzione. Infatti, premesso che deve ritersi assodato che lo spostamento delle sale gioco in aree periferiche e la minore capillarità nella distribuzione delle stesse comportino una riduzione significativa del gioco negli apparecchi da intrattenimento in prevalenza nell'ambito della categoria dei giocatori consumatori occasionali/sociali, si osserva che, sebbene secondo le valutazioni del c.t.u. tale categoria di giocatori sia caratterizzata da un profilo di rischio assente o basso rispetto alla possibilità di sviluppare comportamenti patologici di gioco, l'introduzione del distanziometro, sotto il profilo della tutela della salute, ben può essere ritenuto un intervento idoneo ed efficace per prevenire forme di ludopatia, nella misura in cui il gioco occasionale sia interpretato come lo stadio iniziale di un processo che, ancorché in termini probabilistici, porti linearmente allo sviluppo di una dipendenza. Siffatta interpretazione, ancorché controversa nella letteratura del settore, si muove pur sempre entro i limiti dell'attendibilità tecnico-scientifica - infatti il c.t.u., nelle relazioni peritali, dà atto che "le tre categorie di consumatori descritte (ossia, quelle del giocatore sociale, del giocatore problematico e del giocatore patologico; n. d.e.) sono spesso implicitamente o esplicitamente collocate in un continuum che va dai giocatori sociali a quelli patologici e dunque interpretate da alcuni studiosi come differenti stadi di un'evoluzione in senso patologico del comportamento di gioco che, purtuttavia, va considerata come sequenza di fasi di un processo lineare solo per alcuni soggetti", citando correlativa letteratura - sicché alla disciplina dei criteri distanziali dai siti sensibili può essere attribuita, in modo non implausibile, un'efficacia preventiva nella lotta a fenomeni di ludopatia. Occorre, sul punto, precisare che la discrezionalità del legislatore non va confusa con la discrezionalità (amministrativa e/o tecnica) dell'amministrazione pubblica, nel senso che la prima costituisce l'esplicazione delle scelte politiche degli organi investiti del potere legislativo e trova i suoi limiti nelle sole norme sovraordinate di rango costituzionale (ed, eventualmente, nel diritto eurounitario), talché la stessa, una volta rispettati tali limiti (compresi i principi di ragionevolezza e di razionalità intrinseca), non appare ulteriormente sindacabile (in sede di giudizio di costituzionalità ). Ulteriori elementi utili a suffragio dell'efficacia del distanziometro possono trarsi dalla tabella 3.1. delle relazioni peritali, da cui emerge che la percentuale di giocatori con profili di rischio moderato e severo, nell'arco temporale 2007-2017, cresce nella fascia di età dai 15 ai 34 anni, raggiungendo nel 2017-2018 il 9,9% del totale dei giocatori, rispetto al 5,4% del 2007-2008. Ne deriva l'indubbia congruità /adeguatezza dell'individuazione di siti sensibili frequentati da appartenenti alla fascia della popolazione giovanile. Né le considerazioni innanzi svolte possono ritenersi infirmate dalle osservazioni del c.t.u. per cui la contrazione dei segmenti di domanda da servire porterebbe inevitabilmente gli operatori degli esercizi dedicati a concentrare le proprie strategie commerciali verso i giocatori non occasionali, disposti a spostarsi per soddisfare il proprio bisogno di giocare, talché, nel breve termine, la raccolta di gioco relativa ai giocatori patologici o problematici, ovvero relativa a coloro che si caratterizzano per profilo di rischio moderato e/o severo, non dovrebbe subire per il complesso delle sale ubicate nel territorio provinciale variazioni significative, poiché tali consumatori, per i meccanismi sottesi alle dipendenze, sarebbero disposti a spostarsi anche di molto al fine di soddisfare il bisogno di gioco, con il conseguente rischio di una concentrazione delle strategie degli operatori verso i giocatori problematici con la finalità di attirarne un maggior numero all'interno delle sale e con la possibilità che una parte più o meno ampia di questi possa aggravare il proprio comportamento di gioco nella direzione dello sviluppo di una reale dipendenza patologica. Trattasi, invero, di effetti negativi nel breve periodo, da affrontare in un momento successivo con interventi adeguati incentrati sulle categorie dei giocatori problematici, mentre nella presente sede appare dirimente la non implausibile efficacia preventiva sulle categorie dei giocatori sociali/occasionali e delle fasce giovanili, onde impedirne un'evoluzione in senso patologico nel comportamento di gioco. Ne deriva l'indubbia congruità /adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite e la mancata violazione dell'art. 41 Cost. e del principio di ragionevolezza, con conseguente insussistenza dei presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale". Con riferimento all'effetto espulsivo giova pure evidenziare che la sentenza del TAR Emilia-Romagna, Bologna, 23 dicembre 2020, n. 856, che aveva ritenuto non produttiva di effetto espulsivo una percentuale di aree idonee all'insediamento di apparecchi da gioco pari allo 0,28% del territorio comunale, è stata confermata dalla sentenza della V sezione del Consiglio di Stato depositata il 28 dicembre 2022, n. 11426. Il giudice d'appello, a fronte di una relazione del CTU che aveva quantificato in 330 ha, corrispondenti al 5,4% del territorio urbanizzato, le aree disponibili all'interno del territorio comunale per l'insediamento delle attività di gioco lecito di cui trattasi, ha affermato che la distanza minima legale dai luoghi sensibili, fissata dall'art. 6, comma 2-bis, della legge regionale Emilia-Romagna n. 5 del 2013 nella misura di 500 mt, non ha reso impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti ed ha realizzato un equilibrato e ragionevole contemperamento dei contrapposti interessi. La giurisprudenza testé citata esprime un orientamento del tutto condivisibile che, lungi dal rinvenire fondamento nell'id quod plerumque accidit, riconnette attendibilità alla verifica de facto quale quella intervenuta nella fattispecie dedotta in giudizio. Risulta pertanto ulteriormente avvalorata la conclusione di insussistenza dell'effetto espulsivo cui è pervenuto il verificatore nella fattispecie in esame. VIII) Neppure coglie nel segno la dedotta violazione del principio, di rilevanza europea, del legittimo affidamento e dell'art. 1 Protocollo 1 della CEDU che tutela i diritti di aspettativa economica, risolvendosi il contestato distanziometro in una sorta di esproprio illegittimo poiché senza indennizzo. A tacere del fatto che nel caso all'esame non ne va della privazione di un diritto di proprietà, vale menzionare ad ogni buon conto quanto sottolineato dal Consiglio di Stato, nella sentenza 1618/2019: "nel settore dell'esercizio dell'attività imprenditoriale del gioco lecito, pure a livello di diritto eurounitario le esigenze di tutela della salute vengono ritenute del tutto prevalenti rispetto a quelle economiche che muovono le imprese odierne appellanti (v. le citazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, riportate sopra sub 10.1.1.), e le considerazioni innanzi svolte in ordine alla ragionevolezza e proporzionalità della disciplina distanziale dai siti sensibili valgono,sostanzialmente, ad escludere anche la violazione dei parametri eurounitari, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza della Corte di giustizia". IX) Di nessun pregio risulta pure l'argomento che attiene al contrasto con l'Intesa tra Stato e Regioni del 7 settembre 2017, la quale mirerebbe a distribuire il gioco legale su tutto il territorio dello Stato in maniera tale da coniugare la sua necessaria riduzione con la capillare ed equilibrata distribuzione del servizio. A tacere del fatto che il Consiglio di Stato con la sentenza 26 agosto 2020, n. 5233, ha precisato che l'Intesa, "per essere prevista quale atto prodromico all'esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle regioni, all'intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente", è sufficiente invero considerare in proposito che nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni è stata riconosciuta la piena validità di tutte le discipline esistenti concordando di "considerare validi i vincoli esistenti risultanti dalle vigenti normative regionali e comunali in materia di distanza" e, in particolare, stabilendo che "le disposizioni specifiche in materia, previste in ogni Regione o Provincia autonoma, se prevedono una tutela maggiore, continueranno comunque ad esplicare la loro efficacia. Inoltre, le Regioni e le Province autonome, ai fini del contrasto delle patologie afferenti alla dipendenza da gioco d'azzardo, potranno prevedere forme maggiori di tutela della popolazione". Analogamente si è espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 27/2019 del 27 febbraio 2019: "L'intesa fa esplicitamente salve le vigenti disposizioni regionali e comunali, ove recanti standard più elevati di tutela, con la possibilità per Regioni ed enti locali di dettare anche in futuro nuove discipline più restrittive... Il quadro normativo e giurisprudenziale, dunque, consente espressamente alle Regioni d'intervenire prevedendo distanze minime dai luoghi sensibili per l'esercizio delle attività legate ai giochi leciti, anche individuando luoghi diversi da quelli indicati dal D.L.n. 158 del 2012, come convertito". X) Non vi è poi chi non veda che anche la moratoria applicativa di ben 7 anni stabilita nell'interesse dei privati (cfr. sul tema, Cons. Stato, parere n. 550/22) dalla legge provinciale avversata depone per la sua legittimità costituzionale. Infatti il congruo termine concesso dal legislatore provinciale agli operatori economici, per la ricollocazione sul territorio della propria attività, ha costituito un equo contemperamento tra le esigenze di tutela della salute e l'esercizio del diritto di iniziativa economica. D'altra parte la ricorrente non ha offerto neppure un principio di prova per dimostrare l'impossibilità nel corso di 7 anni di delocalizzare la propria attività a causa dell'inadeguatezza dell'offerta di immobili sul mercato nell'ambito delle aree potenzialmente insediabili del territorio del Comune di Trento. XI) In conclusione le considerazioni che precedono non evidenziano la non manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità degli artt. 5, comma 1, e 14 della l.p. n. 13 del 2015 per asserito contrasto con gli artt. 3, 32, 41, 47 e 117 comma 1, Cost. in riferimento all'art. 1 del Primo Protocollo della CEDU prospettati dai ricorrenti. Ne consegue la legittimità del provvedimento di rimozione impugnato, che trova il proprio fondamento nella legittima disciplina provinciale citata, e la reiezione del ricorso. XII) Quanto alla regolazione delle spese esse seguono la regola della soccombenza e vanno poste a carico della parte ricorrente nella misura indicata in dispositivo. Posto che, ai sensi dell'art. 66, comma 4, cod. proc. amm. il compenso del verificatore è liquidato a seguito di apposita istanza dallo stesso presentata, l'onorario spettante al verificatore nominato per l'esecuzione della verificazione disposta con l'ordinanza n. 37 del 2022 (al quale è stato peraltro già riconosciuto un anticipo pari a euro 2.000,00, provvisoriamente posto a carico della ricorrente nel giudizio di cui al ricorso n. 137/2022) dev'essere posto a carico della parte ricorrente in tale causa e verrà liquidato con successivo decreto a seguito del deposito di apposita istanza da proporsi da parte del verificatore entro il temine di cui all'art. 71, comma 2, del t.u. approvato con D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 144 del 2022 in epigrafe indicato, lo respinge perché infondato. Condanna la parte ricorrente a corrispondere alle Amministrazioni resistenti le spese di giudizio che si liquidano nell'importo di euro 1.500 oltre ad accessori di legge per ognuna di esse. Pone si d'ora a carico della parte ricorrente le spese di verificazione, da liquidarsi con successivo decreto. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

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