Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TREVISO TERZA SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Treviso, Terza Sezione civile, dott. Carlo Baggio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado RG 6416/2023 (portante riunita la causa RG 7044/2023), promossa da Parte_1 (C.F. C.F._1) e Parte_2 (C.F. C.F._2), con il patrocinio dell'avv. BO.GI. e domicilio eletto presso lo studio del difensore in indirizzo_l - TREVISO attori contro Controparte_1 (C.F. P.IVA_1), con il patrocinio dell'avv. CA.RO. e domicilio eletto presso lo studio del difensore in lndirizzo_2 - TREVISO Controparte_2 (C.F. C.F._3 ), con il patrocinio degli avv. MA.NI. e CA.RO. e domicilio eletto presso lo studio dei difensori in lndirizzo_3 - TREVISO convenuti avente per oggetto: Comunione e CP_1 impugnazione di delibera assembleare trattenuta in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 21.5.2024, nella quale le parti hanno formulato le seguenti CONCLUSIONI - per Parte_1 e Parte_2: "Voglia il Giudice adito, nelle cause riunite rg 6416/2023 e 7044/23, ogni avversa domanda, eccezione e istanza respinta Nel merito, accertato in relazione alle delibere assembleari 30.03.23 e 16.11.23 l'identità degli interessi, ancorché contrapposti perseguiti da tutte le parti del giudizio, e l'unicità/conseguenzialità/premeditazione della condotta delle parti convenute, dott.ssa Controparte_2 e Controparte_3 , dall'impugnazione della prima delibera, 30.03.23, alla sua revoca assembleare del 16.11.23 la cui causa è stata falsamente o comunque maliziosamente deviata - anche con strumentali riferimenti a complicanze in sede amministrative- dal suo modo di porsi in quanto motivata e fondata unicamente da una proposta conciliativa di alla impugnazione o rinuncia alle spese legale della stessa parte impugnante, dott.ssa CP_2 con grave danno per i condòmini Pt_2 e Pt_l, e accertata la condotta non imparziale dell'amministratore nella gestione dell'assemblea del 16.11.2023 conseguentemente: 1. accertare e dichiarare che a) l'oggetto della delibera del 30.03.23 del (...) Controparte_1 di Treviso è stata il diniego alla realizzazione di opera che -per giurisprudenza conforme anche di legittimità, almeno a partire dal 2012- non rientra tra le innovazioni di cui all'art.1120 ma solo riflettono un uso più intenso delle parti comuni ex art. 1102 cc; b) che, tali lavori non richiedono l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, trattandosi di diritto, pieno e legittimo, di ogni condomino, al maggior utilizzo della cosa comune, c) che in relazione alla normativa erano state rispettati i requisiti e le maggioranze come previste dall'art. 1136, III comma, cc, così come rispettate le maggioranze di cui all'art. 8 del Regolamento Condominiale, che prevede l'obbligo di sottoporre all'assemblea anche gli interventi di semplice modifica prevedendo tuttavia una valutazione in negativo ovvero richiedendo la maggioranza degli intervenuti per negare l'autorizzazione conseguentemente dichiarare che la delibera del 30.03.23 è (o, comunque, era) pienamente valida ed efficace; 2. accertare l'uso strumentale e illegittimo della procedura di mediazione e della documentazione offerta ai condomini da parte dell'amministratore che ha condizionato, viziandola, la formazione della volontà assembleare del 16.11.2023; accertare altresì che la revoca della delibera del 30.03.23 è stata approvata con il voto determinante della condomina Controparte_2 nella doppia veste di parte proponente e parte accettante della proposta propria transattiva, dichiararne l'invalidità e quindi annullare per vizio del consenso o eccesso di potere la delibera assembleare del 16.11.2023. Con integrale vittoria di spese, diritti e onorari. In via istruttoria: si allegano i documenti richiamati e si chiede sin d'ora che il giudice voglia acquisire ex art. 210/213 cpc copia della segnalazione protocollata al numero 134128 del 25.9.23 Rep. N. 161 548 del 15 11 2023 Polizia Locale nucleo Territorio Comune di Treviso; dalla Controparte_4 sportello unico e verde urbano- copia del fascicolo relativo all'accesso agli atti al Comune di Treviso che ha portato alla esibizione e copia alla dott.ssa Controparte_2 del documento prodotto dall'amministratore in convocazione della assemblea 16.11.2023 e relativo alla ID n. CodiceFiscale_4 -090522023-0649 SUPRO: 0138466 DEL 9.5.2023 RI.: Prat. N2023/AE/0879 -prot. n.69046del 10.05.2023. Vorrà essere ammessa prova per interpello dell'amministratore CP_5 sui seguenti capitoli: 1) Vero che nel complesso condominiale " Controparte_1", su altra porzione di tetto, esistono altre due terrazze a tasca; 2) Vero che le stesse sono state realizzate in epoca successiva all'edificazione da parte del costruttore; 3) Vero che le stesse terrazze esistenti risultano essere state debitamente autorizzate dall'Assemblea e munite delle prescritte autorizzazioni amministrative; Vorrà essere ammessa sugli stessi capitoli la testimonianza dell'architetto Tes_1 (...) con studio in lndirizzo_4 Treviso al quale vorrà essere chiesto altresì risposta sul seguente ulteriori capitoli: 4) Vero che nei sopralluoghi da Lei svolti in vista dell'acquisto dell'immobile di cui è causa da parte dei signori Pt_2 e Pt_l, a Lei come ai probabili acquirenti, sia da parte del venditore signor Per_1 sia in diversa sede presso gli uffici del settore urbanistica - edilizia privata Le era sta stata prospettata come ammissibile la realizzazione di una terrazza a tasca sulla porzione di tetto interessata; 5) Vero che a seguito del parere negativo i coniugi Pt_2 e Pt_l hanno dovuto interrompere i lavori di ristrutturazione previsti per il 2023 dell'immobile destinato a loro personale abitazione; 6) Vero che a seguito della segnalazione di un condomino è intervenuto sopralluogo da parte dei responsabili ufficio tecnico, in sua presenza, dal quale è partito anche procedimento di revoca della residenza dei coniugi all 'indirizzo di lndirizzo_5, in Treviso"; - per il CONDOMINIO RESIDENCE IL CP_1 : "Causa n. 6416/23 R.G. In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dei sigg.ri Parte_1 e Parte_2, nonché l'insussistenza del loro interesse ad agire e per l'effetto dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande attoree e la cessazione della materia del contendere. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via principale. Per le ragioni esposte in narrativa respingere tutte le domande formulate dai sigg.ri Parte_1 e Parte_2, perchè infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via istruttoria. Ammettersi, altresì, all'esito della prova per testi eventuale C.T. U.. Ci si oppone a tutti i mezzi istruttori dedotti dagli Attori per i motivi indicati in terza memoria ex art. 171 ter c.p.c. del 05.04.2024. Causa n. 7044/23 R.G. In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dei sigg.ri Parte_1 e Parte_2, nonché l'insussistenza del loro interesse ad agire e per l'effetto dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande attoree e la cessazione della materia del contendere. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via principale. Per le ragioni esposte in narrativa respingere tutte le domande formulate dai sigg.ri Parte_1 e Parte_2, perché infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via istruttoria. Per le ragioni espresse in terza memoria ex art. 171 ter c.p.c. del 05.04.2024 ci si oppone a tutte le istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: alla prova per testimoni ed interpello; nonchè alla richiesta di acquisizione ex art. 210 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 GP ed alla richiesta di acquisizione ex art. 213 c.p.c. formulata nei confronti della "PoliziaLocale di Treviso" e della "Controparte_4"; - per Controparte_2 "Causa R.G. n. 6416/23 In via preliminare: accertarsi e dichiararsi l'originaria carenza di interesse ad agire in capo ai Signori Parte_1 e Parte_2 ovvero accertarsi e dichiararsi la sopravvenuta carenza di interesse ad agire giusta revoca della delibera assembleare del 30.03.2023 e, conseguentemente, accertarsi e dichiararsi l'inammissibilità dell'azione promossa nel presente giudizio. Nel merito In via principale: - per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi e dichiararsi la nullità e/o annullabilità e/o comunque inefficacia della delibera assembleare del 30.03.2023 e, conseguentemente, rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi i Signori Parte_1 e Parte_2 all'integrale rifusione delle spese di lite, come da nota spese depositata. In via istruttoria. Così come meglio precisato nella memoria ex art. 171-ter, n. 3 c.p.c. del 05.04.2024, ci si oppone alle istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: all'ammissione della prova per interpello e per testi richiesta da controparte; all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia della segnalazione alla Polizia Locale - Nucleo Territorio del Comune di Treviso, assunta al prot. n. 134128 del 25.09.2023; nonché all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 presso la Curia Mercatorum. Causa R.G. n. 7044/23 In via preliminare: accertarsi e dichiararsi il difetto di legittimazione in capo all'odierna convenuta e conseguentemente pronunciarsi l'estromissione dell'Avv. Controparte_2 dal presente giudizio. Subordinatamente, in via preliminare: accertarsi e dichiararsi l'improcedibilità della presente azione per difetto della condizione di procedibilità di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 e conseguentemente disporsi l'esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria a carico di parte attrice. Nel merito In via principale: - per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi e dichiararsi la validità nonché l'efficacia della delibera assembleare del 16.11.2023 e, conseguentemente, rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi i Signori Parte_1 e Parte_2 all'integrale rifusione delle spese di lite, come da nota spese depositata. In via istruttoria. Così come meglio precisato nella memoria ex art. 171-ter, n. 3 c.p.c. del 05.04.2024, ci si oppone alle istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: all'ammissione della prova per interpello e per testi richiesta da controparte; all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia della segnalazione alla Polizia Locale - Nucleo Territorio del Comune di Treviso, assunta alprot. n. 134128 del 25.09.2023; nonché all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 presso la Curia Mercatorum". MOTIVI DELLA DECISIONE Parte_1 e Parte_2 hanno introdotto il giudizio RG 6416/2023, convenendo in giudizio il Controparte_1 e la condomina Controparte_2 (...) proponendo azione autonoma di mero accertamento della validità ed efficacia della delibera condominiale del 30.3.2023, avente ad oggetto l'autorizzazione alla realizzazione da parte degli attori di una terrazza a tasca, ritenendo rispettati i requisiti e le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 3 CC e all'art. 8 del Regolamento Condominiale, trattandosi a loro dire di opere che non comporterebbero innovazione, ma solo modifica delle parti comuni ex art. 1102 CC. Il condominio si è costituito in giudizio eccependo anzitutto la cessazione della materia del contendere e la carenza di interesse ad agire in capo agli attori ex art. 100 CPC, sia perché la delibera condominiale del 30.3.2023, per quanto qui rileva, venne revocata e sostituita dalla delibera condominiale del 16.11.2023, sia perché in ogni caso la competente Commissione Edilizia, nella seduta del 30.5.2023, aveva espresso parere contrario al progetto di realizzazione della terrazza a tasca, di talché gli attori non sono stati autorizzati dal Comune di Treviso a realizzare l'opera. Nel merito, in subordine, il CP_1 ha comunque chiesto il rigetto delle domande attoree, osservato che l'opera di cui si discute sarebbe comunque da qualificarsi quale innovazione ex art. 1120 CC, la quale non sarebbe però stata autorizzata nell'assemblea del 30.3.2023 con le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 5 CC e in presenza dei requisiti di cui all'ultimo comma del medesimo art. 1120 CC. La condomina CP_2 si è costituita in giudizio svolgendo difese del tutto analoghe a quelle del CP_1. Nel frattempo, i medesimi attori avevano introdotto il separato giudizio RG 7044/2023, anche in tale sede convenendo sia il CP_1 che la condomina CP_2 al fine di ottenere l'annullamento della già citata delibera del 16.11.2023, che aveva in parte revocato la precedente delibera del 30.3.2023, o a motivo dell'asserito vizio nella formazione della volontà dell'assemblea (posto che l'amministratore del condominio non avrebbe tenuto una condotta imparziale e avrebbe fatto un "uso strumentale e illegittimo della procedura di mediazione e della documentazione offerta ai condomini" allo scopo, per l'appunto, di condizionare indebitamente la volontà dei condomini), o a motivo del conflitto di interessi della condomina CP_2 (considerato che la revoca della delibera del 30.3.2023 venne approvata "con il voto determinante della condomina Controparte_2 nella doppia veste di parte proponente e parte accettante della proposta propria transattiva"). Anche in tale sede il CP_1 ha eccepito la carenza di interesse ad agire in capo agli attori e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'impugnazione. Analoghe difese sono state svolte dalla convenuta CP_2 la quale ha altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Stante l'evidente connessione dei due procedimenti, ne è stata disposta la riunione. All'udienza di precisazione delle conclusioni e di discussione orale ex art. 281-sexies CPC tenutasi il 21.5.2024, il procuratore attoreo ha altresì, per la prima volta, invocato il vizio della delibera 16.11.2023 per eccesso di potere. Le cause riunite vengono in decisione senza lo svolgimento di attività istruttoria. Appare opportuno esaminare dapprima le questioni relative all'impugnazione della delibera del 16.11.2023, ancorché successiva rispetto alla delibera del 30.3.2023: laddove la delibera più recente dovesse essere annullata, rivivrebbe la più risalente e dovrebbero quindi essere esaminate le contrapposte domande di accertamento della validità e di annullamento della stessa; diversamente, dovrebbe essere dichiarata la cessazione della materia del contendere relativamente alla delibera più risalente, in quanto revocata ed assorbita dalla successiva. Va anzitutto rigettata l'eccezione sollevata dalla convenuta CP_2 (e ribadita nel foglio di precisazione delle conclusioni depositato il 20.5.2024) di improcedibilità - per mancato esperimento della mediazione obbligatoria - del procedimento RG 7044/2023. Come già osservato nell'ordinanza datata 19.4.2024, da intendersi qui richiamata, non si ritiene che la domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 sia soggetta alla condizione di procedibilità in esame, considerato che l'oggetto della delibera in esame è nella sostanza sovrapponibile a quello della delibera del 30.3.2023 (sia pure se con esito diametralmente opposto), ragion per cui - avendo le due delibere ad oggetto esattamente la medesima vicenda sostanziale - la condizione di procedibilità deve ritenersi soddisfatta dal già avvenuto esperimento del procedimento di mediazione relativo alla delibera da ultimo citata, e ciò anche alla luce dei principi recentemente affermati da Cass. SSUU 3452/2024, che ha ritenuto non sussistente la condizione di procedibilità nemmeno in relazione alle domande riconvenzionali c.d. "eccentriche" (ossia che addirittura allarghino l'oggetto del giudizio senza connessione con quello già introdotto dalla parte attrice), considerato tra l'altro che - come da tempo riconosciuto dalla Corte costituzionale - "la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio', dal che deriva che "le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata" e che, in ogni caso, "l'istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia". Non v'è dubbio che debba essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva della convenuta CP_2 in relazione alla domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023, posto che nei giudizi promossi dai condomini per l'impugnazione delle delibere assembleari unico legittimato passivo è, in via esclusiva, l'amministratore del CP_1 , potendo gli altri condomini unicamente spiegare nel giudizio un intervento principale (laddove anch'essi legittimati all'impugnazione della delibera) o meramente ad adiuvandum. La domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse ad agire in capo agli attori. È consolidato il principio per cui, per proporre una domanda, è necessario avervi interesse e tale interesse, di cui all'art. 100 CPC, deve essere concreto ed attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva, assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (cfr., ex multis, Cass. 41688/2021 e Cass. 24434/2007). Ebbene, si ritiene che un siffatto interesse - concreto e, soprattutto, attuale - difetti nel caso di specie, posto che il Comune di Treviso non ha autorizzato la realizzazione della terrazza a tasca progettata dagli attori (la competente Commissione Edilizia, pur avendo espresso parere favorevole quanto alla realizzazione dei lucernari, ha espresso parere contrario quanto alla terrazza, avendo l'immobile un grado di protezione 3, e conseguentemente il Dirigente del Settore Urbanistica ha ordinato agli odierni attori di conformare l'intervento edilizio al suddetto parere). Detti provvedimenti del Comune di Treviso non sono stati impugnati (la circostanza contraria non è nemmeno stata allegata dagli attori). Risulta quindi, quanto meno all'attualità, la carenza di qualsivoglia interesse in capo agli attori ad ottenere l'autorizzazione del condominio alla realizzazione di un'opera che non potrebbe comunque essere legittimamente realizzata, in quanto non assentita dalla competente autorità amministrativa. Si osserva che gli attori nulla hanno osservato nei propri scritti difensivi circa tale carenza di interesse all'impugnazione della delibera (essi hanno sì dedicato all'interesse ad agire il primo paragrafo della loro memoria ex art. 171-ter n. 1 del giudizio RG 7044/2023, ma si sono in realtà limitati ad illustrare le ragioni per cui sussisterebbe il loro interesse - ed anzi il loro diritto - di realizzare la terrazza a tasca, senza spendere nemmeno una parola relativamente al provvedimento di diniego della PA). Solo in prima udienza gli attori hanno osservato che l'interesse ad agire permarrebbe essendovi "comunque la possibilità per gli attori di insistere con l'autorità amministrativa per l'assentimento della terrazza a vasca". Si osserva tuttavia che tale considerazione, lungi dallo smentire le osservazioni sopra svolte, non fa in realtà che confermare l'attuale carenza di interesse ad agire, tanto che sono gli stessi attori a prospettare la loro richiesta di un provvedimento amministrativo favorevole, difforme rispetto a quello già reso dalla PA, solo in termini meramente futuri e del tutto eventuali. Per mera completezza si osserva che, anche laddove sussistesse un interesse rilevante ex art. 100 CPC all'impugnazione della delibera del 16.11.2023, comunque le doglianze attoree non potrebbero trovare accoglimento. Gli attori, pur ribadendo di essere "perfettamente consapevoli che l'assemblea è sovrana e può rinnovare una decisione già assunta quindi modificarla o porla nel nulla", censurano la "illegittimità/illiceità della modalità attraverso la quale ... è stata sollecitata la nuova decisione" dell'assemblea del 16.11.2023, lamentando che l'amministratore del CP_1 ed il legale dello stesso (avv. Carraretto, che pure lo assiste nel presente giudizio) avrebbero rappresentato all'assemblea una realtà dei fatti distorta, avrebbero fatto un "uso strumentale della procedura di mediazione" e avrebbero dato una "maliziosa lettura di atti e documenti', in tal modo "carpendo" e condizionando in modo indebito la volontà dell' assemblea, la quale risulterebbe conseguentemente viziata. La doglianza appare talmente generica e confusa da rasentare l'inammissibilità, non essendo nemmeno ben chiaro quale sia lo specifico vizio dedotto dagli attori. In ogni caso, è sufficiente leggere il verbale dell'assemblea del 16.11.2023 per avvedersi di come in quell'occasione vi fosse in realtà stato un ampio confronto tra tutti i soggetti interessati e anche gli stessi attori (peraltro in quella sede rappresentati dal medesimo avv. Bonotto, che li assiste anche nel presente procedimento) avessero ampiamente illustrato le proprie ragioni e contestato le tesi dell'amministratore e del difensore del condominio avv. Carraretto, ragion per cui non si vede come si possa sostenere che vi sia stata una qualche forma di captazione della volontà dei condomini, i quali sono stati compiutamente resi edotti di tutte le circostanze del caso e quindi messi nelle condizioni di poter formare in piena libertà il proprio convincimento e conseguentemente esprimere il proprio voto. Si precisa che tali conclusioni non mutano anche a voler far rientrare l'asserito vizio nella categoria, invocata dagli attori solo all'udienza di precisazione delle conclusioni, dell'eccesso di potere. Se infatti tale figura è stata invocata solo a fini descrittivi, nulla cambia. Se invece la doglianza deve intendersi attenere a profili ulteriori rispetto a quelli evidenziati in atto di citazione, la stessa non può che ritenersi tardiva e quindi inammissibile. In ogni caso, peraltro, l'eccesso di potere si configura non tanto in relazione alle modalità con cui l'assemblea ha formato il proprio convincimento, quanto piuttosto in relazione all'esito della delibera che, pur formalmente conforme a legge e regolamento, abbia una causa "falsamente deviata dal suo modo di essere", non essendo il risultato del legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea. Ebbene, nulla hanno gli attori osservato sul punto, né hanno evidenziato la sussistenza nel caso concreto di alcuna delle cause sintomatiche dell'eccesso di potere elaborate dalla giurisprudenza amministrativa in materia (da ritenersi applicabile mutatis mutandis anche all'ipotesi dell'impugnazione delle delibere assembleari). D'altronde, non pare nemmeno palesemente irragionevole la scelta dell'assemblea di revocare l'autorizzazione alla realizzazione della terrazza a tasca a fronte da un lato dei costi connessi alla difesa in giudizio nella possibile (e già minacciata) impugnazione della delibera del 30.3.2023 da parte della condomina CP_2 e dell'esito comunque non certo della causa, dall'altro della consapevolezza che in ogni caso per i condomini Pt_l e Pt_2 non ne sarebbe derivato alcun concreto ed attuale pregiudizio, non potendo comunque gli stessi porre in essere l'intervento edilizio sperato, alla luce del provvedimento di diniego della PA. Si ribadisce, comunque, che le allegazioni degli attori circa l'eccesso di potere, nei termini sopra descritti, quand'anche effettivamente svolte, sarebbero sicuramente tardive. Quanto al presunto conflitto di interessi in capo alla condomina CP_2 è sufficiente osservare che: - la semplice presenza di un interesse del singolo condomino non comporta di per sé anche l'esistenza di un conflitto di interessi (d'altronde, anche gli stessi attori hanno espresso il loro voto nell'assemblea di cui si discute); il conflitto di interessi si configura infatti solo laddove la delibera leda gli interessi della stessa compagine condominiale, il che non è nel caso di specie (la delibera pregiudica semmai solo gli interessi degli odierni attori; si osservi che nessuna argomentazione in senso contrario è stata portata dagli stessi); - in ogni caso, certo non si può dire che il voto di CP_2 fosse stato determinante, dato che anche laddove la stessa si fosse astenuta o non avesse in radice partecipato all'assemblea, comunque si sarebbero raggiunte le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 3 CC, considerato che: - all'assemblea erano presenti condomini per complessivi 586,27 millesimi; - la delibera venne approvata col voto favorevole di 501,01 millesimi; - anche sottraendo i 55,21 millesimi di CP_2 risultano comunque voti favorevoli per 445,80 millesimi, che rappresentano senz'altro "la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio", ex art. 1136 co. 3 ultimo periodo CC. Essendo la delibera del 30.3.2023 stata revocata (per la parte che qui interessa) dalla successiva delibera del 16.11.2023 e dovendosi dichiarare inammissibile la domanda di annullamento di quest'ultima, la quale consolida quindi i propri effetti, non può che discenderne la declaratoria di cessazione della materia del contendere quanto alle domande svolte dagli attori e dalla condomina convenuta in relazione alla prima delibera, sulla scorta del consolidato orientamento per cui è a tal fine sufficiente che l'assemblea condominiale, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sui medesimi argomenti della delibera oggetto dell'impugnazione, ponendo in essere, pur in assenza di forme particolari, un atto formalmente sostitutivo di quello invalido (in analogia peraltro con quanto previsto dall'art. 2377 CC, dettato in materia di società di capitali, ma espressione di un principio valido anche per le delibere condominiali, per cui "l'annullamento della deliberazione non può avere luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita da altra presa in conformità della legge o dello statuto"). Le spese di lite di entrambi i giudizi seguono la soccombenza degli attori, considerato che: - la domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 è stata dichiarata inammissibile per carenza di interesse e sarebbe stata comunque infondata nel merito; - è quanto meno legittimo dubitare della stessa ammissibilità della domanda attorea di mero accertamento della validità della delibera assembleare del 30.3.2023, considerato che, per principio generale, mentre la nullità degli atti può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, le pronunce costitutive di annullamento possono essere sollecitate solo dalla parte nel cui interesse è prevista la causa di invalidità (cfr. artt. 1137 nonché, quanto ai contratti, 1441 CC), né pare nel presente caso sussistere un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione di uno stato di incertezza, che potrebbe protrarsi anche per lungo tempo, circa la consistenza dei diritti e degli obblighi delle parti, posto che -proprio per garantire la certezza del diritto e la solidità dei rapporti condominiali - l'art. 1137 CC prevede un brevissimo termine decadenziale di trenta giorni per l'impugnazione della delibera, decorso il quale la stessa si consolida e diventa inoppugnabile; - anche a voler ritenere la domanda ammissibile, è ben vero che l'atto di citazione del giudizio RG 6416/2023 venne notificato il 15.11.2023, quindi prima dell'adozione della delibera del 16.11.2023 (che determinò la cessazione della materia del contendere); non si può tuttavia non osservare che: o era già da tempo intervenuto il provvedimento di diniego del Comune di Treviso relativamente alla terrazza a tasca, circostanza che, come detto, avrebbe comunque comportato la carenza dell'interesse ad agire; la circostanza appare già di per sé assorbente; o gli attori avevano già ricevuto, prima di notificare l'atto di citazione, la convocazione all'assemblea del 16.11.2023 ed avrebbero quindi ben potuto attendere un solo giorno prima di introdurre un giudizio relativamente ad una delibera che il giorno seguente avrebbe potuto essere revocata (come poi avvenuto); o la stessa iscrizione a ruolo della causa RG 6416/2023 venne posta in essere il 24.11.2023, quindi successivamente alla delibera del 16.11.2023, ed anch'essa - e a maggior ragione - avrebbe potuto essere evitata, evitando conseguentemente il presente contenzioso. Le spese vengono liquidate come segue, secondo valori medi dei procedimenti di valore indeterminabile e di bassa complessità per le fasi di studio e introduttiva, secondo valori inferiori ai medi per la fase istruttoria (essendosi quest'ultima limitata al deposito delle memorie ex art. 171-ter CPC) e secondo valori medi aumentati del 30% (ex art. 4 co. 2 DM 55/2014) per la fase decisoria: - causa RG 6416/2023: - fase di studio: Euro 1.701,00 o fase introduttiva: Euro 1.204,00 - fase istruttoria: Euro 1.300,00 - causa RG 7044/2023: - fase di studio: Euro 1.701,00 - fase introduttiva: Euro 1.204,00 - fase istruttoria: Euro 1.300,00 - giudizi riuniti: - fase decisoria: Euro 3.776,50 per un totale di Euro 12.186,50, oltre accessori di legge. Si ritiene altresì che, alla luce della palese inammissibilità (e comunque infondatezza) delle domande svolte dagli attori, per tutti i motivi sopra illustrati, gli stessi abbiano agito in giudizio con dolo o, quanto meno, con colpa grave, il che ne legittima la condanna ex art. 96 co. 3 al pagamento della somma che appare equo liquidare in Euro 2.000,00 in favore di ciascuno dei convenuti. P. Q. M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1. dichiara il difetto di legittimazione passiva della convenuta Controparte_2 (...) relativamente al procedimento di impugnazione della delibera assembleare del 16.11.2023, RG 7044/2023; 2. dichiara inammissibile per carenza di interesse ad agire la domanda attorea di annullamento della delibera assembleare del 16.11.2023, oggetto della causa RG 7044/2023; 3. dichiara la cessazione della materia del contendere quanto alle domande relative alla delibera dell'assemblea di condominio del 30.3.2023, oggetto della causa RG 6416/2023; 4. condanna gli attori Parte_l e Parte_2, in solido tra loro, a rifondere ai convenuti Controparte_1 ed Controparte_2 le spese di lite del presente procedimento, liquidate per ciascuno dei convenuti in Euro 12.386,50 per compensi, oltre ad IVA, CPA e rimborso spese generali al 15% ex DM 55/2014; 5. condanna gli attori Parte_l e Parte_2, in solido tra loro, a pagare a ciascuno dei convenuti Controparte_1 ed Controparte_2 (...) la somma capitale di Euro 2.000,00, ex art. 96 co. 3 CPC. Così deciso in Treviso, il 23 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TREVISO TERZA SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Treviso, Terza Sezione civile, dott. Carlo Baggio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al R.G. n. 2933/2023 in data 16.5.2023, promossa da (...), in proprio ex art. 86 CPC e con domicilio eletto presso il suo studio in (...) attore contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...) e con domicilio eletto presso lo studio del difensore in (...) convenuto avente per oggetto: (...) e (...) impugnazione di delibera assembleare - spese condom., trattenuta in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 16.1.2024, nella quale le parti hanno formulato le seguenti CONCLUSIONI - per (...): "- In rito: accertare e dichiarare che il rifiuto del (...), nella persona dell'amministratore, geom. (...), quale legale rappresentante della società (...) (c.f. P. iva P.IVA (...)), a qualsiasi riscontro alla corrispondenza inviatagli, come il rifiuto pregiudiziale alla Mediazione, hanno gravemente pregiudicato il ricorrente costringendolo ad adire il Tribunale per i chiarimenti dedotti, con ogni conseguenza, anche nella denegata e non creduta ipotesi di soccombenza attorea, condannare il (...) al risarcimento dei danni e relative compensazioni; - nel merito: a) accertare e dichiarare che l'assemblea del 03.11.22 del (...) di (...) nel deliberare sul punto 6 dell'ordine del giorno, pur in evidente carenza di precisazione, ha inteso deliberare l'esecuzione dei lavori sulla facciata interna del condominio con attribuzione sin da subito dell'onere delle spese e dei relativi costi sui balconi aggettanti a tutti i condomini secondo i rispettivi millesimi di proprietà, con conseguente dichiarazione di nullità o annullamento del verbale e della delibera assunta in assemblea 03.11.22. b) Nella ipotesi in cui nella delibera impugnata non si ravvisasse l'attuale decisione di attribuzione delle spese secondo i millesimi di proprietà, vorrà il Giudice dichiarare il corretto criterio di ripartizione delle spese e degli oneri relativi ai lavori di ristrutturazione/messa in sicurezza della facciata e dei terrazzini oggetto della delibera del 3.11.22. Con vittoria di spese ed onorari del presente giudizio, oltre Iva, Cpa e spese generali come per legge. In via istruttoria: Si ritiene che la causa non richieda istruttoria neppure sulla tipologia dei balconi aggettanti nel caso concreto, valutando semmai solo alla luce delle deduzioni avversarie, e solo se a richiesta e a spese di parte resistente, ammettere perizia tecnica in ordine alla verifica della mancanza di pregio e/o della facciata interna su cui si devono eseguire i lavori". - per (...) "In principalità: rigettarsi integralmente le domande attoree, siccome infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi parte attrice all'integrale rifusione al convenuto di compenso professionale d'avvocato, anticipazioni e spese di causa, oltre ad accessori di legge". MOTIVI DELLA DECISIONE L'avv. (...), in proprio, ha impugnato la delibera dell'assemblea del 3.11.2022 del (...) nella parte in cui è stato implicitamente previsto di porre a carico di tutti i condomini la spesa per la messa in sicurezza / ristrutturazione dei balconi aggettanti posti sulla facciata interna dell'edificio, anziché a carico dei soli proprietari dei balconi stessi. Il (...) si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell'impugnazione. La causa, di natura documentale, viene in decisione senza lo svolgimento di attività istruttoria. Come accennato, pur avendo la delibera ad oggetto la ristrutturazione dell'intera facciata verso la corte interna dell'edificio (per una spesa totale di Euro 48.762,00 + IVA), l'impugnazione ha ad oggetto solo la ripartizione della parte di detta spesa relativa alla ristrutturazione dei dieci balconcini aggettanti che si trovano su detta facciata; nello specifico, trattasi del rifacimento della parte frontale e della parte inferiore delle solette dei balconi (rispettivamente dette la prima "frontalino" e la seconda "sottopoggiolo" o "cielino"), nonché della riverniciatura dei relativi parapetti, per una spesa che, appare opportuno sottolinearlo, ammonta complessivamente a poco più di Euro 3.000,00 + IVA (come risulta sommando le singole voci relative ai balconcini del capitolato doc. 2 conv.). Nulla invece obietta l'attore circa la ripartizione tra tutti i condomini della rimanente parte di spesa per il rifacimento della facciata interna. È pacifico (lo riconosce anche il condominio convenuto) che i balconi aggettanti, non avendo alcuna funzione di sostegno o di copertura dell'edificio e non essendo inglobati nei muri perimetrali (a differenza dei balconi incassati o logge), ma avendo quale unica funzione quella di costituire un ampliamento verso l'esterno delle singole unità immobiliari, in via di principio non sono da considerarsi in senso stretto parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 CC, ragion per cui le relative spese vanno poste a carico del singolo proprietario a cui il balcone si riferisce (si pensi alle spese relative alle parti interne dei balconi, quali pavimentazione, rivestimenti ecc.). D'altro canto, sia l'attore che il convenuto sono concordi nell'affermare che le parti frontali esterne (frontalini e parapetti) e la parte inferiore (cielini) dei balconi aggettanti siano invece da considerarsi parti comuni (con quanto ne consegue in ordine alla ripartizione delle spese tra tutti i condomini), laddove detti elementi incidano sul decoro estetico dell'edificio (posto che detto decoro costituisce senz'altro bene comune alla compagine condominiale). L'attore tuttavia sostiene, richiamando anche giurisprudenza di merito sul punto, che tale incidenza sul decoro dell'edificio debba essere esclusa laddove si tratti di balconi che non sono visibili dalla pubblica via (come nel caso di specie, in cui i balconi si affacciano su una corte interna) oppure che non hanno alcun particolare rivestimento o elemento decorativo con prevalente funzione estetica, atti a rendere più gradevole la facciata dell'immobile. Il (...) d'altro canto, e richiamando anch'esso giurisprudenza di merito, sostiene che in ogni caso le parti esterne dei balconi inciderebbero sul decoro dell'edificio, concorrendo alla determinazione delle caratteristiche estetiche ed architettoniche dello stesso, venendo a formare parte integrante della facciata. Ritiene questo giudice maggiormente condivisibile l'interpretazione del (...) convenuto. Da un lato, appare arbitraria la distinzione tra baconi che presentino rivestimenti di pregio o particolari elementi decorativi e balconi che invece ne siano privi, posto che comunque i balconi partecipano delle linee architettoniche della facciata e contribuiscono all'estetica e al decoro della stessa (basti pensare all'ipotesi di una facciata integralmente rinnovata e ritinteggiata, su cui insistono dei balconi il cui intonaco è ammalorato o i cui parapetti presentano colori differenti o uno stato di manutenzione carente). Dall'altro, appare scarsamente rilevante anche la collocazione dei balconi (se sulla facciata principale, prospicente la pubblica via, o su una facciata secondaria, su una corte interna o comunque non visibile dall'esterno), posto che nulla autorizza a ritenere che il decoro dell'edificio vada tutelato solo relativamente alla collettività, esterna alla compagine condominiale, e non anche nei confronti di tutti gli stessi condomini, che comunque accedono alla corte comune o vi si affacciano e sui quali comunque incide il decoro complessivo della facciata interna (si pensi, per esempio, a come può accrescere o diminuire il valore dell'intero edificio e, di riflesso, delle singole unità immobiliari il buono o cattivo stato di manutenzione della facciata interna nel suo complesso considerata). L'impugnazione attorea deve pertanto essere rigettata. Si ritiene tuttavia, alla luce del contrasto giurisprudenziale esistente in materia, che sussistano giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1. rigetta l'impugnazione attorea; 2. dichiara integralmente compensate le spese di lite tra le parti. Così deciso in Treviso, 3 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice Dr. Iuri DE BIASI Ha pronunciato la seguente SENTENZA Con rito abbreviato Nei confronti di: Me.Al., nato a Me. il (...), residente e con domicilio dichiarato a montebelluna in via Della P., n. 9 LIBERO -PRESENTE -REVOCATA LA DICHIARAZIONE DI ASSENZA IMPUTATO per i seguenti reati: del delitto p. e p. dall'art. 385 c.p. perché, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari con ordinanza n. 7434/2018 RGNR - n. 461/2019 RG. Dig. Emessa in data 03/01/2020 dal Tribunale di Treviso, si allontanava dal luogo di restrizione senza giustificato motivo (come accertato nel corso di un controllo effettuato dai Carabinieri). In Montebelluna il 08/06/2020 Con l'intervento del V.P.O. Dott.ssa E.C.; dell'Avv. Gu.Ga. del Foro di Treviso, di fiducia. MOTIVAZIONE La presente sentenza decide con lettura "allo stato degli atti" il giudizio abbreviato chiesto e ottenuto dall'imputato Me.Al., chiamato a rispondere del reato di evasione con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal Pubblico Ministero in data22 novembre 2022. Questo è quanto emerge dalla lettura dell'incarto procedimentale. Il 3 gennaio 2020, personale del Comando Stazione dei Carabinieri di Montebelluna dava esecuzione a un'ordinanza con la quale l'imputato Me.Al. veniva sottoposto dal tribunale di Treviso alla misura cautelare degli arresti domiciliari, nell'ambito del p.p. 7434/2018 R.G.N.R. per "stalking". L'ordinanza prescriveva l'adozione della misura di controllo del braccialetto elettronico, dispositivo attivato alle 12:30 del 9 gennaio 2020. Alle 23:32 del successivo 8 giugno 2020, presso la centrale operativa del comando, scattava un alert che segnalava l'allontanamento dell'interessato dal luogo di detenzione. Immediatamente veniva inviata una pattuglia sul posto. Raggiunta l'abitazione di via della P. 9 a Montebelluna, i militari potevano constatare che il Me. non era presente, rilevandosi altresì la mancanza della sua autovettura Fiat Punto (...), solitamente parcheggiata nel cortile. Poiché la misura era disposta nell'ambito di un procedimento per atti persecutori ai danni della moglie separata M.L.P., con minacce proferite anche all'indirizzo della legale di quest'ultima, l'avv. L.O., i carabinieri si recavano immediatamente presso l'abitazione delle due donne verificando che le stesse non erano state nell'occasione avvicinate dal prevenuto. Alle successive 00:58 si registrava il ripristino del dispositivo elettronico e poteva così essere constatato l'avvenuto rientro del Me. nel luogo di detenzione. All'arrivo dei militari l'uomo si presentava molto alterato dai fumi dell'alcol, tanto da tenere nei confronti degli operanti una condotta gravemente oltraggiosa, minacciosa e aggressiva. Nel corso dei drammatici momenti che ne seguivano, infatti, il Me. proferiva a più riprese nei confronti dei componenti della pattuglia frasi del tipo: vaffanculo ... non mi faccio controllare da voi ... se volete entrare nella mia proprietà voglio vedere un mandato ... voi siete ubriachi e cocainomani; dovendo addirittura essere distanziato dal V. Br. L.F. al quale si era avvicinato minacciosamente fino ad arrivare al contatto fisico. Alle successive 02:13 la centrale operativa veniva nuovamente allertata in quanto il Me. aveva nel frattempo manifestato telefonicamente la volontà di suicidarsi gettandosi dal tetto di casa. Ne seguiva un ulteriore intervento sul posto, questa volta anche di un'ambulanza del 118, di una squadra di vigili del fuoco e di una seconda pattuglia dei carabinieri del comando stazione di C.M.. Giunte sul posto, le forze d'intervento si trovavano di fronte un Me. in uno stato psicofisico pietoso, con repentini cambi di umore, passando in pochi minuti dagli insulti alle minacce, al pianto, a ripetute manifestazioni della volontà di togliersi la vita per la piega drammatica che, a suo dire, la sua vita aveva preso, laddove non gli veniva consentito di vedere i figli, di poter andare a lavorare, vedendolo costretto a ricorrere ai buoni spesa del comune, non essendo più in grado di onorare le rate del mutuo della casa oltre a seri problemi di salute per i quali nella mattinata del giorno successivo era programmata una visita maxillofacciale. Successivi accertamenti dei carabinieri consentivano di accertare che nelle ore di suo non autorizzato allontanamento dal luogo di detenzione il Me. si era recato insieme ad uno sconosciuto amico presso il club ASTERIX di Montebelluna, dove aveva assunto sostanze alcoliche e dove, alla fine della serata, aveva manifestato un comportamento talmente molesto da essere condotto fuori dal locale e invitato di forza ad andarsene, cosa che lui faceva non prima però di aver mostrato il dito medio alle telecamere che ne riprendevano l'uscita. Il reato di evasione è perciò accertato ben aldilà di ogni ragionevole dubbio. L'imputato, nel corso del suo esame, si è ben guardato dal negare l'evidenza, ammettendo pacificamente la propria responsabilità e limitandosi a giustificare la propria condotta con lo stato di estrema prostrazione e vera e propria disperazione in cui si trovava all'epoca dell'evento, non solo per il precipitare della sua situazione familiare ma altresì per le precarie condizioni di salute che lo costringevano di lì a poco a sottoporsi a un delicato intervento maxillo-facciale (a suo dire per l'asportazione di un tumore). La difesa ha chiesto che l'imputato venga assolto ex art. 131 bis del c.p. in ragione dell'asserita particolare tenuità del fatto. La richiesta difensiva non può essere accolta. Il fatto non è infatti caratterizzato da particolare tenuità. Occorre infatti considerare: - la sfrontatezza con cui il Me. ha disatteso la misura, facendo di proposito scattare un alert in centrale operativa e determinando allarme in tutte le forze di polizia e di intervento; - le ragioni del suo allontanamento sono altrettanto esecrabili se si considera che egli si è allontanato dal luogo di detenzione per un tempo apprezzabile solo per andare a ubriacarsi in un locale notturno; - la sua stessa condotta successiva al fatto è caratterizzata da un atteggiamento negativo sprezzante e aggressivo verso tutte le forze di polizia intervenute sul posto. Secondo consolidata giurisprudenza, configura il delitto di evasione e non la semplice ipotesi di trasgressione alle prescrizioni imposte, l'allontanamento della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari dal luogo di detenzione in un orario che si ponga in termini di inconciliabilità con la fascia oraria prefissata dall'A.G. nel provvedimento cautelare (Sez. 6, Sentenza n. 3744/2013 RV. 254289). Il reato di evasione non richiede inoltre, per la sua integrazione, un allontanamento definitivo o la mancanza dello "animus revertendi" (Cass. sez. VI, Sent. 20/2/1992 n. 8145, G.; sez. VI Sent. 6/3/1985 n. 6938, T.) configurandosi anche nell'ipotesi di allontanamento di breve durata (cfr. Cass. sez. VI, Sent. 27/10/1989 n. 14520, imp. B.). Nessuna perplessità può essere inoltre sollevata in ordine all'elemento soggettivo del reato atteso che la fattispecie in esame non è a dolo specifico, ma è sufficiente, per la sussistenza dell'elemento soggettivo, la consapevolezza e volontà del reo di usufruire di una libertà di movimento vietata dal precetto penale, voluta anche unicamente come "fine a sé stessa" (Cass. Sez. VI, Sent. 31995/2003) a nulla rilevando quindi i motivi che possono avere determinato la condotta dell'agente (Cass. Sez. VI Sent. 19639/2004, Sez. VI Sent. 40353/2007 RV. 237647). Va quindi senz'altro affermata la responsabilità dell'imputato. Al prevenuto, considerata la non particolare gravità della violazione, essendosi trattato comunque di allontanamento di durata limitata all'interno della nottata, nonché la situazione di evidente ma transitorio disagio vissuta al momento del fatto, appaiono concedibili le circostanze attenuanti generiche. Richiamati i cui all'art. 133 c.p., si stima congrua, in relazione all'entità del fatto, alla personalità dell'imputato ed alla funzione rieducativa da attribuire alla sanzione penale, la pena finale di mesi 5 e giorni 10 di reclusione così calcolati: pena base anni uno di reclusione, al netto delle attenuanti generiche mesi 8 di reclusione, ulteriormente ridotti di un terzo per effetto del rito prescelto a mesi 5 e giorni 10 di reclusione. I precedenti consentono la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. L'imputato è, invero, già stato definitivamente condannato alla pena di mesi dieci di reclusione "non sospesi" per il reato di stalking. Ciò nonostante, è possibile formulare una prognosi favorevole in ordine alla possibile reiterazione futura degli illeciti. L'evasione per cui è processo è maturata in un contesto di contingente forte disagio psicofisico originato da situazioni personali e di salute oramai superate e che si auspica non si riproporranno mai più in futuro. L'art. 164 del c.p., a seguito della declaratoria di incostituzionalità di cui alla Sent. n. 95 d.d. 28 aprile 1976 Corte Cost., consente la concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna precedente non superi (come nel caso in questione) i limiti stabiliti dall'art. 163 del c.p. Vanno poste a carico dell'imputato le spese processuali. P.Q.M. Visti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 del c.p.p. DICHIARA Me.Al. colpevole del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, al netto della riduzione per il rito, per l'effetto, lo CONDANNA alla pena finale di mesi 5 (cinque) e giorni 10 (dieci) di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa ex artt. 163 ss. c.p. Visto l'art. 544 co. 3 c.p.p. indica in giorni 40 (quaranta) il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Treviso il 27 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Alice DAL MOLIN Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: Ma.Lu., nato il (...) a N. - con domicilio eletto presso lo studio legale dell'Avv. Do.Go. del Foro di Viterbo. LIBERO - ASSENTE IMPUTATO Per il reato di cui all'art. 640 cod. pen, perché, con artifici e raggiri consistiti nel presentarsi presso la ditta De. srl, nel riferire a Ma.Lu., magazziniere della citata ditta, di essersi recato in tale luogo in sostituzione di altro vettore per caricare i pallet ordinati della ditta Ri., così inducendo in errore il suddetto Ma. sulla legittimità della richiesta, così determinandolo a caricare la merce sul camion di proprietà e condotto dal Ma., che aveva anche provveduto ad alterarne la targa, al fine di rendere poco agevole la sua identificazione, si procurava l'ingiusto profitto corrispondente al valore della suddetta merce, mai pagata e/o restituita In Padernello di Paese ((TV), il 30/1/2019 Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale. Con l'intervento del V.P.O. Dott.ssa E.G.; dell'Avv. Do.Go. del Foro di Viterbo, di fiducia, assente, si dichiara sostituto l'Avv. Cr.Fi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso in data 12.2.2021 Ma.Lu. veniva chiamato a rispondere del delitto di truffa; all'udienza dell'08.05.2023, assente l'imputato, venivano ammesse le prove. All'udienza del 23.10.2023 venivano sentiti i testi Pa.Lu. ed altri; acquisita la documentazione dimessa dal pubblico ministero, si disponeva rinvio per concludere l'istruttoria e per la decisione. All'udienza del 14.12.2023 le parti rassegnavano le rispettive conclusioni e all'esito della camera di consiglio si dava lettura del dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE Il presente giudizio trae origine dalla querela sporta in data 08.02.2019 da Pa.Lu., legale rappresentante della De. s.r.l., società di servizi di logistica per il commercio di abbigliamento corrente a T.. La vicenda può essere così ricostruita sulla base delle prove testimoniali e documentali assunte nel corso del giudizio. Alla fine del mese di gennaio del 2019, la società Sa. s.r.l. aveva commissionato a De. s.r.l. la preparazione di tre colli che avrebbero dovuto essere consegnati alla catena di grandi magazzini all'insegna La. tramite un corriere scelto dalla cliente; la merce avrebbe dovuto essere trasportata dal magazzino di De. s.r.l. alla sede della De. a Pe. . La Sa. s.r.l. aveva incaricato del trasporto della merce la società Ba. s.r.l., in particolare la divisione operativa "Ba." di Ba. del G.; in particolare, l'organizzazione del trasporto era stata curata per conto di Ba. da Gi.Ce., che inizialmente aveva concordato con Di.Va., dipendente di Sa., di effettuare il ritiro della merce il 29.1.2019, a partire dalle ore 09.00 (v. scambio di e-mail, allegato n. 1 alla querela). B. aveva affidato l'esecuzione del trasporto alla filiale di Pe. di Ar. s.p.a., che a sua volta aveva incaricato un altro subvettore, la Xa.. Come anticipato, secondo l'accordo iniziale i colli avrebbero dovuto essere ritirati da un furgone di Ar. s.p.a. presso il magazzino di De. s.r.l. il 29.1.2019, per poi essere consegnati a Xa. e trasportati alla destinazione finale di Pe. ; tuttavia, poiché quel giorno la merce non era ancora pronta, il ritiro era stato posticipato al 30.1.2019. Il teste Fr.Re., dipendente di Ar. s.p.a., ha riferito che a fronte di tale modifica, quella mattina aveva comunicato a Ba. una targa diversa da quella indicata il giorno prima, poiché la merce sarebbe stata ritirata direttamente da un corriere di Xa.. La nuova targa - (...) - era stata pertanto comunicata a De. dal dipendente di Ba.Ja. con e-mail inviata alle ore 10.26 (v. allegato 1 alla querela) Dopo tale comunicazione, Pe. era stato contattato da De. s.r.l., che l'aveva informato del fatto che la merce era già stata caricata su un mezzo che aveva una targa diversa: Pe. aveva quindi chiamato il responsabile di Ar. s.p.a., che gli aveva invece confermato che la targa corretta era quella che gli aveva indicato quella mattina. M.N., dipendente di De. s.r.l., ha riferito che la mattina del 30.1.2019, alle ore 09.00, si era presentato presso il magazzino un uomo alla guida di un furgone bianco, che gli aveva detto di essere venuto per conto di Ba. in sostituzione di un collega malato e di dover caricare la merce da consegnare a La.. L'uomo aveva detto a Ma. che a breve avrebbe ricevuto comunicazione del numero di targa del veicolo e nel frattempo l'aveva annotato sui tre documenti di trasporto che il predetto gli aveva fatto sottoscrivere (v. allegato 2 alla querela); confidando nel fatto che l'uomo fosse il vettore incaricato da Ba., posto che era a conoscenza dei dettagli del trasporto da effettuare, Ma. gli aveva consegnato la merce. Solo dopo aver ricevuto la e-mail di Pe. contenente l'indicazione del numero di targa del veicolo del trasportatore incaricato da Ba. si era reso conto del fatto che l'uomo non era un vero corriere e aveva immediatamente avvisato il titolare di De., Pa.Lu.. Quest'ultimo, allorché aveva sporto querela, aveva consegnato ai carabinieri le immagini registrate dall'impianto di videosorveglianza di De. s.r.l. la mattina del 30.1.2019; le telecamere avevano ripreso sia il finto corriere, sia il suo furgone (come confermato dal teste M.), compresa la targa del veicolo che, come si vede dall'ingrandimento del fotogramma che ritrae il retro del mezzo, era (...). Il teste Pe. ha aggiunto che De. s.r.l. aveva dovuto risarcire la committente Sa. s.r.l. della perdita della merce versando circa 60.000,00 Euro. In merito alle indagini svolte a seguito della querela, l'appuntato scelto dei carabinieri di T.P.D.B. ha riferito che esaminando le immagini del furgone fornite da Pe. aveva notato che la targa era palesemente contraffatta, dal momento la lettera "T" appariva alterata. Per risalire al proprietario del mezzo, aveva innanzitutto effettuato una ricerca sulla targa (...), che tuttavia non era collegata ad alcun veicolo censito; aveva quindi sostituito la lettera T con la lettera I ed aveva constatato che la targa (...) corrispondeva a quella di un furgone F.I. 35, identico a quello condotto dal sedicente trasportatore. Il proprietario del veicolo in questione, a far data dal 07.11.2018, era Ma.Lu., residente a N. (v. visura AGI acquisita all'udienza del 23.10.2023). Il teste Ma. ha descritto il finto corriere come un uomo sui 35 o 40 anni, alto circa 1,80 - 1,85, di corporatura normale, con il pizzetto e un neo sulla guancia sinistra; ha aggiunto che parlava con accento meridionale, forse campano. Dopo aver visionato l'album fotografico composto da otto immagini esibitogli dal pubblico ministero, Ma. ha riconosciuto il finto corriere nell'uomo raffigurato alla foto n. 1, corrispondente nell'odierno imputato; il teste ha dichiarato di non essere completamente sicuro, a causa degli anni trascorsi dal fatto, ma in ogni caso all'epoca, allorché era stato sottoposto ad individuazione fotografica, aveva indicato la medesima persona con assoluta certezza e in udienza ha confermato tale riconoscimento. Le prove assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale consentono di ritenere pienamente dimostrata la penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine al reato contestatogli. Ma.Lu. è stato identificato nell'autore della truffa sulla base di due convergenti elementi probatori, costituiti dall'intestazione in capo all'imputato del furgone con cui la mattina del 30.1.2019 era stata fraudolentemente ritirata la merce e dal suo riconoscimento da parte del teste Ma., che aveva interloquito direttamente con lui al momento della consegna. La Suprema Corte ha affermato a più riprese che la certezza del riconoscimento fotografico non discende dal riconoscimento come strumento probatorio in sé considerato, ma dall'attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell'individuazione (Cass. Sez. VI, n. 17103 del 18.04.2019; Cass. Sez. V, n. 9505 del 24.11.2015, dep. 2016; Cass. Sez. IV, n. 16902 del 04.02.2004). In particolare, "l'individuazione di un soggetto - sia personale che fotografica - è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale" (Cass. Sez. IV, n. 1867 del 21.12.2013, dep. 2014); pertanto, "trattandosi di una prova atipica ex art. 189 c.p.p., essa deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata espressamente nelle sue forme dall'art. 213 c.p.p., nè le forme tipizzate di quest'ultima devono essere osservate necessariamente nella metodologia di assunzione dell'individuazione personale o fotografica, potendo eventualmente essere utili alla sua efficacia dimostrativa secondo il criterio del libero apprezzamento del giudice" (Cass. Sez. V, n. 23090 del 29.07.2020, n. 23090). Nel caso di specie, l'individuazione effettuata da Ma. supera appieno il richiesto vaglio di attendibilità, atteso che prima di visionare l'album il teste ha fornito una descrizione dettagliata delle fattezze dell'uomo, che aveva avuto modo di osservare a distanza ravvicinata al momento del ritiro della merce. L'affidabilità dell'individuazione è confortata anche dall'evidente somiglianza tra l'uomo ripreso dall'impianto di videosorveglianza di De. s.r.l. e la fotografia di Marrano, estrapolata dal suo cartellino anagrafico. Tanto premesso, la condotta posta in essere dall'imputato integra appieno gli estremi del reato di truffa: Marrano, fingendo di essere il corriere incaricato da Ba. e sfruttando le precise informazioni di cui disponeva, che molto probabilmente gli erano state fornite da un complice intervenuto nella catena di contratti di trasporto stipulati dalle varie società coinvolte e che non è stato individuato, ha ingannato il dipendente di De. s.r.l., inducendolo a fidarsi di lui e a consegnargli i colli e conseguendo così un ingiusto profitto in danno della predetta società. Secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità non assume alcun rilievo, ai fini della configurazione del delitto in questione, la diversità tra la persona fisica indotta in errore e il soggetto che subisce il danno patrimoniale, purché tra l'induzione in errore e l'atto di disposizione patrimoniale, da cui deriva il danno per il titolare del patrimonio, sussista un nesso causale, elemento che pacificamente ricorre nel caso di specie (in tal senso cfr. Cass. pen. Sez. II, n. 43119 del 21.10.2021Cass. Sez. II, n. 2281 del 06.10.2015 dep. 20.01.2016; Cass. Sez. II, n. 43143 del 17.07.2013). Piena è, altresì, la prova del dolo della fattispecie, che si evince sia dal fatto che l'imputato aveva affermato falsamente di lavorare per il vettore Ba., sia dall'accertata alterazione della targa del furgone di sua proprietà, evidentemente finalizzata a celare la propria identità e a sottrarsi alle prevedibili conseguenze della propria illecita condotta. Va ora determinata la pena. Sussistono i presupposti per il riconoscimento della contestata recidiva reiterata infraquinquennale; giova rammentare preliminarmente che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con un recente arresto, hanno statuito che "ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice" (Cass. SS. UU., n. 32318 del 30.3.2023, dep. il 25.07.2023). Dal certificato penale in atti risulta che Ma.Lu., dopo aver riportato una prima condanna irrevocabile in data 17.10.2002, è stato nuovamente condannato in via definitiva per altri reati negli anni 2004, 2010, 2011,2015, 2017 e 2019. L'imputato annovera tra i propri numerosi precedenti penali anche condanne per delitti contro il patrimonio, l'ultima delle quali, per i reati di lesioni personali e rapina, è intervenuta in data 25.01.2019, solo pochi giorni prima della truffa oggetto del giudizio de quo. Le precedenti condanne, per le quali l'imputato risulta aver scontato anche periodi di detenzione, non paiono aver sortito alcun effetto deterrente sull'imputato, la cui ricaduta nel reato deve essere considerata quale manifestazione di una accresciuta pericolosità sociale e giustifica l'aumento di pena previsto dall'art. 99 c. 4 c.p. Nel corso del giudizio non è emerso alcun elemento che giustifichi il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Ciò premesso, richiamati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si reputa equo irrogare all'imputato la pena base di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00 di multa, aumentata ai sensi dell'art. 99 comma quarto c.p. a mesi dieci ed Euro 500,00 di multa, con condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara l'imputato colpevole del reato ascritto e, applicato l'aumento per la contestata recidiva reiterata infraquinquennale, per l'effetto lo condanna alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione riservata per giorni cinquanta. Così deciso in Treviso il 14 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2024.
Repubblica italiana in nome del popolo italiano il Tribunale di Treviso in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Filippo Giordan, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429 c.p.c. nella causa di lavoro promossa con ricorso iscritto al R.G. nr. 1323/22 da: (...) ricorrente elettivamente domiciliato in Conegliano presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende per mandato depositato con l'atto introduttivo del giudizio; contro: (...). resistente elettivamente domiciliata in Pesaro presso lo studio degli avv.ti (...) che la rappresentano e difendono per mandato depositato con la memoria difensiva in Punto: corrispettivo patto di non concorrenza MOTIVAZIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 9.12.2022 il ricorrente ha esposto di aver stipulato con (...) un contratto di agenzia senza rappresentanza a tempo indeterminato con l'incarico di promuovere, quale agente plurimandatario, nella zona di Treviso e Provincia, la conclusione di contratti di vendita di prodotti commercializzati da tale società e in cui era stato stipulato anche un patto di non concorrenza post contrattuale ex art. 1751bis c.c. della durata di un anno. Riferiva, altresì, che la società preponente veniva fusa per incorporazione nella convenuta (...), la quale, a decorrere dal 1.05.2014, subentrava senza soluzione di continuità in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo all'incorporata (...). Lamentava il mancato riconoscimento da parte della società preponente della somma dovuta a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza all'esito della cessazione del rapporto di agenzia avvenuta con recesso dell'agente, con decorrenza 30.06.2021, per conseguimento dei requisiti pensionistici. Sosteneva, in particolare, l'illegittimità della clausola contrattuale con cui la società si riservava la facoltà di liberare l'agente dall'obbligo di non concorrenza (e di corrispondere il relativo corrispettivo) all'atto della cessazione del contratto, facoltà che, nel caso di specie, era stata esercitata addirittura diversi giorni dopo la cessazione del rapporto. Sosteneva, inoltre, che non vi fosse alcuna incompatibilità tra l'obbligo di corrispondere l'emolumento richiesto a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza, e la cessazione del rapporto di agenzia per il conseguimento del trattamento pensionistico. Non si costituiva nei termini di rito la società convenuta e ne veniva dichiarata la contumacia; dichiarazione revocata all'udienza odierna del 17.01.2024, all'esito della costituzione con memoria depositata il 12.01.2024. Nel proprio scritto difensivo la società sosteneva la non spettanza del corrispettivo del patto di non concorrenza atteso il recesso avvenuto per pensionamento nonché l'incompatibilità dell'emolumento in discussione con l'erogazione delle indennità di fine rapporto (presupponenti, nel caso di specie, la cessazione dell'attività per pensionamento). Rilevava, inoltre, che se il pensionamento fosse intervenuto in forza delle previsioni del d.l. n. 4/2019 (cd quota cento) l'ex agente avrebbe potuto, al più, svolgere solo delle prestazioni occasionali con limite annuo di Euro 5.000, pena la perdita della pensione. Concludeva come in atti. Senza necessità di istruttoria orale, la causa è stata discussa e decisa all'udienza del 17.01.2024. Il patto di non concorrenza è stato stipulato unitamente al contratto di agenzia che ha regolato il rapporto con la società (...), cui è poi subentrata - all'esito della fusione per incorporazione - la convenuta (...). In particolare, all'art. 18 del contratto si prevedeva: "Le parti stipulano un patto di non concorrenza, a sensi dell'art. 1751- bis C.C., per la durata di un anno a decorrere dalla data di cessazione, per qualsiasi motivo, del presente rapporto, per la medesima zona, clientela e genere di beni fatti oggetto del presente mandato. Le parti concordano che alla risoluzione del presente contratto verrà corrisposta all'Agente una indennità che verrà calcolata ai sensi dell'art. 1751 bis C.C. ed all'art. 7 del A.E.C. settore commercio del 10/03/2010. Tale indennità verrà corrisposta alla scadenza del periodo del patto di non concorrenza. Ai sensi dell'articolo 1382 C.C., in caso di violazione, da parte dell'Agente, del presente patto di non concorrenza, lo stesso non percepirà tale indennità e sarà tenuto a versare alla Preponente una somma pari alle provvigioni percepite nell'ultimo anno, quale minimo risarcimento del danno procurato. Resta salva la facoltà, per la Preponente, di agire per ottenere il risarcimento del maggior danno ex art. 1223 c.c. E' facoltà della Preponente, all'atto della cessazione del contratto, liberare l'Agente dall'obbligo di non concorrenza e, pertanto, di non corrispondere il relativo trattamento". Dalla piana lettura del testo contrattuale si evince la previsione di un vincolo derivante dal patto a decorrere dalla data di cessazione del rapporto (patto post contrattuale) intervenuta per qualsiasi motivo e, dunque, sia ad iniziativa della preponente, sia ad iniziativa dell'agente (come avvenuto nel caso di specie). La disposizione negoziale si caratterizza ulteriormente per la previsione di un patto di opzione in favore della preponente che, in base a quanto stabilito, avrebbe potuto, unilateralmente, liberare l'agente dal vincolo derivante dal patto all'atto della cessazione del rapporto. Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di patto di opzione previsto all'interno di un patto di non concorrenza post-contrattuale "la risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative (cfr, Cass., nn. 9491/2003; 15952/2004), con ciò superandosi un contrario risalente orientamento (cfr, Cass., nn. 1686/1978; 1968/1980; cfr, altresì, Cass., n. 3625/1983). Al riguardo è stato osservato che la pattuita possibilità di "rinuncia" al patto da parte del datore di lavoro è da ricondurre all'astratta previsione di cui all'art. 1373 c.c., comma 2, ma che è proprio la libertà di recesso del datore di lavoro dal patto di non concorrenza alla data di cessazione del rapporto o per il periodo successivo, all'interno del limite temporale di vigenza del patto, che deve ritenersi non consentita, posto che, alla stregua delle disposizioni dettate dall'art. 1225 c.c., la limitazione allo svolgimento dell'attività lavorativa deve essere contenuta entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo e compensata da un corrispettivo di natura latamente retributiva; pertanto tale norma, interpretata secondo i principi generali, anche di derivazione costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.), non consente, da una parte, che sia attribuito al datore di lavoro il potere di incidere unilateralmente sulla durata temporale del vincolo, così vanificando la previsione della fissazione di un termine certo; dall'altra, che l'attribuzione patrimoniale pattuita possa essere caducata dalla volontà del datore di lavoro. Ciò perché la grave ed eccezionale limitazione alla libertà di impiego delle energie lavorative risulta compatibile soltanto con un vincolo stabile, che si presume accettato dal lavoratore all'esito di una valutazione della sua convenienza, sulla quale fonda determinate programmazioni della sua attività dopo la cessazione del rapporto" (così Cass. sez. lav., 8 gennaio 2013, n. 212). In sostanza, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui la parte datoriale non può legittimamente riservarsi la possibilità di decidere - dopo la cessazione del rapporto di lavoro - se avvalersi del patto di non concorrenza oppure no in quanto tale facoltà avrebbe sia l'effetto di alterare la durata del vincolo (nell'ipotesi in cui la decisione di avvalersi del patto venisse comunicata successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro), sia di incidere sulla spettanza o meno del compenso pattuito, sia di compromettere la possibilità per il lavoratore di programmare in modo consapevole il proprio futuro professionale, inevitabilmente condizionata - già in corso di rapporto - dalla inconoscibilità della volontà datoriale in ordine all'intenzione di avvalersi o meno del patto di non concorrenza. Se, infatti, il datore di lavoro decidesse di non avvalersi del patto al momento della cessazione del rapporto o successivamente, il lavoratore, da un lato, non otterrebbe il relativo corrispettivo e, dall'altro, finirebbe per subire comunque il pregiudizio derivante dal non aver potuto consapevolmente programmare il proprio futuro lavorativo prendendo in considerazione anche impieghi potenzialmente in concorrenza con l'ex datore di lavoro. Anche di recente la Suprema Corte ha ribadito che "La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, atteso che la limitazione allo scioglimento dell'attività lavorativa deve essere contenuta - in base a quanto previsto dall'art. 2125 c.c., interpretato alla luce degli artt. 4 e 35 Cost. - entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo, e va compensata da un maggior corrispettivo. Ne consegue che non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l'attribuzione patrimoniale pattuita" (Cass. sez. lav., n. 23723 del 01/09/2021). I medesimi principi - elaborati con riferimento al rapporto di lavoro subordinato - devono ritenersi applicabili anche al contratto di agenzia tenuto conto che l'art. 1751bis, nel prevedere la necessità di un termine di durata non eccedente i due anni successivi all'estinzione del rapporto, impone comunque la fissazione di un limite temporale determinato ex ante. Ne deriva la nullità della clausola in discussione. In ogni caso - anche a voler prescindere dai suesposti rilievi - il testo contrattuale prevedeva una precisa tempistica per la formalizzazione della facoltà di liberazione dal vincolo post contrattuale, atteso che la stessa avrebbe potuto essere esercitata "all'atto della cessazione del contratto". Nel caso di specie, tuttavia, la società ha manifestato una volontà in tal senso in data successiva alla cessazione del rapporto (cioè nella pec del 23.07.2021, successiva di 23 giorni alla data di cessazione del rapporto agenziale). Ne consegue la spettanza del corrispettivo previsto per il patto di non concorrenza atteso che dopo il termine del rapporto la società non avrebbe più potuto unilateralmente recedere dal patto di non concorrenza e dall'obbligo a proprio carico di pagare il corrispettivo stabilito. Del tutto irrilevante risulta anche il fatto che il ricorrente abbia esercitato il recesso dal contratto di agenzia per il raggiungimento dei requisiti pensionistici posto che il collocamento in pensione non rappresenta ex se un impedimento all'eventuale continuazione - magari limitata o sporadica - di attività lavorativa anche a favore di potenziali concorrenti della ex preponente (tanto più alla luce della documentazione versata in atti circa il mantenimento della partita IVA e l'effettivo svolgimento di una prestazione occasionale in epoca successiva alla data di recesso dal contratto di agenzia oggetto di causa, dopo lo spirare del periodo coperto dal patto). Neppure può ritenersi incompatibile la spettanza del corrispettivo per il patto di non concorrenza con l'erogazione delle indennità di fine rapporto atteso che: a) queste ultime sono state liquidate in coerenza con la previsione dell'art. 1751 c.c., secondo cui l'indennità di fine rapporto non è dovuta "...quando l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato... da circostanze attribuibili all'a-gente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività" (e, infatti, il recesso è intervenuto ad iniziativa dell'agente per conseguimento dei requisiti pensionistici e il collocamento in quiescenza; circostanze pacifiche); b) il patto di non concorrenza era stato stipulato per la durata di un anno a decorrere dalla data di cessazione, per qualsiasi motivo, del rapporto di agenzia, prevedendo il pagamento del corrispettivo alla scadenza del periodo del patto di non concorrenza, senza specificare eccezioni o deroghe, fatte salve: a) l'eventuale (ma qui non dedotta) violazione del patto; b) la clausola di risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del preponente, di cui si è già detto e che, comunque, è stata fatta valere inefficacemente solo dopo il termine in essa indicato. Da ultimo, si deve in ogni caso rilevare l'inammissibilità della domanda subordinata formulata da parte resistente atteso che la stessa non è meramente funzionale al rigetto della domanda di parte ricorrente, ma è diretta ad ottenere una pronuncia di accoglimento di una nuova ulteriore domanda, sia pur di accertamento. Va, quindi, qualificata in termini di riconvenzionale e la stessa non è stata proposta nei termini di cui all'art. 416 c.p.c.. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la società convenuta va condannata al pagamento in favore del ricorrente del corrispettivo per il patto di non concorrenza pari ad Euro 9.032,84, calcolato da parte ricorrente in coerenza con le disposizioni dell'AEC applicabile. La somma, peraltro, neppure è stata contestata dalla convenuta nella propria memoria sotto il profilo della correttezza della sua matematica quantificazione. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo tenuto conto che non è stata svolta attività istruttoria. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Treviso, disattesa ogni altra domanda, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando, così provvede: - Condanna la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente, a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza, la somma di Euro 9.032,84 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo; - Condanna la società convenuta al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 2.700 oltre rimborso spese forfettario nella misura del 15%, IVA e c.p.a. come per legge. Treviso, 17 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Alice DAL MOLIN Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: Pr.An., nato il (...) a Ba. e residente a M. del C. (A.) in Via M. V. n.10. LIBERO - ASSENTE IMPUTATO Del reato di cui all'art. 483 cod. pen. perché, con dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell'art. 46 D.P.R. n. 445 del 2000, attestava falsamente al pubblico ufficiale (Dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo 2 "Se." di Treviso) di essere in possesso del diploma di qualifica professionale di "Operatore dei servizi sociali" (conseguito nell'anno scolastico 2011/2012 presso l'Istituto Professionale "Sa." di Santa Maria Capua Vetere con la votazione di 100/100) quale titolo di studio necessario per il suo inserimento nelle "Graduatorie di circolo e d'istituto di terza fascia per il triennio 2017/2019 per il personale A.T.A." e per la successiva assunzione. In Treviso il 30.10.2017. Con l'intervento del Va.Pa.O. Dott. Um.Ma.; dell'Avv. Fr.Pi. del Foro di Nola, di fiducia, assente, si dichiara sostituto l'Avv. Mi.De.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposto giudizio nei confronti di Pr.An. per il reato di cui in rubrica, a seguito di opposizione proposta avverso il decreto penale di condanna n. 873/2022, all'udienza del 05.06.2023, assente l'imputato, rigettata l''istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata dal difensore, venivano ammesse le prove. All'udienza del 16.11.2023 veniva sentita la teste Pa.Va. e acquisita la documentazione prodotta dal pubblico ministero; il difensore dimetteva giustificazione inviata dal teste Ba. e si disponeva rinvio per terminare l'istruttoria. All'udienza del 21.12.2023 la difesa rinunciava all'audizione del teste Ba. e dimetteva la documentazione di cui a verbale; esaurita la trattazione dibattimentale, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni e all'esito della camera di consiglio veniva data lettura del dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE Pr.An. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 483 c.p. All'imputato è contestato di aver falsamente attestato ad un pubblico ufficiale (individuato nel dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo 2 Se. di Treviso), con dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell'art. 46 D.P.R. n. 445 del 2000, di essere in possesso del diploma di qualifica professionale di "operatore dei servizi sociali", titolo di studio necessario ai fini dell'inserimento nelle graduatorie di circolo e d'istituto di terza fascia per il triennio 2017/2019 per il personale A.T.A. e per la successiva assunzione. La vicenda può essere così ricostruita sulla base delle prove orali e documentali assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale. L'indagine svolta dal Nucleo di Polizia Economica e Finanziaria della Guardia di Finanza di Treviso ha presso le mosse da un decreto di delega istruttoria emesso dalla Procura Regionale della Corte dei Conti a seguito dell'individuazione, da parte dell'Ufficio Scolastico Regionale del Veneto, di ima serie di diplomi falsi utilizzati per assunzioni a vario titolo presso le scuole della Regione (v. all. 1 c.n.r.). La teste della pubblica accusa Va.Pa., in servizio al Nucleo, ha riferito che dagli elenchi nominativi forniti dai dirigenti scolastici degli istituti della Provincia di Treviso era emerso che nelle graduatorie di circolo e d'istituto di terza fascia per il triennio 2017/2019 per il personale A.T.A. risultavano inseriti molti soggetti che avevano dichiarato di aver conseguito il titolo abilitante presso istituti professionali paritari con votazione 100/100. Con specifico riferimento alla posizione dell'odierno imputato, era stata innanzitutto acquisita la domanda di inserimento nelle citate graduatorie, compilata il 30.10.2017 e presentata in data 08.11.2017, in cui il medesimo aveva dichiarato di aver conseguito nell'anno scolastico 2011/2012 il diploma di qualifica professionale di collaboratore scolastico, con votazione 100/100, presso l'Istituto Sa. di Santa Maria Capua Vetere (v. all. 10 c.n.r.). Tramite la Guardia di Finanza di Caserta, delegata di provvedere all'acquisizione presso tale istituto del registro di rilascio delle pergamene dei diplomi e del registro degli esami sostenuti, era stato appurato che il Pa. non vi compariva. Vi è in atti la comunicazione trasmessa dall'Ufficio Scolastico Regionale per la Campania - Ufficio IX Ambito Territoriale per la Provincia di Caserta, nel quale si dà atto della impossibilità di convalidare l'esito del titolo esibito dall'imputato nella domanda di inserimento nelle graduatorie di circolo e d'istituto di terza fascia per il triennio 2017/2019 per il personale A.T.A. (v. all. 3 c.n.r.). Dunque, l'imputato non risultava aver mai conseguito il diploma indicato nella domanda di inserimento nelle graduatorie. La teste ha aggiunto che a partire dall'anno scolastico 2018/2019 all'istituto professionale "Sa." era stato revocato il riconoscimento dello status di scuola paritaria (v. all. 4 c.n.r.); ha ricordato che nel 2017 la Sa. era stata oggetto di accertamenti a seguito di alcune segnalazioni anonime e di un servizio televisivo che denunciava il rilascio di finti diplomi a fronte del pagamento di somme di denaro, come si evince dal testo dell'ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Avellino in data 20.11.2017 (v. all. 7 c.n.r.). Sulla scorta degli accertamenti espletati, con Provv. emesso in autotutela in data 19 dicembre 2019 il dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo Statale San Zenone degli Ezzelini aveva disposto il depennamento con effetto immediato dell'imputato dalle graduatorie d'istituto di 3° fascia del personale A.T.A. valide per il triennio 2018/2021 (v. all. 13 c.n.r.). Le prove assunte consentono di affermare la penale responsabilità dell'imputato. L'art. 483 c.p. punisce la condotta del privato che attesta falsamente in un atto pubblico fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità. Per consolidata giurisprudenza di legittimità, il precetto primario contenuto nelle disposizioni penali in materia di falso deve intendersi integrato dal disposto normativo del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 47, perché le dichiarazioni sostitutive ivi previste sono considerate come fatte a pubblico ufficiale, conformemente a quanto statuito dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 76, comma 3. Più nel dettaglio, la natura pubblica dell'atto di cui all'art. 483 c.p. è stata ravvisata nei casi in cui una specifica norma attribuisca all'atto stesso la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, collegandone l'efficacia probatoria al dovere del dichiarante di affermare il vero; con riguardo alle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, rilasciate ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 47, la natura pubblica dell'atto è desunta anche dalla sua naturale destinazione a provare la verità dei fatti in esso affermati, a sua volta ricavabile dalla funzione di comprovare stati, qualità personali e fatti che le due disposizioni in parola assegnano alle dichiarazioni sostitutive di atti notori e di certificazioni. Dunque, la stessa legge sulla documentazione amministrativa attribuisce alle suddette autodichiarazioni la qualità di atti pubblici da cui deriva l'illiceità penale, da inquadrare in una delle fattispecie astratte previste dal codice in tema di falsità in atti pubblici, nel caso in cui il privato rilasci una dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 47, che sia falsa (Cass., Sez. 5, n. 3701 del 19/09/2018; Cass. Sez. 5, n. 30099 del 15/03/2018; Cass. Sez. 5, n. 25927 del 07/02/2017; Cass. Sez. 5, n. 18731 del 31/01/2012; recentemente. Cass. Sez. III, ud. 19/10/2022, dep. 10/01/2023, n. 377, non massimata). Tanto premesso, nel caso di specie il contestato delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico risulta integrato in tutti i suoi elementi costitutivi. Pacifica è la sussistenza dell'elemento materiale, attesa la falsità della dichiarazione compiuta dal Pa. in occasione della compilazione della domanda di inserimento nella graduatoria scolastica per il triennio 2017/2019, essendo stato accertato nel corso delle indagini che l'imputato non aveva mai conseguito il diploma ivi indicato. Parimenti ricorre l'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione del reato in commento, costituito dal dolo generico, che è dato dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Cass., Sez. V, 15.2-27.4.2021, n. 15901). Tra i documenti acquisiti vi è una comunicazione datata 2.11.2018, inviata da Pa. al Dirigente Scolastico dell'Istituto Comprensivo Se. 2 di Treviso, in cui il predetto dichiarava di aver indicato nella domanda di inserimento nelle graduatorie, "per mero errore materiale", un titolo diverso da quello posseduto, costituito dal "diploma di qualifica professionale di Operatore dei servizi di ristorazione settore cucina", conseguito nell'anno scolastico 2012/2013 presso il Centro Studi Sannitico di Durazzano, che allegava (v. all. 14 e 15 c.n.r.). Tale circostanza, lungi dall'indurre a ritenere che la falsa dichiarazione fosse dipesa da ima negligenza o da una leggerezza, è essa stessa sintomatica della sussistenza del dolo, posto che non si vede come l'imputato abbia potuto dichiarare "per errore materiale" di possedere un diploma in luogo di un altro, oltretutto relativo ad una qualifica professionale completamente diversa. È un dato di fatto, inoltre, che il servizio televisivo in cui veniva denunciata la compravendita di diplomi rilasciati dalla Sa. era stato trasmesso il 30.10.2017 (ne dà conto il G.I.P. di Avellino nella sua ordinanza), sicché appare plausibile che il Pa., temendo di essere scoperto, avesse tentato di porre rimedio alla propria precedente falsa dichiarazione. La difesa ha prodotto copia del decreto emesso in data 11.1.2016 dall'Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, che ha riconosciuto l'istituto professionale Centro Studi Sannitico di Durazzano quale scuola paritaria con decorrenza dall'anno scolastico 2012/2013; sostiene la difesa che ciò escluderebbe la configurabilità del reato di cui all'art. 483 c.p., dal momento che il Pa. aveva comunque indicato, seppur in un secondo momento, un valido diploma, mantenendo la medesima posizione in graduatoria, sicché la dichiarazione originaria, a suo dire errata, non gli aveva attribuito alcun vantaggio. L'assunto difensivo dell'inoffensività del fatto non può essere condiviso. Premesso che nel caso in esame non viene in rilievo un caso di falso innocuo, che attiene alla tipicità del fatto materiale, ma piuttosto, secondo la prospettazione della difesa, un falso "inutile", la circostanza è priva di rilievo ai fini del giudizio di responsabilità, dal momento che ai reati di falso, in generale, sono estranee le nozioni di danno e di profitto, essendo sufficiente per il loro perfezionamento il mero pericolo che dalla contraffazione o dall'alterazione possa derivare alla fede pubblica, unico bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici dettate in materia (Cass. Sez. V, 09.12.2021, n. 45238). Venendo alla determinazione della pena, richiamati gli indici commisurativi di cui all'art. 133 c.p., si ritiene che l'imputato debba essere condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Valutata l'incensuratezza dell'imputato, può essergli concessa la sospensione condizionale della pena, essendo probabile che in futuro si asterrà dal commettere ulteriori reati. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara l'imputato colpevole del reato ascritto e per l'effetto lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Motivazione riservata per giorni trenta. Così deciso in Treviso il 21 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Alice DAL MOLIN Ha pronunciato la seguente SENTENZA Con rito abbreviato Nei confronti di: - Ga.Da., nata il (...) a Co. (P.) e residente a I. (T.), in Via N. S. n. 70/B. LIBERA - ASSENTE - Ga.Cr., nata il (...) a B. del G. (V.) - residente e con domicilio dichiarato a I. (T.), in Via N. S. n. 70/B. LIBERA - ASSENTE IMPUTATE per il reato p. e p. dall'art. 110, 624 c.p., perché, in concorso tra loro, al fine di trarne profitto, si impossessavano di 79 confezioni di vari prodotti per la colorazione e decorazione delle unghia (smalti, smalti semipermanenti, gel) per un valore complessivo di Euro 1.400,00 circa, prelevandoli dagli scaffali di vendita del negozio all'insegna "Tu." sito in Z. B. (T.) via T. n. 19; in particolare, entrambe prelevavano gli articoli dall'espositore, riponendoli in un cestino porta spesa del negozio spostandosi poi in un'area non sorvegliata dalle telecamere e dove provvedevano ad occultare i prodotti sulla propria persona, avviandosi quindi verso le casse e dove, Ga.Cr. usciva senza pagare nulla precedendo Ga.Da. che fermatasi in cassa esibiva e pagava unicamente due oggetti in plastica dell'importo di Euro 5,oo, allontanandosi poi - dopo aver raggiunto la prima - a bordo del veicolo Ford BMax tg. (...) in loro uso. In Zero Branco il 07 maggio 2021 Con la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale per Ga.Cr.. Con l'intervento del P.M. Dott.ssa Francesca Franceschini; dell'Avv. Gi.Mu. del Foro di Treviso, di fiducia. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposta citazione diretta a giudizio nei confronti di Ga.Da. e Ga.Cr. per il reato di cui in rubrica, all'udienza del 03.07.2023, assenti le imputate, il difensore munito di procura speciale formulava richiesta di definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato. All'udienza del 30.11.2023, acquisito il fascicolo delle indagini preliminari, le parti concludevano come da verbale d'udienza e all'esito della camera di consiglio si dava lettura del dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE Le imputate sono state tratte a giudizio per rispondere del reato di furto commesso in concorso tra loro ai danni dell'esercizio commerciale "Tu.", a Za.Ba., in data 07.05.2021. L'ipotesi accusatoria risulta pienamente confermata alla luce degli atti di indagine acquisiti in ragione del rito prescelto, che consentono di ricostruire il fatto nei termini di seguito illustrati. In data 19.05.2021 Co.Lo., capo area della società Il. s.r.l., munito di procura del legale rappresentante Ba.Ro., sporgeva denuncia-querela contro ignoti in relazione ad un furto commesso il 7.5.2021 all'interno del punto vendita sito a Z. B. in Via T. n. 19. Esponeva che quel giorno, alle ore 17.10, due giovani donne erano entrate nel negozio e si erano dirette al reparto profumeria; dopo circa una ventina di minuti avevano alla cassa merce per un valore complessivo di 5,00 Euro e si erano allontanate. Subito dopo, era entrata una commessa dell'attiguo negozio Up., che aveva avvisato Co. che le due ragazze poco prima avevano tentato di sottrarre alcuni capi di abbigliamento; per tale motivo, aveva visionato i filmati ripresi dall'impianto di videosorveglianza, vedendo che le due donne dapprima avevano riposto numerose confezioni di smalto per unghie in un cestino porta spesa, dopodiché si erano appartate, sottraendosi al raggio di azione delle telecamere. Le due, una volta uscite dal negozio, si erano allontanate a bordo di un'autovettura bianca targata (...). A seguito di un controllo, Co. aveva appurato che dall'espositore mancavano ben 79 confezioni di smalto, del valore complessivo di 1.400,00 Euro circa (v. elenco allegato alla querela). La merce non era munita di dispositivi antitaccheggio e il negozio non era provvisto di barriere antifurto. Le indagini svolte dai carabinieri di Za.Ba. a seguito della querela si sono incentrate, innanzitutto, nella visione dei filmati ripresi dalle telecamere del negozio, contenute nel CD-rom in atti. Nell'annotazione datata 26.7.2021 vengono riprodotti alcuni dei fotogrammi estrapolati dalle videoriprese, in cui si vedono due giovani donne entrare nell'esercizio commerciale, posizionarsi davanti ad uno scaffale e prelevare della merce riponendola in un cestino giallo (foto n. 1 e 2). Nella foto n. 3 si vede una delle ragazze, quella che indossava pantaloni e giacca in jeans, uscire dal negozio, mentre l'altra, vestita con maglia e pantaloni neri e una camicia bianca, ferma alla cassa per effettuare un pagamento. Le commesse del negozio, Ca.Ch. e Mi.Ma., nel visionare i filmati avevano dichiarato che l'espositore da cui le donne avevano prelevato la merce era stato svuotato, aggiungendo di aver poi rinvenuto un cestino porta spesa abbandonato in una zona del punto vendita che non era ripresa videosorvegliata. Ma.Ge., commessa del negozio Up., ha ricordato che quel giorno, verso le 17.00, due giovani erano entrate nel punto vendita e avevano destato i suoi sospetti poiché la guardavano spesso, come per verificare se le stesse controllando; le due avevano preso una serie di capi di abbigliamento per neonato, che poi avevano abbandonato nel reparto uomo. Alla fine del suo turno, alle 17.30, aveva notato le due donne uscire dal negozio il T. e salire a bordo di un'autovettura monovolume bianca targata (...); aveva quindi avvertito il personale del punto vendita ed una dipendente, uscita nel parcheggio, aveva visto a sua volta l'auto (v. dichiarazioni contenute nel verbale di ricognizione del 10.07.2021). Mi.Ma. ha confermato tale circostanza (v. dichiarazioni contenute nel verbale di ricognizione del 01.07.2021). Tramite consultazione della banca dati in uso alle forze dell'ordine, i carabinieri di Za.Ba. hanno accertato che l'autovettura targata (...) era di proprietà di tale D.L., persona gravata da numerosi precedenti di polizia; il veicolo, inoltre, risultava essere stato controllato all'interno del campo rom sito a I. in Via N. S. nn. 70/a e 70/b. Da informazioni trasmesse dalla stazione dei carabinieri di Istrana con nota del 4.6.2021, emergeva inoltre che l'autovettura in questione si trovava stabilmente presso il suddetto campo rom, come accertato dai militari che quotidianamente vi si recavano per controllare un soggetto ivi sottoposto agli arresti domiciliari. Nella comunicazione si precisava, altresì, che il veicolo era in uso a G.E., ma che non si poteva escludere che venisse utilizzato anche da altri soggetti. Da ultimo, si evidenziava una forte somiglianza delle donne sospettate di aver commesso il furto con le sorelle Ga.Da. e Co., figlie di G.E., entrambe residenti nell'insediamento di V.N.S.. Sulla base di tali elementi, i carabinieri di Za.Ba. hanno fatto visionare a Ma.Ge. e alle dipendenti del negozio Il., Mi.Ma. e Ca.Ch., un album composto da 15 fotografie; mentre la prima ha riconosciuto solamente Ga.Da., le commesse del T. hanno individuato con certezza Ga.Da. e Ga.Cr., identificandole nelle donne che avevano sottratto gli smalti. Le indagini svolte dalla polizia giudiziaria hanno infatti consentito di individuare con certezza nelle sorelle Ga.Cr. e D. le autrici del furto de quo. Decisive in tal senso sono le individuazioni fotografiche effettuate da Mi.Ma., Ca.Ch. e Ma.Ge.. A questo riguardo, va premesso che il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorché non sia regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell'art. 189 c.p.p. (Cass. Sez. V, n. 6456/2015) e catalogabile, dunque, nel novero delle cd. prove atipiche. La Suprema Corte ha affermato a più riprese che la certezza del riconoscimento fotografico non discende dal riconoscimento come strumento probatorio in sé considerato, ma dall'attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell'individuazione (Cass. Sez. VI, n. 17103 del 18.04.2019; Cass. Sez. V, n. 9505 del 24.11.2015, dep. 2016; Cass. Sez. IV, n. 16902 del 04.02.2004). In particolare, "l'individuazione di un soggetto - sia personale che fotografica - è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale" (Cass. Sez. IV, n. 1867 del 21.12.2013, dep. 2014); pertanto, "trattandosi di una prova atipica ex art. 189 c.p.p., essa deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata espressamente nelle sue forme dall'art. 213 c.p.p., nè le forme tipizzate di quest'ultima devono essere osservate necessariamente nella metodologia di assunzione dell'individuazione personale o fotografica, potendo eventualmente essere utili alla sua efficacia dimostrativa secondo il criterio del libero apprezzamento del giudice" (Cass. Sez. V, n. 23090 del 29.07.2020, n. 23090). Nel caso di specie, le dichiarazioni rese dalle persone che hanno effettuato le individuazioni fotografiche superano appieno il vaglio di attendibilità, atteso che prima di visionare l'album, tutte hanno fornito una descrizione dettagliata delle fattezze delle due donne, che avevano avuto modo di osservare a distanza ravvicinata mentre si trovavano all'interno dei due negozi. In particolare, la Co. e la M. avevano notato che una delle due ragazze, quella con corporatura più robusta, indossava indumenti in jeans piuttosto larghi e completamente abbottonati, nonostante quel giorno facesse molto caldo, essendo piena estate; si tratta della donna che, come si vede nel filmato, era uscita senza fermarsi alla cassa e che, con ogni probabilità, occultava la refurtiva. L'affidabilità delle individuazioni è confortata dall'elemento indiziario costituito dal fatto che le due ladre si erano allontanate dal negozio a bordo di un'autovettura che, sebbene intestata a una terza persona, in quel periodo era certamente utilizzata dalla madre delle imputate, che al pari di queste ultime viveva nel campo rom di Istrana, sicché con ogni probabilità le stesse ne avevano la disponibilità. Tali elementi, unitariamente considerati e valutati, consentono di pervenire all'affermazione della penale responsabilità delle imputate in ordine al reato loro contestato: tale conclusione, alla luce delle prove assunte, rappresenta l'opzione che si prospetta logica e fondata oltre ogni ragionevole dubbio, non essendo emersa, per contro, alcuna plausibile ricostruzione alternativa della vicenda. Venendo al trattamento sanzionatorio, la recidiva reiterata specifica infraquinquennale è stata correttamente contestata a Ga.Cr.: come attestato dal certificato penale in atti, l'imputata, dopo ima prima sentenza di condanna per un tentato furto, divenuta irrevocabile il 31.07.2015, è stata nuovamente condannata per lo stesso reato con sentenze passate in giudicato il 14.12.2016, il 14.5.2020 e il 16.10.2020. Oltre al presupposto formale delle precedenti condanne, sussiste anche il requisito sostanziale che giustifica l'applicazione della recidiva, costituito dalla maggiore colpevolezza e pericolosità del reo. Difatti, alla luce dell'omogeneità dei precedenti illeciti perpetrati dall'imputata, del tipo di devianza che essi sottintendono, di natura predatoria, e della ridotta distanza temporale tra i fatti, la commissione del reato oggetto del presente giudizio non può essere ridotto ad un'occasionale ricaduta nel crimine, dovendosi piuttosto considerare come comportamento dimostrativo di un atteggiamento di indifferenza verso la legge e di assenza di un ripensamento critico a seguito delle precedenti condanne, per le quali, tra l'altro, la predetta aveva scontato periodi di espiazione della pena che, evidentemente, non hanno sortito alcun effetto dissuasivo. Nel corso del giudizio non sono emersi elementi che giustifichino la concessione delle circostanze attenuanti generiche alle due imputate. Tanto premesso, tenuto conto del danno arrecato alla persona offesa, non certo esiguo, si reputa adeguata alla gravità del fatto la pena base di mesi nove di reclusione ed Euro 300,00 di multa. Per Ga.Da., operata la riduzione per il rito, la pena finale è di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa; per Ga.Cr., invece, va considerato l'aumento per l'applicazione della recidiva, che porta la pena ad anni uno e mesi tre di reclusione ed Euro 500,00 di multa, cui va applicata la riduzione di un terzo per giungere alla pena finale di mesi dieci di reclusione ed Euro 330,00 di multa. Le precedenti condanne riportate da Ga.Cr. ostano al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, che può essere invece accordata a Ga.Da., incensurata, anche in considerazione della giovane età al momento della commissione del reato. Segue, come per legge, la condanna delle imputate al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p. dichiara le imputate colpevoli del reato loro ascritto e per l'effetto, operata la riduzione per il rito, condanna Ga.Da. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa e Ga.Cr., applicata la contestata recidiva, alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 330,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa per Ga.Da.. Motivazione riservata per giorni cinquanta. Così deciso in Treviso il 30 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Mabel MANCA Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nei confronti di: Co.Li. nata a T. il (...) e residente e con domicilio dichiarato in V. B M. P. n. 11 a T.. LIBERA - ASSENTE IMPUTATA della contravvenzione p. e p. dall' art. 186, co. 2 lett. c) e co.2-bis, D.Lgs. n. 285 del 1992 e succ. mod., perché conduceva l'autovettura Mini One targata (...), di sua proprietà, in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, accertato mediante etilometro (tasso alcolemico pari a 2,76 g/l alla prima prova e 2,50 g/l alla seconda prova). Fatto aggravato per aver provocato un incidente stradale. In Treviso. 27.02.2021 Con l'intervento del V.P.O. dott.ssa Fr.Fr.; degli Avv. Mi.Sa. e Ti.Ia. del Foro di Treviso, di fiducia; MOTIVAZIONE Con decreto di citazione a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna 01.03.2023, Co.Li. veniva chiamata a rispondere del reato di guida in stato di ebbrezza di cui all' art. 186, comma 2, lett. c) e comma 2 bis del D.Lgs. n. 285 del 1992. L'imputata, non comparsa in giudizio nonostante la regolarità della notifica del decreto, veniva dichiarata assente. La conoscenza del procedimento risulta dagli atti. Alla prima udienza del 20.11.2023 i difensori dell'imputata si riportavano all'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova come anticipata via pec in data 17.11.2023: il Tribunale rigettava la richiesta per essere stata la stessa formulata tardivamente, ovverosia ben oltre il termine stabilito dall'art. 464 bis, comma 2, c.p.p., coincidente con il deposito dell'atto di opposizione al decreto penale di condanna. L'udienza veniva quindi rinviata, su istanza della difesa, alla data del 04.12.2023, con sospensione del termine di prescrizione per la durata di giorni 14. All'udienza di rinvio, dichiarato aperto il dibattimento, le parti concordemente prestavano il consenso all'acquisizione del fascicolo del Pubblico Ministero, con rinuncia all'esame dei testimoni indicati nelle liste. All'esito, le parti discutevano e concludevano come da separato verbale. Il processo veniva rinviato per consentire le repliche. All'udienza del 15.01.2024 veniva data lettura della presente sentenza. Gli elementi di prova. Dalla lettura degli atti e documenti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e nel fascicolo del dibattimento e, in particolare, della C.N.R. n. (...) di prot.llo del 01.03.2021, redatta dalla Polizia Locale di Treviso, è emerso che, in data 27.02.2021, alle ore 21.15, una pattuglia della Polizia Locale veniva inviata in T., viale M., ove si era verificato un sinistro stradale che vedeva coinvolta una sola autovettura. Giunti sul posto, gli operanti rinvenivano il veicolo Mini One targato (...), condotto da Co.Li. e a lei intestato, nonché una volante della Polizia di Stato il cui equipaggio aveva assistito alla dinamica del sinistro, consistita in un'autonoma fuoriuscita dalla sede stradale con impatto contro la recinzione di un'abitazione dopo il compimento di alcune manovre di svolta a destra e a sinistra a velocità sostenuta (v. relazione di servizio, aff. 12 del fascicolo del P.M.). La conducente presentava un forte alito vinoso, eloquio sconnesso e postura incerta, cosicché gli operanti procedevano ad effettuare un controllo in relazione alla presenza di sostanze alcooliche nel sangue mediante utilizzo dell'etilometro, previa formulazione dei dovuti avvisi riguardanti il diritto di farsi assistere da un difensore nel corso dello svolgimento dei successivi accertamenti. Una volta giunto in loco il difensore di fiducia indicato dall'imputata, si procedeva a effettuare le prove spirometriche mediante etilometro DRAGER modello 7110 MKIII serie n. ARSM - 0053, che davano esito positivo: la prima di queste, eseguita alle ore 21.22, indicava un tasso alcolemico di 2.76 g/L e la seconda, effettuata alle ore 21.35, indicava un tasso pari a 2.50 g/L (v. ricevute delle prove alcolimetriche). La valutazione del compendio probatorio e la responsabilità dell'imputata. Le circostanze, così appurate, sono idonee a dimostrare la penale responsabilità dell'odierna imputata in ordine al reato a lei ascritto. Risulta, infatti, che in data 27.02.2021 Co.Li. si trovasse alla guida del veicolo Mini One targato (...) sotto l'effetto di sostanze alcoliche e che cagionasse un sinistro stradale mediante l'autonoma fuoriuscita del proprio veicolo dalla sede stradale: ella veniva quindi sottoposta all'accertamento relativo alla verifica circa la presenza di alcool nell'espirato, mediante apparecchiatura "alcoltest" 7110MKIII, che, come indicato negli atti di indagine, risultava essere omologata e revisionata dal Ministero dei Trasporti (v. aff. 11 del fascicolo del P.M.). Gli esiti delle analisi evidenziavano un tasso alcolemico superiore a 1.5 g/L, dunque idoneo, ai sensi del dell'art. 186, comma 2, lett. c) C.d.S., a configurare il reato previsto dalla medesima disposizione. L'accertamento svolto dagli operanti risulta pienamente utilizzabile, in quanto preceduto dal consenso dell'imputata a sottoporsi all'esame, nonché dall'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, che l'imputata esercitava (si veda il verbale di accertamenti urgenti, agli atti). Esso appare, altresì, attendibile, essendo stato effettuato nell'immediatezza del fatto, ovverosia a meno di 30 minuti dalla verificazione del sinistro. Del resto, che l'imputata si trovasse, al momento della guida, in stato di alterazione, è evincibile anche dalla condotta di guida tenuta poco prima della verificazione del sinistro stradale, quando veniva vista compiere manovre ad alta velocità, e successivamente all'impatto, laddove mostrava chiari sintomi comportamentali di alterazione dovuta all'assunzione di bevande alcoliche. Tutto ciò premesso, ritenuti attendibili gli esiti delle prove spirometriche, ritiene il Tribunale provata la sussistenza dello stato di ebrezza in capo all'imputato al momento del controllo effettuato dal personale di p.g., il quale, per il suo grado non esiguo, non può rientrare nell'ambito applicativo della particolare tenuità della condotta ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Infatti, si osserva come gli esiti delle due prove abbiano avuto natura discendente (passando da 2.76 g/L a 2.50 g/L a distanza di 13 minuti), cosicché è da ritenersi che, alla luce dell'ormai consolidata applicazione della nota regola scientifica, espressa dalla c.d. "curva di Widmark", il tasso di alcool presente nel sangue dell'imputata fosse maggiore al momento della verificazione del sinistro rispetto a quanto non sia risultato al momento dell'utilizzo dell'etilometro e, sicuramente, fosse più elevato nel momento in cui si poneva alla guida. Invero, le tempistiche di assorbimento e di smaltimento delle sostanze alcoliche ingerite variano da soggetto a soggetto, ma seguono un andamento generale basato sulla nota "curva di Widmark" - "secondo cui la concentrazione di alcol andamento crescente tra i 20 ed i 60 minuti dall'assunzione, assume un andamento decrescente dopo aver raggiunto il picco massimo di assorbimento in detto intervallo di tempo" (v. Cass., Sez. 4, sent. n. 39725/2019). Deve ritenersi sussistente la circostanza aggravante di cui all'art. 186, comma 2 bis, C.d.S., in quanto, secondo le dinamiche del sinistro riferite dagli operanti grazie all'osservazione diretta, l'imputata avrebbe cagionato un sinistro stradale mediante l'autonoma fuoriuscita dalla sede stradale. La norma in questione, infatti, pur non richiedendo l'accertamento del nesso eziologico intercorrente tra l'incidente e la condotta dell'agente, evoca in ogni caso il collegamento materiale tra il verificarsi del sinistro stradale e lo stato di alterazione dell'agente (fise il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale), dunque deve valere il principio secondo cui "il maggior disvalore della condotta di cui all' art. 186, comma 2 bis, C.d.S. risiede nella condizione dì alterata reattività del conducente in stato di ebbrezza rispetto alla situazione di pericolo in cui egli si venga a trovare, riconducibile alla sua impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l'incidente, direttamente ricollegabile allo stato di alterazione psicofisici (v. Cass., Sez. 4, sent. n. 54991/2017). Nel caso di specie, deve ritenersi provata la responsabilità dell'imputata nella causazione del sinistro che ha visto coinvolta l'autovettura da lei condotta: infatti, avuto riguardo all'elevato tasso alcolemico accertato, deve ritenersi che il riscontrato stato di ebbrezza le abbia impedito di percepire tempestivamente il pericolo rappresentato dalla perdita del controllo della vettura e di porre in essere tutte le manovre necessarie per evitare l'urto. Né sono emersi agli atti elementi sulla base dei quali ricondurre la verificazione del sinistro a cause esterne, atteso che la strada percorsa non presentava condizioni sfavorevoli alla guida. Il trattamento sanzionatorio. Venendo al trattamento sanzionatorio, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., considerato l'elevato tasso alcolemico riscontrato e l'elevata pericolosità per la circolazione stradale rappresentata dalla condotta di guida tenuta dall'imputata in stato di alterazione, si stima equo determinare la pena base in misura superiore al minimo edittale e, quindi, in mesi 6 di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda. La collaborativa condotta processuale tenuta dall'imputata, la quale prestava il consenso all'acquisizione degli atti di indagine - così notevolmente velocizzando l'attività istruttoria - è elemento utilmente valorizzatile al fine di riconoscere le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 186, comma 2 bis, C.d.S. Avuto riguardo ai criteri di cu all'art. 133 c.p. e all'incensuratezza dell'imputata, è possibile formulare una prognosi favorevole in ordine alla sua futura astensione dalla commissione di ulteriori reati, considerato il sufficiente effetto dissuasivo che la presente condanna sarà in grado di produrre: si ritiene, pertanto, di poter concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena. Segue la condanna alle spese processuali, nonché la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, per effetto della previsione di cui al comma 2 bis dell'art. 186 C.d.S. (per avere il conducente cagionato un incidente stradale con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/L). Visto l'art. 186, comma 2, lett. c), ultima parte, si dispone la confisca del veicolo Mini One targato (...) ove non demolito. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputata responsabile del reato a lei ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche in equivalenza alla contestata aggravante, la condanna alla pena di mesi 6 di arresto ed Euro 2000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Dispone la revoca della patente di guida dell'imputata. Dispone la confisca del veicolo Mini One targato (...) ove non demolito. Motivazione contestuale. Così deciso in Treviso il 15 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dott. Alberto FRACCALVIERI Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: Ca.El. nata a M. (T.) il (...), residente e con domicilio dichiarato a P. (T.) nella via G. n. 12 int. 3 LIBERA - PRESENTE IMPUTATA per il delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv, 646, 61 n. 11 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, in qualità di dipendente dell'agenzia assicurativa "St." sita in T. viale (...), si appropriava dell'importo di Euro 9.404,27, costituito dal complesso delle somme riscosse - in contanti - da clienti dell'agenzia in occasione di rilascio/rinnovo polizze o ad ella consegnate da collaboratori e/o impiegati dell'agenzia stessa per il successivo versamento sul conto corrente dell'agenzia, trattenendosi tali somme di volta in volta ricevute anche dopo le dimissioni e la richiesta di restituzione. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d'opera. In Treviso, febbraio - aprile 2018 Con l'intervento del P.M. Dott. Gi.Ca.; dall'Avv. Alessandra RECH del Foro di Treviso difensore d'ufficio presente SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dalla locale Procura della Repubblica in data 24.09.2019, Ca.El. è stata tratta a giudizio dinanzi a questo Tribunale, per rispondere del delitto meglio descritto in rubrica. Dopo un differimento disposto su istanza della difesa (con sospensione del decorso del termine di prescrizione dal 14.12.2020 al 08.03.2021), all'udienza del 08.03.2021, il Giudice, ammessa la costituzione di parte civile di Di.Gi., titolare dell'omonimo studio assicurativo, non presente, ha dichiarato aperto il dibattimento ed ammesso le prove richieste dalle parti. Dopo tre ulteriori differimenti determinati da istanze della difesa (con sospensione del decorso del termine di prescrizione per giorni 120 totali), e da legittimo impedimento del Giudice, all'udienza del 26.06.2023, in accoglimento dell'istanza della difesa dell'imputata, ha escluso la parte civile per difetto di legittimazione al deposito dell'atto di costituzione di un sostituto del difensore della stessa, non munito di apposita procura speciale. Alla medesima udienza, la causa è stata istruita mediante l'audizione dei testi ammessi, l'acquisizione di documenti e l'esame dell'imputata. All'udienza del 12.10.2023 il Giudice, non accolta la sollecitazione della difesa a disporre ulteriori adempimenti istruttori, ritenuti esplorativi e non necessari ai fini del decidere, e udite le conclusioni delle parti, ha pronunciato la presente sentenza mediante lettura del dispositivo. Motivazione in fatto e in diritto 1. Alla luce dell'espletata istruttoria dibattimentale e, in particolare, delle dichiarazioni rese nel corso dell'udienza del 26.06.2023 dal teste Di.Gi., i fatti di causa possono essere così ricostruiti. In data 8 febbraio 2018 Di.Gi., titolare di uno studio assicurativo a Treviso, ha assunto a tempo determinato Ca.El., con mansioni di addetta front-office ed impiegata amministrativa, per sostituire la maternità di una dipendente storica, Da.Tr.. Oltre all'imputata, all'interno dell'ufficio vi erano il De., Lu.Ba., responsabile dell'amministrazione, Ma.Po., stagista (in quanto tale non autorizzata a maneggiare denaro), e, per un breve periodo, Da.Tr., a cui la Ca. era stata affiancata per motivi di formazione. A metà febbraio del 2018, terminato il periodo di affiancamento, l'odierna imputata ha pienamente assunto le mansioni della collega in maternità, tra le quali vi era il deposito in banca dei premi assicurativi corrisposti all'agenzia in contanti o tramite assegni dai clienti. Il 23 aprile 2018 la Ca. ha ricevuto 4 assegni, per complessivi 3.052,00 Euro, e 549,00 Euro in contanti, che avrebbe dovuto versare il giorno stesso sul conto corrente aziendale acceso presso Ba.. Il giorno successivo, non risultando l'accredito né del contante né degli assegni, il De. ha chiesto spiegazioni all'imputata, che ha riferito di aver effettuato le operazioni. Effettuate le verifiche presso l'istituto di credito, è risultato che gli assegni erano stati effettivamente versati il 24 aprile, alla cassa continua, in orario post lavorativo (utilizzando una tessera di abilitazione intestata all'agenzia e nella disponibilità dell'imputata), mentre il denaro contante non era stato depositato. Considerato che la Ca. era il soggetto deputato al versamento del denaro e dei titoli di credito, che da verifiche del direttore di filiale non erano emerse responsabilità del personale della banca, che l'imputata aveva in più occasioni manifestato problemi di natura economica (circostanza confermata all'udienza del 26.6.2023 dalla teste Ma.Po.) e che all'interno dell'agenzia, nel corso degli anni, non si erano mai verificati ammanchi di denaro (circostanza confermata all'udienza del 26.6.2023 dai testi B. e T.), il 4 maggio 2018, dopo una riunione tenuta presso l'istituto di credito, la persona offesa ha inviato all'imputata una lettera di contestazione disciplinare. Il 16 maggio 2018 l'imputata ha quindi rassegnato le proprie dimissioni e cessato di presentarsi sul luogo di lavoro. Da successive verifiche contabili interne, materialmente effettuate dal B., sono emersi ulteriori ammanchi; è emerso, in particolare, che, dal 05.02.2018 al 26.04.2018, 42 distinte incassi erano state alterate, con mancato versamento in banca di importi complessivamente pari ad Euro 9.404,27 (cfr. copia distinta movimenti d'incasso e non versati prodotta all'udienza del 26.06.2023, nonché dichiarazioni rese all'udienza del 26.6.2023 dalla teste T., che ha disconosciuto le alterazioni delle distinte). Per tali ragioni, il De., ha dapprima denunciato il sinistro alla assicurazione della propria agenzia (che ha indennizzato il danno patrimoniale) e poi presentato alla Procura della Repubblica di Treviso una denuncia-querela contro la C.. 2. L'imputata, nel corso dell'esame reso all'udienza del 26.06.2023, ha respinto ogni addebito, dichiarando: che anche il B. e il De., all'interno dell'agenzia, erano legittimati a prendere denaro o titoli di credito dai clienti; di essersi recata materialmente in banca non più di 5 volte nel corso del rapporto di lavoro con la parte offesa, tanto che né il direttore della filiale, D.M., né il cassiere, A.B., la avevano riconosciuta all'udienza del 26.6.2023; che nell'aprile 2018 si era trovata in difficoltà economiche, ragione per la quale aveva dovuto chiedere al De. un anticipo di 500,00 Euro sullo stipendio, che le era stato accordato; che era stato il datore di lavoro a consentirle di trattenere la citata somma direttamente dalle polizze riscosse (cfr. copia screenshot della chat di whatapp acquisita all'udienza del 26.06.2023); di aver quindi trattenuto solo i 549,56 Euro risultati non versati il 24 aprile del 2018; di non aver mai effettuato alterazioni alle cifre registrate nelle distinte incassi e di non essersi appropriata di denaro dell'agenzia senza il consenso del datore di lavoro né durante il periodo di affiancamento né durante il periodo successivo fino alle dimissioni; che i primi due ammanchi contestati erano avvenuti durante il periodo di affiancamento, per cui non si poteva escludere la responsabilità della T.; di aver sollecitato svariate volte il De. al pagamento degli stipendi e del tfr non corrisposti per il periodo lavorato; di aver trattenuto definitivamente la cifra di 549,00 Euro a titolo di compensazione con i propri crediti; che il clima all'interno dell'agenzia era molto pesante a causa dell'atteggiamento dispotico del datore di lavoro; che non era la prima volta che si verificavano ammanchi. 3. All'udienza del 26.06.2023, M.G., compagno dell'imputata dal 2008, ha confermato lo stato di difficoltà economica della propria famiglia nel 2018. Lo stesso ha precisato che la compagna gli aveva confidato di aver trattenuto di iniziativa delle somme riscosse per conto dell'agenzia, al fine di far fronte alle necessità familiari, con l'intenzione comunque di restituirle. 4. Così ricostruiti i fatti di causa, si impone, oltre ogni ragionevole dubbio, la condanna dell'imputata per i delitti contestati. In primo luogo, alla luce delle testimonianze rese e delle emergenze documentali nessun dubbio sussiste in ordine all'attribuibilità delle condotte contestate alla C.. Quest'ultima, infatti, pur nei limiti di 500,00 Euro, ha ammesso di essersi impossessata di denaro dell'agenzia; la versione difensiva secondo la quale l'appropriazione del denaro sarebbe stata consentita dal De. è stata smentita dal diretto interessato, che ha espressamente negato di aver autorizzato la dipendente a distrarre denaro (operazione che peraltro non sarebbe stato possibile contabilizzare); a precisa domanda del giudice, lo stesso compagno dell'imputata ha riferito che l'appropriazione del denaro da parte della donna era avvenuto di iniziativa (pag. 67 del verbale stenotipico dell'udienza del 26.6.2023); irrilevanti sul punto sono i messaggi prodotti dalla difesa, in cui è la Ca. che fa riferimento all'asserito consenso rispetto alla richiesta di anticipo sulla retribuzione, senza che vi sia alcuna conferma da parte della persona offesa. Numerosi elementi, di significato inequivoco, depongono inoltre a sostegno dell'ipotesi accusatoria. In primo luogo, sia il De. che i dipendenti storici dell'agenzia hanno negato che vi fossero stati ammanchi prima o dopo l'assunzione della C.; 40 operazioni distrattive su 42 sono state poste in essere dopo la fine del periodo di affiancamento, quando la T. era in maternità; l'ultima operazione contestata è del 26 aprile 2018, cioè immediatamente successiva alla scoperta delle distrazioni da parte del datore di lavoro, avvenuta il 24 aprile 2018. A fronte di tale quadro indiziario, la difesa si è limitata a fornire delle ipotesi alternative (responsabilità della T. e del B. o dello stesso De. per frodare l'assicurazione dell'agenzia - ipotesi quest'ultima che non si confronta con la necessità dell'agente di corrispondere in ogni caso i premi alla compagnia assicuratrice mandante), del tutto congetturali e sfornite di riscontri, pertanto inidonee a fondare un ragionevole dubbio Alla luce delle dichiarazioni assunte dalla persona offesa e dai testi T., P., G. e B., della cui credibilità non vi è motivo di dubitare, non essendo emersi motivi di inimicizia tra le parti che possano giustificare un intento calunniatorio, deve ritenersi dunque provato che la Ca. abbia trattenuto volontariamente e senza alcuna autorizzazione somme di denaro che la stessa riceveva dai clienti dell'agenzia, quale pagamento delle polizze assicurative. Sussiste, dunque, pacificamente l'elemento oggettivo del reato di appropriazione indebita; nel caso di specie, infatti, la C., in virtù della particolare qualifica professionale rivestita, ha acquisito il possesso delle somme di denaro altrui con espresso vincolo di destinazione, violando il rapporto fiduciario, e destinandole per scopi differenti da quelli predeterminati (cfr. Cass. pen. n. 43634/2021). Sussiste, altresì, l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 646 c.p., che consiste nel dolo generico per quanto attiene gli elementi materiali della condotta e in quello specifico in relazione all'elemento ulteriore consistente nella finalizzazione della condotta a procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. In considerazione del fatto che le somme oggetto di sottrazione sono state corrisposte in virtù della qualifica professionale dell'imputata, sussiste pacificamente la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11 c.p. 5. Valutata positivamente la partecipazione al processo, sussistono i presupposti per applicare all'imputata, allo stato incensurata, le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., da porre in bilanciamento, con giudizio di equivalenza, con la contestata aggravante (al giudizio di prevalenza osta l'entità del danno cagionato alla persona offesa). 6. Considerato che ogni distrazione integra il delitto di cui all'art. 646 c.p., l'imputata ha commesso una pluralità di reati, che devono essere riuniti nel vincolo della continuazione, avendo essa agito evidentemente in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, attesa l'omogeneità delle condotte e la loro contiguità temporale. 7. Considerato che le condotte appropriative in continuazione sono state numerose (con frequenza quasi giornaliera), non vi sono i presupposti per l'applicazione dell'art. 131 bis c.p., non potendosi ritenere l'agire criminoso del tutto episodico. 8. Accertata la penale responsabilità dell'imputata, riuniti i reati nel vincolo della continuazione, applicate le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., ritenute equivalenti alla contestata aggravante, la stessa, alla luce dei parametri di cui all'art. 133 c.p., deve essere condannata ad una pena che si ritiene equamente determinata in mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali (p.b. tre mesi e ventisette giorni di reclusione ed Euro 95,00 di multa per la più grave distrazione da 700,00 Euro del 23.3.2018 - pena nel determinare la quale ci si è attestati al di sopra del minimo edittale vigente al momento dei fatti, tenuto conto dell'aggravante contestata e dell'inserimento della condotta in una pluralità di fatti illeciti; aumentata di tre giorni di reclusione e cinque Euro di multa per ciascuno degli ulteriori 41 episodi, sino alla misura finale suindicata). Non avendone mai beneficiato e potendosi formulare una prognosi positiva circa il fatto che l'imputata si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati, sussistono i presupposti per applicare al medesimo i benefici della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena e della non menzione della stessa nel certificato del casellario giudiziale spedito, a richiesta dei privati, non per ragioni di diritto elettorale. 8. Atteso il carico di lavoro del giudicante, si è ritenuto equo fissare in giorni novanta il maggior termine per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., Dichiara Ca.El. responsabile dei reati a lei ascritti e, riuniti i fatti nel vincolo della continuazione ed applicate le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., ritenute equivalenti all'aggravante contestata, la Condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 163 e 175 c.p. ordina che l'esecuzione della predetta pena resti sospesa per il termine e sotto le comminatorie di legge e che della stessa non sia fatta menzione nel certificato del casellario giudiziale spedito, a richiesta dei privati, non per ragioni di diritto elettorale; Visto l'art. 544, co 3, fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Treviso il 12 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Alice DAL MOLIN Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: Bo.Ga. nato a L. (R. U.) il (...) e residente e con domicilio eletto a C. (T.) in V. P. n. 6 - LIBERO-ASSENTE IMPUTATO per i seguenti reati: Capo A) delitto di cui all'art. 635 comma 2 n.1) c.p. perché, per turbare la regolare attività del Comune di Cornuda ed in particolare del sindaco del comune Sa.Cl., usava violenza consistita nel lanciare biglie metalliche contro la vetrata del portone di ingresso del Palazzo Municipale del Comune di Cornuda (TV) e contro i lunotti posteriori delle autovettura Mitsubishi Space Star tg. (...) e Fiat Punto tg (...) di proprietà del Comune di Cornuda, cagionando la rottura della vetrata e dei lunotti delle predette autovetture, con l'aggravante di aver commesso il fatto su un bene destinato a uso pubblico ed esposto alla pubblica fede posto sulla pubblica via. In Cornuda (TV), in data 03/11/2019 Capo C) delitto di cui all'art. 338 co.1 e co.2 c.p. perché, per turbare la regolare attività del Comune di Cornuda e in particolare del sindaco del comune Sa.Cl., usava violenza e minaccia avverso il suddetto rappresentante del corpo amministrativo, consistita nel nei fatti di cui al capo 1) e nel prospettare mediante messaggi sulla piattaforma face-book e sms diretti all'utenza privata del SARTOR, del seguente tenore:- CARO COGLIONE TI FACCIO SAPERE CHE SIAMO ALL'INIZIO TI FARO MARTIRE, COSI IMPARERAI HA SCRIVERE FALSITÀ' OFFENDENDO LA MIA PERSONA. FASCISTA DI MERDA, E NON FINISCE QUI RAZZISTA DI MERDA, ALLA PROSSIMA, TIENI DURO", "E FATTI AVANTI TI ASPETTO", "HI LA FACCIA DI MERDA ASSOMIGLI A STALIO", "AI 2 BELLE ORECCHIE A SVENTOLA" "CONOSCO IL SOGGETTO, FASCISTA RAZZISTA JAZZISTA PAGLIACCIO DI MERDA VIDRAI COME ANDRÀ' A FINIRE, FACCIA DI MERDA", "REGISTRAZIONEI AUDIO E ANCHE TESTIMONI DI TE E DI QUALCHE ALTRA PERSONA NE HO ABBASTANZA", "STAI ATTENTO A QUELLO CHE FAI PERCHE' SE MI SUCCEDE QUALCOSA MANDERO' QUALCHE AMICO HA TROVARTI", "TU ELA TUA SCHIFOSA COLLEGA DI MERDA VI DICHIARERO GUERRA FINO OLLA MORTE COGLIONE DI MERDA", "SCHIFOSO DI MERDA TI DICHIARERO GUERRA FINO ALLA FINE DEI MIEI GIORNI BASTARDO DI MERDA QUELLO CHE E* SUCCESSO SUCCEDERÀ' ANCORA RAZZISTA FASCISTA DI MERDA TIENITI DURO CANCARO", "SE LA SALUTE MI PERMETTERÀ TI VENGO A TROVARE HA CASA", nonché alla presenza della polizia giudiziaria della Stazione Carabinieri di Cornuda (TV) la frase "E' UN FASCISTONE, GLIELA FACCIO PAGARE, NON FINISCE QUI, E' STATO FORTUNATO CHE SABATO SERA NON L'HO TROVATO LA' DAVANTI AL COMUNE, ALTRIMENTI LA BIGLIA GLIELA TIRAVO IN FRONTE, GLIELA FARO PAGARE, DEVE STARE CERTO CHE NON FINISCE QUI" per ottenere sussidi economici dall'amministrazione comunale. In Cornuda (TV), in data 07/11/2019 Capo D) delitto di cui all'art. 612 bis c.p. perché,, reiteratamente, minacciava e ingiuriava il Sindaco del Comune di Cornuda, Sa.Cl., con ripetute e persistenti vessazioni psico-fisiche consistenti danneggiare le proprietà del Comune di Cornuda (TV), come da copo 1), nell'inviare messaggi mediante piattaforma face-book e sms, indicati al capo 2), nonché chiamate con messaggi vocali:- - in data 27/12/2019 alle ore 21:23:- "Stai attento bauco: quello che è successo io penso che possa succedere ancora. Allora mettiti in testa di chiamare i giornali, dove hai scritto delle cazzate, che sono già in mano ad un avvocato e queste sono minacce e diffamazioni...Allora, ti ripeto ancora, bauco, faccia di merda, chiama il giornale, correggi, mi domandi scusa sul giornale e mi dai un risarcimento, perché io le diffamazioni, specialmente da un coglione come te, e sta attento, a cosa fai, perché io non. ho niente da perdere"; in data 27/12/2019 alle ore 21:24.- "I Carabinieri sono già avvertiti e sono al corrente di tutto. Loro sanno che questo è stato un tuo errore molto grave verso una persona disabile e con problemi economici. Va bene? Tu e qualche altra persona. Qua ci sono tutte le registrazioni, e non mi interessa un cazzo se legali o meno, ma sono tutte in mano dell'avvocato, sia tue che di altra persona. Altra persona molto schifoso, molto odiata da tutti. Perché ne ho pieni i coglioni di sentire che la gente mi venga a riferire che parlano male, pieni i coglioni di sentire che la gente mi venga a riferire che parlano male, va bene? Non voglio più sentire nessuno che mi venga a raccontare robe schifose, robe brutte. Allora sia attento, io non ho niente da perdere, correggi tutto."; - in data 27/12/2019 alle ore 21:25:- "Correggi tutto quello che hai fatto, sbaglio grande, perché quello che è stato la prossima volta sarà molto più grande. Guarda che io non ho niente da perdere. In prigione non vado e soldi non ne ho. Guarda di stare attento a quello che fai, perché io sono una persona con cui nessuno può scherzare. Va bene? Mettitelo in testa, recchione, mettitelo in testa. Va bene? O te lo metti in testa o io ti provoca problemi. Ok, va bene zuccone? Ciao, ciao... "; così ingenerando in Sa.Cl. un grave e perdurante stato di ansia e paura ed il fondato timore per la propria incolumità e per quella di sua figlia e costringendola a mutare abitudini di vita. In Cornuda dal mese di dal 02/11/ 2019 al 28/11/2019. Con l'intervento del P.M. dott.ssa Maria Cristina Sanvitale; dell'Avv. Le.Pa. del foro di Treviso, in sostituzione dell'Avv. Gi.An. del foro di Treviso, d'ufficio, per l'imputato; dell'avv. Lu.Ma., del Foro di Treviso per le parti civili; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta emesso in data 3.3.2021 Bo.Ga. veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui in rubrica. All'udienza dell'08.05.2023, assente l'imputato, si costituivano parti civili Sa.Cl. e il Comune di Cornuda e venivano ammesse le prove. Successivamente, all'udienza del 23.10.2023 si procedeva all'audizione dei testi Sa.Cl., Fa.Br. e Al.Ro. e veniva acquisita la documentazione prodotta dal pubblico ministero e dal difensore delle parti civili. All'udienza del 27.11.2023, esaurita l'istruttoria, si dava corso alla discussione e le parti concludevano come da verbale; all'esito della camera di consiglio, veniva data lettura del dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE Bo.Ga. è stato chiamato a rispondere dei reati di danneggiamento, atti persecutori e violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario. La vicenda può essere così ricostruita sulla base delle prove assunte nel corso del dibattimento. C.S., sindaco di Cornuda, ha raccontato che nell'autunno del 2019 Bo.Ga., residente nel Comune, si era rivolto a lui riferendogli di avere problemi di salute e di necessitare di assistenza ed aiuti di vario tipo. Su invito del sindaco, si era quindi rivolto all'Ufficio Servizi Sociali del Comune; la teste Fa.Br., assistente sociale, ha ricordato che all'epoca B., invalido civile, già usufruiva del servizio di assistenza domiciliare e del servizio di trasporto, ma che in aggiunta pretendeva di essere accompagnato fuori dalla Regione Veneto per sottoporsi a visite mediche, servizio che il Comune non poteva erogare; aveva chiesto inoltre l'assegnazione di una casa popolare, cosa che tuttavia non era possibile, dal momento che non aveva mai presentato domanda per essere inserito nella graduatoria e che non versava in una situazione di emergenza abitativa. A fronte del mancato accoglimento di tali richieste, B. si era rivolto alla stampa locale criticando aspramente l'operato dei servizi sociali del Comune di Cornuda; a quel punto, il sindaco S. aveva deciso di replicare a sua volta rilasciando un'intervista e ciò aveva innescato la successiva reazione dell'imputato. Il teste S. ha infatti riferito che la mattina del 03.11.2019, mentre erano in corso i preparativi per la celebrazione della festa delle Forze Armate, prevista per il giorno seguente, aveva constatato che nella notte ignoti avevano danneggiato la vetrata della porta di ingresso del municipio e i lunotti posteriori di due veicoli di proprietà del Comune che erano parcheggiati nel piazzale retrostante il palazzo; a terra erano state rinvenute delle biglie di metallo. A seguito della denuncia sporta dal sindaco, i carabinieri di Cornuda avevano visionato le immagini registrate dall'impianto di videosorveglianza del Comune ed avevano individuato il responsabile del danneggiamento nell'odierno imputato. La sequenza dei filmati è stata riprodotta nel fascicolo fotografico acquisito all'udienza del 23.10.2023 ed è stata descritta da R.A., comandante della Stazione dei carabinieri di Cornuda: alle ore 20.13 del 2.11.2019 si vede infatti una Fiat Punto Bianca arrivare nel piazzale situato sul retro del municipio e avvicinarsi ad un veicolo ivi parcheggiato, una Mitsubishi Space Star di proprietà del Comune; il conducente abbassava il finestrino dal lato del passeggero e subito dopo veniva infranto il lunotto posteriore della Mitsubishi. Dopodiché, alle ore 20.18 la Fiat Punto raggiungeva Via M., di fronte al municipio, scendeva un uomo che indossava abiti neri e un cappellino a visiera dello stesso colore che, con passo claudicante, si posizionava di fronte all'ingresso del palazzo e scagliava qualcosa contro la porta utilizzando quella che, sulla base delle movenze, sembrava una fionda. Il vetro sinistro del portone del municipio era stato infranto con una biglia di metallo; anche una Fiat Punto di proprietà del Comune, anch'essa parcheggiata nello spiazzo retrostante, aveva il lunotto posteriore rotto, come la Mitsubishi (v. fotografie prodotte dalla parte civile). Dopo aver visionato i filmati, in data 7.11.2019 i carabinieri avevano eseguito una perquisizione presso l'abitazione di Bo.Ga., dato che l'avevano riconosciuto nelle immagini; la perquisizione dava esito positivo, poiché occultata dietro il televisore erano stati rinvenuti una fionda, un sacchetto di cellophane contenente cinque biglie di acciaio del diametro di 19 mm e una scatoletta di plastica contenente altre diciotto biglie d'acciaio del diametro di 9,5 mm. Inoltre, presso l'abitazione dell'imputato c'era la Fiat Punto Bianca di sua proprietà, la stessa ripresa dalle telecamere davanti al municipio la sera del 2.11.2019, riconoscibile dai copricerchi e da un dispositivo catarifrangente collocato sulla portiera anteriore sinistra; all'interno del veicolo i militari avevano trovato un cappellino con paraorecchie di colore scuro uguale a quello indossato dall'autore del danneggiamento (v. verbale di perquisizione e fascicoli fotografici). Il teste A. ha dichiarato che era stato lo stesso B. a indicare ai militari dove si trovavano la fionda e le biglie; inoltre, nel corso della perquisizione aveva detto loro, riferendosi al sindaco S., una frase del tipo: "Per fortuna che non c'era quella sera, sennò una biglia in fronte se la beccava pure lui". A partire da quel momento, B. aveva iniziato a inviare una serie di messaggi al sindaco S. tramite il social network Facebook e l'applicazione Messenger, i cui screenshot sono stati allegati alla denuncia querela sporta dalla persona offesa in data 08.11.2019 e alle successive integrazioni del 28.11.2019 e del 30.12.2019. In particolare, l'imputato, mediante il proprio profilo Facebook, pubblicava post ed inviava messaggi del seguente tenore: "C. coglione ti faccio sapere che siamo all'inizio ti farò martire, così imparerai ha scrivere falsità offendendo la mia persona. Fascista di merda. E non finisce qui razzista di merda, alla prossima, tieni duro. E fatti avanti ti aspetto"; "C. sig sartor la mia salute è di merda ma farò di tutto per essere il tuo peggior tormento per te e per qualche altra persona, fascista, razzista di merda"; "Conosco il soggetto, fascista jazzista pagliaccio di merda vedrai come andrà a finire, faccia di merda". Ed ancora: "Schifoso di merda ti dichiarero guerra fino alla fine dei miei giorni bastardo di merda quello che è successo succederà ancora (...)"; "Se la salute mi permetterà ti vengo a trovare ha casa". Alla fine di dicembre del 2019, tramite Messenger, S. aveva ricevuto altri messaggi scritti inviati da B., del medesimo tenore dei precedenti, nonché tre messaggi audio, anch'essi dal contenuto minatorio (v. allegati all'integrazione di denuncia querela del 30.12.2019). In alcuni messaggi l'imputato chiamava in causa anche una terza persona, con ogni probabilità l'assistente sociale Fa.Br., scrivendo "Coglione di merda, se avrò un po' di salute tu e la tua collega vi darò molti problemi poco ma sicuro"; "Tu e la tua schifosa collega di merda vi dichiarerò guerra fino olla morte coglione di merda". La teste F. ha riferito che in quel periodo anche lei era stata bersaglio di messaggi offensivi e minacciosi da parte del B. e di averlo a sua volta denunciato. Il teste S. ha raccontato che in quel periodo, a causa delle ripetute minacce rivoltegli da B., aveva temuto per la propria incolumità, specie in considerazione dell'atto vandalico posto in essere dal predetto all'inizio del mese di novembre; il fatto che l'imputato perseverasse nell'inviargli messaggi offensivi e minatori gli dava infatti motivo di ritenere che avrebbe potuto passare nuovamente alle vie di fatto. Per tale ragione, aveva informato della vicenda il Prefetto di Treviso e a seguito della sua segnalazione era stato attivato un servizio di sorveglianza della sua abitazione e della casa comunale di Cornuda da parte dei carabinieri di Montebelluna; tale misura era stata intensificata, su disposizione del Vicario del Questore di Treviso, a seguito dell'integrazione di denuncia-querela presentata da S. il 30.12.2019 (v. allegato 4 acquisito all'udienza del 23.10.2023). L'invio di messaggi offensivi e intimidatori da parte di B. era proseguito anche nei primi mesi del 2020, dopodiché l'imputato aveva cessato di importunare S.; quest'ultimo ha precisato che nel corso di quel periodo gli era capitato di incontrarlo casualmente a Cornuda, ma che B. non gli aveva mai rivolto la parola. Così ricostruiti i fatti, le prove assunte consentono di affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza dell'imputato in relazione ai reati contestati ai capi a) e d). È pacifica, innanzitutto, la penale responsabilità del prevenuto quanto al delitto di danneggiamento aggravato a lui contestato, atteso che le prove acquisite nel corso delle indagini - nello specifico, le riprese dell'impianto di videosorveglianza, la fionda e le biglie rinvenute presso la sua abitazione - conducono inequivocabilmente a individuare in Bo.Ga. l'autore del reato; oltretutto, l'imputato era stato riconosciuto nel filmato dai carabinieri di Cornuda. Il fatto integra reato in quanto ricorre l'ipotesi prevista dal n. 1 del comma secondo dell'art. 635 c.p., dal momento che l'azione delittuosa ha interessato la vetrata della porta di ingresso della casa comunale, edificio destinato ad uso pubblico, nonché due autovetture di proprietà del Comune parcheggiate sulla pubblica via, beni esposti alla pubblica fede, nonché destinati ad un pubblico servizio. Parimenti si ritiene integrato il delitto di atti persecutori. Preliminarmente si evidenzia che il reato in commento, abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio; i singoli atti sono segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento (Cass. Sez. V, n. 7899 del 21.2.2019). L'art. 612 bis c.p. prevede tre eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrare il delitto, richiedendo che le condotte persecutorie cagionino alla vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura, oppure ingenerino nella stessa un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata al medesimo da relazione affettiva, ovvero, da ultimo, costringano la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. L'elemento soggettivo del delitto di atti persecutori è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Cass. Sez. 1, n. 28682 del 25.09.2020; Cass., Sez. V, n. 43085 del 24.09.2015). Il dolo integrante il delitto di atti persecutori, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, nel senso che deve esprimere un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Cass., Sez. V, n. 18999 del 19.02.2014; Cass., Sez. V, n. 20993 del 27.11.2012). Orbene, nel caso in esame è configurabile sia la reiterazione di più atti di molestie e minacce in danno del S., sia la sussistenza in capo al B. del dolo generico. Ed invero, non possono che qualificarsi in termini di molestie e minacce i numerosi messaggi minatori ed offensivi indirizzati alla persona offesa dall'imputato, sia direttamente, con l'applicazione Messenger, sia tramite i post astiosi e ingiuriosi pubblicati dal medesimo tramite Facebook, anch'essi riferiti a S.: anche tale ultima condotta, allorché, come nel caso di specie, la persona offesa ne venga a conoscenza, contribuisce ad integrare l'elemento materiale del delitto di atti persecutori (C., Sez. V, 31.3-17.5.2021, n. 19363). Anche il danneggiamento della porta della casa comunale e delle auto di servizio costituisce, nel caso di specie, una delle modalità realizzative del reato di atti persecutori, trattandosi di condotta idonea a configurare sia la molestia, per il danno che in sé provoca, sia la minaccia, in relazione alla possibilità di una sua reiterazione (Cass., Sez. V, n. 10994 del 12.12.2019); la Suprema Corte, a questo riguardo, ha affermato che i due reati in commento possono concorrere (Cass., Sez. V, n. 52616 del 23.9.2016 e, più recentemente, Cass. Sez. V, 16.09.2021, n. 34471, non massimata). È evidente la volontà dell'imputato di porre in essere le descritte condotte persecutorie in danno della persona offesa, sorretta dalla consapevolezza della loro idoneità alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma di cui all'art. 612 bis c.p., in considerazione dell'oggettivo contenuto minatorio dei messaggi inviati; va sottolineato, peraltro, che pur essendo stato pressoché immediatamente individuato quale autore del danneggiamento dei beni comunali (la perquisizione della sua abitazione era avvenuta il 7.11.2019), ciononostante nei mesi successivi B. ha perseverato nei propri comportamenti molesti e minacciosi nei confronti della persona offesa. Con riferimento all'evento, si reputa raggiunta la prova che le condotte poste in essere dall'imputato avevano ingenerato in S. un grave stato di ansia e un serio timore per la propria incolumità. La giurisprudenza di legittimità, con riferimento al grave e perdurante stato di ansia o di paura, ha chiarito che la prova di tale evento non richiede necessariamente il ricorso ad una perizia medica (Cass., Sez. V, n. 18999 del 19.02.2014), potendo essere dimostrato anche sulla base di elementi sintomatici del turbamento psicologico, che possono essere ricavati, oltre che dalle dichiarazioni della vittima del reato, dai suoi comportamenti successivi alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, tenendo in considerazione sia la sua astratta idoneità a causare l'evento, sia il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (tra le tante, Cass., Sez. V, 14.3-18.7.2019, n. 31981; Cass., Sez. V, 17.4-23.5.2019, n. 22843; C., Sez. V, 2.3-7.4.2017, n. 17795; C., Sez. V, 25.1-16.3.2017, n. 12799). Lo stato di ansia e di timore per la propria incolumità è da ravvisare allorquando il comportamento incriminato abbia avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima (C., Sez. V, 26.6-11.11.2015, n. 45184). Nel caso di specie, peraltro, non vi è dubbio che le condotte contestate abbiano, secondo un criterio di normalità logica, creato nella vittima un grave stato d'ansia e di paura e timore per la propria incolumità fisica, come si desume, in particolare, dal fatto che S. aveva segnalato la situazione al Prefetto affinché fosse attivato un servizio di vigilanza a tutela della propria sicurezza, del quale aveva potuto beneficiare in ragione della carica pubblica che ricopriva. L'imputato deve essere invece assolto dal reato di cui all'art. 338 c.p., contestato al capo c), perché il fatto non sussiste. La norma in commento sanziona colui che "usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio o ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività". La fattispecie incriminatrice è posta a tutela del buon funzionamento della pubblica amministrazione e i soggetti passivi del reato vanno individuati negli appartenenti a corpi politici, amministrativi, giudiziari o rappresentanze di essi, ovvero in qualunque pubblica autorità costituita in collegio e nelle imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità. A seguito della modifica apportata dalla L. 3 luglio 2017, n. 105, il legislatore ha esteso la punibilità anche alle condotte violente o minatorie rivolte ai singoli componenti dei citati corpi o organi collegiali; tali soggetti, tuttavia, non sono tutelati uti singuli, sicché il reato è configurabile unicamente laddove la condotta delittuosa sia finalizzata a incidere sull'operato di tali enti superindividuali. La novella legislativa ha di fatto codificato l'interpretazione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva affermato che la condotta violenta o minacciosa non deve essere necessariamente tenuta nei confronti dell'intero collegio e che, laddove il destinatario sia un solo componente, il reato di cui all'art. 338 c.p. sussiste solo quando la minaccia nei confronti del singolo componente è diretta soggettivamente ed oggettivamente ad influire sulla deliberazione finale del collegio (Cass. VI, n. 18194/2012). Nel caso in cui destinatario della violenza o minaccia sia il sindaco, come nel caso di specie, la fattispecie in commento ricorre se emerge che tale condotta è finalizzata a incidere sull'attività dell'organo collegiale di cui fa parte, vale a dire la giunta (Cass. Sez. II, n. 5611/2012). Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, poiché alla luce delle risultanze istruttorie appare evidente che l'imputato, piuttosto che mirare ad ottenere l'adozione di un determinato provvedimento o, comunque, a influenzare l'operato dell'organo collegiale, aveva realizzato le condotte moleste e minacciose nei confronti di S. reagendo all'intervista rilasciata da quest'ultimo per rispondere alle accuse che B. aveva rivolto al Comune di Cornuda, dunque con intento ritorsivo. Acclarata, dunque, la penale responsabilità dell'imputato in relazione ai reati contestati ai capi a) e d), dal momento che il reato di danneggiamento è stato commesso nell'ambito degli atti persecutori, evidentemente in esecuzione di un medesimo disegno criminoso perseguito dall'imputato, i due delitti contestati devono essere riuniti nel vincolo della continuazione. Venendo al trattamento sanzionatorio, possono riconoscersi all'imputato le circostanze attenuanti generiche, in considerazione delle precarie condizioni personali e sociali del prevenuto, riferite in particolare dalla teste B.F.. Tanto premesso, valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., individuato il reato più grave in quello di cui all'art. 612 bis c.p., si reputa equo condannare l'imputato alla pena di un anno di reclusione quanto al capo d) (minimo edittale), ridotta per le circostanze generiche a mesi otto di reclusione, aumentata di mesi uno di reclusione per la continuazione con il reato contestato al capo a) e così, complessivamente, mesi nove di reclusione. Segue come per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. Le domande risarcitorie formulate dalle parti civili sono meritevoli di accoglimento, per le ragioni e nei termini di seguito esposti. Quanto a C.S., alla luce della durata tutto sommato contenuta della condotta persecutoria che, per quanto documentato, si è dispiegata per circa due mesi, si reputa congruo liquidare il danno morale subito, in via definitiva, nell'importo di Euro 2.000,00. Con riferimento, invece, alla posizione del Comune di Cornuda, la parte civile ha provato di aver subito un danno patrimoniale dell'importo di Euro 1.339,56 quale costo sostenuto per la sostituzione della vetrata della porta di ingresso del municipio; può essere inoltre riconosciuto il pregiudizio non patrimoniale derivante dalla momentanea indisponibilità delle autovetture danneggiate, così giungendo alla liquidazione di un danno onnicomprensivo di Euro 1.800,00 Euro. Le spese sostenute dalle costituite parti civili vanno liquidate, per ciascuna posizione, in complessivi Euro 1.797,00 oltre accessori di legge e, specificamente, in Euro 237,00 per la fase di studio, Euro 284,00 per la fase introduttiva, Euro 567,00 per la fase istruttoria ed Euro 709,00 per la fase decisionale, oltre agli accessori All'imputato può essere riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, trattandosi di soggetto incensurato e rispetto al quale, tenuto conto delle circostanze in cui è maturata la commissione dei reati oggetto di giudizio, evidentemente dipesi da un periodo di particolare disagio personale, è possibile formulare una prognosi di non recidivanza. Ai sensi del primo comma dell'art. 165 c.p., la sospensione condizionale va subordinata al risarcimento del danno liquidato in favore delle parti civili, cui l'imputato dovrà provvedere entro un anno dal passaggio in giudicato della presente sentenza. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve l'imputato dal reato ascritto al capo c) perché il fatto non sussiste. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato colpevole dei reati ascritti ai capi a) e d), unificati sotto il vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, per l'effetto lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 538 c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, che liquida in Euro 1.800,00 a favore del Comune di Cornuda ed Euro 2.000,00 a favore di Sa.Cl.. Visto l'art. 541 c.p.p., condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalle costituite parti civili, che si liquidano in complessivi Euro 3.594,00 oltre anticipazioni e accessori come per legge. Visti gli artt. 163 e 165 c.p., riconosce a Bo.Ga. il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinandolo al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno a favore delle parti civili, che dovrà avvenire entro il termine di un anno dal passaggio in giudicato della presente sentenza. Confisca e distruzione di quanto in sequestro. Motivazione riservata per giorni quaranta. Così deciso in Treviso il 27 novembre 2023. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Carlotta BRUSEGAN Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: - Ag.Ma., nato a C.V. (T.) 1'(...), residente e con domicilio dichiarato in Via L. Z. n. 8 a B. di M. (T.) LIBERO - NON COMPARSO IMPUTATO Proc. n. 6539/18 N.R. - n. 468/21 R.G. del reato p. e p. dall'art. 570 bis c.p. perché si sottraeva all'obbligo di corrispondere le somme dovute a titolo di mantenimento a favore dell'ex coniuge El.Co. e del figlio Da.Ag., in violazione di quanto disposto con il provvedimento presidenziale di divorzio n. 6157/16 r.g. e con la sentenza n. 2424/17 dal Tribunale di Treviso. In Pollina, dal marzo 2014 all'agosto 2018. Proc. riunito n. 5130/20 N.R. - n. 964/22 R.G. al reato di cui all'art. 570 bis in relazione all'art. 570 cod. pen. per non avere integralmente corrisposto alla ex moglie Co.El. da agosto 2018 l'assegno di mantenimento a favore del figlio minore D. e della ex moglie, stabilito in sede di separazione (versati 10.800,00 Euro a fronte dei 18 mila dovuti), omettendo altresì di versare la somma di Euro 900 mensili stabiliti dalla sentenza di divorzio a titolo di mantenimento del figlio minore (sent. 509/2020) e non contribuendo in nessun modo alle spese straordinarie per il figlio, per la quota di metà a suo carico. Acc. Follina, querela 17.6.2020 Con l'intervento del P.M. Dott. Mi.Pe.; dell'Avv.ti Ne.Br. e Al.Br. entrambi del Foro di Treviso, di fiducia, presente il primo anche in sostituzione del secondo; per la parte civile è presente l'Avv. Er.Ce. del Foro di Treviso. MOTIVAZIONE 1. A seguito di opposizione a decreto penale di condanna Ag.Ma. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 570 bis c.p., così come descritto nell'imputazione. All'udienza del 14/04/2021, presente l'imputato, si è costituita parte civile Co.El. e all'udienza del 30/06/2021 sono state rigettate le eccezioni avanzate dalla difesa, è stato revocato il decreto penale di condanna ed è stato dichiarato aperto il dibattimento. Alla successiva udienza dell'11/11/2022, previa riunione col procedimento r.g. Delib. n. 964 del 2022, sono stati sentiti i testi Co.El. e Co.So., l'imputato ha reso l'esame e sono stati acquisiti i documenti prodotti dalle parti. All'udienza del 24/03/2023 le parti hanno concluso come in intestazione ed è stato disposto un rinvio per eventuali repliche all'udienza dell'11/10/2023. 2. Dall'espletata istruttoria è emerso quanto segue. Come riferito dalla parte offesa, Co.El. e Ag.Ma. si sono sposati il 3/08/2008 e dalla loro unione in data 19/02/2011 è nato il figlio D.. Nel marzo del 2014 è iniziato il procedimento di separazione giudiziale, al quale è, poi, seguito anche quello di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Dalla documentazione agli atti (cfr. provvedimenti emessi dal Tribunale di Treviso nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio), più precisamente risulta che: - con O.P. del 15 maggio 2014 emessa dal Tribunale di Treviso in sede di separazione è stato stabilito che, a decorrere dal marzo 2014, Ag.Ma. versasse ad El.Co. la somma mensile di curo 450,00 a titolo di concorso al mantenimento del figlio minore D., oltre al 50% delle spese straordinarie; - con successiva ordinanza del 13/11/2014 emessa dal Tribunale di Treviso è stato stabilito che, a decorrere dal novembre 2014, Ag.Ma. versasse ad El.Co. la somma mensile di Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per il mantenimento della moglie stessa ed curo 400,00 a titolo di concorso al mantenimento del figlio minore D., oltre al 50% delle spese straordinarie; - con ordinanza del 21/09/2015 emessa dal Tribunale di Treviso è stato aumentato da Euro 400,00 ad Euro 500,00 l'importo dovuto mensilmente a titolo di concorso al mantenimento del figlio minore e da Euro 200,00 ad Euro 400,00 l'importo mensilmente dovuto per il mantenimento della moglie; - con sentenza di separazione n. 2424/2017 emessa dal Tribunale di Treviso in data 27/11/2017 sono state confermate le statuizioni presidenziali, quanto al mantenimento della moglie, ed è stato elevato ad Euro 800,00 l'importo dovuto dall'imputato a titolo di concorso al mantenimento del figlio, con le scansioni temporali meglio indicate nella sentenza stessa, essendo stati medio tempore adottati i provvedimenti presidenziali nel giudizio di divorzio; - con O.P. del 26 gennaio 2017 emessa dal Tribunale di Treviso nell'ambito del procedimento di divorzio, è stato disposto che i rapporti continuassero ad essere regolati alle condizioni stabilite in sede di separazione; - con sentenza di cessazione degli effetti civile dal matrimonio n. 509/2020 emessa dal Tribunale di Treviso in data 14/03/2020 è stato stabilito in capo ad Ag.Ma. l'obbligo di corrispondere a Co.El. a titolo di concorso al mantenimento del figlio minore D. la somma mensile di curo 900,00, oltre al 50% delle spese straordinarie. La parte offesa Co.El. ha riferito in merito a quanto stabilito dal Tribunale civile nel corso dei procedimenti di separazione e divorzio, dichiarando che, inizialmente, l'ex marito le aveva corrisposto i sodi stabiliti per il mantenimento ordinario del figlio (quando era previsto l'importo di Euro 450,00), senza però versarle nulla per le spese straordinarie. Successivamente, quando l'importo è stato alzato, l'imputato le ha corrisposto l'importo ridotto di 600,00 Euro, sempre senza nulla versare per le spese straordinarie. Nel 2020 è intervenuta sentenza di divorzio che ha previsto 900,00 a titolo di mantenimento del figlio, obbligo al quale l'imputato si è adeguato, continuando però a non pagare le spese straordinarie. La Collot ha dichiarato che l'ex marito ha sempre svolto la stessa attività lavorativa di imprenditore, portando avanti l'attività di vivaista. La teste ha dichiarato anche di aver dovuto chieder aiuto a sua sorella per il mantenimento del figlio perché a volte si trovava in difficoltà, considerato che l'imputato non è mai stato regolare nei pagamenti ("non è mai stato regolare ... nel versamento ... a volte dava degli acconti, a volte il saldo il mese successivo"; "quando non ho una regolarità, perché devo comunque pagare l'affitto ... le bollette. Non ho una visione a lungo termine perché vivo sempre in equilibrio e non mi posso permettere..." - cfr. pp. 7 e 11 del verbale stenotipico dell'ud. dell' 11/11/2022). In particolare, la sorella l'ha aiutata acquistando il vestiario per il figlio, con la babysitter o con il pagamento delle quote di iscrizione allo sport per D.. La teste Co.So., sorella di Co.El., ha riferito di aver aiutato la parte offesa sia dal punto di vista economico che morale: comprando al nipote scarpe e abbigliamento, andando a fare la spesa e aiutando la sorella a sostenere alcune spese, come il doposcuola. Durante il periodo Covid ha tenuto il bambino e lo ha dotato delle attrezzature informatiche di cui aveva bisogno per seguire le lezioni a distanza. L'imputato, in sede di esame, ha confermato di aver pagato inizialmente 450,00 Euro e che, da quando l'importo è stato aumentato, si è limitato a versare 800,00 Euro, senza corrispondere l'intera somma stabilita, riferendo anche di non essere sempre stato regolare nei versamenti. 3. Sulla base dell'esposto materiale probatorio va affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli. È, infatti, provato che, Ag.Ma., dal marzo 2014 fino al 17/06/2020, ha violato gli obblighi di natura economica allo stesso imposti con i provvedimenti emessi dal Tribunale civile di Treviso nel corso dei giudizi di separazione giudiziale e di cessazione degli effetti civili del matrimonio (per l'elencazione dei quali si rinvia al 2 della presente sentenza), non corrispondendo a Co.El. quando dovuto a titolo di contributo al mantenimento proprio e del figlio D. né concorrendo nelle spese straordinarie. Nello specifico, è emerso che l'imputato ha, dapprima, versato la quota di mantenimento ordinario, senza però mai versare quanto dovuto per le spese straordinarie per il figlio, e poi ha omesso di corrispondere quanto stabilito, versando importi ridotti od omettendo alcune mensilità, e non corrispondendo gli importi con regolarità. I fatti sono pacifici, essendo stati riferiti con puntualità da Co.El.. Le dichiarazioni della parte offesa hanno trovato pieno riscontro in quanto riferito da Co.So., la quale ha confermato che di aver aiutato e sostenuto economicamente la sorella. Inoltre, va osservato che il reato violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio si configura per il semplice inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno nella misura disposta, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto e viene integrato anche in presenza di un inadempimento parziale dell'obbligo (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., n. 27989, del 15 maggio - 27 giugno 2014; Cass. Pen., n. 35553, del 7 luglio - 29 settembre 2011; Cass. Pen., n. 37079, del 27 marzo - 8 ottobre 2007). Vale, inoltre, l'ulteriore puntualizzazione per la quale il reato può essere escluso solo nel caso in cui lo stesso imputato provi che la mancata corresponsione di quanto dovuto è da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta e incolpevole da parte sua, presupposto che, nel caso di specie non è stato dimostrato. Lo stesso imputato, in sede di esame, ha riferito in merito alla propria attività lavorativa, dichiarando di aver sempre percepito dai 1.500,00 ai 2.400,00 Euro al mese, vivendo in una casa di proprietà. Elementi confermati anche dalle dichiarazioni dei redditi in atti nonché dalla consulenza svolta in sede civile, prodotta dalla difesa dell'imputato, dalla quale emerge che il reddito a disposizione di Ag.Ma. ammontava a 5.000,00 Euro mensili. Con ciò dovendosi escludere (pacificamente) uno stato di sua assoluta indigenza ed emergendo, piuttosto, come l'imputato stesso abbia deliberatamente scelto di non corrispondere a Co.El. le somme di denaro stabilite nei diversi provvedimenti suddetti. Deve, quindi, essere affermata la penale responsabilità dell'imputato. Infine, non deve essere accolta la richiesta avanzata dalla difesa dell'imputato ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Va, infatti, condiviso l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p. è applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, a condizione che l'omessa corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera occasionalità (cfr. Cass, pen., Sez. 6, Sentenza n. 5774 del 28/01/2020, Rv.278213 - 01). Ciò in quanto, in caso di reiterate omissioni nel versamento del contributo al mantenimento (come nel caso di specie), l'abitualità del comportamento è ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo irrilevante la particolare tenuità di ogni singola azione od omissione (cfr. Cass, pen., Sez. 6, Sentenza n. 11780 del 21/01/2020, Rv. 278722-01). 4. Venendo al trattamento punitivo, vanno riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., valorizzando la sua incensuratezza nonché il fatto che, quanto meno, in un primo periodo ha corrisposto quanto dovuto a titolo di mantenimento ordinario, seppur sottraendosi al pagamento delle spese straordinarie. Va, inoltre, ritenuta la continuazione fra i fatti contestati all'imputato, in quanto sono più i soggetti nei confronti dei quali l'imputato si è sottratto all'obbligo di corresponsione delle somme stabilite dal Tribunale Civile, facendo mancare loro i mezzi di sussistenza (Co.El. ed il figlio minore D.). Stimasi, dunque, congrua, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., la pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena è così determinata: pena base, considerato più grave il fatto commesso ai danni del figlio minore D. (tenuto conto della minore età del figlio e del prolungato arco temporale in cui si sono svolti i fatti), mesi due di reclusione; aumentata per la continuazione con il fatto commesso ai danni di Co.El. a mesi tre di reclusione. La tipologia e la misura della pena base si giustificano in relazione al considerevole periodo di tempo in cui si è complessivamente protratto l'inadempimento dell'imputato (dal 2014 al 2020) e all'età del figlio minore (n. il (...)). Possono essere riconosciuti all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, a fronte della sua incensuratezza. 5. Venendo alle questioni civili, va accolta la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla costituita parte civile Co.El., in proprio e per il figlio minore A.D.. Il danno da risarcire è principalmente quello morale derivante dalla sofferenza e dal patema d'animo scaturente dal fatto di essere rimasti (sostanzialmente) privi del necessario sostegno economico dell'ex compagno e del padre al fine di far fronte alle primarie esigenze di vita. In questa sede non è stato possibile determinate il danno subito nel suo esatto ammontare, sicché la liquidazione va rimessa avanti al giudice civile; né va riconosciuta una provvisionale, atteso che non è stata avanzata richiesta in tal senso dalla parte civile stessa. L'imputato va, anche, condannato alla refusione delle spese di lite a favore della parte civile, liquidate complessivamente come in dispositivo (importo determinato, riconoscendo i compensi per un solo procedimento - atteso che in prima udienza è stata disposta la riunione; tenuto conto dei valori richiesti dal difensore - inferiori ai valori medi previsti dalla normativa attualmente vigente; nonché considerando un aumento forfettario per l'assistenza di una seconda parte processuale e nel secondo procedimento riunito, atteso che ciò non ha comportato lo svolgimento di attività ulteriore), nonché delle spese documentate per complessivi Euro 54,00. Infine, non deve essere accolta la domanda avanzata dalla difesa dell'imputato ai sensi dell'art. 541 c.p.p., non sussistendo i presupposti di cui al comma secondo del predetto articolo. Atteso il carico di lavoro del giudicante, si è ritenuto equo fissare in giorni novanta il termine per il deposito dei motivi. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ag.Ma. colpevole dei reati ascrittigli e, ritenuta la continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Visti gli artt. 538 ss. c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, Co.El., (in proprio e per il figlio minore A.D.), da liquidarsi in separata sede civile. Condanna l'imputato al pagamento delle spese di costituzione e difesa della predetta parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.600,00, oltre al rimborso forfetario al 15%, iva e epa come per legge nonché ad Euro 54,00 per spese. Fissa in giorni novanta il termine per i motivi. Così deciso in Treviso l'11 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Carlotta BRUSEGAN Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: - Fl.Lu., nato a T. 1(...) - residente e con domicilio dichiarato a Bo. G. (R.), R. J. G. n. 514 ap. 402 Bo. L. - B. LIBERO - ASSENTE IMPUTATO Del reato di cui all'art. 570, comma 2, c.p. e 3 L. n. 54 del 2006 per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori Sa., Fi. e To.Fl., omettendo di versare alla moglie separata Bo.Ha., quale contributo per il mantenimento dei predetti figli, la somma mensile di Euro 1.500,00, oltre alle spese straordinarie, somma determinata dal Tribunale di Treviso in sede di separazione fra i coniugi e serbando una condotta contraria alla morale e all'ordine della famiglia in quanto, trasferitosi in Brasile, solo sporadicamente contattava i figli per informarsi sulle loro condizioni di vita e salute. In San Biagio di Callalta, dal mese di ottobre 2016 sino all'attualità. Con l'intervento del P.M. Dott. Mi.Pe.; dell'Avv. Fr.Be. del Foro di Treviso, di fiducia. Per la parte civile Bo.Ha. è presente l'Avv. Ca.Sa. del Foro di Treviso. MOTIVAZIONE 1. A seguito di opposizione a decreto penale di condanna, Fl.Lu. è stato tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 570, co. 2 c.p. e 3 della L. n. 54 del 2006, così come descritti nell'imputazione. Dopo alcuni rinvii determinati dalla necessità di rinnovare la notifica nei confronti dell'imputato, all'udienza del 26/10/2022, dichiarata l'assenza dell'imputato stesso, si è costituita parte civile Bo.Ha., è stato revocato il decreto penale di condanna ed è stato dichiarato aperto il dibattimento. All'udienza del 19/05/2023 sono stati sentiti i testi Bo.Ha., B.E., App. Se. Ba.Vi. e Bo.Ma.. All'udienza del 13/09/2023 è stato sentito il teste Ma.Di. ed è stato disposto un rinvio per la discussione, su istanza della difesa dell'imputato. Nel corso dell'istruttoria è stata, inoltre, acquisita la documentazione prodotta dalle parti. All'udienza dell'11/10/2023 le parti hanno, poi, concluso come in intestazione. 2. Dall'espletata istruttoria è emerso quanto segue. La parte offesa Bo.Ha. ha riferito di essersi sposata il 22/06/1996 con Fl.Lu., dall'unione con il quale sono nati tre figli: Fl.Sa. il (...), Fl.Fi. il (...) e Fl.To. l'(...). Nel novembre 2011 i coniugi si sono separati consensualmente e, poi, c'è stato il divorzio. La teste ha precisato che, in sede di separazione, è stato posto a carico dell'imputato l'obbligo di corrisponderle, a titolo di contributo al mantenimento di ciascun figlio l'importo mensile di Euro 500,00 (per complessivi Euro 1.500,00) oltre al 50% delle spese straordinarie. In sede di divorzio, sono stati mantenuti gli stessi importi, ad eccezione della figlia S., per la quale non è più stato previsto l'assegno perché dal 2017era andata a vivere da sola. La teste ha riferito che, dopo la separazione, fino ad ottobre 2016 il Fl. ha versato il mantenimento ordinario; poi, fino all'agosto 2017 non ha più corrisposto nulla. La Bo. ha, poi, dichiarato che anche i versamenti successivi sono stati "molto sporadici e mai completi" e che dal marzo 2018 vi è stato "un grosso ammanco", in quanto il versamento è stato fatto nell'aprile 2021 (cfr. p. 6 del verbale stenotipico dell'ud. del 19/05/2023); sono trascorsi anni senza che l'imputato le abbia corrisposto il mantenimento per i figli. Il Fl., in ogni caso, non hai mai versato alcunché per le spese straordinarie (cfr. anche prospetti elaborati dalla parte civile e documentazione attestante le spese straordinarie sostenute dalla Bo. per i figli). La teste ha riferito che l'ex marito dal novembre 2011 si è trasferito a vivere in Brasile; all'inizio ha mantenuto qualche contatto telefonico, che è andato scemando col tempo, e fino al luglio 2014 non è più tornato in Italia. Da quel momento in poi ha fatto ritorno a casa qualche volta, nel periodo natalizio, ma non tutti gli anni, e dal gennaio 2019 non è più tornato. Il Fl. non ha mai tenuto con sé i figli dopo la separazione e li ha visti solo sporadicamente, nei periodi in cui rientrava in Italia ("il tempo che trascorreva con loro è sempre stato molto poco, nel senso che innanzitutto veniva a casa senza avvisare, quindi arrivava lui negli orari che più gli confacevano e poi magari li veniva a prendere ad ora di cena, li portava generalmente a mangiare dalla nonna o una pizza fuori e poi dopo due ore così... . ... saltava anche delle giornate, non è che essendo presente in Italia venisse tutti i giorni a trovarli" - cfr. p. 18 del verbale stenotipico dell'ud. del 19/05/2023). I ragazzi non sono mai andati in Brasile e l'ex marito li ha sentiti con qualche messaggio su W., una o due volte al mese, e, raramente, li ha chiamati al telefono °a volte si saltavano anche mesi, a volte magari una volta al mese, una volta ogni 2 mesi' - cfr. p. 18 del verbale stenotipico dell'ud. del 19/05/2023). Addirittura, il Fl. non ha mai risposto nemmeno alle mail che la Bo. gli invia ogni mese per aggiornarlo sulla situazione dei figli (cfr. anche mail inviate dalla Bo. al F.). In merito all'attività lavorativa del Fl., la teste ha riferito di essere a conoscenza che l'ex marito da alcuni anni ha avviato una società con la nuova compagna e che è socio della società di famiglia E. s.a.s. (cfr. anche visura camerale in atti). La Bo. ha dichiarato di aver lavorato come docente di scuola primaria, come supplente fino all'anno scolastico 2020/2021, quando è passata di ruolo, e di aver dovuto far ricorso all'aiuto dei propri genitori per far fronte alle spese necessarie per i figli e per le esigenze di vita quotidiana. Il teste B.E., padre di Bo.Ha., ha riferito che la figlia, aveva un contratto di lavoro precario e che non riusciva a mantenere da sola i figli, anche per le cose essenziali. Il teste ha confermato che il Fl. dall'ottobre 2016 non ha versato gli assegni per i figli e che non ha mai pagato le tasse scolastiche. B.E. ha anche dichiarato di aver aiutato la figlia sia nella gestione dei figli sia economicamente, corrispondendole in media circa 700/800,00 Euro al mese. La teste Bo.Ma., madre di Bo.Ha., ha riferito che il Fl. "dal 2016 è sempre stato latitante? e che ha pagato l'assegno per i figli rarissime volte (cfr. p. 29 del verbale stenotipico dell'ud. del 19/05/2023). Lei e suo marito hanno cercato di aiutare e supportare la figlia H., anche economicamente, dandole dai 700,00 ai 1.000,00 Euro circa al mese. La teste ha anche confermato che il Fl. non si è mai occupato dei figli "nella maniera più assoluta" (cfr. p. 29 del verbale stenotipico dell'ud. del 19/05/2023). Il teste App. Sc. Ba.Vi., in servizio presso la Guardia di Finanza di Treviso, ha riferito in merito agli accertamenti svolti nel 2017 a carico del Fl., precisando che l'imputato non aveva presentato dichiarazioni dei redditi dal 2011 e che era socio della società E. s.a.s. dal 2017. La teste Ma.Di., madre dell'imputato, non ha saputo riferire con certezza in merito ad alcuna circostanza rilevante. Dalla documentazione in atti (cfr. provvedimenti emessi dal Tribunale civile di Treviso nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio) risulta, inoltre, che: - con decreto del 17/11/2011 del Tribunale di Treviso è stata omologata la separazione consensuale dei coniugi alle condizioni indicate nel ricorso, ovvero ponendo a carico di Fl.Lu. l'obbligo di corrispondere a Bo.Ha. a titolo di concorso al mantenimento per i tre figli la somma complessiva di Euro 1.500,00, oltre al 50% delle spese straordinarie; - con sentenza n. 1018/2020 del 15/07/2020 del Tribunale di Treviso, resa all'esito del procedimento di divorzio, è stato stabilito a carico di Fl.Lu. l'obbligo di corrispondere a Bo.Ha. a titolo di mantenimento per i figli Fl.Fi. e Fl.To. la somma complessiva di curo 1.000,00, oltre al 50% delle spese straordinarie. Risulta, inoltre, documentato (cfr. doc. n. 6 prodotto dalla parte civile all'ud. del 26/10/2022 - considerato il periodo di interesse nel presente procedimento, nei termini meglio precisati nel seguito), che l'imputato nell'agosto 2017 ha corrisposto alla Bo. l'importo di curo 400,00 e a gennaio 2018 l'importo di Euro 21.000,00. 3.1. Sulla base dell'esposto materiale probatorio, l'imputato va, in primo luogo, mandato assolto, ex art. 530 c.p.p., per i fatti contestati come commessi nei confronti di Fl.Sa. ai sensi dell'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. a far data dal 16/02/2017, perché i fatti non sussistono. Giova osservare, sul punto, che l'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. fa riferimento, per quanto in questa sede di interesse, ai discendenti di età minore o inabili al lavoro (sul punto, cfr. Cass, pen., Sez. 6, Sentenza n. 23581 del 13/02/2013 secondo cui in tema di delitti contro l'assistenza familiare, l'inabilità al lavoro che, ai sensi dell'art. 570, comma secondo c.p., impone al genitore l'obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta negli artt. 2 e 12 della L. n. 118 del 1971, come totale e permanente inabilità lavorativa). Ebbene, nel caso di specie, dall'istruttoria svolte è emerso che in data 16/02/2017 la figlia Fl.Sa. (soggetto non inabile al lavoro) ha raggiunto la maggiore età; sicché l'imputato va mandato assolto per le condotte contestate come commesse ai sensi dell'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. nei confronti di Fl.Sa. dopo il 16/02/2017. 3.2. Va, invece, affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine agli ulteriori reati allo stesso ascritti. Ebbene, giova essere premesso che in tema di reato permanente, la contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio con la formula "ad oggi" o "tutt'ora" delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell'accusa (cfr. sul punto, Cass, pen., Sez. 6, n. 7605 del 16/12/2016 - Rv. 269053-01); nel caso di specie, l'analoga contestazione "all'attualità" deve ritenersi delimitata alla data del 30/10/2018 - ovvero alla data di emissione del decreto penale di condanna opposto). Merita di essere osservato, inoltre, che, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, che in questa sede viene condiviso, la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l'assegno di mantenimento, integra esclusivamente il reato di cui all'art. 570, co. 2 n. 2 c.p., nel quale è assorbita la violazione meno grave prevista dall'art. 570 bis c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 9065 dell'8/02/2023, Rv. 284274 - 01); dovendosi, dunque, escludere che detti reati possano fra loro concorrere. 3.2.1. Tanto considerato, sussiste, in primo luogo, il reato di cui all'art. 570 co. 2 n. 2 c.p. Sul punto, va tenuto conto che, alla data del 30/10/2018, solo la figlia Fl.Sa. era divenuta maggiorenne, sicché il reato deve considerarsi commesso nei confronti dei figli minori Fl.Fi. e Fl.To. dal mese di ottobre 2016 sino al 30/10/2018 e nei confronti di Fl.Sa. dall'ottobre 2016 al 16/02/2017 (ovvero fino alla data di raggiungimento della maggiore età). È provato, infatti, che Fl.Lu., nel 2011 ha lasciato l'Italia, trasferendosi in Bo., non recandosi a far visita ai figli per anni, e ha fatto mancare, dall'ottobre 2016 sino al 30/10/2018 (con le precisazioni già svolte quanto a Fl.Sa., ovvero, nei suoi confronti fino al 16/02/2017), i mezzi di sussistenza ai figli minori Fl.Sa., Fl.Fi. e Fl.To.. Nello specifico, è emerso che l'imputato, dopo essersi allontanato dall'Italia, è rientrato solo di rado, nel periodo natalizio, limitandosi a vedere i figli per qualche ora, mantenendo con loro solo sporadici contatti telefonici, senza corrispondere quando loro dovuto a titolo di mantenimento ordinario né versando il proprio contributo per le spese straordinarie, avendo corrisposto all'ex moglie delle cifre irrisorie e del tutto insufficienti a far fronte ai bisogni primari; facendo così mancare loro i mezzi di sussistenza. Tanto considerato, merita di essere ricordato che, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei destinatari dei mezzi di sussistenza rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all'art. 570 co. 2 c.p., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore (cfr., ex multis, Cass. Pen., Sez. 6, n. 53607del 20/11/2014). Nel caso di specie, è emerso che Fl.Lu., allontanandosi da casa, dimostrando un (quasi) totale disinteresse per i figli e non fornendo loro alcun contributo economico, ha fatto mancare loro i mezzi di sussistenza, costringendo Bo.Ha. a ricorrere all'aiuto dei propri genitori per far fronte alle primarie esigenze del vivere quotidiano dei figli. Ne consegue che non ha alcun rilievo che, in tal modo, la Bo. sia riuscita a garantire i mezzi di sussistenza ai minori e che il Fl. abbia corrisposto circa 20.000,00 alla Bo. nel 2018, atteso che i figli hanno necessità di essere mantenuti quotidianamente, sicché la corresponsione in ritardo degli importi (parziali) non è sufficiente per mandare l'imputato esente da responsabilità. Né, in ogni caso, la difesa ha dimostrato un'incapacità economica dell'imputato stesso assoluta e duratura. Va osservato, infatti, che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (cfr. Cass. Pen., Sez. 6, n. 49979 del 09/10/2019). Ebbene, nel caso di specie, la teste di difesa Ma.Di. non ha apportato alcun contributo utile in tal senso ed il teste App. Sc. Bo. ha riferito che il Fl. non aveva presentato dichiarazioni dei redditi dal 2011 ma che era socio della società E. s.a.s. dal 2017. A ciò aggiungasi che la documentazione prodotta dalla difesa è risultata priva di alcun valore probatorio, trattandosi di prospetti non sottoscritti né datati e di dichiarazioni (di cui non è verificata la provenienza), dalle quali (in ogni caso) si evince solamente che il Fl. lavorava in Bo. con la nuova compagna e la stessa paga l'assicurazione sanitaria. Con ciò dovendosi escludere uno stato di sua assoluta indigenza ed emergendo, piuttosto, come l'imputato stesso abbia deliberatamente scelto di non corrispondere a Bo.Ha. le somme di denaro stabilite dal Tribunale civile di Treviso. Deve, quindi, essere affermata la penale responsabilità dell'imputato. 3.2.2. Quanto, poi, alla fattispecie di cui all'art. 3 della L. n. 54 del 2006 (ora art. 570 bis c.p.), richiamato quando suddetto in merito all'assorbimento di detta violazione nel reato di cui all'art. 570 c.p., l'imputato va ritenuto responsabile anche del reato di cui all'art. 570 bis c.p. esclusivamente per i fatti commessi ai danni di Fl.Sa. dal 16/02/2017 al 30/10/2018. È dimostrato, infatti, che Fl.Lu. ha violato gli obblighi di natura economica allo stesso imposti con decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi del 17/11/2011 del Tribunale di Treviso; non avendo corrisposto alla Bo. quanto dallo stesso dovuto a titolo di concorso al mantenimento della figlia Fl.Sa.. In particolare, dal mese febbraio 2017 fino all'agosto 2017 non ha corrisposto alla Bo. quanto stabilito dal Tribunale civile e così anche dal marzo 2018 in poi; l'imputato, quindi, si è sostanzialmente sottratto al proprio obbligo, risultando discontinuo nei pagamenti ed omettendo addirittura la corresponsione del dovuto per lunghi periodi di tempo. In merito, va evidenziato che in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il reato di cui all'art. 570 bis c.p., è integrato non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile, cosicché l'inadempimento costituisce di per sé oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza (cfr. Cass, pen., Sez. 6, Sentenza n. 4677 del 19/01 /2021 - Rv. 280396 - 01). I fatti contestati (art. 570, co. 2 c.p. e 3 della L. n. 54 del 2006 - ora 570 bis c.p.) all'imputato sono pacifici, essendo stati riferiti con puntualità da Bo.Ha.. Le dichiarazioni della Bo. hanno, poi, trovato pieno riscontro nella documentazione prodotta in dibattimento ed in quanto riferito dai testi B.E. e Bo.Ma., i quali hanno riferito in merito alle condizioni di difficoltà in cui si è trovata a vivere H. con i tre figli. Entrambi i testi Bo. e Bo. hanno dichiarato, inoltre, di aver aiutato la figlia nella gestione dei figli, sostenendola nell'organizzazione della vita quotidiana e corrispondendole rilevanti importi mensili (dai 700,00 ai 1.000,00 Euro circa). Non deve, infine, essere accolta l'istanza difensiva volta ad una pronuncia di assoluzione ex art. 131 bis c.p.; ai sensi di quest'ultima norma, infatti, la punibilità è esclusa quando l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. Sul punto, va condiviso l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p. è applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, a condizione che l'omessa corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera occasionalità (cfr. Cass, pen., Sez. 6, Sentenza n. 5774 del 28/01/2020 - Rv. 278213). Ebbene, nel caso di specie, non solo il Fl. è venuto meno agli obblighi sullo stesso gravanti per circa due anni, ma ha altresì commesso, come accertato in questa sede, due reati della stessa indole. Il comportamento dell'imputato deve quindi ritenersi abituale, non sussistendo, di conseguenza, i presupposti per l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. 4. Venendo al trattamento punitivo, non sono emersi elementi oggettivi e soggettivi idonei a consentire il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., valorizzando anzi negativamente il periodo prolungato di inadempimento degli obblighi sullo stesso gravanti ed il fatto che la Bo., in dibattimento, ha chiaramente riferito che l'imputato continua a non corrisponderle quanto dovuto. Va, inoltre, ritenuta la continuazione fra i fatti contestati in questa sede all'imputato, in quanto non solo sono stati posti in essere nel medesimo contesto spazio-temporale, ma anche risultano avvinti da un unico intento criminoso; a ciò aggiungasi che sono più i soggetti nei confronti dei quali l'imputato si è sottratto ai propri doveri, facendo mancare loro i mezzi di sussistenza. Stimasi, dunque, congrua, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., la pena di mesi cinque di reclusione ed Euro 500,00 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena è così determinata: pena base, considerato più grave il fatto di cui all'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. commesso ai danni del figlio minore Fl.To. (considerata la sua più giovane età), mesi tre di reclusione ed Euro 300,00 di multa; aumentata ex art. 81 cpv. c.p. per il fatto di cui all'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. commesso ai danni di Fl.Fi. a mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa; aumentata ex art. 81 c.p. per il fatto di cui all'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. commesso ai danni di Fl.Sa. a mesi quattro e giorni quindici di reclusione ed Euro 450,00 di multa; aumentata ex art. 81 c.p. con i fatti di cui all'art. 570 bis c.p.c.ommessi ai danni di Fl.Sa. a mesi cinque di reclusione ed Euro 500,00 di multa. La misura della pena base si giustifica in relazione al considerevole lasso di tempo in cui si è protratto l'inadempimento del Fl. (circa due anni), all'età del figlio minore e dell'importo che l'imputato stesso non ha corrisposto. Possono essere riconosciuti all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della sentenza, a fronte della sua incensuratezza e del fatto che, seppur in ritardo, l'imputato ha corrisposto alla Bo. l'importo di circa 20.000,00 Euro. Tuttavia, tenuto conto che l'imputato ha continuato ad omettere la corresponsione di quanto dovuto per il mantenimento dei figli, ai sensi dell'art. 165 c.p., la sospensione condizionale della pena va subordinata al pagamento della somma in questa sede provvisoriamente assegnata alla parte civile a titolo di risarcimento del danno, entro il termine di mesi sei dal passaggio in giudicato della presente sentenza. 5. Venendo alle questioni civili, va accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dalla costituita parte civile, Bo.Ha.. Il danno da risarcire è sostanzialmente quello morale derivante dalla sofferenza e dal patema d'animo scaturente dal fatto di aver dovuto far interamente fronte per anni ai bisogni primari dei figli, rimasti sostanzialmente privi del necessario sostegno economico del padre. Non essendo possibile determinare in questa sede il danno suddetto nel suo preciso ammontare, va riconosciuta una provvisionale pari ad Euro 3.500,00, da computarsi nella liquidazione in via definitiva. L'imputato va pure condannato al rimborso delle spese di lite a favore della costituita parte civile. Dette spese sono liquidate, come indicato in dispositivo, tenuto conto dei valori medi previsti, quanto alla fase di studio, dalla normativa all'epoca vigente e, quanto alle fasi introduttiva, istruttoria e decisionale dalla normativa attualmente vigente. Atteso il carico di lavoro del giudicante, si è ritenuto equo fissare in giorni novanta il termine per il deposito dei motivi. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve Fl.Lu. per i fatti contestati come commessi nei confronti di Fl.Sa. ai sensi dell'art. 570, co. 2 n. 2 c.p. a far data dal 16/02/2017, perché i fatti non sussistono; Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Fl.Lu. colpevole degli ulteriori reati allo stesso ascritti e, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena di mesi cinque di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 163 ss. e 175 c.p., applica all'imputato la sospensione condizionale della pena e ordina che non sia fatta menzione della sentenza di condanna nel certificato del casellario giudiziale. Visti gli artt. 538 ss. c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, Bo.Ha., da liquidarsi in separata sede civile, assegnando alla stessa, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, la somma di Euro 3.500,00, da computarsi nella liquidazione definitiva. Condanna l'imputato al pagamento delle spese di costituzione e difesa della predetta parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.569,00, oltre al rimborso forfetario al 15%, iva e cpa come per legge. Visto l'art. 165 c.p., subordina la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma in questa sede provvisoriamente assegnata alla parte civile a titolo di risarcimento del danno, entro il termine di mesi sei dal passaggio in giudicato della presente sentenza. Fissa in giorni novanta il termine per i motivi. Così deciso in Treviso l'11 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dott.ssa Carlotta BRUSEGAN Ha pronunciato la seguente SENTENZA Ai sensi art. 533 e 535 c.p.p. Nei confronti di: Tr.Vi., nato a C. (T.) il (...) DETENUTO P.A.C. - RINUNCIANTE A COMPARIRE IMPUTATO A) del reato di cui agli artt. 640 c.p. perché, con artifici e raggiri consistiti dapprima nel contattare Pa.Gi., persona offesa, presentandosi col nome di V. e dicendogli che era un ex carabiniere e che era interessato all'acquisto e poi nel consegnare a Pa.Gi. quale pagamento della barca Glastron Laraya matricola (...) munita di motore fuoribordo Evinrude e di carrello per trasporto, posta in vendita sul sito internet "Su." un assegno bancario provento di furto, induceva in errore la persona offesa che contando sulla autenticità dell'assegno consegnava l'imbarcazione e poneva all'incasso l'assegno, scoprendo che era provento del delitto di furto e che dunque non veniva pagato. Con tale condotta sì assicurava un illecito profitto del valore di 2.500,00 Euro (valore pattuito tra le parti) con pari danno della p.o. Con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In Treviso il 23.09.2016 B) del reato di cui all'art. 648 c.p. perché riceveva da persona ignota e consapevole dell'illecita provenienza l'assegno bancario n. (...) - 11 emesso dalla B.A. provento del delitto di furto denunciato da B.G. il 19.12.2013. Con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In Treviso, epoca successiva e prossima al 19.12. 2013. Con l'intervento del Pubblico Ministero Mi.Pe.; dell'Avv. Gi.Pa. del Foro di Padova, di fiducia IL PUBBLICO MINISTERO: ritenuta provata la penale responsabilità dell'imputato, chiede, ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, la condanna dello stesso alla pena, applicata la continuazione e considerato più grave il reato di cui al capo B), alla pena finale di anni due e mesi tre di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa. LA DIFESA DELL'IMPUTATO: chiede l'assoluzione per non aver commesso il fatto quantomeno ai sensi dell'art. 530, co. 2, c.p.p.; in subordine, chiede l'assoluzione per il reato di cui all'art. 640 perché il fatto non sussiste e per il reato di cui all'art. 648 c.p.p. l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato per carenza dell'elemento soggettivo; in ulteriore subordine, chiede la riqualificazione del fatto nell'art. 648, 4 co., c.p.p.; in ulteriore subordine, previa continuazione tra i reati e previa riqualificazione nella fattispecie di cui all'art. 648, co. 4, concesse le circostanze attenuanti di cui all'art. 62 n. 4 e le circostanze attenuanti generiche, disapplicata la contestata recidiva, chiede il minimo della pena e la concessione dei benefici di legge ove concedibili. MOTIVAZIONE 1. Tr.Vi. è stato tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 640 c.p. (capo A) e 648 c.p. (capo B), così come descritti nei capi d'imputazione. Dopo un rinvio (ud. 10/07/2019 per impedimento del giudicante), all'udienza del 7/11/2019, assente l'imputato, è stato disposto altro rinvio per il dibattimento. A far data dall'1/09/2020 il presente procedimento è stato assegnato a questo giudice. Dopo un rinvio (ud. 19/02/2021 per mancata traduzione dell'imputato detenuto), all'udienza del 13/10/2021 è stato dichiarato aperto il dibattimento. Nel corso dell'istruttoria è stata acquisita la documentazione prodotta dalle parti e sono stati sentiti i testi Pa.Gi., Pr.Ro. e Ia.Do. (ud. 27/01/2023). Infine, all'udienza dell'l1/10/2023 le parti hanno concluso come in intestazione. 2. Dall'istruttoria svolta è emerso quanto segue. La parte offesa Pa.Gi. ha riferito di aver pubblicato sul sito Su. un annuncio con il quale proponeva in vendita una barca Glastron Laraya (cfr. anche licenza di abilitazione e fotografie in atti) e di essere stato contattato in data 22/09/2016 da un tale V.. I due si sono, quindi, accordati per il prezzo di 2.500,00 Euro e per la consegna del natante a T., al parcheggio della trattoria A. A. di S. P.. La persona offesa ha, quindi, chiesto ad un amico (Pr.Ro.) di aiutarlo a trasportare la barca, prestandogli un gancio traino, ed il giorno dopo il P. si è così recato a Treviso con il P.. Arrivati sul posto, hanno trovato ad attenderli un signore (che ha detto loro di essere un ex Carabiniere), accompagnato da un altro giovane. Dopo aver preso un caffè assieme, hanno lasciato la barca all'uomo, il quale ha consegnato al P. un assegno ("Quindi gli lasciamo là la barca e mi fa: "Ti posso dare un assegno?". Dico: "Sì, non c'è problema ..." e me l'ha firmato davanti a me, me l'ha dato e ce ne siamo andati' - cfr. p.6 del verbale stenotipico dell'udienza del 27/01/2023). Dopo un paio di giorni, la parte offesa ha portato l'assegno in banca, presso l'U.P.S., venendo poi a sapere che l'assegno risultava rubato. Il P. si è, quindi, recato in caserma per fare la denuncia e, successivamente, non ha più avuto contatti con l'uomo. La parte offesa ha precisato che, in corso di trattative, aveva avuto contatti con l'acquirente anche su W. che questi gli aveva detto di essere originario di C.. Visionando in dibattimento l'album fotografico prodotto dal Pubblico Ministero, il P. ha individuato la persona che si era presentata come V. nel soggetto raffigurato nella foto n. 3 (corrispondente a Tr.Vi.). Il teste ha saputo anche ricordare che tale V. gli aveva detto al telefono di avere problemi alla vista, non riuscendo a tenere gli occhi aperti al sole, e che, quando si sono incontrati, era sotto la tenda del bar. Inoltre, l'uomo chiudeva continuamente gli occhi, sbattendo velocemente le palpebre. Il teste Pr.Ro. ha ricordato che il P. gli aveva chiesto di accompagnarlo con l'auto a Treviso, perché aveva venduto una barca e gli serviva il gancio traino. Giunti sul luogo dell'incontro, c'era un signore che li aspettava, con un ragazzo. Il teste ha confermato che il pagamento è stato fatto con un assegno, che poi non è risultato "buono" (cfr. p. 15 del verbale stenotipico dell'ud. del 27/01/2023). Visionando in dibattimento l'album fotografico prodotto dal Pubblico Ministero, il P. ha riferito che l'uomo che avevano incontrato assomigliava al soggetto raffigurato nella foto n. 3 (corrispondente a Tr.Vi.). Il teste ha ricordato anche che l'uomo aveva detto di dover andare a Trieste per una visita medica e di avere un problema alla vista ("una specie di granuloma diceva" - cfr. p. 17 del verbale stenotipico dell'ud. del 27/01 /2023). Il teste laquinto D., all'epoca dei fatti Brigadiere della Stazione dei Carabinieri di Piove di Sacco, ha riferito in merito agli accertamenti eseguiti. In particolare, il teste ha dichiarato che: - l'utenza telefonica (n. (...)) che aveva fornito il P. in sede di denuncia-querela e con la quale la parte offesa era stata contattata per la vendita della barca era risultata intestata a Tr.Vi. (cfr. anche scheda intestazione V.); - l'assegno che era stato consegnato al P. risultava rubato (cfr. anche copia assegno e protesto); in particolare, tale B.G. aveva denunciato avanti ai Carabinieri di Trebaseleghe in data 19/12/2013 di aver subito il furto di un carnet di assegni, fra i quali rientrava anche quello in oggetto (ovvero il n. (...) - cfr. anche denuncia di B.G.). Sono, altresì, in atti l'album fotografico sottoposto ai testi P. e P. in dibattimento nonché nota trasmessa dai Carabinieri di Piove di Sacco in data 9/10/2023 con allegato verbale di s.i.t. rese dal P., nel quale (si v. le ultime cinque righe) i Carabinieri di Piove di Sacco danno conto della corrispondenza della foto n. 3 a Tr.Vi. ("La Pa.Gi. ... indica che alla fotografia n. 3 corrisponde Tr.Vi."). È stata, poi, prodotta dalla difesa documentazione medica relativa all'imputato, dalla quale emerge che Tr.Vi. è "portatore di blefarospasmo palpebrale supcriore bilateralmente. 3. Sulla base dell'esposto materiale probatorio l'imputato va dichiarato colpevole dei reati allo stesso ascritti, nessun dubbio sussistendo circa la sua penale responsabilità. Quanto al capo A), è provato, infatti, che Tr.Vi. ha posto in essere un comportamento truffaldino consistito, nel rispondere in data 22/09/2016 all'annuncio di vendita su Su. della barca Glastron Laraya, pubblicizzato da Pa.Gi., dimostrandosi interessato all'acquisto, nel tenere contatti telefonici con il P. (presentandosi come V. ed utilizzando un'utenza intestata proprio a Tr.Vi.), nel concordare con la persona offesa il prezzo di acquisto in Euro 2.500,00 e le modalità di consegna del bene e nel ritirare poi, in Treviso, il giorno seguente, il natante, consegnando l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 2.500,00, poi risultato rubato; così impossessandosi della barca, senza pagarne il prezzo, e conseguendo in tal modo un ingiusto profitto con pari altrui danno. Tale condotta integra a pieno titolo il reato di truffa di cui all'art. 640 c.p.. Venendo, poi, al delitto di cui al capo B), come è noto configura il reato di ricettazione chi acquista, riceve ovvero occulta denaro o cose provenienti da un delitto o si intromette nel farle acquistare, ricevere ovvero occultare, col fine di procurare un profitto per sé o per altri. La circostanza che Tr.Vi. detenesse un bene oggetto di furto è pacifica, visto che in data 23/09/2016 lo stesso ha consegnato a Pa.Gi. l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 2.500,00; assegno risultato, poi, oggetto del furto perpetrato ai danni di B.G. e da quest'ultimo denunciato in data 19/12/2013. In ordine all'elemento soggettivo del reato, deve ritenersi sussistente la consapevolezza in capo all'imputato della provenienza delittuosa del bene, in assenza di una seria giustificazione in merito alla disponibilità dell'assegno da parte del Tr. stesso; il che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ha valenza di prova della conoscenza dell'illecita provenienza ai fini del reato di ricettazione (cfr. Cass. Pen., Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017; Sez. 2, n. 52271 del 10/11/2016; Sez. 2, n. 5404 del 12/06/1990). Certa è poi anche la individuazione dell'imputato quale autore del reato, atteso che sia il P. che il P. hanno riconosciuto l'uomo al quale è stata venduta la barca e che ha consegnato l'assegno nella foto n. 3, raffigurante Tr.Vi.. Inoltre, l'identificazione dell'imputato risulta ancor più certa, considerando che l'utenza telefonica utilizzata per contattare il P. è risultata intestata a Tr.Vi.. L'imputato, inoltre, è nato a C. e il P. ha ricordato che l'uomo presentatosi come V. gli aveva detto di essere nato proprio a C.. A ciò aggiungasi, infine, che entrambi i testi, su domande della difesa, hanno confermato che l'uomo dagli stessi incontrato aveva evidenti problemi alla vista (il P. ha affermato che l'uomo chiudeva continuamente gli occhi, sbattendo velocemente le palpebre). Problematiche che sono risultate perfettamente compatibili con quanto documentato dalla difesa stessa in merito alle condizioni di salute di Tr.Vi., il quale risulta "portatore di blefarospasmo palpebrale superiore bilateralmente. Né, in ogni caso, la difesa ha fornito una ricostruzione alternativa ai fatti per come dimostrati in dibattimento. 4. Venendo al trattamento punitivo, possono essere riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., tenuto conto delle condizioni di salute dello stesso. Sussiste la contestata aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale; che va applicata, atteso che i reati contestati in questa sede, se rapportati ai precedenti, costituiscono senza dubbio espressione di maggiore colpevolezza e pericolosità, considerato che le precedenti condanne a carico dell'imputato riguardano tutte analoghi reati contro il patrimonio e ve ne sono anche di divenute irrevocabili nei cinque anni antecedenti ai fatti per cui si procede. Le circostanze attenuanti generiche vanno ritenute equivalenti rispetto alla ritenuta aggravante; in particolare, il giudizio di prevalenza delle attenuanti è precluso dalla norma di cui all'art. 69, co. 4 c.p. Non deve essere, inoltre, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 648, co. 4 c.p., tenuto conto dell'importo indicato sull'assegno de quo. Va condiviso, infatti, l'orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui in tema di ricettazione, l'utilizzo, quale mezzo di pagamento, di un assegno bloccato a seguito di pregressa denuncia di smarrimento non integra di per sé l'ipotesi attenuata del reato, in considerazione della non negoziabilità del titolo per effetto del "blocco", poiché, in forza della letteralità e astrattezza causale del rapporto cartolare, è l'importo scritto sull'assegno a segnare il suo valore come strumento di pagamento (cfr. Cass, pen., n. 23768 del 14/04/2021 - Rv. 281911). Né deve essere riconosciuta, come richiesto dalla difesa, la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p., tenuto conto proprio dell'importo pattuito ed oggetto dell'assegno (2.500,00 Euro). Va ritenuto sussistente il vincolo della continuazione fra i reati contestati, ritenuto più grave il delitto di cui al capo B), in quanto non solo sono stati posti in essere nel medesimo contesto spazio-temporale, ma anche risultano avvinti da un unico intento. Sulla base dei parametri di cui all'art. 133 c.p., stimasi congrua la pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena è così determinata: pena base per il delitto di ricettazione anni due di reclusione ed Euro 900,00 di multa (la pena della multa è stata determinata in misura superiore al mimino edittale tenuto conto della tipologia e del valore del bene e dei precedenti da cui risulta gravato l'imputato); aumentata per la continuazione con il delitto di truffa ad anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa (aumento determinato tenuto conto della previsione di cui all'art. 81 ult. co. c.p.). I precedenti da cui risulta gravato l'imputato sono ostativi al riconoscimento allo stesso di qualsivoglia beneficio. Atteso il carico di lavoro del giudicante, si è ritenuto equo fissare in giorni novanta il termine per il deposito dei motivi. All'udienza dell'l1/10/2023 non sono stati resi gli avvisi di cui all'art. 545 bis c.p.p., non sussistendone i presupposti, atteso che l'imputato non era personalmente presente e che il difensore ha dichiarato di non avere idonea procura speciale. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato colpevole dei reati allo stesso ascritti e, ritenuta la continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., da ritenersi equivalenti alla contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Fissa in giorni novanta il termine per i motivi. Così deciso in Treviso l'11 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Penale di Treviso - Sezione Penale - Il Giudice - Dr.ssa Alice DAL MOLIN Ha pronunciato la seguente SENTENZA A seguito di dibattimento Nei confronti di: El.Gh., nato il (...) in M. - con domicilio eletto in S. M. di L. (P.), Via S.A. n. 60/2. LIBERO - ASSENTE IMPUTATO Del reato p. e p. dall'art. 73 c. 5 D.P.R. n. 309 del 1990 perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall'art.75 stessa legge, illecitamente deteneva 13,50 gr. lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e 41,70 gr. lordi di sostanza stupefacente del tipo hashish che avuto riguardo al peso lordo complessivo, al confezionamento frazionato e alle circostanze del reato (parte della sostanza era occultata sul pianale posteriore del veicolo e parte nello sportellino di ispezione della leva del freno a mano) appaiono destinati ad un uso non esclusivamente personale. Con la recidiva ex art. 99 co. 2 c.p. In Castello di Godego, il 9.4.2019. Con l'intervento del V.P.O. Dott.ssa Pa.Lo.; dell'Avv. An.Za. del Foro di Treviso, d'ufficio, assente, si dichiara sostituto l'Avv. Ma.Ca.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposta citazione a giudizio di El.Gh. per il reato in rubrica, all'udienza de09.03.2023, assente l'imputato e dichiarato aperto il dibattimento, venivano ammesse le prove. All'udienza dell'08.06.2023 veniva sentito il teste Gr. ed acquisita la documentazione prodotta dal pubblico ministero, che rinunciava all'audizione del teste D.. Esaurita I'istruttoria, si dava corso alla discussione e, all'esito della camera di consiglio, si dava lettura del dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE El.Gh. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 73 comma quinto del D.P.R. n. 309 del 1990, contestato come commesso il 09.04.2019, con l'aggravante della recidiva ai sensi dell'art. 99 comma 2 c.p. Le prove assunte nel corso del giudizio consentono di affermare la penale responsabilità del prevenuto. Il brigadiere Gr.Gi., all'epoca dei fatti in servizio presso il NORM dei Carabinieri di Castelfranco Veneto, ha riferito che in data 09.04.2019, alle 17.50, durante un'attività di controllo della circolazione stradale in corso in Via C. a C. di Gr. lui ed il collega De. avevano fermato una Nissan Micra con a bordo due persone, poi identificate in El.Gh. e Kh.Ma.. Mentre Gr. verificava i documenti dei due, il collega aveva notato all'intemo dell'abitacolo un involucro di cellophane contenente sostanza vegetale; insospettiti, avevano proceduto a perquisizione, che dava esito positivo, atteso che, come risulta anche dal relativo verbale in atti, venivano rinvenuti: - nel pianale dell'autovettura retrostante il sedile del conducente un pacchetto di sigarette con all'intemo un involucro di cellophane termosaldato contenente pietre di colore bianco, che il test speditivo rivelava essere cocaina (reperto n. 1); - nel cassettino di ispezione del freno a mano quattro ovuli termosaldati ed un contenitore di plastica contenenti sostanza che gli operanti ipotizzavano essere hashish (reperti nn. 2 e 3). E stato acquisito il fascicolo fotografico raffigurante i reperti oggetto di sequestro e l'esito del narcotest. Il teste ha specificato che l'autovettura a bordo della quale viaggiavano K. e E.G. era di proprietà di quest'ultimo, che in quel frangente era alla guida; la successiva perquisizione effettuata presso l'abitazione di E.G. aveva dato esito negativo. Anche la perquisizione personale di Kh.Ma. dava esito positivo, atteso che nella sua disponibilità, all'intemo del cruscotto del veicolo, dal lato del passeggero, veniva trovato un involucro contenente 2,4 grammi di marijuana; per tale ragione al predetto veniva successivamente comminata la sanzione amministrativa di cui all'art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990. Le sostanze trovate nella disponibilità del prevenuto venivano successivamente sottoposte all'esame qualitativo e quantitativo presso il Laboratorio di Igiene Ambientale e Tossicologia Forense dell'Azienda Us., che quanto al reperto n. 1, oltre a confermare che si trattava di cocaina (peso netto 13,132 gr.), ne attestava una percentuale di principio attivo per una quantità assoluta pari a 10000 ± 700 mg., idoneo al confezionamento di n. 67 dosi medie singole, valore superiore di tredici volte rispetto al quantitativo massimo detenibile (v. rapporto di analisi in atti). Le analisi rivelavano inoltre che la sostanza di cui ai reperti nn. 2 e 3 era hashish (peso netto 37,562 gr.), contenente, complessivamente, principio attivo delta-9-THC per una quantità assoluta pari a 12900 ± 800, corrispondente a circa 516 dosi medie singole, superiore al quantitativo massimo detenibile. Il compendio probatorio in atti consente di ritenere pienamente provata la responsabilità penale dell'imputato in relazione al reato contestato. Com'è noto, il superamento dei limiti tabellari, di per sé solo, "non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base di ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione (la pluralità e diversità di sostanze detenute, la sproporzione tra le possibilità economiche dell'imputato e una siffatta scorta, la divisione in dosi, il possesso del bilancino di precisione) siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (tra le tante, Cass. Pen., Sez. IV, 10.12.2019 - 08.1.2020 n. 265). In applicazione del citato indirizzo ermeneutico, si ritiene di non poter aderire alla tesi della difesa, che ha invocato l'applicazione dell'art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990, atteso che da molteplici elementi sintomatici della destinazione allo spaccio delle sostanze stupefacenti rivenute nella disponibilità del prevenuto. Oltre al dato oggettivo del superamento dei limiti tabellari, tali elementi si ravvisano nel fatto che l'imputato è stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti di diversa qualità, in un quantitativo certamente eccessivo rispetto ad un consumo esclusivamente personale; significativo è del pari il fatto che all'atto del controllo E.G. stava transitando lungo la pubblica via portando con sé cocaina e hashish, suddivise in più dosi - dunque prontamente cedibili a terzi acquirenti - custodite in contenitori ed involucri appositamente occultati all'intemo di parti dell'abitacolo dell'autovettura. Alla luce di tali plurime e concordanti circostanze dell'azione, globalmente valutate, ed in difetto di qualsivoglia elemento a sostegno della tesi difensiva, risulta provata al di là di ogni ragionevole dubbio la destinazione delle sostanze stupefacenti ad un uso non esclusivamente personale. Va ora determinata la pena. Preliminarmente si ritiene di escludere la recidiva contestata ai sensi dell'art. 99 c. 2 c.p., in quanto facente riferimento ad un precedente per ricettazione risalente al 2015, delitto di indole diversa rispetto al quale il reato oggetto del presente giudizio non costituisce manifestazione di una maggiore pericolosità sociale dell'imputato. Richiamati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si reputa equo contenere la pena nel minimo edittale e, pertanto, condannare l'imputato a mesi sei di reclusione ed Euro 1.032,00 di multa. Pena sospesa e non menzione. Segue come per legge la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. Confisca e distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara El.Gh. colpevole del reato ascritto e, esclusa la contestata recidiva, per l'effetto lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.032,00 di multa. Pena sospesa e non menzione. Confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro. Motivazione riservata per giorni quaranta. Così deciso in Treviso l'8 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TREVISO SEZIONE PRIMA CIVILE in composizione monocratica, in persona del dott. Alberto Barbazza, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio iscritto al R.G. n. 155/2020 promosso da (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Fr.Se., per mandato depositato unitamente all'atto di citazione, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Montebelluna (TV); - ATTRICE - contro (...), rappresentato e difeso dall'avv. Al.Ca., come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Villorba (TV); - CONVENUTO - e con la chiamata in causa di SOCIETÀ (...) DI (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Pi.Ca., giusta procura depositata telematicamente contestualmente alla comparsa di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Treviso; - TERZA CHIAMATA - CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE ex art. 132, comma secondo, n.4), cod. proc. civ. Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) S.r.l. (in avanti anche solo "Immobiliare" per brevità) conveniva in giudizio (...) al fine di sentirlo al condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di asseriti errori contenuti nella perizia di stima di immobile, eseguita da quest'ultimo e depositata in data 11 marzo 2010, avente ad oggetto l'immobile sito in Ponzano Veneto (TV), identificato al catasto terreni foglio (...), MN. (...), (...), (...), (...), (...) e, medesimo foglio, MN. (...), (...), (...), (...), (...). In particolare, l'attrice dichiarava di essere stata aggiudicataria dell'immobile in oggetto in seno alla Procedura Fallimento (...) S.r.l., iscritta a R.G. n. 231/2009 presso il Tribunale di Treviso e di essere venuta a conoscenza, nel tempo intercorso tra l'aggiudicazione e l'atto di trasferimento di proprietà mediante rogito notarile, che l'immobile era parzialmente abusivo e che sullo stesso risultava una morosità di oneri (rientrati nella categoria di obbligazioni propter rem) di urbanizzazione di cui la ditta fallita era debitrice. Il bando d'asta veniva redatto sulla scorta della perizia espletata dal (...), nella quale non erano menzionati i predetti vizi. In considerazione di ciò, l'odierna attrice si trovava costretta ad istruire un'istanza di sanatoria con costi pari ad Euro 7.455,00, versandone poi i relativi importi - Euro 9.355,72 - liquidati dal Comune di Ponzano Veneto (TV) a titolo di sanzione, a saldare gli oneri urbanistici per Euro 6.151,29, a sostenere ulteriori spese per la verifica topografica dello scostamento di sedime (Euro 1.298,20), nonché a ritardare la stipula del rogito di 18 mesi quando l'immobile era già stato promesso in vendita a terzi. L'immobiliare, inoltre, dava atto di aver informato dei vizi e delle difformità de quibus la Procedura Fallimento (...) S.r.l., con la quale veniva instaurata una trattativa che culminava nel riconoscimento dell'importo da parte di quest'ultima di Euro 5.000,00 a titolo di incentivo al completamento della procedura di vendita. L'attrice quantificava in Euro 2.553,92, oltre Iva, le spese legali resesi necessarie per addivenire ad un accordo con il Fallimento. Pertanto, ritenendo che l'odierno convenuto avesse operato in modo negligente e con imperizia, l'Immobiliare lo invitava a prendere parte a procedura di negoziazione assistita volta a comporre la lite in via stragiudiziale, ma questo non vi partecipava. Per l'effetto, l'Immobiliare si rivolgeva all'intestato Tribunale chiedendo la condanna del (...) al risarcimento danni patrimoniali subiti, consistiti nei maggiori costi ed oneri, nonché nel ritardo di immissione dell'immobile nel mercato, quantificati nella somma complessiva di Euro 39.814,13. Con comparsa di costituzione e risposta del 27 luglio 2020 si costituiva in giudizio (...), contestando quanto dedotto ed argomentato dalla controparte. Specificamente, negava gli fosse addebitabile qualsiasi responsabilità circa la sussistenza di vizi o difformità sull'immobile, in quanto egli aveva agito in seno alla Procedura di Fallimento in veste di coadiutore e, pertanto, nella sfera di responsabilità del Curatore ai sensi dell'art. 32, comma 2 L.F. Inoltre, dichiarava che il quesito posto alla base della perizia espletata non comprendeva l'esecuzione di rilievi strumentali per l'accertamento del posizionamento del fabbricato; che la perizia veniva eseguita sulla base del Piano degli Interventi approvato dal Comune di Ponzano Veneto al tempo della perizia, che subiva successive modifiche; che, in ogni caso, l'accordo concluso con il Fallimento avrebbe avuto natura transattiva e, per l'effetto, alcuna somma ulteriore avrebbe potuto essere richiesta al professionista incaricato. Il (...) contestava le pretese di parte attrice anche sul punto quantum debeatur. Infine, chiedeva di essere autorizzato alla chiamata in causa della propria Compagnia assicuratrice. All'udienza del 17 settembre 2020 il Giudice ammetteva la chiamata in causa richiesta da parte convenuta e rinviava la causa all'udienza del 14 gennaio 2021. Con comparsa di costituzione e risposta del 12 gennaio 2021 si costituiva in giudizio Società (...) (in proseguo anche solo "Assicurazione"), aderendo alle difese svolte dal (...), nonché contestando l'ammissibilità e la fondatezza in fatto e diritto delle domande di parte attrice. Confermava l'operatività della polizza invocata dal convenuto, nei limiti e alle condizioni dalle stesse previste. All'udienza del 14 gennaio 2021, il Giudice designato, rilevato l'oggetto della causa (domanda di risarcimento danni fondata sulla asserita responsabilità professionale del convenuto) e considerato si trattasse di controversia tabellarmente assegnata ad altra Sezione, disponeva la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale per la riassegnazione. Con Provv. del 21 gennaio 2021 il Presidente riassegnava la causa al presente Giudice. All'udienza dell'11 febbraio 2021 comparivano le parti, che si riportavano ai propri atti e contestavano le deduzioni avversarie; concordemente chiedevano la concessione dei termini per il deposito di memorie istruttorie. Il Giudice, preso atto, assegnava i termini di cui all'art. 183, comma sesto cod. proc. civ. e rinviava la causa all'udienza dell'8 luglio 2021 per l'ammissione delle istanze istruttorie. Il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava all'udienza del 24 novembre 2022 per la precisazione delle conclusioni. A tale udienza, le parti precisavano le proprie conclusioni e chiedevano la concessione dei termini ex art. 190 cod. proc. civ. All'esito, il Giudice assegnava i termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche e tratteneva la causa in decisione. 1. Sulle domande formulate da parte attrice. La domanda risarcitoria formulata da parte attrice deve essere rigettata. Il primo comma dell'art. 107 l. fall. stabilisce che "Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati". Inoltre, il secondo comma dell'art. 87 l. fall. dispone che "Il curatore, quando occorre, nomina uno stimatore". Dal combinato disposto di queste due norme, si deduce chiaramente che il Curatore deve servirsi di un esperto per la stima dei beni che non siano di modesto valore e che lo stimatore è nominato dal Curatore. Sul punto, l'art. 25 l. fall. non attribuisce al Giudice delegato tale potere, posto che l'unica fattispecie assimilabile è quella di cui al n. 4 del primo comma della menzionata norma, per la quale il Giudice "su proposta del Curatore, liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito alle persone la cui opera è stata richiesta dal medesimo curatore nell'interesse del fallimento". Nel caso di specie, la nomina avveniva attraverso un provvedimento del Giudice delegato (cfr. doc. 12 parte convenuta), su istanza del Curatore, che non sarebbe necessaria per la nomina di uno stimatore. Da ciò, deve desumersi che la nomina avveniva ai sensi e per gli effetti degli artt. 32 e 41, comma quarto, l. fall., in mancanza del comitato dei creditori, e che, dunque, (...) assumeva la veste di coadiutore. A norma dell'art. 32, secondo comma, l. fall., il coadiutore opera sotto la responsabilità del Curatore. Circa l'interpretazione da assegnare a tale disposizione, la giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che: "Il coadiutore della curatela fallimentare,nominato ai sensi del secondo comma dell'art. 32 legge fall., svolge prestazioni d'opera integrative dell'attività del curatore, in posizione subordinata rispetto a tale organo della procedura concorsuale; il curatore, pertanto, risponde a titolo di "culpa in vigilando" degli eventuali errori commessi dal coadiutore nell'espletamento delle attività affidategli" (cfr., da ultimo, Cass. 3 maggio 2018, n. 10513). Da tale assunto consegue che tra il Curatore e i tecnici eventualmente nominati per la stima dei cespiti coinvolti nella procedura di fallimento sussiste un rapporto di responsabilità solidale in relazione alle operazioni peritali svolte. Pertanto, la fattispecie in esame rientra nell'ambito di applicabilità dell'art. 1304 cod. civ., che prevede la facoltà per il condebitore solidale che non abbia partecipato alla transazione, di potersi avvalere della stessa, laddove abbia avuto a riguardo l'intero debito solidale. Nel caso de quo, l'accordo transattivo - che si concludeva con la previsione di un contributo, pari ad Euro 5.000,00, a carico del Fallimento a fronte dei maggiori oneri e costi a carico dell'acquirente Immobiliare - aveva ad oggetto l'intero prezzo versato per l'acquisto all'asta dell'immobile di cui si controverte e i medesimi vizi contestati nel presente giudizio (cfr. docc. 4 e 16 parte convenuta). In relazione all'efficacia dell'accordo transattivo, a nulla rileva l'interpretazione oggi conferita allo stesso dall'Immobiliare (la somma sarebbe stata concessa dal Fallimento "al solo titolo di incentivo al completamento della procedura di vendita e di rinuncia alla opzione ancora più dannosa ed incerta di una lite giudiziaria, che avesse ad oggetto la revoca dell'aggiudicazione per difformità e vizio del bene" (cfr. pag. 5 atto di citazione), in quanto nella proposta di transazione presentata dall'odierna attrice si legge: "(...) chiede al Fallimento di confermare (...) e quindi di corrispondere l'importo di Euro 5.000,00 a titolo di definitiva chiusura di ogni e qualsiasi contenzioso nei confronti del Fallimento" (cfr. doc. 4 parte convenuta); medesima formula è riportata sulla richiesta di autorizzazione formulata dal Curatore (cfr. doc. 16 convenuto). Pertanto, la domanda di parte attrice deve essere rigettata. 2. Spese di lite. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022 - con una riduzione sugli importi previsti per la fase istruttoria del processo, essendo essa consistita nel solo deposito di documenti e per la fase decisoria in quanto difettando un'istruttoria complessa sono state solo riepilogate le impostazioni iniziali delle parti - seguono la soccombenza e, pertanto, nei rapporti tra attrice e convenuto devono essere integralmente rifuse da (...) S.r.l. a (...). L'attrice deve essere condannata altresì all'integrale refusione delle spese di lite sostenute dalla terza chiamata Società (...), liquidate come in dispositivo in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022 - con una riduzione sugli importi previsti per la fase istruttoria del processo, essendo essa consistita nel solo deposito di documenti e per la fase decisoria in quanto difettando un'istruttoria complessa sono state solo riepilogate le impostazioni iniziali delle parti, in quanto la chiamata in causa della stessa è stata necessitata dall'azione promossa e rigettata nei confronti del suo assicurato, odierno convenuto, (...). Infatti, in tema di spese giudiziali sostenute dai terzi chiamati in garanzia, una volta rigettata la domanda principale, il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, in applicazione del principio di causalità, e ciò anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, in quanto il rimborso delle spese processuali sostenute da chi sia stato chiamato in garanzia dal convenuto, legittimamente viene posto a carico dell'attore, ove questi risulti soccombente nei confronti del convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia e sempre che non risulti soccombenza del chiamato ovvero del chiamante (cfr. Cass., 18205/2007, Cass. 7674/2008). P.Q.M. il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in persona del dott. Alberto Barbazza, disattesa ogni altra domanda, eccezione o istanza, definitivamente pronunciando, così provvede: - Rigetta la domanda proposta dall'attrice; - Condanna (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 5.700,00, oltre spese generali, IVA e CPA se dovuti per legge, in favore del convenuto (...); - Condanna (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.900,00, oltre spese generali, IVA e CPA se dovuti per legge, in favore della terza chiamata Società (...) di (...), in persona del legale rappresentante pro tempore. Così deciso in Treviso il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.