Sentenze recenti Tribunale Trieste

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRIESTE Sezione Specializzata in materia di impresa Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Daniele Venier - Presidente relatore dott. Francesco Saverio Moscato - Giudice dott.ssa Monica Pacilio - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 706/2020 promossa da: (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. AN.BE. del Foro di Pordenone, indirizzo pec: (...) ATTRICE contro E. S.R.L. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. GI.TO. del Foro di Gorizia, indirizzo pec: (...) e (...) (C.F. (...) ), rappresentato e difeso dall'avv. EL.PI. del Foro di Udine, indirizzo pec: (...) CONVENUTI OGGETTO: "cause in materia di trasferimento di partecipazioni sociali" RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il 20-25.2.2020, (...) conveniva in giudizio (...) S.r.l. e (...), esponendo e documentando le seguenti circostanze di fatto. Con contratto preliminare dd. 27.06.2011 (doc. 4) (...) S.r.l., rappresentata dall'allora amministratore unico (...), si obbligava a vendere alla Società Agricola (...) S.r.l. (di seguito anche (...)), di cui era socia e presidente del consiglio di amministrazione l'attrice, dei fondi rustici e annessi fabbricati siti in Comune di Grado lungo la litoranea (...), condotti in affitto dalla promissaria acquirente in base a contratto stipulato il 1.1.2011 per la durata di un anno. Il preliminare indicava il prezzo in Euro 1.500.000,00, da pagarsi anche con l'intervento finanziario di ISMEA - Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare e prevedeva la corresponsione di una caparra confirmatoria di Euro 10.000,00 da parte di (...) e la successiva stipula del definitivo entro il termine del 31.12.2011. Le parti, non avendo stipulato il contratto definitivo entro il termine pattuito, conclusero in data 19.07.2012 un "atto di transazione e riconoscimento di debito" (doc. 5) con il quale era stato previsto: a) il riconoscimento del diritto di (...) a trattenere la caparra confirmatoria di Euro 10.000,00; b) l'impegno delle parti a concludere il contratto definitivo di compravendita entro il termine improrogabile del 31.07.2012; c) il riconoscimento, da parte di (...), di un debito nei confronti di (...) pari a complessivi Euro 378.214,16, di cui: i) Euro 265.714,16 a titolo di differenza tra il prezzo originariamente convenuto tra le parti e il prezzo che ISMEA aveva ritenuto di versare ai fini dell'acquisto dei fondi e immobili oggetto del preliminare; ii) Euro 60.000,00 a titolo di canoni di affitto arretrati; iii) Euro 52.500,00 a titolo di risarcimento danni per l'occupazione senza titolo dei medesimi fondi e immobili per il periodo successivo al 01.01.2012; d) la riduzione, "a saldo e stralcio", del predetto debito a complessivi Euro 320.000,00, da saldarsi in cinque rate annuali di Euro 60.000,00 ed un'ultima rata di Euro 20.000,00 a decorrere dal 20.12.2012; e) la risoluzione della transazione e il conseguente diritto di (...) a pretendere il pagamento dell'intero importo di Euro 378.214,16 in caso di mancata stipula del contratto definitivo di compravendita entro il termine ultimo del 31.07.2012 e/o in caso di mancato pagamento anche solo di una rata da parte di (...). Nella stessa data del 19.07.2012 (...) acquistava (v. atto di vendita con patto di riservato dominio a rogito del Notaio (...) di (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), doc. 7) i predetti fondi e immobili da ISMEA, la quale li aveva precedentemente acquistati da (...) (con atto a rogito del Notaio (...) di (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), doc. 6), rivendendoli immediatamente a (...) con rateizzazione del prezzo in 60 rate semestrali. Con scrittura privata di pari data (autenticata dallo stesso Notaio sopra indicato, con numeri di repertorio - (...), e raccolta - (...), immediatamente successivi; doc. 8), la (...), all'epoca socia con la partecipazione del 99% del capitale sociale di (...), cedeva al valore nominale una quota di Euro 1.000,00 (pari al 10% del capitale sociale) a (...) e una quota di Euro 4.100,00 (41% del capitale sociale) al (...). Infine, sempre il 19.07.2012 la (...) e il (...), in proprio nonché quale legale rappresentante di E., sottoscrivevano un atto, denominato "accordi parasociali" (doc. 9), con il quale il (...) ed (...) si obbligavano a vendere a valore nominale alla (...) le quote sociali di (...) appena trasferite, "a condizione che la società (...) S.r.l. abbia provveduto a saldare il proprio debito nei confronti della società (...) S.r.l., debito ammontante a Euro 320.000,00, come indicato nell'atto di transazione e di riconoscimento di debito dd. 19.07.2012, entro la scadenza del 20.12.2017 prefissata in quell'atto", con la precisazione che il mancato pagamento, anche solo di una rata, alle scadenze prefissate avrebbe comportato "la risoluzione di diritto del presente accordo". Con lettera raccomandata dd. 28.12.2012 (doc. 10) (...) comunicava a (...), a seguito del mancato puntuale pagamento della rata scaduta il 20.12.2012, la risoluzione della transazione dd. 19.07.2012. Ciò esposto, l'attrice, rilevando che il divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. si estende - secondo la consolidata giurisprudenza - anche alla cessione di bene con patto di retrovendita, stipulata a fini di garanzia, allegava che la cessione del 51% delle proprie quote sociali in (...) era stata effettuata in frode a tale divieto, al fine di assicurare l'attribuzione a titolo definitivo delle medesime quote ai creditori in caso di inadempimento di (...) alle obbligazioni contratte con l'atto transattivo stipulato contestualmente al medesimo atto di cessione quote e al patto di retrovendita oggetto degli accordi parasociali. Evidenziava che la funzione di garanzia dell'atto di cessione era stata esplicitata dalle parti nel patto di retrovendita sottoscritto contestualmente, e che il divieto in questione operava anche nell'ipotesi di trasferimento del bene al creditore da parte di un terzo (come era lei) e non del debitore (nella specie, (...)) e anche con riferimento a un debito non assunto contemporaneamente, ma precedentemente sorto e prorogato. Chiedeva quindi di dichiarare la nullità e/o l'invalidità dell'atto di cessione di quote dd. 19.07.2012 e, per l'effetto, di accertare e dichiarare la sua titolarità della quota di Euro 9.900,00, pari al 99% del capitale sociale, della Società Agricola (...) S.r.l.. 2. Si costituivano entrambe le parti convenute, che contestavano la domanda attorea, insistendo per il suo rigetto. 2.1 (...) S.r.l. sosteneva che una cessione conclusa a scopo di garanzia poteva considerarsi illecita per violazione del divieto di patto commissorio solo se connessa alla stipulazione di un contratto di mutuo, con la conseguenza che il prezzo pattuito e corrisposto per la cessione deve rappresentare in realtà la somma concessa a prestito ovvero rappresentare l'importo che il debitore deve restituire per un precedente debito contratto ed oggetto di proroga, sì che la cessione, di fatto, si concluda senza versamento del previsto corrispettivo, circostanze entrambe escluse nella specie, in cui il prezzo della cessione, pari a Euro 5.100,00 (e corrispondente, contrariamente a quanto sostenuto dall'attrice, al valore effettivo delle quote), nulla aveva a che vedere con l'importo del debito (Euro 320.000,00) a carico di (...). Era quindi escluso - proseguiva la convenuta - che essa potesse, con l'acquisto a carattere definitivo delle quote determinato dal mancato saldo da parte di (...) del debito, ottenere soddisfazione del proprio credito, e ciò anche a voler imputare - pur in mancanza di obbligo al riguardo - alla stessa (...) la partecipazione sociale, pari al 41%, del (...), soggetto terzo rispetto alla società. Difettava inoltre l'ulteriore presupposto del carattere commissorio dell'operazione, costituito dalla sproporzione tra l'entità del debito e il valore del bene dato in garanzia, posto che le quote sociali trasferite avevano un valore addirittura inferiore al debito garantito. L'infondatezza della ricostruzione giuridica operata dall'attrice era poi confermata - secondo la convenuta - dalla previsione, contenuta nel patto di retrovendita, che le quote, in caso di adempimento, sarebbe state rivendute al medesimo prezzo di acquisto, e dal fatto che, se la cessione delle quote sociali avesse dovuto rivestire funzione di garanzia commissoria, le stesse sarebbero state acquistate per intero dalla creditrice E., e non, per la gran parte da un soggetto terzo quale il (...). 2.2 Quest'ultimo allegava: che il patto di retrovendita non era collegato ad alcun contratto di mutuo, in quanto la somma versata per l'acquisto delle quote non costituiva erogazione di un prestito, ma corrispettivo per la vendita; che la cessione delle quote sociali, pur definitiva, non era satisfattiva delle ragioni creditorie di (...); che egli era estraneo al rapporto obbligatorio tra le due società, e attualmente neppure era più socio di E., non avendo quindi la (...) alcun interesse a fornire una garanzia a un soggetto terzo. 3. Disposto lo scambio delle memorie di cui all'art. 183, co. 6 c.p.c., la causa, in difetto di istanze istruttorie, è stata rimessa al Collegio, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle scritture conclusionali. 4. Secondo il consolidato orientamento della Cassazione, il divieto del patto commissorio, pur riferito dall'art. 2744 c.c. alle ipotesi di costituzione di ipoteca e pegno (e dall'art. 1963 c.c. all'anticresi), si estende a qualsiasi negozio venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando il trasferimento della proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito (v., tra le altre, Cass. 282/1974; Cass. 437/2009; Cass. 4262/2013). L'estensione dell'art. 2744 c.c. è, in particolare, giustificata, dall'esigenza, cui la norma è ispirata, di tutelare il debitore dal rischio di un approfittamento da parte del creditore, e di assicurare il rispetto della par condicio creditorum. Ciò che quindi rileva ai fini dell'operatività del divieto - è stato osservato - "è il profilo funzionale dell'operazione, nel senso che l'assetto d'interessi risultante dalle pattuizioni intervenute tra le parti dev'essere tale da far ritenere che il meccanismo negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento del bene al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, restando invece irrilevanti la natura obbligatoria, traslativa o reale del contratto attraverso il quale si realizza il predetto intento, il momento in cui l'effetto traslativo è destinato a realizzarsi, lo strumento negoziale destinato alla sua attuazione e la stessa identità delle parti che abbiano posto in essere i negozi preordinati al conseguimento del predetto risultato: al di fuori dell'ipotesi tipica contemplata dall'art. 2744 c.c., caratterizzata dalla costituzione in garanzia di un bene di cui il creditore è destinato ad acquistare automaticamente la proprietà in caso d'inadempimento, l'operatività del divieto è infatti subordinata alla configurabilità del negozio come mezzo per eludere tale norma imperativa, e quindi all'accertamento di una causa illecita, tale da rendere applicabile la sanzione di cui all'art. 1344 c.c." (Cass., sent. 8957/2014). 4.1 A seguito dell'autorevole intervento delle Sezioni Unite (v. sentenza n. 1611/1989), non sussistono più dubbi in ordine al fatto che anche la vendita con patto di riscatto o di retrovendita o sottoposta a condizione risolutiva (e non solo quella sotto condizione sospensiva, esplicita o implicita), se stipulata allo scopo di costituire una garanzia reale in favore del creditore, costituisca un mezzo per sottrarsi all'applicazione del divieto in esame. Al riguardo, è stato osservato che anche nella vendita con patto di riscatto lo scopo perseguito dalle parti è quello - vietato dall'ordinamento - di attribuire al creditore la proprietà del bene del debitore nell'ipotesi di mancato pagamento del debito, onde ricorre, anche in tal caso, l'esigenza di impedire al creditore l'esercizio di una coazione morale sul debitore (evidenziano le Sezioni Unite, con la pronuncia citata, che "in tale ipotesi ben poco rileva che le parti sottopongano il trasferimento ad una condizione risolutiva, in quanto si realizza pur sempre un onere per il debitore, identico a quello che la legge vuol evitare, allorché detta il divieto del patto commissorio, con la conseguenza che le due situazioni impongono allo stesso modo l'intervento della tutela legislativa in favore del debitore privato della libertà di contrattare"). E tale scopo di garanzia non costituisce soltanto motivo, ma assurge a causa del contratto, in quanto il trasferimento della proprietà trova obiettiva giustificazione nel fine della garanzia, causa inconciliabile con quella - di scambio - propria della vendita. 5. Ciò premesso, nella specie l'attrice ha allegato che la cessione, da parte sua, della complessiva quota del 51% di (...) a (...) (10%) e al (...) (41%), accompagnata dalla coeva stipulazione del patto di retrovendita, sia stata posta in essere in frode al divieto di cui all'art. 2744 c.c., essendo volta a garantire l'attribuzione a titolo definitivo delle quote sociali ai cessionari in caso di inadempimento della debitrice (...) all'obbligo di restituire la somma di Euro 320.000,00 a (...) in base all'atto di transazione dd. 19.7.2012. I convenuti, pur non contestando (il (...)) o riconoscendo ((...): "...anche la cessione di beni con patto di retrovendita cui può ricondursi quella che ci occupa ..."; pag. 3 della comparsa di risposta) la conclusione di un atto di cessione di quote con patto di retrovendita, sostengono che non per ciò solo risulti violato il divieto di patto commissorio. In particolare, gli elementi che smentirebbero la fondatezza della ricostruzione attorea sono costituiti, ad avviso dei convenuti: a) dalla mancanza di collegamento tra la cessione delle quote e un contratto di mutuo, o comunque tra il prezzo della prima e il debito di (...) nei confronti di (...); b) dalla non sproporzione tra ammontare del debito e valore dei beni dati in garanzia, posto che nel caso di specie il primo è addirittura superiore al secondo, non sussistendo quindi per il creditore il vantaggio - proprio del carattere commissorio - costituito dalla eccedenza della garanzia rispetto al credito; c) dalla previsione, contenuta nel patto di retrovendita, che in caso di adempimento le quote sarebbe state rivendute dai cedenti al medesimo prezzo, senza interessi; d) dal fatto che la gran parte delle quote venne ceduta dalla (...) al (...), soggetto terzo e distinto rispetto alla creditrice (...), e quindi al di fuori di una finalità di garanzia del debito. 6.1 Si osserva, quanto al primo degli elementi sopra indicati, che i convenuti hanno enfatizzato il collegamento, menzionato in alcune pronunce della Cassazione in tema di divieto del patto commissorio (v., ad es., Cass. n. 1075/2016), tra contratto di compravendita e contratto di mutuo, sostenendo che la violazione del predetto divieto sarebbe integrata nel solo caso in cui il prezzo di acquisto costituisca l'erogazione di un mutuo. Con la conseguenza che, non essendo stato concluso tra le odierne parti alcun contrato di mutuo, né comunque risultando il prezzo di acquisto delle quote sociali la dazione di un prestito, il divieto di cui all'art. 2744 c.c. sarebbe infondatamente invocato. In contrario, va rilevato che assume carattere commissorio l'accordo con cui il debitore destina in proprietà definitiva al proprio creditore un bene in garanzia per il caso di proprio inadempimento, sia con riferimento a un debito assunto contemporaneamente alla stipula dell'accordo (e quindi nel caso in cui il versamento del prezzo da parte del compratore non si configuri quale corrispettivo, ma come erogazione di un mutuo, fattispecie oggetto delle sentenze citate dai convenuti), sia con riferimento a un debito precedentemente sorto, che viene prorogato (in questi termini, v. Cass. 7882/1994). E' stato invero affermato che "l'illecita elusione del divieto di patto commissorio si determina anche quando la cessione del bene sia strumentale a fornire la garanzia di un debito anteriore, per l'adempimento del quale venga concessa una proroga e, cioè, venga individuato un nuovo termine" (Cass., ord. n. 20420/2020, che ha precisato che "ogni volta che l'adempimento sia suscettibile di avere luogo con effetto liberatorio per il debitore e al pagamento tempestivo, anche nel termine prorogato, si connetta la caducazione dell'obbligo di trasferimento dell'immobile, allora la disposizione del cedente o promittente non si caratterizza come libera determinazione ad alienandum, ma si pone nella prospettiva del recupero del bene a seguito dell'adempimento, in quanto la causa concreta del negozio ad effetti obbligatori o reali avente ad oggetto la cessione del bene non si rinviene in quella tipica di scambio, bensì in quella di garanzia, con la conseguente operatività del divieto di cui all'art. 2744 citato"). La conclusione di un mutuo contestualmente alla vendita del bene con patto di riscatto non costituisce dunque presupposto della violazione del divieto di patto commissorio, ma integra solo una delle forme nelle quali la violazione stessa può manifestarsi, accanto a quella rappresentata dalla cessione del bene strumentale a fornire la garanzia di un debito anteriore, per l'adempimento del quale venga concessa una proroga e, cioè, venga individuato un nuovo termine. Nella specie, con l'atto di transazione dd. 19.7.2012 (...) e (...) pattuirono proprio la proroga della scadenza del debito della prima, prevedendone l'adempimento rateale (in misura ridotta rispetto a quella originaria) in sei anni (v. art. 7). E, contestualmente, la (...), legale rappresentante e socia di (...), cedette la quota pari al 51% del capitale sociale di quest'ultima a (...) e al (...), con la pattuizione, contenuta negli "accordi parasociali" di pari data, del patto di retrovendita "a condizione che la società (...) S.r.l. abbia provveduto a saldare il proprio debito nei confronti della società (...) S.r.l., debito ammontante a Euro 320.000,00, come indicato nell'atto di transazione e di riconoscimento di debito dd. 19.07.2012, entro la scadenza del 20.12.2017 prefissata in quell'atto"". 6.2 In secondo luogo, non sono idonee a escludere il carattere commissorio dell'accordo neppure la dedotta non sproporzione tra l'ammontare del debito di (...) e il (preteso) valore delle quote sociali date in garanzia, nonché la previsione che in caso di pagamento del debito le quote stesse sarebbe state rivendute alla (...) al medesimo prezzo. L'eccedenza del valore dei beni in garanzia rispetto all'importo del debito è un elemento che può assumere valenza meramente indiziaria e sintomatica, ma non costitutiva del patto commissorio, dovendosi ribadire che ciò che rileva, ai fini della violazione del divieto, è il perseguimento - mediante il trasferimento della proprietà di un bene dal debitore al creditore, con patto di retrocessione - di uno scopo di garanzia, divergente da quello, tipico del negozio prescelto, di scambio. E - hanno affermato le Sezioni Unite con la citata sentenza n. 1611/1989 - "in situazioni del genere naturalmente la sproporzione fra il valore del bene dato in garanzia e l'importo del bene assume scarso rilievo, in quanto il divieto prescinde da tale circostanza". Come pure il divieto prescinde dal fatto che le parti abbiano convenuto che la rivendita del bene, prevista in caso di adempimento, avvenga al medesimo prezzo di cessione. 6.3 Quanto, infine, al fatto che la causa di garanzia della cessione delle quote non sarebbe configurabile, in quanto gran parte di esse (41%) venne ceduta non alla creditrice (...) (acquirente solo del 10%), ma a un soggetto terzo rispetto al rapporto obbligatorio, quale il convenuto (...), deve rammentarsi che "il divieto di patto commissorio si estende a qualsiasi negozio, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; poiché il collegamento tra negozi è configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti diversi purché legati da un nesso teleologico e dal comune intento delle parti di perseguire oltre all'effetto tipico di ognuno di essi anche un ulteriore risultato concreto derivante dal collegamento, di modo che i negozi si pongono in rapporto di reciproca dipendenza e le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro, è nullo il patto di vendita con patto di riscatto stipulato tra il mutuatario e un soggetto diverso dal mutuante allo scopo di costituire una garanzia dell'adempimento del primo nei confronti del creditore, in quanto, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'art. 2744 cod. civ., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa" (Cass., n. 7740/1999). La nullità colpisce quindi anche la cessione in favore del (...), pur non essendo costui creditore, qualora sussista collegamento tra detta cessione e il debito di (...) nei confronti di (...). E tale collegamento appare ricorrere, tenuto conto sia del fatto che la retrocessione delle quote cedute al convenuto è stata subordinata proprio all'adempimento del predetto debito, sia della carica, ricoperta all'epoca dal (...), di amministratore unico della creditrice (...) S.r.l. (v. visura CCIAA, pag. 21, doc. 3 di parte attrice). 7. Esclusa quindi la fondatezza degli argomenti addotti dai convenuti per negare il carattere commissorio dell'accordo, osserva il Collegio come, stipulando la cessione delle quote sociali con patto di retrovendita, le parti abbiano utilizzato un negozio lecito per conseguire il risultato concreto vietato dall'art. 2744 c.c.. In particolare, la causa concreta del negozio, da intendersi quale il concreto risultato economico perseguito dalle parti, risulta essere non quella di scambio, propria della cessione di quote, ma quella di garanzia reale atipica in relazione al debito di (...) verso E.. 7.1 In tal senso depone, in primo luogo, il nesso funzionale, addirittura esplicitato nei c.d. accordi parasociali, tra la vendita delle quote con patto di retrocessione e il pagamento del debito (preesistente, e il cui termine di scadenza fu prorogato) da parte di (...), essendo stato convenuto il definitivo trasferimento delle quote stesse alla creditrice (e a soggetto a questa collegato) in caso di inadempimento. E il nesso risulta ancor più evidente, ove si osservi che tutti gli atti della complessa operazione (transazione con proroga della scadenza del debito - cessione delle quote - patto di retrocessione) furono stipulati nel medesimo contesto temporale (19.7.2012). Gli effetti del trasferimento delle quote, apparentemente immediato, furono dunque condizionati al comportamento (adempimento) della debitrice, palesando in modo inequivocabile lo scopo di vincolare i beni ceduti a garanzia del debito. Né, in contrario, assume rilevanza la circostanza che i beni in garanzia siano stati offerti non dalla debitrice (...), ma da un terzo (la (...)) estraneo al rapporto di credito-debito, pacifico essendo che il patto commissorio è ravvisabile rispetto a più negozi tra loro collegati anche quando non sussista identità dei soggetti che abbiano stipulati i negozi stessi, sempre che tra le diverse pattuizioni sia ravvisabile un rapporto di interdipendenza e le stesse risultino funzionalmente preordinate allo scopo finale di garanzia (v. Cass. n. 9466/2004 e Cass. 23553/2020), elementi (l'interdipendenza e la preordinazione) qui non revocabili in dubbio, in quanto resi espliciti dalle parti nel patto di retrovendita, che menziona il debito di (...), subordinando al suo pagamento la rivendita delle quote alla (...) (v. anche Cass. n. 8624/1998, che ha affermato che "il negozio con il quale un terzo trasferisce al creditore la proprietà di un proprio bene a garanzia dell'adempimento del debitore è nullo in quanto volto a raggiungere lo stesso risultato economico che il legislatore ha inteso vietare con l'articolo 2744 c.c."). 7.2 In secondo luogo, il trasferimento delle quote ha comportato la costituzione di una posizione di garanzia provvisoria, in quanto suscettibile di evolversi, a seconda che la debitrice adempia o no. E "la provvisorietà costituisce un elemento rivelatore della causa di garanzia, e quindi della divergenza tra causa tipica del negozio prescelto e determinazione causale delle parti, indirizzata alla elusione di una norma imperativa, qual è l'art. 2744 cod. civ." (Cass. S.U. n. 1611/1989 cit.). 7.3 In terzo luogo, sussiste pure l'ulteriore indice, rivelatore della costrizione morale del debitore, delle condizioni di difficoltà economiche di (...), debitrice di (...) dell'ingente somma di Euro 378.214,16, ridotta in via transattiva a Euro 320.000,00. 8. Pertanto, avendo le parti concluso l'atto di cessione di quote sociali con patto di retrovendita per una causa di garanzia, anziché di scambio propria del negozio prescelto, e per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, di costituire in favore della creditrice una posizione di garanzia provvisoria idonea ad evolversi a seconda che la debitrice adempia o no l'obbligo di pagamento del debito, va dichiarata la nullità dell'atto stesso per illiceità della causa ai sensi dell'art. 1344 c.c., attesa l'elusione della norma imperativa dell'art. 2744 c.c.. 9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate d'ufficio (in difetto di allegazione della nota) come in dispositivo secondo il pertinente scaglione di valore (da Euro 1.100,01 a Euro 5.200,00, considerato il valore delle quote dedotto in contratto) e con applicazione dei valori medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 (aggiornati ai sensi del D.M. n. 147 del 2022) per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, e con riduzione per la fase istruttoria, essendosi quest'ultima limitata allo scambio delle memorie ex art. 183, co. 6 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara la nullità dell'atto denominato "cessioni di quote di società a responsabilità limitata", stipulato con scrittura privata autenticata dal Notaio (...) di (...), rep. n. (...) - racc. n. (...), in data (...), tra (...) quale cedente ed (...) S.r.l. e (...) quali cessionari, avente a oggetto la cessione alla prima della quota di nominali Euro 1.000,00, e al secondo della quota di nominali Euro 4.100,00 della Società Agricola (...) S.r.l. e, per l'effetto, accerta e dichiara che (...) è proprietaria della quota di Euro 9.900,00, pari al 99% del capitale sociale, della Società Agricola (...) S.r.l.; - condanna i convenuti, in via tra loro solidale, alla rifusione in favore dell'attrice delle spese di lite, liquidate in Euro 223,00 per esborsi ed Euro 2.339,00 per compensi, oltre spese generali, CPA e IVA ex lege. Così deciso in Trieste il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRIESTE - SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Trieste, Sezione civile, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Gloria Giovanna Carlesso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di secondo grado iscritta al n. 2883/2021 R.G. promossa con atto di citazione dd 12 ottobre 2021 DA (...) nata a C. (S.) il (...) (c.f.: (...)) e residente in (...), (...) del B. n. 3/1, rappresentata e difesa dall'Avv. Er.Ba., nello studio del quale in Trieste, via Cicerone n. 10 ha eletto domicilio per delega a margine dell'atto di citazione dd 11/10/19 - appellante - CONTRO (...) S.P.A. con sede in (...), Via (...) n. 4, in persona dei legali rappresentanti in carica pro-tempore Dott. (...) e Dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Lu.VE. presso lo studio del quale in Trieste, Via (...), è domiciliata e con comunicazioni da trasmettersi ai seguenti indirizzi FAX: (...) e PEC: (...) - appellata - (...) n. 26, T. (...) S.r.l., corrente in (...) (T.), via C. di (...) n.13 - appellati contumaci - avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del giudice di pace n. 377 del 25 agosto 2021-risarcimento danni da sinistro stradale. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) proponeva appello avverso la sentenza n. 377/2021 del Giudice di Pace di Trieste, che aveva respinto la domanda avanzata da (...) nei confronti di (...) SPA e del sig. (...) (nonché del proprietario del mezzo (...) SRL appositamente chiamato in causa) di condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del sinistro stradale occorso in data 17.10.2017, in località (...) (...) in quanto, atteso il riconosciuto concorso di colpa nella causazione del sinistro, la somma ricevuta ante causam a titolo di risarcimento del danno avrebbe dovuto essere considerata dalla medesima satisfattiva. Ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento, l'Attrice aveva esposto la dinamica del sinistro narrando, in fatto, che il 17 ottobre 2017 verso le ore 10.45, stava percorrendo la (...) 326 con direzione Slovenia/Trieste alla guida della vettura Opel Astra tg. (...), assicurata per la (...) con (...) SPA, unitamente a (...), in qualità di trasportato; che superato il valico italo-sloveno, aveva rallentato per entrare in un'area di sosta ed era stata tamponata dall'autocarro Mercedes, tg. (...), condotto da (...), di proprietà della (...) Srl ed assicurato per la (...) con (...) SPA; che a seguito dell'impatto il suo veicolo era stato gravemente danneggiato, tanto da richiedere un preventivo per riparazione di Euro 5.137,00 e lei stessa aveva riportato danni fisici che erano stati quantificati dal proprio consulente in termini percentuali di 3-4% di I.P. e in giornate di inabilità temporanea totale (1 giorno) e parziale (10 gg. al 75%, 10 gg. al 50% e 120 gg. al 25%) oltre a spese mediche; che considerato anche il danno morale (20%) e le spese legali, il danno ammontava a Euro 11.387,64, già detratti gli acconti ricevuti (in data 30.07.2019 Euro 1.824,00 e in data 10.06.2019 Euro 4.700,00); assumendo la responsabilità esclusiva del veicolo antagonista, i signori (...) e (...) - ai sensi rispettivamente degli articoli 149 e 141 Cod. ass. -avevano dunque promosso la causa davanti al giudice di pace di Trieste. 2. Con sentenza del 25 agosto 2021 n. 377 il Giudice di pace - sulla scorta della sentenza n.590/2018 del 29 novembre 2018 che aveva ricostruito la dinamica del sinistro, esaminando (e accogliendo) l'opposizione proposta dalla (...) avverso l'ordinanza ingiunzione della sanzione amministrativa di Euro 82,00 per violazione dell'art. 154 comma 1 CdS - , dichiarata la responsabilità concorsuale di (...) e della (...) e, quantificati analiticamente i danni materiali e non patrimoniali, aveva rigettato la domanda di risarcimento proposta, sulla base dell'assunto che gli acconti ricevuti dalla (...) avrebbero dovuto considerarsi satisfattivi del danno patito, comunque anche a sé imputabile; l'Attrice era stata perciò anche condannata a rifondere a (...) le spese del giudizio di primo grado. 3. Con l'appello ritualmente proposto, (...) chiede la riforma della sentenza n 377/2021 del GdP nella parte in cui detto giudice aveva ritenuto la responsabilità concorsuale dell'attrice in misura pari a quella individuata in capo al suo investitore nella causazione del sinistro occorsole il 17/10/17 e l'aveva condannata a rifondere le spese di lite alla convenuta e ne chiede la riforma nei termini di cui alla suestese conclusioni. 4. Costituitasi in giudizio con memoria depositata il 16 febbraio 2023, (...) spa si oppone all'appello, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado, evidenziando che l'appellane non aveva avanzato alcuna prova per testi idonea a confutare la ricostruzione della dinamica del sinistro ritenuta dal primo giudice. 5. Nella contumacia di (...) srl e di (...), affrontate le questioni di rito con ordinanza del 26 febbraio 2022, la causa, ritenuta matura per la decisione sulla base della documentazione già acquisita in primo grado, è stata trattenuta in decisione il 5 dicembre 2022 alla scadenza dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche sulle conclusioni delle parti sopra trascritte. 6. L'appello è infondato. L'appellante censura la sentenza di primo grado con un unico motivo di gravame afferente alla violazione di legge, sotto un duplice aspetto: 1) compressione del diritto di difesa per negata ammissione di offerta probatoria. 2) erronea applicazione dell'art. 2054, co. 2, c.c. avendo il GdP erroneamente ritenuto una presunzione paritaria di colpa nonostante spettasse al convenuto (ossia al veicolo tamponante) superare la presunzione di colpa a suo carico vertendosi in un caso di tamponamento e non di scontro. 6.1 Quanto al primo profilo, questo giudice con ordinanza del 26 febbraio 2023 - che per comodità si riporta - aveva osservato quanto segue: all'udienza celebrata davanti al giudice di pace il 13 ottobre 2020 veniva rigettata la richiesta dell'attore di un termine ex art. 320 c.p.c. trattandosi secondo il GdP di causa che poteva essere decisa sulla base dei documenti prodotti e di CTU medico legale; l'attore riproponeva la richiesta di concessione di un termine per articolare i capitoli di prova sull'an e sul quantum sia all'udienza del 14 aprile 2021, sia in sede di precisazione delle conclusioni (vds udienza del 15 luglio 2021) chiedendo di essere ammesso a provare le circostanze di cui ai capitoli da 1 a 3 dell'atto di citazione; nell'atto di citazione, peraltro, il procuratore attoreo si era limitato a chiedere l'interrogatorio formale del convenuto (...) che, a bordo dell'autocarro Mercedes targato (...), avrebbe violentemente tamponato l'autovettura Opel Stra targata (...)condotta da (...): mediante interrogatorio formale avrebbe voluto dimostrare (vds in particolare il capitolo 2) che la conducente (...) aveva rallentato la sua marcia in quanto intendeva accostarsi al margine destro della carreggiata dove poco più innanzi è sita un'area di sosta); con l'atto di appello avverso la sentenza del giudice di pace, l'attrice (...) ha censurato la decisione del GdP nella parte in cui ha riconosciuto lei stessa corresponsabile nella misura del 50% del sinistro avendo arrestato illegittimamente la propria autovettura (mentre il conducente dell'autocarro non aveva mantenuto la adeguata distanza di sicurezza); il GdP non avrebbe approfondito, a giudizio dell'appellante, le ragioni dell'arresto, dovuto ad esigenze della circolazione che l'attore avrebbe dimostrato sol che gli fosse stato concesso il termine per memorie istruttorie; chiede dunque, nelle conclusioni dell'atto di appello la riforma in parte qua della sentenza del GdP con la declaratoria della esclusiva responsabilità del sinistro in capo al (...) e la condanna di (...) a pagare la differenza (ossia la residua somma capitale di Euro 10.005,74, e in via (eventuale) istruttoria chiede di "ammettere parte attrice a formulare le prove" a mezzo di deposito di memoria istruttoria ad hoc, ove il giudice avesse dubbi sulla esclusiva responsabilità del sinistro in capo al V.. Costituitasi in giudizio, la (...) ritiene inammissibile la richiesta evidenziando che mai il procuratore attoreo aveva indicato nel giudizio di primo grado una prova per testi, né aveva reiterato istanze istruttorie nell'atto di gravame, di cui chiedeva comunque, anche per le altre ragioni articolate nella comparsa di costituzione, il rigetto. In sintesi si può osservare che il procuratore attoreo ha sempre riservato di poter articolare mezzi di prova (si presume) diversi e ulteriori rispetto ai capitoli 1, 2 e 3 dell'atto di citazione, con memorie istruttorie di cui non è stata consentita l'ammissione, avendo ritenuto il GdP sufficiente la documentazione in atti (oltre alla disposta CTU medico-legale): ed invero, sin dall'atto di citazione l'Attore si era limitato a chiedere l'interrogatorio formale del (...) (del tutto irrilevante, atteso il dato oggettivo del rallentamento della vettura da parte della (...), mentre le sue "necessità impellenti" (così nell'atto di appello), nulla hanno a che vedere con le "esigenze della circolazione" idonee a giustificare un arresto o un improvviso rallentamento; questo differimento delle richieste istruttorie - mai tempestivamente e compiutamente esplicitate - è contrario ai principi della concentrazione e immediatezza del giudizio davanti al GdP che, di certo, il giudizio di appello, anche in ragione dell'effetto devolutivo che gli è proprio, non può tradire. A questo giudice pertanto non resta che invitare le parti a precisare le conclusioni dovendo la causa essere decisa sulla base del materiale già ritualmente acquisito in primo grado. Viene dunque qui ribadito che la causa va decisa sulla base della sola documentazione in atti, già esaminata dal primo giudice. 6.2 L'appellante deduce un secondo profilo di violazione di legge da parte del GdP, l'avere cioè fatto erronea applicazione dell'art. 2054, co. 2, c.c. avendo erroneamente ritenuto una presunzione paritaria di colpa nonostante spettasse al convenuto (ossia al veicolo tamponante) superare la presunzione di colpa a suo carico vertendosi in un caso di tamponamento e non di scontro; a sostegno della propria tesi cita la recente massima della Suprema Corte secondo la quale : "in caso di tamponamento tra veicolo (e non, dunque, di scontro), esclusa l'applicabilità della presunzione di pari colpa tra i conducenti coinvolti,opera una presunzione di responsabilità a carico di chi era alla guida del veicolo che seguiva quello tamponato, il quale è gravato di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto del mezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili" (Cass. civ. 18708/21). Il motivo va esaminato e impone una valutazione del giudizio espresso dal primo giudice, attraverso la ricostruzione del sinistro così come emerge da tutti i documenti, già a disposizione del giudice di pace, in particolare dal verbale degli accertamenti eseguiti dalla (...) intervenuti nell'immediatezza, dalle informazioni rese dal teste oculare, il M.S. della Guardia di Finanza, che è stato fondamentale anche per la valutazione della violazione contestata alla sig. (...). E' interessante rilevare che mentre al conducente dell'autocarro ((...)) è contestato di aver violato l'art. 149 CdS (rispetto della distanza di sicurezza), la (...) risulta contestata la violazione dell'art. 154 1 e 8 comma CdS "per avere ella, conducente dell'autovettura targata (...) ... arrestato la marcia sulla corsia di marcia, senza motivo, omettendo di accertarsi di non creare pericolo o intralcio agli altri utenti, venendo tamponata da altro veicolo. Il GdP aveva annullato l'ordinanza ingiunzione all'esito del giudizio di opposizione (RG.883/2018 definito con sentenza n.590/2018 del 30 novembre 2018) ritenendo che l'illecito da contestare avrebbe dovuto essere l'art. 157 CdS e non l'art. 154 CdS; in motivazione si legge che "il maresciallo della GdF in servizio al valico di (...), (m.llo R.) constatò de visu che l'odierna ricorrente si era fermata, senza apparente motivo, sulla corsia di marcia, trascurando di accertarsi che tale condotta non originasse pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada; più avanti il GdP si spinge, anche valutando le diverse dichiarazioni rese dall'opponente e dal marito che viaggiava come trasportato (sig. P.R.A.), a qualificare la manovra della (...) come "arresto" (e non come fermata): avendo ella interrotto inopinatamente la marcia ...la sua manovra non è suscettibile di essere intesa come fermata, difettando sia la temporaneità della sospensione della marcia, che, infatti, non fu ripresa, sia la necessità di far salire o scendere persone, sia qualsivoglia altra plausibile esigenza. Nelle controdeduzioni del 7.7.2018 ... l'Organo accertatore da un latosottolinea l'inverosimiglianza della versione fornita dalla ricorrente, secondo cui ella rallentò in previsione di un arresto su una piazzola di sosta collocata più avanti, dall'altro propone come verosimile la ricostruzione che la ricorrente, accortasi di aver superato l'uscita dall'autostrada, abbia istintivamente arrestato la marcia sulla corsia deputata, appunto, alla marcia. Non deve sfuggire che nei rilievi della (...) l'incidente avviene a pochi metri dal cippo confinario, in particola a 11,70 metri dal cippo viene rilevato l'inizio della traccia di frenata lunga 5,80 mt dell'autocarro, mentre il veicolo della sig. (...) si arresta proprio sulla corsia di marcia e ha la ruota sinistra a soli 40 cm dalla linea di mezzeria, in altri termini, la (...), neppure accenna a un rallentamento e a una sosta a destra, ma si arresta sulla propria corsia. E lo fa improvvisamente. Il GdP nella sentenza impugnata (377/2021) dichiara di condividere la ricostruzione del sinistro e la qualificazione della condotta della conducente, data dal GdP con la sentenza n. 590/2018 ora citata, come "arresto" anziché come "fermata" e trae proprio da tale "manovra" il convincimento di un concorso di colpa della conducente del veicolo tamponato nella causazione del sinistro, dovendo a quel punto escludere, così scrive, la "riconducibilità esclusiva del sinistro in capo al sig. (...)": in particolare, l'incidente è stato provocato dal concorso delle condotte di ambedue i conducenti coinvolti: da un lato la signora (...) arrestò illegittimamente la marcia dell'autovettura (...), dall'altro il signor (...), alla guida dell'autocarro (...), omise di mantenere rispetto al veicolo che lo precedeva una distanza di sicurezza tale da permettergli l'arresto tempestivo e di scongiurare la collisione, così trasgredendo il precetto di cui all'articolo 149 comma 1 CdS e realizzando l'infrazione di cui al comma 4 della stessa norma. Nello stabilire, quindi, le percentuali di concorso di colpa, il giudice di pace ha ritenuto equivalente l'incidenza delle condotte dei due conducenti, stabilendo a carico di ciascuno il 50% di responsabilità (l'uso della parola equa nel contesto, non equivale affatto all'applicazione di un giudizio secondo equità, quanto all'espressione di un equilibrio nella valutazione della colpa). Orbene, si condivide con l'appellante il richiamo ai principi enunciati dalla Suprema Corte secondo la quale, nel caso di tamponamento, va escluso il richiamo all'art. 2054 cod. civ. perché operando l'art. 149 CdS vi è una presunzione de facto di responsabilità in capo al conducente del veicolo tamponante che ne può essere sollevato fornendo la prova liberatoria (in tal senso, chiaramente la massima citata dall'Appellante Cass. 18708/2021 e ancora Cass. 13703/2017; Cass. 6193/2014). Ma erra l'appellante nell'aver ritenuto che il giudice di primo grado avesse applicato la presunzione di colpa di cui all'art. 2054 comma 2 cod. civ. Anzi, proprio esordendo con l'escludere l'esclusiva responsabilità del conducente dell'autocarro, il giudice di primo grado pare aver seguito il corretto percorso logico preteso dal procuratore attoreo. Della presunzione di cui all'art. 2054 comma 2 cod. civ., invece, il giudice di pace non ha fatto applicazione né ha in alcuna parte ha richiamato detta norma (secondo la quale in caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli); egli, piuttosto, analizzando la dinamica del sinistro e ricercandone le cause, ha ravvisato in concreto una concorrente responsabilità di entrambi i conducenti, che si è preoccupato subito di descrivere: la signora (...), arrestando improvvisamente la marcia è diventata per l'autocarro che la seguiva un ostacolo improvviso alla circolazione e l'autocarro ha omesso di tenersi a un'adeguata distanza di sicurezza che gli avrebbe consentito una manovra di emergenza (come accostarsi di lato e prolungare la frenata) idonea a evitare l'impatto. Dunque, seguendo il percorso logico suggerito dall'Appellante, quello cioè della presunzione di colpa de facto in capo al (...) e della prova liberatoria da lui solo invocabile, non si potrà che giungere allo stesso risultato, convenendo cioè con il giudice di primo grado che la colpa da addebitare al (...) (conducente dell'autocarro) si attenua sensibilmente a fronte dell'arresto improvviso, quanto immotivato, del veicolo che lo precede, considerando che la (...) della (...) con l'improvvisa manovra di arresto si era trasformata in un vero e proprio quanto improvviso e inevitabile ostacolo alla circolazione. Soccorre infine a suggellare il corretto ragionamento del giudice di primo grado un'altra massima della Suprema corte che, dopo aver richiamato il principio della presunzione de facto, ravvisa la prova "liberatoria" proprio nella condotta del veicolo tamponato: In caso di tamponamento tra veicoli, la presunzione di pari colpa di entrambi i conducenti, di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., è superata, ex art. 149, comma 1, cod. strada, dalla presunzione "de facto" di inosservanza della distanza di sicurezza da parte del tamponante, sul quale grava l'onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il tamponamento è derivato da causa in tutto o in parte a lui non imputabile, che può consistere anche nel fatto che il veicolo tamponato abbia costituito un ostacolo imprevedibile ed anomalo rispetto al normale andamento della circolazione stradale. (Cass. 21 aprile 2016, n. 8051) Sulla scorta di tale riconosciuto concorso di colpa e dopo un calcolo estremamente puntuale e motivato del danno, patrimoniale e non patrimoniale, da risarcire, il GdP è pervenuto alla conclusione che il 50% della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno fosse stata già corrisposta, ante causam, dalla Compagnia ass. va. Da qui la pronuncia di rigetto della domanda proposta da (...), che va confermata da questo Tribunale in funzione di giudice d'appello. L'appello proposto viene pertanto rigettato. La condanna alle spese, nella misura indicata in dispositivo (in applicazione dei valori medi per le fasi introduttiva, di studio e decisionale), secondo il principio di soccombenza è posta a carico dell'appellante. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste, decidendo quale giudice di appello avverso la sentenza del Giudice di Pace n. 377 del 20 agosto 2021, nel procedimento iscritto al n.2883/2021 promosso da (...) Contro (...) SPA (...) (...) SRL Ogni altra istanza, deduzione, domanda ed eccezione disattese, così provvede: rigetta l'appello. Condanna l'appellante a rifondere a (...) spa le spese del giudizio che liquida in Euro 3.300,00, oltre 15% per spese generali IVA e CNA Così deciso in Trieste il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRIESTE Sezione civile - controversie del lavoro Il Giudice dott. Paolo Ancora, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 22/03/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa proposta da (...) ((...)) rappresentato e difeso dall'Avv.to Ma.Me.; ricorrente contro (...) S.P.A. ((...)), rappresentata e difesa dagli Avv.ti En.Mo. e Al.Lo.; resistente OGGETTO: Opposizione L. n. 92 del 2012 cd. Legge Fornero SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Come evidenziato nell'ordinanza impugnata in questa sede, con ricorso ex art. 1 c. 47 L. n. 92 del 2012 depositato in data 10.02.2022, (...) rappresentava di essere stato dipendente della convenuta dal novembre 2011 al 9.8.2021, quando era stato licenziato per motivi disciplinari. Rilevava di essere stato assegnatario di un alloggio in Tarvisio e che si era intestato le utenze per il riscaldamento, per l'acqua potabile e per la tassazione locale. Sosteneva che all'epoca era stato d'accordo con i responsabili sull'impossibilità di trasferire l'utenza (...) per l'esistenza di dispositivi elettronici di controllo, peraltro parzialmente riferentesi ad (...). Sottolineava che il giorno della sottoscrizione il superiore gerarchico aveva precisato ai colleghi che non era possibile separare i consumi. Precisava di avere ottenuto il riconoscimento di mansioni superiori con la sentenza del Tribunale di Trieste n. 205/17 e di non avere mai ricevuto addebiti disciplinari. Deduceva che il 27.4.2021 gli erano state formulate tre contestazioni, ed in particolare di non avere attivato a proprio nome il contratto di fornitura di energia elettrica, di non avere effettuato un collegamento elettrico abusivo e di non aver dato un'errata autorizzazione al taglio di un albero. Evidenziava di essersi difeso riferendo della dedotta impossibilità di attivazione, dell'insussistenza di allacciamenti abusivi e sostenendo la competenza del cantoniere nell'asportazione di piante, alla ricorrenza di determinate evenienze. Sottolineava che nel marzo 2021 i tecnici della resistente avevano tagliato tutti i fili e lui aveva attivato una propria utenza. Sosteneva che i fatti contestati non sussistevano, o comunque dovevano essere correttamente inquadrati e che il licenziamento, di fatto ritorsivo, era illegittimo o comunque abnorme rispetto al grado della presunta manchevolezza. Sottolineava che la sanzione era stata comminata in ritardo, dopo il termine di 90 giorni dall'invio della contestazione, come previsto dall'art. 73 co. 9 CCNL settore. Ribadiva l'impossibilità della divisione dell'utenza elettrica, esponeva di essere in attesa della prova dell'abusività e sottolineava l'accanimento incomprensibile per il taglio dell'albero che rientrava nelle sue competenze ai sensi dell'art. 94 CCNL. Precisava che il datore di lavoro doveva dimostrare la sussistenza del dolo e la ponderazione degli elementi che avevano portato al licenziamento anziché all'applicazione di una sanzione conservativa. Chiedeva, quindi, la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento dell'indennità prevista o in via subordinata, per mancanza della giusta causa o perché il procedimento era stato tardivo, sia per la contestazione che per la sanzione, il pagamento di un'indennità risarcitoria di 24 mensilità o di altro importo ritenuto di giustizia. Si costituiva in giudizio l'(...), che riportava la declaratoria dell'inquadramento del ricorrente e del suo preciso profilo e precisava che nel contratto di concessione era espressamente statuito che il concessionario era tenuto a sostenere le spese relative alla fornitura di energia elettrica. Rilevava che l'attore non era stato autorizzato a non pagare il consumo della corrente elettrica e che il sig. S. si era limitato a chiarire che c'erano nel magazzino delle apparecchiature e che il ricorrente doveva garantire l'accesso per la manutenzione delle stesse. Evidenziava che il 24.3.2021, a seguito di una segnalazione del capo nucleo, il direttore del centro ed il responsabile gestione rete Friuli Venezia Giulia, erano venuti a conoscenza del fatto che era presente un allacciamento alla rete elettrica del magazzino proveniente dalla casa in concessione al (...) e poi dell'abbattimento di un albero di alto fusto in circostanze non definite. Sottolineava che vi era stata una riunione di chiarimento con il ricorrente nel corso della quale lo stesso aveva ammesso di avere allacciato utenze personali alla rete elettrica del magazzino (...), di non avere mai pagato alcunché a titolo di consumo per l'energia elettrica della casa cantoniera e di avere autorizzato terzi al taglio dell'albero di proprietà dell'(...). Deduceva, quindi, di avere effettuato la contestazione disciplinare al ricorrente alla quale era seguito il licenziamento nonché la richiesta di rimborso spese e di risarcimento dei danni causati dall'allaccio abusivo alla rete elettrica del magazzino. Negava la tardività della sanzione posto che il provvedimento espulsivo era stato adottato prima del termine previsto dal CCNL, e tanto più non era tardiva la contestazione, in quanto il direttore competente ad irrogare la sanzione era venuto a conoscenza dei fatti il 7 aprile ed aveva spedito l'addebito il 27 aprile, in conformità con quanto previsto dall'art. 73 co. 2 CCNL. Sosteneva la proporzionalità della sanzione. Chiedeva il rigetto del ricorso e, in subordine, il riconoscimento di una mera tutela risarcitoria. La causa veniva istruita con l'acquisizione dei documenti e, quindi, discussa all'udienza del 23.03.2022 e decisa, con ordinanza di pari data, con il rigetto del ricorso. Con ricorso ex art. 1, comma 51, L. 28 giugno 2012, n. 92, il lavoratore impugnava l'ordinanza sopra menzionata sotto diversi profili. In primo luogo, premessa una ricostruzione del fatto in maniera analoga a quanto riportato nella precedente fase, il ricorrente rilevava che mai, in alcuna occasione, la parte datoriale aveva richiesto il pagamento di energia elettrica al lavoratore, perché l'impianto elettrico della casa occupata dal (...) non poteva essere fisicamente separato. Sarebbe dovuto essere onere di (...) concordare eventuali trattenute sullo stipendio ovvero altre modalità di corresponsione forfetarie. Dunque la relativa condotta era irrilevante disciplinarmente. Lamentava inoltre che il Giudice della prima fase avesse ritenuto non fosse autorizzato a far tagliare un albero pericoloso, ma il dipendente (...) inquadrato in livello B1, secondo l'art. 94 CCNL (...), poteva intervenire, anche a mezzo del personale dipendente, in tutti i casi di riscontrato pericolo per la circolazione, e dunque era piena facoltà del lavoratore, inquadrato nel livello B1, procedere alla recisione della pianta. Tale azione, inoltre non aveva provocato alcun danno diretto o indiretto ed aveva risolto un problema persistente. Quanto all'allacciamento abusivo contestato dal datore di lavoro insisteva sull'inesistenza dei fatti. Lamentava, inoltre come la parte datoriale, in data 25.3.2021, avesse aggirato l'art. 7 St. Lav. fingendo una riunione tecnica (che non aveva alcuna necessità di essere videoregistrata) al fine di mettere all'angolo il lavoratore, così che quest'ultimo aveva presenziato senza alcuna assistenza sindacale o legale. Di conseguenza, quanto riportato nell'allegato 9 del fascicolo di controparte, ovvero il file con la registrazione di quanto avvenuto in riunione, era completamente inutilizzabile. Rilevava ancora, che a tutto voler concedere, il datore di lavoro avrebbe dovuto applicare una, anche pesante, sanzione sospensiva, non espulsiva. Con memoria difensiva del 23.9.2022 si costituiva in giudizio (...) S.p.A., la quale evidenziava che con atto di concessione in uso del 18.9.2015 prot. (...) del 18/09/2015, il (...) aveva avuto in concessione gratuita l'utilizzo della casa cantoniera ubicata sulla S.S. n.54 "del Friuli" Km 93+800, Via G. 7-9, nel Comune di Tarvisio (UD) e che nell'indicato contratto, all'art. 11, erano espressamente poste a carico del concessionario le spese di energia elettrica. Contestava la convenuta che il (...) avesse ricevuto autorizzazione a non pagare il consumo della corrente elettrica dell'abitazione allo stesso concessa in uso e rilevava che il sig. S. si era limitato a chiarire che presso il magazzino dell'abitazione concessa in uso al (...) vi erano delle apparecchiature (...), mentre il sig. (...) si era reso disponibile a concedere l'accesso al magazzino per la manutenzione delle stesse. Evidenziava che in data 24 marzo 2021, a seguito di segnalazione a mezzo mail del Capo Nucleo, il Direttore di Centro, Ing. P.D.M. e il Responsabile Gestione Rete Friuli Venezia Giulia, Ing. C.C., erano venuti a conoscenza del fatto che risultava presente un allacciamento alla rete elettrica del magazzino (...) di T. che, dal suddetto magazzino arrivava alla Casa Cantoniera ubicata al km 93+800 della SS 54 del "Friuli", nel Comune di Tarvisio in Via G. 7-9, concessa in uso al sig. (...) in virtù dell'atto di concessione sopra menzionato. In data 24.03.2021, con comunicazione interna del Direttore di Centro, Ing. P. D.M., l'(...) era venuta a conoscenza dell'avvenuto abbattimento di un albero di alto fusto, in circostanze non definite, lungo la SS 54, al km 102 in direzione Slovenia, ubicato in prossimità della carreggiata stradale. In data 25.3.2021 il (...) era stato convocato per una riunione necessaria a chiarire i fatti e, previa acquisizione della autorizzazione da parte di tutti i partecipanti alla registrazione dell'audizione, la stessa era stata registrata. Nel corso di tale riunione era stato chiesto al (...) di fornire chiarimenti in merito all'allaccio abusivo, ed il lavoratore aveva ammesso di avere allacciato utenze personali alla rete elettrica del magazzino (...), e di aver proceduto in tal senso in quanto la corrente elettrica del magazzino era addebitata alla sede di (...) di (...). Contestava inoltre la convenuta, la circostanza, allegata in ricorso, per la quale la dott.ssa (...) avrebbe contattato il (...) per conciliare la vertenza mediante la corresponsione di un importo poco più che simbolico, in quanto la proposta di transazione era pervenuta dal (...), ed oltretutto era stata subordinata dallo stesso all'archiviazione del procedimento disciplinare. Deduceva ancora la resistente come il (...), nell'ambito della riunione del 25.3.2021, avesse chiarito che l'albero ad alto fusto era stato abbattuto nel pomeriggio del 26.02.2021 ad opera di terzi dallo stesso lavoratore autorizzati. In tale circostanza nulla era stato comunicato all'(...) e la convenuta era venuta a conoscenza del fatto perchè in data 27.2.2021, una squadra di manutenzione, che prestava servizio nella medesima tratta, aveva comunicato che in prossimità del km 102 della SS 54 - direzione Slovenia, la carreggiata era risultata danneggiata in seguito all'abbattimento. Rilevava la resistente che il (...) non aveva il potere di autorizzare il taglio di alberi di proprietà (...) e soggetti a vincolo, e per il cui abbattimento si sarebbe almeno dovuto dare comunicazione al comando forestale regionale. Inoltre il (...) aveva omesso di organizzare le operazioni di taglio dell'albero, ove necessario, garantendo la sicurezza della circolazione, aveva omesso di custodire il patrimonio boschivo dell'(...) e di assicurarsi circa il regolare smaltimento del legname. Nel corso della riunione del 25.3.2021, il (...) si era offerto di riparare personalmente i danni causati alla barriera (...), riconoscendo l'addebito. Tanto premesso in fatto, la ricorrente argomentava in ordine alla correttezza del proprio operato ed evidenziava che il modus operandi del (...) era stato dolosamente irrispettoso delle leggi, dei regolamenti e dei doveri d'ufficio ed aveva leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. L'ordinanza impugnata era del tutto corretta, anche perché il lavoratore, né in fase giudiziale né in fase stragiudiziale, aveva mai contestato di aver posto in essere le condotte per le quali era stato licenziato. La causa veniva istruita con la sola acquisizione della documentazione versata in atti dalle parti e decisa all'udienza del 22.3.2023. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso deve essere rigettato per i motivi che di seguito vengono illustrati. Come correttamente evidenziato dal Giudice della prima fase l'esistenza materiale dei fatti posti a fondamento del licenziamento impugnato non è contestata. Con riferimento alla mancata separazione materiale delle utenze, il ricorrente lamenta unicamente la circostanza di avere in passato evidenziato al datore di lavoro l'impossibilità fisica e tecnica di separare l'utenza dei locali dallo stesso occupati da quella a servizio del magazzino (...). La situazione successiva, nella quale poi la separazione delle utenze non era avvenuta ed il costo dell'energia elettrica consumata dal (...) era rimasto a carico di (...) per un costo complessivo di Euro 4.000,00, doveva essere attribuita alla responsabilità della società, rimasta inerte per lungo tempo. Tale assunto non è condivisibile. Va difatti evidenziato, che anche a voler ritenere sussistenti le problematiche tecniche relative alla separazione delle utenze ed anche dando per provata l'inerzia del datore di lavoro, il ricorrere di un obbligo contrattuale di provvedere al pagamento dei propri consumi (cfr. art. 11 concessione doc. 5 resistente) avrebbe dovuto indurre il ricorrente a porre in essere condotta affatto differente. E' stato difatti affermato dalla Corte di Cassazione, che l'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 cod. civ., dovendo integrarsi con gli arti. 1175 e 1375 cod. civ., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (Cass. nr 14176/2009). Inoltre è stato affermato che in tema di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 cod. civ., ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (Cass. n. 6957 del 2005; Cass. n. 2474 del 2008). Infatti gli artt. 2104 e 2105 cod. civ., richiamati dalla disposizione dell'ari 2106 relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata e si estenda a comportamenti che per la loro natura e per le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa (Cass. n. 3822 del 2011). E' dunque evidente che a fronte dell'obbligo contrattuale di provvedere al pagamento dei propri consumi, il lavoratore, in mancanza di accordi specifici con il datore di lavoro su come gestire la questione rimasta irrisolta, avrebbe dovuto attivarsi per definire la vicenda, e non porre in essere una condotta che appare contraria a buona fede, perché posta in essere in evidente profittamento dell'inerzia altrui. La condotta è dunque, non solo esistente, ma di indubbia rilevanza disciplinare. Quanto alla seconda contestazione, quella relativa all'abusivo allacciamento alla rete elettrica del magazzino proveniente dalla casa in concessione al (...), va preliminarmente evidenziato che, il lavoratore non ha mai effettivamente e specificamente contestato di aver posto in essere il fatto. Invero, a fronte delle emergenze fattuali contestate dal datore di lavoro, ed ovvero la semplice circostanza per la quale, a seguito di un controllo, era stato rinvenuto un cavo elettrico che collegava la casa cantoniera in concessione al ricorrente con il quadro elettrico di un prospiciente magazzino (...), parte attorea si è limitata apoditticamente ad affermare di non aver mai posto in essere il fatto, senza apportare argomentazioni che, a fronte di un fatto che per caratteristiche e modalità di commissione, chiamava in causa la sua personale responsabilità, potessero imporre un più stringente onere della prova a carico del datore di lavoro. Pur nella consapevolezza che l'argomentazione precedente appare dirimente, come peraltro ritenuto dal Giudice della prima fase, non va dimenticato poi, che il lavoratore, nel corso di una riunione tenutasi in data 25.3.2021 con il datore di lavoro, ha, con riferimento al fatto in questione, candidamente ammesso la sua responsabilità, e che tale confessione è agli atti, in quanto tale riunione è stata videoregistrata (all. 9 alla memoria difensiva). Parte ricorrente eccepisce l'inutilizzabilità del documento, in quanto nella circostanza il datore di lavoro avrebbe aggirato l'art. 7 St. Lav. fingendo una riunione tecnica (che non aveva alcuna necessità di essere videoregistrata) al fine di mettere all'angolo il lavoratore, così che quest'ultimo aveva presenziato senza alcuna assistenza sindacale o legale. Tale prospettazione non coglie nel segno. Ha stabilito la Corte di Cassazione che: "In tema di licenziamenti (come di altre sanzioni) disciplinari, non sono illegittime le indagini preliminari del datore di lavoro - volte ad acquisire elementi di giudizio necessari per verificare la configurabilità (o meno) di un illecito disciplinare e per identificarne il responsabile - purché all'esito delle stesse il datore proceda (ai sensi dell'art. 7, commi 2 e 3, della L. n. 300 del 1970) alla rituale contestazione dell'addebito, con possibilità per il lavoratore di difendersi anche con l'assistenza dei rappresentanti sindacali" (Cass. nr. 22367/2021; analogamente, Cass. n. 30679/2018). In linea con l'indirizzo giurisprudenziale sopra riportato, la Corte di Cassazione ha altresì precisato che, qualora il datore di lavoro riceva, nel corso delle indagini preliminari dirette ad accertare la commissione di un illecito disciplinare, la confessione spontanea da parte del lavoratore, non si configura alcuna violazione dell'art. 7 Stat. Lav. in ordine alla preventiva contestazione dell'addebito. Ciò, in quanto tale atto presuppone la conoscenza dei fatti e l'individuazione del soggetto cui attribuirli e, dunque la contestazione non può precedere, ma solo, eventualmente, seguire, il compimento e la valutazione degli accertamenti preliminari". Di conseguenza, va escluso che l'avvio delle indagini preliminari, durante le quali venga convocato il lavoratore, integri anche l'inizio del procedimento disciplinare a carico del medesimo (v. Cass. n. 11100/2006 e Cass. n. 772/2003). Anche su tale addebito, dunque la prospettazione attorea non è condivisibile. Il datore di lavoro ha infine contestato un terzo fatto al ricorrente, ovvero di aver proceduto al taglio di un albero di alto fusto in prossimità del km 102 della S.S. n. 54 - direzione Slovenia: -senza avvertire i superiori; -abusivamente, perché l'albero non costituiva un pericolo per la circolazione;ù -senza la necessaria preventiva autorizzazione degli organi preposti alla tutela del patrimonio boschivo, danneggiando la barriera laterale prospiciente la carreggiata; -senza adottare alcun accorgimento per la tutela della sicurezza della circolazione; -danneggiando, a seguito della caduta dell'albero la barriera laterale prospiciente la carreggiata. A fronte di tale articolata contestazione del datore di lavoro, il ricorrente si è difeso non contestando il fatto, peraltro ammesso durante la riunione del 25.3.2021 di cui sopra, ma rilevando che era sua piena facoltà procedere alla recisione della pianta, in quanto il dipendente (...) inquadrato in livello B1, quale quello di sua pertinenza, ai sensi dell'art. 94 CCNL dipendenti (...), "interviene, anche a mezzo del personale dipendente, in tutti i casi di riscontrato pericolo per la circolazione". Inoltre afferma il ricorrente, che la sua azione non avrebbe provocato alcun danno diretto o indiretto. Tuttavia, basta leggere le giustificazioni inviate dal lavoratore dopo la contestazione dei fatti in questione (doc. 11 allegato al ricorso), per cogliere l'infondatezza delle argomentazioni sopra riportate. Si legge, nella comunicazione del 27.3.2021, che la pianta è stata abbattuta perché creava problemi di visibilità per la realizzazione di alcuni lavori per il tracciamento delle linee di confine, mentre l'art. 94 CCNL dipendenti (...), prevede l'intervento del dipendente B1 "nei casi di riscontrato pericolo per la circolazione", fattispecie differente da quella che ha portato all'abbattimento della pianta. Quanto al danno causato dall'abbattimento dell'albero, il danneggiamento alla barriera è testimoniato dalle foto allegate alla contestazione del 24.3.2021 (doc. 8 memoria difensiva). Alla luce di quanto sopra, a parere dello scrivente ricorre, a fronte dei fatti contestati, una giusta causa di licenziamento, essendo stato affermato che "La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare,dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare" (Cass. 14235/12). Si è ancora affermato che "in tema di licenziamento per giusta causa, l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare clausole generali come quella dell'art. 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, tenuto conto che per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario. La relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo. Pertanto, va valutato il comportamento del lavoratore non solo nel suo contenuto oggettivo - ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate - ma anche nella sua portata soggettiva e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, aimodi, ai suoi effetti e all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente" (Cass., n. 25608 del 2014; Cass. 4243/15). Deve sottolinearsi che le condotte accertate, valutate complessivamente, si connotano di particolare gravità. Il ricorrente, per ottenere un risparmio di costi relativi alle forniture di energia elettrica ha posto in essere condotte di rilievo penale da una parte e condotte lesive del principio di buona fede contrattuale dall'altro, che hanno comportamento un danno patrimoniale per il datore di lavoro. Anche nella vicenda del taglio dell'albero il lavoratore ha dimostrato superficialità e negligenza nell'adempimento dei propri doveri, cagionando ulteriori danni ad (...). Non vi è dubbio che anche dal punto di vista soggettivo si sia in presenza di una condotta caratterizzata da marcata intenzionalità almeno negli episodi relativi alla forniture di energia elettrica. Quel che più conta si tratta di condotte che singolarmente prese con esclusivo riferimento all'allacciamento abusivo, e considerate nell'insieme per il resto, si presentano come idonee ad interrompere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Va a tal proposito ricordato che: "Qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione. Non è dunque il datore di lavoro a dover provare di aver licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensì la parte che ne ha interesse, ossia il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro" (Cass. n. 18836 del 28/07/2017). Il ricorso deve dunque essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, secondo il principio di soccombenza al pagamento delle spese legali, che si quantificano in Euro 3.689,00 ai minimi dello scaglione di riferimento, da Euro 26.000,00 ad Euro 52.000,00 essendo la causa di valore indeterminato, in ragione della modesta complessità della controversia e del valore delle difese in giudizio. P.Q.M. Definitivamente pronunciando: - rigetta il ricorso; - condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali nei confronti della resistente, che liquida in Euro 3.689,00 per compenso professionale oltre accessori. Così deciso in Trieste il 27 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE (artt. 544 e segg. c.p.p.) Il giudice dott. Camillo Poillucci alla pubblica udienza del 16 marzo 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: 1) (...), nato a T. il (...) e residente a (...)-A. in località S. n. 144/A con domicilio ivi dichiarato ex art. 161 c.p.p. assistito e difeso di fiducia dall'avv. Gr.Gi. del Foro di Trieste 2) (...), nata ad A. di (...) il (...) e residente a (...) in località S. n. 144/A con domicilio ivi dichiarato ex art. 161 c.p.p. assistita e difesa di fiducia dall'avv. Gr.Gi. del Foro di Trieste IMPUTATI Per i seguenti reati a) il delitto p. e p. dagli artt. 110, 612bis c.p., perché, in concorso di volontà e di azione tra loro, reiteratamente molestavano e minacciavano i propri vicini di casa (...) e (...) in modo da cagionare loro un perdurante e grave stato di ansia e/o paura e, comunque, da costringerli ad alterare le loro abitudini di vita - e, segnatamente, ad evitare di parcheggiare la macchina nel proprio posto auto per il timore di essere bagnati con la pompa dell'acqua - e ciò facevano, a partire dal 2014 e, cioè, dal momento in cui gli altri vicini di casa i.e. i componenti della famiglia (...)-(...), già destinatari di analoghe condotte, si erano trasferiti altrove, con frequenza pressoché quotidiana e, comunque, in occasione di ogni loro incontro, impedendo alle predette persone offese di parcheggiare la macchina nel proprio posto auto o, comunque, ostacolando l'ingresso della vettura delle predette persone offese al proprio box auto, dopo avere artatamente posizionato la propria vettura in modo irregolare, nonché bagnandoli con la pompa dell'acqua del giardino e riprendendoli con il telefono cellulare, mostrando loro il dito medio alzato, lamentandosi continuamente per le normali azioni delle vita quotidiana poste in essere dalle predette persone offese, quali l'utilizzo della doccia o della vasca da bagno, asseritamente foriere di rumore e, da ultimo, in data 22.7.2019, appendendo alla ringhiera che delimita la loro proprietà un poster - evidenziato con carta argentata riflettente - nel quale era raffigurata l'immagine di (...) e (...) nella quale erano stati inseriti i musi di due cani al posto del volto e riportante la scritta "odo cani rognosi". In Trieste, dall'agosto 2014 quantomeno al 22 luglio 2019 (querela dd. 19 ottobre 2019) Parte Civile: (...), nato a T. il (...) e residente a (...)-A. in località S. 144/A (...), nata a U. il (...) e residente a (...)-A. in località S. 144/A Difesi dall'avv. Ta.Ni., del Foro di Trieste MOTIVAZIONE Con decreto di citazione a giudizio ritualmente notificato, (...) e (...) venivano tratti a giudizio per rispondere del reato di cui in epigrafe. Si costituivano Parte Civile i querelanti (...) e (...). L'istruttoria veniva svolta mediante l'esame dei testi indicati dalle parti, l'esame degli imputati e l'acquisizione di documenti; all'esito, le parti concludevano come da verbale. Ritiene lo scrivente che gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale escludano la sussistenza del reato in contestazione. Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, è necessaria una pluralità di condotte moleste o minacciose che abbia determinato nella p.o. uno degli eventi indicati dalla norma (grave e perdurante stato di ansia, fondato timore per la propria o altrui incolumità, mutamento delle abitudini di vita). La giurisprudenza, partendo dall'esame della struttura del reato quale reato di danno (con eventi alternativi tra loro), ha evidenziato come la fattispecie in esame richieda che il soggetto offeso si trovi in una posizione di soggetto violato nella propria libertà morale e costretto ad una posizione seriamente difensiva in relazione alla debordante invasività degli atti persecutori posti in essere dall'agente. In tal senso, qualora ci si trovi in presenza di comportamenti aggressivi di carattere reciproco, maturati in un ambito di litigiosità tra i due soggetti, se in astratto è configurabile in reato in esame, non può tuttavia parlarsi di condotte persecutorie qualora non sia possibile riscontrare una posizione di preminenza dell'autore dei comportamenti vessatori rispetto alla vittima e non invece una posizione di sostanziale parità tra le parti (cfr. ad es. Cass. Pen. 45648/2013 e 17698/2010). Nel caso in esame, si ritiene essersi verificata una situazione del genere sopra indicato: in un contesto condominiale (si tratta di 4 villette a schiera poste una a fianco all'altra), probabilmente a causa di divergenze emerse con riguardo alla gestione di un area di parcheggio (area, posta alla fine della strada comunale che costeggia gli ingressi delle abitazioni degli imputati e delle PP.CC., nella quale le PP.CC. avevano degli spazi di proprietà mentre gli imputati ne erano privi, ma ricevevano il permesso di parcheggiare un'autovettura in uno stallo di proprietà di un altro condomino, il sig. L.; si veda al riguardo esame del teste all'udienza del 15.3.2023), iniziavano una serie di reciproche azioni di disturbo tra le parti, che sfociavano nella querela che dava origine al presente procedimento, ma anche ad altre azioni (richiesta di ammonimento, segnalazioni alle forze dell'ordine) poste in essere dagli odierni imputati in relazione a comportamenti molesti delle PP.CC. Sintomatica del clima conflittuale tra le parti e dell'assenza di una posizione prevaricante rispetto all'altra è la vicenda relativa al posto auto nell'area posta alla fine della stradina comunale (dall'istruttoria è risultato che le 4 villette a schiera in questione, oltre ad i garage posti sotto alle villette, avevano un'area dove erano stati creati dei parcheggi di proprietà dei singoli condomini, ma non della famiglia (...) - (...)): come riferito dal teste (...), il posto di sua proprietà non veniva da lui utilizzato e quindi, su richiesta del (...), concedeva il proprio stallo agli imputati, ma tale situazione durava poco tempo in quanto il (...) si metteva in mezzo ("ghe rompeva le scatole") al fine di impedire loro di parcheggiare in tale area. Allo stesso modo, a dimostrazione della condizione paritaria tra le parti e del fatto che più che un'ipotesi di atti prevaricatori unilaterali, nel caso in esame si sia trattato di una reciproca incapacità di gestire in modo civile i rapporti di vicinato, occorre evidenziare come, a ciascuno comportamento molesto contestato agli imputati, nel corso dell'istruttoria dibattimentale sia emerso un corrispondente comportamento molesto realizzato dalle PP.CC.: così ad es. alla condotta di parcheggiare la propria autovettura in modo tale da impedire l'accesso dell'auto delle PP.CC. proprio box corrispondono altrettante azioni provocatorie delle PP.CC. che lasciavano la propria autovettura ferma lungo la stradina comunale (di limitata larghezza che consente il passaggio di una sola autovettura alla volta), impedendo il passaggio dell'autovettura degli imputati: si vedano al riguardo fotografie prodotte dalla difesa e lo stesso video prodotto dall'Accusa all'udienza del 27.4.2022, aff. 162, nel quale, se è vero che è ripresa l'imputata (...) che suona il clacson della propria auto per alcuni minuti, è anche vero che il suo passaggio lungo la strada in questione è impedito dall'autovettura della P.C. (...), parcheggiata con le portiere aperte lungo la strada; dal video in esame si può notare un ulteriore elemento a conferma della posizione di parità tra le parti, in quanto entrambe si riprendono reciprocamente con i propri telefoni cellulari: una delle PP.CC. effettua le riprese riportate nel video acquisito agli atti e riprende gli imputati che a loro volta hanno in mano il telefono cellulare e riprendono le PP.CC. e la loro autovettura parcheggiata lungo la strada; tale circostanza conferma la reciprocità di un'altra condotta molesta indicata nell'imputazione, in quanto se è vero che gli imputati in alcune occasioni effettuavano riprendevano le PP.CC., dal video in esame e dalle numerose fotografi prodotte dalle parti, risulta che anche le PP.CC. non perdevano occasione per effettuare riprese fotografiche o video degli imputati (si vedano le fotografie prodotte dalla difesa all'udienza del 27.4.2022); lo stesso vale per i gesti offensivi: agli imputati è contestato l'aver offeso le PP.CC. con il dito medio alzato, ma dalle foto prodotte dalle difesa risulta che anche gli imputati passavano di fronte all'abitazione dei (...) facendo gesti ingiuriosi (ad es. le cd. "coma"). Non può quindi non rilevarsi come tali comportamenti, che hanno determinato in entrambe le parti una situazione di stress (si veda la documentazione medica acquisita anche con riguardo all'imputata (...)), siano avvenuti su un piano di sostanziale parità tra le parti e non si sia quindi verificata quella situazione di predominio richiesta dalla norma in contestazione. Deve pertanto in conclusione ritenersi che nel caso in esame non sia configurabile il reato in contestazione, ma si tratti di ben più banali dissidi tra vicini sfociati in reciproche condotte aggressive e moleste. Per tali ragioni gli imputati devono essere assolti perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE gli imputati dal reato ascritto perché il fatto non sussiste. Così deciso in Trieste il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRIESTE nella persona del Giudice, dott. Alessio Tassan, all'udienza del 17 febbraio 2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: (...), CUI (...), nato in R. il (...), con domicilio eletto presso lo Studio dell'Avv. Si.PO. del Foro di Trieste, difeso d'ufficio dall'Avv. Gu.PR. del Foro di Trieste, a conoscenza della lingua italiana; - assente - IMPUTATO insieme a (...), (...) e (...) (giudicati separatamente), in ordine ai seguenti reati di cui agli artt.: tutti a) 110, 635 cpv c.p. per avere, in concorso di volontà e/o azione tra di loro, nel corso di una rissa, danneggiato - lo rompevano volontariamente nella colluttazione - uno sgabello, nonché staccato dalla sede originaria una staffa di supporto della finestra, beni collocati all'interno della cella 236 ove erano detenuti. Aggravante di avere agito su beni siti in edifici pubblici e destinati a pubblico servizio. In Trieste, 1 febbraio 2019. b) no, 588 c.p. per avere, in concorso di volontà e/o azione tra di loro, partecipato ad una rissa all'interno della cella ove erano detenuti unitamente ad altri detenuti: dapprima (...) aggrediva (...) colpendolo con un pugno, poi intervenivano (...) a favore di (...) e (...) a favore di (...): si colpivano a vicenda e si scagliavano addosso oggetti contundenti e taglienti (tavolo, sgabelli, lame, forbici, pezzi di legno e bombolette di gas), ed in tal modo si cagionavano reciprocamente lesioni personali ((...) "trauma cranico con ferita lacero contusa pairetale, contusione V dito mano destra, policontuso in violenza altrui, prognosi gg. 10"; (...) "trauma cranico senza perdita di coscienza con frattura delle ossa nasali e del pavimento orbitario dx, prognosi gg. 30"; (...) "traumi multipli da violenza altrui"; (...) "traumi multipli da violenza altrui"). Aggravante dell'avere tutti e quattro riportato lesioni personali. In Trieste, 1 febbraio 2019. I soli (...), B. c) 110, 582, 585 c.p. per avere, in concorso di volontà e/o azione tra di loro colpito con pugni al corpo ed al viso e con uno sgabello (...), ed avergli in tal modo cagionato lesioni personali (trauma cranico senza perdita di coscienza con frattura delle ossa nasali e del pavimento orbitario dx) guaribili in 30 gg. Aggravante dell'uso di strumento atto a offendere (sgabello). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta emesso in data 04/02/2021, (...), insieme a (...), (...) e (...), veniva tratto a giudizio avanti all'intestato Tribunale per rispondere dei reati di rissa, danneggiamento e lesioni personali, come meglio descritti in rubrica. Alla prima udienza del 18/06/2021 l'imputato non comparso veniva dichiarato assente, in quanto la conoscenza del procedimento da parte dello stesso era attestata dalla nomina del difensore di fiducia (poi rinunciante), nonché dalla elezione di domicilio presso quest'ultimo. Tuttavia, la trattazione del processo veniva rinviata proprio in ragione della intervenuta rinuncia al mandato del difensore fiduciario e della conseguente necessità di provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio. Alla successiva udienza del 23/07/2021, il Tribunale separava la posizione del (...), pronunciando sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti a carico degli altri tre coimputati, non ravvisando la permanenza di profili di incompatibilità in base ai principi stabiliti con sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 36847 del 26/06/2014. Il processo a carico del (...) veniva comunque rinviato non essendo stato nominato il difensore d'ufficio. All'udienza del 07/01/2022, in assenza di questioni preliminari, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove richieste dalle parti. All'udienza del 13/05/2022 si procedeva all'esame del testimone (...) oltre all'acquisizione della documentazione medica dimessa dal pubblico ministero. All'udienza del 21/10/2022 la trattazione del processo veniva rinviata, stante la mancata comparizione del testimone residuo del pubblico ministero. All'udienza del 03/02/2023, su accordo delle parti, veniva acquisito il verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dal testimone (ancora non comparso) (...), con rinuncia all'esame dello stesso, nonché di quelle rese da altro detenuto, (...). Il Tribunale dichiarava quindi chiusa l'istruttoria dibattimentale. All'udienza del 17/02/2023 le parti discutevano la causa concludendo come da verbale e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere pronunciata sentenza di condanna nei confronti dell'imputato in ordine a tutti i delitti a lui ascritti in rubrica. 1. FATTO E RISULTANZE ISTRUTTORIE Come si evince dal verbale di sommarie informazioni rese da (...) (acquisito su accordo delle parti aff. 48 p.m.), in data 01/02/2019 alle ore 21.30 circa all'interno della cella n. 236 della Casa Circondariale di Trieste, era insorta una lite tra (...), che si atteggiava a capo, e (...), tanto che i due erano venuti alle mani. L'(...) era quindi intervenuto nel tentativo di dividerli, ma immediatamente erano sopraggiunti (...), a dar manforte all (...), e (...), in appoggio del (...) contro gli altri due. Nel corso della violenta colluttazione i due gruppi si erano "lanciati di tutto, tavolo, sgabelli lame e coltelli artigianali" (lett. s.i.t. (...)), danneggiando degli sgabelli ("tanto che ora in cella ci sono solo due sgabelli" lett. s.i.t. (...)). Anche il detenuto (...), sentito a sommarie informazioni (acquisite su accordo delle parti aff. 53 p.m.), ha riferito della lite violenta scoppiata tra (...), (...), (...) e (...) all'interno della cella e del lancio degli sgabelli. Sentito il forte trambusto, erano accorsi due agenti della Polizia Penitenziaria i quali, come riferito dall'agente D., avevano visto i quattro detenuti sopra indicati colpirsi vicendevolmente e lanciarsi oggetti, tra cui degli sgabelli. A seguito della rissa, i detenuti (...) e (...), che avevano avuto la peggio, erano stati trasportati presso il pronto soccorso dell'ospedale di "Cattinara", ove all'(...), a seguito dei colpi ricevuti dal (...) e dal B., era stato diagnosticato un "trauma cranico senza perdita di coscienza con frattura delle ossa nasali e del pavimento orbitario", con prognosi di giorni 30 (cfr. verbale di pronto soccorso aff. 26 p.m.): al B., invece, era stato diagnosticato un "trauma cranico conferita lacero contusa pairetale, contusione V dito mano destra, policontuso in violenza altrui" con prognosi di giorni 10 (cfr. verbale di pronto soccorso aff. 19 p.m.). 2. VALUTAZIONE DELLA PROVA E QUALIFICAZIONE GIURIDICA Così ricostruita la vicenda oggetto del processo, appaiono ampiamente provati tutti i delitti contestati all'odierno imputato. In primo luogo, sussiste il delitto di partecipazione ad una rissa, essendosi verificata una colluttazione reciproca tra due gruppi contrapposti e composti ciascuno da due persone. Il delitto è aggravato ai sensi del co. 2 dell'art. 588 c.p. per il fatto che quantomeno due partecipanti (il (...) e il N.) risultano aver riportato lesioni personali. Al (...) deve essere anche ascritto il delitto di lesioni personali dolose commesso ai danni dell'N., detenuto facente parte del gruppo contrapposto, aggravato ai sensi dell'art. 585 c.p. per l'uso in chiave offensiva degli sgabelli della cella: "in tema di lesioni personali volontarie, ricorre la circostanza aggravante dell'uso di uno strumento atto ad offendere di cui all'art. 585, comma secondo, n. 2, cod. pen., laddove la condotta lesiva sia in concreto realizzata adoperando qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all'offesa" (ex plurimis, Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 8640 del 02/03/2016). Per consolidata giurisprudenza di legittimità il delitto di lesioni personali non è assorbito in quello di rissa aggravata ai sensi dell'art. 588 co. 2 c.p.: "con l'ipotesi delittuosa di rissa aggravata a norma dell'art. 588, comma secondo, cod. pen. concorrono, con riguardo al solo corissante autore degli ulteriori fatti, i reati di lesioni personali e omicidio da costui commessi nel corso della contesa, non avendo detti reati valore assorbente della rissa, in quanto non sono configurabili come progressivi rispetto ad essa, né essendo quest'ultima, rispetto ai primi, "reato complesso"" (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 30215 del 07/04/2016, Rv. 267224). Da ultimo, nella violenta colluttazione, sono rimasti danneggiati degli arredi della cella, tra cui almeno uno sgabello (vedasi s.i.t. (...)), sicché risulta integrato anche il delitto di cui all'art. 635 c.p. perché commesso ai danni di un bene sito in uno stabilimento pubblico. Tutti i predetti reati possono comunque essere inquadrati in un comune disegno criminoso, stante la contestualità spazio-temporale di loro commissione. 2. TRATTAMENTO SANZIONATOLO Valutati i criteri stabiliti dall'art. 133 c.p., si ritiene congrua la pena di mesi 9 di reclusione così determinata: - pena base per il più grave delitto di cui all'art. 588, co. 2, c.p.: mesi 6 di reclusione; - pena aumentata ex art. 81 cpv. c.p. per il delitto di cui all'art. 582-585 c.p.: mesi 8 di reclusione; - pena aumentata ex art. 81 cpv. c.p. per il delitto di cui all'art. 635 c.p.: mesi 9 di reclusione. Non sono emersi elementi favorevoli all'imputato che giustifichino il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Stante il particolare contesto carcerario in cui ha avuto origine la vicenda, non avendone già beneficiato, al (...) possono essere riconosciuti i benefici di legge. Data la natura della vicenda processuale e il carico del ruolo risulta termine congruo per la redazione della motivazione quello pari a giorni 30. P.Q.M. il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e, ritenuti i fatti contestati uniti nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di mesi 9 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 533 co. 3 c.p.p., 163 e 175 c.p., concede all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Visto l'art. 544, co. 3, c.p.p., indica il termine di giorni 30 per il deposito della motivazione. Così deciso in Trieste il 17 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE Il Tribunale di Trieste, Sezione penale, in composizione monocratica, in persona del giudice dr. Enzo Truncellito, alla pubblica udienza del 15/3/23 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di (...), nata a T. il (...), residente a M., in loc. F., 7/D, con domicilio eletto presso lo studio del difensore; assistita e difesa di fiducia dall'avv. Ma.Va. del Foro di Trieste; - presente - IMPUTATA in ordine al seguente reato: art. 643 c.p. perché per procurarsi un profitto, abusando dello stato di infermità o deficienza psichica di (...) - ottuagenaria affetta da decadimento cognitivo lieve moderato rappresentato da una demenza mista degenerativo vascolare, aggravata da uno stato di indebolimento delle facoltà volitive causato dalla morte del figlio - la induceva a compiere un atto, per sé pregiudizievole, di acquiescenza al testamento olografo redatto da (...), figlio della (...) deceduto il 6.9.2018 nonché coniuge della (...) (con la quale aveva contratto matrimonio quattro giorni prima del decesso), testamento nel quale egli aveva nominato la moglie erede universale. In Trieste, il 21.9.2018. Parti civili: (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Co.; (...), rappresentato e difeso dall'avv. An.Ta.. FATTO Con decreto del g.u.p. del 1/0/21 (...) veniva rinviata a giudizio innanzi al Tribunale di Trieste in composizione monocratica per rispondere del reato di cui in rubrica. La prima udienza del 2/2/22 veniva rinviata per legittimo impedimento dell'imputata al 20/4/22, sede in cui, presenti la (...) e le parti civili già costituite in giudizio, aperto il dibattimento, venivano ammesse le prove richieste dalle parti. Il 20/7/22, acquisiti alcuni documenti, venivano escussi (...), (...), (...) e il lgt. della GdF (...). Il 26/10/22 veniva sentito il c.t. del p.m. (...), la cui relazione scritta era acquisita agli atti, ed esaminata l'imputata. Il 7/12/22 deponevano (...), (...) e (...). All'udienza del 15/3/23, infine, all'esito della discussione delle parti che rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe, il giudice decideva la causa mediante lettura di separato dispositivo. DIRITTO 1. Il materiale probatorio in atti impone una pronuncia di assoluzione dell'imputata in ordine al reato a lei ascritto. 2. (...) ha esordito dicendo di aver presentato denuncia-querela perché, a suo parere, sua sorella (...), nel prestare acquiescenza al testamento del figlio (...), fu raggirata dalla (...) e dai testimoni dell'atto notarile. Morto il nipote il 6/9/18, lui, dopo un po' di tempo, andò in banca con l'intenzione di far intestare anche a sé il conto corrente che prima era cointestato alla (...) ed al (...) ma in quella sede gli dissero che il conto era stato già reintestato alla (...) ed alla (...). La sorella ricevette un duro colpo dalla morte del figlio ma non stava poi così male psichicamente, nemmeno invero al momento della pubblicazione del testamento, e però in seguito le sue condizioni mentali si aggravarono, soprattutto dopo essersi resa conto dell'inganno subito. 2.1. Il lgt. della GdF (...) ha spiegato che la (...) ed il (...) si conoscevano da tantissimi anni in quanto la donna lavorava (e lavora) presso un tabacchino di via (...) del cui titolare, (...), il (...) era un amico stretto. Morta nell'aprile 2017 la moglie del (...), i due cominciarono a frequentarsi maggiormente fino a quando nacque tra loro una vera e propria relazione sentimentale che li condusse anche ad una convivenza. Nell'estate 2018 andarono in vacanza in Sardegna ma immediatamente dopo il (...) scoprì di avere un tumore al fegato/pancreas in fase avanzatissima, che lo portò alla morte in brevissimo tempo, il 6/9/18. Frattanto, la coppia il 31/8/18 si era sposata con rito civile presso l'ospedale di Cattinara, a Trieste, e due giorni più tardi, con testamento pubblicato poi il 26/9/18 dal notaio (...) di Muggia, il (...) aveva istituito la moglie quale sua unica erede universale. Quando lui, (...), ebbe modo di colloquiare con la (...) circa un anno dopo, nel luglio 2019, non gli sembrò molto lucida. 2.2. (...) (amica d'infanzia della (...)) ha riferito che le prime avvisaglie di una certa confusione mentale della donna le colse in prossimità del Natale 2018, perché fino a quel momento sembrava che la (...) sapesse anche gestire con rassegnazione la morte del figlio, colto da un tumore fulminante. Durante una visita natalizia, però, si accorse che l'amica diceva cose sintomatiche di un qualche scompenso, atteso che si lamentava del figlio che era andato a Buie d'Istria e non le aveva nemmeno fatto gli auguri per Natale e della nuora che, dopo averla portata in banca "per la firma del libretto", aveva ridotto se non addirittura fatto venire meno la sua compagnia. La (...) pareva che non sapesse nemmeno il motivo per cui era andata dal notaio. 2.3. (...) non ha riferito nulla di rilevante. 2.4. Il c.t. del p.m. (...), spiegato che non ha potuto visitare la (...) (che risiedeva in una Casa di Riposo) a causa dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 in atto e che dunque ha svolto il suo incarico "sulle carte" (in particolare esaminando la documentazione del CSM di Domio e del Distretto Sanitario n. 3 nonché il video prodotto dalla GdF durante il colloquio con l'anziana signora), ha affermato che, in ragione del fatto che ad agosto/settembre 2019 venne diagnosticato alla donna un deterioramento cognitivo di grado moderato su base degenerativo vascolare, a suo giudizio già a settembre 2018 una situazione del genere, magari lieve, doveva essere necessariamente già presente, a cui poi si associò un Disturbo Acuto da Stress dovuto alla morte del figlio che indebolì le facoltà volitive della p.o. Il c.t. ha ritenuto pertanto che, al momento dell'acquiescenza al testamento, la (...) si trovasse "in uno stato di infermità o deficienza psichica" che non poteva essere messa in dubbio dal certificato del medico di famiglia dr. (...), il quale, privo delle necessarie competenze specialistiche, invece aveva ritenuto la paziente capace di intendere e di volere pochi giorni prima del fatto di causa. 2.5. Sottoposta ad esame, la (...), premesso di aver conosciuto il (...) e la moglie (...) circa ventitré anni fa e di essere stata legata a loro da un genuino rapporto di amicizia, ha poi raccontato la vicenda successiva alla morte della moglie del (...), avvenuta nell'aprile 2017, negli stessi termini già descritti dal teste (...), specificando che a febbraio 2018, per volere proprio del (...), andò a vivere con lui a Muggia, nell'abitazione di via F., 7/B. P., l'estate di quell'anno scoprirono che l'uomo era stato colpito da un tumore al pancreas e tutto quello che successe dopo, il matrimonio in ospedale e la redazione del testamento, furono voluti fortemente e consapevolmente dal marito, che ne mise al corrente pure la signora (...), la quale non ebbe mai nulla da obiettare, nemmeno davanti al notaio, che ben le spiegò il senso del suo intervento all'atto. Fra lei, (...), e la (...) non vi furono mai problemi, né all'inizio della sua relazione con il (...) (quando andavano a farle visita regolarmente ogni lunedì e mercoledì) e nemmeno quando il (...) era ricoverato in ospedale, allorché lei andava a prendere a casa la (...) e la portava a trovare il figlio. Ed invero, nemmeno dopo la morte di quest'ultimo, recandosi assieme alla suocera tre volte alla settimana in cimitero. Le cose cambiarono solo a Pasqua, dopo che la (...) trascorse quel periodo festivo a casa del fratello (...). 2.6. (...) (il notaio che redasse l'atto) ha riferito che, quando gli si chiede di pubblicare un testamento olografo con cui viene a pretermettersi un legittimario, è sua prassi, al fine di evitare contenziosi successivi, chiedere che il soggetto escluso partecipi per esprimere preventivamente la sua volontà. Ecco perché disse alla (...) di far intervenire anche la (...), la quale, assolutamente lucida e consapevole, venne da lui ben informata sul significato della sua acquiescenza all'atto di ultima volontà del figlio. 2.7. (...) (amico di (...) da trentacinque anni) ha spiegato che questi, quando morì la moglie (che aveva accudito per una vita in quanto molto malata), allorché con la (...) stava per nascere una relazione sentimentale, gli confidò che intendeva rifarsi una vita (in fondo, gli diceva, a 62 anni ne aveva diritto). Poi, scoperta purtroppo la malattia, lo mise anche al corrente che era sua volontà lasciare tutti i suoi averi alla (...), e di ciò rese consapevole la madre, che accettò tranquillamente e consapevolmente la scelta del figlio, anche in sede di pubblicazione del testamento, a cui lui partecipò in veste di testimone. 2.8. Identica dichiarazione ha reso (...), l'altro testimone del rogito notarile, in ordine alla spiegazione data dal p.u. alla donna ed alla lucidità mentale di quest'ultima. 3. Così ricostruiti i fatti, ritiene il Tribunale che il reato contestato non si sia perfezionato, da un lato difettando la prova dello stato di infermità o deficienza psichica della p.o. e, dall'altro, non potendo comunque attribuirsi all'imputata l'atto di induzione. 3.1. Benché strettamente estranea a tali due temi che affronteremo da qui a breve ma ad ogni modo utile a comprendere la vicenda sotto scrutinio, una preliminare osservazione appare opportuna: la (...) era legata al (...) da un sano e genuino sentimento affettivo, nato, dopo la morte della moglie del (...), soprattutto su iniziativa dell'uomo, desideroso di rifarsi una vita con la donna che conosceva da tantissimi anni e che era stata amica anche di sua moglie. Le carte processuali, quindi, non rappresentano la (...) come un'approfittatrice, e ciò perché quanto dalla stessa raccontato ha trovato sponda probatoria nella testimonianza terza del P. e nessuna smentita aliunde. 3.2. Tanto premesso, va detto che le conclusioni cui è pervenuto il c.t. del p.m. sullo stato psichico della p.o. al momento del fatto (ossia il 21/9/18) non convincono già per limiti intrinseci alla valutazione che ne è presupposto, atteso che il consulente di parte, che tra l'altro non ha avuto alcun contatto diretto con la p.o., non ha spiegato sulla base di quale criterio o regola scientifica ha ritenuto che, dal momento che ad agosto/settembre 2019 fu dai medici diagnosticato a carico della donna un deterioramento cognitivo di grado moderato su base degenerativo vascolare, un anno prima la donna dovesse versare necessariamente nelle medesime condizioni o avere quantomeno un lieve deterioramento della stessa natura. Al riguardo, infatti, senza aggiungere alcunché in dibattimento, a p. 19 della sua relazione, pur riconoscendo che "non abbiamo elementi sanitari rappresentati da certificazioni od esami strumentali o valutazioni specialistiche a sostegno di una forma di deterioramento cognitivo su base vascolare oppure su base degenerativa in atto che siano contemporanei al momento della morte del figlio", il c.t. si è limitato ad affermare in modo asciutto che "non si può non ritenere che quanto diagnosticato dieci mesi dopo non rappresentasse una forma di deterioramento cognitivo, se vogliamo lieve". Né a sostenere il parere su base scientifica può da questo punto di vista soccorrere il rilievo che la (...) aveva vissuto due settimane prima un lutto gravissimo e quindi era affetta pure da un disturbo acuto da stress, e ciò sia perché non viene spiegato scientificamente come tale fatto spieghi la retrodatazione della demenza di un anno, sia perché lo stesso fratello della (...), (...), e l'amica (...) hanno escluso che, dopo la morte del figlio, la donna fosse mentalmente confusa, evidenziando che solo a Natale colsero i primi segni di una mancanza di lucidità. 3.2.1. Il parere del c.t. del p.m., secondo cui poi il "vizio" mentale sarebbe stato anche riconoscibile dai terzi, cozza poi in modo insanabile: a) con la testimonianza qualificata del notaio (...) (che senz'altro ha esperienza al riguardo) e dei signori P. e R., i quali hanno dichiarato che la (...) era assolutamente presente a sé stessa quando il notaio le spiegò il significato del suo intervento e con piena coscienza espresse la sua acquiescenza alla volontà testamentaria del figlio; b) con il certificato medico redatto dal dr. M. Balestra in data 18/9/18, ovvero tre giorni prima del rogito notarile: documento questo che non può essere sic et simpliciter liquidato dal c.t. come nullo in quanto non proveniente da uno psichiatra, in quanto comunque formato dal medico di famiglia che conosceva la (...) da tanto tempo e che visitò la donna quel giorno. 3.2.2. E comunque, se anche, per mera ipotesi astratta (invero non sostenibile in concreto), si volesse condividere il parere ultimo espresso dal c.t. del p.m., che prudenzialmente ha concluso per un deterioramento cognitivo lieve, quest'ultimo non sarebbe idoneo ad integrare l'elemento costitutivo del reato de quo come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte chiarito che per 1'esistenza di uno stato di infermità o di deficienza psichica di una persona, rilevante ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 643 c.p., non occorra una vera e propria malattia mentale ma, pur sempre, un'effettiva e notevole menomazione delle facoltà intellettive o volitive, tale da rendere possibile la suggestione del minorato da parte di altri; si è ritenuto, quindi, che vi debba essere un'assoluta certezza sulla sussistenza dell'incapacità del soggetto passivo, costituendo essa il presupposto del reato (in questo senso, Cass., sez. II, 09/11/2016, n. 5791). Nel caso che ci occupa, al contrario, non vi è prova che la p.o., nel momento in cui fece acquiescenza al testamento olografo del figlio, si trovasse in uno stato di "notevole menomazione delle proprie capacità intellettive e volitive". 3.3. Sebbene quanto sinora esposto sia sufficiente ad escludere l'integrazione del reato, occorre evidenziare come, inoltre, non vi sia stata alcuna induzione in senso proprio da parte della (...) all'atto di acquiescenza posto in essere dalla p.o. Al di là infatti del rilievo che, come testimoniato dal (...), la (...) fosse perfettamente consapevole della volontà del figlio e l'avesse accettata senza riserve anche prima della sua morte (il che farebbe venir meno anche l'elemento soggettivo del reato), comunque l'imputata si limitò a chiedere alla suocera di intervenire al rogito solo perché richiestole espressamente dal notaio (...) che seguiva una sua puntuale prassi professionale in casi di pretermissione di un legittimario. Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, l'imputata deve essere mandata assolta dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste - Sezione Penale - in composizione monocratica, visto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE (...) dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste. Così deciso in Trieste il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Luca Carboni ha pronunciato all'udienza del 06 marzo 2023 la seguente SENTENZA nel procedimento nei confronti di: (...) nato a S. (P.) il (...), residente a C. (T.) in via Z. S. n. 39/2 - ivi domicilio dichiarato Difeso di fiducia dall'avv. Gi.AD. del foro di Udine - presente - IMPUTATO Del reato di cui all'art. 4 L. n. 110 del 1975 perché, senza giustificato motivo, portava fuori dalla propria abitazione un coltellino a serramanico avente lama dalla lunghezza di cm. 4. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito di opposizione al decreto penale n. 42/22, emesso dal G.i.p. di Trieste il 23/03/2022, (...) veniva citato a giudizio innanzi al Tribunale di Trieste in composizione monocratica per rispondere del reato ascritto in rubrica. All'udienza del 19/09/2022. dichiarata l'assenza dell'imputato, venivano ammesse le prove richieste dalle parti. Il 06/03/2023, presente il (...) e revocata la sua dichiarazione di assenza, venivano escussi i testi Vice Brig. CC (...) e Lgt. CC (...), si procedeva all'esame dell'imputato e veniva esibito il corpo del reato. Indi, si svolgeva la discussione della causa, e (...) e difesa, infine, presentavano le loro conclusioni così come indicate in epigrafe. A seguito delle stesse, questo giudice decideva, dando lettura di separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce degli elementi raccolti nel corso dell'istruttoria, in particolare in base alle deposizioni dei testi di P.G. Vice Brig, CC (...) e Lgt. CC (...) e al verbale di sequestro in atti, ritiene il Tribunale che il fatto di cui alla contestazione sia provato. Tuttavia, la condotta appare di particolare tenuità, cosa cui consegue l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 -bis c.p.. Quanto alla ricostruzione della vicenda, sulla base degli elementi di cui si è detto sopra, si evince chiaramente che, il giorno dei fatti, nel corso di un controllo su strada, venne fermato il veicolo dell'odierno imputato (...) e da questi condotto, con a bordo altre due persone. Nel corso della perquisizione, nel bagagliaio del mezzo venne rinvenuto il coltello di cui al capo d'imputazione, poi sequestrato e visionato in udienza, della lunghezza complessiva di nove cm. con lama di quattro cm. L'imputato, nel corso del suo esame dibattimentale, non ha negato il fatto, pur riferendo di ricordare che il coltello fosse nel portamonete del veicolo, spiegando che si trattava di un ricordo del periodo da militare e che non pensava che fosse illecito tenerlo. Il (...) ha inoltre riferito che il giorno dei tatti stava venendo a Trieste con degli amici per incontrare delle ragazze. Alla luce di quanto detto, deve ritenersi pienamente dimostrata la sussistenza della fattispecie tipica di cui all'art. 4. co. 2, 1. 18 aprile 1975, n. 110, essendo l'imputato stato trovato in possesso, nel bagagliaio del suo veicolo, del coltello di cui al capo d'imputazione, e ciò a prescindere dalla lunghezza della lama dello stesso (cfr. Cass., sez. IV, n. 1482/2019: "In tema di porto abusivo di uno strumento da punta o da taglio, ai fini dell'integrazione del reato previsto dall'art. 4 della L. 18 aprile 1975, n. 110, è irrilevante la lunghezza della lama, stante l'intervenuta abrogazione dell'art. 80 del regolamento T.U.L.P.S. che collegava la liceità del porto alle misure delle lame."; Cass., sez. 1, n. 14870/1977: "Il porto di un'arma efficiente nel bagagliaio della propria automobile integra il reato di porto abusivo di arma, dovendosi escludere che un mezzo di trasporto, come l'automobile, sia da considerare abitazione"). Inoltre, non è emerso alcun giustificato motivo in relazione al porto del suddetto coltello (l'imputato, in base alle sue stesse dichiarazioni, stava venendo a Trieste con degli amici per incontrare delle ragazze, dunque il possesso del coltello non aveva una giustificazione lecita e attuale rispetto al frangente in cui il (...) venne perquisito). Per quanto riguarda l'elemento soggettivo della contravvenzione, appare evidente che da parte del soggetto vi fosse la piena consapevolezza di trovarsi fuori dalla propria abitazione con un coltello. Come anticipato, però, si ritiene che, nel caso di specie, debba essere applicata la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Preliminarmente, si deve rilevare come le pene stabilite dall'art. 4. co. 3, L. 18 aprile 1975, n. 110, rientrino pienamente nei limiti edittali previsti dal legislatore per l'applicazione dell'istituto della tenuità del fatto; inoltre, si deve ricordare che l'ultimo comma dell'art. 131 -bis c.p.c. chiarisce espressamente che tale causa di non punibilità si applica anche qualora la legge preveda, come in questo caso, una circostanza attenuante nei casi di lieve entità. Ciò premesso, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133, co. l,c.p. l'offesa al bene giuridico tutelato - in questo caso, la tutela della collettività e dell'incolumità pubblica - deve considerarsi particolarmente tenue: le modalità dell'azione denotano una scarsissima pericolosità sociale, non essendo emersa alcuna condotta pericolosa da parte del soggetto ed essendo la sua perquisizione avvenuta nel corso di un normale posto di controllo; il pericolo cagionato appare di spessore assolutamente esiguo, trattandosi di un unico coltello dalla lama piccolissima, come apprezzato in udienza con l'esibizione del corpo del reato, con lama di quattro cm: il grado dell'elemento soggettivo, pur sussistente, è anch'esso di poco rilievo, in quanto pare limitarsi alla mera consapevolezza della propria azione, ma non vi è indice alcuno per affermare la sussistenza di una vera e propria volontà criminale (e ciò anche in base alle stesse dichiarazioni del soggetto, da cui si evince che questi aveva il coltello per ricordo e che non riteneva che fosse un illecito). Il comportamento posto in essere dall'imputato, poi, non risulta abituale: come si evince dal certificato del casellario giudiziale, infatti, (...) non è gravato da precedenti specifici. L'insieme degli elementi sopra considerati depongono quindi per la configurabilità della causa di non punibilità delineata in premessa, dalla quale non può che discendere l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'articolo 530 c.p.p.. Ciò nonostante, visto l'art. 240, co. 2, n. 2, c.p., deve essere disposta la confisca del coltello in sequestro. La nonna, come è noto, prevede l'obbligatorietà della confisca di tutte le cose il cui porto costituisca reato anche nel caso in cui non venga pronunciata sentenza di condanna. Deve invece essere disposta la restituzione all'avente diritto degli ulteriori beni in sequestro, due maschere di carnevale e un petardo di libera vendita, non trattandosi di oggetti ricollegabili al reato, né di cose intrinsecamente criminose. Visto l'art. 464, co. 3, c.p.p., deve infine essere revocato il decreto penale opposto nei confronti dell'imputato. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste, sezione penale, visto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE (...) dal reato a lui ascritto in quanto non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 -bis c.p.; visto l'art. 240 c.p., DISPONE la confisca e distruzione del coltello in sequestro: visto l'art. 262 c.p.p., DISPONE la restituzione all'avente diritto degli ulteriori beni in sequestro; visto l'art. 464, co. 3, c.p.p., REVOCA il decreto penale opposto n. 42/22, emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di Trieste dd. 23/03/2022 nei confronti dell'imputato. Motivazione riservata in giorni 15 ex art. 544, co. 2, c.p.p. Così deciso in Trieste il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRIESTE SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica ex art. 50 ter c.p.c., nella persona del Giudice dott. Daniele Venier ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2752/2019 promossa da: (...) S.R.L. (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore e (...) S.R.L.S. UNIPERSONALE (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore entrambe rappresentate e difese dall'avv. FA.PA. del Foro di Roma, indirizzo pec: (...) ATTRICI contro (...) S.R.L. (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. DA.BL., presso il cui studio in Trieste, Via (...), risulta elettivamente domiciliata CONVENUTA OGGETTO: "vendita di cose mobili" RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il 25.6.2019, (...) S.r.l. (di seguito anche (...)) e (...) S.r.l.s. esponevano: che in data 15.12.2016 (...) e (...) S.r.l. avevano sottoscritto un atto di transazione con il quale, a definizione del giudizio tra le stesse pendente, era stato convenuto che, a fronte del pagamento da parte della prima della somma di Euro 18.000,00, la seconda si obbligasse a eseguire i lavori e le forniture necessari a rendere "funzionante, con annessa messa in acqua e perfettamente navigante" e munita del certificato RINA l'imbarcazione modello Pershing 40, denominata "Extasi II", di proprietà di (...) a seguito di acquisto a un'asta giudiziaria; che (...), per ottenere la consegna dell'imbarcazione, avvenuta il 2.8.2017, era stata costretta a pagare l'ulteriore somma di Euro 2.200,00 "per revisione e taratura pompa", importo non dovuto in quanto già versato; che era quindi emerso, a seguito di una perizia tecnica, che (...) non aveva eseguito la prova a mare, né le opere indicate nella transazione, né fornito le dotazioni nautiche, risultando quindi la barca inidonea alla navigazione. Ciò esposto, le attrici, precisando che proprietaria dell'imbarcazione era nelle more divenuta (...) S.r.l.s., evocavano in giudizio (...) S.r.l. agendo per la risoluzione, per inadempimento della convenuta, della transazione dd. 15.12.2016, e formulando le domande, restitutorie e risarcitorie, ritrascritte nelle conclusioni in epigrafe. 2. Si costituiva (...) S.r.l., la quale eccepiva innanzitutto la carenza di legittimazione attiva di (...) S.r.l.s., in quanto estranea al rapporto dedotto in giudizio. Nel merito, contestava l'ammissibilità della domanda avversaria, richiamando la norma di cui all'art. 1976 c.c. che preclude la risoluzione per inadempimento della transazione nel caso in cui il rapporto preesistente sia, come nella specie, estinto per novazione, nonché la sua fondatezza. A tale ultimo riguardo, deduceva di avere eseguito correttamente tutti i lavori previsti nell'atto; di avere consigliato - in esito al controllo dei motori e delle pompe - l'effettuazione di ulteriori lavori, rifiutati dall'attrice; che l'imbarcazione, provata in acqua, era stata quindi riconsegnata munita del certificato Rina; che le sole riserve di (...) all'atto della riconsegna avevano riguardato il pagamento dei lavori sulla pompa, l'asserita mancanza delle dotazioni e la scadenza degli estintori, ed erano infondate, in quanto i predetti lavori non erano inclusi nella transazione, mentre le dotazioni, secondo gli accordi, dovevano essere quelle previste al momento dell'acquisto della barca da parte di (...); che, in ogni caso, il preteso inadempimento non era grave ai sensi dell'art. 1455 c.c. e tale da giustificare la pronuncia di risoluzione. Insisteva quindi per il rigetto della domanda attorea. 3. Assegnato termine per l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita, conclusosi con esito negativo, parzialmente ammesse, e assunte, le prove per testi dedotta dalle parti, ed espletata c.t.u., la causa è stata infine trattenuta in decisione previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 4. Va innanzitutto esaminata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dalla convenuta con riferimento a (...) S.r.l.s.. Deve premettersi che, poiché la convenuta ha allegato che l'attrice è terza rispetto al rapporto giuridico (la transazione) di cui è causa, l'eccezione non assume carattere pregiudiziale, ma investe il merito, e segnatamente l'effettiva titolarità, in capo all'attrice, della situazione soggettiva dedotto in giudizio (v. Cass. n. 16904/2018), effettiva titolarità che si differenzia dalla "legitimatio ad causam", che consiste invece nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte istante, e che riguarda la regolarità del contraddittorio (v. Cass. 7776/2017). 4.1 Ciò posto, si osserva, in primo luogo, che (...) S.r.l.s. è priva del diritto di agire per la risoluzione della transazione. Al riguardo, è sufficiente rilevare come la predetta attrice sia rimasta estranea alla transazione stipulata con la convenuta dalla sola (...) (doc. 1 di parte attrice). A essa, in quanto terza, non spetta quindi il rimedio della risoluzione per inadempimento, azionabile dalle sole parti del contratto interessato. Conseguentemente, (...) S.r.l.s. neppure è titolare del diritto, conseguente alla risoluzione, alla restituzione della somma di Euro 18.000,00 versata in adempimento della transazione. 4.2 Quanto, invece, al risarcimento dei danni, giova richiamare l'insegnamento della giurisprudenza a Sezioni Unite, secondo cui "il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell'evento dannoso, e, configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest'ultimo nell'ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario" (Cass. S.U. n. 2951/2016). Nella specie, l'imbarcazione era, al momento dell'asserito danno (coincidente con la riconsegna, in data 2.8.2017, dell'imbarcazione da parte della convenuta), di proprietà di (...) S.r.l.S., divenutane proprietaria con atto dd. 3.1.2017, registrato a Roma l'11.4.2017 e annotato presso la Capitaneria di Porto di Pesaro in data 26.4.2017 (v. licenza di abilitazione alla navigazione, prodotta da parte attrice unitamente alla memoria ex art. 183, co. 6, n. 2 c.p.c.). Pertanto, la predetta attrice è astrattamente titolare del diritto al risarcimento dei danni, impregiudicata peraltro la prova, sulla stessa gravante, che gli esborsi allegati (Euro 1.000,00 per l'acquisto delle dotazioni nautiche mancanti; Euro 5.000,00 per la sosta nei cantieri) e gli ulteriori pregiudizi lamentati, costituenti i danni dedotti, siano stati effettivamente dalla stessa (e non invece da E.) sostenuti. 5. L'ulteriore eccezione sollevata dalla convenuta - attinente all'inammissibilità della domanda di risoluzione per inadempimento, ostandovi il disposto dell'art. 1976 c.c. - implica la qualificazione della transazione stipulata dalle parti. La transazione assume efficacia novativa, "quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello avente causa nell'accordo transattivi, di guisa che dall'atto sorga un'obbligazione oggettivamente diversa da quella preesistente" (Cass. n. 4008/2006). In particolare, è stato affermato che qualora le parti non abbiano manifestato un'espressa volontà novativa, "il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l'originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se esse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell'accordo transattivo che, di regola, non è volto atrasformare il rapporto controverso" (Cass. n. 15444/2011). Rileva, ai fini del riconoscimento del carattere novativo della transazione, "l'oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall'accordo transattivo" (Cass. n. 23064/2016; Cass. n. 21371/2020). 5.1 Nella specie, le parti, con l'atto stipulato il 15.12.2016, definirono in via transattiva, dichiarando di non aver più altro a pretendere tra di loro per qualsiasi titolo e/o ragione, la causa pendente innanzi al Tribunale di Trieste sub R.G. 712/2015 e promossa da (...), con la quale l'attrice aveva richiesto la riconsegna dell'imbarcazione "(...)" e il risarcimento dei danni, mentre la convenuta aveva spiegato domanda riconvenzionale per il ristoro delle spese sostenute per la manutenzione e la riparazione della stessa.. Furono stabiliti, "a saldo stralcio e transazione" (art. 2), l'obbligo di pagamento, da parte di (...), della somma di Euro 18.000,00 a (...) S.r.l., e l'obbligo di quest'ultima di "consegnare la barca in oggetto funzionante, con annessa messa in acqua e perfettamente navigante, così come consegnata alla (...) S.r.l. ? con gli accessori della barca da intendersi quelli presenti al momento dell'acquisto da parte di (...) la cui presenza sarà verificata dalle parti in contraddittorio sulla base delle fotografie agli atti relative allo stato dell'imbarcazione all'epoca, nonché la regolarità e la validità di tutte le autorizzazioni necessarie per poter navigare, oltre a tutte le lavorazioni e le forniture indicate nelle fatture anche pro forma e preventivo di cui appresso ... il tutto oltre alla sostituzione della pompa di iniezione relativa al motore (come da preventivo nr. 5307 del 9 aprile 2014 ... il cui contenuto è parte integrante e sostanziale del presente accordo). Tutte le suddette opere e forniture eseguite dalla (...) S.r.l. dovranno essere eseguite a regola d'arte e dovrà essere concessa sull'esecuzione delle opere la garanzia di legge" (art. 3). A escludere la natura novativa della transazione rileva, oltre alla mancata esplicitazione di una volontà in tal senso, la circostanza, decisiva, che le prestazioni poste rispettivamente a carico delle parti siano le medesime (consegna dell'imbarcazione da un lato - pagamento del corrispettivo per l'esecuzione dei lavori dall'altro) di quelle dedotte nel giudizio n. 712/2015 R.G., cui vennero apportate mere modifiche (in particolare, in ordine alla somma da pagarsi da E.). Non sussistendo alcuna incompatibilità tra il rapporto dedotto in giudizio e quello disciplinato dalla transazione, quest'ultima è priva di carattere novativo, risultando quindi idonea a formare oggetto di domanda di risoluzione per inadempimento: 6. Agendo le società attrici per la risoluzione per inadempimento e il conseguente risarcimento dei danni, trovano applicazione i principi, consolidati, dettati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dall'eccezione d'inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c." (Cass. 12.10.2018, n. 25584), o dal fatto che "l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione" (Cass. 19.2.2004, n. 3294). Tenuto conto dei profili di inadempimento contestati delle attrici, (...) è quindi tenuta a provare che l'imbarcazione venne consegnata "funzionante ... e perfettamente navigante", previa esecuzione di tutte le opere previste ("tutte le lavorazioni e le forniture indicate nelle fatture anche pro forma e preventivo ..."), nonché munita delle dotazioni nautiche ("con gli accessori della barca da intendersi quelli presenti al momento dell'acquisto da parte di (...)"). 6.1 Quanto, in primo luogo, al funzionamento della barca, premesso che il verbale di riconsegna dd. 2.8.2017 (doc. 4 di parte attrice) non può integrare accettazione senza riserve, tenuto conto che queste ultime vennero apposte dal delegato ((...)) al ritiro di (...) e che non fu eseguita una prova in mare in contraddittorio, elementi contrari all'adempimento, da parte della convenuta, della prestazione sono stati forniti dalle deposizioni dei testi (...) e (...) (v. verbale dell'udienza del 21.9.2021). Il primo, il quale eseguì la perizia di parte allegata dalle attrici (doc. 7), ha dichiarato di avere "accertato con prova in acqua che il motore di destra si spegneva se non tenuto sopra i 1000 giri"; il (...), suo collaboratore, ha confermato la circostanza ("il motore si spegneva ripetutamente come ho verificato personalmente"). Il fatto che solo pochi giorni dopo la consegna (la perizia del (...) è datata 9 agosto 2017) il motore della barca già manifestasse problemi di funzionamento integra elemento di sicura valenza indiziaria dal quale dedurre la non corretta esecuzione delle relative lavorazioni commesse alla convenuta. In contrario non può rilevare il fatto, riferito dai testi (...) e (...) (difensore, all'epoca dei fatti, di (...)), che (...) si sarebbe rifiutata di far eseguire ulteriori interventi di manutenzione sui motori, pur "caldamente consigliati" (capitolo 9 della memoria ex art. 183, co. 6, n. 2 c.p.c.) dalla convenuta, posto che l'obbligazione assunta dalla convenuta era quella proprio quella di assicurare il perfetto funzionamento dell'imbarcazione, indipendentemente dall'esecuzione di ulteriori lavori sulla pompa, e che, in ogni caso, non è provato (e l'onere, per le considerazioni sopra esposte, incombeva sulla convenuta) che l'effettuazione di lavori aggiuntivi avrebbe evitato l'insorgere dei problemi di funzionamento riferiti dai due testi. 6.1.1 In ordine al danno patito, il c.t.u. ing. (...), premettendo di non essere in grado di esprimersi in ordine alla causa del malfunzionamento del motore (questione da risolversi, come evidenziato, sulla base delle regole sull'onere probatorio), ha osservato che, qualora si ritenga - come si ritiene - sussistente la responsabilità della convenuta ("... si ritiene che non si possa affermare con certezza la sussistenza di un debito da parte convenuta"), "l'ammontare di tale eventuale debito non potrebbe superare Euro 1.670,08 + Iva ovvero Euro 2.037,50" (punto 5.6 della relazione), di cui Euro 1.295,08 + Iva quale costo dell'esecuzione, da parte di (...) (v. fattura, doc. (...) di parte attrice), di un intervento di verifica della pompa di iniezione destra e stacco, controllo del regolatore e ulteriori lavori accessori al motore; Euro 100,00 + Iva pari al costo per la revisione degli estintori (voce 5 della fattura dd. 1.4.2014, richiamata nella transazione, doc. 15 di parte convenuta) dei quali (...), per conto di (...), lamentò, all'atto della riconsegna, la scadenza; Euro 175,00 + Iva, pari alla metà del costo per la pulizia delle sentine e la sistemazione delle pompe di sentina (successiva voce 9); Euro 100 + Iva pari alla metà del costo di riparazione del galleggiante del gasolio e di quello dell'acqua potabile (voce 19). La predetta somma corrisponde quindi al danno patito da (...) (la sola società, tra le due attrici, che ebbe a sostenere i corrispondenti esborsi, e che va dunque considerata soggetto danneggiato) in conseguenza della non corretta esecuzione dei lavori di manutenzione del motore. Non provato, nell'an e nel quantum debeatur, è invece il danno, indicato in Euro 5.000,00, per il c.d. fermo tecnico. 6.2 (...) ha provato l'effettuazione degli interventi indicati nella transazione, come risulta dalle deposizioni dei testi (...), (...), (...) e (...), i quali hanno univocamente confermato l'esecuzione dei lavori indicati sia nelle fatture e preventivi citati nell'accordo, sia nei rapportini di lavoro (docc. 15 e 13 di parte convenuta). Non sussiste quindi l'inadempimento dedotto dall'attrice. 6.3 Quanto, infine, alla "omessa fornitura delle dotazioni nautiche" (pag. 3 dell'atto di citazione, punto 14), nella transazione venne previsto che la barca fosse riconsegnata dalla convenuta "con gli accessori della barca da intendersi quelli presenti al momento dell'acquisto da parte di (...) la cui presenza sarà verificata dalle parti in contraddittorio, sulla base altresì delle fotografie in atti relative allo stato dell'imbarcazione dell'epoca". La verifica dell'adempimento presuppone quindi l'individuazione, a carico di (...), delle dotazioni di cui l'imbarcazione era dotata al momento del suo acquisto da parte dell'attrice, onde accertare se le stesse fossero o no presenti al momento della riconsegna. Tale prova non è stata peraltro fornita, né ancora prima offerta da (...), irrilevante essendo la doglianza, manifestata all'atto della riconsegna, dal (...), circa la mancanza delle "dotazioni della navigazione, oggetto di transazione", attesa la mancata specificazione di esse, tale da non consentire alla convenuta di provarne l'esistenza. 7. Ciò posto, ai fini della pronuncia di risoluzione, è necessario che l'inadempimento sia grave ai sensi dell'art. 1455 c.c., tale cioè da comportare una rilevante alterazione del sinallagma contrattuale. Nella specie, l'inadempimento della convenuta si è limitato all'inadeguatezza dell'intervento sul motore, il quale ha comportato un danno (conseguente sia alle spese di ripristino, sia alla non debenza del prezzo delle lavorazioni carenti) di Euro 2.037,50, a fronte di un complessivo valore dedotto in contratto pari a Euro 18.000,00. L'inadempimento, pur esistente, non è quindi tale da incidere in modo determinante sull'interesse dell'attrice, non potendo perciò giustificare la risoluzione dell'atto di transazione. Va quindi respinta la domanda principale proposta dall'attrice. 7.1 Va invece accolta la domanda risarcitoria, in favore della sola (...), nei limiti - sopra motivati - della somma di Euro 2.037,50 (Iva inclusa). Vertendosi in tema di debito di valore, la predetta somma va rivalutata (anche d'ufficio, v. Cass. 27.6.2016, n. 13225 proprio in tema di obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale) secondo gli indici Istat dalla data del danno (agosto 2017) a quella della decisione, risultando quindi pari a oggi a Euro 2.375,73. Pertanto, (...) S.r.l. va condannata al pagamento, in favore di (...) S.r.l., della somma di Euro 2.375,73 (Iva inclusa), oltre agli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. 8. Il complessivo esito della lite, con il rigetto della domanda principale delle attrici e l'accoglimento in misura ben inferiore a quella richiesta della domanda di risarcimento dei danni, evidenzia la reciproca soccombenza delle parti, che fonda la statuizione di integrale compensazione delle spese di lite. 8.1 Egualmente, vengono posti a definitivo carico delle attrici per metà e della convenuta per l'altra metà gli oneri della c.t.u.. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste, nella suindicata composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 2752/2019 R.G., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - rigetta le domande proposte da (...) S.r.l.s.; - rigetta la domanda di risoluzione per inadempimento formulata da (...) S.r.l.; - in parziale accoglimento della domanda di risarcimento dei danni proposta da (...) S.r.l., condanna la convenuta al pagamento, in favore dell'attrice, della somma di Euro 2.375,73 (Iva inclusa), oltre agli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite; - pone a definitivo carico delle attrici per metà e della convenuta per l'altra metà gli oneri della c.t.u.. Così deciso in Trieste l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE (artt. 544 e segg. c.p.p.) Il giudice dott. Camillo Poillucci alla pubblica udienza del 8 febbraio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: (...), nato a T. il (...), ivi residente in via C. n. 17/1, con domicilio eletto presso il difensore di fiducia avv. Gi.Br. del Foro di Trieste (atto dd. 5.10.21 depositato al portale in data 11.10.21, aff. 21 e, da ultimo confermato in sede d'interrogatorio ex art. 415 bis dd. 25.10.21, aff. 37); assistito dal difensore di fiducia avv. Gi.Br. del foro di Trieste (nomina dd. 5.10.21, aff. 20, confermata in sede d'interrogatorio dd. 25.10.21, aff. 37); IMPUTATO 1) del reato p. e p. dall' art. 186 commi 2 lett. c) e 2 sexsies del C.d.S., perché, alle ore 00.05 ca del 29.8.2021 circolava alla guida dell'autovettura Opel Agila targata (...) in stato di ebbrezza per abuso di sostanze alcoliche, venendo controllato in T., via P., da una pattuglia della Stazione Carabinieri di Trieste - Rozzol che, oltre ad accertare con idoneo etilometro un tasso alcoolemico di 2,09 g/l alla prima prova e di 2,16 g/1 alla seconda prova, appurava il mancato possesso della patente di guida a causa della sospensione avvenuta per una precedente identica violazione commessa nel 2019. Con l'aggravante d'aver commesso il fatto dopo le ore 22.00 e prima delle ore 07.00. In Trieste, il 29.8.2021. 2) del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 61 n. 2 e 495 c.p. perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e nelle medesime circostanze di tempo e di luogo di cui al capo che precede, richiesto di fornire le proprie generalità, dichiarava ripetutamente agli effettivi della pattuglia Carabinieri di Trieste - Rozzol, di chiamarsi (...), nato a T. il (...) (generalità individuanti una guardia giurata in possesso di porto d'armi), mentre, a seguito di accertamenti all'anagrafe comunale, veniva identificato con le sue esatte generalità. Con l'aggravante d'aver commesso il fatto al fine di assicurarsi l'impunità dal reato sub (...)) che precede (guida in stato di ebrezza). In Trieste, il 29.8.2021. 3) del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 368 c.p. perché, nelle stesse circostanze di tempo e luogo di cui ai capi che precedono, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, declinando reiteratamente, al personale della Stazione dei Carabinieri di Trieste - Rozzol, che lo aveva fermato per sottoporlo a controllo per l'accertamento di eventuale guida sotto l'influenza di alcolici, le generalità di (...), nato a T. il (...) (relative a persona realmente esistente svolgente la professione di guardia giurata), così accusando il vero (...), sapendolo innocente, del reato di guida in stato di ebrezza, con conseguente concreto pericolo che il relativo procedimento penale venisse instaurato a carico di quest'ultimo e non dell'effettivo responsabile di detta contravvenzione. Con l'aggravante d'aver commesso il fatto al fine di assicurarsi l'impunità dal reato sub (...)) che precede (guida in stato di ebrezza). FATTO E DIRITTO Con decreto che dispone il giudizio ritualmente notificato, (...) veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui in epigrafe. L'istruttoria veniva svolta mediante l'esame dei testi indicati dalle parti e l'acquisizione di documenti (esiti della verifica del tasso alcolico). All'esito le parti concludevano come da verbale. Ritiene lo scrivente che gli elementi acquisiti nel corso del dibattimento non siano sufficienti per affermare la penale responsabilità dell'imputato limitatamente ai delitti di cui ai capi 1) e 2). La vicenda può essere così schematizzata: - durante un servizio di pattuglia su strada, personale della Stazione CC di Trieste Rozzol notava, verso la mezzanotte del 29.8.2021, una autovettura Opel Agila con due persone a bordo e decideva di procedere al suo controllo. Nonostante gli avvisi dati con i mezzi in dotazione dell'autovettura di servizio, gli occupanti dell'Opel non si fermavano costringendo gli operanti ad intervenire in modo più deciso; - al momento del controllo gli operanti si notavano che entrambi gli occupanti dell'autovettura manifestavano chiari sintomi di alterazione alcolica; entrambi i soggetti erano privi di documenti e quindi declinavano le proprie generalità a voce; in particolare il conducente del mezzo dichiarava di (...), nato a T. il (...). Da una verifica alla banca dati, il (...) risultava essere soggetto privo di pregiudizi, titolare di porto d'armi in quanto guardia giurata. Tale circostanza induceva gli operanti a sospettare che le generalità fomite dal soggetto fossero veritiere. Procedevano quindi ad interrogare il soggetto su alcuni dati del (...) (nome della moglie, indirizzo della madre, etc.) ottenendo risposte del tutto errate. Informalmente veniva quindi richiesto all'altro occupante del mezzo ((...)) quali fossero le vere generalità del soggetto e comunque di condurre lo stesso presso il comando per accertamenti sulla sua identità. In tale contesto il (...) dichiarava che il soggetto si chiamava (...); - il (...), con le garanzie di legge veniva sottoposto alla prova dell'alcoltest con esito positivo, superiore a 2 gr/1 (come da tagliandini acquisiti agli atti). In sede di controllo presso il comando risultava poi che il (...) era stato condannato in altre due occasioni per il reato di guida in stato di ebbrezza e che nel secondo caso era stata sospesa per due anni la patente, che non era stata ancora restituita al (...), in quanto nonostante fosse trascorso il termine di due anni, non aveva presentato in Prefettura la documentazione sanitaria necessaria per riacquisire il documento; - il teste (...) dichiarava di aver trascorso la serata in compagnia del (...) e che entrambi avevano bevuto parecchio; che per tutta la sera il (...) aveva raccontato scherzando di chiamarsi (...); che al momento del controllo dei Carabinieri, allorquando aveva sentito il (...) declinare le generalità del (...) era intervenuto dicendo ai CC che in realtà lo stesso di chiamava (...). Sulla base di tale ricostruzione della vicenda (sostanzialmente conforme, salvo per il fatto che appare scarsamente credibile che il (...) abbia continuato a dichiarare di chiamarsi in quanto ormai "entrato nel personaggio" del (...) rappresentato tutta la sera (una cosa è scherzare con gli amici, ben altro è dichiarare le proprie generalità in occasione di un controllo di polizia ed il (...) aveva tutte le ragioni per cercare di nascondere le proprie generalità nel corso di tale controllo, tenuto conto dei precedenti per guida in stato di ebbrezza a suo carico), passando all'esame dei reati contestati nell'imputazione deve rilevarsi quanto segue: - non vi sono dubbi in ordine alla sussistenza del reato contestato al capo a) dell'imputazione, essendo il (...) stato colto alla guida dopo aver assunto un rilevante quantità vo di sostanze alcoliche, come attestato dall'alcoltest e ammesso dal teste (...); - i reati di cui agli artt. 495 e 368 c.p. nel caso in cui le false generalità fomite ad un P.U. nell'esercizio delle sue funzioni siano corrispondenti a quelle di una persona effettivamente esistente (come accaduto nel caso in esame), concorrono in quanto hanno ad oggetto diversi beni giuridici (la pubblica fede, da un lato, e la corretta amministrazione della giustizia e l'onore del soggetto falsamente incolpato il secondo; cfr. con riferimento ad un caso analogo a quello in esame Cass. Pen. 8246/2021); - con riguardo al delitto di calunnia, tuttavia, la stessa giurisprudenza sopra indicata rileva come il reato non sia configurabile per mancata lesione del bene giuridico (astratto pericolo di inizio di un procedimento penale), qualora la reale identità del soggetto sia contestualmente acquisita con altre modalità. Nel caso in esame, in una situazione nella quale gli stessi operanti nutrivano sin da subito forti dubbi sulla genuinità delle generalità fomite dal (...) (si veda esame del M.llo (...)), nella sostanziale immediatezza, tramite l'intervento del (...) venivano acquisite le esatte generalità dell'imputato. Tale circostanza esclude che si sia venuta a creare quella situazione di pericolo tutelata dalla norma in esame. In ordine al delitto di cui all'art. 368 c.p. l'imputato dovrà pertanto essere assolto perché il fatto non sussiste; - il reato di cui all'art. 495 c.p. è reato contro la fede pubblica a consumazione istantanea, escluso solo da una condotta di carattere grossolano ed evidente, quando cioè le generalità siano palesemente false (ad es. (...) nato a (...) nell'(...)). Nel caso in esame tale evenienza non è in alcun modo configurabile, avendo peraltro l'imputato dichiarato le generalità di un soggetto realmente esistente. Per tali ragioni deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati contestati ai capi 1) e 2). Sotto il profilo sanzionatorio, in assenza di elementi di favore e tenuto conto dei due precedenti a carico dell'imputato (precedenti che lo stesso probabilmente cercava di occultare fornendo false generalità), non vi sono ragioni per concedere le circostanze attenuanti generiche. Tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., appare congrua la pena di mesi 10 di arresto ed Euro 3000 di ammenda per il reato di cui al capo 1) pena base mesi 7 ed Euro 1800, aumentati per la contestata aggravante alla pena di cui sopra e di anni 1 di reclusione per il reato di cui al capo 2). All'affermazione della penale responsabilità segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. I precedenti a carico dell'imputato sono ostativi ad una nuova concessione del beneficio della sospensione condizionale. Deve infine essere applicata la sanzione amministrativa della revoca della patente. P.Q.M. visti gli artt. 533, 535 c.p.p., DICHIARA l'imputato responsabile dei reati ascritti ai capi 1 e 2 dell'imputazione e lo condanna alla pena di mesi 10 di arresto ed Euro 3.000 di ammenda per il reato di cui al capo 1) ed a quella di anni 1 di reclusione per quello di cui al capo 2). Condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali. Applica all'imputato la sanzione amministrativa della revoca della patente. Visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE l'imputato dal reato ascritto al capo 3) dell'imputazione perché il fatto non sussiste. Così deciso in Trieste l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE Sentenza Il Giudice Onorario Dr.ssa Debora Della Dora Gullion, alla pubblica udienza del 7.2.2023 ha pronunciato la seguente sentenza nei confronti di: (...), nato a T. il (...), irreperibile, difeso d'ufficio dall'avv. St.Br. di Trieste, non comparso SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio del 10.7.2017 il Pubblico Ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti di (...) per il reato di cui all'art. 646 c.p., come ascritto in epigrafe. All'udienza del 26.4.2018 è stato acquisito il decreto di irreperibilità dell'imputato emesso dal Pubblico Ministero in data 11.1.2017 e il processo è stato sospeso ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p. (nel testo ratione temporis vigente), con sospensione del corso della prescrizione. Sono state, quindi, disposte nuove ricerche dell'imputato come per legge. Alle udienze del 7.5.2019, 28.5.2020, 27.5.2021, 7.12.2021, 23.6.2022 6.12.2022 è stata confermata la sospensione del processo, non avendo avuto esito positivo le ricerche dell'imputato volta per volta disposte. All'udienza del 7.2.2023 il giudice ha dato atto che, con nota pervenuta il l'6.1.2023, la polizia giudiziaria incaricata ha comunicato che le nuove ricerche dell'imputato hanno avuto esito negativo. Le parti, quindi, considerata la nuova formulazione dell'art. 420-quater c.p.p., conseguente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, hanno concordemente chiesto la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Il giudice ha pronunciato sentenza mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE La richiesta delle parti è fondata e dev'essere accolta, in quanto non vi è prova che l'imputato sia effettivamente a conoscenza della pendenza del presente processo (vi è in atti decreto di irreperibilità dell'imputato emesso dal Pubblico Ministero in data 11.1.2027) e le ricerche dello stesso hanno finora avuto esito negativo. Trova applicazione all'odierno giudizio, infatti, la disciplina transitoria dettata dall'art. 89, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, secondo cui "Quando, prima dell'entrata in vigore del presente decreto, nell'udienza preliminare o nel giudizio di primo grado è stata disposta la sospensione del processo ai sensi dell'articolo 420-quater, comma 2, del codice di procedura penale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto e l'imputato non è stato ancora rintracciato, in luogo di disporre nuove ricerche ai sensi dell'articolo 420-quinquies del codice di procedura penale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 420-quater del codice di procedura penale come modificato dal presente decreto. In questo caso si applicano gli articoli 420-quinquies e 420-sexies del codice di procedura penale, come modificati dal presente decreto". Deve essere pertanto pronunciata, ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Ai sensi dell'art. 420-quater, comma 2, lett. e), c.p.p., è necessario indicare la data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare l'imputato. Tale data corrisponde al giorno in cui spirerà il termine massimo di prescrizione del reato ascritto all'imputato. Il reato contestato all'imputato si prescrive ordinariamente in sei anni; in presenza di atti interruttivi (che risultano compiuti, da ultimo con il decreto di citazione diretta a giudizio), il termine di prescrizione non può comunque superare i sette armi e sei mesi, ai sensi dell'art. 161, 2 comma, c.p. Il termine di prescrizione, tuttavia, è rimasto sospeso, ai sensi dell'art. 159, 1 comma, n. 3-bis), c.p., nel testo vigente anteriormente al D.Lgs. n. 150 del 2022, a causa della sospensione del processo per assenza dell'imputato. A tal proposito, si deve evidenziare che la sospensione del corso della prescrizione conseguente alla sospensione del processo per assenza dell'imputato è stata assoggettata a tre differenti regimi normativi: dapprima, l'art. 159, ultimo comma, c.p., introdotto dalla L. n. 67 del 2014 in concomitanza con la nuova disciplina del processo nei confronti di imputati assenti, aveva previsto che, in caso di sospensione del processo per assenza dell'imputato, la sospensione della prescrizione non potesse superare i termini di cui all'art. 161, 2 comma, c.p. La giurisprudenza della Corte di cassazione aveva precisato che tale aumento doveva sommarsi a quello già previsto ordinariamente dall'art. 161, 2 comma, c.p. come conseguenza del verificarsi di un atto interruttivo della prescrizione (Cass., sent. n. 1876 del 2021); la L. n. 134 del 2021 (legge delega della c.d. "riforma Cartabia"), in vigore dal 19.10.2021, ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 159 c.p., in previsione dell'attuazione della delega conferita al Governo per la riforma della disciplina del processo nei confronti di imputati assenti, senza tuttavia prevedere alcuna disciplina transitoria, sicché, a seguito di tale abrogazione, la sospensione della prescrizione conseguente alla sospensione del processo per assenza dell'imputato avrebbe dovuto protrarsi indefinitamente, senza termini massimi; il D.Lgs. n. 150 del 2022, in vigore dal 30.12.2022, ha introdotto un nuovo ultimo comma dell'art. 159 c.p., il quale prevede che, a seguito della pronuncia della sentenza di cui al "nuovo" art. 420-quater c.p.p., "il corso della prescrizione rimane sospeso sino al momento in cui è rintracciata la persona nei cui confronti è stata pronunciata, ma in ogni caso non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione di cui all'articolo 157". Stante la natura sostanziale (e non processuale) della disciplina dei termini di prescrizione (v., sul punto, Corte cost., sentt. n. 143 del 2014, n. 324 del 2008, n. 393 del 2006; ord. n. 24 del 2017), la successione di leggi nel tempo è regolata dall'art. 2 c.p., con le conseguenti applicazione retroattiva delle norme penali più favorevoli all'imputato e irretroattività delle modifiche sfavorevoli. Ciò posto, la disciplina successiva alla L. n. 134 del 2021 e antecedente al D.Lgs. n. 150 del 2022 è senza dubbio la più sfavorevole per l'imputato, in quanto non prevede alcun termine massimo alla sospensione della prescrizione. Detta disciplina, conseguentemente, non può trovare applicazione a nessun reato, in quanto: per i reati commessi dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, troverà applicazione esclusivamente la nuova disciplina; per i reati commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, ma dopo l'entrata in vigore della L. n. 134 del 2021, dovrà applicarsi (retroattivamente) la più favorevole disciplina di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, oggi in vigore, come peraltro espressamente previsto dall'art. 89, comma 5, del medesimo decreto legislativo; per i reati commessi prima dell'entrata in vigore della L. n. 134 del 2021, dovrà applicarsi la disciplina più favorevole all'imputato tra quelle di cui alla L. n. 67 del 2014 e di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022. Non è infatti possibile determinare a priori quale sia la disciplina più favorevole, in quanto la tipologia dell'eventuale recidiva contestata all'imputato incide diversamente sugli aumenti frazionari del termine di prescrizione. Premesso quanto sopra, nel caso di specie i reati contestati si assumono commessi tra il 6.5.2014 e il 12.1.2015, ossia prima dell'entrata in vigore della L. n. 134 del 2021 (19/10/2021). All'imputato non risulta contestata la recidiva di cui all'art. 99, 2 o 4 comma, c.p., né ricorre uno dei casi di cui agli artt. 102, 103 e 105 c.p., pertanto l'aumento del tempo necessario a prescrivere è pari a un quarto in conseguenza degli atti interruttivi e di un ulteriore quarto (calcolato sulla medesima "base" di cui all'art. 157 c.p.) a seguito della pronuncia della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo. Di conseguenza, poiché la disciplina ante L. n. 134 del 2021 comporterebbe un aumento del tempo necessario a prescrivere della metà (due aumenti di un quarto ciascuno, calcolati sulla medesima "base" di cui all'art. 157 c.p.), mentre la disciplina post D.Lgs. n. 150 del 2022 comporterebbe il raddoppio del medesimo tempo, deve trovare applicazione la prima, più favorevole per l'imputato. Nel caso di specie, pertanto, posto che il termine ordinario di prescrizione, di cui all'art. 157 c.p., è pari a sei anni e il termine massimo di prescrizione, in presenza di atti interruttivi, è pari a sette anni e sei mesi (ex artt. 157 e 161, 2 comma, c.p.), quest'ultimo termine deve essere aumentato di un ulteriore quarto (calcolato su sei anni), per giungere quindi ad un nuovo termine massimo (applicabile nonostante la sospensione del processo per assenza e la pronuncia dell'odierna sentenza) di nove anni. Ciò premesso, deve rilevarsi come i reati per cui si procede, si prescrivono tra il 6.5.2023 e il 12.1.2024, termine fino al quale dovranno essere proseguite le ricerche dell'imputato a cura della P.G. e, in caso di rintraccio, dovrà essere a lui notificata la presente sentenza, mentre in caso contrario la sentenza diverrà irrevocabile. Fino a tale data, in caso di rintraccio dell'imputato, la presente sentenza potrà essere revocata, ai sensi dell'art. 420-sexies c.p.p. Devono essere dati all'imputato gli avvertimenti di cui in dispositivo, per il caso in cui il loro rintraccio avvenga prima dello spirare del termine massimo di prescrizione del reato. La polizia giudiziaria, in caso di rintraccio dell'imputato, dovrà notificargli la presente sentenza, lo dovrà invitare a dichiarare o eleggere domicilio, a norma dell'art. 161 c.p.p., e dovrà provvedere agli ulteriori adempimenti di cui all'art. 420-sexies c.p.p., compreso l'avviso all'imputato della data e dell'ora dell'udienza fissata per la prosecuzione del processo, individuata sulla base dei criteri di cui in dispositivo. P.Q.M. Visto l'art. 420 quater c.p.p. e 89, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, DICHIARA non doversi procedere nei confronti dell'imputato (...) in ordine al reato a lui ascritto per mancata conoscenza della pendenza del processo. - dispone che, a cura della cancelleria, copia della presente sentenza sia trasmessa alla sezione di polizia giudiziaria - Carabinieri in sede, per la prosecuzione delle ricerche dell'imputato, con facoltà di subdelega; - dispone che la polizia giudiziaria ricerchi l'imputato fino al 12.1.12024; - dispone che, in caso di rintraccio, la polizia giudiziaria notifichi personalmente all'imputato copia della presente sentenza, lo inviti a dichiarare o eleggere domicilio, ai sensi dell'art. 161 c.p.p. e provveda agli ulteriori adempimenti di cui all'art. 420-sexies c.p.p.; - avverte l'imputato che, in caso di rintraccio il processo a suo carico sarà riaperto e si terrà innanzi al Tribunale di Trieste in composizione monocratica, autorità giudiziaria che ha pronunciato la presente sentenza; - l'udienza per la prosecuzione del processo a carico dell'imputato è fissata: - il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, alle ore 9:00, se il rintraccio è avvenuto nel primo semestre dell'anno (dal 1 gennaio al 30 giugno compresi); - il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell'anno successivo, alle ore 9:00, se il rintraccio è avvenuto nel secondo semestre dell'anno (dal 1 luglio al 31 dicembre compresi); - avverte l'imputato che l'udienza per la prosecuzione del processo a suo carico è fissata presso il Tribunale di Trieste; Foro Ulpiano n.1 piano terra, aula 113, alle ore 9.00; - avverte l'imputato che se non comparirà all'udienza fissata secondo le indicazioni di cui sopra, senza che sussista un legittimo impedimento, ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p., si procederà in sua assenza e sarà rappresentato dal difensore; - visto l'art. 143 disp. Att. dispone la trasmissione alla locale sezione di polizia giudiziaria, per l'inserimento nel centro elaborazione dati, di cui all'art. 8 della L. 1 aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni. Così deciso in Trieste il 7 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE (artt. 544 e segg. c.p.p.) Il giudice dott. Camillo poillucci alla pubblica udienza del 25 gennaio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: (...), nata in E. il (...), residente a T. in Via dell'I. n. 34 ed ivi elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Via (...) difesa di fiducia dall'avv. Ma.Ge. del foro di Trieste IMPUTATA del seguente reato: del delitto di cui all'art. 337 c.p. perché, essendo sprovvista del titolo di viaggio e dopo aver consegnato la copia della tessera sanitaria al pubblico ufficiale (...) che, quale controllore del bus n. 1 della Trieste Trasporti, stava redigendo il verbale di contestazione, gli usava violenza strappandogli di mano il documento e facendogli cadere a terra il POS a causa del colpo ricevuto sulla mano per poi scappare verso la stazione dei treni. In Trieste il 30/09/2021 Identificata la persona offesa in: (...), nato a T. il (...) e residente a M. in (...) U. n. 26/C MOTIVAZIONE Con decreto di citazione a giudizio ritualmente notificato, (...) veniva chiamata a rispondere del reato di cui in rubrica. L'istruttoria veniva svolta mediante l'esame dei testi indicati dalle parti e l'acquisizione di documenti. All'esito le parti concludevano come da verbale. Ritiene lo scrivente che gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria siano sufficienti per affermare la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato in contestazione, ma che i fatti non siano punibili ai sensi dell'art. 131 bis c.p. (...) è accusata di resistenza a pubblico ufficiale. Dall'istruttoria dibattimentale è emerso che il giorno 30.09.2021 l'imputata stava recandosi in autobus alla stazione dei treni. Era sprovvista del titolo di viaggio e per questo, lungo in tragitto, il controllore di turno sull'autobus, (...) si faceva consegnare i suoi documenti e poi scendeva assieme alla (...) per sanzionarla. L'imputata si lamentava in quanto il controllore ci metteva troppo tempo a compilare il modulo relativo alla sanzione, rischiando di farle perdere il treno che la stessa doveva prendere per recarsi a Venezia e poi a Parigi in aereo (come confermato dalla teste della difesa); dopo aver proposto al (...) di fare una fotografia dei suoi documenti e consentirle di allontanarsi, a un certo punto, indispettita, gli strappava i documenti di mano, facendo contestualmente cadere il macchinario che il (...) usava per redigere il verbale e si allontanava. La (...) veniva in seguito identificata dalla Polizia Ferroviaria quando già si trovava a bordo del treno. La dinamica del fatto è confermata dal video acquisito all'udienza del 05.10.2022, contenente le videoriprese effettuate da una delle telecamere di sicurezza dell'autobus su cui la (...) e il (...) avevano viaggiato, video nel quale si vede il repentino movimento della (...) per afferrare il proprio documento e poi allontanarsi. Per quanto concerne la qualificazione giuridica del fatto, non vi è dubbio sulla natura di pubblico ufficiale dell'addetto ai controlli sugli autobus (in quanto soggetto a cui sono attribuiti, nell'ambito dell'accertamento di un'infrazione, dei poteri autoritativi e certificativi; v. Cass. Pen., Sez. V, 13 febbraio 2018, n. 25649). Inoltre, la fattispecie di cui all'art. 337 c.p. risulta integrata anche dall'atto posto in essere dalla C., diversamente da quanto sostenuto dalla Difesa, in quanto "è sufficiente che l'uso della violenza e della minaccia intralci l'atto di ufficio o di servizio svolto dal pubblico ufficiale e l'autore del reato abbia come obiettivo di indurre questi ad astenersi dal compimento dell'atto" (Cass. Pen., Sez. VI, 9 luglio 2003, n. 37041). Tali presupposti, alla luce della dinamica del fatto, sono soddisfatti. Gli elementi sopra indicati sono sufficienti per affermare la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato in contestazione, in quanto la condotta violenta (sia pure di modesta entità e senza conseguenze per la p.o.) sono state poste in essere contestualmente al compimento dell'atto d'ufficio (l'imputata veniva sanzionata per aver viaggiato su un mezzo pubblico senza titolo di viaggio) e in assenza di cause di giustificazione. Per configurare l'atto arbitrario invocato dalla difesa non è sufficiente un mero sconfinamento di poteri, eventualmente censurabile come atto amministrativo, che comunque nei fatti per cui è procedimento non appare riscontrabile; è necessario che il pubblico ufficiale ecceda consapevolmente i suoi poteri, per perseguire una finalità non solo estranea alle sue funzioni, ma anche non conforme alla legge, con intenti puramente vessatori ed abusivi. La scriminante "presuppone il compimento di un'attività ingiustamente persecutoria che, eccedendo arbitrariamente i limiti delle sue attribuzioni funzionali, fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità ..." (Cass. Pen., Sez. VI, 19 maggio 2021, n. 25309), e ciò non si è verificato nel caso di specie, in quanto il (...) stava semplicemente compilando il modulo, e la velocità con cui procedeva alla compilazione non è elemento sufficiente a determinare l'arbitrarietà dell'atto. Atto che comunque il controllore aveva il potere di compiere, essendo la (...) sprovvista del titolo di viaggio per l'autobus. La condotta dell'imputata, però, è di entità modesta, in quanto la resistenza opposta al (...) è tenue: la donna non si è in alcun modo opposta alla sanzione che il controllore le stava applicando, lamentandosi solo della lentezza con la quale il (...) stava compilando gli atti; la condotta violenta non ha riguardato direttamente la persona offesa, che non ha subito alcuna lesione ma si è limitata alla presa repentina del documento. Inoltre, si può ritenere che si tratti di un fatto isolato, e dovuto ad una particolare situazione in cui la (...) si trovava (era di fretta in quanto doveva prendere un treno); ciò è desumibile anche dalla circostanza che l'odierna imputata non abbia alcun precedente, tantomeno della stessa indole rispetto a quello per cui è procedimento. Sussistono quindi i presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., anche alla luce della riforma recentemente entrata in vigore, la quale ha escluso l'operatività di tale norma, in relazione alla fattispecie di cui all'art. 337 c.p., per i soli casi in cui il fatto sia commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria (art. 131-bis, c. 3, n. 2, c.p.), esclusione quindi non applicabile al caso di specie. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE (...) dal reato a lei ascritto, in quanto i fatti non sono punibili ai sensi dell'art. 131-bis c.p. Così deciso in Trieste il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Luca Carboni ha pronunciato all'udienza del 23 gennaio 2023 la seguente: SENTENZA nel procedimento nei confronti di: (...), nato a R. (M.) il (...), residente a T. in via T. n.05, con domicilio ivi dichiarato. -già assente; non comparso- Difeso di fiducia dall'avv. Cr.BI. del Foro di Trieste IMPUTATO Art. 477, 482 c.p., perché falsificava o faceva falsificare il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) a suo nome, quale titolare di impresa, avente numero Inail di protocollo (...) con scadenza validità 24.4.19, consegnandolo a (...), responsabile dei lavori effettuati presso l'immobile di B. S. 183, di cui aveva ricevuto l'incarico. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del P.M., dd. 19/05/2021, (...) veniva citato a giudizio innanzi al Tribunale di Trieste in composizione monocratica in relazione al reato a lui ascritto in rubrica. Il 25/10/2021 veniva dichiarata l'assenza dell'imputato e la difesa depositava richiesta di elaborazione del programma di trattamento per la messa alla prova. In data 02/05/2022 veniva disposto un rinvio su richiesta dell'UDEPE. Anche il 19/09/2022 su istanza della difesa veniva disposto un rinvio del procedimento. All'udienza del 12/12/2022 il difensore rinunciava alla messa alla prova e l'imputato, sempre su richiesta del suo difensore, sulla base della procura speciale in atti, veniva ammesso al rito abbreviato. L'ultima udienza si celebrava il 23/01/2023 con le parti che discutevano la causa e presentavano le loro conclusioni così come indicate in epigrafe. A seguito delle stesse, questo giudice decideva, dando lettura di separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce degli elementi contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, ritiene il Tribunale che l'imputato debba essere ritenuto responsabile del reato a lui ascritto. In particolare, dalla c.n.r. si evince che il giorno dei fatti gli Ispettori del Lavoro di Trieste e (...) e (...) effettuarono un accesso ispettivo presso il cantiere edile del sig. (...) che aveva commissionato la manutenzione del proprio immobile all'odierno imputato (v. anche contratto tra committente ed impresa; aff. n. 9). Giunti sul luogo, gli Ufficiali di P.G. vi trovarono a lavorare il solo (...) a cui fu chiesto di produrre, entro i cinque giorni successivi, la documentazione che non era stato possibile visionare nell'immediatezza in quanto depositati lo studio del coordinatore dei lavori Architetto (...). Fu poi proprio quest'ultima ad inoltrare all'Ispettorato del Lavoro, nei giorni successivi, il contratto con cui venivano commissionati i lavori e copia del DURC dell'(...). Successivamente, contattato telefonicamente dall'Ispettorato per richiedere un'integrazione documentale, l'odierno imputato accennava al fatto di non essere in regola con i pagamenti INPS ed INAIL. La circostanza risultava in contrasto con quanto certificato dal DURC (documento e finalizzato proprio ad accertare la regolarità contributiva dell'operatore economico) e furono pertanto effettuati ulteriori controlli dai quali emergeva quanto segue: non vi era agli atti alcuna richiesta di Durc presentata dall'imputato che, peraltro, risultava debitore dell'INPS e dell'INAIL già in periodo antecedente alla data di rilascio del DURC stesso (18/12/2018); il numero di protocollo del documento risultava troppo basso per riferirsi un Dure rilasciato nel 2018 e la validità di 120 giorni del documento risultava discrepante rispetto alle date indicate nel documento. Gli accertamenti portavano così a scoprire che il numero di protocollo stampigliato sul documento si riferiva, invero, ad un DURC rilasciato nel corso del 2017 dall'Inail di Pordenone ad una diversa ditta e che, dunque, il DURC era certamente falso (v. anche verbali di s.i.t., oltre che le mail, rese dalla dirigente dell'INPS Croce Alessia e dalla funzionaria INAIL Bolognini Renata). Ciò premesso, la documentazione contenuta nel fascicolo, ed in particolare gli atti di P.G. che per la provenienza qualificata sono da ritenere pienamente attendibili, rendono evidente la configurazione, da parte dell'odierno imputato, del reato di cui agli artt. 477 e 482 c.p. Preliminarmente va chiarito che il DURC è un documento diretto a certificare la regolarità contributiva dell'operatore economico. Esso, dunque, deve essere considerata come certificazione amministrativa e la sua contraffazione è penalmente rilevante (v. Cass., Sez. II, n. 29709/2017: "Integra il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo, previsto dagli artt. 477, 482 cod. pen., la falsificazione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), stante la natura giuridica di tale atto, che ha valore di attestazione della regolarità di un'impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi dovuti agli enti di riferimento"). Quanto alla riconducibilità della falsificazione all'imputato, non vi è dubbio, anzitutto, che l'(...) abbia pacificamente utilizzato il documento contraffatto posto che è stato lui personalmente a consegnarlo alla responsabile dei lavori (v. s.i.t. rese da D.L. che ha chiarito di aver chiesto e poi ricevuto il documento direttamente dall'imputato). Appare poi decisiva la presenza del nominativo, del codice fiscale e l'indicazione della sede legale dell'imputato su un documento con numero di protocollo riferibile ad altra ditta. Questo implica che l'(...) ha materialmente provveduto alla formazione del documento falso o quantomeno consapevolmente partecipato alla contraffazione del documento, fornendo le proprie generalità e l'indicazione della sede legale dell'impresa. Quanto detto, unitamente alla considerazione, di carattere logico, che l'(...) era l'unico che avrebbe avuto interesse a contraffare il documento, porta a ritenere provato quanto meno il concorso dell'imputato nella contraffazione del DURC, condotta che integra, come già detto, tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui agli artt. 477-482 c.p. Quanto, poi, al dolo generico, in relazione alla fattispecie tipica in questione, esso consiste nella consapevolezza e nella volizione della falsità ed è desumibile dalla concreta condotta tenuta dall'agente che ha personalmente consegnato al responsabile dei lavori il DURC contraffatto dopo aver, come detto, quanto meno contribuito alla sua falsificazione fornendo i dati necessari. Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, non sono emersi elementi cui ancorare il riconoscimento delle attenuanti generiche, risultando peraltro dal casellario giudiziale la presenza di un precedente specifico per un reato di falso. Non può poi essere riconosciuta la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., non apparendo il fatto di particolare tenuità in considerazione dell'importanza della regolarità del documento falsificato in relazione al tipo di attività svolta dall'imputato. Venendo alla pena cui condannare l'(...), tenendo conto dei parametri tutti di cui all'art. 133 c.p. e in particolare delle modalità del fatto, si stima congruo determinare la stessa in mesi quattro di reclusione così determinata: pena base (già tenuto conto della cornice edittale rimodulata ai sensi di quanto stabilito ai sensi dell'art. 482 c.p.) mesi sei di reclusione; ridotta per il rito abbreviato alla pena finale suddetta. All'accertamento della responsabilità penale segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali. I benefici di legge non possono essere concessi, atteso che l'imputato, come emerge dal casellario giudiziale, ha già usufruito per due volte della sospensione condizionale della pena. Non si può procedere alla sostituzione della pena con la semilibertà, la detenzione domiciliare o i lavori di pubblica utilità: dato l'avviso di cui all'art. 545-bis, co. 1, c.p.p., a seguito della lettura del dispositivo (poi confermato), l'imputato non era presente e si prendeva atto che il difensore non aveva la procura speciale per chiedere la sostituzione con dette pene. Si deve poi aggiungere che la pena pecuniaria sostitutiva non pare invece idonea, in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., per la rieducazione del soggetto, apparendo insufficiente in considerazione, in particolare, dei suoi precedenti penali, come detto di cui uno specifico, e dell'assenza di segni di resipiscenza. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste, Sezione Penale, visti gli artt. 438 e ss., 533, 535 c.p.p., DICHIARA (...) colpevole del reato a lui ascritto e, ridotta la pena per il rito, lo CONDANNA alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione riservata in giorni 15 ex art. 544, co. 2, c.p.p. Così deciso in Trieste il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Luca Carboni ha pronunciato all'udienza del 23 gennaio 2023 la seguente SENTENZA nel procedimento nei confronti di: (...), nato a (...) il (...), residente a T. in via R. n. 2 (C.U.I. (...)), con domicilio eletto presso il difensore di fiducia -libero; presente - assistito dal difensore di fiducia avv. An.Sa., del Foro di Trieste IMPUTATO 1) della contravvenzione p. e p. dall'art. 4 L. n. 110 del 1975, perché, senza giustificato motivo, portava fuori dalla propria abitazione e comunque in luogo pubblico, in T. via C.: - 1 coltello a serramanico della lunghezza complessiva di cm. 23, marca Browning, con manico in legno misto metallo, e lama di cm. 10,5. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del P.M., dd. 04/05/2022, (...) veniva citato a giudizio innanzi al Tribunale di Trieste in composizione monocratica per rispondere del reato ascritto in rubrica. All'udienza del 03/10/2022, dichiarata l'assenza dell'imputato, il processo veniva rinviato per legittimo impedimento del difensore. Il 05/12/2022 l'imputato, su richiesta del difensore munito di procura speciale, veniva ammesso al rito abbreviato. All'ultima udienza, dd. 23/01/2023, l'imputato, presente, rendeva spontanee dichiarazioni con rinuncia al suo esame. Indi il P.M. e la difesa discutevano la causa presentando le proprie conclusioni così come indicate in epigrafe. A seguito delle stesse, questo giudice decideva, dando lettura di separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce degli elementi presenti nel fascicolo delle indagini preliminari, a parere del Tribunale risulta provata la penale responsabilità dell'imputato. Dalla c.n.r. e dall'annotazione di P.G., infatti, emerge che il giorno dei fatti, intorno alle 15:50, l'Ag. Sc. (...) ed l'Ag. (...) della Questura di Trieste fermarono il (...) all'altezza di Via C. per un controllo, all'esito del quale l'odierno imputato consegnò agli agenti un coltello a serramanico della lunghezza complessiva di 23 cm con lama di 10,5 cm, poi sottoposto a sequestro (v. anche verbale di sequestro in atti). Nell'immediatezza dei fatti il (...) giustificava il possesso del coltello dicendo che lo deteneva per difesa personale; in sede di spontanee dichiarazioni rese in udienza, ha invece affermato di averlo in tasca dal giorno precedente quando gli sarebbe servito per tagliare dei rami mentre si trovava a camminare nel carso con il proprio cane. Ciò premesso, alla luce degli atti di P.G. contenuti nel fascicolo, che per la provenienza qualificata sono da ritenere pienamente attendibili, appare dimostrata, come detto, la responsabilità dell'imputato in relazione al reato a lui ascritto. Egli, infatti, ha portato fuori dalla propria abitazione (il soggetto è stato controllato in strada), senza alcun giustificato motivo, il coltello di cui al capo d'imputazione, certamente qualificabile come strumento da taglio atto a offendere. Si deve preliminarmente evidenziare che l'oggetto in questione rientra tra quelli - indicati nella prima parte dell'art. 4, co. 2, L. n. 110 del 1975 - il cui porto privo di giustificato motivo configura reato senza che sia necessario provare che gli stessi, per le circostanze di tempo e di luogo, siano chiaramente utilizzabili per l'offesa della persona (v. Cass., sez. I, n. 10279/2012: Gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell'art. 4, comma secondo, della L. n. 110 del 1975 sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga "senza giustificato motivo", mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l'ultima parte della citata disposizione occorre anche che essi appaiano "chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona". (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente il reato nel caso di porto di uno sfollagente, della lunghezza di cm 48, e di un coltello a serramanico, con lama di cm 6, pur se non erano emersi, in concreto, elementi circa la loro destinazione all'offesa alla persona). Il possesso non giustificato del coltello da parte del B., pertanto, rileva ai sensi dell'art. 4 L. n. 110 del 1975 indipendentemente dalla valutazione delle circostanze di tempo e di luogo del fatto Chiarito ciò, la condotta non pare sorretta da un giustificato motivo. In tal senso, vi è, anzitutto, una totale discrasia tra quanto dichiarato nell'immediatezza dei fatti e quanto dichiarato in sede dibattimentale e la circostanza rende l'imputato certamente non credibile quanto alle ragioni del possesso del coltello. In secondo luogo, anche se valutate singolarmente, le spiegazioni fomite dal (...) non sono tali da escludere la configurabilità del reato. Quella della difesa personale, infatti, la stessa non può costituire in alcun modo un motivo lecito e, quindi, giustificato, specie in assenza di un qualunque pericolo attuale, nemmeno dedotto, da parte del soggetto (cfr. Cass., sez. IV, n. 49769/2019: Il "giustificato motivo" del porto degli oggetti di cui all'art. 4, comma secondo, L. 18 aprile 1975, n. 110, ricorre solo quando particolari esigenze dell'agente siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite relazionate alla natura dell'oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell'accadimento e alla normale funzione dell'oggetto. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure il mancato riconoscimento del giustificato motivo del porto di un coltello che l'imputato aveva dedotto servirgli per suddividere la sostanza stupefacente in suo possesso, ai fini della sua cessione a terzi).). Il fatto che il soggetto si fosse recato nel carso il giorno precedente, invece, non può certo giustificare il possesso dello stesso durante il pomeriggio del giorno seguente: il porto del coltello al momento dell'accertamento, infatti, non può considerarsi causalmente riconducibile alla spiegazione fornita. Inoltre, questa seconda versione, offerta dall'imputato solo in sede dibattimentale, difetta del requisito dell'attualità non solo in relazione al porto del coltello rispetto al momento dell'accertamento, ma anche perché il giustificato motivo idoneo a escludere la punibilità è solamente quello espresso immediatamente dalla persona e suscettibile di immediata verifica da parte delle forze dell'ordine (v. Cass., Sez. I, n. 18925/2013 : Il "giustificato motivo" rilevante ai sensi dell'art. 4 della L. 18 aprile 1975, n. 110, non è quello dedotto a posteriori dall'imputato o dalla sua difesa, ma quello espresso immediatamente, in quanto riferibile all'attualità e suscettibile di una immediata verifica da parte dei verbalizzanti (Nella specie l'imputato, trovato su alcuni gradini in una pubblica via con un coltello nel mentre preparava una sigaretta, aveva assunto nella immediatezza che il coltello era da lui usato per il capeggio, laddove, invece, nel ricorso aveva sostenuto che si trattasse di un arnese usato come "apribottiglie")). Provati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie tipica contestata di cui all'art. 4, co. 2, L. n. 110 del 1975, l'elemento soggettivo della contravvenzione in capo all'imputato appare pienamente deducibile dalle univoche modalità della condotta e dalla natura e dimensioni dell'oggetto in questione, oltre che dalla stessa assenza di un giustificato motivo credibile. Alla luce dei parametri di cui al primo comma dell'art. 133 c.p., in relazione alle modalità della condotta e al grado dell'offesa al bene giuridico tutelato, non può riconoscersi la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. in considerazione delle non certo modeste dimensioni del coltello (della lunghezza di 23 cm, con lama di 10,5 cm). Ciò premesso, il fatto può essere tuttavia ritenuto di lieve entità, ai sensi dell'art. 4, co. 3, L. n. 110 del 1975 (il fatto che la valutazione di tale circostanza attenuante debba ritenersi autonoma e diversa da quella relativa alla causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto si deduce dal co. 5 dell'art. 131-bis c.p.), in quanto non sono emerse circostanze in base alle quali si debba ritenere che le modalità della condotta fossero particolarmente offensive, il soggetto risulta incensurato e l'arma posseduta era solamente una (sull' applicabilità della circostanza attenuante di cui al terzo comma dell'art. 4 L. n. 110 del 1975 in relazione ad un porto di un coltello v. Cass. Sez. II, n. 47145/2019: La circostanza del fatto di lieve entità di cui all'art. 4, comma terzo, L. 18 aprile 1975, n. 110 si applica a tutte le armi improprie indicate nell'art. 4, comma secondo, L. 18 aprile 1975, n. 110 cit. e non ai soli oggetti atti ad offendere strettamente intesi. (Fattispecie relativa a porto di coltello).). Le attenuanti generiche non possono essere riconosciute, in quanto non vi sono elementi positivi, diversi e ulteriori rispetto a quelli già valutati per la concessione dell'attenuante di cui all'art. 4, co. 3, L. 18 aprile 1975, n. 110 cit., sulla base dei quali sarebbe possibile fondarle; né sarebbe corretto tenere conto per due volte degli stessi elementi al fine di riconoscere due diverse attenuanti. Venendo quindi alla pena cui condannare l'imputato, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p., si stima congruo determinare la stessa in Euro 1.000,00 di ammenda (pena base, determinata tenendo conto della concessione dell'attenuante, ad effetto speciale, di cui all'art. 4, co. 3, L. 18 aprile 1975, n. 110 cit., Euro 2.000,00 di ammenda; ridotta per il rito abbreviato, della metà, trattandosi di una contravvenzione, alla pena finale suddetta). All'accertamento della responsabilità penale segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali. Letti i parametri di cui all'art. 133 c.p., espressa una prognosi di recidiva favorevole nei confronti dell'imputato, finora incensurato, può essere a lui concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. Inoltre, trattandosi di prima condanna contenuta nei limiti di pena di cui all'art. 175 c.p., può essere accordato anche il beneficio della non menzione della stessa nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati. Visto l'art. 240, co. 2, n. 2, c.p., a seguito della condanna deve essere disposta la confisca e distruzione del coltello in sequestro. P.Q.M. Il Tribunale, Sezione Penale, visti gli artt. 438 e ss., 533, 535 c.p.p., DICHIARA (...) colpevole del reato a lui ascritto e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 4, co. 3, L. n. 110 del 1975, ridotta la pena per il rito, lo CONDANNA alla pena di Euro 1.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 163, co. 1, c.p. e 175, co. 1, c.p., ACCORDA all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nei termini e sotto le condizioni di legge; visto l'art. 240 c.p., ORDINA la confisca e distruzione del coltello in sequestro. Motivazione riservata in giorni 15 ex art. 544, co. 2, c.p.p. Così deciso in Trieste il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

  • Tribunale Ordinario di Trieste Il Tribunale, nella seguente composizione collegiale dott.ssa Anna Lucia Fanelli - Presidente dott.ssa Gloria Carlesso - Giudice relatore dott. Edoardo Sirza - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di 1 grado iscritta al n. r.g. 1966/2018 promossa da: M.N. nata a X il X (...) e residente a T. via X rappresentata e difesa dall'avv. ...ed elettivamente domiciliata nel suo studio di via ... ricorrente contro S.M., nato a X il X (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. ...del Foro di Trieste che lo rappresenta e difende resistente e con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO; causa avente ad oggetto: separazione giudiziale tra coniugi con richiesta di addebito Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. N.M., con ricorso depositato il 24 maggio 2018, ha chiesto la separazione giudiziale dal coniuge, M.S., con il quale aveva contratto matrimonio in data 10/10/2007 a ...(MI) ed ha richiesto che la separazione venisse addebitata al marito a causa della condotta violenta e svalutante, quando non pesantemente offensiva, che aveva caratterizzato l'atteggiamento di lui verso la moglie; ha esposto che dal matrimonio erano nati due figli F.B. il X (...) a X e D.E. il X (...) a G. che di frequente avevano assistito alle violenze fisiche e verbali del padre; che la famiglia si era spostata per lavoro, vivendo per un periodo anche in Cina e aveva avuto sempre problemi economici tanto che in Italia era stata aiutata persino dalla comunità ebraica; che comunque il padre, oltre a tenere un comportamento molto duro verso i figli, non si era mai veramente occupato della loro educazione e mantenimento e dopo che lei lo aveva lasciato aveva cominciato a perseguitarla (pedinandola, inviandole messaggi). Ha chiesto, dunque, di pronunciare la separazione, con addebito a carico del marito, onerandolo dell'obbligo di mantenimento nei confronti della moglie e dei figli, da collocare presso la madre, pur in affido condiviso, con diritto di visita del padre per due volte la settimana senza pernotto. 2. La parte resistente, costituitasi in giudizio, ha contestato totalmente la narrazione dei fatti esposti dalla moglie, chiedendo, all'opposto, che la separazione dovesse essere a lei sola addebitata per abbandono del tetto coniugale e che i figli dovessero essere affidati solo al padre, con obbligo per la madre di contribuire al loro mantenimento con un assegno di 400 Euro, e uno di Euro 150 a favore del coniuge. 3. Comparsi innanzi al Presidente all'udienza del 4 ottobre 2018, i coniugi sono stati autorizzati a vivere separati e il presidente, accogliendo l'intesa provvisoria raggiunta dalle parti, ha disposto - con ordinanza assunta in udienza - l'affido condiviso dei figli con collocamento presso la madre e possibilità per il padre di vederli, al momento, senza pernotto il sabato pomeriggio, la domenica mattina e il mercoledì pomeriggio; ha inoltre disposto l'onere del padre di contribuire al loro mantenimento con la somma di Euro 150 oltre a 50 Euro a favore della moglie. 4. Pronunciata, su richiesta concorde delle parti, sentenza parziale di separazione (sentenza n. 130 del 18 febbraio 2019), la causa è stata istruita con l'assunzione dei testi offerti dalla ricorrente; nel corso del procedimento, inoltre, con provvedimento adottato ex art. 709 c.p.c., è stato disposto che i tempi di visita presso il padre avvenissero in modalità protetta; 5. E' stata già avviata - su iniziativa di M.S. - la causa di divorzio, per cui la competenza a decidere sull'affidamento dei figli deve ritenersi attratta nella causa di scioglimento del matrimonio: va dato atto, infatti, che in detto procedimento sono stati assunti una successione di provvedimenti in ordine all'affidamento dei figli e (in particolare) ai tempi e modalità delle visite del padre sia alla luce della relazione dei servizi sociali sia alla luce della CTU ivi disposta (dott.ssa T.): alle visite con il padre nel corso del quale è stata già adottata quanto a detto profilo un provvedimento temporaneo e urgente in data 6 ottobre 2020 con cui il presidente del Tribunale- confermato l'affidamento condiviso dei figli a entrambi i genitori - disponeva che il S. potesse frequentare i figli non meno di due pomeriggi la settimana dalla fine della scuola fino all0'ora di cena con giornate e modalità da concordare con la moglie e i Servizi Sociali del Comune; all'esito della CTU disposta nel procedimento di divorzio il GI confermava le visite presenziate tra F. e il padre, inizialmente in spazio neutro, e qualora ne sussistessero i presupposti e sempre alla presenza dell'educatore progressivamente anche con delle uscite o a domicilio del sig. S.M. (vd ordinanza 1 aprile 2021 sub procedimento iscritto al n. 1081/2020). 6. Pur rinnovato anche dall'estensore di questa decisione (che ha sentito le parti il 28 aprile 2022) il tentativo di conciliazione, la causa è stata rimessa al collegio per la decisione il 2 novembre 2022 sulle conclusioni delle parti sopra trascritte, alla scadenza dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche. 7.Le questioni da definire in questo giudizio riguardano dunque l'addebito della separazione e il contributo al mantenimento, mantenendosi, quanto all'affidamento dei figli i provvedimenti provvisori da ultimo adottati dal Tribunale. 7.a Quanto all'addebito va dato atto che le prove assunte hanno rivelato la condotta violenta e prevaricatrice del signor S. nei confronti della moglie, consistita non solo in atti di violenza fisica (percosse tali da lasciare i lividi sul copro) ma anche di violenza verbale, che sia i vicini che la direttrice della scuola frequentata dai minori hanno potuto registrare. Orbene, è solido in giurisprudenza il principio secondo il quale le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che, nel rigettare la richiesta di separazione con addebito proposta dalla moglie nei confronti del marito, aveva omesso di prendere in considerazione la condotta violenta di quest'ultimo, che da varie testimonianze, riscontrate da referti ospedalieri e provvedimenti del Questore, risultava avere spesso fatto ricorso a violenza fisica sia nei confronti della coniuge che dei figli) (da ultimo vds Cass 24.10.2022, n. 31351). La domanda di addebito della separazione al marito va dunque accolta. 7.b. Quanto al contributo al mantenimento, e in assenza di documentazione aggiornata sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti che hanno entrambe riferito di percepire un reddito decisamente modesto (Euro 350 al mese), si ritiene di confermare la misura del contributo stabilito, su accordo delle parti stesse, all'esito dell'udienza presidenziale (150 per entrambi i figli e 50 Euro per la moglie) disponendo che l'assegno unico e universale venga percepito integralmente dalla madre, collocataria dei minori: entrambi i genitori, infatti, non hanno perduto le abilità al lavoro e pur nelle loro rispettive dichiarate precarietà, non possono essere sollevati dall'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli; essendo questi collocati presso la madre, dovrà essere posto a carico del padre un contributo al loro mantenimento; il padre sarà altresì onerato dell'obbligo di contribuire alle spese straordinarie secondo il protocollo sottoscritto dal Tribunale con il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di X il 18 maggio 2015; la signora M., inoltre, è attualmente percettore del reddito di cittadinanza, circostanza che conferma uno stato di bisogno idoneo a giustificare anche un assegno di mantenimento a suo favore, pur nella modesta e quasi simbolica misura di Euro 50,00 al mese. 7.c Le spese di lite vengono compensate tra parti, entrambe ammesse al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. 11 Tribunale di Trieste definitivamente pronunciando nella causa di separazione iscritta al 1966/2018 promossa da M.N. contro M.S. così provvede: richiamata la sentenza del 19 febbraio 2019 che ha pronunciato la separazione personale tra i coniugi N.M. e M.S. 1. dichiara che la separazione va addebitata al signor S.M.; 2. conferma l'affidamento condiviso dei figli con collocamento presso la madre e richiama quanto a modalità di visita del padre, i provvedimenti adottati nel procedimento di divorzio n. 1081/2020; 3. pone a carico del padre l'obbligo di versare, a titolo di mantenimento della prole, Euro 150 mensili (75,00 per ciascun figlio), rivalutabili annualmente ex indici Istat oltre al 50% delle spese straordinarie secondo protocollo 18.5.2018; 4. pone a carico di M.S. l'obbligo di versare a M.N. un assegno di mantenimento di Euro 50,00 mensili, rivalutabili annualmente ex indici Istat; 5. compensa integralmente le spese di lite tra le parti. Dispone che l'Ufficiale di Stato Civile del Comune interessato proceda all'annotazione della sentenza. Conclusione Così deciso in Trieste, il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.

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