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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI UDINE SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona della Giudice dott.ssa Irma Giovanna Antonini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al R.G. n. 1711/2023 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. (...) ricorrente contro (...) e (...), con il patrocinio degli avv.ti (...) e (...) resistenti avente ad oggetto: contratto di locazione ad uso abitativo; diniego del rinnovo alla prima scadenza. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) ha stipulato con (...) un contratto di locazione ad uso abitativo con decorrenza dal 29/2/2020, di durata quadriennale e prorogabile per ulteriori quattro anni, salvo diniego di rinnovo alla prima scadenza ai sensi dell'art. 3 della legge n. 431/1998. Con raccomandata dd. 13/3/2023 la sig.ra (...) ha comunicato agli odierni resistenti di non voler rinnovare il contratto per il secondo quadriennio, intendendo adibirlo ad abitazione del figlio. In materia di diniego di rinnovo alla prima scadenza, si osserva che la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi più volte, sempre confermando il medesimo orientamento: "In tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, nella comunicazione del locatore del diniego di rinnovo del contratto, ai sensi dell'art. 3 della l. n. 431 del 1998, deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati dalla stessa norma, sul quale la disdetta è fondata, in modo da consentire, in caso di controversia, la verifica "ex ante" della serietà e della realizzabilità dell'intenzione dedotta in giudizio e, comunque, il controllo, dopo l'avvenuto rilascio, circa l'effettiva destinazione dell'immobile all'uso indicato nell'ipotesi in cui il conduttore estromesso reclami l'applicazione delle sanzioni ivi previste a carico del locatore. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto correttamente esercitata dal locatore la facoltà di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza, avendo fatto legittimo riferimento nella lettera di disdetta all'intenzione di adibire l'immobile ad abitazione della propria figlia)" (Cass., n. 3938/2023). Ulteriormente, "In tema di locazione di immobili destinati a uso abitativo, affinché il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, secondo quanto previsto dall'art. 3 della legge n. 431/1998, non è necessario che egli fornisca la prova dell'effettiva necessità di destinare l'immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma è sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3 del citato art. 3, nell'eventualità in cui il locatore non abbia adibito l'immobile all'uso dichiarato nell'atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi dalla data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità" (Cass., n. 17577/2013, che cita Cass. n. 25808/2009; si v. anche Cass. n. 936/2013). Invero, a tale orientamento giurisprudenziale - univoco e consolidato, al punto che la Corte di Cassazione ha considerato da ultimo la questione sollevata dal conduttore "manifestamente infondata" (Cass., n. 3938/2023) - questo Tribunale ritiene di conformarsi. La raccomandata inviata dalla sig.ra (...) contiene tutti gli elementi necessari per valutare la serietà e realizzabilità dell'intenzione (deve ritenersi a tal fine sufficiente la mera dichiarazione, specifica, di intendere adibire l'immobile all'uso abitativo del figlio), mentre la verifica concreta di quanto dichiarato potrà avvenire solo successivamente, nel termine di dodici mesi stabilito dalla legge. La domanda formulata dalla ricorrente può, dunque, essere accolta, ma nei soli confronti della controparte contrattuale (...). Non sussiste, invece, alcun titolo della sig.ra (...) nei confronti di (...) , né appare congruo il riferimento alla novazione soggettiva, per altro in carenza assoluta di allegazione e prova, nonché in presenza di uno stringente requisito di forma per il contratto in esame, che richiede la forma scritta. Si osserva, infatti, che l'azione proposta dalla ricorrente è contrattuale e sulla stessa il Tribunale deve pronunciarsi. Al riconoscimento della legittimità del diniego al rinnovo del contratto nei confronti di (...) , consegue la naturale scadenza del contratto stesso al 29/2/2024. Tuttavia, le ragioni allegate e documentate dal resistente, tenuto conto del disposto di cui all'art. 56, legge 392/1978, impongono di ritenere congrua per il rilascio la data del 30/6/2024. Infine, secondo la regola generale dettata dall'art. 91 c.p.c., le spese di lite seguono la soccombenza: pertanto, (...) dovrà rifondere le spese di lite a (...) e quest'ultima dovrà rifonderle a (...) . Le spese sono liquidate come da dispositivo secondo i parametri previsti dal D.M. 55/2014, tenuto conto del valore della causa, della normale complessità dell'affare e del riconoscimento delle fasi di studio, introduttiva e decisionale. Si specifica che [...] (...) ha diritto al riconoscimento delle spese legali nella loro interezza, nonostante la difesa sia stata assunta dai medesimi avvocati di (...) , attesa la completa autonomia delle posizioni sostanziali e processuali delle due parti resistenti. P.Q.M. ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunziando, il Tribunale di Udine così provvede: - accerta e dichiara che (...) ha legittimamente esercitato la facoltà di diniego del rinnovo del contratto di locazione intercorso con (...) , ai sensi dell'art. 3 della legge n. 431/1998; - per l'effetto, condanna (...) a rilasciare, entro il termine del 30/6/2024, in favore di (...) l'immobile sito in (...) e (...), libero da sé, persone e cose, anche interposte; - rigetta ogni domanda formulata da (...) nei confronti di (...); - condanna (...) al pagamento delle spese processuali in favore di (...) liquidate in Euro 2.900,00 per competenze di avvocato ed Euro 125,00 per esborsi, oltre a spese generali nella misura del 15%, IVA e CNAP come per legge; - condanna (...) al pagamento delle spese processuali in favore di (...), liquidate in Euro 2.900,00 per competenze di avvocato, oltre a spese generali nella misura del 15%, IVA e CNAP come per legge. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti. Così deciso in Udine il 12 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO 11 Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Paola Got Turri Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 12/01/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Co.Lu. nato il (...) a P. (S.) residente in Via M. D. F. 59 - P. (S.) - con domicilio ivi dichiarato - libero assente - Difeso dall' avvocato di fiducia CALABRESE Vincenzo del foro di Nocera Inferiore Da.Io. nato il (...) a R. (R.) residente in Via P. G. Xxiii 25 - B. (T.) - con domicilio eletto in Via C. 10 - B. (T.) - libero assente - Difeso dall' avvocato d'ufficio GALLUZZO Annaleda del foro di Udine IMPUTATI Co.Lu. - Da.Io. delitto p. e p. da art. 110 e art. 640 c.p., perché, in concorso tra loro, o con altri ignoti, o cori condotte autonome casualmente convergenti alla causazione dell'evento sotto indicato, con artifizi o raggiri consistiti: -nel contattare o far contattare To.Ma. (persona offesa), che aveva effettuato sul sito "(...)" inserzione di annuncio di vendita di un caricabatterie per auto, attivando con la stessa contatti attraverso il numero (...) (utenza risultata intestata a cittadino del Bangladesh, attivata in data 24.10.2020), mostrando apparente interesse per l'acquisto del bene predetto messo in vendita; -nel convincere To.Ma. (persona offesa) a recarsi presso sportello ATM della Ba.In. ove la stessa avrebbe potuto ricevere, seguendole indicazioni operative via fomite via telefono, l'accredito della somma per la vendita del bene; inducendo in errore dapprima To.Ma. e quindi anche la compagna di lui La.So. (che a lui si accompagnava) sulla veridicità delle operazioni che gli stessi compivano seguendo le indicazioni ricevute, nella convinzione per gli stessi (rivelatasi erronea) che ad esse avrebbe fatto seguito l'accredito in loro favore, anziché l'addebito come di fatto avvenuto, si procuravano l'ingiusto profitto della somma complessiva di Euro 2.982,00 pari a: nr 6 ricariche da 497,00 Euro ciascuna, conseguenti alle operazioni materialmente compiute dalle persone offese presso ATM della Ba.In. di T. (U.) via U., nr 6 operazioni di ricarica, ricariche effettuate come segue: - ricarica di Euro 497,00 effettuata alle ore 18:13 - ricarica di Euro 497,00 effettuata alle ore 18:14 in favore della carta prepagata SUPERFLASH PAYPASS avente nr (...), carta emessa in data 08.04.2015 in favore di Co.Lu., carta estinta in data 27.10.2020; - ricarica di Euro 497,00 effettuata alle ore 18:16 - ricarica di Euro 497,00 effettuata alle ore 18:18 - ricarica di Euro 497,00 effettuata alle ore 18:20 - ricarica di Euro 497,00 effettuata alle ore 18:23 in favore della carta prepagata FLASH NOMINATIVA avente nr (...), carta emessa in data 20. 10.2020 in favore di Da.Io., carta bloccata per utilizzo irregolare in data 24.10.2020 con pali danno per To.Ma. e La.So. In TAVAGNACCO (UD), luogo di esecuzione delle ricariche, in data 24 10 2020 Su querela di To.Ma. e La.So. in data 28 10 2020 Con l'intervento del P.M. dott.ssa PE.Pa. (con delega), Parti Civili: To.Ma. e La.So. con l'avv.to BR.Gi. del foro di Trieste sostituito ex art. 102 c.p.p. dall'avv. CO.Pa. del foro di Udine e dei difensori di fiducia: avv.to CA.Vi. del foro di Nocera Inferiore sostituito dall'avv.to PI.Ma. del foro di Udine che si dichiara sostituto per l'imputato Co.Lu., avv.to GA.An. del foro di Udine sostituita dall'avv.to MA.Pa. che si dichiara sostituto per l'imputato Da.Io.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dalla Procura della Repubblica di Udine, gli odierni imputati venivano citati a giudizio dinnanzi a questo Tribunale per rispondere del reato a loro ascritto in rubrica. All'udienza di data 27 giugno 2023 veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive istanze di prova: il Pm chiedeva di essere ammesso a provare i fatti di causa mediante l'esame dei testi indicati in lista, esame dell'imputato e dimettendo documentazione, le difese della parte civile e degli imputati chiedevano il controesame dei testi ed esame degli imputati. Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell'art. 495 c.p.p., all'udienza di data 27 ottobre 2023 venivano sentiti i testi C.A. e D.L. ed acquisita, su accordo delle parti ai sensi dell'art. 493 c.p.p., la denuncia querela sporta in data 28.10.2020. Dichiarata chiusa , l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili, ai fini della decisione, gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza del 12 gennaio 2024 ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna di entrambi gli imputati per il reato di rubrica. To.Ma. e La.So., in sede di denuncia querela, acquisita agli atti ai sensi dell'art. 493 c.p.p., hanno riferito che nella giornata del 24 ottobre 2020 T. aveva postato sul sito "(...)" un annuncio per la vendita di un caricabatterie per auto al prezzo di Euro 200,00, poco dopo era stato contattato, tramite l'utenza telefonica n. 3512931421, da taluno che aveva dichiarato di essere interessato all'acquisto; l'uomo, gli aveva proposto, come forma di pagamento, una ricarica sulla sua carta di debito, invitandolo perciò a recarsi presso uno sportello ATM della Ba.In. ed a seguire le istruzioni che gli avrebbe dato. T., recatosi ad uno sportello della Ba.In. di T. unitamente alla compagna, La.So., in contatto telefonico con l'asserito acquirente ed il di lui fratello, aveva seguito le istruzioni impartite, inserendo la sua carta bancomat e digitando i codici comunicatigli. Le persone offese, in totale buona fede, ritenendo di ricevere in tal modo il pagamento concordato, avevano eseguito passo dopo passo le istruzioni ricevute, ripetendo più volte le operazioni nella convinzione che nessuna di queste fosse andata a buon fine; così facendo in realtà T. aveva effettuato due ricariche dell'importo di Euro 497,00 (oltre a Euro 2,00 di commissioni per ciascuna operazione) sulla carta intestata a Co.Lu., mentre La.So. aveva effettuato quattro ricariche dell'importo di Euro 497,00 (oltre a Euro 2,00 di commissioni per ciascuna operazione) sulla carta n intestata a Da.Io.. Posto che ad ogni operazione l'esito era sempre negativo le persone offese si erano spazientite ed avevano deciso di interrompere le ricariche e di rinunciare alla vendita; successivamente, meglio riflettendo sull'accaduto, avevano realizzato di aver in realtà bonificato ai due soggetti la complessiva somma di Euro 2,982,00. Il Brig. C.A., in servizio presso la Stazione Carabinieri di Bassano del Grappa, sentito in sede dibattimentale, ha riferito che dagli accertamenti effettuati a seguito della denuncia querela sporta da T. e Larice, era emerso che la carta prepagata avente n. (...), sulla quale T. aveva effettuato i due pagamenti, era intestata a Co.Lu., attivata dallo stesso utilizzando un documento d'identità valido e mai denunciato smarrito, così come la carta prepagata, l'indicato conto era tuttavia stato svuotato e chiuso pochi giorni dopo aver ricevuto il denaro; gli altri quattro pagamenti erano stati effettuati sulla carta prepagata n. (...) intestata a Da.Io. attivata pochi giorni prima della presente vicenda, in data 20.10.2020 e denunciata come smarrita pochi giorni dopo, il 26.10.2020. In riferimento all'utenza telefonica n. (...) utilizzata dall'asserito acquirente, questa era intestata ad un cittadino straniero. Da un controllo dei tabulati telefonici relativi all'indicata utenza è emerso che al momento dei fatti l'asserito venditore si stava muovendo per vari paesi del Veneto (tra Padova e Vicenza), come se fosse stato su di un mezzo pubblico. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento si deve osservare quanto segue. Preliminarmente va osservato che corretta risulta l'attribuzione dei fatti alla agli odierni imputati, rilevato che, sebbene questi abbiano usato diversi accorgimenti per non essere rintracciati, quali non aver dato il loro nominativo o l'aver utilizzato un'utenza telefonica intestata ad un soggetto inesistente, dall'istruttoria dibattimentale è emerso che le due carte prepagate, così come i conti corrente di riferimento, erano a loro intesti ed a loro in uso, posto che D. aveva attivato la carta pochi giorni prima della presente vicenda e l'veva denunciata come smarrita pochi giorni dopo, mentre C., pochi giorni dopo aver ricevuto le ricariche da T. aveva trasferito il denaro in un altro suo conto; condotte queste che evidenziano la volontà e la consapevolezza degli imputati di ricevere denaro senza averne titolo. Ciò posto, dall'istruttoria dibattimentale è chiaramente emerso che gli imputati, fingendo di accettare la proposta di vendita del caricabatteria postata sul sito "(...)" da To.Ma., aveva indotto costui e la di lui compagna a procedere con due versamenti sulla carta ricaricabile n. (...) intesta a Co.Lu. e con quattro versamenti sulla carta ricaricabile n. (...) intesta a Da.Io., nella falsa convinzione di ricevere, così facendo, il pagamento del prezzo pattuito per la vendita del caricabatterie. Condotta questa che ben può rappresentare quei raggiri ed artifici richiesti dalla norma, ciò anche in considerazione del fatto che nel reato di truffa è irrilevante l'eventuale negligenza o superficialità del soggetto passivo nell'accertare circostanze che, se conosciute impiegando la dovuta diligenza, avrebbero svelato l'artificio o il raggiro. (Cass. Pen. Sez. 2, sent. n. 42941 del 25.09.2014 dep 14.10.2014). Deve pertanto ritenersi configurata, sotto ogni suo aspetto oggettivo e soggettivo, la condotta tipica del reato di cui all'art. 640 c.p. così come contestato. Va osservato che non è possibile riconoscere la particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p., tenuto conto dell'intensità del dolo dimostrata dalla stessa, tale da indurre, senza esitazione, le persone offese ad effettuare quanti più versamenti possibile. (Cass! Pen. Sez. Un. sentenza n. 13681 del 25.2.2016). Va pertanto affermata la penale responsabilità di entrambi gli imputati in ordine al reato di rubrica. Quanto al trattamento sanzionatorio, valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. concesse le attenuanti generiche, in considerazione della condotta processuale tenuta, è da ritenersi pena congrua quella di mesi 4 di reclusione ed Euro 100,00 di multa per ciascuno degli imputati, così determinata: pena base mesi 6 di reclusione ed Euro 150,00 di multa, ridotta ex art.' 62 bis c.p. a mesi 4 di reclusione ed Euro 100,00 di multa. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali in capo ad entrambi gli imputati. Sussistono i presupposti per concedere ad entrambi la sospensione condizionale della pena, potendosi ritenere che in considerazione della loro incensuratezza, sia possibile formulare una prognosi favorevole in ordine alla futura astensione dalla commissione di altri reati; ai sensi dell'art. 165 c.p. la sospensione condizionale della pena viene subordinata, per entrambi gli imputati, al pagamento del risarcimento del danno a favore delle parti civili da effettuarsi nel termine di anni 1 (uno) dalla irrevocabilità della sentenza. Sussistono, inoltre i presupposti per concedere anche il beneficio della non menzione della condanna nel casellario, attesa l'incensuratezza degli imputati. Entrambi gli imputati andranno, inoltre, condannati al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili che si liquida - in via equitativa - in complessivi Euro 4.000,00, oltre al pagamento delle spese legali di parte civile liquidate in complessivi Euro 2.273,21 oltre accessori previsti per legge. Appare congrua l'assegnazione del termine di 80 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine in composizione monocratica Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Co.Lu. e Da.Io. colpevoli del reato a loro ascritto e concesse le attenuanti generiche, li condanna alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 100,00 di multa per ciascuno degli imputati, oltre al pagamento delle spese processuali in capo ad entrambi. Pena sospesa e non menzione per entrambi gli imputati; ai sensi dell'art. 165 c.p. la sospensione condizionale della pena viene subordinata, per entrambi gli imputati, al pagamento del risarcimento del danno a favore delle parti civili da effettuarsi nel termine di anni 1 dalla irrevocabilità della sentenza. Visti gli artt. 538 e ss c.p.p. condanna entrambi gli imputati al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili che si liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre al pagamento delle spese legali di parte civile liquidate in complessivi Euro 2.273,21 oltre accessori previsti per legge. Motivazione in giorno 80 Così deciso in Udine il 12 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Mauro Qualizza all'udienza del 04 marzo 2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: Bu.Mi. nato a T. (U.) il (...), residente a T. (U.) via D. n. 158. - libero, non presente - Difeso di fiducia dall'avv. KL.Gi. del foro di Udine APPELLANTE Avverso la sentenza del Giudice di Pace di Udine di data 17.03.2023, con la quale, visti gli artt. 533 e 535, dichiarava l'imputato colpevole del reato a lui ascritto e per l'effetto, uniti i fatti sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di Euro 1.500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. IMPUTATO del delitto p. e p. dall'art. 590, co. 1, c.p., perché, in qualità di proprietario e/o possessore di un cane di razza Border Collie, per colpa cagionava a Zo.Lu. una frattura omero sx (frattura pluriframmentata della testa omerale sinistra, con estensione della rima di frattura alla diafisi prossimale in paziente con degenerazione della cuffia dei rotatori; frattura composta base F distale pollice dx; contusione ginocchio dx in rotula bipartita dx), trauma cranico e ferita al capo, giudicate guaribili in complessivi gg. 60, come da verbale di Pronto Soccorso dd. 17.04.2020 dell'ospedale di Tolmezzo e da lettera di dimissioni dd. 24.04.2020 dell'ospedale di Tolmezzo SOC Ortopedia. Segnatamente, per negligenza, imprudenza o imperizia, ometteva di adottare le dovute precauzioni nella custodia del suddetto cane lasciandolo circolare sulla pubblica via privo di museruola, per cui questo, in tali condizioni aggrediva la cagnolina che Zo.Lu. teneva al guinzaglio, facendo cadere quest'ultima, procurandole cosi le lesioni sopra descritte. In Tarvisio (Ud), il giorno 17.04.2020. L'udienza si svolge con rito camerale quindi le parti non sono presenti. IN FATTO E IN DIRITTO Con sentenza numero 15/23 emessa dal giudice di pace di Tolmezzo il 16 maggio 2023 (depositata il 22 maggio 2023), Mi.Bu., in atti generalizzato, è stato dichiarato responsabile del reato di cui all'articolo 590 del codice penale e condannato alla pena di Euro 2.000 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita Zo.Lu., da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e assistenza legale sostenute dalla medesima parte civile, nella misura di Euro 2.160, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.N.A.. La parte civile Zo.Lu. è stata inoltre condannata a rimborsare al responsabile civile Al. S.p.A. le spese di costituzione, liquidate in Euro 2.160, oltre a spese generali. I.V.A. e C.N.A.. Nel procedimento di primo grado, all'udienza dell'11 maggio 2021, è stata ammessa la costituzione di parte civile e su istanza della medesima, con decreto di data 13 maggio 2021, è stata disposta la citazione del responsabile civile Al. S.p.A., che già aveva versato alla persona offesa, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 50.000 (in relazione al sinistro numero (...), polizza numero (...)). All'udienza del 19 ottobre 2021 si è costituita in giudizio Al. S.p.A. con richiesta d'immediata estromissione, evidenziando, in particolare, il proprio difetto di legittimazione passiva atteso che alcuna norma sostanziale o processuale consente al giudice di ammettere l'azione diretta nei confronti dell'assicurazione privata del presunto responsabile (vale a dire nei confronti dell'assicurazione privata dell'imputato, cfr. la dichiarazione di costituzione, a foglio (...) nel fascicolo per il dibattimento). La richiesta di estromissione è stata respinta dal giudice con ordinanza non motivata e sono state ammesse le prove (cfr. il verbale d'udienza 19.10.2021, a foglio (...) nel fascicolo per il dibattimento). Il 29 marzo 2022 sono state assunte le deposizioni di Zo.Lu., A.P. e F.M.D.B.. 11 14 febbraio 2023, dopo l'esame di E.P., medico legale, e di G.B., cugino dell'imputato, si è svolta la discussione, con ulteriore richiesta di estromissione da parte del responsabile civile e con richiesta, da parte dell'imputato, di proscioglimento nel merito ovvero di declaratoria d'improcedibilità per difetto di querela, oppure ai sensi dell'articolo 35 D.Lgs. n. 274 del 2000. La parte civile ha presentato conclusioni scritte con la richiesta di condanna dell'imputato al risarcimento integrale del danno patrimoniale e non patrimoniale (dando atto dell'avvenuto versamento, da parte del responsabile civile, della somma di Euro 50.000, accettata a titolo di acconto, cfr. le conclusioni, a foglio (...) nel fascicolo per il dibattimento). Il 16 maggio 2023, all'esito delle repliche, il giudice di pace si è ritirato in camera di consiglio e ha pronunziato l'impugnata decisione. Si legge, in motivazione, che la difesa dell'imputato, in sede di conclusioni, chiedeva che venisse pronunciata sentenza di proscioglimento per mancanza di una condizione di procedibilità in quanto la querela proposta dalla persona offesa difettava della manifestazione di volontà di procedere penalmente nei confronti dell'imputato. Invero, sebbene la querela di data 13 luglio 2020 sottoscritta da Zo.Lu. non contenga alcuna istanza volta a richiedere la punizione del colpevole, la stessa volontà è contenuta nel verbale di ratifica, di talché la richiesta avanzata dalla difesa dell'imputato ai fini dell'ottenimento una sentenza ai sensi dell'art. 529 c.p.p. non può trovare accoglimento. Stesso esito per quanto riguarda la richiesta di pronuncia di estinzione del reato ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. n. 274 del 2000. Infatti, "in tema di procedimento davanti al giudice di pace, il termine dell'udienza di comparizione, previsto per la riparazione del danno cagionato dal reato, ha natura perentoria, sicché, in caso d'inosservanza, non può essere dichiarata l'estinzione del reato " ... Laddove fosse stata tempestivamente proposta - e a ben vedere la richiesta avrebbe potuto essere avanzata tempestivamente visto che la difesa era a conoscenza che prima dell'apertura del dibattimento la persona offesa aveva ottenuto un congruo risarcimento del danno (vedasi documento depositato dalla difesa all'udienza del 19 ottobre 2021) - sarebbe stata esaminata e con buona probabilità anche con buon esito. Ciò posto, quanto al merito ... dalle dichiarazioni rese da Zo.Lu. è emerso che: nella giornata del 17 aprile 2020 si trovava a passeggio con il cane di sua sorella al guinzaglio sulla pubblica via; vedeva sopraggiungere il cane dell'imputato, libero, non tenuto al guinzaglio; diceva al B. di mettere il guinzaglio al suo cane ma questi, dopo aver detto che era buono, né lo ha richiamato né ha cercato di mettergli il guinzaglio; l'animale aggrediva il suo cane e per tale ragione cadeva a terra; è stata portata al Pronto Soccorso e successivamente ha subito un 'operazione alla spalla; la malattia è durata oltre 60 giorni e a causa del sinistro ha riportato una importante invalidità permanente (vedasi verbale d'udienza del 29 marzo 2022). A.P. ha riferito che: il 17 aprile 2020 si trovava a coltivare il l'orto insieme a sua moglie; vedeva passare la Z. con un cane al guinzaglio; la sentiva gridare; si voltava e vedeva un cane, libero dal guinzaglio, che le si avvicinava e aggrediva il cane che teneva al guinzaglio; cadeva di schiena a terra (vedasi verbale d'udienza del 29 marzo 2022). F.M.D.B. ha spiegato che: nella giornata del 17 aprile 2020 si trovava nell'orto con suo marito; sentiva un botto e vedeva che la Z. era a terra; il cane dell'imputato precedentemente aveva morso sua figlia (vedasi verbale d'udienza del 29 marzo 2022). A seguito dell'aggressione del cane dell'imputato la persona offesa riportava le lesioni così come provate dalle certificazioni mediche acquisite in atti su accordo delle parti e dalla deposizione resa dalla dott. E.P. che ha confermato le risultanze dalla consulenza medico-legale da lei redatta e acquisita su accordo delle parti all'udienza del 14 febbraio 2023. Le risultanze dibattimentali dunque confermano la fondatezza dell'impianto accusatorio. Il B. ha colposamente mal custodito e governato il suo animale d'affezione, permettendogli di circolare sulla pubblica via senza guinzaglio e senza museruola dove, legittimamente, si trovava a passeggiare la Z., permettendo così che aggredisse il cane che la persona offesa portava a passeggio causandole le lesioni meglio provate dalla documentazione medica acquisita in atti. L'istruttoria dibattimentale dunque ha provato il fatto contestato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, sia quanto al comportamento colposo dello stesso - consistente nell'omettere di prestare le dovute attenzioni, anche e soprattutto portare il proprio cane in passeggiata senza guinzaglio e senza museruola agevolando così che l'animale sfuggisse al suo controllo - che al nesso di causalità tra l'agire colposo del prevenuto e le lesioni patite dalla Z. - documentate dalla certificazione medica in atti, acquisite al dibattimento - conseguenti alla caduta a terra a causa dell'avventarsi del cane del B. sul suo cane, determinando la sua caduta a terra. La tesi difensiva secondo la quale la Z. avrebbe avuto un apporto causale determinante nel verificarsi dell'evento (se non addirittura che la caduta sia conseguente a sua esclusiva responsabilità) non può essere positivamente apprezzata. Invero la circostanza che la Z. avesse il guinzaglio al polso piuttosto che lo tenesse in mano appare irrilevante rispetto all'evento. Infatti, l'evento (id est la caduta a terra della Z.) non si sarebbe verificato solo laddove il cane dell'imputato non avesse aggredito il cane della Z.. La modalità con cui la Z. teneva il guinzaglio nell'occorso, in assenza di un evento esterno, era del tutto irrilevante rispetto all'evento ... Non può concludersi pertanto che per la penale responsabilità dell'imputato per il delitto di lesioni di cui all'art. 590 c.p. ... D'evidenza Al. Spa è totalmente estranea alla presente vicenda processuale (non essendo la compagnia citata tenuta per legge a risarcire i danni collegati al reato per il quale si procede) e la costituita parte civile deve essere condannata al rimborso delle spese legali sostenute dalla compagnia assicurativa per il presente procedimento, così come liquidate in dispositivo. Ha proposto tempestivo appello la difesa di Bu.Mi., per i seguenti motivi: mancata applicazione dell'articolo 35 D.Lgs. n. 274 del 2000; erroneo giudizio di responsabilità a carico dell'imputato; erronea condanna al risarcimento del danno; mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e inadeguatezza della pena inflitta. Invero, si legge nell'atto di appello, l'impugnata sentenza ritiene non applicabile la norma di cui all'art.35 D.Lgs. n. 274 del 2000, adducendo che laddove la questione fosse stata tempestivamente proposta sarebbe stata verosimilmente accolta. Cita poi a sostegno dell'erronea decisione giurisprudenza della Suprema Corte in forza della quale, in tema di processo innanzi al Giudice di Pace, il termine dell'udienza di comparizione previsto dall'art. 35 ridetto è da ritenersi perentorio per procedere alla riparazione del danno. Ragioni di logica espositiva impongono preliminarmente di evidenziare che la circostanza dell'intervenuto risarcimento è stata chiaramente e documentata sin dalla prima udienza di comparizione; udienza di comparizione poi rinviata al 19.10.2021 per consentire la citazione del responsabile civile, come da istanza della costituta parte civile che, è bene da subito evidenziare, con l'atto di costituzione di parte civile, riconosceva l'avvenuta corresponsione di Euro 50.000,00 a titolo di risarcimento del nocumento sofferto da parte dell'imputato. Rinviata dunque l'udienza di comparizione al 19.10.2021, la circostanza dell'intervenuto ristoro veniva nuovamente rappresentata e documentata, come peraltro riconosciuto nello stesso provvedimento impugnato. Riepilogando, la circostanza veniva palesata e dimostrata dalla difesa dell'imputato e confermata dalla parte civile in udienza di comparizione, per cui è francamente incomprensibile e non condivisibile la decisione laddove afferma che se la questione "fosse stata tempestivamente proposta" avrebbe trovato accoglimento. Al di là del fatto che la questione era stata ampiamente proposta e documentata, preme rilevare che il processo penale non prevede i rigidi formalismi propri del rito civile, né la norma di cui all'art. 35 ridetto impone alcuna formula o istanza sacramentale, per cui umanamente e giuridicamente questa difesa nulla di più poteva fare. Anche la giurisprudenza citata a sostegno di una tesi a dir poco illogica è un mero abbaglio, poiché riguarda fattispecie del tutto diversa da quella che qui occupa, visto che in quei casi l'attività riparatoria non era intervenuta prima, ma dopo l'udienza di comparizione. E' dunque ben vero che una pronuncia di estinzione ex art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000 non può aversi se l'attività riparatoria è avvenuta dopo l'udienza di comparizione, ma nel caso che occupa detta attività era intervenuta prima dell'udienza di comparizione, conseguendone che la sentenza di estinzione reato per condotte riparatone poteva e doveva essere pronunciata anche all'esito del dibattimento ... Sotto diverso angolo visuale la sentenza è poi errata, illogica e contraddittoria e, in quanto tale, andrà riformata per non avere tenuto in considerazione alcuna delle numerose e scriminanti circostanze emerse in dibattimento e che avrebbero dovuto giustificare - quanto meno - pronunzia ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p.. La sentenza impugnata al riguardo è assolutamente priva di motivazione, ma quanto alla reale dinamica del sinistro, sono emersi oggettivi elementi a smentita dell'affermazione di penale responsabilità resa in primo grado. La prima denuncia formale della signora Z. è quella dalla stessa predisposta, sottoscritta e inviata personalmente ad Al. Spa, assicuratrice per la responsabilità civile dell'odierno appellante (pare al riguardo opportuno sottolineare che se la persona offesa disponeva di questo dato era perché fornitole dall'allora amico, il condannato Bu.Mi.). Ritualmente prodotta (all'udienza di comparizione dd. 19.10.2021) detta denunzia, nella stessa (predisposta in piena autonomia e sincerità) la signora Z. riferiva: "Mentre passeggiavo con i miei cani al guinzaglio, vedo sopraggiungere il cane del signor Bu.Mi., senza guinzaglio, me lo vedo venire verso di me, io per tenere al guinzaglio il mio cane grande, gli ho gridato: legalo! Ma non ha fatto in tempo. Il mio mi ha strattonata e io sono finita a terra malamente". Come si legge (e la signora Z. ha riconosciuto in sede testimoniale detta scrittura come da lei predisposta e sottoscritta) non v'è nessun cenno ad alcuna aggressione da parte del cane del B., che si stava solo avvicinando. Il punto è che la signora Z., oggettivamente non di più verde età e già fortemente invalida (come da documentazione medica dalla stessa dimessa risulta un grave pregiudizio all'integrità fisica a cagione di un pregresso incidente stradale da cui miracolosamente è uscita viva), non riusciva a trattenere uno dei cani, anche perché aveva un altro cane al seguito ... La signora Z., verbale d'udienza alla mano, ammette due cose: il cane del B. si era solo avvicinato; ero caduta perché tenevo il guinzaglio in maniera sbagliata ... Solo a distanza di più di due mesi, con atto di querela dd. 13.07.2020 (all'evidenza non predisposta, ma solo sottoscritta e depositata dalla signora Z.) per la prima volta ... emergeva una nuova versione: "Il cane del B., del quale non conosco il nome, attaccava il mio che si difendeva ". L'aspetto paradossale della vicenda è che la signora Z. quando veniva sentita a s.i.t. (prodotte in giudizio anche dal P.M.) in data 01.10.2020 (successivamente al deposito della querela e quando era sola) tornava all'iniziale versione e, avanti alla P.G., chiariva: "Il cane del B. si avvicinava correndo verso il cane di mia sorella che era regolarmente al guinzaglio e lo stesso per reazioni di difesa o di gioco mi strattonava e non riuscendo a mollare il guinzaglio che si era incastrato nel pollice della mia mano mi faceva cadere a terra, procurandomi le lesioni refertate ". Successivamente alla querela, la signora Z. ribadiva, avanti alla P.G., la prima e veritiera ricostruzione del sinistro e cioè: il cane di B. si avvicina (NON aggredisce), il suo la strattona e lei cade a terra perché non riesce a reggere la sollecitazione, né a mollare il guinzaglio, tenuto impropriamente. Quindi, ancor una volta, è la stessa signora Z. ad escludere che l'evento patito sia eziologicamente riconducibile a condotta del signor B. e valga al riguardo una sola considerazione: se anche il cane del signor B. fosse stato al guinzaglio, si sarebbe comunque avvicinato a quelli della signora Z. e comunque la stessa non avrebbe - per sua ribadita ammissione - potuto reggere il guinzaglio senza cadere. E' chiaro che cavalcare l'onda dell'aggressione è più proficuo e redditizio, ma si valuti anche un'ulteriore e significativa circostanza a definitiva ed incontestabile smentita dell'inesistente aggressione da parte del cane del signor B.: il cane della signora Z. non riportava alcuna lesione, tant'è che non veniva sottoposto ad alcun accertamento o trattamento veterinario, voce di spesa di cui la signora Z. (anche considerato che la stessa ha conservato e consegnato ogni ricevuta di spesa al suo consulente medico legale) avrebbe certamente richiesto il ristoro; valutazione questa che trova fondamento nell'arditezza locupletativa che emerge dalla quantificazione esponenziale del danno richiesto. La sentenza impugnata è poi erronea, contradditoria e illogica poiché le oggettive circostanze sopra dedotte dimostrano comunque (tornando alla tematica dell'idoneità dell'attività riparatoria) che il risarcimento ricevuto dalla signora Z. deve ritenersi ampiamente satisfattivo, anche considerato il quanto meno prevalente contributo causale della stessa nella determinazione dell'evento dannoso e, anche sotto detto profilo, la sentenza andrà riformata ... Infine la sentenza è ingiustamente ed eccessivamente afflittiva, vuoi per determinazione della pena, vuoi per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il signor B. è un pensionato, incensurato, che - per il tramite del proprio legale - si è profuso per garantire il massimo risarcibile (e anche più) alla signora Z., ragione per cui non si comprende l'iter logico-giuridico che abbia portato a sentenza cotanto afflittiva. Da qui la richiesta che il Tribunale di Udine, in riforma dell'impugnata decisione, pronunzi sentenza di estinzione del reato ex art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000; di assoluzione (con la formula ritenuta di giustizia); in via subordinata di assoluzione ex art. 530 comma 2 c.p.p.; in via ulteriormente subordinata, di condanna al minino della pena con la concessione delle attenuanti generiche, riconoscendosi interamente risarcito il danno sofferto, anche in considerazione del quanto meno prevalente apporto causale della persona offesa nella determinazione dell'evento. Ha proposto appello anche la difesa della parte civile costituita Zo.Lu. contro il capo della sentenza che la condanna alla rifusione delle spese di costituzione del responsabile civile. Si eccepisce, in particolare, la violazione dell'art. 541, comma secondo, c.p.p., il quale prevede che la parte civile possa essere condannata alle spese solo nel caso di rigetto della richiesta di risarcimento del danno, secondo il principio della soccombenza. Nel caso in disamina, invece, la sentenza impugnata ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato e lo ha condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile, salvo poi condannare la stessa parte civile alla rifusione delle spese processuali del responsabile civile, in tal modo contravvenendo al principio di soccombenza. Si chiede, dunque, l'annullamento del capo della pronuncia relativa alle disposizioni civili in favore del responsabile civile Al. S.p.A.. Con memoria pervenuta in data 14 febbraio 2024, la difesa di Zo.Lu. ha evidenziato, inoltre, l'infondatezza delle censure mosse dall'imputato appellante, atteso che la richiesta di citazione del responsabile civile è stata legittimamente avanzata ai sensi dell'art. 83 c.p.p., ed è stata poi ordinata dal giudice. Trattandosi, dunque, di citazione disposta sulla base d'un provvedimento giudiziale, il relativo atto mai potrebbe essere addebitato alla parte civile che ha richiesto la citazione. Con memoria pervenuta in data 15 febbraio 2024, la difesa di Al. S.p.A. ha evidenziato che la parte civile, nell'atto di impugnazione, non contesta la correttezza della decisione con cui è stata esclusa la legittimazione passiva della società assicuratrice, ma contesta d'essere stata condannata alle spese in favore del responsabile civile pur essendo risultata vittoriosa nel giudizio di primo grado. Tuttavia, si osserva, risulta accertato e non contestato che la tesi della parte civile, in relazione al rapporto civilistico che pretendeva di instaurare con il terzo chiamato (asserito "responsabile civile"), si sono rivelate totalmente infondate. Sicché la soccombenza è innegabile e deve essere fatta applicazione dei principi generali di cui all'art. 91 c.p.c., con conseguente rigetto dell'impugnazione proposta dalla parte civile e condanna della stessa alla rifusione delle spese sostenute dal responsabile civile altresì nel presente grado di giudizio (cfr. la memoria pervenuta in data 15.2.2024). MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminare, rispetto alla valutazione della fondatezza delle censure avanzate dagli appellanti, è quella relativa alla ammissibilità delle rispettive impugnazioni. Quanto all'appello proposto dall'imputato Mi.Bu., esso è stato presentato in data 19 giugno 2023 a firma dell'avvocata Giulia Klavora, mediante deposito presso la cancelleria del giudice di pace di Tolmezzo. Unitamente all'atto d'impugnazione, non risultano essere stati depositati la dichiarazione o l'elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, e neppure specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. Al riguardo, occorre rilevare che l'art. 33 comma 1 lett. d) del D.Lgs. n. 150 del 2022 ha inserito nell'art. 581 c.p.p. altri due commi (il comma 1 ter e il comma 1 quater) che prevedono, a pena di inammissibilità, ulteriori requisiti formali dell'atto di impugnazione. Ai sensi dell'art. 89, comma 3, del citato D.Lgs. n. 150 del 2022, queste disposizioni si applicano alle sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del decreto medesimo (30.12.2022). Con l'atto di appello delle parti private e dei difensori presentato avverso le sentenze emesse dopo il 30.12.2022 deve essere dunque depositata, a pena di inammissibilità, anche la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, inoltre, con Tatto di impugnazione del difensore è depositato, a pena di inammissibilità, specifico mandato a impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente apposita dichiarazione o elezione di domicilio. La prima disposizione richiede il deposito di una specifica elezione o dichiarazione di domicilio per consentire la notifica del decreto di citazione a giudizio, non essendo sufficiente quella già eventualmente presente in atti. La seconda disposizione, invece, si ricollega direttamente alle novità intervenute in tema di processo in assenza, prescrivendo che il difensore dell'imputato, assente nel giudizio, con Tatto di impugnazione deve depositare uno specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato (sempre ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio). All'articolo 585 c.p.p., correlativamente, è stato inserito il comma 1 bis, che proroga di quindici giorni i termini per proporre impugnazione. Infine, l'art. 157 ter, comma 3, c.p.p., come introdotto dall'art. 10, comma 1 lett. 1), del D.Lgs. n. 150 del 2022, stabilisce che, nel caso d'impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 581, commi 1 ter e 1 quater. Per altro verso, l'art. 89 del D.Lgs. n. 150 del 2022 prevede una specifica disciplina transitoria in materia di assenza. Invero, il comma 1 dispone che "salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, quando, nei processi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, è stata già pronunciata, in qualsiasi stato e grado del procedimento, ordinanza con la quale si è disposto procedersi in assenza dell'imputato, continuano ad applicarsi le disposizioni del codice di procedura penale e delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale in materia di assenza anteriormente vigenti, comprese quelle relative alle questioni di nullità in appello e alla rescissione del giudicato". Il comma 3 invece dispone, come già visto, che "le disposizioni degli articoli 157 ter, comma 3, 581, commi 1 ter e 1 quater, e 585, comma 1 bis, del codice di procedura penale si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto. Negli stessi casi si applicano anche le disposizioni dell'articolo 175 del codice di procedura penale, come modificato dal presente decreto". Dunque, in relazione ai processi in corso in cui vi sia già stata la dichiarazione di assenza in primo grado, potrebbero verificarsi queste due ipotesi: la sentenza è stata già pronunciata prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022; la sentenza viene pronunciata successivamente. Nel primo caso non trovano applicazione le norme richiamate nel comma 3 dell'art. 89 citato e, dunque, continuano ad applicarsi le norme previgenti in tema di giudizio in assenza, anche per quanto riguarda modalità e termini di presentazione dell'atto di appello e di notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello. Nel secondo caso, invece, fermo restando che trovano applicazione tutte le norme previgenti in materia di assenza, comprese quelle relative alle questioni di nullità in appello e di rescissione del giudicato, tuttavia, per proporre appello il difensore dell'imputato assente deve depositare, a pena di inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. A tale fine, beneficerà della proroga di quindici giorni del termine per proporre appello, mentre la citazione per il giudizio di appello dovrà essere notificata all'imputato appellante esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto comunicato al momento del deposito dell'impugnazione. Nel caso in disamina, la sentenza impugnata è stata pronunciata in data 16 maggio 2023, dunque successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, e, unitamente all'atto dell'impugnazione proposta dalla difesa dell'imputato, non risultano essere stati depositati la dichiarazione o elezione di domicilio e neppure uno specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, pur trattandosi di processo celebratosi in assenza dell'imputato (dichiarata all'udienza dell'l 1 maggio 2021). L'appello deve essere dunque dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 581, commi 1 ter e 1 quater c.p.p., con pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Alla declaratoria d'inammissibilità dell'appello consegue la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita, che si è opposta all'accoglimento dell'impugnazione presentando memoria e ne ha fatto richiesta con deposito della relativa nota spese. Alla luce dei criteri di cui all'articolo 12 D.M. 10 marzo 2014. come modificato dal D.M. n. 147 del 2022, si liquida l'importo di complessivi Euro 1.000 in relazione alle fasi di studio e introduttiva, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. se dovuta e C.N.A. come per legge. La parte civile Zo.Lu. ha proposto autonoma impugnazione contro il capo della sentenza nel quale è stata condannata alla rifusione delle spese di costituzione del responsabile civile. L'appello è stato presentato in data 29 giugno 2023 a firma dell'avvocata C.F., unitamente alla procura speciale e all'elezione di domicilio. L'impugnazione è dunque ammissibile anche alla luce delle recenti modifiche legislative. Inoltre, trattandosi di costituzione di parte civile effettuata all'udienza dell'l 1 maggio 2021, non può trovare applicazione l'art. 573, comma 1 bis, c.p.p.. come introdotto dall'art. 33, comma 1, lettera a), n. 2) del D.Lgs. n. 150 del 2022 (Cass. S.U., 25.5.2023 -dep. 21.9.2023 -n. 38481. Rv. 285036-01: l'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33 D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione). Nel merito, rileva l'appellante che la sentenza impugnata ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato, che condanna a rifondere alla parte civile il risarcimento del danno, salvo poi condannare la stessa parte civile alla rifusione delle spese processuali del responsabile civile, pur trattandosi di citazione ordinata dal giudice e in violazione del principio di soccombenza di cui all'art. 541, comma secondo, c.p.p.. Il motivo è infondato. La citazione del responsabile civile Al. S.p.A. è stata ordinata con decreto di data 13 maggio 2021 in accoglimento dell'istanza avanzata dalla parte civile. Al. S.p.A. si è costituita in giudizio all'udienza del 19 ottobre 2021 con richiesta d'immediata estromissione, evidenziando, in particolare, il proprio difetto di legittimazione passiva. La richiesta di estromissione è stata respinta dal giudice con ordinanza non motivata, sicché il responsabile civile è stato presente nel processo sino alla pronuncia della sentenza di primo grado che, riconoscendone la totale estraneità alla specifica vicenda processuale, non ha pronunziato condanna solidale con l'imputato. Nel caso in disamina, peraltro, neppure è stata proposta impugnazione avverso l'ordinanza di non estromissione del responsabile civile, del quale non si contesta il difetto di legittimazione passiva e che, quindi, è ancora parte del processo ai sensi dell'art. 84. comma 4, c.p.p.. L'appellante parte civile impugna unicamente il capo della sentenza che la condanna a rifondere le spese in favore del responsabile civile, essendo risulta vittoriosa nel corso del giudizio di primo grado e trattandosi di citazione disposta con decreto del giudice. Sotto il primo aspetto, è agevole osservare che l'appellante è risultata soccombente, nel giudizio di primo grado, in relazione alla domanda risarcitoria implicitamente avanzata altresì nei confronti del responsabile civile, e non accolta dal giudice di pace. È noto, infatti, che la presentazione della conclusioni della parte civile nei confronti del solo imputato, e non anche del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto in giudizio, non comporta revoca tacita della costituzione di parte civile nei confronti del responsabile civile, in quanto, in forza della solidarietà ope legis tra imputato e responsabile civile, prevista dall'art. 538 c.p.p., le conclusioni nei confronti di uno solo degli obbligati si estendono anche all'altro (Cass. sez. IV, 20.3.2019 - dep. 12.6.2019 - n. 25845, Rv. 276371 - 01). La parte civile è dunque risultata totalmente soccombente in relazione alla domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile, senza che possa aver alcun rilievo, sul punto, la soccombenza dell'imputato nei confronti della medesima parte civile. Quanto alle spese sostenute dal responsabile civile irritualmente citato nel processo, deve dunque trovare applicazione il generale criterio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c.. Né, a tal fine, è d'ostacolo il fatto che la citazione del responsabile civile sia avvenuta per ordine del giudice, non essendo stata impugnata l'ordinanza di non estromissione (emessa all'udienza 19.10.2021) ed essendo principio consolidato che le spese di lite del terzo chiamato gravano sul chiamante, allorché la chiamata si riveli pretestuosa o manifestamente infondata (Cass. civ. sez. III, ordinanza n. 31889 del 6.12.2019, Rv. 655979 - 02). L'appello proposto dalla parte civile deve essere dunque respinto con pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Al rigetto dell'appello consegue la condanna della parte civile alla rifusione delle spese sostenute dal responsabile civile, che si è opposto all'accoglimento dell'impugnazione presentando memoria e che ha avanzato richiesta di pagamento delle spese con deposito della relativa notula. Alla luce dei criteri di cui all'articolo 12 D.M. 10 marzo 2014, come modificato dal D.M. n. 147 del 2022, si liquida l'importo di complessivi Euro 1.000 in relazione alle fasi di studio e introduttiva, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. se dovuta e C.N.A. come per legge. P.Q.M. Il tribunale di Udine, in composizione monocratica, visti e applicati gli articoli 591, 592 e 605 c.p.p. dichiara inammissibile l'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza numero 15/23 emessa dal giudice di pace di Tolmezzo il 16 maggio 2023 e, per l'effetto, condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nonché alla rifusione delle spese di costituzione e assistenza legale sostenute dalla parte civile costituita, che liquida in complessivi Euro 1.000, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. se dovuta e C.N.A. come per legge; respinge l'appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza numero 15/23 emessa dal giudice di pace di Tolmezzo il 16 maggio 2023 e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata e condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nonché alla rifusione delle spese di costituzione e assistenza legale sostenute dal responsabile civile Al. S.p.A., che liquida in complessivi Euro 1.000, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. se dovuta e C.N.A. come per legge; Motivazione riservata nel termine di giorni 15 ai sensi dell'articolo 544, comma secondo, c.p.p.. Così deciso in Udine il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.

  • Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona della Dott.ssa Camilla Del Torre Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 20/02/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: C.A. nato il (...) a C. Di S. (N.) residente in Via M. 25 - U. (U.), con domicilio ivi dichiarato -libero, presente - Difeso dall' avvocato di fiducia ...del foro di Udine IMPUTATO delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 571, comma 1, c.p., perché, quale istruttore di Karate presso la palestra gestita dalla "O.F.A.'', mediante più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso abusava in tempi diversi dei mezzi di correzione o di disciplina in danno del minore C.V., affidatogli dai genitori per l'esercizio della predetta arte marziale, colpendolo in più occasioni con degli schiaffi al volto e al capo allorché lo stesso incorreva in errori nell'esecuzione degli esercizi, così facendo sorgere il pericolo che subisse lesioni personali. In Tavagnacco, tra l'ottobre e il dicembre del 2021. Con l'intervento del P.M. dott.ssa G. (delegata) del difensore di fiducia avv. ... Svolgimento del processo Con decreto di citazione a giudizio emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine, l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica. All'udienza predibattimentale di data 13/6/23, dichiarata l'assenza dell'imputato, il processo veniva rinviato per la prosecuzione ex art. 554 ter comma 3 c.p.p. davanti a questo giudice. Il 18/7/23 veniva aperto il dibattimento e venivano ammesse le prove richieste dalle parti. Il 14/11/23 si dava corso all'esame di I.M.K. e di V.K.; venivano poi sentiti M.C., B.M. e E.G., previa acquisizione con il consenso delle parti dei loro verbali di s.i.t. Il 9/1/24 si dava corso all'esame di G.R., T.G., C.G., G.R., D.D. ed all'esame dell'imputato. Indi, dichiarato chiuso il dibattimento, all'odierna udienza il Pm e il difensore dell'imputato concludevano come da verbale ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. Motivi della decisione Dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto, come da concorde richiesta delle parti. I.M.C., sentito in dibattimento, ha dichiarato che l'imputato era stato allenatore di karate del figlio minorenne V. dal mese di ottobre 2021 al gennaio 2022. Il teste ha spiegato che aveva assistito solo alla prima lezione di karate del figlio, nel corso della quale aveva visto il maestro, ossia l'odierno l'imputato, colpire un allievo con una sberla. C. ha spiegato che poi, a gennaio 2022, mentre era a casa, aveva sentito casualmente dei messaggi vocali che il figlio aveva scambiato con una amica di nome E. dai quali aveva appreso che C. nel corso delle lezioni picchiava gli allievi. Visionato il cellulare del figlio, il teste aveva letto tutta una serie di messaggi con i quali i due ragazzi si erano confrontati sui metodi correttivi che il maestro era solito tenere con loro, quali picchiarli al volto o farli inginocchiare davanti a lui per gratitudine (cfr documenti prodotti dal Pm all'udienza del 14 novembre 2023). C. allora aveva chiesto al figlio se anche lui fosse stato picchiato dal maestro e il figlio aveva confermato di essere stato colpito con delle sberle tutte le volte in cui durante le lezioni aveva commesso degli errori. Il teste ne aveva parlato con l'imputato, il quale gli aveva riferito che si trattava di tecnica pedagogica giapponese. Da lì la decisione di C. di sospendere la frequentazione del figlio al corso di karate, con la richiesta all'imputato di avere la restituzione di tutto il denaro versato per il corso, ottenendo risposta negativa, ragion per cui si era determinato a sporgere denuncia. Il teste ha anche riferito che nel corso dell'anno 2021 il figlio era stato vittima di bullismo a scuola, motivo per cui già dalla primavera di quell'anno V. aveva iniziato un percorso con una psicologa (fatti dei quali C. era stato messo a conoscenza nel corso del colloquio conoscitivo). Nel mese di ottobre 2021 la psicologa aveva riferito al teste di avere appreso di certi comportamenti violenti che accadevano durante il corso di arti marziali, invitando il padre a non far più frequentare tale corso al figlio. Il teste ha spiegato che, interpellato il figlio, lo stesso aveva negato di avere subito aggressioni fisiche da parte dell'imputato. V.C. ha spiegato di avere iniziato ad ottobre 2021, all'età di quindici anni, un corso di arti marziali presso la palestra dell'odierno imputato (sport che aveva già praticato sin dall'età di sette anni, ma presso altro istituto). Il ragazzo ha illustrato che gli era stato consigliato dall'amico L.M. di recarsi presso tale palestra e, dunque, aveva iniziato il corso tenuto dall'imputato assieme a L. e ad altri conoscenti. Già nel corso della prima lezione V. aveva visto il maestro colpire con uno schiaffo un allievo di nome M.C.: tale ragazzo, poi, aveva riferito a V. che non era la prima volta che capitava. Dopo i primi allenamenti nel corso dei quali V. non aveva subito aggressioni, C. aveva iniziato a colpirlo con schiaffi al volto tutte le volte che sbagliava, il che accadeva almeno due volte ad allenamento (per tre allenamenti a settimana). Il ragazzo non aveva raccontato nulla al padre per paura che lo stesso lo costringesse a cambiare palestra. Nel mese di gennaio 2022 il padre aveva sentito dei messaggi vocali che V. aveva scambiato con l'amica E. venendo, dunque, a scoprire degli schiaffi con cui l'insegnante colpiva gli allievi. Solo a quel punto V. aveva raccontato tutto al padre, il quale aveva deciso di fargli interrompere il corso. Il teste ha spiegato che l'imputato era solito colpire con schiaffi tutti gli allievi maschi, tra cui anche il suo amico L., che era colui che gli aveva consigliato il corso e che poi gli aveva confermato che durante le lezioni con il maestro C. la pratica degli "schiaffi" era usuale. Il ragazzo ha spiegato che il maestro li colpiva con degli schiaffi dicendo che lo faceva a fini correttivi. V. ha ricordato che una volta, dopo essersi ferito a scuola, si era recato in palestra solo per vedere la lezione di karate degli amici e C. lo aveva deriso davanti a tutti costringendolo a togliersi gli occhiali prima di colpirlo con delle sberle. V. ha, infine, riferito che a volte quando un allievo sbagliava un esercizio, oltre a venire colpito con uno schiaffo, veniva anche costretto a ripetere l'esercizio sbagliato davanti agli altri allievi in modo da essere umiliato. M.C., nel verbale di s.i.t. acquisito con il consenso delle parti, ha spiegato di frequentare da un anno e mezzo il corso di karate dell'imputato. Ha spiegato che il maestro utilizzava gli "schiaffi rimproverativi" nei confronti degli alunni quando questi sbagliavano un esercizio: ha ammesso di avere anche lui ricevuto tali schiaffi, precisando che gli stessi non facevano male e che servivano per incitare l'allievo a migliorare. C., sentito in dibattimento, ha spiegato di avere ricevuto diverse volte gli schiaffi rimproverativi al pari di tutti gli altri allievi, maschi e femmine, tra cui V.. Ha poi spiegato che quando un allievo sbagliava un esercizio il maestro gli faceva ripetere l'errore davanti a tutti e faceva fare l'esercizio in modo corretto ad altro allievo, in modo che tutti potessero apprezzare la differenza. E.G., nel verbale di s.i.t. acquisito con il consenso delle parti, ha spiegato di avere frequentato il corso di karate tenuto dal maestro C. tra ottobre 2021 e gennaio 2022 e di avere in tal periodo assistito a tre episodi nei quali il maestro aveva colpito degli allievi con uno schiaffo, spiegando che tale gesto era inteso dal maestro stesso come avente finalità formative: la prima volta era accaduto a dicembre 2021 quando era stato colpito M., la seconda volta era accaduto a V. ed il terzo a V.. G., sentita in dibattimento, ha spiegato di avere assistito a diversi schiaffi dati dal maestro agli allievi; l'imputato stesso spiegava che gli schiaffi servivano per finalità educative. Anche V. era stato colpito con degli schiaffi, uno solo dei quali era stato più forte degli altri. G. ha spiegato che tali schiaffi non venivano dati dal maestro ad ogni allenamento, ma solo quando venivano sbagliati da parte degli allievi gli esercizi più importanti. Ha aggiunto che, quando un allievo sbagliava un esercizio, il maestro gli faceva ripetere l'esercizio sbagliato davanti a tutti e poi lo faceva fare in modo corretto. T.G., sentito in dibattimento, ha spiegato di fare karate da quattro anni con l'odierno imputato. Ha aggiunto di non avere mai assistito a nulla di particolare durante gli allenamenti. Ha anche spiegato che il maestro, quando un allievo sbagliava, faceva mettere tutti in semicerchio e faceva ripetere l'esercizio all'allievo, per poi spiegare davanti a tutti l'errore. G.R. ha dichiarato di essere allievo di karate dell'imputato. Il teste ha spiegato che il maestro, a fronte di taluni errori da parte degli allievi, li colpiva con uno schiaffetto, non forte. Tale metodo veniva utilizzato indistintamente nei confronti di tutti, maschi e femmine. G.R. ha dichiarato di praticare il karate da trenta anni e di esserne maestro da circa venti anni; ha spiegato che nel karate, quale arte marziale, il rimprovero può essere anche fisico con una forza che varia a seconda della fascia di età dell'atleta. Il teste ha aggiunto che nella tecnica del karate può esservi anche un contatto epidermico, come sul viso, da parte del maestro per richiamare l'attenzione degli atleti. Ha anche spiegato l'opportunità di correggere gli errori ad un allievo mostrando lo sbaglio e la successiva correzione davanti ai compagni. Rovello ha, infine, spiegato che per gli allievi dai dodici ai quattordici anni è prescritto l'uso di una maschera protettiva anche nel corso degli allenamenti (cfr fotografie agli atti). B.M., nel verbale di s.i.t. acquisito con il consenso delle parti, ha dichiarato che sua figlia, L.D., aveva iniziato a frequentare il corso di karate dell'imputato nel mese di ottobre 2021. Ha spiegato di avere visto il maestro colpire gli allievi non con dei veri schiaffi, ma con quelli che "in friulano vengono comunemente definiti "patafs", ovvero dei leggeri schiaffi sulla testa dei ragazzi". C.G., padre di T.G., ha spiegato di avere avuto un colloquio con l'odierno imputato al momento dell'iscrizione del figlio presso la sua palestra di karate e di avere poi assistito alle prime tre lezioni prima di perfezionare l'iscrizione al corso. Il teste ha spiegato di avere assistito anche a qualche lezione di karate negli anni successivi e di avere visto diverse volte il maestro colpire gli allievi con degli schiaffetti di intensità bassissima in occasione di sbagli nell'esecuzione degli esercizi. Il teste ha aggiunto che anche suo figlio era stato colpito con tali schiaffetti, i quali, però, non gli avevano fatto male; il figlio stesso gli aveva riferito che per lui quegli schiaffetti erano intesi come un gesto per spronarlo a fare meglio. D.D. ha spiegato che suo figlio aveva frequentato il corso di karate dell'imputato dall'età di quattro anni. Ha spiegato di avere assistito a diversi allenamenti e di avere visto più volte l'imputato colpire gli allievi con dei buffetti bonari. Ha anche visto che l'imputato, quando un allievo sbagliava un esercizio, lo invitava a ripetere l'esercizio sbagliato per poi correggerlo davanti a tutti. L'imputato nel corso del suo esame ha negato gli addebiti. Lo stesso ha tuttavia ammesso che un giorno, quando V. gli aveva comunicato di essersi fatto male a scuola, lui lo aveva chiamato "coglionazzo" e lo aveva colpito con uno scappellotto. Il teste ha poi spiegato che quando un alunno nel corso delle sue lezioni di karate sbagliava un esercizio lui lo colpiva con uno scappellotto sulla guancia per richiamare l'attenzione. Questo essendo il quadro probatorio di riferimento, ritiene il Tribunale che esso non restituisca con il necessario grado di certezza processuale la prova della sussistenza del reato contestato all'imputato. Va in primo luogo osservato che i testi sentiti in dibattimento sono parsi credibili. Sicuramente sono parsi sinceri e credibili M.C., B.M., E.G., G.E., T.G., C.G., G.R. e D.D., i quali tutti sono soggetti estranei alla vicenda, e, pur frequentando l'imputato come maestro di karate, non hanno dato mostra di avere particolari interessi in merito all'esito del presente procedimento. Quanto alla persona offesa ed al padre della stessa va subito detto che gli stessi sono parsi credibili quanto al nucleo essenziale del loro racconto, apprezzato il fatto che non si sono costituiti come parte civile e non sono, dunque, stati portatori di interessi economici nel processo, anche se non hanno mancato di dar mostra di avere sentimenti di astio e risentimento nei confronti dell'imputato. Per esempio, V.C. ha riferito che, quando un allievo sbagliava un esercizio durante una lezione di karate, il maestro C. invitava l'allievo stesso a ripetere l'esercizio errato davanti a tutti e "diceva che voleva più che altro umiliarci davanti ai nostri compagni" (pag. 28 delle trascrizioni): tale ricostruzione è stata smentita da tutti gli altri testi, i quali hanno evidenziato che era prassi del maestro far ripetere agli allievi gli errori davanti a tutti i compagni per correggerli, senza alcun fine di umiliazione. Sempre in merito alla credibilità di V., va detto che E.G. ha riferito che, quando aveva visto a fine anno 2021 che V. era stato colpito dal maestro con uno schiaffo al viso, aveva notato che tale schiaffo "aveva causato in lui (in V.) un forte turbamento e rabbia evidente", motivo per cui la persona offesa poteva avere ragioni di astio nei confronti dell'imputato. Quanto al padre della persona offesa, invece, va osservato che lo stesso ha dichiarato che, appena aveva scoperto dei fatti di cui all'odierno procedimento, si era recato da C. chiedendo la restituzione del denaro versato per l'iscrizione del figlio al corso; solo alla risposta negativa dell'imputato, C. si era determinato a sporgere denuncia ("ho detto che vado sulle vie legali o che vado dai Carabinieri" pag. 16 delle trascrizioni). In ogni caso, come anticipato, nonostante le evidenti ragioni di astio nei confronti di C. come emerse in dibattimento, sia V. sia il padre possono essere ritenuti credibili dal momento che i fatti da loro raccontati hanno trovato parziale riscontro sia nelle altre deposizioni testimoniali sia nelle dichiarazioni dell'imputato. Quest'ultimo, infatti, ha esplicitamente confermato di avere più volte colpito con dei buffetti l'odierno imputato. Ciò premesso, alla luce del quadro probatorio sopra descritto non vi sono dubbi sulla sussistenza dei fatti come descritti nel capo di imputazione, fermo restando che, per quanto si dirà, non può parlarsi propriamente di "schiaffi" per la condotta tenuta da C.. All'imputato è, infatti, contestato di avere in più occasioni, quale istruttore di karate, colpito con degli schiaffi il suo allievo V.C. nel corso degli allenamenti. In effetti V. ha riferito di essere stato picchiato dal maestro con gli schiaffi due volte a lezione, quindi sei volte a settimana; il padre di V. ha riferito che il figlio gli aveva raccontato di essere stato picchiato varie volte sul volto con schiaffi dal maestro, praticamente ogni volta che commetteva un errore nell'esecuzione di un esercizio. Già E.G. ha ridimensionato le dichiarazioni della persona offesa, come visto in più punti caricate di astio ed ingigantite, ricordando di un solo schiaffo inferto da C. al viso di V. e di ulteriori buffetti, dati con meno intensità; M.C., invece, ha spiegato che il maestro impiegava gli "schiaffi rimproverativi" per incitare gli allievi a migliorare, precisando che si trattava comunque di colpetti non dolorosi; G.R. ha spiegato che l'imputato colpiva con schiaffetti non forti gli allievi nel caso di errori ripetuti nell'esecuzione degli esercizi, senza una cadenza fissa; B.M., madre di D., ha riferito di avere visto il maestro dare leggeri schiaffi sulla testa dei ragazzi, privi di violenza; C.G., padre di T.G., ha dichiarato di avere visto "schiaffetti" di intensità bassissima; D.D., madre di A., ha riferito di avere visto più volte il maestro colpire gli allievi con "buffetti, scappellotti bonari". Lo stesso imputato ha ammesso di avere colpito gli allievi con degli scappellotti quando era necessario per attirare la loro attenzione. In tale quadro, dunque, non è corretto parlare di schiaffi in senso tecnico, quanto piuttosto di buffetti privi di carica violenta, tenendo anche conto del fatto la condotta si iscrive nell'ambito di un corso di arti marziali. È emersa dall'istruttoria una incertezza sull'esatto numero degli episodi verificatisi; se V. ha parlato di sei episodi settimanali, la maggior parte dei testi ha riferito di episodi del tutto occasionali. Va tuttavia osservato che è del tutto pacifico in giurisprudenza che ''anche lo schiaffo isolato, quando sia vibrato con tale violenza da cagionare pericolo di malattia, è sufficiente a costituire reato di abuso dei mezzi di correzione. La reiterazione dei mezzi di correzione è condizione sufficiente ma non indispensabile per l'integrazione del reato, il quale può sussistere anche in assenza della stessa, ma in presenza di un unico atto espressivo dell'abuso" (Cassazione penale sez. V, 15/12/2009, n. 2100). Ciò detto in merito all'elemento oggettivo del reato, va tuttavia osservato che non è assolutamente emersa in dibattimento la prova dell'evento del reato contestato, il quale si caratterizza come reato di pericolo per la cui integrazione è sufficiente il mero pericolo che il soggetto passivo subisca una malattia nel corpo o nella mente. A tal proposito, si è più volte ribadito in giurisprudenza che la nozione di malattia è più ampia rispetto a quella di cui al reato di lesione personale, comprendendo nella nozione di malattia fisica qualsiasi alterazione dell'integrità fisica, mentre nella nozione di malattia psichica ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia, all'insonnia, dalla depressione, ai disturbi del carattere e del comportamento (cfr. Cass. VI, 1 dicembre 2016, n. 3801; Cass. VI, 13 aprile 2016, n. 19850). Non è poi richiesto che il pericolo sia accertato scientificamente, essendo sufficiente la astratta configurabilità dello stesso secondo le regole della comune esperienza in termini di probabilità e non già di semplice possibilità (cfr. Cass. VI 21 maggio 1998, n. 6001). Invero, non ogni condotta aggressiva sul piano fisico o morale o anche diseducativa, sia pure in sé integrante un "abuso" dei mezzi di correzione, determina il configurarsi del reato, essendo necessario dimostrarne l'idoneità a determinare il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, ossia un impatto potenzialmente dannoso sulla salute fisica o psichica della persona offesa, idoneità che è difficilmente riferibile a singole o sporadiche condotte non connotate da incisiva afflittività. Sul punto, va rilevato che in dibattimento non è emerso che V. avesse presentato arrossamenti sulla guancia dopo le lezioni di karate (il padre, infatti, non aveva mai notato nulla prima di avere sentito il messaggio audio a gennaio 2022), né che ci fosse stato un aggravamento delle sue condizioni psichiche generali. Lo stesso V., infatti, che ha riferito che era seguito già da mesi prima di iniziare il corso con l'imputato da una psicoterapeuta, da un lato ha dichiarato che aveva intrapreso tale percorso "per questi problemi (riferendosi ai fatti che avvenivano in palestra) e gli attacchi di panico" (pag. 29 delle trascrizioni) e d'altro lato ha precisato che non aveva mai parlato con la psicoterapeuta delle condotte che C. teneva nei suoi confronti, così giustificando la sua condotta: "...non ne ho parlato perché avevo paura che se glielo dicevo poi lo diceva a mio padre e di conseguenza mio padre mi faceva cambiare palestra". In tale contesto nel quale il minore, pur conscio delle condotte dell'imputato, ha preferito non raccontare nulla ai genitori per poter continuare a frequentare il corso di karate di C. e nel quale tutti gli altri allievi di pari età di V. non hanno notato nulla di "anomalo'' (e ancor più i loro genitori) appare difficile sostenere che le condotte dell'imputato, per quanto inopportune e non formative, fossero in sé potenzialmente idonee a traumatizzare il minore ed a recargli un pregiudizio psicologico. Per tali motivi, dunque, l'imputato va assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. La motivazione è riservata ex art. 544 comma 3 c.p.p. in giorni 45, attesa la natura delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale di Udine - Sezione Penale -, in composizione monocratica, visto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE C.A. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste; visto l'art. 544, co. 3, c.p.p., indica il termine di giorni 45 per il deposito della motivazione della sentenza. Così deciso in Udine, il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona della Dott.ssa Paola Got Turri Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 12/01/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Sc.Cr. nata il (...) a U. (U.) residente in via P. 25/11 - P. (U.) - libera, presente - Difesa dall' avvocato di fiducia REYES Lorenzo del foro di Udine IMPUTATA del delitto p. e p. dall'art. 34S c.p., perché svolgeva abusivamente la professione di Psicologa in assenza di iscrizione al relativo Albo professionale. In particolare, reclamizzava lo svolgimento di attività di sostegno psicologico riservate agli Psicologi (tra cui: supporto al cambiamento nei passaggi importanti della vita concernenti lavoro, relazioni affettive, relazione genitori figli; sostegno in casi di ansia, stress, stati melanconici cronici; sostegno nelle attività di apprendimento e studio; sostegno motivazionale e preparazione mentale a sportivi; sostegno motivazionale, gestione di stati emotivi e strategie di studio e organizzazione ad adolescenti e ragazzi) e rendeva in effetti dette attività in favore di più persone (tra cui il figlio di Pe.Ti., Vo.Fr., To.Ma., il figlio di Sc.Ma., An.Er., Vi.Ve., As.Il., Co.Gi.), In Udine, quantomeno dal mese di gennaio al mese di ottobre del 2021. Con l'intervento del P.M. dott.ssa PE. (con delega) del difensore RE.Lo. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dalla Procura presso il Tribunale di Udine, l'odierna imputata veniva citata a giudizio dinnanzi a questo Tribunale per rispondere del reato a lei ascritto in rubrica. All'udienza di data 24 febbraio 2023 veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive istanze di prova: sia il Pm che la difesa chiedevano di essere ammessi a provare i fatti di causa mediante l'esame dei testi indicati nelle rispettive liste e dimettendo documentazione. Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell'art. 495 c.p.p., all'udienza di data 6 giugno 2023 venivano sentiti i testi Ca.Ro. e Ma.Pa.; all'udienza del 3 ottobre 2023 venivano sentiti i testi Pe.Ti. e Sc.Ma.; all'udienza del 3 novembre 2023 venivano sentiti i testi Gi.Gi., Ra.Pa., St.Lu. e Fo.Il., venivano inoltre acquisiti, su accordo delle parti ai sensi dell'art. 493 c.p.p. i verbali di s.i.t. di To.Ma., Vo.Fr. e An.Er.; all'udienza del 5 dicembre 2023 venivano sentiti i testi As.Il., To.Ma., An.Er. e Vi.Ve., veniva inoltre acquisita su accordo delle parti ai sensi dell'art. 493 c.p.p., la relazione di parte del dott. M.S. ed il verbale di s.i.t. reso da Co.Gi., in luogo dell'esame dei testi. Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili, ai fini della decisione, tutti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza del 12 gennaio 2024 ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione dell'odierna imputata dal reato a lei ascritto in rubrica. Fo.Il., sentita in sede dibattimentale, ha riferito che nell'autunno del 2021, navigando su Facebook, aveva visto un annuncio pubblicitario, datato 5.06.2019 e postato dall'odierna imputata, nel quale la stessa, presentandosi come psicologa, offriva dei trattamenti per la gestione dell'emotività disfunzionale, dell'ansia, dell'imbarazzo e per alcuni processi ossessivi, senza tuttavia essere una psicologa. Posto che tali trattamenti rientrano nell'attività di esclusiva pertinenza di uno psicologo iscritto regolarmente all'albo, la teste si era decisa a segnalare tale circostanza all'Ordine degli psicologi di Udine, anche in considerazione del fatto che, facendo ulteriori ricerche online sul conto dell'odierna imputata, aveva potuto riscontrare che la stessa aveva più volte postato video o annunci su argomenti sempre di pertinenza dello psicologo. La teste ha riferito di aver ricevuto due pazienti con problemi di disturbi alimentari che si erano in precedenza rivolte alla dott.ssa S., ma per difficoltà legate all'attività scolastica e di studio. Dall'analisi della perizia informatica redatta dal dott. M.S. su richiesta della difesa ed acquisita agli atti su accordo delle parti, è emerso che il post pubblicato sulla pagina Facebook dell'odierna imputata "diventare se stessi - C.S. counselor", non rispecchia il testo originale del 5.06.2019, ma è l'integrazione con le varie modifiche apportate nel tempo dall'autrice del post (C.S.); in particolare, per quanto di interesse, l'espressione "sono psicologa" è stata inserita in data 28/10/2023. Dalla documentazione depositata dalla difesa, l'odierna imputata, già laureata in psicologia, è stata iscritta nell'albo degli psicologi del Friuli-Venezia Giulia in data 18/09/2023 n. 2514. Il dott. Ca.Ro. sentito in sede dibattimentale ha riferito di aver ricevuto, in qualità di presidente del Consiglio dell'Ordine degli Psicologi di Udine, la segnalazione da parte di una psicologa iscritta all'Albo, in merito all'attività professionale compiuta dall'odierna imputata in ambito psicologico, senza, tuttavia, averne l'autorizzazione, non essendo una psicologa iscritta al relativo albo. In particolare, il teste ha riferito che l'odierna imputata, in vari post o video, si era qualificata come counselor, tuttavia, secondo la normativa vigente in Italia e secondo l'interpretazione dettata dalla giurisprudenza oltre che dall'UNI - Ente Italiano di Normazione - la professione di counselor può essere esercitata solo ed esclusivamente da uno psicologo iscritto all'albo. Il teste ha inoltre riferito che le attività pubblicizzate su siti Internet dall'odierna imputata, ed in particolare le attività volte a supportare stati di ansia e stress, stati melanconici cronici, sostegno motivazionale, gestione degli stati emotivi, supporto al cambiamento, sono di norma attività di carattere psicologico, ma non esclusivamente di pertinenza dello psicologo, posto che ciò dipende da come concretamente viene svolta l'attività di sostegno. Il teste ha, peraltro, precisato che egli stesso non aveva mai accertato in concreto come l'odierna imputata svolgesse tale attività, né se venisse svolta unitamente alla collega di studio dott. ssa B.T., psicologa regolarmente iscritta all'ordine degli psicologi di Udine. Mar.llo Magg Ma.Pa., in servizio presso i Nas Carabinieri di Udine, sentito in sede dibattimentale, ha riferito di aver avviato l'attività d'indagine nei confronti dell'odierna imputata dopo la segnalazione pervenuta dal Presidente dell'Ordine degli Psicologi di Udine ed in particolare di aver accertato innanzitutto i titoli di studio della stessa, che risultava essersi laureata in scienze e tecniche psicologiche Università degli Studi di Trieste ed aver conseguito il titolo di counselor professionale in data 17.12.2017. Il teste aveva inoltre potuto appurare che l'odierna imputata, all'epoca dei fatti, operava all'interno dell'istituto IGEA di Udine, ove collaboravano numerosi professionisti, tra cui anche psicologi. Da una ricerca effettuata tramite la banca dati dell'Inps era inoltre emerso che C.S. esercitava la sua attività professionale anche in uno studia singolo sito in U. via S. R., ove era effettivamente affissa la targa della dottoressa. Della perquisizione effettuata presso gli studi e l'abitazione dell'odierna imputata erano state poste sotto sequestro alcune fatture emesse dalla stessa, dalle quali era stato possibile ricavare il nominativo di alcuni clienti per capire che tipo di attività professionale l'imputata avesse svolto; clienti di seguito sentiti a sit. Il Prof. Gi.Gi., sentito in sede dibattimentale ha riferito di aver conosciuto l'odierna imputata avendo la stessa frequentato la scuola da lui istituita e finalizzata a formare gli studenti in una particolare figura di operatore olistico che per comodità era stato formalmente qualificato come counselor. Il teste ha precisato che durante il percorso scolastico era stato ben spiegato agli studenti - e quindi anche a C.S. - quelli che sono limiti operativi della figura del counselor rispetto allo psicologo, ed era stato loro specificato che le tecniche insegnate non hanno funzioni terapeutiche o diagnostiche, ma semplicemente sono dirette ad aiutare il paziente a trovare uno stato benessere naturale. Il teste ha inoltre precisato che agli studenti era stata anche caldamente consigliata la possibilità di avviare la loro professione in team con altri professionisti tra cui medici o psicologi, ciò per rendere l'intervento a favore dell'utente più completo; infatti, mentre l'operatore olistico sviluppa la sua attività in termini prevalentemente preventivi, lo psicologo o il medico affrontano eventuali disagi o patologie già conclamate. Pe.Ti. e Sc.Ma., sentite in sede dibattimentale, hanno entrambe riferito di essersi appoggiate all'odierna imputata per fornire un sostegno scolastico e di metodo di studio ai rispettivi figli; in particolare la Petris ha riferito che il figlio aveva un carattere molto chiuso ed introverso e la S. lo aveva supportato nell'attività scolastica, aiutandolo ad acquisire un metodo di studio e a capire su quali discipline lo stesso era più portato, ciò anche per agevolare le scelte scolastiche. I successivi testi Vo.Fr., To.Ma., An.Er., Vi.Ve., Ra.Pa. e St.Lu. hanno tutti riferito in merito ai servizi a loro rivolti dall'odierna imputata, in particolare: Vo.Fr. ha riferito di essersi rivolta all'odierna imputata in un periodo di forte difficoltà professionale e che la stessa le faceva eseguire degli esercizi pratici per aumentare l'autostima, oltre a ciò la S., avendo riscontrato dei blocchi emotivi, l'aveva invitata a rivolgersi ad uno psicologo; To.Ma., ha riferito di essersi rivolta alla S. per disturbi alimentari e che la stessa, al termine del primo colloquio, le aveva consigliato di rivolgersi ad uno psicologo; An.Er. ha riferito di essersi rivolta all'odierna imputata per difficoltà legate al percorso universitario che stava svolgendo ed alla gestione dell'ansia legata agli esami e che la stessa le aveva fatto fare alcuni esercizi di respirazione e fatto leggere alcune pubblicazioni; As.Il. ha riferito di aver ricevuto un sostegno dalla dott.ssa S. per affrontare problemi personale che stava vivendo; Ra.Pa., ha riferito di essersi rivolta all'imputata per fare dei corsi di respirazione e che parallelamente aveva continuato ad andare da uno psicologo; St.Lu., ha riferito di aver fatto alcuni incontri presso lo studio della dott.ssa S. all'interno dei quali aveva potuto trovare un momento di ascolto, di cui aveva bisogno. Vi.Ve., ha riferito di aver fatto alcuni incontri presso lo studio dell'odierna imputata per la gestione di problemi legati all'ansia e che la dottoressa e aveva fatto fare degli esercizi di rilassamento e respirazione; Co.Gi., ha riferito di essersi rivolta alla S. per delle difficoltà legate al percorso scolastico e che la stessa l'aveva aiutata ad individuare gli obiettivi da raggiungere ed a trovare la giusta motivazione. I pazienti hanno tutti riferito che C.S., al primo colloquio, aveva richiesto loro di compilare dei semplici questionari conoscitivi - non test psicologici - e non aveva mai fatto loro alcuna diagnosi. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento si deve osservare quanto segue. Preliminarmente va rilevato che dell'istruttoria dibattimentale, ed in particolare dalle dichiarazioni dei testi dott. R.C. e prof. Gi.Gi., è emerso che ciò che distingue l'attività dello psicologo da quella del counselor/operatore olistico è la presenza o meno di uno stato patologico nelle difficoltà manifestate dal paziente; in particolare è emerso che mentre il counselor/operatore olistico agisce per la ricerca di uno stato di benessere e prevenire in tal modo il formarsi di uno stato patologico, diversamente lo psicologo interviene per curare una patologia già conclamata. Ciò posto nel caso di specie va rilevato che all'epoca dei fatti l'odierna imputata era laureata in scienze e tecniche psicologiche e filosofia, era una counselor certificata, ma non era ancora una psicologa iscritta all'albo, motivo per cui è necessario, al fine di inquadrare correttamente la vicenda in oggetto, verificare se l'attività professionale compiuta dalla stessa rientrasse nei limiti della sua qualifica o se invece sconfinasse in attività psicologica. (Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 16566 del 07/03/2017 Ud. - dep. 03/04/2017 "In tema di abusivo esercizio di una professione, infatti, l'art. 348 cod. pen. è norma penale in bianco, in quanto presuppone 1'esistenza di altre norme volte a determinare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e l'iscrizione in un apposito albo,...."). ì post ed i video pubblicati su Internet dall'odierna imputata fanno riferimento ad attività di ascolto, di respiro consapevole, esercizi per recuperare un equilibrio personale ed una maggior consapevolezza di sé, per uno sviluppo delle risorse personali e per migliorare lo stile di vita, ambiti questi che possono essere genericamente riferiti sia all'attività del counselor o dell'operatore olistico che dello psicologo, ma, come riferito dal dottor R.C. - Presidente dell'Ordine degli Psicologi di Udine sentito in sede dibattimentale - ciò che fa la differenza è la modalità dell'intervento compiuto dal professionista: ossia come forma terapeutica per curare una patologia da parte dello psicologo o come semplice supporto personale da parte di altre figure. Al fine di verificare la condotta tenuta dall'odierna imputata rilevano, pertanto, le dichiarazioni rese dai suoi pazienti sentiti in sede dibattimentale, i quali hanno tutti riferito, forse anche con terminologie talvolta improprie (quali il concetto di "sostegno psicologico o di depressione") di aver ricevuto un sostegno ed un supporto per affrontare momenti di difficoltà della vita legate alla sfera scolastica, professionale o personale, ma gli stessi erano tutti soggetti "sani" ossia non avevano alcuna patologia particolare (sul punto si vedano le dichiarazioni della teste As.Il.: ...ma le era stata diagnosticata la depressione? ...no, no .... Era un mio parere, sì. Io ho detto che ero depressa ma nessuno me.... " Pag. 7/16 verbale fonoregistrato del 5.12.2023); le attività poste in essere da Sc.Cr. si erano, infatti, sviluppate principalmente nell'esecuzione di esercizi di meditazione, riflessione o respirazione con successiva annotazione delle sensazioni provate. Diversamente dall'istruttoria dibattimentale, è emerso che laddove l'imputata aveva riscontrato eventuali possibile patologie in atto, aveva correttamente invitato i suoi pazienti a rivolgersi ad uno psicologo. Tutti i pazienti hanno riferito di aver compilato dei questionari conoscitivi all'inizio del percorso, ma che tali questionari non potevano ritenersi test psicologici. A fronte di quanto emerso dell'attività istruttoria non si può pertanto ritenere che l'imputata, all'epoca dei fatti, abbia esercitato alcuna attività di psicologa; a nulla rileva peraltro il post di data 5.6.2019 segnalato dalle teste Fo.Il., atteso che, come evidenziato nella perizia informatica a firma del dott. Ma.Sa., la dicitura "sono psicologa " è stata inserita in data 28/10/2023 quando l'imputata era già regolarmente iscritta all'albo degli Psicologi di Udine. L'imputata dovrà pertanto essere mandata assolta dal reato lei ha scritto perché il fatto non sussiste. Appare congrua l'assegnazione del termine di 60 gg. per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine in composizione monocratica Visto Part. 530 c.p.p. Assolvere Sc.Cr. dal reato a lei ha scritto in rubrica perché il fatto non sussiste Motivazione in giorni 60 Così deciso in Udine il 12 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Paolo Milocco Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 15/02/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Me.Ma. nato il (...) a S. (C.) residente in Via I. N. 31 - S. Do. Del F. (U.) domicilio eletto presso il difensore - libero, già presente - Difeso dall' avvocato di fiducia GI.Fr. del foro di Udine IMPUTATO del delitto p. e p. dall'art. 628, co. 1, c.p., perché, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza e minaccia, si impossessava della somma di Euro 6,00 - e di uno smartphone marca Apple mod 6S del valore di circa Euro 200,00/250,00 - di proprietà del minorenne Do.As. (nato il (...)). In particolare si avvicinava con fare minaccioso al predetto, che era seduto sulle scale del Duomo di Tarcento, proferendo frasi del tenore: "non provare a scappare " successivamente proferiva la frase: "dammi tutto quello che hai adesso oppure ti faccio andare a casa nudo"; poi gli dava un pugno in faccia e il Do. gli consegnava la somma di Euro, 6,00.-; infine, gli strappava dalle mani il cellulare e gli chiedeva il PIN e al rifiuto del predetto gli dava un altro pugno in fronte; a quel punto il minore gli comunicava il PIN (errato) ed egli si dileguava. In Tarcento il 03.04.2021. CON LA RECIDIVA SPECIFICA REITERATA INFRAQUINQUENNALE Con l'intervento del P.M. dott.ssa D'A. (delegata) del difensore GI.Fr. MOTIVAZIONE Me.Ma. è stato rinviato a giudizio con decreto del giudice dell'udienza preliminare 21.6.2022. L'udienza 16.9.2022 è stata rinviata per rinnovazione di notificazioni e quella del primo dicembre 2022 per impedimento del giudice assegnatario. Il 26.1.2023 sono state ammesse le prove. Il 23.2.2023 sono stati esaminati i testimoni di p.g. dell'accusa. Il 23.3.2023 sono stati esauriti i testi dell'accusa con la deposizione della persona offesa (Do.As.) e di due altre persone presenti ai fatti (U.E. e L. S. L.) ed è stato esaminato l'imputato (si tratta dell'unica udienza a cui lo stesso ha partecipato). Il 28.9.2023 è stato esaminato il teste della difesa D.P., fratello dell'imputato. Prima e dopo tale data, varie udienze sono state destinate ai tentativi di convocare ulteriori testi delle parti (già il 13.4.2023 e 29.6.2023 per il teste residuo del p.m., il 9.11.2023 per il residuo teste della difesa, poi il 21.12.2023 per un nuovo tentativo di convocazione del teste del p.m. in relazione ad un prospettato rientro dello stesso in Italia per le festività). Lo stallo è stato risolto quanto al teste della difesa (T.B.) con l'accordo delle parti per l'acquisizione delle precedenti dichiarazioni rese in sede di indagini difensive (udienza 9.11.2023), quanto al teste dell'accusa (D.M.A.) prendendo atto che il p.m., pur riuscendo ad interloquire via email con il soggetto, non era in grado né di effettuare una citazione in Italia né di indicare precisamente un recapito all'estero per attività rogatoriali e revocando, pertanto, l'ammissione (udienza 21.12.2023). La richiesta di acquisire, in questa situazione, il verbale delle dichiarazioni rese in corso di indagini ai sensi dell'art. 512 c.p.p. non è stata peraltro accolta, posto che la parte interessata avrebbe dovuto dimostrare l'obiettiva impossibilità di superare gli ostacoli suddetti; anche perché la causa della mancata comparizione nonostante i vari avvisi ricevuti in via informale dal p.m. deve ritenersi volontaria, sì da comportare anche il divieto di utilizzazione previsto dall'art. 526-bis cod. proc. pen. (Sez. 2-, Sentenza n. 7290 del 14/12/2018 Ud. (dep. 18/02/2019) Rv. 275609-01). E' stata, quindi, fissata la discussione per il 15.2.2024, data in cui le parti hanno formulato e illustrato le rispettive conclusioni e il giudice ha deliberato. La vicenda riguarda un episodio di bullismo e prevaricazione per cui il 3 aprile 2021 a Tarcento, sulle scale del Duomo, Do.As. è stato colpito con pugni in faccia e derubato del telefonino e di pochi Euro. La persona offesa a dibattimento conferma sostanzialmente i fatti, per cui aveva fatto immediata denuncia accompagnato alla Stazione dei carabinieri dal fratello M.A. (cfr querela doc.1 p.m.). L'immediata attivazione della polizia giudiziaria aveva così permesso di recuperare dal M. il cellulare che lo stesso, interpellato, restituiva. Do.As. ha confermato, oltre alla presenza dei due testi oculari L.L.U.E., le iniziali invettive subite, la richiesta di dargli tutto quello che aveva "oppure ti faccio andare a casa nudo", un primo pugno e la consegna di 6 euro; di seguito, poiché la somma era esigua, l'aggressore iniziava a frugargli in tasca per poi strappargli di mano il cellulare e allontanarsi. Conferma in pieno la denuncia "quello che ho scritto lì è tutto quello che ha fatto in quel momento" (esame 23.3.2023, p. 12). A dibattimento però, fin dalle prime battute, ha affermato che le violenze e l'appropriazione subite non sono opera dell'imputato, ma di altra persona di cui non sa fornire le generalità. Richiamato all'obbligo di verità non deflette da questa nuova versione e continua a giustificare in modo del tutto inverosimile e caotico la ritrattazione. Avrebbe nell'immediatezza fatto il nome di M. perché lo aveva visto, subito dopo i fatti, avvicinarsi al "brasiliano" autore della rapina e si era convinto che c'entrasse qualcosa (esame 23.3.3023, p. 6, 11); non conoscendo il nome del rapinatore, per riavere il telefonino e non fare una denuncia anonima avrebbe preso di mira il M.. Il giorno dopo, pentito, si sarebbe ripresentato in caserma per rettificare la denuncia, ma i carabinieri gli avrebbero detto che non si può togliere" la denuncia perché "è d'ufficio" (esame 23.3.3203, p. 4) Fattogli presente che le calunnie verso il M. in realtà erano state confermate anche molto dopo e dopo aver già da tempo ottenuto, a carico del M., il sequestro del suo telefono (s.i.t. 15.12.2021), conclude "ma non sapevo il telefono chi l'ha preso, cos'era successo" (esame 23.3.3203, p. 9). Del perché non avesse colto l'occasione della convocazione per le s.i.t. per correggere le falsità, dichiara: "Perché tutto questo ormai era successo dopo troppo tempo. Questo qua era dicembre, dopo quattro mesi. Ma a parte questo, già io che ti ho detto che volevo ritirare la denuncia indietro e non me l'hanno ritirata; anche se ti dicessi che è tutto falso, cosa cambierebbe? La denuncia è già là. Siamo in Tribunale adesso e come va, va" (esame 23.3.3203, p. 9). Le persone che erano con lui prima e durante la rapina, indicati da lui stesso in corso di indagini e citate come testi dal p.m., in un primo momento sono apparse piuttosto restie a riferire precisamente la vicenda, ma a fronte delle contestazioni ex art. 500 c.p.p., pur negando di avere ricordi precisi, si sono richiamati senz'altro a quanto riferito in corso di indagini. A questo punto, la "giustificazione" dell'iniziale calunnia ai danni del M.A. dal Do.As. perde ogni residua plausibilità visto che la versione originaria non era una sua personale versione, ma la comune ricostruzione dei fatti da parte dei presenti. Per comprendere il clima in cui sono avvenute queste deposizioni (il M. è stato presente solo a questa udienza) si consideri che U.E. a suo tempo neppure aveva fatto il nome del M. (e quindi le sue dichiarazioni potevano supportare anche il cambio di versione della p.o.); e nonostante ciò anche lui si è appalesato assai circospetto. Comunque ha ribadito che quanto a suo tempo riferito ai carabinieri, e del tutto coincidente per la materialità dei fatti con la versione dei fatti confluita nel capo di imputazione, corrisponde alla realtà dei fatti (esame 23.3.3203 p. 22). Anche L.L., che nel corso delle indagini si era dimostrata più lucida nei ricordi, in un primo tempo si è trincerata su vari "non ricordo", ma alla lettura delle dichiarazioni predibattimentali le ha confermate. In particolare non ha mancato, alla fin fine, di confermare l'attribuzione dei fatti al M. secondo quanto riferito in indagini e descritto in capo di imputazione. La prova diretta, non tanto dei fatti, su cui vale in primis la deposizione della persona offesa, quanto della riferibilità della rapina all'imputato si fonda pertanto su questa deposizione (nonché sull'eclatante dato obiettivo del possesso del cellulare di Do.As. da parte del M. subito dopo lo spoglio subito dalla persona offesa). PUBBLICO MINISTERO - Quindi dieci giorni dopo. E lei riferiva: "Il 3 aprile del 2021 mi trovavo alle ore 15 circa"... è possibile? E. circa le 3 del pomeriggio quando è successo questo? Era pomeriggio? "Mi trovavo seduta sulle scale del duomo unitamente a Do.As., nato nel 2006, residente a T., e U.E., che conosco di vista". Fin qua conferma? T.L. - Sì. PUBBLICO MINISTERO - "Mentre stavamo parlando notavo M., persona a me conosciuta, amico di altri miei amici, che si avvicinava a noi". Conferma questo? Aveva detto la verità ai Carabinieri? T.L.T. - Sì. PUBBLICO MINISTERO - "Mentre si avvicinava inveiva delle frasi del tipo: 'Non provare a scappare', rivolte ad A.". T.L. - lo non me la ricordo la conversazione, ma neanche la dinamica, lo neanche mi ricordavo di avere fatto... che mi avessero chiamato per dire... PUBBLICO MINISTERO - Ma quando è stata chiamata ha detto la verità o aveva detto qualcosa che non era vero? T.L. - lo la verità l'ho detta sul momento, ma anche perché ero più piccola e io da quello che so... PUBBLICO MINISTERO - Dice: "Si avvicinava M. e diceva ad A.: 'Non provare a scappare'. Una volta che ci ha raggiunti il M. si dirigeva direttamente vicino a A. chiedendogli di consegnargli tutto quello che aveva addosso". T.L. - Gli ha dato solo il telefono. PUBBLICO MINISTERO - "A. tirava fuori una somma di denaro pari a Euro 6 circa e M. si appropriava". Quindi lei aveva dichiarato cosi ai Carabinieri: M. arriva, dice: "Non provare a scappare"; gli dice di consegnargli tutto... conferma quello che ha detto? T.L. - Non mi ricordo. PUBBLICO MINISTERO - Conferma di avere detto quello che si ricordava all'epoca? E. passati dieci giorni... T.L. - Se l'ho scritto vuol dire che l'ho detto, ma adesso non me lo ricordo. PUBBLICO MINISTERO - Poi lei dice gli dava solo il cellulare. Qua dice: "Dopo essersi appropriato dei soldi, il M. gli dava un pugno ad A., colpendolo in testa". Lei ricorda di questo pugno? T.L. - No. Non mi ricordo proprio cosa ho detto io; la dinamica in sé io non me la ricordo, lo mi ricordo che gli ha dato il telefono, perché la roba del telefono gliel'ha chiesta più volte. Però è finita lì, non è che... cioè in sé non ma la ricordo la dinamica. (...) PUBBLICO MINISTERO - "Successivamente l'A. tirava fuori il proprio cellulare e il M. si impossessava". Quindi è andata cosi, del cellulare che l'unica cosa che ricorda? L'ha tirato fuori... T.L. - Solo quello mi ricordo. PUBBLICO MINISTERO - Ed era M. che l'ha preso ad A.? Devo dirlo perché viene registrato. T.L. - Sì. PUBBLICO MINISTERO - "Il Morlon gli chiedevo il pin. A. si rifiutava e il M. lo colpiva sferrandogli uno schiaffo in faccia". T.L. - No, questo non me lo ricordo. PUBBLICO MINISTERO - Non se lo ricorda? T.L. - No, no. PUBBLICO MINISTERO - "Dopo aver ricevuto il pin, il M. si allontanava dal luogo". T.L. - Sì. Correttamente si è proceduto per mezzo di contestazioni, poiché nel corso dell'esame dibattimentale del testimone e delle parti private può procedersi alla contestazione delle dichiarazioni rese in precedenza dai soggetti esaminati tutte le volte in cui queste ultime presentino difformità con le dichiarazioni dibattimentali, sia che in dibattimento il soggetto esaminato manifesti una conoscenza diversa, sia che riveli di non ricordare le vicende o i fatti sui quali aveva riferito in precedenza (Sez. 2, Sentenza n. 10483 del 21/02/2012 Ud. (dep. 19/03/2012) Rv. 252707 - 01), In detto arresto la Corte Suprema ha precisato che, nel caso in cui il teste dichiari di non ricordare il fatto o la circostanza su cui viene esaminato, ma, a seguito della contestazione, affermi che, pur non avendone attuale ricordo, quanto dichiarato in precedenza è sicuramente vero, non si applica la disciplina in tema di utilizzabilità delle dichiarazioni acquisite a seguito di contestazioni, ma solo le regole generali in ordine alla valutazione dell'attendibilità del dichiarante. In altre parole, le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che siano state confermate, anche se in termini laconici, vanno recepite e valutate come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiché l'art. 500, comma 2, cod. proc. pen. concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell'atto utilizzato per le contestazioni (Sez. 2, Sentenza n. 35428 del 08/05/2018 Ud. (dep. 25/07/2018) Rv. 273455-01). Ma in realtà, come detto, l'aspetto per cui questa testimonianza assume rilievo non è tanto la frammentaria e faticosa ricostruzione dei dettagli dell'aggressione quanto la sua attribuzione all'imputato, pienamente confermata. E, in chiave di attendibilità, fra questa attribuzione dei fatti all'odierno imputato e la versione alternativa offerta a dibattimento dalla persona offesa non può non darsi maggior credito alla prima, alla luce della coincidenza con le originarie dichiarazioni anche di Do.As., posto che in tema di valutazione della prova testimoniale, deve tenersi conto delle dichiarazioni rese dal testimone durante le indagini preliminari legittimamente utilizzate per le contestazioni, laddove esse permettano di accertare l'inattendibilità della ritrattazione effettuata dal medesimo testimone in dibattimento (Sez. 2-, Sentenza n. 15652 del 21/12/2022 Ud. (dep. 13/04/2023) Rv. 284485 - 02). Ciò senza considerare la possibilità di cogliere, nell'atteggiamento complessivo dei testi chiamati a deporre in presenza dell'imputato, indici di un condizionamento che, quanto al Do.As., poteva introdurre la questione dell'utilizzazione delle sue originarie dichiarazioni ai sensi dell'art. 500 c. 4 cod. proc. pen. (cfr Sez. 2 -, Sentenza n. 29393 del 22/04/2021 Ud. (dep. 27/07/2021) Rv. 281808 - 01), questione però non sollevata dalle parti e la cui soluzione non appare comunque strettamente necessaria per una valutazione "al di là di ogni ragionevole dubbio" sul caso in esame. Che la ritrattazione del Do.As. sia una mal congeniata e sprovveduta "combine" tra imputato e parte offesa, in un tentativo di legittimare extra ordinem l'intervenuta composizione privata tra le parti, si desume con chiarezza, infatti, anche dalla strampalata versione che l'imputato ha reso in corso di esame (non senza premettere che con la persona offesa vi è stato, dopo i fatti, "un chiarimento", esame 23.3.2023 p. 24). Versione che, con insuperabili forzature alla logica e alla verosimiglianza, vorrebbe giustificare come mai, dopo la rapina, era M. (e non lo sconosciuto "brasiliano" che si è deciso di eleggere a capro espiatorio della bravata) a detenere il cellulare della persona offesa e quindi il provento del reato. In buona sostanza M. sostiene di aver visto la lite fra Do.As. e questo "brasiliano" che lui conosce di vista, di aver capito che a A. era stato sottratto qualcosa e di aver quindi affrontato il "brasiliano" nella corriera diretta a Udine su cui entrambi erano saliti subito dopo i fatti. Era sua intenzione recuperare il cellulare del Do. perché sapeva "già come andava a finire" cioè che sarebbe stato accusato lui per via di alcune questioni aperte tra suo fratello, P.D.M., e A. (esame 23.3.2023 p. 25, 32). Ottenuta dal "brasiliano" la restituzione del maltolto si sarebbe recato da suo fratello per fargli custodire il telefono, evitare di perderlo e volendo poi informare Do.As., magari ottenendo, per ringraziamento, la restituzione da A. dei soldi che doveva al fratello (esame 23.3.2023 p. 28). Quando i carabinieri gli telefonano, torna dal fratello per riprendersi il telefono e lo consegna (esame 23.3.2023 p. 28), tra l'altro convinto di aver fatto capire al fratello maggiorenne di Do.As., parlando al telefono, come erano andate veramente le cose e avendo avuto rassicurazioni che non sarebbe stato denunciato (esame 23.3.2023 p. 29). Se non chè, oltre ad essere illogica e inverosimile, questa versione non viene neanche confermata dal fratello dell'imputato (esame udienza 28.9.2023, p. 5). Sebbene anche questo teste sembri prima di tutto interessato a non lasciar spazio all'ipotesi di un suo qualche coinvolgimento, resta il fatto che gli astrusi retroscena del preteso "recupero" del telefono dal "brasiliano" non hanno nessun riscontro e pertanto la detenzione del bottino dopo la sua sottrazione alla vittima della rapina costituisce un inequivoco dato a suo carico. L'altro teste a discarico, l'amica del M., T.B., che ha reso informazioni al difensore acquisite con il consenso delle parti, non fa altro che riferire de relato la versione elaborata dal M. e, a dire del teste, a lei riferita già a suo tempo. Lo stesso M. peraltro smentisce certi dettagli che risultano riferiti al difensore da T.B. (esame M., 2.33.2023, p. 33) e ribadisce che Teuta non era presente ai fatti (esame M., 2.33.2023, p. 32), mentre in sede di indagini era emerso che la stessa, pur non partecipando attivamente all'aggressione, accompagnava il M. a T. il giorno dei fatti (esame L., 23.3.2023, p. 17, esame Do. 23.3.2023, p. 6, v. anche esame Uka, 23.3.2023, p. 21). Le prove assunte dunque confermano che i fatti si sono svolti come da capo di imputazione e che l'autore della rapina è l'imputato. Il valore di quanto sottratto permette l'applicazione dell'art. 62 n. 4 cod. pen. E' vero che in tema di circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, la sua configurabilità in relazione al delitto di rapina non postula solo il ridottissimo valore patrimoniale di quanto sottratto, essendo necessario valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro cui la violenza o la minaccia sono state esercitate, attesa la natura plurioffensiva del delitto (Sez. 2-, Sentenza n. 28269 del 31/05/2023 Ud. (dep. 30/06/2023) Rv. 284868 - 01). Ma qui anche le conseguenze fisiche sono state assai limitate. La recidiva contestata sussiste ed è rilevante per numero e qualità dei precedenti. La Corte costituzionale 11 luglio 2023, n. 141 ha escluso, però, ogni divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. e in questo caso il bilanciamento in favore dell'attenuante pare più consona per giungere ad una equa quantificazione della pena. Viceversa precedenti e atteggiamenti post factum escludono le circostanze attenuanti generiche che comunque non potrebbero a loro volta essere riconosciute con giudizio di prevalenza, ma di sola equivalenza rispetto ad una recidiva così qualificata (art. 69 ult. comma cod. pen.). La condotta di rapina non è definibile, per modalità e reiterazione delle condotte di minaccia, violenza e approfittamento, come di così ridotta gravità da meritare il minimo di pena assoluto, anche se non è necessario allontanarsi troppo da detti minimi. Ex art. 133 cod. va fissata quindi una pena base di anni 5 e mesi 3 ed Euro 1.500, ridotta per l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. ad anni 3 e mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000 di multa. Il cellulare sequestrato risulta già restituito alla persona offesa. I precedenti sono ostativi all'applicazione di sanzioni sostitutive. Le sospensioni condizionali concesse all'imputato con sentenza del Tribunale di Udine in composizione monocratica 13.11.2018 irrevocabile il 31.3.2019, con sentenza del Tribunale di Udine in composizione monocratica 2.3.2020 irrevocabile il 19.9.2020 e con sentenza del Tribunale di Udine in composizione collegiale 1.10.2020, irrevocabile il 14.2.2021 vanno revocate poiché l'imputato nel periodo di riferimento ha commesso il reato qui giudicato (dd 3.4.2021). La sospensione condizionale della pena concessa con sentenza della Corte d'appello di Trieste 23.3.2021, irrevocabile il 13.5.2022 va revocata ai sensi dell'art. 168 c. 3. cod. proc. pen.. P.Q.M. Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica v. gli artt. 533 e 535 cpp dichiara l'imputato colpevole del reato ascritto e concessa la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n.4 cod. pen. prevalente sulla recidiva contestata lo condanna alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 1.000 di multa oltre al pagamento delle spese processuali V. l'art. 168 cod. pen. Revoca la sospensione condizionale concessa con sentenza del Tribunale di Udine in composizione monocratica 13.11.2018 irrevocabile il 31.3.2019, la sospensione condizionale della pena concessa con sentenza del Tribunale di Udine in composizione monocratica 2.3.2020 irrevocabile il 19.9.2020, la sospensione condizionale della pena concessa con sentenza del Tribunale di Udine in composizione collegiale 1.10.2020, irrevocabile il 14.2.2021 e la sospensione condizionale della pena concessa con sentenza della Corte d'appello di Trieste 23.3.2021, irrevocabile il 13.5.2022 v. l'art. 207 c.p.p. Dispone la trasmissione di copia degli atti al pubblico ministero in ordine alla testimonianza di Do.As. (minorenne al momento della deposizione). Motivazione riservata nel termine di legge (gg 15) Così deciso in Udine il 15 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di UDINE, in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Paolo LAUTERI all'udienza del 15.02.2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: Gi.Ma., nato a Ma. (G.) il (...), residente ed elettivamente domiciliato a S. C. d'I. (G.), Via T. n. 3 - Difeso di fiducia dall'Avv. Vi.MA. e dall'Avv. Pa.BE., entrambi del Foro di GORIZIA - libero, non comparso, presente ai sensi dell'art. 420, comma 2 ter, c.p.p. imputato per il/i seguente/i reato/i: artt. 81, 609 undecies c.p. perché, allo scopo di commettere i delitti di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquenni, 609 bis, 609 quater, 609 quinquenni e 609 cotile c.p., adescava la minore di anni sedici Ga.Fr. (nata il (...)) inviandole una serie di messaggi in cui le faceva complimenti, le diceva che le piaceva, che era innamorato di lei, le parlava di sesso e le chiedeva di parlare di ciò con lui, le proponeva di incontrarsi. In UDINE dal 21 al 30 maggio 2021 Con l'intervento del Pubblico Ministero, Avv. Al.CA., con delega, e del difensore di fiducia, Avv. Vi.MA., del Foro di GORIZIA, in proprio e quale sostituto del codifensore, Avv. Pa.BE., del Foro di GORIZIA MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto ritualmente notificato, emesso dal P.M. Distrettuale Antimafia di TRIESTE, competente per materia, Gi.Ma. veniva citato a comparire davanti a questo Giudice per rispondere del reato a lui ascritto in epigrafe. Verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, nel corso dell'udienza predibattimentale, l'imputato, a mezzo di uno dei difensori munito di procura speciale, chiedeva di essere ammesso al rito abbreviato. Il Giudice ammetteva l'imputato al rito richiesto e, all'udienza del 15.02.2024, le parti concludevano come da verbale. L'odierno imputato è chiamato a rispondere del reato di adescamento di minorenne (art. 609 undecies c.p.) per avere inviato numerosi messaggi a Ga.Fr. (all'epoca poco più che quattordicenne) di contenuto inerente la tematica sessuale con invito ad avere incontri de visu. I fatti risalgono al periodo compreso tra il 21 ed il 30.05.2021. Nella C.N.R. della Questura di UDINE in data 02.07.2021, si dà atto che il giorno prima si erano presentati Ga.An. e F.D., genitori della minore Ga.Fr., che portavano con sé ed esibivano agli operanti il testo di alcune comunicazioni che la figlia aveva ricevuto e scambiato sul proprio telefono con interlocutori indicati uno con la lettera "V" e l'altro con la lettera "M". Quest'ultimo era registrato a nome "M.''. Escussa a s.i.t. (vds. verbale in data 01.07.2021), Fr. riferiva quanto segue. È la mamma di Ga.Fr., nata a U. il (...) dalla relazione con Ga.An., da cui la dichiarante è separata dal 2008. Il padre della ragazza si è risposato con Gi.Si., da cui ha avuto un altro figlio nato nel (...). A seguito della separazione dei genitori, Fr. è stata data, di comune accordo, in affidamento congiunto e divide il suo tempo, in parti praticamente uguali, tra la mamma ed il papà. Agli inizi di giugno 2021, la dichiarante venne convocata a casa dell'ex compagno il quale - in quell'occasione - la metteva al corrente che Fr. qualche giorno prima (in particolare il 30.05.2021) aveva confidato alla di lui attuale moglie S., di aver ricevuto delle attenzioni di carattere sessuale da parte del "nonno M." padre della suddetta S.. La ragazza aveva riferito, in particolare, di esser stata baciata "sulla bocca e con la lingua" dal predetto Ma. in una occasione in cui si era fermata a dormire da lui. Successivamente, a casa del padre, Fr. avrebbe subito, sempre da M.G., delle pratiche di sesso orale, mentre stavano guardando la TV, seduti sul divano, insieme al fratellino Ri.. La ragazza raccontava che il nonno, da sotto le coperte, le toccava le parti intime e le inseriva un dito in vagina. Tali confidenze venivano esternate mediante messaggi (non si sa se manoscritti o postati a mezzo social), in quanto provava imbarazzo a parlarne di persona. A supporto delle proprie affermazioni, Fr. mostrava a S. gli screenshot che poi la dichiarante ha messo a disposizione degli operanti, una volta convocata. S., in quell'occasione, invitò Fr. a non scambiare più messaggi col nonno. D'accordo col padre, la dichiarante decise di togliere il cellulare a F.. Ambo i genitori si recarono a casa della madre dove, al rientro da scuola, presero il telefono della ragazza dicendole che erano costretti a farlo per tutelarla dalle azioni del nonno. Alla base di tale azione, c'era anche l'intento di visionare il contenuto dei messaggi e qualche altro dato che potesse consentire di comprendere cosa stesse accadendo. F. non ebbe praticamente alcuna reazione. Continuò comunque ad usare i social sul computer di casa. Andato via il padre, la dichiarante riferisce di aver affrontato il discorso con Fr. riferendole anche tutto ciò che era stato a lei raccontato da suo padre. F., ad un certo punto, andò nella sua camera e poco dopo tornava mettendo nelle mani della madre un foglio manoscritto. Consegnato il foglio, se ne andava. La ragazza aveva scritto: "il padre di S. è innamorato di me, la S. la ama ma poco poco, quella sera che ho dormito da lui, mi ha baciata con la lingua (vomitevole), mi ha toccato e mi ha infilato le dita nella vagina e poi me l'ha leccata". La dichiarante rimase di sasso e cercò di nuovo di affrontare il tema con la figlia cui fece notare la gravità delle cose da lei riportate. F. rispose in modo piuttosto vago limitandosi a dire che lei non aveva fatto niente. La settimana successiva fu il padre ad affrontare l'argomento con F.. A. disse di aver visionato il contenuto del telefono di Fr. e di aver trovato gli screenshots dei messaggi che, a dire di Fr., erano stati scambiati col nonno. D. anche che non era stata trovata la chat originale. Dai messaggi si capiva che tra Fr. ed il nonno ci fossero stati degli approcci di carattere sessuale. A. aveva avuto modo di leggere anche altri messaggi S., provenienti dal numero di telefono appartenente al nonno, il cui tenore, tuttavia, era del tutto normale nell'ambito di un comune rapporto tra nonno e nipote. L'autore dei messaggi a sfondo sessuale inviati a Fr., sullo screenshot, era evidenziato con la lettera "V" mentre nella chat condivisa col nonno (su cui c'erano i messaggi non sospetti) la lettera iniziale era la "M". Interpellata sul punto dal padre, Fr. rispondeva che aveva inserito in rubrica il nonno col nome "V.', poi modificato in "M.". Il padre di Fr. trovò sul telefono della figlia anche una chat nominata "L.D.G." su cui erano postati dei messaggi con un soggetto ignoto. Tra le comunicazioni, c'era un messaggio vocale in cui si sente chiara la voce di un maschio adulto che, dopo aver biasimato il comportamento del nonno, inviava del link riconducibili a siti porno per adulti. I giorni successivi, tramite il padre della ragazza ed un cugino della di lui moglie, che fa l'avvocato, si decise di interrompere ogni rapporto con Gi.Ma. e di rivolgersi ad una psicologa (Dott.ssa Z.) che prendesse in carico la situazione di F.. La psicologa, preso atto del vissuto pregresso della ragazza, consigliò di contattare una neuropsichiatra. La famiglia si rivolse alla Dott.ssa V. che consigliò subito di sporgere denuncia. Nel 2019 Fr. a scuola aveva mosso delle accuse di attenzioni sessuali a C.C., all'epoca compagno della madre. Si confidò, in particolare, col Prof. di religione cui esternò circostanze che, alla fine, si rivelarono del tutto inventate tant'è che il C. fu prosciolto da ogni accusa. Durante le scuole medie, Fr. inviò dei messaggi ad un'amica ad esplicito sfondo sessuale. Fu la madre dell'amica a scoprirlo. Dapprima incolpò un ragazzo del Centro Estivo (G.), poi ammise di esser stata lei a chiedere l'invio di quei messaggi per dimostrare di non essere lesbica. Con quel ragazzo continuò ad avere contatti in videochiamata ed una volta fu sorpresa dalla madre mentre dialogava e si faceva vedere completamente nuda "dalla vita in su''. Una volta, le fu tolto il cellulare e le fu consentita una breve chiamata dal telefono di casa. Dal secondo cordless, la madre poté udire della discorsi smaccatamente sessuali relativi a cosa lei ed il suo interlocutore avrebbero fatto se si fossero incontrati. Negli anni del liceo, Fr. ha mantenuto dei rapporti epistolari con un paio di docenti (Prof. B. di religione e Prof.ssa Ri. di matematica), nei quali si vantava del fatto di bere e fumare e si faceva cenno ad un presunto toccamento che avrebbe subito nel corso delle scuole elementari. Nel Verbale delle s.i.t. rese da Ga.An., in data 05.07.2021, si legge quanto segue. Una domenica di fine maggio del 2021, la sua attuale moglie S. lo informò di alcune confidenze che aveva fatto a lei la di lui figlia F.. Costei, peraltro, la sera del 15.05.2021, aveva dormito a casa del nonno (il fratellino R., nato dall'unione tra il padre e Gi.Si., non era voluto rimanere). Il nonno l'aveva invitata a dormire da lui anche la sera del 29, ma il padre si oppose perché gli sembrava una cosa esagerata anche alla luce del livello di confidenza che c'era (buono, ma non così profondo). L'invito da parte del nonno lasciò un po' perplessi, anche perché il nonno stesso era andato per ben tre volte a casa del dichiarante nella settimana in cui la figlia era con lui. U., la cosa avvenne perché c'era da verniciare delle pareti, verificare se la vernice si fosse poi asciugata e prelevare un barbecue. Sia il dichiarante sia la moglie, però, iniziavano a pensare a qualcosa di pretestuoso (anche perché la moglie del nonno è affetta da disabilità). Peraltro, Fr. in passato aveva subito attenzioni sessuali da parte di un compagno di sua madre. Per questo, alla moglie del dichiarante fu chiesto di investigare. S.F. a Fr. delle domande e la ragazza rispose che provava imbarazzo a parlarne di persona promettendo però che avrebbe raccontato tutto per iscritto tramite messaggi che avrebbe inviato da casa dalla madre. Il pomeriggio del 30.05.2021, Fr. inviò a S. degli screenshot su tsApp, relativi ad una chat intercorsa tra lei ed il nonno Ma. contenente messaggi a chiaro sfondo sessuale. Il dichiarante stesso ebbe modo di vedere quei messaggi, il primo dei quali conteneva la frase: "sono innamorato di te". La cosa provocò evidente shock. Si notò poi che, in alcuni messaggi inviati da Fr., l'interlocutore era individuato con la lettera "V"; in altri c'era la "M". Fr. spiegò che era la stessa persona che però, all'inizio, era stata rubricata come "V." e poi come "M.". Il martedì successivo (01.06.2021), il dichiarante chiamava la madre di Fr. chiedendole di passare da lui per parlare. La informò di quanto emerso e successivamente i due si portarono a casa di lei per attendere F.. Rientrata la ragazza, la si invitò a dare il cellulare. Lei lo fece e disse di sapere il perché glielo si stava chiedendo. Senza aggiungere altro. Il dichiarante si mise immeditatamente alla ricerca dei messaggi e degli screenshot. Scorrendo tra gli album della G., ne trovò uno denominato "prove" all'interno del quale erano contenuti gli stessi screenshot inviati a S. unitamente ad una foto di M.. A seguito di tali episodi, fu contattata dapprima una psicologa (Dott.ssa Z.), la quale - però - capì che, visti i trascorsi, era il caso di affidarsi ad una Neuropsichiatra, che venne individuata nella Dott.ssa V.. Fu quest'ultima a suggerire di procedere alla denuncia prima di ogni ulteriore passaggio. Contestualmente, venne interrotto qualunque rapporto con M.. F., nel frattempo, era partita con la mamma per trascorrere un weekend al mare. Al rientro, a richiesta del padre, riferì che il primo episodio accaduto col nonno risaliva a quel sabato 15 maggio, in cui si era fermata a dormire dai nonni. Riferiva di un bacio che avrebbe ricevuto sulla bocca con la lingua aggiungendo il commento: "non ti dico che schifo". Riferiva poi di un altro episodio in cui, seduti sul divano insieme a Ri. con una coperta addosso, il nonno l'aveva toccata. Ci sarebbe stato poi un ulteriore episodio di toccamento, accaduto a casa del dichiarante in una delle occasioni in cui il nonno si era ivi recato con la scusa di altre incombenze. In questa ultima occasione, nonno e nipote rimanevano da soli in casa per circa un quarto d'ora, verso le ore 16.00, quando S. andò a prendere Ri. a scuola. Di questo ultimo episodio Fr. aveva parlato nella chat denominata "D.G.", rinvenuta nel suo cellulare. In altri messaggi postati su tale chat Fr. ribadiva le attenzioni sessuali del nonno e si dichiarava intenzionata ad acquisire prove che potessero, in qualche modo, "incastrarlo". C'era, in particolare, un messaggio audio registrato da una voce maschile adulta. F. sostanzialmente non disse chi era quell'interlocutore. Le fu fatta un'esplicita domanda cui lei diede risposte molto vaghe. A Fr. fu chiesto per quale motivo non avesse mai tentato di evitare il nonno e di sottrarsi a quei comportamenti. Lei non rispondeva. Il dichiarante afferma che, in un'altra occasione in cui il nonno si trovava casa di lui, Fr. si era sdraiata appoggiando la teste sulle gambe di lui. In quella occasione, il dichiarante racconta di essere intervenuto rimproverando la figlia e sottolineandole l'inopportunità di quella posizione. In passato, Fr. ebbe degli scambi di chat, di chiaro contenuto sessuale, con un tale G.. Parte di questi messaggi vennero girati ad una compagna di scuola e furono scoperti dalla madre di quest'ultima. Ci fu una segnalazione a scuola. Ci fu poi un episodio in cui Fr. aveva alterato un'immagine del suo professore del doposcuola, nella quale appariva una pistola ed una didascalia con scritto "questa è la pistola con la quale ti sparerò". Aveva poi mostrato dal suo tablet questa immagine ad una compagna che l'aveva segnalato al professore. Fr. venne sospesa. Un altro momento critico fu quando Fr. colpì con una sberla una compagna di scuola che la stava prendendo in giro assieme ad altre. In quell'occasione, la scuola consigliò di sottoporre Fr. ad un percorso con una psicologa. Il percorso iniziò con la Dott.ssa G., ma non portò i frutti sperati. Venne interrotto definitivamente quando si seppe che Fr. aveva lanciato delle accuse di molestie sessuali a carico del compagno della madre. Il dichiarante riferisce che la sua attuale moglie S. ebbe a parlare con suo padre di questa vicenda. L'uomo avrebbe ammesso i messaggi ma negato di aver in qualche modo toccato la ragazza. F. ha negato di aver avuto pregresse attenzioni da parte del nonno. In. passato, causa gli impegni lavorativi dei genitori, sia Fr. sia suo fratello Ri. sono stati spesso affidati al nonno medesimo. Nel Verbale delle s.i.t. rese da Gi.Si., figlia dell'odierno imputato (che accetta di rispondere sebbene avvisata della facoltà di astenersi che la legge le riconosce in virtù del vincolo di parentela), riferisce di essersi sposata il 19.09.2015 con Ga.An., con cui è sentimentalmente legata dalla fine del 2007. Il marito ha una figlia, Fr., nata il (...), dalla precedente relazione con F.D.. La dichiarante riferisce di aver instaurato uno stabile rapporto affettivo con la ragazza che ebbe modo di conoscere quando aveva appena un anno e mezzo. F. non è molto espansiva. Non si confida con nessuno e per farle dire qualcosa va sollecitata. Nelle settimane precedenti, la dichiarante riferisce di aver notato, assieme a sua madre C.S., che suo padre Gi.Ma., era un po' "perso". Sembrava non capire quello che gli veniva detto e spesso non ricordava quello che doveva fare. La cosa venne notata perché l'uomo era sempre stato molto attivo e quegli atteggiamenti non erano da lui. Il problema fu posto all'attenzione del Medico di Base, Dott. V.V., di Ri. dei L. (G.), cui fu segnalato che - in famiglia - c'erano stati dei precedenti di "demenza senile". Il Sanitario disse che certi comportamenti potevano essere anche la conseguenza della prima dose anti COVID che l'uomo aveva assunto in data 11.05.2021. Verso la fine di maggio 2021 (nei giorni 26, 27 e 28), il padre della dichiarante andò per tre giorni di seguito a casa della figlia e del suocero (cosa mai successa in precedenza). I primi due giorni andò a dipingere gli infissi (cosa in programma da circa un anno); il terzo giorno andò a recuperare gli attrezzi usati. Questo avvenne in una settimana in cui Fr. era a casa col padre e con la dichiarante. Si pensò che l'uomo avesse voglia di stare fuori dopo mesi e mesi di lockdown. Il padre della dichiarante, peraltro, è in pensione da una decina d'anni e da più di venti si sta occupando della moglie convivente che, a causa di due ictus, è divenuta tetraplegica. Alla presenza del nonno, peraltro, Fr. aveva un atteggiamento molto invadente e pressante nei di lui confronti. Si buttava letteralmente su di lui anche quando era seduto e giocava col nipote più piccolo. Questo provocava anche delle gelosie del piccolo che, una volta, ebbe a mettere un cuscino a mo' di muro per impedire che Fr. si avvicinasse. La dichiarante scattò anche delle foto, acquisite in atti, in cui si vede chiara la scena di Fr. che cerca il nonno in presenza anche del fratellino. Il pomeriggio di sabato 15.05.2021, la dichiarante coi suoi familiari si recò in visita dai genitori di lei. L'appuntamento, in origine, era stato fissato per il giorno prima, ma Fr. chiese ed ottenne di spostarlo al giorno dopo per esserci anche lei (altrimenti sarebbe dovuta rientrare dalla madre). In quell'occasione, Fr. propose a Ri. di fermarsi a dormire dai nonni. Ri. però disse subito di no. Fr. volle invece fermarsi. Il nonno prestò il consenso. L'accordo era che Fr. avrebbe potuto guardare la TV in camera del nonno (quella sera c'era la finale di "Amici"), mentre lui si sarebbe fermato fino a mezzanotte sul divano, accanto alla moglie (che dorme in sala su una poltrona speciale), come solitamente faceva. L'indomani, la dichiarante passò a prendere Fr. e suo padre le diceva che lui e Fr. avevano visto la TV insieme fino a quando lui non si era addormentato. Fr. si era spostata a dormire in un'altra stanza, alla fine della trasmissione. F. confermava che il nonno si era addormentato, mentre stava guardando "Amici' insieme a lei. Il successivo 29.05.2021, vi fu una grigliata a casa dei genitori delle dichiarante cui partecipò tutta la di lei famiglia, Fr. compresa. Il padre della dichiarante, in quell'occasione, insisteva affinché ambo i nipoti si fermassero a dormire da loro. La cosa però non si fece. Fr. disse che il nonno aveva chiesto la cosa anche tramite messaggio, cosa per lui abbastanza strana avendo da sempre preferito la comunicazione vocale. La dichiarante precisa che il padre di norma usa un telefono base della NOKIA. Ha anche uno smartphone che però usa solo per ricevere via W. le ricette del medico ed i messaggi dei gruppi di famiglia. La dichiarante ed il marito decisero di approfondire il discorso con F.. Costei lì per lì disse che i messaggi che si scambiava col nonno erano per lo più "cavolate del tipo cos'hai mangiato oggi....io sto preparando la pasta.... e cose del genere". La conversazione sembrava finita lì. Dopo un po', però, Fr. spontaneamente disse alla dichiarante "se dopo ti scrivo i messaggi che ci scambiavamo io e M.... mentre sono dalla mamma perché mi vergogno.... posso?". Al risposta fu affermativa e la ragazza ribatté; "non è che ti arrabbi con me?". Le fu detto che, quando si racconta la verità, non c'è alcun motivo di arrabbiarsi. Dopo circa 20 minuti sua madre passò a prenderla e poco dopo la dichiarante riferisce che iniziarono ad arrivare messaggi W., inviati da Fr., contenenti pezzi di screenshot di comunicazioni con un interlocutore contrassegnato dalla lettera "V". In alcuni di questi screenshot si leggeva la parola "V.". I messaggi erano, in alcuni casi, a sfondo sessuale. Fu anche chiesto a Fr. il perché della parola "V.". Lei rispose "non so". Successivamente il numero venne rubricato sotto il nome di "M.". La dichiarante disse a Fr. di girarle tutti gli ulteriori messaggi che eventualmente l'uomo le avesse scritto, senza però dire niente a lui. F., su sollecitazione della dichiarante, collocò l'inizio di certi messaggi il lunedì precedente. La cosa non collimava con alcuni messaggi di data precedente. Fr. non seppe essere più precisa. D. che la sera in cui si era fermata a dormire da Ma. era stata "limonata" e che non era la sola volta che era successo. Il 31.05.2021, intorno a mezzogiorno, Fr. inviava un altro screenshot, con interlocutore "M". Ivi era riprodotto un messaggio in cui Fr. affermava che stava vedendo un film. L'interlocutore le rispondeva "Mica porno eh?'. Lei ribatté: "io non guardo i porno". La dichiarante, dopo aver contattato suo fratello e sua cognata (Ga.Fr.), andò da suo padre per affrontare la questione accompagnata dalla seconda (suo fratello disse che non se la sentiva). Vi fu un contatto diretto de visu da cui venne tenuta volontariamente fuori la madre della dichiarante. Le due donne decisero che era il caso che parlasse G. in quanto S. era piuttosto agitata. G. spiegò tutto quello che era emerso ed il padre della dichiarante ammise di aver scambiato diversi messaggi con F.. Gli fu fatto presente che lui non era il tipo che scriveva messaggi col telefono e lui ribatté che comunque si trattava di "monate" relativa a cosa stessero facendo o a cosa avrebbero mangiato a pranzo. A quel punto, intervenne la dichiarante che parlò dei messaggi "sconci' di cui le aveva parlato F.. Il padre sbiancò e chiese alla figlia se fosse "fuori'. L'uomo disse che, a volte, era lui a dover troncare la conversazione con Fr. perché lei iniziava a scrivere cose strane, del tipo "ma secondo te c'è qualcosa di male se una ragazza giovane si innamora di uno tanto più vecchio di lei' oppure "che si era innamorata di uno di 55 anni ma poi quello era morto ma ora le piaceva uno di 45'. D. anche che un'altra volta gli aveva scritto che quando aveva 13 anni e mezzo, mentre frequentava il centro estivo, aveva "perso la verginità". Il padre disse anche, rispondendo ad una domanda specifica della figlia, che non aveva voluto riferire di queste cose perché, dato il carattere di Fr., non voleva che si chiudesse di nuovo e non comunicasse più. Il padre diede alla dichiarante il telefono che lei gli aveva chiesto, ma sottolineò di aver cancellato praticamente tutti i messaggi, come è sua abitudine ogni sera, per liberare la memoria dell'apparecchio telefonico. Il padre della dichiarante negò di aver toccato Fr., se non per i ''grattini' che faceva sia a lei sia a Ri.. Sul cellulare risultò registrato un S. inviatogli da Fr. il pomeriggio del 31.05.2021, in cui la ragazza scriveva di essere andata con la madre a comprare un costume e sottolineava il fatto di avere il seno grande e di avere la pancia. Lui rispondeva "me lo farai vedere questo costume". Il padre della dichiarante si disse sconvolto dai racconti della ragazza. La figlia cercò di stare al gioco dicendogli di non cancellare i messaggi sul proprio cellulare e di troncare ogni contatto con lei anche perché, sulla base dei di lei racconti, lui rischiava una denuncia. L'obiettivo di tali affermazioni era quello di vedere la reazione del padre, il quale sbiancò e, scuotendo la testa, si chiese in che situazione si fosse venuto a trovare a 72 anni. La dichiarante e la cognata sé ne andarono con l'intesa che non sarebbe stato detto nulla alla moglie malata dell'imputato. F. poi confermò di aver scritto il messaggio del costume al nonno. Le venne ribadito che doveva troncare coi messaggi e lei rispose con un semplice "Ah". Nei giorni successivi, la dichiarante ebbe modo di vedere alcuni messaggi postati sul telefono di Fr. (che era stato prelevato alla ragazza). Assieme al marito poté vedere che c'erano delle chat in cui Fr. comunicava con un interlocutore salvato con il nome "D.G." cui vennero girati degli screenshot delle conversazione con "V.". Fr. diceva che "V." era il suo nonno adottivo e che stava cercando il "modo di Incastrarlo". Su quella chat c'erano degli audio in cui si sente la voce di un uomo e dei link relativi ad un sito P., inviati a F.. C'erano anche degli screenshot contenenti messaggi W., che Fr. inviò ad un profilo la cui immagine corrisponde a quella del suo ragazzo, G.B.. C'erano riferimenti ad approcci di carattere sessuale feticista. F. in passato ebbe modo di lanciare accuse di molestie sessuali a carico del compagno della madre che, però, fu assolto per insussistenza del fatto. È altresì solita registrare i numeri di telefono non con i nomi bensì con diciture particolari. In famiglia, era stata spesso affettuosamente chiamata "porcella". Ha, infine, la tendenza anche a raccontare cose non vere (ha parlato anche di presunti maltrattamenti che avrebbe subito ad opera del padre e della dichiarante). A seguito di tali dichiarazioni, venivano sottoposti a sequestro: - n. 1 smartphone, modello Redmi 9, versione M.G. 12.0.16 stabile, di colore nero, con n. IMEI (...), contenente la scheda telefonica del gestore K.M. relativa al n. (...), privo di codice di sblocco (PIN); - n. 1 telefono cellulare, marca NOKIA, modello 206.1 di colore rosso, con n. IMEI (...), contenente scheda telefonica del gestore T. relativa al n. (...), privo di codice di sblocco (PIN); - n. 1 smartphone, marca X.R., modello Redmi Note 8T - (...), con nn. IMEI (...) (Slot 1) e (...) (Slot 2), contenente scheda telefonica del gestore VERY Mobile n. (...), con blocco schermo la parola "errata" in minuscolo. I primi due telefoni venivano rinvenuti nel corso della perquisizione a carico di Gi.Ma. presso la sua abitazione (vds. verbale del 21.12.2021). Il terzo telefono veniva messo a disposizione da F.D. che lo indicava come mezzo in uso alla figlia (vds. verbale in data 01.07.2021). Gli apparecchi suddetti venivano messi a disposizione del Mar.llo D.C., nominato Consulente Tecnico dell'accusa, per eseguire l'estrazione della copia forense dei "messaggi telematici scambiati tra indagato e persona offesa in forma integrale, immagini e video sessualmente espliciti, anche riproducenti la persona offesa o altri soggetti di minore età, nonché ogni altro dato utile alle investigazioni''. Gli esiti dell'estrazione evidenziano innanzitutto la presenza di ben n. 1473 messaggi scambiati tra la parte offesa Ga.Fr. e l'imputato. Di questi, n. 1454 si concentrano tra il 13.05.2021 ed il 30.05.2021. Si nota che la ragazza il 13.05.2021 evidenzia al G. (titolare dell'utenza ricevente) che il sabato successivo vuole andare da lui, ma il padre non è tanto d'accordo. Chiede al G. se può provare lui a chiedere senza però dire che glielo ha chiesto lei. Il successivo 16.05.2021, inizia uno scambio intenso di S.. Quel giorno la ragazza chiede all'uomo perché la sera prima l'avesse "limonata", peraltro per ben due volte. L'uomo non nega la cosa ma si scusa. Lo scambio termina con una frase ambigua dell'uomo ("avrei potuto fare meglio") su cui la ragazza chiede spiegazioni che però non vengono date. In data 21.05.2021, c'è uno scambio piuttosto intenso di scritti nei quali la ragazza introduce l'argomento dell'ipotetico rapporto con una persona molto più anziana, accennando alla storia di un uomo di 22 anni che si sarebbe innamorato di una donna di 73 di cui si era parlato al programma "Uomini e Donne". È sempre la ragazza a dire che a lei piacciono gli uomini molto più gradi di lei (parla di uno di 55 anni e di uno di 45 di cui si sarebbe invaghita). A quel punto, l'uomo prende l'iniziativa chiedendo alla ragazza come reagirebbe lei se lui le dicesse di essere innamorato di lei. La presenta lì per lì come una ipotesi, ma poi le fa capire che la cosa potrebbe essere reale ("la mia era un'ipotesi, ma ti voglio tanto bene"). Dalle risposte, l'uomo scrive esplicitamente di aver capito che alla ragazza di questa cosa non gliene "frega niente". Il giorno 22.05.2021, Fr. scrive all'interlocutore la frase: "ma tu verresti a letto con me?". L'uomo risponde: "in che senso?". La ragazza ribatte: "eh, in quel senso!". L'uomo replica: "ma dai, non dire stupidaggini'. Al giorno 27.05.2021 risale una lunga trafila di messaggi. Si capisce che l'uomo cerca di calmare la ragazza che dice di avere degli attacchi di panico. Dice, altresì, di essere "innamorato" di lei e che le piace da circa un anno. La ragazza scrive che potrebbe denunciarlo, ma poi dice che sta scherzando. L'uomo si difende dicendo di non aver fatto nulla che lei non avesse voluto e si dice pronto a smetterla con quei messaggi. Lei però ribatte che, in quel momento, ha bisogno di un amico e che solo lui gli sta dimostrando attenzione. Segue una serie di frasi di Fr. che parla del suo passato desiderio di suicidarsi. L'uomo la invita a non pensarci neanche. Le chiede poi scusa se si è manifestato coi suoi sentimenti dicendo che avrebbe voluto tenerli per sé. Lei ribatte di esser stata, lei a sbagliare e non lui. La sera - dopo le 21.30 - parte un'altra serie piuttosto intensa di messaggi, in cui lui invita lei a parlare d'altro proponendo diverse tematiche tra cui il "sesso". Lei, incuriosita, chiede se veramente può parlare di quell'argomento. La cosa scivola ben presto su dati molto pratici ed espliciti. Alle domande dell'adulto, la ragazza risponde di non essere più vergine, di aver fatto l'amore col suo moroso almeno cinque volte di esser stata "leccata" da lui e di aver "succhiato" il suo membro. L'uomo non nasconde la sua contentezza per il fatto che la ragazza si sia aperta così tanto con lui. C. di chiedergli anche delle vicende di violenza sessuale di cui la ragazza aveva in passato dichiarato di essere vittima, ma lei non vuole rispondere. Lui le dice comunque che lei è una ragazza fantastica e che, da quel momento in poi, le vuole ancora più bene. Dopo le ore 23.27, ci sono ulteriori dialoghi in cui si fa riferimento ad un atto sessuale posto in essere dall'uomo ("oggi lì sotto mi hai messo il dito dentro") che comunque la ragazza dimostra di aver gradito. L'uomo dice anche che vorrebbe anche lui leccare i di lei genitali. Lei dice che non vuole e lui dice che va bene. Dopo la mezzanotte (quindi in data 28.05.2021), si va avanti coi discorsi e si arriva al tema della masturbazione. Ognuno dei due rivela la frequenza di tale attività e le modalità di attuazione. La ragazza parla anche di un metodo che non richiede il toccamento delle parti intime. I due si dicono anche che si stanno toccando mentre si scrivono. Ad un certo punto, l'uomo invita la ragazza a presentarsi l'indomani con la tuta e senza le mutandine sotto, così lui può ripetere i toccamenti. Si capisce poi che i due si vedono. Lui va da lei portandole del "foraggio" (cioccolata a lei molto gradita). Alle ore 13.49, Fr. invia un messaggio alquanto esplicito dicendo: "se ho voglia o no si capisce dal mio respiro e se la tocchi e si bagna vuol dire che la cosa non mi è del tutto indifferente". Si capisce poi che c'è stato un contatto esplicito di natura sessuale. Lei accusa lui di avergliela "leccata" quando lei gli aveva "detto di non farlo". Lui nega dicendo di averle dato solo un bacio sulla pancia. Lei ribatte che non è fessa e si sente offesa anche perché lui il giorno prima le aveva chiesto dell'altro molestatore. Ad ogni modo, il giorno successivo (29.05.2021) i rancori sembrano passati. F. dice che comunque il giorno prima "è stato bello". Lui ribatte di essere rincuorato dalla cosa e riferisce di esser stato molto male per il fatto di aver percepito un non gradimento per quello che era stato fatto. Fr. chiede comunque di replicare la cosa quel giorno. Lui ribatte: "e come faccio?". Lei suggerisce di farlo in garage dando le spalle alla porta di collegamento. Al 29.05.2021, sembra risalire l'ultima modifica di un video in cui si vede ad un certo punto Gi.Ma. toccare il pube della ragazza (coperto dai jeans). Quel giorno, dalle dichiarazioni assunte, risulta che Fr., il padre, la moglie di quest'ultimo ed il bambino più piccolo sono andati a casa del nonno. Il video sembra anche una sorta di esecuzione del proposito, manifestato sulla chat con "D.G.", di raccogliere prove contro il G.. Quelle testé passate in rassegna sono le principali risultanze investigative che, stante il rito prescelto, assumono valore istruttorio a tutti gli effetti. La tipicità della condotta incriminata concerne l'adescamento di minorenni che viene definito come "qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti 0 mezzi di comunicazione" (art. 609 undecies, comma primo ultimo periodo, C.p.). Il reato è a dolo specifico, in quanto la condotta deve essere posta in essere "allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies" C.p.. È, quindi, necessario, ai fini della configurazione del reato oggi contestato: - che vi sia un'attività di natura sostanzialmente truffaldina 0 estorsiva, in quanto connotata da "artifici' (di cui le lusinghe sono un esempio) o "minacce", atte a soverchiare la libera autodeterminazione del minore giungendone a "carpire la fiducia"; - che la condotta non sia fine a se stessa, bensì mirata allo scopo di commettere una serie di reati a danno dei minori adescati; nello specifico, il richiamo è ai reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 C.p.), di prostituzione minorile (art. 600 bis C.p.), pornografia minorile (art. 600 ter C.p.), detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater C.p.), pornografia virtuale (art. 600 quater.1 C.p.), turismo sessuale per prostituzione minorile (art. 600 quinquies C.p.), violenza sessuale (art. 609 bis C.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609-quater C.p.), corruzione di minorenne (art. 609 quinquies C.p.), violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies C.p.). In relazione all'elemento oggettivo, ciò che connota la condotta è un atteggiamento di direzione ed influenza della volontà del minore attuato - come detto - attraverso forme di persuasione che vanno dall'ipotesi più grave della minaccia (che si sa essere prospettazione di un male ingiusto nel caso di diniego) a quella più subdola della lusinga, la quale richiede comunque un "allettamento - fatto di frasi adulatorie, parole amiche, promesse o finte attenzioni - con cui l'agente cerchi di attrarre la persona offesa al proprio volere" (Cass. Pen., Sez. III, 09.09.2022, n. 33257, imp. N.). In ordine all'elemento soggettivo, è richiesta la prova ("desunta facendo ricorso a parametri oggettivi') di un "movente sessuale" (Cass. Pen., Sez. III, 08.07.2022, n. 26266, imp. B.) e dello specifico obiettivo di tale natura (in sostanza, una o più situazioni espressamente contemplate nella norma incriminatrice) (Cass. Pen., Sez. III, 23.04.2019, n. 17373, imp. P.). In altri termini, non basta un generico interesse di natura sessuale necessario essendo che si configuri un obiettivo concreto (che può essere la violenza sessuale o la prostituzione minorile o altro). Nella specie, non si contesta una finalità specifica, ma si indicano genericamente tutte le possibili condotte cui l'adescamento deve mirare per avere rilevanza penale. Francamente, un contestazione di tal fatta rende la strada dell'accusa particolarmente mente ardua, non venendo in alcun modo messo in chiaro quale fosse l'obiettivo specifico. In ordine alla rilevanza istruttoria degli atti contenuti nel fascicolo, va, peraltro, sottolineato che tutte le prove dichiarative assunte sono più che altro di contorno in quanto rivelatrici più che dei fatti in sé di come tali fatti sono stati scoperti. La vera prova di quanto accaduto si arguisce in via pressoché esclusiva dall'ampia mole di messaggi acquisiti mediante estrazione forense dai telefoni cellulari a suo tempo sequestrati. Da questi messaggi francamente emergono sicure anomalie e criticità nel rapporto tra l'odierno imputato e Ga.Fr.. Nulla, tuttavia, a parere di questo Giudice, che possa confortare quanto prospettato dalla singola accusa. Diversi sono i passaggi in cui sembra evidente che vi sia stato qualche atto sessuale tra i due, in particolare dei toccamenti delle parti intime. Non sembra altrettanto evidente che la ragazza non abbia gradito tali atti. Ci sono dei dialoghi in cui lei sembra risentita perché avrebbe subito degli atti cui non aveva acconsentito. Poi però dichiara che, comunque, è stato bello (si vedano i messaggi sopra riportati, datati 28 e 29.05.2021). La sussistenza effettiva di tali contatti si evince dai contenuti dei colloqui. L'uomo non nega, anzi arriva a scusarsi e si risolleva quando la ragazza gli dice che comunque - alla fine della fiera - aveva gradito. Certamente, data l'età della ragazza (che aveva superato gli anni 14, ma non aveva ancora compiuto i 16) e data la almeno apparente ambiguità del dato consensuale, i fatti di cui sopra potrebbero comunque integrare le ipotesi di cui all'art. 609 quater, comma primo, n. 2, o comma secondo, c.p., atteso che tra le parti del rapporto, pur non essendoci una relazione di parentela od affinità, c'è comunque un legame speciale dato anche dall'affidamento (di cui parla il padre della ragazza) della minore alla vigilanza del soggetto agente (cosa che sarebbe avvenuta in passato quando i genitori della ragazza erano impediti a vigilare direttamente su di lei per impegni lavorativi). I fatti di cui sopra, tuttavia, sono stati compiuti e non semplicemente programmati. Questo farebbe sì che la fattispecie non implicherebbe un adescamento, bensì un atto di natura sessuale consumato. Certamente, in astratto, nulla esclude che possa esservi stata ulteriore attività di induzione quando non di minaccia finalizzata ad ottenere ulteriori rapporti. Questo però non può dedursi dalla semplice intensità della corrispondenza o dal fatto che l'imputato abbia affrontato tematiche sessuali in termini così espliciti con la minore. Come sopra evidenziato, l'adescamento è una condotta di pressione psicologica mirata ad ottenere un consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato. Perché ciò avvenga, è dunque necessario che l'adulto prenda l'iniziativa di convincere il minore e che costui corra il concreto rischio di cedere solo perché condizionato da quelle pressioni. Nella specie, si nota spesso che è più la ragazza a sollecitare certi discorsi (vedasi messaggi del 21 e 22.05.2021, in cui è lei a chiedere se lui volesse andare a letto con lei). L'adulto ha avuto modo di rispondere evidenziando come potesse essere assurda l'ipotesi di una relazione con la minore (21 e 22.05.2021) e, in certi momenti, si è anche scusato per aver parlato di certe cose dichiarandosi finanche disponibile a smetterla di dialogare con messaggi di quel contenuto (27.05.2021). L'unico momento in cui sembra esser stato lui a stimolare qualcosa è quando la ragazza viene invitata a parlare di sesso. In quello stesso momento, l'uomo si dichiara innamorato di lei, ma poi aggiunge che mai e poi mai farebbe qualcosa che lei non vuole (questo accade sempre il 27.05.2021). Certamente, quest'ultima affermazione può evocare una sorta di tentativo quanto meno esplorativo (nell'adescamento ci può stare anche un'apparente rispetto ovvero l'utilizzo di un linguaggio che si limita a buttare lì la cosa nella speranza che faccia effetto sull'interlocutore). Non risulta però alcuna esplicita lusinga. Ad ogni modo, tra i due c'è un rapporto molto stretto che si alimenta di certi discorsi anche grazie (e, in certi momenti, soprattutto grazie) all'atteggiamento di Fr. che dice spesso di voler stare con l'uomo, che accetta con irrisoria facilità ogni dialogo sul sesso e che anzi non lesina di introdurre in prima persona dialoghi di tal fatta. Ferma restando dunque ogni riserva sull'opportunità e sull'etica di certe condotte tenute dall'imputato, peraltro, non prive - come detto - di rilevanza penale sotto altri aspetti, non ritiene il Giudice scrivente ricorrente l'estremo dell'ulteriore profilo penale posto all'attenzione in questa sede. L'imputato va, dunque, assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Come riferito dal difensore in sede di discussione finale, peraltro, l'ipotesi della violenza sessuale a danno della ragazza è oggetto di un procedimento tutt'ora pendente presso la Procura della Repubblica di GORIZIA nel corso del quale la persona offesa sarebbe stata sentita in indicente probatorio. La pendenza di tale procedimento rende superflua una ulteriore trasmissione degli atti alla Procura competente per le ipotesi di cui si sono riscontrati concreti elementi indiziari. P.Q.M. VISTO l'art. 530 C.p.p., ASSOLVE Gi.Ma. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Motivi Riservati nel termine minimo di legge. Così deciso in Udine il 15 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Mauro Qualizza Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 14/02/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Ci.Um. nato il (...) a P. (P.) residente in Via T. 17/1 - B. (U.) con domicilio eletto in B. S. P. 5 - C. Del F. (U.) - detenuto p.a.c., presente - Difeso dall'avvocato di fiducia MONAI Carlo del foro di Udine IMPUTATO Del reato p. e p. dall'art. 570 comma 2 nr. 2 c.p., per avere fatto mancare alla stessa i mezzi di sussistenza ai figli minori M. (nato il (...)) e G. (nata il (...)) non provvedendo a versare il contributo economico cosi come disposto dal Tribunale di Udine con provvedimento emesso in data 24.02.2022 che prevedeva la corresponsione del mantenimento per i figli minori nella misura di Euro. 200,00 per ciascun figlio oltre alla 50% delle spese straordinarie. In particolare Ci.Um. non corrispondeva nessuna somma. In Cividale del Friuli, da marzo 2022 in permanenza RECIDIVA INFRAQUINQUENNALE EX ART. 99 COMMA 2 N. 2 C.P. Con l'intervento del P.M. dott.ssa GA. (delegata) del difensore MO.Ca. IN FATTO E IN DIRITTO Tratto a giudizio per rispondere dell'imputazione in epigrafe circostanziata con decreto di citazione di data 16 giugno 2023, Ci.Um., in atti generalizzato, compariva ritualmente al processo. All'udienza del 23 ottobre 2023 si costituiva parte civile Gi.Mi.. Il 18 dicembre 2023 il processo era differito per consentire la traduzione dell'imputato, nelle more sottoposto a detenzione. Il 29 gennaio 2024 era avanzata istanza di giudizio abbreviato subordinata all'esame di Te.Be., madre di Ci.Um.. Il giudice disponeva in conformità trattandosi di prova necessaria e compatibile con finalità di economia processuale, e il rito non era accettato dalla parte civile costituita. Il 14 febbraio 2024 deponeva Te.Be. ed era sentito l'imputato, che acconsentiva all'esame. Di seguito, il pubblico ministero e il difensore formulavano e illustravano le rispettive conclusioni, e il tribunale si ritirava in camera di consiglio e pronunziava la sua decisione come da dispositivo integralmente riprodotto in calce. Le prove acquisite al processo non confermano la tesi d'accusa. La sentenza sarà assolutoria perché il fatto non costituisce reato, in conformità con le concordi conclusioni d'accusa e difesa. La vicenda in disamina attiene alla convivenza more uxorio tra Ci.Um. e Gi.Mi.. La relazione, dalla quale erano nati i figli M. (il (...)) e G. (il (...)), ebbe termine attorno al dicembre 2021, in seguito alla presentazione di un ricorso con il quale l'imputato chiedeva la regolamentazione del regime di affidamento, collocamento e mantenimento dei figli, dichiarandosi disponibile a versare la somma mensile di Euro 200 in favore di ciascuno di essi. Il tribunale di Udine, con provvedimento provvisorio e urgente del 24 febbraio 2022, affidò i minori in via esclusiva alla madre e dispose, a carico del padre, il pagamento della somma di complessivi Euro 400 mensili per il loro mantenimento (oltre al 50% delle spese straordinarie, cfr. il provvedimento a fogli (...) e seguenti nel fascicolo del pubblico ministero). Ci.Um., tuttavia, nulla versò alla ex compagna. Da qui la denunzia querela sporta da Gi.Mi. in data 26 gennaio 2023 (a foglio (...) nel fascicolo del pubblico ministero). Nel corso dell'esame, Ci.Um. ha dichiarato d'essersi sempre attivato per far fronte ai propri obblighi assistenziali, e di non aver effettuato regolari pagamenti unicamente in ragione d'una contingente situazione di difficoltà finanziaria. Dopo la fine della relazione sentimentale, infatti, egli era stato allontanato da casa in seguito all'ordinanza cautelare 9.10.2021 emessa nell'ambito d'un procedimento che lo vedeva accusato di maltrattamenti e lesioni ai danni della ex convivente (cfr., su tali aspetti, la sentenza 385/2022 del g.u.p. presso il tribunale di Udine, a fogli (...) e seguenti nel fascicolo del pubblico ministero). Ciò lo aveva costretto a trovare una nuova abitazione e a farsi carico delle relative spese, le quali di fatto assorbivano l'intero importo che in quel periodo percepiva a titolo di reddito di cittadinanza. Ciononostante, il 29 novembre 2021, dunque subito dopo l'ordinanza di allontanamento, Ci.Um. aveva presentato il ricorso ex art. 337 ter del codice civile affinché fossero disciplinati i suoi obblighi assistenziali nei confronti dei minori (cfr. il relativo documento, tra quelli prodotti dalla difesa all'udienza 14.2.2024). Non solo. Egli si era anche impegnato a versare alla denunziante il complessivo importo di Euro 3.000 a titolo di risarcimento dei danni e di pregresso mantenimento della prole, con contestuale pagamento di mille Euro a titolo di acconto (cfr. la quietanza 29.11.2021 sottoscritta da Gi.Mi., tra i documenti prodotti dalla difesa all'udienza 14.2.2024). E quando riusciva a risparmiare qualche piccola somma, la consegnava alla madre, Te.Be., affinché la destinasse al mantenimento dei minori (cfr. verbale udienza 14.2.2024, teste B.). Nei fatti così ricostruiti, ad avviso del tribunale, non vi sono elementi sufficienti a un'affermazione di penale responsabilità. Come noto, ai fini della sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all'articolo 570, comma secondo, numero 2, del codice penale, per avere il soggetto attivo fatto mancare i mezzi di sostentamento alle persone indicate dalla norma, devono concorrere, oltre allo stato di effettivo bisogno della vittima, che si presume nei confronti dei minori, anche la disponibilità di risorse sufficienti da parte dell'obbligato, per cui l'impossibilità assoluta della somministrazione esclude il reato quando essa non solo non derivi da condotta colpevole dell'obbligato medesimo, ma, a maggior ragione, quando sia la conseguenza di un evento che l'imputato sia costretto a subire e che, non potendo essere impedito, sia tale da rendere inevitabile una determinata condotta, escludendone la punibilità in virtù della causa di giustificazione della forza maggiore, di cui all'articolo 45 del codice penale (Cass. sez. VI, 11.4.1990, C., relativa a un caso di dimissioni volontarie dell'obbligato; Cass. sez. VI, 16 maggio 1997, R.; Cass. sez. VI, 15 marzo 1990, Ragusa; Cass. sez. VI, 5.4.1996, C.: in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è esclusa dall'incapacità di adempiere, ogni qualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell'agente). Inoltre, l'anzidetta situazione in tanto può assumere una valenza giustificativa in quanto risulti provato che la stessa si è tradotta in uno stato di vera e propria indigenza tale da impedire qualsiasi pagamento, anche parziale, in favore degli aventi diritto, durante l'intero periodo dell'inadempienza (Cass. sez. VI, 17 febbraio 1984, C.; Cass. sez. VI, 15 marzo 1988, G.; Cass. sez. VI, 24 maggio 1984, S.), e la prova di un tanto è a carico dell'interessato (Cass. sez. VI, 11 giugno 1992, Z.; cfr., inoltre, Cass. sez. VI, 2 febbraio 2000, Mofeo, secondo cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la semplice indicazione dello stato di disoccupazione dell'obbligato non fa venire meno l'obbligo di fornire i mezzi di sussistenza alla famiglia, quando non risulti provato che le difficoltà economiche si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nella impossibilità di adempiere, sia pure in parte, alla prestazione, dovendo l'imputato, ai fini della esclusione della propria responsabilità, allegare idonei e convincenti elementi indicativi della concreta e totale impossibilità di far fronte ai propri obblighi). Nel caso in disamina, che il mancato pagamento delle somme dovute a titolo di mantenimento dei figli sia dipeso da una situazione di oggettiva incapacità di contribuzione da parte di Ci.Um. trova riscontro tanto nelle sue dichiarazioni, quanto nella deposizione di Te.Be., la quale ha sottolineato che il figlio si era sempre attivato per trovare un'occupazione che gli consentisse di far fronte ai propri obblighi, e si era sempre preoccupato che i due minori ricevessero quanto necessario se non altro per il tramite dei nonni patemi (vale a dire per il tramite dei genitori dello stesso imputato). Tant'è ch'egli non solo avevo richiesto che i suoi obblighi di mantenimento fossero definiti e formalizzati nella sede giudiziale, ma aveva anche offerto alla ex convivente, ancor prima del marzo 2022 (ossia ancor prima dei fatti oggi in contestazione), l'immediato pagamento d'una somma della quale aveva la disponibilità. Tale comportamento è tutt'altro che espressivo d'una volontà di sottrarsi agli obblighi assistenziali. Al contrario, esso rende plausibile quanto affermato da Ci.Um. in sede d'esame, ossia d'essersi sempre adoperato per far fronte alle proprie difficoltà finanziarie e per trovare un'occupazione che comunque gli consentisse d'adempiere agli obblighi assistenziali. Dunque che la mancanza di regolari somministrazioni, nel periodo in contestazione, era dovuta soltanto a situazioni contingenti e incolpevoli, tali da rendere inevitabile la condotta inadempiente. Da qui la sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato, in conformità con le concordi conclusioni d'accusa e difesa. P.Q.M. Il tribunale di Udine, in composizione monocratica, letto l'articolo 530 c.p.p. assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato. Motivazione riservata nel termine di giorni 90 ai sensi dell'articolo 544, comma terzo, c.p.p.. Così deciso in Udine il 14 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona della Dott.ssa Giulia Pussini Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 19/01/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Ru.Au. nata il (...) a A. (N.) residente in Via T. L. 3 - A. (N.) domicilio eletto presso il difensore - libera, presente - Difesa dall' avvocato di fiducia SI.Gi. del foro di Udine Br.El. nato il (...) a S. (L.) residente in Via L. 3 - P. (U.) con domicilio eletto presso lo studio del difensore avv. CE. - libero, presente - Difeso dall' avvocato di fiducia CE.Ma. del foro di Udine Br.St. nata il (...) a U. (U.) residente in Via L. 3 - P. (U.) con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. WE.Gi. - libera, presente - Difesa dall' avvocato di fiducia CE.Ma. del foro di Udine Br.Cr. nato il (...) a U. (U.) residente in Via L. 3 - P. (U.) con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. WE.Gi. - libero, presente - Difeso dall' avvocato di fiducia CE.Ma. del foro di Udine IMPUTATI Ru.Au. a) del delitto p. e p. dall'art. 648 c.p., perché, al fine di procurarsi un profitto, acquistava o comunque riceveva da Ri.Ol. e/o da Am.Da. n. 2 cinture marca G. e n. 1 flacone da 125 mi di profumo "Ma." provento di furto in abitazione consumato il 27.2.2021 a Udine ai danni di Gi.Di. e di De.Mi.. In luogo sconosciuto, tra il 27.2.2021 e il 4.3.2021. Br.El., Br.St. e Br.Cr. b) del delitto p. e p. dagli artt. 110 e 648 c.p., perché, in concorso di volontà e/o d'azione tra loro, nonché con Br.Lu. (detto "J.", all'epoca dei fatti minorenne) e altra persona allo stato non identificata, al fine di procurarsi un profitto acquistavano o ricevevano da Ri.Ol. e da Am.Da. un orologio A.P. provento di furto in abitazione consumato il 27.2.2021 a Udine ai danni di Gi.Di. e di De.Mi. (o comunque si intromettevano nel far ricevere, acquistare od occultare detto orologio da terzi non identificati). In Pradamano, in epoca successiva e prossima al 27.2.2021. Br.St. e Br.Cr. c) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. e 648 c.p., perché, in concorso di volontà e/o d'azione tra loro, mediante più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso poste in essere al fine di procurarsi un profitto, acquistavano o comunque ricevevano da persone non identificate: un generatore di corrente H.M. Co. Ltd, Mod. EG 4500, provento di furto consumato da ignoti tra il 9 e l'11.10.2018 a Torreano ai danni di Mo.Fr. e Ma.El.; - n. 1 impianto di spillatura della birra soprabanco a 2 vie, marca B. mod. Pro 20 Ya HP, nr. di serie (...), e n. 2 fusti di birra da 30 litri, provento di furto consumato da ignoti tra il 6 e il 7.6.2019 a P. ai danni delle Associazioni "U. 50" e "USD Serenissima". In luoghi sconosciuti, in epoca successiva e prossima all'11.10.2018 e in epoca successiva e prossima al 7.6.2019. Ru.Au. con la recidiva specifica. Br.El. con la recidiva specifica reiterata. Br.St. con la recidiva specifica reiterata infraquinquennale, Br.Cr. con la recidiva specifican infraquinquennale. Con l'intervento del P.M. dott.ssa S. (con delega) del difensore avv. CE. anche in sostituzione dell'avv. SI. delle costituite parti civili Gi.Di. e De.Mi. difese dall'avv. TU.Fr. FATTO E DIRITTO Con decreto di citazione emesso dal PM, Ru.Au., Br.El., Br.St. e Br.Cr. venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati rispettivamente ascritti in epigrafe. Il processo si celebrava in presenza di tutti gli imputati; si costituivano ritualmente parti civili in giudizio le persone offese Gi.Di. e De.Mi.. Dopo rinvii disposti al fine di assicurare la corretta integrazione del contraddittorio, all'udienza del 15 settembre 2023 venivano ammesse le prove richieste dalle parti. All'udienza di data 8 novembre 2023 si sentivano quali testi G. e l'operante Venuti; inoltre, su accordo delle parti si acquisivano verbali di interrogatorio e individuazioni fotografiche di Ri.Ol. e Mo.Fr.A., in luogo dell'esame degli stessi, da escutersi ex artt. 197 bis o 210 c.p.p., oltre a verbale sit e individuazione fotografica di S., annotazione dd. 5.07.2021 e c.n.r. dd. 12.05.2021, in luogo dell'esame del teste operante M.I.. All'odierna udienza rendevano dichiarazioni spontanee Br.El. e Br.St., di seguito le Parti discutevano e rappresentavano le rispettive conclusioni, udite le quali il Giudice pronunciava sentenza dando lettura di separato dispositivo, confermato all'esito dell'interlocuzione prevista ex art. 545 bis c.p.p.. Le risultanze dibattimentali consentono di ricostruire i fatti come segue. In data 27 febbraio 2021 veniva commesso un furto presso l'abitazione di G. e D.R., in occasione del quale venivano sottratti denaro, gioielli, accessori di lusso (quali dieci cinture anche di marca G., profumi, scarpe e una borsa marca C.) e tre orologi, tra cui spiccava un Audemars-Piguet modello chrono in oro rosa con cinturino in pelle e n. di serie 26022OR del valore commerciale di Euro 26.000,00 (v. denuncia, doc. PC). Le indagini consentivano di appurare che i responsabili erano tre minorenni, tra cui Am.Da., figlio convivente dell'odierna imputata R.. In data 4 marzo 2021 veniva eseguita una perquisizione domiciliare presso l'abitazione di A. all'esito della quale venivano rinvenuti beni riconducibili a quanto indicato in denuncia, pertanto posti in sequestro. L'indomani le persone offese venivano convocate per il riconoscimento dei beni e in tale contesto, in sede di integrazione di denuncia, D.R. forniva maggiori dettagli in merito al profumo, marchiato M., e alle cinture marca G., spiegando che erano due e contenute in un cofanetto. Il giorno precedente, nel corso della perquisizione, gli operanti avevano notato cinture e profumo corrispondenti alla descrizione fornita dalla persona offesa, che non avevano sequestrato poiché le informazioni inizialmente rese in denuncia risultavano insufficienti. A quel punto (capo a) tornavano presso l'abitazione di A., rinvenendo in bagno il profumo e, nell'armadio della camera da letto dell'odierna imputata R., il cofanetto contenente le due cinture. I beni venivano posti in sequestro e poi restituiti alle persone offese, previo riconoscimento (v. verbale doc. PM aff. 31). In sede di interrogatorio (v. verbale fascicolo dibattimento affi 30 e ss.), a seguito degli avvisi ex art. 64 c.p.p., R.O., uno dei minori autori del furto, riferiva che l'orologio Audemars-Piguet era stato portato al campo nomadi di via L. (capo b). Al riguardo, specificava che insieme ad A. (che si avvaleva della facoltà di non rispondere: v. verbale interrogatorio, fascicolo dibattimento) aveva deciso di provare a vendere l'orologio ai nomadi e per tale ragione aveva contattato un nomade di nome J., che conosceva da tempo perché abitava nello stesso quartiere in cui era cresciuto. Incontrato nei primi giorni della settimana successiva al furto, gli aveva chiesto se conosceva qualcuno a cui potesse interessare quell'orologio che sapeva essere di valore, e J. aveva proposto di farlo vedere a un suo parente. Quello stesso pomeriggio i tre si incontravano nel parcheggio dell'E. di Via C. e R. O. faceva vedere l'orologio al parente di J.. Si davano appuntamento l'indomani al M.D. di P.L.M. dove, alla fine delle lezioni scolastiche, R.O. (che all'epoca frequentava l'istituto "Stringher" di Via M. N.) si incontrava con D., J. e una donna di nome S., che viveva nel campo di Via L. ed era la moglie del parente di J. che aveva già incontrato. La donna guidava una Fiat Grande Punto di colore bianco e li accompagnava presso il campo di L. dove entravano nella "campina" situata immediatamente a sinistra e lì incontravano nuovamente il parente di J.. Mostrato l'orologio, pochi istanti dopo uscivano nel cortile dove venivano avvicinati da un uomo che si presentava con il nome di E.. Dopo essere rientrati nella campina arrivava un altro uomo, che parlava molto bene l'italiano e non sembrava di etnia nomade, che visionava l'orologio, lamentandosi perché pensava di dover esaminare un Rolex e non aveva con sé gli strumenti adatti per aprire l'Audemars-Piguet portato da R.O. e A.. Ciononostante, qualificava come autentico l'orologio, che A. mostrava insieme ad altri monili. A. rimetteva in un sacchetto i monili, prendeva in mano l'orologio e usciva fuori dalla campina insieme agli altri. Il soggetto che aveva valutato l'orologio si allontanava ed E. si diceva disponibile ad acquistarlo per 12.000,00 Euro, chiedendo di avere subito l'orologio e impegnandosi a pagare il dovuto quella sera. I due, nonostante la richiesta iniziale di 15.000 Euro, acconsentivano e consegnavano l'Audemars-Piguet. Quella sera A. contattava l'utenza telefonica di cui disponeva (che Rivas non conosceva) a cui rispondevano a seconda dei casi S. e il marito, ossia il parente di J., senza ottenere risposta. Si portavano presso il campo nomadi, dove trovavano solo S. con un'anziana e bambini. Dopo aver inutilmente atteso per un po' E. e il parente di J., R.O. e l'altro si allontanavano, senza tornare più al campo nomadi. R.O. forniva una descrizione dei soggetti coinvolti, all'esito della quale esaminava album fotografici (doc. PM affi 155 e ss.) ed effettuava riconoscimenti. Nello specifico, descriveva il parente di J. come non molto alto, carnagione caucasica, corporatura tozza, specificando che teneva in testa un cappellino con frontino e sembrava quasi una persona affetta da disabilità, riconoscendolo con certezza per l'odierno imputato Br.Cr.. J., descritto come non molto alto, robustino, capelli castani, occhi castani, barbetta, forse maggiorenne, veniva riconosciuto con certezza per Br.Lu., all'epoca minorenne. S., descritta come non molto alta, grassottella, capelli castani con meches bionde raccolti dietro con una pinza, veniva riconosciuta con certezza per l'odierna imputata Br.St.. E., descritto come alto, robusto, grosso, capelli castani, barba di media lunghezza, veniva riconosciuto con certezza per Br.El.. Mo.Fr.A., in sede di interrogatorio (v. verbale acquisito su accordo delle parti, aff 35 fascicolo dibattimento), riferiva di non aver preso parte alla spartizione della refurtiva, gestita da R.O. e A.. Spiegava di essere stato coinvolto nella vicenda dell'orologio perché R.O. e A. avevano chiesto un passaggio in auto al suo amico S., con cui li aveva accompagnati al campo nomadi dove intendevano vendere l'orologio A.. Nello specifico, riferiva di essersi recato al campo in due occasioni, una prima volta solo con D. e la seconda anche con R.O.. In tale ultima occasione, dall'auto, aveva visto i due parlare all'ingresso del campo con una donna e un uomo (che non sapeva riconoscere), arrivati subito dopo di loro a bordo di una Fiat Grande Punto di colore bianco. In sede di individuazione fotografica riconosceva Br.Lu. quale suo compagno di scuola che si faceva chiamare J. (v. aff. 172 e ss.). S.B., sentito a sommarie informazioni in data 17 aprile 2021 (v. verbale acquisito su accordo aff. 78), riferiva che circa un mese prima aveva accompagnato D. (che in sede di individuazione fotografica riconosceva con certezza per Am.Da., v. doc. PM aff. 81-82) e F. (che in sede di individuazione fotografica riconosceva con certezza per Mo.Fr.A. v. doc. PM aff. 81-82) al campo nomadi di via L. n. 3, tornandovi in una seconda occasione anche con D. (che in sede di individuazione fotografica riconosceva con certezza per R.O. v. doc. PM aff. 81-83). In tale occasione erano arrivate due persone a bordo di una Fiat Grande Punto di colore bianco che erano scese e dopo aver parlato brevemente con i ragazzi li avevano fatti salire, allontanandosi con loro. Venivano analizzati i tabulati telefonici relativi alle utenze n. (...) in uso a Ri.Ol., n. (...) in uso ad am.Da., n. (...) intestata ed in uso a Br.El., n. (...) intestata e in uso a Br.St. e Br.Cr., n. (...) intestata e in uso a Br.St. e Br.Cr., n. (...) in uso a Mo.Fr.A. e n. (...) intestata e in uso a S.B.. Nel periodo dal 01.02.2021 al 04.05.2021, l'utenza telefonica n. (...) intestata a Br.El. (che la indicava quale recapito telefonico nel verbale di elezione di domicilio dd. 12.05.2021), agganciava prevalentemente celle serventi la zona di residenza e non generava traffico con le utenze in uso ai minori coinvolti nel furto, né con Br.Lu.. L'utenza in uso a Br.Lu. generava traffico con l'utenza in uso a R.O. (nel periodo dal 4.02.2021 al 04.03.2021) e con l'utenza in uso a Br.St.. Tali contatti si verificavano con particolare intensità in data 1.03.2021, quando fra le ore 14:31:33 e le successive ore 15.15.46 si susseguivano una serie di brevi telefonate, della durata di pochi secondi, alternativamente con l'utenza intestata a Br.St. n. (...) (che analogamente a Br.Cr. la indicava quale proprio recapito telefonico nel verbale di elezione di domicilio dd. 12.05.2021, dovendosi ritenere un refuso la sostituzione della cifra 9 con il 7) e con quella n. (...) in uso a R.O. (che la indicava quale proprio recapito telefonico nel verbale di interrogatorio). Tali telefonate si ritenevano preparatorie al successivo incontro, collocato fra le ore 15:24:02 e la successiva mezz'ora, quando le utenze in uso a Rivas Olave David Ricardo e am.Da. agganciavano celle compatibili con il campo nomadi di P. Via L. n. 3, analogamente all'utenza in uso a Br.El. (l'utenza in uso a M., invece, agganciava celle serventi la zona del centro di Udine). Il giorno dopo, dalle 17.40 circa, le utenze in uso ai minori M. e A. agganciavano celle compatibili con il campo nomadi, analogamente a quella in uso a Br.El., mentre quella di R.O. non generava traffico. Il 3.03.2021, dalle ore 13.00 per circa mezz'ora, le utenze in uso a M. e A. agganciavano le medesime celle, mentre seguivano numerose brevi chiamate tra Br.El. e Br.St.. Da tali dati gli operanti desumevano che l'orologio fosse stato consegnato in precedenza e che nelle successive occasioni i minori si fossero recati al campo per riscuotere il corrispettivo promesso. Dal 27.02.2021 al 4.03.2021, l'utenza in uso a S. generava contatti con il solo M.. In data 12 maggio 2021 (v. cnr aff. 3 acquisita su accordo, verbale perquisizione e sequestro fascicolo dibattimento affi 16 e ss.) veniva eseguita una perquisizione domiciliare alla ricerca dell'orologio Audemars-Piguet presso il campo nomadi sito in via L. n. 3, dove vivevano più nuclei famigliari. L'orologio non veniva rinvenuto ma all'interno di un furgone adibito a ripostiglio, stipato di beni, in prevalenza giocattoli, venivano rinvenuti un generatore di corrente marca H. e un impianto di spillatura che risultavano essere provento di furti commessi rispettivamente a Torneano, tra il 9 e l'l 1 ottobre 2018, e P., tra il 6 e il 7 giugno 2019 (capo c). I beni venivano posti in sequestro e restituiti alle persone offese, previo riconoscimento. Risultava che il mezzo in questione era intestato a Br.Lu. e le relative chiavi venivano rivenute presso l'abitazione degli odierni imputati Br.St. e Br.Cr., lì residenti insieme ai figli. In sede di spontanee dichiarazioni, Br.El. riferiva che alcuni ragazzi si erano presentati a casa sua per proporre un affare che non aveva concluso perchè erano troppi e troppo giovani, pentendosi di non aver contattato subito le forze dell'ordine. Br.St. riferiva che il furgone era utilizzato quale deposito da tutti i soggetti residenti presso il campo nomadi. Alla luce delle risultanze dibattimentali risulta provata oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di Br.El., Br.St. e Br.Cr. per il reato di ricettazione ascritto sub capo b). mentre va pronunciata sentenza di assoluzione per i restanti capi, ascritti rispettivamente a R. (capo a), Br.St. e Br.Cr. (capo c). Quanto al reato di ricettazione descritto al capo a), non ne risulta provato l'elemento oggettivo, prima ancora che soggettivo. Pare dirimente evidenziare che Ru.Au. era la madre convivente di Am.Da., uno degli autori del furto in danno delle parti civili, che teneva in casa parte della refurtiva, rinvenuta già in occasione della prima perquisizione, eseguita in data 4 marzo 2021. Non vi sono elementi sufficienti per ritenere che il profumo e il cofanetto con le cinture fossero stati acquistati/ricevuti dalla R., a differenza di quelli sequestrati il giorno prima e ritenuti nella disponibilità del figlio autore del furto. In tal senso non può sorreggere una pronuncia di penale responsabilità il fatto che il cofanetto sia stato rivenuto nell'armadio della camera da letto dell'imputata, tra molte altre cose, poiché non si può escludere che l'avesse collocato lì A., che poteva accedere, liberamente a tale stanza, così come al bagno dove è stato rinvenuto il profumo. In tale contesto non può ritenersi provato che l'imputata abbia ricevuto o acquistato beni di provenienza delittuosa. Le prove raccolte non consentono di ritenersi provata con il necessario grado di certezza processuale la disponibilità dei beni indicati sub capo c) a carico di Br.St. e Br.Cr.. Infatti, tali beni erano il provento di furti commessi tempo prima e sono stati rinvenuti all'interno di un furgone adibito a ricovero che è possibile fosse utilizzato anche dagli altri residenti del campo nomadi di via L.. Il rinvenimento delle chiavi del mezzo in questione presso l'abitazione degli odierni imputati non consente di provare che con la necessaria certezza che i due avessero acquistato/ricevuto il generatore di corrente e rimpianto di spillatura. A diverse conclusioni può giungersi con riferimento alla ricettazione dell'orologio Audemars-Piguet descritta al capo b), per il quale risulta pienamente provata la penale responsabilità di Br.El., Br.St. e Br.Cr.. In tal senso depongono le dichiarazioni rese da R.O., soggette alla regola di valutazione sancita dall'art. 192 comma 3 c.p.p.. Secondo la consolidata giurisprudenza, ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità il giudice è tenuto a seguire un preciso ordine logico: a) in primo luogo, deve affrontare e risolvere il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l'altro, ai suoi rapporti con il chiamato in correità, nonché alla genesi, prossima e remota, delle ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all'accusa dei coautori e dei complici; b) in secondo luogo, deve verificare l'intrinseca consistenza e le caratteristiche delle sue dichiarazioni, alla luce di criteri quali quelli, ad es., della precisione, della coerenza, della costanza e della spontaneità; c) infine, egli deve procedere all'esame dei riscontri cosiddetti esterni (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 16939 del 20/12/2011 Ud. (dep. 07/05/2012 )Rv. 252630-01). In applicazione dei citati principi giurisprudenziali, va innanzitutto evidenziato che R.O. ha da subito menzionato il campo nomadi di via L. n. 3 (cfr. verbale di interrogatorio, da cui si evince che ne avesse già parlato in precedenza, a spontanee dichiarazioni in data 04.03.2021 e in altro interrogatorio) e che non emergono ragioni di malanimo che possano spiegare una finalità calunniatoria ai danni degli odierni imputati, riconosciuti con certezza dopo una coerente descrizione. Inoltre, le dichiarazioni rese nell'interrogatorio acquisito consensualmente, concretizzatesi in un racconto lineare e spontaneo, risultano precise e particolareggiate, pertanto pienamente credibili. Sussistono i riscontri richiesti ex art. 192 comma 3 c.p.p., atteso che le dichiarazioni rese da R.O. trovano conforto non solo in quanto riferito da M. (parimenti da riscontrare, trattandosi di uno dei minori coinvolti nel furto insieme a R.O. e A.) e S., estraneo alla vicenda, che hanno confermato la presenza di R.O. e Am.Da. presso il campo nomadi di via L. n. 3 in vista della vendita dell'orologio, avendo anche assistito, da lontano, all'incontro con una donna e un uomo che disponevano di una F.G.P.B.. Infatti, importante riscontro alla chiamata di correo è fornito dai tabulati telefonici, che attestano contatti tenuti da Br.Lu., detto J., da un lato con R.O. e dall'altro con Br.St. e Br.Cr., che disponevano dell'utenza a sua volta in contatto con quella di Br.El.. Va precisato che non vi è alcun dubbio in merito alla effettiva disponibilità delle utenze telefoniche in questione in capo ai soggetti coinvolti, che non ne sono meri intestatari, tant'è che le hanno indicate quali recapiti telefonici in sede di identificazione. Inoltre, forniscono riscontro a quanto dichiarato da R.O. le stesse dichiarazioni dell'odierno imputato Br.El., che ha confermato di essere la persona a cui i ragazzi avevano proposto l'affare. Non risulta credibile quanto riferito dall'imputato, che a suo dire avrebbe rifiutato l'acquisto perché insospettito dalla giovane età e dal numero dei soggetti coinvolti. Invero, pare ben più plausibile che le cose siano andate come descritte da R.O., con gli odierni imputati che si sono approfittati dell'inesperienza dei minori, impegnati a piazzare un orologio di rilevante valore senza sapere come muoversi. Pare quantomai plausibile che i due ragazzi siano stati condizionati anche dall'ambiente in cui si trovavano, ossia un campo nomadi, dove avevano a che fare con soggetti adulti non nuovi alla gestione di simili situazioni, tanto da aver convocato un "tecnico" per valutare la merce. In tale contesto pare plausibile che abbiano deciso di sottostare alla richiesta di B., consegnando subito l'orologio e accettando di venire pagati quella stessa sera, facendo più volte ritorno nella speranza di ottenere quanto promesso, come confermano i tabulati, da cui risulta il ritorno in loco di M. e A., con le brevi telefonate tra Br.St. e Br.El.. Il mancato rinvenimento del bene alla perquisizione eseguita in data 12 maggio 2021 non assume rilievo, atteso il considerevole lasso di tempo trascorso dalla consegna, avvenuta il primo marzo, e la facilità con cui un orologio può essere occultato o ceduto. Pertanto deve ritenersi provata con il necessario grado di certezza processuale la ricezione del bene in capo a Br.El., ottenuta grazie all'attivo contributo di Br.Lu., Br.Cr. e Br.St., peraltro tutti presenti alla consegna. I tre hanno agevolato la commissione del reato (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 43569 del 21/06/2019 Ud. (dep. 24/10/2019 ) Rv. 276990 - 01: "Per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato"), dovendo risponderne ex art. 110 c.p.. Nello specifico, Br.Lu., detto J., ha messo in contatto R.O. con la coppia Br.Cr./Br.St., Br.Cr. ha visionato l'orologio in occasione del primo incontro e Br.St., moglie di quest'ultimo, ha accompagnato i ragazzi al campo nomadi. L'utenza in uso ai due, poi, teneva i contatti con quella in uso a Br.El., che materialmente ha ricevuto l'orologio da R.O.. Le modalità di compimento del fatto e le caratteristiche del bene non consentono dubbio alcuno in merito alla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo. Va evidenziato, al riguardo, che ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che la stessa si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto. Tale consapevolezza può anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto (Cass. Sez. 2, n. 25756 del 11/06/2008 - dep. 25/06/2008, N., Rv. 241458). Come è noto, la giurisprudenza si è consolidata nel senso di ritenere che il reato di ricettazione sia integrato anche in caso di dolo eventuale "che riguarda, oltre alla verificazione dell'evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell'esistenza del presupposto stesso e nell'accettazione dell'eventualità di tale esistenza" (Cass. Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009 - dep. 30/03/2010, N., Rv. 246323). In relazione a tale delitto, il dolo nella forma eventuale ricorre quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l'ipotesi contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25439 del 21/04/2017 Ud. (dep. 22/05/2017 ) Rv. 270179 - 01). Nel caso di specie, per le concrete circostanze di fatto deve ritenersi provato l'elemento psicologico del dolo in capo a tutti soggetti coinvolti, con ogni evidenza consapevoli della provenienza delittuosa del prezioso orologio, svenduto dai due minori. Pare innegabile, poi, il fine di profitto. Per tutto quanto detto deve pronunciarsi sentenza di penale responsabilità quanto al capo b). Il valore economico dell'orologio ricettato impedisce il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 648 comma 2 c.p. (in tema si veda Cass. Sez. 2, n. 51818 del 06/12/2013 - dep. 30/12/2013, B., Rv. 258118). Al fine di valorizzare l'atteggiamento processuale collaborativo si riconoscono in favore degli imputati le circostanze attenuanti generiche, che possono operare in regime di equivalenza alla recidiva aggravata rispettivamente contestata. La recidiva rispettivamente contestata è applicabile nei confronti dei tre imputati, che hanno dimostrato accresciuta capacità criminosa, perseverando nel delinquere nonostante le precedenti condanne risultanti da casellario, dimostrandone così l'inefficacia dissuasiva. Nello specifico, a carico di Br.Cr. deve applicarsi la contestata recidiva ex art. 99 comma 2 c.p. in ragione delle recente condanna per furto, mentre a carico di Br.St. risultano tre condanne per reati contro il patrimonio che giustificano l'applicazione della recidiva ex art. 99 comma 4 c.p. Analogamente deve dirsi quanto a Br.El., gravato da plurime condanne per delitti, anche specifiche. In ragione dei precedenti, dell'elevato valore economico del bene e per le modalità della condotta, si impone l'irrogazione di una pena non strettamente contenuta nei minimi edittali. Ciò detto, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., si stima congrua una pena finale pari ad anni 2 mesi 6 di reclusione ed Euro 700,00 di multa ciascuno determinata ex art. 648 comma 1 c.p., previo riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 bis c.p. equivalenti alla recidiva rispettivamente contestata ex art. 99 c.p.. Alla pronuncia di penale responsabilità segue, di diritto, la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. Su richiesta delle parti civili, all'accertamento della penale responsabilità degli imputati consegue la condanna degli stessi, in solido, al risarcimento del danno, che si liquida forfettariamente e complessivamente in Euro 30.000,00, tenuto conto del valore del bene e del danno non patrimoniale. In favore delle parti civili compete anche la rifusione delle spese sostenute per la costituzione e la difesa in giudizio, che si liquidano come da seguente dispositivo, poste in solido a carico degli imputati tenuto conto dell'assistenza prestata da unico difensore e della comunanza delle posizioni processuali (Cass. Sez. 4 - , Sentenza n. 25532 del 16/01/2019 Ud. (dep. 10/06/2019 ) Rv. 276339 - 03). Atteso che il casellario non consente il riconoscimento del benefìcio della sospensione condizionale della pena, successivamente alla lettura del dispositivo di condanna veniva reso l'avviso ex art. 545 bis c.p.p.. in relazione al quale il difensore rappresentava di non disporre di procura speciale per B. e Br.El., mentre l'imputata Br.St. si riservava la richiesta dell'affidamento in prova. Pertanto, si dava conferma del dispositivo già letto. Motivazione riservata in giorni 90 ex art. 544, comma 3 c.p.p.. P.Q.M. Il Tribunale, Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. DICHIARA Br.El., Br.St. e Br.Cr. colpevoli del reato ascritto sub b), riconosciute le circostanze attenuanti generiche in equivalenza alla recidiva rispettivamente contestata, li CONDANNA alla pena di anni 2 mesi 6 di reclusione ed Euro 700,00 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali; Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p. CONDANNA Gli imputati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dalle parti civili costituite Gi.Di. e De.Mi. che liquida forfettariamente e complessivamente in Euro 30.000,00 e CONDANNA altresì gli imputati in solido tra loro alla rifusione in favore delle parti civili delle spese di costituzione e difesa in giudizio che liquida in Euro 2.800,00, oltre accessori di legge, Visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE Ru.Au. dal reato ascritto perché il fatto non sussiste e Br.St. e Br.Cr. dal reato sub c) per non aver commesso il fatto; Letto l'art. 544, comma 3, c.p.p. ASSEGNA il termine di giorni 90 per il deposito della sentenza Così deciso in Udine il 19 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 12/02/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: To.Fr. nato il (...) in A., residente in Via D. S. 10-75173 P. (G.) domicilio determinato ex lege per le notificazioni presso il difensore - libero, assente - Difeso dall' avvocato d'ufficio CE.Ma. del foro di Udine IMPUTATO In ordine al reato di cui agli artt. 570 c. 1 e 570 c. 2 n. 2 c.p., perché, con più atti in esecuzione del medesimo disegno criminoso, in data 20.06.2019 abbandonando, senza alcun giustificato motivo, il domicilio domestico sito in U., Via M. L. n. 60, ove conviveva con la coniuge To.An. e la figlia minore d'età To.Ma. (nata il (...)), si sottraeva agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale e alla qualità di coniuge nonché, omettendo di versare ovvero versando parzialmente la somma complessiva mensile da corrispondere alla coniuge a titolo di mantenimento della medesima e della citata figlia minore d'età, oltre alle le spese straordinarie poste a suo carico nella misura del 50%, come stabilito nell'ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale di Udine in data 17.05.2021, nell'ambito del procedimento n. 923/2021 RG per lo scioglimento del matrimonio, faceva mancare i mezzi di sussistenza alla citata coniuge e alla citata figlia. In Udine, nelle date suindicate e con permanenza in atto. con l'intervento del P.M. dott. SP. (delegato) dell'avv. BI.El. per la costituita parte civile To.An. difesa del difensore CE.Ma. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica. All'udienza dibattimentale di data 18 dicembre 2023 preliminarmente la persona offesa si costituiva parte civile per chiedere il risarcimento dei danni da reato; indi veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova: con il consenso delle parti venivano acquisiti gli atti elencati nel separato verbale di udienza. Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, all'udienza odierna le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per i reati di rubrica. In sede di denuncia-querela (dichiarata utilizzabile ai fini della decisione con il consenso delle parti) To.An. aveva premesso di essersi sposata in Albania con l'odierno imputato, in data 1 giugno 2006; i due coniugi, entrambi di nazionalità albanese, si erano in seguito trasferiti in Italia, dove era nata la figlia M.T. (nata a U. il (...)) e dove il matrimonio era stato iscritto (presso il Comune di Pasian di Prato). La T. aveva aggiunto che, dopo il trasferimento in Italia, aveva lavorato per provvedere al mantenimento del nucleo familiare; l'imputato aveva subito due infortuni sul lavoro, nel 2009 e 2010, in conseguenza dei quali era stato indennizzato per complessivi Euro 80.000,00, ottenendo anche una pensione di invalidità pari a 249,00 al mese. A partire dal gennaio 2017 l'imputato aveva cessato di contribuire al sostentamento della famiglia nonostante all'epoca fosse dipendente di una Cooperativa portuale di Trieste; lo stesso aveva autorizzato la moglie, con apposita delega, ad utilizzare la predetta pensione d'invalidità per far fronte alle spese del nucleo familiare. Nel 2018 era stato diagnosticato un tumore alla T.:. erano seguiti due interventi chirurgici (11 maggio 2018 e 6 ottobre 2020); in quel periodo la donna era stata assistita dai genitori, in quanto priva della presenza e del supporto del marito. In data 20 giugno 2019 l'imputato aveva abbandonato definitivamente il domicilio familiare (fatta eccezione per alcune sporadiche visite alla figlia). La T., previa ammissione al patrocinio a spese dello Stato, aveva presentato ricorso per lo scioglimento del matrimonio presso il Tribunale di Udine in data 15 marzo 2021 (l'imputato non si presentava rendendo non possibile il tentativo di conciliazione); nel provvedimento provvisorio il Presidente aveva disposto l'affido esclusivo rafforzato della minore alla madre; il versamento da parte dell'imputato della somma di Euro 300,00 al mese, quale contributo al mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese straordinarie; il versamento della somma di Euro 250,00 al mese a titolo di mantenimento della coniuge. Nonostante il provvedimento fosse stato notificato all'imputato, questi non aveva versato alcunché per il mantenimento della figlia e della moglie; la teste, in sede di sit (verbale del pari acquisito con il consenso delle parti) aveva aggiunto di avere sempre comunicato all'odierno imputato l'ammontare delle spese straordinarie, o tramite messaggi "whatsapp" o al telefono, senza ottenere la quota di sua spettanza. In sede di sit la teste aveva aggiunto che il Tribunale di Udine, in data 3 gennaio 2022, aveva dichiarato lo scioglimento del matrimonio ed aveva lasciato inalterate le cifre per il mantenimento, suo e della figlia. A partire dal mese di agosto 2021, a causa della irreperibilità del T., certificata dall'Ufficio Anagrafe del Comune di Pasian di Prato, in data 30 ottobre 2019, l'INAIL aveva interrotto i versamenti della pensione di invalidità a partire dal mese di agosto 2021 (si trattava dell'unico supporto che il marito garantiva alla famiglia). La denunciante aveva aggiunto di svolgere mansioni di addetta alle pulizie ed assistenza agli anziani, percependo un reddito mensile mai superiore ad Euro 700,00; viveva in locazione unitamente alla figlia in un appartamento, il cui canone mensile era pari ad Euro 400,00. In sede di sit la T. aveva spiegato di essere operaia presso la cooperativa "L.S." con uno stipendio mensile di Euro 350,00, oltre a svolgere lavori occasionali, per acquistare beni di prima necessità. La figlia M. era studentessa, e frequentava la scuola media di Pasian di Prato; la ragazza voleva bene al padre ma ultimamente non aveva voglia di parlare con lui, avendo scoperto che lo stesso aveva una nuova relazione; la presenza dell'imputato con la figlia era stata sporadica e saltuaria, non si interessava alla salute e alla scuola di sua figlia. V.G., sentita in sede di sit (verbale acquisito con il consenso delle parti) aveva riferito di avere accudito diverse volte M., quando la T. era in ospedale per un intervento chirurgico; nel decorso post operatorio aveva ospitato A. e M. a casa, per circa due settimane; aveva prestato alla T. denaro, in quanto era in difficoltà nel pagare le utenze domestiche e il canone di locazione. Anche quanto la T. aveva dovuto rientrare in A. nel marzo 2022, per vedere il padre malato, le aveva prestato del denaro; aveva aggiunto che la donna le aveva restituito tutte le somme di denaro che le aveva dato. Aveva spiegato che con l'imputato si erano interrotti i rapporti quando l'uomo, nel luglio 2020, le aveva comunicato che sarebbe rientrato in Germania. Dalla annotazione di polizia giudiziaria del 19 maggio 2022, acquisita con il consenso delle parti, è emerso che dalla analisi della banca dati "Punto Fisco" era emerso che l'imputato, per l'anno di imposta 2016 aveva percepito redditi per Euro 8.066,00; per l'anno di imposta 2017 aveva percepito redditi per Euro 9.510,00; per l'anno di imposta 2018 aveva percepito redditi per Euro 19.876,41; per il 2019 aveva percepito redditi per Euro 16.010,76; per il 2020 aveva percepito redditi per Euro 13.345,12. Nel 2016 e 2017 era risultato dipendente di Euro e P. e S., con mansioni di "operaio pulizie". Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve premettere che il T. è stato citato a giudizio dinnanzi a questo Tribunale per rispondere del delitto di cui all'art.570 comma 1 c.p. (per avere abbandonato il domicilio domestico senza alcun giustificato motivo) e del delitto di cui all'art.570 comma 2 c.p. (per avere omesso di versare o per avere versato parzialmente la somma complessiva mensile a titolo di contributo al mantenimento della figlia minore e della coniuge). Come noto, il reato di cui all'art.570 comma 1 c.p. è perseguibile a querela di parte; quello di cui all'art,.570 comma 2 è procedibile d'ufficio, se commesso a danno di minori. Nel caso di specie, con riferimento alla contestazione di cui all'art.570 comma 1 c.p. e quella di cui al comma 2, riferito come commesso ai danni della coniuge, va detto che la persona offesa To.An. ha proposto valida querela. Fatta questa premessa, quanto al delitto di cui all'art.570, comma 2, c.p. si osserva quanto segue. Si devono ritenere sussistenti nel caso di specie tutti gli elementi della fattispecie ovvero l'omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, lo stato di bisogno del soggetto passivo e la capacità economica dell'obbligato. Quanto alla condotta di carattere omissivo dell'imputato, quanto dichiarato dalla persona offesa in sede di querela e in sede di sit è risultato credibile; sul punto si deve osservare che la ricostruzione dei fatti esposta dalla T. ha trovato riscontro nella documentazione in atti e nel corso dell'istruttoria, in cui l'imputato è rimasto assente, non sono emersi elementi di segno contrario, in grado, anche solo in parte, di portare a ricostruzioni alternative rispetto a quelle esposte dalla persona offesa. In sintesi, la T. aveva riferito che: da gennaio 2017 l'imputato, nonostante fosse dipendente di una cooperativa portuale di Trieste, aveva smesso di contribuire al mantenimento della sua famiglia, autorizzando la persona offesa solo ad usufruire della sua pensione di invalidità (Euro 249,00 al mese); nel giugno 2019 l'imputato aveva abbandonato il domicilio domestico; non aveva mai versato quanto dovuto e a lui imposto dal Tribunale di Udine. Da agosto 2021 anche la pensione di invalidità era stata sospesa dall'INAIL, per irreperibilità dell'imputato. Con riferimento al tema dello "stato di bisogno", come noto il delitto di cui all'art.570 comma 2 c.p. "presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l'omessa assistenza deve avere l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l'obbligo di mantenimento né con quello alimentare, aventi una portata più ampia" (Cass.Pen., Sez.U., 23866 del 31.1.2013). Sul tema dello stato di bisogno della minore, ci si richiama ai principi elaborati dalla Suprema Corte: "lo stato di bisogno di un minore, il quale, appunto perchè tale, non è in grado di procacciarsi un reddito proprio, è un dato dì fatto incontestabile per cui entrambi i genitori sono tenuti a provvedere per ovviarvi", Cass.Sez.VI, 85/169513); "In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno e l'obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando questi siano assistiti economicamente da altri, anche in relazione alla percezione di eventuali cespiti reddituali relativi ad elargizioni a carico della pubblica assistenza" (in applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano configurato il reato nella arbitraria riduzione da parte del genitore dell'assegno per il mantenimento del figlio minore portatore di handicap stabilito in sede di separazione dei coniugi, ritenendo non sufficienti, ad elidere lo stato di bisogno la percezione da parte del minore di una modesta pensione di invalidità e la circostanza che fosse assistito economicamente dal genitore affidatario, che svolgeva attività lavorativa), Cass. 15.1.04, n.715. Si tratta del resto di principio in linea con il pacifico orientamento secondo cui la sussistenza dello stato di bisogno deve essere accertata nei rapporti tra la persona che deve essere assistita ed il soggetto obbligato, di talché il reato non è escluso dal fatto che altri, coobbligati o obbligati in solido, a addirittura non obbligato, come gli enti assistenziali, si sostituiscano all'inerzia dell'obbligato (tale sostituzione sarebbe al contrario prova dello stato di bisogno). Con riferimento alla posizione della T., dall'istruttoria è emerso che la stessa è dipendente di una cooperativa, e percepisce un reddito modesto (6 350,00), oltre a svolgere altri lavori occasionali; senza dubbio le entrate della denunciante non rendono possibile affrontare le spese di mantenimento del nucleo familiare, composto oltre che da lei anche da una minore, dovendosi quindi ritenere sussistente uno stato di bisogno - sul quale aveva influito evidentemente anche lo stato di salute della donna, che aveva dovuto affrontare un tumore - che la condotta omissiva dell'imputato, concretizzatasi nel mancato versamento mensile della somma di Euro 550,00 a lui imposta dal Tribunale di Udine, non ha consentito di superare. Quanto al tema della possibilità di adempiere da parte dell'imputato, come noto, secondo i pacifici arresti della giurisprudenza di legittimità, l'incapacità economica dell'obbligato rileva solo quando questi si trova in una situazione di incolpevole indisponibilità economica di entrate sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita dei soggetti passivi, che deve estendersi a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze; ai fini della scriminante incombe sull'interessato l'onere di allegazione di idonei e convincenti elementi indicativi della concreta impossibilità di adempiere Cass.90/187513, Cass. 2.2.2000). Ebbene, nel caso di specie non è stata fornita alcuna allegazione atta a dimostrare la sussistenza di un incolpevole stato di incapacità economica dell'imputato, riferito a tutto il periodo in contestazione. Se dalle informazioni rese dalla T. in sede di denuncia è emerso che l'imputato aveva subito un infortunio sul lavoro, nel 2009 e nel 2010, va detto che la circostanza che il T. risultasse essere stato assunto, quale operaio addetto alle pulizie, sia nel 2016 che nel 2017, appare dato in grado di confermare che lo stesso, nonostante gli infortuni (tema che non è stato possibile approfondire in dibattimento) era comunque rimasto abile al lavoro. Ma nonostante ciò, da gennaio 2017 non risulta avere più contribuito alle necessità del suo nucleo familiare, tranne consentendo alla T. di usufruire della modesta pensione di invalidità, di per sé non certo sufficiente a superare le difficoltà del nucleo familiare. Dal dibattimento è del resto, emerso che l'imputato era emigrato in Germania, rendendosi di fatto irreperibile (vedi verbale di vane ricerche in atti); ciò peraltro aveva portato alla interruzione, da parte dell'INAIL, della erogazione della (modesta) pensione di invalidità, di cui poteva godere la persona offesa e tale circostanza era legata, quindi, ad un comportamento volontario dell'imputato. Non rileva il fatto che l'obbligato, dopo l'abbandono della famiglia legittima, abbia costituito un nuovo nucleo familiare, perché la prestazione dei mezzi di sussistenza alla famiglia legittima è un obbligo primario del coniuge (sul punto, vedi Cass. 7 aprile 1981, M., in Cass.Pen. 1982, 1333). Quanto alla contestazione di cui all'art.570 comma 1 c.p., dal dibattimento è emerso che l'imputato nel giugno 2019 aveva lasciato la casa e da allora aveva avuto contatti sporadici con la figlia minore. Sul punto, la persona offesa, in sede di sit, aveva riferito che il rapporto si era deteriorato perché il T. aveva relazioni extraconiugali e spendeva quanto guadagnava per il gioco d'azzardo, facendo nascere litigi che lo avevano portato ad allontanarsi da casa. Va detto che l'abbandono del domicilio domestico da parte dell'imputato non è apparso giustificato: al suo allontanamento non era seguita la proposizione della domanda di scioglimento di matrimonio; l'abbandono non era avvenuto di comune accordo; non era dovuto a ragioni di carattere interpersonale che non consentivano la prosecuzione della vita in comune. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell' imputato in ordine ai reati di rubrica; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non essendo emerso alcun elemento favorevole, unificati i reati contestati nel vincolo della continuazione ("la condotta di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare non configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale, o ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro", Cass.Pen., Sez.VI, 29926 del 27 aprile 2022); ("la condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale nei confronti dei figli minori e quella di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, previste, rispettivamente, nel primo e secondo comma dell'art. 570 c.p., non sono in rapporto di continenza oprogressione criminosa, ma hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità e considerazione sociale", Cass.Pen., Sez.IV, 3881/2011; nello stesso senso Cass.Pen., Sez.VI, 12307 del 13.3.2012), è da ritenersi pena congrua quella di mesi tre di reclusione ed Euro 300,00 di multa, così determinata, pena base, per il delitto di cui all'art.570 comma 2 c.p. contestato come commesso ai danni della minore, mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa, aumentata ex art.81 cpv. c.p. alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 300,00 di multa. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che l'assenza di precedenti penali a carico induce a ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. L'imputato dovrà essere condannato a risarcire i danni subiti dalla parte civile costituita, da liquidarsi dinnanzi al giudice civile competente, oltre al pagamento delle spese processuali, in favore della predetta parte civile, da versare allo Stato ai sensi dell'art. 110 co.3 D.P.R. n. 115 del 2002 in quanto ammessa al patrocinio a spese dello Stato, che appare congruo liquidare in Euro 900,00, olte a IVA, CPA e spese generali come per legge. Appare congrua l'assegnazione del termine di 45 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica letti gli artt.533 e 535 c.p.p. dichiara To.Fr. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Condanna l'imputato a risarcire i danni subiti dalla parte civile costituita, da liquidarsi dinnanzi al giudice civile competente, oltre al pagamento delle spese processuali in favore della predetta parte civile - da versare allo Stato ai sensi dell'art. 110 co. 3 D.P.R. n. 110 del 2002 - che si liquidano in complessivi e 900,00, oltre a IVA, CPA e spese generali come per legge. Motivazione in gg. 45. Così deciso in Udine il 12 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 15/01/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Fu.An. nato il (...) a N. (N.) residente in Via G. 49 - D. (F.), con dom.ivi dich.to - libero, presente - Difeso dall' avvocato di fiducia MU.Ma. del foro di Udine IMPUTATO Del reato p. e p. dall'art. 570 comma 1 e 2 nr. 2 c.p., per essersi sottratto agli obblighi di assistenza inerenti alla potesàa di genitore nei confronti dei tre figli minori Sa. (nata (...)), Gi.An. (nato il (...)) e Sa. (nata il (...)), nonché per avere fatto mancare alla stessa i mezzi di sussistenza. In particolare: in merito agli obblighi di assistenza inerenti la potestà genitoriale - Dal gennaio 2018 non provvedeva a vedere i figli non partecipando e non interessandosi alle vicende e alla vita degli stessi; in merito al contributo economico disposto dal Tribunale di Udine con provvedimento emesso in data 04.1 1.2013, che disponeva la corresponsione mensile, in favore dei figli minori, della somma di Euro. 675,00 oltre al 50% delle spese straordinarie: - Dal gennaio 2018 interrompeva i pagamenti corrispondendo solamente una tantum qualche somma di denaro direttamente ai figli. In Gonars, tra 2018 e 2021 Con l'intervento del P.M. dott.ssa MA. (con delega) del difensore MU.Ma. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione emesso dal Gip in seguito ad opposizione a decreto penale di condanna, l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica. All'udienza dibattimentale di data 11 dicembre 2023, revocato il decreto penale di condanna opposto, veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova: il Pm chiedeva di essere ammesso a provare i fatti di causa mediante l'esame dei testi indicati in lista ed esame imputato, la difesa chiedeva l'esame dell'imputato e l'esame dei testi di lista. Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell'art. 495 c.p.p., all'udienza di data 15 gennaio 2014 si procedeva all'esame di Co.Ma.; con il consenso delle parti veniva acquisita l'annotazione di Sa. del 9.3.2022; si procedeva all'esame del teste Sa.. Si procedeva all'esame dell'imputato e all'esame del teste della difesa P.A.. Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per il reato di rubrica, limitatamente, quanto alle condotte contestate come commesse ai danni di Sa.Fu., al periodo sino al 21 giugno 2018, per i motivi ampiamente illustrati. Al fine di inquadrare correttamente la vicenda oggetto del presente procedimento si deve premettere che dalla documentazione acquisita agli atti del fascicolo processuale è emerso che la persona offesa Co.Ma. si era unita in matrimonio con l'odierno imputato Fu.An. in data 22 ottobre 2000; dall'unione erano nati tre figli (Fu.Sa., nata il (...); Fu.An., nato il (...) e Fu.Sa. nata il (...)). Nel novembre 2013 le parti avevano depositato un ricorso congiunto per separazione consensuale; negli accordi di separazione, le parti avevano previsto che la casa coniugale sita a G., di proprietà di entrambi i coniugi, venisse assegnata alla C., con l'impegno del F. di trasferire la residenza altrove, entro tre mesi dalla comparizione alla udienza di separazione. L'imputato si era impegnato a trasferire alla C. la sua quota di proprietà (pari alla metà) della casa coniugale e pertinenze; il valore di cessione del 50% della casa coniugale sarebbe stato determinato con riferimento al valore residuo del mutuo, che la C. si sarebbe accollata. L'imputato si era inoltre impegnato a corrispondere alla C., entro il giorno 15 di ogni mese, la somma di Euro 675,00 (Euro 225,00 per ciascun figlio) a titolo di contributo al mantenimento dei figli, oltre a contribuire al 50% delle spese straordinarie dei tre figli. Con riferimento al diritto di visita dell'imputato nei confronti dei figli, affidati ad entrambi ma collocati presso la madre, negli accordi di separazione era stato previsto che F. avrebbe potuto visitare e tenere con sé i figli liberamente, previo accordo con la C.; in caso di disaccordo tre le parti, il F. avrebbe potuto tenere con sé i figli due fine settimana alternativi al mese, dalle ore 13.00 del sabato mattina alle ore 20.00 della domenica; i figli sarebbero stati con il padre un pomeriggio alla settimana, dalle ore 15 alle ore 18. L'accordo di separazione era stato omologato dal Tribunale di Udine in data 10 marzo 2014. Fatta questa premessa, va evidenziato che in dibattimento si è proceduto all'esame della persona offesa Co.Ma.; la teste ha riferito che F. aveva versato regolarmente quanto dovuto a titolo di contributo dei figli, a partire dalla separazione sino al mese di luglio 2017. L'imputato aveva in seguito versato cifre inferiori; dagli inizi del 2018 non aveva più versato alcunché a titolo di contributo al mantenimento ordinario, tranne alcune modeste cifre (dell'importo complessivo di Euro 500,00 versate direttamente ai ragazzi). La teste ha riferito di non avere mai chiesto né quantificato le spese straordinarie. La teste ha spiegato che F. le aveva riferito di avere perso il lavoro nel 2018 (era assunto come dipendente, con mansioni di gruista, per la R.D.E.); l'imputato, che si era trasferito dapprima a Trieste, poi a Pescara e infine a Firenze, si era quindi creato un nuovo nucleo familiare (aveva avuto un primo figlio, con un'altra compagna, già nel 2010, quando lui e la C. stavano ancora insieme), era in seguito nata una bambina. La teste ha riferito che il F. aveva gradualmente perso i contatti con i figli, da quando si era trasferito; li aveva sentiti in alcune sporadiche occasioni al telefono. La teste ha spiegato che attualmente paga interamente il mutuo della casa; non vi era stato il trasferimento, da parte dell'imputato, della quota della casa in suo favore perché lei non era stata in grado di accollarsi interamente il mutuo, avendo una busta paga troppo bassa. La teste ha spiegato di essere dipendente, a tempo indeterminato, di una cooperativa di pulizie. La C. ha spiegato che la figlia maggiore Sa. si è da poco trasferita in altra abitazione; suo figlio G., da poco maggiorenne, frequenta la quinta superiore, al M.; Sa. ha una disabilità psicofisica e frequenta, durante il giorno, un apposito centro per il sostegno delle disabilità; sul punto, la teste ha spiegato di percepire un sostegno economico per l'assistenza alla predetta minore. Con il consenso delle parti è stata acquisita l'annotazione di polizia giudiziaria redatta dall'ispettore Sa. in data 9 marzo 2022; nella citata annotazione era stato indicato che al momento dell'accertamento il F. era risultato dipendente della ditta "T. srl" del G.R.D.E.; come spiegato dal teste S., dall'esame della banca dati "Punto Fisco" era emerso che F. nell'anno 1020 aveva percepito redditi per Euro 28.037; per l'anno 2021 aveva percepito redditi per Euro 30.554. Con riferimento ai redditi percepiti dall'odierno imputato, si deve per completezza osservare che dalla documentazione versata in atti dalla difesa e in particolare dai modelli 730 è emerso che F., nel periodo di imposta 2018, aveva percepito redditi di lavoro dipendente per Euro 24.629,00; nel periodo di imposta 2019 aveva percepito redditi per Euro 26.402; nel periodo di imposta 2020 aveva percepito redditi per Euro 24.022,00. Dalla predetta documentazione è emerso che l'imputato era stato messo in cassa integrazione dalla R.D.E. dal 7 gennaio 2015 al 31 luglio 2015.. Nel periodo di imposta 2016 aveva percepito redditi per 12.063; nel periodo di imposta 2017 aveva percepito redditi per Euro 10.852. L'imputato, in sede di esame, ha riferito di avere perso il lavoro nel 2015; nel 2018 era stato chiamato dalla R.D.E., ed aveva iniziato a lavorare per periodi alternati di tre mesi, intervallati da tre mesi di disoccupazione; alla fine, sempre nel 2018, era stato assunto a tempo indeterminato da T., del gruppo R.D.E., con uno stipendio di circa Euro 1.700 al mese. L'imputato ha riferito che nel 2016 si era trasferito a Pescara; in seguito, nel 2020 si era recato in Africa, dove era rimasto nel periodo "covid"; successivamente si era trasferito in Toscana con la sua attuale compagna, con cui aveva iniziato la relazione nel 2010 e con cui aveva avuto due figli. L'imputato ha ammesso che dal 2018 non aveva più versato quanto dovuto alla C., per il mantenimento dei suoi figli, a causa di problemi economici; anche quando aveva trovato il nuovo lavoro, aveva dovuto affrontare altre spese (doveva pagare l'affitto, mantenere la sua nuova famiglia e pagare dei debiti pregressi); l'imputato ha spiegato che dal 2018 aveva versato del denaro direttamente ai suoi figli. L'imputato ha aggiunto che da quando si era trasferito, sia per problemi di lavoro che per questioni legate alla sua situazione economica, non aveva visto i suoi figli, che aveva sentito al telefono in alcune occasioni. P.A., sentita in dibattimento, ha premesso di avere una relazione con F. dal 2010; dalla relazione erano nati due figli, uno il 17 febbraio 2010 e la seconda il 16 agosto 2013. La teste ha spiegato di essere portatrice di una invalidità e per tale motivo di essere in difficoltà nel reperire una occupazione; il nucleo familiare viene pertanto sostenuto economicamente dal F.. La teste ha spiegato che vi erano stati sempre problemi di natura economica; nel corso degli anni, quando il F. non lavorava, si erano accumulati dei debiti per affitti e bollette non pagate, che solo in seguito era stato possibile pagare. La teste ha aggiunto che era stata la C. a chiedere al F. di non versare il denaro del mantenimento sul suo conto corrente, perché tale denaro sarebbe stato aggredibile, per il pagamento del mutuo; il denaro era stato inviato, in maniera sporadica, alla maggiorenne S., con vaglia postale. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve premettere che il F. è stato citato a giudizio dinnanzi a questo Tribunale per rispondere del delitto di cui all'art.570 comma 1 c.p. (per non avere visto i suoi figli e per non essersi interessato a loro, da gennaio 2018) e del delitto di cui all'art.570 comma 2 c.p. (per avere interrotto il versamento dei pagamenti, a titolo di contributo al mantenimento dei figli). Come noto, il reato di cui all'art.570 comma 1 c.p. è perseguibile a querela di parte; quello di cui all'art,.57O comma 2 è procedibile d'ufficio, se commesso a danno di minori. Nel caso di specie, con riferimento alla contestazione di cui all'art.570 comma 1 c.p., la C. risulta avere presentato querela nel dicembre 2021; si tratta di valida condizione di procedibilità, in quanto presentata quale esercente la potestà sui minori; va detto che Sa.Fu. è diventata maggiorenne il 21 giugno 2018, e quindi, con riferimento alla posizione della predetta Sa.Fu., la querela presentata dalla C. appare valida condizione di procedibilità sino alla predetta data (per il periodo successivo, non risultando essere stata presentata querela da parte della Sa.Fu., dovrà essere pronunciata sentenza di non doversi procedere per difetto di condizione di procedibilità). Il delitto di cui all'art. 570 c.p. è, come detto, procedibile d'ufficio, se commesso ai danni di minori; nel caso di specie, nel periodo in contestazione (dal 2018 al 2021), se G. e Sa. erano minori, la Sa.Fu. è divenuta maggiorenne nel giugno 2018. A partire da tale data, per quella posizione, il reato era perseguibile a querela (il reato in contestazione può essere commesso anche ai danni di figli maggiorenni, se "inabili al lavoro"); non essendo stata sporta querela da parte della Sa.Fu., con riferimento a tale posizione e con riferimento al periodo successivo al 22 giugno 2018, dovrà essere pronunciata sentenza di non doversi procedere per improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di valida querela. Fatta questa premessa, che riguarda la procedibilità del reato in contestazione, quanto al delitto di cui all'art.570, comma 2, c.p. si osserva quanto segue. Si devono ritenere sussistenti nel caso di specie tutti gli elementi della fattispecie ovvero l'omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, lo stato di bisogno del soggetto passivo e la capacità economica dell'obbligato. Quanto alla condotta di carattere omissivo dell'imputato, lo stesso F. ha ampiamente ammesso che dal 2018 non aveva più versato quanto dovuto a titolo di contributo al mantenimento del suo originario nucleo familiare; aveva sporadicamente versato delle somme, di entità non rilevante, direttamente ai minori, confermando in tal modo quanto riferito dalla persona offesa. Con riferimento al tema dello "stato di bisogno" ci si richiama ai principi elaborati dalla Suprema Corte in relazione ai rapporti tra soggetti obbligati e minori: "lo stato di bisogno di un minore, il quale, appunto perchè tale, non è in grado di procacciarsi un reddito proprio, è un dato di fatto incontestabile per cui entrambi i genitori sono tenuti a provvedere per ovviarvi", Cass.Sez.VI, 85/169513); "In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno e l'obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando questi siano assistiti economicamente da altri, anche in relazione alla percezione di eventuali cespiti reddituali relativi ad elargizioni a carico della pubblica assistenza" (in applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano configurato il reato nella arbitraria riduzione da parte del genitore dell'assegno per il mantenimento del figlio minore portatore di handicap stabilito in sede di separazione dei coniugi, ritenendo non sufficienti ad elidere lo stato di bisogno la percezione da parte del minore di una modesta pensione di invalidità e la circostanza che fosse assistito economicamente dal genitore affidatario, che svolgeva attività lavorativa), Cass. 15.1.04, n.715. Si tratta del resto di principio in linea con il pacifico orientamento secondo cui la sussistenza dello stato di bisogno deve essere accertata nei rapporti tra la persona che deve essere assistita ed il soggetto obbligato, di talché il reato non è escluso dal fatto che altri, coobbligati o obbligati in solido, a addirittura non obbligato, come gli enti assistenziali, si sostituiscano all'inerzia dell'obbligato (tale sostituzione sarebbe al contrario prova dello stato di bisogno). Quanto al tema della possibilità di adempiere da parte dell'imputato, come noto, secondo i pacifici arresti della giurisprudenza di legittimità, l'incapacità economica dell'obbligato rileva solo quando questi si trova in una situazione di incolpevole indisponibilità economica di entrate sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita dei soggetti passivi, che deve estendersi a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze; ai fini della scriminante incombe sull'interessato l'onere di allegazione di idonei e convincenti elementi indicativi della concreta impossibilità di adempiere Cass.90/187513, Cass. 2.2.2000). Ebbene, nel caso di specie non solo non è stata fornita alcuna allegazione atta a dimostrare la sussistenza di un incolpevole stato di incapacità economica dell'imputato, riferito a tutto il periodo in contestazione, ma al contrario è emerso che F., a partire dal 2018, aveva ripreso a lavorare regolarmente ed aveva percepito redditi da lavoro dipendente1 che gli avrebbero consentito, quantomeno in parte, di adempiere ai suoi obblighi di mantenimento del suo originario nucleo familiare. Non rileva il fatto che l'obbligato, dopo l'abbandono della famiglia legittima, abbia costituito un nuovo nucleo familiare, perché la prestazione dei mezzi di sussistenza alla famiglia legittima è un obbligo primario del coniuge (sul punto, vedi Cass. 7 aprile 1981, M., in Cass.Pen. 1982, 1333). Quanto alla contestazione di cui all'art.570 comma 1 c.p., dal dibattimento è emerso che, dal momento in cui l'imputato si era trasferito altrove, non aveva avuto sostanzialmente più contatti con i figli, ad esclusione di alcune sporadiche chiamate al telefono; in sintesi, il F., attraverso tale condotta, non aveva più manifestato interesse, oltre che al mantenimento, anche all'istruzione ed educazione dei propri figli (nati dal primo matrimonio), ponendo in essere in tale modo una condotta "contraria all'ordine e alla morale delle famiglie", che integra il reato in contestazione. Va detto che il comportamento del F., che non può essere giustificato solo in base al fatto che l'imputato si era trasferito altrove, appare ancora più rilevante se si considera che la figlia minore Sa. era portatrice di una disabilità. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati di rubrica (limitatamente, quanto alle condotte contestate come commesse ai danni di Sa.Fu., al periodo sino al 21 giugno 2018, per i motivi ampiamente illustrati); valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e, ritenuto più grave il reato di cui all'art.570 comma 2 c.p., denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non essendo emerso alcun elemento favorevole, applicato l'istituto del concorso formale tra delitti di cui all'art.570 comma 2 c.p. ("la condotta di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare non configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale, o ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro", Cass. Pen., Sez. VI, 29926 del 27 aprile 2022) e la continuazione con i reati di cui all'art.570 comma 1 c.p. ("la condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale nei confronti dei figli minori e quella di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, previste, rispettivamente, nel primo e secondo comma dell'art. 570 c.p., non sono in rapporto di continenza o progressione criminosa, ma hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità e considerazione sociale", Cass.Pen., Sez.IV, 3881/2011; nello stesso senso Cass.Pen., Sez.VI, 12307 del 13.3.2012), è da ritenersi pena congrua quella di mesi quattro di reclusione ed Euro 900,00 di multa, così determinata : (pena base per il reato più grave di cui all'art.570 comma 2 c.p., mesi due di reclusione ed Euro 500 di multa, pena aumentata per il concorso formale a mesi tre di reclusione ed Euro 700,00 di multa, pena aumentata per la continuazione a mesi quattro di reclusione ed Euro 900,00 di multa). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che l'assenza di precedenti penali a carico induce a ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. Non sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della non menzione; in generale, "la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all'art. 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione", Cass. Pen., Sez. II n. 1 del 15.11.2016. "il beneficio della non menzione della condanna di cui all'art. 175 c.p. è fondato sul principio "dell'emenda " e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l'obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all'art. 133 c.p." Cass. Pen., Sez. II, 16366 del 28-3-2019. Nel caso di specie, tenuto conto della pervicacia della condotta, si deve ritenere non concedibile il beneficio. Dovrà dichiararsi di non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione alle condotte contestate come commesse ai danni di Sa.Fu. a partire dal 22 giugno 2018 per improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di valida querela. Appare congrua l'assegnazione del termine di 60 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica letti gli artt.533 e 535 c.p.p. dichiara Fu.An. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica, limitatamente, quanto alle condotte contestate come commesse ai danni di Sa.Fu., al periodo sino al 21 giugno 2018 e, ritenuto più grave il delitto di cui all'art.570 comma 2 c.p., ritenuto il concorso formale tra le condotte riconducibili all'art.570 comma 2 c.p. e la continuazione tra tali condotte e quelle riconducibili all'art.570 comma 1 c.p., lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 900,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Letto l'art. 529 c.p.p. dichiara di non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione alle condotte contestate come commessi ai danni di Sa.Fu. a partire dal 22 giugno 2018 per improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di valida querela. Motivazione in gg. 60. Così deciso a Udine 15 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Mauro Qualizza Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 10/01/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Il.Tu. nato il (...) in R. residente in Via Gir P. 6 - B. (U.) - libero, presente - Difeso dall'avvocato di fiducia TO.Fe. del foro di Udine Difeso dall'avvocato di fiducia TR.To. del foro di Udine IMPUTATO A. del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv.; 612, co. 1, co. 2; 581; 582; 583, co. 1, n. 1 c.p., per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, minacciato Se.Bo., Se.Io., Il.Da., Ma.Co. e Lo.Di., dicendo agli stessi: "vi ammazzo tutti, vedrete voi, a me non succederà nulla". In particolare Il. lon, visibilmente ubriaco, si presentava presso l'abitazione dei coniugi Ma.Co. e Lo.Di., dove si stava svolgendo la festa di compleanno del fratello Il.Da., dapprima sferrando alcuni calci al cancello d'ingresso dell'abitazione, insultando i presenti e minacciandoli, nonché tentando di aggredire Bo.Se.. L'aggressione non veniva compiuta in quanto Le.Pr. fermava Il. e lo portava presso la sua abitazione. Successivamente a tali fatti Il.Tu., ritornato presso la citata abitazione, compiva i seguenti atti: ? strattonato per la camicia il fratello Il.Da., trascinandolo fuori dalla sopra citata abitazione, nonché sferrandogli un pungo al volto che lo colpiva di striscio, percosso lo stesso senza provocargli lesioni; ? minacciato gravemente Il. minacciava dicendogli che lo avrebbe ammazzato; ? minacciato Ci.Ma., dicendole: "ti ammazzo come già ti ho detto il 18 aprile 2020", nonché la colpiva con una schiaffo al volto senza provocare lesioni personali; ? procurato a Se.Bo., colpendolo con un forte calcio, lesioni personali gravi frattura lievemente scomposta a decorso spiroide del malleolo peroneale giudicate guaribili in un tempo superiore a 40 gg. (durata della malattia dal 22.06.2020 al 11.09.2020). In Buja, 20.06.2020 Con l'intervento del P.M. dott.ssa GASPARDIS (con delega), del difensore TREVISIOL Tomas del foro di Udine e delle costituite parti civili: - Se.Bo. - Il.Da. - Ci.Ma. - Ma.Co. - Il.Tu. - S. I. difese dall'avv. CO.De. IN FATTO E IN DIRITTO Tratto a giudizio per rispondere delle imputazioni in epigrafe circostanziate con decreto che lo disponeva in data 2 marzo 2023, Il.Tu., in atti generalizzato, compariva ritualmente al processo. All'udienza del 15 maggio 2023 erano ammesse le prove. Il 19 giugno 2023 deponevano le parti civili costituite Se.Bo., Se.Io., Il.Da. e Il.Tu.. Il 20 settembre 2023 era la volta del brigadiere G.E., all'epoca dei fatti in servizio presso la stazione Carabinieri di Osoppo, di P.L., presente ai fatti in contestazione, e delle persone offese Ma.Co. e Ci.Ma.. Il 18 ottobre 2023 si assumevano le deposizioni di V.M., teste oculare, di Fa.Ma. e Fa.Io., rispettivamente compagna e figlio dell'imputato. Il 27 novembre 2023 era sentito il dottor Di.Vi., medico legale, consulente a discarico. Si procedeva, inoltre, all'esame di Il.Tu., che vi acconsentiva. Il pubblico ministero e i difensori formulavano e illustravano le rispettive conclusioni il 10 gennaio 2024, udienza nella quale il tribunale, dichiarato chiuso il dibattimento, si ritirava in camera di consiglio e pronunziava la sua decisione come da dispositivo integralmente riprodotto in calce. Le prove acquisite al processo confermano la penale responsabilità dell'imputato limitatamente ai reati di cui agli artt. 612 e 581 c.p. In relazione alla fattispecie di lesioni personali volontarie, invece, la sentenza sarà assolutoria per insussistenza del fatto. La vicenda in disamina attiene a una lite scoppiata il pomeriggio del 20 giugno 2020 presso l'abitazione di B. nella quale si festeggiava il compleanno di Il.Da., fratello dell'odierno imputato. Alla festa partecipavano i padroni di casa, ossia Ma.Co. e Il.Tu., Se.Bo. e la di lui moglie Se.Io., Ci.Ma., V.M. e i figli delle coppie presenti, tutti ragazzini di giovane età. Il.Tu., non invitato in ragione di pregressi rancori con il fratello, comunque si presentò attorno alle ore 20, in compagnia di P.L. e in evidente stato di ebbrezza alcolica. Egli iniziò a sferrare violenti colpi sul portone d'accesso al giardino dell'abitazione e a gridare frasi contro il fratello, invitandolo a uscire in strada con fare di sfida. Se.Bo. gli andò incontro assieme a Il.Tu., ma fu subito preso a male parole. Tant'è che P.L., resosi conto che l'imputato aveva ecceduto con l'alcol, cercò di calmarlo e lo riaccompagnò a casa. Il.Tu. ebbe comunque modo d'insultare e di minacciare di morte i presenti, ma alla fine accettò di risalire in macchina e d'andarsene altrove. La vicenda pareva essersi così conclusa e i festeggiamenti ripresero. Ma Il.Tu. si ripresentò a distanza di qualche ora. Scavalcò una siepe e di nuovo iniziò a proferire insulti e minacce all'indirizzo dei commensali, che ancora sedevano a tavola. Il.Da., alzatosi dalla sedia per cercare d'allontanare il fratello, fu afferrato per la maglia e strattonato. Tra i due nacque una colluttazione che proseguì all'esterno, fuori dal giardino, con uno scambio reciproco di colpi. Se.Bo. cercò d'intervenire per separare i contendenti, ma Il.Tu. gli sferrò un violento calcio alla gamba destra, sopra la caviglia, che lo fece cadere a terra. Le minacce proferite da Il.Tu. in entrambe le fasi della vicenda erano chiaramente rivolte a tutti i presenti e furono da essi percepite. Se.Io., moglie di Se.Bo., ne restò intimorita e si guardò bene dall'avvicinarsi all'imputato. Ella sentì minacce di morte già nella fase iniziale, quando Il.Tu. si presentò per la prima volta fuori dal giardino sferrando colpi sul portone d'ingresso. Analoghe frasi furono proferite nel momento successivo, a distanza d'alcune ore, quando l'uomo cercò nuovamente uno scontro. Se.Io., in quel frangente, vide l'imputato strattonare il fratello D. e spingerlo con forza all'esterno, prima che i due iniziassero a colpirsi vicendevolmente. Ella non s'accorse, invece, del calcio alla gamba inferto a Se.Bo., suo marito, atteso che questi giaceva a terra quando lei uscì sulla strada. Se.Io. ebbe comunque la forza di richiedere l'intervento dei Carabinieri, ma fu nuovamente insultata a minacciata di morte. Analoghe le intimidazioni rivolte a Il.Da., il quale cercava inutilmente di far ragionare l'imputato. Il.Tu., chiaramente ubriaco, non voleva sentir ragioni neppure in occasione del secondo accesso, tant'è che afferrò il fratello per la maglia, strappandogliela, lo trascinò con forza attraverso la siepe e i due iniziarono a picchiarsi. Ci.Ma., compagna di Il.Da., subito intervenne per far ragionare l'imputato, ma questi replicò di volerla uccidere e la colpì al volto con uno schiaffo. Minacce di morte furono rivolte anche ai padroni di casa, Ma.Co. e Il.Tu., sebbene essi mai avessero avuto in precedenza alcuno screzio con l'imputato. V.I., che partecipava alla festa come invitato, sentì gli insulti rivolti ai presenti e vide Il.Tu. trascinare a forza il fratello fuori dal giardino, attraverso la siepe. Egli non ebbe modo, invece, di assistere alla successiva colluttazione. Nel contraddittorio dibattimentale, l'imputato ha dichiarato d'essersi recato alla festa di compleanno di Il.Da. soltanto per un saluto, e d'aver preso a calci il cancello perché nessuno rispondeva al suono del campanello. Tant'è che Se.Bo. e Il.Tu., dopo averlo raggiunto all'altezza della recinzione, si erano dimostrati particolarmente nervosi, e lui aveva pensato bene d'andarsene assieme a P.L.. L'imputato era poi tornato a distanza d'alcune ore, visto che Il.Da. aveva in precedenza insultato la sua compagna, Fa.Ma., e lui voleva in qualche modo chiarire la questione. Nella circostanza, però, erano state le odierne persone offese a riempirlo di botte, fino a lasciarlo a terra privo di conoscenza. Fa.Ma. ha dichiarato d'essere stata proprio lei a prestare i primi soccorsi al compagno, che l'aveva chiamata al telefono dicendo d'essere stato picchiato e chiedendole d'essere accompagnato all'ospedale. I.Fa.Io., figlio del prevenuto, ha affermato, inoltre, d'aver seguito il padre di nascosto mentre questi si stava recando per la seconda volta alla festa del fratello, e d'aver così assistito all'aggressione subita dal genitore. Certo è che le odierne parti offese concordemente riferirono ai carabinieri, intervenuti nell'immediatezza, d'essere state minacciate di morte dall'imputato, presentatosi alla festa pur senza essere stato invitato e fermamente intenzionato a entrare nel giardino. Ci.Ma., inoltre, affermò d'essere stata colpita con uno schiaffo al volto, mentre Se.Bo., seduto su un gradino, lamentava un dolore al piede asserendo di aver perso l'equilibrio e conseguentemente di essere scivolato a terra. Accompagnato all'ospedale di San Daniele del Friuli, Se.Bo., cui fu diagnosticata una frattura leggermente scomposta del malleolo, parlò, invece, d'una rissa tra fratelli nella quale sarebbe stato spinto procurandosi trauma distorsivo del piede e caviglia destra. Anche l'odierno imputato dovette rivolgersi alle cure dei sanitari, che gli diagnosticarono trauma facciale e frattura delle ossa nasali con prognosi di giorni dieci. Nei fatti così ricostruiti, ad avviso del tribunale, comprovati sono i reati di minaccia commessi ai danni di Se.Bo., Se.Io., Il.Da., Il.Tu., Ma.Co. e Ci.Ma.. Le odierne parti offese, infatti, hanno concordemente riferito che Il.Tu. si era presentato alla festa chiaramente alterato dall'alcol e si era subito rivolto ai presenti dicendo che li avrebbe uccisi tutti, peraltro reiterando le intimidazioni in occasione del secondo accesso. Trattasi di deposizioni non solo tra loro coerenti e convergenti, ma anche conformi al racconto sin dal principio reso ai militari intervenuti e del tutto compatibili con quell'atteggiamento di spiccata ostilità dell'imputato descritto da P.L., teste disinteressato presente alla fase iniziale della vicenda. La natura delle intimidazioni e il contesto nel quale esse furono proferite, inoltre, ne conferma la gravità, trattandosi di minacce di morte espresse in una situazione di aperta aggressività. Comprovato, inoltre, è lo schiaffo ricevuto al volto da Ci.Ma., anch'esso riferito ai militari intervenuti e confermato dallo stesso imputato nel contraddittorio dibattimentale. La difesa, sul punto, ha invocato la scriminante di cui all'art. 52 c.p., affermando trattarsi d'una reazione legittima alla condotta posta in essere dall'odierna parte offesa, la quale, assieme ad altri, aveva colpito Il.Tu. con un bastone, concorrendo a cagionargli le lesioni. La tesi non può essere condivisa. Assai poco attendibile, infatti, è la testimonianza di I.F., figlio dell'imputato, il quale ha riferito ch'era stato il padre a subire un'aggressione, atteso che i querelanti lo avevano spinto a forza fuori dal giardino, attraverso la siepe, e lo avevano poi colpito sulla strada pubblica. Tale versione è smentita non solo dalle concordi deposizioni delle persone offese, ma anche dalle dichiarazioni di V.I., teste disinteressato, il quale vide chiaramente Il.Tu. trascinare a forza il fratello fuori dal giardino con l'intento di picchiarlo, peraltro dopo averlo insultato. La vicenda era dunque nata proprio dall'atteggiamento aggressivo dell'imputato, che si era presentato a casa altrui minacciando i presenti e cercando uno scontro fisico, così creando i presupposti per un'altrui reazione aggressiva. Ed è noto che la determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la configurabilità della legittima difesa non per la mancanza del requisito dell'ingiustizia dell'offesa, ma per difetto del requisito della necessità della difesa, sicché l'esimente non è applicabile a chi agisce nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui determinata. Gli strattonamenti inferti a Il.Da. afferrandolo per la maglia e trascinandolo attraverso la siepe, inoltre, trovano conferma nelle deposizioni di tutti i testi oculari, e ciò vale a delineare il reato di percosse di cui al primo alinea di rubrica. Quanto alla fattispecie di lesioni personali aggravate ai danni di Se.Bo., invece, occorre evidenziare che nessuna delle persone presenti ai fatti ha confermato d'aver visto il forte calcio alla caviglia attraverso le quali esse sarebbero state provocate. Se.Bo., inoltre, ha sempre fornito versioni contraddittorie: al cospetto dei militari intervenuti dichiarò d'essere scivolato, mentre di fronte ai sanitari parlò d'una spinta. Non solo. Nel contraddittorio dibattimentale egli si è espresso in termini dubitativi, lasciando intendere di non essere poi così certo che fosse stato proprio un calcio a procurargli la frattura. Tant'è che il dottor V.D.L., consulente a discarico, ha evidenziato che quel tipo di lesione è assai più compatibile con un meccanismo ben preciso di blocco e torsione dell'osso, piuttosto che con un colpo diretto alla caviglia. Tali considerazioni rendono la prova estremamente incerta e contraddittoria, e impongono il proscioglimento dell'imputato per insussistenza del fatto. Affermata, così, la penale responsabilità di Il.Tu. limitatamente ai reati di minacce e percosse, quanto alla pena, possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante di cui all'art. 612 c. 2 c.p. in ragione del favorevole comportamento processuale dell'imputato e trattandosi d'una vicenda comunque maturata in un contesto di conflittualità reciproca. Sicché la pena base per il più grave reato di percosse realizzato ai danni di Ci.Ma., che può essere contenuta in Euro 1.200 di multa, deve essere diminuita a Euro 800 di multa ai sensi dell'art. 62 bis c.p., e aumentata alla pena finale di Euro 1.400 di multa per la ritenuta continuazione tra i reati (euro 50 di multa per ciascuno dei sette reati di minacce; Euro 250 di multa per il reato di percosse commesso ai danni di Il.Da.). Alla condanna consegue il pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 535 del codice di procedura penale. L'accertamento della penale responsabilità dell'imputato comporta, inoltre, la condanna dello stesso al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite, danni che, tenuto conto delle gravità delle minacce e del contesto di aperta aggressività nel quale esse furono proferite, si liquidano equitativamente in Euro 300 in favore di ciascuna di esse. All'accoglimento di tale pretesa risarcitoria consegue la condanna di Il.Tu. alla rifusione delle spese di costituzione e assistenza legale sostenute dalle medesime parti civili, che si liquidano in complessivi Euro 2.600 in ragione della pluralità delle posizioni assistite, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. e C.N.A. come per legge. P.Q.M. Il tribunale di Udine, in composizione monocratica, visti e applicati gli articoli 533 e 535 c.p.p. dichiara l'imputato colpevole dei reati di cui agli artt. 612 e 581 c.p. a lui ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche, unificati i fatti nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di Euro 1.400 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli articoli 538 e 541 c.p.p. condanna l'imputato al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite, che liquida in Euro 300 in favore di ciascuna di esse, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e assistenza legale dalle stesse sostenute, che liquida in complessivi Euro 2.600, oltre a rimborso spese forfettarie, I.V.A. e C.N.A. come per legge. Letto l'articolo 530 c.p.p. assolve l'imputato dal reato di cui all'art. 582 c.p. perché il fatto non sussiste. Motivazione riservata nel termine di giorni 90 ai sensi dell'articolo 544, comma terzo, c.p.p.. Così deciso in Udine il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Mauro Qualizza Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 10/01/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Ch.Io. nato il (...) in M. con domicilio eletto in via C. del L. n. 10 - B. (B.) - libero, assente - Difeso dall' avvocato di fiducia FL.Fr. del foro di Brescia Va.Al. nato il (...) in M. con domicilio eletto in Via Z. 40 - B. (B.) -libero, assente - Difeso dall' avvocato di fiducia SA.Gi. del foro di Brescia Il.Se. nato il (...) in B. residente in Via A. S. 7 INT.2 P.3 - B. (B.) con domicilio eletto presso il difensore - libero, assente - Difeso dall' avvocato di fiducia BA.Vi. del foro di Brescia IMPUTATI 1) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e 5, e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta Ma., impossessandosi di un motore marino Marca YAMAHA modello F9.91MHS numero seriale (...) avente potenza 7,3 kw del valore di 2.803 Euro circa, sottraendolo a C.L. che ivi lo deteneva a titolo di deposito. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose -consistita nell'aver tranciato 1 cavi di controllo del motore, di aver agito in gruppo superiore a tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa -orario notturno-. Fatti avvenuti a S. G. di N. (U.) via E. F. 53 tra le ore 00.00 e le ore 06.30 del 08.09.2018. 2) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e 5, e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta Ma., impossessandosi di un motore marino marca SELVA modello MURENA 40XSREFI numero seriale (...) avente potenza 29.4 kw, batterie di bordo, un serbatoio brandeggiabile ed un telo copri barca per un valore totale di 8.600 Euro circa, sottraendolo a Vi.El. che ivi lo deteneva a titolo di deposito. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose -consistita nell'aver tranciato i cavi di controllo del motore -; dall'aver agito in gruppo di almeno tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa ?orario notturno -. Fatti avvenuti S. G. di N. (U.) via E. F. 53 tra le ore 00.00 e le ore 06.30 del 08.09.2018. 3) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e 5, e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta Ma., impossessandosi di un motore marino marca TOHATSU modello MFS40A numero seriale (...) del valore di 6.200 Euro circa, sottraendolo a Su.Lo. che ivi lo deteneva a titolo di deposito. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose -consistita nell'aver tranciato i cavi di controllo del motore-; dall'aver agito in gruppo di almeno tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa?orario notturno?. Fatti avvenuti S. G. di N. (U.) via E. F. 53 tra le ore 00.00 e le ore 06.30 del 08.09.2018. 4) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e 5, e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta Ma., impossessandosi di un motore marino marca SUZUKI modello MFS40A numero seriale (...), potenza 90cv del valore di 7.800 Euro circa, sottraendolo a D.P.R. che ivi lo deteneva a titolo di deposito. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose -consistita nell'aver tranciato i cavi di controllo del motore-; dall'aver agito in almeno tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa ?orario notturno? Fatti avvenuti S. G. di N. (U.) via E. F. 53 tra le ore 00.00 e le ore 06.30 del 08.09.2018. 5) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e par., e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta Ma., impossessandosi di un motore marino marca SUZUKI modello MFS40A numero seriale (...), potenza 90cv del valore di 4.000 Euro circa, sottraendolo a D.G. che ivi lo deteneva a titolo di deposito. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose -consistita nell'aver tranciato i cavi di controllo del motore-; dall'aver agito in almeno tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa ?orario notturno?. Fatti avvenuti S. G. di N. (U.) via E. F. 53 tra le ore 00.00 e le ore 06.30 del 08.09.2018. 6) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e 5, e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta Ma., impossessandosi di un motore marino marca YAMAHA modello FA0FETL2012 numero seriale (...), del valore di 8.650 Euro circa, sottraendolo a L.G.M. che ivi lo deteneva a titolo di deposito. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose -consistita nell'aver tranciato i cavi di controllo del motore-; aver agito in almeno tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa ?orario notturno ?. Fatti avvenuti S. G. di N. (U.) via E. F. 53 tra le ore 00.00 e le ore 06.30 del 08.09.2018. 7) artt. 110, 624, comma 1, in relazione agli artt. 625, nn. 2 e 5, e art. 61, n. 5, c.p., perché in concorso tra loro e al fine di trarne ingiusto profitto, si introducevano nel parcheggio privato della ditta T.I. S.p.A., impossessandosi di un FIAT DUCATO di colore bianco targato (...) (poi rinvenuto, e recuperato, dall'Arma di Palmanova) sottraendolo a D.L.I. che ivi lo deteneva temporaneamente parcheggiato. Fatto aggravato dall'aver usato violenza sulle cose - consistita nell'aver rotto il finestrino sportello anteriore destro e il quadro di accensione-; aver agito in almeno tre persone; approfittando di circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa ? orario notturno ?. Fatti avvenuti S. G. di N. (U.) via E. F. 46 alle ore 05.53 del 08.09.2018. 8) artt. 110, 648 c.p., perché, in concorso tra loro e al fine di procurarsi un profitto, acquistavano o ricevevano l'autocarro IVECO TURBO DAILY colore bianco targato (...) oggetto di furto, la notte del 08.09.2018 a F. di V. V. (U.) via G. M. 2, in danno della ditta "T.V.R. S.n.c. - denuncia sporta da M.G..Fatto avvenuto in luogo ignoto, accertato a S. G. di N. (U.) via E. F. 53 alle ore 10.40 dell'08.09.2018. con recidiva semplice per Il. con recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale per Ch.Io. Con l'intervento del P.M. dott.ssa GA. (con delega) e dei difensori FLOSSI Francesca del foro di Brescia, SA.Gi. del foro di Brescia sostituito art. 103 ccp dall'avv. AG.An. e BA.Vi. del foro di Brescia IN FATTO E IN DIRITTO Tratti a giudizio per rispondere delle imputazioni in epigrafe circostanziate con decreto di citazione di data 28 ottobre 2022, Ch.Io., Va.Al. e Il.Se., in atti generalizzati, non comparivano al processo. All'udienza del 2 ottobre 2023, dopo un differimento dettato da un impedimento difensivo (1.2.2023), era avanzata tempestiva istanza di giudizio abbreviato. Il 10 gennaio 2024 era acquisita dichiarazione confessoria di Ch.Io. in relazione al furto del furgone Iveco Daily con targa (...), e D.L.I., parte offesa del reato sub (...)), manifestava la volontà di rimettere la querela sporta in data 8 settembre 2018. Si procedeva, quindi, alla discussione, all'esito della quale, sulle conclusioni in epigrafe trascritte, era data lettura del dispositivo di sentenza integralmente riprodotto in calce. Le prove acquisite al processo non consentono un'affermazione di penale responsabilità degli imputati, nei confronti dei quali sarà necessario pervenire a una declaratoria d'improcedibilità per mancanza di querela in relazione ai reati di cui ai capi 1), 2), 3), 4), 5), 6) e 8) di rubrica, quest'ultimo derubricato ai sensi dell'art. 624 c.p., e per intervenuta remissione di querela in relazione alla fattispecie sub (...)). La vicenda in disamina attiene a una serie di furti commessi la notte dell'8 settembre 2018 presso il cantiere nautico Ma. di S. G. di N., in località A. C.. Ignoti penetrarono nell'area recintata e trafugarono diversi motori marini tranciandone i cavi di collegamento ai sistemi di comando delle relative imbarcazioni. I fatti furono denunciati dai proprietari o possessori dei motori nautici, tali L.C., E.V., L.S., R.D.P., G.D., G.M.L.. Le indagini evidenziarono che i malfattori erano giunti sul posto a bordo di una Citroen C3 targata (...), intestata a tale M.F., e di un autocarro Iveco Turbo Daily con targa (...), oggetto d'un furto commesso, quella stessa notte, ai danni della ditta T.V.R. s.n.c., con sede a F. V. V.. Quest'ultimo veicolo, utilizzato per divellere la recinzione, era rimasto impanato nello sterrato circostante il cantiere nautico, sicché i malviventi erano stati costretti a rubare un secondo furgone sul quale caricare i motori. Si trattava dell'autocarro Fiat Ducato di colore bianco targato (...), intestato a I.D.L.. I responsabili furono individuati grazie alla consultazione della banca dati SDI, all'analisi di tabulati telefonici e alla visione delle immagini registrate dalle telecamere installate presso i caselli autostradali. L'autovettura Citroen C3, utilizzata come staffetta, era infatti in uso a Va.Al.. già controllato a bordo della stessa in compagnia di Ch.Io.. Il.Se., invece, fu riconosciuto per colui che si trovava alla guida dell'autocarro Fiat Ducato (cfr. l'annotazione conclusiva, a foglio (...) nel fascicolo del pubblico ministero). Tant'è che Ch.Io., con dichiarazione confessoria 9.1.2024 (acquisita agli atti del processo sull'accordo delle parti, allegata al verbale d'udienza 10.1.2024), ha ammesso d'aver sottratto il furgone Iveco Daily con la complicità di Va.Al.. I reati di cui ai capi 1), 2), 3), 4). 5) e 6) di rubrica, tuttavia, sono divenuti procedibili a querela in seguito alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022. E le rispettive parti offese, ossia L.C., E.V., L.S., R.D.P., G.D., G.M.L., mai hanno formalizzato alcuna pretesa punitiva. È noto, infatti, che il contenuto della querela si compone di due elementi fondamentali: l'indicazione dei fatti e l'istanza di procedimento. La giurisprudenza ha precisato che la validità di tale atto non presuppone l'impiego di formule sacramentali, essendo sufficiente la denunzia dei fatti e la chiara manifestazione della parte lesa di voler perseguire penalmente la vicenda denunziata. La volontà punitiva può manifestarsi in forma esplicita o implicita, ma deve essere univoca e non può essere dedotta da un comportamento successivo alla presentazione della denuncia, di tal che, quando il tenore di questa risulti assolutamente incerto, essa deve essere interpretata, sia per il generale canone ermeneutico di cui all'articolo 1370 del codice civile, sia per il principio generale vigente nel settore penale in dubio pro reo, nel senso di escludere la natura di querela dell'atto di denuncia. Nel caso in disamina, L.C., E.V., L.S., R.D.P., G.D. e G.M.L. si presentarono ai carabinieri della stazione di San Giorgio di Nogaro formalizzando mere denunce orali nelle quali si limitavano a fornire una succinta descrizione del fatto. Essi non solo non manifestarono alcuna volontà punitiva, espressa o implicita, ma anche specificarono di non aver altro da aggiungere, sì da rendere del tutto equivoco che fosse loro intendimento procedere nei confronti dei responsabili. In relazione a dette fattispecie, pertanto, deve essere pronunziata sentenza d'improcedibilità per mancanza di valida querela. Analoga conclusione s'impone in relazione al reato di cui al capo 8) di rubrica. Agli imputati, infatti, si contesta la ricettazione del furgone Iveco Daily di proprietà della ditta T.. Ed è noto che, ai fini della configurabilità del delitto, occorre la prova dell'estraneità del soggetto attivo al reato presupposto allorché questo deduca di averlo commesso e la sua dichiarazione sia attendibile (Cass. sez. VI, 7.7.2016 - dep. 5.8.2016 - n. 34679, Rv. 26809801). Orbene, nel caso in disamina, Ch.Io. ha ammesso d'aver sottratto il furgone con la complicità di Va.Al., e tale confessione è assolutamente credibile ove si consideri che si tratta di furto commesso nelle ore immediatamente antecedenti alla sottrazione dei motori marini, si da far ritenere che gli autori di questa avessero trafugato personalmente altresì il mezzo utilizzato per commettere detto reato. La fattispecie deve essere dunque derubricata ai sensi dell'art. 626 c.p., ma la persona offesa G.M., nella denuncia orale sporta avanti ai carabinieri della stazione di Aquileia in data 8.9.2018. a sua volta non manifestò alcuna volontà punitiva (a foglio (...) nel fascicolo del pubblico ministero). Quanto al reato sub (...)), anch'esso non più procedibile d'ufficio, il proprietario del veicolo, I.D.L., ha rimesso la querela validamente sporta in data 8.9.2018 nei confronti degli imputati, i quali non hanno ricusato la remissione. Da qui la corrispondente declaratoria d'improcedibilità, con spese a carico dei querelati. P.Q.M. Il tribunale di Udine, in composizione monocratica, letti gli articoli 529 e 531 c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati a loro ascritti ai capi 1), 2), 3), 4), 5), 6), 8) di rubrica, quest'ultimo derubricato ai sensi dell'art. 624 c.p., per mancanza di querela, e in relazione al reato di cui al capo 7) per intervenuta remissione di querela. Pone le spese relative alla contestazione sub capo (...)) di rubrica a carico degli imputati. Motivazione riservata nel termine di giorni 90 ai sensi dell'articolo 544, comma terzo, c.p.p.. Così deciso in Udine il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Udine, in persona del Giudice Unico del Lavoro dott.ssa Ilaria Chiarelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di primo grado iscritta in data 02/01/2023 al n. 4 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili - Controversie in materia di Lavoro e di Previdenza o Assistenza Obbligatorie per l'anno 2023, discussa all'udienza del giorno 27/04/2023 PROMOSSA DA (...), quale titolare dell'impresa individuale "(...)", con l'avv. Vi.Fa. e con l'avv. Pe.Er. RICORRENTE OPPONENTE CONTRO (...), in persona del capo dell'Ispettorato pro tempore RESISTENTE OPPOSTO OGGETTO: "Opposizione all'ordinanza-ingiunzione ex artt. 22 e ss. L689/1981, lavoro/previdenza" RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 02/01/2023 (...), nella sua veste di titolare della impresa individuale "(...)", ha impugnato l'ordinanza-ingiunzione n. 388-22/58 prot n. (...), dd. 24/11/2022, con cui era stato a lui ingiunto il pagamento della somma complessiva di Euro 59.472,25, comprensiva delle spese di notifica, per la violazione dell'art. 3, commi 3 e 3 ter, convertito con modificazioni dalla L. n. 73 del 2022, come sostituito dall'art. 22, comma 1, del D.Lgs. n. 151 del 2015, per aver impiegato nel periodo compreso tra il 15 e il 29.05.2019, per un totale di 13 giornate, e tra l'1.04.2019 e il 29.05.2019, per complessive 47 giornate, le prestazioni di due lavoratrici in assenza di preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, nonché degli artt. 29, comma 1, e 18, comma 5 bis, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, così come modificato dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 8 del 2016, per aver utilizzato nel periodo compreso tra l'aprile 2018 e il dicembre 2019, per un totale di 1.382 giornate, le prestazioni di 6 lavoratori (nominativamente indicati negli specchietti inseriti nell'ordinanza-ingiunzione) nell'ambito di un appalto privo dei requisiti di cui all'art. 29 co. 1 D.Lgs. n. 276 del 2003. L'ordinanza-ingiunzione si basa sul verbale unico di accertamento e notificazione n. (...) del 4/11/2019, con il quale l'ITL, a seguito di accesso ispettivo avviato in data 29/05/2019, accertava la presenza di due lavoratrici non risultanti dalla documentazione obbligatoria, nonché la non genuinità e la illiceità, ai sensi degli artt. 29, comma 1, e 18, comma 5bis, D.Lgs. n. 276 del 2003, del contratto di appalto stipulato in data 14/03/2018 tra l'odierno opponente e la (...) s.r.l. La parte ricorrente ha contestato le conclusioni del verbale di accertamento e quindi la sussistenza dell'illecito amministrativo, deducendo la genuinità dell'appalto intercorso con la società (...) s.r.l., sussistendo i requisiti richiesti dall'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 e considerato inoltre che era stato incaricato un preposto presso la committente e che periodicamente si recava presso la struttura un referente della (...). Parte ricorrente deduceva anche che la qualificazione contrattuale fra le parti era stata certificata ai sensi degli artt. 75 e ss del D.Lgs. n. 276 del 2003, eccependo l'assenza di colpa per aver fatto affidamento sulla genuinità del contratto, e denunciava l'illegittimità del verbale di accertamento presupposto, in quanto effettuato tardivamente in violazione del principio di ragionevolezza dei tempi dell'ispezione di cui all'art. 14 della L. n. 689 del 1981 e, comunque, carente di adeguata motivazione, nonché in quanto nell'ordinanza-ingiunzione non era stata attribuita alcuna responsabilità, né conseguenza sanzionatoria in capo alla (...), unico responsabile di ogni violazione. La difesa di (...) ha chiesto quindi di annullare l'ordinanza-ingiunzione impugnata o, in subordine, di rideterminare nel minimo edittale il quantum delle sanzioni. L'Ispettorato Territoriale del Lavoro ha contestato le eccezioni e difese attoree, richiamando il verbale ispettivo, gli accertamenti ivi svolti e le conclusioni dello stesso, ed ha chiesto pertanto il rigetto del ricorso. La causa, senza svolgimento di attività istruttoria, all'odierna udienza è stata discussa e decisa. Reputa questo Giudice che l'opposizione sia infondata e debba, pertanto, essere rigettata. Va, in primo luogo, rilevato che l'oggetto del presente giudizio è la fondatezza della pretesa sanzionatoria azionata dall'amministrazione convenuta, pretesa da attribuirsi per competenza solo tabellare al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. Attraverso l'opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa viene introdotto un giudizio ordinario di cognizione, sul fondamento della pretesa punitiva esercitata dall'amministrazione, nel quale il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità dell'opponente, la quale va dimostrata in giudizio mediante un'inversione dell'onere probatorio, inversione che accolla all'Amministrazione l'onere di fornire la prova della fondatezza degli addebiti e della responsabilità del contravventore ingiunto. Posto, quindi, che oggetto dell'opposizione non è l'accertamento della legittimità dell'atto amministrativo, ma la pretesa sanzionatoria (Cass. 7.3.2007, n. 5277; Cass. 20.8.1997, n. 7779), e che il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l'atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, i vizi di motivazione dell'atto opposto, così come in genere i vizi di procedura, non determinano la nullità del provvedimento (Cass. 21.5.2018, n. 12503; Cass. SS UU 28.01.2010, n. 1786). Deve essere disattesa anche la doglianza relativa al mancato rispetto dei termini di cui all'articolo 14 della L. n. 689 del 1981: ritenuto, unitamente all'unanime giurisprudenza di legittimità, che la possibilità di "contestazione immediata" debba essere circoscritta all'ipotesi di attività di mera constatazione di dati elementari, che non richiedano cioè alcuna valutazione, dovendosi pertanto fare riferimento al momento in cui l'amministrazione possa ritenersi aver acquisito adeguata conoscenza degli estremi, non solo di fatto ma anche interpretativi, dell'infrazione, basti considerare come, se è vero che il primo accertamento è iniziato con l'accesso ispettivo del 29/05/2019, quando è stato adottato il provvedimento di sospensione per l'occupazione irregolare delle lavoratrici, lo stesso si è concluso con riferimento al contratto di appalto in corso di esecuzione solo in data 22/10/2019, quando, una volta ultimata l'acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori, è stata presentata anche una richiesta di intervento da parte della lavoratrice (...), ed è, quindi, da tale data che decorre il dies a quo dei 90 giorni di cui all'art. 14 L. n. 689 del 1981, termine che pertanto nella fattispecie è stato rispettato, visto che l'organo di vigilanza ha notificato la relativa contestazione in data 4/11/2019. Parimenti infondata è la doglianza relativa al fatto che l'omesso versamento da parte della (...) dei contributi in favore delle lavoratrici interessate dalla contestazione dovrebbe confermare che tale società fosse l'effettivo datore di lavoro dei lavoratori indicati nell'ordinanza-ingiunzione. Invero, come evidenziato dall'Amministrazione resistente, tali contestazioni di natura contributiva sono estranee al presente giudizio e, in ogni caso, tali inadempienze contributive devono essere regolarizzate dalla ditta utilizzatrice. Anche l'eccezione circa la ritenuta efficacia preclusiva di cui all'art. 79 D.Lgs. n. 276 del 2003, costituita dalla esistenza di un contratto di appalto di servizi certificato dalla Commissione di Certificazione Unitaria presso l'Ente Paritetico Bilaterale ENBLI di Roma deve essere respinta. Sulla questione va, in primo luogo, osservato come l'eventuale presunzione di regolarità del contratto e di correttezza della qualificazione derivanti dalla pretesa certificazione non possano comunque impedire l'accertamento, in fatto, da parte degli organi pubblici di vigilanza, in ordine alle concrete modalità di svolgimento del rapporto ed al rispetto delle condizioni contrattuali del rapporto. In secondo luogo, va rilevato come per l'accoglimento del motivo di opposizione svolto da parte ricorrente, sia in ogni caso necessario che un contratto di appalto certificato da ente legittimato possa ritenersi esistente. Nel caso di specie, si evidenzia che al fine di poter considerare la sussistenza di una valida certificazione del contratto, efficace ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 79 D.Lgs. n. 276 del 2003, è essenziale che l'ente bilaterale presso il quale è stata istituita la commissione che ha effettuato la certificazione di conformità sia espressione di una o più organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative. L'ITL ha, invece, rilevato come la Commissione difetti del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, espressione che va letta come riferita ad organizzazioni comparativamente più rappresentative e non semplicemente quali organizzazioni maggiormente rappresentative. A ciò si deve aggiungere che l'art. 78 comma 1 del D.Lgs. n. 276 del 2003 prevede espressamente che la procedura di certificazione del contratto di lavoro è volontaria e consegue obbligatoriamente ad una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro. In sostanza la procedura di certificazione presuppone la partecipazione di entrambe le parti del contratto, tant'è vero che l'istanza volta all'avvio del procedimento deve essere scritta e comune alle parti. Nella fattispecie, ciò non è accaduto, posto che, sebbene l'istanza di certificazione fosse stata sottoscritta anche dal (...), lo stesso non ha poi preso parte al procedimento. Si tratta di omissioni da parte del ricorrente che certamente escludono la sua buona fede e ciò a più forte ragione ove si consideri che l'errore sulla liceità del fatto, deve necessariamente riferirsi "alla posizione di colui che professionalmente risulta inserito in un determinato campo di attività ed è quindi tenuto non solo all'obbligo generico di conoscenza e informazione di ogni cittadino, ma anche a quello specifico in ordine alle norme che disciplinano quel campo di attività" (Cass. 10.09.99 n. 9642; Cass. 9.04.03 n. 5615). Quanto al merito, la pretesa sanzionatoria dell'Amministrazione opposta si fonda sul verbale unico di accertamento n. UD00001/2019-123-01 del 4/11/2019. In primo luogo, si evidenzia che il ricorrente non muove alcuna eccezione in ordine alla contestazione relativa all'impiego irregolare di due lavoratrici, di cui ai punti 1) e 2) dell'ordinanza-ingiunzione opposta, salvo che per il profilo del difetto di motivazione che in ogni caso, come sopra evidenziato, non può dar luogo a nullità del provvedimento impugnato. Tale contestazione, inoltre, trova puntuale riconoscimento nelle attività di verifica compiute durante l'accesso ispettivo, quando i funzionari ispettori hanno constatato la presenza attiva delle lavoratrici (...) e (...) e nelle dichiarazioni rilasciate dalle stesse e dal (...). Peraltro, quest'ultimo ha poi provveduto alla regolarizzazione delle suddette lavoratrici e all'integrale pagamento della somma aggiuntiva unica prevista dall'art. 14, comma 4, lett. c) del D.Lgs. n. 81 del 2008. Quanto, invece, all'illecito di cui al punto 3) dell'ordinanza impugnata, secondo la Amministrazione opposta, dalle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori e dagli accertamenti svolti, emerge che la (...) s.r.l. ha illecitamente fornito alla ditta (...) la forza lavoro delle lavoratrici (...), (...), (...), (...), (...) e (...) in virtù di un contratto di appalto, avente ad oggetto lo svolgimento del "servizio di sala, servizio alle camere, servizio di somministrazione di bevande da banco, servizio di pulizia" presso i locali dell'Hotel "Centrale", che deve ritenersi non genuino ed illecito, tenuto conto delle concrete modalità di esecuzione dei servizi, atteso che nella vigenza del rapporto il (...) esercitava sui dipendenti della appaltatrice i poteri tipici del datore di lavoro, utilizzando le prestazioni lavorative secondo le proprie necessità, adattandole al proprio sistema organizzativo, utilizzando le proprie attrezzature, con ciò beneficiando di bassissimi costi di gestione della forza lavoro. Come è noto, a mente dell'art. 1655 c.c., l'appalto è il contratto con cui una parte - appaltatore - assume l'obbligo, verso un corrispettivo in danaro, di realizzare un'opera o un servizio commissionata da un'altra parte - committente -, attraverso un'organizzazione di mezzi e di risorse umane con assunzione a proprio carico del rischio imprenditoriale. Con particolare riferimento all'appalto di servizi, l'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, nel distinguerlo dalla diversa fattispecie giuridica della somministrazione di lavoro, qualifica l'appalto "per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa". Carattere essenziale del contratto di appalto è che la parte appaltatrice assuma, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso il corrispettivo in denaro, secondo lo schema dell'obbligazione di risultato. Nel contratto di somministrazione di manodopera, cui sarebbe nella sostanza riconducibile la fattispecie in ipotesi di non genuinità dell'appalto di servizi, invece l'impresa datore di lavoro fornisce dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e controllo dell'utilizzatore, secondo lo schema dell'obbligazione di mezzi. Pertanto, nel contratto di appalto i lavoratori devono restare nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne deve curare la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l'utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è intervenuta a dettagliare in modo adeguatamente specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come appalto, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale, ravvisandoli nei seguenti elementi: la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; l'inserimento stabile del personale dell'appaltatore nel ciclo produttivo del committente; l'identità dell'attività svolta dal personale dell'appaltatore rispetto quella svolta dei dipendenti del committente; la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l'espletamento delle attività; l'organizzazione da parte del committente dell'attività. Se, pertanto, va esclusa la liceità dell'appalto di solo lavoro, può accadere che l'oggetto dell'appalto si sostanzi nell'esecuzione di un servizio, in tutto o in parte, dematerializzato, nel quale, in concreto, l'apporto umano, ossia la prestazione di manodopera, risulta essere predominante rispetto all'impiego dei mezzi da parte dall'appaltatore. Si ha, invece, un fittizio contratto di appalto che maschera un'interposizione illecita di manodopera nell'ipotesi in cui l'appaltatore si limita a mettere a disposizione del committente esclusivamente mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti i quali, quindi, si ritrovano alle dipendenze dello pseudo committente che esercita su di essi i tipici poteri datoriali. L'orientamento ormai costante e consolidato della giurisprudenza è nel senso che nei c.d. "appalti leggeri", intendendosi per tali quelli "in cui l'attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro" (Cass. n. 14371/2020), è sufficiente, ai fini della liceità, che in capo all'appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti (Cass. n. 21413/2019), e che il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dal citato articolo 29, possa individuarsi, in presenza di particolari esigenze dell'opera o del servizio, anche nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (Cass. n. 30694/2018). Si è ritenuto, pertanto, che, se, da un lato, l'appaltatore in relazione alla particolarità dell'opera o del servizio può limitarsi a mettere a disposizione del committente la propria professionalità, intesa quale capacità organizzativa e direttiva delle maestranze, dall'altro è requisito imprescindibile per la configurabilità di un appalto lecito che sia l'appaltatore medesimo a organizzare il processo produttivo con impiego di manodopera propria ed esercitando sui propri lavoratori un potere direttivo effettivo e non meramente formale. Viceversa si è configurata una intermediazione illecita "ogni qual volta l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo a lui, datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo" (Cass. n. 7898/2011; Cass. n. 27213/2018; Cass. n. 27105/2018). Si è ritenuto, infine, che una volta accertata la estraneità dell'appaltatore alla organizzazione e direzione dei lavoratori impiegati nell'esecuzione dell'appalto, non rileva che l'impresa appaltatrice sia effettivamente operante sul mercato, posto che se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò solo deve escludersi l'organizzazione del servizio ad opera dell'appaltatore (Cass. n. 11720/2009). Ciò premesso, e considerato che, in base alle richiamate regole di ripartizione dell'onere della prova, spetta all'Amministrazione opposta l'onere di dimostrare il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria azionata, si osserva come, nella specie, con riferimento al contratto di appalto de quo, siano emersi all'atto dell'accertamento ispettivo plurimi elementi che inducono a ritenere la illegittimità e non genuinità dell'appalto. Il servizio appaltato non corrisponde ad un "fare", bensì un "dare" in quanto coincide con mere mansioni lavorative che di fatto sono state svolte dai lavoratori oggetto di contestazione appositamente assunti dalla società pseudo appaltatrice (...) s.r.l. e successivamente inseriti all'interno dell'organizzazione imprenditoriale della ditta (...) pseudo committente. In merito alle dinamiche lavorative hanno rilevanza decisiva le dichiarazioni rese agli ispettori da alcuni lavoratori e dallo stesso ricorrente. (...), che ha lavorato presso l'Hotel Centrale dal 2016, ha dichiarato, infatti, in data 29/05/2019 di essere "dipendente della cooperativa, mi sembra si chiami (...) dal 2016 circa, forse da ottobre. ? All'inizio mi sono presentata dal sig. (...) e da sua moglie perché sapevo che avevano bisogno di una persona per pulire ai piani. Ho fatto il colloquio di lavoro con i titolari; di fatto non ho avuto alcun contatto diretto con la cooperativa. Non ho mai incontrato né rappresentanti né impiegati della cooperativa. Ho ricevuto il contratto della cooperativa direttamente dal sig. (...). Il sig. (...) mi ha detto quante ore avrei dovuto lavorare e che tipo di mansioni dovevo svolgere. Tutte le direttive in merito al lavoro le ho ricevute dal sig. (...). In caso di assenza per ferie e/o permessi mi rivolgo al sig. (...). Non ho alcun contatto con la cooperativa. (...) le buste paga della cooperativa dal sig. (...). ... Ogni fine mese comunico al sig. (...) le ore di lavoro effettuate e lui compila un prospetto, che io non firmo". Anche (...), che ha lavorato presso l'Hotel Centrale da maggio 2017 a marzo 2019, sentita dagli Ispettori in data 6/09/2019, ha riferito di essersi "presentata per un colloquio che ho sostenuto con lo stesso (...), il quale mi ha chiarito che aveva bisogno di personale e che se fossi stata interessata mi avrebbe assunto tramite una cooperativa di Roma che si chiamava (...) COOP (...). Effettivamente sempre tramite (...) che mi ha fatto firmare tutti i documenti sono stata assunta. Io non ho mai visto, né parlato con nessuno della cooperativa. Nell'aprile 2018 la cooperativa ha cambiato nome in (...), ma il mio rapporto di lavoro con (...) è rimasto invariato. N. di (...)C. ho mai visto nessuno. ... Era sempre (...) che organizzava il lavoro e che mi chiamava a seconda delle sue esigenze. ... Per le ferie o per eventuali permessi mi sono sempre rivolta al sig. (...) in quanto non ho mai avuto contatti con la società di (...). Le ore di lavoro le segnava (...) e poi le trasmetteva lui a Roma per l'elaborazione delle buste paga". Tali circostanze sono state confermate anche da (...), che ha dichiarato agli ispettori in data 6/09/2019 di aver che "(...) cercava personale da impiegare nel bar di (...) e mi sono presentata per un colloquio. Ho parlato con (...), il quale mi ha spiegato quello che gli serviva e che mi avrebbe assunto tramite una cooperativa di (...). Per l'assunzione ho consegnato i miei documenti a (...). Io non ho mai parlato direttamente, con nessuno della cooperativa e nemmeno con nessuno della (...) srl. ? Gli stipendi mi vengono pagati tramite bonifico in banca, mentre per tutto quanto riguarda l'organizzazione del mio lavoro faccio direttamente riferimento a (...), per cui se ho bisogno di ferie o permessi chiedo direttamente a lui. È sempre (...) che predispone i turni di lavoro e che mi chiama al lavoro. ... Per quanto riguarda i miei prospetti di paga, (...) srl li trasmette a (...), lui li stampa e me li consegna. ... Lavoro con altre 3 persone che sono (...), (...) e (...) che lavora lì da circa 20 anni è dipendente diretta di (...), (...) è come me dipendente di (...) mentre (...), che doveva essere assunta da (...), dopo il vostro controllo è stata assunta direttamente da (...). Ho parlato alcune volte con (...) a Roma in occasione di un periodo di malattia e per il 730, ma ho difficoltà a contattarli e non rispondono quasi mai. Quando serve qualcosa di urgente, tipo per il 730, sia io che (...) siamo riuscite a contattarli tramite (...). ... Attualmente oltre a me e (...) c'è anche la cameriera ai piani, che si chiama (...) che è una dipendente di (...) srl. (...) che è un'altra dipendente di (...)". Anche (...), nella richiesta di intervento presentata il 22/10/2019 ha confermato le circostanze già riportate dalle sue colleghe, in ordine alla ricezione delle buste paga direttamente da (...), che le impartiva anche tutte le direttive di lavoro. Lo stesso ricorrente ha riferito agli ispettori in data 29/05/2019 che "dipendenti mie dirette sono (...) e (...) ed entrambe sono occupate con contratto part-time. Tutte le altre sono dipendenti di una cooperativa (...) s.r.l. di (...) con la quale ho stipulato un contratto di appalto. Preciso che tutto il personale della cooperativa è scelto da me, sono io che faccio i colloqui preventivi passando poi i nominativi alla cooperativa per formalizzare l'assunzione. Sono io che fisso e decido gli orari di lavoro e le mansioni. Eventuali richieste di assenze vengono comunicate a me e sono sempre io che coordino e gestisco il personale. Giornalmente rilevo le ore di ognuno di loro su apposito prospetto e mensilmente trasmetto il prospetto per l'elaborazione delle paghe a (...) amministrazione Roma via mail. Le buste paga delle lavoratrici fino al mese scorso venivano mandate alla mia mail, io provvedevo a stamparle e a consegnarle alle lavoratrici. ... Inizialmente ho avuto contatti con (...) della filiale di (...) che è venuto qui in azienda. Poi ho sempre avuto contatti telefonici con lui o con Licia della sede di (...)". In un genuino contratto di appalto, la gestione degli orari incombe sull'appaltatore, il quale si impegna a realizzare un'opera o a fornire un servizio a nulla rilevando per il committente le ore impiegate dal personale ai fini della corretta esecuzione del servizio o realizzazione dell'opera. Dalle dichiarazioni rese dai lavoratori e dallo stesso ricorrente in sede ispettiva è emerso, invece, che per tutto il periodo oggetto di contestazione i medesimi hanno svolto le proprie mansioni sotto la direzione e il controllo del (...), che stabiliva le direttive, i turni, i riposi e le ferie dei lavoratori, e che registrava le ore di lavoro impiegate dal personale. Nella sostanza il rapporto fiduciario, quello che deve legare il lavoratore al datore di lavoro, la scelta del lavoratore, le mansioni concrete, le direttive generali e quotidiane, il contenuto della prestazione, sono state di esclusiva pertinenza di (...), reale datore di lavoro. In relazione alla efficacia probatoria delle dichiarazioni rese in sede ispettiva, va rilevato che esse, pur non avendo il valore di una testimonianza, sono tuttavia liberamente valutabili e apprezzabili dal giudice, il quale può anche considerarle prova sufficiente delle circostanze riferite al pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso d'altri elementi renda superfluo l'espletamento di ulteriori mezzi istruttori (cfr. Cass. n. 9827/2000, Cass. n. 3525/2005, Cass. n. 15073/2008). Dette dichiarazioni, inoltre, proprio in quanto rese nell'immediatezza dell'accertamento ispettivo e, quindi, a sorpresa, senza possibilità, per il soggetto ispezionato, di precostituire una linea difensiva, debbono ritenersi del tutto genuine ed attendibili. Ciò posto, le dichiarazioni rese dal ricorrente, corroborate da quanto affermato dagli altri lavoratori sentiti dagli ispettori, assumono dal punto di vista probatorio rilievo determinante, risultando dalle stesse che l'assunzione dei lavoratori è stata determinata da una esigenza della ditta pseudo committente; che l'attività della (...) si limitava al pagamento delle retribuzioni, sulla base dei prospetti orari mensili inviati dalla stessa ditta individuale e alla redazione delle buste paga dei dipendenti. L'attività della (...) s.r.l. si è limitata, quindi, al mero invio dei lavoratori presso la ditta (...), affinché questa ultima ne utilizzasse le prestazioni lavorative secondo le proprie esigenze produttive ed adattandole alla propria organizzazione, senza alcuna autonomia gestionale da parte dell'appaltatore, né alcun potere organizzativo di quest'ultimo nella direzione dei lavoratori, nelle scelte dei tempi e delle modalità di lavoro. D'altra parte, la stessa tipologia del servizio oggetto del contratto appare sintomatica dell'illiceità dell'appalto, atteso che lo stesso non ha natura accessoria e marginale rispetto all'attività di impresa della ditta committente, né costituisce un servizio in sé compiuto ed autonomo, ovvero una sezione del processo produttivo della medesima società. E. invece di per sé rappresenta l'attività principale della società appaltante con una completa sovrapposizione tra l'attività della società committente e quella dell'appaltatore, avuto anche riguardo alla circostanza che (...) aveva solo due dipendenti. Anche le modalità di determinazione del corrispettivo dell'appalto inducono a ritenere fondata la tesi dell'ITL circa la illiceità dell'appalto in esame. Invero dalle dichiarazioni rese dal (...) agli Ispettori è emerso che il corrispettivo effettivamente pattuito tra le parti era orario, quindi non correlato al risultato finale, e che mensilmente lo stesso trasmetteva alla (...) s.r.l. il prospetto con il conteggio delle ore lavorate dai dipendenti in base al quale veniva emessa la fattura. La tesi sostenuta dall'ITL deve ritenersi, pertanto, provata e fondata con conseguente rigetto della opposizione proposta. Da ultimo, non può trovare accoglimento l'eccezione proposta in via subordinata da parte ricorrente di rideterminazione delle sanzioni irrogate. Quanto alle sanzioni di cui ai punti 1) e 2), come evidenziato dall'Amministrazione convenuta, le stesse sono state calcolate tenendo conto del numero delle lavoratrici occupate e delle giornate di occupazione, e sono più vicine al minimo edittale; per quanto riguarda l'illecito di cui al punto 3) l'importo della sanzione sarebbe stato superiore alla soglia massima prevista dall'art. 1, comma 6, del D.Lgs. n. 8 del 2016 e, quindi, correttamente l'Ispettorato ha ridotto la stessa ad Euro 50.000,00. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo in applicazione del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dello scaglione di riferimento e dell'attività prestata e per le sole fasi introduttiva, di studio e decisoria, non essendosi svolta attività istruttoria ulteriore rispetto all'esame dei documenti prodotti unitamente agli atti introduttivi delle parti. P.Q.M. Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, in persona del Giudice del Lavoro dr.ssa Ilaria Chiarelli, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, 1) rigetta il ricorso; 2) condanna l'opponente all'integrale rifusione delle spese del presente giudizio, sostenute dalla parte resistente opposta, spese che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi a titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come per legge. Così deciso in Udine il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Daniele Faleschini Barnaba Giudice Monocratico, alia pubblica udienza del 02/03/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) a (...) (U.) residente in Via Degli O. 9/14 - L. S. (U.) - con domicilio ivi dichiarato - - libero non presente - già presente Difeso dall'avvocato di fiducia LIZZI Daniela del foro di Udine IMPUTATO (...) del reato p. e p. dall'art. 612bis comma 1, 2 c.p., per avere, con condotte reiterate, molestato l'ex fidanzata (...), in modo tale da cagionare alla stessa un perdurante e grave stato di ansia e di paura e tale da ingenerare in lei il timore per l'incolumita propria, costringendola inoltre ad alterare le sue abitudini di vita avendo paura che Io stesso potesse presentarsi presso la sua abitazione. In particolare, dopo la fine della relazione, durata solamente tre settimane, (...), ossessionato dalla rottura della relazione con l'ex fidanzata, sia prima che successivamente all'ammonimento ricevuto dal Questore di Udine (notified del 21.01.2020) molestava la stessa con i seguenti comportamenti: - le inviava messaggi tramite l'applicativo whatsapp o tramite SMS; - le inviava messaggi tramite il sintetizzatore vocale usato dalla propria madre, affetta da una grave malattia; - le inviava in data 08.08.2019 un mazzo di fiori e si presentava presso la sua abitazione suonando insistentemente il campanello; - le inviava vari messaggi tramite vari profili facebook; - in data 08.09.2019 si presentava presso il centra benessere di Cividale del Friuli, dicendo a (...) che si era presentato in tale luogo in quanto la sera stessa dovevano vedersi; - le inviava messaggi whatsapp con altre utenze telefoniche. Con l'intervento del P.M. dr.ssa Pa.Re. (con delega) e del difensore di fiducia avv.to Da.Li. del foro di Udine. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del g.u.p. di data 15.9.2022 l'imputato (...) veniva tratto a giudizio per rispondere dell'imputazione di cui alla rubrica. All'udienza del 3.11.2022, in presenza dell'imputato, non presente la persona offesa (...), si dichiarava aperto il dibattimento e si ammettevano le prove con ordinanza resa ex art. 495 c.p.p.. All'udienza del 10.1.2023 si procedeva all'esame dei testi (...) ed altri; su accordo delle parti si acquisivano atti e documenti del fascicolo del pubblico ministero, il quale rinunciava all'esame di alcuni testi di lista. All'udienza del 2.3.2023, acquisiti ulteriori atti, respinta la richiesta della difesa di disporre perizia medico-psichiatrica sulla persona dell'imputato e dichiarata l'utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale, le parti concludevano come in epigrafe e il giudice pronunziava come da dispositive. La penale responsabilità dell'imputato risulta provata oltre la soglia del ragionevole dubbio per il reato contravvenzionale di cui all'art. 660 c.p., cosi riqualificandosi l'imputazione ascritta. La persona offesa (...) ha riferito nel corso della deposizione testimoniale da lei resa in sede dibattimentale di aver intrattenuto una breve relazione sentimentale con l'odierno imputato, durata alcune settimane nel luglio del 2019; ella aveva preso la decisione di interrompere la relazione, ritenendo che la personalità del (...) fosse fragile e che, reputandosi anch'ella una persona fragile, la relazione non sarebbe potuta proseguire nel tempo; dopo l'interruzione dei rapporti l'imputato aveva iniziato a inviarle numerosi messaggi telefonici sull'utenza (...) ed e-mail, in cui le chiedeva spiegazioni dell'accaduto, e aveva tentato anche di rivederla, recandosi in un'occasione presso un centro benessere di Cividale del Friuli, che ella era solita frequentare; in tale circostanza, avvenuta in data 8.9.2019, ella gli aveva intimate di allontanarsi in mate modo e aveva richiesto anche l'intervento delle forze dell'ordine; il (...) le aveva fatto anche pervenire un mazzo di fiori e in altra occasione si era portato all'esterno della sua abitazione, bussando o suonando il campanello a lungo, ma ella si era rifiutata di incontrarlo e di parlare con lui; egli l'aveva poi incontrata a Grado e in tale circostanza vi era state un colloquio che, secondo la (...), doveva ritenersi chiarificatore; essendo le sue utenze state bloccate dalla (...), l'imputato aveva chiesto a terze persone di contattarla per richiederle spiegazioni e intercedere in suo favore; la persona offesa non aveva mai inteso dargli esplicite delucidazioni in merito alla decisione di interrompere la relazione; il (...) non aveva mai posto in essere atti di vera e propria minaccia, ne di aggressivita fisica, ma era ricorso alla prospettazione dell'intento di togliersi la vita per esercitare pressione psicologica su di lei; per tali ragioni in data 16.9.2019 la (...) aveva richiesto l'emissione dell'ammonimento del Questore; il provvedimento del Questore di Udine, in atti, era state notificato all'imputato in data 21.1.2020, ma le condotte insistenti del (...) erano proseguite per qualche tempo anche in epoca successiva all'ammonimento; la (...) si era anche determinata a presentare una denuncia-querela in data 8.6.2020, che aveva poi rimesso in data 13.2.2022, ma l'imputato aveva dichiarato di non voler accettare la remissione in data 16.2.2022. Dalia documentazione acquisita e dalle deposizioni testimoniali rese dai sanitari si e evidenziato che la persona offesa aveva sofferto di stati d'ansia in conseguenza dei comportamenti temiti dall'imputato nei suoi confronti; le era stata prescritta anche l'assunzione di una terapia farmacologica. La condizione di forte turbamento emotivo dell'imputato, conseguente alla fine della relazione, e stata descritta in sede di deposizione testimoniale e di verbale s.i.t. di data 15.11.2020, acquisito su accordo delle parti, dall'amico (...), il quale aveva tentato di confortarlo e lo aveva anche accompagnato all'ospedale a seguito di un malessere da lui accusato in data 15.9.2019; in tale occasione il teste aveva inviato dei messaggi telefonici alla (...) per informarla dell'accaduto, ai quali costei aveva risposto in tono seccato, rifiutando ogni coinvolgimento; il teste ha riferito che l'imputato non riusciva a capacitarsi della fine della relazione e della mancanza di spiegazioni da parte della (...). Circostanze di contenuto analogo ha riferito in sede dibattimentale e nei verbali s.i.t. di data 23.5.2020 e 17.11.2020, acquisiti su accordo delle parti, anche il padre dell'imputato (...)G., il quale aveva avuto modo di constatare il peggioramento dello stato d'animo del figlio in conseguenza della fine della relazione con la persona offesa; nell'aprile del 2020 egli si era anche rivolto al mar. (...) in servizio alla Stazione Carabinieri di Aiello del Friuli e alla Stazione Carabinieri di (...), esponendo la situazione di grave malessere psicologico del figlio, il quale si era anche avvalso del sintetizzatore vocale in uso alla madre, gravemente ammalata, al fine di inviare dei messaggi telematici alla (...); il figlio manifestava una vera e propria ossessione nei confronti di costei, esprimeva anche propositi autosoppressivi e accusava i genitori di non volerlo aiutare nei suo pervicace proposito di incontrarla per chiederle spiegazioni; in data 22.5.2020 il teste aveva contattato telefonicamente la (...), ma costei aveva bruscamente interrotto la chiamata. Anche l'amica dell'imputato (...) riferiva nei verbale s.i.t. di data 26.11.2020, acquisito su accordo delle parti, di avere invano contattato la (...) su richiesta del (...) nei corso dei mesi estivi del 2019 per tentare una riconciliazione; era al corrente del fatto che la persona offesa aveva incontrato l'imputato in occasione di una gita a Grado; un precedente incontro era avvenuto per iniziativa del solo (...) presso il centro benessere di Cividale del Friuli frequentato dalla (...), ma in tale occasione era stato da costei richiesto l'intervento delle forze dell'ordine; successivamente la teste non si era più interessata della vicenda, ritenendo che la situazione stesse diventando troppo delicata; nei marzo-aprile del 2020 aveva ricevuto dei messaggi nei quali l'imputato le manifestava intenti autosoppressivi e il proposito di sottoporsi a eutanasia in Svizzera; in seguito aveva avuto notizia che l'imputato non stava bene e veniva sovente ricoverato in ospedale. Dalla documentazione acquisita e dalle deposizioni rese dai dott.ri (...) e (...) risulta che l'imputato era seguito dai servizi psichiatrici dall'aprile 2020 per disturbo dell'umore e ideazione ossessiva avente a oggetto la cessata relazione sentimentale con la persona offesa; nel corso dei colloqui con i sanitari il (...) esprimeva costantemente la richiesta di poter avere un colloquio chiarificatore con la (...) in merito alla fine della relazione. In sede di interrogatorio delegato di data 22.2.2021 l'imputato dichiarava di avere contattato la persona offesa, direttamente o per interposta persona, al solo fine di ottenere da lei delle spiegazioni sulla fine della relazione e di essere rimasto sorpreso dalla richiesta di ammonimento presentata dalla (...), non avendo egli inteso commettere alcun atto doloso ed essendosi limitato a cercare di contattarla, a inviarle un mazzo di fiori e a recarsi in un'occasione a casa di lei; durante la relazione costei gli aveva riferito di soffrire di una patologia che la portava ad allontanare le persone e l'aveva pregato di contrastare tale sua inclinazione. L'ascritto delitto di cui all'art. 612 bis c.p. richiede la prova della sussistenza di condotte reiterate, sorrette anche dal solo dolo generico - non essendo richiesta la prova della specifica finalità di cagionare alla persona offesa una o più delle conseguenze previste quali effetti delle condotte di reato -, con le quali vengano arrecate minacce o molestie alla persona offesa in modo da cagionarle un perdurante e grave state d'ansia o di paura o da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità o da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita; trattasi di eventi alternativi, la cui contemporanea presenza non e richiesta dalla norma incriminatrice, essendo sufficiente che si verifichi anche uno soltanto dei suddetti effetti perturbativi dello state d'animo o delle abitudini di vita della vittima del reato; non rileva a escludere il reato l'esistenza di intervalli tra le condotte, di periodi di attenuazione delle medesime o di temporanei riavvicinamenti tra le parti e non e necessaria la prova della causazione nella persona offesa di un vero e proprio state patologico, clinicamente conclamato (tra le molte: Cass. sez. V, 15.12.2020 n. 14862; Cass. sez. V, 11.12.2019 n. 17000; Cass. sez. V, 11.2.2019 n. 28340; Cass, sez. V, 3.4.2018 n. 33842; Cass. sez. V, 3.4.2017 n. 35588; Cass. sez. V, 6.12.2016 n. 22194; Cass. sez. V, 24.9.2015 n. 43085; Cass. sez. V, 24.4.2015 n. 49613; Cass, sez. III, 16.1.2015 n. 9222; Cass. sez. V, 5.11.2014 n. 51718; Cass. sez. VI, 14.10.2014 n. 50746; Cass. sez. V, 16.9.2014 n. 5313). Nel caso in esame appare tuttavia insufficiente la prova del reato ascritto, non constando dalla deposizione resa dalla persona offesa, ne da altre risultanze dibattimentali, che le condotte dell'imputato abbiano assunto i connotati di intensità tali da ingenerare nella vittima almeno uno degli effetti psicologici o comportamentali previsti dalla disposizione incriminatrice, a cui non bastando un mero state di preoccupazione che non si traduca in un significative turbamento d'animo o non si accompagni ad apprezzabili modificazioni della condotta di vita della persona offesa; la (...) presentava già delle pregresse problematiche psicologiche, di modo che non si sono evidenziate risultanze certe da cui desumere la prova che tale situazione fosse, in tutto o in parte, conseguenza degli atti commessi dall'imputato, tenendosi conto anche del comportamento della persona offesa, che si rifiutava di fornire all'imputato i richiesti chiarimenti e manteneva tale atteggiamento, certo legittimo ma forse eccessivamente drastico, anche nei confronti dei tentativi di terze persone, intervenute nella vicenda perche preoccupate dal crescente malessere psicologico ed emotivo manifestato dal (...); forse la tempestiva esplicitazione di un chiarimento sarebbe stata sufficiente a tacitare le pretese del (...), certamente eccessive e importune, ma originate da un reale e significative state di malessere che rendeva anche necessario il ricorso alle cure dei sanitari. Residua peraltro nelle condotte dell'imputato la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., avendo egli recato molestia o disturbo alla persona offesa col mezzo del telefono o in luoghi pubblici o aperti al pubblico; la molestia è ravvisabile in ragione dell'eccesso nelle modalità e nella frequenza delle richieste di chiarimenti e di incontri, il quale configura la petulanza richiesta dalla disposizione incriminatrice, consistendo essa nell'insistenza, ingiustificata e non gradita dalla destinataria, dei comportamenti invasivi della sua sfera personale e pertanto perturbativi della sua tranquillità. Sussiste la procedibilità del reato, come modificata dall'art. 3 comma 1 lett. b) del D.Lgs. n. 150 del 1922 a decorrere dal 30.12.2022, in ragione della presentazione della citata denuncia-querela da parte della persona offesa, essendo la remissione della stessa priva di effetto in quanto ricusata dall'imputato a norma dell'art. 155 comma 1 c.p. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato come sopra riqualificato, trattandosi di mera ridefinizione giuridica che non immuta gli elementi di fatto delle condotte; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per l'assenza di positivi elementi di meritevolezza che giustifichino la relativa diminuzione di pena, non essendo sufficiente a tal fine il mero stato di incensuratezza a norma dell'art. 62 bis u.c. c.p., e da ritenersi congrua la pena di Euro 450 di ammenda. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Lo stato di incensuratezza consente la concessione del beneficio della non menzione della condanna a norma dell'art. 175 c.p.. Appare congrua l'assegnazione del termine di quindici giorni per il deposito della sentenza a norma dell'art. 544 comma 2 c.p.p.. P.Q.M. Il Tribunale di Udine sezione penale in composizione monocratica, letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato (...) colpevole del reato di cui all'art. 660 c.p., così riqualificata l'imputazione, e lo condanna alla pena di Euro 450,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Non menzione della condanna. Motivazione riservata nel termine di 15 giorni. Così deciso in Udine il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

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