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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Udine, in persona del Giudice Unico del Lavoro dott.ssa Ilaria Chiarelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di primo grado iscritta in data 02/01/2023 al n. 4 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili - Controversie in materia di Lavoro e di Previdenza o Assistenza Obbligatorie per l'anno 2023, discussa all'udienza del giorno 27/04/2023 PROMOSSA DA (...), quale titolare dell'impresa individuale "(...)", con l'avv. Vi.Fa. e con l'avv. Pe.Er. RICORRENTE OPPONENTE CONTRO (...), in persona del capo dell'Ispettorato pro tempore RESISTENTE OPPOSTO OGGETTO: "Opposizione all'ordinanza-ingiunzione ex artt. 22 e ss. L689/1981, lavoro/previdenza" RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 02/01/2023 (...), nella sua veste di titolare della impresa individuale "(...)", ha impugnato l'ordinanza-ingiunzione n. 388-22/58 prot n. (...), dd. 24/11/2022, con cui era stato a lui ingiunto il pagamento della somma complessiva di Euro 59.472,25, comprensiva delle spese di notifica, per la violazione dell'art. 3, commi 3 e 3 ter, convertito con modificazioni dalla L. n. 73 del 2022, come sostituito dall'art. 22, comma 1, del D.Lgs. n. 151 del 2015, per aver impiegato nel periodo compreso tra il 15 e il 29.05.2019, per un totale di 13 giornate, e tra l'1.04.2019 e il 29.05.2019, per complessive 47 giornate, le prestazioni di due lavoratrici in assenza di preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, nonché degli artt. 29, comma 1, e 18, comma 5 bis, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, così come modificato dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 8 del 2016, per aver utilizzato nel periodo compreso tra l'aprile 2018 e il dicembre 2019, per un totale di 1.382 giornate, le prestazioni di 6 lavoratori (nominativamente indicati negli specchietti inseriti nell'ordinanza-ingiunzione) nell'ambito di un appalto privo dei requisiti di cui all'art. 29 co. 1 D.Lgs. n. 276 del 2003. L'ordinanza-ingiunzione si basa sul verbale unico di accertamento e notificazione n. (...) del 4/11/2019, con il quale l'ITL, a seguito di accesso ispettivo avviato in data 29/05/2019, accertava la presenza di due lavoratrici non risultanti dalla documentazione obbligatoria, nonché la non genuinità e la illiceità, ai sensi degli artt. 29, comma 1, e 18, comma 5bis, D.Lgs. n. 276 del 2003, del contratto di appalto stipulato in data 14/03/2018 tra l'odierno opponente e la (...) s.r.l. La parte ricorrente ha contestato le conclusioni del verbale di accertamento e quindi la sussistenza dell'illecito amministrativo, deducendo la genuinità dell'appalto intercorso con la società (...) s.r.l., sussistendo i requisiti richiesti dall'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 e considerato inoltre che era stato incaricato un preposto presso la committente e che periodicamente si recava presso la struttura un referente della (...). Parte ricorrente deduceva anche che la qualificazione contrattuale fra le parti era stata certificata ai sensi degli artt. 75 e ss del D.Lgs. n. 276 del 2003, eccependo l'assenza di colpa per aver fatto affidamento sulla genuinità del contratto, e denunciava l'illegittimità del verbale di accertamento presupposto, in quanto effettuato tardivamente in violazione del principio di ragionevolezza dei tempi dell'ispezione di cui all'art. 14 della L. n. 689 del 1981 e, comunque, carente di adeguata motivazione, nonché in quanto nell'ordinanza-ingiunzione non era stata attribuita alcuna responsabilità, né conseguenza sanzionatoria in capo alla (...), unico responsabile di ogni violazione. La difesa di (...) ha chiesto quindi di annullare l'ordinanza-ingiunzione impugnata o, in subordine, di rideterminare nel minimo edittale il quantum delle sanzioni. L'Ispettorato Territoriale del Lavoro ha contestato le eccezioni e difese attoree, richiamando il verbale ispettivo, gli accertamenti ivi svolti e le conclusioni dello stesso, ed ha chiesto pertanto il rigetto del ricorso. La causa, senza svolgimento di attività istruttoria, all'odierna udienza è stata discussa e decisa. Reputa questo Giudice che l'opposizione sia infondata e debba, pertanto, essere rigettata. Va, in primo luogo, rilevato che l'oggetto del presente giudizio è la fondatezza della pretesa sanzionatoria azionata dall'amministrazione convenuta, pretesa da attribuirsi per competenza solo tabellare al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. Attraverso l'opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa viene introdotto un giudizio ordinario di cognizione, sul fondamento della pretesa punitiva esercitata dall'amministrazione, nel quale il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità dell'opponente, la quale va dimostrata in giudizio mediante un'inversione dell'onere probatorio, inversione che accolla all'Amministrazione l'onere di fornire la prova della fondatezza degli addebiti e della responsabilità del contravventore ingiunto. Posto, quindi, che oggetto dell'opposizione non è l'accertamento della legittimità dell'atto amministrativo, ma la pretesa sanzionatoria (Cass. 7.3.2007, n. 5277; Cass. 20.8.1997, n. 7779), e che il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l'atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, i vizi di motivazione dell'atto opposto, così come in genere i vizi di procedura, non determinano la nullità del provvedimento (Cass. 21.5.2018, n. 12503; Cass. SS UU 28.01.2010, n. 1786). Deve essere disattesa anche la doglianza relativa al mancato rispetto dei termini di cui all'articolo 14 della L. n. 689 del 1981: ritenuto, unitamente all'unanime giurisprudenza di legittimità, che la possibilità di "contestazione immediata" debba essere circoscritta all'ipotesi di attività di mera constatazione di dati elementari, che non richiedano cioè alcuna valutazione, dovendosi pertanto fare riferimento al momento in cui l'amministrazione possa ritenersi aver acquisito adeguata conoscenza degli estremi, non solo di fatto ma anche interpretativi, dell'infrazione, basti considerare come, se è vero che il primo accertamento è iniziato con l'accesso ispettivo del 29/05/2019, quando è stato adottato il provvedimento di sospensione per l'occupazione irregolare delle lavoratrici, lo stesso si è concluso con riferimento al contratto di appalto in corso di esecuzione solo in data 22/10/2019, quando, una volta ultimata l'acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori, è stata presentata anche una richiesta di intervento da parte della lavoratrice (...), ed è, quindi, da tale data che decorre il dies a quo dei 90 giorni di cui all'art. 14 L. n. 689 del 1981, termine che pertanto nella fattispecie è stato rispettato, visto che l'organo di vigilanza ha notificato la relativa contestazione in data 4/11/2019. Parimenti infondata è la doglianza relativa al fatto che l'omesso versamento da parte della (...) dei contributi in favore delle lavoratrici interessate dalla contestazione dovrebbe confermare che tale società fosse l'effettivo datore di lavoro dei lavoratori indicati nell'ordinanza-ingiunzione. Invero, come evidenziato dall'Amministrazione resistente, tali contestazioni di natura contributiva sono estranee al presente giudizio e, in ogni caso, tali inadempienze contributive devono essere regolarizzate dalla ditta utilizzatrice. Anche l'eccezione circa la ritenuta efficacia preclusiva di cui all'art. 79 D.Lgs. n. 276 del 2003, costituita dalla esistenza di un contratto di appalto di servizi certificato dalla Commissione di Certificazione Unitaria presso l'Ente Paritetico Bilaterale ENBLI di Roma deve essere respinta. Sulla questione va, in primo luogo, osservato come l'eventuale presunzione di regolarità del contratto e di correttezza della qualificazione derivanti dalla pretesa certificazione non possano comunque impedire l'accertamento, in fatto, da parte degli organi pubblici di vigilanza, in ordine alle concrete modalità di svolgimento del rapporto ed al rispetto delle condizioni contrattuali del rapporto. In secondo luogo, va rilevato come per l'accoglimento del motivo di opposizione svolto da parte ricorrente, sia in ogni caso necessario che un contratto di appalto certificato da ente legittimato possa ritenersi esistente. Nel caso di specie, si evidenzia che al fine di poter considerare la sussistenza di una valida certificazione del contratto, efficace ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 79 D.Lgs. n. 276 del 2003, è essenziale che l'ente bilaterale presso il quale è stata istituita la commissione che ha effettuato la certificazione di conformità sia espressione di una o più organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative. L'ITL ha, invece, rilevato come la Commissione difetti del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, espressione che va letta come riferita ad organizzazioni comparativamente più rappresentative e non semplicemente quali organizzazioni maggiormente rappresentative. A ciò si deve aggiungere che l'art. 78 comma 1 del D.Lgs. n. 276 del 2003 prevede espressamente che la procedura di certificazione del contratto di lavoro è volontaria e consegue obbligatoriamente ad una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro. In sostanza la procedura di certificazione presuppone la partecipazione di entrambe le parti del contratto, tant'è vero che l'istanza volta all'avvio del procedimento deve essere scritta e comune alle parti. Nella fattispecie, ciò non è accaduto, posto che, sebbene l'istanza di certificazione fosse stata sottoscritta anche dal (...), lo stesso non ha poi preso parte al procedimento. Si tratta di omissioni da parte del ricorrente che certamente escludono la sua buona fede e ciò a più forte ragione ove si consideri che l'errore sulla liceità del fatto, deve necessariamente riferirsi "alla posizione di colui che professionalmente risulta inserito in un determinato campo di attività ed è quindi tenuto non solo all'obbligo generico di conoscenza e informazione di ogni cittadino, ma anche a quello specifico in ordine alle norme che disciplinano quel campo di attività" (Cass. 10.09.99 n. 9642; Cass. 9.04.03 n. 5615). Quanto al merito, la pretesa sanzionatoria dell'Amministrazione opposta si fonda sul verbale unico di accertamento n. UD00001/2019-123-01 del 4/11/2019. In primo luogo, si evidenzia che il ricorrente non muove alcuna eccezione in ordine alla contestazione relativa all'impiego irregolare di due lavoratrici, di cui ai punti 1) e 2) dell'ordinanza-ingiunzione opposta, salvo che per il profilo del difetto di motivazione che in ogni caso, come sopra evidenziato, non può dar luogo a nullità del provvedimento impugnato. Tale contestazione, inoltre, trova puntuale riconoscimento nelle attività di verifica compiute durante l'accesso ispettivo, quando i funzionari ispettori hanno constatato la presenza attiva delle lavoratrici (...) e (...) e nelle dichiarazioni rilasciate dalle stesse e dal (...). Peraltro, quest'ultimo ha poi provveduto alla regolarizzazione delle suddette lavoratrici e all'integrale pagamento della somma aggiuntiva unica prevista dall'art. 14, comma 4, lett. c) del D.Lgs. n. 81 del 2008. Quanto, invece, all'illecito di cui al punto 3) dell'ordinanza impugnata, secondo la Amministrazione opposta, dalle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori e dagli accertamenti svolti, emerge che la (...) s.r.l. ha illecitamente fornito alla ditta (...) la forza lavoro delle lavoratrici (...), (...), (...), (...), (...) e (...) in virtù di un contratto di appalto, avente ad oggetto lo svolgimento del "servizio di sala, servizio alle camere, servizio di somministrazione di bevande da banco, servizio di pulizia" presso i locali dell'Hotel "Centrale", che deve ritenersi non genuino ed illecito, tenuto conto delle concrete modalità di esecuzione dei servizi, atteso che nella vigenza del rapporto il (...) esercitava sui dipendenti della appaltatrice i poteri tipici del datore di lavoro, utilizzando le prestazioni lavorative secondo le proprie necessità, adattandole al proprio sistema organizzativo, utilizzando le proprie attrezzature, con ciò beneficiando di bassissimi costi di gestione della forza lavoro. Come è noto, a mente dell'art. 1655 c.c., l'appalto è il contratto con cui una parte - appaltatore - assume l'obbligo, verso un corrispettivo in danaro, di realizzare un'opera o un servizio commissionata da un'altra parte - committente -, attraverso un'organizzazione di mezzi e di risorse umane con assunzione a proprio carico del rischio imprenditoriale. Con particolare riferimento all'appalto di servizi, l'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, nel distinguerlo dalla diversa fattispecie giuridica della somministrazione di lavoro, qualifica l'appalto "per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa". Carattere essenziale del contratto di appalto è che la parte appaltatrice assuma, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso il corrispettivo in denaro, secondo lo schema dell'obbligazione di risultato. Nel contratto di somministrazione di manodopera, cui sarebbe nella sostanza riconducibile la fattispecie in ipotesi di non genuinità dell'appalto di servizi, invece l'impresa datore di lavoro fornisce dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e controllo dell'utilizzatore, secondo lo schema dell'obbligazione di mezzi. Pertanto, nel contratto di appalto i lavoratori devono restare nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne deve curare la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l'utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è intervenuta a dettagliare in modo adeguatamente specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come appalto, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale, ravvisandoli nei seguenti elementi: la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; l'inserimento stabile del personale dell'appaltatore nel ciclo produttivo del committente; l'identità dell'attività svolta dal personale dell'appaltatore rispetto quella svolta dei dipendenti del committente; la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l'espletamento delle attività; l'organizzazione da parte del committente dell'attività. Se, pertanto, va esclusa la liceità dell'appalto di solo lavoro, può accadere che l'oggetto dell'appalto si sostanzi nell'esecuzione di un servizio, in tutto o in parte, dematerializzato, nel quale, in concreto, l'apporto umano, ossia la prestazione di manodopera, risulta essere predominante rispetto all'impiego dei mezzi da parte dall'appaltatore. Si ha, invece, un fittizio contratto di appalto che maschera un'interposizione illecita di manodopera nell'ipotesi in cui l'appaltatore si limita a mettere a disposizione del committente esclusivamente mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti i quali, quindi, si ritrovano alle dipendenze dello pseudo committente che esercita su di essi i tipici poteri datoriali. L'orientamento ormai costante e consolidato della giurisprudenza è nel senso che nei c.d. "appalti leggeri", intendendosi per tali quelli "in cui l'attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro" (Cass. n. 14371/2020), è sufficiente, ai fini della liceità, che in capo all'appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti (Cass. n. 21413/2019), e che il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dal citato articolo 29, possa individuarsi, in presenza di particolari esigenze dell'opera o del servizio, anche nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (Cass. n. 30694/2018). Si è ritenuto, pertanto, che, se, da un lato, l'appaltatore in relazione alla particolarità dell'opera o del servizio può limitarsi a mettere a disposizione del committente la propria professionalità, intesa quale capacità organizzativa e direttiva delle maestranze, dall'altro è requisito imprescindibile per la configurabilità di un appalto lecito che sia l'appaltatore medesimo a organizzare il processo produttivo con impiego di manodopera propria ed esercitando sui propri lavoratori un potere direttivo effettivo e non meramente formale. Viceversa si è configurata una intermediazione illecita "ogni qual volta l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo a lui, datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo" (Cass. n. 7898/2011; Cass. n. 27213/2018; Cass. n. 27105/2018). Si è ritenuto, infine, che una volta accertata la estraneità dell'appaltatore alla organizzazione e direzione dei lavoratori impiegati nell'esecuzione dell'appalto, non rileva che l'impresa appaltatrice sia effettivamente operante sul mercato, posto che se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò solo deve escludersi l'organizzazione del servizio ad opera dell'appaltatore (Cass. n. 11720/2009). Ciò premesso, e considerato che, in base alle richiamate regole di ripartizione dell'onere della prova, spetta all'Amministrazione opposta l'onere di dimostrare il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria azionata, si osserva come, nella specie, con riferimento al contratto di appalto de quo, siano emersi all'atto dell'accertamento ispettivo plurimi elementi che inducono a ritenere la illegittimità e non genuinità dell'appalto. Il servizio appaltato non corrisponde ad un "fare", bensì un "dare" in quanto coincide con mere mansioni lavorative che di fatto sono state svolte dai lavoratori oggetto di contestazione appositamente assunti dalla società pseudo appaltatrice (...) s.r.l. e successivamente inseriti all'interno dell'organizzazione imprenditoriale della ditta (...) pseudo committente. In merito alle dinamiche lavorative hanno rilevanza decisiva le dichiarazioni rese agli ispettori da alcuni lavoratori e dallo stesso ricorrente. (...), che ha lavorato presso l'Hotel Centrale dal 2016, ha dichiarato, infatti, in data 29/05/2019 di essere "dipendente della cooperativa, mi sembra si chiami (...) dal 2016 circa, forse da ottobre. ? All'inizio mi sono presentata dal sig. (...) e da sua moglie perché sapevo che avevano bisogno di una persona per pulire ai piani. Ho fatto il colloquio di lavoro con i titolari; di fatto non ho avuto alcun contatto diretto con la cooperativa. Non ho mai incontrato né rappresentanti né impiegati della cooperativa. Ho ricevuto il contratto della cooperativa direttamente dal sig. (...). Il sig. (...) mi ha detto quante ore avrei dovuto lavorare e che tipo di mansioni dovevo svolgere. Tutte le direttive in merito al lavoro le ho ricevute dal sig. (...). In caso di assenza per ferie e/o permessi mi rivolgo al sig. (...). Non ho alcun contatto con la cooperativa. (...) le buste paga della cooperativa dal sig. (...). ... Ogni fine mese comunico al sig. (...) le ore di lavoro effettuate e lui compila un prospetto, che io non firmo". Anche (...), che ha lavorato presso l'Hotel Centrale da maggio 2017 a marzo 2019, sentita dagli Ispettori in data 6/09/2019, ha riferito di essersi "presentata per un colloquio che ho sostenuto con lo stesso (...), il quale mi ha chiarito che aveva bisogno di personale e che se fossi stata interessata mi avrebbe assunto tramite una cooperativa di Roma che si chiamava (...) COOP (...). Effettivamente sempre tramite (...) che mi ha fatto firmare tutti i documenti sono stata assunta. Io non ho mai visto, né parlato con nessuno della cooperativa. Nell'aprile 2018 la cooperativa ha cambiato nome in (...), ma il mio rapporto di lavoro con (...) è rimasto invariato. N. di (...)C. ho mai visto nessuno. ... Era sempre (...) che organizzava il lavoro e che mi chiamava a seconda delle sue esigenze. ... Per le ferie o per eventuali permessi mi sono sempre rivolta al sig. (...) in quanto non ho mai avuto contatti con la società di (...). Le ore di lavoro le segnava (...) e poi le trasmetteva lui a Roma per l'elaborazione delle buste paga". Tali circostanze sono state confermate anche da (...), che ha dichiarato agli ispettori in data 6/09/2019 di aver che "(...) cercava personale da impiegare nel bar di (...) e mi sono presentata per un colloquio. Ho parlato con (...), il quale mi ha spiegato quello che gli serviva e che mi avrebbe assunto tramite una cooperativa di (...). Per l'assunzione ho consegnato i miei documenti a (...). Io non ho mai parlato direttamente, con nessuno della cooperativa e nemmeno con nessuno della (...) srl. ? Gli stipendi mi vengono pagati tramite bonifico in banca, mentre per tutto quanto riguarda l'organizzazione del mio lavoro faccio direttamente riferimento a (...), per cui se ho bisogno di ferie o permessi chiedo direttamente a lui. È sempre (...) che predispone i turni di lavoro e che mi chiama al lavoro. ... Per quanto riguarda i miei prospetti di paga, (...) srl li trasmette a (...), lui li stampa e me li consegna. ... Lavoro con altre 3 persone che sono (...), (...) e (...) che lavora lì da circa 20 anni è dipendente diretta di (...), (...) è come me dipendente di (...) mentre (...), che doveva essere assunta da (...), dopo il vostro controllo è stata assunta direttamente da (...). Ho parlato alcune volte con (...) a Roma in occasione di un periodo di malattia e per il 730, ma ho difficoltà a contattarli e non rispondono quasi mai. Quando serve qualcosa di urgente, tipo per il 730, sia io che (...) siamo riuscite a contattarli tramite (...). ... Attualmente oltre a me e (...) c'è anche la cameriera ai piani, che si chiama (...) che è una dipendente di (...) srl. (...) che è un'altra dipendente di (...)". Anche (...), nella richiesta di intervento presentata il 22/10/2019 ha confermato le circostanze già riportate dalle sue colleghe, in ordine alla ricezione delle buste paga direttamente da (...), che le impartiva anche tutte le direttive di lavoro. Lo stesso ricorrente ha riferito agli ispettori in data 29/05/2019 che "dipendenti mie dirette sono (...) e (...) ed entrambe sono occupate con contratto part-time. Tutte le altre sono dipendenti di una cooperativa (...) s.r.l. di (...) con la quale ho stipulato un contratto di appalto. Preciso che tutto il personale della cooperativa è scelto da me, sono io che faccio i colloqui preventivi passando poi i nominativi alla cooperativa per formalizzare l'assunzione. Sono io che fisso e decido gli orari di lavoro e le mansioni. Eventuali richieste di assenze vengono comunicate a me e sono sempre io che coordino e gestisco il personale. Giornalmente rilevo le ore di ognuno di loro su apposito prospetto e mensilmente trasmetto il prospetto per l'elaborazione delle paghe a (...) amministrazione Roma via mail. Le buste paga delle lavoratrici fino al mese scorso venivano mandate alla mia mail, io provvedevo a stamparle e a consegnarle alle lavoratrici. ... Inizialmente ho avuto contatti con (...) della filiale di (...) che è venuto qui in azienda. Poi ho sempre avuto contatti telefonici con lui o con Licia della sede di (...)". In un genuino contratto di appalto, la gestione degli orari incombe sull'appaltatore, il quale si impegna a realizzare un'opera o a fornire un servizio a nulla rilevando per il committente le ore impiegate dal personale ai fini della corretta esecuzione del servizio o realizzazione dell'opera. Dalle dichiarazioni rese dai lavoratori e dallo stesso ricorrente in sede ispettiva è emerso, invece, che per tutto il periodo oggetto di contestazione i medesimi hanno svolto le proprie mansioni sotto la direzione e il controllo del (...), che stabiliva le direttive, i turni, i riposi e le ferie dei lavoratori, e che registrava le ore di lavoro impiegate dal personale. Nella sostanza il rapporto fiduciario, quello che deve legare il lavoratore al datore di lavoro, la scelta del lavoratore, le mansioni concrete, le direttive generali e quotidiane, il contenuto della prestazione, sono state di esclusiva pertinenza di (...), reale datore di lavoro. In relazione alla efficacia probatoria delle dichiarazioni rese in sede ispettiva, va rilevato che esse, pur non avendo il valore di una testimonianza, sono tuttavia liberamente valutabili e apprezzabili dal giudice, il quale può anche considerarle prova sufficiente delle circostanze riferite al pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso d'altri elementi renda superfluo l'espletamento di ulteriori mezzi istruttori (cfr. Cass. n. 9827/2000, Cass. n. 3525/2005, Cass. n. 15073/2008). Dette dichiarazioni, inoltre, proprio in quanto rese nell'immediatezza dell'accertamento ispettivo e, quindi, a sorpresa, senza possibilità, per il soggetto ispezionato, di precostituire una linea difensiva, debbono ritenersi del tutto genuine ed attendibili. Ciò posto, le dichiarazioni rese dal ricorrente, corroborate da quanto affermato dagli altri lavoratori sentiti dagli ispettori, assumono dal punto di vista probatorio rilievo determinante, risultando dalle stesse che l'assunzione dei lavoratori è stata determinata da una esigenza della ditta pseudo committente; che l'attività della (...) si limitava al pagamento delle retribuzioni, sulla base dei prospetti orari mensili inviati dalla stessa ditta individuale e alla redazione delle buste paga dei dipendenti. L'attività della (...) s.r.l. si è limitata, quindi, al mero invio dei lavoratori presso la ditta (...), affinché questa ultima ne utilizzasse le prestazioni lavorative secondo le proprie esigenze produttive ed adattandole alla propria organizzazione, senza alcuna autonomia gestionale da parte dell'appaltatore, né alcun potere organizzativo di quest'ultimo nella direzione dei lavoratori, nelle scelte dei tempi e delle modalità di lavoro. D'altra parte, la stessa tipologia del servizio oggetto del contratto appare sintomatica dell'illiceità dell'appalto, atteso che lo stesso non ha natura accessoria e marginale rispetto all'attività di impresa della ditta committente, né costituisce un servizio in sé compiuto ed autonomo, ovvero una sezione del processo produttivo della medesima società. E. invece di per sé rappresenta l'attività principale della società appaltante con una completa sovrapposizione tra l'attività della società committente e quella dell'appaltatore, avuto anche riguardo alla circostanza che (...) aveva solo due dipendenti. Anche le modalità di determinazione del corrispettivo dell'appalto inducono a ritenere fondata la tesi dell'ITL circa la illiceità dell'appalto in esame. Invero dalle dichiarazioni rese dal (...) agli Ispettori è emerso che il corrispettivo effettivamente pattuito tra le parti era orario, quindi non correlato al risultato finale, e che mensilmente lo stesso trasmetteva alla (...) s.r.l. il prospetto con il conteggio delle ore lavorate dai dipendenti in base al quale veniva emessa la fattura. La tesi sostenuta dall'ITL deve ritenersi, pertanto, provata e fondata con conseguente rigetto della opposizione proposta. Da ultimo, non può trovare accoglimento l'eccezione proposta in via subordinata da parte ricorrente di rideterminazione delle sanzioni irrogate. Quanto alle sanzioni di cui ai punti 1) e 2), come evidenziato dall'Amministrazione convenuta, le stesse sono state calcolate tenendo conto del numero delle lavoratrici occupate e delle giornate di occupazione, e sono più vicine al minimo edittale; per quanto riguarda l'illecito di cui al punto 3) l'importo della sanzione sarebbe stato superiore alla soglia massima prevista dall'art. 1, comma 6, del D.Lgs. n. 8 del 2016 e, quindi, correttamente l'Ispettorato ha ridotto la stessa ad Euro 50.000,00. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo in applicazione del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dello scaglione di riferimento e dell'attività prestata e per le sole fasi introduttiva, di studio e decisoria, non essendosi svolta attività istruttoria ulteriore rispetto all'esame dei documenti prodotti unitamente agli atti introduttivi delle parti. P.Q.M. Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, in persona del Giudice del Lavoro dr.ssa Ilaria Chiarelli, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, 1) rigetta il ricorso; 2) condanna l'opponente all'integrale rifusione delle spese del presente giudizio, sostenute dalla parte resistente opposta, spese che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi a titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come per legge. Così deciso in Udine il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Daniele Faleschini Barnaba Giudice Monocratico, alia pubblica udienza del 02/03/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) a (...) (U.) residente in Via Degli O. 9/14 - L. S. (U.) - con domicilio ivi dichiarato - - libero non presente - già presente Difeso dall'avvocato di fiducia LIZZI Daniela del foro di Udine IMPUTATO (...) del reato p. e p. dall'art. 612bis comma 1, 2 c.p., per avere, con condotte reiterate, molestato l'ex fidanzata (...), in modo tale da cagionare alla stessa un perdurante e grave stato di ansia e di paura e tale da ingenerare in lei il timore per l'incolumita propria, costringendola inoltre ad alterare le sue abitudini di vita avendo paura che Io stesso potesse presentarsi presso la sua abitazione. In particolare, dopo la fine della relazione, durata solamente tre settimane, (...), ossessionato dalla rottura della relazione con l'ex fidanzata, sia prima che successivamente all'ammonimento ricevuto dal Questore di Udine (notified del 21.01.2020) molestava la stessa con i seguenti comportamenti: - le inviava messaggi tramite l'applicativo whatsapp o tramite SMS; - le inviava messaggi tramite il sintetizzatore vocale usato dalla propria madre, affetta da una grave malattia; - le inviava in data 08.08.2019 un mazzo di fiori e si presentava presso la sua abitazione suonando insistentemente il campanello; - le inviava vari messaggi tramite vari profili facebook; - in data 08.09.2019 si presentava presso il centra benessere di Cividale del Friuli, dicendo a (...) che si era presentato in tale luogo in quanto la sera stessa dovevano vedersi; - le inviava messaggi whatsapp con altre utenze telefoniche. Con l'intervento del P.M. dr.ssa Pa.Re. (con delega) e del difensore di fiducia avv.to Da.Li. del foro di Udine. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del g.u.p. di data 15.9.2022 l'imputato (...) veniva tratto a giudizio per rispondere dell'imputazione di cui alla rubrica. All'udienza del 3.11.2022, in presenza dell'imputato, non presente la persona offesa (...), si dichiarava aperto il dibattimento e si ammettevano le prove con ordinanza resa ex art. 495 c.p.p.. All'udienza del 10.1.2023 si procedeva all'esame dei testi (...) ed altri; su accordo delle parti si acquisivano atti e documenti del fascicolo del pubblico ministero, il quale rinunciava all'esame di alcuni testi di lista. All'udienza del 2.3.2023, acquisiti ulteriori atti, respinta la richiesta della difesa di disporre perizia medico-psichiatrica sulla persona dell'imputato e dichiarata l'utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale, le parti concludevano come in epigrafe e il giudice pronunziava come da dispositive. La penale responsabilità dell'imputato risulta provata oltre la soglia del ragionevole dubbio per il reato contravvenzionale di cui all'art. 660 c.p., cosi riqualificandosi l'imputazione ascritta. La persona offesa (...) ha riferito nel corso della deposizione testimoniale da lei resa in sede dibattimentale di aver intrattenuto una breve relazione sentimentale con l'odierno imputato, durata alcune settimane nel luglio del 2019; ella aveva preso la decisione di interrompere la relazione, ritenendo che la personalità del (...) fosse fragile e che, reputandosi anch'ella una persona fragile, la relazione non sarebbe potuta proseguire nel tempo; dopo l'interruzione dei rapporti l'imputato aveva iniziato a inviarle numerosi messaggi telefonici sull'utenza (...) ed e-mail, in cui le chiedeva spiegazioni dell'accaduto, e aveva tentato anche di rivederla, recandosi in un'occasione presso un centro benessere di Cividale del Friuli, che ella era solita frequentare; in tale circostanza, avvenuta in data 8.9.2019, ella gli aveva intimate di allontanarsi in mate modo e aveva richiesto anche l'intervento delle forze dell'ordine; il (...) le aveva fatto anche pervenire un mazzo di fiori e in altra occasione si era portato all'esterno della sua abitazione, bussando o suonando il campanello a lungo, ma ella si era rifiutata di incontrarlo e di parlare con lui; egli l'aveva poi incontrata a Grado e in tale circostanza vi era state un colloquio che, secondo la (...), doveva ritenersi chiarificatore; essendo le sue utenze state bloccate dalla (...), l'imputato aveva chiesto a terze persone di contattarla per richiederle spiegazioni e intercedere in suo favore; la persona offesa non aveva mai inteso dargli esplicite delucidazioni in merito alla decisione di interrompere la relazione; il (...) non aveva mai posto in essere atti di vera e propria minaccia, ne di aggressivita fisica, ma era ricorso alla prospettazione dell'intento di togliersi la vita per esercitare pressione psicologica su di lei; per tali ragioni in data 16.9.2019 la (...) aveva richiesto l'emissione dell'ammonimento del Questore; il provvedimento del Questore di Udine, in atti, era state notificato all'imputato in data 21.1.2020, ma le condotte insistenti del (...) erano proseguite per qualche tempo anche in epoca successiva all'ammonimento; la (...) si era anche determinata a presentare una denuncia-querela in data 8.6.2020, che aveva poi rimesso in data 13.2.2022, ma l'imputato aveva dichiarato di non voler accettare la remissione in data 16.2.2022. Dalia documentazione acquisita e dalle deposizioni testimoniali rese dai sanitari si e evidenziato che la persona offesa aveva sofferto di stati d'ansia in conseguenza dei comportamenti temiti dall'imputato nei suoi confronti; le era stata prescritta anche l'assunzione di una terapia farmacologica. La condizione di forte turbamento emotivo dell'imputato, conseguente alla fine della relazione, e stata descritta in sede di deposizione testimoniale e di verbale s.i.t. di data 15.11.2020, acquisito su accordo delle parti, dall'amico (...), il quale aveva tentato di confortarlo e lo aveva anche accompagnato all'ospedale a seguito di un malessere da lui accusato in data 15.9.2019; in tale occasione il teste aveva inviato dei messaggi telefonici alla (...) per informarla dell'accaduto, ai quali costei aveva risposto in tono seccato, rifiutando ogni coinvolgimento; il teste ha riferito che l'imputato non riusciva a capacitarsi della fine della relazione e della mancanza di spiegazioni da parte della (...). Circostanze di contenuto analogo ha riferito in sede dibattimentale e nei verbali s.i.t. di data 23.5.2020 e 17.11.2020, acquisiti su accordo delle parti, anche il padre dell'imputato (...)G., il quale aveva avuto modo di constatare il peggioramento dello stato d'animo del figlio in conseguenza della fine della relazione con la persona offesa; nell'aprile del 2020 egli si era anche rivolto al mar. (...) in servizio alla Stazione Carabinieri di Aiello del Friuli e alla Stazione Carabinieri di (...), esponendo la situazione di grave malessere psicologico del figlio, il quale si era anche avvalso del sintetizzatore vocale in uso alla madre, gravemente ammalata, al fine di inviare dei messaggi telematici alla (...); il figlio manifestava una vera e propria ossessione nei confronti di costei, esprimeva anche propositi autosoppressivi e accusava i genitori di non volerlo aiutare nei suo pervicace proposito di incontrarla per chiederle spiegazioni; in data 22.5.2020 il teste aveva contattato telefonicamente la (...), ma costei aveva bruscamente interrotto la chiamata. Anche l'amica dell'imputato (...) riferiva nei verbale s.i.t. di data 26.11.2020, acquisito su accordo delle parti, di avere invano contattato la (...) su richiesta del (...) nei corso dei mesi estivi del 2019 per tentare una riconciliazione; era al corrente del fatto che la persona offesa aveva incontrato l'imputato in occasione di una gita a Grado; un precedente incontro era avvenuto per iniziativa del solo (...) presso il centro benessere di Cividale del Friuli frequentato dalla (...), ma in tale occasione era stato da costei richiesto l'intervento delle forze dell'ordine; successivamente la teste non si era più interessata della vicenda, ritenendo che la situazione stesse diventando troppo delicata; nei marzo-aprile del 2020 aveva ricevuto dei messaggi nei quali l'imputato le manifestava intenti autosoppressivi e il proposito di sottoporsi a eutanasia in Svizzera; in seguito aveva avuto notizia che l'imputato non stava bene e veniva sovente ricoverato in ospedale. Dalla documentazione acquisita e dalle deposizioni rese dai dott.ri (...) e (...) risulta che l'imputato era seguito dai servizi psichiatrici dall'aprile 2020 per disturbo dell'umore e ideazione ossessiva avente a oggetto la cessata relazione sentimentale con la persona offesa; nel corso dei colloqui con i sanitari il (...) esprimeva costantemente la richiesta di poter avere un colloquio chiarificatore con la (...) in merito alla fine della relazione. In sede di interrogatorio delegato di data 22.2.2021 l'imputato dichiarava di avere contattato la persona offesa, direttamente o per interposta persona, al solo fine di ottenere da lei delle spiegazioni sulla fine della relazione e di essere rimasto sorpreso dalla richiesta di ammonimento presentata dalla (...), non avendo egli inteso commettere alcun atto doloso ed essendosi limitato a cercare di contattarla, a inviarle un mazzo di fiori e a recarsi in un'occasione a casa di lei; durante la relazione costei gli aveva riferito di soffrire di una patologia che la portava ad allontanare le persone e l'aveva pregato di contrastare tale sua inclinazione. L'ascritto delitto di cui all'art. 612 bis c.p. richiede la prova della sussistenza di condotte reiterate, sorrette anche dal solo dolo generico - non essendo richiesta la prova della specifica finalità di cagionare alla persona offesa una o più delle conseguenze previste quali effetti delle condotte di reato -, con le quali vengano arrecate minacce o molestie alla persona offesa in modo da cagionarle un perdurante e grave state d'ansia o di paura o da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità o da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita; trattasi di eventi alternativi, la cui contemporanea presenza non e richiesta dalla norma incriminatrice, essendo sufficiente che si verifichi anche uno soltanto dei suddetti effetti perturbativi dello state d'animo o delle abitudini di vita della vittima del reato; non rileva a escludere il reato l'esistenza di intervalli tra le condotte, di periodi di attenuazione delle medesime o di temporanei riavvicinamenti tra le parti e non e necessaria la prova della causazione nella persona offesa di un vero e proprio state patologico, clinicamente conclamato (tra le molte: Cass. sez. V, 15.12.2020 n. 14862; Cass. sez. V, 11.12.2019 n. 17000; Cass. sez. V, 11.2.2019 n. 28340; Cass, sez. V, 3.4.2018 n. 33842; Cass. sez. V, 3.4.2017 n. 35588; Cass. sez. V, 6.12.2016 n. 22194; Cass. sez. V, 24.9.2015 n. 43085; Cass. sez. V, 24.4.2015 n. 49613; Cass, sez. III, 16.1.2015 n. 9222; Cass. sez. V, 5.11.2014 n. 51718; Cass. sez. VI, 14.10.2014 n. 50746; Cass. sez. V, 16.9.2014 n. 5313). Nel caso in esame appare tuttavia insufficiente la prova del reato ascritto, non constando dalla deposizione resa dalla persona offesa, ne da altre risultanze dibattimentali, che le condotte dell'imputato abbiano assunto i connotati di intensità tali da ingenerare nella vittima almeno uno degli effetti psicologici o comportamentali previsti dalla disposizione incriminatrice, a cui non bastando un mero state di preoccupazione che non si traduca in un significative turbamento d'animo o non si accompagni ad apprezzabili modificazioni della condotta di vita della persona offesa; la (...) presentava già delle pregresse problematiche psicologiche, di modo che non si sono evidenziate risultanze certe da cui desumere la prova che tale situazione fosse, in tutto o in parte, conseguenza degli atti commessi dall'imputato, tenendosi conto anche del comportamento della persona offesa, che si rifiutava di fornire all'imputato i richiesti chiarimenti e manteneva tale atteggiamento, certo legittimo ma forse eccessivamente drastico, anche nei confronti dei tentativi di terze persone, intervenute nella vicenda perche preoccupate dal crescente malessere psicologico ed emotivo manifestato dal (...); forse la tempestiva esplicitazione di un chiarimento sarebbe stata sufficiente a tacitare le pretese del (...), certamente eccessive e importune, ma originate da un reale e significative state di malessere che rendeva anche necessario il ricorso alle cure dei sanitari. Residua peraltro nelle condotte dell'imputato la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., avendo egli recato molestia o disturbo alla persona offesa col mezzo del telefono o in luoghi pubblici o aperti al pubblico; la molestia è ravvisabile in ragione dell'eccesso nelle modalità e nella frequenza delle richieste di chiarimenti e di incontri, il quale configura la petulanza richiesta dalla disposizione incriminatrice, consistendo essa nell'insistenza, ingiustificata e non gradita dalla destinataria, dei comportamenti invasivi della sua sfera personale e pertanto perturbativi della sua tranquillità. Sussiste la procedibilità del reato, come modificata dall'art. 3 comma 1 lett. b) del D.Lgs. n. 150 del 1922 a decorrere dal 30.12.2022, in ragione della presentazione della citata denuncia-querela da parte della persona offesa, essendo la remissione della stessa priva di effetto in quanto ricusata dall'imputato a norma dell'art. 155 comma 1 c.p. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato come sopra riqualificato, trattandosi di mera ridefinizione giuridica che non immuta gli elementi di fatto delle condotte; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per l'assenza di positivi elementi di meritevolezza che giustifichino la relativa diminuzione di pena, non essendo sufficiente a tal fine il mero stato di incensuratezza a norma dell'art. 62 bis u.c. c.p., e da ritenersi congrua la pena di Euro 450 di ammenda. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Lo stato di incensuratezza consente la concessione del beneficio della non menzione della condanna a norma dell'art. 175 c.p.. Appare congrua l'assegnazione del termine di quindici giorni per il deposito della sentenza a norma dell'art. 544 comma 2 c.p.p.. P.Q.M. Il Tribunale di Udine sezione penale in composizione monocratica, letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato (...) colpevole del reato di cui all'art. 660 c.p., così riqualificata l'imputazione, e lo condanna alla pena di Euro 450,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Non menzione della condanna. Motivazione riservata nel termine di 15 giorni. Così deciso in Udine il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Udine in composizione monocratica, nella persona del giudice Mauro Qualizza, all'udienza del giorno 20 febbraio 2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: (...), nato il (...) a B. (V.), residente in M. (T.). Piazza S. T., 23/28, con domicilio eletto in L., via Z., 41/4 (udienza 30.11.2022). Difeso d'ufficio dall'avv. Ma.Pl. del Foro di Udine. libero - presente IMPUTATO A) del reato di cui all'art. 572 c.p., perché maltrattava la compagna convivente (...) e, in particolare, frequentemente la percuoteva, spintonandola, buttandola a terra, sferrandole schiaffi, tirandola per i capelli e dandole testate, reiteratamente la offendeva e la umiliava con espressioni del tenore "stronza ... troia ... puttana ... schifosa ... sei malata ... sei pazza ... tu non sai neanche quello che dici ... vaffanculo" nonché sputandole in volto, più volte la minacciava con frasi del tenore "chiedi a tua zia che è una puttana ... tu sei una troia ... tu sei una puttana ... tu sei una schifosa", le cagionava le lesioni personali meglio descritte nel capo B) di imputazione e la minacciava con frasi del tenore "io oggi non vado a lavorare però ti ammazzo" e successivamente sferrava calci alle porte e ai muri pertinenti alla loro abitazione nonché nuovamente la minacciava e insultava con frasi del tenore "stronzo ... ti ammazzo ... vedrai cosa ti faccio ... non toccare le mie cose che ti ammazzo". B) del reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p. (in relazione agli artt. 576 c. 1 n. 5 bis e 577 c. 1. n. 1 c.p.) perché, afferrando la compagna convivente (...) per il collo e sferrandole una testata, le cagionava lesioni personali consistite in "lieve trauma facciale e del collo", giudicate guaribili in giorni cinque. Reato aggravato dall'essere stato commesso contro la persona stabilmente convivente con il colpevole e in occasione della commissione del delitto ex art. 572 c.p. di cui al capo A). Con l'intervento del pubblico ministero dott.ssa Ma.Ga. (con delega). Del difensore d'ufficio dell'imputato avv. Ma.Pl. del Foro di Udine. IN FATTO E IN DIRITTO Tratto a giudizio per rispondere delle imputazioni in epigrafe circostanziate con decreto che lo disponeva in data 30 settembre 2022, (...), in atti generalizzato, compariva ritualmente al processo. All'udienza del 30 novembre 2022 erano ammesse le prove. Il 9 gennaio 2023 deponeva il vicebrigadiere (...), in forza al Nucleo Operativo e Radiomobile dei Carabinieri di Udine. Il 30 gennaio 2022 era la volta della persona offesa, (...), la quale, peraltro, formalizzava la remissione della querela sporta il giorno 8 giugno 2021. Era inoltre sentito l'imputato, che rendeva spontanee dichiarazioni e accettava la remissione. Il pubblico ministero e il difensore formulavano e illustravano le rispettive conclusioni il 20 febbraio 2023, udienza nella quale il tribunale, dichiarato chiuso il dibattimento, si ritirava in camera di consiglio e pronunziava la sua decisione come da dispositivo integralmente riprodotto in calce. Le prove acquisite al processo non confermano la tesi d'accusa. La sentenza sarà assolutoria perché il fatto non sussiste in relazione alla fattispecie sub a), e d'improcedibilità per intervenuta remissione di querela in ordine a quella sub b), previa esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 576, comma 1, numero 5 del codice penale. La vicenda in disamina attiene alla relazione sentimentale tra (...) e (...), i quali si erano conosciuti attorno all'anno 2013 e avevano subito iniziato una convivenza in località R. di L. (U.). Il rapporto era sempre stato problematico, tant'è che la coppia si era separata tra il febbraio e l'agosto 2020, salvo poi riprendere a convivere. Ma le tensioni si acuirono nel periodo successivo. Alla luce di quanto riferito da (...) nel contraddittorio dibattimentale, si trattava di frequenti litigi in cui lei stessa agiva da fattore scatenante, scagliando oggetti contro il compagno, insultandolo e finanche colpendolo fisicamente (pag. 5 trascrizione udienza 301.1.2023, teste (...)). In tali situazioni, che si verificavano all'incirca una volta al mese, dopo fasi di maggiore tranquillità (pag. 6, teste (...)), (...) a sua volta reagiva con offese e minacce, talvolta con spinte oppure schiaffeggiando la compagna, ma sempre in un contesto d'aggressioni reciproche (pag. 5, cit.). L'8 giugno 2021, invece, la donna fu colpita dall'imputato soltanto per avergli chiesto dove avesse nascosto alcuni asciugamani. Nei fatti così ricostruiti, ad avviso del tribunale, in alcun modo configurabile è il delitto di maltrattamenti in famiglia. Alla luce delle dichiarazioni di (...), infatti, certamente vi furono contrasti all'interno della coppia, in particolare nell'ultimo periodo della convivenza e dopo la prima interruzione del rapporto. Ma gli atteggiamenti in tali circostanze assunti dall'imputato non s'inserivano in un'azione abituale e unilaterale tale da assumere i connotati di vessazione e sistematica oppressione verso la donna, bensì erano determinati da un clima d'incomprensione reciproca in cui la stessa parte lesa agiva da fattore scatenante. Il che non consente d'affermare la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia, il quale non può ravvisarsi quando lo stato di disagio incompatibile con le normali condizioni di vita sia derivante non dalla condotta di uno o più soggetti contro gli altri, ma sia il frutto di comportamenti che coinvolgono sullo stesso piano tutti i conviventi, reciprocamente reagenti, cosicché non sia riconoscibile una condotta di sopraffazione sistematica da parte di uno di essi. Per altro verso, gli episodi ricordati dalla dichiarante appaiono tra loro slegati, atteso che non si ripetevano più d'una volta al mese ed erano alternati a periodi di sostanziale normalità. Sicché neppure sotto questo profilo può ravvisarsi la componente materiale del delitto di maltrattamenti, la quale si sostanzia in un complesso di attività persecutorie dirette ad avvilire e a opprimere in modo durevole la personalità della vittima, in una serie di atti di ingiurie, violenze, lesioni, minacce, ovvero di episodi anche non costituenti di per sé reato ma idonei ad arrecare sofferenza morale in capo alla vittima e, in ogni caso, rapportabili a un atteggiamento abituale del colpevole che, mosso da ingiustificato malanimo, finisca per realizzare una condotta tale da rendere penosa e tormentata, nel tempo, la relazione familiare. (...) deve essere dunque prosciolto dal reato di maltrattamenti in famiglia per insussistenza del fatto. Il pubblico ministero d'udienza ha evidenziato che (...), nel corso delle indagini, aveva parlato unicamente d'aggressioni unilaterali da parte dell'imputato, e ha dunque richiesto la trasmissione degli atti ritenendo falsa la deposizione resa nel contraddittorio dibattimentale. L'insussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia impone d'escludere l'aggravante di cui all'articolo 576, comma 1, numero 5 del codice penale. La fattispecie contestata sub b) deve essere dunque dichiarata estinta avendo la persona offesa rimesso la querela sporta in data 8 giugno 2021 e avendo l'imputato espressamente accettato la remissione. Le spese del relativo procedimento sono a carico del querelato, in assenza di contrarie pattuizioni. P.Q.M. Il tribunale di Udine, in composizione monocratica, letto l'articolo 531 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione al reato a lui ascritto al capo b) di rubrica, esclusa l'aggravante di cui all'art. 576 c. 1 n. 5 c.p., essendo il reato estinto per intervenuta remissione di querela. Spese come per legge. Letto l'articolo 530 c.p.p. assolve l'imputato dal reato a lui ascritto al capo a) di rubrica perché il fatto non sussiste. Letto l'articolo 331 c.p.p. ordina trasmettersi gli atti al P.M. per quanto ritenuto di eventuale competenza in merito alle dichiarazioni rese da (...). Motivazione riservata nel termine di giorni 90 ai sensi dell'articolo 544, comma terzo, c.p.p.. Così deciso in Udine il 20 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IL TRIBUNALE DI UDINE IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Alessia Bisceglia, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. R.G. 5/2023 Promossa da: (...), nato a Tolmezzo (UD) il (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...) -ricorrente- contro MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore, con la dott. (...) giusta autorizzazione dell'Avvocatura distrettuale dello Stato -resistente- oggetto: carta del docente sulle seguenti conclusioni di parte (...): Nel merito: - previa eventuale disapplicazione dell'art. 1, commi 121, 122 e 124, della Legge n. 107/2015, dell'art. 2 del DPCM del 23 settembre 2015 e/o dell'art. 3 del d.P.C.M. del 28 novembre 2016, per violazione della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla dir. 99/70 del Consiglio dell'Unione Europea, accertarsi e dichiararsi il diritto della parte ricorrente ad usufruire del beneficio economico di Euro 500,00 annui, tramite la "Carta elettronica" per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, di cui all'art. 1 della Legge n. 107/2015, per gli anni scolastici, 2019/20, 2020/21, 2021/22; - per l'effetto, condannarsi il Ministero dell'Istruzione e del Merito al riconoscimento del beneficio stesso, così come previsto e disciplinato dalla normativa in favore dei docenti a tempo indeterminato per tutti i suddetti anni scolastici, per un importo complessivo di Euro 1500,00= o di quella maggiore o minore somma che risulterà dovuta in corso di causa, liquidandola alla ricorrente, se del caso, con valutazione equitativa, oltre rivalutazione, ex art.429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., dalla maturazione di ogni singolo credito al saldo ed interessi sulle somme via via rivalutate. In via subordinata: previo accertamento e declaratoria del diritto della parte ricorrente alla fruizione del beneficio economico di Euro 500,00= annui, tramite la "Carta elettronica" per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, di cui all'art. 1 della Legge n. 107/2015, per gli anni scolastici 2017/18, 2018/19, 2019/20, 2020/21, 2021/22, condannarsi il Ministero dell'Istruzione e del Merito al pagamento della somma di Euro 1.500,00 tramite accredito diretto sulla "Carta elettronica" per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, di cui all'art. 1 della Legge n. 107/2015 o di quella minore o maggiore ritenuta di giustizia a titolo di risarcimento del danno ex art. 1218 del c.c., o di quella maggiore o minore somma che risulterà dovuta in corso di causa, liquidandola alla ricorrente, se del caso, con valutazione equitativa, oltre rivalutazione, ex art.429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c., dalla maturazione di ogni singolo credito al saldo ed interessi sulle somme via via rivalutate; Con vittoria di spese diritti ed onorari di causa, da liquidarsi in favore del sottoscritto procuratore per dichiarata anticipazione. MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO: Nel merito: respingere l'odierno ricorso, con il favore delle spese. In via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento delle istanze attoree, ridurre le stesse in forza dell'eccepita prescrizione quinquennale nonché proporzionalmente al periodo di servizio ed alle ore di servizio effettivamente prestate. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 02.01.23 (...) deduceva di aver lavorato come docente in forza di ripetuti contratti a termine e di non aver fruito dell'erogazione della somma di Euro 500 annui, di cui all'art. 1, comma 121, della l. n. 107/2015, vincolata all'acquisto di beni e servizi formativi, finalizzati allo sviluppo delle competenze professionali (c.d. "Carta elettronica del docente"). Infatti, il ricorrente allegava di aver svolto mansioni del tutto identiche a quelle dei docenti di ruolo ed evidenziava che tale diversità di trattamento non trovava riscontro negli artt. 63 e 64 del CCNL comparto scuola, richiamando, inoltre, le recenti pronunce del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea circa l'applicazione del principio di non discriminazione rispetto ai docenti a tempo indeterminato. Quindi, il ricorrente concludeva come in epigrafe. Si costituiva in giudizio tardivamente il Ministero dell'Istruzione e del Merito, chiedendo il rigetto delle domande attoree, posto che la carta del docente non rientrava tra le "condizioni dell'impiego" cui fa riferimento la normativa eurounitaria e che, in ogni caso, il diverso trattamento era giustificato dalla imposizione per il solo personale di ruolo di ulteriori obblighi formativi personali. Il Ministero convenuto, inoltre, deduceva di aver sempre erogato la necessaria formazione a tutti i docenti a tempo determinato e chiedeva in subordine la riduzione dell'importo richiesto in misura proporzionale ai mesi e alle ore di servizio effettivamente prestati e, in ogni caso, nei limiti della prescrizione quinquennale. La causa era istruita solo documentalmente, trattandosi di questione di puro diritto. Le parti precisavano le rispettive conclusioni, come in epigrafe riportate, e procedevano alla discussione orale all'udienza del giorno 14.03.23. Il Giudicante ritiene che la domanda del ricorrente debba essere accolta per i motivi che di seguito si espongono. Nel caso di specie, infatti, devono ritenersi pacifici, in quanto non contestati, la sussistenza e durata dei rapporti a termine intercorsi, il fatto che il Ministero negli anni scolastici in cui ha lavorato la parte ricorrente abbia erogato la "carta elettronica" ai docenti a tempo indeterminato, nonché il fatto che in tali periodi il ricorrente ha svolto un'attività lavorativa analoga sotto il profilo sostanziale a quella dei docenti a tempo indeterminato. L'erogazione annuale della somma di euro 500 mediante "carta elettronica" è stata prevista per i soli docenti di ruolo dall'art. 1, comma 121, della legge 107/2015 che così recita: "al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il (Ministero), a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile". In attuazione di quanto previsto dall'art. 1, comma 122, della legge sopra citata, è stato adottato il D.P.C.M. del 23.9.2015, sostituito poi dal D.P.C.M. del 28.9.2016, con cui sono stati identificati i beneficiari della Carta. In particolare, l'art. 3 D.P.C.M. 28.09.2016, nel confermare quanto già previsto dall'atto ministeriale previgente, prevede che: "la Carta è assegnata ai docenti di ruolo a tempo indeterminato delle Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, i docenti dichiarati inidonei per motivi di salute di cui all'articolo 514 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati, i docenti nelle scuole all'estero, delle scuole militari". Tuttavia, in materia di formazione le norme di riferimento, di seguito riportate, non operano alcuna differenziazione in base alla durata del contratto di lavoro in forza del quale il docente è chiamato a prestare servizio: - l'art. 282 del D.Lgs. 297/1994, secondo cui l'aggiornamento delle conoscenze è un diritto dovere fondamentale del personale ispettivo, direttivo e docente e va inteso come adeguamento delle conoscenze allo sviluppo delle scienze per le singole discipline e nelle connessioni interdisciplinari, come approfondimento della preparazione didattica e come partecipazione alla ricerca e all'innovazione didattico-pedagogica; - l'art. 28 del c.c.n.l. comparto scuola del 4.8.1995, che dispone che la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per i capi di istituto e per il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario, in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle rispettive professionalità, anche in relazione agli istituti di progressione professionale previsti da tale contratto; - l'art. 63 del c.c.n.l. comparto scuola del 27.11.2007, che - dopo aver premesso come "la formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un'efficace politica di sviluppo delle risorse umane", stabilisce che l'Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio; - l'art. 64 del c.c.n.l. da ult. cit. secondo cui: "la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità". Pertanto, si ritiene di condividere quanto affermato di recente dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1842/2022, che, pur prescindendo da parametri di valutazione di provenienza eurounitaria, ha evidenziato che la scelta ministeriale forgia "un sistema di formazione 'a doppia trazione': quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l'erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico. (...) Un tale sistema collide con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A. ". Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato che ricorrerebbe un contrasto "con l'esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non certo esclusivamente quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, affinché sia garantita la qualità dell'insegnamento complessivo fornito agli studenti" corrispondente al canone di buona amministrazione. Esso sarebbe tradito da "un sistema che, ponendo un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente (e dandogli gli strumenti per ottemperarvi), continua nondimeno a servirsi, per la fornitura del servizio scolastico, anche di un'altra aliquota di personale docente, la quale è tuttavia programmaticamente esclusa dalla formazione e dagli strumenti di ausilio per conseguirla: non può dubitarsi, infatti, che, nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l'erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell'insegnamento fornito agli studenti". Ne deriva che "il diritto-dovere di formazione professionale e aggiornamento grava su tutto il personale docente e non solo su un'aliquota di esso. Del resto, l'insostenibilità dell'assunto per cui la Carta del docente sarebbe uno strumento per compensare la pretesa maggior gravosità dell'obbligo formativo a carico dei soli docenti di ruolo, si evince anche dal fatto che la Carta stessa è erogata ai docenti part-time (il cui impegno didattico ben può, in ipotesi, essere più limitato di quello dei docenti a tempo determinato) e persino ai docenti di ruolo in prova, i quali potrebbero non superare il periodo di prova e, così, non conseguire la stabilità del rapporto. E l'irragionevolezza della soluzione seguita dalla P.A. emerge ancora più chiaramente dalla lettura del D.P.C.M. del 28 novembre 2016 (che, come già ricordato, ha sostituito quello del 23 settembre 2015), il quale, all'art. 3, individua tra i beneficiari della Carta anche "i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati", sicché "vi sarebbero dei docenti che beneficerebbero dello strumento pur senza essere impegnati, al momento, nell'attività didattica, mentre altri docenti, pur svolgendo diversamente dai primi l'attività didattica, non beneficerebbero della Carta e, quindi, sarebbero privati di un ausilio per il loro aggiornamento e la loro formazione professionale". Il Consiglio di Stato ha poi ritenuto che il contrasto evidenziato con gli artt. 3, 35 e 97 Cost. possa essere superato mediante un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 1, commi 121 ss., legge cit., posto che, mancando una norma innovativa rispetto al D.Lgs. n. 165/2001, la materia della formazione professionale dei docenti è ancora rimessa alla contrattazione collettiva di categoria. Infatti, le regole dettate dagli artt. 63 e 64 del CCNL di riferimento "pongono a carico dell'Amministrazione l'obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, "strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio" (così il comma 1 dell'art. 63 cit.). E non vi è dubbio che tra tali strumenti possa (e anzi debba) essere compresa la Carta del docente, di talché si può per tal via affermare che di essa sono destinatari anche i docenti a tempo determinato (come gli appellanti), così colmandosi la lacuna previsionale dell'art. 1, comma 121, della l. n. 107/2015, che menziona i soli docenti di ruolo". Tale questione, poi, è stata oggetto di esame anche da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, chiamata a pronunciarsi a seguito di rinvio pregiudiziale nell'ambito di un giudizio analogo al presente, la quale ha osservato che: "la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di Euro 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l'acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l'obbligo di effettuare attività professionali a distanza" (CGUE, Sezione VI Ordinanza del 18/5/2022 causa C-450-21). Nel presente giudizio non vi è contestazione ad opera del Ministero in merito alla piena equiparabilità, dal punto di vista delle prestazioni svolte e delle competenze professionali per esse richieste, tra l'odierno ricorrente e gli altri docenti di ruolo che hanno svolto servizio nei suoi stessi periodi. Ne consegue che, alla luce della pronuncia sopra richiamata, la normativa nazionale deve essere disapplicata e deve essere dichiarato il diritto della parte ricorrente ad usufruire del beneficio economico di euro 500,00 annui tramite la "carta elettronica". Peraltro, non può trovare accoglimento l'eccezione di parte resistente di riduzione proporzionale del bonus in relazione ai mesi e alle ore di effettivo servizio, avendo peraltro il ricorrente svolto tutte supplenze di durata annuale. Parimenti, non può essere accolta l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero convenuto il quale ha evidenziato come debbano ritenersi prescritte ai sensi dell'art. 2948 n. 4 c.c. le somme maturate antecedentemente il quinquennio che precede la notifica del ricorso introduttivo. Infatti, si osserva che il Ministero, costituendosi tardivamente, è decaduto dalla possibilità di sollevare eccezioni in senso stretto. In ogni caso, ritiene questo Giudice che l'eccezione non sia fondata. Invero, l'art. 3 del D.P.C.M. 23.9.2015, rubricato "Importo della carta" dispone quanto segue: "1. Ciascuna Carta ha un valore nominale non superiore ad euro 500 annui utilizzabili nell'arco dell'anno scolastico di riferimento, ovvero dal 1 settembre al 31 agosto, fermo restando quando previsto dai commi 2 e 3. 2. L'importo di cui al comma 1 è reso disponibile, per ciascun anno scolastico, a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 123, della legge n. 107 del 2015, relativa all'esercizio finanziario in cui ha inizio ciascun anno scolastico, ed entro il limite della medesima. Entro il 31 dicembre di ciascun anno, le risorse che dovessero eventualmente rimanere disponibili a valere sull'autorizzazione di spesa citata sono destinate ad incrementare l'importo della Carta, nei limiti dell'importo di cui al comma 1. 3. La cifra residua eventualmente non utilizzata da ciascun docente nel corso dell'anno scolastico di riferimento rimane nella disponibilità della Carta dello stesso docente per l'anno scolastico successivo a quello della mancata utilizzazione". Ebbene, dalla chiara lettura della norma richiamata appare evidente che l'importo di Euro 500,00 viene reso disponibile all'inizio di ogni anno scolastico, ossia al 1° settembre ed è utilizzabile entro il 31 agosto successivo; la somma eventualmente non utilizzata nel corso dell'anno scolastico di riferimento rimane nella disponibilità della Carta per l'anno scolastico successivo; in ogni caso, ogni anno scolastico la Carta viene ricaricata dell'importo di Euro 500,00. Ciò significa che l'importo in esame viene pagato periodicamente ai docenti a tempo indeterminato, ad anno, dovendosi, dunque, applicare la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., che non richiede che le somme pagate abbiano necessariamente natura retributiva, prevedendo la prescrizione quinquennale per "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi". Tuttavia, il ricorrente chiede il riconoscimento della carta docente per gli anni scolastici dal 2019/2020 al 2021/2022 e, quindi, non si pone alcun problema di prescrizione quinquennale. Preme, infine, evidenziare che la disposizione di cui all'art. 1, comma 121, della L. 107 del 2015 ha previsto in favore dei docenti non il versamento diretto di una somma di denaro, ma la consegna di una carta elettronica utilizzabile per l'acquisto di beni e servizi di contenuto professionale, vista la finalità formativa del beneficio in commento. Pertanto, la condanna del Ministero al pagamento del controvalore in denaro della carta del docente assicurerebbe ai docenti a termine un trattamento di maggior favore rispetto al personale di ruolo, poiché i primi potrebbero poi impiegare liberamente la somma ottenuta a differenza dei secondi per cui l'utilizzo del denaro è vincolato. In conclusione, per tutti i motivi che precedono, deve riconoscersi al ricorrente il beneficio in esame per gli anni scolastici 2019/2020, 2020/2021, 2021/2022 e, quindi, nell'importo complessivo di Euro 1.500,00, per il tramite la "Carta elettronica del docente". Da ultimo, attesa la soccombenza del Ministero, lo stesso deve essere condannato a rifondere le spese di lite, con distrazione in favore del procuratore di parte ricorrente dichiaratosi antistatario, spese che vengono liquidate in dispositivo secondo quanto previsto per le cause di minima complessità dal D.M. 55/14, inserendosi le questioni affrontate in un contenzioso seriale. P.Q.M. Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, in persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Alessia Bisceglia, definitivamente pronunciando, ogni altra contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così decide: 1. Accerta e dichiara il diritto di (...), con riferimento agli anni scolastici 2019/2020, 2020/2021 e 2021/2022 ad usufruire del beneficio economico di euro 500,00 annui tramite la "Carta elettronica del docente per l'aggiornamento e la formazione del personale docente" e per l'effetto 2. Condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito ad erogare in favore della parte ricorrente, in relazione agli anni scolastici predetti, l'importo complessivo di Euro 1.500,00 tramite la "Carta elettronica del docente", oltre accessori come per legge; 3. Condanna il Ministero resistente a rifondere a (...) le spese di lite che liquida in Euro 1.030,00 per compensi ed Euro 49,00 per esborsi, oltre a spese generali al 15%, IVA e Cassa come per legge, con distrazione in favore del difensore di parte ricorrente. Udine, 14 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 27/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) a S. S. (F.) residente in Via (...). Detenuto p.a.c. presso la Casa Circondariale di Belluno - Libero, assente - Difeso dall' avvocato di fiducia BE.Pi. del foro di Udine IMPUTATO 1) delitto p. e p. dall'art. 610 c.p. perché, con violenza/e minaccia consistita nel porsi di fronte all'ascensore del condominio sito a (...), in via (...) gesticolando con una mano, impediva a (...), soggetto affetto da una malattia cardiaca, di utilizzare l'ascensore e lo costringeva a salire di un piano piano ove il predetto (...) riusciva a salire in ascensore ed a raggiungere il piano dove è ubicato il suo appartamento utilizzando le scale, causandogli in tal modo un malore. In Udine, il 22.09.2021 2) contravvenzione p. e p. dall'art. 660 c.p., perché in un luogo pubblico, per petulanza o per altro biasimevole motivo, recava molestia e disturbo a (...), mediante condotta consistita nel suonare ripetutamente il campanello "e nel dare pugni alla porta d'ingresso della sua abitazione. Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott.ssa Va.Av. (con delega) del difensore di fiducia BE.Pi. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica. All'udienza dibattimentale di data 13 febbraio 2023 la difesa munita di rituale procura speciale chiedeva la definizione del procedimento con rito abbreviato, condizionato alla produzione di perizia psichiatrica; ammesso l'imputato al rito speciale richiesto, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per i reati di rubrica. (...), in sede di querela sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Udine, aveva riferito che in data 22 settembre 2021, alle ore 6.30 del mattino circa, era stato svegliato da continui e prolungati squilli di campanello e pugni sulla porta; aveva cercato di capire chi fosse guardando dallo spioncino della porta, che tuttavia era stato occluso dall'esterno con un dito. Il teste aveva aggiunto di avere sentito che lo stesso soggetto aveva suonato anche alla porta della sua dirimpettaia, tale (...), che gli aveva gridato di andarsene; aveva spiegato di avere a quel punto chiamato (...), che aveva fatto intervenire una pattuglia dei carabinieri. In sede di sit, rilasciate alle 10.30 circa del 22 settembre 2021 ai militari della Stazione di Udine, intervenuti sul posto, il (...) aveva spiegato che dalla finestra del bagno quella mattinata aveva notato un'auto, condotta dal (...), che con diversi tentativi di manovra aveva colpito più volte il marciapiede; dopo 15 minuti aveva sentito suonare il campanello della sua porta. Il teste aveva aggiunto che (...) aveva creato disturbo anche nei giorni precedenti, minacciando di morte i residenti del condominio. In sede di denuncia il teste aveva quindi riferito che alle ore 14 di quella stessa giornata, mentre era fuori, era stato contattato al telefono dalla sua vicina di casa (...) che gli aveva comunicato che (...) continuava insistentemente a suonare alla sua porta (e anche a quella della signora), senza alcun motivo apparente. D. aveva quindi chiamato i carabinieri, che aveva atteso in via (...) V.; i militari lo avevano tranquillizzato, assicurando che avrebbero controllato la situazione e agli stessi aveva chiesto di controllare l'auto Mercedes Serie A targata (...) parcheggiata di fronte al condominio. Quella stessa sera il (...) era uscito dal condominio per fare una passeggiata, alle 21 circa, ed aveva sentito alle sue spalle urlare "fermati, fermati"; si era girato ed aveva visto (...), agitato e con gli occhi arrossati. A quel punto aveva intimato all'uomo di stargli lontano, cercando di raggiungere l'ascensore ma l'imputato si era posto di fronte all'ascensore, impedendogli di entrare e continuando a gesticolare con la mano; il teste, sebbene soffrisse di malattie cardiache e presentasse problemi di deambulazione, a quel punto aveva percorso una rampa di scale, sempre seguito dall'imputato; giunto sul pianerottolo aveva aperto una finestra per respirare meglio ma il (...) aveva continuato a venirgli incontro, mentre lui aveva iniziato a gridare "aiuto", più volte, senza avere risposte. Il (...) non aveva cercato di soccorrerlo. A quel punto il (...) aveva chiamato il pronto soccorso, il cui personale gli aveva suggerito di chiudersi dentro casa; era quindi riuscito a prendere l'ascensore, mentre l'imputato si era portato verso il suo pianerottolo, continuando a gesticolare. Alle 22.30 era intervenuta una pattuglia della polizia locale, che aveva allertato il 118; il (...) era stato quindi portato presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Udine, dove era stato constatato il suo stato di agitazione. (...), sentito a sit, aveva confermato che il suo vicino (...) con voce ansimante lo aveva chiamato il 22 settembre 2021, alle 6.30 del mattino, spiegandogli di essere stato molestato dal (...) e di non essere in grado, a causa del panico, di chiedere aiuto. Il teste aveva quindi riferito che, dopo la chiusura della telefonata, aveva chiamato le forze dell'ordine. (...) aveva riferito che nella mattinata del 22 settembre 2021 il (...) aveva suonato il suo campanello. Dalla annotazione di polizia giudiziaria del 22 settembre 2021 si evince che in quella stessa giornata militari della Stazione dei CC di Udine Est si erano portati in Via (...) V., dove erano stati segnalati dissidi condominiali; ad attenderli avevano trovato (...), che lamentava il fatto che (...) disturbava i condomini e in particolare (...). Gli operanti avevano preso contatti con l'imputato, che sin da subito era apparso alterato, aveva occhi lucidi, alito vinoso e andamento barcollante; lo stesso aveva riferito di essere adirato con i condomini, a causa delle loro continue segnalazioni; aveva aggiunto che avrebbe punito i residenti del condominio con testuali parole "li ammazzo tutti, li appendo con le manette, me la pagheranno cara, li mitraglio con I'M 12". L'uomo aveva riferito di far uso di cocaina e di venderla a terzi. Nella annotazione era stato specificato che l'appartamento dell'imputato era in ordine ma nella camera da letto il battiscopa era stato manomesso, ma era risultato vuoto; i militari, notato l'affaticamento fisico di (...), avevano richiesto l'intervento del 118, ma lo stesso aveva rifiutato il trasporto in ospedale, chiedendo un medico; l'infermiere dell'ambulanza aveva quindi chiamato l'auto medica ma l'imputato aveva manifestato esitazione, iniziando ad insultare i passanti ("non mi guardare, cazzo hai da guardare", "togliti dal cazzo"; dopo varie discussioni, l'imputato aveva iniziato ad insultare anche il personale medico ("non capite un cazzo, non sapete fare un cazzo, medico di merda") ma alla fine era salito in ambulanza, ma in seguito era stato possibile scoprire che l'uomo era scappato ed aveva fatto perdere le proprie tracce Alle ore 22 del 22 settembre 2021 operatori della Polizia Locale si erano portati a U., in via (...) V. 4; avevano quindi preso contatti con l'imputato, che si trovava in stato confusionale e che emanava un forte odore di alcool e occhi vitrei; l'imputato aveva quindi reso la sua versione dei fatti, negando di avere molestato (...) ed anzi affermando di essere vittima di discriminazione a causa dei suoi precedenti con la giustizia. Il tema della capacità dell'imputato è stato oggetto di approfondimento nell'ambito di altro procedimento, in cui era contestato al (...) il reato di evasione, per essersi allontanato, in data 7 maggio 2022, dalla propria abitazione ove si trovava agli arresti domiciliari in base ad ordinanza del Gip di Udine, emessa nell'ambito del procedimento 7195/21 rgnr. Le conclusioni del perito dott.(...) sono confluite nella relazione alla cui produzione è stata subordinata la scelta, in questa sede, del rito abbreviato. In sintesi, il dott.(...), all'esito dell'esame della documentazione clinica, aveva evidenziato che il (...) soffre di "epatopatia cirrotica ad origine tossica accanto alla quale si situa in modo sinergico un disturbo di personalità misto, con tratti istrionici e antisociali"; il perito aveva quindi concluso ritenendo che l'imputato presentasse all'epoca dei fatti una capacità di intendere e di volere grandemente scemata ma non del tutto abolita; "per la carenza di critica e giudizio, la superficialità dei comportamenti, l'assenza di motivazione e di aderenza alle cure, la mancata astinenza dall'alcool è da considerare soggetto socialmente pericoloso". Il perito concludeva per la capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo a suo carico. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve ritenere raggiunta con certezza la prova della penale responsabilità dell'imputato per i reati di rubrica. Si deve premettere che la ricostruzione offerta dal (...) in sede di querela e di sit ha trovato ampio riscontro nelle dichiarazioni rese da A. e (...), oltre che nella citate annotazioni di polizia giudiziaria. Quanto alla contestazione di cui al capo 2 di rubrica, si deve ritenere che la condotta dell'imputato (che aveva suonato ripetutamente al campanello della porta del (...), colpendola anche con pugni) integri la contravvenzione di molestia. Come chiarito dalla Corte, la molestia è costituita "dall'interferenza non accetta che altera dolorosamente, fastidiosamente o importunatamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una persona per essere qualificato come molesto l'atto "deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma deve essere ispirato anche da biasimevole, ossia riprovevole, motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente ed invadente" (vedi Cass. Sez. I, 22 ottobre 2021). Per completezza si deve evidenziare che, come precisato dalla Suprema Corte, anche la scala o l'atrio di un condominio, comune a più abitazioni, deve essere ritenuto "luogo aperto al pubblico": "si intende luogo aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono pertanto essere considerati luoghi aperti al pubblico l'androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni", Cass. Pen., Sez. VI, 9888 del 6 giugno 1975. La circostanza che la persona offesa, durante l'azione dell'imputato, si trovasse a casa non osta alla riconducibilità dei fatti alla contravvenzione contestata: "ai fini del reato di cui all'art. 660 c.p., il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l'agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell'ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico", Cass. Pen., Sez. I, n.1 1524 del 24.4.1986. Quanto alla contestazione di cui al capo 1) si deve evidenziare che dagli atti è emerso che l'imputato, con la sua condotta, aveva sostanzialmente impedito al vicino (...), particolarmente vessato dai suoi comportamenti, di prendere l'ascensore, costringendolo a percorrere le scale per potersi recare nel suo appartamento; tale comportamento, posto in essere ai danni di soggetto affetto da malattia cardiaca, risulta riconducibile nell'alveo applicativo della fattispecie contestata in rubrica. Va detto, quanto all'elemento psicologico, che tale condotta appare compatibile con l'aggressività ed animosità che l'imputato ha dimostrato di avere nei confronti dei suoi vicini di casa, e da lui esplicitamente manifestata all'atto dell'intervento dei carabinieri della Stazione di Udine est, con dichiarazioni che sono state riportate nella già citata annotazione di polizia giudiziaria. Quanto alla capacità del (...), dalle citate annotazioni di servizio e dalla ricostruzione della vicenda fornita dai testi, è emerso che l'imputato, nel momento in cui erano giunte sul posto le forze dell'ordine, aveva manifestato sintomi di pregressa assunzione di alcolici; dalla perizia del dott.(...), redatta nell'ambito di altro procedimento, è emerso che il (...) è soggetto noto al reparto (...) e trapianti di fegato dell'ospedale di Udine, quale paziente con reiterata dipendenza dagli alcolici, affetto da cirrosi esotossica. Il perito aveva evidenziato che tale patologia si era mescolata ad un disturbo di personalità misto, con tratti istrionici e antisociali ed aveva concluso per la capacità grandemente scemata dell'imputato, all'epoca dei fatti (risalenti al 7 maggio 2022). Seppure le considerazioni del perito risultano riferite ad un periodo diverso e successivo (7 maggio 2022) rispetto a quello in contestazione (22 settembre 2021) ed a fatti specifici (nel procedimento nel quale era stato nominato il perito, il (...) rispondeva del delitto di evasione), va detto che le stesse appaiono compatibili con il quadro emerso dalle deposizioni dei testi, dalle quali è risultato che il comportamento del (...) oggetto di contestazione nell'ambito di questo procedimento era associato all'uso di alcool, problematica da cui sono originate le patologie messe in evidenza nella perizia del dott.(...). Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato di rubrica; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., ritenuto più grave il reato di cui al capo 1), denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per l'esistenza di plurimi ed anche specifici precedenti penali, non controbilanciati da alcun elemento favorevole ed ostativi altresì alla concessione dei benefici di legge, concessa l'attenuante del vizio parziale di mente, unificati i reati contestati nel vincolo della continuazione, potendo desumersi con ragionevole certezza l'unicità del disegno criminoso dall'omogeneità delle condotte e dal ristretto ambito temporale entro cui le stesse sono state commesse, tenuto conto della riduzione per il rito, è da ritenersi pena congrua quella di mesi due di reclusione, così determinata: (pena base per il reato più grave di cui al capo 1) di rubrica, mesi quattro di reclusione, diminuita a mesi due giorni venti di reclusione ex art. 89 c.p., aumentata ex art.81 cpv, c.p. alla pena di mesi tre di reclusione, pena ridotta per il rito a mesi due di reclusione). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Non sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerati i numerosissimi precedenti penali. Quanto alla richiesta, avanzata dalla difesa munita di rituale procura speciale ai sensi dell'art.545 bis c.p.p., di sostituire la pena detentiva applicata con quella della detenzione domiciliare, si deve osservare come alla luce dei parametri di cui all'art.58 L. n. 689 del 1981, si debba ritenere tale sanzione sostitutiva non idonea ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati e a favorire la rieducazione dell'imputato, avuto riguardo ai precedenti penali dell'imputato; del resto, la perizia prodotta dalla difesa è stata disposta nell'ambito di un procedimento nel quale il (...) era stato arrestato per evasione dagli arresti domiciliari, disposti nell'ambito del procedimento 7195/21 rgnr, e ciò consente di formulare una prognosi negativa in merito alla possibilità da parte dell'imputato di adempiere alle prescrizioni conseguenti alla sanzione sostitutiva richiesta dalla difesa. Con riferimento alla pericolosità sociale dell'imputato, ci si richiama alle considerazioni svolte sul punto dal perito dott.(...), nella perizia prodotta dalla difesa, che come già evidenziato riporta conclusioni che sono apparse compatibili con il quadro generale nel quale devono essere collocati i fatti in contestazione; ai sensi dell'art.219 comma 3 c.p. appare misura idonea per fronteggiare la pericolosità sociale dell'imputato quella della libertà vigilata, per la durata che appare congruo indicare in anni uno. Sul punto, la Suprema Corte ha evidenziato che "la misura di sicurezza della libertà vigilata non può avere durata inferiore ad un anno, anche quando sia irrogata, ai sensi dell'art.219 comma 3 c.p. in sostituzione del ricovero in una casa di cura e di custodia", Cass. Pen., Sez. I, n. 15818 del l'aprile 2009. Appare congrua l'assegnazione del termine di 45 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale di Udine in composizione monocratica Letti gli artt.438 e ss., 533 e 535 c.p.p. DICHIARA (...) colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e, concessa l'attenuante di cui all'art. 89 c.p., uniti i reati nel vincolo della continuazione, tenuto conto della riduzione per il rito, lo condanna alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt.219 comma 3 e 228 c.p. applica all'imputato la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni uno. Motivazione in gg.45. Letto l'art. 545 bis c.p.p. CONFERMA il dispositivo di sentenza pronunciata nei confronti di (...) in data odierna. Motivazione in gg. 45. Così deciso in Udine il 27 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 22/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) a D. (V.) residente in Via L. 49 - T. (U.) con domicilio dichiarato in Via U. 14/5 c/o (...) G.- T. (U.) - Libero, non comparso - Difeso dall' avvocato di fiducia TA.An. del foro di Udine (...) nata il (...) a U. residente in Via U. 28 - P. (U.) - Libera, presente - Difesa dall' avvocato di fiducia Pi.Be. del foro di Udine IMPUTATI (...) (...) Reato p. e p. dagli artt. 110,624 bis c.p., perché, in concorso e previo accordo tra loro, al fine di trame profitto, dopo essersi presentati il (...) con il nome di (...) e la (...) come sua moglie ed essersi dichiarati interessati all'acquisto di un'autovettura (...) di proprietà della (...) Srl con sede in (...), convincevano (...) e (...), collaboratori della (...) Srl, a recarsi presso l'abitazione sita in P. via U. 28 portando con se la somma di 4000 euro in contanti, che sarebbe servita a cambiare le banconote di grosso taglio in possesso del (...), ponendo tale condizione come indispensabile per l'acquisto dell'autovettura e, mentre lo (...) era intento alla verifica delle banconote, (...) gliele strappava di mano; In Pradamano il 17.6.21 Con la recidiva reiterata specifica per (...) Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott.ssa Ma.Ga. (con delega) dei difensori di fiducia TASCIONI Andrea del foro di Udine e Pi.BE. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine gli odierni imputati venivano citati a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere del reato a loro ascritto in rubrica. All'udienza dibattimentale di data 21 settembre 2022 veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova: il Pm chiedeva di essere ammesso a provare i fatti di causa mediante l'esame dei testi indicati in lista ed esame imputati, la difesa di (...) non avanzava autonome istanze istruttorie, la difesa di (...) chiedeva l'esame dell'imputata. Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell'art. 495 c.p.p., all'udienza di data si procedeva all'esame di 16 novembre 2022 si procedeva all'esame di (...), (...), (...), (...); con il consenso delle parti veniva acquisito il verbale di sit rese da (...). Indi il Tribunale, ritenuto necessario ai fini della decisione, disponeva l'acquisizione delle relazioni relative ad eventuali controlli sul territorio di (...). Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione degli odierni imputati dal reato di rubrica. (...), dipendente della società (...) srl, con sede ad (...), (...), sentito in dibattimento ha riferito che nel 2021 aveva ricevuto l'incarico di procedere alla vendita dell'auto aziendale (...), tg.(...), vettura oggetto di un contratto di leasing stipulato con la banca (...). Il teste ha spiegato di avere pubblicato un annuncio sul sito di vendite on line "A. 24", proponendo la vendita della vettura per la cifra di Euro 35.000,00 ed indicando sull'annuncio il suo numero di telefono cellulare ((...)): era quindi stato contattato da un uomo, che si era presentato con il nome di "(...)"; questi si era in seguito presentato presso l'azienda, in compagnia di una signora, a bordo di una (...), per visionare la (...), che aveva trovato di suo interesse, seppure avesse chiesto uno sconto sul prezzo indicato nell'annuncio. Il teste ha ricordato di avere spiegato al soggetto interessato all'acquisto che si trattava di un'auto in leasing, per l'acquisto della quale sarebbe stato necessario versare il valore del riscatto alla Banca (...) e la plusvalenza alla azienda, per evitare un doppio passaggio di proprietà; (...) si era dichiarato interessato all'acquisto e qualche giorno dopo, al telefono, in vista dell'acquisto, aveva chiesto il favore di cambiargli delle banconote da Euro 500,00 con banconote di taglio più piccolo, spiegando che era difficile per lui versare in banca le banconote di cui era in possesso di tale rilevante valore nominale ed assicurando la regolarità delle sue banconote ("stai tranquillo, porta anche la macchinetta quella per la segnalazione delle banconote e vedrai che andrà tutto a posto. Mi faresti un grande favore"). Il teste ha ricordato di essersi rivolto alla responsabile amministrativa della società, ottenendo l'autorizzazione a disporre di Euro 4.000 dell'azienda, in banconote da Euro 50,00, per andare incontro alle esigenze del potenziale acquirente. (...) ha spiegato di essersi diretto, a bordo della (...), in compagnia della dipendente (...), presso il luogo che gli era stato indicato da (...): P., Via U., 28, presso la "(...)". Il teste ha spiegato che dopo essere entrato in casa, dove c'era (...) e una signora, su invito dell'uomo era ritornato in auto, per recuperare il denaro e la macchinetta contasoldi; era rientrato e, seduto al tavolo, aveva iniziato ad inserire la sue banconote nella macchinetta, per dimostrare che si trattava di denaro regolare. A quel punto (...) si era avvicinato al tavolo e si era improvvisamente impossessato delle banconote già controllate, che erano state appoggiate sul tavolo e di quelle che (...) aveva ancora in mano, uscendo rapidamente dalla stanza; quest'ultimo, rimasto sorpreso da quanto accaduto, si era rivolto alla signora, che era rimasta impassibile. Il teste ha spiegato di avere ricevuto una telefonata da parte di (...), dal numero (...), che gli aveva dato appuntamento in un ufficio a Pradamano, comunicandogli un indirizzo che tuttavia era risultato inesistente; aveva quindi provato a contattare il numero di telefono dal quale aveva ricevuto la chiamata, parlando con un altro soggetto, che gli aveva dato appuntamento in vari luoghi, dove tuttavia non aveva mai trovato alcuno. Il teste ha spiegato di avere ricevuto alcuni messaggi anche alcuni giorni dopo, ma a quel punto aveva capito di essere stato raggirato e non aveva aderito alle nuove proposte di appuntamento Il teste ha così descritto l'uomo protagonista della vicenda: età di circa 26 anni, corporatura robusta, non molto alto, capelli rasati da un lato e lunghi sulla sommità, senza nè barba nè baffi; la donna aveva un'età di circa 45 anni alta, magra, con capelli castano chiari. (...), in sede di individuazione fotografica, ha indicato nella foto dell'odierno imputato (foto 10 album prodotto dal Pm) l'effige del soggetto protagonista della vicenda; e nella foto di (...) (foto 1) l'effige della donna in compagnia dell'uomo descritto. (...), sentita a sit (verbale acquisito con il consenso delle parti), aveva confermato la ricostruzione della vicenda fornita da (...); la teste aveva spiegato che mentre il suo collega contava le banconote, con l'ausilio della macchinetta, (...) in maniera fulminea gli aveva sfilato dalle mani il denaro, allontanandosi dalla stanza. La moglie dell'uomo era rimasta in silenzio, tranquilla; da quel momento erano giunte sul telefono dello (...) varie telefonate, con cui gli erano stati dati degli appuntamenti ai quali non si era mai presentato alcuno. La teste aveva così descritto l'uomo noto con il nome di E.: uomo di circa trent'anni, robusto, non molto alto, capelli scuri, occhi arrossati forse scuri, senza né barba né baffi; la donna aveva circa trent'anni, magra, alta, capelli medio lunghi legati con coda di cavallo. In sede di individuazione fotografica, la teste aveva indicato nella foto dell'odierno imputato (foto 10) l'uomo noto con il nome di E.; nella foto della (...) (foto 1) l'effige della signora, presentatasi come moglie di E.. (...), in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Pavia di Udine, sentito in dibattimento ha illustrato l'attività di indagine compiuta in relazione ai fatti oggetto del presente procedimento; il teste ha riferito che "(...)", sita a P., in via U, 28, è luogo noto, all'interno della quale vivono due nuclei familiari: il primo, composto da (...) e dalla moglie (...), con i quattro figli ((...), (...), (...), (...)); il secondo, composto da (...), con moglie e figli. Nel corso della attività di indagine era stato possibile accertare che l'utenza telefonica utilizzata per contattare lo (...) era intestata a (...), ex compagna di (...), il cui nome era emerso come soggetto intestatario di utenze con cui erano stati compiute alcune truffe contestate a (...). Nella predisposizione dell'album fotografico che era stato esibito ai testi erano quindi state inserite le fotografie dei soggetti che abitavano in (...); la foto di (...), soggetto di etnia Rom domiciliato a Tarcento, era stata inserita casualmente all'interno dell'album fotografico. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve osservare quanto segue. I fatti, così come ricostruiti in dibattimento, appaiono riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 624 bis c.p.c.orrettamente contestato in rubrica; tuttavia, prima di svolgere alcuni approfondimenti sul tema, deve prima valutarsi se gli odierni imputati siano stati correttamente individuati quali soggetti protagonisti della vicenda. Nel caso in esame è stato possibile risalire al (...) e alla (...) grazie alla individuazione fotografica eseguita da (...) e dalla (...); fatta questa premessa, si deve in generale ricordare che "nel caso di riconoscimento fotografico, attesa la ridotta efficacia rappresentativa del mezzo, dal punto di vista storico (l'immagine deve essere la più recente possibile) e spaziale (mancano di solito riferimenti volumetrici) è opportuna l'adizione di cautele analoghe a quelle previste dagli artt.213 e ss. c.p.p. in tema di ricognizione di persone; spetta poi al Giudice verificare la correttezza dei criteri adottati da chi ha assunto l'atto nonché l'attendibilità del dichiarante e, in caso di dichiarazioni ricognitive plurime, la concordia esterna delle stesse e la compiutezza di ciascuna", Cass. Pen., Sez. V, sentenza 1858, del 26.11.98). Ebbene, nel caso in esame, si deve ritenere che con riferimento alla preparazione dell'album fotografico composto da foto di soggetti femminili, esibito ai testimoni, siano state adottate tutte le cautele necessarie a rendere efficace il riconoscimento; entrambi i testimoni hanno indicato nella foto della (...) l'effige della donna che si era presentata come moglie di (...) e che era stata presente durante lo svolgimento della vicenda. Non vi sono elementi per dubitare dell'efficacia di tale riconoscimento; sul punto, va osservato che le diverse indicazioni fomite dai testi circa l'età della donna non sono risultate decisive, dovendosi considerare che lo (...) (secondo cui la donna aveva 45 - 50 anni) ha specificato che questa "portava gli anni molto bene", dettaglio che consente di ritenere tale descrizione non incompatibile con quella fornita dalla (...), secondo cui la donna era "sulla trentina". Quanto alla altezza, entrambi i testi si sono limitati ad affermare che la stessa era più alta dell'uomo, descritto come "non molto alto". Va detto che dall'attività di indagine è del resto emerso che la (...) è soggetto che abita all'interno della residenza denominata "(...)", teatro della vicenda in esame; si tratta di circostanza che consente di confermare l'efficacia del riconoscimento della (...) quale soggetto coinvolto nella vicenda. Diverse le conclusioni con riferimento al riconoscimento del (...). Sul punto va osservato che la foto inserita nell'album esibito alle parti (e da queste riconosciuta) ritrae l'imputato con una vistosa barba, quando i testimoni, nella loro deposizione, hanno spiegato che l'uomo a loro noto con il nome di (...) non aveva né barba né baffi. Del resto, dalla deposizione del teste (...) è emerso che l'inserimento della foto dell'imputato era stata casuale, motivo per il quale non era stato rispettato l'accorgimento di reperire una foto dell'imputato privo di barba, per rendere maggiormente efficace il riconoscimento che, quindi, sotto questo profilo, non appare decisivo. A questo deve aggiungersi che entrambi i testimoni, che pure hanno concordemente indicato nella foto del (...) l'effige del soggetto protagonista della vicenda, hanno descritto l'uomo noto con il nome di (...) come soggetto "non molto alto"; dalla copia della carta di identità prodotta dalla difesa è emerso che l'imputato è alto 1,87, altezza non compatibile con la descrizione fornita dai testimoni. Nel corso .dell'attività di indagine non è stato compiuto alcun approfondimento volto a verificare eventuali contatti tra il (...) e la (...) o, in generale, con i membri dei nuclei familiari residenti nella "(...)" (con l'acquisizione di schede di controllo sul territorio) o accertare se nella giornata in cui si sono svolti i fatti l'imputato si trovasse nella zona dove si sono svolti i fatti (verifica che sarebbe stata possibile con l'esame dei tabulati e delle celle eventualmente agganciate dall'imputato nella giornata in cui si sono svolti i fatti). Il Tribunale, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., ha ritenuto di acquisire le relazioni relative ai controlli cui è stato sottoposto (...) sul territorio, ma non sono emersi dati significativi, non risultando che l'imputato sia stato mai controllato unitamente a qualcuno dei soggetti che dimorano nella (...). Il riconoscimento effettuato dai testimoni, non compatibile con la descrizione fornita sulle caratteristiche fisiche del soggetto ed in assenza di elementi in grado di confermare l'efficacia del riconoscimento, non può quindi essere ritenuto conducente e decisivo, in relazione alla figura del (...). Alla luce di tali osservazioni, dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione del (...) per non avere commesso il fatto. Fatta questa precisazione, venendo al merito della vicenda, come accennato, i fatti appaiono correttamente riconducibili all'ipotesi del furto con strappo (Cass. Pen., Sez. V, n.36864 del 23.10.20 "In tema di reati contro il patrimonio, la differenza tra il delitto di furto aggravato dal mezzo fraudolento e quello di truffa si individua nella fase risolutiva del processo causale, che qualifica il carattere dell'offesa, cosicché integra l'ipotesi di furto, e non di truffa, la realizzazione da parte dell'autore di attività preparatorie finalizzate ad operare il trasferimento a sé del bene col ricorso a mezzi fraudolenti nei confronti della vittima, quando tra l'atto dispositivo di questa ed il risultato dell'impossessamento si inserisca l'azione del predetto con carattere di usurpazione unilaterale. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero qualificato come furto aggravato, anziché come truffa, la condotta dell'imputato il quale, avendo esibito un assegno provento di furto all'atto del pagamento, richiesto di giustificare la propria identità per completare la transazione, si impossessava della merce dandosi alla fuga)". Quanto alla posizione della (...), va detto che dalla deposizione dei testi è emerso che la donna che si trovava in compagnia di "(...)" si era limitata ad essere presente all'interno della casa dove si è consumata la vicenda; non risulta che la donna abbia materialmente contribuito in qualche misura al compimento del furto nè può sostenersi che la stessa, per il solo fatto di essere stata presente, avesse istigato o rafforzato il proposito delittuoso del soggetto protagonista della vicenda, rimasto ignoto, con condotta rilevante sotto il profilo del concorso morale. Alla luce di tali osservazioni, dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione anche nei confronti della (...) per non avere commesso il fatto. Appare congrua l'assegnazione del termine di 45 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica letto l'art. 530 comma 2 c.p.p. assolve (...) e (...) dal reato di rubrica per non aver commesso il fatto. Motivazione in gg. 45. Così deciso in Udine il 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Daniele Faleschini Barnaba Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 14/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) in C. residente in Via T. 4 - U. (U.) Libero, già assente Difeso dall'avvocato di fiducia PE.Pi. del foro di Udine (...) nata il (...) in C. residente in Via T. 4 - U. (U.) Libera, già presente, non presente Difesa dall'avvocato di fiducia PE.Pi. del foro di Udine (...) nato il (...) a L. T. (C.) residente in Via T. 4 - U. (U.) Libero, già assente Difeso dall'avvocato di fiducia PE.Pi. del foro di Udine IMPUTATI (...) (...) (...) per TUTTI: A. delitto p. e p. dagli artt. 61, n. 5; 110; 614, co. 4 c.p. perché, agendo in concorso tra loro, contro la volontà espressa o tacita di (...), residente unitamente alla propria madre (...) in U., Via T. n. 4, all'una di notte si introducevano nell'appartamento del predetto sfondando la porta d'ingresso; con le aggravanti di avere commesso il fatto con violenza alle cose e sulle persone vedasi Capo B), profittando di condizioni di tempo (notturno) tali da ostacolare la pubblica e/o privata difesa. B. delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 5; 110; 81 cpv.; 582; 585 c.p. perché, agendo in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, dopo essersi introdotti nell'appartamento di (...), lo aggredivano; in particolare, iniziavano a rompere i mobili, a gettare a terra vasi e quadri, a rompere tutto ciò che si trovava all'interno di una vetrina posta all'ingresso; (...), entrato brandendo una specie di asta in ferro, cercava di scagliarla contro (...) ma colpiva il divano; quindi (...) e (...) (compagno di (...), madre di (...)) si lanciavano contro (...) buttandolo a terra; la (...), vedendo che (...), amica di (...) presente nell'appartamento, cercava di chiedere aiuto, estraeva un coltello e la prendeva per i capelli appoggiando la lama del coltello sul suo collo; l'altra ragazza presente, (...), riusciva a liberarla e le due si rifugiavano in camera; poiché (...) tratteneva il (...), la madre gli passava il coltello con cui (...) feriva (...) al dito medio della mano sinistra e al costato parte sinistra; a questo punto, l'(...) sguinzagliava il proprio cane razza pittbull che aveva portato con se e l'animale mordeva (...) alla mano destra; in tal modo essi cagionavano a (...) lesioni personali consistite in "ferite superficiali" con prognosi di gg. 6. Con le aggravanti di avere utilizzato un'arma e di avere profittato di circostanze di tempo tali da ostacolare la pubblica e/o privata difesa. In UDINE, in data 28.06.2020 h. 1:00 circa per (...): C. delitto p. e p. dagli artt. 612, co. 2 (rif. art. 339) c.p. perché minacciava a (...), amica di (...) presente nell'appartamento, un male ingiusto; segnatamente, estraeva un coltello e la prendeva per i capelli appoggiando la lama del coltello sul suo collo. Con l'aggravante di avere commesso il fatto con un'arma. In UDINE, in data 28.06.2020 h. 1:00 circa per (...) CON RECIDIVA REITERATA Con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa Ga. (con delega) del difensore di fiducia PE.Pi. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del g.u.p. di data 17.12.2021 gli imputati (...), (...) e (...) venivano tratti a giudizio per rispondere delle imputazioni rispettivamente ascritte in rubrica. All'udienza del 30.6.2022, cui si perveniva dopo differimento dell'udienza iniziale del 5.5.2022 per rinnovazione delle notificazioni e dell'udienza del 28.6.2022 per astensione del difensore dalle udienze, nella dichiarata assenza degli imputati, si dichiarava aperto il dibattimento e si ammettevano le prove con ordinanza resa ex art. 495 c.p.p.. All'udienza del 4.10.2022, comparsa l'imputata (...) e revocata la dichiarazione di assenza, si procedeva all'esame dei testi (...), (...) e (...). All'udienza del 24.11.2022 si svolgeva l'esame dei testi (...), (...) e (...). All'udienza del 7.2.2023, dimessa memoria a firma dell'imputata, si dichiarava l'utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale e le parti concludevano come in epigrafe. All'udienza del 14.2.2023, in assenza di repliche, il giudice pronunziava come da dispositivo. La penale responsabilità degli imputati risulta provata oltre la soglia del ragionevole dubbio. Dalle deposizioni testimoniali assunte si è evidenziato che nella notte tra il 28 e il 29.6.2020 gli odierni imputati facevano ingresso in un appartamento, sito in un edificio bifamiliare in U., via T. n. 4, ove essi stessi abitavano, e all'interno del quale erano presenti i residenti (...) e il figlio (...), nonché gli amici di quest'ultimo (...), (...) e (...); dalle deposizioni rese dai presenti si è concordemente evidenziato che l'accesso era avvenuto mediante l'effrazione della porta d'ingresso a opera di (...), che forse aveva utilizzato a tal fine un oggetto metallico, dopodiché erano entrati nell'abitazione anche la madre (...) e il compagno di costei (...), il quale era poi temporaneamente rincasato per prelevare un cane di razza amstaff di grandi dimensioni; gli imputati avevano danneggiato mobili e suppellettili e avevano posto in essere atti di aggressione fisica in danno del (...), il quale, nel tentativo di trattenere il (...), era stato ferito con più colpi di coltello e poi morso a una mano dal cane, che gli era stato aizzato contro dall'(...); l'imputata (...) aveva altresì minacciato la teste (...), che si stava accingendo a telefonare alle forze dell'ordine, appoggiandole sul collo il coltello, che era forse del tipo a lama richiudibile, e trattenendola per i capelli; la (...) si era sottratta all'aggressione grazie all'intervento di (...) ed entrambe si erano poi chiuse nella camera da letto del (...); richiesto infine l'intervento delle forze dell'ordine, erano sopraggiunti operanti del Norm Carabinieri di Udine, i quali avevano identificato le persone offese e i testimoni; gli imputati erano già rincasati nel loro alloggio per iniziativa del (...), che aveva consentito loro di allontanarsi prima dell'arrivo dei Carabinieri per la presenza di un minore rimasto solo in casa; il giorno successivo l'imputata si era recata dalla (...) per scusarsi dell'accaduto. Le deposizioni testimoniali assunte risultano coerenti, convergenti - fatta eccezione per minute divergenze, spiegabili in ragione della concitazione dei fatti e del tempo trascorso - e attendibili, non sono contrastate da elementi di prova di segno contrario - se non da mere affermazioni parzialmente negatorie contenute in una memoria a firma dell'imputata, la quale non ha tuttavia inteso sottoporsi ad esame, né rilasciare spontanee dichiarazioni in sede dibattimentale - e ricevono riscontro sia dalle fotografie presenti in atti, scattate dalla teste (...) e acquisite dai Carabinieri, le quali documentano in modo eloquente i danni arrecati all'interno dell'appartamento, sia dalla documentazione ospedaliera relativa al (...), dalla quale consta che in data 30.6.2020 gli erano state refertate presso il pronto soccorso dell'Ospedale di Udine lesioni diagnosticate come ferite superficiali all'emitorace sinistro, al terzo dito della mano sinistra e alla spalla destra, abrasione alla mano destra, con prognosi di giorni sei; il (...) aveva riferito ai sanitari di essere stato aggredito due giorni prima, dopo un diverbio, da persone note che avevano fatto irruzione in casa sua, aggredendolo con un coltello e aizzandogli contro un cane, che lo aveva morso alla mano destra; trattasi di lesioni compatibili per caratteristiche e collocazione con le modalità dell'aggressione come descritte nelle deposizioni testimoniali assunte. Difetta ogni prova della ricorrenza in favore degli imputati della causa di giustificazione della difesa legittima, reale o putativa, considerandosi che essa non è mai applicabile ai soggetti che pongano in essere per primi una condotta offensiva, tanto più allorché gli aggressori siano dotati di uno strumento atto a offendere e si avvalgano altresì della presenza di un cane di grossa taglia che venga aizzato contro gli offesi inermi; la necessità di soccorso sanitario per una ferita al capo riportata dal (...), risultante dalla scheda di intervento del 118 di data 29.6.2020 ore 1.07 in atti, non costituisce circostanza di per sé sola sufficiente a fondare la ricorrenza della suddetta scriminante. Dimostrata è dunque la fattispecie di reato di cui all'art. 614 commi 1 e 4 c.p. ascritta agli imputati al capo A), avendo il (...) fatto arbitrario ingresso al domicilio delle persone offese con l'impiego di violenza sulle cose, consistita nel forzare la porta d'ingresso, ed essendo seguita la commissione di violenza alle persone. V'è da rilevare che l'arbitrarietà dell'accesso al domicilio consegue alle modalità stesse impiegate, dimostrando l'effrazione della porta d'ingresso il dissenso degli aventi diritto all'accesso in quel contesto di tempo e di azione; gli altri due imputati, nel medesimo contesto locale e temporale, facevano anch'essi arbitrario ingresso nell'abitazione, avvalendosi consapevolmente dell'effrazione perpetrata dal correo e concorrendo altresì nelle violenze arrecate alle persone presenti. Va ricordato che ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 614 c.p. (fatto commesso con violenza alle persone o sulle cose) occorre l'esistenza di un nesso teleologico tra le due azioni, il quale è ravvisabile nel caso in esame in ragione del fatto che la violenza era finalizzata per l'appunto a entrare e a trattenersi illegittimamente nell'altrui domicilio (Cass. sez. VI, 19.1.2018 n. 9084). Dimostrato risulta anche il concorso morale e materiale degli imputati nel cagionare lesioni personali volontarie in danno della persona offesa (...) anche mediante l'utilizzo di uno strumento atto a offendere, che veniva portato all'interno dell'abitazione e impiegato sia per ferire il (...), unitamente anche all'istigazione del cane amstaff (American Staffordshire terrier), razza canina avente notoriamente caratteristiche inclini all'aggressione fisica se incitata o in particolari contesti ambientali - e inclusa normativamente in alcuni Paesi europei diversi dall'Italia nella lista delle razze canine pericolose -, sia per arrecare minaccia a (...) a opera dell'imputata (...), la quale si rendeva dunque responsabile anche del reato di cui al capo C); trattasi di strumento da punta e da taglio atto a offendere e parificabile a un'arma a norma dell'art. 585 commi 1 e 2 n. 2 c.p.. Va ricordato che nel concorso di persone le condotte dei compartecipi non debbono necessariamente configurarsi come conditiones sine quibus non nella commissione del reato; il momento della realizzazione criminosa plurisoggettiva si compone infatti attraverso il convergere delle singole condotte, allorché, come nel caso in esame, esse siano apportatrici di un coefficiente causale alla realizzazione della fattispecie, anche non decisivo, ma comunque idoneo a rendere la realizzazione medesima più probabile, più pronta, più sicura o più grave, non essendo richiesta la prova che ciascun concorrente partecipi a ogni singolo atto dell'iter criminis. Consta peraltro che poco prima dei fatti d'imputazione si era verificato all'esterno dello stabile un diverbio tra il (...) e gli imputati, in merito alle precise modalità di accadimento del quale non si sono acquisite prove certe, ma risultando dalla deposizione resa da (...) che la lite non era rimasta allo stadio verbale, essendo stata accompagnata dal lancio di un posacenere dal terrazzo da parte del (...); se il litigio verbale poteva considerarsi bilaterale e paritario, il lancio dell'oggetto con modalità potenzialmente pericolose per l'incolumità personale degli imputati, i quali avevano con sé anche un bambino di nove anni, appare idoneo, se non a integrare propriamente la circostanza attenuante della provocazione prevista dall'art. 62 n. 2 c.p., la quale richiede che il movente del fatto ingiusto non sia rinvenibile in antecedenti comportamenti posti in essere dagli stessi imputati, quanto meno a giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Non si ritiene per contro sussistente la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 5 c.p., considerandosi che l'ora notturna - in astratto idonea a integrare siffatta aggravante - nel caso concreto non ha rappresentato di per sé sola un fattore causativo di una minorazione della difesa, essendo il (...) ancora sveglio e in attività ed essendo presenti nell'abitazione anche tre amici dello stesso, che parimenti sarebbero stati in grado di porre in essere una difesa da eventuali aggressioni indipendentemente dall'ora notturna, di modo che non appaiono ravvisabili i presupposti che giustificano il relativo aggravamento di pena. Va pertanto affermata la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti in rubrica; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., con particolare riguardo alla gravità dei fatti, desunta dal concorso di più persone, dall'utilizzo di uno strumento atto a offendere e dall'istigazione del cane, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alle rimanenti aggravanti e alla recidiva ritualmente contestata all'imputata (...), ritenuta la continuazione a norma dell'art. 81 cpv. c.p. in ragione delle modalità, del movente e della contestualità delle condotte, è da ritenersi congrua la pena di anni uno mesi sei di reclusione ciascuno per gli imputati (...) e (...), così determinata: p.b. per il capo A) anni uno mesi due, aumentata alla pena finale per la continuazione con il capo B), e di anni uno mesi otto di reclusione per l'imputata (...), così determinata: p.b. per il capo A) anni uno mesi due, aumentata per la continuazione di mesi quattro per il capo B) e di mesi due per il capo C). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. A norma dell'art. 163 c.p. sussistono i presupposti per concedere agli imputati (...) e (...) il beneficio della sospensione condizionale della pena in ragione dello stato d'incensuratezza, che consente di ritenere probabile l'astensione da future condotte di reato, mentre analogo beneficio non è concedibile all'imputata (...), avendone ella già fruito in precedenti occasioni; l'esistenza di precedenti penali a suo carico per fattispecie delittuose di apprezzabile gravità osta altresì alla sostituzione della pena detentiva a norma degli artt. 20 bis c.p., 53 e ss., L. n. 689 del 1981. Appare congrua l'assegnazione del termine di trenta giorni per il deposito della sentenza a norma dell'art. 544 comma 3 c.p.p.. P.Q.M. Il Tribunale di Udine sezione penale in composizione monocratica, letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara gli imputati (...), (...) e (...) colpevoli dei reati ascritti e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 61 n. 5 c.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alle rimanenti aggravanti e alla recidiva, ritenuta la continuazione, condanna gli imputati (...) e (...) alla pena di anni uno mesi sei di reclusione ciascuno e l'imputata (...) alla pena di anni uno mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 163 c.p., concede il beneficio della sospensione condizionale della pena agli imputati (...) e (...). Motivazione riservata nel termine di 30 giorni. Così deciso in Udine il 14 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alia pubblica udienza del 06/03/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato il (...) a L. (A.) con domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia - Libero, considerate presente ai sensi dell'art. 420 c.p.p. - Difeso dall'avvocato di fiducia DE.Ro. del foro di Udine IMPUTATO (...) 1) delitto p. e p. dagli artt. 81 C.P. 73, comma 4 (nella formulazione previgente alla riforma introdotta dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49), del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 del citato D.P.R., deteneva illecitamente ad evidente fine di spaccio, i seguenti quantitativi di stupefacente: -gr. 9,474 (netti) di hashish, sostanza stupefacente di cui alla tab. II prevista dall'art.14 del medesimo D.P.R. avente percentuale del 41,5% di principio attivo per un quantitativa di 9THC pari a 3,931 grammi idonea al confezionamento di 157,2 dosi medie singole gr. 1,875 (netti) di cocaina, sostanza stupefacente di cui alla tab. I prevista dall'art. 14 del medesimo D.P.R. avente percentuale del 78,8 % di principio attivo per un quantitative di 9THC pari a 2,479 grammi idonea al confezionamento di 9,8 dosi medie singole. Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott. Lu.Sp. (con delega) del difensore di fiducia DE.Ro. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica. All'udienza dibattimentale di data 6 marzo 2023 la difesa, munita di rituale procura speciale, chiedeva la definizione del procedimento con rito abbreviate condizionato alla nomina di perito al fine di compiere approfondimenti sulla capacita dell'imputato; rigettata l'istanza di rito abbreviato cosi formulata, la difesa avanzava istanza di definizione del processo con rito abbreviate, condizionato all'acquisizione di documenti; ammesso l'imputato al rito abbreviate, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per il reato di rubrica. Dalla comunicazione di notizia di reato si evince che in data 18 ottobre 2021 operanti della Guardia di Finanza di Udine, alle ore 12.20 circa, nel transitare in via C. a U., nel corso di un servizio finalizzato alla repressione dello spaccio di sostanze stupefacenti, avevano notato l'odierno imputato, già noto per i suoi precedenti specifici, salire a bordo di una Alfa Romeo targata (...), parcheggiata sulla pubblica via, con a bordo una persona seduta al posto di guida, successivamente identificato in (...). Gli operanti si erano diretti verso l'imputato, che si era seduto sul sedile posteriore destro e, dopo essersi qualificati, gli avevano chiesto se detenesse sostanze stupefacenti; l'uomo aveva consegnato due involucri di cellophane, contenenti complessivamente 10 grammi di sostanza presumibilmente stupefacente, tipo hashish, ma aveva cercato di occultare sotto il sedile n.5 involucri di plastica bianca del peso di 2,58 grammi, contenenti sostanza presumibilmente stupefacente del tipo cocaina. L'imputato era state accompagnato presso gli uffici del Reparto, identificato con permesso di soggiorno rilasciato in data 11 ottobre 2016 e valido sino al 29.9.2021 e in corso di rinnovo; l'uomo era state sottoposto a perquisizione, con il rinvenimento della somma di denaro di Euro 110,00 e del telefono "(...)", con Imei identificato dalle cifre finali 8915 e 8923, e scheda sim (...). La sostanza, il denaro e il telefono erano stati posti sotto sequestro; la sostanza era stata sottoposta a narcotest preliminare, che aveva confermato trattarsi di sostanza stupefacente. In sintesi, dalla annotazione in atti si evince che i cinque involucri, del peso complessivo di gr.2,58 circa (del peso singolo di gr.0,48, gr.0,55, gr.0,48, gr.0,57, gr.0,50) contenevano sostanza che, sottoposta a esame qualitativo tramite reagente narcotest, era risultata positiva alia cocaina; i due involucri del peso complessivo di 10 gr circa (del peso singolo di gr.2,75; gr.7,35) contenevano sostanza che, sottoposta a esame qualitativo tramite reagente narcotest, era risultata positiva al THC. Per completezza va osservato che la sostanza era stata analizzata presso il laboratorio Analisi Sostanze Stupefacenti del Comando Provinciale dei Carabinieri di Pordenone; il primo reperto, del peso lordo di grammi 9,769, del peso netto di grammi 9,474, era risultato "Cannabis (resina)", con percentuale di principio attivo (THC) puro del 41,5%, quantità di principio attivo puro di 3,931 grammi, sufficiente a confezionare 157,2 dosi medie singole. Il secondo reperto, del peso lordo di grammi 2,530, del peso netto di grammi 1,875, era risultato cocaina, con percentuale di principio attivo del 78,8% e quantità di principio attivo puro di 1,479, sufficiente per confezionare 9,8 dosi medie singole. (...), in sede di sit aveva riferito che in quella giornata si era recato a Udine per acquistare una modica quantità di stupefacente, tipo cocaina e hashish, per uso personale, in quanto soffriva di problemi di salute, i cui dolori si attenuavano solo con l'uso di stupefacenti; aveva aggiunto di avere contattato un cittadino extracomunitario, incontrato nella zona di spaccio della zona adiacente alia stazione, e lo stesso si era fatto accompagnare in via C., a U.; giunto nella via era sceso dalla macchina, per poi fare ritorno dopo circa 15 minuti. Il teste aveva spiegato di avere chiesto all'uomo di procurargli 100 euro di hashish e 300 euro di cocaina, per uso personale. Dalla documentazione prodotta dalla difesa si evince che l'imputato e stato seguito dal Centro di Salute mentale di Udine dal 2015, per un disturbo dell'adattamento e un disturbo post-traumatico da stress; l'imputato, al momento del primo contatto con il dipartimento, presentava varie problematiche (insonnia, incubi, cefalee, inappetenza, etc.), iperreattività a stimoli rumorosi anche di piccola entità, ansia, etc. La sintomatologia era stata trattata con la tecnica EMDR, e terapia farmacologica a supporto, con un importante miglioramento. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve ritenere raggiunta con certezza la prova della penale responsabilità dell'imputato per il reato di rubrica. Le dichiarazioni rese da P.M., soggetto sorpreso in auto con l'imputato, sono apparse decisive al fine di dimostrare che la sostanza stupefacente di cui e stato trovato in possesso l'imputato era da questi detenuta al fine di cessione, proprio in favore del (...), che aveva specificatamente richiesto tale fornitura per uso personale. Del resto, la circostanza che la sostanza fosse suddivisa in diversi involucri (2 involucri per l'hashish, 5 involucri per la cocaina) conferma che la stessa era destinata alla cessione in favore di terzi e solo l'intervento degli operanti, che avevano riconosciuto il (...), soggetto già noto all'ufficio, aveva impedito che la transazione fosse portata a compimento. La circostanza che l'imputato, risultato privo di fissa dimora, fosse stato trovato in possesso della somma in contanti di Euro 110,00 consente di desumere che il denaro fosse il provento dell'attività di spaccio; del resto il coinvolgimento del (...) nell'ambiente del traffico di sostanze stupefacenti è dato confermato dal (...), che aveva spiegato di avere conosciuto l'imputato nella zona di spaccio della zona adiacente alla stazione. Va peraltro osservato che l'imputato, alla vista degli operanti, aveva tentato di sbarazzarsi di parte della sostanza e che la stessa era in possesso dell'imputato al di fuori della propria abitazione, ove peraltro il rischio di controlli è più elevato e tali circostanze non possono spiegarsi se non con la finalità della cessione a terzi. La vicenda appare peraltro perfettamente compatibile con la biografia penale dell'imputato, che riporta due precedenti specifici, per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Quanto al tema della capacita dell'imputato, va osservato che, come spiegato nella parte relativa allo svolgimento del processo, la nomina di perito, come richiesto dalla difesa nella prima istanza di definizione del processo con rito abbreviato condizionato, è stata ritenuta non compatibile con le finalità del rito prescelto (anche avuto riguardo al fatto che l'imputato, allo stato, si troverebbe all'estero); in ogni caso va detto, per completezza, che dalla documentazione prodotta dalla difesa, seppure sono emerse delle criticità in capo al (...) - risultato affetto da un disturbo dell'adattamento e da un disturbo post traumatico da stress - non sono risultati dati dai quali desumere una situazione di parziale o totale incapacità al momento dei fatti; al contrario, le specifiche modalità della condotta - l'imputato si era fatto accompagnare in via (...) per recuperare la sostanza che gli era stata richiesta specificatamente dal "cliente" - inducono a ritenere che il (...) avesse agito in maniera pienamente consapevole. La situazione di disagio psichico documentata nelle citate relazioni cliniche può in ogni caso portare alla concessione al (...) delle circostanze attenuanti generiche. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato di rubrica, correttamente riqualificato ai sensi dell'art.73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990 (sui limiti massimi entro i quali è stata riconosciuta l'ipotesi della detenzione "lieve" vedi la recente sentenza della Suprema Corte 44061m VI sezione penale). La qualificazione ai sensi del citato quinto comma D.P.R. n. 309 del 1990 consente di ritenere la vicenda unitaria ("IN TEMA DI SOSTANZE STUPEFACENTI LA CESSIONE, NEL medesimo contesto spazio temporale e senza un'apprezzabile soluzione di continuità, di diverse tipologie di stupefacente qualora sia qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità ex art. 73 comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 n.309 integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro", Cass. Pen., Sez. IV, 109 del 28.11.2018; Sezioni Unite n.51063 del 27 settembre 2018). Valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e riconosciute le circostanze attenuanti generiche per i motivi già esposti, tenuto conto della riduzione per il rito, è da ritenersi pena congrua quella di mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa cosi determinata: (pena base anni uno mesi uno giorni 15 di reclusione ed Euro 2.700 di multa, pena diminuita a mesi nove di reclusione ed Euro 1.800 di multa ex art.62 bis c.p., pena diminuita per il rito a mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Non sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerati i precedenti specifici e la circostanza che l'imputato ha già goduto del beneficio in due precedenti occasioni. Non vi sono condizioni ostative alla sostituzione ex art.53 L. n. 689 del 1981 della pena detentiva applicata con sanzioni sostitutive; non e stata avanzata alcuna istanza sul punto dall'imputato, non presente, o dalla difesa, non munita di specifica procure speciale. Solo per completezza si osserva come, alla luce dei parametri di cui all'art. 58 L. n. 689 del 1981, si debba ritenere non possibile sostituire la pena detentiva inflitta con quella pecuniaria, sanzione che si deve reputare inidonea a favore la rieducazione dell'imputato e a garantire il pericolo di reiterazione dei reati alla luce delle specifiche modalità della condotta e dei precedenti specifici La sostanza stupefacente in sequestro dovrà essere confiscata e distrutta nelle forme di legge; va osservato che, come già evidenziato, il denaro si deve presumere provento di cessione di sostanza stupefacente e, pertanto, dovrà essere confiscate; il (...) ha in sede di sit dichiarato di avere "contattato" l'imputato, già conosciuto nella zona di spaccio della stazione e si deve presumere che tale contatto fosse avvenuto telefonicamente. Il telefono in sequestro, quindi, in qualità di strumento attraverso il quale è stato commesso il reato, dovrà essere confiscato. Appare congrua l'assegnazione del termine di 45 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica Letti gli artt.438, 533 e 535 c.p.p. DICHIARA (...) colpevole del reato a lui ascritto in rubrica, correttamente qualificato ai sensi dell'art.73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990, e concesse le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto della riduzione per il rito, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Ordina confisca e distruzione della sostanza stupefacente in sequestro; la confisca di quanto altro in sequestro. Motivazione in gg. 45. Così deciso in Udine il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di UDINE, in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Paolo LAUTERI all'udienza del 27.02.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: (...), nato a T. (U.), il (...), residente ed elettivamente domiciliato a L. (U.), Via (...), n. 155 - Difeso di fiducia dall'Avv. Ca.BE., del Foro di UDINE - libero assente imputato del reato p. e p. dall'art. 612 bis commi primo, secondo e terzo, c.p. perché, con condotte reiterate, molestava la minorenne (...) (nata il (...)) in modo da cagionare alla stessa un perdurante e grave stato di ansia. In particolare, dopo che la ragazza decideva, a causa delle sue reiterate anche violente manifestazioni di gelosia, di porre fine alla loro relazione sentimentale, iniziava a pressarla con invio di messaggi nei quali le chiedeva di riallacciare il loro legame, attribuendo la colpa della cessazione dello stesso alle interferenze della madre della giovane, si presentava presso l'abitazione della medesima, si recava presso la scuola della (...) aspettandola sia all'entrata che all'uscita, in due occasioni, l'1 marzo e il 31 agosto 2018, si recava presso i pubblici esercizi dove la ragazza stava espletando stages formativi fissandola e comunque creando per la stessa una situazione di disagio, effettuava reiterate telefonate anonime alla stessa e contattava attraverso messaggi conoscenti della giovane per verificare se avevano allacciato relazioni con la stessa col fine di far cessare dette relazioni. Con le aggravanti del fatto da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa e in danno di una minorenne. In Tolmezzo (UD) dall'inizio del mese di febbraio 2018 ed accertato a tutto il mese di agosto 2018. Con l'intervento del Pubblico Ministero, Avv. Mi.TR., con delega, dell'Avv. Se.MA., del Foro di UDINE, in rappresentanza della costituita Parte Civile (...), e del difensore di fiducia, Avv. Ca.BE., del Foro di UDINE MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del G.U.P. presso questo Tribunale, ritualmente notificato, veniva disposto il giudizio, da celebrarsi davanti a questo Giudice, nei confronti di (...) per il reato a lui ascritto in epigrafe. Nel corso dell'udienza preliminare, si era costituita Parte Civile (...) chiedendo la condanna dell'imputato anche al risarcimento del danno a lei cagionato con le condotte in contestazione. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, venivano escussi, in qualità di testi, la parte offesa (...), la di lei madre (...), l'operante (...), nonché (...) ed altri. Si acquisiva, inoltre, ampia documentazione relativa a scambi di messaggi telefonici, telematici e manoscritti tra imputato, parte offesa e terze persone, la visura VODAFONE relativa all'intestazione dell'utenza in possesso dell'imputato, alcune foto ritraenti presunte lesioni sul corpo dell'imputato, la citazione del (...) presso il Tribunale dei Minori di TRIESTE per il reato di cui all'art. 581 c.p. a danno della (...), le querele sporte dalla odierna parte offesa (al solo scopo di dimostrarne la sussistenza), la remissione della querela e l'accettazione della stessa. All'udienza del 27.02.2023, le parti concludevano come da verbale. L'odierno imputato è oggi chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 612 bis c.p. ai danni di (...), sua ex fidanzata, condomina, che - stando alla prospettazione accusatoria - avrebbe ripetutamente molestato e minacciato (attraverso messaggi telefonici, comparse indiscrete, telefonate mute) cagionandole un perdurante e grave stato d'ansia. I fatti si sarebbero consumati nell'anno solare 2018 dall'inizio del mese di febbraio fino a tutto il mese di agosto. La teste (...) riferisce di aver conosciuto (...) agli inizi di febbraio del 2017. Inizialmente c'era una semplice amicizia, poi c'è stata una relazione sentimentale terminata in data 03.02.2018. La relazione è finita su iniziativa della teste in quanto - a suo dire - il ragazzo le metteva le mani addosso e ne seguiva costantemente tutti i movimenti, attraverso le di lei password (a lui tutte note) e varie applicazioni, tipo "Trova il mio Iphone". In data 10.03.2018, la teste sporse denuncia, in quanto, a suo dire, il (...) le "aveva messo le mani addosso e comunque la relazione non andava più com'era all'inizio". Lui era diventato "cattivo" e "possessivo" e la "controllava per qualsiasi cosa". Il 03.02.2018 (giorno in cui la teste decide di interrompere la relazione) il (...), infastidito dal fatto che lei aveva una chat con un suo compagno di classe, su cui venivano scambiati soltanto i compiti, l'avrebbe "strozzata". Quel giorno, lei avrebbe dovuto recarsi a casa di lui a L. (U.) con la corriera dove era stato programmato che si sarebbe dovuta fermare per tre giorni. Sennonché lei scrisse via W. che non poteva trattenersi perché avrebbe dovuto studiare per evitare la bocciatura. Lui rispose per iscritto alterandosi e dicendo era la madre che non voleva che si fermasse. Usò frasi particolarmente volgari, quali "troia" e "vai a sbocchinare da altre parti". Lei decise di andare comunque con l'intenzione di prendere le sue cose. Ad un certo punto appoggiò il telefono sul comodino e poco dopo arrivò un messaggio di un suo compagno di classe. Lui non gradì, e l'aggredì prendendola per il collo. A casa c'erano tutti i di lui familiari (genitori e sorella) che sentirono tutto benissimo in quanto lei urlò. I giorni successivi, il ragazzo la chiamava di continuo ("parecchie" volte al giorno), le scriveva e si presentava sotto casa sua ed anche davanti alla scuola o all'ingresso o all'uscita di lei. Il (...) frequentava un'altra scuola comunque prossima all'Istituto frequentato dalla teste. Per questo, la teste andava a scuola sempre accompagnata o da sua madre o da sua nonna o da sua zia. La teste ha dovuto bloccare il suo telefono, per impedire a lui di seguirla nei movimenti. Ha anche cambiato numero, ma lui è riuscito comunque ad avere il suo nuovo recapito. C'erano persone (compresi i compagni di scuola) che fotografavano lei (anche in classe) e che inviavano le foto a lui. Lui le rimandava a lei per farle capire che sapeva dove si trovasse. Una ragazza un giorno inviò a (...) un messaggio con la dicitura d'accompagnamento "guarda che (...) è li". In data 01.03.2018, mentre la teste era impegnata in uno stage a T. (U.), venne "morsicata sul braccio sinistro". Lui era andato a trovarla, accompagnato da sua nonna o da sua madre (la teste non ricorda bene). Vide qualcosa sul cellulare di lei "che l'aveva fatto un po' incazzare", "gli è partito il matto" e l'ha morsa. Il tutto avvenne all'interno fuori dal locale in cui la teste alloggiava. A precisa domanda del Pubblico Ministero, la teste risponde che sapeva che lui sarebbe andato a trovarla. A seguito di contestazione, emerge tutt'altro. La teste, in sede di indagini preliminari, aveva, infatti, dichiarato che quel giorno (01.03.2018) il (...) si sarebbe presentato, assieme all'amico coetaneo (...), presso il "(...)" di T. (U.) dove lei stava facendo lo stage. Lui entrò e si sedette. Lei andò un attimo in panico e chiese al titolare se poteva andare a servire lui, attesa la presenza di (...) che la metteva in imbarazzo. La teste poi chiamò la madre chiedendole di andare da lei. All'esito della predetta contestazione, la teste colloca l'episodio del morso in un momento antecedente alla cessazione della relazione sentimentale. Dopo la cessazione della relazione, la teste riceveva anche messaggi su Instagram, nei quali (...) le chiedeva di incontrarla perché aveva bisogno di parlarle. Lui aveva già saputo della di lei intenzione di fare la denuncia e le chiedeva di non dire, se possibile, quello che era successo. A seguito di contestazione, dopo che la teste aveva dapprima negato e poi dichiarato di non ricordare, è emerso che il (...) avrebbe inviato anche diverse foto che lo ritraevano nudo che poi furono mostrate anche alla madre di lei. La mamma della teste aveva avuto contatti con (...) intervenendo per cercare di porre fine a queste condotte. (...) - con la madre della teste - all'inizio aveva un buon rapporto. Poi cominciò progressivamente a darle anche della "troia" e ad accusarla di non essere "capace di crescere i suoi figli'. Questo sia de visu sia tramite messaggi inviati alla teste che venivano comunque esibiti alla madre. La mamma della teste venne informata dei messaggi inviati da parte di alcune amiche di lei che si erano impaurite per quello che si sarebbe potuto verificare. Ciò sarebbe accaduto il giorno 03.02.2018. Terminata la scuola, la teste svolse un periodo lavorativo presso il (...). In una occasione, (...) si presentò anche li Era il 31.08.2018. Lei lo vide arrivare, assieme ad un amico, tale (...), e sedersi su un tavolino all'esterno. Era il pomeriggio. Lei era al bancone e preferì rimanere dentro non volendo avere rapporti con lui. (...), ad un certo punto, la guardò e si mise a ridere. Lei era nel panico perché non sapeva cosa avrebbe potuto fare. Ad un certo punto, girò il telefono ed esibì a tutto il locale una di lei foto di nudo che videro anche le di lei colleghe che intervennero ed invitarono i ragazzi ad andarsene segnalando che non era il caso di mostrare quelle foto in pubblico. I contatti su Instagram erano pressoché quotidiani. Venivano esternate frasi del tipo: "ci sono alcune donne che vengono bruciate e loro non dicono niente e perché dovresti dirlo tu?" e inoltre "a scuola mi chiamano tutti stalker, basta stare on line". Su WhatsApp non sono comparsi messaggi particolari, in quanto la teste aveva bloccato il di lui numero. Nel corso della relazione sentimentale, la teste riferisce di essersi ben introdotta nella famiglia di (...). Aveva buoni rapporti sia coi genitori che con la sorella che con la nonna. I predetti vennero a conoscenza di una testata che (...) aveva sferrato a lei. La madre la curò applicandole il ghiaccio. In un'altra occasione, (...) la colpì con una sberla davanti ai di lui genitori perché lei si rifiutava di dargli il cellulare. I genitori di (...) conoscevano anche i genitori della teste. Tra loro i rapporti erano però "pessimi". È capitato anche che l'hanno insultata. Il padre di (...) è un Carabiniere che lavora in Carnia (nella zona di Villa Santina - UD). Nel dicembre 2017, prima ancora prima di terminare la relazione con (...), la teste racconta di essersi rivolta ad una psicologa. Dopo la fine della relazione, la teste riferisce di aver visto alcune volte (...). Non sono stati incontri casuali. I due si erano accordati prima. Sono stati incontri molto tranquilli in cui era stato messo in chiaro che la relazione era finita. Ad un certo punto, la teste riferì a (...) che non voleva più vederlo né sentirlo. A seguito di contestazione, emerge che - nei mesi di febbraio e marzo ed anche successivamente - la teste aveva continuato a sentirsi con (...). Ad un certo punto, però, intorno ai mesi di giugno e luglio, si rese conto di non poter più andare "avanti così" e decise di chiudere i contatti. Dal mese di agosto, iniziarono ad arrivare telefonate anonime. Una quarantina in tutto dislocate in un lasso di tempo che la teste non sa quantificare e che successivamente riferisce essere di "tanti giorni, anche mesi'. A queste telefonate, la teste non ha mai risposto. Ce ne fu una che durò circa mezz'ora nella quale la teste si limitò a tenere aperta la chiamata senza dire nulla. La teste riconosce come proprie alcune lettere acquisite in atti che le vengono esibite durante la deposizione. In particolare, riconosce quella datata 16.02.2018 ed una e-mail del 05.02.2018. La prima fu scritta da lei. La seconda è stata inviata a lei da (...). I messaggi WhatsApp non provenivano direttamente da (...), perché il suo numero era stato da lei bloccato. Nel febbraio 2018, la teste conobbe un tale (...), con cui fece amicizia ed instaurò contatti su WhatsApp e su Instagram. Questo ragazzo le scrisse qualche messaggio del tutto normale. Una volta però riferì di esser stato contattato da un certo "(...)" che gli avrebbe detto che lei era fidanzata e che era solo di (...). Sono arrivati altri messaggi da un sedicente (...) che, ad un certo punto scrisse: "Povero (...) perché gli fai questo?". Questo ha indotto la teste a pensare che in realtà fosse proprio (...) a scrivere. Altri messaggi anomali provennero da una certa G.P., che ebbe a scrivere sul profilo facebook del padre della teste ((...)) e della di lui compagna ((...)), dicendo che (...) aveva fatto foto in cui la si ritraeva nuda e che le aveva inviate ai suoi amici cui, peraltro, aveva inviato anche foto che ritraevano nuda sua madre e la compagna del padre. Il papà della teste ha cercato di ricontattare questa (...) di cui però risulta cancellato il profilo. Altri messaggi strani sono arrivati nell'ottobre 2018 (data che emerge solo dalle contestazioni, in quanto la teste le aveva collocate in tutt'altro periodo) da tale (...). Anche questi sembravano provenire direttamente da (...). Nel corso delle indagini preliminari, la teste lamenta di esser stata sentita sempre da uno stesso operante che non l'avrebbe affatto compresa, ma anzi l'avrebbe fatta spesso sentire in colpa. In sede di controesame condotto dalla difesa, la teste riferisce di aver incontrato (...) in Ospedale a Tolmezzo (UD), nel mese di giugno 2018 (anche questa collocazione temporale emerge solo a seguito di contestazione, in quanto la teste, di primo acchito, dichiara che la cosa sarebbe avvenuta prima della denuncia). Emerge poi che, in data 09.10.2018, sentita a s.i.t., avrebbe dichiarato che aveva visto (...) anche in agosto alla Stazione delle Corriere a Tolmezzo (UD), in giro per la città ed a scuola guida. È emerso che, dopo tre giorni, la teste si è ripresentata chiedendo di correggere il tiro. A suo dire, la cosa è stata dovuta al disagio in cui l'aveva messa il poliziotto. "Ragionando anche con" sua "madre", si sarebbe poi determinata a dire la verità. La teste aggiunge che con (...) ci sono stati altri incontri, nella palestra della scuola, ma solo quando lei era accompagnata dalle sue amiche. A domanda del difensore dell'imputato, la teste conferma che i genitori, soprattutto la madre, hanno avuto un ruolo nella sua determinazione a sporgere denuncia. Riferisce comunque di esser stata lei a voler denunciare per evitare riflessi negativi sulla sua salute. All'inizio era titubante perché comunque era ancora innamorata di (...). In seguito, la querela è stata rimessa perché la teste non voleva che la cosa durasse così a lungo e perché non voleva "altri casini', ossia di essere a sua volta denunciata lei per ritorsione. A domanda specifica, la teste riferisce di non aver mai aggredito (...) verbalmente né fisicamente. Una volta l'avrebbe spinto e poi graffiato. Alla teste vengono esibite n. 10 foto che ritraggono delle alterazioni cutanee (graffi ed arrossamenti localizzati in varie zone del corpo). La teste dice essere foto di (...). La foto n. 2 riproduce lesioni in zona sacrale che il ragazzo si era procurato cadendo dalla moto. La foto n. 3 riproduce un qualcosa che gli aveva fatto suo padre lanciandogli uno straccio. Nelle altre foto non riconosce segni riconducibili alla sua personale aggressione. (...), nel corso della relazione, peraltro, non indossava mai collane. Iniziò a metterle dopo. La teste riconosce di aver avuto anche lei momenti di gelosia nei confronti di (...). Dopo il febbraio 2018 non ha più fatto scenate di gelosia. Anche lei aveva le password dell'Iphone di (...), ma non è mai andata a vedere o curiosare. A suo tempo aveva anche le chiavi d'accesso ai profili instagram e facebook, ma dopo la fine della storia, (...) ha cancellato tutto. Alla famiglia del (...), la teste riferisce di aver detto di non avere relazioni molto strette coi suoi genitori. Questo però derivava dall'azione di plagio fatta da (...). Si era creato un rapporto conflittuale tra la teste e la madre di cui la prima si lamentava anche con (...). Ad alcune domande della difesa la teste risponde dicendo che aveva scritto a (...) anche dopo la fine della relazione perché era ancora innamorata di lui. Dal raffronto tra i verbali di s.i.t. del 09 e del 12.10.2018, si nota come, nella seconda occasione, (...) intende precisare che, in realtà, aveva continuato a sentirsi con (...) anche dopo l'episodio di febbraio, cosa negata nell'occasione precedente. Riferisce che - pur essendo convinta che la cosa sarebbe finita - teneva a lui ed ha voluto mantenere i contatti con lui anche dopo aver sporto la querela. Ha deciso di troncare definitivamente a giugno/luglio e da agosto sono iniziate le telefonate anonime. Nella corrispondenza acquisita in atti, si trae conferma della presenza di scambi epistolari di contenuto assolutamente amorevole e conciliante. È stata acquisita una e-mail inviata dal (...), risalente al 05.02.2018, nella quale l'imputato si dichiara ancora innamorato della ragazza, voglioso di averla con lui e decisamente contrariato dall'atteggiamento che ha avuto la madre di lei (definito "una commedia") che avrebbe fatto rimanere male anche i genitori di lui. Si dichiara sofferente per il fatto di non essere riuscito a vederla e la prega di fare in modo di mettersi in contatto con lui in qualche modo. Sottolinea la sua convinzione circa la pesante influenza dell'atteggiamento della di lei madre sulla situazione che si era venuta creando. C'è poi una lettera manoscritta della (...), portante la data del 16.03.2018, nella quale questo forte sentimento di lui sembra decisamente condiviso e ricambiato. E sembra, altresì, condivisa l'opinione circa l'azione della mamma di lei che si porrebbe in contrasto con gli stessi desideri della ragazza. Si dice che è la mamma ad avere il cellulare di lei e che, quindi, è il caso di cancellare comunicazioni che lei altrimenti leggerebbe. Ci sono poi commenti nei quali la ragazza sembra scusarsi per la situazione che si è creata, si dice dispiaciuta per essere costretta a scrivere a mano ed a non vedere il ragazzo e dichiara di non voler rovinare la vita dei (...) e dei suoi familiari. Garantisce che non si sta vedendo con nessuno anche perché non ne ha voglia. La teste (...) è la mamma di (...). Riferisce di convivere con la figlia ora come all'epoca dei fatti. Conferma che la figlia ebbe una relazione sentimentale con (...) e che questa relazione, ad un certo punto, si è conclusa. Racconta di esser stata "tra virgolette" lei a far sospendere l'idillio quando alcune amiche della figlia (una delle quali è M.(...)) andarono da lei ad informarla di fatti che stavano succedendo ed a farle ascoltare messaggi e scritti tra di loro nei quali (...) dichiarava che veniva maltrattata da questo ragazzo. Lei andò a prenderla a casa di lui e non permise più che si vedesse con (...). Era il 03.02.2018. A. in quella circostanza le confidò di aver già provato a lasciare (...) nei mesi precedenti ma di non esserci riuscita. Avrebbe tentato più volte di dirlo a (...), ma lui non ne voleva sapere. Dopo questo fatto, sicuramente (...) non era felice ed era piuttosto provata per la situazione. Era preoccupata per ciò che sarebbe successo dopo, anche se si rendeva conto di non essere stata bene. Da quel momento, veniva accompagnata a scuola o dalla madre, dalla zia o dal nonno, a seconda di chi fosse disponibile. Era stata lei stessa a proporlo. Dopodiché, ha iniziato un percorso con una psicologa. (...), da quel momento, non usciva più di casa, piangeva ed ha avuto un calo di rendimento a scuola al punto da perdere l'anno (non andava benissimo neanche prima, ma - dopo quello che era successo - non voleva neanche andare più a scuola). Dopo questi fatti, (...) iniziò a mandare una serie di messaggi che la teste riferisce di aver letto integralmente. Il tenore era: "Cosa sta succedendo?" oppure: "Tua mamma sicuramente ti ha chiusa in casa". Erano più che altro richieste di spiegazioni ed inviti a vedersi, anche fuori dalla scuola. Si presentò anche a casa. Una sera suonò il campanello alle ore 21.30 e non gli fu aperto. (...) si mise a piangere e disse: "Mamma io ho paura, mamma cosa facciamo?". Ad un certo punto, (...) ha voluto vederlo per chiudere la storia. Disse: "Se ... lo vedo e gli dico le cose forse la smette". I due si sono incontrati fuori dalla scuola, "nei pressi della palestra (...)". A. poi raccontò che, in presenza anche di alcuni compagni di scuola, aveva chiesto di essere lasciata stare e che (...), almeno apparentemente, aveva accettato. Per cercare di tutelare la ragazza da eventuali ulteriori contatti, venne cambiato 11 recapito di (...). Il nuovo numero, però, arrivò sia a (...) sia ai suoi amici. In data 01.03.2018, (...) stava lavorando presso il (...) di T. (U.). Ad un certo punto, il titolare (che era stato informato della problematica) chiamò la teste chiedendole di recarsi sul posto in quanto (...) aveva avuto una crisi di pianto a seguito dell'accesso presso il locale del suo ragazzo (il quale se n'era già andato). Un analogo incontro si ebbe presso la gelateria "(...)", dove (...) prestava servizio in tirocinio. Si presentò (...) ed (...) si allontanò subito recandosi presso lo studio della teste che è prossimo al locale. (...) disse che era andato (...). La teste si recò sul posto, ma il ragazzo non c'era più. La decisione di sottoporre la ragazza ad un percorso psicoterapeutico fu presa sulla base dei suggerimenti di alcuni docenti della scuola, in particolare la Prof.ssa (...), che avevano notato notevoli cambiamenti nei di lei comportamenti. A. fu affidata alla Dott.ssa (...), la quale confermò la situazione di disagio e timore in cui stava vivendo la ragazza e suggerì, a sua volta, di interloquire con l'Ispettore (...), della Questura, cui sporgere una denuncia. La teste andò a parlare con questo Ispettore e si addivenne alla conclusione di non partire subito con una denuncia, in quanto l'esigenza principale era quella di tenere la ragazza tranquilla. L'Ispettore parlò col padre del ragazzo. Riferì di aver ricevuto rassicurazioni sulla presa di coscienza della situazione da parte di (...). L'indomani però (...) si presentò al (...). A quel punto, la teste ricontattò l'Ispettore, il quale - a quel punto - disse che era il caso di procedere. La teste riferisce che i rapporti con la famiglia di (...) sono sempre stati molto tesi. II tutto nacque nel settembre 2017, quando (...) regalò ad (...) un cane pastore che, però, come confermato anche da un allevatore all'uopo consultato, non poteva essere tenuto in un appartamento quale quello in cui abita la teste con la sua famiglia. Il problema fu esposto a (...) che però non volle sentire ragioni essendo un regalo che lui aveva fatto alla ragazza. La teste ed il padre di (...) decisero di recarsi congiuntamente a casa dei genitori di (...) portando con loro il cane. Ancora prima di arrivare sulla porta di casa, la teste e l'ex marito furono aggrediti verbalmente con frasi del tipo: "cosa volete, vergognatevi, portate via questo cane da qui, noi non vogliamo niente e andate via da qui". Solo in un secondo momento, quando si erano resi conto che tutto il vicinato stava ascoltando, hanno consentito l'ingresso della teste in casa. Tra i messaggi inviati da (...), ce n'era uno che colpì parecchio. Recitava più o meno: "ci sono donne che vengono bruciate con l'acido e non dicono niente, perché tu sei andata a dire...". Nel periodo di luglio-agosto 2018 (...) ricevette molteplici telefonate da numeri sconosciuti. La teste conferma che (...) si confidò con lei e contattò successivamente il poliziotto che stava facendo le indagini per andare a correggere alcune dichiarazioni che aveva reso. In sostanza, (...) confessò di aver visto (...) e di non aver detto la verità nella prima occasione (nelle s.i.t. del 09.10.2018). La teste, a quel punto, le disse di andare subito a rettificare. Non sapeva assolutamente che (...) si era rivista con (...) dopo il 03.02.2018. Si dice pienamente consapevole che sua figlia fosse ancora innamorata del suo ragazzo. Ciò avvenne nella successiva seduta del 12.10.2018, alla presenza anche della teste. A sentire (...) fu l'Ispettore (...) il quale non ebbe alcuna sensibilità nei confronti della persona che stava sentendo e la trattò quasi come se fosse lei la colpevole. A dire della teste, l'Ispettore incalzava costantemente con frasi del tipo: "Sei sicura? Devi dire la verità perché non puoi dire delle cose che non sono". (...) era molto aggressiva. L'Ispettore poi dava costanti segnali di insofferenza e di fastidio ("alle volte sbuffando e altre cose adesso non mi ricordo". Questo non solo con la ragazza, ma anche con la teste, anche se in maniera minore. L'Ispettore (...) avvicinò la teste al (...) mentre beveva il caffè col suo datore di lavoro (...). Le chiese di andare in Commissariato perché avrebbe voluto parlarle della denuncia e della sua eventuale intenzione di ritirarla. (...), ad un certo punto, decise di rimettere la querela, ma solo per fatti di "violenza" oggetto di altro procedimento penale instaurato a TRIESTE. Il percorso dalla psicologa è durato circa un anno ed è ben riuscito. Nel periodo 2017/18 i rapporti tra la teste e sua figlia erano piuttosto tesi. A. faceva quello che voleva o meglio quello che (...) le faceva fare. È stata praticamente plagiata da (...) e dopo che aveva conosciuto lui, era radicalmente cambiata. Nello specifico, (...) cominciò a non rispettare più gli orari che la teste le dava per rientrare a casa (cosa che, in precedenza, aveva sempre fatto). La madre è stata costretta ad andarla a cercare. Diverse volte, le venne risposto: "(...) dorme a casa mia". Aveva poi avuto un calo ponderale alquanto vistoso, non studiava più, marinava la scuola, prese l'abitudine di rispondere male sia in famiglia sia ai professori a scuola. Spesso infine presentava dei lividi su tutto il corpo, dei quali non ha mai voluto rivelare le cause. La teste (...) lavorava nell'ottobre 2018 presso la gelateria "(...)" a T. (U.). Ha lavorato assieme a (...) nel reparto caffetteria. Riferisce che un giorno, mentre lei era di turno dietro il bancone, al locale arrivò un ragazzo (abituale frequentatore del locale) che iniziò a fissare insistentemente (...) con la palese intenzione di farsi notare (non era la prima volta che faceva una cosa del genere). (...) lo notò, era molto in imbarazzo e, a gesti, cercò di mandarlo via. A quel punto, il ragazzo (che la teste sa chiamarsi (...) e che conosceva solo di vista) si era avvicinato dall'esterno all'ampia vetrata mostrando delle foto intime di (...), che aveva sul telefonino. La posizione era tale per cui anche i clienti seduti al di là della vetrata potevano vedere bene quelle immagini. Lo schermo del telefono era praticamente attaccato alla vetrata. La teste si trovava al bancone a circa quattro metri di distanza, sicché ha capito che si trattava di una ragazza nuda. Ha dedotto che si trattasse di (...) dall'imbarazzo manifestato da costei e dai racconti che la stessa aveva fatto in precedenza riferendo anche di foto compromettenti di cui quel ragazzo disponeva. A. era chiaramente dispiaciuta e in imbarazzo. La teste ed un'altra collega intervennero per far smettere il ragazzo. Ci fu un tentativo di dialogo, ma il ragazzo rispose in termini piuttosto aggressivi. Disse, in buona sostanza, che - essendo lui lì - (...) avrebbe dovuto lasciare il posto di lavoro perché "c'era un'ordinanza restrittiva di mezzo" che imponeva ad (...) di stare lontana da lui. Fece anche riferimento all'Anna dei Carabinieri cui appartiene suo padre (disse qualcosa del tipo: "non sai di chi sono figlio io"). Questo ragazzo era uno dei tanti frequentatori di quel locale. Ci andava spesso accompagnato da amici. Quando veniva, c'era sempre un po' di ansia perché non si sapeva mai come si sarebbe comportato. L'unica volta in cui è successo qualcosa di eclatante, tuttavia, è stata quella sopra descritta. A. aveva fatto delle confidenze sul travagliato rapporto che aveva avuto col suo moroso. Per questo, nella impossibilità di cacciarlo via dal locale, si cercava comunque di non farlo servire da (...). II teste (...), in servizio presso il commissariato PS di Tolmezzo (UD), riferisce di aver svolto, tra l'altro, un accertamento tecnico del tabulato telefonico per verificare eventuali contatti tra l'utenza del (...) ((...), a lui formalmente intestata, come risulta anche dalla visura VODAFONE in atti) e quella della (...) ((...) verificata al momento della presentazione della querela). In data 20.08.2018, c'erano stati diversi contatti in uscita dall'utenza del (...) verso quella della (...). II 06.08.2018, intorno alle ore 12.25, c'è stato un contatto lungo circa mezz'ora. I risultati della ricerca sono riportati nel foglio annesso al CD, da cui si evince la presenza di: - n. 1 contatto di 15 secondi in data 06.08.2018, della durata di 15 secondi, alle ore 12.23; - n. 1 contatto di 37 minuti e 25 secondi sempre il 06.08.2018 alle ore 12.26; - n. 25 contatti in data 20.08.2018 (n. 19 dei quali della durata di pochissimi secondi, gli altri più lunghi ma mai oltre i 17 secondi) dalle ore 20.21 alle 23.04; - n. 1 contatto (forse un mero tentativo di contatto, in quanto non è indicata la durata) in data 21.08.2018 alle 19.36. Il teste ha inoltre operato una verifica presso l'Ospedale di Tolmezzo (UD), dove era stato segnalato, in sede testimoniale, un ulteriore contatto. È emerso che non c'erano soggetti ricoverati che potessero avere contatti con i due ragazzi. C'era solo tale (...), nata nel (...), ricoverata in quel nosocomio, che però non risultò aver avuto visite dall'uno o dall'altra. Al momento della denuncia e delle successive audizioni, la (...) aveva prodotto una serie di messaggi che ripercorrevano tutto il periodo di fidanzamento. In ordine all'utilizzo di alcuni profili Instagram e Facebook (in particolare, di pinoil428, gretapascoli e chiaramontesi) che avrebbero avuto contatti col profilo della (...), non è stato possibile risalire ai reali intestatari, in quanto i server sono in AMERICA e le Autorità locali non mettono a disposizione i dati. Tra i messaggi in esame, ce n'era uno proveniente da I.428 che aveva contenuto minatorio nei confronti di tale (...) con invito a lasciar stare (...) che era già fidanzata. La (...) è stata sentita diverse volte, sempre in presenza della madre. I suoi atteggiamenti erano molto altalenanti. Da un lato, raccontava dei continui contatti che aveva ricevuto dal (...). Dall'altro, non arrivava a giustificarlo, ma si sentiva molto dispiaciuta per quello che stava succedendo. Non risulta, in altri termini, aver mai avuto un'attitudine smaccatamente avversa nei confronti del ragazzo. Il teste notava che alle domande seguivano lunghe pause prima delle risposte. Il racconto poi era spesso superficiale e privo di dettagli. La madre non si è comportata da semplice spettatrice. Non ha suggerito le risposte, ma ha spesso indotto la figlia a riferire cose che magari lei non ricordava. Il teste (...) riferisce di essere amico di (...) e di conoscere anche (...). Ha avuto modo di vivere con loro tutta la fase della loro relazione dai momenti prodromici fino alla fase successiva. La relazione è durata circa un anno ed è finita prima dell'estate 2018. Ci sono stati alti e bassi come in tutte le storie. Litigavano come si litiga in tutte le storie, per i motivi più disparati. Capitava spesso che (...) non gradiva il tono delle risposte che le dava (...). Ci sono state anche aggressioni fisiche, ma sempre reciproche. Riferisce di aver assistito ad un episodio accaduto davanti ad una panetteria a Tolmezzo (UD) accaduto intorno al marzo-aprile 2018. Ci fu un litigio al termine del quale (...) venne attinto da un ombrello all'altezza della testa. Riferisce di essersi altresì recato assieme a (...) in un locale dove lavorava (...) (un bar in zona semicentrale). A seguito di contestazione, emerge che - in data 10.03.20198 - (...) aveva invitato il teste ad andare a bere in quel BAR perché sapeva che vi era (...) che probabilmente stava lavorando. Dopo un attimo di titubanza, i due decidevano di entrare rimanendoci per il tempo di un caffè. Il teste precisa che non era noto, in quel momento, se (...) fosse di turno o meno. Riferiva comunque che, se l'avesse incontrata, avrebbe verificato la possibilità di chiarire o meno con lei. In quell'occasione, entrambi sembravano contenti di ritrovarsi. Vi furono diversi sguardi d'intesa tra i due che, al momento del pagamento alla cassa, si scambiarono anche un bacio in lontananza. A domanda specifica, il teste risponde di essere più o meno al corrente dei messaggi che intercorrevano tra (...) e (...). Riferisce trattarsi di scambi reciproci anche di parole dure. In sede di controesame della Parte Civile, il teste riferisce di abitare a T. dove va anche a scuola. In quel periodo, trascorreva di norma il weekend in Carnia perché ha una casa ad Enemonzo (UD). Il rapporto con (...) era di amicizia e confidenza. Nega comunque di aver scambiato il telefono con (...) e di aver mandato messaggi per conto di lui. Successivamente però spiega che, almeno una volta, (...) inviò un messaggio dal suo telefono perché (...) non gli rispondeva. Il teste riferisce di aver avuto il soprannome di "(...) il Triestino". Ha un profilo Instagram denominato "Matt. (...)". Non conosce il profilo "(...)". Sapeva che, dopo che era finita la relazione con (...), (...) aveva conosciuto un altro ragazzo. Era stato lo stesso (...) a dirglielo. A dire di lui, si trattava forse di una persona di UDINE. C'è stato anche un incontro fuori dall'Ospedale di Tolmezzo (UD) tra (...) ed (...) cui ha partecipato anche il teste. I due si erano dati appuntamento. La cosa avvenne dopo che era cessata la relazione. S. stesso diceva testualmente che avevano chiuso, che era stata una bella storia e che ognuno sarebbe andato per la sua strada. In precedenza c'erano stati diversi tira e molla. La storia è finita perché i due non andavano più d'accordo a causa delle reciproche gelosie e perché la madre di lei aveva molto la tendenza ad ostacolare il rapporto (questo fatto venne riferito sia da lui sia da lei). Il teste (...) riferisce di aver conosciuto (...) allo Stadio di UDINE. Questa è l'unica volta in cui l'ha vista di persona. Poi i due hanno continuato a scriversi su Instagram (su una chat privata non accessibile a terzi). Riferisce di aver ricevuto dei messaggi sulla suddetta piattaforma anche da profili "falsi" con le quali venivano chiesta informazioni in ordine al suo rapporto con (...). Uno di questi profili era intestato una certa "(...)". Altri erano denominati "(...)" e "(...)" Uno di questi profili risulta attualmente bloccato. La falsità di tali profili è stata dedotta dalla mancanza di una foto e dalla pressoché totale assenza di followers. Uno di questi messaggi (provenienti da "(...)") recitava "Sono un amico di (...) il ragazzo di (...) ... ti volevo dire di levarti dal cazzo che lei è fidanzata perciò cerca di prendere e andare a fare il fallo da un'altra parte. Okay, (...) è troppo buono perché se sarebbe come me sarebbe già venuto a cercarti perciò o la smetti di scriverle o vengo a cercarti io, okay? Fatti una vita e lascia in pace (...) e (...)". C'è stato poi uno scambio con "(...)", inaugurato da un messaggio in entrata sul profilo del teste che recitava; "Ciao, mi ha detto (...) che vieni su per picchiarmi". A tale messaggio, il teste rispose "no, e di questa storia me ne frega meno di zero". L'interlocutore ribatté: "Okay, prima le scrivi che mi vieni a picchiare e poi non vuoi sapere più niente solo quando hai scoperto che è fidanzata?". A quel punto, il teste ribadì "intendo precisare che non ho mai scritto di voler picchiare nessuno". I messaggi sono in atti. La teste (...) è un'ex collega di lavoro di (...) (con cui ha lavorato dal 2003 per una decina d'anni). Riferisce di aver instaurato un rapporto di amicizia con la predetta esteso anche alle rispettive famiglie. Ha visto crescere i figli. Ha avuto modo di conoscere anche (...), moroso di (...), che ha visto anche a casa della famiglia di lei. I due principali incontri avuti con entrambi i ragazzi sono stati in occasione della Prima Comunione del fratello di (...) e di un'uscita pomeridiana presso il Centro Commerciale "CITTÀ FIERA". In quelle occasioni, il rapporto tra loro era buono. La teste riferisce che il 03.02.2018, andò, assieme alla madre di lei, a prendere (...) a casa di (...) dopo un ennesimo episodio di maltrattamenti ricevuti di cui erano venute a conoscenza tramite alcune amiche della ragazza (di nome (...) e (...)). Dopo la cessazione della storia, la teste ha accompagnato (...) a scuola, almeno in una decina di occasioni. Lei aveva paura di incontrare (...). Nella sua famiglia, erano tutti preoccupati perché (...) non stava bene. Per il resto, la teste ha avuto delle informazioni per bocca della mamma di (...) in ordine ad episodi successivi che hanno visto protagonista (...). Le è stato riferito, ad esempio, che (...) si sarebbe presentato sotto casa ed avrebbe inviato diversi messaggi minacciosi. La famiglia si è tranquillizzata dopo un discreto lasso di tempo (circa un anno), all'esito anche dell'intervento di uno psicologo. La teste riferisce di aver assistito personalmente ad episodi nei quali (...) non si era certo distinto per educazione. Menziona, ad esempio, un episodio avvenuto nel ristornate interno al Centro commerciale "CITTÀ FIERA", in cui il ragazzo tirava noccioline in testa ad altri avventori che passavano ai piani inferiori. Sebbene ripetutamente redarguito, il ragazzo insisteva ed anzi coinvolgeva il fratello piccolo di (...). In occasione della Prima Comunione del fratello di (...), lui offriva da bere agli ospiti e, in generale, assumeva atteggiamenti eccessivamente espansivi come se fosse lui il padrone di casa. Anche la mamma di (...) ebbe a manifestare perplessità sul ragazzo, sostenendo che la di lui presenza stava rovinando la ragazza. Questo generò dissapori con la figlia, di cui la teste venne a conoscenza per sentito dire. Il teste (...) era titolare di un BAR RISTORANTE a Tolmezzo (UD), presso cui (...) fece dapprima un periodo di stage cui fece seguito un periodo di attività contrattualizzata. Racconta che, ai primi di marzo 2018, (...) e la madre gli segnalarono il rischio che nel locale si presentasse l'ex moroso (a lui del tutto ignoto) della ragazza descritto come un potenziale stalker. In quel periodo (era esattamente il 01.03.2018) effettivamente avvenne che (...) si sentì in imbarazzo perché riconobbe questo suo ex moroso in un ragazzo che, ad un certo punto, entrò nel locale assieme ad un'altra persona. Per quello che ha potuto vedere il teste, il ragazzo non si è affatto comportato male. Assieme all'amico ha consumato una bibita analcolica in uno dei tavoli collocati negli angoli più chiusi e riservati. (...) venne rassicurata per il fatto che c'erano altri lavoranti che avrebbero potuto assisterla. Ad ogni modo, non ci fu nulla che richiese l'intervento di alcuno. II teste (...) riferisce di conoscere (...). Era amico della sorella e, in ogni caso, ha condiviso con lui alcuni tratti di strada in corriera nel periodo della scuola guida. Riferisce di un episodio avvenuto presso il (...) di T. (U.) un giorno in cui era assieme a (...). I due si recarono lì, in attesa di iniziare la lezione di scuola guida. Avevano del tempo e, su proposta di (...), si recarono in quel locale a bere un caffè. Presso quel locale lavorava (...), che era l'ex morosa di (...). Il teste non sapeva che lavorasse lì prima di andarci e di vederla. Il fatto avvenne nel mese di agosto 2018 intorno alle ore 17.00. I due si sedettero ai tavolini di fuori ed iniziarono a parlare del più e del meno. Ordinati i caffè, (...) - ad un certo punto - disse che una barista, che dopo il teste ha saputo essere la sua ex, gli aveva fatto il gesto del dito medio e la cosa lo aveva fatto arrabbiare. Uscirono allora altre due bariste che, "in poche parole" gli dicevano di non importunare la ragazza e casomai di andarsene. II teste riferisce di non essere è in grado di dire se (...) abbia o meno utilizzato il suo telefonino per far vedere delle foto in esso contenute (racconta che ognuno era col suo smartphone e che non si parlavano) né se abbia o meno tirato in ballo il padre che, a quanto consta anche al teste stesso, fa il Carabiniere. La teste (...) è la nonna di (...). Accetta di rispondere sebbene avvisata della facoltà di astenersi che la legge le riconosce in virtù del rapporto di parentela. Racconta di avere ben nota la persona di (...) che è stata "l'amica, la ragazzina" di suo nipote (...), con cui lei convive. Durante la relazione, (...) era spesso presente a casa della teste che spesso l'accompagnava a scuola ed andava a riprenderla. La ragazza pernottava anche a casa della teste, quando la mamma era via. I rapporti tra (...) e (...) erano normali rapporti tra ragazzi della loro età. C'era ogni tanto qualche bisticcio, ma niente di grave. Racconta anche di aver accompagnato (...) assieme alla mamma a T. (U.) dove (...) stava facendo uno stage. In quell'occasione non accadde nulla di particolare. (...) aveva una fascia perché si era fatta male. La teste racconta di aver visto (...) l'ultima volta un giorno in cui dopo essere arrivata con la corriera alle 14.00, venne prelevata dalla madre due ore dopo. La cosa sembrò strana in quanto la ragazza era solita fermarsi fino alla sera ed anche la notte. Quella volta disse che se ne era andata perché doveva studiare. Nei dialoghi che ha avuto con (...), la teste riferisce di aver sentito che la ragazza si trovava meglio con la famiglia di (...) che con la madre. Il padre di (...) andò a casa della teste una sola volta per chiedere alla figlia di stare un po' di più a casa per studiare. La teste (...) è la mamma dell'imputato. Anche lei accetta di rispondere sebbene avvisata della facoltà di astenersi. Conferma di conoscere (...) che ha frequentato suo figlio nel periodo 2017/18. La ragazza era molto spesso a casa sua. Arrivava da scuola, pranzava e spesso dormiva anche lì. Anche nei fine settimana. I due ragazzi avevano i normali screzi che capitano ai ragazzi di quell'età. Non ci sono mai stati episodi di violenza. Ricorda che una volta (...) aveva preso una botta in testa, non si sa come. Vomitò e sporcò il letto. La teste chiese se voleva essere accompagnata al Pronto Soccorso, ma lei disse di no. La storia si è interrotta bruscamente due giorni dopo che ambo le famiglie erano andate a cena insieme a festeggiare il compleanno di (...). (...) stesso non seppe dare una spiegazione della cosa e disse che (...) aveva bloccato il telefono e non rispondeva. Accadde allora che il ragazzo fu accompagnato dalla teste, dal padre e dalla sorella presso la casa di (...) dove citofonò senza ricevere alcuna risposta. Una volta cessata la relazione, (...) comunque iniziò a frequentare anche altre ragazze. Aveva diverse amiche. A domanda del legale di Parte Civile, la teste risponde dicendo che suo marito fa il Carabiniere presso la Stazione di Comeglians (UD), dove prestava servizio anche all'epoca dei fatti. Tra la famiglia di (...) e quella di (...) non c'erano grandi rapporti. Ci fu un episodio in cui era stato dato un cane di grossa taglia alla famiglia di (...). Dopo una settimana, i di lei familiari si presentarono pretendendo di restituire il cane che - a loro dire - non potevano tenere, attese le dimensioni del loro appartamento. La teste rispose che non poteva lei prendere quell'animale, atteso che ne aveva già cinque. Lì si creò obiettivamente tensione. La teste (...) è la sorella dell'imputato. Anche lei accetta di rispondere sebbene avvisata della facoltà di astenersi. Conferma che (...), in quanto fidanzata, a suo tempo, di suo fratello, era spesso a casa sua specie a pranzo. Nega di aver assistito ad episodi di violenza tra i due. L'unico episodio di parziale intemperanza si ebbe quando (...) rincorse (...) nel corridoio e gli tirò una sberla sulla schiena tanto da lasciargli anche il segno. Conferma di essere andata a T. (U.) assieme a (...), sua madre e sua nonna per trovare (...) che si lamentava dello stage che stava facendo che, a suo dire, le provocava del dolore alle braccia. Per questo, le erano state portate delle fasce. Non successe nulla di particolare. Un giorno, (...) andò via poco dopo aver pranzato. La venne a prendere sua madre o suo padre. Lei giustificò la cosa dicendo che non stava andando bene a scuola. Pochi giorni dopo, essendo la ragazza sparita ed essendosi resa del tutto irreperibile al telefono, la teste, assieme ai suoi genitori, accompagnò (...) presso la casa di lei. Lui citofonò chiedendo di (...) e gli fu buttato giù il citofono. Dopo qualche settimana, (...) frequentava già altre ragazze, alcune delle quali sono anche andate a casa da lui. Alcune (una certa C.) erano sue amiche già da prima. La teste riferisce di un episodio accaduto dopo che (...) aveva già sporto denuncia. Vide (...) aspettare (...) fuori dalla palestra. Lei la vide e le chiese cosa facesse lì. (...) non rispose. Poco dopo vide con la coda dell'occhio (...) uscire ed andare da lei. Ad un certo punto, nella scuola di (...) venne sposta una foto di (...) con associata la dicitura che non poteva accedere a quell'istituto. La teste conferma che (...) un giorno vomitò nel letto. Tra i numerosi altri messaggi acquisiti (molti dei quali depositati all'udienza del 25.11.2021), c'è un primo blocco di dialoghi su What'sApp in cui l'imputato chiede ripetutamente scusa a lei per un non meglio precisato male che avrebbe fatto a lei. La (...) non ostenta alcun astio nei di lui confronti, anzi ripete anche lei più volte di essere innamorata di lui e di perdonarlo senza problemi. Ci sono altri messaggi intestati a Samuverit nei quali colui che scrive lamenta di esser stato insultato, picchiato e deriso da "tutta Tolmezzo" e di essere chiamato "solker" (evidentemente "stalker") a scuola, a seguito di ciò che è stato denunciato. Riferisce, altresì, che i suoi genitori sono disperati e timorosi che lui decida di scappare. Asserisce poi che se la destinataria del messaggio l'avesse effettivamente amato, non avrebbe detto quelle cose ma piuttosto si sarebbe stata zitta o avrebbe negato tutto C'è una risposta nella quale al redattore di quei messaggi viene risposto "se mi amavi non facevi tutto questo sai... non ti credevi tuo padre" Alla fine, lui dice di non guardarlo più in faccia, qualora lei intendesse andare avanti con la denuncia. C'è poi una citazione di (...) presso il Tribunale dei Minori di TRIESTE per il reato di cui all'art. 581 c.p., a danno di (...). Di tale procedimento si hanno i decreti di fissazione d'udienza e null'altro. La remissione di querela è in atti e risulta avvenuta in data 08.05.2020, ore 10.00, presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza di T. (U.). Il riferimento è alla querela sporta in data 10.03.2018 che è quella che ha dato origine al presente procedimento. La remissione risulta esplicitamente accettata dall'imputato con dichiarazione resa presso i medesimi uffici alle ore 15.50 di quello stesso giorno. È stata prodotta, al solo scopo di dimostrarne la sussistenza, una integrazione di querela del 03.09.2018, riferita a fatti accaduti a decorrere dal mese di luglio di quell'anno. Così compendiate le emergenze istruttorie, va osservato quanto segue. La norma incriminatrice oggi contestata sanziona "chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita" (art. 612 bis, comma primo, C.p.). La condotta tipica è, dunque, rappresentata da minacce o molestie. Per minaccia si intende notoriamente ogni forma di male ingiusto. L'estremo della molestia è invece integrato da "qualsiasi... indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica" (Cass. Pen., Sez. V, 17.01.2022, n. 1753, imp. Q.). È stato chiarito, inoltre, che moleste, nel senso anzidetto, sono anche le "condotte che, pur... essendo", in prima battuta, rivolte a soggetti terzi, "comportino" comunque "subdole interferenze nella ... vita privata" della "persona offesa" (Cass. Pen., Sez. V, 01.07.2022, n. 25248, imp. R.). È banale osservare che le due suindicate tipologie di condotta hanno in comune il fatto di essere sgradite al destinatario, ragion per cui è da escludere la sussistenza della tipicità a fronte di comportamenti che, per quanto opinabili e discutibili, non vengano percepiti come fastidiosi da colui cui sono direttamente rivolti. La stessa norma incriminatrice (art. 612 bis, comma primo, c.p.) prevede poi che queste condotte non rimangano fini a se stesse. Perché venga integrata la fattispecie penalmente rilevante è necessario che a seguito di tali condotte la persona offesa patisca un "perdurante e grave stato di ansia o di paura", prenda "un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva" oppure sia costretta "ad alterare le proprie abitudini di vita". L'ipotesi è stata definita in termini di "reato abituale e di danno ad eventi alternativi eventualmente concorrenti tra loro" (Cass. Pen., Sez. V, 01.02.2021, n. 3781, imp. S.). Ciò significa che non basta la mera idoneità delle condotte a cagionare l'evento, ma è necessario che l'evento stesso si realizzi come conseguenza immediata e diretta delle condotte stesse (e questo è l'elemento che caratterizza il reato in esame, rispetto alle mere molestie di cui all'art. 660 c.p. - Cass. Pen., Sez. V, 26.04.2021, n. 15625, imp. (...)). La richiamata alternatività degli "eventi" costituenti il danno, fa sì che non sia necessario il venire in essere di tutte le conseguenze descritte dalla norma incriminatrice, sufficiente essendo che se ne realizzi almeno una. L'evento tipico del "perdurante e grave stato di ansia o di paura", che - stando alla prospettazione accusatoria - si sarebbe verificato nel caso di specie - "consiste in un profondo turbamento con effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittimale "non può risolversi in una sensazione di mero fastidio, irritazione o insofferenza per le condotte minatorie o moleste subite" (Cass. Pen., Sez. V, 21.01.2021, n. 2555, imp. P.). In altri termini, il fastidio di cui si diceva sopra a proposito dei requisiti della condotta, è condizione necessaria, ma non sufficiente per la configurazione del fatto. La stabile alterazione psico-emotiva non è evidentemente qualcosa di tangibile in rerum natura sicché la prova della stessa può ben "essere dedotta anche dalla" stessa qualità "dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante, ovvero aggravino una preesistente situazione di disagio psichico della persona offesa (Cass. Pen., Sez. V, 10.01.2022, n. 7559, imp. B.). Ovviamente analogo valore sintomatico va attribuito ai comportamenti posti in essere dalla vittima in conseguenza delle condotte persecutorie subite (Cass. Pen., Sez. V, 02.03.2017, n. 17795, imp. (...)). Tenendo conto di questi parametri, non si può escludere a priori che il reato in esame sussista anche in presenza di condotte sì reiterate ma "intervallate da un prolungato lasso temporale" (Cass. Pen., Sez. V, 04.08.2021, n. 30525, imp. (...)). La differenza viene fatta evidentemente dall'incidenza concreta che ognuna delle suddette condotte provoca sulla situazione di serenità del destinatario. Per questo, è indispensabile un'analisi caso per caso. Alla luce di queste considerazioni, per addivenire ad una pronuncia di condanna per il reato oggi contestato, è necessaria la prova di una pluralità di condotte sgradite, della destabilizzazione emotiva della persona offesa (o, in alternativa, di una modifica delle sue abitudini di vita) e del nesso di causalità tra i due suddetti dati. La norma incriminatrice oggi contestata sanziona "chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita" (art. 612 bis, comma primo, C.p.). La condotta tipica è, dunque, rappresentata da minacce o molestie. Per minaccia si intende notoriamente ogni forma di male ingiusto. L'estremo della molestia è invece integrato da "qualsiasi... indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica" (Cass. Pen., Sez. V, 17.01.2022, n. 1753, imp. (...)). è stato chiarito, inoltre, che moleste, nel senso anzidetto, sono anche le "condotte che, pur ... essendo", in prima battuta, rivolte a soggetti terzi, "comportino" comunque "subdole interferenze nella ... vita privata" della "persona offesa" (Cass. Pen., Sez. V, 01.07.2022, n. 25248, imp. (...)). È banale osservare che le due suindicate tipologie di condotta hanno in comune il fatto di essere sgradite al destinatario, ragion per cui è da escludere la sussistenza della tipicità a fronte di comportamenti che, per quanto opinabili e discutibili, non vengano percepiti come fastidiosi da colui o colei cui sono rivolti in via diretta o mediata. La stessa norma incriminatrice (art. 612 bis, comma primo, c.p.) prevede poi che queste condotte non rimangano fini a se stesse. Perché venga integrata la fattispecie penalmente rilevante è necessario che a seguito di tali condotte la persona offesa patisca un "perdurante e grave stato di ansia o di paura", prenda "un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva" oppure sia costretta "ad alterare le proprie abitudini di vita". L'ipotesi è stata definita in termini di "reato abituale e di danno ad eventi alternativi eventualmente concorrenti tra loro" (Cass. Pen., Sez. V, 01.02.2021, n. 3781, imp. S.). Ciò significa che non basta la mera idoneità delle condotte a cagionare l'evento, ma è necessario che l'evento stesso si realizzi come conseguenza immediata e diretta delle condotte stesse (e questo è l'elemento che caratterizza il reato in esame, rispetto alle mere molestie di cui all'alt 660 c.p. - Cass. Pen., Sez. V, 26.04.2021, n. 15625, imp. R.). La richiamata alternatività degli "eventi" costituenti il danno, fa sì che non sia necessario il venire in essere di tutte le conseguenze descritte dalla norma incriminatrice, sufficiente essendo che se ne realizzi almeno una. L'evento tipico del "perdurante e grave stato di ansia o di paura", che - stando alla prospettazione accusatoria - si sarebbe verificato nel caso di specie - "consiste in un profondo turbamento con effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima" e "non può risolversi in una sensazione di mero fastidio, irritazione o insofferenza per le condotte minatorie o moleste subite" (Cass. Pen., Sez. V, 21.01.2021, n. 2555, imp. P.). In altri termini, il fastidio di cui si diceva sopra a proposito dei requisiti della condotta, è condizione necessaria, ma non sufficiente per la configurazione del fatto. La stabile alterazione psico-emotiva non è evidentemente qualcosa di tangibile in rerum natura sicché la prova della stessa può ben "essere dedotta anche dalla" stessa qualità "dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante, ovvero aggravino una preesistente situazione di disagio psichico della persona offesa (Cass. Pen., Sez. V, 10.01.2022, n. 7559, imp. (...)). Ovviamente analogo valore sintomatico va attribuito ai comportamenti posti in essere dalla vittima in conseguenza delle condotte persecutorie subite (Cass. Pen., Sez. V, 02.03.2017, n. 17795, imp. (...)). Tenendo conto di questi parametri, non si può escludere a priori che il reato in esame sussista anche in presenza di condotte sì reiterate ma "intervallate da un prolungato lasso temporale" (Cass. Pen., Sez. V, 04.08.2021, n. 30525, imp. (...)). La differenza viene fatta evidentemente dall'incidenza concreta che ognuna delle suddette condotte provoca sulla situazione di serenità del destinatario. Per questo, è indispensabile un'analisi caso per caso. Alla luce di queste considerazioni, per addivenire ad una pronuncia di condanna per il reato oggi contestato, è necessaria la prova di una pluralità di condotte sgradite, della destabilizzazione emotiva della persona offesa (o, in alternativa, di una modifica delle sue abitudini di vita) e del nesso di causalità tra i due suddetti dati. Nel caso di specie, la contestazione riguarda fatti verificatisi "dall'inizio del mese di febbraio 2018 a tutto il mese di agosto 2018". A quel tempo, l'imputato era appena diventato maggiorenne (dal Certificato Anagrafico in atti, risulta nato il 23.01.2000). La persona offesa lo sarebbe diventata di lì a poco (risulta nata il 07.09.2000). Si tratta di fatti accaduti all'indomani della cessazione della citata relazione sentimentale tra i due che, a quanto appurato in istruttoria (in particolare, dalle deposizioni delle testi (...) e N.), sarebbe andata avanti per circa un anno (è il tempo che quantifica la stessa p.o.). È emerso con chiarezza che la frequentazione tra i due avrebbe subito una brusca interruzione a seguito di una iniziativa di (...), madre della (...), che, in data 03.02.2018, infastidita da alcune imbarazzanti rivelazioni fattele da alcune amiche della figlia (che avrebbero riferito di presunti maltrattamenti dell'imputato a danno della morosa), andò a prendere la ragazza a casa di (...), portandola di fatto via quasi manu militari. Nella sua deposizione ante ludicem, (...) si definisce autrice "tra virgolette" di questa interruzione, in quanto riferisce di aver semplicemente supportato la figlia che, da tempo, non era felice della relazione e che avrebbe più volte tentato già in passato di dire basta incappando però nella ferma opposizione del partner. Ciò nonostante, la teste stessa si dice pienamente consapevole che sua figlia fosse ancora innamorata del ragazzo. Su questo punto, la deposizione di (...) non è limpidissima. In una prima fase, sembra confermare quanto riferito dalla madre asserendo che, di fatto, sarebbe stata lei stessa ad interrompere la relazione, in quanto, negli ultimi tempi, il (...) era diventato cattivo, possessivo, invadente ed anche manesco. Lo stesso giorno in cui si sarebbe consumata la fine ufficiale della relazione l'avrebbe finanche "strozzata" dopo averle controllato i dialoghi sul telefonino. Successivamente però, come si vedrà meglio in seguito, la stessa (...), sollecitata da contestazioni e risultanze documentali a lei esibite nel corso della deposizione, ammette che, in realtà, lei ha continuato a vedere e soprattutto a desiderare la persona del (...) di nascosto rispetto alla madre. Non è evidentemente questa la sede per dare giudizi sull'iniziativa presa dalla mamma di (...), la quale - comprensibilmente contrariata da una serie di accadimenti, da lei percepiti come nocivi, che stavano riguardando la vita di sua figlia - ha evidentemente agito allo scopo di tutelare la stessa da una situazione ritenuta notevolmente pericolosa e che, a suo giudizio, (...) non aveva i mezzi caratteriali e di maturità per valutare e dominare a dovere. In questa sede, come precisato sopra, all'attenzione del Giudice è posta semplicemente la rilevanza penale delle condotte ascritte all'imputato. Non si può, tuttavia ignorare l'azione posta in essere dalla N. e la sua costante partecipazione (di cui si dirà più avanti) alla vita della figlia nei mesi a seguire, atteso che questi dati hanno un indubbio significato riflesso sulla configurazione di alcuni elementi costitutivi del reato in esame. Senza - lo si ripete - esprimere giudizi di valore, va verificato quanto c'è di autenticamente personale nelle reazioni di (...) alle azioni dell'odierno imputato e quanto, invece, c'è di condizionato da una presa di posizione chiara e netta da parte della mamma, che non ha mai mollato sul punto ed ha manifestamente preteso la cessazione di ogni contatto, pur nella consapevolezza, da lei stessa ammessa, che (...) era ancora innamorata di (...). Questo al solo scopo di valutare la sussistenza del reato contestato nella sua conformazione tipica che non ha nulla a che vedere con l'approvazione o disapprovazione di qualunque condotta da un punto di vista meramente etico. Dalle deposizioni della parte offesa e della madre, emergono una serie di situazioni che, sotto quest'aspetto, non possono non indurre ad una riflessione. Riprendendo quanto accennato prima, la deposizione di (...) non è mai particolarmente sicura. È stato necessario un continuo ricorso alle contestazioni. Nel merito, inizia con una descrizione che sembra confermare tempi e contenuti dell'ipotesi accusatoria, salvo poi a dover ammettere che, in realtà, i contatti con (...) erano andati avanti all'insaputa della madre, e che solo intorno a giugno/luglio 2018 avrebbe maturato la decisione di chiudere definitivamente. Questo nonostante la denuncia sia stata sporta la prima volta il 10.03.2018. Colpisce poi la marcata avversione che sia (...) sia sua madre manifestano verso l'atteggiamento che avrebbero tenuto non solo i familiari del (...), ma anche i compagni di scuola (che si sarebbero tutti adoperati per procurare al ragazzo i nuovi recapiti della morosa) e soprattutto gli operanti nei vari interrogatori in cui la ragazza è stata sentita. Questi ultimi avrebbe manifestato ampio scetticismo e finanche insofferenza a fronte di ogni affermazione resa dalla (...) ed avrebbero costantemente sollecitato (...) a riflettere ed a ripensare ciò che affermava. In qualità di teste, in questa sede, è stato sentito l'operante E., il quale ha riferito di situazioni che francamente hanno avuto ampio riscontro nella deposizione che (...) ha reso davanti al Giudice. Ha parlato di titubanze, confusioni, genericità nel racconto e di una presenza della mamma molto attiva, magari non al punto di condizionare la ricostruzione dinamica di certi episodi riferiti, ma sicuramente nell'estendere i racconti stessi ad una serie di situazioni che la ragazza, vuoi per timore, vuoi per pudore, vuoi per mera dimenticanza, non aveva riferito. Queste peculiarità - come accennato - sono emerse anche in questa sede. Sul ruolo svolto dalla madre, (...) è piuttosto ambigua. Non arriva mai a dire che sia stata lei ad indurla a denunciare, ma afferma che fu proprio la determinazione della madre a farle vincere le ritrosie che nascevano dal fatto che lei fosse ancora innamorata. Non nega poi che la scelta di ripresentarsi alla P.G. per correggere il tiro delle dichiarazioni da lei rese appena tre giorni prima fu presa "ragionando" proprio con sua madre. All'esito delle numerose contestazioni sollevate nel corso del di lei esame, la teste poi arriva ad ammettere che solo diversi mesi dopo (in particolare, in un periodo collocato genericamente nei mesi di giugno o luglio) avrebbe preso la determinazione definitiva di staccarsi definitivamente da (...). Questo cosa vuol dire? Che evidentemente quando fu sporta la prima denuncia (il 10.03.2018), la ragazza non era così convinta. Sebbene, come detto, all'inizio della sua deposizione in giudizio, (...) riferisca che quella determinazione sarebbe stata presa in quanto, nel frattempo, la relazione era degenerata a causa delle cattiverie, della possessività e dell'invadenza di (...), il successivo scambio epistolare sembra denotare, in ambo i ragazzi, un sincero senso di sconforto per l'evoluzione della situazione. Il riferimento è alla e-mail di (...) ed alla lettera manoscritta di risposta (che la (...) riconosce esser stata vergata da lei ed inviata al moroso), risalenti a pochi giorni dopo la fatidica data del 03.02.2018. Nel verbale di s.i.t. del 12.10.2018 (nel quale, ci fu la suindicata rettifica di quanto dichiarato pochi giorni addietro), acquisito su accordo delle parti, la (...) precisa che - pur essendo convinta che la cosa sarebbe finita - ha voluto mantenere i contatti con (...) perché teneva comunque a lui anche dopo aver sporto la denuncia. Quanto ivi riportato, ove confrontato col testo della suindicata lettera manoscritta e di altri messaggi (a dire il vero, privi di data e, quindi, impossibili da collocare nel tempo), rende tutt'altro che inverosimile l'ipotesi che la ragazza - in cuor suo - ancora sperasse di ricostituire l'unione e che la considerasse finita semplicemente perché era consapevole della presenza di qualche ostacolo esterno alla ricomposizione. Nella lettera si evince chiaro e tondo che (...), pur privata dei mezzi più rapidi ed efficaci di comunicazione, si è presa anche la briga di ricorrere alla lettera manoscritta (oggi praticamente scomparsa e quasi sconosciuta alle nuove generazioni) in ciò dimostrando un attaccamento ed un desiderio che non erano svaniti di punto in bianco. È chiaro che si sta parlando di una persona piuttosto giovane, inesperta e, per questo, magari meno propensa a fare valutazioni più approfondite. Questo però non esclude e non può escludere, ai fini che qui interessano, che la presenza del (...) a lei non fosse affatto sgradita e che i contatti con lui le creassero sensazioni tutt'altro che fastidiose. Questo dato è confermato, peraltro, anche dal complesso delle risultanze testimoniali relative all'episodio intervenuto in data 01.03.2018 presso il (...). Di tale episodio parlano, oltre che la (...), anche la madre ed i testi (...) (che era in compagnia del V.) e (...) (che, all'epoca dei fatti, era il gestore del locale). Orbene, nessuno di questi testi parla di condotte sconvenienti da parte del V.. La (...) riferisce di aver provato imbarazzo, ma ciò trova una spiegazione in ciò che riferiscono tanto sua madre quanto il teste (...), ossia che quest'ultimo era stato messo in allarme in quanto la madre di (...) aveva segnalato la possibilità di comparsa di un eventuale "stalker", indicato nell'ex moroso della GOL Che il (...) sia voluto andare lì per vedere la (...) francamente non ha alcun valore sintomatico di una condotta gratuitamente invadente. La (...) stessa, qualche giorno prima, gli aveva scritto una lettera che si può tranquillamente definire una "lettera d'amore" sicché sembra francamente arbitrario considerare quella condotta come invadente. La dichiarazione del teste (...) (secondo cui i due si sarebbero scambiati vari cenni d'intesa e finanche un bacio a distanza), alla luce dei pensieri scritti dalla (...) qualche giorno prima, sembra tutt'altro che inattendibile. Il teste (...), peraltro, ha chiarito di aver chiamato la madre solo perché così gli era stato dalla stessa richiesto e non certo perché si era creata una situazione difficile. C'era imbarazzo da parte di (...), ma questo derivava verosimilmente dalla presa di posizione della madre che era stata esternata anche presso il datore di lavoro. Ne consegue che, almeno fino a luglio 2018 (nel dubbio, va privilegiata la soluzione più favorevole all'imputato), vengono a mancare i requisiti tipici della condotta sanzionata dalla norma incriminatrice. Qui si è ben lungi evidentemente da quelle situazioni affrontate nei precedenti giurisprudenziali prodotti dalla Parte Civile, in cui si affronta la tematica della rilevanza di eventuali contatti consensuali intervenuti tra presunto stalker e persona offesa. Ivi si evidenzia come il contatto può essere la scaturigine di un'accettazione delle pressioni altrui che è una forma di cedimento e che, di fatto, conferma l'azione intrusiva tipica del reato. Qui la (...), al di là delle non linearissime dichiarazioni rese in giudizio, non dà affatto l'impressione di aver accettato a mezza bocca, ma si sbilancia, a sua volta, in dichiarazioni altrettanto affettuose e prive di qualunque livore. Nella lettera acquisita non trapela alcuna freddezza o calcolo né tanto meno rassegnazione. Per questo, chi scrive, ritiene non emersa la percepita sgradevolezza delle sollecitazioni esterne. Dovendo quindi escludere dal novero delle possibili condotte penalmente rilevanti, tutto quanto accaduto in quella prima fase, va verificato quanto sarebbe accaduto nella fase successiva. Nel mese di agosto vengono, di fatto, collocati con sicurezza una serie di contatti telefonici che si sarebbero verificati dapprima il 06.08.2018 e poi alle date del 20 e del 21.08.2018. C'è poi un altro episodio di apparizione da parte dell'imputato nella gelateria (...) dove, nel frattempo, la (...) si era trasferita a lavorare. Quest'ultimo episodio risale al 31.08.2018. In ordine alle telefonate, come si nota, le dichiarazioni della (...) (che parla di contatti che si sarebbero protratti per mesi) trovano riscontro soltanto parziale nei tabulati acquisiti di cui parla anche il teste (...). I tabulati ovviamente non possono che offrire i dati nudi e credi relativi al numero ed alla durata dei contatti tra le utenze interessate. Viene confermata l'esistenza di n. 2 contatti in data 06.08.2018, uno dei quali della durata piuttosto prolungata superiore alla mezz'ora. La teste (...) dichiara che in questa mezz'ora si sarebbe limitata a lasciare la linea aperta senza in alcun modo interloquire. Tale dichiarazione francamente presenta alcuni limiti intrinseci che il mero riscontro numerico offerto dai tabulati francamente non riesce a dipanare. In primo luogo, non è facile da spiegare la permanenza del contatto nell'assoluto silenzio da parte di entrambi i possessori delle utenze coinvolte. Ci potrebbe stare il silenzio di uno a fronte di richieste di contatto da parte dell'altro. C'è, invece, il silenzio totale e la cosa francamente lascia perplessi. In secondo luogo, si è visto come la teste - nelle dichiarazioni rese tanto in sede di indagini preliminari quanto in giudizio - abbia avuto diversi momenti di contraddizione e confusione su cui possono aver influito mille fattori, non ultimo la lotta psichica intrinseca tra un distacco avvenuto grazie anche al decisivo intervento di soggetti terzi ed un sentimento che - nonostante l'allontanamento - non era ancora morto. Tante volte si è visto che la teste ha dichiarato una cosa e poi è tornata sulla dichiarazione. Francamente cosa abbia rappresentato questo contatto di 30 minuti per la persona della (...) è un mistero che le fonti raccolte non sono riuscite a dipanare. Il dubbio che si sia trattato di una telefonata vera e propria, nella quale lei abbia accettato di parlare con lui, è quanto mai concreto. Certamente diversa è la situazione con riferimento alle molteplici chiamate di durata brevissima che si sono succedute a distanza di pochissimo tempo. Da un lato, la (...) ha sempre risposto dando così l'idea quanto meno di non sgradire un possibile contatto. Dall'altro, è certamente fastidioso un atteggiamento come quello di contattare a ripetizione e mettere poi giù il telefono Parimenti inopportuno e fastidioso è anche l'episodio del 31.08.2018, in ordine al quale la deposizione della teste (...) trova un riscontro molto più ampio e chiaro nella deposizione della teste (...) che lavorava con lei e che è intervenuta nei confronti del (...). Sul punto, è emersa con chiarezza la circostanza che il (...) abbia esibito attraverso la vetrata del locale a tutta la clientela presente nei tavolini interni una foto registrata sul proprio smartphone ritraente una ragazza nuda. La prova diretta che si trattasse di una foto di (...) chiaramente non c'è. La stessa teste (...) riferisce di aver più che altro dedotto che potesse trattarsi di lei, per il fatto che (...) stessa gliene avesse parlato. È chiaro, tuttavia, che se la (...) si era fatta fotografare nuda ed era consapevole che simili foto erano sul telefono dell'imputato, l'effetto destabilizzante sulla di lei persona si è senz'altro creato ed è dunque fuori discussione che la condotta in esame sia da ritenersi profondamente fastidiosa per la destinataria. Per il resto, si parla di messaggi su instagram, di comunicazioni avvenute tramite presunti account falsi, di coinvolgimenti di soggetti aventi con la (...) rapporti piuttosto stretti, quali il padre (...), la di lui compagna e tale (...) con cui ci sarebbe stata una frequentazione più che altro a distanza. Ora, nessuno nega - per carità - il carattere sconveniente (spesso anche apertamente minaccioso) di certi messaggi e, stante la-sopra citata giurisprudenza, la loro possibile portata fastidiosa e persecutoria anche nei confronti di una persona diversa rispetto ai diretti destinatari. Diversi sono alcuni ulteriori messaggi prodotti dalla Parte Civile, in cui il (...) (da un profilo a lui sicuramente riconducibile stante il nominativo "samuverit") effettivamente utilizza alcune considerazioni piuttosto pesanti relative all'azione anche delle donne che hanno subito aggressioni con l'acido, dicendosi convinto che - se la sua interlocutrice gli avesse veramente voluto bene - non avrebbe dovuto di re certe cose, dando l'idea di invitare all'omertà ed alla negazione di cose che magari sono anche accadute. Questi messaggi, tuttavia, esprimono pensieri, non condivisibili, raccapriccianti quanto si vuole, ma pur sempre pensieri e non è l'esternazione di un pensiero a rappresentare condotta invadente di per sé, penalisticamente parlando. Ad ogni modo, la stragrande maggioranza dei messaggi menzionati non trova una precisa collocazione temporale per la mancanza di una prova documentale e per la notevole confusione che la persona offesa ha manifestato anche in relazione a tale aspetto. Fino a quando la persona ha comunque mantenuto il desiderio del contatto col (...) tutte le esternazioni sconvenienti, quali - ad es. - quelle inviate ad (...) (di contenuto anche palesemente provocatorio), non possono essere lette come un'intrusione indebita e fastidiosa nei confronti della (...) (sicuramente diverso è il discorso nei confronti del destinatario diretto). Ora la difficoltà nel collocare temporalmente i messaggi indicati impone di considerare come processualmente provati, quali accadimenti verificatisi nel mese di agosto 2018, soltanto le suindicate telefonate e l'episodio del (...). Il carattere molesto obiettivamente non si discute, lo si è già detto. Non va taciuto, però, che si tratta di episodi che, per quanto spiacevoli, risultano abbastanza isolati, in quanto confinati in lassi di tempo singolarmente piuttosto ristretti e tra loro non esattamente prossimi (c'è un intervallo di 10 giorni tra un episodio e l'altro). Possono questi episodi dirsi l'antecedente causale di uno degli eventi richiamati dalla norma e richiamati nel capo d'accusa? Come detto, nell'enunciato d'imputazione, si menziona - in maniera peraltro piuttosto scarna - la presenza di uno stato d'ansia in capo alla destinataria. Orbene, sul punto, si osserva che - a quanto riferito nelle testimonianze assunte - una serie di accorgimenti volti ad evitare il contatto (accompagnamento a scuola da parte di terzi) o a ricostituire una situazione di adeguata serenità ed equilibrio (percorso con una psicologa) sono stati posti in essere quando la teste (...) ha dimostrato di avere ancora a cuore la persona del (...) e di non aver - in fondo in fondo - condiviso l'azione della madre che è intervenuta per tenerla lontano dal (...). Come si diceva all'inizio, questa iniziativa piuttosto forte presa dalla madre (magari anche opportuna, per carità) ha avuto degli indubbi effetti sulla figlia e, se anche senz'altro mirata ad un risultato a lungo termine (che sembra fortunatamente esser stato raggiunto), non è un mistero che, nel breve periodo, ha creato conseguenze di non poco momento instaurando nella ragazza quel conflitto psichico di cui si diceva sopra. Dire fino a che punto sia stato il (...) coi suoi comportamenti, anche sicuramente sconvenienti, a creare il disagio alla ragazza in presenza di una situazione già fortemente condizionata da fattori esterni francamente non è semplice e, nel dubbio, non è agevole riscontrare un nesso di causalità tra i due episodi sicuramente maturati dopo che la ragazza si era definitivamente determinata a chiudere i contatti ed una situazione di disagio che si era già manifestata in passato su cui avevano fortemente influito fattori diversi. L'assenza dell'evento non esclude di per sé la rilevanza penale del fatto, atteso che le condotte dell'agosto ben potrebbero dar vita all'ipotesi di cui all'art. 660 c.p., la cui sussistenza è garantita dal fatto che si tratta di condotte poste in essere col mezzo del telefono in un caso ed in un luogo pubblico nell'altro. Detto questo, va osservato che - ai sensi dell'attuale disciplina introdotta con la recente novella di cui al D.L. n. 150 del 2022 - il reato suddetto è divenuto procedibile a querela di parte, salvo nel caso in cui sia stato commesso a danno di "persona incapace, per età o per infermità". Nella specie, va precisato che la (...), all'epoca dei fatti (si parla di agosto 2018) era ancora minorenne sia pure per pochissimo (avrebbe compiuto 18 anni il successivo 07.09.2018). La dicitura utilizzata dal legislatore, che non parla di persona minorenne (come invece fa all'art. 612 bis c.p., nel prevedere l'eccezione alla procedibilità a querela) bensì di persona "incapace per età", induce a ritenere che il riferimento sia ai soggetti considerati penalmente incapaci ex lege (ossia gli infraquattrodicenni) essendo altrimenti necessario accertare lo stato specifico di infermità del singolo soggetto. Nella specie, la (...) ha testimoniato ed è risultato essere persona che ha affrontato tutte le quotidianità in maniera assolutamente normale (normalità che ricomprende evidentemente anche le inevitabili situazioni di fragilità ed immaturità che coinvolgono tutti i soggetti della sua età), sicché non vi sono motivi per ritenerla incapace ai fini che qui interessano. Ciò fa sì che la fattispecie, nel caso in esame, deve ritenersi ricompresa nell'area dell'attualmente procedibile a querela di parte. Agli atti è il verbale di remissione esplicitamente riferito alla querela sporta in data 10.03.2018 che evidentemente è l'atto che ha dato origine alle indagini che hanno portato al presente procedimento. C'è stata sì una successiva querela, ma la stessa è stata presentata come integrazione, sicché deve evidentemente essere considerata un tutt'uno con la querela originaria. Ciò fa sì che il reato sia da ritenersi estinto per intervenuta remissione di querela, anche se, nella remissione si fa esplicito riferimento solo alla prima delle querele sporte. A riprova di un tanto, sta anche il fatto che la stessa teste (...) ha chiarito - in sede di testimonianza - che la sua scelta di rimettere la querela era dovuta al desiderio di non avere più "casini" con questa vicenda, il che è concetto evidentemente incompatibile con la volontà di continuare con alcuni dei fatti denunciati. La costituzione di Parte Civile, avvenuta dopo la suddetta remissione, a questo punto, può avere due possibili spiegazioni. Può essere il frutto di una scelta legata alla procedibilità d'ufficio dell'ipotesi prospettata. Può, altresì, essere dovuta alla pressione della madre che non ha mai nascosto la sua totale avversità (magari anche giustificata, ma pur sempre tale) nei confronti dell'Imputato e della sua famiglia. Nel momento in cui la parte offesa è diventata maggiorenne, tuttavia, quella che conta è la volontà di lei che, in questo caso, prevale anche su quella della madre. La remissione risale al giorno 08.05.2020, data anteriore alla emissione del decreto di citazione a giudizio. L'accettazione da parte dell'imputato è intervenuta in pari data. Ritenuto, dunque, che l'estinzione del reato si è verificata prima dell'emissione dell'atto che ha disposto la celebrazione del processo (il decreto di citazione a giudizio è del 22.06.2020), non si dispone la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. VISTO l'art. 531 c.p.p. DICHIARA NON DOVERSI PROCEDERE nei confronti di (...) in ordine al reato di cui all'alt. 660 c.p., così riqualificati i fatti a lui ascritti accaduti nell'agosto 2018, perché estinto per intervenuta remissione di querela VISTO l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE (...) dal reato a lui ascritto, in relazione agli episodi precedenti alla suddetta data, perché il fatto non sussiste. MOTIVI RISERVATI nel termine minimo di legge. Così deciso in Udine il 27 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 13/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) a M. (S.) residente in Via N. 12/A - R. (S.) con domicilio eletto c/o difensore GE.Al. libero, assente Difeso dall' avvocato di fiducia ZA.Ch. del Foro di Udine e avvocato GE.Al. del Foro di Sondrio (...) s.r.l. avente sede legale in D. (S.) - Via M. Q., 1 in persona del procuratore (...), nato a C. il (...) Difeso dall' avvocato di fiducia MAININI Enza del Foro di Sondrio e avvocato VIOLA Paolo del Foro di Udine IMPUTATI (...) (...) (...): a) del delitto p. e p. dagli artt. 590 commi 1, 2 e 3 perché, in qualità di Amministratore Unico - Datore di lavoro della "(...) s.r.l.", cagionava per colpa al dipendente (...) lesioni personali consistite in "amputazione parziale del terzo dito della mano destra", guarite in un tempo superiore ai 40 giorni con un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un ugual periodo di tempo. Colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e nella violazione delle seguenti disposizioni specifiche: violazione dell'art. 28 comma 2 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2008 per redigeva un documento di valutazione dei rischi che non riguardava tutti i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori, segnatamente per la mansione di operaio edile non prendeva in considerazione i rischi indotti dall'utilizzo della sega circolare a banco. Cosicché (...), il 13.12.2018 stava lavorando nel cantiere per la costruzione della Terza Corsia della A4 per conto della società "(...) s.r.l." ed era intento a tagliare una tavola in legno con una sega circolare a banco, quando la sua mano destra perdeva la presa con la tavola stessa impattando con la lama cagionandogli le gravi lesioni sopra descritte. Fatto aggravato perché trattasi di lesioni personali gravi e perché commesso in violazione della norma sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro sopra specificata. In Ronchis il 13.12.2018 "(...) s.r.l.": b) illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies, comma 3, del D.Lgs. n. 231 del 2001, in relazione al delitto p. e p. dall'art. 590, comma 3, c.p., perché, avendo omesso di adottare un Modello di Organizzazione e Gestione ex artt. 6 e 30 D.Lgs. n. 81 del 2008, beneficiava della condotta di cui al capo a) posta in essere dall'amministratore unico-datore di lavoro (...) anche nell'interesse e/o a vantaggio della società (condotta concretizzatasi nella violazione dell'art. 28, comma 2 lett. a) del D.Lgs. n. 81 del 2008). In Ronchis il 13.12.2018. Con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa Le.Pu. del difensore di fiducia GE.Al. del foro di Sondrio per (...) e del difensore di fiducia MA.En. del foro di Sondrio per (...) s.r.l. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica, unitamente a (...) srl, citata per rispondere del contestato illecito amministrativo. All'udienza dibattimentale di data 5 luglio 2021 veniva disposta la separazione di (...) sr.; indi veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova: il Pm chiedeva di essere ammesso a provare i fatti di causa mediante l'esame dei testi indicati in lista ed esame imputato, la difesa chiedeva l'esame dei testi di lista. Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell'art. 495 c.p.p., all'udienza di data 11 aprile 2022 veniva disposta la riunione al presente procedimento di quello 278/22 rgt, 3459/19 rgnr a carico di (...) srl. All'udienza di data 20 giugno 2022 si procedeva all'esame di (...); all'udienza del 3 ottobre 2022 si procedeva all'esame di (...); all'udienza del 14 novembre 2022 si procedeva all'esame di (...). All'udienza di data 13 febbraio 2023 si procedeva all'esame di (...). Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per il reato di rubrica. (...), sentito in dibattimento, ha premesso di essere stato assunto alle dipendenze della società (...) srl nell'aprile 2017, con la qualifica di operaio; ha aggiunto di essere stato sempre impegnato presso il cantiere di Ronchis, per la costruzione della terza corsia dell'autostrada. Fatta questa premessa, il teste ha spiegato che in data 13 dicembre 2018, mentre sul cantiere stava tagliando un pezzo di legno utilizzando una sega circolare, aveva subito un infortunio al terzo dito della mano destra. Il teste ha spiegato di avere alzato la protezione della sega circolare per far passare il pezzo di legno che doveva essere tagliato, utilizzando lo spingipezzo; nel momento in cui si era avvicinato per recuperare il pezzo di legno, la lama aveva attinto il guanto, trascinando la mano sulla lama, provocando l'infortunio. Il teste ha spiegato che in quella circostanza non aveva indossato i guanti antitaglio, ma dei guanti normali, che non calzavano correttamente sul dito mignolo; quella parte del guanto era stata agganciata dalla lama, trascinando la mano sulla lama con la conseguenza che una parte del terzo dito della mano destra era stato amputato. Il teste ha spiegato che dopo l'infortunio si era recato al pronto soccorso di Latisana; nella giornata successiva aveva subito un intervento, con cui era stato amputata una porzione del dito lesionato; era quindi rimasto assente dal lavoro per cinque mesi. Il teste ha spiegato di non avere fatto corsi per l'utilizzo della sega circolare, ma di avere ricevuto delle istruzioni a voce sull'uso di tale attrezzo. (...), in servizio al dipartimento di prevenzione della Azienda (...), sentito in dibattimento ha illustrato l'attività di accertamento svolta in relazione all'infortunio oggetto del presente procedimento; il teste ha riferito di essersi recato sul luogo dell'infortunio in data 9 gennaio 2019, quindi a circa un mese dall'incidente, ma l'attrezzo utilizzato dal lavoratore non era più presente in cantiere. Il teste ha spiegato di avere richiesto la documentazione della sega circolare, che era risultata attrezzatura dotata di regolare marchio CE e fornita di manuale di istruzioni; dall'esame del Documento di Valutazione dei Rischi era tuttavia emerso che tra le attrezzature elencate tra quelle utilizzate dall'operaio edile (qualifica dell'infortunato) non vi era la sega circolare, attrezzo di uso comune nei cantieri edili; la mancata indicazione di tale strumento tra quelli in uso all'operaio edile non poteva che avere avuto dei riflessi sulla formazione dei lavoratori. Il teste ha evidenziato che le seghe circolari, o "da banco", sono dotate di due sistemi di protezione: una cuffia di protezione, che copre la lama e che automaticamente si alza quando il pezzo da tagliare viene inserito sul banco e spinto verso la sega; e gli "spingi pezzo", dotati di maniglie, che vengono utilizzati per avvicinare il pezzo da tagliare alla lama, in maniera tale da tenere le mani lontane dalla sega. B. ha aggiunto che, alla luce della carenza riscontrata, era stata contestata a (...), nella sua qualità di amministratore unico di (...) srl, con funzioni di datore di lavoro, la violazione dell'art.28 comma 2 letta primo periodo D.Lgs. n. 81 del 2008 ("in quanto il datore di lavoro ha redatto una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa che non riguarda tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori; nello specifico per la mansione di "operaio edile " non sono presi in considerazione i rischi indotti dall'utilizzo della sega circolare a banco". Era stata quindi impartita la prescrizione di "redigere una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa che riguardi tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori; nello specifico per la mansione di "Operaio Edile " prendere in considerazione i rischi indotti dall'utilizzo della sega circolare a banco e indicare le relative procedure di sicurezza che devono essere adottate". Per completezza si deve evidenziare che dalla documentazione prodotta dal Pm si evince che la prescrizione impartita era stata ottemperata nei termini indicati; la società era stata ammessa al pagamento della sanzione di Euro 558,41; il pagamento della sanzione era avvenuto entro la scadenza indicata. Il teste ha aggiunto che in relazione ad altro infortunio, avvenuto in precedenza, era stato possibile accertare che la società era priva di modello di organizzazione e gestione, come da articolo 30 del D.Lgs. n. 81 del 2008. (...), sentito in dibattimento, ha riferito di essere stato assunto dalla (...) srl con la mansione di capo cantiere e preposto; ha aggiunto di avere esercitato tale ruolo anche sul cantiere di Ronchis, dove era avvenuto l'infortunio oggetto del presente procedimento. Il teste ha spiegato di essere stato avvisato dell'incidente e di essersi quindi portato sul luogo del sinistro, accompagnando il lavoratore presso il pronto soccorso di Latisana. Il teste ha riferito di avere appreso che il lavoratore si era infortunato utilizzando una sega circolare; ha aggiunto che (...) aveva partecipato ad un corso di formazione principale nel quale erano state illustrate le modalità di utilizzo della sega circolare (il teste ha specificato di non avere presenziato a tale corso, erogato da una società esterna). Il teste ha spiegato che il lavoratore infortunato aveva a sua disposizione tutti i presidi antinfortunistici previsti. Il consulente della difesa, ing. (...), nella sua relazione illustrata in dibattimento, ha evidenziato che il documento di valutazione dei rischi era sufficientemente completo, posto che in ogni caso il rischio di taglio era stato indicato e valutato, seppure non fosse stata indicata in maniera specifica, tra le attrezzature, la sega circolare; del resto, secondo la valutazione del consulente, si trattava di attrezzatura di uso comune nel cantiere, alla quale veniva dedicata attenzione particolare durante il corso di pre ingresso in cantiere di 16 ore che ogni addetto, anche (...), aveva frequentato prima di iniziare le attività. Il lavoratore infortunato era stato dotato dei DPI necessari per lo svolgimento della sua mansione e tra questi vi erano anche i guanti antitaglio, che tuttavia il lavoratore non aveva indossato nella giornata in cui è avvenuto l'infortunio; il loro impiego avrebbe ridotto gli effetti dell'infortunio e l'uso di un diverso guanto aveva contribuito all'accadimento dell'incidente. Secondo quanto affermato da (...), il sinistro era avvenuto quando il pezzo era già stato tagliato, sulla sega circolare dotata di regolare cuffia di protezione che, evidentemente, in quell'istante stava tornando nella posizione "zero"; il lavoratore aveva avvicinato le mani alla lama usando dispositivi non idonei, con l'aggravante che per effetto di una menomazione al dito mignolo (che peraltro non era emersa in sede di visita medica) la parte penzolante del guanto si era impigliata alla lama, trascinando la mano del lavoratore verso la sega. In conclusione, secondo il consulente "è possibile concludere quindi che non esiste un nesso di causalità dell'infortunio legato all'utilizzo dell'attrezzatura (idonea) in quanto tale da parte dell'operatore (formato), mentre è evidente un operato avventato, imprevedibile e imprudente, in contrasto con le elementari regole del buon senso". Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve osservare che l'odierno imputato (...) è stato citato a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 590 c.p. per avere cagionato lesioni personali gravi al dipendente (...), per colpa (imprudenza, negligenza e imperizia) e con la violazione dell'art.28 comma 2 lettera a) D.Lgs. n. 81 del 2008, per avere redatto un DVR che non riguardava tutti i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori, segnatamente per la mansione di operaio edile non prendeva in considerazione i rischi indotti dall'utilizzo della sega circolare a banco. La fattispecie oggetto di contestazione è stata ricostruita in termini di reato commissivo colposo, anche se appare di tutta evidenza come il caso oggetto del presente procedimento debba essere ricondotto ad un'ipotesi di reato omissivo improprio in cui, in base alla c.d. clausola di equivalenza di cui all'art. 40 comma 2 c.p., l'agente potrà essere ritenuto responsabile dell'evento lesioni "per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire". Appare infatti evidente come non possa attribuirsi in capo al predetto imputato alcuna condotta "positiva" eziologicamente ricollegata all'evento lesioni, ma, semmai, potranno riscontrarsi nel caso di specie alcune omissioni, rilevanti nel processo causale che ha portato alla verificazione dell'incidente subito dal lavoratore, e riconducibili in capo all'odierno imputato nella qualifica indicata in rubrica; del resto, i profili di colpa specifica indicati in rubrica altro non sono se non la descrizione puntale delle omissioni che, secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbero attribuibili all'imputato e che, secondo l'ipotesi accusatoria, non avrebbero impedito l'evento lesivo. La ricostruzione della fattispecie in contestazione nei termini sopra indicati consente di svolgere e sviluppare in maniera maggiormente ordinata ed efficace le argomentazioni che hanno portato alla dichiarazione di responsabilità dell'odierno imputato per la fattispecie di lesioni colpose contestata in rubrica. Senza che sia in questa sede necessario approfondire i principi generali del reato omissivo improprio, per quel che qui interessa, in relazione a quanto verrà di seguito esposto, si deve solo ricordare che la fattispecie tipica del reato omissivo improprio comprende innanzitutto la situazione tipica (intesa come il complesso dei presupposti di fatto che danno vita ad una situazione di pericolo per il bene da proteggere e che pertanto rendono attuale l'obbligo di attivarsi del "garante"); la condotta omissiva di mancato impedimento e l'evento non impedito; una connessione giuridicamente rilevante tra l'evento e la condotta omissiva; la violazione di un obbligo giuridico di impedire l'evento. Prima di procedere alla disamina dei profili sopra indicati, appare preliminarmente necessario pervenire ad una corretta ricostruzione della dinamica del sinistro, posto che, evidentemente, ci si potrà interrogare in ordine alla sussistenza di eventuali omissioni rilevanti in relazione all'infortunio solo dopo avere accertato le cause dell'infortunio stesso. Sul tema si deve evidenziare che il lavoratore infortunato ha riferito di essersi ferito quando il pezzo di legno era già stato tagliato dalla sega circolare; nel momento in cui aveva tentato di recuperare il pezzo, il guanto della mano destra si era impigliato nella lama, trascinando la mano sulla sega circolare. U., in sintesi, si è addossato la piena responsabilità per l'incidente, spiegando di non avere utilizzato i guanti antitaglio ma altri guanti, che non calzavano perfettamente nella parte del mignolo (corto, rispetto al guanto, in conseguenza di un risalente infortunio) e che, quindi, avevano agevolato l'operazione di trascinamento sotto la lama. Il teste ha evidenziato che la sega circolare era dotata di protezione, che aveva alzato per far passare il pezzo di legno e ha precisato di avere utilizzato gli "spingipezzo"; Ebbene, la dinamica del sinistro narrata dal teste è apparsa poco convincente, sotto diversi profili; se davvero la sega circolare fosse stata dotata di protezione, questa - nel momento in cui il pezzo era stato tagliato - sarebbe immediatamente ridiscesa (come spiegato dal teste B.) sul piano dell'attrezzo, rendendo impossibile il contatto delle mani con la lama. Appare decisamente più probabile che l'incidente si fosse verificato durante le operazioni di taglio, quando la cuffia di protezione era necessariamente sollevata per consentire il passaggio del pezzo; a meno di non ipotizzare che la macchina non fosse dotata di protezione, ma non sono emersi elementi per poter sostenere tale tesi. Si deve escludere che l'utilizzo di guanti non corretti da parte del lavoratore abbia influito in maniera significativa sull'incidente; sul punto ci si richiama alle osservazioni di B., che in maniera condivisibile ha spiegato che i guanti "antitaglio" non avrebbero potuto evitare le conseguenze derivanti dal contatto della mano con la lama della sega circolare, trattandosi di presidi antinfortunistici idonei ad evitare tagli provocati da attrezzatura di genere totalmente diverso; del resto, l'uso del guanto antitaglio non avrebbe portato a superare la criticità evidenziata da (...), relativa alla non perfetta aderenza del guanto sul dito mignolo della mano destra, eccessivamente corto a causa di un pregresso infortunio: anche nel guanto antitaglio si sarebbe creato quello spazio "molle", che - secondo la valutazione del consulente di parte (sulla quale si tornerà in seguito) - aveva reso possibile l'incidente. In ogni caso, senza dubbio il sinistro è stato provocato da un utilizzo non corretto della macchina, da parte del lavoratore (come del resto da questi ampiamente ammesso); rimane da valutare se nella dinamica dell'infortunio, la omissione contestata in rubrica possa essere ritenuta rilevante sotto il profilo del nesso di causa. Sul punto si deve premettere che dalla documentazione acquisita al fascicolo del dibattimento è emersa la prova della sussistenza della omissione oggetto di contestazione nei confronti dell'imputato; nel Documento di Valutazione dei Rischi, vigente nel momento in cui si è verificato l'infortunio, la sega circolare non era stata indicata tra le macchine utilizzate dagli "operai edili"; conseguentemente, nello stesso documento non erano stati indicati i rischi specifici conseguenti all'uso di tale attrezzatura né le misure di prevenzione e protezione necessarie per evitare tali rischi. Le considerazioni del consulente di parte, secondo cui il documento doveva considerarsi sostanzialmente completo essendo stato in esso previsto il rischio di "tagli", non appaiono condivisibili; il rischio di "taglio", in assenza dell'indicazione della sega circolare tra le attrezzature utilizzate dagli operai, non poteva che essere riferito all'uso di altri attrezzi (nell'elenco erano indicati, ad esempio, smerigliatrici, attrezzatura manuale da cantiere, ecc.) e, conseguentemente, anche le misure indicate per scongiurare tale rischio di infortunio ("informazione degli addetti, utilizzo di guanti per rischi meccanici") non potevano che essere state parametrate all'uso di strumenti diversi dalla sega circolare. Del resto - richiamando quanto già osservato - il fatto stesso che l'uso dei guanti (cd antitaglio) non possa in alcun modo evitare i tagli che possono derivare dal contatto di un arto con la sega circolare dimostra inequivocabilmente che tale misura di prevenzione, indicata nel DVR, non poteva essere riferita a rischi di taglio derivanti dall'uso di tale tipo di attrezzatura. Quanto alla "informazione degli addetti", si deve ritenere che si tratti di un tema rilevante, che merita di essere approfondito in questa sede per diversi motivi. In primo luogo si deve evidenziare che, seppure nel capo di imputazione non sia stato contestato il profilo della omessa o non corretta formazione dei lavoratori, si deve in generale ricordare che secondo la costante interpretazione della Suprema Corte la contestazione generica di colpa pone il prevenuto nelle condizioni di difendersi da qualunque addebito e l'emergere di una ipotesi di colpa specifica non menzionata nel capo di imputazione lascia inalterato il fatto storico, essendo consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti e non sottratti all'esercizio del diritto di difesa (Cass.Pen., Sez. IV, 6.3.1997; 6 maggio 1994, ced 199692; Cass.16.9.2008). In secondo luogo si deve evidenziare che l'argomento in questione è strettamente connesso a quello in contestazione; come evidenziato, "l'informazione degli addetti" era stata indicata nel DVR quale misura di prevenzione per evitare il rischio "tagli", ma la circostanza che la sega circolare non fosse stata indicata tra le attrezzature usate dagli operai non consente, in assenza di dati specifici, di desumere che i lavoratori fossero stati formati sui rischi specifici derivanti dall'uso di tali macchinari. Sul punto, va detto che nessuno degli attestati allegati alla consulenza di parte o comunque prodotti dalla difesa (vedi nota 10) dimostra che (...) avesse ricevuto formazione specifica sull'uso della sega circolare; la circostanza che nel corso di "pre-ingresso" (...) fosse stato formato sull'uso di tale attrezzo, come ipotizzato dal consulente di parte e dal preposto (...), è stata decisamente smentita dallo stesso lavoratore, che in dibattimento ha dichiarato di avere ricevuto istruzioni "a voce" e ha precisato di non avere partecipato a corsi sul punto, nè di avere preso visione del manuale d'uso della macchina. Ebbene, fatte queste precisazioni si deve ulteriormente evidenziare che senza dubbio l'omissione oggetto di contestazione (l'adozione di un DVR non completo) è attribuibile all'imputato, nella sua qualità di amministratore unico della società, con funzione di datore di lavoro. Ritornando al tema del nesso di causa, seguendo lo schema della condicio sine qua non riportato alle fattispecie omissive improprie (secondo cui l'omissione è causa dell'evento quando non può essere mentalmente sostituita dall'azione doverosa senza che l'evento venga meno), si deve infine ritenere che se nel DVR fosse stata indicata la sega circolare tra le attrezzature in uso agli operai, l'infortunio, con elevata probabilità, non si sarebbe verificato: dalla corretta indicazione della sega circolare tra i macchinari elencati nel documento di valutazione dei rischi sarebbe conseguita l'indicazione di specifiche misure di prevenzione atte ad evitare il rischio di infortunio conseguente all'utilizzo di tale attrezzo e sarebbe conseguita una maggiormente corretta e completa formazione del lavoratore, idonea a consentire agli operatori un utilizzo della macchina conforme alle indicazioni del manuale d'uso. Va infine affrontata un'ultima tematica, ovvero quella del comportamento del lavoratore - che, secondo quanto indicato nella consulenza di parte, sarebbe stato "avventato, imprevedibile e imprudente" - al fine di verificare se sia ravvisabile in capo a (...) una condotta non corretta e se questa sia stata idonea a interrompere il nesso di causa tra omissione contestata all'imputato ed evento lesivo. Si deve rilevare come la tematica della rilevanza della condotta del lavoratore nell'accertamento delle responsabilità per l'infortunio occorso al medesimo nello svolgimento dell'attività lavorativa è stata ed è tuttora largamente discussa in giurisprudenza; senza pretesa di completezza, si deve solo ricordare che la Suprema Corte, nell'ambito di un primo orientamento, riteneva che il comportamento del lavoratore, anche se colposo, fosse del tutto irrilevante al fine di escludere la responsabilità del datore di lavoro. In molte sentenze che avevano seguito tale filone si era posto l'accento sul fatto che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro erano dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza: secondo questa corrente giurisprudenziale l'obbligo del datore di lavoro si traduceva in un dovere di vigilanza assoluta del lavoratore e, di conseguenza, in caso di violazione del suddetto obbligo nessun rilievo assumeva la circostanza che l'evento lesivo fosse anche riconducibile ad una condotta negligente, imprudente od imperita del lavoratore perché si riteneva che la condotta doverosa del datore di lavoro si dovesse estendere fino ad evitare la stessa "colpa" del lavoratore (Cass. Pen., Sez. IV, 4 agosto 1999, Gn.; Cass. Sez. IV, 14 dicembre 1999, Be.; Cass., Sez. IV 16 maggio 2007, n.11278). In seguito si è sviluppato un secondo orientamento che ha fatto esplicito richiamo al concetto "dell'area di rischio": secondo questo filone giurisprudenziale il comportamento del lavoratore rimane privo di rilievo (al fine di escludere il nesso di causa tra omissione del datore di lavoro ed infortunio) se, pur essendo negligente, imprudente o imperito, rientra nell'area di rischio della lavorazione svolta, ovvero di quell'area di rischio che il datore di lavoro è chiamato a valutare al fine di prevenire danni nei confronti del lavoratore. Esemplificativa di questo orientamento la sentenza del 23 marzo 2007 (Pelosi) con cui la IV Sezione della Suprema Corte ha affermato che: "in materia di infortunio sul lavoro la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino caratteri di eccezionalità, dell'abnormità, e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute". In altri termini, in tali situazioni estreme si è completamente al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso e, quindi, oltre la pur estesa sfera di responsabilità del datore di lavoro. Consolidatosi il principio dell'estraneità all'area di rischio si è reso necessario individuare un criterio per stabilire se la condotta del lavoratore debba ritenersi, di volta in volta, appartenente o estranea all'area di rischio propria della lavorazione svolta. Secondo un primo indirizzo può essere considerato "fuori dalla sfera di rischio" il comportamento del lavoratore che pone in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza "risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile ed imprevedibile scelta del lavoratore" (Cass. Pen., Sez. IV, 21 ottobre 2005 n.38850; Cass. Pen., Sez. IV, 23 marzo 2007 n. 21587, in Cass. Pen., 2008, 1020; Cass. Pen., Sez. IV, 22 dicembre 1998, n.2806, in Guia al Diritto, 1999, 72; Cass. Pen., 2 dicembre 2007, Mantelli). A titolo di esempio si può riportare il caso del lavoratore che si dedichi ad un'altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in via esclusiva ad un altro lavoratore, ovvero colui che rimanga infortunato al di fuori del luogo di lavoro, inteso come qualunque spazio in cui il lavoratore possa accedere, anche a prescindere dalle precise incombenze affidategli. Secondo tale orientamento, il lavoratore, ponendo in essere un'attività lavorativa diversa da quella che gli era stata affidata, necessariamente fuoriesce con la propria condotta dall'area di rischio prevedibile e, di conseguenza, ciò può escludere la responsabilità del datore di lavoro per interruzione del nesso causale. Poiché il criterio distintivo tra comportamenti rilevanti (per interrompere il nesso di causa tra omissione del datore di lavoro ed infortunio) e non rilevanti è costituito dalle mansioni, la giurisprudenza, in linea con tale indirizzo, ha precisato che non assume alcun rilievo "interruttivo" la condotta posta in essere dal lavoratore esperto in violazione con le direttive ricevute ma pur sempre riconducibile alle proprie incombenze: tale comportamento non solo è prevedibile ma rientra tra quei fattori di rischio che il datore di lavoro è chiamato a valutare (Cass., Sez. IV, 29 settembre 1999, D.F., in Cass. Pen., 2000, 1020). Anche il comportamento colposo del lavoratore riconducibile alla c.d. assuefazione da pericolo (dovuto a cali di attenzione nello svolgimento dell'attività che sono caratteristiche di chi svolge la stessa mansione per molto tempo) è stata ritenuta ipotesi prevedibile per il datore di lavoro e, dunque, non rilevante ai fini della interruzione del nesso di condizionamento tra omissione del datore di lavoro ed evento infortunio. All'orientamento sopra riportato, che ha ricondotto all'esterno dell'area di rischio solo le condotte abnormi del lavoratore, ovvero quelle poste in essere al di fuori delle specifiche competenze del lavoratore, si è sviluppato un altro e più esteso orientamento che ha conferito rilievo - al fine di interrompere il nesso di causa tra omissione del datore di lavoro e infortunio - anche a condotte del lavoratore che, seppure poste in essere nell'ambito delle mansioni attribuite, sono consistite in qualcosa di "radicalmente, ontolgicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi prevedibili scelte imprudenti del lavoratore nell'esecuzione delle mansioni" (Cass. Pen., Sez. IV, 5 febbraio 1997, M.; Cass. Pen., Sez. IV, 26 ottobre 2006, (...); Cass. Pen., IV, 13 ottobre 2004, G.; Cass., Sez. IV, 4 luglio 2007, (...)). L'orientamento in esame ha conferito rilievo non più alla circostanza esterna che la condotta sia stata posta in essere al di fuori delle mansioni attribuite al lavoratore ma piuttosto alle modalità di esecuzione della condotta stessa, che si pone come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento quando viene eseguita con modalità talmente eccezionali da creare una situazione di rischio del tutto nuova ed imprevedibile, che fuoriesce dalla dominabilità del datore di lavoro. A titolo esemplificativo, si può richiamare una sentenza della Suprema Corte che ha applicato tali principi affrontando la questione della responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso al lavoratore che, lavorando nell'ambito della propria attività ed avendo la necessità di svolgere dei lavori all'altezza di circa sei metri ed essendo il regolare mezzo di sollevamento già impegnato, aveva posizionato un cestello sopra le forche di un muletto. Il lavoratore si era fatto sollevare verso il luogo di lavoro ma, a causa della instabilità del cesto, che si era ribaltato, era caduto all'altezza di circa cinque metri, battendo il capo a terra e decedendo per le lesioni subite. La condotta del lavoratore si era posta come una condotta tenuta nell'ambito delle mansioni di competenza della vittima, per cui senza dubbio non si trattava di una condotta "abnorme"; tuttavia tale comportamento presentava dei tratti di peculiarità posto il lavoratore aveva scelto consapevolmente di usare un mezzo improprio nell'adempimento dei propri compiti. La Corte, con pronuncia n.7267 del 23 febbraio 2010 aveva riconosciuto in tale condotta quei caratteri di eccezionalità ed imprevedibilità tali da escludere la responsabilità del datore di lavoro: "partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare...nel caso di specie i datori di lavoro avevano fornito al lavoratore normali mezzi per sollevare le persone all'altezza del piano di lavoro; infatti nel cantiere era presente un sollevatore idoneo alla lavorazione che doveva essere fatta dal (dipendente) ad altezza di cinque metri. Pertanto la scelta della vittima e del suo compagno di lavoro per accelerare i tempi di lavorazione, visto il momentaneo utilizzo del sollevatore da parte di altri, di usare in modo improprio il carrello elevatore doveva essere considerata un'iniziativa autonoma abnorme e fuori da alcuna prevedibilità...quando in un caso come quello di specie la condotta tenuta dai due lavoratori è del tutto imprevedibile il rischio che determina non è governabile tanto da conferire forza eziologica esclusiva alla condotta imprudente dei due lavoratori tra cui la vittima". Ebbene, anche a voler aderire all'orientamento più esteso della giurisprudenza di legittimità, non può ritenersi che (...) avesse nel caso di specie posto in essere una condotta eccezionale ed imprevedibile, qualificabile come "abnorme", in grado di interrompere il nesso di causa tra omissione ed evento; premesso che l'infortunio si è verificato quando il lavoratore era impegnato in cantiere, nell'esercizio delle sue tipiche mansioni, se da un lato può ritenersi dimostrato che il lavoratore avesse compiuto delle manovre non corrette nell'uso del macchinario, dall'altro si deve escludere che tali errori possano qualificarsi quali "imprevedibili" proprio perché il lavoratore non aveva ricevuto alcuna specifica formazione sull'uso della sega circolare; nè nel DVR erano stati indicati, come già evidenziato, le misure da adottare per evitare rischi specifici derivanti dall'utilizzo di tale macchinario. Alla luce di tali osservazioni deve ritenersi dimostrata la penale responsabilità dell'odierno per il reato di rubrica. Quanto alla posizione della società, se da un lato appare dimostrato che il reato oggetto di contestazione è attribuibile, come evidenziato, ad un soggetto che rientra nel novero di quelli di cui all'art.5 comma 1 lettera a) del D.Lgs. n. 231 del 2001 e che la società era priva di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi, dall'altro rimane da valutare se possa ritenersi che il reato sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente, come richiesto dall'art.5 comma 1 dec.cit. Premesso che il reato in contestazione è colposo, va osservato che la Suprema Corte ha evidenziato che "in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antifortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso", Cass. Pen., Sez. IV, n.3363 del 23.5.2018. Nel caso di specie, secondo la contestazione, la società avrebbe beneficiato della condotta del datore di lavoro (contestata nel capo A di rubrica) posta in essere anche "nell'interesse e/o a vantaggio dell'ente"; tuttavia se l'omissione contestata - la mancata indicazione nel DVR della sega circolare - ha rappresentato antecedente causale dell'infortunio, non è dimostrato che il non corretto utilizzo della macchina da parte del lavoratore infortunato abbia consentito una riduzione dei tempi di lavorazione, ad esempio con la rimozione di alcuni presidi antinfortunistici, con conseguente risparmio di spesa per l'ente; nè, pertanto, che tale omessa indicazione nel DVR fosse stata operata in generale con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa. In altre parole, se l'omessa indicazione del macchinario tra quelli in uso agli operai poteva potenzialmente rendere possibili infortuni, a causa del prevedibile non corretto uso delle macchine, non può dirsi dimostrato che il datore di lavoro avesse previsto un non corretto uso della macchina sotto il profilo della rimozione di presidi antinfortunistici per rendere le lavorazioni più veloci. Alla luce di tali osservazioni dovrà essere dichiarata la non sussistenza dell'illecito amministrativo contestato a (...) srl. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato di rubrica; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e riconosciute le circostanze attenuanti generiche in considerazione dell'incensuratezza e dell'adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza, da ritenersi equivalenti alle contestate aggravanti, è da ritenersi pena congrua quella di giorni 20 di reclusione. Appare accoglibile la richiesta della difesa, avanzata ai sensi dell'art.545 bis c.p.p., di sostituire la pena detentiva inflitta con quella pecuniaria; alla luce di parametri di cui all'art.58 L. n. 689 del 1981, così come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, e premesso che non è stata ordinata la sospensione condizionale della pena (anche alla luce della istanza della difesa di sostituzione della pena, anticipata in fase di prime conclusioni) si deve infatti ritenere la pena pecuniaria maggiormente idonea a favorire il recupero sociale dell'imputato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, rispetto alla pena detentiva, avuto riguardo alle specifiche modalità del fatto contestato e della condizione di soggetto incensurato dell'imputato. Non essendo emerse particolari criticità in relazione alla condizione economico patrimoniale dell'imputato, appare congruo indicare in Euro 250,00 il valore giornaliero ai fini della sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, per un totale complessivo di Euro 5.000 di multa. Appare congrua l'assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica Letti gli artt.533 e 535 c.p.p. DICHIARA (...) colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di giorni 20 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 530 c.p.p. e 66 D.Lgs. n. 231 del 2001 dichiara la non sussistenza dell'illecito amministrativo contestato a (...) srl per mancanza di interesse o vantaggio della società. Motivazione in gg.60. Letti gli artt. 53 e ss. L.689/81 SOSTITUISCE la pena detentiva inflitta a (...) con quella di Euro 5.000,00 di multa. Motivazione in gg. 60. Così deciso in Udine il 13 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Daniele Faleschini Barnaba Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 23/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nata il (...) a U. (U.) residente in Via (...) 12/A - T. (U.) - libera presente - Difesa dall'avvocato di fiducia BE.Lu. del foro di Udine (...) nato il (...) a T. (U.) residente in Via (...) 42 - M. In R. (U.) - sottoposto p.q.c. a misura di sicurezza, assente - Difeso dall'avvocato di fiducia RINOLDI Ludovico del foro di Udine IMPUTATI (...) - (...) in concorso con (...), separatamente giudizio A) reato di cui agli artt. 110 e 624 bis c. 1 e 3 c.p. (in relazione all'art. 625 nn. 2 e 5 e all'art. 61 n. 7 c.p.). perché, in concorso tra loro, subito dopo aver commesso il reato di cui al capo B) di imputazione, al fine di trame profitto, mediante introduzione all'interno dell'abitazione appartenente a (...) e sita in M., (...) (...) villa n. 29/A, dopo aver forzato la finestra di accesso pertinente alla relativa camera da letto, sottraevano n. 17 orologi, n. 1 sveglia, n. 4 penne stilografiche, n. 6 penne, n. 3 astucci, n. 2 statue di legno, n. 2 macchine fotografiche Canon, n. 1 carica batterie Canon, n. 1 PC Apple, n. 2 tablet Apple, n. 1 portafoglio di pelle nera contenente al suo interno una banconota del valore pari a 100 franchi svizzeri nonché monete del medesimo conio, n. 6 cinture in pelle, n. 3 cravatte, n. 9 fazzoletti in cotone, n. 1 foulard, n. 5 camicie, n. 1 cardigan, n. 1 maglietta, n. 1 quaderno, n. 2 custodie in pelle, n. 1 marsupio, n. 1 custodia per tablet, n. 113 monete commemorative, n. 1 borsone e n. 1 zaino, beni di proprietà del (...) (in parte detenuti all'interno di una cassaforte di cui il (...) conosceva la combinazione in quanto nipote del (...) ) ed aventi valore commerciale complessivo pari ad Euro 35.000,00, e se ne impossessavano. Reato aggravato dall'essere stato commesso da tre persone, con violenza sulle cose, per aver danneggiato la citata finestra nonché dall'aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. B) reato di cui agli artt. 56, 110 e 624 bis c. 1 e 3 c.p. (in relazione all'art. 625 n. 5), perché, in concorso tra loro, al fine di trame profitto, mediante introduzione all'interno dell'abitazione appartenente a (...) e sita in M., (...) (...) villa n. 31, compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a sottrarre e impossessarsi di sedie nonché altri beni personali appartenenti al (...), senza riuscire nel loro intento per cause indipendenti dalla loro volontà, posto che venivano sorpresi dal (...) stesso mentre stavano prelevando le citate sedie ubicate sul terrazzo pertinente alla citata abitazione. Reato aggravato dall'essere stato commesso da tre persone. RECIDIVA INFRAQUINQUENNALE PER (...) Con l'intervento del P.M. dr.ssa Pa.Re. (con delega) e dei difensori di fiducia: avv.to Lu.Be. del foro di Udine per l'imputata (...) e avv.to Lu.Ri. del foro di Udine per l'imputato (...). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione diretta di data 14.7.2022 gli imputati (...) e (...) venivano tratti a giudizio per rispondere delle imputazioni di cui alla rubrica. All'udienza del 10.11.2022, in presenza dell'imputata (...) e nella dichiarata assenza dell'imputato (...), sottoposto per la presente causa a misura di sicurezza provvisoria non detentiva, si disponeva differimento su richiesta dei difensori per addivenire a richieste di rito alternativo. All'udienza del 22.12.2022 si ammettevano gli imputati al richiesto giudizio abbreviato subordinato a produzioni documentali; l'imputata (...) rendeva l'esame. All'udienza del 23.2.2023 le parti concludevano come in epigrafe e il giudice pronunziava come da dispositivo. Dagli atti del fascicolo del pubblico ministero utilizzabili per la decisione (c.n.r. Norm Carabinieri di Tolmezzo, annotazioni p.g., verbali denuncia (...) e (...), verbali s.i.t. (...) e (...), verbali arresto, perquisizione e sequestro, verbale accertamenti urgenti, rilievi fotografici, verbale interrogatorio) si evidenzia che in data 27.7.2021 verso le ore 9.25 la persona offesa (...), mentre si trovava all'interno della propria abitazione, sita in M., borgo (...) n. 31, udiva dei rumori provenire dal terrazzo sito sul retro dell'edificio; affacciatosi a una finestra, avvistava due uomini e una donna sconosciuti, i quali si trovavano uno sul terrazzo, uno sul muretto dello stesso e la donna sul terreno adiacente; il primo stava prelevando delle sedie da giardino di proprietà del (...), che consegnava al secondo soggetto, il quale le accatastava sul muro di cinta; uscito all'esterno, il (...) chiedeva cosa stessero facendo, al che uno dei due uomini rispondeva di essere un carabiniere, gli intimava di rientrare in casa e non ottemperava alla richiesta del (...) di esibire il tesserino di riconoscimento; il (...) rientrava in casa, prelevava il telefono cellulare e scattava delle fotografie dei soggetti, i quali si stavano già allontanando; come si accertava nel prosieguo, le fotografie ritraevano (...) mentre stazionava nei pressi del muretto di recinzione e la stessa (...) e (...) mentre si dirigevano verso la confinante proprietà di (...); mentre chiamava le forze dell'ordine, il (...) vedeva i due uomini scavalcare la recinzione della vicina abitazione del (...), sita al civico 29, dopodiché udiva rumori di effrazione e di rottura di vetri; portatosi in un punto più elevato, scorgeva una finestra spalancata e dal davanti della sua abitazione notava uno dei due uomini transitare a piedi con un borsone di colore marrone e uno zainetto di colore nero; questi raggiungeva la ragazza che lo stava attendendo lungo la strada. Nel contempo transitavano i due operai comunali (...) e (...) , i quali, a ciò richiesti dal (...), seguivano i due soggetti per circa cinquanta metri, notando che l'uomo aveva con sé il borsone e la donna portava lo zainetto; dopo qualche minuto il (...) vedeva uscire da una finestra dell'abitazione del (...) il secondo giovane, il quale si dileguava nella vicina boscaglia; anche il figlio (...) assisteva all'allontanamento dell'uomo, che aveva con sé uno zaino, e, inseguitolo, aveva un breve colloquio con lui, riconoscendolo con certezza per l'ex-vicino di casa, compaesano e quasi coetaneo (...), nipote di (...); il (...) affermava inizialmente di essere un carabiniere, dopodiché accennava a questioni di famiglia esistenti con lo zio e infine si allontanava; nel frattempo il (...) saliva a bordo del furgone che aveva in uso e, giunto nei pressi della chiesa, vedeva la ragazza, che non aveva più con sé lo zainetto, sedersi alla guida di un'autovettura Volkswagen Passat di colore blu tg. (...) e muoversi in direzione del cimitero, ove prendeva a bordo il primo giovane, anch'egli privo del borsone; essi percorrevano alcune centinaia di metri, si fermavano, scendevano dal veicolo e si distendevano su un prato, dopodiché salivano nuovamente a bordo dell'autovettura, ripartivano e percorrevano un tratto di strada prima di essere fermati dai Carabinieri lungo la s.p. 34; venivano identificati in (...) e (...) - nei cui confronti si è proceduto separatamente - e trovati in possesso di alcuni cacciaviti, compatibili con l'effrazione commessa nell'abitazione del (...) ; il (...) recava sulle mani delle evidenti lesioni da taglio; il borsone e lo zaino venivano recuperati dagli operanti sul sentiero che i due soggetti avevano percorso in precedenza; all'interno vi era la refurtiva che sarebbe stata poi restituita a (...), previo riconoscimento; la (...) e il (...) venivano arrestati in flagranza di reato; il (...) notava anche la presenza di (...), a lui noto, nell'area del campo sportivo; questi tentava di nascondersi dietro un palo dell'illuminazione. In data 28.7.2021 si reperivano in possesso del (...) due cacciaviti e un paio di forbici da elettricista, oggetti utilizzabili per compiere effrazioni. La persona offesa (...) riferiva in sede di denuncia presentata in data 27.7.2021 di essere il proprietario e l'unico occupante dell'abitazione sita in M., borgo (...) n. 29; era rientrato a casa nella tarda mattinata del 27.7.2021 dopo essere stato informato del furto dai Carabinieri del Norm di Tolmezzo; aveva constatato che dall'abitazione erano stati asportati numerosi beni, dettagliatamente elencati nel capo A) d'imputazione; i beni di maggiore valore erano custoditi all'interno di una cassaforte, la quale era stata aperta senza alcuna effrazione; il codice di apertura della cassaforte era noto solamente al nipote (...), il quale aveva in passato frequentato assiduamente l'abitazione e godeva della piena fiducia del (...) ; la refurtiva recuperata veniva riconosciuta dall'offeso e gli veniva restituita dai Carabinieri intervenuti. Dalle risultanze acquisite risulta dunque dimostrata oltre la soglia del ragionevole dubbio la partecipazione degli imputati alla commissione sia del tentato furto di sedie dalle pertinenze dell'abitazione di (...), essendo il reato già pervenuto allo stadio degli atti idonei e inequivocabilmente diretti alla sottrazione dei beni e la consumazione essendo stata impedita da causa indipendente dalla volontà degli imputati, vale a dire dall'intervento della persona offesa, sia del furto consumato nell'abitazione di (...), nell'ambito del quale il (...) rivestiva un ruolo preminente, essendo a conoscenza della presenza della cassaforte e del codice di apertura della stessa in quanto nipote della persona offesa e frequentatore in passato dell'abitazione; dopo il furto egli riusciva a dileguarsi e a evitare l'arresto in flagranza; l'imputata (...) presenziava a entrambe le condotte delittuose, accompagnava il (...) in direzione dell'abitazione del (...) , lo attendeva all'esterno, portava per un tratto uno zainetto contenente parte della refurtiva e si poneva alla guida dell'autovettura con la quale essi tentavano di allontanarsi dal luogo dei fatti e a bordo della quale venivano rinvenuti alcuni cacciaviti verosimilmente utilizzati per compiere l'effrazione; il (...) recava sulle mani vistose lesioni da taglio; la piena consapevolezza della (...) - che l'ha genericamente negata in sede di interrogatorio reso all'udienza di convalida dell'arresto e di esame reso nel giudizio abbreviato - di concorrere nella commissione dei reati risulta dunque indubitabile, avuto riguardo alle modalità della condotta da lei tenuta lungo l'intero arco di commissione dei fatti e successivamente a essi e all'assenza di qualsivoglia logica spiegazione alternativa dell'introduzione per due volte nelle altrui proprietà e con un'evidente effrazione, produttiva di rumori udibili anche a distanza, nel caso del furto consumato in danno del (...) ; anche le modalità dell'allontanamento dei due correi, recando seco i beni appena sottratti, risultano univocamente dimostrative del dolo dei reati; priva di ogni fondamento è infine rimasta l'affermazione dell'imputata, espressa in modo generico e contraddetta dai fatti così come accertati, di essere stata in qualche modo intimorita dal (...) o da lui determinata a commettere i reati. La consumazione del furto deve ritenersi avvenuta anche nel caso in cui l'impossessamento della refurtiva e l'autonoma disponibilità della stessa da parte degli agenti abbiano durata temporale limitata e cessino con l'intervento delle forze dell'ordine o con l'abbandono dei beni; il reato di cui all'art. 624 bis comma 1 c.p. è configurabile anche nel caso in cui l'abitazione sia temporaneamente priva di occupanti, essendo sufficiente l'obiettiva destinazione dell'edificio a privata dimora. In tema di concorso di persone nel reato, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 114 comma 1 c.p. invocata dalla difesa dell'imputata (...) , non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da uno dei correi rispetto agli altri, ma è necessario che il contributo causale apportato sia contrassegnato dall'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, vale a dire di efficienza causale, materiale o psicologica, di entità trascurabile rispetto alla produzione dell'evento, così da poter essere avulso senza apprezzabili conseguenze pratiche dalla serie causativa del reato, il che non è ravvisabile nel caso in esame in ragione della protrazione nel tempo e dell'apprezzabile grado di efficacia della condotta concorsuale ascrivibile all'imputata (Cass. sez. VI, 23.6.2021 n. 34539; Cass. sez. IV, 25.11.2020 n. 35950; Cass. sez. III, 17.11.2015 n. 9844). Sussistono altresì le contestate circostanze aggravanti, essendo entrambi i reati stati commessi da tre persone (art. 625 comma 1 n. 5 c.p.); a integrare tale aggravante è sufficiente che l'azione sia eseguita di comune accordo tra i compartecipi, i quali si forniscano reciproco aiuto morale o materiale, e non è richiesto che ogni singolo segmento della condotta sia posto in essere contemporaneamente da tutti i concorrenti; il reato di cui al capo A) veniva inoltre commesso con violenza sulle cose (art. 625 comma 1 n. 2 c.p.), a realizzare la quale non è necessario che la violenza sia esercitata direttamente sulla res oggetto dell'impossessamento, ben potendosi 1'aggravante configurare anche allorché essa venga posta in essere nei confronti degli strumenti materiali collocati a difesa dei beni, come ad esempio gli infissi e i serramenti di un'abitazione; il furto di cui al capo A) cagionava infine un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61 n. 7 c.p.), stimato dalla persona offesa in almeno 35.000 euro; il successivo recupero della refurtiva non rileva a escludere tale aggravante, una volta che il reato sia già pervenuto alla consumazione. Dalla consulenza tecnica medico-psichiatrica affidata dal pubblico ministero al dott. (...) si è evidenziato lo stato di totale esclusione della capacità d'intendere e di volere dell'imputato (...) per infermità di mente all'epoca dei fatti; il consulente è pervenuto a tale conclusione all'esito di accertamenti condotti con rigore scientifico e corredati da congrua motivazione; il (...) risulta seguito dai servizi psichiatrici ed è affetto da grave patologia psichica, individuata in disturbo maniacale complicato dall'assunzione di sostanze psicotrope e accompagnato anche da uno stato di precarietà familiare, economica e abitativa; si rendeva anche necessario il suo ricovero in reparto psichiatrico ospedaliero nell'aprile del 2020 per scompenso psicotico; in occasione della commissione dei reati egli era in preda a uno stato di eccitamento maniacale che comportava l'abolizione delle facoltà di giudizio; in data 28.7.2021, giorno successivo ai fatti d'imputazione, egli veniva ricoverato in reparto psichiatrico per circa un mese con diagnosi di episodio maniacale in abuso di cannabinoidi; nella precedente data del 22.7.2021 era stata emessa nei suoi confronti ordinanza del sindaco di Magnano in Riviera per accertamento sanitario obbligatorio urgente; attualmente egli si trova in una condizione di sufficiente compenso psichico per effetto della somministrazione di terapie farmacologiche; non è dato escluderne la pericolosità sociale, essendo essa strettamente correlata alla disponibilità del (...) ad assumere le terapie prescritte, di modo che l'irregolarità o l'interruzione delle terapie determinerebbero il rischio concreto di ricaduta nel reato, in quanto si riprodurrebbero le medesime condizioni psichiche che hanno costituito il sostrato della perpetrazione dei reati oggetto del presente giudizio. Ad analoghe conclusioni si preveniva anche in sede di perizia psichiatrica disposta dal g.i.p. del Tribunale di Udine in altro procedimento instaurato a carico del (...) per reati commessi in data 24.7.2021 e conclusosi con sentenza del g.u.p. in data 30.11.2022 di assoluzione per difetto di imputabilità con applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata con prescrizioni per anni uno. In base alla natura, all'entità e alla cronicità dei sintomi riscontrati, la patologia in questione appare dunque connotata da quei caratteri di gravità e intensità che sono idonei a determinare una rilevante compromissione della capacità d'intendere e di volere del soggetto, sì da influire sull'imputabilità, escludendola a norma dell'art. 88 c.p. (Cass. sezioni unite 25.1.2005, R.). Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputata (...) in ordine ai reati di rubrica, ritenuta la continuazione tra i fatti in ragione dell'analogia delle modalità delle condotte, della comunanza del movente e della consecuzione temporale delle stesse; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., riconosciute le sole circostanze attenuanti generiche in considerazione dell'incensuratezza e della condotta parzialmente riparatoria in favore della persona offesa (...), applicato il disposto dell'art. 624 bis u.c. c.p., denegata la concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p., non essendo la dazione di 200 euro effettuata in favore della persona offesa (...) all'evidenza satisfattiva del danno arrecato dai reati, né potendosi l'imputata avvalere del risarcimento autonomamente erogato dal (...) in favore della persona offesa (...) nell'importo di Euro 2.000, applicata la diminuente per il rito, è da ritenersi congrua la pena di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 600 di multa (p.b. per il più grave reato di cui al capo A) anni cinque ed Euro 1.000, diminuita per le circostanze attenuanti generiche ad anni tre mesi quattro ed Euro 700, aumentata per la continuazione ad anni tre mesi nove ed Euro 900, diminuita per il rito alla pena finale). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere. A norma dell'art. 163 c.p. sussistono i presupposti per concedere all'imputata, infraventunenne all'epoca dei fatti, il beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva, considerato che l'assenza di precedenti penali a suo carico induce a reputare probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. L'imputato (...) deve essere mandato assolto dai reati ascritti per difetto di imputabilità per vizio totale di mente a norma degli artt. 88 c.p., 530 c.p.p.; la pericolosità sociale, risultante dalla consulenza tecnica medico-psichiatrica e già ritenuta sussistente dal g.i.p. in sede di applicazione della misura di sicurezza provvisoria in data 4.5.2022, impone l'applicazione della misura di sicurezza non detentiva della libertà vigilata con prescrizioni (affidamento al C.S.M. di Tarcento per le terapie del caso), come espressamente raccomandato dal consulente tecnico, per la durata che appare congruo stabilire in anni due in ragione della gravità dei fatti e del grado di pericolosità dell'imputato a norma degli artt. 228 e ss. c.p. Conseguono i provvedimenti di cui in dispositivo in merito alla destinazione dei reperti in sequestro a norma degli artt. 240 c.p. e 262 c.p.p.. Nell'impossibilità di redazione immediata la sentenza viene depositata nel termine di cui all'art. 544 comma 2 c.p.p.. P.Q.M. Il Tribunale di Udine sezione penale in composizione monocratica, letti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputata (...) colpevole dei reati ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, applicato il disposto dell'art. 624 bis u.c. c.p., ritenuta la continuazione e applicata la diminuente per il rito, la condanna alla pena di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere. Letto l'art. 163 c.p., concede all'imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva. Letti gli artt. 438 e ss., 530 c.p.p., assolve l'imputato (...) dai reati ascritti per essere egli non imputabile all'epoca dei fatti per vizio totale di mente ex art. 88 c.p.. Letti gli artt. 228 e ss. c.p., applica all'imputato la misura di sicurezza della libertà vigilata con affidamento ai Servizi psichiatrici competenti per territorio per la durata di anni due. Dispone la confisca e la distruzione dei reperti in sequestro, fatta eccezione per i reperti B) e C), di cui dispone la restituzione all'imputato (...), previo dissequestro. Motivazione riservata nel termine di 15 giorni. Così deciso in Udine il 23 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Udine, in persona del Giudice Unico del Lavoro dott.ssa Ilaria Chiarelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di primo grado iscritta in data 07/06/2022 al n. 345 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili - Controversie in materia di Lavoro e di Previdenza o Assistenza Obbligatorie per l'anno 2022, discussa all'udienza del giorno 07/03/2023 PROMOSSA DA (...), con l'avv. Pe.El. RICORRENTE CONTRO (...) SRL, con l'avv. To.Pa. RESISTENTE OGGETTO: "Licenziamento individuale per giusta causa" RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 06/06/2022 (...) esponeva di essere stata assunta con contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato in data 29.08.2019 dalla (...) s.r.l., società che si occupava dell'elaborazione dati relativi al personale dipendente inerenti le paghe, i costi, i contributi sociali e gli adempimenti fiscali e previdenziali connessi. La (...) precisava di non aver mai avuto alcuna responsabilità o autonomia nello svolgimento delle proprie mansioni e che alla verifica ultima ed invio dei vari modelli provvedevano i soggetti debitamente incaricati; aggiungeva che le disposizioni disciplinari di cui al CCNL applicato al rapporto lavorativo non erano mai state affisse in azienda, in locali accessibili al lavoratore o diversamente portate a conoscenza della ricorrente. La ricorrente specificava anche che la sua retribuzione lorda era stata stabilita in Euro 27.000,00 per raggiungere i quali le era stato fatto sottoscrivere un patto di non concorrenza, privo della doppia sottoscrizione, che prevedeva il divieto per la ricorrente di svolgere attività concorrenziale - in qualsiasi forma - presso e/o a favore e/o nell'interesse di soggetti concorrenti con il datore di lavoro per un'estensione territoriale di 10 km dal perimetro del Comune di Udine e per tre anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Compito della lavoratrice era la correzione dell'elaborazione dei Modelli 770 effettuata dal gestionale relativamente ad alcune ditte dalla medesima seguite. La (...), impegnata nel seguire altri adempimenti inerenti la gestione dell'emergenza Covid e confidando sul fatto che, secondo un articolo di stampa, ci sarebbe stata una proroga, si era trovata nella situazione di non aver completato il controllo. La (...) s.r.l., accortasi di tale mancato controllo ancora nella giornata del 30.10.2021 e comunque nella giornata del 2.11.2021 poichè i modelli non risultavano inviabili, aveva effettuato comunque il suddetto invio dei 770 per circa la metà delle ditte in carico alla (...), senza controllo e verifica. In data 03.11.2021, nel corso di una riunione tra dipendenti e alla presenza del dott. (...) e del rag. (...), la (...) era stata rimproverata e richiamata verbalmente e le era stato contestato il mancato controllo preinvio. La lavoratrice si era dichiarata mortificata e si era resa immediatamente disponile ad occuparsi dei controlli e delle correzioni del caso così da effettuare il secondo invio corretto, in tal modo evitando l'applicazione di sanzioni. In data 27.12.2021 il dott. (...) aveva convocato la (...) in ufficio e, alla presenza del rag. (...), le aveva consegnato una formale contestazione disciplinare, nella quale si faceva espresso richiamo alla vicenda relativa all'invio dei modelli 770/2021. La resistente aveva ribadito la propria disponibilità a correggere tutti gli invii, ma la datrice di lavoro non aveva tenuto in considerazione la risposta, nè aveva concesso un termine a difesa, provvedendo invece a licenziare la lavoratrice nella medesima giornata della contestazione, con una raccomandata a mani di "risoluzione rapporto di lavoro a far data dal 27.12.2021 per giusta causa". La parte datoriale, inoltre, approfittando della condizione di minorata difesa della (...), frastornata e colpita dall'ingiustificato atteggiamento aggressivo della resistente, l'aveva indotta a sottoscrivere un "accordo", predisposto senza contraddittorio e imposto senza assistenza qualificata alcuna, nel quale si imponeva alla ricorrente di accettare il recesso rinunciando all'impugnazione. A fronte di ciò la società resistente si era impegnata ad erogare, per 6 mesi, Euro. 1000,00 netti al mese nel caso in cui la (...) non avesse trovato lavoro e, confermando la validità del patto di non concorrenza limitatamente ad 1 km dal Comune di Udine (invece dei 10 previsti nel contratto di assunzione), aveva aggiunto che la lavoratrice non avrebbe, però, dovuto prestare attività presso lo studio J./T. e consociati. La comunicazione dd. 27.12.2021 denominata "Risoluzione rapporto di Lavoro" ed il contestuale documento denominato "cessazione con accettazione" erano stati entrambi impugnati con pec dd. 21.01.2022. Le trattative per la definizione stragiudiziale della controversia non avevano dato buon esito e si era reso necessario l'avvio dell'azione giudiziale. Solo dal mese di aprile 2022 la (...) aveva trovato una nuova occupazione, comunque a tempo determinato, presso lo studio Armano nella sede di San Daniele del Friuli. La difesa attorea sosteneva la nullità del licenziamento (per insussistenza del fatto contestato, per mancata affissione del codice disciplinare, per tardività della contestazione, per violazione del termine a difesa, per sproporzione della sanzione applicata, per esaurimento del potere disciplinare con l'irrigazione del richiamo verbale) e della conseguente rinuncia alla sua impugnazione che la lavoratrice era stata costretta a firmare sotto la pressione di una corposa richiesta risarcitoria. Si costituiva in giudizio la parte resistente, eccependo l'inammissibilità della domanda avversaria, contestando nel merito le allegazioni avversarie, evidenziando la violazione del patto di non concorrenza e sostenendo la perfetta legittimità del licenziamento irrogato. La causa era istruita solo documentalmente. Le parti precisavano le rispettive conclusioni, come in epigrafe riportate, e procedevano alla discussione orale all'udienza del giorno 07/03/2023. All'esito il Giudice si pronunciava, dando lettura del dispositivo e della contestuale motivazione della sentenza. Reputa questo Giudice del Lavoro che la domanda di parte ricorrente sia inammissibile. In primo luogo va rammentato che la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia resa a Sezioni Unite il 16 gennaio 2015, n. 642, ha definitivamente sancito la possibilità per il giudicante di fare anche riferimento alle argomentazioni addotte dalle parti del processo nello svolgimento dell'iter logico argomentativo svolto ed idoneo a giungere alla determinazione della controversia ("Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d'imparzialità del giudice, al quale non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato"). Va ulteriormente aggiunto che l'esame di tutte le questioni prospettate dalle parti, pur dedotte in via principale, non risulta necessario quando la domanda può essere decisa sulla base della soluzione di una questione a carattere assorbente, in forza del criterio della c.d. "ragione più liquida". Il principio (dottrinario e ormai anche) giurisprudenziale della decisione secondo la c.d. "ragione più liquida", che consente al giudice di non rispettare rigorosamente l'ordine logico delle questioni da trattare (art. 276 c.p.c.), ove sia più rapido ed agevole risolvere la controversia in base ad una questione che - pur se logicamente subordinata ad altre - sia più evidente e più rapidamente risolvibile, è stato ritenuto pienamente rispondente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzate, ed è altresì conseguenza di una rinnovata visione dell'attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli (così, Cass. SU n. 24883 del 9.10.08). Ne consegue che il giudice ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentato, in applicazione del principio della c.d. ragione più liquida, dall'esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l'esercizio di attività defensionali delle parti poiché, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo" (così, da ultimo, Cass. 10839/2019). Maggiore liquidità della questione quindi significa che, nell'ipotesi di rigetto della domanda, occorre dare priorità alla ragione più evidente, più pronta, più piana, che conduca ad una decisione, indipendentemente dal fatto che essa riguardi il rito o il merito (cfr. Trib. Milano sent. n. 2895 del 21.05.20). Nel caso di specie deve trovare accoglimento l'eccezione preliminare di inammissibilità dell'impugnazione del licenziamento per intervenuta rinuncia. La ricorrente ha riconosciuto di avere sottoscritto il giorno 27.12.21 la lettera di risoluzione del rapporto di lavoro doc.3 di parte resistente, che conteneva la comunicazione della risoluzione del rapporto di lavoro con effetto dal giorno stesso; parimenti incontestata è la sottoscrizione da parte della lavoratrice nella medesima occasione dell'accordo di cessazione con accettazione, con il quale la lavoratrice accettava il recesso comunicatogli e rinunciava all'impugnazione. Cass.n.13134/2000 ha affermato: "Il lavoratore può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell'art. 2113 cod. civ., che considera invalidi e perciò impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi; e, infatti, l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell'area della libera disponibilità, come è desumibile dalla facoltà di recesso "ad nutum" di cui il medesimo dispone, dall'ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione". Secondo Cass. n. 6265/2014 "Le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in una conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 2113 cod. civ., con conseguente irrilevanza degli eventuali vizi formali del relativo procedimento, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art. 2113 cod. civ." (in tal senso anche Cass.22105/2009). Anche di recente Cassazione civile sez. lav., 13/07/2022, n.22158 ha statuito che: "il lavoratore può disporre liberamente del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell'art. 2113 c.c., che considera invalidi e perciò impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi, posto che il suo interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell'area della libera disponibilità, desumibile dalla facoltà di recesso ad nutum di cui il medesimo dispone, dall'ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione" (nello stesso senso Cass. n. 1887/22). La rinuncia alla impugnazione del licenziamento contestuale alla comunicazione dello stesso deve ritenersi, pertanto, validamente effettuata, considerato che la lavoratrice non ha dedotto la sussistenza di alcuno dei vizi della volontà che il codice civile prevede come causa di annullamento dell'atto. La (...) non specifica quale sarebbe il vizio che invaliderebbe la rinuncia all'impugnazione del licenziamento, non ne circostanzia la genesi, né la causa, né il contenuto, ma la cosa che risulta ancor più decisiva è che la ricorrente non formula alcuna prova sui fatti costitutivi e dimostrativi del presunto (e non esplicitato) vizio. Peraltro, assolutamente non convincente è la tesi di parte ricorrente secondo la quale la rinuncia sarebbe nulla poiché sarebbe irrinunciabile il diritto del lavoratore a che il recesso dal rapporto di lavoro sia attuato solo nelle ipotesi previste dalla legge e dai contratti collettivi e con le modalità ivi stabilite. In altre parole, la nullità del licenziamento per violazione del diritto di difesa produrrebbe come conseguenza anche la nullità della rinuncia alla sua impugnazione. Così non è, perché anche il diritto del lavoratore a far valere la nullità del licenziamento per violazione delle disposizioni che regolano la relativa procedura è per sua natura disponibile, tanto è vero che la normativa prevede un termine di decadenza entro il quale il licenziamento va impugnato, termine che, se non rispettato, comporta la stabilizzazione degli effetti del licenziamento e la sua insindacabilità Al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del recesso, né il giudice può conoscere dell'illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, in quanto l'ordinamento prevede, per la risoluzione del rapporto di lavoro, una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza all'evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici. Ciò trova conferma nel fatto che a norma dell'art. 2969 cod. civ., la decadenza prevista - che impone al lavoratore l'onere dell'impugnativa del licenziamento entro il termine di sessanta giorni - non può essere rilevata d'ufficio, attenendo ad un diritto disponibile, ma necessita di un'eccezione (in senso stretto), che, nel rito del lavoro, deve essere proposta, dalla parte convenuta, nella memoria di costituzione. Per i motivi esposti il licenziamento deve ritenersi non più contestabile e le relative domande devono essere respinte. L'inammissibilità accertata della domanda, rende processualmente superfluo l'esame di ogni restante questione giuridica e di fatto. Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono per legge la soccombenza e vanno, quindi, poste a carico della parte ricorrente. Per la quantificazione delle stesse occorre dare applicazione al D.M. n. 55 del 2014 secondo i parametri medi dello scaglione di valore di riferimento, per le fasi di studio, introduttiva e decisoria, non essendosi svolta attività istruttoria ulteriore rispetto all'esame dei documenti allegati agli atti introduttivi e con abbattimento percentuale attesa la non particolare complessità delle questioni giuridiche affrontate. P.Q.M. Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, in persona del Giudice del Lavoro dr.ssa Ilaria Chiarelli, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, 1) dichiara inammissibile la domanda proposta dalla ricorrente (...); 2) condanna (...) alla rifusione delle spese del presente giudizio sostenute dalla società resistente, spese che liquida in Euro 4500,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi a titolo di rimborso forfetario ed oltre accessori come per legge. Così deciso in Udine il 7 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 06/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) a K. Agency (P.) domiciliato in Via C. di L. 123 - fr. B. - B. (U.) - Libero, non presente - Difeso dall' avvocato di fiducia Diana Paola del foro di Udine (...) nato il (...) in P., con domicilio eletto in Via (...) 5 - U. - Libero, assente - Difeso dall' avvocato di fiducia FA.Ma. del foro di Udine IMPUTATI (...) (...) a) delitto p. e p. dagli artt. 61 n.5), 110 e 614 c.p. perché, agendo in concorso tra loro e con altri tre soggetti allo stato non identificati, entravano nottetempo nell'appartamento abitato da (...) (ubicato in U. via (...) n.3) contro la volontà espressa o tacita di quest'ultimo, con il proposito di aggredirlo e picchiarlo, cosa che effettivamente avveniva; con l'aggravante di avere commesso il fatto profittando di condizioni di tempo (notturno) tali da ostacolare la pubblica e/o privata difesa; In Udine il 03.10.20 b) delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 5), 81 cpv., 110, 112 comma I n.1), 582 e 585 c.p. perché, agendo in concorso tra loro e con altri due soggetti allo stato non identificati, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, entrati nottetempo nell'appartamento abitato da (...), armati di oggetti contundenti lo aggredivano e picchiavano: (...) con un bastone tipo pezzo di sedia a forma quadrata, tale (...) con un coltello da cucina con lama seghettata, tale (...) con una catena (di quelle usate per chiudere le biciclette), gli altri due con altri oggetti non identificati; in tal modo gli provocavano lesioni personali consistite in "dolorabilità elettiva rachide e al passaggio dorso lombare" con prognosi di giorni 5; con le aggravanti di avere commesso il fatto profittando di condizioni di tempo (notturno) tali da ostacolare la pubblica e/o privata difesa, in 5 persone, mediante uso di armi (ancorché improprie). Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott.ssa La.Ma. (con delega) dei difensori di fiducia: Di.Pa. del foro di Udine e FA.Ma. del foro di Udine. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del Gup presso il Tribunale di Udine gli odierni imputati venivano rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere dei reati a loro ascritti in rubrica. All'udienza dibattimentale di data 30 maggio 2021 veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova: il Pm chiedeva di essere ammesso a provare i fatti di causa mediante l'esame dei testi indicati in lista ed esame imputati, le difese chiedevano l'esame degli imputati. Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell'art. 495 c.p.p., all'udienza di data 16 gennaio 2023 si procedeva all'esame di (...), (...), (...); indi si procedeva all'esame dell'imputato (...). Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna degli odierni imputati per il reato di cui al capo B) di rubrica. (...), sentito in dibattimento, ha riferito di essere stato contattato da un conoscente che gli aveva chiesto il favore di ospitare a casa sua per un certo periodo l'odierno imputato (...); ha aggiunto di avere aderito alla richiesta, chiarendo allo (...) di non portare a casa altre persone. Il teste ha spiegato di avere ospitato (...) per due settimane, ma l'ospite, anziché rispettare le sue richieste, aveva portato nella sua abitazione altre persone, che lo avevano disturbato e per tale motivo aveva intimato all'imputato di andarsene. (...) ha spiegato che, a fronte della sua richiesta, avanzata al telefono nella stessa giornata in cui si sono svolti i fatti in contestazione, l'imputato aveva rifiutato di andarsene, insultandolo e dicendo "io sono di mafia"; l'imputato gli aveva quindi proposto di incontrarsi quella sera, a casa, per chiarire la situazione. La persona offesa ha aggiunto che nella serata del 2 ottobre, alle 23.30 circa, era rientrato a casa dal lavoro e si era messo a dormire sul divano, posto che la camera da letto era in uso a (...); verso l'una di notte del 3 ottobre era stato svegliato dallo (...), che unitamente a tale (...) - che aveva conosciuto in precedenza quale ospite dello (...) - erano entrati in casa, assieme ad altre tre persone che non conosceva. (...) lo aveva colpito in testa, gettandogli addosso la sua valigia; era stato quindi spinto a terra; (...) aveva in mano un coltello da cucina, con lama seghettata, che non faceva parte delle sue posate. Un altro soggetto, da lui poi identificato in (...), aveva in mano una catena, di quelle usate per chiudere le biciclette; altro soggetto, da lui in seguito identificato nell'odierno imputato (...), aveva in mano un bastone, ricavato da un pezzo di sedia. Il teste ha spiegato di essere stato quindi picchiato dal gruppo di persone; un suo vicino di casa, che aveva sentito confusione, era intervenuto, causando la fuga dei cinque. Il teste ha spiegato di avere in seguito rinvenuto il coltello utilizzato durante l'aggressione, dietro una porta. Il giorno successivo alla aggressione si era recato al pronto soccorso. Quanto alla identificazione dei soggetti protagonisti della vicenda, il teste ha riconosciuto in udienza l'imputato (...); ha aggiunto che successivamente alla aggressione aveva visionato il profilo facebook di (...) ed aveva visto le foto di tre dei soggetti che avevano partecipato alla spedizione: (...) (da lui, come detto, già conosciuto in precedenza), tale (...) e (...). In sede di individuazione fotografica il teste ha indicato nella foto dell'odierno imputato - foto 1 del fascicolo fotografico in atti - (...) l'effige di uno dei protagonisti della vicenda. (...), sentito in dibattimento, ha premesso che all'epoca dei fatti viveva nella stessa palazzina ove abitava la persona offesa; il teste ha riconosciuto in udienza l'imputato, quale soggetto che era stato ospite per un certo periodo a casa di (...). Fatta questa premessa, il teste ha spiegato che la notte del 3 ottobre 2020 era rincasato, all'una e mezza circa, ed aveva trovato una vettura posizionata di fronte all'ingresso che ostacolava l'accesso al garage. Il teste ha riferito di essersi diretto verso l'ingresso pedonale, notando che sul balcone dell'appartamento di (...) vi erano tre persone affacciate, circostanza che gli era apparsa inusuale, vista la tarda ora. (...) ha aggiunto di avere percorso le scale verso il suo appartamento, sentendo schiamazzi ed urla; aveva quindi bussato alla porta di (...), che era stata aperta da un soggetto a lui sconosciuto, al quale aveva chiesto (parlando in lingua inglese) dove fosse la persona offesa, ricevendo risposte evasive ("no, non c'è, non è in casa.."). Il teste ha ricordato di avere intimato all'uomo di fargli parlare con il proprietario di casa, altrimenti avrebbe chiamato i carabinieri; si era recato in casa per recuperare il telefonino e quando era uscito aveva visto che quattro o cinque persone erano uscite, scappando attraverso le scale; si era affacciato ed aveva notato che non c'era più la vettura che ostruiva il passaggio ai garage. Il teste ha aggiunto di avere quindi visto il suo vicino di casa, in corridoio, appoggiato alla parete, scioccato ed impaurito, con alcuni graffi sul volto e sul collo ed i vestiti strappati. (...), in servizio alla Procura di Udine, Sezione Polizia Giudiziaria, Aliquota Carabinieri, sentito in dibattimento ha illustrato l'attività di indagine compiuta in relazione ai fatti oggetto del presente procedimento; il teste ha riferito che la persona offesa in sede di integrazione di querela aveva consegnato agli operanti il passaporto dello (...); ha riferito di avere accertato che il numero di telefono indicato in querela dalla persona offesa ((...)) era intestato all'odierno imputato (...). Erano quindi stati acquisiti i tabulati relativi al traffico telefonico in entrata ed uscita sulla predetta utenza, dall'esame dei quali era emerso che l'ultima chiamata prima dei fatti era stata eseguita alle 21.48 del 2 ottobre 2020; la chiamata successiva era stata eseguita in data 3 ottobre 2020 alle ore 13.02. Dall'analisi dei tabulati erano emersi contatti frequenti con l'utenza (...), risultata intestata a (...). Dalle verifiche eseguite sulla targa del veicolo indicata in querela ((...)) era emerso che si trattava di auto intestata a (...); in banca dati SDI era emerso che tale soggetto era stato controllato nel 2020 in San Dorligo della Valle unitamente ad un certo (...). L'odierno imputato (...) nel corso dell'esame reso in dibattimento ha spiegato di essere entrato in contatto con (...) tramite un conoscente e di essersi accordato con la persona offesa per condividere il suo appartamento, alla cifra di Euro 150,00 per due mesi, somma che aveva pagato in contanti prima di entrare in casa. L'imputato ha spiegato che sebbene avesse cercato una sistemazione in camera singola, all'interno dell'appartamento c'era una sola camera; ha aggiunto che (...) non gli aveva spiegato le regole della casa e per tale motivo una sera aveva ospitato un suo amico ((...)), provocando la reazione di (...), che aveva insultato il suo ospite. L'imputato ha spiegato di avere contattato al telefono (...), nella stessa giornata in cui si sono svolti i fatti, per lamentarsi circa il suo comportamento con il suo amico; quella stessa sera si era recato a casa, unitamente a suoi colleghi di lavoro (U., (...), (...)) per discutere della vicenda e mettere in chiaro le cose. L'imputato ha spiegato di avere portato con sè i suoi amici in qualità di "mediatori" e ha negato di avere picchiato la persona offesa. L'imputato ha aggiunto che quella sera, in cui (...) gli aveva chiesto di andarsene, dopo la discussione aveva lasciato la casa; ha lamentato di non essere riuscito a trovare alcuni suoi documenti (quali il passaporto e la patente di guida) (vedi nota 2). Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve osservare quanto segue. Non residuano dubbi in merito alla identificazione di (...) quale soggetto protagonista della vicenda; l'imputato ha confermato di essere stato ospite nella casa in uso ad (...) e ha ammesso di avere avuto con lui una discussione nella stessa sera in cui, con alcuni amici, si era recato a casa per chiarire ulteriormente la vicenda (pur avendo negato di avere colpito (...)). Quanto a (...), si deve osservare che la sua individuazione è avvenuta principalmente grazie alla individuazione fotografica compiuta da (...); si deve in generale ricordare che "nel caso di riconoscimento fotografico, attesa la ridotta efficacia rappresentativa del mezzo, dal punto di vista storico (l'immagine deve essere la più recente possibile) e spaziale (mancano di solito riferimenti volumetrici) è opportuna l'adizione di cautele analoghe a quelle previste dagli artt.213 e ss. c.p.p. in tema di ricognizione di persone; spetta poi al Giudice verificare la correttezza dei criteri adottati da chi ha assunto l'atto nonché l'attendibilità del dichiarante e, in caso di dichiarazioni ricognitive plurime, la concordia esterna delle stesse e la compiutezza di ciascuna", Cass. Pen., Sez. V, sentenza 1858, del 26.11.98). Nel caso di specie si deve ritenere che con riferimento alla preparazione dell'album fotografico esibito al teste siano state adottate tutte le cautele necessarie a rendere efficace il riconoscimento. In ogni caso, anche l'imputato ha confermato che (...) faceva parte del gruppo di amici che lo avevano accompagnato a casa di (...); dalla attività di indagine era emerso che (...) era titolare di un'utenza che risultava essere stata contattata con frequenza dall'imputato (...). Tali elementi, complessivamente ed unitariamente considerati e valutati, consentono di ritenere raggiunta con certezza la prova della identificazione di (...) quale soggetto coinvolto nella vicenda. Venendo al merito dei fatti in contestazione, con riferimento alla contestazione di cui al capo B) va osservato che la deposizione di (...), che aveva in sintesi affermato di essere stato colpito da cinque persone (tra le quali vi erano gli odierni imputati) ha trovato molteplici riscontri. In primo luogo nel referto in atti sono state documentate lesioni (contusioni) in capo alla persona offesa che confermano l'aggressione subita nella notte del 3 ottobre 2020 e, nel contempo, smentiscono la versione di (...), secondo cui quella sera vi era stato un mero chiarimento dei rapporti e di quanto avvenuto in precedenza. La deposizione del teste (...) è apparsa ulteriore riscontro alla ricostruzione dei fatti operata dalla persona offesa; il teste ha in sintesi riferito di avere visto dei graffi sul collo e sul viso della persona offesa, che presentava anche i vestiti strappati; si tratta di dati che dimostrano inequivocabilmente che la persona offesa, quella notte, aveva subito una aggressione. Del resto, seppure l'imputato ha ammesso di essersi recato a casa con alcuni colleghi per discutere con (...), lo stesso non è stato in grado di spiegare in maniera convincente per quale motivo aveva sentito l'esigenza di farsi accompagnare da altre persone, estranee ai suoi rapporti con la persona offesa; se la sua intenzione fosse stata solo quella di chiarire la situazione, come da lui affermato, appare ragionevole ritenere che si sarebbe recato da solo all'appuntamento, non essendo certo necessaria la presenza di "mediatori" o "negoziatori" come affermato da (...). Alla luce di tali elementi, si deve ritenere raggiunta con certezza la prova della penale responsabilità degli imputati per il delitto di lesioni, contestato al capo B) di rubrica; quanto alla aggravante dell'uso delle armi, va detto che quanto affermato sul punto dalla persona offesa non è stato smentito in dibattimento; la circostanza che il teste (...) non ricordi di avere visto le persone uscire di casa con oggetti non appare decisivo, considerando la rapidità con cui gli aggressori si erano allontanati (del resto la persona offesa ha spiegato che il coltello era stato da lui trovato a casa) Quanto alla contestazione di cui al capo A), si deve osservare che (...) ha affermato di avere pagato in via anticipata l'affitto di due mesi; non sono emersi dati di segno contrario, che possano portare a ritenere che l'imputato, nella sera in cui si sono svolti i fatti, non avesse più titolo per entrare in casa. Del resto, la stessa persona offesa ha affermato che (...) era ancora in possesso delle chiavi di casa, che, nonostante l'invito ad allontanarsi, non erano ancora state restituite. Alla luce di tali elementi si deve ritenere come non siano emersi sufficienti elementi per ritenere sussistente la fattispecie contestata al capo A); dovrà per tale contestazione essere quindi pronunciata sentenza di assoluzione degli imputati perché il fatto non sussiste. Va pertanto affermata la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui al capo B) di rubrica; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e riconosciute le circostanze attenuanti generiche in considerazione dell'incensuratezza degli imputati e del corretto contegno processuale di (...), giudicate prevalenti sulle contestate aggravanti, è da ritenersi pena congrua quella di mesi quattro di reclusione. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti per concedere agli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che l'assenza di precedenti penali a carico induce a ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. Appare congrua l'assegnazione del termine di 45 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. DICHIARA (...) e (...) colpevoli del reato di cui al capo B) di rubrica e concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, li condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Letto l'art.530 comma 2 c.p.p. assolve gli imputati dal reato di cui al capo A) perché il fatto non sussiste. Motivazione in gg. 45. Così deciso in Udine il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di UDINE SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Roberto Pecile Giudice Monocratico, alla pubblica udienza del 06/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato il (...) in P. C.U.I. (...) - senza fissa dimora, con domicilio eletto presso il difensore di fiducia Arrestato il 13/11/2022 Liberato il 14/11/2022, con applicazione la misura non custodiale di presentazione alla P.g. -Libero, non presente - Difeso dall' avvocato di fiducia BE.Ma. del foro di Udine IMPUTATO (...) Fatto per il quale si è proceduto all'arresto A) art. 337 c.p. perché usava violenza e minaccia nei confronti del personale della Squadra Volante che stava procedendo alla sua identificazione avendolo notato allorché si liberava di alcuni involucri poi risultati essere sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in n. 3 dosi del peso complessivo di gr 1,9; in particolare si scagliava contro l'Ass (...) Coord (...) lanciandogli addosso una biciletta facendolo in tal modo cadere a terra al fine di opporsi alla identificazione ed altresì assicurarsi l'impunità in riferimento agli accertamenti relativi all'accertamento dei fatti di cui al capo C In Udine il 13.11.2022 B) artt. 582 -576 n. 5 bis c.p. perché con la condotta di cui al capo A cagionava all'Ass (...) (...) una lesione personale consistita in trauma contusivo alla spalla al braccio dx all'anca dx e al piede dx da cui derivava una malattia nel corpo giudicata guaribile in giorni 10; con l'aggravante del fatto commesso in danno di un pubblico ufficiale di polizia giudiziaria nell'atto ed a causa dell'adempimento delle funzioni. In Udine il 13.11.2022 Fatto per il quale non si è proceduto all'arresto solo ai fini della contestazione C) art. 73 co. 5 D.P.R. n. 309 del 1990 perché deteneva n. 3 involucri di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso complessivo di 1,9 gr che per confezionamento frazionato e per la detenzione sulla pubblica via non appariva destinato all' uso esclusivamente personale. In Udine il 13.11.2022 Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott.ssa La.Ma. (con delega) del difensore di fiducia Be.Ma. del foro di Udine SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Tratto a giudizio con rito direttissimo a seguito di arresto in flagranza di reato, l'imputato compariva davanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica. All'esito dell'udienza di convalida, le parti acconsentivano a procedere con rito direttissimo anche in relazione alla contestazione di cui al capo C) di rubrica. Concessi termini a difesa, all'udienza del 21 novembre 2022 la difesa chiedeva la definizione del procedimento con rito abbreviato; ammesso l'imputato al rito abbreviato richiesto, il Tribunale disponeva, ai sensi dell'art.441 comma 5 c.p.p., che venissero disposti accertamenti tecnici sulla sostanza in sequestro. All'udienza del 5 dicembre 2022 veniva conferito incarico peritale; all'udienza del 6 febbraio 2023 si procedeva all'esame del perito nominato dal Tribunale. Le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per i reati di rubrica. Dal verbale di arresto in atti è emerso che in data 13.11.2022, operatori della Questura di Udine, durante il servizio di controllo del territorio, transitando in via (...) avevano notato una persona a bordo di una bicicletta uscire da un appezzamento di terreno posto a sinistra della carreggiata, attraversare la strada ed imboccare la prima laterale a destra di via (...). Gli operanti della Volante 2 si erano diretti nella predetta strada, ove l'imputato, alla vista degli agenti, aveva gettato a terra dei piccoli involucri di colore bianco che aveva estratto dalle tasche; l'uomo era stato invitato a fermarsi ma a detto ordine si era dato alla fuga, imboccando un attraversamento pedonale situato tra le abitazioni che dava accesso alla parallela via (...) D., dove si era diretto, in direzione via C.. Gli operanti avevano a quel punto lasciato l'auto di servizio per seguire il (...) rincorrendolo a piedi in via (...) D., ove l'assistente (...) era riuscito a bloccare l'uomo, all'altezza del civico 11; l'imputato a quel punto aveva utilizzato la sua bicicletta per allontanare l'operante, spingendogliela contro con forza e facendolo cadere a terra, azione che gli aveva fatto perdere l'equilibrio, tanto da rovinare a terra a sua volta. L'imputato a quel punto si era rialzato per dirigersi verso una siepe che dava accesso ai giardini posti tra lo stabile di via (...) D. 11 e le abitazioni di via A.; l'agente D.L. aveva seguito l'imputato senza mai perderlo di vista, mentre lo stesso aveva percorso i giardini interni delle abitazioni di via A. e via (...). L'agente L. aveva quindi richiesto l'ausilio della Volante 1, che era giunta sul posto in pochi minuti ed il cui personale era riuscito a fermare l'imputato, in via (...) D., all'altezza del luogo ove aveva precedentemente abbandonato il velocipede. L'uomo era stato quindi posto in stato di arresto; erano quindi stati recuperati gli oggetti che erano stati gettati dall'imputato durante l'inseguimento; si trattava di tre involucri in cellophane, elettrosaldati, contenenti sostanza in polvere di colore bianco, del peso rispettivamente di grammi 1, grammi 0,4 e grammi 0,5. La sostanza era stata sottoposta ad accertamenti con "kit colorimetrici ed enzimatici" presso il Gabinetto di Polizia Scientifica di Udine, che avevano consentito di appurare, in maniera orientativa, che si trattava di cocaina. L'imputato era stato quindi sottoposto a perquisizione; nella tasca destra del giubbotto erano state rinvenute 4 banconote (3 da 20 euro; 1 da 10 euro), per un valore complessivo di Euro 70,00. Anche la bicicletta (con telaio di colore nero, privo di scritte e sellino con scritta Ergosystem) era stata posta in sequestro. L'Assistente (...) aveva fatto ricorso alle cure dei sanitari del Pronto Soccorso dell'Ospedale di Udine, dove si era recato alle ore 15.09 del 13 novembre; in tale circostanza erano state riscontrate all'operante trauma contusivo alla spalla, braccio destro, anca destra, piede destro, con prognosi di dieci giorni. Come si è accennato nella parte relativa allo svolgimento del processo, il Tribunale ha ritenuto necessario, ai fini della decisione, disporre accertamenti tecnici sulla sostanza sequestrata all'imputato; il perito nominato dal Tribunale, in servizio presso la Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, nella relazione di consulenza acquisita agli atti del fascicolo processuale, ha evidenziato che i tre involucri contenevano cocaina; in sintesi, come riportato nella tabella a pagina 3 della consulenza, il primo involucro (reperto 1), del peso di 0,92 grammi, conteneva cocaina, con percentuale di principio attivo del 75,9% (per un principio attivo complessivo di 698 mg, sufficiente a confezionare 5 dosi medie singole); il secondo involucro (reperto 2) del peso di 0,44 grammi, conteneva cocaina, con percentuale di principio attivo del 74,6% (per un principio attivo complessivo di 328,3 mg) sufficiente a confezionare 2 dosi medie singole; il terzo involucro (reperto 3) del peso di 0,49 grammi, conteneva cocaina, con un principio attivo del 80,2%, (per un principio attivo complessivo di 393 mg) sufficiente a confezionare 3 dosi medie singole. In conclusione, nei tre involucri sequestrati all'imputato vi era cocaina, con principio attivo sufficiente a confezionare in totale 10 dosi medie. Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve ritenere raggiunta la prova della penale responsabilità dell'odierno imputato per il reati di rubrica. Con riferimento alla contestazione di cui al capo A) di rubrica, si deve in generale ricordare che secondo costante giurisprudenza "mentre la semplice disobbedienza passiva degli agenti che procedono all'arresto non costituisce il reato in esame, lo integrano i comportamenti positivi, come il divincolarsi o sbracciarsi o dare strattoni, diretti a vincere la contraria energia legittimamente usata dal Pubblico Ufficiale" (Cass. Pen., Sez. II, 6 febbraio 1979, n.7891; vedi anche Cass. Pen., Sez. V, n.8379 del 27 settembre 2013). Nel caso di specie l'imputato aveva posto in essere atti positivi di aggressione nei confronti degli agenti e in particolare dell'assistente Rodilossa, che aveva colpito scagliandogli addosso la sua bicicletta, facendolo rovinare a terra e causandogli lesioni, giudicate guaribili in giorni dieci. Con riferimento al reato di lesioni, ci si richiama al referto in atti, evidenziando che le lesioni riscontrate in capo all'operante sono apparse compatibili con la dinamica dell'aggressione riportata nel verbale di arresto. Con riferimento alla contestazione di cui al capo C) di rubrica, si deve osservare quanto segue. Al fine di ritenere sussistente la fattispecie di cui all'art.73 D.P.R. n. 309 del 1990 assume rilievo significativo il numero di dosi ricavabili dalla sostanza rinvenuta in possesso dell'imputato, che consente di escludere in radice la destinazione della stessa ad un uso esclusivamente personale (v. Cass. Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013 - dep. 28/02/2013, Se., Rv. 25469401 secondo cui "In materia di stupefacenti, il considerevole numero di dosi ben può essere ritenuto un indice della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale"). Va peraltro osservato che l'imputato, alla vista degli operanti, aveva tentato di sbarazzarsi della sostanza e che la stessa era in possesso dell'imputato al di fuori della propria abitazione, ove peraltro il rischio di controlli è più elevato e tali circostanze non possono spiegarsi se non con la finalità della cessione a terzi. Deve evidenziarsi, infine, che neppure risulta allegato un eventuale stato di tossicodipendenza dell'imputato, in alcun modo emerso nel corso dell'istruttoria, tant'è che lo stesso non ha mai reso dichiarazioni. Va inoltre osservato che la sostanza stupefacente di cui è stato trovato in possesso l'imputato era suddivisa in dosi (rispettivamente da 0,92 grammi, sufficienti a confezionare 5 dosi; da 74,6 grammi, sufficienti a confezionare 2 dosi e da 80,2 grammi, sufficienti a confezionare 3 dosi), circostanza che avvalora l'ipotesi che si trattasse di sostanza destinata allo spaccio. L'imputato, che risulta privo di fissa dimora e privo di attività lavorativa, è stato trovato anche in possesso di denaro in contanti, che appare fondato ritenere fosse il provento dell'attività delittuosa della cessione di sostanze stupefacenti. Appare in ogni caso corretta la qualificazione della condotta ai sensi dell'art.73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990, avuto riguardo alla quantità modesta di sostanza stupefacente trovata nella disponibilità dell'imputato. Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati di rubrica; valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. unificati i reati contestati nel vincolo della continuazione, potendo desumersi con ragionevole certezza l'unicità del disegno criminoso dall'omogeneità delle condotte e dal ristretto ambito temporale entro cui le stesse sono state commesse, denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non essendo emerso alcun elemento favorevole ed ostativi altresì alla concessione dei benefici di legge, tenuto conto della riduzione per il rito, è da ritenersi pena congrua quella di mesi dieci di reclusione, così determinata: (pena base per il reato più grave di cui al capo A) di rubrica, mesi nove di reclusione, pena aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo A) ad anni uno di reclusione, pena aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo C) ad anni uno mesi tre di reclusione, pena ridotta per il rito a mesi dieci di reclusione). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Non sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, non essendo emerso alcun elemento positivo che possa portare ad operare una prognosi favorevole in merito alla futura astensione dalla commissione di altri reati. Dovrà essere ordinata la confisca e distruzione della sostanza in sequestro; la confisca di quanto altro in sequestro (il denaro). Appare congrua l'assegnazione del termine di 45 giorni per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. il Tribunale di Udine, in composizione monocratica Letti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 c.p.p. DICHIARA (...) colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e, ritenuta la continuazione, tenuto conto della riduzione per il rito, lo condanna alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Ordina la confisca e distruzione della sostanza stupefacente in sequestro, la confisca di quanto altro in sequestro Motivazione in gg. 45. Così deciso in Udine il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI UDINE in composizione monocratica nella persona del Giudice del lavoro dott. Fabio Luongo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta all'intestato n. di R.G., promossa con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. depositato il 25.5.2020 DA (...) (Cod. Fisc. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. dom. Ha.Fe., giusta procura alle liti allegata in via telematica al ricorso introduttivo in foglio separato ex art. 83 c.p.c.; - ricorrente - CONTRO (...) S.p.A. (Cod. Fisc. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., con gli avv.ti Pa.De., Sa.Ba. e An.Ca., come da procura allegata telematicamente alla memoria difensiva; - resistente - CON LA CHIAMATA DI U.A. S.P.A. (Cod. Fisc. (...)), in persona del procuratore ad negotia p.t., con gli avv.ti Al.Pi. ed El.Pi., per mandato in calce alla memoria difensiva. - terza chiamata - OGGETTO: malattia professionale - danno differenziale. FATTO E DIRITTO Con l'epigrafato ricorso, (...), nel dedurre di essere stato assunto a marzo del 1995 da (...) s.p.a. (di seguito solo (...)) e di avervi lavorato come manovale sino al licenziamento comminatogli il 21.9.2018 per superamento del periodo di comporto, ha evocato in giudizio la predetta società al fine di sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da lui asseritamente subiti a causa dell'indebita e constante adibizione, nel tempo, a mansioni non confacenti al suo stato di salute, in asserito spregio alle limitazioni poste dal medico competente la quali, invece, avrebbero richiesto una modifica dell'organizzazione del lavoro, onde consentirgli il disimpegno in attività tali da non interessare la colonna lombosacrale e da esentarlo, comunque, dalla movimentazione dei carichi. A sostegno della azionata pretesa risarcitoria, il ricorrente ha quindi allegato, in via di fatto: 1) che, non ancora ventiquattrenne all'epoca della sua stabile assunzione in (...), egli godeva di buona salute e non aveva sofferto di particolari patologie; 2) che, operando la società convenuta nel settore della realizzazione di metanodotti, oleodotti, ossigenodotti ed acquedotti, era stato sostanzialmente assegnato a mansioni implicanti la rimozione, macinazione e taglio degli alberi, il trasporto manuale di pezzi di legna con dimensioni pari a mt. 2/2,5, la movimentazione e piantumazione di panelli di metallo o legno di varia dimensione e peso, l'asportazione manuale di flange, sassi e fango, sopportando, così, carichi variabili da un minimo kg 20 a oltre kg 50/60 per volta e ripetendo gli stessi movimenti in modo seriale per 5 giorni di lavoro su 7, per un impegno di complessive 40 ore settimanali; 3) che, nel mese di novembre 1997, gli era stata certificata una lombalgia media acuta, aggravatasi nel tempo e tale da costringerlo, in seguito, ad alternare sempre più frequenti periodi di malattia a quelli di effettivo impiego; 4) che, nel 1999, gli veniva riscontrata una discopatia su L1, L2, L4 ed L5, per la quale il medico competente aveva prescritto di evitare lavori gravosi, salvo poi, nel 2003, dichiararlo idoneo ma con l'ulteriore prescrizione di evitare pesi superiori ai kg. 20, ridotti a kg.15 alla successiva visita del 2004; 4) che, dunque, in un contesto siffatto, il non aver disposto alcuna modifica delle mansioni da lui sino ad allora svolte, costituiva un grave inadempimento datoriale all'obbligo di tutela ex art. 2087 cod. civ., da ciò dovendosi quindi far derivare, all'evidenza, la genesi ed il peggioramento della sua patologia lombosacrale; 5) che, a dimostrazione di un tanto, vi era lo stesso riconoscimento, operato dell'INAIL il 23.3.2016, circa la natura professionale della lamentata malattia, con costituzione della relativa rendita inizialmente parametrata ad una invalidità pari a 16 punti percentuali, poi assestatisi il 21.2.2019 a 25 punti, per intervenuto aggravamento. Ritualmente costituitasi in giudizio, nel chiamare in causa anche U. al fine di essere garantita dalla suddetta compagnia assicurativa nella denegata ipotesi di una condanna al risarcimento del danno in questione, (...) ha invece insistito, in principalità, per il rigetto della domanda avversarie e, in subordine, per la riduzione delle poste risarcitorie azionate, eccependo, nell'ordine: a) che il ricorso era infondato in radice per carenza di allegazioni in merito alle concrete e pregiudizievoli conseguenze dichiaratamente derivate al ricorrente dalla sua invalidità; b) che, non avendo il lavoratore mai contestato, né in via amministrativa, né in sede giudiziale, la determinazione dell'INAIL in ordine all'aggravamento a 25 punti percentuali della menomazione all'integrità psico-fisica, egli non avrebbe avuto titolo per chiedere, ora, un nuovo accertamento del danno biologico, di fatto addossando ad essa resistente le conseguenze della sua inerzia; c) che doveva ad ogni modo escludersi, nel caso di specie, ogni responsabilità datoriale per ipotetici danni differenziali; d) che, invero, prima di essere assunto da (...), (...) aveva già maturato altrove un'esperienza lavorativa di circa 20 anni, disimpegnandosi in attività di operaio manovale presso diverse imprese edili; e) che, in (...), anche in conseguenza delle lamentate patologie, il ricorrente si era occupato, prevalentemente ed nella sostanza, delle attività di aiuto-muratore, percentualmente marginali nel settore di competenza di essa resistente; f) che le riferite prestazioni di disbosco manuale erano sporadiche, mentre quelle di supporto ai muratori, di costruzione delle palizzate, di sabbiatura e fasciatura delle saldature, o di movimentazione dei carichi, avvenivano sempre con il supporto di idonei mezzi meccanici e più spesso fuori scavo, prima della posa delle tubazioni; g) che, nel rispetto delle sue limitazioni funzionali, il lavoro era stato svolto con inserimento del ricorrente in squadre di almeno due unità, composte da personale in grado di occuparsi delle attività eventualmente più gravose; h) che l'insorgenza della lombalgia cronica -collocata temporalmente nell'ottobre 2014 dallo stesso diretto interessato- era stata segnalata a (...) con l'apposito modulo INAIL solo il 19.1.2016; i) che (...), ad ogni modo, aveva lavorato in (...) unicamente sino ad ottobre 2014, per poi assentarsi senza soluzione di continuità fino al licenziamento, anche per patologie estranee alla lombosciatalgia; l) che, da ottobre 2015 ad ottobre 2016, lo stesso lavoratore era stato altresì collocato in C.I.G.O., poi protratta dal 3.4.2017 al 7.12.2017, essendo risulta prevalente, nell'intervallo di tempo, la malattia ulteriormente dichiarata con certificazione medica fino al 31.3.2017; m) che, in seguito, a fronte della cessazione della C.I.G.O., (...), nel periodo tra l'8.12.2017 e l'11.2.2018 decideva autonomamente di non riprendere servizio, nonostante gli inviti di (...), salvo poi comunicare la sua assenza per malattia solo dal 12.2.2018. Intervenuta sulla chiamata in garanzia, anche U. ha aderito alle eccezioni della sua assicurata, rammentando peraltro che la copertura assicurativa prestata a favore della datrice di lavoro, avente decorrenza dal 31.12.2017, non sarebbe stata attivabile per malattie professionali certificate anteriormente. Così ricostruite, in estrema sintesi, le coordinate fattuali della res litigiosa, la domanda attorea, all'esito dell'esperita istruttoria e della disposta CTU medico legale non risulta fondata, non potendo, quindi, trovare accoglimento, per le ragioni esposte qui appresso. Nel superare sin da subito le preliminari e non dirimenti obiezioni di inammissibilità del ricorso per asserita incompletezza nella allegazione dei fatti costitutivi "... in merito alle concrete e pregiudizievoli conseguenze derivate (al ricorrente) dalla sua invalidità ..." (v., così, a pag. 19 della memoria difensiva di (...)), incompletezza che avrebbe semmai potuto pregiudicare la completa determinazione del quantum, ma non impedire l'esame dei profili relativi all'an debeatur, occorre piuttosto avviare il discorso partendo, per opportuna chiarezza, da una acquisizione ampiamente nota, perché più volte confermata dalla giurisprudenza; quella, cioè, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro, invocata nel caso di specie sulla base dell'art. 2087 cod. civ., è una responsabilità di natura contrattuale. Dovendosi perciò escludere, per il suo accertamento, un criterio di imputazione meramente oggettivo (v., ad esempio, Cass. civ. - Sez. L, Ordinanza n. 1509 del 25/01/2021), incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito -a causa dell'attività lavorativa svolta- un danno alla salute, l'onere di provare non solo l'esistenza di tale danno, ma anche la nocività dell'ambiente lavorativo, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro -solo laddove, però, il lavoratore abbia assolto alla prova delle predette circostanze- l'onere di dimostrare, a sua volta, di aver fatto tutto il possibile per evitare il pregiudizio di cui si tratta. (v., in questo senso, ex multis, Cass. civ. - Sez. L, Ordinanza n. 26495 del 19/10/2018). La responsabilità dell'imprenditore presuppone, in altri termini, la concreta possibilità di formulare, nei suoi confronti, un puntuale addebito di inadempimento, qualificato dal fatto di non aver egli adottato le misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, il fondamento delle quali è rinvenibile o in norme di dettaglio o -quando queste non ci siano-anche nella disposizione di ordine generale del succitato art. 2087 cod. civ., che impone al datore, per l'appunto, l'obbligo di assumere, nell'esercizio dell'impresa, quelle ragionevoli cautele che -secondo la particolarità del lavoro svolto e la miglior scienza ed esperienza del tempo- si rendano utili a proteggere la salute dei dipendenti. Sicché, avuto riguardo, più in generale, alla regola della circolarità tra gli oneri di allegazione, di contestazione e di prova che caratterizza il rito lavoristico, dovrà ulteriormente convenirsi sul fatto che proprio la fattispecie di cui all'art. 2087 cod. civ. esige una preliminare delimitazione del campo di indagine della responsabilità datoriale, da effettuarsi almeno tramite la precisa allegazione e prova -da parte del lavoratore che agisce deducendo l'inadempimento- sia degli indici della nocività dell'ambiente lavorativo cui è stato esposto, individuabili nei concreti fattori di rischio circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, sia comunque della obbiettiva violazione degli obblighi di prevenzione, a cui imputare causalmente la verificazione del danno subito. (v. Cass. civ. - Sez. L, Sentenza n. 28516 del 06/11/2019). A ragionare diversamente, si finirebbe altrimenti per configurare la predetta responsabilità datoriale sulla base della mera esistenza dell'infortunio/malattia, apoditticamente ascrivendo queste evenienze al solo impiego del lavoratore nelle mansioni assegnategli, sino a giustificare, così, una sorta di presunzione automatica di inadempimento, che se non può esistere per la colpa penale, nemmeno è configurabile nel sistema civile, pur se maggiormente orientato, quest'ultimo, alla tutela del danneggiato, stante la diversità dei valori in gioco. Una ricostruzione siffatta, d'altro canto, è l'unica che, sul pianto sistematico, consente di spiegare in termini logici il distinto regime giuridico esistente tra una tutela solo indennitaria -quale quella del riconoscimento della rendita INAIL, subordinata, infatti, alla dimostrazione della sola insorgenza del danno per infortunio o malattia professionale "in occasione di lavoro"- ed una tutela risarcitoria ex art. 2087 c.d. civ., che impone, invece, proprio quel quid pluris identificabile nella verifica di un inadempimento agli obblighi di protezione. Va da sé che le superiori premesse consentono già ora di superare il paralogismo in cui pare essere incorso il patrocinio attoreo quando ha affermato che "... a conferma del nesso causale tra patologia ed illecito comportamento di parte datoriale ci soccorre la presunzione di correlazione della malattia professionale alla movimentazione dei carichi da parte del lavoratore, attestata nel modulo di richiesta della malattia professionale all'INAIL ..." (v., così, a pag. 13 del ricorso), per poi -in sede di discussione- ulteriormente desumere la prova della presunta responsabilità di (...) dal fatto che il sig. (...) fosse entrato sano in azienda (v., al riguardo, anche il punto 4 a pag. 2, ibidem), uscendone malato. Attenendosi, così, alle emergenze probatorie acquisite nel corso del giudizio, queste non consentono affatto di predicare -né in termini commissivi, né in termini omissivi- un inadempimento della società resistente agli obblighi di protezione su di essa gravanti e sostanzialmente identificati dal ricorrente nella sua adibizione a mansioni non coerenti con le limitazioni funzionali a lui imposte in sede di periodica sorveglianza sanitaria (v. punti 13, 14 e 15 a pag. 5 dell'atto introduttivo del giudizio). Quanto a quest'ultimo profilo, anche in connessione alla riferita nocività dell'ambiente lavorativo, va precisato, innanzitutto, che a distanza di due anni dall'assunzione, durante la visita medica periodica dell'8.11.1997, al sig. (...) veniva riscontrata una (semplice) lombalgia della durata di 4 giorni e per la quale il medico competente si era limitato a prescrivere l'ultimazione delle terapie farmacologiche in corso, comunque giudicando il ricorrente idoneo al lavoro. A ciò era seguito, quindi, un periodo dal 1997 al 1999 in cui, in effetti, le assenze si erano succedute alle presenze, ma in misura obbiettivamente fisiologica (dallo schema riassuntivo di pag. 34 di 60 sub docc. 4-5-6 nel fascicolo attoreo si ricavano 58 giorni di malattia), tenuto peraltro conto che, di quelle assenze, non è neppure possibile conoscere la diagnosi. Nel corso dell'ulteriore visita medica del 27.11.1999, era poi emersa una "... invariata Lombalgia acuta con discopatia L1-L2 e L4-L5", con connessa indicazione di "... evitare lavori gravosi ..." (ibidem, a pag. 14 di 60); indicazione sempre confermata nelle successive visite, salva l'aggiunta, il 10.5.2003, del divieto movimentare "... pesi kg 20 ..." (ibidem, a pag. 18 di 60), ridotti a kg 15 alla visita del 19.6.2004 (ibidem, a pag. 20 di 60). Orbene, una volta chiarito che al concetto di "lavori gravosi" espresso nelle certificazioni del medico competente non pare potersi assegnare il generico significato di "lavori richiedenti mero sforzo fisico" (del resto connesso per forza di cose alla qualifica di manovale propria del ricorrente), ciò indirettamente desumendosi anche dalla successiva ricognizione normativa della nozione al vaglio, emergente, ad esempio, dalla stringente selezione operata negli allegati C ed E della L. n. 232 del 2016, perché altrimenti le suddette valutazioni medico-legali avrebbero illogicamente implicato, piuttosto, una radicale inabilità del lavoratore alla mansione; rilevato, del pari, che "l'attività in cui (quest'ultimo - N.D.R.) è stato impegnato ... e che rientra negli adempimenti di competenza della (...), (era) effettivamente a 360, dalla manutenzione alla pulizia delle strade, ma la parte relativa alla sola attività di muratore (aveva) impegnato il (...) in percentuale ridotta, nella misura del 15/20% del totale delle sue incombenze" (v., così, il teste (...), a pagg. 6 e segg. del verbale di udienza del 17.2.2021); fermo questo, dalla prova testimoniale è invero emerso: 1) che, "in linea di massima, come aiuto muratore, il (...) si occupava delle attività indicate nel capitolo di prova che mi viene letto. L'aiuto muratore, di fatto, si limita al supporto nella fase di intervento di competenza del muratore, il quale, invece, è in grado di legger un elaborato grafico e di metterlo in pratica." (ibidem); 2) che, tra i compiti a lui asseritamente assegnati e dichiaratamente richiedenti prolungati sforzi consistiti nello "... spingere, tirare, abbassarsi, alzarsi movimentando carichi...", (v., così, a pag. 4 del ricorso, nonché il capitolo 5 per la relativa elencazione, da pag. 2 a pag. 4, ibidem), "... L'attività di disbo(s)co veniva effettuata, nell'arco dell'anno, per non più di un paio di settimane in tutto. La movimentazione dei pezzi avveniva comunque tramite mezzi meccanici ..." (v. verbale cit.); 3) che, in linea generale, "... i lavori (in (...)) sidistinguevano in interventi di manutenzione o di realizzazione dei metanodotti e le squadre, a seconda dei casi, andavano da un minimo di 2 fino ad un massimo di 7 od 8 persone ..."(ibidem); 4) che, con riferimento all'attività di supporto ai muratori, "... i pannelli di armatura (usati per la finitura delle c.d. camerette di recinzione delle valvole fuori terra dei metanodotti - N.D.R.) venivano portati con il camion o con l'escavatore il più possibile fino a bordo opera e poi movimentati a mano. Questa era la regola, anche perché, in ogni caso, con l'escavatore si riusciva a raggiungere anche luoghi maggiormente difficili. La movimentazione dei pezzi avveniva a squadre ed il peso era di 10 o 12 kg e, a seconda delle loro dimensioni, venivano spostati da uno solo o anche in due operatori ..." I.); 5) che, quanto alla costruzione di palizzate, "... si trattava di interventi di conservazione dei terreni, una volta reinterrati gli scavi. Il materiale veniva sempre messo il più vicino possibile ai luoghi di intervento e la movimentazione veniva fatta da più persone ..." (ibidem); 6) che, relativamente alla sabbiatura ed alla fasciatura delle saldature, queste "... erano attività che implicav(an)o una qualifica professionale che il ricorrente non aveva e, pertanto, il suo intervento in materia era limitato all'assistenza del macchinario. Apriva e chiudeva le manichette in base alle esigenze del sabbiatore. La macchina, in effetti, doveva essere caricata con sacchi di sabbia; al caricamento provvedeva il sabbiatore. La carica durava circa un'ora, un'ora e mezzo, e poi doveva essere ricaricata. L'attività non implicava alcuna movimentazione manuale di carichi da parte del ricorrente. Il lavoro, in ogni caso, per la maggior parte delle volte avveniva fuori dallo scavo, all'interno del quale, poi, si doveva collocare i tubi ad intervento finito." (ibidem); 7) che anche "... la spazzolatura viene fatta dal saldatore, (trattandosi - N.D.R.) di personale super qualificato, lavoratori di 4 livello ...utilizzati per gli interventi di costruzione dei metanodotti ..." (ibidem); 8) che, comunque, "... la movimentazione manuale dei carichi, per il ricorrente, era ridotta al minimo ed avveniva ... sempre all'interno di lavori di squadra ...", priva di conferma essendo rimasta, invece, l'allegazione attorea secondo cui il (...) avrebbe sempre sollevato e trasportato a mano flange dal peso di "... 50/60 kg per ciascun pezzo ..." (v. pag. 3 del ricorso), non foss'altro per il fatto che i pezzi in questione "... sono dischi rinforzati dal diametro variabile e dallo spessore di 5 cm (i quali), in ogni caso, seguono -quanto a dimensioni- il diametro del tubo e, quindi, hanno peso che può andare da un minimo di 1 o 2 kg fino anche al quintale ..." (v., così, (...), a pag. 8 del verbale di udienza del 25.5.2021). Su queste basi, occorre allora concludere nel senso che, proprio in forza dell'organizzazione del lavoro per come emersa dall'istruttoria, consistita nell'assegnare il ricorrente a squadre di intervento (v. per gli anni dal 2010 al 2014, l'indicazione desumibile dal capitolo 16, da pag. 11 a pag. 13 della memoria di costituzione di (...)) ed a dotare queste ultime di mezzi meccanici in ausilio allo svolgimento delle relative prestazioni (v. il capitolo 24 a pag. 14, ibidem), non vi siano i presupposti per censurare -relativamente alla posizione del ricorrente medesimo- una pretesa violazione delle prescrizioni dettate dal medico competente, né per imputare all'odierna resistente "... tanto la genesi che l'aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore ..." (v., così a pagg. 9 e 10 del ricorso). Non si ignora, al riguardo, che la ricostruzione delle condizioni di impiego del sig. (...) ha visto confrontarsi, in sede di prova testimoniale, anche versioni parzialmente discordi da quelle sopra rammentate, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese da (...) (v. verbale di udienza del 17.2.2021) e da (...) (v. verbale di udienza del 25.5.2021). Tali versioni, tuttavia, non paiono idonee a fornire una credibile conferma delle deduzioni attore, non solo perché -il discorso vale soprattutto per il teste (...) - la pendenza, per quest'ultimo, di una analoga causa finalizzata al riconoscimento dei danni da malattia professionale nei confronti di (...) induce a dubitare della piena attendibilità delle dichiarazioni rese; non solo perché le versioni in questione attengono, in prevalenza, ad indicazioni di ordine generale, senza essere specificamente rivolte al lavoro del sig. (...), al quale i summenzionati testimoni erano stati comunque affiancati in via non continuativa, ma anche - ed il rilevo, sotto il profilo della incerta credibilità risulta dirimente- perché un'eventuale responsabilità datoriale per il non corretto impiego del lavoratore trova smentita nelle motivate considerazioni svolte nella disposta CTU medico-legale, le cui conclusioni costituiscono un valido criterio di orientamento per le valutazioni del caso. Non è infatti sfuggito, all'ausiliario del giudice, che: I) "Il Signor (...) risulta affetto da patologia degenerativa disco-vertebrale lombare con stenosi del canale e pregresso intervento di foraminotomia bilateralmente a livello L4-L5." (v. pag. 23 dell'elaborato peritale del dott. (...), in atti); II) che, verosimilmente, "tale patologia (può) aver dato nel tempo manifestazioni algiche ma il periziato, a ripetuteed esplicite richieste, ha riferito che sino al 2014 non ha avuto particolari problemi e quindi, essendo in quell'epoca insorta una manifestazione algica che portava poi ai trattamenti di cui si è detto, smetteva di fatto ogni attività lavorativa ..." (ibidem); III) che, oltretutto, lo stesso "... periziato ha precisato che le attività (da lui svolte) erano varie nell'arco del tempo e non continuative" (ibidem, a pag. 26); IV) che "... attualmente il quadro clinico, sia dal punto di vista soggettivo che per quanto rilevabile dall'esame obiettivo, appare peggiorato rispetto a quello che si desume essere stato il quadro alla riferita insorgenza della manifestazione clinica del 2014 (ma) si tratta, in sostanza, della naturale e prevedibile evoluzione della patologia degenerativa della colonna vertebrale ... (con) un peggioramento clinico dal 2014 in assenza peraltro, da quell'epoca, di noxa lavorativa ..." (ibidem); V) che, emblematicamente, lo stesso "... medico legale dott.ssa N.S., (nel compilare, in data 21.12.2015) il certificato di malattia professionale, (faceva) risalire la diagnosi di "ernie discali lombari" al 21.10.14. Nel certificato si legge "... il paziente riferisce assenza dal lavoro per la patologia dal 03.11.2014 ad ottobre 2015 (non ricorda la data precisa) ..." (v. pag. 9, ibidem nonché, per analogo rilievo, il capitolo 27 a pag. 15 della memoria difensiva di (...)). In quest'ottica, quindi, si conviene con i rilievi finali dell'ausilario, laddove quest'ultimo ha ribadito, per l'appunto, che "... è certamente verosimile che vi siano state manifestazioni algiche nel tempo, coerenti con il substrato anatomo-patologico poi evidenziatosi, ma la valutazione attuale deve essere effettuata, per quanto concerne l'ambito medico-legale, nella identificazione serena di quella che ragionevolmente era la situazione all'epoca dei fatti per come percepita dal Paziente (soggettività) e dai Curanti (oggettività). Una ricostruzione ex-post di dinamiche di malattia porterebbe all'assurdo concettuale -già evidenziato nelle premesse della presente motivazione- secondo cui ogni aggravamento di uno stato patologico preesistente, ancorché all'epoca non manifesto, vada attribuito al lavoro ed alla colpa di un datore di lavoro che non ha saputo o voluto prevenirlo, pur non essendo al corrente di uno stato preesistente clinicamente significativo." (v. pag. 25 dell'elaborato); ciò, anche a voler considerare -seguendo le contestazioni del CTP attoreo- "... quanto annotato nei verbali di visita del Medico Competente, per la diagnosi di "Lombalgia acuta" che (lo stesso) reitera in data 08.11.97, 07.11.98, 29.11.99, ..." (v. pag. 24, ibidem). Posto che, come rammentato all'inizio del presente discorso, le assenze per malattia -quantomeno nel periodo tra il 1997 ed il 1999- appaiono succedersi in misura fisiologica e che non è dato neppure conoscerne le diagnosi, delle quali vi è evidenza documentale solo a partire dal 24.10.2016 (v. doc. 6 nel fascicolo attoreo), è allora lecito opinare che il concetto di "quadro acuto" -implicante "recente insorgenza e limitazione temporale"- dovesse riferirsi ad "... episodi di poco conto a cui lo stesso Paziente non dava particolare attenzione, coerentemente con quanto ci ha riferito circa l'assenza di problemi sino al 2014 ..." (v. pag. 25, ibidem). Nel confermare così, alla luce dei superiori argomenti, il rigetto del ricorso, le spese di lite possono trovare comunque integrale compensazione tra tutte le parti in causa, da un lato perché la domanda attorea, apparentemente supportata dagli esiti dell'accertamento INAIL e da un ulteriore parere medico-legale (v. doc. 25 nel fascicolo del ricorrente), ha imposto autonome e complesse verifiche istruttorie, dall'altro perché la stessa astratta sostenibilità di una pretesa risarcitoria, anche se poi smentita dai fatti, ha reso inevitabile la chiamata in causa della compagnia assicurativa. Restano però a carico del ricorrente e della resistente (...), in solido tra loro, le spese di CTU, già liquidate con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale di Udine in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e reietta, così provvede: - RIGETTA il ricorso; - COMPENSA integralmente le spese di lite tra tutte le parti in causa. - PONE definitivamente a carico di (...) e (...) s.p.a., in solido tra loro, le spese di CTU, come liquidate con separato decreto. Motivazione nel termine di giorni 60. Così deciso in Udine il 3 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2023.

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