Sentenze recenti Tribunale Varese

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VARESE SECONDA SEZIONE CIVILE Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...) (CF:(...)) elettivamente domiciliato in Varese alla via (...) presso lo studio dell'avv. An.Be., che lo rappresenta e difende, come da procura allegata al ricorso RICORRENTE contro AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex art. 417bis c.p.c. dal funzionario Lu.Sc. e legalmente domiciliata presso il proprio Ufficio - Area Legale della Direzione Regionale per la Lombardia in Milano, via (...) RESISTENTE OGGETTO: differenze retributive FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 2.3.2017, (...) conveniva in giudizio l'AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore, formulando le seguenti conclusioni: "(...) Nel merito, in principalità: Accertato e riconosciuto che il ricorrente dott. (...) ha espletato nel periodo dal 1.1.2012 al 20.6.2012 con pienezza ed esclusività i compiti e le attribuzioni di Direttore dell'Ufficio delle dogane di Varese, dichiarare ai sensi dell'art. 52 comma quarto D.Lgs. n. 165 del 2001 il diritto del ricorrente alla corresponsione del trattamento economico previsto per la qualifica di dirigente di seconda fascia (CCNL VI Area Dirigenza) Quanto all'effetto condannarsi l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere al lavoratore ricorrente le differenze retributive maturate nel periodo dal 1.1.2012 al 20.6.2012 tra la qualifica posseduta (area III - livello F5) e quella di dirigente di seconda fascia, in misura pari alla somma di Euro 26.000,00 lordi oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalle singole scadenze al saldo, ovvero nella diversa misura che fosse ritenuta congrua e di giustizia"; con vittoria di spese. Si costituiva ritualmente in giudizio l'AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore, contestando in fatto ed in diritto l'avversario ricorso; con vittoria di spese. Ritenuta la causa di natura meramente documentale, non veniva espletata attività istruttoria e l'udienza di discussione del 14.6.2022 veniva celebrata con modalità cartolare. Il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto nei limiti di seguito illustrati. Dal ricorso e dalla documentazione versata in atti emerge quanto segue: - che il ricorrente "lavora alle dipendenze dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ... dal 1.6.1982" e che, per lo meno fino al deposito del ricorso, era inquadrato in III Area, livello economico F5, CCNL del Comparto Agenzie Fiscali, con adibizione presso l'Ufficio delle dogane di Varese - Sezione operativa territoriale di Gaggiolo; - che nel periodo compreso dal 1.1.2012 al 20.6.2012 il ricorrente riceveva incarico dall'allora Direttore Regionale (doc.1 ricorrente) di "provvisoriamente attendere alla gestione ordinaria dell'Ufficio delle Dogane di Varese, supplendo alla situazione di vacanza del titolare venutasi a creare in seguito alla collocazione a riposo, con decorrenza dal 1.1.2012, del dott. Ing. (...), il quale aveva ricoperto il ruolo di Direttore dell'Ufficio sino a tutto il 31.12.2011"; - che, in forza dell'atto dispositivo n. 21/2011 adottato dal Direttore Regionale in data 29.12.2011 l'incarico assegnato al ricorrente "avrebbe dovuto assicurare, fra l'altro, l'"adozione degli atti necessari all'ordinario funzionamento ... dell'Ufficio delle dogane di Varese, stante la loro intrinseca complessità operativa e la loro peculiarità connessa col presidio e la vigilanza della frontiera con la Svizzera" sopperendo alla vacanza del titolaredell'Ufficio in una conclamata situazione di impossibilità per l'Agenzia delle Dogane di conferire entro la fine dello stesso anno 2011 gli incarichi relativi alla procedura di interpello indetta in data 12.7.2011 per l'attribuzione di n. 25 posizioni dirigenziali di seconda fascia, fra cui tre destinate alla Direzione Regionale per la Lombardia"; - che la predetta disposizione d'incarico n. 21/2011 del Direttore Regionale attribuiva espressamente al (...) "il potere di firma con riferimento agli atti istruttori dei procedimenti amministrativi di competenza della sede provinciale di Varese dell'Agenzia delle dogane a norma dell'apposito regolamento emanato in data 1.7.2010 prot. n. (...) (doc. 2 ricorrente), disponendo che il ricorrente qualificasse sé medesimo come "Direttore (...)""; - che in concreto il (...) ha espletato con "pienezza ed esclusività i compiti propri del direttore dell'Ufficio delle Dogane di Varese per l'intero periodo compreso dal 1.1.2012 al 20.6.2012 senza che nel frattempo l'Amministrazione datoriale si sia attivata al fine di addivenire in tempi rapidi e comunque ragionevoli alla copertura del posto di Direttore rimasto vacante"; - che al ricorrente "... veniva affidata (..) la custodia della cassaforte nonché dell'armadio riservato della Direzione"; - che, contestualmente al passaggio di consegne, il titolare uscente ? dava conto al ricorrente in qualità di Direttore (...) "dell'esistenza di una serie di pratiche particolarmente rilevanti istruite dall'Ufficio delle dogane di Varese" (doc. 3 ricorrente); - che "è in corrispondenza del predetto periodo compreso dal 1.1.2012 al 20.6.2012 che il ricorrente ha assunto le funzioni e le responsabilità proprie del Direttore dell'Ufficio"; - che il ricorrente "non solo ha espletato i poteri direttivi impartendo ordini e raccomandazioni al personale, ma ha rivestito pure un ruolo di carattere esponenziale e rappresentativo dell'Ufficio sia nei rapporti coi terzi privati che con altre Amministrazioni Pubbliche"; - che risulta difatti per tabulas che il (...) "si è occupato esclusivamente e continuativamente della direzione dell'Ufficio delle dogane di Varese ponendo in essere i seguenti atti ed adempimenti: a- ricezione e assunzione delle responsabilità connesse all'attuazione di atti di indirizzo e circolari emanate dai dirigenti d'area dei superiori livelli territoriali dell'Agenzia delle dogane (Regionale e Nazionale) oltre alla gestione della corrispondenza in entrata e in uscita all'Ufficio delle dogane di Varese nel periodo compreso dal 1.1.2012 al 20.6.2012 (docc. da n. 4 a n. 15 ricorrente); b- adozione di ordini di servizio concernenti la gestione del personale, le risorse strumentali e di cassa e l'organizzazione dell'Ufficio delle dogane di Varese nel periodo compreso dal 1.1.2012 al 20.6.2012 (docc. da n.16 a n. 30 ricorrente); c- adozione di provvedimenti sanzionatori e autorizzativi di competenza del Direttore dell'Ufficio delle dogane nel periodo compreso dall'1.1.2012 al 20.6.2012 (docc. da n. 31 a n. 34 ricorrente); - che lo svolgimento delle mansioni ut supra descritte da parte del ricorrente non ha tuttavia comportato in favore del predetto "l'applicazione del miglior trattamento economico, nonostante lo svolgimento di fatto di mansioni riconducibili a qualifica dirigenziale"; - che dai prospetti paga elaborati dall'Agenzia delle Dogane nel periodo compreso dal 1.1.2012 al 20.6.2012 si evince difatti che al ricorrente "è stato mantenuto invariato il trattamento economico proprio dell'inquadramento di appartenenza, e segnatamente quello di Funzionario di Terza Area livello economico F5 (docc. da n. 35 a n. 44 ricorrente) senza riconoscimento di alcuna maggiorazione e/o differenza connessa alla tipologia delle mansioni effettivamente espletate nel periodo"; - che l'odierna convenuta non ha fornito riscontro rispetto alle pretese del lavoratore "finalizzate a conseguire il pagamento delle differenze retributive fra il trattamento economico effettivamente corrisposto dall'Agenzia delle dogane e quanto forma oggetto del trattamento economico proprio della qualifica di Dirigente di II fascia (rectius stipendio tabellare, retribuzione di posizione parte fissa, retribuzione di parte variabile e retribuzione di risultato)"; - che il (...) "ha cessato di attendere a mansioni dirigenziali in data 20.6.2012, in corrispondenza del passaggio di consegne con il neo nominato Direttore dell'Ufficio delle dogane di Varese dott. Ing. S.C." (doc. n. 46 ricorrente). Tutto ciò premesso, il ricorrente ha quindi adito l'intestato Tribunale formulando le conclusioni in epigrafe trascritte. In via preliminare, nel caso di specie è opportuno richiamare un recente arresto della Suprema Corte di Cassazione, altresì menzionato dal ricorrente nelle autorizzate note di trattazione scritta, secondo cui "In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la reggenza di un ufficio dirigenziale si caratterizza per la straordinarietà e temporaneità, da rapportare funzionalmente alla copertura del posto mediante nomina di un titolare, sicché il superamento di tali limiti, qualora i compiti siano conferiti a persona munita di inquadramento non dirigenziale, comporta lo svolgimento di mansioni superiori - da remunerare, consequenzialmente, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 -, cui è riconducibile anche l'utilizzazione costante di un medesimo dipendente, inquadrato in livelli non dirigenziali, quale sostituto dei dirigenti di diverse unità del medesimo ente" (Cass. Civ., Ordinanza n. 10030 del 15/04/2021). Richiamato il principio della ragione più liquida, nel caso di specie va in primo luogo richiamata ed esaminata la produzione documentale versata in atti - e non specificamente contestata dall'Agenzia convenuta - da cui emerge che nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2012 ed il 20 giugno 2012 al ricorrente veniva affidata la temporanea conduzione dell'Ufficio dell'Agenzia delle Dogane di Varese a seguito della collocazione a riposo, proprio con decorrenza dal 1 gennaio 2012, dell' ing. B., che aveva ricoperto il ruolo di direttore dell'ufficio sino a tutto il 31 dicembre 2011 (doc. 1 ricorrente). Parimenti documentale è che al (...) sia stato espressamente conferito il potere di firma con riferimento agli atti istruttori dei procedimenti amministrativi di competenza della sede provinciale di Varese dell'Agenzia delle Dogane, con attribuzione al predetto della qualifica di "Direttore (...)" della suddetta sede (doc. 2 ricorrente). Risulta altresì per tabulas che al (...), sempre nel periodo innanzi indicato (1.1.2012 - 20.6.2012), sia stata affidata la custodia della cassaforte nonché dell'armadio riservato della Direzione, e che il predetto si sia occupato esclusivamente e continuativamente della direzione dell'Ufficio delle Dogane di Varese - circostanze fattuali, lo si ribadisce, non contestate ed altresì provate documentalmente - essendosi il predetto occupato personalmente dell'attuazione di atti di indirizzo e circolari emanate dai dirigenti d'area dei superiori livelli territoriali dell'Agenzia delle Dogane (Regionale e Nazionale); della gestione della corrispondenza in entrata e in uscita dell'ufficio di riferimento (cfr. docc. da 4 a 15 ricorrente); dell'adozione di ordini di servizio concernenti la gestione del personale, le risorse strumentali e di cassa e l'organizzazione dell'ufficio (cfr. docc. da16 a 30); dell'adozione di provvedimenti sanzionatori e autorizzativi di competenza propria del Direttore dell'Ufficio (cfr. docc. da 31 a 34 ricorrente). Sul punto, va altresì rilevato che la costituita Agenzia delle Dogane non ha in alcun modo contestato che le predette mansioni superiori siano state svolte dal ricorrente in maniera prevalente, essendo pacifico che il (...), nel periodo per cui è causa, si sia dedicato in maniera esclusiva alla conduzione operativa ed altresì amministrativa dell'Ufficio. Fatte tali premesse, nel caso di specie ritiene questo giudicante di condividere le argomentazioni illustrate nella sentenza n. 420/2010 emessa dall'intestato Tribunale (dott.ssa F. ), altresì prodotta dal ricorrente e confermata in sede di gravame (cfr. CdA Milano n. 1520/2013, altresì prodotta dal ricorrente), che in questa sede si richiama anche ai sensi dell'art. 118 disp att. c.p.c.: "(...) La questione dibattuta nel presente giudizio è quella di stabilire se tali compiti siano stati espletati nell'ambito di una vera e propria reggenza- o piuttosto in qualità di "Facente Funzioni" con conseguente diritto da parte del ricorrente ad ottenere le differenze retributive maturate ai sensi dell'articolo 52 D.Lgs. n. 165 del 2001. Al fine di fondare la propria richiesta di reiezione del ricorso, dopo aver ripercorso l'evoluzione normativa riguardante la disciplina dell'attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari direttivi, l'Agenzia resistente ha eccepito che tra le mansioni previste per gli impiegati già C3 e C3S, ora inquadrati nelle fasce retributive F4, F5, F6 della III Area (...) l'odierno ricorrente appartiene all'Area III, livello F5, rientrano le funzioni vicarie del dirigente, con la conseguenza che, essendosi verificata l'assenza del dirigente titolare, il ricorrente non ha fatto altro che svolgere mansioni rientranti nella propria qualifica funzionale. L'assunto non può essere condiviso dovendosi operare una netta distinzione fra lo svolgimento di mansioni superiori come vicario e l'ipotesi della vacanza del posto. Se infatti è condivisibile sostenere che le funzioni di vicario - connotate dalla loro natura intrinsecamente precaria e temporanea posto che vi è un titolare della funzione temporaneamente impossibilitato a svolgerla (tipico è il caso della malattia, ferie, congedo, eccetera) - rientrino tra quelle proprie del profilo lavorativo relativo alla posizione ex funzionale C (ora III Area funzionale) di cui all'allegato A del CCNL del Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999, è altrettanto vero che la situazione che si verifica in caso di vacanza del posto di dirigente dell'ufficio (ci si riferisce cioè a quei casi in cui il dirigente dell'ufficio è previsto solo in pianta organica senza che sia stato nemmeno attivato il procedimento per la relativa individuazione e nomina) sia del tutto diversa e debba essere disciplinata secondo il disposto di cui all'articolo 52 D.Lgs. n. 165 del 2001, 4 comma. La difesa dell'Agenzia delle Dogane richiama, a conferma della propria tesi secondo cui l'assunzione temporanea di funzioni dirigenziali rientrerebbe nelle competenze tipiche della qualifica funzionale rivestita dal XXX, il disposto di cui all'articolo 20 del D.P.R. n. 266 del 1987. La tesi non può essere condivisa dal momento che la descrizione delle funzioni relative ai diversi profili è diversamente operata nell'articolo 20 del D.P.R. n. 266 del 1987 e nelle declaratorie del profilo C3 delineata dal CCNL 1998-2001 del Comparto Ministeri. Il realtà si deve rilevare come la vecchia normativa risulti superata da quella più recente e come la declaratoria del profilo si ricavi attualmente solo dalla normativa del contratto collettivo. Mentre l'articolo 20 D.P.R. n. 276 del 1987 prevedeva che il personale di IX qualifica potesse essere impiegato in funzione di reggenza dell'ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare, nella declaratoria di C3 del CCNL non vi è alcun riferimento all'istituto della reggenza ed è previsto unicamente che gli appartenenti a tale profilo possano assumere "temporaneamente funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare"; con il riferimento combinato alla " temporaneità" e all' "assenza" le parti collettive hanno evidentemente inteso escludere il caso dell'incarico in attesa della copertura del posto vacante. La tesi ora esposta ha peraltro ottenuto l'autorevole avallo della Corte di Cassazione che con la sentenza 5892 del 2005 ha puntualmente sostenuto che "Il profilo lavorativo relativo alla posizione economica C3, di cui all'allegato A del CCNL del Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprende tra le proprie funzioni l'espletamento di quelle di reggenza della superiore posizione lavorativa dirigenziale per vacanza del relativo posto, atteso che- in base al principio di cui all'articolo 1362 codice civile, secondo cui il principale strumento interpretativo della volontà delle parti è costituito dalle parole ed espressioni del contratto- deve ritenersi che i contraenti, omettendo l'indicazione della reggenza tra le mansioni proprie della qualifica della posizione economica C3, abbiano inteso consapevolmente escludere tale figura dalla relativa declaratoria". Poiché nel caso in discussione è pacifico che il dott. XXX abbia retto, in situazione di vacanza del posto di reggente, la Circoscrizione Doganale di Varese sino al provvedimento di attribuzione formale della reggenza di cui si discute con ciò svolgendo compiti che esulavano da quelli propri del suo profilo di appartenenza, la domanda volta ad ottenere le differenze retributive tra quanto percepito e quanto previsto per le mansioni superiori di dirigente è meritevole di accoglimento ai sensi dell'articolo 52 D.Lgs. n. 165 del 2001 (norma che attribuisce il diritto al trattamento economico svincolandolo dall'espletamento di una corretta procedura di assegnazione di mansioni superiori) (...)" (Trib. Varese, cit., in motivazione). Ciò richiamato, evidenzia questo giudicante che le argomentazioni appena riportate sono pienamente applicabili al caso di specie, in disparte la questione - dedotta dall'Agenzia convenuta a sostegno delle proprie difese - concernente il fatto che, nel caso de quo, fosse già stata attivata la procedura di interpello al fine di conferire l'incarico di direzione dell'Ufficio delle Dogane di Varese. La deduzione in esame, infatti, costituisce un elemento che in alcun modo incide sul ragionamento innanzi illustrato e sulla ratio ad esso sottesa, ritenendo difatti dirimente la chiara distinzione tra l'ipotesi di "reggenza", da un lato, e quella di mero svolgimento di funzioni vicariali qualora il titolare dell'ufficio sia impossibilitato per specifiche ragioni temporanee, quali malattia, ferie, congedo. Di conseguenza, l'Agenzia convenuta deve essere condannata a rifondere al ricorrente le invocate differenze retributive tra il trattamento economico spettante al predetto in base al suo inquadramento e quello relativo allo svolgimento delle mansioni superiori nel periodo dal 1.1.2012 al 20.6.2012. Ciò statuito, occorre a questo punto esaminare il quantum invocato dal (...), anche alla luce della contestazione articolata dall'Agenzia delle Dogane per quanto attiene la voce della "retribuzione di risultato". Ebbene, con riguardo a quest'ultimo aspetto, questo giudicante ritiene di condividere l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione secondo cui "Nell'impiego pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza di un ufficio temporaneamente sprovvisto di titolare, il trattamento differenziale include sia la retribuzione di posizione sia quella di risultato che, tuttavia, nella sua parte fissa, può essere in concreto erogata solo all'esito della positiva verifica dei risultati di gestione, come imposto dagli artt. 44, comma 3, del c.c.n.l. 5 aprile 2001 e 57, comma 3, del c.c.n.l. 21 aprile 2006" (Cass. Civ. n. 4622 del 28/02/2018). Sul punto va difatti rilevato che l'Agenzia convenuta - in disparte tutte le contestazioni sull'an già esaminate e respinte - ha comunque contestato, con riguardo al quantum, il diritto del ricorrente a vedersi riconoscere anche la retribuzione di risultato. L'odierna resistente ha difatti allegato che "?alla data del 1 gennaio 2012, e al momento della cessazione del ricorrente dall'incarico di " facente funzioni", l'Agenzia non aveva ancora formalizzato gli obiettivi SIVAD (cioè gli obiettivi specifici assegnati ai dirigenti; l'acronimo sta infatti per Sistema di Valutazione Dirigenti) per l'anno in questione, né al ricorrente è stato formalmente assegnato alcun obiettivo", con la conseguenza che nulla può essere riconosciuto al (...) con riguardo alla voce in esame. Sul punto, sia sufficiente rilevare che il ricorrente nulla ha specificamente controdedotto - né versato in atti - a confutazione della tesi dell'Agenzia. La questione in esame è stata specificamente esaminata dalla Cassazione nell'arresto innanzi citato, le cui motivazioni vengono di seguito richiamate anche ai sensi dell'art. 118 disp att. c.p.c.: "(...) Deve premettersi che, in linea di principio, in tema di lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni eassunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione dell'intero trattamento economico, ivi compresi gli emolumenti accessori (in tal senso Cass. S.U., n. 3814 del 2011, n. 12193 del 2011, n. 7823 del 2013). Ciò posto, tuttavia, è fondata la censura relativa all'attribuzione della retribuzione di risultato, nella specie, parte fissa, in quanto la Corte d'Appello ha ritenuto che non assumesse rilievo il conseguimento degli obiettivi. Viene in rilievo, in proposito, il CCNL per il personale dirigenziale del comparto ministeri. Il CCNL 1998-2001 del 5 aprile 2001, all'art. 44 comma 3, e il CCNL 2002-2005 del 21 aprile 2006, all'art. 57, comma 3, stabiliscono che la retribuzione di risultato può essere erogata solo a seguito di preventiva, tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui all'art. 14 comma 1 del D.Lgs. n. 29 del 1993, e della positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui, rispettivamente all'art. 35 e all'art. 21. In sostanza la retribuzione in questione è correlata all'effettivo raggiungimento, anche sotto il profilo qualitativo, da parte del dirigente, degli obiettivi preventivamente determinati. Quindi (in ragione dei principi già affermati da Cass., n. 13062 del 2014, n. 20976 del 2011) il dipendente che svolge mansioni superiori in relazione ad un ufficio dirigenziale, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non ha diritto alla retribuzione di risultato per il solo fatto di avere svolto funzioni dirigenziali, poiché la stessa è connessa alla verifica dei risultati di gestione (...)" (Cass. Civ. n. 4622 del 28/02/2018, cit., in motivazione). Alla luce di quanto sin qui richiamato, non essendo nemmeno stati individuati, nel caso di specie, gli obiettivi per il periodo oggetto di causa, con la conseguente impossibilità, chiaramente, di valutarne il raggiungimento, al ricorrente non può essere riconosciuta la relativa voce a titolo di differenze retributive. Ciò statuito, rilevato altresì che, in disparte l'aspetto appena esaminato, nulla è stato specificamente contestato dall'Agenzia con riferimento al restante quantum invocato in questa sede dal (...), il lavoratore ha diritto a vedersi riconoscere a titolo di differenze retributive per i titoli già esaminati l'importo complessivo di Euro 15.201,22 così calcolato: Euro 80.064,83 (stipendio tabellare + retribuzione di posizione parte fissa + retribuzione di posizione parte variabile + vacanza contrattuale) : 12 MESI = Euro 6.673,00 arrotondato; Euro 6.673,00 x 6 MESI = Euro 40.038,00 - TOTALE EROGATO Euro 24.836,78 = Euro 15.201,22 cfr. pagg. 11 e 12 ricorso. Ciò chiarito, il predetto importo va maggiorato dei soli interessi legali, atteso il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione operante nei riguardi dei crediti di lavoro dei dipendenti pubblici, visto il disposto di cui all'art. 22, comma 36, L. n. 724 del 1994, in forza del quale "... l'articolo 16, comma 6, della L. 30 dicembre 1991, n. 412, si applica anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 23 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza". Resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - accerta e dichiara che il ricorrente, nel periodo dal 1.1.2012 al 20.6.2012, ha svolto mansioni superiori al suo inquadramento, ricoprendo la qualifica di Direttore dell'Ufficio delle Dogane di Varese e, per l'effetto, condanna la resistente a corrispondere al ricorrente, a titolo di differenze retributive, l'importo di Euro 15.201,22 oltre interessi legali; - condanna la resistente a rifondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre C.P.A., rimborso forfettario al 15% ed IVA se dovuta per legge. Così deciso in Varese il 14 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Varese II SEZIONE CIVILE Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...) (CF:(...)) elettivamente domiciliata in Varese, via (...), presso lo studio degli avv.ti An.Bo., Fe.Pe. e Pa.Pe., che la rappresentano e difendono, come da procura allegata al ricorso RICORRENTE contro (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in L. (V.) via della V. 1 RESISTENTE CONTUMACE OGGETTO: accertamento subordinazione - licenziamento orale - D.Lgs. n. 23 del 2015 FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 23.1.2017, (...) conveniva in giudizio la (...) SRLS, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, formulando le seguenti conclusioni: "Piaccia al Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, in accoglimento del presente ricorso, per i motivi esposti, così giudicare: A) accertato e dichiarato che tra la ricorrente e la società convenuta si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 8.10.2015 al 31.5.2016, e comunque nel diverso periodo accertato o di giustizia, con mansioni, inquadramento e orario di lavoro come indicati in narrativa, o comunque come risulteranno dovuti, dichiarare tenuto e quindi condannare la società convenuta al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di retribuzioni, istituti contrattuali, ratei e TFR non corrisposti, della somma complessiva di Euro 6.519,63 di cui Euro 874,91 per Tfr, e comunque di quella diversa somma dovuta o di giustizia, anche in relazione ai diversi titoli ritenuti dovuti". B) accertare e dichiarare la nullità e/o l'inefficacia del licenziamento intimato alla ricorrente, e di conseguenza, in applicazione della disciplina di cui al primo e secondo comma dell'art.2, D.Lgs. n. 23 del 2015, ordinare alla società convenuta l'immediata reintegrazione della ricorrente nel proprio posto di lavoro, condannando altresì la stessa convenuta, in persona del rappresentante legale pro tempore, a risarcire il danno patito dalla lavoratrice per il licenziamento nullo e/o inefficace, stabilendo un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo, e comunque nella diversa misura di giustizia. Con rivalutazione e interessi dal dovuto al saldo"; con vittoria di spese da distrarsi in favore dei procuratori antistatari. La società (...) SRLS, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, pur ritualmente intimata, restava contumace. Ammessa ed espletata attività istruttoria, l'udienza di discussione del 31.5.2022 veniva celebrata con la modalità della trattazione scritta. Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, è infondato e deve pertanto essere respinto. Dal ricorso e dalla documentazione versata in atti emerge quanto segue: - che la ricorrente ha lavorato alle dipendenze della convenuta dal 8.10.2015 al 31.5.2016, con mansioni di barista, senza che il rapporto sia mai stato regolarizzato; - che la lavoratrice si occupava dell'apertura o della chiusura del bar (a seconda del turno di lavoro osservato), di somministrare alla clientela bevande in genere e semplici alimenti nonché di pulire il locale al termine delle attività; - che l'orario di lavoro osservato nel corso del rapporto si è articolato sempre su due turni alternati settimanalmente, di 8 ore ciascuno: dalle ore 5 alle ore 13 e dalle ore 13 alle ore 21 per cinque giorni alla settimana; - che tutti i beni strumentali necessari allo svolgimento della dedotta attività lavorativa erano di proprietà e comunque furono sempre nella esclusiva disponibilità della società convenuta; - che le modalità e i criteri di concreto svolgimento delle mansioni erano predeterminate dai signori (...) e (...) (genitori di V.G., socia e amministratrice della società convenuta); - che la lavoratrice percepiva una retribuzione mensile di Euro 1.000,00; - che la ricorrente nulla ha percepito per il mese di maggio 2016; - che "il 31 maggio 2016 la lavoratrice veniva licenziata verbalmente, quando nel pomeriggio di quel giorno il signor (...), a fronte di legittime rivendicazioni di carattere contrattuale e retributivo manifestategli dalla lavoratrice, comunicò alla stessa di restituirgli le chiavi del locale"; - che la messa a disposizione della prestazione di lavoro formulata con raccomandata del 27.7.2016 è rimasta priva di riscontro (doc.1). Tutto ciò premesso la ricorrente ha adito l'intestato Tribunale formulando le conclusioni in epigrafe trascritte. In via preliminare, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di accertamento della natura dei rapporti di lavoro, qualsiasi attività di tipo economico può essere oggetto di rapporto di lavoro subordinato o di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle concrete modalità di esecuzione della prestazione ed indipendentemente dalla natura o dal tipo di attività prestata. L'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro è altresì sotteso, secondo un orientamento ormai costante della Suprema Corte di Cassazione, all'individuazione di una serie di indici tipologici, primo fra tutti quello della "eterodirezione", inteso, ai sensi dell'articolo 2094 c.c., come l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro. Ad esso si aggiungono quelli che vengono definiti indici tipologici "secondari", quali l'orario di lavoro, l'oggetto della prestazione, le modalità di retribuzione, l'assenza del rischio di impresa, che nonostante siano singolarmente privi "di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione" (ex plurimis, Cass. Civ., sez. Lav., n. 9252/2010). Inoltre, per quanto concerne gli oneri probatori sottesi al predetto accertamento, l'orientamento giurisprudenziale consolidato è quello secondo cui "il lavoratore che agisca in giudizio per sentir dichiarare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso, ha l'onere di provare in maniera compiuta ed esauriente tale subordinazione, non essendo a tale scopo sufficienti generiche allegazioni in merito alla durata del rapporto, alle modalità di erogazione del compenso e all'osservanza di un preciso orario di lavoro" (Cass. Civ. sez. Lav., n. 7652/2012). Tutto ciò premesso, richiamato il principio della motivazione più liquida, a parere di questo giudicante nel caso di specie non può dirsi raggiunta la prova per quanto concerne la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra la ricorrente e la resistente, presupposto in mancanza del quale l'accoglimento della domanda relativa all'impugnativa del (dedotto) licenziamento orale è quindi preclusa. Sul punto, va altresì sin da ora precisato che, se è vero, da un lato, che "nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione (come in parte può essere nel caso di specie) al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato il criterio dell'eterodirezione rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore "non si manifesta come particolarmente significativo", occorre tuttavia che siano ravvisabili almeno i cosiddetti "criteri distintivi sussidiari", quali "la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore" (Cass. Civ., sez. Lav. n. 7681/2010). Fatte tali premesse, occorre quindi esaminare le emergenze probatorie acquisite nel corso dell'istruttoria espletata, che di seguito integralmente si riporta. Escussa sulle circostanze ammesse, la teste (...) ha dichiarato quanto segue: "ADR: conosco la ricorrente; ci siamo conosciute perché lavoravo nel bar a fianco alla (...) ; ADR: Il bar in cui lavoravo io si chiama (...); ADR: io ho lavorato lì poco prima di compiere vent'anni; ho iniziato a giugno, ho compiuto venti anni ed ho lavorato lì fino alla primavera dell'anno successivo; ADR: chiaramente ho conosciuto la ricorrente dopo un po' di tempo rispetto a quando ho iniziato a lavorare lì; capitava che noi andassimo da loro, se erano aperti, o viceversa, ad esempio per fare colazione; altre volte capitava che ci aiutassimo reciprocamente se uno di noi non aveva qualcosa da servire ai clienti; ADR: facevamo un giorno fisso di chiusura, mi pare il lunedì; negli altri giorni lavoravo inizialmente dalle 21 alle 3 del mattino; successivamente dalle ore 18 fino alle 3.00; ADR: dopo circa due/tre mesi ho iniziato ad attaccare alle 18; ADR: Non ricordo se quando sono andata via dal bar la ricorrente stesse ancora lavorando presso la (...); sul cap. 1): sul capitolo confermo la mansione di barista; con riguardo al periodo richiamo quanto detto prima; ADR: penso che la ricorrente avesse un contratto di lavoro; sul cap. 2): sul capitolo posso confermar le attività ivi richiamate; ADR: in base ai turni della ricorrente poteva capitare che io la trovassi quando andavo a fare colazione lì; ADR: se la sera la ricorrente era di turno la vedevo; il bar presso il quale lavorava la ricorrente comunque chiudeva prima delle 3.00; SUL CAP. 3): posso confermare che la ricorrente lavorasse su turni; mi è capitato di vederla alle 5 del mattino, quando andavo a fare colazione da loro dopo la nostra chiusura; sul resto non posso confermare; non so quale fosse il giorno di chiusura del bar la (...); sul cap. 5): confermo; sul cap. 6): sul capitolo posso dire quanto segue, ossia che il responsabile era un certo (...); so che i due genitori avevano intestato il bar alla figlia, che a sua volta ogni tanto lavorava nel bar; poi non so dire chi desse direttive alla ricorrente; sul cap. 8): non ero presente quel giorno; i fatti mi sono stati riferiti dalla ricorrente". Escusso sulle medesime circostanze, il teste (...) ha dichiarato quanto segue: "ADR: conosco la ricorrente; la conosco dall'estate 2015; ci siamo conosciuti dopo che aveva smontato da lavoro; ADR: io non ho mai lavorato per la resistente; ADR: ricordo che si trattava dell'anno 2015 perché era l'anno precedente rispetto a quando mi sono trasferito a Bologna e l'anno prima rispetto a quando la ricorrente si è fidanzata. Sul cap. 1): sul capitolo posso precisare quanto segue, ossia che la ricorrente faceva la barista per la resistente; ADR: preciso che dall'aprile 2016 non ero più regolarmente a L. perché avevo già iniziato a lavorare a Bologna; Sul capitolo poi preciso che mi recavo presso il bar almeno due volte a settimana, la sera, per salutare la ricorrente; ADR: non posso dire se tutte le volte che mi sono recato al bar io l'abbia vista; Sul capitolo posso altresì dire che la ricorrente si lamentava con me di non avere un contratto "regolare". Sul cap. 2): sul capitolo posso precisare che la ricorrente si occupava della chiusura del bar, posto che io mi recavo lì la sera, di servire bevande alla clientela e di pulire il locale; ADR: io l'ho vista svolgere queste mansioni ed altresì mi è capitato di aspettare che chiudesse il locale a fine turno; sul cap. 3): non sono in grado di confermarlo; sul cap. 5 ): confermo; sul cap. 6): non posso confermare; ricordo forse una volta di aver visto una signora che lavorava lì quando la ricorrente non c'era; non posso essere più preciso; sul cap. 8): sono a conoscenza dei fatti di cui al capitolo perché mi sono stati raccontati dalla ricorrente; per il resto non posso confermare". Ebbene, sulla scorta di quanto sin qui riportato, ad avviso di questo giudicante il ricorso è infondato, non avendo la ricorrente assolto l'onere probatorio sotteso alla domanda concernente la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la resistente. I due testimoni escussi, infatti, si sono limitati a confermare di aver visto la O. svolgere attività lavorativa con mansione di barista presso (...) ("sul cap. 1): sul capitolo confermo la mansione di barista; con riguardo al periodo richiamo quanto detto prima; ... sul cap. 2) VC 2. La lavoratrice si occupava dell'apertura o della chiusura del bar (a seconda del turno di lavoro osservato), di somministrare alla clientela bevande in genere e semplici alimenti nonché di pulire il locale al termine delle attività: sul capitolo posso confermar le attività ivi richiamate" - teste C.; "Sul cap. 1): sul capitolo posso precisare quanto segue, ossia che la ricorrente faceva la barista per la resistente ... Sul cap. 2): sul capitolo posso precisare che la ricorrente si occupava della chiusura del bar, posto che io mi recavo lì la sera, di servire bevande alla clientela e di pulire il locale; ADR: io l'ho vista svolgere queste mansioni ed altresì mi è capitato di aspettare che chiudesse il locale a fine turno" - teste (...)). Ciò premesso, occorre tuttavia rilevare come lo svolgimento di attività lavorativa in favore della odierna convenuta da parte della ricorrente - circostanza emersa univocamente dalle dichiarazioni rese dai testi escussi - non sia elemento di per sé sufficiente a dimostrare la (invocata) natura subordinata del rapporto di lavoro in esame. I testi, infatti, in disparte quanto appena illustrato, hanno reso dichiarazioni oltremodo generiche con riferimento ai restanti aspetti dedotti in ricorso. La teste (...), infatti, ha precisato che lei lavorava su turni e che "...in base ai turni della ricorrente poteva capitare" che vedesse la lavoratrice, recandosi al bar (...) "quando ... andava a fare colazione lì, precisando che se la predetta "la sera ... era di turno..." la vedeva. Sulla medesima circostanza, il teste (...) si è limitato a precisare che si recava presso il bar (...) un paio di volte alla settimana per "salutare la ricorrente", senza chiaramente poter confermare di averla vista lì tutte le in cui vi si è recato ("Sul capitolo poi preciso che mi recavo presso il bar almeno due volte a settimana, la sera, per salutare la ricorrente; ADR: non posso dire se tutte le volte che mi sono recato al bar io l'abbia vista"). Ciò detto, va altresì evidenziato che né la teste (...), né il teste (...) hanno confermato l'orario di lavoro dedotto dalla lavoratrice in ricorso, avendo sulla domanda reso risposte oltremodo generiche, pertanto inidonee a considerare dimostrati in giudizio gli assunti della lavoratrice ("SUL CAP. 3) (VC L'orario di lavoro osservato nel corso del rapporto si articolò sempre su due turni alternati settimanalmente, di 8 ore ciascuno: dalle ore 5 alle ore 13 e dalle ore 13 alle ore 21 per cinque giorni alla settimana": : posso confermare che la ricorrente lavorasse su turni; mi è capitato di vederla alle 5 del mattino, quando andavo a fare colazione da loro dopo la nostra chiusura; sul resto non posso confermare; non so quale fosse il giorno di chiusura del bar la F." - teste C.; "sul cap. 3): non sono in grado di confermarlo" - teste I.). Parimenti, ad avviso di questo giudicante, non risulta dimostrato in giudizio l'indice tipologico dell'eterodirezione, posto che sul punto, da un lato, la teste (...) ancora una volta ha reso dichiarazioni generiche e comunque inidonee a dimostrare gli assunti di cui al ricorso ("...,sul cap. 6) (VC Le modalità e i criteri di concreto svolgimento delle mansioni erano predeterminate dai signori (...) e (...) (genitori di V.G., socia e amministratrice della società convenuta) i quali erano frequentemente presenti nel locale del bar e coordinavano, per quanto necessario, l'espletamento dei compiti assegnati alla lavoratrice...): sul capitolo posso dire quanto segue, ossia che il responsabile era un certo (...); so che i due genitori avevano intestato il bar alla figlia, che a sua volta ogni tanto lavorava nel bar; poi non so dire chi desse direttive alla ricorrente" - teste (...)); dall'altro lato, il teste (...) ha dichiarato di non essere a conoscenza delle circostanze in esame ("sul cap. 6): non posso confermare; ricordo forse una volta di aver visto una signora che lavorava lì quando la ricorrente non c'era; non posso essere più preciso"). Ciò esaminato, ritiene questo giudicante che la sola omessa comparizione in giudizio ai fini del disposto interrogatorio formale del rappresentante legale della convenuta non possa, di per sé, sopperire alle carenze probatorie sin qui rilevate, posto che in ogni caso si tratta di circostanza che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 232 c.p.c. e 116 c.p.c., deve essere valutata ulteriormente rispetto a fatti in parte già dimostrati in giudizio. Tutto ciò argomentato, ad avviso di questo giudicante, non essendo stata raggiunta la prova in giudizio né, tipicamente, dell'eterodirezione della lavoratrice, né, a rigore, dell'ulteriore (e necessario) indice tipologico secondario costituito dall'orario di lavoro come dedotto in ricorso, la domanda concernente l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti in causa non può che essere respinta. Resta pertanto assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta. Attesa la contumacia della parte resistente, nulla si dispone sulle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - rigetta il ricorso; - nulla sulle spese. Così deciso in Varese il 31 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Varese II SEZIONE CIVILE Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...), in qualità di erede di (...), rappresentato e difeso dall'avv. An.La. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Varese alla via (...), come da procura allegata all'atto di costituzione ex art. 302 c.p.c. depositato in data 26.9.2019 RICORRENTE contro INPS, con l'avv. Gr.Gu., elettivamente domiciliato in Varese, via (...) RESISTENTE OGGETTO: ripetizione indebito - compensazione FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 13.1.2017, (...), conveniva in giudizio l'INPS formulando le seguenti conclusioni: "In principalità Accertata e dichiarata l'inviolabilità degli importi erogati a titolo di indennità di accompagnamento, per l'effetto; 2. Accertare e dichiarare l'illegittimità della compensazione operata dall'INPS tra un proprio credito e le somme dovute alla ricorrente a titolo di indennità di accompagnamento, e per l'effetto; 3. Dichiarare l' ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), ... tenuto a ripetere l'importo illegittimamente trattenuto in compensazione, e per l'effetto; 4. Condannare l'ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), ... a ripetere l'importo di Euro13.106,30, o quella diversa misura che risulterà di giustizia comunque non inferiore ad Euro10.824,66, trattenuti in compensazione in conto assegno di accompagnamento, oltre interessi e rivalutazione su detto importo dall'insorgenza del diritto al saldo, e per l'effetto; In via gradata, 5. Accertare e dichiarare l'illegittimità della condotta dell'I.N.P.S. che in spregio al disposto dell'art. 1 co 262 L. n. 662 del 1996 ha operato una compensazione in unica soluzione di un proprio credito sugli arretrati dovuti alla ricorrente a titolo di assegno di accompagnamento, e per l'effetto; 6. Condannare l'ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), ... ad erogare alla ricorrente l'importo di Euro13.106,30, o quella diversa misura che risulterà di giustizia e comunque non inferiore ad Euro10.824,66, oltre interessi dal dovuto al saldo, e per l'effetto; In ogni caso, 7. Dichiarare l' ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), ... tenuto al risarcimento del danno patito dalla ricorrente, per l'effetto condannando l'Istituto medesimo alla erogazione a favore della ricorrente dell'importo da quantificarsi in via equitativa in una misura non inferiore ad Euro5.000,00, salvo migliore quantificazione ex officio; 8. Condannare altresì l'Istituto resistente ai sensi dell'art. 96 c.p.c. stante la condotta volutamente omissiva dello stesso nel disattendere l'invito a regolare in autotutela il contenzioso e con ciò evitare l'odierno giudizio"; con vittoria di spese da distrarsi in favore del procuratore antistatario (cfr. verbale di udienza del 24.11.2021). Si costituiva ritualmente in giudizio l'INPS contestando in fatto ed in diritto l'avversario ricorso. Nelle more del procedimento, ossia in data 6.9.2019 (doc. in atti), la ricorrente decedeva e - con atto depositato in data 26.9.2019 - si costituiva in giudizio l'erede (e marito) della predetta (...), che si richiamava integralmente alle conclusioni di cui al ricorso. Attesa la natura meramente documentale della causa, non veniva espletata attività istruttoria e l'udienza di discussione del 3.5.2022 veniva celebrata con la modalità della trattazione scritta. Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, è parzialmente fondato e deve pertanto essere accolto nei limiti di quanto illustrato nel prosieguo. Dal ricorso e dalla documentazione versata in atti emerge quanto segue: - che alla (...) veniva "riconosciuto il diritto a percepire l'indennità di accompagnamento, pari ad Euro 512,00 mensili, in forza di decreto di omologa ex art. 445 bis c.p.c. con decorrenza dell'accertamento dal mese di ottobre 2014" (doc.1 ricorrente); - che in virtù del suddetto decreto la (...) maturava nei confronti dell'INPS "un credito a titolo di indennità di accompagnamento del complessivo importo di Euro 9.561,45" (doc. 2 ricorrente); - che, con la nota di liquidazione del 18.3.16, l'INPS comunicava altresì che avrebbe provveduto a trattenere l'intero importo spettante alla contribuente in virtù di un indebito su assegno sociale già contestato alla medesima, rispetto al quale la predetta promuoveva opposizione innanzi all'intestato Tribunale ed il cui procedimento, al momento del deposito del ricorso, risultava essere ancora pendente; - che l'Istituto "stava già operando trattenute mensili di Euro200,00 mensili sulla pensione cat. (...) n. (...) a far tempo dalla mensilità 02/2014, giusta comunicazione in data 04.12.2013" (doc. 4 ricorrente); - che la (...) si rivolgeva, a mezzo procuratore, all'istituto per chiedere la sospensione della condotta posta in essere sino ad allora al fine di non vedersi trattenere gli arretrati dovutile a titolo di indennità di accompagnamento (docc. 5 e 6 ricorrente); - che tuttavia l'istituto convenuto provvedeva comunque ad operare trattenute per l'intera somma degli arretrati maturati "ed oltre fino alla concorrenza dell'importo del proprio credito" per l'indebito percepito dalla ricorrente; - che l'indebito richiesto dall'istituto concerneva la pensione AS n.(...) con decorrenza 01.05.10 per un importo mensile di Euro 335,13 di cui la (...) era stata riconosciuta beneficiaria (docc. 7 e 8 ricorrente); - che in data 11.10.12 l'INPS comunicava di avere provveduto a rideterminare l'importo della pensione di cui la (...) era beneficiaria in Euro 0,00 mensili sulla base dei redditi 2010, contestando quindi alla ricorrente un indebito per un importo di Euro 10.824,66, di cui chiedeva appunto la ripetizione; - che la (...) impugnava quindi la predetta determinazione dell'INPS, instaurando innanzi all'intestato Tribunale il contenzioso per l'accertamento del proprio diritto (RG n. 1095/2013); - che successivamente la (...) veniva dichiarata beneficiaria dell'indennità di accompagnamento come in premessa per un importo di Euro 512,00; - che "l'I.N.P.S. ha trattenuto per sé in conto indennità di accompagnamento dal febbraio 2014 all'ottobre 2016 l'importo complessivamente stimato di Euro 3.544,85, oltre all'importo in unica soluzione di Euro 9.561,45" (doc. 14 ricorrente); - che l'INPS "attesta quindi di avere recuperato il suo preteso credito di Euro 10.824,66 in forza della trattenuta in unica soluzione dell'importo di Euro 9.561,45 nel maggio 2016 - sub. doc. (...) allegato- e delle trattenute mensili operate dal 2014 al mese di ottobre 2016" (docc. 15, 16, 17 ricorrente); - che in realtà "a fronte di un asserito indebito percepito dalla ricorrente e quantificato in Euro 10.824,66...l'I.N.P.S. risulta avere recuperato somme ben maggiori pari ad Euro 13.106,30, utilizzando una modalità di apprensione alla quale la resistente ad oggi non è riuscita ad opporsi né ad inibire nonostante ne avesse ogni diritto"; - che l'I.N.P.S., debitore delle somme riconosciute alla ricorrente a titolo di indennità di accompagnamento, ha operato una compensazione tra un suo credito nei confronti della (...), "asseritamente generato da un accertando indebito su assegno sociale quantificato in Euro10.824,66 con un credito certo, liquido ed esigibile che la ricorrente vantava nei suoi confronti, peraltro incassando importi superiori"; - che "in base alle pregresse comunicazioni dell'Istituto - sub. doc. 4 allegato- lo stesso risulterebbe avere introitato un ulteriore importo non dovuto di Euro 2.281,64"; - che la (...) era altresì titolare di pensione diretta definitiva ex INPDAP n. iscrizione 14010663 sulla quale ancora al momento del deposito del ricorso gravava una cessione volontaria del 1/5 di Euro 195,00 al mese con scadenza al 30.11.18 (doc. 18 ricorrente). La (...) adiva quindi l'intestato Tribunale formulando le conclusioni in epigrafe trascritte, in particolare contestando l'illegittimità della compensazione operata dall'istituto su crediti ritenuti "non omogenei", avendo oltretutto l'INPS ripetuto l'importo in un'unica soluzione, operando altresì una illegittima trattenuta di Euro 200,00 al mese fino all'ottobre 2016; eccependo altresì la violazione degli obblighi di correttezza e di buona fede da parte dell'istituto, ritenendo oltretutto l'impignorabilità della corresponsione erogata a titolo di indennità di accompagnamento; contestando in ogni caso, quindi anche superando l'eccezione di impignorabilità dell'indennità di accompagnamento, che il recupero dell'importo per cui è causa sia avvenuto in un'unica soluzione anziché in modalità rateale. Si costituiva ritualmente in giudizio l'INPS, che deduceva quanto segue: - che la (...) era titolare assegno sociale derivante da pensione di inabilità civile per superamento del sessantacinquesimo anno di età; - che con un primo provvedimento dell' 11 ottobre 2012 comunicava alla (...) la revoca della prestazione assistenziale per aver superato i limiti di reddito previsti per gli anni 2010 - 2012; - che circa la legittimità dell'indebito contestato (per un importo complessivo di Euro 10.824,66) l'intestato Tribunale si pronunciava con sentenza n. 22 del 9.3.2017 (pertanto successivamente rispetto al deposito dell'odierno ricorso) ritenendo ripetibile l'indebito in oggetto (doc. 4 resistente); - che la compensazione contestata è pienamente legittima, poiché operata su prestazioni (indennità di accompagnamento e assegno sociale) che hanno identità di natura; - che parimenti la trattenuta operata dall'istituto una tantum è pienamente legittima; - che la domanda di risarcimento del danno ex adverso formulata è destituita di fondamento; - che la condotta della parte ricorrente, che ha incardinato questo giudizio separatamente rispetto a quello previamente definito dall'intestato Tribunale ut supra richiamato, è da valutarsi ai sensi del disposto di cui all'art. 96 c.p.c. per abuso dello strumento processuale. Ai fini del decidere, va in primo luogo richiamata la statuizione emessa dall'intestato Tribunale con sentenza n. 22/2017 - da ritenersi definitiva posto che sul punto parte ricorrente nulla precisava - con cui veniva dichiarato interamente ripetibile da parte dell'istituto nei confronti della (...) l'importo di Euro 10.824,66. Ciò premesso, quanto agli ulteriori aspetti di merito in questa sede contestati dalle parti, ritiene questo giudicante opportuno richiamare, anche ai sensi dell'art. 118 disp. Att. c.p.c., l'arresto della Corte di Cassazione n. 30220 del 20/11/2019 che in fattispecie analoga a quella odierna ha statuito quanto segue: " (...) 1.La Corte d'appello di Palermo , in riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese, ha dichiarato illegittima, in applicazione dell'art. 69 L. n. 153 del 1969 , la compensazione in misura eccedente il quinto operata dall'Inps tra il credito vantato dall'Istituto nei confronti di XXX per ricalcolo dell'assegno sociale di cui il XXX era titolare , ed il debito dell'Inps verso il pensionato a titolo di arretrati per indennità di accompagnamento ( per il periodo 1/10/2012-30/11/2013). Secondo la Corte l'Inps, salvo il diritto di avvalersi dell'azione di ripetizione ex ad 2033 c.c. , poteva recuperare l'indebito anche mediante trattenute sulla pensione in via di compensazione sulla prestazione dovuta , fatto salvo , comunque, il trattamento minimo della pensione , nel limite del quinto in quanto tale limite operava anche sugli arretrati di pensione . Secondo la Corte l'Inps illegittimamente aveva trattenuto l'intero importo dell'indebito (pari ad Euro 5.056,96 ) in unica soluzione e non invece come dovuto entro i limiti del quinto (...) RAGIONI DELLA DECISIONE (...) 5. Risulta accertato che il XXX era tenuto a restituire all'Inps Euro 5.056,96 a seguito di un indebito formatosi sull'assegno sociale di cui era titolare e che, tuttavia, il ricorrente , a seguito della sentenza del Tribunale di Palermo, aveva ottenuto il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento con i relativi arretrati . L'Inps ha proceduto alla compensazione in unica soluzione dell'indebito di Euro 5.056,96 sull'importo di Euro 6.970,88, dovuto per arretrati di indennità di accompagnamento. Il XXX si duole che la compensazione non sia avvenuta solo nei limiti del quinto. 5.Ciò premesso va rilevato che secondo la Corte è applicabile la limitazione del quinto alla compensabilità in applicazione dell'art. 69 della L. n. 153 del 1969, ritenendo che tale limitazione ad un quinto della pensione pignorabile riguardasse anche i ratei arretrati. 6. L'art. 69 L. n. 153 del 1969 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) dispone al primo comma che le pensioni, gli assegni e le indennità spettanti in forza del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché gli assegni di cui all'art. 11 della L. 5 novembre 1968, n. 1115 spettanti a carico dell'INPS "possono essere ceduti, sequestrati e pignorati, nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'Istituto nazionale della previdenza sociale derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative". Il secondo comma fa comunque salvo, per le pensioni ordinarie, l'importo corrispondente al trattamento minimo. Il significato delle disposizioni è chiaro: l'INPS, salvo il diritto di avvalersi, come ogni creditore, dell'azione di ripetizione di cui all'art. 2033 c.c., può recuperare gli indebiti o le omissioni contributive anche mediante trattenute sulla pensione, in via di compensazione, col duplice limite che la somma oggetto di cessione, sequestro, pignoramento o trattenuta non superi la misura di un quinto della pensione, assegno o indennità e che sia fatto, comunque, salvo il trattamento minimo della pensione (Cass., 4 aprile 1978 n.1532; 23 gennaio 1989 n. 383). 7 . La disposizione citata ed applicata dalla Corte territoriale riguarda, come risulta evidente dal tenore letterale , le prestazioni previdenziali prevedendo, in sostanza ,il necessario recupero rateale e nei limiti del quinto. Nessun riferimento contenuto nella norma autorizza un'estensione alle ipotesi di prestazioni assistenziali ( cfr Cass. 27 luglio 2011, n. 16448, che ha rimarcato l'inapplicabilità, alle prestazioni assistenziali, del diverso principio fissato, per le prestazioni pensionistiche, dall'art. 1, comma $1262,L. 23 dicembre 1996, n. 662, secondo il quale il recupero è necessariamente rateale e opera sulla medesima pensione cui l'indebito si riferisce). 8.Nella fattispecie in esame , invece, sia l'indebito sia gli arretrati si sono formati con riferimento a prestazioni di natura assistenziale ( assegno sociale e indennità di accompagnamento ) e dunque , la questione deve trovare la sua disciplina normativa nelle norme generali sulla compensazione. 9.L'istituto della compensazione di cui agli art. 1241 c.c. e seg. presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, mentre è configurabile la cd. compensazione impropria/ allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere e a ciò il giudice può procedere senza incontrare ostacolo nelle limitazioni vigenti per la compensazione in senso tecnico-giuridico. 10.Le conseguenze applicative della qualificazione del fenomeno in termini di compensazione impropria si sostanziano nell'esclusione dell'applicazione dell'intera disciplina della compensazione e, in particolare, per quanto in questa sede rileva, del divieto previsto dal n. 3 dell'art. 1246 cod. civ. con la conseguente deducibilità, per intero, del controcredito dal credito impignorabile (cfr., fra le altre, Cass. 20 giugno 2003, n.9904, in motivazione); 11. Ritiene il collegio che nella fattispecie in esame non ricorra il requisito dell'identità di titolo trale somme dovute dall'istituto per indennità di accompagnamento e quelle dovute dal ricorrentesull'assegno sociale non avendo origine , i rispettivi crediti e debiti, dal medesimo rapporto (in generale, sulla natura dell'assegno sociale, quale provvidenza avulsa dallo stato di invalidità che non investe la tutela di condizioni minimi di salute o gravi situazioni di urgenza, si rinvia a Cass.n.22261 del 2015 ). L'identità del titolo non può essere affermato sul generico presuppostoche entrambe le prestazioni di cui è causa hanno natura assistenziale dovendosi sottolinearel'assoluta diversità dei presupposti che giustificano l'erogazione dell'assegno sociale da quellidell'indennità di accompagnamento. 12.La sentenza impugnata, pur con la diversa motivazione di cui sopra, deve essere, pertanto, confermata (...) (Cass. Civ. 30220/2019, cit., in motivazione). Tutto ciò premesso, deve essere dichiarata illegittima la compensazione tra il credito vantato dall'istituto nei confronti della parte ricorrente per ricalcolo dell'assegno sociale di cui la (...) era titolare ed il debito dell'INPS verso la predetta a titolo di arretrati per indennità di accompagnamento operata in misura eccedente il quinto della pensione percepita dalla pensionata; per l'effetto, l'INPS deve essere condannato a restituire l'importo per cui è causa nei limiti e con le modalità innanzi indicate. Resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta con riguardo alla doglianza sin qui esaminata. Risulta invece destituita di fondamento la doglianza con cui la parte ricorrente chiedeva la condanna dell'istituto convenuto al risarcimento dei danni asseritamente patiti a causa dei fatti sin qui esaminati e quantificati in via equitativa nell'importo di Euro 5.000,00. Sul punto, sia sufficiente rilevare l'assoluta genericità delle allegazioni sottese alla domanda in esame e l'omessa dimostrazione, in giudizio, di alcun danno in concreto sofferto dalla (...). Per ciò solo, la domanda in esame non può che essere respinta. Del pari risulta infondata la domanda formulata da ciascuna parte nei confronti dell'altra ex art. 96 c.p.c., non essendo ravvisabili nel caso di specie, né in capo alla parte ricorrente né in capo a quella resistente, i requisiti previsti ex lege dal disposto normativo summenzionato. Resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - accerta e dichiara l'illegittimità della compensazione tra il credito vantato dall'INPS nei confronti della parte ricorrente per ricalcolo dell'assegno sociale di cui la predetta era titolare ed il debito dell'INPS verso la parte ricorrente a titolo di arretrati per indennità di accompagnamento operata dall'istituto convenuto in misura eccedente il quinto della pensione percepita dalla pensionata; - per l'effetto condanna l'INPS a restituire a parte ricorrente l'importo per cui è causa nei limiti indicati in motivazione; - rigetta per il resto il ricorso; - rigetta ogni altra domanda; - condanna l'INPS a corrispondere a parte ricorrente le spese di lite, quantificate nell'importo complessivo di Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre C.P.A., rimborso forfettario al 15% ed IVA se dovuta per legge da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Così deciso in Varese il 3 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VARESE SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Renata M. Barnabò ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1112/2018 promossa da: (...) S.r.l. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GA.NI., elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. GA.NI. parte attrice contro AZIENDA (...), SOCIETàEuro COOPERATIVA SOCIALE PER AZIONI (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.FA., elettivamente domiciliato in via (...) Varese presso il difensore avv. MA.FA. (...) DI AGR. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BI.BA., PIAZZA (...), 1 21100 VARESE, elettivamente domiciliato in PIAZZA (...), 1 21100 VARESE presso il difensore avv. BI.BA. parti convenute FATTO-DIRITTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) S.r.l. deduceva che - in data 16 marzo 2017 stava eseguendo delle opere di sgombero di materiale ingombrante di risulta all'interno del parco della convenuta Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...) con i propri automezzi un escavatore Cat. (...) e un autocarro Man tre assi; - che era stato incaricato dall'altra convenuta (...) di Agr. (...), che si occupava della manutenzione della (...), non aveva adeguati mezzi per lo smaltimento; - che nel secondo dei viaggi per lo smaltimento il terreno sottostante sprofondava in una vasca di accumulo d'acqua interrata non visibile e non segnalata e l'autocarro cadeva all'interno; - a seguito dell'evento chiedeva il risarcimento dei danni per l'importo di Euro. 19.470,32 alle parti convenute formulando le conclusioni come in epigrafe riportate. Si costituivano le parti convenute contestavano le domande formulate dall'attore chiedendo che venissero respinte. Inoltre Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...) svolgeva domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni dei lavori indispensabili per ripristinare lo stato dei luoghi e la cisterna crollata al passaggio del veicolo attoreo. Dopo il deposito delle memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c., il giudice ammetteva le prove orali dedotte dalle parti. Esaurita l'istruttoria fissava l'udienza per la precisazione delle conclusioni, nella quale, previa concessione di termini di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione. In primo luogo, parte attrice fa valere una responsabilità nei confronti delle parti convenute ai sensi dell'art. 2051 c.c. o in subordine ex art. 2043 c.c. Al riguardo l'applicabilità dell'art. 2043 o dell'art. 2051 costituisce un elemento di fondamentale importanza sul piano etiologico e dell'onus probandi dovendosi accertare, "nel primo caso, se si sia stato attuato un comportamento commissivo od omissivo dal quale è derivato un pregiudizio a terzi, e dovendosi prescindere, invece, nel caso di responsabilità per danni da cose in custodia, dal profilo del comportamento del custode che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c., nel quale il fondamento della responsabilità è costituita dal rischio, che grava sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da caso fortuito" (Cass. Civ. n. 2308/2007). Secondo orientamento consolidato della Suprema Corte, cui si reputa di aderire, l'art. 2051 c.c. configura una ipotesi di responsabilità oggettiva che, per essere affermata, non esige un'attività o una condotta colposa del custode (tanto che, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (Cass. civ. n. n. 4279/2008), ma richiede la sussistenza del mero rapporto causale tra la cosa in custodia e l'evento lesivo verificatosi in concreto (da ultimo, Cass. ord. n. 22684/2013). Pertanto, ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è esclusa dal caso fortuito, che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull'elemento psicologico dell'illecito, e che individua un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità (Cass. civ. n. 16029/2010; Cass. civ. n. 4279/2008). Ne derivano, come precisato, precise conseguenze in tema di onere probatorio gravante sulle parti. L'attore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare il fatto lesivo come verificatosi in concreto, l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, nonché il danno conseguenza, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. n. 858/2008; 8005/2010; 5910/11); il convenuto deve, in altre parole, fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia la prova di un evento eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, che - inserendosi nel decorso causale - abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno (Cass. n. 8500/2010; Cass. n. 57417/2009; Cass. n. 11227/2008). Il caso fortuito cui fa riferimento l'art. 2051 c.c. deve, però, intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato (Cass. n. 4279/2008). Secondo l'orientamento della Suprema Corte che si condivide, la prova del nesso causale è particolarmente rilevante nel caso in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno della cosa; infatti, ove si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa in questi casi si impone la necessità "di ulteriori accertamenti, quali la maggiore o minore facilità di evitare l'ostacolo, il grado di attenzione richiesto allo scopo, ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l'oggettiva responsabilità del custode. Trattasi di presupposti per l'operatività dell'art. 2051 c.c. che debbono essere dimostrati dal danneggiato, al fine di poter affermare che il danno è conseguenza causale della "situazione dei luoghi" (Cass. sent. n. 2660/2013). Qualora, dunque, si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l'agire umano (ed in particolare quello del danneggiato) si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (Cass. sent. n. 6306/2013). Orbene se, in applicazione dell'art. 2051 c.c., spetta al custode convenuto, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità, la prova dell'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l'evento lesivo, che presenti i caratteri del caso fortuito (che può essere anche il fatto del danneggiato), tuttavia questo onere probatorio presuppone che l'attore abbia, a sua volta, e in via prioritaria, fornito la prova sia del fatto sia della relazione tra l'evento dannoso lamentato e la cosa in custodia Ciò premesso in termini generali, si deve rilevare che la parte attrice ha dato ampia e circostanziata prova della dinamica fattuale, nonché del nesso eziologico tra cosa e l'evento lesivo. Per quanto concerne, invece, l'individuazione del soggetto a cui addebitare la responsabilità della verificazione dell'incidente per cui è causa, ai sensi dell'art. 2051 c.c., occorre verificare la titolarità della tratto di strada bianca ove è avvenuto l'evento, e nel caso peculiare verificare a chi incombeva l'obbligo di conoscere e segnalare l'eventuale situazione di pericolo. La configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. deve trovare la sua valutazione circa l'attribuzione in capo alla proprietà del terreno e del tratto di strada ove è passato l'attore che è da ricercare non solo sul dovere di custodia e del controllo sul bene, ma anche all'adozione di normali criteri comportamentali caratterizzati dalla dovuta diligenza e di sicurezza per chi doveva e poteva conoscere il sito. Ne consegue che, nel caso sottoposto all'attenzione di questo giudice, è da ritenersi responsabile dei luoghi Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...), in quanto come è risultato dall'istruttoria la vasca non era segnalata in nessun modo nemmeno all'altra convenuta che la usava per transitare con i propri mezzi, senza che nessuno dell'Azienda di (...), pure a conoscenza del sito e della pericolosità dell'esistenza delle vasche non visibili, ne vietasse o ponesse dei limiti per il passaggio. La testimonianza resa dagli addetti alle dipendenze della Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...) hanno confermato le circostanze. (...), addetto alla sicurezza del sito, ha confermato che la vasca "non era visibile coperta dal verde" e che non era presente agli accordi per il passaggio del mezzo dell'attore e l'attività non necessitava la sua presenza in quanto si trattava di manutenzione del verde. L'altra dipendente (...) ha dichiarato che il cancello dell'accesso sul retro della struttura era sempre chiuso a chiave e solo i manutentori avevano le chiavi. Anche la seconda dipendente (...) ha confermato che l'accesso dei camion grossi poteva essere solo dal retro, cosa peraltro confermata anche dal dipendente della (...), impresa chiamata con una gru per l'intervento di recupero del mezzo dell'attore, passata anch'essa dall'ingresso sul retro. Con riferimento all'individuazione dell'ammontare dei danni, il Tribunale reputa che debba essere calcolato in base alla documentazione prodotta da parte attrice, con gli importi analiticamente riportati nelle fatture prodotte, limitatamente all'imponibile delle fatture stesse, ad esclusione della IVA in quanto l'attore ha diritto alla detrazione, in ragione dell'attività svolta. In virtù del principio della soccombenza, le spese di lite dell'attore devono essere poste a carico della parte convenuta Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...), liquidate in dispositivo tenuto conto del valore della causa in relazione al decisum e della natura dell'attività espletata, mentre le spese della altra convenuta vengono compensate. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al R.G. n. 1112/2017 promossa da (...) S.r.l. contro Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...) e (...) di Agr. (...), disattesa ogni contraria domanda, deduzione anche istruttoria od eccezione, così provvede: 1) condanna Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della parte attrice della somma complessiva di Euro. 15.959,27, oltre interessi legali dalla data dell'esborso fino al soddisfo; 2) respinge ogni altra domanda; 3) condanna Azienda (...) Soc. Coop per Azioni (...) al pagamento a favore della parte attrice delle spese di lite che vengono liquidate in Euro. 4.000,000 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli oneri fiscali come per legge, compensa le spese di lite della convenuta (...) di Agr. (...). Così deciso in Varese il 19 marzo 2021. Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2021.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI VARESE SEZIONE SECONDA CIVILE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO All'esito della camera di consiglio, il Tribunale in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Flaminia D'Angelo, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, la seguente SENTENZA da allegarsi - ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. - al verbale dell'udienza del 08.09.2020, nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2465 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2015 e vertente TRA (...) elettivamente domiciliata in VIA (...) VARESE presso lo studio dell'avv. RI.RI. che io rappresenta e difende, giusta procura in atti - ATTORE - contro (...) (già (...)) e ancor prima (...) elettivamente domiciliata in VIA (...) MILANO presso lo studio dell'Avv. (...) che fa rappresenta e difende giusta procura in atti - CONVENUTO - OGGETTO: azione ripetizione indebito - contratto di finanziamento con cessione dei quinto e con delegazione di pagamento. CONSIDERAZIONI IN FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio innanzi all'intestato Tribunale (...) S.p.A. (ora (...) S.P.A.) ai fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Accertare e dichiarare che i contratti di finanziamento sottoscritti tra il sig. (...) e (...) in doto 14.03.2007 hanno finalità di finanziamento del ricorrente quale consumatore e come tali soggetti alla disciplina ex L. 108/1996; - accertare e dichiarare altresì che ai medesimi contratti sono applicati interessi In violazione del disposta di cui all'art. 2 co. IV L. 108/1996 così come modificato ex d.l. 70/2011, a causa degli oneri assicurativi, di mediazione ed amministrativi effettivamente applicati; - Per l'effetto accertare come nessun interesse fosse dovuto dal (...) ex art. 1815 c.c. trattandosi di usurarietà non sopravvenuta; Condannare quindi la (...) ora (...) S.p.A. olla rifusione di Euro 17.212,82 a titolo di rimborso dell'indebito percezione oltre ad ogni ulteriore somma percepita dal deposito del ricorso alla sentenza, ovvero nella maggior somma che sarò ritenuto di giustizio oltre agli Interessi legali tempo per tempo dovuti; - Condannare la resistente ex art. 96 co. III c.p.c.". A sostegno della propria domanda, esponeva: - che in data 14.03.2007 stipulava con (...) due contratti di finanziamento (pratica n. (...)) da rimborsare con cessione di quota della retribuzione ex dpr 180/50 e n. 895/50 (doc. 1); - che il suddetto finanziamento doveva, quindi, essere rimborsato in n. 120 rate mediante cessione complessiva di crediti lavorativi (doc. 3); - che il contratto di finanziamento veniva ceduto nel lato attivo a (...), che subentrava all'istituto erogante; - che al contratto era stato applicato un TEG superiore al tasso usura; - che la Banca veniva posta in mora con pec del 20.03.2015 (doc. 6); - che il resistente replicava che i tassi applicati erano inferiori a quelli soglia antiusura fissato al 16,39% (doc. 7); - che anche la domanda di mediazione aveva esito negativo in quanto parte resistente dichiarava di non volere partecipare; - che ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario si dovevano considerare tutti gli oneri che il contraente sopporta in connessione con l'erogazione del credito con la conseguenza che il tasso applicato ai due rapporti di mutuo era superiore a quello del 18% (modelli di elaborazione del piano di ammortamento sub. doc. 15,16 e 17); - che, pertanto, essendo stati pattuiti tassi usurari il mutuo doveva essere considerato gratuito ai sensi dell'art. 1815 co. 2 c.c.; - che la mancata adesione al tentativo di conciliazione fondava, altresì, la condanna di parte resistente ex art. 96 co. 3 c.p.c.. Si costituiva parte resistente contestando tutto quanto ex adverso affermato ed, in particolare, evidenziando: - che la ricostruzione del fatto operata da parte attrice era errata in quanto i contratti di finanziamento sottoscritti erano da rimborsare; a) il n. (...) con cessione del quinto" della retribuzione mensile e b) n. 28760 "mediante delegazione di pagamento": - che la ricostruzione dei tassi operata da parte ricorrente era errata in quanto presupponeva la sommatoria del tasso ordinario, del tasso di mora e degli oneri di incasso; - che non era stato adempiuto l'onere della prova da parte del SIMEONI mancando in atti i decreti ministeriali che fissano i tassi nonché l'indicazione dei tempi, dei modi e della misura di superamento del tasso soglia; - che, invece, al momento della pattuizione degli interessi (14.03.2007-prima trimestre), il tasso soglia usura del contratto n. 2S7S9 era al 16,39% a fronte di un TEG al 13,92% mentre quello del contratto n. 28760 era di 19,32% a fronte di TEG pattuito al 13,92%; - che per procedere al calcolo del TEG bisognava attenersi alle Istruzioni della Banca d'Italia del febbraio 2006 escludendo la possibilità di sommare gli interessi corrispettivi e di mora così come di includere nel calcolo gli oneri assicurativi; - che, infatti, le Istruzioni della Banca d'Italia all'epoca vigenti escludevano dal computo gli oneri legati ad assicurazioni obbligatoriamente richieste per legge; - che, quanto detto, escludeva conseguenzialmente la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. Concludeva per il rigetto delle domande e per la condanna ex art. 96 co. 3 c.p.c. del (...). Il Giudice, precedente assegnatario dei fascicolo, alla prima udienza disponeva il mutamento del rito in rito ordinario. La causa veniva, quindi, trattata con lo scambio delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c., al termine del quale II nuovo Giudice, allora assegnatario del fascicolo, disponeva la consulenza tecnica d'ufficio con il seguente quesito "Dica il Consulente Tecnico d'Ufficio, acquisita la documentazione presente agli atti del giudizio, predispongo una relazione scritta attenendosi ai criteri di seguito indicati: - prenda in considerazione esclusivamente i rapporti di finanziamento indicati in atto di citazione e la documentazione bancaria agli atti; - predisponga un prospetto analitico, per ciascun rapporta, recante, in successione cronologica, il Tasso Annuo Nominale (TAN), il Tasso Annuo Effettivo Globale (T.A.E.G.) ed il Tosso Effettivo Globole (TEG): - accerti l'eventuale superamento del "tasso-soglia" per effetto della variazione delle condizioni applicate nel corso del rapporto: al proposito, la verifica del superamento del tasso-soglia dovrà essere operata considerando distintamente i singoli trimestri ed il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM), rilevato trimestralmente dalla Banca d'Italia dovrà essere maggiorato secondo i criteri indicati nell'art. 2 dello Legge 7marzo 1996, n. 108 (successivamente modificati dall'art. 8 del Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70): il calcolo non dovrà tenere conto della commissione di massimo scoperto, espunta per l'invalidità della relativa clausola dettata da diverse ragioni e pertanto irrilevante ai fini dell'accertamento dell'usura sopravvenuta: in caso di superamento del tasso-soglia, prospetti due ipotesi di calcolo: la prima, procedendo all'eliminazione degli interessi in ogni trimestre in cui risulti esservi stato il superamento del tasso-soglia (e, quindi, anche per effetto della mera variazione del tasso-soglia): nella seconda, procedendo alla sola riduzione degli interessi entro il limite del tosso soglia, ove superato: - determini, alla luce dei criteri sopra esposti, il saldo dei rapporti oggetto del giudizio, effettuando, ove indicato, conteggi alternativi ed esponendo In apposite tabelle di sintesi i risultati ottenuti". All'esito del deposito dell'elaborato peritale, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. Chiamata all'udienza del 05.06.2018, questo Giudice, nuovo assegnatario del fascicolo, a fronte dell'istanza di riconvocazione del CTU, sollevata da parte attrice, disponeva un'integrazione peritale chiedendo al CTU di prendere "in considerazione nel calcolo dell'usurarietà dei tassi anche le polizze assicurative sottoscritte dall'attore". All'esito questo Giudice formulava proposta ex art. 185 bis c.p.c. che non veniva accettata da parte attrice evidenziando come la giurisprudenza della Corte di Cassazione fosse nel frattempo mutata; la causa veniva, quindi, rinviata per la discussione orale ex art. 281-sexies c.p.c. Sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti, all'esito della discussione orale, il Giudice ha pronunciato la presente sentenza facente parte integrante del verbale di udienza. La domanda è fondata e, come tale, deve essere accolta per le ragioni che seguono. Parte attrice si duole che i contratti di finanziamento stipulati in data 14.03.2007 presentino un TEG superiore al tasso soglia usura vigente e, pertanto, chiede che, previa declaratoria di nullità dei suddetti tassi, il mutuo venga considerato a titolo gratuito ai sensi dell'art. 1815 co. II c.p.c.. Ora, da quanto affermato da parte attrice nell'atto introduttivo, l'usurarietà dei tassi si dovrebbe dedurre dalla sommatoria "del tosso ordinario, del tasso di interesse di mora e degli oneri di incasso" e di ogni altro onere connesso al finanziamento; in particolare, secondo parte attrice andrebbero ricompresi nel calcolo anche i costi di assicurazione obbligatoriamente sottoscritta dal SI. contestualmente ai contratti di finanziamento. Anzitutto, quanto alla sommatoria tra i tassi, l'assunto non può essere condiviso. È, infatti, errato procedere alla sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori (nonché tra i rispettivi tassi) poiché essi, per la struttura stessa del contratto di finanziamento, non possono mai essere applicati congiuntamente in relazione ad un medesimo periodo temporale. Gli interessi corrispettivi, che costituiscono la remunerazione della messa a disposizione di una data somma di denaro da parte del mutuante, si applicano soltanto sul capitale a scadere (art. 1282 c.c.), mentre gli interessi di mora, che costituiscono invece ¡1 rimborso del danno patito dal mutuante medesimo in conseguenza del ritardo nella restituzione del capitale, si applicano soltanto sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). Il tasso di mora sostituisce, cosi, in foto il tasso corrispettivo nel momento in cui matura in capo al mutuatario l'obbligazione restitutoria: il tasso di mora si applica solo dopo II suddetto momento e il tasso nominale si applica solo prima. Gli stessi non possono mai sovrapporsi e rappresentano due costi del prestito monetario nettamente distinti, aventi diverso oggetto, diversa causa e diverso periodo applicativo. Come tali, detti costi non possono essere sommati tra di loro, al fine di raffrontare con il TEG il risultato di tale indebita somma; piuttosto, gli stessi vanno confrontati con il parametro di usurarietà separatamente gli uni dagli altri. In sostanza ai fini del calcolo del TEG rispetto al TSU, devono essere presi In considerazione quelle prestazioni di natura corrispettiva (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse) legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale ma non anche quelle prestazioni riconducibili alla mora debendi. Soccorre tale impostazione anche la giurisprudenza di legittimità, la quale ha recentemente affermato che "gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, vanno qualificati ipso iure come usurari, ma in prospettiva del confronto con il tasso soglia antiusura non è corretto sommare interessi corrispettivi ed interessi moratori. Alla base di tale conclusione vi è lo constatazione che i due tassi sono alternativi tra loro: se il debitore è in termini deve corrispondere gli interessi corrispettivi, quando è in ritardo qualificato dolio mora, al posto degli interessi corrispettivi deve pagare quelli moratori; di qui la conclusione che i tassi non si possano sommare semplicemente perché si riferiscono a basi di calcolo diverse: il tasso corrispettivo si calcola sul capitale residuo, il tasso di mora si calcola sulla rata scaduta; ciò vale anche là dove sia stato predisposto, come in questo coso, un piano di ammortamento, a mente del quale la formazione delle varie rste, nella misura composita predeterminato di capitale ed interessi, ottiene ad una modalità dell'adempimento dell'obbligazioni gravante sulla società utilizzatrice di restituire la somma capitale aumentata degli Interessi; nella rota concorrono. Infatti, la graduale restituzione del costo complessivo del bene e la corresponsione degli Interessi; trattandosi di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni" (Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, n. 17447). Trovano, quindi, condivisione le conclusioni del CTU nominato - che per logicità e coerenza e chiarezza espositiva vengono, quindi, accolte interamente non essendo emerse ragioni per discostarsene - il quale, in applicazione dei principi poc'anzi espressi, ha affermato che, nel raffronto dei singoli tassi con il TSU, tale valore non viene giammai superato (pag. 11 e 14 consulenza tecnica in atti). Nulla provano, invece, gli elaborati prodotti sub. doc. 15, 16 e 17 da parte attrice che costituiscono una mera allegazione difensiva a contenuto tecnico (priva, pertanto) di autonomo valore probatorio nonché redatta in applicazione di criteri non condivisibili In quanto non conformi a quelli indicati della giurisprudenza sinora citata. Ciò chiarito, parte attrice ha contestato al CTU di non avere preso in considerazione ai fini del calcolo del TEG il costo dell'assicurazione collegata ai contratti di finanziamento. A tale fine questo Giudice ha assegnato al CTU nominato un quesito integrativo al fine di valutare se, computando nel tasso anche le spese assicurative, il TSU fosse effettivamente superato; il consulente ha, quindi, concluso che vi fosse usurarietà del finanziamento nella sola ipotesi in cui, ai fini del calcolo del TEG, fossero incluse le spese assicurative. In particolare, l'integrazione peritale redatta dal CTU ha evidenziato che: il tasso soglia di riferimento per la categoria "prestiti contro cessione del quinto dello stipendio" era, per il contratto n. (...), pari al 16,395% mentre il TAEG era pari al 18,609%, considerando i costi assicurativi ed al 13,90%, senza considerarli; per il contratto n. 28760 il tasso soglia di riferimento era pari al 16,395%, il TAEG, invece, pari al 22,123%, considerando i costi assicurativi ed al 13,90%, senza considerarli. Occorre, dunque, chiarire se nella fattispecie in esame, e cioè in un'ipotesi di finanziamento con cessione del quinto e di delegazione di pagamento sottoscritta nella vigenza delle Istruzioni della Banca d'Italia del febbraio 2006 (applicabili a tutti i rapporti sorti sino al 31.12.2009), le spese assicurative debbano essere validamente considerate ai fini del calcolo del TEG. Orbene, nella prassi giurisprudenziale passata, facendo proprio leva sul contenuto delle Istruzioni della Banca d'Italia poc'anzi indicate (ed infatti, le Istruzioni del 2009 indicano tra gli importi da computare anche quelli delle spese assicurative purché connessi col finanziamento - doc. 18 fascicolo convenuto) era emerso l'impostazione che riteneva rilevanti le spese per le assicurazioni o garanzie intese ad assicurare al creditore il rimborso totale o parziale del credito in caso di morte, invalidità, infermità, disoccupazione o altre cause di inadempienza del debitore ma ciò solo se imposte dal creditore e sempre che non derivassero dall'adempimento ad obblighi di legge. Tale impostazione portava, quindi, ad escludere dal computo del TEG. nei contratti di finanziamento con cessione del quinto o delegazione di pagamento, il costo della polizza assicurativa in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore In quanto derivanti "dall'esclusivo adempimento di obblighi di legge" (Istruzioni Banca d'Italia del febbraio 2006, par. C4, punto 6 - doc. 19 fascicolo convenuto). Si riteneva, infatti, che tali spese non rappresentassero una remunerazione per il finanziatore e non potessero essere ricomprese nei c.d. costi del finanziamento in senso stretto, tra i quali andavano, invece, ricomprese le spese assicurative collegate all'erogazione del finanziamento non imposte dalla legge (così, Trib. Torino sentenza 28.5.2015 n. 3944; Tribunale Belluno, 20/03/2020, n. 88) Tuttavia, tale impostazione è stata confutata dalla Suprema Corte con sentenza n. 8806/2017 - confermata da Cassazione civile sez. I, 24/09/2018 n. 22458 e, da ultimo, da Cassazione civile sez. II, 20/08/2020 n. 17466 - tutte relative a contratti conclusi sotto la vigenza delle precedenti Istruzioni della Banca di Italia. La Corte di Cassazione, in particolare, ha evidenziato che "ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiare anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall'art. 644, comma 4, c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito". D'altra parte, "anche sotto la vigenza del quadro normativo applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis (v. sub 2.5. e 2.6.), la natura obbligatoria della polizza assicurativa prevista per i contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione non è incompatibile con una sua connotazione propriamente remunerativa, anche indiretta, che va accertata in concreto utilizzando il diverso canone della sua effettiva incidenza economica diretta ed indiretta - sulle obbligazioni assunte dalle parti in relazione al contratto di finanziamento ed è, quindi, idonea, ove ricorra, ad attrarre la fattispecie concreto nella previsione dettata dalla parte generale del paragrafo C4, delle Istruzioni UIC, rilevante ai fini del calcolo del TEG. 2.11. Si deve infatti rimarcare che la deroga (sulla quale fonda la sua doglianza la ricorrente) prevista al detto paragrafo C4, non può consentire la pretermissione della regola generale dettata nella prima parte del paragrafo, atteso che questa non è altro che la riproduzione della norma penale" (così, Cassazione civile sez. I, 24/09/2018 n. 22458). Ai fini della valutazione meramente remunerativa di tali polizze, la Cassazione ha poi aggiunto che "la sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l'erogazione del mutuo (Cass. Sez. 1, n. 8806, 05/04/2017,) anche in virtù del fatto che la funzione dell'assicurazione obbligatoriamente prevista dal D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, b proprio quella "di garantire il mutuante, nel caso in cui per qualsiasi ragione venga a mancare la disponibilità dello stipendio del mutuatario" (Cassazione civile sez. II, 20/08/2020 n. 17466). Alla luce di quanto sopra richiamato deve, quindi, includersi nel costo del finanziamento rilevante ai fini del calcolo dell'usurarietà altresì il costo del c.d. oneri assicurativi in quanto inscindibilmente connessi al credito mutuato e non privi di aspetti di remuneratività nell'operazione concessiva del credito stesso, pertanto non irrilevante ai sensi dell'art. 644 c.p.; d'altra parte, chiarisce sempre la Corte di Cassazione, "le rilevazioni della Banca d'Italia hanno l'unico scopo di determinare, sulla base della media registrata, il TEGM (tasso effettivo globale medio) e non già di stabilire il paniere del corrispettivo di cui tener conto al fine di accertare l'usurarietà del compenso, stante che la composizione di esso trova compiuta descrizione nell'art. 644 c.p." (Cassazione civile sez. II, 20/08/2020 n. 17466). Dalla documentazione in atti, è emerso che l'attore ha sottoscritto, contestualmente alla stipula dei contratti di finanziamento ed in favore dell'Istituto mutuante-cessionario (quindi a garanzia del rimborso del mutuo), due polizze assicurative per rischio vita e rischio impiego versandone il relativo premio complessivo di Euro 2.186,49 (per il contratto n. (...)) e Euro 3.465,62 (per il contratto n. 28760). Nel medesimo contratto di finanziamento stipulato tra le parti, la società mutuante, data l'obbligatorietà della polizza assicurativa, Imponeva, inoltre, alla mutuataria di contrarre in proprio favore la predetta polizza caricandone l'intero importo direttamente alla parte mutuataria che, pertanto, ne corrispondeva la somma anticipatamente insieme alle altre voci di spesa presenti nel contratto di cessione del quinto e con delegazione di pagamento (vedasi l'art. 8 delle Condizioni contrattuali dei contratti di finanziamento). Parte convenuta, da parte sua, non ha offerto alcun elemento a prova contraria circa il collegamento tra l'assicurazione stipulata e l'erogazione del credito. Sulla base di tali coordinate ritiene il Tribunale che il tasso di interesse dei rapporti debba essere calcolato tenendo conto anche dei costi relativi all'assicurazione; pertanto, devono essere presi a riferimento I calcoli effettuati in sede di integrazione dal CTU che ha concluso in ordine al superamento del TSU in entrambi i rapporti. Ed infatti, il tasso soglia di cui al decreto ministeriale pubblicato sul Gazzetta Ufficiale era pari: a) al 16,395%, per II primo rapporto (tasso medio I trimestre 2007 10,93%, aumentato della metà e quindi della percentuale del 5,46% ex art. 2, L. 108/1996-108/1996 - doc. 7 fascicolo convenuto) a fronte di quello applicato pari al 18,609% e b) al 19,320% per il secondo rapporto (tasso medio I trimestre 2007 12,88%, aumentato della metà e quindi della percentuale del 6,44% ex art. 2, L. 108/1996-108/1996 - doc. 7 fascicolo convenuto) a fronte di quello applicato pari al 22,123%. Pertanto, dovendo farsi applicazione dell'art. 1815 co. 2 c.c., a tenore del quale "Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi", il contratto di mutuo si trasforma da oneroso in gratuito con azzeramento di ogni remunerazione a favore del mutuante. La convenuta deve conseguentemente restituire all'attore quanto ricevuto a titolo di interesse e di ogni altro onere connesso all'erogazione (ivi compresa la polizza vita) del credito con esclusione solo delle somme percepite a titolo di rimborso del capitale mutuato. Al riguardo risulta documentalmente - oltre che essere circostanze pacifiche - che il mutuatario ha sostenuto i seguenti costi connessi all'operazione di finanziamento: A) n. (...): a) Interessi Euro 4.805,45; b) commissioni finanziarie: 2.218,15 c) commissioni accessorie: 4.989,60; d) rimborso spese contrattuali: 250,00 e f) Costi assicurativi: Euro 2.186,51 (docc. 5 e 21 fascicolo convenuto); B) n. 28760: a) interessi 4.829,45; b) commissioni finanziarie: 2.208,55 c) commissioni accessorie: 4.968,00; d) rimborso spese contrattuali: 250,00 e f) Costi assicurativi: Euro 3.465,62 (doc. 6 fascicolo convenuto); Pertanto, tenuto conto del principio della gratuità del mutuo e della circostanza che il contratto è stato estinto alla sua naturale scadenza (circostanza confermata anche dal CTU), si deve concludere che il convenuto istituto di credito deve restituire, a titolo di ripetizione di indebito al SIMEONI, la somma di Euro 14.449,69 per il contratto n. (...) e Euro 15.721,62 per il contratto n. 28760 senza che sia necessario riconvocare il CTU per lo svolgimento di tale calcolo. Sulla somma, come sopra individuata e senza prendere in considerazione il calcolo svolto da parte attrice, debbono riconoscersi i soli interessi al tasso legale dalla data di costituzione in mora avvenuta con PEC ricevuta in data 20.03.2015 (doc. 6 fascicolo attoreo). Ed infatti, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., gli interessi sono dovuti dalla data del pagamento (e non già dalla data della domanda) esclusivamente se l'accipiens sia in mala fede: secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 18 novembre 2016, n. 23543), è onere del solvens dimostrare la malafede dell'accipiens e, nel caso di specie, parte attrice ha omesso qualsivoglia deduzione sul punto. Le spese di lite vengono interamente compensante ex art. 92 c.p.c. posta la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione dirimente il presente giudizio, specie con riferimento all'epoca di introduzione della presente lite. Per la stessa ragione le spese di CTU vengono integralmente compensate tra le parti. Infine, per quanto riguarda la responsabilità processuale aggravata eccepita da entrambe le parti, ex art. 96 co. 3 c.p.c., tale particolare condanna "ha una funzione (quanto meno) sanzionatoria di quelle condotte processuali temerarie che comportano un complessivo pregiudizio alla tempestiva definizione dei procedimenti seriamente instaurati e, in definitiva, un ingiustificato spreco di una risorsa sempre più limitata quale il giudizio civile. Detta condanna è ancorata alla ricorrenza del dolo o dello colpo grave della porte soccombente e; rispetto a tali condizioni, chi invochi lo condanna ex art. 96 c.p.c. ha l'onere, quantomeno, di allegare argomentazioni a sostegno dello richiesta" (Tribunale Milano sez. III, 28/06/2019, n. 6387) a prescindere dalla necessità di provare il danno effettivamente patito dalla controparte. Tali argomentazioni, però, non sono state fornite da alcuna delle parti con la conseguenza che tanto l'attore che il convenuto hanno agito o resistito in giudizio esercitando il proprio legittimo diritto di difesa, tanto più che gli orientamenti giurisprudenziali in materia non erano univoci sussistendo argomenti a favore di entrambe le tesi sostenute dalle parti. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione respinta, così provvede: - accoglie la domanda formulata da (...) per l'effetto dichiara la gratuita del finanziamento contro cessione del quinto di quote dello stipendio identificato con il n. (...) e del finanziamento con delegazione di pagamento identificato con il n. (...); - in accoglimento della domanda di ripetizione, condanna (...) S.p.A. (già (...) S.p.A., e ancor prima (...) S.p.A.) a pagare, in favore di (...) la somma di Euro 30.172,31, oltre gli interessi legali dal 20.03.2015 al soddisfo; - compensa integralmente le spese di giudizio così come quelle di CTU. Della presente sentenza, facente parte integrante del verbale di udienza viene data integrale lettura (in assenza) delle parti. Così deciso in Varese l'8 settembre 2020. Depositata in Cancelleria l'8 settembre 2020.

  • IL TRIBUNALE DI VARESE SECONDA SEZIONE CIVILE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Flaminia D'Angelo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4704 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2015 trattenuta in decisione all'udienza del 04.12.2019 e promossa da UM.ZE., ZE.SI. e ZE.AL. elettivamente domiciliati in VIA (...) DESIO presso lo studio dell'avv. CA.CH. che li rappresenta e difende giusta procura in atti - ATTRICE - contro LO.CE. elettivamente domiciliata in VIA (...) MILANO presso lo studio dell'Avv. CI.LO. che la rappresenta e difende assieme all'avv. GE.CA., giusta procura in atti - CONVENUTA - PI.CA. elettivamente domiciliata in VIA (...) MILANO presso lo studio dell'Avv. CI.LO. che la rappresenta e difende assieme all'avv. GE.CA., giusta procura in atti - INTERVENUTO VOLONTARIO - OGGETTO: azione di rivendica di somme di denaro depositate presso un conto corrente cointestato CONSIDERAZIONI IN FATTO E DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato, UM.ZE., ZE.SI. e ZE.AL., quali eredi della defunta CA.RO., citavano in giudizio innanzi all'intestato Tribunale LO.CE. per sentire accogliere le seguenti conclusioni "IN VIA PREGIUDIZIALE E/O PRELIMINARE: - In via principale: 1) accertare e dichiarare, per tutti i motivi sopra esposti, l'inammissibilità dell'intervento ex art. 105 c.p.c. di Ca.Pi. per mancanza di connessione con il presente giudizio; - In via subordinata: 2) accertare e dichiarare, per tutti i motivi sopra esposti, la tardività dell'intervento ex art. 105 c.p.c. di Ca.Pi. e, per l'effetto, dichiarare lo stesso inammissibile; NEL MERITO: 1) accertare e dichiarare il diritto degli attori, per i motivi di cui in narrativa, nella loro qualità di eredi della sig.ra Ca.Ro., alla restituzione del 50% delle somme prelevate dalla sig.ra Ce.Lo. dai c/c bancari Fi. S.p.A. cointestati alla sig.ra Ce.Lo. ed alla sig.ra Ca.Ro. e, per l'effetto, condannare la sig.ra Ce.Lo. al pagamento in favore dei sig.ri Ze.Si., Ze.Um. e Ze.Al., della somma complessiva di Euro 148.093,98 oltre interessi legali dal dovuto al saldo, salva la maggiore o minore somma che risulterà provata in corso di causa e/o ritenuta di giustizia e con espressa riserva di agire, in separato giudizio, per ottenere la restituzione di ulteriori somme che risultassero agli stessi dovute anche ad altro titolo; 2) rigettare le domande dell'intervenuto Ca.Pi. in quanto infondate in fatto ed in diritto; 3) affermare inoltre la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., primo e/o terzo comma, del terzo intervenuto Ca.Pi., con sua condanna al risarcimento dei danni in favore degli attori nella misura che sarà ritenuta di giustizia dal Tribunale adito; 4) in ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio oltre ad IVA e CPA e rimborso forfetario come per legge". A sostegno della propria pretesa evidenziavano: - che CA.RO. decedeva in data 17.05.2014 (doc. 1 fascicolo attore); - che in vita era stata cointestataria assieme alla CE.LO. del c/c n. (...) e del dossier titoli (...) acceso presso FI. con fondi propri che alla data del 09.05.2012 presentava un saldo di Euro 298.609,36 (doc. 2 fascicolo attoreo); - che nel mese di dicembre 2012 apprendeva che il rapporto bancario aveva saldo negativo perché nel maggio 2012 erano stati disposti dalla CE. alcuni giroconti sul c/c n. (...) per la somma di Euro 296.187,96 (doc. 4 fascicolo attoreo); - che a nulla erano valse le varie diffide a restituire l'importo; - che essendo il conto cointestato si doveva presumere, fino a prova contraria, di proprietà al 50% in capo alle singole intestatarie le quali non potevano disporre della somma in misura eccedente la propria quota senza il consenso espresso o tacito dell'altro. Si costituiva la convenuta CE.LO. contestando tutto quanto ex adverso assunto ed in particolare: - che la vicenda in cui si inseriva il citato conto cointestato era più complessa e coinvolgeva anche PI.CA., fratello della CA.RO. e marito della convenuta; - che entrambi i fratelli CA. avevano ricevuto procura generale dalla zia LI.RE. per la gestione dei suoi averi; - che agli inizi dell'anno 2000, il PI.CA. proponeva alla zia LI. l'apertura di un conto corrente presso la Ba.Fi., sul quale, oltre ai risparmi della zia, anch'egli decideva di depositare i propri risparmi derivanti in gran parte dal TFR percepito e dall'indennità di licenziamento; - che in occasione dell'apertura, con dichiarazione del 6.3.2000, sottoscritta da Ro. e Pi.Ca., i medesimi certificavano che "il versamento odierno di tre assegni circolari per complessivi 774.000.000 di Lire sul nuovo conto da aprirsi presso Ba.Fi. e che verrà cointestato a Lo.Ce. e a Ro.Ca. riguarda per 639.634.000 Lire il patrimonio della zia Li.Re. e il rimanente 134.366.000 Lire pari al 18,04% della somma totale investita, proviene dai risparmi di Pi.Ca." (doc.n.2 fascicolo convenuto); - che Ro.Ca. non aveva mai partecipato con propri fondi a tale conto che era gestito esclusivamente dal marito; - che il conto le era stato intestato dal marito assieme alla sorella per tenere al sicuro i risparmi visto che PI.MA. era un imprenditore; - che in data 8.2.2012, il Ca. veniva nominato erede universale di LI.RE. in virtù di testamento olografo (doc. 4 fascicolo convenuto) ed ereditava anche gli importi contenuti nei conti correnti; - che, successivamente, la Ca. provvedeva a sottrarre alla disponibilità del Pi.Ca. gli importi depositati in un conto corrente cointestato con il fratello acceso presso la BS., somme di provenienza della LI.RE.; - che, a seguito del comportamento della sorella, il Ca. prelevava l'intero saldo presente presso il conto Fi. S.p.A.; - che pertanto, le prove contrarie offerte permettevano di superare la presunzione di contitolarità. Insisteva, quindi per il rigetto delle domande attoree. Interveniva volontariamente nel giudizio PI.CA. il quale evidenziava: - che aveva aperto per la zia LI. un conto corrente presso la Ba.Fi., sul quale anch'egli decideva di depositare i propri risparmi derivanti in gran parte dal TFR percepito e dall'indennità di licenziamento; - che il conto corrente per ragioni legate alla proprie attività lavorativa di imprenditore veniva intestato alla sorella CA.RO. e alla moglie CE.LO.; - che sul conto non confluivano fondi propri di Ca.Ro. come da documentazione depositata dalla convenuta; - che il medesimo modus operandi veniva seguito per un conto corrente in Svizzera presso la Ba.Bs. SA il quale veniva cointestato tra i fratelli Ca., ed era costituito esclusivamente da somme di proprietà della zia Li.; - che, in seguito al decesso della Li., avvenuto l'8.2.2012, era stato nominato erede universale ed aveva acquisito la titolarità di tutte le somme giacenti nel conto corrente; - che la sorella in data 12.3.2012 prelevava dal conto svizzero in assenza di suo consenso l'importo di Euro 50.000,00; - che successivamente la sorella prelevava anche l'importo di Euro 1.213,25 trasferendo, al contempo, la residua somma di Euro 1.213,24 a favore del Ca.. Chiedeva il rigetto delle domande attoree e l'accertamento della piena titolarità del conto accesso presso BS. con conseguente condanna degli eredi di Ca.Ro. alla restituzione di quanto indebitamente prelevato dalla sorella. Alla prima udienza gli attori contestavano l'intervento in giudizio di PI.CA. evidenziando, da una parte, l'assenza di connessione per causa o titolo al presente giudizio nonché la tardività nella costituzione. Disconoscevano, altresì', il doc. 2 depositato da parte convenuta. La causa veniva istruita con lo scambio delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. all'esisto della quali il Giudice, precedente assegnatario del fascicolo, ammetteva l'interrogatorio formale della convenuta nonché CTU grafologica, a fronte dell'istanza di verificazione di parte convenuta, con il seguente quesito: "esaminati gli atti ed i documenti di causa e, in particolare, le scritture di comparazione prodotte, dica il ctu se le sottoscrizioni apposta sul documento n. 2 prodotto dalla convenuta Ce.i Lo. ed oggetto del disconoscimento operato dall'attore sia o meno autentica". L'incarico veniva rinunciato da n. 3 CTU; in data 26.06.2018, il CTU nominato in sostituzione da questo Giudice, nuovo assegnatario del fascicolo, accettava l'incarico e prestava giuramento. Chiamata all'udienza del 04.12.2019, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di memorie conclusionali e repliche. 1. In via preliminare sull'intervento di PI.CA.. In via preliminare deve dichiararsi inammissibile l'intervento di PI.CA.. In proposito, deve rammentarsi che ai sensi dell'art. 105, co. 1 e 2 c.p.c. possono aversi tre diverse ipotesi di intervento volontario di terzi nelle controversie da altri già promosse, interventi che si distinguono tra loro sulla scorta della situazione giuridica sostanziale che il terzo fa valere nel processo e, più in generale, avendo riguardo alla posizione di tale soggetto terzo rispetto al diritto o al rapporto giuridico oggetto del processo pendente tra le parti originarie. Da un lato, si parla di intervento principale (o ad excludendum) ex art. 105 co. 1 c.p.c. allorché il terzo fa valere, nei confronti di tutte le parti, un proprio diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo già dedotto in lite: in sostanza il terzo propone una domanda che poggia su un diritto autonomo ed incompatibile con quello già oggetto del giudizio. Dall'altro lato, si parla di intervento adesivo o dipendente allorché il terzo interviene in virtù di un proprio interesse a sostenere le ragioni di una o più parti. In tale ultima ipotesi, il terzo può ai sensi dell'art. 105 co. 1 c.p.c. intervenire nei confronti di alcune delle parti originarie per far valere un proprio diritto connesso, per oggetto o per titolo, con quello dedotto nel giudizio già pendente (cd. intervento adesivo autonomo): in sostanza il terzo propone una domanda che va ad affiancarsi a quella già proposta dall'attore o spiegata dal convenuto in via riconvenzionale e che avrebbe potuto essere formulata con queste ultime, in cumulo originario, in forza delle suindicate ragioni di connessione (la cui effettiva sussistenza è condizione indefettibile per l'ammissibilità dell'intervento, non essendo ravvisabile, in caso contrario, ragione alcuna che valga ad imporre ed a giustificare il simultaneus processus). Altrimenti, il terzo può, ai sensi dell'art. 105 co. 2 c.p.c. intervenire nel giudizio già vertente tra altri soggetti per sostenere le ragioni di alcuna delle parti originarie avendo un proprio interesse (cd. intervento adesivo dipendente); in tali casi il terzo non propone una propria domanda e non introduce in giudizio un diritto o una situazione giuridica soggettiva ulteriore, limitandosi, invece, a supportare le domande, ragioni ed eccezioni già spiegate da una delle parti originarie. Per l'ammissibilità di siffatto intervento occorre che il terzo abbia un interesse personale a sostenere le ragioni di una delle parti originarie del giudizio, interesse che deve essere non di mero fatto, ma giuridicamente rilevante, nel senso che tra adiuvante ed adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tale che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere, in via indiretta o riflessa, pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa (così, ex multis Cass. 25135/2015; Cass. 25145/2014). Ora nel caso che ci occupa PI.CA. è intervenuto volontariamente nel presente giudizio al fine di sostenere la posizione di CE.LO. chiedendo, al contempo, al Giudice di accertare che la CA.RO. avesse prelevato le somme contenute nel conto corrente acceso in Svizzera presso BS. - cointestato tra i due fratelli - e, conseguentemente, di condannare i suoi eredi alla restituzione dell'importo; l'interveniente ha, quindi, proposto un intervento adesivo autonomo. Come noto, però, presupposto indefettibile per l'ammissibilità di tale intervento è che l'interventore faccia valere "un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo". Dunque solo la connessione c.d. oggettiva, vale a dire quella per il "petitum" - oggetto - ovvero per la "causa petendi" - titolo giustifica l'intervento del terzo ed il simultaneus processus, non potendo giustificare l'intervento nemmeno un'ipotesi di connessione impropria. In sostanza, il terzo è legittimato all'intervento adesivo autonomo quando il diritto da lui affermato e fatto valere rientra nella struttura di quel medesimo rapporto giuridico già dedotto in causa come generato da quel fatto giuridico oppure quando rientra nella struttura di un rapporto giuridico diverso, ma in ogni caso connesso con quello già dedotto in causa perché derivante anch'esso, pur se indirettamente, dallo stesso fatto giuridico. Nel caso di specie, PI.CA. però fa valere un diritto (quello alla restituzione di somme depositate presso un conto corrente in Svizzera cointestato con la RO.CA.) che non solo non riguarda il medesimo rapporto giuridico ma non riguarda nemmeno un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in causa (domanda di restituzione delle somme depositata presso un conto corrente in Italia cointestato tra RO.CA. e LO.CE.) tanto che tale domanda non va ad affiancarsi a quella spiegata dal convenuto in via riconvenzionale (che infatti non è stata svolta) per cui non può giustificarsi il simultaneus processus. 2. Nel merito. Ciò chiarito in via preliminare, resta da verificare nel merito la domanda proposta dagli attori, eredi di RO.CA., volta a fare dichiarare la titolarità al 50% delle somme depositate nel c.c. (...) e nel dossier titoli collegato, cointestato tra la defunta CA. e la LO.CE. con conseguente condanna di quest'ultima alla loro restituzione. La domanda è fondata e come tale va accolta per le ragioni che seguono. È noto che in materia di conti cointestati è principio consolidato della Suprema Corte quello secondo cui "la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto (art. 1298 c.c., comma 2), ma tale presunzione dà luogo soltanto all'inversione dell'onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti - dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa" (da ultimo, Cass. ord. n. 11375/2019). Grava, quindi, sulla LO.CE. l'onere di vincere la presunzione legale. Ora, la convenuta ha affermato che il conto corrente sia stato alimentato esclusivamente dai risparmi della LI.RE. nonché dal TFR e dall'indennità di occupazione di suo marito PI.CA.. A tale proposito ha depositato in atti: - doc. 2/doc. 8: dichiarazione - anche in originale - del 06.03.00 sottoscritta in via autografa da RO.CA. - come accertato dal CTU - e PI.CA. in cui i due fratelli danno atto che i tre assegni circolari per Lire 174.000 provengono per 18,04% della somma da risparmi del PI.CA. ed il rimanente dei risparmi di LI.RE. e verranno depositati presso un conto corrente da aprire e da intestare a Ro. e Lo.; - doc. 3: lettera del 13.03.2000 sottoscritta da PI.CA. e per ricevuta da LI.RE. in cui l'intervenuto dà atto di avere aperto un conto corrente cointestato a Ro. e Lo. presso la Ba.Fi. e di avere fatto confluire oltre i risparmi della zia per Lire 639.634.000 anche i propri risparmi per Lire 134.366.000; - doc. 5: estratto conto del conto n. 10340 intestato a PI.CA. presso Banca popolare di Novara in cui si dà atto del ricevimento di un bonifico in data 03.03.2000 per Lire 774.000.000 da CA.RO. e di un addebito in data 06.03.2000 per emissione assegni circolari la stessa somma cioè per Lire 774.000.000; - doc. 6: matrici degli assegni circolari in data 06.03.2000; - doc. 7 e ss: scambio di email tra i fratelli CA.; - doc. 12: varie missive di cui: a) missiva di conferma investimento fondo cisalpino del 13.03.2000 cointestatario: Ca.Ro., ente collocatore: Ba.Po. Eur: 25.495,41; b) missiva di conferma investimento fondo (...) global equity del 13.03.2000 cointestatario: Ca.Ro., ente collocatore: Po., Eur: 7.746,85; c) comunicazione fusione per incorporazione del (...) Putnam nel (...) breve termine in data 03.11.2003, intestato a Ce.Lo., codice rapporto: (...); d) comunicazione del 03.12.2003 di investimento su Fo. Del (...), intestato a Ce.Lo. e Ca.Ro., codice rapporto: (...); e) comunicazione del 03.12.2003 di investimento su (...) breve termine intestato a Ce.Lo. e Ca.Ro., codice rapporto:(...); f/g) comunicazione fusione per incorporazione del (...) nel (...) reddito in data 03.11.2003, intestato a Ce.Lo., codice rapporto: (...); h) missiva conferma rimborso quote fondo cisalpino, cointestatario: Ca.Ro., ente collocatore: Fi. S.p.A. importo: Euro 61.342,07. Ora, la presunzione legale di contitolarità può essere vinta provando - o anche fornendo un quadro indiziario grave, preciso e concordante - alternativamente che: a) il conto fosse è costituito con somme di denaro immesse da uno dei contitolari; b) che tali importi provengono da un suo conto personale o c) che tali importi sono di pertinenza esclusiva di una parte. Nel caso di specie, però, la documentazione in atti nulla dice della provenienza/pertinenza delle somme contenute nel conto corrente e dossier titoli n. (...) intestato a Ce.Lo. e Ca.Ro. ed acceso presso Fi. il 16/17.11.2005 come da doc. 11 fascicolo attoreo, per cui non risulta che parte convenuta abbia superato la presunzione legale di contitolarità del conto. Ed infatti le dichiarazioni depositate sub. doc. 2 e 3 da parte convenuta non sono collegabili a tale conto corrente non contenendo alcuna indicazione per identificare specificatamente a quale conto corrente le parti si riferiscano; anche le matrici degli assegni del 06.03.00 addebitati sul conto del PI.CA. (doc. 6), nulla provano non essendoci alcun documento da cui evincere il versamento di tali assegni sul conto Fi. per cui è causa. A ciò si aggiunga che non è chiara, in ogni caso, la provenienza delle somme, contrastando tra loro il contenuto generico con dichiarazioni pro futuro del doc. 2 e l'estratto conto sub. doc. 5 in cui si evince un bonifico da parte di RO.CA. sul conto del fratello per Lire 774.000.000 in data 03.03.00 (3 giorni prima l'emissione degli assegni circolari) ed in data 06.03.00 l'emissione di assegni circolari da parte del PI.MA. per il medesimo importo. Anche il doc. 12 nulla prova essendo in parte documentazione riferibile a conti intestati alla sola LO.CE. ed in parte investimenti su Fondi collegati ad un conto cointestato con la CA. di cui non si evince il numero o il legame con il conto corrente per cui è causa. Nulla provano nemmeno le dichiarazioni rese da parte convenuta in sede di interrogatorio formale. Come noto, l'interrogatorio formale è volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante per cui "in assenza di confessione l'efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio formale, è soggetta al libero apprezzamento del giudice, il quale ben può saggiarne la consistenza alla luce e nel necessario coordinamento con altri elementi del complesso probatorio" (così, Cass. civ. n. 9840/1999). In particolare la CE. avrebbe affermato che il conto era fittiziamente cointestato a lei e alla RO.CA. ma che in realtà era del marito, PI.CA. che lo gestiva autonomamente tramite home banking. Tuttavia, tale dichiarazione non avendo alcun valore confessorio di fatti sfavorevoli alla convenuta e favorevoli alla controparte non assume valore di prova legale ma deve essere valutata ai sensi dell'art. 116 c.p.c. assieme al quadro probatorio sinora emerso. Nel caso di specie, come già illustrato, il quadro degli elementi probatori nulla dice sulla provenienza/pertinenza delle somme contenute nel conto corrente e dossier titoli n. (...) intestato a CE.LO. e CA.RO. ed acceso presso Fi. il 16/17.11.2005 né il quadro presuntivo può ritenersi preciso e concordante per le ragioni poc'anzi esposte. In atti, poi, non vi sono estratti conto da cui evincere che il conto sia stato alimentato con importi depositati dal PI.CA. né che tale conto sostituisca un conto pregresso aperto nel 2000 sempre cointestato alle parti in causa (come invece riferisce la convenuta affermando che prima il conto fosse presso la BI.). In realtà anche volendo presumere come vera tale ultima circostanza e cioè che nel 2000 fosse stato acceso un conto cointestato tra la CE.LO. e CA.RO., la documentazione in atti non permetterebbe in ogni caso di presumere che gli importi contenuti oggi nel conto n. (...) siano di PI.CA.. Alla luce di quanto sopra, questo giudice ritiene che CE.LO. non ha vinto la presunzione legale relativa alla cointestazione del conto nemmeno a livello presuntivo con la conseguenza che, non essendo in contestazione la circostanza del giroconto su conto familiare di tutte le somme presenti sul conto n. (...) da parte del PI.CA. per un totale di Euro 296.187,96, deve essere condannata alla restituzione del 50% di tale importo e cioè Euro 148.093,98 oltre interessi dalla data del 11.05.2012 (ultimo bonifico sul conto personale) al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate - in parziale difformità rispetto alle note spese depositate - nella misura di cui al dispositivo utilizzando i parametri di cui al Decreto del Ministero della giustizia del 10.3.2014 n. 55 come modificato dal Decreto del Ministero della giustizia del 8 Marzo 2018, n. 37, applicabile a tutte le liquidazioni successive alla sua entrata in vigore (27.04.2018) (scaglione da Euro 52.001 a Euro 260.000 scaglione medio per tutte le fasi in relazione all'attività processuale svolta e con maggiorazione del 10% come previsto da art. 4 co. 2 D.M. 55/2014 avendo gli attori stesse posizioni processuali ed avendo proposto le medesime domande). Pone, altresì, definitivamente le spese di CTU a carico di parte convenuta. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: - in via preliminare, dichiara inammissibile l'intervento di PI.CA.; - nel merito, accoglie la domanda di UM.ZE., ZE.SI. e ZE.AL. e per l'effetto condanna CE.LO. alla restituzione Euro 148.093,98 oltre interessi dal 11.05.2012 al saldo; - pone definitivamente le spese di CTU in capo a parte convenuta; - condanna CE.LO. a rifondere le spese processuali a UM.ZE., ZE.SI. e ZE.AL. che liquida in Euro 13.430,00 per compensi oltre maggiorazione del 10%, rimborso spese generali al 15%, Iva e Cpa, come per legge ed Euro 786 per esborsi. Così deciso in Varese il 27 febbraio 2020. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2020.

  • Tribunale Ordinario di Varese II SEZIONE CIVILE Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...), in proprio ed in qualità di rappresentante legale della società (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti (...), ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultima in Varese, come da procura in calce al ricorso RICORRENTE contro INPS, con l'avv. (...), elettivamente domiciliato in Varese RESISTENTE OGGETTO: contributi previdenziali Unione Europea All'udienza di discussione i procuratori delle parti concludevano come in atti. FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese in funzione di Giudice del Lavoro, depositato in Cancelleria in data 4.4.2014, (...), in proprio ed in qualità di rappresentante legale della società (...), ha convenuto in giudizio l'INPS formulando le conclusioni che di seguito si trascrivono: "Voglia il Tribunale adito, ogni diversa e contraria istanza, eccezione e domanda disattesa e respinta, in via principale dichiarare l'incompetenza dell'INPS a valutare la legittimità degli Al emessi dall'autorità spagnola in favore del personale distaccato dalla Società (...) presso il locale di Milano Malpensa Terminal 2 e, per l'effetto, annullare il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000 37 44 68/DDL del 18 novembre 2013 e il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000 37 44 60/DDL del 18 novembre 2013. In via subordinata: dichiarare la legittimità dei formulari A1 emessi dall'Autorità spagnola in favore del personale distaccato dalla Società (...) presso il locale di Milano Malpensa Terminal 2 e, per l'effetto, annullare il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000 37 44 68/DDL del 18 novembre 2013 e il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000 37 44 60/DDL del 18 novembre 2013. In via ulteriormente subordinata: nella denegata ipotesi in cui venga dichiarata l'illegittimità/invalidità dei formulari A1, dichiarare la sussistenza dell'obbligazione contributiva accertata dall'Inps solo a decorrere dal 18 aprile 2012 ovvero dal gennaio 2012 ed esclusivamente in merito al personale (°) rinvenuto dall'Inps presso il locale di Milano Malpensa Terminal 2 della società e previa valutazione, caso per caso, dei formulari A1 relativi al suddetto personale"; con vittoria di spese. L'INPS si costituiva ritualmente in giudizio, contestando la fondatezza delle pretese avversarie e chiedendone il rigetto. Ammessa l'istruttoria, mutato il giudicante in corso di causa, all'udienza del 13.11.2019 i procuratori delle parti discutevano oralmente la causa. Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, è fondato e va pertanto accolto. Dal ricorso e dalla documentazione versata in atti emerge quanto segue: - che in data 21 giugno 2013 gli agenti della Guardia di Finanza - Compagnia di Gallarate iniziavano a condurre una verifica generale per accertare la regolarità della situazione tributaria della società odierna ricorrente; - che a conclusione della predetta verifica gli agenti della GdF redigevano, in data 10 luglio 2013, un verbale di contestazione consegnato alla società in data 12 luglio 2013; - che nel predetto verbale veniva dato atto di una perquisizione condotta dagli agenti della GdF presso i locali di Milano Malpensa nel corso della quale veniva accertato quanto segue: la compagnia aerea provvedeva all'assunzione in Spagna di personale, anche italiano (...) Nel corso della richiamata attività di indagine è stata espletata una perquisizione locale presso il predetto ufficio di Malpensa rilevando quanto segue: a) la sussistenza di telefoni, fax e personal computer utilizzati dagli impiegati nonché dai piloti e personale di volo dipendenti dalla predetta compagnia aerea ed in servizio presso detta aerostazione per ricevere le disposizioni nonché comunicazioni varie dalla sede iberica; b) presenza di personale impiegato (un capo scalo e due impiegate stabilmente occupate in detto ufficio e nr. 1 pilota della compagnia aerea ivi presente per la ricezione direttive da sede iberica (...); c) rinvenimento della suddetta documentazione di natura prettamente gestionale: buste del volato dei mesi di marzo e aprile (fino al giorno 5 aprile 2013)- carta d'imbarco e/o lista passeggeri partenti -report dei voli anni 2011-2012 e parte del 2013 (...). In ordine alla documentazione rinvenuta sub. c) la parte riferiva che trattasi di "documentazione essenziale per permettere la partenza dei voli (peraltro obbligatoria per la normativa aeronautica) e non è certamente documentazione gestionale, come fatture, estratti conto, contratti, ricevute di pagamento, note per i managers (...)" (doc. 7 ricorrente); - che con il predetto verbale gli agenti della GdF acclaravano altresì che "da tale luogo il personale dipendente dislocato in Italia recepisce le direttive provenienti dalla sede di direzione sita in Palma di Maiorca e da qui tali indicazioni vengono direttamente attuate nell'ambito dell'attività operativa svolta nello scalo aeroportuale di Milano Malpensa; da tale luogo i piloti "scaricano i piani di volo e le informazioni necessarie per l'esecuzione ovvero svolgimento dei relativi voli" da qui prende servizio il personale di volo ed è qui che ritorna dopo lo svolgimento della propria attività; da tale luogo risulta impiegato personale con funzioni "operative" (...); in tali luoghi vengono prodotti conservati i documenti attinenti al volato del cargo" (doc. 7 ricorrente); - che in relazione al processo verbale di contestazione la ricorrente presentava le osservazioni di cui all'art. 12. 7° comma L. n. 212/2000, invitando l'Ufficio territoriale di Varese dell'Agenzia delle Entrate a valutare le predette prima dell'emissione di un eventuale avviso di accertamento (doc. 8 ricorrente); - che sulla base delle informazioni acquisite dalla GdF di Gallarate presso il locale della Società di Milano Malpensa, in data 11 aprile 2013 l'INPS avviava una procedura che si concludeva in data 18 novembre 2013 e a seguito della quale venivano emessi i verbali unici di accertamento e notificazione in questa sede opposti (doc. 9 ricorrente); - che con i suddetti verbali veniva contestato alla società ricorrente il mancato versamento in Italia dei contributi in favore dei dipendenti meglio indicati in atti; - che di conseguenza l'INPS contestava ad (...) inadempienze per il personale di terra per un totale di Euro 49.143,00 (sanzioni comprese) e per il personale di volo per un totale di Euro 148.022,00 (sanzioni comprese); - che in particolare l'INPS di Varese ha contestato ad (...), richiamando il principio della lex loci laboris, che i lavoratori occupati nel territorio di uno Stato membro devono essere soggetti alla legislazione di tale stato, ciò in quanto i dipendenti della società odierna ricorrente distaccati in Italia non sarebbero risultati iscritti al regime assicurativo dello Stato spagnolo da almeno trenta giorni prima dell'assunzione finalizzata al distacco, come previsto dalla Circolare INPS n. 83 del luglio 2010; - che di conseguenza risulterebbe irrilevante ai fini della fattispecie per cui è causa il rilascio dei modello Al da parte dell'Autorità spagnola; - che (...) possiede infatti una propria base operativa presso la sede dell'Aeroporto di Milano Malpensa; - che i lavoratori di (...) che operano su Malpensa risiedono e hanno sempre risieduto stabilmente in Italia; - che tali ultimi due elementi, unitamente al fatto che nei contratti di lavoro del personale distaccato è indicato il locale italiano nonché l'orario di lavoro del suddetto personale, dovevano indurre la società ad applicare le norme lavoristiche e previdenziali italiane; - che avverso il verbale di accertamento in questa sede opposta i ricorrenti in data 17 dicembre 2013 presentavano ricorso amministrativo innanzi al Comitato Regionale per i rapporti di lavoro della Direzione Regionale di Lavoro di Varese e all'INPS di Varese (doc. 10 ricorrente); - che con Delibera n. 56/2014 ricevuta da (...) in data 5 marzo 2014 il Comitato Regionale dichiarava la propria incompetenza a definire la questione (doc. 11 ricorrente). Tutto ciò premesso il ricorrente adiva l'intestato Tribunale formulando le conclusioni in epigrafe trascritte e contestando l'operato dell'istituto sotto diversi profili. In via preliminare, l'opponente ha invocato la legittimità dei formulari Al rilasciati dall'Autorità spagnola e versati in atti, ritenendo che gli stessi creino ""una presunzione di regolarità dell'iscrizione dei lavoratori distaccati a regime previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l'impresa che ha effettuato il distacco di tali lavoratori" e in quanto tali siano vincolanti "per l'organo competente dello Stato membro in cui quegli stessi lavoratori sono distaccati". Sulla base di questo assunto, infatti, l'opponente ha eccepito che l'INPS non avrebbe potuto procedere all'apertura di una posizione contributiva italiana per i lavoratori assunti con contratto di diritto spagnolo senza prima attivare i procedimenti previsti dalla normativa comunitaria per ottenere dalla competente autorità spagnola emittente la revoca ovvero l'annullamento delle predette certificazioni (vecchi modelli E101 oggi formulari A1). Nel merito, ha chiesto che venga riconosciuta la genuinità del distacco internazionale per cui è causa. Solo in via subordinata, il ricorrente ha chiesto che l'obbligo contributivo per cui è causa venga riconosciuto come sussistente solo a decorrere dal mese di aprile 2012. La causa è fondata con riguardo alla questione preliminare dedotta in ricorso. Con sentenza 10 febbraio 2000, procedimento C-202/97, la Corte di Giustizia ha affermato: "53. Ne consegue che il certificato E 101, in quanto crea una presunzione di regolarità dell'iscrizione dei lavoratori distaccati al regime previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l'impresa di collocamento temporaneo, è vincolante per l'ente competente dello Stato membro in cui gli stessi lavoratori sono distaccati. 54. La soluzione contraria potrebbe pregiudicare il principio dell'iscrizione dei lavoratori subordinati ad un unico regime previdenziale, come pure la prevedibilità del regime applicabile e, quindi, la certezza del diritto. Invero, in ipotesi in cui il regime applicabile fosse di difficile determinazione, ciascuno degli enti competenti dei due Stati membri interessati sarebbe portato a ritenere il proprio regime previdenziale applicabile ai lavoratori interessati, a detrimento di questi ultimi. 55. Pertanto, fintantoché il certificato E 101 non venga revocato o invalidato, l'ente competente dello Stato membro nel quale i lavoratori sono distaccati deve tener conto del fatto che questi ultimi sono già assoggettati alla normativa previdenziale dello Stato in cui l'impresa che li occupa ha sede e tale ente non può, di conseguenza, assoggettare i lavoratori di cui trattasi al proprio regime previdenziale. 56. All'ente competente dello Stato membro che ha rilasciato il detto certificato E 101 incombe tuttavia l'obbligo di riconsiderare la correttezza di tale rilascio e, eventualmente, revocare il certificato qualora l'ente competente dello Stato membro nel quale i lavoratori sono distaccati manifesti riserve in ordine all'esattezza dei fatti che sono alla base del detto certificato e, pertanto, delle indicazioni in essi figuranti, in particolare in quanto queste ultime non corrispondano ai requisiti di cui all'art. 14, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1408/71. 57 Nell'eventualità in cui gli enti previdenziali interessati non pervengano ad un accordo, in particolare sulla valutazione dei fatti specifici di una situazione concreta e, di conseguenza, in ordine alla questione se quest'ultima rientri nelle previsioni dell'art. 14, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1408/71, essi hanno facoltà di investire della questione la commissione amministrativa. 58. Ove quest'ultima non riesca a conciliare le diverse posizioni degli enti competenti in merito alla normativa applicabile al caso di specie, lo Stato membro nel cui territorio i lavoratori di cui trattasi sono distaccati ha quanto meno facoltà, senza pregiudizio degli eventuali rimedi giurisdizionali esistenti nello Stato membro a cui appartiene l'ente emittente, di promuovere un procedimento per dichiarazione d'inadempimento ai sensi dell'art. 170 del Trattato CE (divenuto art. 227 CE), al fine di consentire alla Corte di esaminare, nell'ambito di un tale ricorso, la questione della normativa applicabile ai detti lavoratori e, di conseguenza, l'esattezza delle indicazioni figuranti nel certificato E IGF". Il Regolamento (CE) n. 883/2004 del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, stabilisce all'art. 11, par 3, lett. a), che "una persona che esercita un'attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro". L'art. 12, co. 1, dispone poi che "la persona che esercita un'attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un'altra persona". Il Regolamento (CE) n. 987/2009 del 16 settembre 2009, in ordine alle modalità di applicazione del Regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, stabilisce all'art. 5, co. 1, che "i documenti rilasciati dall'istituzione di uno Stato membro che attestano la situazione di una persona ai fini dell'applicazione del regolamento di base e del regolamento di applicazione, nonché le certificazioni su cui si è basato il rilascio dei documenti, sono accettati dalle istituzioni degli altri Stati membri fintantoché essi non siano ritirati o dichiarati non validi dallo Stato membro in cui sono stati rilasciati". Il successivo comma secondo dispone che, "in caso di dubbio sulla validità del documento o sull'esattezza dei fatti su cui si basano le indicazioni che vi figurano, l'istituzione dello Stato membro che riceve il documento chiede all'istituzione emittente i chiarimenti necessari e, se del caso, il ritiro del documento. L'istituzione emittente riesamina i motivi che hanno determinato l'emissione del documento e, se necessario, procede al suo ritiro". Per il caso di "mancanza di accordo tra le istituzioni interessate", il comma quarto dell'art. 5 prevede che "la questione può essere sottoposta alla commissione amministrativa, per il tramite delle autorità competenti, non prima che sia trascorso un mese dalla data in cui l'istituzione che ha ricevuto il documento ha sottoposto la sua richiesta. La commissione amministrativa cerca una conciliazione dei punti di vista entro i sei mesi successivi alla data in cui la questione le è stata sottoposta". L'art. 5 Regolamento (CE) n. 987/2009 delinea, pertanto, l'iter procedurale che l'INPS avrebbe dovuto seguire ritenendo di dover concludere, alla luce degli accertamenti ispettivi effettuati, per la non genuinità dei rapporti formalizzati a mezzo di contratto di assunzione di diritto spagnolo e per la sussistenza dei presupposti per l'apertura di posizioni contributive italiane. Nel caso di specie va in primo luogo evidenziato che l'opponente ha prodotto in giudizio i formulari Al rilasciati da parte dell'Autorità spagnola competente con riguardo a tutti i lavoratori in relazione ai quali sono stati mossi gli addebiti per cui è causa, fatta eccezione per i soli dipendenti (...) (di nazionalità francese). Con riguardo alle posizioni dei predetti, tuttavia, sono stati regolarmente versati in atti il contratto di assunzione e rispettivamente la busta paga del mese di luglio 2010 per (...), la busta paga del mese di febbraio 2011 per (...) e quella del mese di settembre 2011 per (...). Sul punto, posto che nella fattispecie per cui è causa l'onere della prova ricade pacificamente sull'istituto resistente, va in ogni caso richiamato quanto dedotto dal ricorrente anche in sede di discussione - e si badi non specificamente contestato dall'istituto resistente - circa la possibilità per l'INPS di accedere alla documentazione in oggetto, quindi ai formulari A1 rilasciati ad (...) dalla competente Autorità spagnola, a mezzo banche dati comunitarie, al fine di verificarne l'effettiva emissione (a ben vedere con riguardo a tutti i lavoratori), condotta tuttavia non posta in essere dall'istituto. Ciò posto, esprimendo una valutazione complessiva, verificato l'effettivo rilascio dei formulari A1 per tutti i lavoratori attinti dai verbali ispettivi in questa sede opposti, rilevato altresì che per i tre dipendenti innanzi menzionati sono comunque stati prodotti i contratti di assunzione e le buste paga già richiamate, questo giudicante ritiene di poter presumere che anche per queste tre posizioni -formalizzate in Spagna - i modelli A1 fossero stati regolarmente emessi dalla competente Autorità spagnola. Ciò chiarito, va quindi richiamata la posizione dell'istituto resistente che, nel caso di specie, ha ritenuto di escludere che la presenza dei formulari A1 avrebbe potuto "inficiare" l'autonomo potere accertativo dell'INPS in ordine all'esistenza di inadempienze contributive poste in essere sul territorio italiano da società di altri Stati Membri che operano in Italia, affermando che la predetta certificazione non può comunque limitare il potere di cognizione del Giudice del Lavoro italiano in ordine all'accertamento di inadempienze contributive relativamente a lavoratori italiani, extracomunitari e comunitari che prestano attività lavorativa e vivono stabilmente in Italia per obbligo contrattuale. A tal fine, l'INPS ha prodotto la sentenza della Corte d'Appello Penale di Aix en Provence del 2 ottobre 2013, a mezzo della quale il Giudice Penale francese ha affermato che il rilascio da parte di uno Stato Membro ""dei certificati E101 (oggi formulari A1) non dimostra in maniera perentoria che i dipendenti rientrano nel sistema di sicurezza sociale (straniero), ma stabilisce semplicemente una presunzione per le autorità amministrative dello Stato membro in cui i dipendenti esercitano la loro attività. Tuttavia, tale presunzione non vincola il giudice penale francese che può respingerla se altri elementi di prova dimostrano l'esistenza di un reato". L'assunto dell'istituto resistente non può essere condiviso per i motivi di seguito esposti. Con riguardo alla giurisprudenza versata in atti dall'INPS, infatti, va evidenziata la sostanziale differenza tra la posizione del Giudice Penale e quella del Giudice del Lavoro dello Stato membro, posto che il Giudice nazionale del rapporto previdenziale è necessariamente vincolato dalle materie a competenza concorrente dell'Unione Europea, in cui rientra appunto quella di politica sociale. Diversamente, la potestà punitiva penale rientra nella competenza esclusiva di ogni singolo Stato Membro e, in quanto tale, non può in alcun modo vincolare il Giudice Penale con una normativa sovranazionale relativa alla competenza legislativa di un altro Stato. Per quanto concerne la fattispecie per cui è causa, occorre altresì richiamare la sentenza della CGE 6 febbraio 2018, causa C-359/16, in cui si è chiarito che "il certificato E 101, creando una presunzione di regolarità dell'iscrizione del lavoratore interessato al regime previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l'impresa presso cui questi lavora, è vincolante, in linea di principio, per l'istituzione competente dello Stato membro in cui tale lavoratore svolge l'attività lavorativa", precisando che, nell'ambito di un procedimento penale, "qualora l'istituzione dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati abbia investito l'istituzione che ha emesso certificati E 101 di una domanda di riesame e di revoca degli stessi, sulla scorta di elementi raccolti nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso che tali certificati sono stati ottenuti o invocati in modo fraudolento, e l'istituzione emittente non abbia tenuto conto di tali elementi ai fini del riesame della correttezza del rilascio dei suddetti certificati, il giudice nazionale può, nell'ambito di un procedimento promosso contro persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di tali certificati, ignorare questi ultimi se - sulla base di detti elementi e in osservanza delle garanzie inerenti al diritto a un equo processo che devono essere accordate a tali persone - constati l'esistenza di una tale frode", ciò in quanto, "Il principio di divieto della frode e dell'abuso di diritto, espresso da tale giurisprudenza, costituisce un principio generale del diritto dell'Unione che i soggetti dell'ordinamento sono tenuti a rispettare. L'applicazione della normativa dell'Unione non può, infatti, essere estesa sino a comprendere le operazioni effettuate allo scopo di beneficiare fraudolentemente o abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell'Unione". Tutto ciò argomentato, richiamato il principio della ragione più liquida, rilevato che nel caso di specie l'INPS - contrariamente a tutte le disposizioni normative innanzi richiamate - non ha esperito la procedura di dialogo e conciliazione più volte richiamata, in base alla quale avrebbe dovuto rivolgersi previamente all'Autorità spagnola per metterla in condizioni di valutare la correttezza dei formulari A1 rilasciati e - nel caso di mancato accordo - investire della questione la Commissione amministrativa comunitaria, e che a dispetto dei più volte menzionati formulari ha comunque provveduto ad addebitare agli opponenti la contribuzione omessa in Italia, non può che concludersi per l'illegittimità dell'operato dell'istituto e per l'infondatezza della pretesa contributiva portata dai verbali in questa sede opposti (Trib. Milano, sent. 27.10.2017, est. Colosimo). Ciò statuito, altrettanto destituita di fondamento risulta la doglianza dedotta dall'INPS secondo cui i formulari A1 rilasciati alla società opponente - non coprendo interamente tutti i periodi di lavoro prestati in Italia dai lavoratori ivi distaccati - non sarebbero in ogni caso idonei ad inficiare i poteri accertativi dell'istituto che hanno condotto all'emissione dei verbali in questa sede opposti. Sul punto, sia sufficiente rilevare che non vi è prova - in atti - del fatto che, sulla scorta di tale contestazione, l'istituto abbia provveduto a scorporare nei verbali solo i periodi temporalmente non coperti dai formulari più volte richiamati (il periodo addebitato ai fini della contribuzione non corrisposta, infatti, decorre dal mese di luglio 2010, ossia dal contratto di lavoro più vecchio sottoscritto dai dipendenti (...) e (...) - in atti). Per ciò solo, l'eccezione in esame va respinta. Di conseguenza, il ricorso è fondato e, per l'effetto, deve essere dichiarata l'infondatezza della pretesa creditoria azionata da INPS con il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000374468/DDL e con il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000374460/DDL entrambi del 18.11.2013, nulla essendo a tal titolo dovuto dalla parte ricorrente. Resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta. In punto di spese di lite, attesa la particolare complessità della questione esaminata, questo giudicante ritiene equo compensare integralmente le spese di lite fra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - accerta e dichiara l'infondatezza della pretesa creditoria azionata da INPS con il verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000374468/DDL e del verbale unico di accertamento e notificazione INPS n. 000374460/DDL entrambi del 18.11.2013, nulla essendo a tal titolo dovuto dall'opponente; - compensa integralmente le spese di lite fra le parti. Riserva il termine di 60 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza. Così deciso in Varese, il 13 novembre 2019. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Varese II SEZIONE CIVILE Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...) (CF:(...)) elettivamente domiciliata in Busto Arsizio (VA), PIAZZA (...), presso lo studio dell'avv. Ri.Cr. che la rappresenta e difende, come da procura a margine del ricorso RICORRENTE contro (...) (...)A. (P IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Varese, via (...), presso lo studio dell'avv. Ce.Bu. che, unitamente all'avv. Pa.Ga., la rappresentano e difendono, come da procura a margine della memoria RESISTENTE OGGETTO: riconoscimento qualifica superiore - differenze retributive FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 29.1.2015 (...) conveniva in giudizio (...) (...)A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, formulando le seguenti conclusioni: "(...) In principalità: 1. Accertare e dichiarare il diritto della signora (...) ad essere inquadrata nella categoria (...), posizione organizzativa 1, del C.C.N.L. Industria Chimica a fare tempo dal 1 giugno 2010 o da quella diversa data che sarà accertata in corso di causa; 2. Condannare di conseguenza la società convenuta a corrispondere in favore della ricorrente, a titolo di differenze retributive relative al periodo 1/6/2010 al 31/12/2014, la somma di Euro 14.339,11 lorde, ovvero la maggiore o minor somma accertanda in corso di causa, anche a mezzo eligenda c.t.u. In subordine, salvo gravame: 3. Accertare e dichiarare il diritto della signora (...) ad essere inquadrata nella categoria (...), posizione organizzativa 2, del C.C.N.L. Industria Chimica a far tempo dal 1 giugno 2010 o da quella diversa data che sarà accertata in corso di causa; 4. Condannare di conseguenza la società convenuta a corrispondere in favore della ricorrente, a titolo di differenze retributive relative al periodo 1/6/2010 al 31/12/2014, la somma di Euro 7576,91 ovvero la maggiore o minor somma accertanda in corso di causa, anche a mezzo eligenda c.t.u; in ogni caso: con rivalutazione monetaria e interessi legali dal sorgere dei singoli crediti al saldo"; con vittoria di spese da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Si costituiva ritualmente in giudizio s.p.a. (...) SRL, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, contestando in fatto e in diritto l'avversario ricorso; con vittoria di spese. La causa veniva istruita e, mutato il Giudicante, all'udienza del 24.9.2019 i procuratori venivano invitati alla discussione orale della causa. Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, è infondato e va pertanto rigettato. La ricorrente nel proprio atto introduttivo ha dedotto quanto segue: - che è stata assunta dalla resistente in data 1.4.2001, inquadrata come impiegata di categoria (...) C.C.N.L. Industria Chimica, reparto Ricerca e Sviluppo - Divisione lenti da sole; - che tuttavia dal mese di giugno 2010 ha svolto "mansioni decisamente differenti (e superiori) da quelle che dovrebbero competere ad una impiegata di categoria (...)"; - che con nota del 13 maggio 2010 la società comunicava una riorganizzazione dell'area Innovazione e Prodotto; - che a seguito della predetta riorganizzazione le veniva formalmente assegnato a far tempo dal 1 giugno 2010 il ruolo di "New Product R&D Manager Assistant"; - che, nello specifico, a decorrere dal mese di giugno 2010 ha svolto continuativamente le seguenti attività: "assistenza tecnica a clienti della convenuta o ad altri reparti aziendali, evasione richieste di nuovi prodotti, collaborazione alla predisposizione di nuove collezioni di lenti, esecuzioni di test di laboratorio, gestione archivi spedizioni, rapporti con laboratori esterni, svolgimento di attività di training prodotto ai nuovi assunti e ad altre funzioni aziendali, segreteria del responsabile del settore ricerca e sviluppo signora (...)"; - che con riferimento all'attività di Assistenza Tecnica ed ai Test di Laboratorio dal mese di giugno 2010 ha "tra l'altro svolto i seguenti compiti: messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo delle lenti; controllo delle letture tecniche di strumenti diversi; pesatura coloranti e preparazione bagni per le prove di colorazione delle lenti; esecuzione dei test di laboratorio descritti nella scheda allegata sub. doc. 7; redazione in lingua inglese dei c.d. Test Report ovverossia delle schede che riportano tutti i risultati dei test effettuati; predisposizione delle schede da inviare ai clienti in cui sono contenuti tutti i dati tecnici delle lenti; verifica di fattibilità per la produzione di nuove lenti non ugualmente in produzione da parte della convenuta; svolgimento di attività tecnica per la predisposizione della scheda tecnica delle lenti... quale, a titolo esemplificativo, le misurazioni dello spettrofotometro; verifica con controlli strumentali dei colori delle lenti richiesti dal cliente; partecipazione ad attività in gruppi di progetto (doc. 6)"; - che con riferimento alle richieste di nuovi prodotti si è occupata di punti "copia colori della concorrenza e o copia di colori già in uso da un materiale all'altro; studio di "curve colore" con performance specifiche (ad esempio per attività sportive); creazione-in collaborazione con altri reparti aziendali e laboratori esterni-di nuove forme di lenti o di nuove 'specchiature' "; - che si è occupata altresì "delle collezioni speciali di lenti colorate che vengono immesse sul mercato provvedendo a: individuare con altre funzioni aziendali i colori da inserire; verificare la fattibilità tecnica dei colori; verificare la disponibilità delle lenti da inserire nella nuova collezione; compilare la scheda tecnica riassuntiva della lente"; - che ha altresì svolto attività di "segreteria per conto della sua responsabile sig.ra (...) (ad esempio compilazione schede trasferta e rimborsi spese; tenuta agenda)"; - che "su indicazione e richiesta della sig.ra (...) ha collaborato con (e presso) laboratori esterni (quali (...)) per l'esecuzione di test non eseguibili in azienda"; - che si è altresì "occupata del c.d. Training Prodotto, ovverosia della presentazione e spiegazione ai lavoratori neoassunti dalla convenuta delle lenti da sole prodotte, illustrandone il processo produttivo, le caratteristiche principali..., le modalità di colorazione, indurimento, specchiatura", illustrando i più comuni test di laboratorio ed insegnando a leggere "le schede tecniche anche con riferimento alle principali normative internazionali"; - che "in piena autonomia ha altresì gestito i seguenti archivi del settore Ricerca e Sviluppo: l'archivio prodotti in entrata; archivio prodotti in uscita; archivio normative internazionali; archivio test Certottica (ente certificatore)"; - che si è inoltre "occupata delle spedizioni di competenza del reparto Ricerca e Sviluppo" dovendo verificare - con riferimento alle spedizioni presso i fornitori esterni di lenti in conto di lavorazione - "i preventivi, le tempistiche di lavoro nonché la corretta esecuzione dei lavori"; - che "allo svolgimento delle predette mansioni superiori" non ha peraltro fatto seguito l'attribuzione della relativa qualifica; - che le mansioni espletate, "stando alla classificazione esemplificata dall'art. 4 Classificazione del personale e dall'allegato 1 C.C.N.L. industria chimica applicato dalla convenuta, comportano l'inquadramento nella categoria (...) con un differente e migliore trattamento retributivo"; - che le richieste rivolte all'azienda al fine di vedersi riconosciuta l'attribuzione del miglior inquadramento sono rimaste senza riscontri. La ricorrente ha quindi adito l'intestato Tribunale per sentir accertare e dichiarare il proprio diritto a vedersi riconoscere il livello superiore in relazione alle ulteriori mansioni svolte a decorrere dal 1 giugno 2010 e per sentir condannare la resistente al pagamento in suo favore delle relative differenze retributive. Veniva quindi ammessa attività istruttoria e, mutato il Giudicante in corso di causa, all'udienza del 24.9.2019 le parti venivano invitate alla discussione orale. Nella fattispecie in esame è sin da ora opportuno richiamare l'orientamento ormai consolidato della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui "nel caso in cui un lavoratore chieda in giudizio il riconoscimento di una qualifica superiore a quella rivestita e il pagamento delle relative differenze retributive è necessario, al fine dell'adempimento degli oneri imposti dall'art. 414 numeri 3 e 4 cod. proc. civ., che specifichi le mansioni effettivamente svolte e la normativa collettiva applicabile; ne consegue che il ricorso del lavoratore non può limitarsi ad affermare solo lo svolgimento di mansioni corrispondenti a qualifica superiore ma deve indicare quali siano state di fatto le mansioni disimpegnate, al fine di consentire il giudizio di comparazione tra esse e quelle delineate dalla qualifica rivendicata" (Cass. Civ. n. 14088/2001). E ancora "il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica superiore ha l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto" (Cass. Civ. n. 8025/2003). Il vaglio della domanda de qua, infatti, è vincolato ad un preciso procedimento logico-giuridico che il giudice è tenuto a formulare, secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, ed è sindacabile in sede di legittimità a condizione, però, che la sentenza, con la quale il giudice di merito abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi, sia stata censurata dal ricorrente in ordine alla ritenuta mancanza di prova dell'attività dedotta a fondamento del richiesto accertamento" (Cass. Civ. n. 8589/2015). Inoltre, qualora si verifichi lo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni promiscue, ossia di mansioni corrispondenti a diversi livelli professionali previsti dal CCNL di settore, la qualifica da attribuire al dipendente deve essere determinata con esclusivo riferimento al contenuto delle mansioni prevalenti, ossia di quelle primarie che maggiormente caratterizzano il profilo professionale del prestatore di lavoro (cfr. ex plurimis Cass. Civ. n. 11785/2011; Cass. Civ. n. 6303/2011), purché non espletate in via occasionale. Ciò chiarito, in questa sede è altresì opportuno richiamare il CCNL di settore, che all'art. 4 (richiamando l'All. 1) prevede che i lavoratori siano inquadrati in un'unica scala classificatoria composta da sei categorie a decrescere (A, B, C, D, E, F) nell'ambito delle quali sono previste figure professionali con mansioni contrattualmente considerate equivalenti, distribuite su diverse posizioni organizzative (per quanto riguarda la categoria (...) si tratta delle PO D1, D2, D3). Il C.C.N.L., per quanto riguarda i criteri di attribuzione del corretto inquadramento, prevede quanto segue: "L'attribuzione del corretto inquadramento rispetto alla posizione di lavoro assegnata avviene attraverso: 1) l'analisi della posizione di lavoro e dei suoi contenuti professionali; 2) l'attribuzione dell'inquadramento alla posizione di lavoro attraverso l'esame della corrispondenza tra i contenuti professionali della posizione di lavoro e i contenuti delle declaratorie con l'ulteriore supporto delle figure professionali; 3) l'attribuzione dell'inquadramento al lavoratore correlata al grado di copertura della posizione di lavoro (grado di corrispondenza tra i requisiti richiesti dalla posizione di lavoro e quelli espressi dal lavoratore). Il lavoratore che abbia requisiti corrispondenti a quelli richiesti dalla posizione di lavoro riconducibili ad una figura professionale individuata dal C.C.N.L. dovrà avere l'inquadramento previsto dal C.C.N.L. per quella figura professionale. Per le figure professionali non individuati o aventi contenuti professionali diversi rispetto a quelli delle 187 figure professionali indicate nel presente articolo inquadramento è effettuato alternativamente utilizzando - le figure professionali previste dal presente articolo per analogia; - Figure professionali definite a livello aziendale". Con riguardo al caso di specie va quindi richiamato quanto previsto dal C.C.N.L. applicato per le categorie (...) (invocata dalla ricorrente) ed E (quella di appartenenza). : "Categoria (...) - declaratoria. Appartengono a questa categoria di posizioni di lavoro con la qualifica di impiegati, qualifiche speciali o operai che richiedono:-conoscenza specialistica, accompagnata da una elevata capacità di svolgere mansioni per le quali sono necessarie competenze specialistiche;esperienza in più specializzazioni tra loro collegate e tutte le loro applicazioni operative;autonomia operativa nell'ambito di metodi e procedure solo parzialmente definiti;-responsabilità degli ambiti di intervento;- eventuale... partecipazione ad attività di gruppo di progetto". Diversamente, l'inquadramento nella categoria (...) riguarda quei lavoratori che hanno una conoscenza "generalista accompagnata da una capacità ordinaria di svolgere mansioni per le quali sono necessarie competenze ed esperienza specifica" ed una autonomia esecutiva solo nell'ambito di metodi e procedure sostanzialmente definite. Ebbene, sulla scorta di quanto sin qui richiamato, emerge come le differenze tra le categorie (...) e (...) attengano in primo luogo al livello di conoscenza richiesto, che per la prima è sufficiente sia "generalistica", mentre per la seconda deve essere "specialistica, ossia approfondita in ambiti specialistici collegati"; in secondo luogo, la differenza concerne il tipo di capacità che deve possedere il lavoratore, che per la categoria di appartenenza della ricorrente deve essere "ordinaria" - ossia deve avere contenuti professionali concernenti una conoscenza appunto solo generalistica - mentre per la categoria (...) deve essere "elevata", proprio in relazione alle conoscenze specialistiche possedute dal lavoratore; in terzo luogo occorre richiamare l'ambito delle competenze richieste, che per quanto concerne la categoria (...) devono essere "riferite ad una sola specializzazione", mentre per la categoria (...) devono essere "specialistiche in più ambiti di specializzazione", parimenti a quanto concerne l'esperienza, che per la categoria (...) può limitarsi ad essere "un'esperienza specifica in una specializzazione", mentre per la categoria (...) "l'esperienza deve essere stata acquisita in più specializzazioni collegate". Sulla scorta dell'analisi sin qui condotta, va altresì richiamato il livello di autonomia richiesto al lavoratore, che per quanto attiene la categoria (...)deve essere esclusivamente di tipo "esecutivo" con riguardo a metodi e procedure assegnati al lavoratore e già definiti, mentre per quanto concerne la categoria (...) deve qualificarsi come operativo, cui deve seguire anche una facoltà di scelta per il lavoratore di mezzi ed obiettivi da raggiungere. In ultimo, va altresì richiamato il differente livello di responsabilità richiesto al lavoratore, in relazione al quale nella categoria (...) è sufficiente riguardi solo uno specifico ambito, mentre nella categoria (...) deve necessariamente riguardare più ambiti di intervento, proprio per la maggiore complessità delle mansioni svolte. Ciò premesso - quanto alla posizione organizzativa della categoria (...) invocata - la ricorrente chiede il riconoscimento della posizione D1 richiamando la figura 127 del CCNL per l'area Funzionale Ricerca e Sviluppo, ossia quella di "Operatore tecnico polivalente di ricerca" che svolge attività specialistiche complesse e variabili nel campo analitico e strumentale per il raggiungimento di risultati definiti (cfr. ricorso pag. 8). In subordine, la predetta invoca la posizione organizzativa D2 "che ricomprende, tra le altre, anche la figura professionale n. 138 "Assistente", ossia la lavoratrice "che conosce almeno una lingua estera e che impiega strumentazione informatica per la stesura di note, relazioni, corrispondenza e che organizza e gestisce archivi e tiene aggiornata l'agenda" (cfr. ricorso pag. 8). Ebbene, esaminando le risultanze probatorie emerse nel corso della lunga istruttoria espletata, ritiene questo giudicante che non possa ritenersi raggiunta la prova circa il diritto della lavoratrice ad essere inquadrata nella (superiore) categoria (...), posizione organizzativa 1, del C.C.N.L. Industria Chimica, né nella posizione organizzativa 2, invocata in subordine. Di seguito si riportano integralmente le dichiarazioni rese da tutti i testimoni escussi. Interrogata sui capitoli di prova ammessi, la teste di parte ricorrente (...), dipendente della resistente con qualifica di impiegata commerciale, ha dichiarato quanto segue: "Sui capitoli ammessi del ricorso, dice di aver lavorato con la ricorrente, la quale lavora presso l'ufficio ricerca e sviluppo della società. Ho avuto una serie di contatti di lavoro con la ricorrente. Sono dipendente dal 3.12.2001. Sul capitolo n. 8) Confermo che le attività svolte dalla ricorrente sono quelle indicate nel capitolo. Capitolo 9) Confermo che le attività svolte con riferimento all'assistenza tecnica e test di laboratorio sono quelle elencati in capitolo. Non so dire tuttavia delle attività più tecniche, quali la pesatura coloranti e la preparazione bagni per la colorazione delle lenti. Capitolo 10) confermo come da verifica personale. Capitolo 11) confermo. Capitolo 12) mi risulta l'attività di segreteria. Capitolo 13) E' vero. Capitolo 14) confermo. Capitolo 15) confermo. Capitolo 16) confermo. Sui capitoli di prova ammessi nella memoria difensiva. Capitolo 5a) non so dire. Capitolo 5b) non so. Capitolo 5c) non è vero che la ricorrente si è limitata ad inviare le schede ai clienti. Occorre leggere gli esiti dello spettrofotometro. Capitolo 5d) è vero. Capitolo 5e) vale quelle che ho detto prima. Capitolo 5f) è vero che (...) studia e sviluppa le curve colori. Per il resto non so dire. Capitolo 5g) non so. Capitolo 5h) non so. Capitolo 5i) vero. Capitolo 5l) vero. Capitolo 3g) confermo". Parimenti interrogata sui capitoli di prova ammessi, la teste comune (...), Product Development Manager presso la resistente, ha dichiarato quanto segue: "Capitolo 8) Confermo. Capitolo 9) Non mi risulta la messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo delle lenti; sui test report si limita a scrivere i risultati; per il resto confermo. ADR. Quanto al doc. 6 parte ricorrente, la (...) si è limitata ad inserire il dato e la fotografia di pag. 4 punto 4.1, oltre alla tabellina del punto 4.2. Il doc. 6 è un documento fatto in collaborazione con la ricorrente. Quanto ai docc. da 8 a 11 sono quasi integralmente prestampati e la ricorrente si è limitata a inserire le tabelline con i dati da lei elaborati, con qualche commento. Capitolo 10) Preciso che lo studio di curve colore è un'attività svolta da me e non dalla ricorrente. Così pure la creazione di nuove forme di lenti o specchiature è opera di lenti designer o di uno specialista interno per quanto concerne la specchiatura. La ricorrente si è limitata poi a portare le lenti al colorista. Capitolo 11) Per quanto concerne le collezioni speciali di lenti colorate, la ricorrente si è occupata solo di verificare se il colore prescelto dal marketing fosse già stato usato in precedenti collezioni. Nel caso di colore nuovo la ricorrente verificava la corrispondenza tra la lente inviata dal cliente o determinata dal marketing e la lente prodotta dai coloristi. Capitolo 12) E' vero. Capitolo 13) La ricorrente ha portato o spedito ai laboratori esterni per effettuare test non eseguibili in azienda. ADR. Non mi risulta che la ricorrente abbia personalmente effettuato test presso lavoratori terzi. Capitolo 14) Di regola sono io che mi occupo del training prodotto. In mia assenza ho delegato le varie illustrazioni alla signora (...). Capitolo 15) E' vero. Capitolo 16) La ricorrente si è occupata delle spedizioni. Non ha invece verificato i preventivi. Sui capitoli di prova ammessi della memoria difensiva dichiaro: Capitolo 5a) è vero. Capitolo 5b) è vero. Capitolo 5c) è vero. Capitolo 5d) è vero. Capitolo 5e) è vero. Capitolo 5f) è vero. Capitolo 5g) è vero. Capitolo 5h) è vero. Capitolo 5i) è vero. Capitolo 5l) è vero ADR. E' vero che è capitato che per la predisposizione della carta d'identità delle lenti mancassero dei dati e l'inserimento a computer degli elementi per ottenere tali dati sia stato digitato dalla ricorrente. Capitolo 4b) I test di cui al doc. 7 parte ricorrente sono effettuati anche dagli altri operatori (...) e (...) sotto il mio controllo. Ogni test ha la sua procedura nota a tutti gli operatori e di cui io controllo i risultati. ADR. Per quanto concerne l'inserimento dei risultati dei test effettuati nei report, a ciò provvedono (...), (...), (...), mentre tale inserimento non è curato da (...) e (...), anche se ultimamente essendo cambiato il metodo di lavoro hanno provveduto pure essi all'inserimento dei dati. I docc. da 7 a 11 di parte ricorrente sono predisposti al 90% ai fini di archiviazione e in qualche caso ai fini di condivisione con colleghi". Escussa sulle medesime circostanze, la teste comune (...), dipendente della resistente, ha reso le seguenti dichiarazioni: "Ho lavorato con la ricorrente. Capitolo 9) Con riferimento alle attività elencate, preciso che l'attività di messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo delle lenti fa riferimento a sistemi già utilizzati in azienda con procedure già seguite e che sono utilizzate da tutte le persone presenti in laboratorio. Non mi risulta negli anni in cui ha lavorato la ricorrente una modifica del sistema di misurazione delle lenti. Per quanto riguarda i docc. da 8 a 10 di parte ricorrente, essi sono dei prestampati in inglese con inserimento dei dati nelle tabelline. Laddove nei documenti. Laddove nei documenti è indicato come autrice (...), è lei che ha provveduto all'inserimento dei dati. Anche gli altri operatori di laboratorio effettuano tale inserimento di dati per i test che hanno condotto loro e il documento riporta come autore chi ha eseguito il test, ha raccolto il risultato e inserito il dato. Ricordo tra questi operatori (...), (...). I report del tipo docc. 8-10 parte ricorrente sono di solito predisposti ai fini di archiviazione. ADR. Il mio responsabile è il signor (...) in quanto io mi occupo più di aspetto tecnici. Capitolo 10) Le nuove forme di lenti e specchiature non sono oggetto di ricerca da parte del laboratorio. Da diversi anni sono io che mi occupo di copia colori, attività che forse prima di me ha svolto anche la (...). La parte di studio di curve colori è in carico alla responsabile (...). Capitolo 11) Di solito è il marketing che da l'indicazione dei colori da inserire. E' vero che presso il laboratorio si verifica la fattibilità tecnica dei colori, attività svolta anche dalla (...); quanto alla verifica della disponibilità delle lenti, è forse un'operazione da effettuare con il magazzino, mentre la compilazione della scheda tecnica riassuntiva della lente è attività svolta da tutti gli operatori del laboratorio. Capitolo 13) Non mi risulta che la ricorrente abbia eseguito dei test non effettuabili in azienda presso laboratori esterni. Capitolo 16) Non mi risulta che la ricorrente abbia verificato preventivi e tempistiche di lavoro con riguardo alle spedizioni presso esterni di lenti in conto lavorazione". Escussa sulle circostanze ammesse, la teste di parte ricorrente (...), dipendente della resistente presso il reparto di marketing, ha dichiarato quanto segue: "Conosco la ricorrente perché è una mia collega; non lavoriamo nello stesso ufficio ,ma capita spesso di svolgere insieme delle attività; ADR: lavoro dal giugno del 2011 per la resistente; "Sul cap. 8: confermo con riferimento alla decorrenza dal giugno 2011; sul cap. 9): confermo il capitolo , salvo l'attività di "messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo lenti"; sul cap. 10): confermo il primo punto; degli altri due e delle relative attività non sono a conoscenza; sul. cap. 11) : confermo; sul cap. 12): non lo so; sul cap. 13): confermo indirettamente, perché ho avuto questa informazione tramite la responsabile; sul cap 14): confermo; sono stata formata io stessa dalla ricorrente; sul cap. 15): per l'archivio prodotti in entrata, è stato gestito da lei coordinata dalla (...); non so dire l'ultima attività relativamente a Certottica; sul cap. 16): sicuramente aveva un contatto con i fornitori; per quanto riguarda i preventivi nulla ho sentito con riferimento alla ricorrente; nè sui preventivi né con riferimento alle relative tempistiche; confermo il contatto con i fornitori; Sentita sulla prova contraria: Sul 3 - a): confermo che il reparto si occupa di queste attività, ma non unicamente; si occupa anche di supportarci nell'attività di marketing anche per ricerca di nuove lenti; supporto tecnico anche all'ufficio marketing che poi è stata anche l'attività che svolgevo io con il laboratorio di ricerca e sviluppo; sul 3 b) - ho già risposto; sul cap. 3c): confermo che fa anche questo oltre al supporto di cui ho già detto; sul cap 3d): confermo; sul capo 3e): confermo l'utilizzo dello strumento; non so se sia facile usarlo io non ho avuto il relativo training sul 3g): confermo la struttura organizzativa; non so dire dei livelli; sul 4 a): sì, la ricorrente lavora nel laboratorio e si occupa delle attività tecniche esecutive; sull'attività di natura segretariale non so dire; sul cap. 4b): confermo; sul 4c): confermo; sul 4d): confermo; sul 4e): confermo; sul cap. 5a): nulla so con riferimento al nuovo sistema di misurazione; sul 5b): confermo; sul 5c): posso confermare il capitolo; si è limitata ad inviarle; anche perchè sono prodotte in automatico dalla misura dello spettrofotometro; sul 5d): non lo so; sul cap 5e): per attività tecnica si intende attività di supporto ufficio marketing e quello di svolgimento di test ripetitivi, che è la loro attività principale, per lo meno per quello che è stato il contatto da me avuto con la ricorrente; sul cap. 5f): confermo che gli studi di colore venivano fatti dalla (...); per la prima parte del capitolo non posso confermare; sul cap. 5g): non lo so; sul 5h): confermo la prima parte; non so se la ricorrente si sia mai recata personalmente in un laboratorio, non ho mai assistito a questa circostanza; sul cap. 5i): confermo; sul cap. 5l): non lo so". Orbene, dalla lettura dell'istruttoria innanzi integralmente riportata, emerge innanzitutto come la teste comune (...), dopo aver confermato che la ricorrente ha svolto le mansioni richiamate al capitolo 8 (cfr. parte in fatto), ha precisato che la stessa non si è mai occupata di mettere a punto nuovi metodi di verifica e controllo delle lenti e che, per quanto riguarda i test di report, si è limitata a trascriverne i risultati, parimenti a quanto ha fatto con riguardo al progetto di sviluppo Polarcoat Technology del 13.1.2014 ed ai test di New Product (docc. 6 e da 8 a 11 ricorrente) ("Non mi risulta la messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo delle lenti; sui test report si limita a scrivere i risultati; per il resto confermo. ADR. Quanto al doc. 6 parte ricorrente, la (...) si è limitata ad inserire il dato e la fotografia di pag. 4 punto 4.1, oltre alla tabellina del punto 4.2. Il doc. 6 è un documento fatto in collaborazione con la ricorrente Quanto ai docc. da 8 a 11 sono quasi integralmente prestampati e la ricorrente si è limitata a inserire le tabelline con i dati da lei elaborati, con qualche commento"). La stessa teste inoltre, con riguardo alle richieste di nuovi prodotti (cfr. cap. 10 parte ricorrente), ha espressamente chiarito che la ricorrente non ha mai condotto studi sulle curve di colore, di cui si occupa la teste stessa ("Capitolo 10) Preciso che lo studio di curve colore è un'attività svolta da me e non dalla ricorrente"), precisando altresì che "la creazione di nuove forme di lenti o specchiature è opera di lenti designer o di uno specialista interno per quanto concerne la specchiatura. La ricorrente si è limitata poi a portare le lenti al colorista". Inoltre, con riguardo al capitolo 11 del ricorso, ha dichiarato che la (...) aveva un ruolo sostanzialmente meramente esecutivo, essendosi la predetta "occupata solo di verificare se il colore prescelto dal marketing fosse già stato usato in precedenti collezioni. Nel caso di colore nuovo la ricorrente verificava la corrispondenza tra la lente inviata dal cliente o determinata dal marketing e la lente prodotta dai coloristi". Ciò chiarito la teste (...), pur avendo confermato anche lo svolgimento da parte della ricorrente di attività di segreteria proprio per suo conto, non ha confermato che la ricorrente ha personalmente effettuato test presso lavoratori terzi, precisando altresì di essere lei stessa ad occuparsi del "training prodotto" e di aver delegato alla lavoratrice le "varie illustrazioni" solo in sua assenza ("risulta che la ricorrente abbia personalmente effettuato test presso lavoratori terzi. Capitolo 14) Di regola sono io che mi occupo del training prodotto. In mia assenza ho delegato le varie illustrazioni alla signora (...)"). Inoltre, pur avendo la teste comune confermato che la (...) si è occupata di punti "copia colori della concorrenza e o copia di colori già in uso da un materiale all'altro; studio di "curve colore" con performance specifiche (ad esempio per attività sportive); creazione-in collaborazione con altri reparti aziendali e laboratori esterni-di nuove forme di lenti o di nuove 'specchiature' " (cap. 10 ricorso) e delle spedizioni, ha tuttavia precisato che la predetta "non ha invece verificato i preventivi". La teste (...) ha quindi confermato tutte le circostanze istruttorie di parte resistente, ossia che alla (...), con riguardo al nuovo sistema di misurazione, "è stato solo chiesto di fare i soliti teste con i nuovi programmi" al fine di verificare il funzionamento; che la ricorrente si è limitata ad eseguire prove di colorazione "sulla base di indicazioni datele dalla sua responsabile", che non ha personalmente predisposto le specifiche del prodotto, ma si è ancora una volta limitata ad inviarle ai clienti che ne facevano richiesta; che le schede tecniche vengono prodotte in automatico dalla misura dello spettrofotometro e che pertanto non vengono dalla ricorrente redatte; che le verifiche di fattibilità di produzione sono state svolte dal team di ingegneria su sola richiesta della ricorrente; che per quanto concerne le richieste di nuovi prodotti (cap. 10 del ricorso) il compito della (...) consiste esclusivamente nel portare le lenti lavorazione dai coloristi affinché ne riproducano altre uguali verificando con gli strumenti a disposizione se vi siano differenze tra le lenti; che per quanto concerne altresì le collezioni speciali di lenti colorate (cap. 11 del ricorso) la lavoratrice "provvede unicamente a predisporre le schede di richiesta al reparto di colorazione su indicazioni ricevute dall'ing. (...)" e da lei stessa; che la ricorrente ha effettivamente effettuato training di presentazione dei prodotti ai nuovi assunti, a volte sostituendo la dipendente (...); infine che la ricorrente "si è limitata a richiedere preventivi" su sua indicazione "cui comunque è riservata ogni valutazione (in alternativa l'ingegner (...)) circa la loro approvazione". Inoltre, con riguardo a specifiche domande, la teste ha chiarito che la ricorrente si limita a svolgere attività pressoché meramente esecutive e di inserimento dati (ADR. E' vero che è capitato che per la predisposizione della carta d'identità delle lenti mancassero dei dati e l'inserimento a computer degli elementi per ottenere tali dati sia stato digitato dalla ricorrente. Capitolo 4b) I test di cui al doc. 7 parte ricorrente sono effettuati anche dagli altri operatori (...) e (...) sotto il mio controllo. Ogni test ha la sua procedura nota a tutti gli operatori e di cui io controllo i risultati. ADR. Per quanto concerne l'inserimento dei risultati dei test effettuati nei report, a ciò provvedono (...), (...), (...), mentre tale inserimento non è curato da (...) e (...), anche se ultimamente essendo cambiato il metodo di lavoro hanno provveduto pure essi all'inserimento dei dati. I docc. da 7 a 11 di parte ricorrente sono predisposti al 90% ai fini di archiviazione e in qualche caso ai fini di condivisione con colleghi"). Va altresì rilevato che l'altra teste comune, (...), ha reso dichiarazioni sostanzialmente conformi, confermando in primo luogo lo svolgimento da parte della (...) delle attività di cui al cap. 9 del ricorso, precisando altresì che la predetta non si è occupata della redazione dei documenti New Product versati in atti dalla ricorrente (docc. da 8 a 10), essendosi limitata a svolgere una mera attività di inserimento dati ("Capitolo 9) Con riferimento alle attività elencate, preciso che l'attività di messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo delle lenti fa riferimento a sistemi già utilizzati in azienda con procedure già seguite e che sono utilizzate da tutte le persone presenti in laboratorio. Non mi risulta negli anni in cui ha lavorato la ricorrente una modifica del sistema di misurazione delle lenti. Per quanto riguarda i docc. da 8 a 10 di parte ricorrente, essi sono dei prestampati in inglese con inserimento dei dati nelle tabelline. Laddove nei documenti è indicato come autrice (...), è lei che ha provveduto all'inserimento dei dati. Anche gli altri operatori di laboratorio effettuano tale inserimento di dati per i test che hanno condotto loro e il documento riporta come autore chi ha eseguito il test, ha raccolto il risultato e inserito il dato. Ricordo tra questi operatori (...), (...). I report del tipo docc. 8-10 parte ricorrente sono di solito predisposti ai fini di archiviazione". La teste (...) ha altresì confermato che "la parte di studio di curve colori è in carico alla responsabile (...)" e che - per quanto concerne le collezioni speciali di lenti colorate (cap. 11 ricorso) - di solito è l'ufficio marketing a dare indicazione del colore, precisando che la compilazione della scheda tecnica riassuntiva della lente "è attività svolta da tutti gli operatori del laboratorio", trattandosi di una operazione ancora una volta meramente esecutiva che non richiede particolari capacità tecniche né conoscenze specifiche ("Di solito è il marketing che da l'indicazione dei colori da inserire. E' vero che presso il laboratorio si verifica la fattibilità tecnica dei colori, attività svolta anche dalla (...) ..."). Interrogata sui relativi capitoli istruttori, la teste (...) ha altresì negato che la (...) abbia eseguito test presso laboratori esterni o che abbia svolto una attività di verifica dei preventivi o di tempistiche di lavoro con riguardo alle spedizioni presso esterni di lenti in conto di lavorazione ("Capitolo 13) Non mi risulta che la ricorrente abbia eseguito dei test non effettuabili in azienda presso laboratori esterni. Capitolo 16) Non mi risulta che la ricorrente abbia verificato preventivi e tempistiche di lavoro con riguardo alle spedizioni presso esterni di lenti in conto lavorazione"). A questo punto occorre richiamare le dichiarazioni rese dalla teste di parte ricorrente (...), che ha potuto chiarire le circostanze ammesse solo a decorrere dal giugno 2011, mese in cui ha iniziato a prestare attività lavorativa alle dipendenze della resistente. La predetta teste ha in particolare confermato le attività svolte dalla (...) con riguardo ai capitoli istruttori 8 e 9, ad eccezione dell'attività di "messa a punto di nuovi metodi di verifica e controllo lenti", confermando altresì soltanto l'attività di copia colori della concorrenza e/o copia di colori già in uso da un materiale all'altro con riguardo al capitolo 10, precisando di non essere a conoscenza dello svolgimento delle altre attività menzionate nel predetto capitolo. Inoltre la teste (...), pur confermando il fatto che la ricorrente si è occupata delle collezioni speciali di lenti colorate (cap. 11 ricorso) e dell'attività di presentazione e spiegazioni ai lavoratori neoassunti delle lenti da sole prodotte (cap. 14 ricorso), ha tuttavia negato che la gestione dell'archivio - con particolare riferimento all'archivio in entrata - sia stata diretta in piena autonomia dalla (...) (cap. 15), precisando infatti che lo svolgimento di tale attività da parte della ricorrente è stato subordinato al coordinamento da parte della responsabile (...) ("Per l'archivio prodotti in entrata, è stato gestito da lei coordinata dalla (...)"). Va altresì evidenziato che la teste nulla è stata in grado di precisare con riguardo alla redazione dei preventivi da parte della ricorrente, ("Sul cap. 16): sicuramente aveva un contatto con i fornitori; per quanto riguarda i preventivi nulla ho sentito con riferimento alla ricorrente; nè sui preventivi né con riferimento alle relative tempistiche; confermo il contatto con i fornitori"), mentre, interrogata a prova contraria, ha confermato praticamente tutti i capitoli istruttori di parte resistente, chiarendo in primo luogo che i test che vengono svolti nel reparto R&D si traducono in prove ripetitive i cui "risultati vengono riportati su dei report, cioè dei format già predisposti, sui quali l'operatore deve inserire la tabella dei risultati con alcune frasi standard commento" (cap. 3d memoria). A specifica domanda, la teste ha altresì confermato che la (...) svolge "attività di tipo tecnico-esecutivo" (cap. 4a memoria) ("sul 4 a): sì, la ricorrente lavora nel laboratorio e si occupa delle attività tecniche esecutive;"); che "effettua i test ripetitivi indicati nell'avv. Doc. 7 sotto la supervisione ed il controllo della signora (...)" - test che vengono effettuati anche dagli altri due operatori di controllo (...) e (...) ed i cui risultati vengono dalla ricorrente inseriti nei report (cap. 4c memoria); che la ricorrente si occupa di tenere in ordine gli archivi delle prove da lei effettuate (cap. 4d memoria) e di inserire in tabelle excel dei dati tecnici presi da altri documenti (data entry) durante il lancio delle nuove collezioni". La teste pertanto, oltre a confermare lo svolgimento da parte della (...) di una mera attività di inserimento dati, ha altresì dichiarato che la predetta ha svolto attività meramente esecutive, sia con riguardo alle prove di colorazione - che sono state dalla predetta solte "sulla base di indicazioni datele dalla sua responsabile sig.ra (...)" (cap. 5b memoria) - sia con riguardo all'invio ai clienti delle specifiche di prodotto (della cui predisposizione non si è occupata), "anche perché sono prodotte in automatico dalla misura dello spettrofotometro". Inoltre la teste (...) - interrogata sui capp. 5e e 5f della memoria - ha precisato che "per attività tecnica si intende attività di supporto ufficio marketing e di svolgimento di test ripetitivi, che è la loro attività principale, per lo meno per quello che è stato il contatto da me avuto con la ricorrente", confermando ancora una volta che "gli studi di colore venivano fatti dalla (...)". In ultimo - coerentemente con quanto sin qui emerso - la teste ha dichiarato che la (...) si è unicamente limitata a chiedere a studi esterni preventivi ed a spedire tramite corriere i prodotti da testare, ma sempre "su richiesta della sig.ra (...)" (cap. 5h memoria). Ebbene, sulla scorta di quanto sin qui emerso, con particolare riguardo all'escussione delle due testimoni comuni e della teste di parte ricorrente (...) - che hanno reso dichiarazioni genuine, univoche, coerenti ed immuni da alcun tipo di contraddizione logica, fornendo altresì specificazioni sulle circostanze indipendentemente dalle domande loro formulate - si evince come per lo meno in via prevalente l'attività svolta dalla ricorrente sia riconducibile alla categoria (...) C.C.N.L. Industria Chimica. La (...), infatti, indipendentemente dalla qualifica di "(...)" assegnatale a seguito di riorganizzazione a far tempo dal 1 giugno 2010, ha continuato a svolgere attività meramente esecutive sotto la supervisione della sua responsabile (...) - quale è quella di inserimento dati - cui venivano affiancate l'attività di "training" per la presentazione dei prodotti ai nuovi assunti, a volte in sostituzione della dipendente (...), la richiesta di preventivi - ma anche in questo caso sempre su indicazione della responsabile (...), cui è sempre stata riservata ogni valutazione circa la relativa approvazione - l'attività di segreteria. Di conseguenza, l'autonomia di cui ha sempre disposto la (...) è sempre stata correlata ad aspetti meramente esecutivi, con riferimento a procedure standard e predefinite, senza che a tali attività fosse connesso alcun tipo di responsabilità superiore. Orbene, ritiene questo giudicante che la conformità e la coerenza delle dichiarazioni rese dalle due testimoni comuni alle parti ed altresì dalla testimone di parte ricorrente (...) non possa in alcun modo essere messa in dubbio dall'unica testimonianza parzialmente difforme - e comunque alquanto generica - resa dall'altra teste di parte ricorrente (...). Sul punto, va in primo luogo evidenziato che la predetta non lavora nello stesso reparto della (...) - con la quale infatti ha dichiarato di aver avuto solo "una serie di contatti di lavoro" - circostanza da cui consegue una conoscenza diretta sporadica e comunque parziale dell'attività lavorativa svolta quotidianamente dalla collega. La teste infatti, dopo aver confermato lo svolgimento da parte della ricorrente delle attività elencate al cap. 8 del ricorso, con riguardo alla domanda più specifica di cui al cap. 9 del ricorso ha dichiarato di non saper precisare con riguardo alle "attività più tecniche, quali la pesatura coloranti e la preparazione bagni per la colorazione delle lenti". Dalla lettura delle dichiarazioni rese, emerge altresì che la teste (...) - diversamente dalle altre testimoni interrogate - si è limitata a confermare genericamente i restanti capitoli istruttori di cui al ricorso, senza tuttavia aggiungere o precisare alcuna circostanza con riguardo ai fatti ivi contenuti. Inoltre, interrogata a prova contraria, in parte ha risposto confermando le circostanze contenute nei capitoli istruttori ammessi, in parte ha dichiarato di non essere a conoscenza dei fatti in esse richiamati. A conclusione dell'esame condotto, va altresì rilevato che la teste (...) è stata l'unica a sostenere che gli esiti delle schede tecniche debbano essere letti ed analizzati, avendo le altre tre testimoni dichiarato che le stesse sono prodotte "in automatico" dalla misura dello spettrofotometro e non richiedono alcuna attività ulteriore. Per ciò solo, tale dichiarazione non è di per sé sufficiente a smentire le risultanze probatorie acquisite sulla base dell'intera istruttoria espletata. Tutto ciò argomentato, ritiene questo giudicante che l'attività svolta dalla ricorrente non presenti le caratteristiche di conoscenza specialistica, di autonomia operativa nell'ambito di metodi e procedure solo parzialmente definiti e di relative responsabilità degli ambiti di intervento espressamente richiesti dalla declaratoria D del CCNL applicato in questa sede invocata dalla lavoratrice. Per ciò solo, la domanda svolta dalla ricorrente in via principale risulta infondata e, per l'effetto, deve essere respinta. Di conseguenza, resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta. Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - rigetta il ricorso; - condanna la ricorrente a rifondere alla resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.800,00 per compensi professionali oltre C.P.A., rimborso forfetario al 15% ed IVA se dovuta per legge. Così deciso in Varese il 24 settembre 2019. Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VARESE SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Renata Maria Barnabò ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2717/2014 promossa da: O.D. (C.F. X.), con il patrocinio dell'avv. C.F., elettivamente domiciliato X. VARESE presso il difensore parte attrice contro A. L. (C.F. X.), A. L. L. (C.F. X.), M. T. (C.F. X.), S. S. (C.F. X.), G. V. (C.F. X.) G. I. (C.F. X.), S. M. (C.F. X.), tutti con il patrocinio degli avv. M. G. (X.) B. C. Il 21100 VARESE; C. X.(X.) XXX B. C. Il 21100 VARESE; P. E. (X.) X. B. L. 2 2100 VARESE; elettivamente domiciliati presso il difensore parte convenuta sulle seguenti CONCLUSIONI Per parte attrice Piaccia al Tribunale Ill.mo, rigettata ogni contraria dichiarare illegittima ed arbitraria la installazione da parte dei convenuti della canna di esalazione fumi di cottura sulla facciata fronte strada orientata a sud del fabbricato condominiale sito in Varese, via X., e ciò per le motivazioni tutte diffusamente illustrate negli atti del processo. Conseguentemente condannare i convenuti, in solido fra loro, alla rimozione del manufatto in prefiggendo termine ed alla riduzione in pristino dei luoghi ad esclusiva loro cura e spese. Liquidare inoltre in favore del sig. D. ed a carico solidale dei convenuti, in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., un quid a titolo di risarcimento dei danni da egli subiti e subendi sino alla rimozione della canna di esalazione fumi e ciò per esser stati violati i suoi diritti di proprietario esclusivo e di condomino. Con vittoria di spese e compensi di causa. In via istruttoria ed in ragione delle osservazioni depositate il 12/7/16 ove l'attore ha evidenziato gli inemendabili vizi che affliggono quella già espletata, si chiede sin d'ora ammettere nuova CTU atta a fornire al G. una dettagliata descrizione della canna di esalazione di cui è causa, così come dell'uso al quale viene destinata dai convenuti, nonché a riferire se essa alteri o meno il decoro architettonico, le simmetrie dell'edificio e se la sua presenza sulla facciata condominiale sia imposta o meno da cogenti norme di legge. In ipotesi affermativa se la stessa sia o meno stata posata a regola d'arte, sia munita di idoneo titolo edilizio e rispetti tutti i requisiti di legge quanto ad altezza, dimensioni, sicurezza, etc. Dica da ultimo se ed in quale misura la canna fumaria di che trattasi riduca, ed in che misura, l'ampiezza delle vedute dell'appartamento del sig. D. e se rispetti o meno le distanze dalle stesse prescritte dalla legge. "Per parte convenuta: Voglia il Tribunale Ill.mo, disattesa ogni contraria istanza e richiesta di merito, anche nuova; disatteso inoltre se rinnovato e richiesto dall'attore il richiamo del CTU e/o il rinnovo della CTU, considerando le ragioni ed argomentazioni della memoria dei convenuti datata 28.09.2016 e le argomentazioni in atti, 1) In via preliminare e pregiudiziale: dichiarare la carenza di legittimazione passiva sostanziale e processuale dei Condomini convenuti essendo legittimato a resistere alle domande attoree tutte il Condominio C., in persona dell'Amministratore pro-tempore, con sede in Varese e domicilio c/o l'Amministratore Geom. P. L. con studio in Luvinate X. C. delle A. n. 2.2) Nel merito: respingere le domande attoree tutte perché infondate in fatto e diritto. 3) Con vittoria di spese e compensi di lite, e rimborso delle spese di CTU e CTP e applicazione dell'art. 96, 1 comma, c.p.c. con condanna dell'attore per aver agito con colpa grave. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. All'odierno giudizio è applicabile all'art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della legge 69/09. Con atto di citazione, del 4.6.2014, il signor O. D. - in qualità di proprietario di un'unità abitativa posta all'ultimo piano del Condominio C., sito in Varese, via X. - conveniva in giudizio i signori L. A. L., L. A., T. M., I. G., M. S., V. G. e S. S. anch'essi proprietari di unità abitative nel medesimo condominio. Nel proprio atto introduttivo, l'attore chiedeva dichiararsi l'illegittimità ed arbitrarietà dell'istallazione, da parte dei convenuti, di una canna di esalazione fumi di cottura sulla facciata fronte strada, sul lato sud dell'edificio condominiale. Chiedeva altresì, condannarsi i convenuti in solido tra loro, alla rimozione del manufatto e al ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni da lui subiti per violazione dei suoi diritti di proprietario esclusivo e di condomino. Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepivano, preliminarmente e pregiudizialmente la mancanza di legittimazione passiva sostanziale e processuale, dovendo e potendo resistere alle domande attoree solo il Condominio essendo stati i lavori di realizzazione della canna fumaria oggetto del giudizio, da esso commissionati. Nel merito chiedeva respingersi le domande attore perché infondate in fatto ed in diritto. Con ordinanza del 3.7.2015 il Giudice, sulla scorta delle istanze formulate dalle parti nelle autorizzate memorie istruttorie, ammetteva CTU tecnica volta ad accertare l'uso per il quale è stata apposta la canna fumaria e se la posa della stessa, in aderenza al muro della facciata condominiale, determinasse un apprezzabile alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell'edificio, delle sue singole parti o di elementi dotati di sostanziale autonomia, oltre ad una eventuale violazione delle distanze legali, se vi fosse una incidenza negativa sul decoro architettonico, l'estetica del fabbricato, se pregiudicasse la sicurezza, o se ledesse il diritto di uno o più condomini. La CTU doveva inoltre determinare se vi sia stata una riduzione del valore dell'intero edificio o di singoli appartamenti, valutare eventuali danni e verificare se fosse possibile un altro posizionamento per lo stesso uso, con quali interventi e quali costi. Per lo svolgimento della stessa veniva conferito l'incarico al geom. T. I., il quale prestava giuramento di rito all'udienza successiva tenutasi in data 25.9.2015. All'udienza del 20.11.2017, concessi i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e i replica, il Giudice ritenuta la causa sufficientemente istruita la tratteneva in decisione. Quanto all'eccezione preliminare e pregiudiziale sollevata dai convenuti si ritiene che la stessa sia fondata. L'art. 1131 c.c. dispone che "nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto". Di tal che si evince come l'amministratore abbia la rappresentanza, anche processuale, del Condominio. La rappresentanza passiva concerne tutte le controversie relative ai beni comuni nonché quelle reali. Dalla documentazione in atti oltre che dall'istruttoria è stato provato che l'istallazione della canna fumaria oggetto del giudizio, benché allo stato attuale in uso esclusivo ai convenuti, fu regolarmente autorizzata dall'assemblea condominiale come dimostrato dai verbali prodotti dai convenuti, tra cui quello dell'assemblea del 16.11.2011 delibera mai impugnata dall'attore - da cui emerge l'approvazione del preventivo sottoposto dalla ditta D. S.r.l. al Condominio, che i lavori furono commissionati dal Condominio C. e che allo stesso venne rilasciata la dichiarazione di conformità dell'impianto nonché le fatture di quanto pagato. Alla luce di queste premesse non possono sussistere dubbi circa il fatto che unico soggetto legittimato a resistere alle pretese attore sarebbe stato il Condominio, nella persona del suo amministratore pro tempore. La stessa Corte di Cassazione ha esplicitato che "in tema di condominio negli edifici, spetta all'amministratore la legittimazione passiva per qualunque azione abbia ad oggetto parti comuni dello stabile condominiale (Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 133 del 5 gennaio 2017). Nella medesima sentenza la Cassazione ebbe a chiarire inoltre che la vocazione generale della legittimazione passiva di cui all'art. 1131, co. 2, c.c. resta insensibile alla distinzione tra azione di accertamento, azioni costitutive e azioni di condanna, in quanto vale sempre la ratio legislatura di agevolare i terzi nella chiamata in giudizio del condominio, ovviando alle difficoltà pratiche di promuovere e preservare il litis consorzio passivo di tutti condomini, sicché, riguardo alla negatoria e confessoria servitus, la legittimazione passiva dell'amministratore sussiste anche nel caso in cui l'azione sia diretta a ottenere la condanna alla rimozione di opere comuni. Con tale arresto la Suprema Corte di Cassazione cristallizza pertanto il principio di diritto per cui "premessa la legittimazione passiva dell'amministratore per qualunque azione abbia ad oggetto parti comuni dello stabile condominiale, la individuazione della natura del bene controverso deve avvenire tenendo conto che l'articolo 1117 codice civile contiene elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un' oggettiva e concreta "o destinazione al servizio comune di tutto o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà o individuale", "in tema di azioni negatone e confessorie (servitutis) la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste tutte le volte in cui sorga controversia sull'esistenza e sulla estensione di servitù prediali - costituite a favore o a carico dello stabile condominiale nel suo complesso o di una parte di esso; invero, le servitù a vantaggio dell'intero edificio in condominio, contraddistinte dal fatto che l'utilitas da esse procurate accede allo intero stabile e non ai singoli appartamenti individualmente considerati, vengono esercitate indistintamente da tutti i condomini nel loro comune interesse, e, pertanto, pur appartenendo a costoro e non al condominio in quanto tale, posto che questo è privo di personalità giuridica, integrano un bene comune inerente alla sfera della rappresentanza processuale del suddetto amministratore, a norma del secondo comma dell'art. 1131 cod. civ." (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 novembre 2013 28 febbraio 2014, n. 4871 cfr. Cass. n. 6396 del 1984). Antecedentemente la medesima Corte ebbe a statuire che "in tema di risarcimento danni per l'esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poiché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell'amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l'amministratore M. pertanto accoglimento l'eccezione preliminare formulata dai convenuti. Pur ritenendo quanto sopra assorbente delle ulteriori questioni sul merito, si ritiene ad ogni modo opportuno specificare che, in ogni caso, l'esperita CTU ha permesso di accertare che l'istallazione della canna fumaria è avvenuta nel pieno rispetto delle regole. Nessuna violazione dell'art. 8 del Regolamento condominiale, in quanto l'opera per cui è causa è stata posta in essere non su iniziativa e ad opera di un singolo condomino, ma da più condomini sulla base di una delibera condominiale non impugnata. Il CTU ha altresì accertato che "le caratteristiche e la collocazione del manufatto in questione, non rappresentano una disarmonia rispetto allo stato preesistente dei luoghi, tale da modificare o pregiudicare le linee architettoniche e la semplicità degli elementi compositivi originari". Secondo il CTU, inoltre, non vengono pregiudicati i diritti dei condomini e "non si ravvisa un'alterazione della destinazione del muro e non vi è alcuna situazione di pregiudizio sulla sicurezza", o "La posizione della canna di esalazione (la cui dimensione è contenuta nella larghezza di un pilastro), non "o pregiudica la veduta panoramica dell'immobile dell'attore Le possibilità di passeggio e quindi di veduta e o affaccio possono essere esercitate da più punti. (.) La vista panoramica più importante, rimasta tale (.) si o esercita dalla parte di loggiato (o balcone) antistante I' uscita dal soggiorno". Si condivide pertanto quanto appurato dal CTU il quale ha accertato che l'opera per cui è causa non incide sulla proprietà individuale dell'attore e come conseguenza, secondo il CTU, è s re anche da respingere ogni lamentela sull'esistenza di un pregiudizio alla sicurezza del condominio ed alla diminuzione di valore dell'intero edificio o ai singoli appartamenti. D'altronde, ribadendo quanto già sottolineato con ordinanza del 3.7.2012015, si ritiene che C. in materia condominiale costituisce un'opera lecita l'installazione di una canna fumaria sulla facciata comune, consentita ai sensi dell'art. 1102 c.c. Per costante orientamento della giurisprudenza, infatti, l'appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale, integra una modifica della cosa che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l'altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell'edificio e non ne alteri il decoro architettonico. L'esecuzione di tale opera non costituisce innovazione ma una modifica lecita finalizzata all'uso migliore e più intenso previsto dall'art. 1102 c.c., conforme alla destinazione del muro perimetrale che ciascun condomino può legittimamente apportare a sue spese, se non impedisce agli altri condomini di farne un pari uso, dell'edificio e non ne alteri il decoro, cfr. Cass. n. 6341/2000 e Cass. n. 4936/2014. Per tutto quanto sopra, le domande dell'attore non meritano accoglimento. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate secondo i criteri in vigore del DM 55/2014, secondo lo scaglione di riferimento, quindi, come compenso 3.972, 00, oltre spese generali ed oneri fiscali, pone a carico di parte attrice il pagamento delle spese della CTU svolta in causa. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da D. O. contro L. A. L. L. A., T. M., I. G., M. S. V. G. E S. S. così provvede: 1. dichiara il difetto di legittimazione passiva dei convenuti; 2. rigetta le domande attoree; 3. condanna l'attore a rifondere le spese di lite sostenute dai convenuti che si liquidano in 3.972, 00 per compensi oltre spese generali ed oneri fiscali, oltre al rimborso delle spese della CTU come liquidata. Così deciso in Varese, il 21 settembre 2018. Depositata in Cancelleria il 21 settembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VARESE SECONDA SEZIONE CIVILE Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...) (CF:(...)) rappresentata e difesa dall'avv. Sa.So. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Ed.Gi. in Milano viale (...), come da procura a margine del ricorso RICORRENTE contro INPS, con l'avv.to Gr.Gu., elettivamente domiciliato in Varese, via (...) RESISTENTE e contro AGENZIA DELLE ENTRATE - RISCOSSIONE (già (...) SPA), con l'avv. Ba.Tu., elettivamente domiciliata presso la sede della Direzione Regionale Lombardia in Milano, Viale (...), giusta memoria datata 15.11.2017 RESISTENTE OGGETTO: OPPOSIZONE ESTRATTO DI RUOLO FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 11.11.2013, (...) ha convenuto in giudizio AGENZIA DELLE ENTRATE - RISCOSSIONE (già (...) SPA) ed INPS per sentir dichiarare "l'illegittimità della iscrizione a ruolo e la relativa richiesta di pagamento a favore dell'INPS e, per l'effetto, dichiarare non dovute le somme in essa indicate, oltre che di ogni altro atto connesso, preordinato e consequenziale"; con vittoria di spese da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Le resistenti si sono ritualmente costituite in giudizio contestando in fatto e in diritto l'avversario ricorso; con vittoria di spese. Attesa la natura meramente documentale della causa non veniva espletata attività istruttoria ed all'udienza del 30.1.2018, mutato il Giudicante, le parti presenti venivano invitate alla discussione orale. Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, è fondato e va per l'effetto accolto. L'assunto della ricorrente è che in data 3.10.2013 è venuta in possesso dell'estratto di ruolo in questa sede opposto "contenente la richiesta di pagamento della somma di Euro 48.565,84 in favore dell'INPS" relativa ad omissioni contributive mai notificatele prima a mezzo cartella esattoriale. La ricorrente ha lamentato quindi l'intervenuta prescrizione dei crediti contributivi, l'illegittimità dell'atto impugnato estratto per omessa notifica di provvedimenti presupposti, per intervenuta decadenza dall'iscrizione a ruolo, per violazione della L. n. 212 del 2000 e per violazione dell'art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973 in materia di notifica della cartella di pagamento. L'INPS, in sede di costituzione, produceva la copia dell'avviso di ricevimento della raccomandata relativo alla notifica della cartella di pagamento n. (...) destinata alla ricorrente e l'estratto conto cartelle di pagamento (...) che reca l'indicazione della avvenuta notifica della predetta cartella effettuata in data 8.2.2006 in (...) alla via (...). Ebbene, ritiene questo giudicante che la cartella esattoriale n. (...) non sia stata ritualmente notificata alla odierna ricorrente. Sul punto, va innanzitutto rilevato che - come risulta da certificato storico di residenza versato in atti ed acquisito in giudizio - la odierna opponente è stata residente in (...) alla via (...) sino al 31.10.2005 "data di emigrazione a Varese" (cfr. certificato di residenza storico in atti). Ebbene, dall'avviso di ricevimento della raccomandata relativo alla notifica della cartella esattoriale avvenuta in data 8.2.2006 risulta non solo che la predetta cartella è stata notificata al vecchio indirizzo di residenza della odierna opponente (ossia a (...), alla via (...)), ma anche che è stata ricevuta da soggetto diverso dal destinatario e non qualificato, non essendo stata individuata dall'ufficiale giudiziario la qualità del predetto soggetto ("familiare/convivente", "addetto alla casa ufficio o azienda", "portiere", ecc. - cfr. doc. 3 parte resistente INPS). La firma apposta in calce al predetto avviso di ricevimento è stata difatti ritualmente disconosciuta a verbale da parte opponente. Ciò posto - attesa l'invalidità della notifica della cartella esattoriale per cui è causa - va respinta l'eccezione di inammissibilità del presente ricorso formulata dalle parti resistenti nei rispettivi atti difensivi, rappresentando l'estratto di ruolo il primo atto con cui la ricorrente ha avuto effettiva conoscenza dell'avvenuta formazione di un titolo esecutivo nei suoi confronti (ossia della più volte richiamata cartella esattoriale). Sul punto, va difatti richiamato l'orientamento espresso dalle SU della Corte di Cassazione con sentenza n. 19704/2015, che ha analizzato proprio la ".... questione della ammissibilità della impugnazione della cartella invalidamente notificata (e conosciuta attraverso l'estratto di ruolo)...", quale è quella in oggetto. Sul punto, Le Sezioni Unite hanno difatti chiarito che "... 3. Escluso, sulla base di quanto si è fin qui esposto, l'interesse del richiedente ad impugnare il documento "estratto di ruolo", può ovviamente sussistere un interesse del medesimo ad impugnare il "contenuto" del documento stesso, ossia gli atti che nell'estratto di ruolo sono indicati e riportati. I suddetti atti (iscrizione del richiedente in uno specifico "ruolo" di un determinato ente impositore per un preciso "credito" di quest'ultimo; relativa cartella di pagamento fondata su detta iscrizione; notificazione della medesima - e del ruolo - al richiedente nella data indicata nell'estratto di ruolo ricevuto) risultano univocamente impugnabili per espressa previsione del combinato disposto dei già richiamati articoli 19, lett. d), e 21, primo comma D.Lgs. n. 546 citato. E ovviamente nessun problema in ordine alla impugnabilità dei medesimi si pone quando essi sono stati (validamente) notificati, sussistendo il diritto e l'onere dell'impugnazione con decorrenza dal momento della relativa notificazione (momento che per il ruolo e la cartella, come rilevato, è il medesimo ai sensi dell'art. 21 D.Lgs. n. 546 citato), mentre profili di problematicità potrebbero ravvisarsi nell'ipotesi - ricorrente nella specie- di impugnazione di cartella della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo e non attraverso (valida) notifica" (Cass. Civ. SU n. 19704/2015, in motivazione). Ebbene, l'ipotesi esaminata nell'arresto giurisprudenziale summenzionato concerne proprio la fattispecie in oggetto, in cui la contribuente ha avuto conoscenza della cartella esattoriale per cui è causa proprio a mezzo dell'estratto di ruolo di cui è, successivamente, entrata in possesso. Di conseguenza la presente opposizione - legittimamente presentata proprio per impugnare, seppur indirettamente, "il contenuto" del predetto estratto di ruolo, ossia la cartella esattoriale n. . (...) - è ammissibile. Ciò chiarito, richiamato altresì il principio della motivazione più liquida, il ricorso va accolto con riguardo all'eccezione di prescrizione dedotta in atti dalla ricorrente. Sul punto, si sono infatti espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno chiarito come "La scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del D.Lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della L. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che, dall'1gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del D.L. n. 78 del 2010, conv., con modif, dalla l n. 122 del 2010)" (Cass. Civ. SU n. 23397/2016). Ebbene, nel caso di specie va rilevato che le omissioni contributive contestate alla B. risalgono agli anni 2000, 2001, 2002, 2003 (cfr. verbale ispettivo e ricorso, pag. 2) e che fino al 2013 - anno in cui la ricorrente è entrata in possesso dell'estratto di ruolo - non è stato emesso alcun atto interruttivo del termine prescrizionale quinquennale applicabile al caso de quo. Per ciò solo, il credito contributivo per cui è causa risulta pacificamente prescritto e, per l'effetto, l'importo in oggetto deve dichiararsi non dovuto dalla ricorrente. Resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta. In punto di spese di lite - considerato che nelle more del giudizio sono intervenuti gli arresti delle Sezioni Unite innanzi richiamati con cui è stato risolto il contrasto giurisprudenziale concernente due questioni dirimenti nell'odierno giudizio - questo giudicante ritiene congruo disporne l'integrale compensazione. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - dichiara non dovuti dalla ricorrente gli importi di cui agli atti in questa sede impugnati; - compensa integralmente le spese di lite fra le parti. Così deciso in Varese il 30 gennaio 2018. Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VARESE SECONDA SEZIONE CIVILE Il Giudice di Varese Giorgiana Manzo quale Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa promossa da (...) (CF:(...)), elettivamente domiciliato in Varese alla via (...) presso lo studio dell'avv. Al.An., che lo rappresenta e difende, come da procura a margine del ricorso RICORRENTE contro INPS, con l'avv.to Grazia Guerra, elettivamente domiciliato in Varese, via (...) RESISTENTE e contro (...) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ma.Ci. e Gi.Pa. ed elettivamente domiciliata in Varese, Corso (...), presso lo studio dell'avv. Em.Lo., come da procura in calce alla memoria difensiva RESISTENTE OGGETTO: opposizione cartella esattoriale e intimazione di pagamento FATTO E DIRITTO Con ricorso al Tribunale di Varese, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 15.4.2015 (...) conveniva in giudizio INPS ed (...) SPA per sentir accogliere le seguenti conclusioni: " ... In via principale nel merito: Accertare e dichiarare la nullità, illegittimità, inefficacia della cartella esattoriale opposta e per l'effetto revocarla per i motivi indicati in premessa del presente ricorso e comunque dichiararla inefficace ed improduttiva di ogni effetto; in ogni caso: - dichiarare non dovute, in tutto o in parte, le somme portate nella cartella di pagamento per i motivi dedotti nel presente ricorso"; con vittoria di spese. Si costituivano ritualmente in giudizio INPS ed (...) SPA contestando in fatto ed in diritto l'avversario ricorso; con vittoria di spese. Attesa la natura meramente documentale della causa non veniva espletata attività istruttoria e, mutato il giudicante, all'udienza del 25.1.2018 i procuratori venivano invitati alla discussione orale. Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, è fondato e va pertanto accolto. Dal ricorso e dalla documentazione versata in atti si evince che in data 6.3.2015 veniva notificata al (...) l'intimazione di pagamento n. (...) in questa sede opposta (cfr. doc. 3 (...) SPA) relativa alla cartella esattoriale n. (...) notificatagli in data 3.5.2005 (cfr. doc. 2 (...) SPA) - parimenti opposta - avente ad oggetto contributi INPS omessi alla gestione artigiani per gli anni 1985, 1986 e 1987. Ciò premesso il ricorrente ha adito l'intestato Tribunale formulando le conclusioni in epigrafe trascritte eccependo l'avvenuto decorso del termine prescrizionale relativo al diritto a procedere all'esecuzione coattiva del credito successivo alla notifica del titolo esecutivo, ossia della cartella esattoriale; l'illegittimità della cartella esattoriale impugnata per "assoluta mancanza di motivazione"; la nullità della cartella esattoriale opposta "per mancanza delle indicazioni che pongano il contribuente nelle condizioni di poter effettuare ricorso avverso la cartella". Resistevano in giudizio INPS ed (...) S.P.A. Richiamato il principio della motivazione più liquida, la doglianza formulata dal ricorrente concernente l'intervenuta prescrizione dell'azione esecutiva rivolta al recupero del credito contributivo non opposto ai sensi dell'art. 24 comma 5 D.Lgs. n. 46 del 1999 è fondata e, per l'effetto, va accolta. Nel caso di specie, infatti, è pacifico in quanto documentale che al (...) sia stata notificata la cartella esattoriale in questa sede opposta in data 3.5.2005 e la relativa intimazione di pagamento in data 6.3.2015. Di conseguenza, risulta prescritto il termine quinquennale cui è soggetta l'azione esecutiva rivolta al recupero del credito contributivo per cui è causa, essendo trascorsi quasi dieci anni tra la data di notifica della cartella e quella di notifica dell'intimazione in questa sede impugnate. In punto di prescrizione, si sono difatti pronunciate le SU della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 23397/2016, con cui è stato enunciato il seguente principio di diritto: "E" di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti - comunque denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo ")" (Cass. Civ. SU n. 23397/2016, in motivazione). Ebbene, non essendo nel caso di specie stato emesso alcun titolo giudiziale divenuto definitivo con riguardo al credito contributivo sotteso all'intimazione di pagamento, il termine prescrizionale resta quello quinquennale. Per ciò solo, il ricorso va accolto. Per l'effetto, vanno dichiarate non dovute le somme portate dalla cartella esattoriale e dalla relativa intimazione di pagamento in questa sede impugnate essendosi prescritta l'azione esecutiva rivolta al recupero del credito contributivo in oggetto. Resta assorbita ogni ulteriore domanda formulata o contestazione dedotta. In punto di spese di lite, considerato che nelle more del giudizio è intervenuto l'arresto delle Sezioni Unite con cui è stato risolto il contrasto giurisprudenziale concernente la questione dirimente nella presente causa - ossia l'individuazione del termine prescrizionale applicabile al caso di specie - questo giudicante ritiene congruo disporne l'integrale compensazione. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: - dichiara non dovute le somme portate dalla cartella esattoriale e dalla relativa intimazione di pagamento impugnate; - compensa integralmente le spese di lite fra le parti. Così deciso in Varese il 25 gennaio 2018. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2018.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VARESE SEZIONE PRIMA CIVILE Li composizione monocratica nella persona del doti. Alberto Longobardi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di molo sopra npoitnro. promossa da: (...) - attori - CONTRO - convenuta - CON L'INTERVENTO DI - Interveniente volontario - CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori convenivano in giudizio (...) S.p.A. al fine di: ottenere l'accertamento di diversa impulsione dei pagamenti effettuati, alla sola quota capitale del piano di ammottamento; riformulare quindi, per la durala residua del contratto, le rate di pagamento del mutuo considerando le sole quote capitali ricontabilizzando i versamenti effettuati. A sostegno di tale domanda deduceva il superamento del tasso soglia ex art. 2 legge n. 108/1996. In ogni caso chiedevano, accertata la violazione dell'art. 117 TUB, la rideterminazione del tasso di interesse corrispettivo con sostituzione del tasso applicato con quello sostitutivo di cui all'art. 117 co. VII TUB, l'imputazione dei pagamenti effettuati al piano di ammortamento legale con riformulazione delle rate rimanenti oltre interessi valorizzando le somme anticipatamente versate con gli interessi legali sulle somme versate in eccesso tempo per tempo e la rivalutazione monetaria, rideterminando le rute di ripresa dei pagamenti ove il credito della banca non fosse completamente esaurito. Si costituiva ritualmente in giudizio (...) S.p.A., contestando quanto ex adverso dedotto e, in particolare, eccependo in via preliminare l'intervenuta prescrizione del diritto preteso ed evidenziando altresì come parte attrice avesse provveduto erroneamente all'individuazione del superamento del tasso soglia usurarlo attraverso la sommatoria, oltre a spese, commissioni, remunerazioni e penali su estinzione anticipata anche degli interessi corrispettivi con quelli di mora, contestando peraltro la prospettazione di calcoli del tutto ipotetici attesa la mancata applicazione nel caso di specie di penali e di interessi moratori; in ogni caso rilevava, in via gradata, che qualora fosse stato rilevato dal Tribunale il superamento del tasso soglia ne sarebbe conseguita la declaratoria di nullità della sola clausola relativa ai tassi d'interesse moratori e non già anche di quella concernente gli interessi corrispettivi. Con riferimento all'asserita indeterminatezza della clausola di determinazione del c.d. ISC contenuta nel contratto di mutuo rilevava, avuto riguardo al testo del contratto comprensivo degli allegati, in primo luogo che la banca si era limitata ad indicare il tasso mensile in quanto l'obbligo di determinazione dell'ISC venne introdotto solo con la delibera CICR del 2003; che peraltro non era ravvisabile alcuna discrasia tra il tasso effettivamente applicalo e quelli indicati in contratto. Con atto del 18 febbraio 2016 interveniva volontariamente nel presente giudizio (...) quale cessionaria del credito derivante dal contratto de quo, la quale svolgendo le medesime argomentazioni della convenuta, chiedeva il rigetto delle domande attoree. Venivano concessi i termini ex art. 183 co. VI c.p.c. Il giudice, con successiva ordinanza del 12 luglio 2016, rigettate le istanze istruttorie articolate, fissava udienza di discussione e precisazione delle conclusioni ex art. 281 sexies c.p.c. In via preliminare di merito occorre rilevare l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta e dall'interveniente. Ed invero a tal proposito occorre osservare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel contratto di mutuo il pagamento di ratei configura un'obbligazione unica, anche con riguardo agli interessi previsti (corrispettivi e moratori) ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell'ultima rata; pertanto la data di decorrenza della prescrizione (decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di obbligazione unitaria come tale non rientrante nella tipologia di cui all'art. 2948 n. 4 c.c.) deve essere individuata con riferimento alla scadenza dell'ultima rata del mutuo in questione e non prendendo in considerazione la data di stipula dei mutuo (cfr. in proposito Cass. n. 18951/2013, Cass. n. 17798/2011). Le domande articolate da parte attrice devono in ogni caso essere integralmente rigettate per le ragioni che seguono. In latti, seppure vero in astratto die a partire dalle Istruzioni della Banca di Italia dell'agosto 2009 tutte le spese escluse quelle per imposte e tasse debbano esseri calcolate tra gli oneri su base annua per la nuova formula ai fini del calcolo dei TEG, non è possibile, ad avviso di questo Tribunale, far ricorso alla sommatoria delle medesime con i tassi moratori ai fini del superamento del tasso soglia, per le ragioni che innanzi si esporranno. Infatti, l'aporia logica è identica a quella che si otterrebbe sommando tassi molatori e corrispettivi. Premesso, infatti, come l'attore mai abbia sostenuto come il tasso degli interessi corrispettivi concordato oltrepassasse il tasso soglia in materia di usura, la contestazione è stata innanzi tutto formulata pretendendo di sommare al tasso convenzionale pattuito per gli interessi corrispettivi a) la commissione per l'estinzione anticipata; b) le spese per insoluto; c) il tasso convenzionale stabilito per gli interessi muratori ed in tal modo, facendo richiamo ad alcuni precedenti giurisprudenziali, evidenziando come la sommatoria delle predette voci risultasse superiore al tasso soglia in materia di usura. Sennonché deve rilevarsi come la difesa attorea cada in un equivoco interpretativo, dal momento che non possa essere condivisa in alcun modo la protesa a sommare i due tassi di interesse, né degli interessi corrispettivi con le spese di commissione per estinzione anticipata e per insoluto al fine di verificarne la legittimi là o meno sul piano dell'usura, dovendosi limitare l'interprete ad operare un controllo de |f usurari età degli interessi non solo con riferimento agli interessi corrispettivi, ma anche per quelli moratori. In sostanza, quindi, entrambe le tipologie di interessi potenzialmente potrebbero risultare usurari e, ma ciò dovrà essere valutato singolarmente per ciascuna categoria di interessi, dal momento che. nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, questi si sostituiscono e non si aggiungono agii interessi corrispettivi. Anche là dove, come frequentemente avviene, le parti avessero determinato il tasso di interesse moratorio in una misura percentuale maggiorata rispetto al tasso dell'interesse corrispettivo, ciò assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della modalità espressiva adottata per la quantificazione del Lasso, ma non implica sul piano logico giuridico una sommatoria dell'interesse corrispettivo con quello moratorio, dato che quest'ultimo, sia pure determinato in termini di maggiorazione sull'interesse corrispettivo, comunque si sostituisce a quest'ultimo, in sostanza, quindi, un cumulo del tasso corrispettivo e del tasso di mora potrebbe rilevare non in riferimenti) a una teorica somma numerica di detti tassi da raffrontarsi coti il tasso soglia (come invece soste rutto dalla difesa attorca), ma al più con riferimento alla concreta somma degli effettivi interessi (corrispettivi e di mora) conteggiati a carico del mutuatario, al fine di verificare se il conteggio complessivo degli interessi applicato in seguito all'inadempimento del mutuatario e alla conseguente applicazione degli interessi di mora, sommati agli interessi corrispettivi, determini un importo complessivo a titolo di interessi che, rapportato alla quota capitale residua, componi in termini percentuali un superamento dei tasso soglia. Se, pertanto, deve escludersi la possibilità di procedere a una sommatoria dei tassi di interesse pattuiti, e, per le medesime ragioni illustrate, dei tassi pattuiti con le ulteriori voci di spesa, - non trascurato che si tratta (sia per gli interessi di mora che per gli ulteriori costi di voci con riguardo alla penale e alle spese per sollecito rate scadute) di costi del tutto ipotetici posto che non è nemmeno stato allegato l'inadempimento nel pagamento delle rate o l'attivazione della clausola di estinzione anticipata -, va ulteriormente precisato come allo stato non si possa neppure procedere a una valutazione del carattere usurarlo o meno degli interessi di mora mediante un lotti raffronto con il tasso soglia. In proposito, infatti, si deve rilevare come tanto la giurisprudenza di legittimità che la stessa Banca d'Italia siano sostanzialmente concordi nel ricordare come anche gli interessi moratori, al pari di quelli corrispettivi, debbano sottostare ai limiti derivanti dalla disciplina in materia di usura e, quindi, siano suscettibili di essere pattuiti in misura usurarla. Tale premessa si fonda su quanto ricordalo dal legislatore con il D.L. 394/2000, il quale, con riferimento alla disciplina in materia di usura, ha fatto esplicito riferimento agii interessi a qualunque titolo convenuti. Sebbene, quindi, profondamente differente sia la natura e la funzione degli interessi corrispettivi rispetto a quelli monitori. anche questi ultimi sono suscettibili di essere etichettati come usurari. Se tale principio non può che essere condiviso nella sua affermazione astratta, sicuramente più problematico diventa l'accertamento in concreto del carattere usurarlo, quando la verifica viene effettuata con riferimento agii interessi di mora. Il problema, infatti, nasce per il fatto che con la Legge 108/19% si è inteso "oggettivizzare" la nozione di usura, introducendo l'istituto del tasso soglia, in modo che, superando le difficoltà probatorie in precedenza riscontrate in materia, gli interessi dovessero essere riconosciuti come usurari per il solo fatto che fossero stati pattuiti in misura superiore al tasso soglia rilevato per la tipologia di contratto omogenea a quella tu verifica. Precisato ancora come il tasso soglia è stato determinato attraverso la rilevazione del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) praticato nel periodo per la specifica tipologia di contratto e, quindi, operando su di esso la maggiorazione prevista (inizialmente il 50%, dal 14.5.2011 il 25% maggiorato a sua volta di 4 punti percentuali e con il limite di una maggiorazione liliale rispetto al TEGM non superiore all'8%), deve osservarsi come le rilevazioni del TEGM vengano effettuate trimestralmente dalla Banca d'Italia secondo le indicazioni e le prescrizioni impartite dal Ministero delle Finanze. Ebbene, dette prescrizioni hanno sempre previsto e disposto che le rilevazioni statistiche fossero condotte con riferimento esclusivamente ai tassi corrispettivi, verosimilmente alla luce della maggiore omogeneità delle condizioni concordate sul mercato con riferimento a tali interessi, in considerazione della loro natura e funzione di retribuzione del denaro e, quindi, di prezzo corrisposto in relazione all'erogazione del credito. Al contrario, analoga rilevazione non viene richiesta con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale, in quanto destinata a operare solo in caso di inadempimento del mutuatario, nonché in ragione della funzione non corrispettiva, ma risarcitoria del danno derivante dall'inadempimento e, quindi, di una funzione che può pollare a quantificare la pattuizione in forza di variabili e di componenti estremante eterogenee e non strettamente e direttamente col legate al costo del denaro e all'erogazione del credito. Il fatto, quindi, che il TEGM, e conseguentemente il Tasso Soglia che dal primo dipende, siano determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle spese, commissioni e oneri accessori all'erogazione del credito), porta a concludere come non si possa pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il Tasso Soglia così determinato, al fino di accertare se i primi siano o meno usurari. Così operando, infatti, si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorie pattuito e il tasso soglia calcolato in forza di un TEGM che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi). In sostanza, quindi, quanto meno ad oggi una verifica in termini oggettivi dei carattere usurario degli interessi moratori risulta preclusa dalla mancanza di un termine di raffronto, ossia di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare, con l'effetto che la contestazione attorea riferita alla previsione in contratto di un tasso moratorie superiore al Tasso Soglia non possa essere risolta sic et simpliciter qualificando il primo come oggettivamente usurarlo. Né il problema potrebbe essere superato invocando la rilevazione condotta dalla Banca d'Italia nel 2001 con riferimento ai tassi di interesse moratori praticati sul mercato: l'Istituto di vigilanza bancaria, infatti, anche con la propria Circolare del 3.7,2013, ha fatto richiamo a tale rilevazione, ricordando come fosse stato verificato come in media gli interessi moratori fossero pattuiti in misura maggiorata di 2,1 punti percentuali rispetto ai tassi medi concordati per gli interessi corrispettivi. Sennonché detta rilevazione, oltre a essere "ufficiosa", in quanto condotta in assenza di una istruzione in tal senso disposta dal Ministero delle Finanze in attuazione a quanto dettato dalla Legge 108/19%, non solo non può considerarsi neppure scientificamente attendibile, non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l'acquisizione di dati a campione, ma soprattutto risale a oltre dieci anni fa, senza essere stata aggiornala e rivisitata trimestralmente, come invece preteso dal legislatore. In sostanza, quindi, anche la possibile soluzione di raffrontare il tasso degli interessi moratori con un tasso soglia specifico costruito con riferimento agli interessi di mora, se dal punto di vista logico matematico risulta sicuramente più condivisibile, non trova comunque giustificazione sul piano propriamente giuridico per il carattere "privato" del tasso di riferimento preso in esame per il raffronto. Deve, pertanto, concludersi che, sino a quando non verrà commissionata dal Ministero delle Finanze una rilevazione di un TIZGM specifico per gli interessi di mora, per questi ultimi non risulti possibile procedere a una qualificazione in termini "oggettivi" dell'interesse usurarlo, ferma restando la possibilità che tali interessi possano essere riconosciuti comunque come usurari in chiave soggettiva, ossia là dove, richiamando quanto dettalo dall'art. 644 c.p., si dimostri che detti interessi siano stati pattuiti in termini tali da creare una sproporzione delle prestazioni, con approfittamento delle condizioni di difficoltà economiche e finanziarie del debitore. Ad oggi, quindi, la premessa ricavabile dalla Legge 394/2000 e ribadita reiteratamente dalla giurisprudenza e dalla stessa Banca d'Italia circa la possibilità di sottoporre a un vaglio di usurarietà anche gli Interessi moratori, per forza di cose non può che essere circoscritta alla dimensione "soggettiva" dell'usura, così come ricavabile dalla disciplina penai istiga del l'istituto. La tesi sopra esposta, relativa all'impossibilità di raffrontare il tasso di interesse moratorio con il Tasso Soglia ai fini di verificarne l'usurarietà, oggi appare ulteriormente confortato dal D.L. 132/2014 convertito con la Legge 10.11.2014 n. 162, il quale ha introdotto un interesse legale di mora per le ipotesi in cui lo stesso non fosse stato oggetto di specifica pattuizione ad opera delle parti; tale interesse legale è stato parametrato con richiamo al tasso di interesse legale per le transazioni commerciali di cui al D.L.vo 231/2002, determinando in tal modo un tasso di interesse che per diverse tipologie contrattuali risulta essere superiore al Tasso Soglia trimestralmente rilevato dalla Banca d'Italia. Se, pertanto, si dovesse opinare per l'ammissibilità di un raffronto degli interessi moratori con il Tasso Soglia attualmente disponibile, arriveremmo alla conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile, per cui il tasso di interesse moratorio previsto dallo stesso legislatore risulterebbe usurano per una molteplicità di contratti, con l'effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore. Né potrebbe obiettarsi che in tale ultimo caso gli interessi così determinati non sono frutto di una pattuizione negoziale, ma sono imposti in via residuale dal legislatore, in quanto comunque si finirebbe con ammettere che un tasso di interesse, considerato massimamente lesivo, in quanto usurario, pur non modificandosi nei suoi contenuti sostanziali, diventi invece legittimo e conforme con gli interessi meritevoli di protezione per il solo fatto che. io difetto di pattuizione fra le parti - intervenga come sostitutivo su imposizione dello stesso legislatore. Peraltro la funzione degli interessi di mora, quale strumento risarcitorio del danno in misura predeterminata e forfetaria, ne consente una sostanziale assimilazione nel l'ambito delle obbligazioni pecuniarie all'istituto negoziale generale in materia di obbligazioni rappresentato dalla clausola penale, con la conseguenza che rimane astrattamente percorribile la possibilità per il debitore di avanzare istanza di riduzione ex art. 1384 c.c., prospettandone i presupposti di manifesta eccessività riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento (si confronti Cass. 23273/2010). In nessun caso gli interessi di mora possono considerarsi un corrispettivo, non costituendo un costo economico del finanziamento essendo destinati per lo più a rimanere dormienti e inapplicati, in caso di svolgimento lì si o logico del rapporto. Gli interessi di mora costituiscono una formi di liquidazione preventiva dei darmi cagionati all'istituto di credito dall'eventuale inadempimento del mutuatario, svolgendo altresì una funzione deterrente dell'inadempimento stesso, e hanno perciò natura di clausola penale, soggetta non già alla disciplina dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815 co. 2 c.c., bensi a quella dell'art. 1384 c.c. Nel caso di specie, tuttavia, in difetto di allegazione e prova alcuna in proposito, deve considerarsi preclusa l'applicazione ufficiosa dell'istituto da ultimo richiamato, con conseguente rigetto della domanda azionata con il presente giudizio. In secondo luogo, parte ricorrente ha dedotto l'usurarietà dei tassi di interessi con riferimento a scenari ipotetici nel caso di pagamenti effettuati con un ritardo di dieci giorni, con sommatoria del canone pattuito, delle spese insolute, degli interessi di mora e delle spese di recupero del credito. Con tali allegazioni parte ricorrente pare far riferimento ad una sorta di lasso effettivo di mora. Tale nozione effettua un'Inammissibile analogia con il concetto di tasso annuo effettivo globale (TAEG), senza tener conto che quest'ultimo parametro ha una logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e a tutti i costi ed oneri accessori all'erogazione del credito, dovendosi escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all'interesse moratorio, che non dipende dall'erogazione del denaro come somma capitale (per cui gli interessi sono frutti civili che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo dei godimento ehe altri ne abbia ex art. 820 comma 3 c.c.), quanto piuttosto dall'inadempimento del debitore rispetto all'obbligo restitutorio e di pagamento delle rate ex art. 1224 c.c. li concetto del tasso effettivo di mora è quindi in concreto inapplicabile in relazione alla diversa l'unzione e ratio degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori. (in tal senso cfr., Trib. Milano Sez. VI Civile sent. 13 giugno 2016 est. Fe. su (...)). Infatti, seppur è vero in astratto che a partire dalle istruzioni della fianca di Italia dell'agosto 2009 tutte le spese escluse quelle per imposte e tasse debbano essere calcolate tra gli oneri su base annua per la nuova formula ai fini del calcolo del TBG (ma non certo del tasso effettivo di mora), non è possibile, ad avviso di questo Tribunale, come già sopra sottolineato, far ricorso alla sommatoria delle medesime con i tassi moratori ai fini del superamento del tasso soglia, perché il ragionamento seguito per gli interessi corrispettivi non è ripetibile per gli interessi collegati alla mora del debitore. Peraltro, l'allegazione è in se generica ed inattendibile oltre che esplorativa, perché parte attrice non spiega quale sia stato il procedimento logico e di calcolo utilizzato per ottenere la percentuale risultante dal computo delle varie spese relative all'erogazione del finanziamento e come esse abbiano inciso sul computo di tale tasso effettivo di mora. L'allegazione risulta poi infondata, in quanto non ancorata a dati concreti ma subordinata al verificarsi di eventi del tutto futuri ed incerti ovvero del tutto ipotetici (l'esercizio della facoltà di estinzione anticipata dopo dicci giorni, la supposizione del pagamento con dieci giorni di ritardo quale condizione anomala) al momento della pattuizione e della promessa degli interessi, che segnerebbe per legge il momento consumativi dell'usura originaria. Coerentemente col generale criterio di riparto della prova ex art. 2697 c.c., è dunque onere dell'attore dimostrare che il concreto svolgimento del rapporto, abbia eventualmente determinato l'applicazione di penali c spese per inadempimento, con conseguente superamento del tasso - soglia quanto alla dazione di interessi, mentre in concreto tale onere probatorio non è stato soddisfatto. Sulle istanze istruttorie reiterate nelle conclusioni di parte attrice, il Tribunale ritiene di dover richiamare per brevità ed integralmente confermare l'ordinanza del GI del 12.07.2016, con le motivazioni ivi espresse, statuendo la inammissibilità della richiesta CTU contabile perché superflua ed esplorativa, specie in considerazione dell'infondatezza nel merito delle contestazioni di usura come sopra esposta. Parte attrice ha altresì dedotto la indeterminatezza per mancata pattuizione dell'ISC nell'ambito del contratto di mutuo in asserita violazione delle norme di trasparenza bancaria e segnatamente dell'art. 117 TUB. Il Tribunale rileva come l'eccezione predetta risulta nel merito infondata. Infatti, in primo luogo occorre chiarire, come correttamente rilevato dalla convenuta e dall'interveniente, che solo dal 2003, con la delibera CICR, è stato specificamente introdotto l'obbligo di espressa indicazione dell'ISC e che pertanto al momento della stipula del contratto de quo non sussistesse tale obbligo, Si rileva peraltro che non sussista indeterminatezza alcuna neppure con riguardo all'asserita discrasia tra il valore indicato del TAN annuale e quello effettivo applicato tenuto conto che trattasi di valori non comparabili; l'istituto di credito piuttosto ha provveduto correttamente ad individuare unicamente il tasso su base mensile essendo il riferimento all'ISC indicazione aggiuntiva che non incide sulla determinazione. Si rileva invece che, quanto al tasso mensile, il contratto indichi i criteri necessari per il relativo calcolo consentendo quindi per re lai io tieni l'esatta individuazione del valore. In questo senso, tali pattuizioni risultano conformi all'art. 117 TUB, secondo il quale "i contratti indicono il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credilo, gli eventuali maggiori, oneri in caso di mora", in sostanza il costo del mutuo in parola risulta sufficientemente determinato attraverso l'indicazione del Tasso mensile, e dei criteri di calcolo conformi alle disposizioni di vigilanza, e del relativo parametro finanziario di indicizzazione: ne consegue come sia infondata la contestazione di indeterminatezza per effetto di non meglio precisati scostamenti del tasso effettivo applicato dai lasso indicato, che lo si ribadisce è unicamente quello mensile con riguardo al tasso annuale nominale, valori entrambi non comparabili con il distinto parametro dell'ISC, legittimamente non espressamente individuato. Infine si rileva, ancorché gli attori non abbiano formulato apposita domanda sul punto limitandosi a mere allegazioni generiche nel corpo dell'atto, che nel contratto risulta altresì espressamente prevista la clausola di divieto di capitalizzazione periodica in relazione agli interessi moratori come previsto dalla delibera CICR del 2000. Le spese processuali seguono ex art. 91 c.p.c. la soccombenza - non potendosi procedere a compensazione delle spese alla luce della vigente disciplina applicabile ratione temporis atteso che non si ravvisa né soccombenza reciproca né assoluta novità delle questioni trattate né un mutamento della giurisprudenza sulle questioni oggetto di causa (semmai si registra la permanenza di orientamenti non uniformi riguardo le questioni trattate) - e vanno liquidate e quantificate come da dispositivo ai sensi del DM n. 55/14 con riferimento al valore della controversia, in applicazione dei valori minimi in ragione della non particolare complessità della controversia con maggiorazione del compenso ai sensi dell'art. 4 co. Il DM n. 55/2014, tenuto conto della prestazione difensiva prestata in favore di soggetti a veni i la medesima posizione processuale. P.Q.M. Il Tribunale di Varese ogni altra domanda, istanza, eccezione o deduzione rigettata o disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1) rigetta le domande proposte d agli attori; 2) condanna gli attori in solido alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta e parte interveniente, che si liquidano in Euro 9.354,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge. Così deciso in Varese il 29 novembre 2016. Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VARESE SEZIONE PRIMA CIVILE In composizione monocratica nella persona del dott. Alberto Longobardi, ha pronunciate la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: (...) - attori - CONTRO (...) - convenuta - CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori convenivano in giudizio In. S.p.A. al fine di ottenere in via principale la condanna dell'Istituto di credito convenuto alla restituzione dell'importo corrisposto a titolo di interessi pari ad Euro 110.082,81 alla data del 30.3.2015 o alla diversa somma da accertarsi all'esito dell'istruttoria oltre ai successivi importi eventualmente versati sino al pagamento; riformulare quindi, per la durata residua del contratto, le rate di pagamento del mutuo considerando le sole quote capitali. A sostegno di tale domanda deduceva il superamento del tasse soglia ex art. 2 legge n. 108/1996 In via subordinata chiedeva, accertata la violazione dell'art. 117 TL1B, la rideterminazione delle condizioni contrattuali con sostituzione del tasso applicato con quello sostitutivo di cui all'art. 117 co. VI) TUB, la restituzione delle maggiori somme corrisposte con riformulazione delle rate rimanenti oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo. Si costituiva ritualmente in giudizio In.Sa. S.p.A. contestando quanto ex adverso dedotto e, in particolare, evidenziando come parte attrice avesse provveduto erroneamente all'individuazione del superamento del tasso soglia usurario attraverso l'inclusione nel TEG degli interessi di mora ed in ogni caso avesse provveduto ad effettuare la sommatoria degli interessi corrispettivi con quelli di mora; in ogni caso rilevava, in via gradata, che qualora fosse stato accertato dal Tribunale il superamento del tasso soglia ne sarebbe conseguita la declaratoria di nullità della sola clausola relativa ai tassi d'interesse moratori e non già anche di quella concernente gli interessi corrispettivi; osservava peraltro che, ad ogni modo, nulla era dovuto in ripetizione atteso che gli attori non avevano mai corrisposto in ritardo le rate e che pertanto nessun tasso di mora era stato mai applicato. Con riferimento all'asserita indeterminatezza delle clausole contenute nel contratto di mutuo rilevava, avuto riguardo al testo del contratto comprensivo degli allegati, la determinatezza e specificità della regolamentazione pattizia. Venivano concessi i termini ex art. 183 co, VI c.p.c. Con la memoria ex art. 183 co. VI c.p.c. parte attrice precisava che, a sostegno della propria domanda principale, il calcolo per l'individuazione del superamento del tasso soglia veniva effettuato senza computare gli interessi corrispettivi ma solo gli interessi di mora e l'ulteriore voce della penale da risoluzione anticipata. Il giudice, con successiva ordinanza del 24 febbraio 2016, rigettate le Istanze istruttorie articolate, fissava udienza di discussione e precisazione delle conclusioni ex art. 281 sexies c.p.c. Le domande articolate da parte attrice devono essere integralmente rigettate per le ragioni che seguono. Rileva il Tribunale come parte attrice abbia ritenuto che vi sia stato il superamento del tasso soglia usura esistente nel trimestre di erogazione e stipula pari a 9,435% per i mutui a tasso variabile con garanzia reale sommando al tasso di mora pari al 9,450% altre voci imputabili pari a 1,50%. Dalle consulenza contabile di parte si desume poi che le ulteriori voci imputabili siano state individuate dagli attori nell'interesse previsto per la risoluzione anticipata. Infatti, seppur è vero in astratto che a partire dalle Istruzioni della Banca di Italia dell'agosto 2009 tutte le spese escluse quelle per imposte e tasse debbano essere calcolate tra gli oneri su base annua per la nuova formula ai fini del calcolo del TEG, non è possibile, ad avviso di questo Tribunale, far ricorso alla sommatoria delle medesime con i tassi moratori ai fini del superamento del tasso soglia, per le ragioni che innanzi si esporranno. Infatti, l'aporia logica è identica a quella che si otterrebbe sommando tassi moratori e corrispettivi. Premesso, infatti, come l'attrice mai abbia sostenuto come il tasso degli interessi corrispettivi concordato oltrepassasse il tasso soglia in materia di usura e che neppure tale incidenza delle spese ne determinasse il superamento, la contestazione è stata innanzitutto formulata pretendendo di sommare alla voce di spesa prevista per la penalità prevista in caso di risoluzione anticipata il tasso concordato per gli interessi moratori e in tal modo, facendo richiamo ad alcuni precedenti giurisprudenziali, evidenziando come la sommatoria risultasse superiore al tasso soglia in materia di usura. Sennonché deve rilevarsi come la difesa attorea cada in un equivoco interpretativo, dal momento che i precedenti giurisprudenziali invocati non sostengano in alcun modo la pretesa a sommare i due tassi di interesse e neppure le spese ai tassi di mora, al fine di verificarne la legittimità o meno sul piano dell'usura, ma si limitano a evidenziare come il controllo dell'usurarietà degli interessi debba operare non solo con riferimento agli interessi corrispettivi, ma anche per quelli moratori. In sostanza, quindi, entrambe le tipologie di interessi potenzialmente potrebbero risultare usurane, ma ciò dovrà essere valutato singolarmente per ciascuna categoria di interessi, dal momento che, nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, questi si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi. Anche là dove, come frequentemente avviene e come avvenuto anche nel caso in esame, le parti avessero determinalo il tasso di interesse moratorio in una misura percentuale maggiorata rispetto al tasso dell'interesse corrispettivo, ciò assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della modalità espressiva adottata per la quantificazione del tasso, ma non implica sul piano logico giuridico una sommatoria dell'interesse corrispettivo con quello moratorio. dato che quest'ultimo, sia pure determinato in termini di maggiorazione sull'interesse corrispettivo, comunque si sostituisce a quest'Ultimo. In sostanza, quindi, un cumulo del tasso corrispettivo e del tasso di mora potrebbe rilevare non in riferimento a una teorica somma numerica di detti tassi da raffrontarsi con il tasso soglia ma al più con riferimento alla concreta somma degli effettivi interessi (corrispettivi e di mora) conteggiati a carico del mutuatario, al fine di verificare se il conteggio complessivo degli interessi applicato in seguito all'inadempimento del mutuatario e alla conseguente applicazione degli interessi di mora, sommati agli interessi corrispettivi, determini un importo complessivo a titolo di interessi che, rapportato alla quota capitale residua, comporti in termini percentuali un superamento dei tesso soglia. Se, pertanto, deve escludersi la possibilità di procedere a una sommatoria dei tassi di interesse pattuiti e, per le medesime ragioni illustrate, dei tassi pattuiti con le ulteriori voci di spesa, va ulteriormente precisato come allo stato non si possa neppure procedere a una valutazione del carattere usurarlo o meno degli interessi di mora mediante un loro raffronto con il tasso soglia come preteso dagli attori. In proposito, infatti, si deve rilevare come tanto la giurisprudenza di legittimità che la stessa Banca d'Italia siano sostanzialmente concordi nel ricordare come anche gli interessi moratori, al pari di quelli corrispettivi, debbano sottostare ai limiti derivanti dalla disciplina in materia di usura e, quindi, siano suscettibili di essere pattuiti in misura usuraria. Tale premessa si fonda su quanto ricordato dal legislatore con il D.L. 394/2000, il quale, con riferimento alla disciplina in materia di usura, ha fatto esplicito riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti. Sebbene, quindi, profondamente differente sia la natura e la funzione degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori, anche questi ultimi sono suscettibili di essere etichettati come usurari. Se tale principio non può che essere condiviso nella sua affermazione astratta, sicuramente più problematico diventa l'accertamento in concreto del carattere usurarlo, quando la verifica viene effettuata con riferimento agli interessi di mora. Il problema, infatti, nasce per il fatto che con la Legge 108/1996 si è inteso "oggettivizzare" la nozione di usura, introducendo l'istituto del tasso soglia, in modo che, superando le difficoltà probatorie in precedenza riscontrate - in materia, gli interessi dovessero essere riconosciuti come usurari per il solo fatto che fossero stati pattuiti in misura superiore al tasso soglia rilevato per la tipologia di contratto omogenea a quella in verifica. Precisato ancora come il tasso soglia è stato determinato attraverso la rilevazione del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) praticato nel periodo per la specifica tipologia di contratto e, quindi, operando su di esso la maggiorazione prevista (inizialmente il 50%, dal 14.5.2011 il 25% maggiorato a sua volta di 4 punti percentuali e con il limite di una maggiorazione finale rispetto al TEGM non superiore all'8%), deve osservarsi come le rilevazioni del TEGM vengano effettuate trimestralmente dalla Banca d'Italia secondo le indicazioni e le prescrizioni impartite dal Ministero delle Finanze. Ebbene, dette prescrizioni hanno sempre previsto e disposto che le rilevazioni statistiche fossero condotte con riferimento esclusivamente ai tassi corrispettivi, verosimilmente alla luce della maggiore omogeneità delle condizioni concordate sul mercato con riferimento a tali interessi, in considerazione della loro natura e funzione di retribuzione del denaro e, quindi, di prezzo corrisposto in relazione all'erogazione del credito. Al contrario, analoga rilevazione non viene richiesta con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale, in quanto destinata a operare solo in caso di inadempimento del mutuatario, nonché in ragione della funzione non corrispettiva, ma risarcitoria del danno derivante dall'inadempimento e, quindi, di una funzione che può portare a quantificare la pattuizione in forza di variabili e di componenti estremante eterogenee e non strettamente e direttamente collegate al costo del denaro e all'erogazione del credito. Il fatto, quindi, che il TEGM, e conseguentemente il Tasso Soglia che dal primo dipende, siano determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle spese, commissioni e oneri accessori all'erogazione del credito), porta a concludere come non si possa pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il Tasso Soglia così determinato, al fine di accertare se i primi siano o meno usurari. Così operando, infatti, si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorie pattuito e il tasso soglia calcolato in forza di un TEGM che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi). In sostanza, quindi, quanto meno ad oggi una verifica in termini oggettivi del carattere usurario degli interessi moratori risulta preclusa dalla mancanza di un termine di raffronto, ossia di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare, con l'effetto della contestazione attorea riferita alla previsione in contratto di un tasso moratorio superiore al Tasso Soglia non possa essere risolta sic et simpliciter qualificando il primo come oggettivamente usurarlo. Né il problema potrebbe essere superato invocando la rilevazione condotta dalla Banca d'Italia nel 2001 con riferimento ai tassi di interesse moratori praticati sul mercato; l'Istituto di vigilanza bancaria, infatti, anche con la propria Circolare del 3.7.2013, ha fatto richiamo a tale rilevazione, ricordando come fosse stato verificato come in media gli interessi moratori fossero pattuiti in misura maggiorata di 2,1 punti percentuali rispetto ai tassi medi concordati per gli interessi corrispettivi. Sennonché detta rilevazione, oltre a essere "ufficiosa", in quanto condotta in assenza di una istruzione in tal senso disposta dal Ministero delle Finanze in attuazione a quanto dettato dalla Legge 108/1996, non solo non può considerarsi neppure scientificamente attendibile, non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l'acquisizione di dati a campione, ma soprattutto risale a oltre dieci anni fa, senza essere stata aggiornata e rivisitata trimestralmente, come invece preteso dal legislatore. In sostanza, quindi, anche la soluzione di raffrontare il tasso degli interessi moratori con un tasso soglia specifico costruito con riferimento agii interessi di mora, se dal punto di vista logico - matematico risulta sicuramente più condivisibile, non trova comunque giustificazione sul piano propriamente giuridico per il carattere "privato" del tasso di riferimento preso in esame per il raffronto. Deve, pertanto, concludersi che, sino a quando non verrà commissionata dal Ministero delle Finanze una rilevazione di un TEGM specifico per gli interessi di mora, per questi ultimi non risulti possibile procedere a una qualificazione in termini "oggettivi" dell'interesse usurario, ferma restando la possibilità che tali interessi possano essere riconosciuti comunque come usurari in chiave soggettiva, ossia là dove, richiamando quanto dettato dall'art. 644 c.p., si dimostri che detti interessi siano stati pattuiti in termini tali da creare una sproporzione delle prestazioni, con approfittamente delle condizioni di difficoltà economiche e finanziarie del debitore. Ad oggi, quindi, la premessa ricavabile dalla Legge 394/2000 e ribadita reiteratamente dalla giurisprudenza e dalla stessa Banca d'Italia circa la possibilità di sottoporre a un vaglio di usurarietà ancheggi) interessi moratori, per forza di cose non può che essere circoscritta alla dimensione "soggettiva" dell'usura, così come ricavabile dalla disciplina penalistica dell'istituto. La tesi sopra esposta, relativa all'impossibilità di raffrontare il tasso di interesse moratorio con il Tasso Soglia ai fini di verificarne l'usurarietà, oggi appare ulteriormente confortato dai D.L. 132/2014 convertito con la Legge 10.11.2014 n. 162, il quale ha introdotto un interesse legale di mora per le ipotesi in cui Io stesso non fosse stato oggetto di specifica pattuizione ad opera delle parti; tale interesse legale è stato parametrato con richiamo al tasso di interesse legale per le transazioni commerciali di cui al D.L.vo 231/2002, determinando in tal modo un tasso di interesse che per diverse tipologie contrattuali risulta essere superiore al Tasso Soglia trimestralmente rilevato dalla Banca d'Italia. Se, pertanto, si dovesse opinare per l'ammissibilità di un raffronto degli interessi moratori con il Tasso Soglia attualmente disponibile, arriveremmo alla conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile, per cui il tasso di interesse moratorie previsto dallo stesso legislatore risulterebbe usurarlo per una molteplicità di contratti, con l'effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore. Nò potrebbe obiettarsi che in tale ultimo caso gli interessi così determinati non sono frutto di una pattuizione negoziale, ma sono imposti in via residuale dal legislatore, in quanto comunque si finirebbe con ammettere che un tasso di interesse, considerato massimamente lesivo, in quanto usurario, pur non modificandosi nei suoi contenuti sostanziali, diventi invece legittimo e conforme con gli interessi meritevoli di protezione per il solo fatto che, in difetto di pattuizione fra le parti, intervenga come sostitutivo su imposizione dello stesso legislatore. Peraltro la funzione degli interessi di mora, quale strumento risarcitorio del danno in misura predeterminata e forfetaria, ne consente una sostanziale assimilazione nell'ambito delle obbligazioni pecuniarie all'istituto negoziale generale in materia di obbligazioni rappresentato dalla clausola penale, con la conseguenza che rimane astrattamente percorribile la possibilità per il debitore di avanzare istanza di riduzione ex art. 1384 c.c., prospettandone i presupposti di manifesta eccessività riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento (si confronti Cass. 23273/2010). Nel caso di specie, tuttavia, in difetto di allegazione alcuna in proposito, deve considerarsi preclusa l'applicazione ufficiosa dell'istituto da ultimo richiamato, con conseguente rigetto della domanda azionata con il presente giudizio. In ogni caso, le deduzioni di parte attrice si pongono in contrasto con le istruzioni e le formule di Banca d'Italia, che hanno la natura sul punto di norme tecniche autorizzate, e, pertanto, la CTU contabile richiesta si palesa inammissibile in quanto superflua ai fini della decisione oltre che esplorativa. Peraltro, parte attrice ha altresì dedotto la indeterminatezza e mancata pattuizione dei tassi di interesse nell'ambito del contratto di mutuo in asserita violazione delle norme di trasparenza bancaria e segnatamente dell'art. 117 TUB. Il Tribunale rileva come l'eccezione predetta sia rimasta in gran parte generica e non abbia consentito sul punto l'esplicazione di un pieno contraddittorio di controparte; ila stessa contestazione, inoltre, risulta nel merito infondata. Infatti, deve rilevarsi che tutti i tassi debitori e creditori sia corrispettivi che di mora, le spese e le commissioni sono stati sufficientemente determinati e quantificati nel contratto di mutuo, ciò emergendo icto oculi dall'esame dei moduli contrattuali (cfr. contratto di mutuo e relativi allegati prodotto sub doc. 2 fascicolo parte attrice e doc. 1 fascicolo parte convenuta: in particolare gli arti 5,6 contratto e art. 5 condizioni generali di contratto (relativo alla determinazione degli interessi) e 4,15 condizioni generali di contratto (relativo alla determinazione delle spese). In questo senso, tali pattuizioni risultano conformi all'art. 117 TUB, secondo il quale "i contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora". Le spese processuali seguono ex art. 91 c.p.c. la soccombenza - non putendosi procedere a compensazione delle spese alla luce della vigente disciplina applicabile ratione temporis atteso che non si ravvisa né soccombenza reciproca né assoluta novità delle questioni trattate né un mutamento della giurisprudenza sulle questioni oggetto di causa (semmai si registra la permanenza di orientamenti non uniformi riguardo le questioni trattate) - e vanno liquidate e quantificate come da dispositivo ai sensi del DM n. 55/14 con riferimento al valore della controversia, ed in applicazione dei valori minimi in ragione della non particolare complessità della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Varese ogni altra domanda, istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1) rigetta la domanda proposta dagli attori nei confronti della convenuta; 2) condanna gli attori in solido alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, che si liquidano in Euro (...) per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge. Così deciso in Varese il 26 aprile 2016. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VARESE PRIMA SEZIONE CIVILE Fatto All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della legge 69/09, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). In data 11 giugno 2007, la R. veniva sottoposta ad intervento chirurgico presso I'Istituto ... (d'ora in avanti: Fondazione); intervento che veniva eseguito dal dr. G per porre rimedio ad un dismorfismo nasale diagnosticato sulla sua persona della paziente (patologia bisognosa di correzione chirurgica). Successivamente all'operazione, l'attrice accusava sintomi che la costringevano a rivolgersi nuovamente a struttura sanitaria (il ... di ...) dove veniva diagnosticata una tubarite con deviazione del setto nasale, giusta la quale veniva eseguita una tac massiccio facciale che evidenziava effettivamente una "marcata deviazione", in uno con altri rilievi negativi per la salute, bisognosi di trattamento terapeutico. In conseguenza degli esiti riscontrati sulla sua persona, la paziente prospettava l'inadempimento dei sanitari intervenuti, avendo riportato postumi permanenti pari al 5%, in conseguenza dell'operazione eseguita (che lo specialista dr. (...) - incaricato dalla stessa attrice - qualificava in termini di "rino-plastica": v. doc. 6). Presentava la citazione introduttiva del giudizio richiedendo l'accertamento della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dei convenuti, con conseguente condanna degli stessi alla somma risarcitoria di Euro 12.344,81 (danno biologico, danno morale, danno patrimoniale pari ad Euro 3.851,81 per spese sostenute). L'udienza di prima comparizione veniva tenuta in data 24 aprile 2009 e, rilevata la nullità della citazione, ne veniva disposta la rinnovazione (attesa la intervenuta violazione dell'art. 163-bis c.p.c.). All'udienza del 9 dicembre 2009, instaurato il contraddittorio, le parti richiedevano i termini ex art. 183 comma VI c.p.c. che venivano concessi dal giudice con ordinanza emessa in pari data. Il dott. G. si costituiva, nelle more, in Cancelleria, in data 19 novembre 2009 confermando che, in data 11 giugno 2007, l'attrice era stata sottoposta ad intervento correttivo di dismorfismo nasale, presso la Fondazione, per mano dello stesso G. in sala operatoria. Contestava l'addebito di responsabilità valorizzando, in particolar modo, la natura dell'intervento, di tipo estetico e non funzionale. La Fondazione, si costituiva in data 12 novembre 2009 ed eccepiva che l'intervento era stato concordato dalla paziente direttamente con il dr. G. in piena autonomia ed al di fuori della clinica la quale, infatti, era stata scelta dal professionista medico e non dall'attrice. Riferiva pure che non sussisteva alcun rapporto tra la clinica e il medico che, infatti, aveva anche scelto i collaboratori che lo avevano assistito nell'intervento. Valorizzava, a sostegno della propria estraneità ai fatti, il fatto che la paziente aveva pagato direttamente al medico il suo onorario. Con ordinanza del 16 aprile 2010, veniva disposta indagine peritale, per l'esecuzione della quale, veniva nominata (dopo alcune nomina non andate a buon fine), in data 28 gennaio 2011, la dr.ssa B., specialista in otorinolaringoiatria e fonoiatria, con studio in Milano. Il CTU prestava il giuramento ex art. 193 c.p.c. in data 25 marzo 2011. All'udienza del 6 luglio 2012, le parti venivano invitate a precisare le conclusioni. Diritto Preliminarmente vanno disattese le richieste istruttorie riproposte dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni: la consulenza tecnica, i documenti versati in atti ed il principio di non contestazione, escludono la rilevanza delle prove orali articolate dai litiganti. Quanto all'ultimo elemento valutativo considerato, giova ricordare che la non contestazione costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e deve, perciò, ritenere la circostanza in questione sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo in concreto spiegato espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti (Cass. civ., sez. VI, ordinanza 21 agosto 2012 n. 14594, Pres. Goldoni, est. Giusti). Trattasi di principio oggi scolpito nell'art. 115 c.p.c. ma già vigente nell'Ordinamento prima ancora delle modifiche introdotte dalla Legge 18 giugno 2009 n. 69: ecco perché, d'altronde, la giurisprudenza prevalente reputa che la recente modifica dell'art 115 c.p.c. abbia portata interpretativa e non già innovativa (Corte Appello Milano, sez. IV civ., sentenza 29 giugno 2011, Pres. Fabrizi, est. Marini; Trib. Piacenza, sentenza 23 febbraio 2012, n. 114, est. G. Morlini). E', dunque, provato che R. si rivolse direttamente al dr. G. per eseguire un intervento di correzione chirurgica di dismorfismo nasale; il dr. G. eseguì l'operazione chirurgica presso la clinica Fondazione ... da egli scelta, come luogo deputato ad ospitare l'intervento, mediante scelta dei collaboratori e con compenso corrisposto direttamente allo stesso da parte della paziente. Sullo sfondo fattuale così ricostruito, occorre fare chiarezza attorno al concreto intervento eseguito al fine di verificare la sussistenza o meno di un danno iatrogeno che possa essere attribuito, a titolo di responsabilità, al dr. G.. In questa indagine, è sicuramente utile e necessario attingere al bacino della perizia in atti, la quale si lascia apprezzare per la oggettività delle operazioni eseguite, la cura nella disamina dei documenti di lite e la coerenza degli snodi seguiti dall'ausiliario: ogni critica all'elaborato va dunque decisamente disattesa, traducendosi le doglianze in un tentativo di sostituire alla valutazione oggettiva del perito quella soggettiva della parte, secundum eventum litis. In primo luogo, come lo stesso specialista incaricato dalla parte attrice riferisce (v. doc. 6), il CTU accerta che si trattò di un intervento di tipo estetico e non funzionale. Secondo il perito "l'intervento chirurgico di rinoplastica, giustamente indicato per la situazione della paziente, fu eseguito (...) con scopi solo ed esclusivamente legati all'aspetto estetico del volto e non al ripristino della funzionalità nasale, da quanto risulta nella cartella clinica". In secondo luogo, il Ctu conduce una indagine diretta a verificare la presenza di disturbi negativi sulla persona della paziente riconducibili causalmente all'intervento eseguito sulla stessa. Ebbene, in questa verifica, il consulente afferma che "non è la deviazione del setto nasale diagnosticata (...) da considerarsi causalmente riferibile all'intervento dell'11/6/07, bensì la sinechia turbino settale dx in esiti di incisione trans cartilaginea, frenulotomia e asportazione di piccola porzione di sottosettocartilagineo a determinare la stenosi della regione valvolare anteriore destra. La deviazione del setto nasale, come risulta dalla Tac del massiccio facciale, attraverso una corretta valutazione dei rapporti cefalometrici, risulta essere preesistente all'intervento chirurgico. La formazione della si-nechia turbino settale ha peggiorato una situazione di difficoltà respiratoria nasale già presente, anche se in piccola parte, prima dell'intervento chirurgico». La conclusione dell'ausiliario è dunque che "è da considerarsi effetto collaterale di correzione chirurgica del dismor-fismo nasale la sinechia turbino-settale dx. condizionante una stenosi nasale monolaterale". In terza disamina, la consulente verifica la presenza di profili di responsabilità in capo al medico. Secondo il perito "è vero che il Dr. G., nel consenso informato, cita la sinechie (formazioni di adesioni mucose fra le varie strutture nasali) quali complicanze nasali, ma quando c'è stato il sanguinamento nasale post-intervento chirurgico che ha comportato il posizionamento della fionda e la sua successiva sostituzione nelle ore serali, il Dr. G. ha agito con imprudenza nel rimuovere il tampone nasale anteriore bilaterale dopo 24 ore dall'intervento chirurgico. In letteratura si riporta che in caso di san-guinamento nasale, si consiglia di mantenere il tampone nasale almeno 48 ore e di effettuare una visita specialistica otorino per individuare il punto emorragico nasale e l'eventuale presenza di fibrina (tessuto precicatriziale) nelle fosse nasali determinanti la formazione delle sinechie turbino-settali". I rilievi sopra esposti consentono di potere arricchire il dato tecnico-fattuale, dei principi di diritto applicabili così da ottenere un supporto motivazionale che conduca alla conclusione da assumere. 1) L'intervento eseguito ha natura estetica. La finalità dell'intervento chirurgico non modifica le garanzie che competono al paziente posto che anche l'intervento sanitario finalizzato al miglioramento della condizione estetica della persona si colloca nell'ambito dell'ars medica (v. Cass. civ., 25 novembre 1994 n. 10014). Vi è, anzi, al contrario, un inspessimento della corteccia della tutela posto che, invero, nel caso di chirurgia estetica, l'informazione da fornire deve essere assai più penetrante ed assai più completa (specie con riferimento ai rischi dell'operazione) di quella fornita in occasione di interventi terapeutici (Cass. civ., 8 agosto 1985 n. 4394, in Foro it., 1986, I, 121). Ad ogni modo, nel caso di specie, oggetto del giudizio non è il diritto al conseguimento del risultato utile oggetto del contratto (in positivo, il miglioramento della condizione estetica), bensì il diritto alla salute, quale bene che, in occasione dell'intervento, non deve essere compromesso (in negativo, l'assenza di effetti negativi sullo stato di benessere psico-fisico). In altri termini, in esecuzione dell'operazione medica finalizzata al miglioramento dell'aspetto, il medico non deve arrecare danni all'apparato funzionale del paziente. Ebbene, sotto il primo aspetto (omesso raggiungimento del risultato estetico) non si ravvisa effettivamente responsabilità del medico posto che la deviazione del setto nasale costituiva elemento preesistente all'atto sanitario e dallo stesso non causato. E, però, invece, sotto il secondo aspetto, è ben possibile rintracciare un comportamento del medico meritevole di rimprovero: raggiungendo il risultato estetico negoziato, il sanitario non doveva arrecare danno alla persona del paziente (quanto, invece, avvenuto). Il punto è, allora, se possa sussistere comunque responsabilità del chirurgo estetico che, pur eseguendo a regola d'arte l'intervento, provochi sulla persona del paziente un effetto collaterale fonte di pregiudizio. In coerenza con gli studi della Dottrina, è ormai pacifico che anche da un intervento eseguito a regola d'arte possano discendere risultati insoddisfacenti, in particolare, in ragione dell'omessa adozione, da parte del medico, di specifiche cautele che le condiciones rebus sic stantibus imponevano. Da qui, il secondo profilo di rilevanza. 2) L'intervento medico - pur correttamente eseguito quanto al risultato da raggiungere in ordine al miglioramento estetico - ha causato sulla persona della paziente un effetto indesiderato, di tipo collaterale: una sinechia turbino settale. E' opportuno ricordare che la presenza di particolari inadempienze tecniche può anche emergere in sede di Ctu e ben costituire oggetto del processo, se filtrata dal contraddittorio (v., ad es., in materia di vizi scoperti dal CTU: Cass. Civ., sez. II, sentenza 10 maggio 2012 n. 7179, Pres. Oddo, rel. Proto). Va, comunque rilevato come, nel suo libello introduttivo, la paziente non abbia denunciato solo la specifica inadempienza relativa al setto nasale (non fondata) bensì anche, sotto un profilo più generale, l'imperizia dell'intervento quanto all'adozione di procedure chirurgiche corrette, efficaci e risolutive (v. pag. 8, citazione). Orbene, nel caso di specie, il consulente ha accertato che, in conseguenza dell'intervento, la paziente ha accusato una sinechia settale quale effetto causalmente ricollegabile all'intervento: effetto sgradevole, indesiderato e di indubbia valenza negativa per la salute dell'attrice. Effetto riconducibile all'intervento non solo sul versante oggettivo (rapporto eziologico) ma anche soggettivo (colpa). Da qui, il terzo profilo di rilevanza. 3) Il dr. G. ha agito con imprudenza avendo rimosso il tampone nasale dopo 24 ore, invece che dopo 48 ore, come consigliato in letteratura. Giova rilevare che, nel caso di specie, non può essere applicata, in favore del medico, la disposizione di cui all'art. 2236 c.c.: si tratta, infatti, di disposizione applicabile ai soli casi di colpa per imperizia e non a quelli di colpa per imprudenza o negligenza (v. Cass., sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440; Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, in Danno e resp., 2005, 26). Se, come nel caso di specie, la colpa è consistita in una mancanza di prudenza, l'esame deve essere particolarmente rigoroso, perché la tutela della salute, che viene affidata al medico, impone a questi l'esercizio della massima attenzione (v. Cass. civ., 11 luglio 1980, in Riv. pen., 1981, 283). Il medico risponde, dunque, anche in caso di colpa lieve. Ebbene, nell'ipotesi qui sub iudice, il medico è risultato essere in colpa (indifferente se lieve o grave) per l'avere omesso, per imprudenza, di mantenere il tampone per 48 ore, in luogo di 24, essendosi dunque discostato dal parametro standard secondo la letteratura di riferimento. In altri termini, può sostenersi che se il medico avesse rispettato la regola di prudenza applicabile, è probabile che la sinechia non si sarebbe verificata, peraltro con un elevato grado di certezza. Ad ogni modo, giova ricordare che la Corte regolatrice ha, di recente, avuto modo di rimeditare funditus il problema della causalità civile, per affermare, prima con la sentenza 21619/2007 della terza sezione, poi con la pronuncia 581/2008 delle sezioni unite, che la regola probatoria in subiecta materia non può essere considerata quella dell'alto grado di probabilità logica e di credenza razionale, bensì quella del "più probabile che non" (v. Cass. civ., sez. III, sentenza n. 23676 del 15 settembre 2008). Il nesso di causalità, dunque, in ambito civilistico, consiste nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non" (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975). Criterio soddisfatto nel caso di specie posto che è il CTU ad affermare (invero senza dubbi) la sussistenza del rapporto eziologico tra la imprudenza del medico e la sinechia turbino settale (v. perizia, pag. 7). I punti di conclusione sin qui rassegnati, consentono di ritenere affermata la responsabilità del dr. G., avendo questi omesso di adottare specifici comportamenti - espressione di prudenza esigibile - così causando alla paziente una sinechia settale, ovvero un effetto collaterale indesiderato che poteva essere evitato. A questo punto, occorre chiarire il titolo della responsabilità del medico posto che, peraltro, tale titolo è anche oggetto di discussione negli atti difensivi delle parti. Giova ricordare che secondo il "diritto vivente" in materia di responsabilità sanitaria, la responsabilità del medico ha natura negoziale, sussistendo un rapporto contrattuale, quand'anche fondato sul solo contatto sociale (Cass. civ., Sez. III, 24 maggio 2006, n. 12362). La contrattualizzazione della responsabilità medica ha delle ricadute dirette sul riparto degli oneri probatori: essa, infatti, rende operativa la clausola generale di cui all'art. 1218 c.c., come interpretata dalle Sezioni Unite n. 13533 del 2001 e dunque "il paziente che agisce in giudizio deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento" (v. SS.UU. 577/2008). Tuttavia, si deve rilevare come, sullo sfondo dei principi così illustrati, si collochi in tempi recentissimi l'art. 3 comma I del Decreto Legge 13 settembre 2012 n. 158. Nella versione originaria, la norma prevedeva che "fermo restando il disposto dell'articolo 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale". Il decreto-legge codificava dunque i principi affermati dalla giurisprudenza (v. relazione illustrativa) e non incideva, sulla questione qui in esame, se non sotto il versante della valutazione del rispetto o meno delle buone prassi/linee guida. La legge 189/2012, di conversione in legge del d.l. 158/2012, ha modificato in modo integrale la disposizione sopra illustrata. Il nuovo art. 3, comma I, (Responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie) prevede che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo". La norma, con la dichiarata finalità di intervenire contro il dilagante fenomeno della cd. medicina difensiva, introduce una sorta di "esimente" speciale nella responsabilità penale medica, circoscrivendola alle sole ipotesi di colpa grave e dolo. Per il caso della colpa lieve, tuttavia, dichiara la persistenza della responsabilità civile del medico; e, però, così facendo, individua quale grimaldello normativo non già l'art. 1218 c.c., bensì l'art. 2043 c.c. Sussiste un vivace dibattito circa la corretta interpretazione della previsione di nuovo conio. Secondo una certa lettura, la previsione si concilierebbe con l'intento di scongiurare i rischi legati alla cd. medicina difensiva e, pertanto, restaurerebbe il regime di responsabilità civile anteriore al revirement del 1999: in altri termini, il Legislatore consapevole ((1) Cass. civ., sez. III, 24 agosto 2007, n. 17958: Il canone interpretativo del "Legislatore consapevole" presuppone un Parlamento attento al diritto giurisprudenziale e composto, almeno in parte, da tecnici. Ciò detto, si tratta di un criterio che deve orientare l'interprete verso la scelta ermeneutica più vicina alla volontà sovrana del popolo come rappresentato nelle Camere.) avrebbe indicato agli interpreti la preferenza del Parlamento per l'orientamento giurisprudenziale che predica(va) l'applicazione dell'art. 2043 c.c. ((2) V., ad es., Cass. civ., sez. III, sentenza 20 novembre 1998 n. 11743) e non anche lo schema del cd. contratto sociale qualificato. Secondo altra lettura, il riferimento all'art. 2043 c.c. costituirebbe semplicemente una svista del Legislatore, inidonea a mutare il senso della giurisprudenza costante in tema di applicabilità dello statuto della responsabilità contrattuale. La Suprema Corte di Cassazione, in diverse occasioni, ha ammesso che il Legislatore può, di fatto anche in via implicita, intervenire con sue norme di nuova introduzione per avallare una determinata interpretazione di uno specifico grimaldello normativo. Ad esempio, è quanto avvenuto in tempi recenti, allorché la Suprema Corte ha intravisto nell'adozione del d.P.R. n. 37 del 2009 e del d.P.R. n. 191 del 2009 "la volontà del Legislatore di prendere posizione sulla questione interpretativa dell'art. 2059 c.c." in tema di danno cd. morale (v. Cass. civ., sez. III, sentenza 20 novembre n. 20292, Pres. Petti, est. Travaglino in cui la Corte di Cassazione reputa che i d.P.R. sopra citati abbiano "ine-quivocamente resa manifesta la volontà del legislatore" di discostarsi dai principi enunciati dalle SS.UU. del 2008, in tema di "presunta" somatizzazione del danno morale in seno al danno biologico). Deve, allora, ammettersi che il Legislatore può prendere posizione su questioni interpretative non solo mediante leggi di interpretazione autentica ma anche con norme che, seppur in modo indiretto o implicito, siano espressione dell'aderire (o non) ad un determinato approccio ermeneutico. Giunti a questa conclusione, nel caso di specie, la struttura della disposizione legislativa, a ben vedere, sembra abbastanza logica, almeno nel suo sviluppo discorsivo: in sede penale, la responsabilità sanitaria è esclusa per colpa lieve (se rispettate le linee guida/buone prassi); in sede civile, invece, anche in caso di colpa lieve, è ammessa l'azione ex art. 2043 c.c. Così facendo, il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l'adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l'azione aquiliana. E' evidente che l'adesione ad un modulo siffatto contribuisce a realizzare la finalità perseguita dal legislatore (contrasto alla medicina difensiva) in quanto viene alleggerito l'onere probatorio del medico e viene fatto gravare sul paziente anche l'onere (non richiesto dall'art. 1218 c.c.) di offrire dimostrazione giudiziale dell'elemento soggettivo di imputazione della responsabilità. L'adesione al modello di responsabilità ex art. 2043 c.c. ha, anche, come effetto, quello di ridurre i tempi di prescrizione: non più 10 anni, bensì 5. Potendosi, in astratto, ritenere, dunque, che l'art. 3 in esame rappresenti la scelta verso un modello di responsabilità diverso da quello sposato dalla giurisprudenza prevalente, occorre allora interrogarsi circa la proponibilità di una scelta interpretativa del genere, soprattutto in punto di compatibilità costituzionale: la risposta, collocando l'interprete negli anni anteriori al 1999, sembrerebbe scontata, in quanto, nel vigore dell'orientamento pretorio che proponeva come modello di azione l'art. 2043 c.c., non si era dubitato della costituzionalità di una impostazione del genere. Così rintracciate le conseguenze che la Legge 189/2012 ha sul sistema della responsabilità sanitaria, nel caso di specie, però, non trova applicazione l'art. 2043 c.c. E' opportuno chiarire, infatti, che, anche seguendo questo percorso di ragionamento, ovviamente la previsione di nuovo conio riguarda solo le ipotesi di responsabilità per cd. "contatto" e cioè le ipotesi (al confine tra contratto e torto) in cui manchi un rapporto contrattuale diretto tra paziente danneggiato e sanitario oppure un rapporto contrattuale atipico di spedalità. Nel caso in esame, il dr. G. e la parte attrice si erano, invece, accordati per l'intervento ed avevano, cioè stipulato uno specifico rapporto negoziale: scatta allora, in via esclusiva, la previsione di cui all'art. 1218 c.c. e, nel caso di specie, conduce a dover ritenere acquisita al giudizio la prova della responsabilità del convenuto dr. G., sulla base dei rilievi già ampiamente svolti. Deve, invece, essere esclusa la responsabilità della Fondazione ... Nel caso in esame, la struttura medica non ha stipulato alcun rapporto con la parte attrice (nemmeno per comportamento concludente) posto che, diversamente dallo schema contrattuale classico, il paziente non si è rivolto al nosocomio che ha indicato il medico, ma si è rivolto al medico che ha scelto una struttura in cui eseguire l'intervento. La Fondazione ..., dunque, ha rappresentato solo il luogo in cui l'inadempimento del sanitario si è consumato, senza nemmeno partecipare al suddetto illecito contrattuale, non avendo nemmeno fornito i collaboratori del professionista. Inoltre l'equipaggiamento della clinica non ha concorso in alcun modo al danno e nemmeno lo ha aggravato o accelerato. In genere, la responsabilità della struttura sanitaria è rintracciata, ex art. 1228 c.c., per il fatto dei suoi medici; ma nel caso di specie, difetta il rapporto tra medico e struttura che abilita l'applicazione della norma de qua, e nemmeno è applicabile l'art. 2049 c.c., proprio perché la relazione trai soggetti è invertita: è il dr. G. ad essersi avvalso della struttura e non il contrario. Il solo dr. G. va condannato al danno iatrogeno causato alla paziente, oltre al danno patrimoniale. Sulla scorta della CTU, i postumi accertati, da mettere in relazione alla complicanza (sinechia turbino-settale dx) che poteva essere evitata da un'attenta valutazione post-chirurgica, mediante visita specialistica otorino per valutazione del sanguinamento nasale occorso dopo l'intervento di rinoplastica, configurano una riduzione dell'integrità psico-fisica (danno biologico) nella misura del 3%. Per la valutazione dell'inabilità temporanea, in assenza di sufficiente credibile riscontro probatorio, si conviene con il consulente nel non riconoscere alcun giorno a tale titolo. La legge 8 novembre 2012 n. 189 stabilisce all'art. 3 che il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. Trattasi però di norma entrata in vigore (11 novembre 2012 ex art. 16 l. 189/12) dopo che l'odierna causa è stata trattenuta in decisione (6 luglio 2012). Si reputa dunque di dovere dare continuità all'indirizzo di giurisprudenza vigente prima della modifica normativa il quale predica l'applicazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico, elaborate dal tribunale di Milano, anche per le cd. micropermanenti, per tutti i casi di danno ex art. 2059 c.c. che consegua da un fatto illecito diverso dal sinistro stradale (Cass. civ., sez. III, sentenza 19 luglio 2012 n. 12464, Pres. Segreto, rel. Lanzillo). Le tabelle del Tribunale di Milano risultano essere, in ragione della loro "vocazione nazionale" - in quanto le statisticamente maggiormente testate - le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione che, con l'apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. personalizzazione del ristoro, consenta di pervenire alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell'effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione - nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti -sul territorio nazionale (Cass. Civ., sez. III, 30 giugno 2011 n. 14402 - Pres. Preden, rel. Scara-no; Cass. Civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12408 - Pres. Preden, rel. Amatucci; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012 n. 2228 - Pres. Trifone, rel. Scarano). Trattasi di indirizzo giurisprudenziale seguito da questo Ufficio giudiziario (v., già, Trib. Varese, Sez. I Civ., sentenza 26 agosto 2011). La paziente, al momento dell'illecito, aveva 28 anni e, dunque, a titolo di danno biologico, deve essere riconosciuto un danno pari ad Euro 4.013,00 che si considera adeguato e congruo rispetto al caso di specie, tenuto conto, cioè, dell'esigenza di personalizzazione. Costituendo l'obbligazione di risarcimento del danno un'obbligazione di valore sottratta al principio nominalistico, la rivalutazione monetaria è dovuta a prescindere dalla prova della svalutazione monetaria da parte dell'investitore danneggiato ed è quantificabile dal giudice, anche d'ufficio, tenendo conto della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione. È altresì risarcibile il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa del ritardato conseguimento della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, con la tecnica degli interessi computati non sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio. La somma, devalutata alla data del sinistro e rivalutata con interessi all'attualità, è di Euro 4.471,83. Per quanto riguarda gli esborsi in rapporto di causalità con l'intervento per cui è causa, gli stessi ammontano - secondo il CTU - a 150,00 euro (visita del Prof. ). La somma all'attualità è di Euro 188,00. Il danno totale è di Euro 4.659,83. Quanto alle spese di CTU, pur consapevole di un indirizzo pretorile di contrario avviso (invero, risalente: Cass. civ., sez. 2, sentenza n. 1247 del 18 febbraio 1983), questo giudice, aderendo all'orientamento di Cassazione più recente, reputa che il compenso dovuto al C.T.U. abbia il suo fondamento nella peculiare natura della prestazione, effettuata a favore di tutti i partecipanti al giudizio in funzione del superiore interesse di giustizia (art. 61 c.p.c.), ponendosi così su un piano diverso da quello della soccombenza che presiede la regolazione delle spese fra le parti (Cass. civ., sez. II, sentenza n. 28094 del 30 dicembre 2009). E', dunque, ben possibile che, a prescindere dalla soccombenza, le spese di consulenza vengano poste a carico solidale delle parti. Ebbene, nel caso di specie, le spese di Consulenza vengono poste, in solido, a carico della parte attrice e del dr. G. con diritto della Fondazione ... alla ripetizione di quanto versato a tale titolo in corso di causa. Nei rapporti tra parte attrice e Fondazione ..., si giudica equa e necessaria la compensazione delle spese di lite, posto che solo l'esito dell'istruttoria ha consentito di appurare gli effettivi rapporti tra medico e clinica e, quindi, era sussistente, al momento della introduzione della lite, la presenza di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti (v. Cass. civ., Sez. Un., 3 settembre 2008, n. 20598). Nei rapporti tra parte attrice e convenuto soccombente, le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate giusta la natura ed il valore della controversia, l'importanza ed il numero delle questioni trattate, nonché la fase di chiusura del processo. Come hanno insegnato le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il principio di adeguatezza e proporzionalità impone "una costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e l'entità degli onorari per l'attività professionale svolta" (Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 settembre 2007, n. 19014). Va applicato il dm 20 luglio 2012 n. 140 in quanto l'attività difensiva delle parti si è consumata nel vigore del detto regolamento (v. Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 12 ottobre 2012 n. 17406, Pres. Preden, est. Rordorf). La nota spese del difensore di parte vittoriosa, alla luce dei criteri sopra esposti, va ridotta per non essere allineata al decisum e va ricalcolata, secondo il DM citato; per l'effetto, le spese si liquidano in Euro 550,00 per spese/costi ed Euro 2.600,00 per compenso. P.Q.M. Il Tribunale di Varese, Sezione Prima Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone, definitivamente pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. ... dell'anno 2009, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede: Rigetta, per le ragioni di cui in parte motiva, la domanda proposta dall'attrice contro I'Istituto ..., in persona del legale rappresentante protempore, compensando integralmente tra le parti le spese di lite. Accerta e Dichiara, per le ragioni di cui in parte motiva, la responsabilità del dr. G. per il danno arrecato a R, in conseguenza dei postumi permanenti causati all'esito dell'intervento chirurgico estetico dell'11 giugno 2007. Condanna, per l'effetto, G. al risarcimento del danno in favore di R., quantificato all'attualità in Euro 4.659,83 oltre interessi legali dalla sentenza e sino al soddisfo. Condanna G. al rimborso delle spese del giudizio in favore di R. che Liquida come segue, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Spese Euro 550,00 Compenso Euro 2.600,00 Vanno aggiunti il rimborso dell'Iva e del Cpa giusta l'art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576. Pone, in via definitiva, le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, a carico di R. e G., in misura solidale, con diritto per I'Istituto ... in persona del legale rappresentante pro-tempore, a ripetere quanto eventualmente versato a tale titolo in corso di giudizio. Manda alla cancelleria per i provvedimenti di competenza Sentenza immediatamente esecutiva come per Legge Così deciso in Varese, il 26 novembre 2012. Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2012.

  • TRIBUNALE DI VARESE SEZIONE PRIMA CIVILE FATTO [1] (Omissis) ed (Omissis) contraevano matrimonio concordatario in Va., il (...); in data (...), i coniugi pervenivano alla comune decisione di separarsi consensualmente e, per l'effetto, presentavano condizioni condivise dinanzi al Tribunale di Varese, omologate con decreto del (...). Successivamente, il Tribunale di Varese, con sentenza del 2 giugno 1998, dichiarava la cessazione degli effetti civili dell'unione matrimoniale, confermando le condizioni di separazione del (...), con la sola modifica in punto di quantum dell'assegno alimentare a carico del (Omissis), rideterminato in (ex) Lire 800.000 mensili. In data 12 aprile 2006, la (Omissis) notificava all'ex coniuge atto di precetto, con cui intimava il pagamento degli arretrati del mantenimento, ritenuti mai versati dall'onerato. Con ricorso depositato in cancelleria in data 20 settembre 1993, la Banca (Omissis) assumeva di essere creditrice di entrambi gli ex coniugi della somma di ex Lire 5.550.597, quale saldo debitore del c/c n. (...) e richiedeva ingiunzione di pagamento che il Tribunale di Varese emetteva in pari data (decreto ingiuntivo n. 1427/1993). In forza del titolo monitorio ottenuto, la Banca procedeva ad atto di pignoramento immobiliare in data 28 giugno 1995, sulla quota di 1/6 dei beni della (Omissis), appartenenti, tra l'altro, a (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis). Seguiva atto di citazione della creditrice per ottenere la divisione dell'immobile oggetto di pignoramento (citazione notificata il 31 gennaio 2004). Al fine di evitare la vendita all'incanto dell'immobile, l'attrice riferiva di avere anticipato la somma di Euro 12.820,66. Con ricorso del 2 marzo 2011, la (Omissis) richiedeva, ex artt. 671, 669-bis c.p.c., il sequestro conservativo dei beni dell'ex marito, assumendosi creditrice verso lo stesso, per le spese sostenute verso la Banca onde evitare la vendita dell'immobile pignorato. Il Tribunale di Milano accoglieva il ricorso limitatamente alla somma di Euro 25.000,00. Con la citazione introduttiva dell'odierno giudizio, la parte attrice chiede condannarsi il convenuto a versarle la somma di Euro 15.820,66 oltre alle altre somme dovute dalla stessa alla creditrice procedente per le ragioni indicate in premessa, ovvero la diversa maggiore o minore somma ritenuta di Giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Vinte le spese. La domanda può essere accolta solo parzialmente. Giova premettere che entrambe le parti - sia la attrice che il convenuto - stipularono con la Banca (Omissis) il contratto di conto corrente n. (...) che portava, alla data del 20 ottobre 1992, un saldo negativo di Euro 2.866,70. Al momento della notifica della ingiunzione di pagamento da parte del creditore, pertanto, la parte attrice e il convenuto potevano estinguere l'obbligazione mediante il versamento della somma di Lire 5.550.597 oltre le spese (v. l'ingiunzione di pagamento del 20 settembre 1993). Trattandosi di obbligazione solidale dal lato passivo, l'attrice - agendo con la diligenza che la comune esperienza richiedeva - avrebbe potuto (rectius: dovuto) saldare l'intero debito e riservarsi di agire in rivalsa o regresso verso il coobbligato insolvente. Vi è che, invece, a fronte della ingiunzione, non solo il convenuto, ma anche l'attrice, restarono inerti e decisero non solo di non onorare il debito ma anche di non presentare opposizione al decreto di pagamento facendolo così divenire esecutivo. L'inerzia dei condebitori si protrasse anche dopo i successivi atti esecutivi fino a trascinarsi sino al successivo giudizio divisorio, a cui ovviamente non prese parte il convenuto, in quanto estraneo alla comunione immobiliare oggetto di scioglimento. Alla luce dei rilievi sin qui svolti, deve ritenersi che ogni posta debitoria successiva alla notifica del decreto ingiuntivo sia da ricollegare alla inerzia colposa della parte attrice, debitrice in solido, chiamata dunque a dovere uti singuli sopportarne le conseguenze, ex art. 1227, comma I, c.c. Recependo l'insegnamento della Suprema Corte (Cass. Civ., sez. Un., sentenza 21 novembre 2011 n. 24406, Pres. Vittoria, rel. Segreto), infatti, al fine di integrare la fattispecie di cui all'art. 1227, comma 1, c.c., il comportamento omissivo del danneggiato rilevante non è solo quello tenuto in violazione di una norma di legge, ma anche più genericamente in violazione delle regole di diligenza e correttezza, se l'inerzia abbia concorso a produrre l'evento lesivo in suo danno. Ebbene: di fronte al credito (non contestato) della Banca, l'attrice avrebbe dovuto comportarsi nel rispetto delle norme di Legge che ella stessa aveva accettato con la sottoscrizione del contratto: saldare l'intero del debito e riservarsi la rivalsa verso il convenuto. Alla luce delle premesse che precedono, l'odierna azione, va riqualificata come rivalsa ed accolta esclusivamente limitatamente alla parte di debito esistente alla data della notifica della ingiunzione, con maggiorazione degli interessi legali alla data dell'odierna pronuncia. Si tratta di somma pari ad. 1.433.32 alla data del 20 settembre 1993. La somma all'attualità è di Euro 2.550,00. Vanno aggiunte le spese di lite. Non può farsi riferimento alle Tariffe forensi di cui al DM 8 aprile 2004, trattandosi di corpus normativo espunto dall'Ordinamento dall'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, così come modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27. La liquidazione delle spese processuali avviene, quindi, sulla base dei nuovi parametri introdotti dal decreto del ministro per la Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 che, anche se sopravvenuto al giudizio da cui trae linfa il diritto al compenso, si applica a tutte le liquidazioni successive ex art. 42 (v. Trib. Termini Imerese, sentenza 17 settembre 2012 n. 1252; Tar Lombardia - Brescia, sez. I, ordinanza 10 settembre n. 1528; Trib. Varese, sez. I civ., decreto 17 settembre 2012 n. 1252 [2]: per le pronunce, v. www.ilcaso.it e www.cassazione.net). Non ignora questo giudice che, secondo una certa giurisprudenza (che offre una motivazione particolarmente ricca: Trib. Cremona, sez. civ., ordinanza 13 settembre 2012 in www.cassazione.net), l'abrogazione delle tariffe forensi, in combinato disposto con la introduzione dei nuovi criteri, sarebbe sospettabile di incostituzionalità, in quanto si sarebbe verificata una riduzione irragionevole dei compensi degli Avvocati, a fronte di incarichi già espletati (comparando il compenso che si sarebbe versato con i vecchi criteri, il compenso che si liquida con i nuovi). Le censure, tuttavia, non sono condivise da questo ufficio. Il DM 20 luglio 2012 n. 140, infatti, all'art. 1 comma VII, espressamente prevede che "in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa". Ciò vuol dire che, motivatamente, il giudice che reputi incongruo il compenso, in conseguenza dell'effetto retroattivo della nuova normativa, semplicemente potrebbe non applicarla e ricalcolare il compenso secondo i vecchi criteri, spiegando le ragioni per cui adotta la soluzione de qua; si tratterebbe, cioè, di guardare alle vecchie regole come canoni orientativi adottando una interpretazione adeguatrice, secundum constitutionem (sussistendo in capo al rimettente la necessità di motivare sull'impossibilità di interpretare la norma in senso conforme alla Costituzione (cfr. Corte Cost, 19 ottobre 2001, n. 336 in Giur. Costit, 2001, f. 5; Corte Cost. ord., 21 novembre 1997, n. 361 in Giur. Costit, 1997, fasc. 6). Nel caso di specie, tenuto conto del modesto valore della causa, ma della già intervenuta fase cautelare ante causam, (guardando al petitum e non al disputatum: v. Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 settembre 2007, n. 19014), applicati i valori medi, le spese si liquidano Euro 3.100,00 per competenze ed Euro 195,00 per spese. P.Q.M. in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone, definitivamente pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. 2460 dell'anno 2011, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede: ACCOGLIE, nei limiti di cui in parte motiva, la domanda della parte attrice, e per l'effetto CONDANNA la parte convenuta (Omissis)a versare a (Omissis) l'importo complessivo di Euro 2.550,00 - calcolata all'attualità - oltre interessi legali dalla sentenza e sino al soddisfo. CONDANNA la parte convenuta (Omissis)al rimborso delle spese del giudizio in favore della parte attrice che LIQUIDA come segue, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Spese Euro 195,00 Competenze Euro 3.100,00 Vanno aggiunti il rimborso dell'Iva e del Cpa giusta l'art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576. MANDA alla cancelleria per i provvedimenti di competenza SENTENZA IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA COME PER LEGGE, LETTA IN UDIENZA ALL'ESITO DELLA DISCUSSIONE ORALE DELLA CAUSA Al SENSI DELL'ART. 281-SEXIES C.P.C. Varese, lì 26 settembre 2012 Il giudice Dott. Giuseppe Buffone _____ [1] All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della legge 69/09, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). [2] Il nuovo Regolamento per la liquidazione giudiziale dei compensi, contenuto nel Decreto del Ministero della Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, pubblicato nella GU n. 195 del 22 agosto 2012 ed entrato dunque in vigore il 23 agosto 2012, in virtù dell'art. 42 del D.M. medesimo, prevede, all'art. 41, che le disposizioni di nuovo conio si applichino "alle liquidazioni successive alla entrata in vigore" del DM stesso (quindi, dal 23.8.2012). Il regolamento, ai fini della applicabilità ai processi pendenti, indica, dunque, quale parametro di riferimento, non il momento in cui si è conclusa l'attività del professionista (momento statico) ma il momento in cui il giudice deve provvedere a liquidare il compenso (momento dinamico). Ciò vuol dire che è irrilevante il referente temporale che fa da sfondo all'attività compiuta e rileva, invece, la data storica vigente al momento dell'attività giudiziale-procedimentale di quantificazione del compenso spettante.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.