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  • Tribunale di Vasto, Sentenza n. 276/2024 del 20-08-2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VASTO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I (...) iscritta al n. r.g. (...)/2020 promossa da: COMUNE DI (...) (C.F. (...)) in persona del (...) pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) come da procura in atti; ATTORE OPPONENTE contro (...) S.A.S. (...) & C. (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...) come da procura in atti; CONVENUTA OPPOSTA Oggetto: Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. cc (ivi compresa l'azione ex 1669 c.c.). Conclusioni: come da note scritte depositate all'udienza cartolare dell'8.2.2024 da intendersi integralmente richiamate e trascritte. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo n. (...) /2019 del 29.11.2019 emesso nel proc. n. (...) /2019 R.G. dal Tribunale di Vasto e notificato il (...), il Comune di (...) in persona del (...) pro tempore, ha convenuto in giudizio (...) s.a.s. di (...) & C. (di seguito (...) deducendo, in sintesi e per quanto di interesse: - di aver affidato alla società convenuta, in virtù di determinazione n. 308 del 30.11.2016 e successivo contratto del 2.1.2017, i servizi di pulizia dei pozzetti, delle caditoie, delle bocche di lupo e griglie stradali presenti sul territorio comunale; - che la lettera di invito, allegata alla richiesta di offerta, tra le altre prescrizioni, disponeva all'art.4 la pulizia di complessivi 2.000 manufatti e all'art.2 la necessaria consegna dei formulari di identificazione del rifiuto (F.I.R.) dei materiali derivati dalle pulizie stesse; - che il (...), dopo aver completato il servizio, la società opposta ha emesso la fattura mm. 24/PA per un importo complessivo di Euro 7.000,00, oltre i.v.a.; - che, tuttavia, il numero dei manufatti puliti è risultato essere inferiore rispetto a quello oggetto della prestazione richiesta e che non sono stati comunicati i F.I.R.. Sulla scorta delle richiamate considerazioni ha, quindi, rassegnato le seguenti conclusioni: "Piaccia alla giustizia dell'On.le giudice adito, contrariis rejectis, in accoglimento della domanda attrice: 1. nel merito, dichiararsi che le somme portate dal decreto ingiuntivo che si oppone non sono dovute dal Comune di (...) alla società (...) di (...) & C., a nessun titolo ragione ed azione e conseguentemente rigettarsi il decreto ingiuntivo per come articolato e richiesto; 2. condannare la convenuta opposta a rimborsare all'opponente le spese di lite nonché la restituzione del (...) unificato". Si è costituita in giudizio la (...) s.a.s. di (...) & C. deducendo l'infondatezza dell'opposizione avendo correttamente adempiuto all'incarico affidatole ed ha, pertanto chiesto: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, per le causali di cui in narrativa: 1) preliminarmente, concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ai sensi e per gli effetti degli artt. 648 e 642 c.p.c. essendo l'opposizione manifestamente infondata nonché carente di valida prova scritta e non di pronta soluzione; 2) in subordine, concedere la provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo opposto per la minore somma ritenuta di giustizia; 3) nel merito, rigettare l'opposizione in quanto infondata in fatto e diritto per le ragioni esposte nella narrativa del presente atto; 4) confermare il decreto ingiuntivo opposto in ogni sua parte; 5) in ogni caso, accertare e dichiarare il diritto della (...) di (...) & C. alla corresponsione, in proprio favore, della somma di 7.000,00, al netto dell'IVA da porsi direttamente a carico del Comune di (...) in ragione della fatturazione in regime di split payment ai sensi dell'art. 17 ter DPR 633/72, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge a saldo dei servizi prestati in favore della opponente; 6) conseguentemente, condannare il Comune di (...) in persona del sindaco pro tempore, a corrispondere, in favore della (...) di (...) & C., la somma netta di euro 7.000,00, oltre IVA in regime di split payment ai sensi dell'art. 17 ter DPR 633/72, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge dalla maturazione del credito al saldo; 7) nel merito, in subordine, nella denegata ipotesi di revoca del decreto ingiuntivo opposto, condannare il Comune di (...) in persona del sindaco pro tempore, al pagamento in favore della (...) di (...) & C. della diversa maggiore o minore somma che dovesse risultare di giustizia, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge dalla maturazione del credito al saldo, a titolo di retribuzioni ed accessori; 8) il tutto con vittoria di spese e competenze di lite, da distrarsi in favore dei sottoscritti difensori che si dichiarano antistatari.". All'esito della trattazione, acquisite le prove documentali e orali, la causa, all'udienza cartolare dell'8.2.2024, è stata trattenuta in decisione dallo scrivente magistrato, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. (...) ha contestato la corretta esecuzione delle prestazioni per le quali la società opposta ha chiesto e ottenuto l'ingiunzione di pagamento, poiché difformi rispetto a quanto prescritto nelle previsioni di appalto del 2.1.2017 per il "(...) di pulizia delle caditoie stradali, delle bocche di lupo e delle griglie" nel territorio comunale. In particolare, l'Ente ha dedotto che il numero dei manufatti puliti sarebbe inferiore a quello oggetto della prestazione richiesta e ha lamentato l'omessa comunicazione dei F.I.R. In punto di diritto, occorre richiamare il principio per cui "In tema di inadempimento del contratto di appalto, spetta all'appaltatore che agisca in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo di provare l'esatto adempimento della propria obbligazione, ove il committente ne eccepisca l'inadempimento" (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 98 del 04.01.2019). Si precisa, altresì, che nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito (Cass. civ. n. 13627/2017). Ed ancora, qualora una delle parti adduca a (...) 4 a 7 giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto del rapporto di causalità e proporzionalità esistente tra le prestazioni inadempiute e della incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (Cass. n. 12978/2002). Fatti tali richiami, con riferimento al caso di specie, si osserva che l'opponente, a fronte dell'incontestato mancato pagamento del corrispettivo, ha eccepito la violazione, da parte dell'appaltatrice, dell'art. 2 della lettera d'invito nella parte in cui prevede: "(...) giorno l'appaltatore trasmetterà (pec o e-mail) al (...) e (...) del Comune di (...) un rapporto con indicato per ogni via il numero di caditoie pulite ed eventuali situazioni anomale riscontrate durante gli interventi" e nel disposto a mente del quale "L'(...) provvede alla raccolta, al trasporto e allo smaltimento dei rifiuti prodotti nell'esecuzione dei lavori presso impianti autorizzati e deve fornire al committente il formulario di identificazione rifiuti (F.I.R.) previsto ai sensi del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.", nonché del successivo art. 4, che specifica "Il numero complessivo indicativo dei pozzetti, delle caditoie stradali, delle bocche di lupo e delle griglie atto al convogliamento delle acque meteoriche è pari a circa 2.000" (cfr. doc. 2 opponente). Dall'analisi dei rapporti delle operazioni compiute dall'impresa appaltatrice (cfr. doc. 3 opponente), per quanto riguarda la mensilità di dicembre 2016, si desume che, pur essendo specificate le vie in cui è stata effettuata la pulizia delle caditoie/griglie, non è stato esplicitato anche il numero complessivo delle unità pulite ma solamente il numero dei tombini nei quali non erano ancora state effettuate le operazioni di pulizia. Per le mensilità da gennaio a marzo 2017, invece, viene indicato anche il numero delle caditoie/griglie pulite, pari a complessive 687 unità. Da tale ricostruzione si evince, dunque, che la società opposta, in merito alla mensilità di dicembre 2016, si è resa parzialmente inadempiente rispetto all'art. 2 del contratto, che prevede l'obbligo di comunicazione al Comune, tra le altre cose, anche del numero di caditoie/griglie pulite. Deve, poi, riconoscersi l'inadempimento della società anche in ordine alla mancata trasmissione dei F.I.R., non essendoci prova del contrario ed essendo la circostanza riconosciuta pacificamente dalla stessa società convenuta. Ritiene, tuttavia, il giudicante che la natura di tali inadempimenti non sia tale da giustificare l'omesso versamento del corrispettivo dovuto. In primo luogo, si osserva che il dato letterale dell'art. 4 del contratto consente di accogliere la tesi dell'opposta in ordine al fatto che l'indicazione di 2.000 pozzetti, caditoie stradali, bocche di lupo e griglie atte al convogliamento delle acque meteoriche era stato stabilito dall'Ente solo in maniera approssimativa, essendo la stessa disposizione a specificare che il numero dei pozzetti era meramente "indicativo", come si desume anche dall'uso dell'avverbio "circa" posto prima della specificazione del numero di manufatti da pulire. Non si rinviene, poi, in altri punti dell'accordo alcuna conseguenza, come la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, dall'omessa indicazione del numero dei tombini puliti. In ogni caso, si osserva che detta mancata comunicazione attiene ad una sola mensilità su quattro e che essa non consente di configurare un inadempimento della società appaltatrice in ordine alla corretta esecuzione della prestazione principale, consistente nel servizio di controllo e pulizia di tutti i pozzetti siti nelle zone urbanizzate e nelle ulteriori prestazioni accessorie di apertura e chiusura dei pozzetti, pulizia stradale nelle zone di intervento e trasporto e smaltimento dei rifiuti prodotti. (...) parte, la mancata o inesatta pulizia delle caditoie/griglie poste nelle strade indicate nel report di dicembre 2016 non è stata dal Comune contestata né nei sessanta giorni successivi all'ultimazione dei lavori, come previsto dal medesimo art.2 della lettera d'invito, né nel riscontro alla diffida di pagamento del 25.7.2017 (doc.4 opponente) né nel corso del presente giudizio. Conseguentemente, l'inadempimento della impresa appaltatrice, consistito nella mera omissione della comunicazione del numero di manufatti puliti nel dicembre 2016 e non anche nel non aver completato la pulizia di circa 2.000 tombini, in quanto cifra indicata a solo carattere esemplificativo, non può che qualificarsi come di scarsa importanza, in quanto non incidente sulla corretta esecuzione della prestazione, che invece può ritenersi integrata alla luce degli elementi appresso indicati. In particolare, si osserva che i prodotti rapporti, pur non indicando per il mese di dicembre 2016 la quantità di tombini puliti, tramite l'indicazione del numero delle caditoie sulle quali non si è potuti intervenire (n. 5) permettono di ritenere che l'appaltatrice abbia proceduto alla pulizia di tutti i manufatti presenti nelle vie elencate, esclusi i cinque indicati. La circostanza è altresì confermata dal teste (...) udito all'udienza del 7.10.2021, il quale ha confermato che "Nel periodo che va dal mese di dicembre 2016 al mese di marzo 2017 la ditta (...) ha effettuato la pulizia di tutti i pozzetti, caditoie, bocche di lupo e griglie di lunghezza (...) 6 a 7 presenti nelle zone urbanizzate del Comune di (...) senza ricevere alcuna successiva segnalazione e/o contestazione da parte dell'Ente. Sono a conoscenza di questo fatto perché ero, all'epoca, consulente esterno della (...) e quando vi erano sessioni di controllo relative alla manutenzione e pulizia dei manufatti sopra indicati, accompagnavo la signora (...) direttrice del personale della (...) con frequenza settimanale e a volte anche due volte a settimana, in base ai miei impegni personali". Per quanto, poi, specificamente attiene al mese di dicembre 2016, il teste ha confermato che venivano controllati e puliti tutti i manufatti indicati nel report, che gli veniva mostrato, ad eccezione dei cinque manufatti menzionati. Anche i testi (...) operario della (...) che ha svolto i servizi oggetto di appalto, e (...) dipendente amministrativa e direttore del personale della (...) hanno confermato che l'impresa appaltatrice ha correttamente eseguito le prestazioni affidatele in contratto. La diversa ricostruzione fornita dalla teste (...) funzionaria del Comune di (...) non è idonea a sovvertire tale conclusione, risultando inverosimile che l'operato dell'appaltatrice abbia coinvolto solamente 690 tombini, atteso che nella mensilità di dicembre 2016, pur non essendo esplicitato il preciso numero delle unità pulite, risulta comunque, come detto, l'esecuzione della prestazione nelle vie indicate. La circostanza relativa alla perentorietà del numero di tombini da pulire, più volte affermata dalla citata teste, è inoltre sconfessata dal chiaro valore letterale delle clausole contrattuali. Ulteriore elemento a favore dell'opposta si desume dall'assenza di contestazioni da parte del Comune in ordine al corretto adempimento della prestazione nei sessanta giorni dalla ultimazione del servizio, avvenuta pacificamente nel marzo 2017, come previsto all'art. 2 della lettera d'invito. Ed infatti, le contestazioni inoltrate dall'Ente in data (...) (doc.4 opponente), oltre ad essere susseguenti alla richiesta di pagamento, sono di gran lunga successive allo spirare del termine indicato. Non risulta, poi, adeguatamente provata l'asserita contestazione per le vie brevi riferita dalla teste (...) in quanto genericamente dedotta sia in ordine al contenuto, che al destinatario, che alla collocazione temporale della stessa ("la circostanza sopra detta è stata riportata, per le vie brevi, ossia telefonicamente, al referente della (...) di cui in questo momento non ricordo il nome, anche se c'è una mail inviata da detto referente, mi pare si chiamasse (...) che si relazionava con i vari addetti al servizio manutenzione"). Per quanto, invece, attiene alla contestata mancata trasmissione dei F.I.R., seppur risultata pacifica in giudizio, la stessa non può ritenersi di tale importanza da giustificare l'omesso versamento del corrispettivo dovuto, soprattutto in considerazione che, a mente dell'art.193, comma 7, D.Lgs. 152/2006 detta documentazione non è necessaria per i soggetti che gestiscono il servizio pubblico. Deve, quindi, ritenersi correttamente eseguito l'appalto di servizi oggetto di causa e dovuto il corrispettivo richiesto dalla impresa appaltatrice, nella misura indicata nell'offerta economica presentata all'Ente e da questo giudicata più conveniente (doc.1 opponente). In conclusione, alla luce di tutte le argomentazioni esposte, l'opposizione dev'essere integralmente respinta e il decreto ingiuntivo opposto confermato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, ai sensi del D.M. 55/2014, aggiornato dal D.M. 147/2022, in considerazione del valore della causa, dell'attività processuale effettivamente svolta e in applicazione dei parametri medi. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. (...) /19, emesso dal Tribunale di (...) il (...); - condanna il Comune di (...) al pagamento delle spese processuali in favore di (...) s.a.s. di (...) & C. nella misura di Euro 5.077,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge, disponendo che il pagamento sia eseguito in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.

  • Tribunale di Vasto, Sentenza n. 75/2024 del 28-02-2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del giudice onorario dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. (...)/2022 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: (...) a decreto ingiuntivo. TRA COMUNE DI (...) (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (...) elettivamente domiciliato negli uffici della civica Avvocatura, con sede in (...) alla (...) OPPONENTE E (...) S.P.A. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) presso il cui studio, in (...) tri (...), alla (...) n. 19, è elettivamente domiciliata; OPPOSTA Si premette che: ai sensi dell'art 132 cpc comma 2, n. 4 (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009), la sentenza deve contenere "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione" (e non più "la concisa esposizione dello svolgimento del processo"); ai sensi dell'art 118 disp. att. cpc, comma 1, (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009) la "motivazione della sentenza di cui all'art. 132, comma 2, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". La motivazione, ancora, è redatta in maniera sintetica secondo quanto previsto dall'art. 19 del D.L. 83/2015, convertito con L. 132/2015 che modifica il D.L. 179/2012 a sua volta convertito, con modificazioni, dalla L. 221/2012, nonché in osservanza dei nuovi criteri di funzionalità, flessibilità e deformalizzazione dell'impianto decisorio della sentenza siccome delineati da Cass. SS.UU. 642/2015. Pertanto, con riguardo allo svolgimento del processo saranno richiamati unicamente gli eventi rilevanti ai fini della decisione. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Il Comune di (...) ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (...)/2022, emesso in data (...), con il quale il Tribunale di (...) gli ha ingiunto di versare, in favore della società (...) S.P.A., la somma di "Euro 35.908,07, oltre interessi di mora al tasso legale, con decorrenza - sulla sola sorte capitale - dalla data di notificazione del ricorso e del presente decreto fino al saldo" ed oltre alle spese come liquidate a titolo di corrispettivo (e(...) art. 6, comma 4, della L. 328/2000) per la degenza dal 1.1.2018 al 19.12.2019 di (...) presso la "(...) di Firenzuola", facente capo alla (...) S.P.A.. A sostegno della opposizione, il Comune di (...) ha eccepito, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva della società ricorrente, sull'assunto che si tratterebbe di un diritto "di cui è astrattamente titolare il soggetto indicato nella citata fattura, o i suoi aventi causa". Nel merito, l'opponente ha contrastato la sussistenza del diritto di credito vantato dalla controparte, deducendo - innanzitutto - l'inidoneità della documentazione prodotta dalla (...) S.P.A. a dimostrare i rapporti contrattuali intercorrenti tra le parti, atteso che i contratti con la (...) devono essere redatti in forma scritta, a pena di nullità; ha quindi contestato la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 6, comma 4, della L. 328/2000 e la correlata debenza degli importi ingiunti anche sul rilievo che mancherebbe la necessaria deliberazione della spesa - ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 183 e 191, essendo vietata l'effettuazione di qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio di previsione e quindi della attestazione della relativa copertura finanziaria - ai fini dell'erogazione della quota integrativa di spettanza comunale. Sulla base delle circostanze di fatto appena riferite, il Comune di (...) ha chiesto all'adito tribunale di revocare il decreto ingiuntivo opposto, sull'assunto che la somma ingiunta non fosse dovuta, con condanna di controparte alla rifusione delle spese di lite. (...) S.P.A., costituitasi in giudizio, nel contestare le circostanze allegate dall'opponente, ha concluso per il rigetto della opposizione, a motivo della sua infondatezza, e per la conferma del decreto ingiuntivo. A seguito della regolare instaurazione del contraddittorio, il giudice, ritenendo che la controversia implicasse esclusivamente la soluzione di questioni giuridiche e che, pertanto, potesse essere decisa sulla base degli atti e dei documenti prodotti dalle parti, ha invitato le parti a precisare le proprie conclusioni che sono state precisate come segue. per parte opponente: "(...). (...) precisa le conclusioni riportandosi a quelle rassegnate in atti" per parte opposta: "(...). (...) precisa le proprie conclusioni come da comparsa" Indi ha trattenuto la causa in decisione all'udienza del 16.10.2023, con concessione dei termini e(...) art. 190 c.p.c., e, allo spirare degli stessi, la causa è decisa come segue. (...) è fondata e, pertanto, va accolta. Ebbene, a fronte delle plurime eccezioni preliminari sollevate da parte opponente, il giudicante ritiene che, in virtù del principio della ragione più liquida - "(...) desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c." (Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ord. n. 9309/2020) - la controversia possa essere decisa sul mancato assolvimento da parte dell'opposta dell'onere di fornire la prova della fonte del diritto di credito, del relativo impegno contabile e dell'attestazione di copertura finanziaria, con conseguente assorbimento delle ulteriori questioni, in tal modo affrontando il solo motivo di opposizione con il quale l'Ente opponente eccepisce l'assenza di un contratto scritto, la mancata autorizzazione e l'impegno di spesa per i periodi oggetto della odierna pretesa creditoria in contrasto con l'art. 191, comma 1 e 4, del D.Lgs. 267/2000 ("(...) unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali"). Segnatamente, lo scrivente ritiene condivisibili le osservazioni, sul punto, di parte opponente secondo cui affinché sorga un'obbligazione contrattuale nei confronti di un ente locale, è necessaria la forma scritta ad substantiam del contratto ("la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, permettendo d'i- dentificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell'assoggettamento al controllo dell'autorità tutoria" (cfr., e(...) multis, Cass. n. 21477/2013)), nonché l'impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria. Ebbene, nel caso che qui occupa, parte opposta, sulla quale gravava il relativo onere probatorio, non ha fornito dimostrazione, mediante produzione agli atti, dell'esistenza della documentazione richiesta dall'art. 191 del D.Lgs. 267/2000 (impegno contabile e attestazione della copertura finanziaria), atteso che tale documentazione risponde ad esigenze di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e(...) art. 97 Cost., assolvendo alla funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa. Invero, in questi termini si è espressa la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui: "i contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell'assoggettamento al controllo dell'autorità tutoria" (cfr., Cass. n. 21477/2013). Ne consegue "(...) non solo l'esclusione della possibilità di desumere l'intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, ma anche la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l'intera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto" (cfr. Cass., Sez. Un. n. 6827/2010; Cass. n. 6555/2014). Parte opposta, consapevole della mancata conclusione del contratto, avrebbe dovuto diligentemente attivarsi presso il Comune di (...) per ottenere il riconoscimento del debito assunto in assenza di contratto e di copertura contabile, atteso che la mera produzione delle fatture emesse a credito è assolutamente inidonea a ritenere soddisfatte le prescrizioni previste dall'art. 191 del D.Lgs. 267/2000 per il credito vantato. E ciò pur volendo ritenere secondo prospettazione di parte opposta, ovvero che l'obbligazione contrattuale oggetto del presente giudizio sia di fonte legale in virtù dell'art. 6 della legge 328/2000 (che al comma 4° dispone che: "Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica"), dal momento che l'Ente pubblico, per esigenze di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, ha l'obbligo legale di munirsi previamente dell'impegno contabile e della copertura finanziaria per far fronte agli oneri assistenziali e di ricovero. Il rilievo di parte opponente è da accogliere, poi, in quanto negli stessi termini si è espressa recentemente la giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che "in tema di servizi socio-assistenziali, della L. n. 328 del 2000, il citato art. 6, va contemperato con il disposto del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 183 e 191, sicché l'obbligo del comune di residenza di disporre il ricovero di persone presso strutture private è subordinato all'attestazione della relativa copertura finanziaria, in quanto è vietata qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio di previsione. Tale obbligo di assistenza, infatti, benché previsto a tutela di un diritto costituzionalmente protetto (artt. 2, 32 e 38 Cost.), non è incondizionato, ma presuppone un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti (ed in tal senso va letta la norma laddove dispone che il comune debba essere "previamente informato"), ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l'ente dispone, che si traducono, poi, nell'osservanza delle disposizioni sui contratti della P.A. (cfr. Cass. n. 24655 del 2016, e le pronunce in essa richiamate. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche la più recente Cass. del 2018). In altri termini, le funzioni di cui al citato art. 6, ed i relativi oneri economici scontano sempre e comunque, come puntualmente emerge dal comma 2, della medesima norma, il limite della disponibilità delle risorse in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali. Pertanto, giusta quanto emerge da una lettura combinata delle disposizioni recate da ciascuno dei commi che compongono il menzionato art. 6, spetta ai comuni territorialmente competenti, nell'esercizio delle funzioni amministrative normativamente attribuitegli in materia di servizi sociali (commi 2 e 3) e "nell'ambito delle risorse disponibili" (comma 2), provvedere a disporre in ordine alla necessità, o non, del "ricovero stabile" di cui al suo comma 4. Ciò, naturalmente, all'esito di un'istruttoria compiuta al momento in cui viene rappresentato il bisogno di sostentamento, così da consentire all'amministrazione di valutare le condizioni cui è subordinata l'operatività, o non, del sostentamento pubblico, e fatta salva, ovviamente, la possibilità di impugnare il corrispondente provvedimento innanzi alla autorità giurisdizionale competente" (cfr. Cass. n. 5869/2022). Invero, l'art. 6 della Legge 328 dispone che il Comune di residenza," prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica". La L. 8.11.2000 n. 328, quindi, pur ponendo a carico del Comune di residenza gli obblighi connessi all'integrazione economica necessaria per il ricovero, presuppone la preventiva assunzione di un impegno di spesa, al fine di effettuare un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti (Cass. 10.6.2010 n. 14006; conforme Cass. n. 25376 del 2013); il Comune ha peraltro l'obbligo di procedere ad una integrazione economica solo se venga dedotta e dimostrata l'esistenza di una situazione di indigenza; milita in tal senso l'art. 1, il quale prevede che "La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, e della presente legge, secondo i princìpi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali". Inoltre l'art. 2 prevede che "i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali". (...) la giurisprudenza, come innanzi rilevato, "In tema di servizi socio-assistenziali, l'art. 6 della I. n. 328 del 2000 va contemperato con il disposto degli artt. 183 e 191 del D.Lgs. 267/2000, sicché l'obbligo del comune di residenza di disporre il ricovero di persone anziane presso strutture private è subordinato all'attestazione della relativa copertura finanziaria, in quanto è vietata qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio di previsione. Tale obbligo di assistenza, infatti, non è incondizionato, ma presuppone un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l'ente dispone, che si traducono, poi, nell'osservanza delle disposizioni sui contratti della P.A. (cfr. Cass. 2.12.2016 n. 24655). (...) la giurisprudenza, ancora, una interpretazione ragionevole dell'art. 6 c.4 della L. 328/2000 è nel senso che l'obbligo a carico del Comune sorge nel momento in cui si verificano le condizioni per procedere alla erogazione del contributo, momento che si verifica quando la situazione economica della persona assistita si deteriora "a tale punto da non potersi permettere di corrispondere la retta alla casa di riposo con le proprie risorse economiche" (Cons. Stato 10.1.2017 n. 2017) In merito alla definizione della condizione economica dell'assistito l'art 2 comma 1 del D.P.C.M. n. 159 del 2013 prevede che "La determinazione e l'applicazione dell'indicatore ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'art 117, comma 2, lettera m), della (...) fatte salve le competente regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e sociosanitarie e ferme restando le prerogative dei comuni". La norma statale stabilisce chiaramente che non solo l'accesso, ma anche la compartecipazione al costo delle prestazioni sociosanitarie e sociali è stabilito avendo come base la disciplina statale sull'indicatore della situazione economica equivalente (cd. ISEE). Il Comune, inoltre, può assumere obblighi diversi, anche di impegno economico meramente temporaneo, rispetto a quello per cui lo stesso è già tenuto, ove previamente informato, laddove si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali del soggetto avente diritto alla corrispondente prestazione. In tal caso, però, atteso il limite della disponibilità delle risorse comunali in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali, quell'impegno più circoscritto delimita in concreto l'entità dell'obbligazione assunta dal comune medesimo nei riguardi di chi esegue la prestazione assistenziale dopo averne accettato la corrispondente richiesta del primo" ((...) Cass. Ord. 5869 del 22.2.2022). Tutto quanto sopra premesso, preso atto che dalla documentazione prodotta dall'opposta non risulta depositato alcun contratto scritto, né un impegno di spesa e neanche una copertura finanziaria per il credito richiesto nel decreto ingiuntivo opposto, considerato il consolidato indirizzo giurisprudenziale citato, da cui non v'è motivo di discostarsi, tenuto conto delle risultanze di causa, l'opposizione deve essere accolta ed il decreto ingiuntivo opposto va revocato. Deve, peraltro, osservarsi che parte opponente appare sfornita di legittimazione passiva in quanto, come esattamente rilevato, residuerebbe l'eventuale obbligazione del Comune solamente dopo che i soggetti tenuti al pagamento del contributo non vi abbiano provveduto. Né è stata fornita prova agli atti in ordine ad eventuali richieste formulate nei confronti dei familiari. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della opposizione segue la condanna di parte opposta al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori inferiori a quelli medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022. E' stato applicato, inoltre, l'aumento del 30% per l'utilizzo di tecniche informatiche che agevolano la consultazione degli atti. Per Questi Motivi Il Tribunale di Vasto in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla opposizione proposta da COMUNE di (...) nei confronti di (...) S.P.A., disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. (...)/2022 reso dal Tribunale di (...) l'(...); (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore del COMUNE di (...) delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 7.150,00 (di cui Euro 1.500,00 per la fase di studio, Euro 1.000,00 per la fase introduttiva, Euro 1.000,00 per la fase istruttoria, Euro 2.000,00 per la fase decisionale ed Euro 1.650,00 per aumento del 30%) oltre rimborso forf., I.V.A. se ed in quanto dovuta, e C.P.A. come per legge; MANDA alla (...) per gli adempimenti di competenza.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 621/2019 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: mutuo TRA Sp. s.r.l. (c.f./p.iva (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. DA.MO. (c.f. (...)), presso il cui studio professionale, con sede in Cupello (CH), alla C.da (...), è elettivamente domiciliata; ATTORE E Ub. s.p.a. (c.f./p.iva (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. GI.BO. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. RO.CO., con sede in Vasto (CH), alla Via (...); CONVENUTO FATTO 1. La Sp. s.r.l. ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, la Ub. s.p.a. deducendo di aver stipulato, in data 16/10/2003, un contratto di mutuo - assistito da garanzia ipotecaria e fideiussoria e rinegoziato in data 18/04/2007 - con la Ca. s.p.a. (poi Nu. s.p.a. e successivamente incorporata dalla odierna convenuta), onde ottenere l'erogazione in suo favore della somma di Euro 350.000,00, da restituirsi in dieci anni mediante pagamento di n. (...) rate mensili a far data dal 31.01.2005, oltre un periodo di preammortamento fino al 31.12.2004. La parte attrice ha contestato, sotto diversi profili, il carattere usurario delle condizioni contrattuali pattuite. In particolare - sulla scorta della perizia econometrica di parte, ritualmente prodotta in giudizio - ha premesso che, relativamente al contratto di mutuo sottoscritto nel 2003, il tasso di interesse pattuito fosse pari a 3,432% (con interessi di preammortamento al tasso nominale annuo "Euribor 6 mesi + 1,3% su base annua - TAN iniziale 3,432%") e il tasso di mora - secondo quanto previsto dall'art. 5 del contratto - fosse fissato nella misura di tre punti percentuali in più del tasso applicato al finanziamento (quindi, nella misura del 6,432%). Relativamente al contratto rinegoziato nel 2007, l'attore ha allegato che il tasso di interesse pattuito fosse pari a 5,343% e il tasso di mora fosse fissato nella misura di tre punti percentuali in più del tasso applicato al finanziamento (quindi, nella misura del 8,343%). L'attore ha, inoltre, aggiunto che, tanto il contratto di mutuo sottoscritto nel 2003, quanto quello stipulato nel 2007, stabilivano una penale di estinzione anticipata pari all'1% del capitale rimborsato prima della naturale scadenza, con la conseguenza che "se l'odierna attrice avesse estinto il Mutuo 2003 o il Mutuo 2007 a distanza di un mese dalla rispettiva stipula, avrebbe dovuto corrispondere un tasso di interesse palesemente superiore al TSU". Quindi, partendo dal presupposto che, alla data della stipula del contratto (2003), il tasso soglia ex art. 2 della L. n. 108 del 1996 fosse pari al 6,225%, mentre alla data della rinegoziazione (2007) il tasso fosse pari al 7,965%, parte attrice ha sostenuto che entrambi i mutui oggetto di causa fossero da considerarsi usurari, in ragione della previsione di un tasso di interesse moratorio che, con l'aggiunta della penale di estinzione anticipata di cui sopra, avrebbe - a suo dire - superato i menzionati tassi soglia antiusura. Inoltre, parte istante ha lamentato: a) la violazione dell'art. 117 T.Ub., per omessa indicazione di un I.S.C./T.A.E.G. nello schema negoziale; b) l'indeterminatezza delle condizioni contrattuali, a causa della denunciata manipolazione del tasso EURIBOR; c) la violazione dell'obbligo di buona fede e correttezza, sull'assunto che la banca mutuante non avrebbe informato il mutuatario del costo dell'assicurazione (alla cui stipulazione l'attore era stato "obbligato" dalla banca convenuta), né comunicato allo stesso la possibile riduzione della penale di estinzione anticipata, per effetto dell'accordo A. 02/5/2007; d) l'abuso di posizione dominante, in virtù della sproporzione delle posizioni contrattuali contrapposte e, pertanto, riconducibile alla previsione ex art. 3, L. n. 287 del 1990. Ha, infine, concluso per la declaratoria di usurarietà del contratto di mutuo e, ai sensi dell'art. 1815, comma 2, c.c., per la condanna della banca alla restituzione dell'importo, pari a Euro 85.668,22, corrisposto a titolo di interessi corrispettivi, ovvero, in via subordinata, per la condanna della banca alla ripetizione dell'importo pari ad Euro 27.561,78, per effetto dell'accertata violazione dell'art. 117 del T.Ub. o del minore importo pari ad Euro 24.418,40, per effetto dell'applicazione del tasso sostitutivo Euribor nel quadriennio 2005-2009; ha, ancora, avanzato domanda di condanna della controparte al risarcimento sia dei danni non patrimoniali subiti, nella misura rimessa alla quantificazione giudiziale, sia dei danni patrimoniali, quantificati in Euro 5.833,00, il tutto con vittoria delle spese e competenze del presente giudizio. 2. La Ub. s.p.a., costituitasi in giudizio, ha contestato le circostanze allegate dalla controparte ed ha concluso chiedendo il rigetto della domanda avversa, a motivo della sua infondatezza, ovvero, in subordine, nell'ipotesi di accertamento e declaratoria di usurarietà degli interessi di mora, la condanna dell'attrice alla corresponsione degli interessi di mora al tasso legale, oltre a quelli corrispettivi convenzionali, con vittoria di spese ed onorari di causa. 3. Nel corso dell'istruttoria, il Giudice, ritenuta la necessità di disporre l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio di natura contabile, nominava come c.t.u. la dott.ssa Di.Pa., conferendole l'incarico di cui all'ordinanza del 09/12/2020. DIRITTO 1. La domanda è inammissibile e, in ogni caso, è infondata nel merito e, pertanto, non merita di essere accolta. 2. La pretesa attorea si fonda su due premesse, che è possibile enucleare dallo scarno costrutto argomentativo dell'atto di citazione: in primo luogo, l'attore - muovendo dall'esistenza di un contratto di mutuo a tasso variabile, rinegoziato tra le parti in data 18.04.2007, del valore nominale pari ad Euro 350.000,00, da rimborsarsi in complessive n. 120 rate, al tasso di interesse pari al 3,432% annuo e con interessi moratori calcolati in misura corrispondente a quella degli interessi corrispettivi applicati al finanziamento, maggiorata di tre punti percentuali - ha eccepito, con il conforto di una propria consulenza tecnica di parte, che il tasso di interesse moratorio pattuito sarebbe superiore al tasso soglia usura vigente all'epoca della sottoscrizione del contratto. In secondo luogo, il mutuatario ha lamentato la illiceità dello schema contrattuale, per essere stato questo confezionato in violazione delle norme che regolano, in generale, i rapporti negoziali e, in particolare, le norme contenute nel T.Ub. Sulla scorta delle riferite circostanze di fatto, l'attore ha avanzato una richiesta di declaratoria di usurarietà del mutuo e di conseguente gratuità dello stesso, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1815, 2 comma c.c. e, sotto distinto profilo, ha formulato una richiesta di risarcimento per i danni morali e patrimoniali patiti. 3. L'esame dei motivi di doglianza dedotti in giudizio, attenendo questi a valutazioni di natura contabile, ha necessitato (soprattutto alla luce del recente arresto giurisprudenziale di legittimità di cui alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19597/2020) lo svolgimento di una consulenza tecnica d'ufficio - cui la presente decisione fa integrale rinvio per gli aspetti più prettamente tecnici e per l'esecuzione delle operazioni di calcolo e ricalcolo, anche in punto di replica alle osservazioni svolte dai C.T.P. alle conclusioni dell'elaborato peritale. Innanzitutto, il perito ha accertato che dalla documentazione in atti non sono emersi inadempimenti contrattuali da parte della società finanziata, né è risultato che l'istituto di credito si sia avvalso della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 7 del Capitolato allegato sotto la lettera "A" al contratto di mutuo del 16.10.2003. La stessa c.t.u. ha rilevato che il contratto oggetto della presente disamina ha le caratteristiche tipiche di un mutuo c.d. a S.A.L., essendo stato "concesso e accettato quale concorso nella spesa necessaria per la realizzazione di un capannone industriale in Vasto Loc. Punta Penna" (cfr. art. 1 del contratto) ed essendo stata la consegna del capitale effettuata "mediante atto di quietanza anche col sistema dei versamenti rateali, in funzione ed in proporzione agli stati di avanzamento dei lavori direalizzazione del capannone industriale" (cfr. art. 2 del contratto); ha, conseguentemente, concluso che il tasso soglia fissato per il finanziamento a stato di avanzamento assistito da ipoteca sia quello previsto, ratione temporis, per i mutui con garanzia reale, anche alla luce del principio enunciato dalla Suprema Corte (a composizione dei divergenti orientamenti giurisprudenziali) con sentenza n. 22380/2019 - secondo cui "con particolare riferimento al grado di rischio dell'operazione e alla garanzia ad esso correlata, il finanziamento a stato di avanzamento lavori assistito da ipoteca presenta, dunque, evidenti elementi di omogeneità col mutuo con garanzia reale e ad esso va perciò assimilato". Sulla scorta di tali preliminari rilievi, è appena il caso di richiamare un recentissimo pronunciamento della Suprema Corte (n. 4597/2023) secondo cui, "in tema di mutuo, la parte mutuataria non ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori, allorché manchino i presupposti della mora per avere l'obbligato adempiuto al pagamento di tutti i ratei, di modo che possa escludersi che possano trovare applicazione detti interessi". Invero, la predetta sentenza ha esplicitato un principio già evincibile dal noto arresto giurisprudenziale della Cassazione a Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U., n. 19597/2020), che - pur avendo affermato che, "ove il mutuatario domandi la nullità della clausola sugli interessi moratori "in corso di svolgimento del rapporto", lo stesso ha un interesse ad agire" (rispondendo tale interesse ad un'esigenza di certezza del diritto in ordine alla validità ed efficacia di una clausola che gli potrebbe essere applicata) - tuttavia, ha anche precisato che, in tale ipotesi, "se il finanziato ottenga sentenza di nullità della clausola, ciò non vuol dire che, da quel momento, egli potrà non adempiere e pretendere che nessun interesse gli sia applicato" e comunque, ove sia realizzato l'inadempimento, "rileva unicamente il tasso che di fatto sia stato richiesto ed applicato al debitore inadempiente; cadel'interesse ad agire per l'accertamento della eventuale illegittimità del tasso astratto non applicato....". Se, dunque, le Sezioni Unite hanno ritenuto che, nel contratto di mutuo ancora in corso di svolgimento, ciò che rileva in concreto, in caso di inadempimento, non è il tasso di mora pattuito (e non applicato), ma quello effettivamente applicato, detto principio deve, a maggior ragione, trovare applicazione nell'ipotesi, quale quella di specie, in cui il rapporto si sia ormai estinto e non si sia verificato l'inadempimento. Sicché, costituendo l'inadempimento il presupposto per l'applicazione degli interessi moratori, ove vi sia certezza che l'inadempimento non si è mai verificato - per essere state le rate di mutuo onorate tempestivamente - né mai si verificherà -stante l'estinzione del rapporto (avvenuta, nel caso di specie, nel 2019), il mutuatario non ha alcun interesse a che sia accertata l'usurarietà di un tasso che non gli potrà mai essere applicato. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità della domanda per difetto di interesse ad agire. 4. A prescindere dalla rilevata inammissibilità della domanda, preme evidenziare che la stessa sarebbe stata anche rigettata nel merito, a motivo della sua infondatezza. Le risultanze delle indagini peritali finalizzate alla verifica della lamentata usurarietà hanno, infatti, evidenziato che il tasso annuo effettivo globale (T.A.E.G.) del finanziamento è pari al 3,69% e che il tasso di mora pattuito contrattualmente è pari al 6,432%. Sul punto, deve rilevarsi che l'esame del consulente ha riguardato soltanto le clausole del contratto sottoscritto nel 2003; tuttavia, le risultanze possono ritenersi estese anche allo schema negoziale del 2007, in considerazione, innanzitutto, della circostanza che quest'ultimo - finalizzato alla erogazione del saldo in favore della mutuataria - è già contemplato e disciplinato dal contratto del 2003. Inoltre, molteplici sono i richiami operati dallo schema contrattuale del 2007 alle clausole inserite in quello precedente; infatti, a modifica espressa di "quanto stabilito nell'art. 3 del contratto originario", esso stabilisce che "il rimborso della somma di Euro 350.000,00 avvenisse mediante il pagamento di n. (...) rate mensili posticipate (a partire dal 31.07.2007 fino al 31.12.2014) - in luogo delle 120 in precedenza stabilite - e che la mutuataria corrispondesse alla banca, alla scadenza del 30.06.2007, gli interessi di preammortamento calcolati sulle singole erogazioni parziali ricevute, al tasso di interesse nominale, nella misura pattuita nell'art. 4 del contratto originario", mentre "restavano confermate le altre condizioni" (cfr. pag. 10 della relazione peritale). L'accertamento tecnico ha, poi, rilevato che - esclusa, in ossequio ad un recentissimo orientamento di legittimità (cfr., sul punto, Cass., n. 4597/23; Cass., n. 7352/2022; Cass. n. 23866/2022), la commissione di estinzione anticipata ai fini della verifica di non usurarietà - il mutuo oggetto di disamina non può ritenersi usurario, "sia che (...) venga fatto rientrare nella categoria M., sia che venga ricompreso nella categoria Altri Finanziamenti", dal momento che: - il T.A.E.G. (pari al 3,69%) è inferiore al tasso soglia antiusura di riferimento, individuato nella misura del 6,225% per la categoria "mutui" e dell'8,82% per la categoria "altri finanziamenti"; - il tasso di mora contrattualmente pattuito (pari al 6,432%) è inferiore al tasso soglia antiusura, individuato nella misura del 9,375% per la categoria "mutui" e del 11,97% per la categoria "altri finanziamenti", in base a quanto calcolato dal consulente d'ufficio secondo le prescrizioni del quesito postogli ed in piena conformità con i criteri stabiliti dal citato orientamento delle Sezioni Unite. 5. In merito alla commissione di estinzione anticipata e alla dedotta incidenza di quest'ultima sul T.E.G., deve considerarsi come la specifica argomentazione sottesa alla contestazione parte attrice risulta superata alla luce del recente pronunciamento della Suprema Corte (cfr., Cass., Sez. III, 07.03.2022, n. 7352) in ragione del quale, facendo applicazione dei principi già espressi dalle Sezioni Unite (cfr., Cass., n. 1959/2020), non è possibile cumulare, ai fini in esame, la commissione di estinzione anticipata con gli interessi moratori. Infatti, secondo la Suprema Corte, in ragione del noto "principio di simmetria", la cd. c.e.a. costituisce "una clausola penale di recesso, che viene richiesta dal creditore e pattuita in contratto per consentire al mutuatario di liberarsi anticipatamente dagli impegni di durata, per i liberi motivi di ritenuta convenienza più diversi, e per compensare, viceversa, il venir meno dei vantaggi finanziari che il mutuante aveva previsto, accordando il prestito, di avere dal negozio"; mentre, come noto, gli interessi moratori "costituiscono una clausola penale risarcitoria volta a compensare il ritardo nella restituzione del denaro, così da sostituire, incrementati, gli interessi corrispettivi; ma, a ben vedere, proprio la natura di penale per recesso, propria della commissione di estinzione anticipata, comporta che si tratta di voce non computabile ai fini della verifica di non usurarietà; la commissione in parola non è collegata se non indirettamente all'erogazione del credito, non rientrando tra i flussi di rimborso, maggiorato del correlativo corrispettivo o del costo di mora per il ritardo nella corresponsione di quello; non si è di fronte, cioè, a "una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente" (arg. D.L. n. 185 del 2008, ex art. 2-bis, quale convertito), posto che, al contrario, si tratta del corrispettivo previsto per sciogliere gli impegni connessi a quella". Dai menzionati principi di diritto deriva che, nel caso di specie, la commissione di estinzione anticipata, non potendo essere cumulata con gli interessi moratori, non può concorrere alla qualificazione come usurario del tasso di interesse applicato dalla banca mutuante. A ciò si aggiunga che, non avendo il mutuatario mai esercitato la facoltà di recesso dal contratto - come, peraltro, evidenziato nella perizia espletata in corso di causa, a pag. 31 ("... nel caso in esame non risulta che la parte mutuataria abbia esercitato la facoltà di recesso anticipato nel corso del rapporto contrattuale...") - non si sono verificate le condizioni perché l'obbligo di corrispondere la commissione venisse a esistenza. 6. Sulla scorta delle considerazioni poc'anzi esposte e dei riferiti esiti peritali, si deve conclusivamente escludere la fondatezza del presupposto delle doglianze attoree (ovvero la sussistenza dell'usurarietà degli interessi moratori, con conseguente gratuità del mutuo) e, dunque, affermare che la domanda oggetto del presente giudizio sarebbe infondata nel merito, oltre che preliminarmente inammissibile. 7. Parimenti immeritevole di accoglimento risulta essere la doglianza riguardante l'asserita violazione dell'art. 117 T.Ub., per omessa indicazione del T.A.E.G. nello schema contrattuale, sull'assunto che la norma stabilisce, al comma 4, che "i contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora". In merito, occorre osservare, in primo luogo, che secondo la giurisprudenza maggioritaria, sia di merito che di legittimità, il TAEG/ISC non è un tasso d'interesse o una specifica condizione economica direttamente applicabile al contratto di finanziamento (sussumibile, perciò, nella più ampia categoria di "prezzo"), ma esprime in termini percentuali il costo totale effettivo del credito, svolgendo quindi una funzione propriamente informativa (cfr., ex multis, Trib. Bologna n. 20123/2018; Trib. Torino n. 2210/2018, n. 4233/2018 e n. 86/2019; Corte Appello Torino, ord. 28.1.2020). Si osservi, inoltre, che l'indicatore sintetico di costo serve solo ad informare il mutuatario del costo complessivo del credito a lui erogato, mentre le varie voci di costo - compresa, prima di tutto, la misura degli interessi corrispettivi - sono pattuite in altre specifiche clausole. Pertanto, la parte mutuataria avrebbe dovuto dedurre che, a causa della errata od omessa informazione sull'I.S.C., era stata indotta a stipulare un mutuo che altrimenti, conoscendone davvero il costo effettivo, non avrebbe stipulato (in tal senso, Trib. Napoli n. 183/2018). L'I.S.C. non costituisce, infatti, un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella condizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Ne discende che l'omessa o l'erronea indicazione dell'I.S.C. non incide sulla validità del contratto, ai sensi dell'art. 117 TUB, ma può al più rilevare sotto il profilo della responsabilità contrattuale e/o precontrattuale dell'istituto di credito, nell'ipotesi in cui venga dedotto uno specifico danno eziologicamente connesso all'inadempimento dell'obbligo informativo gravante sull'istituto mutuante. In tal senso, si è recentemente pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, statuendo che, "in tema di contratti bancari, l'indice sintetico di costo (ISC), altrimenti detto tasso annuo effettivo globale (TAEG), è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell'operazione di finanziamento, che comprende anche gli oneri amministrativi di gestione e, come tale, non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni, la cui mancata indicazione nella forma scritta è sanzionata con la nullità, seguita dalla sostituzione automatica ex art. 117 del D.Lgs. n. 385 del 1993; l'applicazione di condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate può, tuttavia,determinando la violazione di regole di condotta della banca, dar luogo a responsabilità contrattuale o precontrattuale di quest'ultima" (cfr., Cass. n. 4597/2023; Cass. n. 39169/2021). Ne consegue che, laddove, pur non essendo stato reso noto l'I.S.C. nella sua esatta entità, siano stati dettagliatamente indicati tutti i costi e gli oneri a carico del cliente - che, in tal modo, è stato reso edotto dell'impegno economico complessivamente derivante dall'operazione di finanziamento - alcuna violazione può in concreto ipotizzarsi (Trib. Roma n. 121/2018). Tale evenienza è proprio quella che si è verificata nella fattispecie in esame. A tali considerazioni deve aggiungersi che la mancata/errata indicazione in contratto dell'I.S.C. non è neanche idonea a determinare la sostituzione automatica del pattuito tasso degli interessi corrispettivi con quello minimo dei B.O.T. di riferimento. Difatti, l'obbligo in tal senso previsto dall'art.9 Del.CICR 4 marzo 2003 comporta la sanzione di cui all'art.117 T.Ub. solo per i contratti conclusi con i consumatori, ai sensi dell'art. 125 bis, comma 6, T.Ub. Al contrario, per i mutui a favore di operatori commerciali - quale è la società attrice - l'I.S.C. (come già detto) assume una mera funzione di pubblicità e trasparenza, sicché dalla sua mancata specificazione (ove siano indicate invece le singole voci del costo del finanziamento, e cioè i "tassi, prezzi e condizioni" di cui all'art.117, VI co. T.Ub.) può derivare esclusivamente la risarcibilità del danno che il mutuatario dimostri di aver subito per difetto di detta informazione (cfr., Cass., n. 39169/21) e che, nel caso di specie, è stato soltanto lamentato ed allegato da parte attrice, ma giammai da essa dimostrato. Sotto distinto profilo, pur in disparte di tali dirimenti considerazioni, occorre rilevare come la banca convenuta abbia prodotto agli atti idonea prova documentale, sostanziantesi "nel piano di ammortamento allegato all'atto di erogazione e quietanza finale del 18.04.2007" (all. comparsa di costituzione e risposta), nella quale l'indicatore oggetto di contestazione è esplicitamente menzionato (cfr. pag. 1, piano di ammortamento), in ossequio alla Del.CICR 4 marzo 2003 che, all'art. 9, relativamente alle informazioni contrattuali nei contratti - tra gli altri, anche di mutuo fondiario - prevede che "al contratto deve essere unito un documento di sintesi delle principali condizioni contrattuali, redatto secondo i criteri indicati dalla B.D.". 8. Con riferimento alla censura relativa all'asserita nullità della clausola di pattuizione degli interessi, "per indeterminatezza relativa al tasso corrispettivo manipolato ex art. 1284 c.c. e per contrarietà dell'oggetto del contratto all'ordine pubblico ed economico ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 2 comma e 1346 c.c.", va detto che essa non è soltanto infondata, ma è anche sostanzialmente indimostrata. 8.1. È infondata, perché, nel contratto di mutuo oggetto del presente giudizio, è espressamente previsto che il rimborso sarebbe avvenuto mediante 120 rate mensili "nella misura corrispondente all'EURIBOR a 6 mesi maggiorato di 1,30 punti in ragione di anno" e tale pattuizione è rispettosa del principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "in tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, 3 co., c.c., la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari" (cft., ex multis, Cass. 22179/2015). A ciò si aggiunga che sono clausole negoziali aderenti alle prescrizioni dell'art. 117 T.Ub. quelle che disciplinano il tasso di interesse in modo da risultare determinato all'origine e determinabile nel tempo secondo un parametro certo, in quanto determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati ed esplicitati in contratto. Orbene, di tale tenore deve considerarsi la clausola contrattuale poc'anzi richiamata, stante l'esplicita previsione che "le parti convengono che il tasso di interesse nominale annuo del mutuo, tanto per il periodo di preammortamento che per il periodo di ammortamento, venga stabilito nella misura corrispondente all'EURIBOR a 6 mesi maggiorato di 1,30 punti in ragione di anno" (cfr. art. 4 contratto di mutuo). 8.2. È, inoltre, indimostrata, poiché è onere della parte istante allegare ed evidenziare la concreta incidenza sul singolo contratto dell'applicazione del tasso Euribor richiamato, nonché l'adesione della banca all'intesa anticoncorrenziale vietata dalla normativa europea e, in particolare, dall'art. 101 T.U.E., recepita nel diritto nazionale dalla L. n. 287 del 1990 (c.d. cartello interbancario). Al contrario, nel caso che qui occupa, non è stato specificato se effettivamente nell'indicato periodo (2005-2008) il tasso variabile pattuito abbia superato il tasso-soglia, né sono state indicate le ragioni per cui l'eventuale superamento sarebbe disceso proprio dalla correlazione del tasso variabile in concreto applicato con il parametro Euribor contestato, piuttosto che, al contrario, allo spread dell'1,30% dedotto nel contratto. Né, da ultimo, la società mutuataria ha precisato quale condotta specifica - nell'ambito dell'intesa censurata - sarebbe addebitabile all'Istituto mutuante convenuto in giudizio, atteso che la sanzione richiamata da parte attrice è stata inflitta dalla Commissione Europea, in materia di violazione della normativa antitrust, in data 04/12/2013, esclusivamente nei confronti di Ba., Società Ge., Ri., Ca., Ha. e Je.Ma.. Conseguentemente, anche tale contestazione risulta non meritevole di favorevole scrutinio. 9. In merito alla eccepita violazione dell'art. 117, comma 4, T.Ub., per aver la banca omesso di informare il mutuatario del costo dell'assicurazione stipulata contro i danni dell'incendio, del fulmine e scoppio, vincolata a favore della mutuante (che, a norma dell'art. 13 del contratto di mutuo, la società istante avrebbe dovuto esibire prima dell'erogazione dl finanziamento), questo giudicante ritiene che la doglianza sia assolutamente destituita di fondamento e, pertanto, non meritevole di accoglimento, per il dirimente motivo che, essendo stata la polizza sottoscritta con altra compagnia assicurativa (cfr. all. 10 all'atto introduttivo), la banca evocata in giudizio non avrebbe potuto avere in alcun modo contezza del relativo ammontare. 10. L'attore ha, infine, contestato sia l'omessa comunicazione della possibilità di ridurre la penale di estinzione anticipata, per effetto dell'accordo A. del 02/05/2007, sia l'abuso di posizione dominante della Banca, di cui all'art. 3, L. n. 287 del 1990 - in forza della quale l'istituto creditizio avrebbe addebitato interessi illegittimi perché usurari. In merito, deve ritenersi che anche queste doglianze non colgono nel segno, in quanto formulate genericamente, prive di allegazioni corroboranti la sussistenza delle violazioni di legge paventate e, in definitiva, tali da doversi considerare delle mere illazioni pretestuose. Invero, quanto al lamentato addebito di interessi usurari - sull'assunto che la banca avrebbe abusato della posizione dominante di cui all'art. 3, L. n. 287 del 1990 - va ribadito quanto evidenziato precedentemente in relazione all'accertato carattere non usurario del contratto in esame. Circa l'Accoro A. richiamato da parte attrice, va preliminarmente osservato che con esso si è data attuazione all'art. 7, comma 5, del D.L. n. 7 del 2007 (e convertito nella L. n. 40 del 2007), a norma del quale "l'Associazione bancaria italiana e le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, ai sensi dell'articolo 137 del codice del consumo di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, definiscono, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regole generali di riconduzione ad equità dei contratti di mutuo in essere mediante, in particolare, la determinazione della misura massima dell'importo della penale dovuta per il caso di estinzione anticipata o parziale del mutuo". Se, dunque, è incontrovertibile che il succitato accordo determina la misura massima della penale dovuta in caso di estinzione anticipata del finanziamento, al ricorrere delle condizioni ivi determinate vale a dire, contratti di mutuo stipulati con banche, per l'acquisto della prima casa, antecedentemente al 2 febbraio 2007 - data di entrata in vigore del D.L. n. 7 del 2007 - ed in essere a tale data. Per acquisto di prima casa va inteso l'acquisto della casa dove si intende stabilire la propria residenza; contratti di mutuo stipulati con banche o con altri soggetti mutuanti, per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale, antecedentemente al 3 aprile 2007 - data di entrata in vigore della L. 2 aprile 2007, n. 40 di conversione del D.L. n. 7 del 2007 - ed in essere a tale data, è altresì indubbio, come peraltro correttamente evidenziato dalla convenuta, che la previsione richiamata riguarda soltanto i contratti stipulati da "persone fisiche" (famiglie, lavoratori autonomi, professionisti, ditte individuali...), "categoria nella quale non rientra la parte attrice, società di capitali che ha stipulatoil mutuo per esigenze relative alla sua attività imprenditoriale". Inoltre, l'omissione censurata sarebbe inconferente, a fronte della dirimente circostanza che, da un lato, il citato accordo prevede la possibilità per il mutuante di richiedere un conguaglio alla banca mutuataria solo nell'ipotesi di mutui estinti - al più tardi - entro il 31 maggio 2007 e che, dall'altro, "...non risulta che la parte mutuataria abbia esercitato la facoltà di recesso anticipato nel corso del rapporto contrattuale..." (cfr. pag. 31 della c.t.u.). Per quanto su esposto, neanche le censure poc'anzi esaminate meritano favorevole considerazione. 11. Sulla scorta delle riferite emergenze, deve conclusivamente affermarsi che le doglianze sollevate avverso il carattere usurario del contratto in esame, unitamente alla eccezione di indeterminatezza della clausola contrattuale di previsione del tasso di interesse in quanto ancorata al parametro Euribor, alla violazione delle norme contenute nel T.Ub. e alla domanda di condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite, oltreché al risarcimento dei danni patiti (per le violazioni di legge appalesatesi infondate), non meritano alcuna favorevole considerazione e sono, pertanto, destinate all'inevitabile rigetto. 12. Le considerazioni sin qui svolte sono tali da assorbire ogni ulteriore contestazione od eccezione sollevate, evidenziandosi che i profili non espressamente esaminati sono da considerarsi infondati ovvero non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 13. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che al rigetto della domanda segue la condanna di parte attrice al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, pubblicato sulla G.U. n. 236 dell'8.10.2022 e in vigore dal 23.10.2022. 14. Anche le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente ed interamente a carico della parte attorea, con espresso riconoscimento del diritto di parte convenuta di ripetere, nei confronti del soccombente, le somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. e da esso non dovute. Per Questi Motivi Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Sp. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti di Ub. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: RIGETTA la domanda di cui in epigrafe; CONDANNA Sp. s.r.l. al pagamento, in favore di Ub. s.p.a., delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 8.758,40 (di cui Euro 0,00 per spese documentate, Euro 7.616,00 per compensi professionali ed Euro 1142,40 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, pubblicato sulla G.U. n. 236 dell'8.10.2022 e in vigore dal 23.10.2022), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; PONE definitivamente a carico di Sp. s.r.l. le spese della consulenza tecnica d'ufficio, per l'importo come liquidato in corso di causa, dichiarando espressamente ripetibili nei confronti dell'attore quelle eventualmente anticipate al c.t.u. da Ub. s.p.a.; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 16 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VASTO Il Tribunale, nella persona del Giudice onorario dott. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado, iscritta al n. 1207/2018 R.G., avente ad oggetto: altri istituti e leggi speciali, vertente TRA: CONDOMINIO Pa. (c.f. (...) con il patrocinio dell'avv. (...) come da procura in atti; ATTORE contro He. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (c.f./p.i. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio degli avv.ti (...) come da procura in atti; CONVENUTO Pr. S.A. (GIÀ (...) SPA) - RAPPRESENTANZA G.I. (p.i. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio degli avv.ti (...) e (...) come da procura in atti; CONVENUTO nonché contro CONDOMINIO Do. (C.F. (...) in persona del legale rappresentante e amministratore pro tempore, (...) con il patrocinio dell'avv. (...) come da procura in atti; TERZO CHIAMATO IN CAUSA Do. SAS DI Gr.Do. in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) come da procura in atti; TERZA CHIAMATA IN CAUSA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE Si premette che: ai sensi dell'art. 132 c.p.c. comma 2, n. 4 (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009), la sentenza deve contenere "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione" (e non più "la concisa esposizione dello svolgimento del processo"); ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009) la "motivazione della sentenza di cui all'art. 132, comma 2, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". La motivazione, ancora, è redatta in maniera sintetica secondo quanto previsto dall'art. 19 del D.L. n. 83 del 2015, convertito con L. n. 132 del 2015 che modifica il D.L. n. 179 del 2012 a sua volta convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, nonché in osservanza dei nuovi criteri di funzionalità, flessibilità e de formalizzazione dell'impianto decisorio della sentenza siccome delineati da Cass. SS.UU. 642/2015. Pertanto, con riguardo allo svolgimento del processo saranno richiamati unicamente gli eventi rilevanti ai fini della decisione. Con atto di citazione, notificato il 6.12.2018, il Condominio (...) conveniva in giudizio la Pr. S.r.l. e la (...) Spa, per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Piaccia all'On. Tribunale di Vasto, contrariis reiectis: 1) accertare e dichiarare i gravi vizi e difetti del fabbricato denunziati e, per l'effetto, condannare i convenuti i Pr. S.r.l. in persona del suo liquidatore pro tempore e la (...) Spa, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, in solido tra loro, a corrispondere, al Condominio (...) in persona del suo amministratore pro tempore, a titolo di risarcimento danni, la somma complessiva di Euro 107.713,57, oltre iva ed oneri come per legge, così come quantificata dal CTP con la propria relazione del 23.11.2018 per le voci di danno ivi specificate (lavori riportati nel computo metrico, mancato utilizzo degli impianti e costi amministrativi e urbanistici), o di quella diversa che verrà quantificata in corso di causa, previa espletando CTU, che sin da ora si richiede, o in quella ritenuta dal Giudice in via equitativa, sempre e comunque con interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo; 2) condannare sempre e comunque i convenuti al pagamento delle spese e competenze di causa, oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge". A sostegno della domanda, l'attore deduceva, in sintesi e per quanto di interesse: che il fabbricato del condominio (composto da due piani interrati -piano S1 e piano S2- piano terra e quattro piani fuori terra, con un sovrastante piano sottotetto, in parte abitabile, servito da 4 scale A, B, C e D) era realizzato dalla società He. S.R.L., in fase di liquidazione, in forza del permesso a costruire n. 35/2006, rilasciato dal Comune di Vasto in data 6.6.2006; - che, tra il dicembre 2017 ed i primi mesi del 2018, si verificavano copiose infiltrazioni di acqua che provocavano l'allagamento dei locali posti al secondo livello sotto strada e dei pozzi degli ascensori, causandone il blocco, rendendo necessari diversi interventi manutentivi; - che, per verificare la causa delle predette in filtrazioni, incaricava il geom. (...) il quale, nella relazione del 25.5.2018, rilevava che: "...in modo evidente ed inopinabile, la struttura formata da pareti a contatto con il terrapieno, sia a Ovest (lato mare) che a Nord, sono prive di una efficace impermeabilizzazione e di idoneo drenaggio. Sia l'impermeabilizzazione che il drenaggio erano necessari sin dalla edificazione del complesso immobiliare, stante le dichiarazioni emerse in seno alla relazione del geologo, Dott. (...) redatto in data 8.4.2006, prima della progettazione degli edifici"; - che, pertanto, provvedeva a contestare la presenza dei predetti vizi a mezzo raccomandata a/r del 31.5.2018 sia nei confronti della società costruttrice He. S.R.L., che della (...) S.p.A., che, tuttavia, declinavano ogni responsabilità; - che, con successiva relazione del 23.11.2018 sempre a firma del Geom. (...) venivano individuate altresì le opere necessarie per l'eliminazione dei difetti rilevati in precedenza, oltre ad un computo metrico estimativo, per un totale complessivo di Euro 99.213,57, oltre Iva come per legge, nonché oltre ai danni per gli ulteriori e continui interventi manutentivi. Si costituiva tempestivamente in giudizio, in data 11.3.2019, la convenuta Pr. S.A. (già Co. Spa) che, dopo aver sostenuto di essere succeduta in tutti i diritti, obblighi e posizioni processuali già in capo a Na. Spa, a sua volta subentrata in tutti i diritti, obblighi e posizioni processuali già in capo alla Co.Fr. S.A., rassegnava le seguenti conclusioni: "in via preliminare, accerti e dichiari la legittimazione di Pr. S.A. - Rappresentanza G.I. a costituirsi nel presente giudizio in quanto succeduta a Na. Spa a sua volta successore di Co. S.A. (già Co. Spa), in tutti i diritti, obblighi e posizioni processuali di questa in dipendenza della polizza di assicurazione decennale postuma n. (...) stipulata con Pr. S.r.l., disponendo l'estromissione della convenuta Co. SpA; nel merito e in via principale, respinga le domande proposte dal Condominio Pa. in quanto infondate in fatto ed in diritto e non provate ed anche attesa la carenza di legittimazione del condominio attore con riferimento ai danni subiti non dalle parti comuni dell'edificio ma da appartamenti e/o box di proprietà privata di singoli condomini; accerti e dichiari l'inefficacia e/o inesigibilità e/o inoperatività della garanzia presta con la polizza di assicurazione decennale postuma n. (...) stipulata con Pr. S.r.l. attesa l'estraneità dei vizi e difetti lamentati dal condominio attore rispetto all'oggetto della copertura assicurativa come definito dall'art. 1 delle Condizioni Generali di Assicurazione, nonché in considerazione delle previsioni di esclusione della copertura assicurativa convenute all'art. 2 lettere a), c), d), e), f), g), h) delle Condizioni Generali di Polizza, nonché atteso il mancato avvera mento delle condizioni essenziali di efficacia dell'assicurazione convenute all'art. 3 delle Condizioni di Polizza, in ogni caso respingendo tutte le domande proposte nei confronti della Compagnia Assicuratrice e mandando assolte (...) e per quanto di ragione (...) da ogni domanda avversaria; in via di subordine, accerti e dichiari (...) e per quanto di ragione (...) tenuta esclusivamente nei limiti dei soli danni provati ed immediatamente riferibili a fatto e colpa di Pr. S.r.l. ed ai locali di proprietà del condominio attore, con esclusione di qualsivoglia responsabilità della Compagnia Assicuratrice per i danni indiretti, nonché per i danni imputabili a responsabilità di soggetti terzi, nella denegata ipotesi in cui venissero provati eventuali danni riferibili a fatto e colpa solo dell'assicurata (e non di altri soggetti la cui attività non è garantita) e solamente tale da rilevare ai sensi dell'art. 1669 c.c. ( e non ad altri titoli estranei alla garanzia) limiti comunque ogni obbligo di indennizzo nell'ambito dei massimali e sottomassimali di polizza (come individuati nel frontespizio della polizza prodotta) con applicazione in detrazione di franchigia e scoperto contrattualmente previsti in polizza, respingendo ogni diversa e maggiore domanda; in ogni caso, con vittoria di spese e compensi, gravati da IVA e CNPAP". La predetta convenuta ha dedotto, in sintesi e per quanto di interesse: - carenza di legittimazione dell'attore con riferimento ai danni subiti sulle parti non comuni dell'edificio; - l'infondatezza della domanda attorea, atteso che non risultava provato che i danni lamentati fossero conseguenza dell'errata progettazione e/o costruzione del fabbricato, non potendosi escludere che gli stessi potessero derivare dalla cattiva manutenzione dell'edificio o dal deterioramento delle strutture; - l'inoperatività della polizza di assicurazione n. (...), poiché la stessa non sancirebbe alcun obbligo di indennizzo a carico dell'assicuratore né per vizi dell'opera, né per danni derivanti da modifiche dell'opera, né per interventi manutentivi da deperimento o da difettosa impermeabilizzazione. Si costituiva ritualmente in giudizio, in data 18.3.2019, anche la convenuta He. S.R.L. in liquidazione la quale, dopo aver dedotto di aver realizzato il fabbricato per cui è causa, contestava la domanda attorea, declinando ogni responsabilità in ordine ai vizi lamentati, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e la decadenza dell'attore dalla denunzia dei vizi di cui all'art. 1669 c.c., avanzando l'autorizzazione alla chiamata in causa del Condominio (...) al fine di essere manlevata per tutti i danni denunciati e richiesti dall'attore, rassegnando le seguenti conclusioni: "in via preliminare, autorizzare (...) la chiamata del terzo Condominio (...) (...) in persona dell'amministratore e legale rappresentante p-t Sig. (...) con studio in S. S. alla Via (...) per tutti i motivi su esposti e per l'effetto fissare ai sensi dell'art. 269 c.p.c. e comunque ai sensi del vigente codice, altra udienza per consentire la ridetta chiamata; accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Pr. S.r.l. in liquidazione, per tutto quanto dedotto in atti; in via principale, accertare e dichiarare il Condominio (...) decaduto dall'azione de qua per decorso del termine di cui all'art. 1669 c.c.; nel merito, accertare e dichiarare inammissibile ed infondata per tutte le dedotte ragioni la contraria domanda; In ogni caso, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle domande di cui innanzi ed in accoglimento di quella attrice, ritenere e dichiarare che il terzo chiamato Condominio (...) corrente in V. M. alla Via (...) in (...) persona dell'amministratore e legale rappresentante p-t Sig. (...) con studio in S. S. alla Via (...) è tenuto a garantire e/o manlevare il convenuto in toto rispetto alla domanda attrice e per l'effetto condannare il terzo medesimo al risarcimento degli eventuali danni che verranno accertati in corso di causa. In ogni caso, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle domande di cui innanzi ed in accoglimento di quella attrice, ritenere e dichiarare che la convenuta (...) spa è tenuta a garantire e/o manlevare, secondo le di polizza, il convenuto in toto rispetto alla domanda attrice e per l'effetto condannare la medesima Compagnia al risarcimento degli eventuali danni che verranno accertati in corso di causa in ragione della vigente polizza assicurativa n. (...) del 10.07.2006; con vittoria di spese e competenze di causa". In particolare, la convenuta He. S.R.L. sosteneva che l'area occupata dalla Pr. S.A.s. di (...) per la realizzazione dell'edificio, oggi costituente il Condominio (...) insisteva su un canale utile ad intercettare le acque meteoriche, consentendone il reflusso verso il mare. Tuttavia, tale costruzione andava ad interrompere il corso del canale, determinando l'accumulo di grosse quantità di acqua a ridosso dell'edificio attore che, insidiandosi nel terreno, andavano a causare i lamentati fenomeni infiltrativi. Da tale condizione derivava la necessità di effettuare più interventi realizzazione di una cunetta di scolo per le acque piovane e la chiusura di un foro praticato nel muretto di recinzione di proprietà dell'attore) che, tuttavia, nel corso degli anni, non sortivano alcun esito risolutivo, andando ad aggravare la situazione. Differita l'udienza di comparizione delle parti all'udienza del 24.9.2019, onde consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all'art. 269 c.p.c., si costituiva in giudizio, in data 3.9.2019, il Condominio (...) (quale chiamata in causa dalla convenuta He. S.R.L.), il quale eccepiva l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria ed il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alla responsabilità dei danni da in filtra zi on e, non avendo partecipato alle opere di edificazione e modifica dello stato dei luoghi preesistente; inoltre, atteso che lo stabile condominiale era stato realizzato dalla Pr. S.A.s., ne chiedeva l'autorizzazione alla chiamata in causa, al fine di essere manlevato da ogni eventuale responsabilità, in via subordinata, in caso di mancata condanna della He. S.R.L. al risarcimento dei danni. In data 17.1.2020, si costituiva in giudizio anche la Pr. S.A.s. di (...) quale terza chiamata in causa dal Condominio (...) contestando ed impugnando sia la domanda attorea che quelle formulate dalla He. S.R.L. in liquidazione e dal Condominio (...) In particolare, la (...) dopo aver offerto in giudizio la relazione tecnica effettuata dal proprio consulente ritraente lo stato dei luoghi antecedente gli interventi edilizi, ha confutato la ricostruzione dei fatti sostenuta dalla chiamante, addossando ogni responsabilità relativa ai danni occorsi a carico della He. S.R.L., la quale, diversamente da quanto sostenuto, in una fase di successiva realizzazione della recinzione esterna e dei garages di pertinenza dello stabile condominiale (...) si sarebbe spinta fino alla linea di confine con la proprietà (...) andando ad ostruire il naturale deflusso delle acque ed a provocare, conseguentemente, i fenomeni infiltrativi lamentati dall'attore. Riservata in sede decisoria ogni questione in punto di legittimazione processuale, tempestività della domanda e procedibilità della stessa, la causa, istruita unicamente tramite le produzioni documentali offerte dalle parti e con l'espletamento di una C.T.U., rinnovata dal giudice con Provv. del 19 aprile 2022, è stata trattenuta per la decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c, ed, allo spirare degli stessi, la causa viene decisa come di seguito 1. In via preliminare, va disattesa l'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dalla terza chiamata, Condominio (...), per omesso esperimento della mediazione obbligatoria, dal momento che l'azione di risarcimento danni (in forma specifica o generica) non rientra tra le materie per le quali è prevista la mediazione obbligatoria ed atteso che la stessa trova titolo in un rapporto contrattuale di vendita o di appalto e che la responsabilità, richiamata dalla predetta norma, trova la sua fonte non nel principio del neminem laedere, bensì nell'art. 1173 c.c.., di talché costituisce fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, non contemplato dal disposto dell'art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010. La materia dell'appalto non rientra, dunque, tra quelle per cui la mediazione è condizione preliminare di procedibilità della domanda (cfr. Tribunale di Livorno, sentenza 7 marzo 2016, n. 316). Sotto altro profilo, l'azione di risarcimento danni (nella specie da infiltrazioni) non rientra nell'ambito di applicazione della mediazione obbligatoria per come disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010. Infatti, la richiesta di risarcimento danni è riconducibile al risarcimento da fatto illecito ai sensi dell'articolo 2051 del codice civile, e non alla violazione o all'errata applicazione delle disposizioni riguardanti il condominio (cfr., in tal senso, Tribunale di Latina sentenza n. 52/2023). 2. Risolta tale problematica, va rilevato come, sulla base dell'istruttoria effettuata e della documentazione offerta a supporto risultano provati i danni da infiltrazione denunciati da parte attrice. Sulla base della relazione del CTU Geom. (...) che si condivide sia in relazione al metodo di indagine che alle risultanze, risulta provato il fenomeno infiltrativo ed i danni così come denunciati dall'attore in citazione. Infatti, gli accertamenti svolti dall'ausiliario del giudice, la cui complessiva valutazione è pienamente condivisibile, in quanto condotta in base ad un rigoroso criterio tecnico, approfondito ulteriormente con l'ausilio del geologo incaricato, priva di aporie logiche o di inesattezze giuridiche, coerente con tutta la documentazione acquisita in atti, rispondente in via puntuale a tutte le osservazioni critiche dei CTP di tutte le parti avverse con riscontri esaustivi, chiari e concordanti, hanno confermato e precisato quanto già emerso in seno ai rilievi effettuati dal geom. (...) su incarico della parte attrice. La CTU, come rinnovata, all'esito dei necessari sopralluoghi nell'immobile per cui è causa, ha così concluso: "non vi è alcuna evidenza della presenza di un sistema di raccolta delle acque provenienti da un drenaggio a tergo del predetto muro (...) posso affermare che è stato commesso un grave errore costruire un muro controterra alto almeno 7,5 metri e "lungo" quasi 50 metri e non dotarlo di un sistema di drenaggio con tubazioni di captazione/raccolta e smaltimento verso valle", (cfr. pag. 12 relazione tecnica in atti), andando ad appurare, dalle evidenze riscontrate, una recrudescenza del fenomeno perdurante, atteso che è stato accertato che manca o non è funzionante il sistema di drenaggio. Il consulente ha, poi, individuato l'origine delle infiltrazioni che hanno interessato le parti comuni del condominio attore, constatando che: "quanto lamentato da parte attrice è certamente ed esclusivamente attribuibile ad un sistema di drenaggio delle fondazioni e del muro contro-terra ad Ovest assente, mal realizzato e/o mal progettato". Segnatamente, la CTU ha evidenziato che la presenza di un livello falda posta a pochi metri dal piano di campagna (com'è risultato dall'accertamento del 23 maggio 2022) e quanto suggerito alla ditta He. S.R.L. nella relazione tecnica a firma del Dott. (...) geologo dalla stessa incaricato prima della realizzazione del fabbricato (nella quale il tecnico forniva "con estrema cura tecnica, indicazioni al progettista e all'impresa sulla tipologia di opere da realizzare per evitare problemi di infiltrazioni nel fabbricato da costruire") avrebbero dovuto "indurre il progettista, nonché la ditta costruttrice, a proteggere il fabbricato, in modo adeguato, dalle acque di falda e/o meteoriche provenienti da monte con la realizzazione di un muro di isolamento in c.a., da quota piano di campagna fino a quota - 0,5m dal piano di fondazione, dotato di adeguato sistema di drenaggio e canalizzazione delle acque a valle". Al contrario, emerge chiaramente come la He. S.R.L. in liquidazione ed il progettista incaricato non hanno ottemperato né alle raccomandazioni espresse dal proprio tecnico di fiducia né hanno tenuto in debita considerazione le particolarità caratterizzanti lo stato dei luoghi per cui l'acqua, proveniente dalle fondazioni, non opportunamente drenata e canalizzata verso valle, andava a raggiungere il massetto per poi riversarsi inevitabilmente nella fossa ascensori, provocando i danni lamentati dall'attore. Infatti, l'ausiliario del giudice ha chiarito che: "stando alla conformazione del terreno ad Ovest del fabbricato, la mancata realizzazione di un'opera di sostegno, raccomandata dal geologo, non lascia dubbi sul fatto che se fosse stata realizzata, avendo una quota di appoggio di oltre 8 metri dal piano di campagna, avrebbe impedito alle acque meteoriche provenienti da monte, di interessare il fabbricato (...) risulta, quindi, evidente che la causa esclusiva delle infiltrazioni lamentate dalla parte attrice è da attribuirsi alla mancata realizzazione di un adeguato sistema di drenaggio e canalizzazione delle acque: un grave vizio di costruzione" Risulta, dunque, accertato che le infiltrazioni sono state provocate da difetti di costruzione consistenti nella mancanza o nel malfunzionamento di un sistema adeguato di drenaggio, che la ditta avrebbe dovuto realizzare rispondendo alle "buone regole dell'arte". Quanto appurato dal tecnico nominato d'ufficio all'esito dei sopralluoghi effettuati trova supporto anche nelle argomentazioni evidenziate dal geologo, Dott. (...) ausiliario del consulente, autorizzato dal giudice con ordinanza del 14.10.2021, il quale ha precisato che: "nella fase di progettazione delle opere, il problema della presenza di acqua di falda già ad una quota di circa 3,26 m dal piano di campagna è stato decisamente sottovalutato: non sono state realizzate opere che potessero "isolare" il fabbricato dalle acque provenienti da monte. Proprio la tipologia della costruzione, che prevedeva ben due piani seminterrati, con uno scavo di oltre 8 m dal piano campagna, avrebbe dovuto indurre il Progettista, la Direzione dei lavori e l'impresa Costruttrice a dar corso alle raccomandazioni riportate nella relazione del Dott. (...) Pertanto, le infiltrazioni e gli allagamenti lamentati dalla parte attrice sono stati ritenuti senza alcun dubbio derivanti esclusivamente dall'inadeguatezza delle opere di drenaggio e/o canalizzazione delle acque a monte del fabbricato, che laddove fossero state presenti, avrebbero impedito, soprattutto in occasione di eventi meteorici prolungati o di una certa intensità, il grave danneggiamento del fabbricato. 3. Una volta accertata, attraverso l'espletata CTU, l'esistenza delle infiltrazioni ed individuata la causa delle stesse in vizi costruttivi, occorre stabilire se sia configurabile una responsabilità concorrente a quella della ditta He. S.R.L. Non possono, infatti, condividersi le contestazioni sollevate in ordine alla necessità di una integrazione o di una rinnovazione della consulenza tecnica esperita, atteso che risultano pienamente rispettati sia il principio del contraddittorio che quello relativo all'uso della documentazione prodotta in atti. In effetti, la relazione del geom. (...) è stata opportunamente vagliata quale documentazione ritualmente acquisita in atti, unitamente a tutti gli ulteriori elementi concorrenti ai fatti per cui è causa, all'esito degli opportuni sopralluoghi effettuati anche unitamente al Dott. (...) la cui presenza veniva autorizzata dal Giudice - contrariamente da quanto sostenuto da parte convenuta - per effettuare accertamenti geotecnici specialistici, nel rispetto del contraddittorio di tutte le parti in causa. 4. Tanto premesso, occorre precisare che, in materia di vizi di costruzione, il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde, in base all'articolo 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile. Da tali principi discende che l'amministratore del condominio attore ha il potere- dovere di compiere gli atti necessari per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. Inoltre, dal corredo probatorio versato in atti risulta accertato che i danni da infiltrazioni hanno interessato le parti comuni dell'edificio per cui è causa tutte le parti danneggiate dalle infiltrazioni sono comuni del fabbricato, tra cui, muri contro terra, vespai, corsia dei garages, fine corsa degli ascensori, ecc.) e che, pertanto, sussiste la piena legittimazione attiva dell'attore ad agire in giudizio. 5. I vizi lamentati dall'attore, riscontrati ed accertati in corso di causa, rientrano dunque nella nozione di gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c., secondo cui: "quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio dei suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia". Oltre alla rovina, totale o parziale, ovvero al pericolo di rovina, la garanzia dell'appaltatore copre i "gravi difetti", i quali, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, sono da ascriversi a quei vizi non solamente strutturali ma tali da incidere sulla funzionalità globale della costruzione, al punto da comprometterne in modo apprezzabile il godimento e così l'idoneità a fornire l'utilità a cui essa era destinata. Essi prescindono dall'importo in denaro necessario alla loro eliminazione, ma - ancorché afferiscano ad elementi secondari od accessori - riguardano lesioni, imperfezioni o difformità tali da incidere sensibilmente sul valore economico dell'edificio o di parti di esso (da ultimo, Cass. Civ. sez. VI, n. 1423 del 18.1.2019). Nell'ambito della casistica, va sottolineata la ammissibilità della garanzia per vizi "non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorché incidenti soltanto su parti comuni dell'edificio e non sulle singole proprietà dei condomini" (ex multis, Cass. Civ. sez. VI, ord. n. 3674 del 7.2.2019). 6. Occorre, a questo punto, esaminare l'eccezione di prescrizione e decadenza sollevata dalla società costruttrice, che afferma essere decorso l'anno dalla scoperta e dalla denunzia: l'atto di citazione è stato notificato in data 11.12.2018, i vizi denunziati con la missiva del 31.5.2018, mentre la scoperta degli stessi sarebbe avvenuta nell'anno 2007 in occasione di una transazione con la (...) e nell'anno 2014, 2015 e 2016 quando l'attore intimava a quest'ultima l'eliminazione delle opere di ripristino dalla stessa effettuate. Tuttavia, la predetta eccezione di decadenza deve ritenersi infondata. Come noto, la citata normativa individua tre termini: uno decennale di natura sostanziale, un secondo di decadenza per la denuncia entro un anno dalla scoperta, un terzo di prescrizione dell'azione, di un anno dalla denuncia. A tal proposito, va rilevato come la Cassazione ha più volte ribadito il principio secondo cui soltanto dal momento in cui il committente ha una piena percezione del vizio che affetta l'immobile decorrono i termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1669 c.c. Sul punto, viene infatti affermato che: "il termine di un anno per la denuncia previsto dall'art. 1669 a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (...) a meno che non si sia in presenza di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini" (Cassazione civile sez. II, 06/12/2022, n.35781; così Cass. n. 777/2020 e Cass. n. 4622/2002). La giurisprudenza ha, dunque, confermato l'oramai diffuso orientamento secondo cui i termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1669 c.c. decorrono soltanto dal momento in cui il vizio da cui l'immobile è affetto sia percepibile in modo pieno, senza che rilevi, al fine del computo di tali termini, il fatto che il committente potesse aver cognizione di alcune conseguenze del vizio presente. (Cass. Sez. 2 - Ordinanza n. 777 del 16/01/2020; Cass. Sez. 2 - Ordinanza n. 24486 del 17/10/2017). Decorrendo il termine prescrizionale annuale dalla denuncia, a tal fine è necessario che quest'ultima riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3040 del 16/02/2015; cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10048 del 24/04/2018; ed ancora, Cass. n. 1463 del 2008: "Il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo"). Nel caso in esame, può senz'altro ritenersi che il momento di piena comprensione del fenomeno da parte dell'attore si sia realizzato compiutamente soltanto all'esito delle risultanze espresse dal tecnico incaricato, geom. (...) di cui alla relazione tecnica del 25.5.2018, poi trasfusa in una nuova relazione del 23.11.2018 (doc n. 12 fascicolo attore), idonee a comprendere la gravità dei vizi ed a stabilirne il corretto collegamento causale. Va altresì tenuto presente che la disciplina restrittiva di cui all'art. 1669 c.c. ha natura speciale rispetto a quella di cui all'art. 2043 c.c., con cui condivide la fonte extracontrattuale della responsabilità. Ne discende che, ove non sia applicabile la norma speciale, quindi, per esempio anche nel caso in cui non siano stati rispettati i più brevi termini di decadenza e prescrizione ivi indicati, può farsi applicazione della disciplina generale, che prevede un termine di prescrizione quinquennale, a condizione che sia fornita la prova della responsabilità dell'appaltatore, che nella disciplina speciale è invece presunta. 7. Sono stati riscontrati, pertanto, elementi probatori chiari e idonei ad accertare la responsabilità della convenuta quale ditta costruttrice del condominio attore. Inoltre, la causa delle infiltrazioni è stata individuata dal consulente nominato con assoluta sicurezza, tant'è che lo stesso, diversamente da quanto sostenuto da parte convenuta, ha compiutamente dato riscontro alle osservazioni critiche sollevate dai consulenti di parte delle altre parti. Dal corredo probatorio, dunque, non è emerso alcun profilo di responsabilità in capo alle chiamate in causa, Condominio Pr. S.A.s., derivando i danni occorsi unicamente dalla presenza di acclarati vizi di costruzione. Non risulta provato alcun elemento ulteriore a supporto della prospettazione dei fatti sostenuta dalla He. S.R.L. in liquidazione, secondo cui lo stato dei luoghi avrebbe subito delle modifiche pregiudizievoli apportate in via arbitraria dalla Pr. S.A.s. in corso di realizzazione del Condominio (...) dalle quali sarebbero derivati i lamentati fenomeni infiltrativi. 8. Quanto alle difese svolte dall'altra convenuta, (...) deve evidenziarsi che, sebbene sia stata fornita la prova dell'esistenza e della validità del contratto di assicurazione (doc n. 2 e n. 5 fascicolo convenuta) la Compagnia, subentrata in tutti i diritti obblighi e posizioni processuali della (...) - come appurabile dalla documentazione versata in atti (cfr. doc n. 3 e 4 fascicolo compagnia) - ha assolto l'onere sulla stessa spettante di provare come la vicenda oggetto del presente giudizio non rientri nel rischio garantito. Il contratto assicurativo intercorso tra le parti si riferisce, infatti, ad una polizza n. (...), c.d. postuma decennale, che ha ad oggetto, ex art. 1, i danni materiali e diretti causati dall'opera assicurata durante il periodo di efficacia del contratto da un evento di cui sia responsabile l'appaltatore ai sensi dell'art. 1669 ex., operante al momento della causazione dei danni lamentati. All'esito dell'istruttoria, è emerso che i danni per cui è causa derivano effettivamente da vizi di costruzione che, diversamente da quanto sostenuto dalla Compagnia convenuta, rientrano in quelli idonei a pregiudicare la caratteristica della "lunga durata" del bene e, come tali, possono astrattamente rientrare tra quelli oggetto di copertura assicurativa. Infatti, in merito a quest'ultimo aspetto, la giurisprudenza ha dibattuto a lungo sulla nozione di "grave difetto", di cui farebbero parte tutti i vizi che incidano sugli elementi essenziali dell'immobile. Mentre l'orientamento minoritario fornisce un'interpretazione restrittiva della norma, individuando come elementi essenziali dell'immobile unicamente le sue strutture portanti, l'orientamento maggioritario, che questo Giudice condivide, comprende nella suddetta definizione anche gli elementi accessori che limitino in maniera apprezzabile il godimento e la funzionalità dell'opera (Cass. Civ., 3/1/2013, n.84; Cass. Civ, 29/4/2008, n. 10857; Cass. Civ., 8/5/2007, n.10533; Cass. Civ., 4/11/2005, n.21351; Cass. Civ., 28/4/2004, n.8140). Secondo il richiamato orientamento, i vizi e i difetti dell'immobile non si identificano solo con i fenomeni influenti sulla staticità, durata e conservazione dell'edificio, ma attengono anche l'impermeabilizzazione, i rivestimenti, le condutture, gli infissi, la pavimentazione, gli impianti termici/idraulici/elettrici, ecc. e ogni altra alterazione che va ad incidere sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, (cfr. Cass., sez. II, 03/01/2013, n. 84) Tanto premesso, le conclusioni del consulente hanno evidenziato che i vizi accertati in corso di causa, per essere eliminati, necessitano della realizzazione di una adeguata opera di impermeabilizzazione, la cui assenza o inadeguatezza di fatto va a pregiudicare il godimento del bene nei termini richiamati dalla giurisprudenza più accreditata. Tuttavia, occorre coordinare quanto disposto dall'art. 1 della predetta polizza con quanto espressamente annoverato dai successivi art. 2 ("Delimitazioni dell'assicurazione") e art. 3 ("Efficacia della garanzia"). Segnatamente, l'art. 2, lett. g) espressamente esclude la copertura dai danni derivanti da un difettoso sistema di impermeabilizzazione, mentre l'art. 3 annovera, tra le condizioni di efficacia della garanzia, la realizzazione a regola d'arte dell'opera, requisito che, nel caso di specie ed all'esito delle risultanze espresse nell'elaborato peritale, non può ritenersi soddisfatto. Per cui, pur trattandosi di gravi difetti di costruzione astrattamente oggetto di garanzia in quanto posti a pregiudizio della caratteristica della "lunga durata" del bene, dovrà rigettarsi la domanda di condanna della Compagnia al risarcimento dei danni, essendo gli stessi esclusi dalla copertura ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2 e 3 della polizza sottoscritta dalle parti. 9. Va, quindi, affermata la responsabilità esclusiva della convenuta He. S.R.L. il liquidazione, quale ditta costruttrice dell'edificio del condominio attore, in quanto il CTU ha individuato con esattezza le cause delle infiltrazioni nella assenza e/o cattiva esecuzione dell'impermeabilizzazione e nella mancata realizzazione a regola d'arte di un sistema di protezione e di allontanamento delle acque ed, al contempo, ha escluso eventuali responsabilità del condominio (...) e della ditta esecutrice dell'edificio di quest'ultimo, Pr. S.A.s. 10. Occorre, pertanto, esaminare il quantum della domanda pretesa dall'attore al fine di eliminare i vizi dell'edificio per cui è causa. Sul punto, si ritiene congrua la determinazione stimata dal consulente per la realizzazione della totalità degli interventi espressamente enucleati nel punto A) della relazione tecnica del 28.9.2022, nella complessiva somma di Euro 148.740,00, di cui Euro 128.740,00 a titolo di costi di realizzazione, correttamente desunti sulla base del prezzario della Regione Abruzzo del 2021, oltre ad Euro 20.000,00 a titolo di costi di costi di progettazione, direzione dei lavori, sicurezza e per la copertura delle spese di autorizzazioni amministrative. Non vi è motivo, infatti, per discostarsi dalle conclusioni rassegnate nell'elaborato peritale, in quanto il consulente ha vagliato, con i dovuti approfondimenti e con ampia motivazione, ogni profilo tecnico oggetto di controversia, formando in maniera autonoma il proprio convincimento e giustificando esaustivamente le conclusioni rassegnate nella consulenza versata in atti. Lo scrivente del resto - aderendo alle conclusioni del CTU che ha tenuto conto anche dei rilievi dei consulenti tecnici delle parti, replicandovi - "esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non è necessario che si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte" (cfr. Cass. civ., n. 10222/2009; Cass. civ. n. 23362/ 2012; Cass. civ, n. 11482/2016; Cass. civ. n. 15147/2018). Deve, inoltre, riconoscersi il diritto al rimborso, in favore del Condominio attore, della somma di Euro 95,40, portata nella fattura emessa dalla (...) del 13.04.18, richiesta a titolo di spese per la rimozione dell'acqua dalla fossa dell'ascensore della scala B dell'edificio attore, mentre non risultano sufficientemente provate ulteriori voci di danno corrisposte a titolo di riparazione dei danni subiti all'impianto ascensore e/o dei manufatti dello stabile. 11. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, applicando i parametri minimi per la non complessità della controversia. Le spese della CTU, così come liquidate in corso di causa, per la stessa ragione della sostanziale soccombenza della convenuta He. S.R.L. in liquidazione, vanno poste in via definitiva ed esclusiva a carico della stessa, con contestuale diritto delle altre parti di recuperare quanto eventualmente anticipato al consulente in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1) ACCOGLIE, per le causali di cui in motivazione, la domanda attorea e, per l'effetto; 2) ACCERTATA le responsabilità della Pr. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, relativamente ai vizi oggetto della domanda di parte attrice come verificati dal consulente nell'elaborazione peritale in atti, CONDANNA la stessa a corrispondere al CONDOMINIO Pa. in persona del suo amministratore pro tempore, a titolo di risarcimento danni, la complessiva somma di Euro 148.740,00, di cui Euro 128.740,00 a titolo di costi di realizzazione ed Euro 20.000,00 a titolo di costi di costi di progettazione, direzione dei lavori, sicurezza e per la copertura delle spese di autorizzazioni amministrative, oltre alla somma di Euro 95,40, a titolo di spese per la rimozione dell'acqua dalla fossa dell'ascensore della scala B dell'edificio attore, così come quantificata dal CTU per la realizzazione delle opere espressamente dettagliate nella relazione depositata in atti, consistenti, quanto alle lavorazioni esterne in: "demolizione del massetto del parcheggio a servizio del condominio sui lato Ovest, rimozione del terreno a ridosso della parete Ovest del fabbricato, impermeabilizzazione della parete con guaina elastomerica, realizzazione di un canale che raccoglie le acque alla base dal muro e dal sovrastante drenaggio, realizzazione di drenaggio con breccia di pezzatura medio/grande (vespaio); stesura di TNT (tessuto non tessuto) nei corso dell'esecuzione di tali opere, per consentire all'intero sistema di drenaggio di funzionare correttamente nel corso del tempo, reinterro delle predette opere, ricostruzione del massetto del parcheggio" e, quanto alle lavorazioni interne, in: "impermeabilizzazione delle fosse dei vani ascensori, collegamento dei pozzetti attualmente presenti nella corsia dei garage mediante nuova tubazione e scarico delle acque nella griglia posta alla porta di accesso dei garage per il lastrico", oltre all'Iva come per legge, nonché oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della presente decisione al soddisfo; 3) CONDANNA la Pr. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, al pagamento, in favore del CONDOMINIO Pa. delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 7.052,00 per compensi (di cui Euro 1.276,00 per fase di studio, Euro 814,00 per fase introduttiva del giudizio, Euro 2.835,00 per fase istruttoria ed Euro 2.127,00 per fase decisionale), oltre al rimborso del contributo unificato di Euro 786,00, oltre al 15% per spese forfettarie, CpA ed IVA, se ed in quanto dovuta; 4) CONDANNA l'attrice Condominio Pa. alla rifusione delle spese dell'odierno giudizio in favore della convenuta, He. (GIÀ Co. SPA - RAPPRESENTANZA G.I., attesa l'infondatezza della domanda nei confronti di questa, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi (di cui Euro 1.000,00 per fase di studio, Euro 800,00 per fase introduttiva del giudizio, Euro 1.700,00 per fase istruttoria ed Euro 2.000,00 per fase decisionale), oltre al 15% per spese forfetarie, CpA ed IVA, se ed in quanto dovuta 5) CONDANNA la Pr. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, al pagamento delle spese in favore delle terze delle terze chiamate in causa, CONDOMINIO Do. e Do.Co. che liquida, per ciascuna parte, in complessivi Euro 7.052,00 per compensi di cui Euro 1.276,00 per fase di studio, Euro 814,00 per fase introduttiva del giudizio, Euro 2.835,00 per fase istruttoria ed Euro 2.127,00 per fase decisionale), oltre al 15% per spese forfetarie, CpA ed IVA, se ed in quanto dovuta, da versarsi, unicamente per quanto concerne la Do. SAS DI Gr.Do. in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; 6) PONE, invia definitiva, le spese della CTU espletata, così come liquidate in corso di causa, a carico della Pr. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, con diritto delle altre parti in giudizio di ripetere dalla convenuta quanto eventualmente anticipato al consulente in corso di causa; 7) MANDA alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto l'11 novembre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Franca Malatesta, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 403/2020 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: lesione personale. TRA Di.Ri. ((...)), residente in V., rappresentata e difesa dall'avv. Po.De., presso il cui studio in Vasto, alla Via (...) è elettivamente domiciliata; ATTRICE E As. (P.IVA (...)), con sede in C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Co., presso il cui studio, con sede in Pescara al Corso (...), è elettivamente domiciliata; CONVENUTA FATTO Di.Ri. ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, la As., per ivi sentire dichiarare quest'ultima responsabile del sinistro descritto nell'atto introduttivo e condannarla al risarcimento dei conseguenti danni, quantificati in complessivi Euro 31.679,51, oltre interessi legali e rivalutazione, con vittoria di spese di lite. A sostegno della domanda, l'attrice ha riferito che in data 6.03.2018, alle ore 8.15 circa, mentre si trovava all'interno dell'Ospedale "Sa." in V. e, precisamente, nello scendere i gradini della scalinata che dal laboratorio analisi conduce al piano terra, in ragione della presenza di liquido oleoso di colore trasparente non segnalato e non visibile lungo le scale, perdeva l'equilibrio, cadendo rovinosamente a terra; che, immediatamente soccorsa, veniva trasportata presso il Pronto Soccorso del medesimo ospedale, dove le venivano praticate le cure del caso; di aver subito intervento chirurgico (in data 12.03.2018), con successive dimissioni in data 15.03.2018; di essere stata dichiarata guarita, con postumi da valutare, in data 26.06.2018. Ha, inoltre, sottolineato l'imputabilità dell'evento lesivo alla esclusiva responsabilità della As., in primo luogo ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto proprietaria e custode del luogo dove è avvenuta la rovinosa caduta; in secondo luogo, per gli obblighi ex art. 1218 c.c., quale responsabilità contrattuale della struttura nei confronti del paziente e, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per aver esso negligentemente omesso la manutenzione del bene e, in tal modo, consentito la creazione di una classica ipotesi di "insidia" o "trabocchetto", vale a dire di un pericolo occulto, non visibile e non prevedibile da parte degli utenti, posto che la presenza del liquido oleoso, di colore trasparente lungo le scale non risultava, al momento del sinistro, né segnalata, né transennata; che le bande antiscivolo presenti erano inefficienti, dato il grado di usura; che, inoltre, il fondo presentava macchie ed aloni che non rendevano percepibile la presenza del liquido oleoso e, quindi, del pericolo. Con le note di trattazione scritta per l'udienza del 17.02.2023, Di.Ri. ha così concluso: "accertare e dichiarare che l'infortunio per cui è causa è avvenuto all'interno di immobile di proprietà e/o nella disponibilità della As. n.2 L. - V. - C., in atti meglio descritto; b) accertare e dichiarare che l'infortunio per cui è causa si è verificato per responsabilità e/o colpa unica ed esclusiva della As. in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro-tempore; c) accertare e dichiarare che l'infortunio ed i danni per cui è causa si sono verificati e/o prodotti e/o aggravati per responsabilità e colpa unica ed esclusiva della convenuta As., ciò ai sensi dell'art. 2051 c.c. e/o art. 1218 c.c., ovvero, in subordine e salvo gravame, ai sensi dell'art. 2043 c.c.; d) condannare, conseguentemente la convenuta As., sempre in persona del suo Direttore Generale, quale suo legale rappresentante pro-tempore, al risarcimento dei danni tutti subiti dall'attrice, sig.ra Ri.Di., nella misura di complessivi Euro. 31.679,51 (euro trentuno mila seicento settantanove/51) secondo le causali e voci di cui in premessa, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria dal giorno del sinistro al saldo, ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia e/o che sarà accertata in corso di causa anche all'esito dell'espletanda C.T.U. medica; e) condannare in ogni caso l'Ente convenuto al pagamento delle spese tutte e competenze di lite, oltre accessori di legge". Si è costituita regolarmente in giudizio la As. 2 C.-L.-V., assumendo l'inesistenza di qualsivoglia profilo di responsabilità ai sensi degli artt. 2051, 1218 e/o 2043 c.c.; ha contestato la fondatezza della domanda attorea, chiedendo il rigetto di tutte le richieste formulate. A sostegno delle sue ragioni parte convenuta ha dedotto, tra l'altro, che non vi è prova della presenza della sostanza oleosa e trasparente, che non può escludersi che il sinistro possa essersi verificato per negligenza e/o distrazione della danneggiata e, infine, che la struttura sanitaria ha adottato ogni misura idonea ad evitare e prevenire danni a carico di terzi, non essendovi stato alcun elemento tale da costituire un potenziale pericolo per l'utenza ospedaliera. Con le note di trattazione scritta per l'udienza del 17.02.2023 la As. 02 ha così concluso: "Voglia l'Onorevole Tribunale adito, in via principale, rigettare la domanda formulata dall'attrice poiché inammissibile e/o infondata sia in fatto sia in diritto; in subordine, accertare e dichiarare che l'evento per cui è causa si è verificato per caso fortuito e/o forza maggiore e/o fatto del terzo ovvero accertare e dichiarare che l'asserito evento per cui è causa non è imputabile all'azienda sanitaria e, per l'effetto, escludere ogni obbligo risarcitorio in capo a quest'ultima, con conseguente rigetto della domanda avversaria; in ulteriore subordine, accertare e dichiarare che il sinistro si è verificato per colpa esclusiva dell'attrice e, per l'effetto, rigettare la richiesta di risarcimento danni; in estremo subordine, dichiarare il concorso dell'attrice nella causazione del sinistro e, per l'effetto, quantificare la percentuale di responsabilità imputabile alla Sig.ra D.P. e quella ascrivibile alla As. n. 2 L. V. C., limitando, pertanto, l'entità del risarcimento alla quota di responsabilità che eventualmente sarà riconosciuta in capo alla A.; in ogni caso, ridurre la somma richiesta da parte avversa a titolo di risarcimento danni poiché eccessiva e sproporzionata; condannare la controparte al pagamento delle spese e competenze di lite, oltre accessori come per legge". Instauratosi il contraddittorio e svolta l'istruttoria orale, acquisito l'elaborato del ctu, dr. Fl.La., sono state precisate le conclusioni all'udienza del 17/02/2023, svoltasi "a trattazione scritta": la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. DIRITTO La domanda risarcitoria avanzata da Di.Ri. nei confronti dell'Azienda S.L. è fondata e, pertanto, merita di essere accolta per quanto di ragione. È opportuno premettere che i presupposti applicativi della responsabilità delle cose in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c. consistono, innanzitutto, nell'esistenza di un rapporto definibile come di custodia, il quale ricorre quando il soggetto cui si imputa tale responsabilità sia in grado di esplicare riguardo alla cosa un potere di governo (non semplicemente giuridico, ma anche di mero fatto) e, in secondo luogo, nella configurabilità di un nesso di derivazione causale tra la res e il danno lamentato, nel senso che la cosa deve aver costituito la causa del danno e non la mera occasione dello stesso. In particolare, con riferimento al primo presupposto, la relazione custodiale si identifica in una potestà di fatto che, da un lato, attribuisce al titolare poteri di effettiva disponibilità, controllo e sorveglianza sulla cosa, in modo da impedire che essa produca danni a terzi e, dall'altro, si manifesta nella possibilità di gestire ed utilizzare la cosa o modificarne lo stato e di escludere che altri possano ingerirsi sulla stessa (Cass., 20.06.2006, n.3651); e compete, pertanto, non solo al proprietario, ma anche al possessore o detentore. Relativamente al secondo presupposto della responsabilità ex art. 2051 c.c., è necessario e sufficiente che la cosa abbia prodotto o partecipato alla produzione del danno, secondo i comuni criteri della causalità giuridica, caratterizzata dai requisiti della adeguatezza e della regolarità. Il danno, pertanto, deve essere provocato dalla cosa, la quale deve essere, già di per sé, in grado di produrlo ovvero diventa produttiva di danni, per effetto della combinazione con altri elementi. Ove, invece, il danno sia causato dall'azione dell'uomo, quantunque per il tramite della cosa, la norma di cui all'art. 2051 c.c. non sarà più applicabile. Chiariti i presupposti applicativi della norma, rileva il giudicante come costituisca ormai orientamento consolidato quello secondo il quale la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia - di cui all'art. 2051 c.c. - ha un carattere non presunto ma oggettivo, di conseguenza, ai fini della sua sussistenza è sufficiente riscontrare la esistenza del nesso causale tra il bene in custodia e la conseguenza dannosa, senza che assuma alcuna rilevanza la condotta del custode e l'osservanza o meno di uno specifico obbligo di vigilanza da parte sua, rimanendo la stessa esclusa solo nella eventualità della verificazione del caso fortuito, ricollegabile, tuttavia, al profilo causale dell'evento in rapporto alla incidenza sul medesimo di un elemento esterno contraddistinto dagli elementi della oggettiva imprevedibilità e inevitabilità (cfr. Cass. SS.UU., n. 20943/2022). In relazione al caso fortuito, si ritiene che esso possa essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (cfr., Cass. n. 1064/2018). Il danneggiato, infatti, può esonerare il custode dalla responsabilità quando la sua condotta risulta imprevedibile, cioè oggettiva, dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata, senza alcun rilievo dell'assenza o meno di colpa del custode (cfr, Cass. n. 2018/18075). In altri termini, "la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può costituire un "caso fortuito" ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode" (cfr., Cass., Sez. III, 31/10/2017, n. 25837). Ed ancora, in tema di danni causati da cose in custodia, il fatto colposo della vittima può escludere il nesso di causa tra la cosa e il danno, in misura tanto maggiore, quanto più il pericolo era prevedibile ed evitabile. È, pertanto, possibile anche che la distrazione o imprudenza della vittima siano di tale intensità o di tale anomalia, da porsi quale fattore causale esclusivo nella produzione dell'evento (cfr. Cass. n. 26258/2019, esclusa, nella specie, la responsabilità del condominio per la caduta su una macchia scivolosa ben visibile). eva il giudicante come Per quanto attiene al tema della ripartizione degli oneri probatori tra le parti, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che "l'attore deve offrire la prova dell'esistenza di un rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, nonché della ricorrenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, come pure delle modalità con cui si è svolto il fatto lesivo, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore causale estraneo che, per il carattere della imprevedibilità e della eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il cd. caso fortuito, da intendersi in senso ampio, come comprensivo anche del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno" (ex plurimis, Cass. ord. n. 11024 del 2018; Cass., 25.07.2008, n. 20427). Facendo applicazione dei principi finora esposti al caso di specie, dall'esame della documentazione versata in atti, dagli esiti dell'istruttoria, nonché dalle deduzioni difensive della parte attrice, possono ritenersi provate le modalità e le circostanze in cui si è verificato il fatto lesivo: il giorno 6.3.2018, alle ore 8:15 circa, l'attrice, scendendo i gradini della scalinata che conduce dal laboratorio analisi al piano terra, sita nell'O.S. P. da P. di V., a causa di una macchia oleosa trasparente non visibile e non segnalata, perdeva l'equilibrio e rovinava improvvisamente a terra, riportando le lesioni personali risultanti dalla certificazione medica prodotta. Il fatto che la caduta sia avvenuta nei luoghi descritti è circostanza confermata dai testimoni escussi. Nello specifico, alla domanda se nel tempo e nel luogo individuati, l'attrice cadeva a terra mentre scendeva le scale, sia il marito dell'attrice, P.D., che la teste S.S., entrambi presenti al momento della caduta, hanno risposto affermativamente. Per quanto concerne la presenza della sostanza oleosa, anche tale circostanza risulta confermata dalle prove testimoniali. In particolare, il marito della danneggiata (udienza 8.10.2021) sul punto ha confermato: "Dopo la caduta di mia moglie, ho notato sui gradini - sia dove è caduta che fino al quinto, sesto gradino - una macchia oleosa non visibile. Notai, ancora, che le bande antiscivolo erano usurate e lo sono tuttora". As. avv. D.R.: "Non si trattava di acqua, non pioveva quel giorno: la macchia di cui ho parlato era di natura oleosa, non visibile". 5:" Per quanto mi risulta, quella mattina non c'era nessun cartello che segnalasse la presenza di quel liquido, né alcuna altra segnalazione di pericolo". Le stesse circostanze risultano confermate dalla teste S.S., la quale (udienza del 19.11.2021) ha riferito: "Sì, ho notato una sostanza, un qualcosa a terra. Avevo notato questa sostanza salendo le scale per accompagnare mio padre a fare le analisi: mentre lo accompagnavo ho visto un signore che, scivolando su questa sostanza - e per quello l'ho notata - è riuscito a riprendersi e a non cadere. Ricordo di aver notato questa sostanza su uno o due gradini, quelli sui quali è scivolato il signore. Se era anche su altri non lo so". Infine, ad ulteriore conferma di quanto sostenuto dall'attrice, pure il figlio dell'attrice, D.M., escusso all'udienza del 10.12.2021 ha confermato di essere stato informato del sinistro e di essersi personalmente recato sul luogo, dove ha notato la presenza di macchie trasparenti sulle scale. Dall'incarto processuale si può, altresì, confermare che la causa dei danni riferiti sia stata la caduta nel giorno e nel luogo dedotti in citazione; più dettagliatamente, la relazione peritale medico-legale, depositata in data 5.9.2022 dal c.t.u. dott. Fl.La., ha chiarito che "le lesioni riportate dalla periziata nell'infortunio accidentale di specie (frattura scomposta metaepifisaria prossimale dell'omero; infrazione cuboide tarsale piede dx) sono state di media gravità, compatibili con la dinamica dell'infortunio medesimo ed in rapporto di causalità diretta con esso". Dunque, alla luce di tali evidenze probatorie che hanno confermato la presenza della causa (macchia oleosa) ed il nesso di causalità tra la caduta e i danni riportati, è necessario procedere con ulteriori osservazioni ai fini dell'accertamento della responsabilità della convenuta. Con specifico riferimento al potere di custodia della scalinata da parte della As., non vi è alcun dubbio che l'ente avesse un potere di custodia sull'oggetto, posto che - in qualità di proprietario - esercitava (o avrebbe potuto esercitare) poteri di effettiva disponibilità, controllo e sorveglianza sulla predetta scalinata (situata all'interno dell'edificio ospedaliero), consistenti nella possibilità di gestire ed utilizzare la cosa o modificarne lo stato, in modo da impedire che essa producesse danni a terzi, nonché di escludere che gli utenti potessero ingerirsi sulla stessa. Non è sufficiente ad escludere la responsabilità in capo alla convenuta, la prova che la stessa avesse fatto effettuare l'ordinaria pulizia ed avesse adottato misure di sicurezza attraverso le bande antiscivolo; a prescindere dal fatto che l'efficienza delle bande antiscivolo preposte è stata sconfessata dalle prove testimoniali raccolte, in quanto il teste D.P. ha, tra l'altro, riferito che "le bande antiscivolo sono consumate, la parte di gomma non c'è più: nel senso che è rimasta la striscia nera sui gradini, ma non fa più presa". Poi, anche la teste S.S., ha ricordato di aver notato che le bande antiscivolo erano "un po' consumate, inoltre sulle bande vi era qualche macchietta". Per quanto concerne, invece, il profilo relativo alla ricorrenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno lamentato dall'attrice, deve prendersi atto che la As. ha eccepito la ricorrenza, nella fattispecie, del caso fortuito, da rinvenirsi nel comportamento negligente/imprudente della stessa danneggiata. In tema di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c. il danneggiato - come si è innanzi illustrato - è tenuto a fornire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno che egli ha subito (oltre che dell'esistenza del rapporto di custodia) e, solo dopo che egli abbia offerto una tale prova, il convenuto deve dimostrare il caso fortuito, cioè l'esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo la sua responsabilità (Cass., 29.11.2006, n. 25243; Cass., 13.07.2011, n. 15389; Cass., 30.09.2014, n. 20619). L'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità da custodia, qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso (Cass., 12/07/2006, n. 15779). I giudizi di "negligenza" della vittima e di "imprevedibilità" della sua condotta da parte del custode, non si implicano a vicenda. Il primo va compiuto guardando al danneggiato, e comparando la condotta da questi concretamente tenuta con quella che avrebbe tenuto una persona di normale avvedutezza, secondo lo schema di cui all'art. 1176 c.c. Il secondo va compiuto, invece, guardando al custode e valutando con giudizio ex ante se questi potesse ragionevolmente attendersi una condotta negligente da parte dell'utente delle cose affidate alla sua custodia. L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; b) che quella condotta non fosse prevedibile (cioè, quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata). Per converso, l'ipotesi fortuita ricomprende solamente i fatti del tutto eccezionali, secondo il principio della regolarità e probabilità causale, ossia tali da essere imprevedibili, inevitabili, dotati di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo (ex multis, Cassazione civile, sez. VI, 16/05/2017, n. 12027; Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, n. 25837; Cass. 5 febbraio 2013, n. 2660). Facendo applicazione dei menzionati principi al caso in esame, deve ritenersi che la danneggiata non avesse avuto la concreta possibilità di percepire e prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo rappresentata dalla presenza del liquido oleoso e trasparente sugli scalini dove è scivolata. Innanzitutto, si deve considerare che dalla documentazione medica in atti, così come da perizia, non risulta che l'attrice, cinquantottenne all'epoca del fatto, avesse problemi di deambulazione o limitazioni fisiche tali da rendere insicuro il movimento, né è emerso dagli atti che avesse avuto un malore mentre scendeva o fosse precedentemente lesionata: "al momento dell'evento la periziata era affetta da esiti di splenectomia per piastrinosi ininfluente sulle lesioni riportate e sul loro decorso" (pag. 6, elaborato del C.T.U.). In secondo luogo, l'orario (8.15 del mattino, mese di marzo) rende presumibile la circostanza che ci fosse piena visibilità e che, pertanto, le predette condizioni di visibilità avrebbero consentito ad una persona di normale accortezza di prevedere una situazione di pericolo attraverso l'adozione di ordinarie cautele. Invece, nonostante la piena luminosità, le macchie oleose trasparenti non sono verosimilmente e facilmente individuabili da un'altezza di un metro e mezzo/due circa, su una pavimentazione policromatica come quella risultante dalle foto in atti (doc. 1, atto di citazione). È possibile ritenere, in aggiunta, come sia più verosimile notare macchie salendo le scale piuttosto che scendendo, dacché, in prospettiva, la visuale in discesa - più lontana rispetto a quella in salita - non consente allo stesso modo di individuare la presenza di macchie incolore. Ad avvalorare tale considerazione vi è anche la dichiarazione della teste S., la quale ha riferito che lei stessa aveva notato le macchie mentre saliva le scale, notando un signore che stava scivolando sulla stessa sostanza, ma era riuscito a riprendersi ed evitare la caduta (ed anzi, ha specificato che ha notato le macchie "proprio per quello" e cioè, proprio perché il signore stava scivolando). Ad ulteriore conferma, come è dato evincere dalla documentazione fotografica versata in atti, il tratto della scalinata ove si è verificato il sinistro è caratterizzato da una condizione di generale alterazione della regolarità cromatica del fondo calpestabile, causata da una condizione di evidente discromia delle piastrelle (effetto marmo), cosicché la situazione di pericolo connaturata allo stato dei luoghi non era agevolmente percepibile e/o prevedibile, anche a distanza ravvicinata; peraltro, la presenza di macchie di sostanze o sporcizia non rendono uniforme la colorazione neppure sulle bande antiscivolo nere. L'istruttoria, da ultimo, ha evidenziato come l'insidia di cui trattasi non è stata prontamente segnalata. Sulla scorta di tali osservazioni, deve ritenersi che all'attrice Di.Ri. non sia imputabile alcun tipo di responsabilità. Al riguardo occorre evidenziare che non è stato né allegato, né tanto meno provato che l'attrice avesse avuto, immediatamente prima del sinistro, un qualche comportamento anomalo o abnorme nel percorrere le scale (ad esempio, che la stessa stesse camminando frettolosamente, che stesse parlando al cellulare, che procedesse con sguardo rivolto altrove, che indossasse calzature inidonee alla deambulazione, ovvero che versasse in altre occasioni di possibile distrazione etc.), al quale imputare la scaturigine della sua perdita di equilibrio. Da ciò deriva la considerazione che, non potendo essere la situazione di pericolo percepita, prevista e superata dalla attrice con l'adozione di normali cautele, il suo comportamento non può ritenersi negligente o imprudente, non ravvisandosi elementi causali nella produzione dell'evento lesivo definibili nel caso fortuito. Ed ancora, ad escludere l'imprevedibilità vi è pure l'osservazione derivante dalle dichiarazioni rese dalla teste S.S., la quale, ha riferito della presenza della macchia e del fatto che già prima della caduta dell'attrice, mentre essa teste saliva le scale, un signore era scivolato; pertanto, sebbene sia impossibile dagli atti in causa determinare il lasso temporale intercorso tra formazione del pericolo e la caduta, non può ritenersi che la presenza della sostanza scivolosa fosse di immediata formazione, perché già individuata da altre persone, tra cui la teste e la persona stessa che la teste ha visto perdere l'equilibrio. Alla stregua delle osservazioni innanzi esposte, non ricorrendo il necessario requisito della imprevedibilità della condotta, non può asserirsi che il contegno della vittima integri gli estremi del caso fortuito idoneo ad escludere il nesso causale tra cosa e danno. Non avendo il comportamento della danneggiata interrotto il nesso eziologico tra il bene custodito e l'evento dannoso, non ricorre l'ipotesi del concorso di colpa ex art. 1227, comma 1, c.c., comportante una diminuzione della responsabilità del danneggiante, in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso. Da ultimo, osserva il giudicante come non sussista incongruenza tra quanto riferito dall'odierna attrice al personale sanitario ("Riferisce di essere scivolata per le scale in ospedale accidentalmente ?") e quanto affermato nell'atto di citazione, nel quale la caduta viene imputata all'incuria dell'Azienda S. (con riferimento alle scale sulle quali è avvenuta la caduta). E' accidentale ciò che è fortuito, casuale, involontario, non preventivato: come, per l'appunto ritrovarsi una sostanza trasparente sotto un piede. Si deve, quindi, ritenere che la D.P. avesse adottato un comportamento normalmente prudenziale quando la impercettibile presenza della sostanza oleosa lungo le scale le ha fatto perdere l'equilibrio e l'ha fatta scivolare. Accertata la responsabilità della parte convenuta, in ordine alla determinazione del quantum dei danni complessivamente dedotti e richiesti dalla D.P., osserva il giudicante che, tenuto conto della documentazione medica in atti e delle risultanze dell'elaborato del c.t.u., l'entità delle somme pretese è da sottoporre ad adeguata rideterminazione alla luce delle seguenti considerazioni. Per quanto riguarda l'entità del danno biologico subìto dalla danneggiata, di anni 58 al momento del sinistro, esso va quantificato in base alle conclusioni della perizia medico-legale eseguita dal c.t.u. dott. Fl.La., che ha stimato postumi invalidanti permanenti pari al 9% e, in base alla evoluzione del quadro traumatico, una invalidità temporanea totale per giorni 10 ed una invalidità temporanea parziale al 75% per giorni 40, al 50% per giorni 30 e al 25% per giorni 32. Trattandosi di danni alla persona qualificabili di lieve entità, non derivanti da sinistro stradale, la liquidazione del danno biologico non può essere compiuta secondo criteri tabellari stabiliti dalla legge, bensì secondo i parametri e i valori di riferimento indicati nelle "tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica", predisposte dal Tribunale di Milano, le quali, proprio perché applicate ed utilizzate nella gran parte dei Tribunali e delle Corti di Appello italiane, vengono maggiormente incontro ad esigenze di uniformità decisionale e costituiscono, per espressa previsione della giurisprudenza della Corte di Cassazione "valido e necessario criterio di riferimento, ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c." (cfr., Cass., 30.06.2011, n. 14402), cioè "valore da ritenersi equo, perché in grado di garantire la parità di trattamento" (cfr. Cass., 07/06/2011, n. 12408, secondo cui "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la Suprema Corte, in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ."). Deve, peraltro, sul punto precisarsi che, a seguito dell'indirizzo giurisprudenziale segnato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel novembre 2008 (cfr., Cass., Sez. Un., 11.11.2008, n. 26972), l'Osservatorio per la giustizia civile di Milano ha rilevato l'esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale e di ogni altro danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica, portando all'adozione, in data 25.06.2009, di una nuova tabella denominata, in ossequio ai principi enunciati dalle Sezioni Unite del 2008, non più "tabella per la liquidazione del danno biologico", bensì "tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica", aggiornata nel corso degli anni in riferimento alle variazioni del costo della vita accertate dall'ISTAT. A partire dal 2009 è stata, quindi, proposta una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale", sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi (c.d. danno biologico "standard") che particolari (c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico), nonché del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore" e "sofferenza soggettiva" (c.d. danno morale), in via di presunzione e in riferimento ad un dato tipo di lesione, pregiudizi, questi, liquidati separatamente sino al 2008. Nel 2021 le Tabelle di Milano sono state revisionate, rispetto alla precedente edizione del 2018, e riproposte in una versione aggiornata che, da un lato, tiene conto dell'andamento degli indici Istat dal 01.01.2018 al 01.01.2021 e, dall'altro, contiene una rivisitazione grafica che esplicita gli addendi monetari delle singole componenti del danno non patrimoniale, a seguito dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione secondo i quali le voci di danno non patrimoniale, prima denominate "danno biologico" e "danno morale/sofferenza soggettiva", sono state dipoi definite come "danno biologico/dinamico-relazionale" e "danno da sofferenza soggettiva interiore" media presumibile (ordinariamente conseguente alla lesione dell'integrità psicofisica accertata). In coerenza con la rivisitazione grafica delle tabelle per il danno non patrimoniale da lesione permanente del bene salute, fermi gli importi monetari delle precedenti edizioni (aggiornati secondo l'indice ISTAT all'1.1.2021), si è deciso di esplicitare anche i valori monetari delle due componenti del danno non patrimoniale "temporaneo" corrispondente a un giorno di inabilità temporanea al 100%. Si è proposto quindi, come nelle precedenti edizioni, una forbice di valori monetari, con un valore standard ed un valore denominato "aumento personalizzato". Il valore standard è stato ottenuto partendo dall'importo indicato nell'edizione 2018 (aggiornato all'1.1.2021), attualmente pari ad Euro 99,00: con la nuova veste grafica si esplicitano i valori monetari corrispondenti alla componente dinamico-relazionale ed alla componente da sofferenza soggettiva interiore di regola presumibile (quest'ultima determinata nella misura del 25% del danno dinamico-relazionale, come in tutte le edizioni precedenti delle Tabelle). Quanto al valore massimo della forbice, come nelle passate edizioni, lo stesso si ottiene aumentando il valore standard fino al 50%, in presenza di allegate e provate peculiari circostanze personalizzanti del caso concreto meritevoli di un aumento. Facendo applicazione al caso di specie dei parametri di calcolo testé illustrati, deve tenersi conto che l'attrice, al momento dell'incidente, aveva 58 anni e che tutti gli aspetti relativi alla sofferenza soggettiva causata dall'incidente (spavento e dolore fisico subiti al momento dell'incidente, fase acuta della patologia, disagi e difficoltà pratiche sofferte dalla vittima, sia nel periodo della degenza ospedaliera, che nell'ulteriore periodo dedicato al riposo forzato e alle necessarie cure mediche) vengono inclusi nella percentuale di aumento automatico del valore di liquidazione "medio" del punto di invalidità assunto come base di calcolo. Non sono state dedotte dall'attrice ulteriori ripercussioni psichiche e comportamentali, travalicanti la normale sofferenza morale, in conseguenza del sinistro; anche con riferimento al danno da invalidità temporanea, non sono state dedotte circostanze di particolare penosità o sofferenza, anche fisica, da parte della vittima, tale da giustificare un aumento personalizzato, ragion per cui la stima del danno deve effettuarsi in base all'aumento standard del 25% del valore base di liquidazione, già inglobato nella somma di Euro 99,00, per ogni giorno di invalidità assoluta. Non vi è, pertanto, spazio per un adeguamento personalizzato del danno non patrimoniale subìto dall'attrice, poiché - in assenza di specifiche peculiarità delle conseguenze pregiudizievoli dell'evento dannoso o di particolari condizioni soggettive della vittima, come pure, di ripercussioni sulla capacità lavorativa specifica e generica - tutti i risvolti, sia anatomo-funzionali che relazionali, del danno devono farsi rientrare nella liquidazione globale standard, operata secondo il riferito criterio tabellare. Sulla scorta delle considerazioni appena esposte, il danno non patrimoniale, complessivamente arrecato alla persona della signora Ri.Di., è quantificabile in complessivi Euro 23.111,00 secondo lo schema riepilogativo che segue: Tabella di riferimento: Tribunale di Milano 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 58 anni Percentuale di invalidità permanente 9% Punto danno biologico Euro 2.097,83 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 25%) Euro 524,46 Punto danno non patrimoniale Euro 2.622,29 Danno biologico risarcibile Euro 13.500,00 DANNO NON PATRIMONIALE RISARCIBILE Euro 16.874,00 Invalidità temporanea totale Euro 990,00 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 2.970,00 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 1.485,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 792,00 TOTALE DANNO BIOLOGICO TEMPORANEO Euro 6.237,00 TOTALE GENERALE: Euro 23.111,00 Quanto alle spese mediche sostenute, il c.t.u., incaricato di indicare l'ammontare delle spese mediche che fu necessario o opportuno sostenere, nonché di quelle che in futuro potranno eventualmente rendersi tali (quesito n.10 al c.t.u., ordinanza del 21.04.2022), ha riferito che "non sono state esibite spese di cura sostenute" (punto 9; pag. 6 della Relazione). In atti è stata versata documentazione medica ed è stata allegata una serie di spese sostenute (doc. 4, allegato all'atto di citazione). Atteso che la documentazione è stata depositata tempestivamente in atti ed il c.t.u. non ha indicato il chiesto ammontare, spetta alla scrivente procedere con la quantificazione del rimborso spettante. Questo giudice ritiene che le spese delle quali l'attrice ha diritto al rimborso, in quanto effettivamente sborsate a causa del sinistro, ammontino ad Euro 878,05 per l'anno 2018 e ad Euro 913,46 per l'anno 2019, per un totale di Euro 1.791,51 (a fronte della maggior somma richiesta di Euro 1.803,51). Delle spese chieste, non può essere riconosciuta quella relativa allo scontrino fiscale illeggibile, non riconducibile, pertanto, alle cure mediche delle lesioni riportate. Posto che, nelle obbligazioni risarcitorie, la somma di denaro che esprime il valore del bene perduto dal danneggiato deve essere non solo rivalutata all'attualità, ma anche maggiorata degli interessi c.d. compensativi, i quali assolvono alla funzione di risarcire il danneggiato del mancato guadagno provocato dal ritardato pagamento della somma dovuta, nel caso di specie l'importo, come sopra indicato, essendo stato calcolato in base ai valori aggiornati al 01.01.2021, deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria calcolata secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati dal 01.01.2021 fino all'attualità, nonché degli interessi compensativi nella misura legale, sul capitale via via rivalutato annualmente secondo gli indici ISTAT del costo della vita (Cass., S.U., 17.02.1995, n. 1712), dalla data di verificazione del sinistro fino all'attualità, previa devalutazione della sorte capitale dalla data della liquidazione (01.01.2021) a quella di verificazione del danno (6.03.2018): pervenendo, così, al complessivo importo di Euro 30.572,38, secondo il calcolo che segue. Calcolo della Devalutazione Monetaria Importo da devalutare: Euro 23.111,00 Dal mese di: Gennaio 2021 Al mese di: Marzo 2018 Indice Istat utilizzato: FOI generale Indice Gennaio 2021: 102,9 Indice Marzo 2018: 101,7 Raccordo Indici: 1 Indice di Devalutazione: 0,988 Totale Devalutazione: Euro 274,04 Importo Devalutato: Euro 22.836,96 Calcolo Interessi Legali sul Capitale Rivalutato Annualmente Capitale Iniziale: Euro 22.836,96 Data Iniziale: 06/03/2018 Data Finale: 30/09/2023 Interessi Legali: Nessuna capitalizzazione, Anno Civile (365 gg) Decorrenza Rivalutazione: Marzo 2018 Scadenza Rivalutazione: Settembre 2023 Indice Istat utilizzato: FOI generale Indice alla Decorrenza: 101,7 Indice alla Scadenza: 119,3 Raccordo Indici: 1 Coefficiente di Rivalutazione: 1,173 Totale Rivalutazione: Euro 3.950,79 Capitale Rivalutato: Euro 26.787,75 Totale Colonna Giorni: 2034 Totale Interessi: Euro 1.581,40 Rivalutazione + Interessi: Euro 5.532,19 Capitale Rivalutato + Interessi: Euro 28.369,15 Calcolo Interessi Legali sul Capitale (spese) Rivalutato Annualmente Capitale Iniziale: Euro 878,05 Data Iniziale: 06/11/2018 Data Finale: 30/09/2023 Interessi Legali: Nessuna capitalizzazione, Anno Civile (365 gg) Decorrenza Rivalutazione: Novembre 2018 Scadenza Rivalutazione: Settembre 2023 Indice Istat utilizzato: FOI generale Indice alla Decorrenza: 102,2 Indice alla Scadenza: 119,3 Raccordo Indici: 1 Coefficiente di Rivalutazione: 1,167 Totale Rivalutazione: Euro 146,63 Capitale Rivalutato: Euro 1.024,68 Totale Colonna Giorni: 1789 Totale Interessi: Euro 58,98 Rivalutazione + Interessi: Euro 205,61 Capitale Rivalutato + Interessi: Euro 1.083,66 Calcolo Interessi Legali sul Capitale Rivalutato Annualmente Capitale Iniziale: Euro 913,46 Data Iniziale: 15/11/2019 Data Finale: 30/09/2023 Interessi Legali: Nessuna capitalizzazione, Anno Civile (365 gg) Decorrenza Rivalutazione: Novembre 2019 Scadenza Rivalutazione: Settembre 2023 Indice Istat utilizzato: FOI generale Indice alla Decorrenza: 102,3 Indice alla Scadenza: 119,3 Raccordo Indici: 1 Coefficiente di Rivalutazione: 1,166 Totale Rivalutazione: Euro 151,63 Capitale Rivalutato: Euro 1.065,09 Totale Colonna Giorni: 1415 Totale Interessi: Euro 54,48 Rivalutazione + Interessi: Euro 206,11 Capitale Rivalutato + Interessi: Euro 1.119,57 Per il periodo successivo alla presente liquidazione e fino alla data dell'effettivo soddisfo, detta somma andrà maggiorata degli interessi al tasso legale. L'accoglimento della domanda principale preclude l'esame della domanda, posta in via subordinata, di accertamento della responsabilità ex art. 2043 c.c., chiesto dall'attrice nel caso di mancato accoglimento della prima e l'altro sulla responsabilità contrattuale dell'azienda sanitaria, ai sensi dell'art. 1218 c.c. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda segue la condanna di parte convenuta al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia, determinato avendo riguardo alla minore somma attribuita alla parte vincitrice rispetto a quella da essa domandata. In particolare, tenuto conto di tutti i parametri innanzi indicati e del valore della causa, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili aggiornati al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022. Anche le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente ed interamente a carico della parte convenuta soccombente, con espresso riconoscimento del diritto di Di.Ri. di ripetere, nei confronti della As., le somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. in via di anticipazione. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Di.Ri. nei confronti di As., disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1. accerta e dichiara che l'infortunio per cui è causa è avvenuto all'interno di immobile di proprietà della As.; 2. accerta e dichiara che l'infortunio per cui è causa si è verificato per responsabilità esclusiva della As. n.2 L. - V. - C., in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro-tempore; 3. accerta e dichiara che i danni per cui è causa si sono verificati per responsabilità e colpa unica ed esclusiva della convenuta As., ai sensi dell'art. 2051 c.c.; 4. condanna la convenuta As., in persona del suo Direttore Generale, quale suo legale rappresentante pro-tempore, al risarcimento dei danni tutti subiti dall'attrice, sig.ra Ri.Di., nella misura di complessivi Euro 30.572,38 (euro trentamilacinquecentosettantadue/38), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; 5. condanna la As. al pagamento, in favore di Di.Ri., delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 8.134,00 (di cui Euro 518,00 per spese documentate, Euro 7.616,00 per compensi professionali), oltre rimborso forfettario spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; 6. pone definitivamente a carico della convenuta le spese della consulenza tecnica d'ufficio, per l'importo come liquidato in corso di causa, dichiarando espressamente ripetibili nei confronti della As. quelle eventualmente anticipate al c.t.u. da Di.Ri.. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 6 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VASTO Il Tribunale, nella persona del Giudice onorario dott. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado, iscritta al n. 288/2019 R.G., avente ad oggetto: altri istituti e leggi speciali, vertente TRA: La.Lu. ((...)), La.Ne. ((...)), La.An. ((...)) e La.Ti. ((...)), con il patrocinio degli AVV.TI CA.PE. e DO.PO., come da procura in atti; OPPONENTI contro Sa. S.r.l., (Partita IVA: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Lu.Di., come da procura in atti; OPPOSTA nonchè nella causa civile di I Grado, iscritta al n. 289/2019 R.G., avente ad oggetto: altri istituti e leggi speciali, vertente TRA: La.Lu. ((...)), La.Ne. ((...)), La.An. ((...)) e La.Ti. ((...)), con il patrocinio degli AVV.TI CA.PE. e DO.PO., come da procura in atti; OPPONENTI contro Ma.Ci., (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. Lu.Di. come da procura in atti; OPPOSTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE Si premette che: ai sensi dell'art. 132 c.p.c. comma 2, n. 4 (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009), la sentenza deve contenere "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione" (e non più "la concisa esposizione dello svolgimento del processo"); ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009) la "motivazione della sentenza di cui all'art. 132, comma 2, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". La motivazione, ancora, è redatta in maniera sintetica secondo quanto previsto dall'art. 19 del D.L. n. 83 del 2015, convertito con L. n. 132 del 2015 che modifica il D.L. n. 179 del 2012 a sua volta convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, nonché in osservanza dei nuovi criteri di funzionalità, flessibilità e deformalizzazione dell'impianto decisorio della sentenza siccome delineati da Cass. SS.UU. 642/2015. Pertanto, con riguardo allo svolgimento del processo saranno richiamati unicamente gli eventi rilevanti ai fini della decisione. Con atto di citazione notificato in data 14.03.2018, La.Lu., La.Ti., La.Ne. e La.An. proponevano opposizione al decreto ingiuntivo n. 47/2018 emesso dal Tribunale di Vasto in favore della Sa. Srl per l'importo di Euro 84.180,00 oltre interessi e spese, somma pretesa a titolo di pagamento di lavori edili sull'immobile di proprietà dei fratelli L.. Con altro atto di citazione i medesimi opponenti proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n 43/2018 emesso dal Tribunale di Vasto in favore del Geom. Ma.Ci. ed in danno dei germani La. per il complessivo importo di Euro 56.942,10, pretesi a titolo di compensi professionali maturati quale professionista incaricato della progettazione, direzione ed esecuzione dei medesimi lavori per cui è causa. Questo secondo giudizio veniva rubricato con il n. 289/2018 R.G.A.C. ed il Tribunale, con ordinanza in data 5.4.2019, disponeva la riunione del detto procedimento n. 289/2018 a quello recante il n. 288/2018 Gli opponenti chiedevano, per entrambi i giudizi, in sintesi e per quanto di interesse: - nel rito, dichiararsi l'inammissibilità degli opposti decreti ingiuntivi per carenza della documentazione di cui all'art. 633 c.p.c.; - nel merito, la declatoria di inammissibilità e/o infondatezza degli opposti decreti ingiuntivi. In particolare, i fratelli La. deducevano che era intercorsa verbalmente tra le parti un'intesa contrattuale di permuta con la quale, a seguito di un accordo tra questi ultimi ed il cognato, Gr.Gi., imprenditore locale, ottenevano, con il meccanismo della cessione in permuta in loro favore, n. 4 unità immobiliari (una per ciascun opponente) in progetto edilizio, ricavate dall'immobile indiviso di loro proprietà che necessitava, per il suo riutilizzo, di interventi di ristrutturazione. Per tali motivi, veniva costituita la Sa. Srl, con soci amministratori sigg.ri Ma.Ci. (quale professionista geometra cui veniva assegnata la direzione dei lavori) e Gr.Gi. (imprenditore e coniuge dell'opponente La.Ne.) al fine di dare esecuzione alle opere di ristrutturazione convenute tra le parti. La predetta società, nell'anno 2017, essendo i lavori iniziati nell'anno 2015 ed allo stato ad un buon punto di realizzazione, stipulava n. 2 contratti preliminari di compravendita con gli acquirenti interessati, pattuendo la corresponsione di un prezzo per unità immobiliare pari ad Euro 135.000,00, determinando la consegna per la data del 31/12/2017. Tuttavia, nell'anno 2017, i rapporti coniugali tra Gr.Gi., quale socio della società convenuta e una delle odierni opponenti, La.Ne., si incrinavano fino a confluire in una separazione giudiziale e, conseguentemente, i preliminari di compravendita stipulati dalla società opposta venivano risolti e restituite le corrispondenti caparre versate. Nel novembre del 2017, la Sa. costruzioni Srl e il Geom. Ma.Ci. emettevano fatture pro forma nei confronti degli odierni opponenti per chiedere il pagamento dei lavori eseguiti, oggetto di puntuale contestazione da parte degli stessi; pertanto, questi ultimi spiegavano domanda riconvenzionale, chiedendo la condanna, in solido dei soci, al pagamento di una somma corrispondente al costo necessario per la riduzione in pristino dell'immobile di proprietà dei La. (contraddistinto al Catasto del Comune di S. S., Via G. fgl. (...), part. n. (...)) per riportare l'immobile di proprietà degli stessi nelle medesime condizioni precedente all'esecuzione dei lavori. Si costituiva, in data 21.9.2018 e, dunque, tardivamente, per entrambi i giudizi di seguito riuniti, la Soc. Sa. S.r.l., contestando ed impugnando tutte le domande ex adverso formulate e chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "In via preliminare, accertare edichiarare la nullità ex. art. 164 comma IV c.p.c. dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo n. 47/2018 del 02.02.2018, per i motivi di cui sopra e confermare il decreto ingiuntivo n. 47/2018 emesso dal Tribunale di Vasto, in data 02.02.2018, nel proc. n. 60/2018, non essendo l'opposizione fondata su prova scritta e/o di pronta soluzione; - In ogni caso: concedere alla prima udienza, stante la ricorrenza dei requisiti di cui all'art. 648 comma I c.p.c., la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto; - Nel merito, per tutte le motivazioni in fatto ed in diritto meglio dedotte in narrativa, rigettare l'opposizione per cui si procede, confermando il decreto ingiuntivo n. 47/2018 emesso dal Tribunale di Vasto, in data 02.02.2018, nel proc. R.G. n. 47/2018, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria sul capitale dal dì del dovuto e fino a saldo avvenuto. - Per l'effetto, condannare l'opponente alla refusione delle spese e dei compensi professionali del presente giudizio; - Condannare gli opponenti ad una somma, anche equitativamente determinata, ex art. 96, I e III comma c.p.c." In sintesi, e per quando di interesse, parte opposta, dopo aver dedotto la mancata contestazione della controparte circa l'esistenza del debito e del rapporto sottostante il credito (esecuzione delle opere edili interessanti l'immobile di proprietà degli opponenti), allegava: - la genericità delle contestazioni formulate in ordine alla regolare tenuta delle scritture contabili fondanti l'emissione del decreto ingiuntivo, anche alla luce della documentazione prodotta nell'odierno giudizio a seguito di opposizione e non disconosciuta ai sensi dell'art. 115 c.p.c.; - la mancanza di alcuna prova dell'esistenza del contratto di permuta e/o di alcun accordo intercorso tra le parti in ordine alla cessione della proprietà dell'immobile oggetto di giudizio in cambio dell'assegnazione di n. 4 unità immobiliari in favore di ciascuno degli odierni opponenti e l'impossibilità di darne prova aliunde, a ciò ostandovi il divieto di cui agli artt. 2721 e 2722 c. c. Rigettata la richiesta di provvisoria esecuzione del titolo esecutivo opposto e disposta la riunione dei due procedimenti all'esito delle richieste avanzate nelle memorie istruttorie, la causa, istruita tramite l'espletamento di una C.T.U., con produzioni documentali e prova per testi, è stata trattenuta per la decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c, ed è giunta all'odierna decisione. 1. L'opposizione è fondata e deve essere accolta per le ragioni indicate qui di seguito. 2. Deve preliminarmente disattendersi l'eccezione di nullità dei decreti ingiuntivi sollevata da parte opponente per violazione dell'art. 634 c.p.c., atteso che è principio consolidato quello per cui la fattura è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma che, tuttavia, nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto (Cass. n. 5915 del 2011). In particolare, con riguardo alla formazione unilaterale della fattura e alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, quando tale rapporto , per la sua natura o per il suo contenuto , sia oggetto di contestazione tra le parti stesse, la fattura non può costituire prova del contratto in favore della stessa, ma, al più, rappresentare un mero indizio della stipulazione di quest'ultimo e dell'esecuzione della prestazione indicata, mentre nessun valore si può ad essa riconoscere tanto in ordine alla corrispondenza della prestazione indicata con quella pattuita, quanto in relazione agli altri elementi costitutivi del contratto. L'opposizione del debitore dà, infatti, luogo ad un giudizio a cognizione piena sull'esistenza del credito dedotto dal ricorrente in via monitoria, nel quale riprendono vigore le consuete regole relative all'efficacia probatoria dei documenti; prima tra tutti, quella per cui un atto unilateralmente predisposto dal creditore, come la fattura, è privo di efficacia probatoria in ordine all'esistenza dei fatti costitutivi del credito azionato. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, la fattura può comunque rappresentare un indizio circa la stipulazione del contratto e l'esecuzione della prestazione indicata nella fattura stessa. 3. Sempre in via preliminare, deve rilevarsi l'infondatezza anche dell'eccezione di nullità, svolta dalla convenuta opposta, non ricorrendone i presupposti descritti dall'art. 164 comma IV c.p.c. in comb. disp. art. 163 comma 3 n. 3 c.p.c.: infatti la declaratoria di nullità si produce solo allorquando la causa petendi ed il petitum siano del tutto omessi o assolutamente incerti, e postula una valutazione da compiersi caso per caso, nel rispetto di alcuni criteri di ordine generale, occorrendo, da un canto tener conto che l'identificazione dell'oggetto della domanda va operato avendo riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e nei documenti ad esso allegati, dall'altro, che l'oggetto deve essere assolutamente "incerto" tale da non consentire una agevole individuazione di quanto l'attore chiede (Cass. n. 17023 del 12.11.2003) e, comunque, la nullità non ricorre per quel che riguarda la causa "pretendi", quando la stessa individuabile attraverso un esame complesso dell'atto introduttivo (Cass. Sez. III 06.08.2007 n. 17180). Nel caso de quo, il contenuto dell'atto introduttivo è tale da permettere attraverso l'esame complessivo dell'esposizione in fatto e delle domande rivolte al Giudice, l'individuazione delle situazioni contestate e delle motivazioni giuridiche poste dagli opponenti a fondamento della propria domanda ed ha, infatti, permesso alla convenuta di difendersi con piena cognizione di merito delle prospettazioni della controparte fin dalla comparsa di costituzione e risposta (sul punto, cfr. Cass. Sez. 3,Sentenza n. 27670 del 21/11/2008; Cass. Sez. 3, n. 11751 del 15/05/2013: " nel valutare il grado di incertezza della domanda, non può prescindersi dall'intero contesto dell'atto introduttivo, dalla natura del relativo oggetto e dal comportamento della controparte, dovendosi accertare se, nonostante l'obiettiva incertezza, il convenuto sia in grado di comprendere agevolmente le richieste dell'attore o se, invece, in difetto di maggiori specificazioni, si trovi in difficoltà nel predisporre una precisa linea difensiva.";). 4. Passando al merito della questione, dall'analisi dei documenti in atti, delle testimonianze espletate in sede istruttoria e dalle risultanze della Consulenza Tecnica d'Ufficio, comprese anche le successive integrazioni del 12.12.2019 e 14.1.2020, effettuate dal Dott. Cauli è possibile ricostruire, per quanto rilevante in questa sede, i fatti di causa. Motivo di opposizione è quello attinente all'intesa contrattuale di permuta che sarebbe intercorsa tra le parti, in forza della quale nessuna obbligazione pecuniaria sarebbe sorta in capo agli odierni opponenti ed in favore dell'opposta e che, in ogni caso, la prestazione posta in essere costituirebbe un danno, avendo reso del tutto inutilizzabile l'immobile per cui è causa. Ebbene, l'accordo con cui una parte cede all'altra la proprietà di un'area edificabile, in cambio di una controprestazione, nel caso di specie, di un appartamento sito nel fabbricato che sarà realizzato sulla stessa area a cura e con mezzi del cessionario, integra gli estremi del contratto di permuta tra un bene esistente ed un bene futuro, qualora il sinallagma negoziale consista nel trasferimento della proprietà attuale in cambio della cosa futura (Cass. n. 28479/2005). A tal proposito, la Corte di Cassazione ha rilevato che: "il contratto avente ad oggetto l'impegno a trasferire la proprietà di un'area in cambio di uno o più unità immobiliari da costruire è qualificabile come preliminare di permuta di cosa futura ove l'intento concreto delle parti abbia ad oggetto il reciproco trasferimento dei beni (presente e futuro)" (cfr. Cass., 31.5.2016, n. 11234) Quanto alla forma, la giurisprudenza ha affermato che nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di immobili futuri, è necessaria la forma scritta per la stipulazione del contratto ad effetti obbligatori, la cui proprietà è trasferita non appena lo stesso viene ad esistenza (Cass. n. 9994/2016). In forza dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 1555 c.c., al contratto di permuta si applicano, in quanto con questo compatibili, le norme stabilite per la vendita; in caso di permuta tra la proprietà di area fabbricabile (cosa presente) e porzione della proprietà di erigenda costruzione (cosa futura) l'acquisto di quest'ultima si verifica, senza necessità di altre dichiarazioni di volontà (Cass., 20 luglio 1991, n. 8118), non appena la cosa viene ad esistenza, ai sensi dell'art. 1472 c.c., comma 1, (disposizione, questa, compatibile con la permuta in quanto fondata genericamente sulla funzione di scambio del contratto: cfr. Cass., 30 novembre 2011, n. 25603). Ciò posto, per il principio secondo cui ogni negozio preparatorio o modificativo di altro negozio per il quale è imposto un onere di forma deve seguire la forma di questo (art. 1351, 1392, 1403 c.c.), il contratto di permuta immobiliare deve rivestire la forma scritta prescritta per quest'ultimo (art. 1350 c.c.). Essendo il presunto contratto di permuta, per espressa deduzione degli odierni opponenti, ripassato tra le parti soltanto verbalmente, va da sé che non potrà considerarsi raggiunta la prova dell'esistenza di un valido negozio giuridico che, in ogni caso, sarebbe da considerarsi nullo in difetto della forma stabilita ex lege. Secondo l'art. 1350 c.c., la forma del contratto rappresenta il mezzo espressivo o di formalizzazione con cui l'atto deve essere compiuto individua, dunque, un elemento essenziale del negozio, prescritto a condizione di validità dell'atto stesso nei soli casi previsti dalla legge. Pertanto, la forma scritta ab substantiam prevista, a pena di nullità, per il contratto di vendita (1470 ss.), per l'espresso richiamo effettuato dall'art. 1555 c.c., si applicherà anche al contratto di permuta che, essendo intercorso solo verbalmente, dovrà considerarsi invalido. È evidente, infatti, che l'esigenza di una speciale forma deriva dalla valutazione dell'oggetto dell'atto permutativo: così se la permuta attiene ad un bene immobile, essa dovrà perfezionarsi per iscritto a pena di nullità (art. 1350 c.c.). Dunque, alcun contratto di permuta può considerarsi concluso tra le parti, atteso che nel caso di specie non può ritenersi avverata neppure la condizione cui gli artt. 2724, n. 3, e 2725, comma 2, c.c., che subordinano l'ammissibilità della prova per testimoni di un contratto, per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, all'ipotesi in cui il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli offriva la prova. Orbene, ciò chiarito, devono essere condivisi i noti principi generali secondo cui il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione, nel quale incombe, sulla base degli ordinari principi in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, così che, nel caso di opposizione avente ad oggetto il pagamento di forniture e/o lavorazioni, l'obbligo di dare la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura e l'estratto delle scritture contabili, titoli idonei per l'emissione del decreto, costituire fonte di prova in favore della parte che li ha emessi (Cass., n. 5915/2011; n. 5071/2009; n. 17371/2003). In particolare, la fattura, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo essa nella dichiarazione indirizzata all'altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, con la conseguenza che nel giudizio ordinario, quando tale rapporto sia contestato fra le parti, la fattura non può costituire un valido elemento di prova delle prestazioni eseguite, degradando, piuttosto, a mero indizio (cfr., fra molte, Cass., n. 11736/2018; n. 299/2016; n. 15383/2010; n. 8549/2008). Il documento fiscale può, dunque, assurgere ad indizio in ordine alla stipulazione del contratto e all'esecuzione della prestazione indicata, mentre nessun valore, nemmeno indiziario, le si può riconoscere tanto rispetto alla corrispondenza della prestazione indicata con quella pattuita, quanto in relazione agli altri elementi costitutivi del contratto, per cui, contro ed in aggiunta al contenuto della fattura, sono ammissibili prove anche testimoniali dirette a dimostrare eventuali convenzioni non risultanti dall'atto, ovvero ad esso sottostanti. Da ciò deriva che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore che agisce per il pagamento del corrispettivo ha l'onere, allorché il debitore sollevi opposizione al titolo esecutivo, di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, nel caso di specie, di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte. Ebbene, applicando i su richiamati principi di diritto, deve rilevarsi che parte opposta ha assolto parzialmente all'onere probatorio sulla stessa gravante. Infatti, dal compendio probatorio è emerso che i lavori (rimozione infissi e di demolizione delle gradinate esistenti e di murature) oggetto della fattura portata nel decreto ingiuntivo n. 47/2018 (doc n. 2 fascicolo monitorio iscritto al n. 60/2018 Rg) sono stati eseguiti sull'immobile di proprietà dei fratelli La. che lo hanno acquistato a seguito di donazione (cfr. doc n. 2 fascicolo parte attrice). Quanto detto è stato confermato dai testimoni escussi (tra cui, i testi Po.Lu., Ia.Fl., quale direttore tecnico della Ge. su commissione della Sa. Srl e Ma.Le.) e, in ogni caso, pacificamente non contestato da parte opponente. Tanto detto è confermato anche dall'esame della documentazione prodotta dalla società opposta nell'odierno giudizio, peraltro non disconosciuta dagli opponenti (fatture n. 4/2017, n. 7/2017, n. 327/2017, n. 15/2017; n.366/2017 e n.184-A/2017 e relative prove di pagamento effettuate dalla Sa. Srl) e di quella offerta nel corso del procedimento monitorio, tra cui, la richiesta di permesso a costruire del 7.7.2016 (cfr. doc n.3 fascicolo monitorio n. 26/2018 Rg) e la dichiarazione CILA, Prot. (...) del 13.12.2016 (cfr. doc n. 1 fascicolo monitorio n. 60/2018 Rg). Ciò che si evince con certezza è che gli odierni opponenti, quali titolari dell'immobile per cui è causa, hanno presentato la richiesta e comunicazione di inizio lavori presso il competente Comune nominando, per la direzione e progettazione delle opere, il tecnico Ma.Ci., socio amministratore della Sa. Srl (come da visura prodotta in atti -doc n. 7 fascicolo opponenti) ditta quest'ultima che, come confermato in sede testimoniale, sub-commissionava l'esecuzione dei lavori alla C.G. Srl (cfr. dichiarazioni Ia.Fl.: "ho eseguito il lavori presso il fabbricato come direttore tecnico della Ge.. Sub. (...)) "Vero o meno che l'impresa da Lei rappresentata ha eseguito i lavori sull'immobile di Via G. in S. S., di proprietà della famiglia L.?" Così risponde: Si è vero su commissione della Sa. Sub. (...) "Vero o meno che i lavori eseguiti sono quelli riportati nella fattura che le viene rammostrata?"; Così risponde "Si è vera la circostanza. Sub. (...)) "Vero o meno che l'importo indicato nella fattura che le viene rammostrata è stato corrisposto dalla Soc. Sa. S.r.l.?" Così risponde: Si è vero"). Con specifico riferimento agli appalti va, infatti, rilevato che la stipulazione del relativo contratto privato non richiede la forma scritta né ad substantiam, nè ad probationem, potendo lo stesso essere concluso anche verbalmente o per facta concludentia, sicché, per darne dimostrazione in giudizio, possono assumere rilevanza anche le prove testimoniali o le presunzioni che, nel caso di specie, hanno offerto adeguato supporto alla prospettazione dei fatti sostenuta dall'opposta. Tuttavia, pur nell'acclarata invalidità e/o nullità dell'intesa contrattuale di permuta asseritamente ripassata tra le parti per tutti i motivi già evidenziati, è stato dimostrato che le prestazioni d'opera rese dalla convenuta sono state eseguite non a regola d'arte e che le stesse hanno reso l'immobile del tutto inutilizzabile. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità evidenzia che "in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. integrano - senza escluderne l'applicazione - i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l'opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuiteo delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del prezzo, può - al finedi paralizzare la pretesa avversaria - opporre le difformità e i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimplenti non est adimplendum", richiamato dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art.1667 c.c., anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta"(Cfr. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 4446 del 20 marzo 2012) Tale tipo di apporto interpretativo, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, è consentito al Giudice il quale ha: "il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa attorea, senza che, in tale attività interpretativa, rilevino le espressioni utilizzate dalle parti, dovendo per converso prendere in esame il tenore letterale degli atti e la natura delle vicende di fatto rappresentate dalla parte, le precisazioni offerte nel corso del giudizio, il tipo di provvedimento concretamente richiesto" (ex multis:Cass. n. 5743/2008, Cass. n. 3041/2007, Cass. n. 8107/2006, Cass. n. 18653/2004, Cass. Sez. Un. 10840/2003, Cass. n. 11861/1999). Gli esiti della espletata CTU, le cui conclusioni vengono fatte proprie da questo Giudice essendo frutto di rigorosi accertamenti tecnici ed esente da vizi logico-giuridici, hanno accertato la non corretta esecuzione dell'opera, atteso che i lavori non sono stati eseguiti a regola d'arte e che il compenso del geometra quale direttore dei lavori ha evidenziato diverse inadempienze e criticità, oltre che ragioni di incompetenza nella progettazione. Parte opponente ha spiegato domanda riconvenzionale di condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi antecedente allo svolgimento dei lavori oggetto di esecuzione. Sul punto, il consulente tecnico, nella relazione depositata in data 9.12.2019, ha accertato: "in data 13 luglio 2016 a firma del Geometra Ma.Ci. ? veniva presentata una CILA su richiesta della comproprietaria La.Lu. ed altri per i seguenti lavori: "rimozione infissi, demolizione di gradinate esterne e demolizione parziale di murature al Piano terra ". Per l'esecuzione dei lavori, secondo quanto riportato nella CILA, fu incaricata la Ditta Ge. srl, il cui direttore ha, come su evidenziato, confermato l'avvenuta commissione dei lavori da parte della società convenuta. Il tecnico nominato ha poi accertato: "I lavori di demolizione delle rampe sono stati eseguiti in modo non conforme a quanto richiesto dalla tecnica delle costruzioni per le opere in cemento armato dalla regola dell'arte. La demolizione delle stesse è stata eseguita con l'uso dei martelli demolitori e con l'aiuto della benna di una escavatrice dove invece la buona tecnica impone l'uso delle macchine da taglio. I danni alle strutture perimetrali in corrispondenza degli attacchi travi-rampe risultano allo stato attuale presenti ed è necessario ripristinare la continuità con maltespeciali previo taglio dei ferri di armatura delle rampe (ved. foto N. 2 PT allegata attestante lo stato attuale). Risulta inoltre danneggiato un pilastro in corrispondenza dell'attacco pilastro-rampa (ved. foto N. 5 PT allegata). Successivamente sarà necessario commissionare ad Una Società Ca. sui materiali per indagini in sito (prove di deformazione e termografia) con adatte apparecchiature allo scopo di certificare la conformità delle strutture in C.A. in relazione ai danni subiti (...) Le opere fondali in cemento armato sono state realizzate in abuso ovvero senza titolo abilitativo (Permesso a costruire). Il progetto di calcolo delle opere fondali in cemento armato andava inoltre depositato presso l'ex Genio Civile di Chieti." Il CTU ha inoltre evidenziato che le opere effettuate hanno reso inutilizzabile l'immobile. Sul punto, il tecnico ha rilevato: "dalla documentazione agli atti ed alle prove testimoniali, l'immobile in oggetto, a seguito delle opere eseguite per conto della "Sa. Srl" dall'impresa "Ge. srl", è paragonabile ad un cantiere in corso di ristrutturazione e pertanto inutilizzabile, essendo carente di tutti i requisiti necessari al corretto e sicuro svolgimento di qualsiasi attività, commerciale e non, sia per quanto riguarda il piano terra che per il piano seminterrato". Dunque, per i su richiamati dettami, la richiesta di pagamento avanzata dalla società convenuta il credito non può trovare accoglimento in applicazione del principio "inadimplendi non est adimplendum". La richiesta avanzata da parte opponente di condanna ad una somma di denaro da quantificarsi per ottenere la riduzione in pristino dello status quo ante l'esecuzione dei lavori non può, neanche, ad avviso dello scrivente, trovare accoglimento. Ed infatti, dalla documentazione versata in atti risulta che le opere commissionate consistevano nella rimozione infissi, demolizione di gradinate esterne e demolizione parziale murature al piano terra. Orbene, se l'intento dei committenti era quello di far eseguire opere di demolizione parziale dell'edificio, non appare coerente la richiesta di riduzione in pristino dell'edificio medesimo ma, al più, si può richiedere il risarcimento per i danni subiti a causa ed in conseguenza delle lavorazioni male eseguite così come accertato dal CTU. Tuttavia, ad avviso del Giudicante, l'entità del danno subito non può essere superiore al costo delle demolizioni operate per cui si reputa equo compensare il credito vantato dalla Sa. srl per le lavorazioni eseguite con il danno subito da parte opponente. Il tecnico ha inoltre quantificato la perdita economica annuale nella somma totale di Euro 37.966,00, stimando il valore mensile del canone d'affitto di tutto l'immobile per Euro 3.164,00 all'anno, valutazione che questo giudice ritiene di far propria atteso l'espresso richiamo del consulente ai valori medi delle locazioni espresse in Euro / mq mese forniti dal sito "Banca dati delle quotazioni immobiliari" dell'Agenzia delle Entrate riferito ad immobili locati con le stesse caratteristiche , destinazioni d'uso ed ubicazione. Dal compendio probatorio è però emerso che l'immobile per cui è causa era stato oggetto di locazione fino all'anno 2008 (cfr. dichiarazioni Forgione verbale del 3.10.2022: "Sono stato in affitto dai sigg.ri La. (?) io avevo in locazione tutta la struttura dei sigg.ri L.. Poi dopo che io sono andato via ho notato che la struttura era stata rotta. Riconosco il contratto di affitto dell'anno 2000 che mi è stato mostrato (?) io sono stato in affitto fino all'anno 2008 circa"). Non vi è prova, invece, che l'immobile fosse locato al momento o poco prima della stipula del contratto di appalto per cui tale voce di danno non potrà essere riconosciuta. Dunque risulta provato che i lavori per cui è causa sono stati eseguiti in violazione delle regole d'arte e sono rimaste incomplete, come pacificamente sostenuto da entrambe le parti in causa, e che l'interruzione dei lavori ha reso non più fruibile l'immobile (cfr. relazione CTU: "le opere oggetto del credito abbiano diminuito il valore dell'immobile, rendendolo di fatto inutilizzabile"). Quanto al compenso maturato dal Ci., il CTU ha rilevato: "il Geometra Ma.Ci. in qualità di progettista e D.L. per le opere architettoniche previste nell'ampliamento dell'immobile esistente di cui il Permesso a Costruire n. 116/2016 accolto dall'Ufficio Urbanistico di San Salvo, alla luce di quanto prevede la normativa vigente e delle varie sentenze emesse dal Consiglio di Stato e dai TAR, ha esulato dalle sue competenze professionali". Pertanto, posto che, per noto principio di diritto, il direttore dei lavori ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l'opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, senza che da tale attività derivi la sua corresponsabilità con l'appaltatore per i difetti dell'opera derivanti da vizi progettuali (cfr: Cass. civ. n. 18285/2016) e, in ossequio al su richiamato principio del inadimplenti non est adimplendum, deve rigettarsi la richiesta di pagamento avanzata a titolo di compensi professionali per l'attività svolta e, conseguentemente, revocarsi il decreto ingiuntivo opposto. Le spese di lite possono seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e la parte opposta deve essere dichiarata tenuta e condannata alla refusione in favore degli odierni opponenti delle spese processuali del presente giudizio che si liquidano in dispositivo, in conformità del Regolamento adottato con il D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022. Deve evidenziarsi che, in caso di riunione di più cause, la liquidazione dei compensi per l'attività svolta prima della riunione deve essere separatamente liquidata per ciascuna causa in relazione all'attività prestata in ciascuna di esse, mentre, per la fase successiva alla riunione, può essere liquidato un compenso unico, sul quale è facoltà del giudice applicare la maggiorazione prevista dall'art.4, comma 2, D.M. n. 55 del 2014 in presenza dei presupposti previsti dalla tariffa (Cass. 31 maggio 2022 n.17693). Si rileva, in proposito, che le cause riunite non hanno comportato l'esame di particolari situazioni di fatto e di diritto tali da giustificare l'applicazione della maggiorazione di cui all'art. 4, comma 2 del citato decreto. Per cui, tenuto conto dei parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale previsti dall'art. 4, comma 1, D.M. n. 55 del 2014 cit., ed in particolare, del valore della controversia per entrambe le cause, della natura della pratica e della fase in cui è stata disposta la riunione dei procedimenti (all'esito delle memorie istruttorie), secondo i valori minimi di liquidazione previsti nello scaglione di riferimento atteso che le questioni di fatto e di diritto trattate sono state sostanzialmente le medesime per entrambi i procedimenti, si reputa congruo liquidare, in favore degli opponenti, le spese come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando nella presente causa, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, respinte o assorbite, così dispone: ACCOGLIE l'opposizione proposta dai germani La.Lu., La.An., La.Ne. e La.Ti. e revoca il decreto ingiuntivo n. 47/2019 (R.G. n. 60/2018) ed il decreto n. 43/2018 (R.G. n. 23/2019) entrambi resi dal Tribunale di Vasto; ACCOGLIE parzialmente la domanda riconvenzionale formulata dai germani La.Lu., La.An., La.Ne. e La.Ti. e dichiara compensato il credito vantato dalla Sa. S.r.l., per l'esecuzione delle opere di demolizione con il controcredito vantato dai germani opponenti a titolo di risarcimento del danno. CONDANNA la Sa. S.r.l., e Ma.Ci. in solido, alla rifusione in favore di La.Lu., La.An., La.Ne. e La.Ti. delle spese di lite, che liquida in Euro 7.600,00 per compensi professionali (Euro 1.700,00 per la fase di studio, Euro 1.200,00 per la fase introduttiva, Euro 1.800,00 per la fase istruttoria ed Euro 2.900,00), oltre al rimborso del contributo unificato, al 15% per spese forfetarie, CpA ed IVA, se ed in quanto dovuta; COMPENSA tra le parti le spese del ctu come liquidate in corso di causa. MANDA alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 2 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VASTO Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Maria Elena Faleschini, in esito all'udienza del 27/6/2023, sostituita dal deposito di note scritte ex art. 127-ter c.p.c., richiamato il contenuto narrativo degli atti di causa, viste le conclusioni rassegnate dalle parti e lette le note sostitutive della discussione orale, ha pronunciato e pubblicato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 16/2021 del Ruolo Generale Affari Civili e promossa da (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito a Vasto alla via (...); attore contro (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito a Vasto alla via (...); convenuta OGGETTO: Vendita di immobili MOTIVI DELLA DECISIONE (...) ha convenuto in giudizio (...) al fine di sentir: 1) dichiarare l'autenticità delle sottoscrizioni apposte dai contraenti (...) (venditrice) e (...) (acquirente) alla scrittura privata del 13/7/2016, registrata in Vasto in data 4/12/2020 (n. 945 - serie 3), avente ad oggetto la vendita di un locale deposito e cantina di mq. 48 sito in Vasto, via (...) e distinto in N.C.E.U. del Comune di Vasto al Foglio n. (...), particella n. (...), subalterno n. 2; 2) in caso di contestazione della sottoscrizione da parte della convenuta (...), accertare che, con la predetta scrittura privata, la convenuta ha venduto all'attore, al prezzo di Euro 4.000,00, l'immobile sopra descritto; 3) accertare e dichiarare l'avveramento, in seguito al decesso di (...) avvenuto in data 30/9/2018, della condizione sospensiva dell'obbligazione di consegna dell'immobile e conseguentemente condannare la convenuta alla consegna e immissione nel possesso a favore dell'attore; 4) condannare la convenuta al risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento. A sostegno della domanda, l'attore ha allegato di avere sottoscritto, unitamente alla convenuta, in data 13/7/2016 una scrittura privata - avente ad oggetto la vendita dell'immobile come descritto in atti al prezzo di Euro 4.000,00 - i cui obblighi di consegna e immissione in possesso a carico della parte venditrice e in favore dell'acquirente erano sottoposti alla condizione sospensiva dell'estinzione dell'usufrutto vantato sul detto cespite da (...) (condizione avveratasi con il trapasso dell'usufruttuario in data 30/9/2018); la necessità per l'attore di agire in giudizio è stata determinata dalla mancata spontanea adesione della convenuta alla partecipazione al relativo rogito notarile. Costituitasi in giudizio, (...) - eccepito preliminarmente il mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria e di negoziazione assistita - ha contestato nel merito le circostanze allegate dall'attore, affermando di non ricordare di aver sottoscritto alcuna scrittura privata, e deducendo argomentazioni a supporto della qualificazione della scrittura privata non quale contratto di compravendita ma quale mero preliminare di vendita; in via riconvenzionale, ha chiesto dichiararsi la nullità e/o annullamento della scrittura privata medesima per incapacità naturale della convenuta al momento della sottoscrizione della stessa. Preliminarmente, deve respingersi l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea per mancato esperimento della mediazione e negoziazione assistita obbligatorie. Il procedimento di mediazione è, infatti, stato esperito in corso di causa e ha avuto esito negativo (come comprovato dai verbali di mediazione in atti). Né può ritenersi sussistente un obbligo di negoziazione assistita, essendo la sovrapposizione tra i due strumenti alternativi di risoluzione delle controverse esclusa dal disposto dell'art. 3, comma 1, D.L. 132/2014 ("Allo stesso modo deve procedere fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'art. 5r comma 1-bis del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28r chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro"). Peraltro, sarebbe contrario al diritto di difesa, oltre che antieconomico ed inutilmente dilatorio, richiedere alla parte attrice, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, di invitare la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita dopo l'infruttuoso esperimento del procedimento di mediazione - che, rispetto alla negoziazione assistita, presenta il valore aggiunto dell'intervento di un terzo imparziale, che dovrebbe favorire l'esito conciliativo. Venendo al merito della causa, va dichiarata la nullità della scrittura privata del 13/7/2016 per mancata menzione urbanistica. Innanzitutto, occorre - nel contrasto tra le parti circa la qualificazione giuridica della scrittura privata de quo quale contratto di compravendita o preliminare di vendita - procedere ad indagine ermeneutica al line ai sussumere la scrittura in esame al di sotto della corretta fattispecie giuridica di riferimento. In dipendenza dei condivisibili criteri orientativi espressi dalla S.C. (Cass. civ. Sez. 3 - , Sentenza n. 26136 del 05/09/2022) - "ai fini della ricostruzione dell'accordo negoziale l'attività del giudice del merito si articola in due fasi; la prima diretta ad interpretare la volontà delle partir ossia ad individuare gli effetti da esse avuti di mirar che consiste in un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, la seconda volta a qualificare il negozio mediante l'attribuzione di un "nomen iuris", riconducendo quell'accordo negoziale ad un tipo legale o assumendo che sia atipico, fase sindacabile in cassazione per violazione di legge, e segnatamente dei criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1362 e ss. c.c.". Ancora la S.C. (Cass. civ. Sez. II, Sentenza n. 5962 del 03/11/1988 nonché Cass. civ. Sez. II Sentenza n. 13827 del 19 ottobre 2000) indica che "nell'indagine diretta ad individuare il carattere preliminare o definitivo di un contratto di vendita occorre ricercare l'effettiva volontà dei contraenti per accertare se essa sia stata rivolta direttamente al trasferimento della proprietà ovvero a dare vita ad un rapporto obbligatorio che impegna ad una ulteriore manifestazione di volontà che opera l'effetto traslativo, tenendo presente che al predetto fine non sono decisive, anche se non irrilevanti, le espressioni letterali usate dalle parti, né la previsione della riproduzione in atto pubblico della scrittura privata che può essere stata considerata in funzione della trascrizione e non del trasferimento, e neppure, d'altra parte, la stessa tradizione del bene e il pagamento del prezzo, quando vi sia ragione di ritenere che con essi non si esauriscano le rispettive controprestazioni, ma si realizzi soltanto l'esecuzione anticipata di una futura vendita. Il suddetto accertamento pur vertendo su una quaestio facti, è censurabile in sede di legittimità soltanto se non adeguatamente motivato o non ispirato a corretti criteri di ermeneutica contrattuale". Facendo applicazione dei richiamati principi al caso di specie e muovendo dall'esame delle espressioni letterali utilizzate dalle parti, deve rilevarsi come esse assumano significato testuale indubitabilmente inequivoco, prevedendosi che "la sig.ra (...) vende sin d'ora al sig. (...)" (art. 1). A fronte di tale evidenza testuale, deve ritenersi non condivisibile l'opinione di parte convenuta circa la pretesa qualificabilità del negozio de quo quale "mero" contratto preliminare in ragione del rinvio ad altro atto (pubblico); e tanto proprio in ragione del fatto che - attesa la piena efficacia traslativa del mutuo consenso espresso nella forma scritta quale prescritta ad substantiam dall'art. 1350, I comma, n. 1 - l'accordo a comparire davanti al notaio per la formazione di un atto pubblico concretizza - per l'appunto e come già evidenziato dalla S.C. sopra citata - l'interesse delle parti a rendere possibile la sua trascrizione - e quindi l'opponibilità a terzi - alternativamente ottenibile solo attraverso una sentenza di mero accertamento dell' autenticità delle sottoscrizioni (Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 26136 del 5/9/2022). Parimenti non meritevole di accoglimento è la considerazione della medesima parte convenuta secondo cui la compravendita non potrebbe dirsi perfezionata in ragione del mancato versamento del corrispettivo e della mancata consegna e/o immissione nel possesso dell'immobile. Ciò in quanto la natura della compravendita di immobile quale contratto ad effetti misti - sia reali (trasferimento del diritto) sia obbligatori (consegna del bene e versamento del prezzo) consente, in linea generale, l'adempimento di tali obblighi in un momento successivo al perfezionamento dell'accordo. Stante l'univoca manifestazione di volontà contenuta nella scrittura privata de quo, la stessa va qualificata alla stregua di contratto di compravendita immobiliare. Sennonché, l'esame - nel merito - delle domande attoree nonché della domanda riconvenzionale avanzata dalla convenuta risulta precluso, dovendosi necessariamente dichiarare, in via preliminare, la nullità della suddetta compravendita immobiliare per mancata menzione degli estremi del permesso di costruire (o del permesso in sanatoria). Tale profilo di nullità è stato posto in luce da parte convenuta (soltanto) con le note conclusive depositate in data 25/5/2023. Sullo stesso, parte attrice ha avuto modo di interloquire nel termine concesso dal giudice all' udienza del 6/6/2023. Né trova applicazione, nel presente caso, l'art. 101, comma II, c.p.c., dovendo il termine ivi prescritto essere concesso soltanto nelle ipotesi in cui il giudice si avveda della presenza di questione rilevabile d'ufficio (che ritenga di porre a fondamento della decisione) una volta trattenuta la causa in decisione, mentre nel caso di specie la parte convenuta ha sollevato l'eccezione (in senso lato) di nullità in sede di discussione orale - configurando le note conclusive un'anticipazione, in forma scritta, della discussione medesima - ed il giudice ha fatto proprio il rilievo della questione in udienza, invitando l'attore ad interloquire sul punto, sicché il contraddittorio risulta assicurato. Ebbene, nelle proprie note conclusive, parte convenuta pone - in via di eccezione in senso lato e, pertanto, rilevabile d'ufficio senza preclusioni e/o decadenze in ogni stato e grado del giudizio con il solo limite della loro necessaria riferibilità a fatti risultanti dagli atti, dai documenti o dagli altri elementi probatori, ritualmente acquisiti al processo (cfr. ex pluribus Cass. civ. sez. VI, 30/06/2020, n.12980) - argomentazione difensiva afferente alla nullità della scrittura privata de quo ai sensi dell'art. 46 del D.P.R. 6/6/2001 n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) che, al primo comma, prescrive la nullità degli atti tra vivi, sia in forma pubblica che (come nel caso di specie) in forma privata, aventi per oggetto (tra l'altro) il trasferimento di diritti reali, ove dagli atti medesimi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Il rilievo è fondato, atteso che l'esame della scrittura privata consente di rilevare agevolmente la mancanza di tale dichiarazione, come peraltro riconosciuto dalla stessa parte attrice nelle memorie autorizzate del 21/6/2023 (cfr. pag. 7: "è agevole verificare che, in effetti nella scrittura privata di compravendita con effetti traslativi della proprietà che qui ci occupar manca qualsivoglia indicazione dell'esistenza di un titolo edilizio o che l'immobile sia stato edificato prima dell'anno 1967"), con l'aggiunta che "manca anche qualsivoglia prova che, relativamente alla scrittura privata citata un titolo abilitativo dell'immobile che ne forma l'oggetto sia effettivamente esistente e che quel titolo sia riferibile proprio a quell'immobile" (pag. 7 memorie soprarichiamate). Di conseguenza, l'atto del 13/7/2016 deve essere ritenuto e dichiarato nullo, atteso che - così come specificato dalla più recente e condivisibile giurisprudenza della S.C. - "La nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell'ambito del comma 3 dell'art 1418 c.c. di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che tuttavia deve esistere realmente e deve esser riferibile proprio a quell'immobile" (così Cass. civ. Sez. U, Sentenza n. 8230 del 22/03/2019. Parte attrice nelle memorie già richiamate afferma che l'immobile di cui trattasi è stato edificato prima dell'anno 1967, e che, pertanto, "nella scrittura privata di compravendita oggetto di causa, non era necessaria l'indicazione delle concessioni edilizie o dei permessi a costruire che lo avrebbero riguardato quanto al contrario la mera dichiarazione che l'immobile compravenduto era stato edificato prima dell'anno 1967" (cfr. pag. 8 delle suddette memorie). Invero, l'art. 40 L. 47/1985, introducendo, da un lato, a pena di nullità dell'atto, l'obbligo della menzione del titolo legittimante, ha previsto, dall'altro, una rilevante eccezione: per gli immobili la cui costruzione risulti iniziata prima dell' 1/9/1967 "in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15 attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo". Tale dichiarazione, tuttavia, né si rinviene nel corpo della scrittura privata de quo, né è presente quale allegato alla stessa, sicché il rilievo di parte attrice non può trovare accoglimento. Né può valere quale conferma dell'atto nullo ai sensi dell'art. 40, comma III, L. 47/1985 la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà del 20/6/2023 prodotta unitamente alle memorie del 21/6/2023, prevedendo la suddetta norma che l'atto di conferma sia "redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva ai atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente": è evidente che la dichiarazione sostitutiva di atto notorio va necessariamente allegata all'atto di conferma, ma non può da sola costituire conferma dell'atto nullo. La stessa giurisprudenza di legittimità citata dalla parte attrice afferma che "la nullità prevista dal legislatore in caso di omessa indicazione (o allegazione) nel contratto di compravendita di beni immobili dei titoli edilizi legittimanti il bene compravenduto è una nullità di tipo formale che può essere sanata solo nei modi tipici previsti dal legislatore medesimo, anche perché la sanatoria di un atto nullo è ipotesi del tutto eccezionale nel sistema delle nullità del codice civile e, pertanto, non è possibile alcuna interpretazione analogica o estensiva delle norme che la regolano" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14804 del 14/06/2017). In ogni caso, anche a voler considerare la dichiarazione predetta quale atto di conferma, la stessa non sarebbe comunque sufficiente a sanare la nullità della scrittura privata del 13/7/2016. Ciò in quanto, ai fini della validità di atti di trasferimento di fabbricati la cui costruzione sia iniziata prima dell'1/9/1967, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà deve attestare non solo che trattasi di immobili edificati anteriormente all'1/9/1967 ma anche che successivamente all' edificazione non sono intervenute modifiche tali da comportare la necessità di chiedere concessione in sanatoria; se invece risultano modifiche successive, vanno indicati gli estremi di tutte le concessioni in sanatoria e i relativi condoni (art. 2, comma 58, L. 662/1996). Nel caso di specie, peraltro, parte convenuta segnala che nella relazione del CTU Ing. (...) dell'anno 2007 resa nell'ambito della procedura fallimentare n. 10/2006 del Tribunale di Vasto si legge che il fabbricato in questione ha "superficie catastale di 48 mq e reale di circa 70 mq": il che può essere indice o di modifiche successive all'edificazione - di cui non si da conto nella scrittura privata - ovvero, quantomeno, della presenza di una difformità catastale, che comunque necessitava di essere sanata prima della compravendita del bene - sanatoria di cui, pure, non si dà atto nella predetta scrittura privata. In definitiva, la dichiarazione di nullità del contratto di compravendita immobiliare del 13/7/2016 consegue non all'accoglimento della domanda riconvenzionale di parte convenuta bensì alla verifica dei presupposti di fondatezza dell'azione principale, ovvero alla verifica dell'esistenza di un valido titolo idoneo all'accoglimento delle domande attoree. Avendo la parte convenuta, in seguito al rilievo d' ufficio, spiegato domanda di nullità del contratto, la nullità viene dichiarata in dispositivo - rimarcandosi, in ogni caso, che l'accertamento della nullità, anche in assenza di domanda in tal senso, sarebbe stato comunque idoneo a produrre effetto di giudicato in virtù della estensione del c.d. "vincolo al motivo portante". Le domande attoree vanno, in definitiva, rigettate, così come va rigettata - per la medesima ragione - la domanda riconvenzionale di parte convenuta, tesa ad ottenere l'annullamento per incapacità naturale della scrittura privata giudicata nulla: ciò in quanto ogni azione di impugnativa negoziale (risoluzione, rescissione e annullamento) presuppone, al pari dell'azione di esatto adempimento, l'esistenza e l'efficacia del contratto (Cass., Sez. U, Sentenza n. 26242 del 2014: "Premessa la omogeneità funzionale di tutte le azioni di impugnativa negoziale e indipendentemente dalla bontà della tesi dell'assorbimento della annullabilità nella quaestio nullitatis, è innegabile che le due fattispecie si trovino in una relazione reciprocamente conflittuale che ne esclude qualsivoglia coesistenza o concorrenza. Al di là delle discussioni circa la validità/invalidità dell'atto annullabile (del quale va senz'altro riaffermata la duplice dimensione di invalidità/efficacia caducabile), quel che appare incontestabile è che l'atto annullabile sia produttivo di effetti, e che presupposto necessario della fattispecie dell'annullabilità sia proprio l'esistenza e la produzione di effetti negoziali eliminabili ex tunc". Il rigetto sia delle domande attoree sia della domanda riconvenzionale della convenuta determina la compensazione integrale delle spese di lite ai sensi dell'art. 92, comma II, c.p.c. per soccombenza reciproca. P.Q.M. Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. R.G. 16/2021, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1) dichiara la nullità della scrittura privata del 13/7/2016; 2) rigetta le domande attoree; 3) rigetta la domanda riconvenzionale della convenuta; 4) compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così è deciso in Vasto, il 29 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 29 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione collegiale, nelle persone dei signori Magistrati: - dott. Fabrizio Pasquale - Presidente Relatore - dott.ssa Elisa Ciabattoni - Giudice - dott.ssa Maria Elena Faleschini - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 719/2020 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: CESSAZIONE EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO TRA (...) (c.f. (...) ), rappresentato e difeso dall'avv. PA.AL., presso il cui studio con sede in Vasto (CH), alla Via (...), è elettivamente domiciliato; RICORRENTE E (...) (c.f. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. PE.CA., presso il cui studio con sede in Vasto (CH), al Corso (...), è elettivamente domiciliato; RESISTENTE NONCHE' Il Pubblico Ministero presso questo Tribunale INTERVENTORE NECESSARIO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Va preliminarmente precisato che la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, richiesta da entrambi i coniugi, è fondata e va, pertanto, accolta. Invero, sono stati prodotti in giudizio, a conferma dei presupposti dell'istanza, i certificati anagrafici delle parti ed il certificato attestante il matrimonio, nonché la copia della sentenza di separazione. Ricorrono i requisiti richiesti dall'art. 3, n. 2, lett. b) della L. 1 dicembre 1970, n. 890, come modificata dalla L. 6 marzo 1987, n. 74 e dalla L. 6 maggio 2015, n. 55 (entrata in vigore il 26.05.2015 ed applicabile ai procedimenti in corso a tale data, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data). I coniugi sono comparsi innanzi al Presidente del Tribunale, nel giudizio di separazione, in data 21/04/2017. Da tale data, fino alla proposizione del ricorso divorzile, è decorso un periodo superiore a dodici mesi, durante i quali, per pacifica ammissione delle parti, la separazione si è protratta ininterrottamente e la convivenza non è mai ripresa. La persistenza di uno stato di separazione da oltre dodici mesi, la conduzione di vite del tutto autonome, l'assenza di qualsivoglia rapporto, la proposizione e la continuazione del giudizio di divorzio, il fallimento del tentativo di conciliazione esperito dinanzi al Presidente del Tribunale, costituiscono certamente, a parere del collegio giudicante, evidenti manifestazioni della indisponibilità dei coniugi ad una riconciliazione e della completa impossibilità della ricostituzione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, sulla quale il matrimonio è fondato. Preso atto di quanto sopra ed accertata la sussistenza dei presuppost richiesti dagli artt. 2 e 3, n. 2, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, dev essere, nella specie, pronunciata la cessazione degli effetti civili de matrimonio a suo tempo contratto dai coniugi (...) - (...). 2. In ordine alle modalità di affidamento della figlia minorenne (...) occorre evidenziare che, nel quadro della nuova disciplina relativa a provvedimenti riguardo ai figli, improntata alla tutela del diritto de minore alla cd. "bigenitorialità", cioè al diritto di continuare ad avere un rapporto equilibrato e significativo con ciascuno dei genitori l'affidamento condiviso (comportante l'esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i genitori ed una condivisione, appunto delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore) si pone come regola generale rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell'affidamento esclusivo Alla regola prioritaria dell'affidamento condiviso ad entrambi i genitor (che non può ragionevolmente ritenersi precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi) può, pertanto, derogarsi solo ove la sua applicazione risulti contraria all'interesse del minore, interesse che costituisce esclusivo criterio di valutazione in rapporto alle diverse e alle specifiche connotazioni dei singoli casi dedotti in sede giudiziaria, con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore (cfr., Cass., 18.06.2008, n. 16593). Nel caso in esame, non essendo emersi motivi contrari alla opportunità di affidare congiuntamente la minore ad entrambi i genitori, non ricorrono i presupposti di legge per l'affidamento esclusivo, che, nel caso di specie, sarebbe contrario all'interesse della minore a coltivare un equilibrato rapporto bigenitoriale. Al contrario, si reputa opportuno disporre un regime di affidamento condiviso della figlia minorenne, onde evitare l'innescarsi di processi di marginalizzazione della figura paterna, che potrebbero condurre il padre a deleterie condotte abdicative. Tuttavia, è preferibile che la minore, essendo vissuta e cresciuta sin dalla nascita in V., conviva prevalentemente con la madre, salva la facoltà del padre di vedere la figlia ogni volta che vorrà, secondo le richieste della minore e compatibilmente con le sue esigenze di studio, in base alle modalità di volta in volta concordate dai genitori o comunque, in caso di disaccordo tra gli stessi, secondo il programma minimo di realizzazione del rapporto tra il padre e la figlia stabilito in dispositivo, riservando, in ogni caso, ai genitori di concordare, volta per volta, più specifica regolamentazione e rimanendo in facoltà degli stessi di stabilire un generale ampliamento del programma. Sotto questo profilo, non merita di essere accolta la domanda di collocamento prevalente della minore presso il padre (con conseguente assegnazione a sé della casa familiare), formulata dal (...) sull'assunto che la minore vivrebbe con i nonni materni piuttosto che con la madre, attuale collocataria, per il dirimente motivo che tale circostanza è stata decisamente contestata dalla (...) e non risulta essere stata adeguatamente provata dall'istante. In ogni caso, entrambi i genitori hanno l'obbligo di contribuire alla cura, all'istruzione e all'educazione della figlia in maniera armonica, attraverso un costante rilascio reciproco di informazioni ed un assiduo controllo dei risultati scolastici, delle compagnie e del comportamento in generale, sempre rappresentando alla figlia l'importanza del mantenimento di un equilibrato rapporto con ambedue i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per la figlia relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale della minore dovranno essere assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni della figlia, mentre le decisioni su questioni di ordinaria amministrazione potranno essere prese dai genitori anche separatamente, con la precisazione che - qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate - detto comportamento potrà essere valutato anche al fine della modifica delle modalità di affidamento. 3. Da quanto innanzi esposto consegue che la casa familiare, sita in V., alla Via A. n. 2, dovrà rimanere assegnata a (...), in quanto collocataria della figlia (...). La stessa potrà continuare ad abitarvi fintantoché la figlia, quantunque maggiorenne, non avrà raggiunto la propria indipendenza economica e continuerà a convivere con la madre. 4. Con particolare riguardo alle questioni economiche e, nello specifico, alla richiesta di assegno divorzile avanzata dalla resistente, si impone, preliminarmente, il vaglio della sua ammissibilità, espressamente contestata dalla controparte, sul rilievo della sua tardiva formulazione per la prima volta all'udienza presidenziale del 17/06/2021. A tale riguardo, va osservato che la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile la domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile formulata da parte resistente anche in un momento successivo alla comparsa di costituzione, purché non oltre "il termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore", che "segna il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di riconoscimento dell'assegno divorzile, senza che ciò escluda la ritualità della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale, in tempo antecedente alla udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore di cui all'art. 180 c.p.c. (Cass. civ., sez. 1, n. 18116 del 12 settembre 2005)" (cfr., Cass. n. 18527/2017). Aderendo al principio testé enunciato, è, pertanto, da ritenersi ammissibile la domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile della resistente, in quanto tempestivamente spiegata con comparsa integrativa depositata nella fase presidenziale del procedimento, all'udienza del 17/06/2021 e, quindi, in un momento ampiamente antecedente a quello di maturazione della relativa preclusione. 4.1. Tanto premesso, questo Collegio ritiene, tuttavia, che la domanda non merita favorevole scrutinio, per il dirimente motivo che dalle allegazioni della parte resistente e dalle evidenze probatorie in atti, non risulta provata la sussistenza dei presupposti dai quali scaturisce il diritto alla somministrazione di un assegno periodico, vale a dire la mancanza di mezzi adeguati o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. A tale riguardo, deve innanzitutto premettersi che, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr., Cass., S.U., 11.07.2018, n. 18287), "ai sensi dell'art. 5 c.6 della L. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto". Muovendo da tali principi, le Sezioni Unite hanno sancito che, al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba riconoscersi l'invocato assegno divorzile, il giudice: a) procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque, l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e, in particolare, se quella sperequazione sia, o meno, la conseguenza de contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso ed alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né a parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale d garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato. Nell'ambito di questo accertamento, la materia dell'assegno di divorzio che ha ad oggetto un diritto sicuramente disponibile - è dominata nell'ambito del relativo procedimento giurisdizionale predisposto dalla L. n. 898 del 1970 (art. 5), dal principio della disponibilità della prova non intaccato nemmeno dai poteri officiosi di indagine sui redditi, su patrimoni e sull'effettivo tenore di vita dei coniugi, attribuiti al tribunale dall'art. 5, comma 9. L'esercizio di tali poteri presuppone che le part abbiano assolto l'onere, che loro incombe, di esibire, fin dall'udienza d personale comparizione dinanzi al presidente del tribunale, la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa a loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, ed inoltre che documenti prodotti formino oggetto di contestazione; presuppone dunque, un'attività processuale delle parti (espressione del principio dispositivo in materia di prova), la cui omissione non può essere supplita dal giudice, ma la cui applicazione può essere da questi unicamente integrata in ipotesi di contestazione della documentazione prodotta. Di conseguenza, il coniuge richiedente l'assegno di divorzio ha l'onere d dedurre e dimostrare, con idonei mezzi di prova, che: a) in seguito allo scioglimento del matrimonio, si è venuta a creare una rilevante disparità economico-patrimoniale tra i coniugi; b) tale situazione d disuguaglianza è causalmente riconducibile alle scelte adottate (e condivise) dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio, che lo hanno portato ad assumere un ruolo trainante all'interno della famiglia sacrificando le proprie aspettative reddituali e professionali, in funzione della durata del matrimonio e dell'età del coniuge richiedente. 4.2. Orbene, facendo applicazione al caso di specie dei principi di diritti innanzi illustrati, va preliminarmente osservato che, da un'analis comparata delle complessive condizioni economiche dei coniugi, qual emergono dalle risultanze processuali, non si evidenzia una rilevante disparità economico-patrimoniale tale da giustificare il riconoscimento di un assegno di divorzio in favore della resistente. Invero, dalle incontestate argomentazioni difensive delle parti si evince che la resistente "ha sempre lavorato anche in costanza di matrimonio come operaia alle dipendenze del (...)" e successivamente alla cessazione dell'attività della suddetta azienda, ha svolto altre attività lavorative, seppur sporadiche. A ciò aggiungasi, per quanto concerne la titolarità di cespiti immobiliari che la (...) "è proprietaria di un appartamento che ha locato e da cu percepisce la somma di Euro 350,00 mensili di canone" - circostanza dedotta dal ricorrente e non contestata dalla resistente - e gode dell'abitazione a lei assegnata (bene immobile di cui è titolare il (...)). Per altro verso, risulta che il (...) svolge attività di commercio in abbigliamento - con un guadagno, dallo stesso dedotto, di circa Euro 15.000,00/20.000,00 annui - versa alla moglie un contributo per il mantenimento della figlia (...) (di anni nove) di Euro 600,00 mensili e sopporta ulteriori esborsi (e, segnatamente, un finanziamento erogato nel 2019 di circa Euro 53.000,00, con un piano di rimborso di 60 rate; un canone di locazione di Euro 1.300,00 mensili; una somma mensile di circa Euro 1.800,00 per retribuzioni e contribuzioni dei dipendenti). Fatta questa precisazione sulle rispettive condizioni economiche delle parti, deve aggiungersi la seguente considerazione: tenuto conto che l'assegno divorzile assume una funzione perequativa e compensativa del sacrificio sopportato da un coniuge per le scelte fatte e condivise in costanza di matrimonio e, pertanto, è teso a riequilibrare la disparità economica creatasi tra i coniugi in conseguenza del divorzio, nel caso in esame non è possibile stabilire se l'eventuale disparità abbia avuto causa in pregresse scelte familiari, in quanto non è stato dimostrato che la (...) abbia sacrificato le proprie aspettative reddituali e professionali o che abbia dovuto rinunciare alle proprie aspirazioni lavorative a causa degli impegni coniugali, né che l'inadeguatezza dei mezzi della richiedente sia la conseguenza del contributo da lei fornito alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale del marito, non avendo la suddetta articolato alcuna allegazione specifica ed essendo, al contrario, emerso che la (...) ha lavorato in costanza di matrimonio - circostanza, questa, peraltro più volte dalla stessa ribadita. Oltretutto, data l'età della donna, è assolutamente verosimile che ell abbia la piena possibilità di recuperare la propria attività lavorativa - ci che, di fatto, è avvenuto per espressa ammissione della stessa - e l relative aspettative anche reddituali, eventualmente sacrificate i costanza di matrimonio, a tal fine non costituendo un impedimento l rilevata malattia invalidante (ipoacusia neurosensoriale) della quale l resistente è affetta, nel senso che essa non può determinare un particolare difficoltà a reperire un'occupazione lavorativa o, più i generale, un'impossibilità di procurarsi da sola mezzi adeguati, i considerazione sia del relativo grado riconosciuto (pari al 60%), sia della circostanza che l'invalidità, accertata sin dal 1999, non ha costituito i passato un ostacolo nello svolgimento di attività lavorative. Sotto diverso profilo, pur in diparte di tali assorbenti rilievi, è il caso d osservare che l'istante, avendo rifiutato una proposta lavorativa offerta dal (...) nel corso del giudizio, sul rilievo della non affidabilità - tuttavia, indimostrata - della stessa (cfr. verbale udienza presidenziale del 18/03/2021), si è sottratta volontariamente ad un'occasione d lavoro reale, oltreché confacente alla propria condizione personale ed idonea a garantirle un reddito di Euro 800,00 mensili (in luogo dei Euro 300,00 versati dal (...) a titolo di mantenimento), peraltro, a mente de principi espressi dalla Suprema Corte, "in violazione dei doveri posti coniugali, che trovano fondamento nei principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità di entrambi gli ex coniugi" (cfr., Cass., S.U., n 18287/2018). Alla stregua delle riferite considerazioni, la domanda della resistente, d riconoscimento in proprio favore di un assegno divorzile pari a Euro 300,00 mensili, non merita di essere accolta. 5. Deve, altresì, statuirsi in merito al contributo dovuto in favore della figlia, G., minore e non autosufficiente dal punto di vista economico. Pertanto, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, permane l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, fino a quando questi non abbiano raggiunto l'indipendenza economica, ovvero fino a quando il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso (cfr., ex plurimis, Cass., n. 17183/20). A tale riguardo, il (...), pur non contestando l'obbligo di provvedere economicamente al sostentamento della figlia, ha chiesto che detta contribuzione sia determinata nell'importo di Euro 400,00, vale a dire in misura inferiore rispetto a quella concordata in sede di separazione, pari ad Euro 600,00, adducendo, quale ragione a sostegno della richiesta, un peggioramento della propria situazione economica, dovuta all'avversa congiuntura economica a seguito dell'emergenza pandemica. La domanda formulata dal ricorrente non merita di essere accolta, non essendo stati forniti sufficienti mezzi di prova idonei a dimostrarne la fondatezza. Al contrario, è possibile desumere da una pluralità di elementi di prova che l'istante disponga di risorse economiche di entità tale da poter far fronte al suddetto onere contributivo. Rileva, in tal senso - innanzitutto - la circostanza (comprovata mediante certificazione dei redditi) che il ricorrente è precettore di redditi e, in qualità di imprenditore individuale, esercita attività di vendita di abbigliamento al dettaglio e, successivamente alla separazione, ha ampliato la propria attività mediante l'apertura di ulteriori punti vendita che gestisce con l'ausilio di dipendenti (cfr. documentazione allegata agli atti); detta circostanza è, peraltro, comprovata dalla proposta transattiva formulata dal ricorrente, all'udienza presidenziale del 18/03/2021, di assunzione a tempo indeterminato della (...), quale commessa in un punto vendita di Vasto. In secondo luogo, in relazione all'entità degli esborsi sopportati dal ricorrente (e, segnatamente, il finanziamento erogato nel 2019 di circa Euro 53.000,00 - che, comunque, cesserà il prossimo giugno 2024 - il canone di locazione di Euro 1.300,00 mensili, la somma mensile di circa Euro 1.833,00 per retribuzioni e contribuzioni dei dipendenti), è evidente che il loro ammontare complessivo sarebbe assolutamente insostenibile - alla luce dei dati reddituali emergenti in sede fiscale - ed incompatibile con la lamentata peggiorata situazione patrimoniale, il cui esame non ha portato alla luce rilevanti circostanze di fatto che possano indurre ad una conclusione diversa da quella di un deterioramento delle condizioni economiche della parte istante soltanto dichiarato e non anche adeguatamente comprovato. Né meritevole di favorevole scrutinio appare essere l'istanza avversa di aumento dell'assegno a titolo di contributo al mantenimento della minore, avanzata dalla (...) sull'assunto che "... la piccola (...) (...) sta crescendo positivamente ma (...) ha sempre maggiori esigenze ...", in quanto non corroborata da alcuna idonea evidenza probatoria, essendosi l'istante limitata a sottolineare il naturale processo evolutivo della minore, senza alcuna specifica dimostrazione del dedotto incremento delle esigenze economiche della stessa. 6. Sulla scorta delle riferite circostanze, questo Collegio stima congruo fissare il contributo fisso mensile, che il (...) dovrà versare alla ex moglie per il mantenimento della figlia, (...), con decorrenza dalla data della presente sentenza, in Euro 600,00, importo che sostanzialmente corrisponde a quello stabilito in sede di separazione, sebbene depurato dell'eventuale rivalutazione maturata negli anni. Anche tale somma dovrà essere rivalutata annualmente - a decorrere dall'anno successivo alla pronuncia della presente sentenza - secondo gli indici ISTAT di riferimento e dovrà essere versata alla (...) entro il giorno 5 di ciascun mese, in contanti ovvero a mezzo bonifico bancario o vaglia postale o altre modalità che la stessa avrà cura di indicare. In considerazione del fatto che l'ammontare dell'assegno in questione viene determinato tenendo conto delle complessive risultanze istruttorie, la decorrenza dell'obbligo di mantenimento, come sopra specificato, va fissata nella data di pronunzia della presente decisione, dovendo continuare a trovare applicazione, per il periodo antecedente, i provvedimenti temporanei ed urgenti pronunziati dal Presidente del Tribunale all'esito del tentativo di conciliazione. 7. Alla predetta somma deve poi aggiungersi il contributo, che (...) dovrà assicurare, al pagamento delle spese straordinarie da sostenersi nell'interesse della figlia, nella misura del 50%. 8. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, della L. 1 dicembre 1970, n. 890, la moglie perde il cognome che aveva aggiunto al proprio in conseguenza del matrimonio. 9. Quanto al regime delle spese processuali, considerati i contrastanti esiti decisori delle rispettive domande formulate dalle parti, esse vanno integralmente compensate tra di esse. 10. Copia autentica della presente sentenza, una volta passata in giudicato, dovrà essere trasmessa a cura della Cancelleria all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Vasto (CH), per le incombenze di cui al D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. Per Questi Motivi Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), con l'intervento del P.M. in sede, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra i coniugi (...), nato a P. (C.) il (...) e (...), nata a V. (C.) il (...); (...), per l'effetto, le seguenti condizioni del divorzio: a) la figlia minorenne (...) è affidato congiuntamente ad entrambi i genitori; la stessa vivrà prevalentemente con la madre, salvo il diritto del padre di vederla e tenerla con sé ogni volta che vorrà, secondo le volontà della minore e compatibilmente con le sue esigenze di studio, in base alle modalità di volta in volta concordate dai genitori o comunque, in caso di disaccordo tra gli stessi, secondo un programma minimo di realizzazione del rapporto tra il padre e la figlia, che preveda almeno tre pomeriggi a settimana per tre ore consecutive; due fine settimana al mese, dal sabato pomeriggio alla domenica sera, con facoltà di pernottamento; sette giorn durante le festività natalizie, ad anni alterni, una volta dal 24 al 3 dicembre ed una volta dal 31 dicembre al 6 gennaio; tre giorni durante l festività pasquali, ad anni alterni, una volta dal lunedì al mercoledì i A. ed una volta dal V.S. alla D.D.P.; trent giorni anche non consecutivi nel periodo estivo, alternativamente ne mese di luglio ed agosto, fatta sempre salva la facoltà per i genitori d concordare, volta per volta, più specifica regolamentazione ovvero d stabilire un generale ampliamento del programma; b) la casa coniugale, sita in V. (C.), alla Via E. A. n. 2 rimane assegnata a (...), collocataria della figlia minore la quale avrà diritto di abitarvi fintantoché la figlia (...), quantunque maggiorenne, non avrà raggiunto la propria indipendenza economica e continuerà a convivere con la madre; c) (...) corrisponderà in favore di (...) con decorrenza dalla data della presente sentenza (confermandosi sino alla predetta data i provvedimenti temporanei ed urgenti emessi da Presidente), la somma mensile di Euro 600,00, a titolo di contributo per i mantenimento della figlia minore; gli importi andranno annualmente rivalutati secondo gli indici ISTAT di riferimento, a partire dal mese d maggio 2024 e dovranno essere versati entro il giorno 5 di ciascun mese in contanti ovvero a mezzo bonifico bancario o vaglia postale o altre modalità che la beneficiaria avrà cura di indicare; d) (...) contribuirà, altresì, al pagamento, nella misura del 50%, delle spese straordinarie da sostenersi nell'interesse della figlia; RIGETTA la richiesta della resistente di versamento di un assegno divorzile in proprio favore; DICHIARA che la moglie perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; O. che la presente sentenza sia trasmessa, a cura della Cancelleria, in copia autentica all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Vasto per l'annotazione, ai sensi dell'art. 69, 1 comma, lett. d), D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, della presente sentenza sul relativo atto di matrimonio (n. 72, parte II, serie A, anno 2005), al momento del suo passaggio in giudicato; DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 25 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 25 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Maria Elena Faleschini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 386 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2021, e promossa (...) s.r.l. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, ed in sua vece la procuratrice (...) s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. (...) attrice in riassunzione contro (...) convenuto OGGETTO: CONTRATTI BANCARI MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione per riassunzione, (...) s.r.l. ha convenuto in giudizio (...) al fine di ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 45.497,37, oltre interessi di mora e spese. L'attrice ha premesso di aver richiesto ed ottenuto dal Tribunale di Chieti il decreto ingiuntivo n. 506 del 2/10/2019, avverso il quale, con atto di citazione notificato in data 7/12/2019, ha proposto opposizione l'ingiunto, deducendo, tra plurimi motivi di doglianza, l'incompetenza per territorio del Tribunale di Chieti, identificando quale competente il Tribunale di Vasto; all'esito dell'udienza di comparizione delle parti, in data 25/1/2021, il Tribunale di Chieti ha dichiarato la propria incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Vasto, davanti al quale ha rimesso le parti assegnando termine perentorio per la riassunzione della domanda avente ad oggetto il credito di cui al decreto ingiuntivo opposto, nulla disponendo in ordine alle spese di lite. Riassunta la causa davanti al Tribunale di Vasto, l'attrice ha premesso in fatto che: - (...) ha sottoscritto con (...) S.p.A. (poi incorporata da (...) s.p.a.) il contratto n. (...) in data 7/12/2007 ed il contratto n. (...) in data 4/9/2008, aventi, rispettivamente, ad oggetto il finanziamento per l'ammontare di Euro 21.582,96 e di Euro 8.443, 60; - la parte finanziata è rimasta inadempiente agli obblighi di pagamento contrattualmente previsti, con ciò maturando, alla data del 22/6/2015, un'esposizione debitoria per complessivi Euro 45.497,37; - il credito, in origine facente capo a (...) di fusione per incorporazione del 27/3/2015) è stato oggetto di cessione pro soluto in favore di (...) s.r.l., realizzatasi nel contesto di un'operazione di cartolarizzazione ex L. n. 130/1999 e art. 58 del D. Lgs. n. 385/1993, provata e pienamente efficace ed opponibile al debitore ceduto in virtù dell'avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 75 del 2/07/2015. Si è costituito in giudizio (...), il quale - riportandosi a tutte le deduzioni, eccezioni, domande e richieste istruttorie già formulate con l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo introduttivo del giudizio davanti al Tribunale di Chieti - ha eccepito: a) l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria previsto dall'art. 5, D.lgs. n. 28/2010; b) la mancata sottoscrizione dei contratti da parte dell'istituto di credito, recando gli stessi la sola sottoscrizione del cliente; c) la prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2948 n. 4) c.c. delle somme dovute a titolo di interessi; d) la mancanza degli estratti conto integrali; e) la nullità dei contratti di finanziamento de quo per carenza di accordo in ordine alle condizioni economiche e per mancata consegna di un esemplare al cliente, nonché per violazione degli artt. 1341, comma secondo, c.c. e 33 e 34 cod. cons.; f) la mancanza di titolarità del credito e/o difetto di legittimazione attiva in capo all'attrice per mancata prova della cessione del credito. La causa è stata istruita mediante produzioni documentali. Le parti hanno precisato le conclusioni all'udienza del 13/12/2022. La domanda è infondata e va, pertanto, respinta. In via introduttiva, giova premettere che, in base alla consolidata ripartizione dell'onere della prova tra creditore e debitore, il primo deve dimostrare che il suo credito esiste e che è diventato esigibile/è scaduto, mentre spetta al debitore dimostrare che l'asserito credito non esiste ovvero che sussistono fatti modificativi, impeditivi o estintivi dello stesso (art. 2697 c.c.). Nel caso di specie, l'attrice ha prodotto in giudizio: - i contratti di finanziamento n. (...) del 7/12/2007 e n. (...) del 4/9/2008 (doc. 5), che parte convenuta non contesta né in ordine alla loro esistenza né in ordine alla loro sottoscrizione; - gli estratti del libro giornale contabilità di (...) S.p.A. costituenti prova dell'erogazione delle somme di cui ai suddetti contratti (doc. 10 e 11); - gli estratti conto integrali relativi ai suddetti contratti, da cui si desumono gli importi dovuti (doc. 6 e 7). Sulla base di tale documentazione, risulta provata la sussistenza dei fatti costitutivi del credito azionato. Sennonché, parte convenuta ha eccepito il difetto di titolarità del credito e/o di legittimazione attiva in capo a (...) s.r.l. in ragione del fatto che non sarebbe stato provato dall'attrice che l'operazione di cessione in blocco avrebbe avuto ad oggetto anche i crediti specifici di cui essa chiede il riconoscimento: in altri termini, parte convenuta non contesta né la cessione in blocco né l'efficacia della stessa - conseguita attraverso la pubblicazione in G.U. - ma il fatto che la suddetta cessione abbia specificamente riguardato il credito oggetto di causa. L'eccezione è fondata. Innanzitutto, giova precisare che la questione posta dal convenuto non riguarda il supposto difetto di legittimazione attiva di (...) s.r.l., quanto piuttosto la titolarità sostanziale del credito in capo all'odierna attrice. Le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. Sez. Un., 16/2/2016, n. 2951), distinguendo i due concetti, hanno chiarito che a) la mancanza di legittimazione attiva integra una questione di rito e può ricavarsi dalla prospettazione fatta nella domanda di parte attrice/ricorrente, in questo caso del creditore; b) la titolarità del rapporto controverso, dal lato attivo o passivo, oggetto dell'azione rappresenta una questione di merito, in quanto attiene alla fondatezza della domanda. È pacifico, nel caso concreto, che l'attrice prospetta di essere la parte attiva del rapporto di credito dedotto in giudizio, sicché è escluso che possano esservi questioni di rito, mentre l'eccezione del convenuto mira a contestare la titolarità del rapporto, cioè il fatto che (...) s.r.l. sia effettivamente succeduta nella posizione dell'originario creditore ((...) s.p.a.) per effetto di una valida cessione dei suoi rapporti. Quindi, il convenuto ha sostanzialmente sollevato una questione preliminare di merito, onerando così la società di fornire la prova della titolarità dal lato attivo del rapporto obbligatorio. A tal proposito, costituisce principio generale, ed è quindi applicabile anche all'operazione di cartolarizzazione, che un negozio di cessione, per essere opponibile, deve contenere gli elementi minimi necessari alla cognizione del debitore circa la modificazione dal lato attivo dell'obbligazione da lui contratta; a questo fine, tali elementi possono ricavarsi dal solo contratto di cessione, non essendo, tuttavia, necessaria o rilevante la sua accettazione. Pertanto, la pubblicazione nella G.U. dell'avvenuta cessione esonera la cessionaria dalla notificazione al debitore ceduto, ma non dalla prova dell'esistenza della cessione stessa, in quanto una cosa è l'avviso della cessione, un'altra è la prova della sua esistenza e del suo specifico contenuto (Cass. civ., sez. III, 13.09.2018, n. 22268). Ne deriva che la sola allegazione della copia dalla pubblicazione nella G.U. non è sufficiente a provare l'avvenuta cessione di quello specifico credito (Cass. civ., 31/01/2019, n. 2780). Peraltro, se è vero che "La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ha anche l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta" (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24798 del 05/11/2020) è, del pari, vero che "In tema di cessi one i n blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione" (Cass. Civ., Sez. 3, 13/06/2019, n. 15884; Cass. Civ., Sez. 5, n. 31118/2017; Cass. Civ., Sez. III, n. 15884/2019; Cass. civ., Sez. 3, Ordinanza n. 31188 del 29/12/2017). Quindi, ai fini della dimostrazione della titolarità del rapporto, la prova primaria è costituita dal contratto di cessione, da cui si possa ricavare che lo specifico credito azionato è stato effettivamente ed inequivocabilmente cartolarizzato. Ad essa può, in subordine, sopperirsi con la dimostrazione che il singolo credito ceduto integra tutti i requisiti e rientra in tutti i criteri indicati nell'estratto di cessione pubblicato in G.U. Sul punto, si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito: alcuni giudici sostengono che la prova dell'avvenuta cessione possa essere fornita solo con la produzione del contratto di cessione o, in alternativa, con una dichiarazione scritta e dettagliata firmata dalla cedente, nella quale si dia atto della cartolarizzazione di quella specifica posizione debitoria; altri giudicanti, per converso, facendo leva sulla lettera dell'art. 4 L. n. 130/1999, che richiama l'art. 58 TUB, ritengono sufficiente la produzione in giudizio dell'estratto della Gazzetta Ufficiale. In definitiva, è rimesso all'apprezzamento del singolo giudice valutare, caso per caso, quali siano gli elementi in grado di fondare il proprio convincimento in merito alla titolarità del credito in capo alla società veicolo cessionaria. Ebbene, nel caso di specie, si ritiene che parte attrice non abbia fornito adeguata prova della titolarità del credito oggetto di causa. Invero, a fronte dell'eccezione di difetto di titolarità del credito e/o di legittimazione attiva sollevata dal convenuto nella propria comparsa di costituzione e risposta, l'attrice non ha né prodotto in giudizio il contratto di cessione (con relativo elenco notarile dei crediti ceduti) né altro documento comprovante l'avvenuta cessione dello specifico credito quale, in particolare, la dichiarazione ricognitiva della cessione rilasciata dal creditore cedente. Né ha provato (e neppure, in realtà, allegato) che il credito di cui pretende essere riconosciuta titolare soddisfa tutti i dodici criteri di inclusione elencati nell'avviso di cessione pubblicato in G.U. (doc. 8 allegato alla citazione). Tali criteri di inclusione sono da intendersi quali requisiti che il credito per potersi considerare rientrante nell'operazione di cessione in blocco - deve possedere cumulativamente e non alternativamente. Ciò si desume sia dal tenore letterale dell'avviso ("il Cessionario ha acquistato pro soluto dalla Cedente, con effetto giuridico dal 22 giugno 2015, crediti pecuniari rispondenti ai seguenti criteri alla data del 22 giugno 2015 (...)") sia dal fatto che trattasi di criteri tra loro compatibili e non di criteri volti ciascuno ad individuare una categoria distinta di crediti. Per giunta, l'avviso prosegue prevedendo che "Ancorché rispondenti ai criteri di inclusione sopra indicati si intendono espressamente esclusi dal blocco di cessione i crediti per i quali sussista anche una soltanto delle seguenti circostanze". Segue elencazione di cinque criteri di esclusione. Ciò posto, è evidente come, in presenza di una specifica eccezione di parte convenuta, e in assenza di qualsiasi successiva allegazione sul punto da parte della società attrice, risulti impossibile per il giudice verificare se il credito de quo rientri in tutti i criteri di inclusione e al tempo stesso non sia ricompreso tra le categorie escluse. Né può giovare a parte attrice il mero dato della disponibilità, in capo alla stessa, dei documenti probatori del credito. Infatti, "la circostanza del possesso di documentazione relativa un contratto di finanziamento tra terzi soggetti non è idonea a sostituire il documento attestante la cessione del credito. La semplice circostanza del possesso di tale documentazione, infatti, può giustificarsi sulla base di una pluralità di circostanze, come, ad esempio, la qualità di semplice mandatario del creditore e non di cessionaria del credito" (Cass. civ., 31/01/2019, n. 2780). Alla luce delle superiori considerazioni, va accolta l'eccezione di difetto di titolarità del credito azionato, con conseguente rigetto della domanda attorea. Da ultimo, si osserva come l'intervenuta omologa del piano del consumatore - di cui è stato dato atto all'udienza di precisazione delle conclusioni del 13/12/2022 - non consenta di dichiarare la cessazione della materia del contendere come richiesto in via principale dal convenuto. Ciò in quanto parte attrice, pur dopo aver appreso dell'omologa, ha insisto per l'accoglimento della propria domanda, sicché non si può ritenere che le parti concordino sul venir meno di ogni residuo motivo di contrasto tra le stesse. Al contempo, l'intervenuto provvedimento di omologa, se inibisce l'avvio o la prosecuzione di azioni esecutive individuali e di azioni cautelari, certamente non preclude che il giudizio di cognizione relativo a credito ricompreso nel piano addivenga a sentenza, non rendendolo improcedibile né determinandone la sospensione. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo (D.M. 155/2014, scaglione da Euro 26.0001,00 a Euro 52.000,00, parametri medi vigenti a far data dal 23.10.2022), sono poste a carico di parte attrice in ragione del principio di soccombenza. Nulla sulle spese del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Chieti, sulle quali avrebbe dovuto provvedere, appunto, il Tribunale dichiaratosi incompetente (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3122 del 07/02/2017: "il giudice che si dichiara incompetente deve provvedere sulle spese della fase di giudizio svoltasi davanti a lui (e la relativa statuizione è appellabile, e non impugnabile con regolamento di competenza: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21697 del 20/10/2011, Rv. 620334; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23727 del 19/11/2015, Rv. 638092; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 11764 del 08/06/2016, Rv. 639916). Necessario corollario del suddetto principio è che il giudice davanti al quale il processo sia riassunto deve provvedere solo sulle spese della fase della riassunzione e non anche su quelle della fase svoltasi davanti al giudice incompetente"). P.Q.M. Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando nel giudizio R.G. 386 del 2021 sulla domanda proposta da (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., contro (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1) Rigetta la domanda attorea; 2) Condanna (...) S.r.l. al pagamento, in favore di (...) delle spese di lite, che liquida in Euro 7.616,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarre ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore dichiaratosi antistatario. Così deciso in Vasto il 3 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 773/2021 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Fideiussione. TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv.(...) c.f. (...) p.e.c. (...) presso il cui studio, con sede in San Salvo (CH) alla (...) è elettivamente domiciliata; ATTORE - OPPONENTE E (...) s.p.a. (c.f. (...) in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) del Foro di Milano (C.F. (...) p.e.c.(...), presso il cui studio professionale, con sede in Milano, (...) è elettivamente domiciliata; CONVENUTA - OPPOSTA FATTO 1. (...) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 193/2021 del 20.05.2021, con il quale il Tribunale di Vasto le ha ingiunto, in qualità di fideiussore e in solido con altri condebitori, l'immediato pagamento, in favore della (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, della complessiva somma di Euro 25.600,57, oltre interessi di mora al tasso convenzionale sulla sorte capitale, con decorrenza dalle singole date indicate in ricorso fino al saldo, nonché delle spese della procedura monitoria, liquidate in complessivi Euro 766,50, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge. A sostegno dell'opposizione, l'attrice ha sollevato molteplici motivi di doglianza, contestando, tra altro, la correttezza e la legittimità dei conteggi così come operati unilateralmente dalla banca creditrice, la sussistenza del periculum in mora rappresentato nel ricorso monitorio, la validità ed efficacia della garanzia fidejussoria in ipotesi rilasciata dall'opponente, la nullità delle clausole della stessa corrispondenti a quelle dichiarate illegittime, giusta provvedimento A. del 2005 e operando il disconoscimento del documento prodotto da controparte (cfr. doc. sub. n. 13). Sulla base delle deduzioni e argomentazioni in sintesi riferite, l'opponente ha concluso, in via preliminare, per la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e, nel merito, per la dichiarazione di nullità, improcedibilità e/o inefficacia dello stesso, stante: a) l'inammissibilità del ricorso alla procedura monitoria in oggetto; b) l'assoluta mancanza dei presupposti e requisiti minimi necessari, a causa della nullità delle clausole riportate agli artt. 2, 6 e 8 del contratto di fidejussione datato 20/07/2005 e la susseguente nullità dell'intero contratto di fideiussione, ai sensi dell'art. 1419, 1 "comma, c.c.; c) l'insussistenza delle condizioni di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. Ha, pertanto, chiesto, la revoca del decreto Ingiuntivo opposto, con condanna della controparte al pagamento delle spese ed onorari di giudizio. 2. Si è costituita in giudizio la (...) s.p.a. per rappresentare, in via preliminare, che il credito a favore della (...) s.p.a. (mandante della (...) s.p.a.), oggetto del decreto ingiuntivo opposto, era stato ceduto alla (...) s.p.a. giusta atto di cessione pro soluto ed in blocco ai sensi dell'art. 58 del T.U.B. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Parte Seconda, n. 118 del 10 ottobre 2021, così legittimando il proprio intervento ex art. 166 e 111, III comma c.p.c.. Nel merito, la società intervenuta in luogo della (...) s.p.a. - ricostruiti i rapporti di credito garantiti - ha eccepito la prescrizione dei crediti in ipotesi maturati verso la banca, ha dichiarato di volersi avvalere del documento integrante la modifica contrattuale intercorsa in data 22.09.2005 (doc. 5), proponendo formale istanza di verificazione ai sensi dell'art. 216 c.p.c. della sottoscrizione apposta da (...) nella qualità di rappresentante legale della società (...) S.r.l., in calce alla modifica contrattuale datata 22.09.2005. Ha, inoltre, contrastato l'eccepita nullità della fideiussione per violazione della disciplina antitrust e le restanti contestazioni avversarie. Sulla scorta delle istanze e argomentazioni difensive come sopra compendiate, la la (...) s.p.a. ha concluso come di seguito testualmente riportato: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e/o allegazione, così giudicare: - In via preliminare: - confermare la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo telematico n. 193/2021 del 19.05.2021 emesso dal Tribunale di Vasto; - accertare e dichiarare, per i fatti e le ragioni esposti in narrativa, l'intervenuta prescrizione dell'eventuale diritto dell'attrice opponente di richiedere l'espunzione degli addebiti effettuati da (...) S.p.A. sui conti correnti per cui è causa in data anteriore al 23 luglio 2011 2007; In via principale: - rigettare, in quanto inammissibili e/o infondate per le ragioni esposte in narrativa, le domande e le eccezioni ex adverso formulate e, per l'effetto, confermare integralmente il decreto ingiuntivo telematico n. 193/2021 del 19.05.2021 emesso dal Tribunale di Vasto; In subordine: - condannare parte opponente al pagamento nei confronti di (...) S.p.A. della somma di Euro 25.600,57 (ovvero, in subordine, della diversa somma che dovesse risultare dovuta), oltre agli interessi contrattuali dal dovuto al saldo; In via istruttoria: - disporsi la verificazione giudiziale, ai sensi dell'art. 216 c.p.c., della sottoscrizione disconosciuta apposta alla modifica del contratto di conto corrente del 22.09.2005 da parte della signora (...) e, per l'effetto, accogliere la produzione delle scritture di comparazione in narrativa indicate o, ove ritenuto, disporsi, ai sensi dell'art. 219 c.p.c., la redazione di una scrittura comparativa della stessa disconoscente, con riserva di chiedere nel termine di cui all'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. l'ammissione di una CTU grafologica avente ad oggetto la sottoscrizione apposta sul documento disconosciuto; In ogni caso: - con vittoria di spese e onorari del presente giudizio, aumentati di spese generali, c.p.a. e i.v.a.". 3. Con ordinanza del 10.02.2022, il giudice - dopo aver rilevato che il giudizio introdotto dall'attrice concerne un'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari e finanziari, per la quale l'art. 5, commi 1 e 4, lett. a), del D.Lgs. n. 28 del 2010 impone il previo esperimento del procedimento di mediazione, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, a seguito della pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione - ha rigettato l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo n. 193/21, emesso dal Tribunale di Vasto in data 19.05.2021, contestualmente disponendo che la parte opposta provvedesse ad attivare la procedura di mediazione per la soluzione della controversia. 4. All'udienza del 28.06.2022, tenutasi a seguito del predetto provvedimento, la parte opponente ha tempestivamente eccepito che il procedimento di mediazione non è stato attivato dalla parte a ciò onerata, insistendo per la declaratoria di improcedibilità della domanda monitoria e per la revoca del decreto ingiuntivo opposto. 5. A questo punto, il giudice ha fissato l'udienza di precisazione delle conclusioni sulla sola questione preliminare della improcedibilità della domanda per la mancata proposizione della procedura di mediazione da parte della convenuta opposta. DIRITTO 1. La domanda monitoria deve essere dichiarata improcedibile, stante l'acclarata e non contestata inerzia della parte convenuta opposta nell'attivazione della procedura obbligatoria di mediazione, disposta dal giudice con ordinanza pronunciata dopo l'adozione del provvedimento sull'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo. Con la richiamata ordinanza del 10/02/2022, questo giudice, nell'assegnare i termini per l'introduzione del procedimento di mediazione, ha espressamente richiamato il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr., Cass., S.U., 18 settembre 2020, n. 19596), in ragione del quale "nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo". Inoltre, nel richiamato provvedimento è stato esplicitamente precisato che il mancato esperimento della procedura è sanzionato, per la parte opposta, con la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale e con la conseguente revoca del decreto ingiuntivo. 2. È pacifico che la parte opposta, a ciò onerata, non ha attivato la procedura di mediazione, con ciò contravvenendo a quanto disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1 e 4, lett. a), del D.Lgs. n. 28 del 2010. Non vi è dubbio, pertanto, che l'inosservanza delle disposizioni dettate con l'ordinanza del 10.02.2022 abbia determinato una sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda monitoria, ponendo una questione pregiudiziale che assume valore dirimente rispetto allo scrutinio nel merito delle argomentazioni difensive delle parti. 3. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che alla dichiarazione di improcedibilità della domanda monitoria segue la condanna di parte convenuta opposta al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori minimi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) s.p.a., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA improcedibile la domanda monitoria proposta da (...) s.p.a. e, per essa, da (...) s.p.a.; REVOCA il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 193/2021 emesso dal Tribunale di Vasto in data 20.05.2021; CONDANNA (...) s.p.a., in persona dei legali rappresentati pro tempore, al pagamento, in favore di (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.066,50 (di cui Euro 145,50 per spese documentate, Euro 2.540,00 per compensi professionali ed Euro 381,00 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. - se dovuta - e C.P.A. come per legge; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 7 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 493/2018 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: altri istituti in materia di diritti reali possesso e trascrizioni. TRA (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ga.D'U. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), C.so (...), è elettivamente domiciliato; ATTORE E (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. An.BR. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), Via (...), è elettivamente domiciliato; CONVENUTO E (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Va.CI. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), via (...), sono elettivamente domiciliati; CONVENUTI (...), residente in Rimini (RN), alla via (...); CONVENUTA CONTUMACE NONCHÉ (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Am.LA. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), C.so (...) n. 320, è elettivamente domiciliata; TERZA INTERVENUTA FATTO 1. (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...), (...), (...) e (...) per ivi sentir accertare e dichiarare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1158 e 1146 c.c., l'avvenuto acquisto per usucapione in proprio favore della quota di 4/5 dell'immobile sito in Vasto (CH), alla Via (...), int. 3, distinto al catasto urbano al fol. n. (...), rendita dominicale Euro 352,48, confinante con (...), con annessa pertinenza distinta al catasto urbano alla p.lla n. (...) e, conseguentemente, ordinare alla competente Conservatoria dei Registri Immobiliari di provvedere alla trascrizione dell'emananda sentenza; il tutto con condanna dei convenuti al pagamento delle spese e competenze di giudizio, oltre accessori. A sostegno della domanda, (...) ha premesso che l'immobile oggetto della domanda costituisce una casa di proprietà di (...), caduta in successione, alla morte di questa, in favore delle figlie (...) e (...) nella misura del 50% ciascuna. Alla morte di (...), la quota del 50% passava in successione all'attore (...) e ai figli dello stesso, (...) e (...), così risultanti titolare dei 3/6 della proprietà. Il restante 50% cadeva in successione, alla morte di (...), in favore dei figli della stessa, ovvero (...), (...) e (...), così risultanti titolari dei rimanenti 3/6 della proprietà. All'esito della rinuncia liberatoria alla propria quota da parte di (...) (pari ad 1/6) avvenuta in data 15.04.2015 e del conseguente accrescimento della quota degli altri comproprietari, le quote di comproprietà sono state redistribuite in quinti (anziché in sesti), con relativa attribuzione dei 3/5 in capo all'attore (...) (1/5) e ai suoi figli (...) (1/5) e (...) (1/5) e dei 2/5 in capo ai convenuti (...) (1/5) e (...) (1/5). L'attore ha, quindi, sostenuto di aver esercitato uti dominus, per oltre vent'anni, in maniera pacifica, pubblica e ininterrotta, il possesso indisturbato dell'immobile in questione, per effetto del disposto dell'art. 1146, I comma c.c., quale erede della propria consorte (...), cumulando il proprio possesso con quello della sua dante causa fino al 25.08.2011. 2. Sulla base delle circostanze appena riferite, l'attore, con atto depositato telematicamente in data 12/07/2021, ha concluso per l'accertamento e la dichiarazione dell'avvenuto acquisto per usucapione in proprio favore della quota di 4/5 della proprietà dell'immobile dinanzi descritto, con richiesta di condanna dei convenuti, in caso di ingiustificata opposizione, al pagamento delle spese e competenze di giudizio oltre accessori. 3. (...), sebbene ritualmente citata in giudizio, non si è costituita, né è personalmente comparsa in udienza, senza fornire alcun giustificato motivo della propria assenza. 4. (...) si è costituito in giudizio per contestare la domanda attorea, eccependo, attraverso una diversa ricostruzione fattuale: a) il mancato possesso esclusivo ultraventennale e, comunque, l'esplicazione dello stesso "uti condominus" e non "uti dominus" (avendo, tra l'altro, gli altri comproprietari provveduto al pagamento, per la propria quota, delle spese di conservazione del cespite); b) in ogni caso, l'interruzione del termine di usucapione, per aver egli stesso attivato procedura di mediazione ex D.Lgs. 28/2010, così ponendo in essere l'effetto interruttivo previsto da tale norma. Sulla base delle riferite deduzioni, (...) ha concluso per il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese ed onorari di causa. 5. Si sono costituiti in giudizio, con unico difensore, (...) e (...), non contestando la domanda attorea e, anzi, riconoscendo per vero quanto dall'attore dedotto ed esposto, rilevando la loro evocazione in giudizio quale atto meramente formale/processuale ed evidenziando la loro, anche pregressa, disponibilità ad ogni formalizzazione necessaria alla intestazione delle proprie quote comproprietarie in capo al proprio padre, ovvero l'attore (...). Sulla base delle riferite deduzioni, (...) e (...), sulla premessa della propria sostanziale e formale adesione alla domanda attorea per intervenuta usucapione, hanno concluso chiedendo unicamente il proprio esonero dal pagamento delle spese e competenze di lite. 6. Con atto di intervento volontario depositato in data 19.11.2018, si è costituita in giudizio (...) - nella qualità di acquirente della quota di 2/5 di proprietà dei convenuti (...) (1/5) e (...) (1/5) giusta atto di compravendita n. 23735 del 25.09.2018 per Notaio (...) in Cupello - per aderire alle difese dei propri danti causa e contestare la domanda attorea, sulla scorta delle medesime eccezioni e contestazioni di merito. Pertanto, con atto di precisazione delle conclusioni del 08/07/2021, ha concluso per il rigetto della domanda, con richiesta di condanna dell'attore al pagamento delle spese e competenze di lite. DIRITTO 1. Stante la mancata costituzione in giudizio della parte convenuta (...), deve preliminarmente dichiararsene la contumacia, all'esito di una positiva verifica sulla ritualità della notifica dell'atto introduttivo e, quindi, sulla regolare instaurazione del contraddittorio. 2. La domanda principale è infondata e, pertanto, non merita di essere accolta. Dagli esiti dell'istruttoria, dall'escussione dei testimoni ammessi e dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, si può ritenere raggiunta la prova in ordine alle seguenti circostanze. È comprovato in atti e, in ogni caso, incontestato tra le parti che l'immobile per cui è causa è stato di proprietà esclusiva di (...) (madre di (...) e (...)) fino alla dipartita della stessa, avvenuta in data 04.01.1995. Alla morte della madre, l'immobile è caduto in successione, per quota paritaria al 50%, a favore delle suddette figlie (...) e (...). Alla morte di (...), avvenuta in data 25.08.2011, la sua quota del 50% è caduta in successione a favore del di lei consorte (...) (attore) e dei figli di entrambi, (...) (convenuta) e (...) (convenuto). Alla morte di (...), avvenuta in data 24.02.2012, la sua quota del 50% è caduta in successione in favore dei propri figli (essendo premorto il consorte (...)), (...) (convenuta contumace), (...) e (...) (convenuto). Le quote di comproprietà sono state ripartite in frazione di sesto (1/6 pro capite) fino all'atto di rinuncia posto in essere in data 15.04.2015 da (...) (giusta atto n. 18382 del 15.04.2015 per Notaio in Napoli Dott. (...): cfr. doc. 20 produzioni attoree), con consequenziale accrescimento della quota comproprietaria degli altri intestatari superstiti e diversa ripartizione in frazione di quinto (ovvero 1/5 pro capite). 3. Dovendo esaminare, in via logicamente prioritaria, l'eventuale decorrenza del termine ultraventennale utile ai fini ex art. 1158 c.c., la ricostruzione cronologica che precede rende evidente come l'attore possieda - quantomeno "uti condominus" (in ragione della quota di 1/5 ereditata dalla consorte (...)) - a far data dal decesso della stessa (25.08.2011). L'attore ha invocato l'art. 1146, I comma c.c. al fine di cumulare tale più recente possesso con quello della consorte e dante causa (...), la quale, tuttavia, ha iniziato il possesso esclusivo della propria quota paritaria solo a partire dal 04.01.1995, data di decesso della madre (...), unica ed esclusiva proprietaria dell'immobile fino al trapasso. Ed infatti, la circostanza che l'attore (...) sia residente nell'immobile in discussione a far data dal 13.06.1973 (così come attestato dal certificato sub. n. 2 delle produzioni attoree) rende verosimile che lo stesso (unitamente alla propria famiglia) abbia - conformemente a quanto allegato dal convenuto (...) nella comparsa di costituzione - coabitato con la propria suocera fino al decesso della stessa. La predetta situazione di coabitazione esclude categoricamente che il possesso esercitato da (...) sull'immobile possa essere unito a quello esercitato da (...), ai fini della maturazione del ventennio utile per l'usucapione, quantomeno fino alla data del decesso di (...) (04.01.1995), e ciò per l'evidente ragione che, fino a quando quest'ultima ha vissuto all'interno del proprio appartamento, non è potuto configurarsi il requisito dell'esclusività del possesso a fini dell'usucapione. Ne consegue che il termine utile a verificare la maturazione del possesso ultraventennale da parte di (...) deve farsi decorrere, al più, dalla data del 04.01.1995, momento in cui, con il venir meno della (...), è potuto iniziare il possesso esclusivo della dante causa dell'attore, (...). Senonché, è comprovato in atti (cfr. doc. 9 fascicolo di (...)) come, in data 20.01.2014, vale a dire prima della maturazione del ventennio decorrente dal 04.01.1995, il convenuto (...) abbia attivato la procedura di mediazione ex art. 5 del D.Lgs. 28/2010 (obbligatoria, tra l'altro, in materia di divisione, diritti reali e successioni ereditarie) al fine di "sciogliere la predetta comunione con liquidazione del valore della propria quota di partecipazione" (riguardante anche altro cespite non oggetto della presente causa), convocando tutti i soggetti cointestatari. L'attivazione di detta procedura, che ha avuto esito negativo al primo incontro per mancata adesione delle parti convenute, ha sicuramente valenza quale atto interruttivo della prescrizione acquisitiva nella quale si sostanzia l'usucapione, sulla scorta di quanto prescritto dall'art. 5, VI comma, del D.Lgs. 28/2010, il quale recita testualmente che "Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo". La inequivoca portata testuale di detta norma è stata ribadita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass. S.U. n. 17781/2013), secondo la quale l'ultimo comma dell'art. 5 del D.Lgs. 28/2010 "parifica la domanda di mediazione per la conciliazione sul diritto controverso alla "domanda giudiziale" di tutela di tale situazione soggettiva ai fini della prescrizione, stabilendo che l'istanza di mediazione, come accade per ogni domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2943 c.c., commi 1 e 2, e art. 2945 c.c., interrompe la prescrizione del diritto controverso (su tale interruzione cfr., di recente, Cass. 10 aprile 2013 n. 8686 e 14 dicembre 2012 n. 23017)". Considerato che l'interruzione della decadenza e della prescrizione prevista dall'art. 5, comma 6, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 in materia di mediazione obbligatoria, si verifica per effetto non già della mera presentazione dell'istanza di mediazione, ma solo nel momento in cui essa è comunicata alle altre parti (adempimento a cui può provvedere, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lo stesso istante), non può essere posto in dubbio che, nel caso di specie, tale incombenza sia stata curata quanto meno alla data del 20/01/2014, in concomitanza con le attività risultanti dal verbale della procedura di mediazione n. 84/2013. L'antecedenza di tale data rispetto a quella di maturazione del termine ventennale di usucapione (04.01.2015), esclude ogni congettura di usucapione ed, avendo carattere assorbente, rende ultronea ogni analisi sulla sussistenza degli ulteriori presupposti necessari all'acquisto per usucapione, rispetto ai quali - peraltro - sono state dedotte non sempre pertinenti circostanze di fatto. 4. Sulla scorta delle considerazioni fin qui esposte, ricorrono plurime e fondate argomentazioni che conducono all'inevitabile rigetto della domanda di usucapione. 5. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che al rigetto della domanda segue la condanna di parte attrice al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia; in particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, con riduzione del 30%, ex art. 4, IV comma, applicabile ai compensi liquidabili in favore della difesa della intervenuta (...), che, avendo acquisito la medesima posizione processuale del convenuto (...), non ha comportato l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto. Deve essere, invece, disposta la compensazione delle spese tra l'attore e i convenuti (...) e (...), in ragione della sostanziale adesione di questi alla domanda principale. Nel rapporto processuale con (...), poiché la parte vittoriosa è rimasta contumace, non vi sono spese di lite da ripetere in suo favore da parte dell'attore soccombente. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), (...), (...), (...), nonché della intervenuta (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA la contumacia di (...); RIGETTA la domanda di cui in epigrafe; CONDANNA (...) al pagamento, in favore del convenuto (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.650,25 (di cui Euro 4.835,00 per compensi professionali ed Euro 725,25 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; CONDANNA (...) al pagamento, in favore della convenuta (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.892,18 (di cui Euro 3.384,50 per compensi professionali ed Euro 507,68 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; DICHIARA interamente compensate le spese del presente giudizio tra l'attore (...) e i convenuti (...) e (...); NULLA dispone in ordine alle spese nel rapporto tra l'attore e la convenuta contumace (...); MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 9 luglio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Franca Malatesta, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n.1226/2016 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Servitu. TRA (...) ((...)) e (...) ((...)), rappresentati e difesi dall'avv. Si.Pr. con studio in Lanciano e dall'avv. Ma.No., con studio in Vasto, ivi elettivamente domiciliati; ATTORI E (...) ((...)) e (...), rappresentati e difesi dall'avv. Vi.Ma., con studio, in Vasto, alla Via (...), ivi elettivamente domiciliati. CONVENUTI FATTO (...) e (...) hanno convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...) e (...), per ivi sentir 1) accertare e dichiarare l'inesistenza di qualsiasi servitù di passaggio sulla proprietà del sig. (...) e della sig.ra (...) in favore degli odierni convenuti, 2) condannare i convenuti al risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa, arrecato in conseguenza delle molestie nel godimento della piena e legittima proprietà e dell'interferenza illecita nella vita privata di parte attrice; 3) condannare i convenuti al risarcimento del danno per lite temeraria, ex art. 96 c.p.c., nella misura ritenuta equa e di giustizia; 4) con vittoria di spese e competenze di lite. A sostegno della domanda hanno dedotto i coniugi (...) di aver acquistato da (...), con atto pubblico per Notar (...) del 15.12.2008, rep. (...), racc. (...), la proprietà di un fabbricato, con relative pertinenze, sito in V., in catasto fg.(...), p.lle (...) sub. (...), (...) e (...) sub.(...); dopo essere stati dal venditore rassicurati circa l'inesistenza di oneri, pesi e/o servitù; e che, nella parte retrostante del fabbricato, insiste sulla p.lla (...) un cortile delimitato da recinzione metallica. Hanno evidenziato che nell'estate del 2009, rientrati in Italia dal Belgio per trascorrere un periodo di ferie, hanno trovato la recinzione metallica totalmente rimossa ed i confinanti coniugi (...) che pretendevano di esercitare la servitù di passaggio su detto cortile, pur accedendo i medesimi alla loro abitazione attraverso il Vico VII di Corso (...) e da Via (...) attraverso il terreno di loro proprietà di cui alla p.lla n.. Hanno riferito circa l'inutilità dei tentativi di comporre bonariamente la questione. Si sono costituiti in giudizio (...) e (...) i quali hanno eccepito di aver acquistato con atto per notar (...) del (...) (Rep. n. (...), registrato in Lanciano il 2 settembre 1970 al n. 1420 del Vol. n. 195), in comunione dei beni, un piccolo immobile in agro di V. al vico 7 di Corso (...), civico n. (...), in catasto al foglio n. (...), particella n. (...), sub. (...); con accesso da Corso (...) attraverso il vico 7, all'attualità senza alcuna indicazione visibile; di aver successivamente acquistato da (...) e (...), con rogito per notar (...) del 1 ottobre 1993 (Rep. n. (...), registrato in Lanciano l'8 ottobre 1993 al n. 1573, Sez. IV), due unità immobiliari nel medesimo Comune: la prima al vico 7 di corso (...) e l'altra al vico 8 dello stesso corso, in catasto al foglio n. (...), rispettivamente, nella particella n. (...), sub. (...) e sub. (...); nonché un terreno adiacente a dette unità, sempre in foglio n. (...), alla particella n. (...). Hanno aggiunto che l'accesso all'unità sub. (...) avveniva da Corso (...) attraverso il vico 7, all'attualità senza alcuna indicazione visibile; mentre per il sub. (...) l'accesso avveniva da Corso (...), attraverso il vico 8, ugualmente senza alcuna indicazione visibile. Hanno dedotto che, dopo lavori di ristrutturazione, le predette due unità immobiliari sono state unite in un'unica, come da denuncia di variazione n. 1179 per fusione (21 dicembre 1995) all'UTE di Chieti, con la quale venivano soppressi i subalterni n. 2 e n. 3 con la costituzione del subalterno (...). Hanno evidenziato che il fabbricato di essi (...) - (...) è stato sempre servito da una corte che, dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo (...) di Corso (...). Detta corte è stata da sempre comodamente, pacificamente, continuativamente ed ininterrottamente utilizzata da (...) ed (...), nonché dai loro precedenti danti causa tutti, per raggiungere il proprio immobile, in un percorso largo circa un metro, che insiste sull'area di corte. Hanno rappresentato che, in seguito all'acquisto da parte di (...) e (...) di una porzione della particella (...) e della particella (...) del foglio n. (...), nello stato di fatto, per notar (...) del (...) (rep. n. (...), racc. n. (...)), ovvero quasi quarant'anni dopo l'acquisto dei (...), seguiva illegittima interclusione del piccolo spiazzo operata dal (...), che ha impedito ogni passaggio ai (...) per accedere alla proprietà. Hanno riferito che il Tribunale di Vasto, su ricorso di essi coniugi (...), con giudicato possessorio (RG 1406/09), ha condannato gli odierni attori alla rimozione di una recinzione illegittimamente apposta, conclamando il possesso ultra - trentennale degli scriventi, giusta ordinanza (prot. (...) del 13 ottobre 2010) per dr. (...); e che, per i medesimi fatti è stato attivato pure procedimento penale per inottemperanza all'ordine del giudice e per minacce, illeciti patiti sempre a causa del (...), conclusosi con la condanna del (...), giusta decisione del Tribunale di Vasto - sez. Penale - giudice monocratico (1384/13 RGNR - sent. 301/16). Hanno eccepito, in diritto, l'insistenza del danno subito dagli attori, per essere, al contrario, il danno stato perpetrato dagli attori nei confronti dei convenuti; l'insussistenza della lite temeraria a carico dei convenuti, bensì la sussistenza a carico degli attori e l'inesistenza di alcun diritto assoluto degli attori, sussistendo in favore dei convenuti servitù di passaggio, da usucapione ultraventennale. In corso di causa gli attori hanno aggiunto alle proprie conclusioni, con la memoria ex art. 183, co.1, c.p.c., in via subordinata, la domanda di accertamento e declaratoria di estinzione della servitù di passaggio per non uso ventennale da parte dei coniugi (...). Sono state, quindi, ammesse le prove richieste dalle parti; precisate le conclusioni e assegnata la causa in decisione, alla scadenza dei termini di legge la causa è stata rimessa sul ruolo al fine di acquisire ctu volta a determinare la ricorrenza delle condizioni indicate da parte convenuta. Espletata ctu a mezzo dell'ing. (...), veniva fissata al 12 maggio 2020 l'udienza per la precisazione delle conclusioni. Con decreto del 5 maggio 2020 la causa è stata rinviata all'udienza del 4 giugno 2020, in ossequio alle tabelle del magistrato nelle more assegnatario del procedimento, nonché disposta la trattazione scritta dell'udienza, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Ha fatto seguito, dipoi, provvedimento di variazione tabellare del 7 gennaio 2021, con il quale il procedimento iscritto al n. 1226/2016 veniva assegnato allo scrivente magistrato che, con decreto in data 17 febbraio 2021, ha rinviato la causa davanti a sé, all'udienza del 21 maggio 2021, al fine di trattenere la causa in decisione, senza ulteriore concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. DIRITTO La domanda è parzialmente fondata e, pertanto, meritevole d'accoglimento, nei limiti di seguito indicati. Preliminarmente, osserva il giudicante che la comparsa conclusionale di parte convenuta, depositata in data 22 giugno 2021, non era stata autorizzata e pertanto la stessa non è utilizzabile: infatti, nel decreto di fissazione udienza mediante trattazione scritta del 17 febbraio 2021 si legge "non assegna alle parti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., essendo già stati concessi". Gli attori si sono azionati per sentir dichiarare l'inesistenza di qualsiasi servitù di passaggio sulla loro proprietà, a favore dei convenuti e questi ultimi, nel chiedere il rigetto della domanda attorea, hanno eccepito di aver acquisito il diritto di servitù di transito a favore dell'unità individuata in catasto al fg. (...), part. n. (...) sub (...) e a peso delle particelle n. (...) e n. (...) del fg. (...), ovvero per accedere all'immobile di proprietà da Vico VIII di Corso (...), passando sulla corte di proprietà attorea, per usucapione; o per destinazione del padre di famiglia. Per quanto attiene all'acquisto per usucapione ventennale, occorre chiarire che il termine iniziale non può individuarsi nel 31 agosto 1970, data di acquisto da parte degli odierni convenuti in comunione dei beni, dell'immobile in agro di Villalfonsina al Vico 7 di Corso (...), civico n. (...), in catasto al foglio n. (...), particella n. (...), sub. (...), con accesso - per l'appunto - da Corso (...) attraverso il Vico 7, bensì, semmai, con il 1 ottobre 1993, data di acquisto da (...) e (...) delle unità immobiliari site nel medesimo Comune, in catasto al foglio (...), p.lla (...) sub. (...) e p.lla (...) sub (...), con terreno adiacente, fg. (...) p.lla (...). Senonché, dalla lettura dell'atto di acquisto e dalla richiesta di concessione edilizia n.33 dell'11 giugno 1994, emerge l'impossibilità da parte dei coniugi (...) di unire il possesso a quello dei loro danti causa al fine del computo del termine utile per l'usucapione (art. 1146, co. 2, C.C.). Si legge infatti, nell'atto di acquisto che gli odierni convenuti "? accettano quanto segue: vecchia, cadente, inabitabile, casa di abitazione, disabitata da anni e da demolire ..." e nella relazione accompagnatoria della richiesta predetta concessione "Il fabbricato interessato ai lavori è ubicato nel centro urbano del Comune di V., vico 7 di corso (...) e consta di n. 3 piani fuori terra. È da diversi anni disabitato, in precarie condizioni di stabilità, con parti già in parte crollate come i balconi e la gradinata esterna ...". E' evidente, quindi, che l'esercizio della servitù di passaggio, della quale si ha contezza dalle dichiarazioni degli informatori sentiti nel procedimento possessorio n. 1406/2009, versate in atti e dalle prove orali assunte nel presente procedimento è stato interrotto per anni, con conseguente impossibilità per i convenuti coniugi (...) - (...) di giovarsi del possesso dei propri danti causa. Resta da esaminare se l'usucapione ventennale si sia perfezionata a decorrere dall'ottobre del 1993, meglio, dall'11 giugno 1994 (data rilascio concessione all'esecuzione dei lavori edili da parte del Comune di Villalfonsina), sussistendo almeno astrattamente tale possibilità, atteso che l'atto introduttivo del presente giudizio risulta notificato tramite spedizione mediante il servizio postale effettuata in data 30 novembre 2016. Presupposti per l'usucapione sono la prova del possesso per un periodo di tempo - come si è appena detto - non inferiore a venti anni, continuato, non violento, non clandestino, la prova dell'animus di esercitare la servitù di passaggio; deve essere, altresì, soddisfatto il requisito dell'apparenza. La costituzione della servitù di passaggio, sia per usucapione, sia per destinazione del padre di famiglia, infatti, può avvenire solo per le servitù c.d. apparenti, cioè per quelle servitù che si manifestano con opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio (ad es. la presenza di un viottolo che percorre il fondo servente, che si è formato per effetto del passaggio continuo); e questo, per evitare che comportamenti solamente tollerati o addirittura clandestini possano portare all'usucapione di una servitù. Dagli esiti dell'istruttoria e, in particolare, dall'escussione dei testimoni ammessi e dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, si può ritenere raggiunta la prova in ordine al passaggio esercitato per un periodo di tempo superiore al ventennio, in modo non clandestino, pacifico e continuo, con l'animus di esercitare la detta servitù. La teste (...) (ud. 12.12.2017) ha affermato "... E' vero il fabbricato (...) - (...) è stato sempre servito da una corte che dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo 8 di Corso (...). Prima che i convenuti acquistassero la proprietà era di due fratelli prima ancora non lo so". E, ancora:" E' vero detta corte è stata da sempre utilizzata da (...) ed (...) nonché dai loro danti causa per raggiungere l'immobile in un percorso largo un metro. Nello spiazzo retrostante il fabbricato invece si riunivano le persone ed era un luogo di ritrovo"; La teste (...), residente in Corso del P. V. V., afferma "E' vero il fabbricato (...) - (...) è stato sempre servito da una corte che dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo 8 corso (...) come da planimetria allegato n.3 alla perizia di parte convenuta". E continua: " E' vero detta corte è stata da sempre utilizzata da (...) ed (...) nonché dai loro dante causa per raggiungere l'immobile in un percorso largo un metro all'incirca dal 1960 perché nel 1953 facevo catechismo". Conferma l'esercizio del passaggio anche la teste (...) (ud. 27 marzo 2018), residente al Corso (...), V. V., che afferma: "L'accesso all'immobile avveniva ed avviene attraverso il vico VIII"; e, ancora: "E' vero il fabbricato dei coniugi (...) è stato sempre asservito da una corte che dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo (...) di corso (...)". " E' vero detta corte è stata da sempre utilizzata dai coniugi (...) e prima dai loro dante causa per raggiungere l'immobile in un percorso largo più di un metro". Nello stesso senso le dichiarazioni rese dagli informatori, nel procedimento possessorio n. 1406/2009 promosso dai coniugi (...) - (...), tutte rese previa assunzione dell'impegno di rito. L'informatrice (...), residente in Corso del P., V. I. (chiarito in corso di causa che il Vico indicato come IX corrisponde in realtà al Vico VIII) ha riferito: "... So che i ricorrenti da sempre e cioè ben prima che acquistassero l'immobile dove abitano passavano su detto spiazzo. Successivamente all'acquisto dell'immobile e cioè nei primi anni '90, i ricorrenti accedevano alla porta dello stesso percorrendo il vicolo 8 e, giunti allo spiazzo stesso, entravano in casa. Posso precisare che il vicolo è carrabile e ciò fino alla fine. Infatti i ricorrenti entravano assai spesso, anzi quasi sempre, nel vicolo; alla fine della strada parcheggiavano e scaricavano la vettura, provvedendo a portare ogni cosa, alimenti e quant'altro, oppure mobili, passando sullo spiazzo ed entrando da lì nella porta di casa". L'informatore (...) (nato a V. nel (...)) ha ricostruito i passaggi delle unità immobiliari di proprietà dei convenuti: "Conosco perfettamente i luoghi per cui è causa. Conoscevo, infatti, il signor (...) che era il proprietario dell'immobile oggi in proprietà dei (...) che lo hanno acquistato dal nipote del (...) stesso, successore di tale ultimo. Posso riferire che quando ero più giovane mi sono recato più volte a casa del (...) ed accedevamo a casa dello stesso passando per il vicolo 8, ciò con una vecchia "topolino" del (...) ed accedevamo a casa dello stesso passando sullo spiazzo. Ciò attraverso la porta stessa che attualmente conduce a casa dei ricorrenti. Tutto ciò è successo da sessanta anni a questa parte. Vado a casa dei (...) da quando loro hanno acquistato quell'immobile e cioè dal 1993. Passo sempre per il vicolo 8 e poi entro nello spiazzale per entrare nella porta di casa loro. Più volte mi sono fermato intrattenendomi sullo spiazzale con i ricorrenti. Questi hanno sempre usato lo spiazzo per fare conserve, pomodori e quant'altro; per stendere i panni e per fare diverse faccende quali carichi e scarichi di merci che portavano con la macchina fino alla fine del vicolo. Più volte li ho aiutati io stesso a caricare e scaricare merce, trasportandola dalla macchina alla casa proprio attraverso lo spiazzo. Abbiamo usato quello spazio anche per intrattenerci tutti insieme e vi abbiamo anche mangiato. I (...) infatti, spesso ci poggiavano un tavolo e delle sedie". C. la dichiarazione dell'informatore (...): "conosco i luoghi per cui è causa perché sono un vicino dei ricorrenti. Essendo loro amico, più volte mi sono recato in casa dei (...) assieme a mia moglie presso casa loro, prendendo il vicolo 8 ed arrivando allo spiazzo, spazio su cui è presente l'ingresso". (...), sempre nella fase possessoria, ha detto: "conosco i fatti di causa perché sono nata nella casa che oggi è di (...). L'immobile era di mio padre che l'ha lasciato in eredità a mio fratello, (...). Oggi io quando vado a V., abito di fronte, ovvero su vico 8. Ricordo che i proprietari dell'immobile che oggi è dei (...), signori (...), passavano tranquillamente sullo spazio innanzi all'immobile, appunto, dei (...) (allora (...)). Avevano, quindi, un passaggio sin dai primi del '900. Nessuno ha mai impedito il passaggio su quello spazio da cui si accede all'immobile dei ricorrenti: né i miei nonni e nemmeno alcun altro. Attualmente il passaggio era pacificamente aperto e libero. Infatti, più spesso negli anni sono andato sul posto per cui è causa passando attraverso lo spiazzo ed entrando in casa dei (...). Lo spiazzo, come detto era completamente aperto e libero. Ci siamo più volte trattenuti con i (...) sullo spiazzale, intrattenendoci anche per cene o pranzi o solo per parlare ...". Non supportato da prova è risultato l'assunto di parte attrice secondo il quale i (...) avrebbero apposto, all'atto della fusione dei fabbricati, una recinzione per "delimitare la loro proprietà a confine con la particella n. (...), al tempo di (...) e successivamente acquistata dai (...)". In merito, nessun teste né informatore ha riferito sulla presenza della detta recinzione, eccezion fatta per i testi (...) e (...), fratello e cognata dell'attore, peraltro residenti in Belgio, i quali sul punto risultano inattendibili. Sussiste anche il requisito della continuità del possesso, dal momento che l'esito favorevole agli odierni convenuti del procedimento possessorio ha prodotto in capo ai medesimi l'effetto di cui all'art. 1167, co. 2, c.c., e a nulla valendo lettere di diffida (come quella datata luglio 2012, doc.7 all. atto di citazione) o di messa in mora: tali atti, infatti, idonei ad interrompere il decorso della prescrizione per i diritti obbligatori, come i diritti di credito, non impediscono l'esercizio del possesso da parte del terzo, che ben può esercitarlo anche in contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale (Cass. civ. Sez. II, 29 luglio 2016, n. 15927). Solo la domanda giudiziale, precisamente, la notificazione dell'atto con cui inizia il giudizio (art. 2943 c.c.) diretto al recupero del possesso interrompe il decorso del tempo utile per l'usucapione (Cass., 16861/2013); ma, come si è detto sopra, nella fattispecie concreta la notifica dell'atto di citazione da cui è originata la causa in oggetto è stata effettuata 22 anni dopo l'inizio dell'esercizio della servitù da parte dei convenuti. Gli attori, ai fini dell'interruzione dell'usucapione, hanno eccepito di aver introdotto un procedimento di mediazione, fornendo a sostegno prova documentale (verbale di primo incontro, doc. n. 19 all. atto di citazione). La domanda di mediazione deve ritenersi valido atto interruttivo dell'usucapione. L'articolo 5, comma 6, del D.Lgs. n. 28 del 2010, infatti, sancisce l'equiparazione della domanda di mediazione alla domanda giudiziale in relazione agli effetti sulla prescrizione (articolo 5, comma 6: "Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo"). Tuttavia, anche questo atto è tardivo rispetto all'interruzione del termine per l'usucapione, leggendosi nel verbale di primo incontro che la comunicazione agli odierni convenuti è stata effettuata in data 22 luglio 2016. L'unico requisito che manca, al fine dell'accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione della servitù di passaggio, è la presenza di opere visibili e permanenti, obiettivamente destinate al suo esercizio, che siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo prescritto dalla legge (Cass., 21.07.1989, n. 3472). Più precisamente, "Se un sentiero costituisce passaggio da un fondo ad un altro del medesimo proprietario, per l'acquisto per usucapione della servitù di transito attraverso di esso a favore di un fondo appartenente ad un altro soggetto, è necessaria l'esistenza di ulteriori opere, visibili e permanenti, da cui il giudice del merito possa desumere inequivocabilmente la destinazione anche al servizio di questo, quali per esempio un tracciato di collegamento (Cass., 23.06.1998, n. 6207). Avrebbe, in tal senso, giovato alla posizione dei convenuti la ricostruzione della gradinata esterna, orientata verso Vico IX di Corso (...) che dava accesso al piano 1, in quanto, come afferma il ctu nel proprio elaborato, il sedime della scala (in parte crollata, in parte demolita) dimostra che la parte iniziale di detta scalinata si collocava "su quella che attualmente appare essere la sola particella n." (figura 2, a pagina 8 dell'elaborato), "circostanza confermata da una sovrapposizione grafica in scala più ampia allegata alla presente". Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia) si configura, infatti, come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile; ne consegue che, per l'acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l'esistenza di una strada o di un percorso all'uopo idonei, essendo, viceversa, essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù (Cass. Civ., n. 13238/2010; Cass. Civ., sez. II, 25/10/2017, n.25355). Conforme alle citate pronunzie è, da ultimo, la recente ordinanza del 6 maggio 2021, n. 11834, con la quale la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva ritenuto acquisita, per usucapione, la servitù di passaggio su di una scalinata presente sul fondo dei convenuti ed utilizzata dall'attrice per accedere alla propria cantina, collocata sul fondo costeggiato dalla scalinata medesima, nonostante quest'ultimo avesse altro accesso dalla pubblica via e la scalinata fosse stata realizzata non già per accedere a detta cantina, ma per collegare due strade pubbliche, collocate una a monte e l'altra a valle. L'inesistenza sul fondo degli attori, di opere visibili e permanenti, realizzate con lo scopo preciso di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello di essi attori, (per l'appunto) preteso servente, determina il rigetto della domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione. Si perviene, quindi, all'esame della domanda di acquisto della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia. Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che "Una servitù di passaggio può ritenersi costituita per destinazione del padre di famiglia solo quando la cessazione dell'appartenenza dei due fondi all'originario unico proprietario si sia verificata dopo l'entrata in vigore dell'attuale codice civile. Infatti, l'art. 1061 cod. civ., che ha ammesso questo modo di costituzione, anche per le servitù discontinue, tra le quali rientra quella di passaggio, ha carattere innovativo, per cui non è applicabile retroattivamente a situazioni esauritesi quando era ancora in vigore l'art. 629 del codice del 1865, per il quale potevano costituirsi per destinazione del padre di famiglia soltanto le servitù continue ed apparenti" (22.10.1998, n. 10475). Osta, pertanto, alla costituzione della servitù di passaggio in favore dei convenuti ex art. 1062 c.c., il suddetto orientamento della Corte di Cassazione, confermato peraltro con pronunzia più recente, secondo la quale "Gli artt. 1061 e 1062 cod. civ., che consentono l'acquisto per usucapione e per destinazione del padre di famiglia delle servitù apparenti, anche se discontinue (nella specie, servitù di passaggio), hanno carattere innovativo rispetto all'art. 630 del codice civile del 1865, che disponeva che le servitù continue non apparenti e le servitù discontinue, apparenti o meno, non potevano costituirsi se non mediante titolo. Ne consegue che le citate norme del vigente codice civile non possono trovare applicazione rispetto a situazioni esauritesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore" (Cass., sezione II, 29 aprile 2015, n. 8725). La cessazione dell'appartenenza dei fondi allo stesso proprietario, infatti, nel caso in esame, risale ad epoca anteriore al 3 giugno 1940 - come da planimetrie catastali allegate alla c.t. di parte convenuta redatta dall'arch. G.N., relative rispettivamente alle particelle n. (...) sub (...) e (...) sub (...), intestate a (...), ovvero a periodo anteriore all'entrata in vigore del codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262, pubbl. in G.U. 04.04.1942, n.79). L'accoglimento della domanda principale formulata dagli attori esclude l'esame della domanda subordinata di cui al punto n.2) delle conclusioni rassegnate nella memoria ex art. 183, co.6, n.1, c.p.c.. Il capo della domanda attorea relativo al risarcimento del danno per molestie, da liquidarsi in via equitativa, è rimasto del tutto sfornito di prova: infatti, non sono stati articolati capitoli di prova sul punto e le produzioni allegate all'atto di citazione (verbali del processo penale e relativa sentenza monocratica) dimostrano semmai l'inottemperanza del (...) al Provv. possessorio n. 1406 del 2009 emesso dal Tribunale di Vasto, Giudice dott. (...) e la condanna subita dall'odierno attore per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art.393, co. 1 e 2 c.p.), senza concessione delle attenuanti generiche "avendo perseverato in una condotta che lo aveva visto soccombente nel giudizio civile possessorio". Dunque, nessuna molestia è stata perpetrata dai coniugi (...), nessuna interferenza illecita nella vita privata; d'altra parte, la reintegra nel possesso del piazzale (c.d. "spiazzo" adiacente alla parte dell'edificio di proprietà degli attori che si affaccia sulla p.lla (...) di proprietà degli odierni convenuti) comportava il passaggio sulla proprietà dei coniugi (...). Neppure si ravvisano, a carico dei convenuti, gli estremi della lite temeraria. L'art. 96 c.p.c. richiede, infatti, oltre alla soccombenza, la prova dell'altrui malafede o colpa grave nel (l'agire o) resistere in giudizio e la prova del danno subìto a causa della condotta temeraria della controparte. Pertanto, è necessario dimostrare l'esistenza sia dell'elemento soggettivo consistente nella consapevolezza o nell'ignoranza colpevole dell'infondatezza della propria tesi, sia di quello oggettivo, ovvero il pregiudizio subìto a causa della condotta temeraria della parte soccombente. Difettano nel caso in esame: l'elemento psicologico, sia a motivo della citata pronunzia possessoria, sia per la sussistenza della quasi totalità dei presupposti integranti l'acquisto della servitù di passaggio per usucapione; l'elemento oggettivo, non essendo stati forniti elementi probatori tali da provare l'esistenza del danno ed essendosi concluso, peraltro, il processo derivante dalla querela sporta nei confronti di (...) - culmine, secondo gli assunti attorei, delle molestie perpetrate dai convenuti - con la condanna del medesimo per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393, co.1 e 2 c.p.). Del pari, per le stesse ragioni, non possono trovare accoglimento le speculari richieste formulate dai convenuti i quali nulla hanno provato in ordine ad elemento soggettivo ed oggettivo con riferimento a molestie e/o comportamenti costituenti interferenze nella vita privata, attuate dagli attori. L'accoglimento della domanda attorea, infine, esclude qualsiasi ipotesi di azione temeraria da parte dei coniugi (...) - (...). Da ultimo, si rileva che i convenuti non hanno dato seguito al capo della domanda sub (...)) formulato nella memoria di costituzione con domanda riconvenzionale di usucapione. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda principale segue la condanna di parte convenuta al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia (euro 5.200,00,). In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del (...) n. 55 del 10 marzo 2014, aumentati del 60 per cento (art. 4, co.1, cit. D.M.). Anche le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente ed interamente a carico della parte convenuta, con espresso riconoscimento del diritto di parte attrice di ripetere, nei confronti della soccombente, le somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. in via di anticipazione. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) e (...) nei confronti di (...) e (...), nonché sulle domande riconvenzionali da questi ultimi formulate, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1. dichiara l'inesistenza di qualsiasi servitù di passaggio sulla proprietà di (...) e (...) in favore dei convenuti; 2. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dagli attori, relativamente a molestie nel godimento della proprietà ed interferenza illecita nella vita privata; 3. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dagli attori ex art. 96 c.p.c.; 4. rigetta la domanda riconvenzionale, formulata dai convenuti, di acquisto della servitù di passaggio per usucapione; 5. rigetta la domanda riconvenzionale, formulata dai convenuti, di acquisto della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia; 6. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dai convenuti, relativamente a molestie nel godimento della proprietà ed interferenza illecita nella vita privata; 7. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dai convenuti ex art. 96 c.p.c.; 8. condanna (...) e (...) in solido tra loro al pagamento, in favore della parte attrice, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.611,60 (di cui Euro 140,40 per spese documentate, Euro 2.430,00 per compensi professionali, euro 1.458,00 per aumento del 60% ed Euro 583,20 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; 9. pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese della consulenza tecnica d'ufficio, per l'importo come liquidato in corso di causa, dichiarando espressamente ripetibili nei confronti dei convenuti quelle eventualmente anticipate al c.t.u. da parte attrice. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 23 maggio 2022. Depositata in Cancelleria 23 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 2/2019 del Ruolo Generale Affari Civili avente ad oggetto: Responsabilità ex art. 2051 c.c. TRA (...) c.f. (...), residente in Chieti, rappresentato e difeso dagli avv.ti Si.Di. e Ma.Sa. ATTORE E (...) SpA con sede in Roma c.f. (...) in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Di.; CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che: ai sensi dell'art. 132 c.p.c. comma 2, n. 4 (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009), n. ' la sentenza deve contenere "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione" (e non più "la concisa esposizione dello svolgimento del processo"); ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009) la "motivazione della sentenza di cui all'art. 132, comma 2, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". Pertanto, con riguardo allo svolgimento del processo saranno richiamati unicamente gli eventi rilevanti ai fini della decisione. (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, l'(...) SpA per ivi sentir dichiarare la convenuta responsabile del sinistro descritto nell'atto introduttivo e condannarla al risarcimento dei danni che ne sono conseguiti, quantificati in Euro 12.097,370 a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale con interessi e rivalutazione dal giorno del sinistro al saldo, il tutto con vittoria di spese e competenze di lite. L'atto di citazione risulta notificato a mezzo pec in data 28 dicembre 2018. A sostegno della domanda, l'attore ha dedotto che, in data 12.07.2015, alle ore 10.40 circa, esso istante mentre percorreva, alla guida della propria bicicletta, la SS. 16 nord, all'altezza del Km 514 VIII, mentre proseguiva la marcia accostandosi al margine destro della strada per non essere investito dalle auto che lo sorpassavano, cadeva rovinosamente a terra a causa di una fenditura non segnalata e non visibile in cui si incastrava la ruota anteriore della detta bicicletta; immediatamente soccorso, veniva trasportato presso l'Ospedale Civile di Vasto, dove a seguito delle cure del caso, veniva formulata la seguente diagnosi: "lussazione acromionclaveare". Pertanto, veniva sottoposto a cure dapprima presso l'Ospedale di Chieti e, successivamente presso un centro di riabilitazione. Parte attrice ha, altresì, precisato che l'evento lesivo è imputabile alla esclusiva responsabilità dell'(...), in quanto ente gestore del tratto stradale ove è avvenuto il sinistro, per omessa manutenzione e segnalazione del solco lungo 5 metri e largo 8 cm. La causa è stata iscritta a ruolo in data 3.1.2019 e, quindi, tempestivamente. Si è costituita in giudizio l'(...) SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, il quale, pur non disconoscendo la proprietà del tratto stradale, ha eccepito l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della negoziazione assistita, l'infondatezza della pretesa per essersi verificato il sinistro al di fuori del margine della corsia di marcia sia il quantum della pretesa risarcitoria. Sulla scorta delle riferite circostanze, la convenuta ha concluso per il rigetto della avversa domanda risarcitoria, a motivo della sua infondatezza, con vittoria di spese e competenze di causa. DIRITTO In via preliminare, va esaminata la richiesta di declaratoria di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita Agli atti risulta che parte attrice abbia inviato, sia pur dopo l'iscrizione a ruolo della causa, l'invio alla negoziazione assistita. Si evidenzia che dopo l'invito alla stipula è quindi possibile stipulare la "convenzione di negoziazione" che, evidentemente, altro non è che un accordo tra le parti tramite il quale queste pattuiscono di "cooperare in buona fede e con lealtà" per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati. In particolare, secondo la definizione normativa "la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96". Tramite l'introduzione di questo tipo di convenzione non si vuole che le parti si obblighino a pervenire ad una definizione stragiudiziale della controversia, ma soltanto che esse si impegnino a "cooperare in buona fede e con lealtà" per tentare di definire bonariamente la loro controversia. Si tratta di un contratto che impegna le parti a negoziare al fine di trovare una composizione della lite. Affinché il giudice possa ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità basta che i difensori producano in causa la dichiarazione di mancato accordo, certificata dai difensori medesimi, ovvero che l'avvocato che introduce la lite provi l'avveramento della condizione di procedibilità producendo, quindi, un invito contenutisticamente idoneo. Deve, ancora, evidenziarsi che l'orientamento giurisprudenziale prevalente è nel senso di ritenere che ove l'improcedibilità dell'azione, ancorché segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il termine di cui all'art. 183 c.p.c., la questione non possa essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (v., per l'analogo caso del rito del lavoro, Cass. 21797/09; 13591/09; 7871/08; 13708/07; 15956/04; 11629/04; v. Cass. 3022/03, 10089/00 e 4578/96 per l'ipotesi di improcedibilità prevista dall'art. 5 della legge n. 108 del 1990). E' opportuno premettere, ancora, che i presupposti applicativi della responsabilità del custode consistono, innanzitutto, nell'esistenza di un rapporto definibile come di custodia, il quale ricorre quando il soggetto cui si imputa tale responsabilità sia in grado di esplicare riguardo alla cosa un potere di governo (non semplicemente giuridico, ma anche di mero fatto) e, in secondo luogo, nella configurabilità di un nesso di derivazione causale tra la res e il danno lamentato, nel senso che la cosa deve aver costituito la causa del danno e non la mera occasione dello stesso. a) In particolare, con riferimento al primo presupposto, la relazione custodiale si identifica in una potestà di fatto che, da un lato, attribuisce al titolare poteri di effettiva disponibilità, controllo e sorveglianza sulla cosa, in modo da impedire che essa produca danni a terzi e, dall'altro, si manifesta nella possibilità di gestire ed utilizzare la cosa o modificarne lo stato e di escludere che altri possano ingerirsi sulla stessa (cfr., Cass. 20.06.2006, n. 3651). Il rapporto di custodia postula, in altri termini, un concreto potere sulla cosa, e cioè una disponibilità giuridica e materiale della stessa che comporta il potere-dovere di intervento su di essa (cfr., Cass. 10.02.2003, n. 1948) e che compete non solo al proprietario, ma anche al possessore o detentore. Peraltro, con specifico riferimento all'obbligo di custodia dell'ente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito, è configurabile a carico dell'amministrazione una responsabilità ex art. 2051 c.c., per i sinistri causati dalla particolare conformazione della strada, tutte le volte in cui sia possibile esercitare sul bene, anche se di rilevanti dimensioni, la custodia intesa quale potere di fatto sulla cosa (cfr., ex plurimis, Cass. 26/11/2007, n. 24617, secondo cui "l'applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. alla P.A. per i beni demaniali soggetti ad un uso ordinario generale e diretto da parte dei cittadini può essere esclusa soltanto nell'ipotesi in cui sul bene demaniale non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le sue modalità d'uso - un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (v. Corte cost. n. 156 del 1999). Da ciò consegue che è proprio l'esistenza o meno del potere di controllo e di vigilanza sul bene - la cui sussistenza in concreto deve essere oggetto di indagine mirata, caso per caso, da parte del giudice del merito - a costituire il discrimine per l'applicabilità della norma suddetta e non già la natura demaniale del bene medesimo"). b) Relativamente al secondo presupposto della responsabilità ex art. 2051 c.c., è necessario e sufficiente che la cosa abbia prodotto o partecipato alla produzione del danno, secondo i comuni criteri della causalità giuridica, caratterizzata dai requisiti della adeguatezza e della regolarità. Il danno, pertanto, deve essere provocato dalla cosa, la quale deve essere, già di per sé, in grado di produrlo ovvero diventa produttiva di danni, per effetto della combinazione con altri elementi. Ove, invece, il danno sia causato dall'azione dell'uomo, quantunque per il tramite della cosa, la norma di cui all'art. 2051 c.c. non sarà più applicabile. Fatta questa premessa sui presupposti applicativi della norma, ne deriva che, ai fini della configurabilità della responsabilità per danni da cose in custodia, sul danneggiato incombe l'onere di allegare e provare non solo le modalità di verificazione dell'evento lesivo e il danno che ne è conseguito, ma anche e soprattutto la qualità di custode del convenuto, nei già chiariti termini, e la inerenza eziologica del danno lamentato con la cosa custodita. In tema di ripartizione degli oneri probatori tra le parti, la giurisprudenza ha, infatti, ripetutamente affermato che "l'attore deve offrire la prova dell'esistenza di un rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, nonché della ricorrenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, come pure delle modalità con cui si è svolto il fatto lesivo, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore causale estraneo che, per il carattere della imprevedibilità e della eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il cd. caso fortuito, da intendersi in senso ampio, come comprensivo anche del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno" (cfr., ex plurimis, Cass. 25.07.2008, n. 20427). Con specifico riferimento ai sinistri stradali, l'ente proprietario (o gestore) della strada si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. III, 12/4/2013, n. 8935; Cass. n. 18753/17; Cass. n. 11526/17; Cass. n. 7805/17; Cass. n. 1677/16; Cass. n. 9547/15; Cass. n. 1896/2015). Facendo applicazione al caso di specie dei principi finora esposti, deve, innanzitutto, prendersi atto che la convenuta non ha avanzato specifiche contestazioni, né in ordine alle modalità di verificazione dell'evento lesivo, né in merito alla propria qualità di proprietario e/o gestore della parte della strada ove è avvenuto il sinistro. Ad avviso di questo giudicante appaiono sussistere sufficienti elementi probatori per ricostruire correttamente la dinamica del sinistro nel senso che la perdita di controllo della bicicletta non sia stata causata da un'imprudente condotta di guida del ciclista, bensì proprio dalla presenza sul manto stradale della fenditura indicata nell'atto di citazione, che ha determinato l'improvviso blocco della ruota anteriore e la caduta dell'attore. Depongono in tal senso innanzitutto le risultanze del verbale di accertamento dello stato dei luoghi redatto nella immediatezza dei fatti dalla Polizia Municipale di Vasto, dal quale emerge che "sul manto stradale lungo il margine destro della carreggiata direzione sud-nord era presente un solco lungo 5 metri e largo circa 8 cm; e che lungo il solco era incastrata con la ruota anteriore, la bici del Sig. (...), come da rilievi fotografici allegati". Le dichiarazioni rese dai testi appaiono tutte precise e concordanti. Tutti, infatti, hanno confermato la dinamica dell'incidente per come descritta nei capitoli di prova ed hanno riconosciuto il luogo in cui si è verificato l'incidente. Per quanto riguarda, invece, il legame di derivazione causale tra la res custodita e il danno lamentato, deve senz'altro ritenersi, alla stregua delle risultanze processuali, che la causa del sinistro stradale sia da ascriversi alla presenza della lunga fessurazione presente sul manto stradale come rilevata dagli Agenti intervenuti sul posto. Ciò è sufficiente a provare che la convenuta è venuta meno ai suoi obblighi di gestione e manutenzione del bene di sua proprietà, omettendo di esercitare i poteri di fatto preordinati ad evitare che la cosa in custodia fosse produttiva di danni nei confronti di terzi. Deve, peraltro, osservarsi che la stessa convenuta ha affermato che, successivamente, la strada è stata riparata. L'(...), d'altro canto, non ha fornito la prova della ricorrenza del caso fortuito, cioè di un fattore estraneo alla sua sfera di custodia, imprevisto ed eccezionale (che può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato), avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. Pertanto, non sussistendo, nel caso di specie, elementi idonei ad accertare un'effettiva condotta imprudente del (...), non può dirsi integrato il concorso di colpa del danneggiato, né tantomeno, il caso fortuito idoneo a spezzare il nesso di causalità. Sulla scorta delle considerazioni innanzi esposte, è - pertanto - possibile pervenire alla formulazione di un giudizio di responsabilità in capo all'ente convenuto, avendo il (...) offerto in giudizio sufficienti elementi di prova in merito alla ricorrenza dei presupposti applicativi della fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. Dall'accertamento condotto in ordine ai profili di responsabilità dell'(...), consegue il riconoscimento del diritto di parte attrice ad essere integralmente risarcita dei danni subiti in occasione del sinistro per cui è causa. Accertata la responsabilità dell'(...), in ordine alla determinazione del quantum dei danni complessivamente dedotti e richiesti dal (...), osserva il giudicante che, tenuto conto della documentazione medica in atti e delle risultanze peritali prodotte dal c.t.u., l'entità delle somme pretese non è da considerarsi congrua e, pertanto, necessita di un'adeguata rideterminazione alla luce delle seguenti considerazioni. Per quanto riguarda l'entità del danno biologico subito dalla vittima dell'incidente, esso va quantificato in base alle conclusioni della perizia medico-legale eseguita dal c.t.u. dott. (...), che ha stimato postumi invalidanti permanenti pari al 3% e, in base alla evoluzione del quadro traumatico, una invalidità temporanea parziale al 75% per giorni 35, una invalidità temporanea parziale al 50% per giorni 30, ed una invalidità temporanea parziale al 25% per giorni 15. Il c.t.u. ha inoltre ritenuto congruo l'importo di Euro 244,00 comprensivo delle spese di assistenza. Trattandosi di danni alla persona qualificabili di lieve entità e non derivanti da sinistro stradale, la liquidazione del danno biologico non può essere compiuta secondo criteri tabellari stabiliti dalla legge, bensì secondo i parametri e i valori di riferimento indicati nelle "tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica", predisposte dal Tribunale di Milano, le quali, proprio perché applicate ed utilizzate nella gran parte dei Tribunali e delle Corti di Appello italiane, vengono maggiormente incontro ad esigenze di uniformità decisionale e costituiscono, per espressa previsione della giurisprudenza della Corte di Cassazione "valido e necessario criterio di riferimento, ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c." (cfr., Cass. 30.06.2011, n. 14402), cioè "valore da ritenersi equo, perché in grado di garantire la parità di trattamento" (cfr. Cass. 07/06/2011, n. 12408, secondo cui "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la Suprema Corte, in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ."). Deve, peraltro, sul punto precisarsi che, a seguito dell'indirizzo giurisprudenziale segnato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel novembre 2008 (cfr., Cass. Sez. Un., 11.11.2008, n. 26972), l'Osservatorio per la giustizia civile di Milano ha rilevato l'esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale e di ogni altro danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica, portando all'adozione, in data 25.06.2009, di una nuova tabella denominata, in ossequio ai principi enunciati dalle Sezioni Unite del 2008, non più "tabella per la liquidazione del danno biologico", bensì "tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica". A partire dal 2009 è stata, quindi, proposta una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale", sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi (c.d. danno biologico "standard") che particolari (c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico), nonché del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore" e "sofferenza soggettiva" (c.d. danno morale), in via di presunzione e in riferimento ad un dato tipo di lesione, pregiudizi, questi, liquidati separatamente sino al 2008. Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, si è elaborata una tabella di valori "medi", corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili", in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva), con percentuali di aumento di tali valori "medi" (al fine di una adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione), da utilizzarsi laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate, anche in via presuntiva, dal danneggiato e ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori massimi, in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti. Le "Tabelle del Tribunale di Milano" individuano il nuovo valore del c.d. "punto" di invalidità partendo dal valore delle Tabelle 2008 (relativo alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato di una percentuale ponderata, in riferimento al valore di liquidazione "medio" della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva", c.d. danno morale (che, secondo le tabelle in uso sino al 2008, era parametrato tra un quarto e la metà del valore di liquidazione del danno biologico), nonché prevedendo percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di personalizzazione. Sono stati, altresì, rivisitati i valori liquidati a titolo di danno biologico e morale temporaneo proponendo, anche in questo caso, una liquidazione congiunta dell'intero danno non patrimoniale "temporaneo" derivante da lesione alla persona. In particolare, per il risarcimento del danno non patrimoniale "temporaneo" complessivo, corrispondente a un giorno di invalidità temporanea al 100%, è stata proposta una forbice di valori monetari da un minimo di Euro 99,00. Facendo applicazione al caso di specie dei parametri di calcolo testè illustrati, deve tenersi conto che l'attore, al momento dell'incidente, aveva 42 anni e che tutti gli aspetti relativi alla sofferenza soggettiva causata dall'incidente (spavento e dolore fisico subiti al momento dell'incidente, fase acuta della patologia, disagi e difficoltà pratiche sofferte dalla vittima, sia nel periodo della degenza ospedaliera, che nell'ulteriore periodo dedicato al riposo forzato e alle necessarie cure mediche) vengono inclusi nella percentuale di aumento automatico del valore di liquidazione "medio" del punto di invalidità assunto come base di calcolo. Non sono state dedotte dall'attore ulteriori ripercussioni psichiche e comportamentali, travalicanti la normale sofferenza morale, in conseguenza del sinistro; anche con riferimento al danno da invalidità temporanea, non sono state dedotte circostanze di particolare penosità o sofferenza, anche fisica, da parte della vittima, tale da giustificare un aumento personalizzato, sicché la stima del danno deve effettuarsi in base alla somma minima di Euro 99,00, per ogni giorno di invalidità assoluta. Non vi è, pertanto, spazio per un adeguamento personalizzato del danno non patrimoniale subito dall'attore, poiché - in assenza di specifiche peculiarità delle conseguenze pregiudizievoli dell'evento dannoso o di particolari condizioni soggettive della vittima, come pure, di ripercussioni sulla capacità lavorativa specifica e generica - tutti i risvolti, sia anatomo-funzionali che relazionali, del danno devono farsi rientrare nella liquidazione globale standard, operata secondo il riferito criterio tabellare. Sulla scorta delle considerazioni appena esposte, il danno non patrimoniale, complessivamente arrecato alla persona di (...), è quantificabile in complessivi Euro 7.915,00 comprensiva della somma di Euro 244,00, a titolo di esborsi per spese di assistenza in rapporto di causalità con l'incidente medesimo, così come determinata dal c.t.u., secondo lo schema riepilogativo che segue: Tabella di riferimento: Tribunale di Milano 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 42 anni Percentuale di invalidità permanente 3% Punto base danno non patrimoniale Euro 1.348,61 Punto base I.T.T. Euro 99,00 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 35 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 30 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 15 Danno risarcibile Euro 3.216,00 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 2.598,75 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 1.485,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 371,25 Totale danno biologico temporaneo Euro 4.455,00 Spese di assistenza Euro 244,00 TOTALE GENERALE: Euro 7.915,00 Premesso che, nelle obbligazioni risarcitone, la somma di denaro che esprime il valore del bene perduto dal danneggiato deve essere non solo rivalutata all'attualità, ma anche maggiorata degli interessi cd. compensativi, i quali assolvono alla funzione di risarcire il danneggiato del mancato guadagno provocato dal ritardato pagamento della somma dovuta, nel caso di specie l'importo, come sopra indicato, essendo stato calcolato in base ai valori aggiornati al 01.01.2021, deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria, dal 01.01.2021 fino all'attualità, nonché degli interessi compensativi nella misura legale, sul capitale via via rivalutato annualmente (cfr., Cass. S.U., 17.02.1995, n. 1712), dalla data di verificazione del sinistro fino all'attualità, previa devalutazione della sorte capitale dalla data della liquidazione (01.01.2021) a quella di verificazione del danno (12.07.2015). Per il periodo successivo alla presente liquidazione e fino alla data dell'effettivo soddisfo, detta somma andrà maggiorata degli interessi al tasso legale. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che al parziale accoglimento della domanda segue la condanna di parte convenuta al pagamento parziale delle spese del presente giudizio nella misura dei 4/5 delle stesse, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia, determinato avendo riguardo alla minore somma attribuita alla parte vincitrice rispetto a quella da essa domandata. La restante quota di 1/5 viene integralmente compensata. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 37 del 08 marzo 2018. Le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente ed interamente a carico della parte convenuta, con espresso riconoscimento del diritto dell'attore di ripetere, nei confronti del soccombente, le somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. in via di anticipazione. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti dell'(...) SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE la domanda di cui in epigrafe; CONDANNA l'(...) SpA, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della complessiva somma di Euro 7.915,00 in favore di (...) maggiorata della rivalutazione monetaria, dal 01.01.2021 fino all'attualità, nonché degli interessi compensativi nella misura legale, sul capitale via via rivalutato annualmente dalla data di verificazione del sinistro fino all'attualità, previa devalutazione della sorte capitale dalla data della liquidazione (01.01.2021) a quella di verificazione del danno (12.07.2015), ed oltre agli interessi legali fino al soddisfo. CONDANNA, altresì, l'(...), in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di (...), dei 4/5 delle spese del presente giudizio, che liquida, in tale quota, in complessivi Euro 4.132, (di cui Euro 264,00 per spese documentate, Euro 700,00 per la fase di studio, Euro 592,00 per la fase introduttiva, Euro 1.280,00 per la fase istruttoria e trattazione, Euro 1.296,00 per la fase decisionale) oltre rimborso forf. 15%, CPA ed IVA, se ed in quanto dovuta; COMPENSA tra le parti la restante quota di 1/5 delle spese legali; PONE definitivamente a carico dell'(...) SpA, le spese di consulenza tecnica d'ufficio, per l'importo come liquidato in corso di causa, dichiarando espressamente ripetibili nei confronti del convenuto quelle eventualmente anticipate al c.t.u. dall'attore; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 24 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Iannetta Michelina, alla pubblica udienza del 30/11/ 2021 al termine della discussione orale disposta ai sensi dell'art. 429 c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, nel procedimento civile iscritto al n. 741/2021 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Intimazione di sfratto per morosità (uso abitativo). TRA (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. DE.PO., presso il cui studio in Vasto alla via (...) è elettivamente domiciliato, giusta procura in calce all'atto di intimazione di sfratto ed alla memoria integrativa; RICORRENTE E (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa da sé medesima ex art. 83 c.p.c. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, con sede in Benevento al Viale (...) n. 85; RESISTENTE LETTI gli atti e la documentazione di causa; ASCOLTATE le conclusioni rassegnate dai difensori delle parti; PREMESSO IN FATTO CHE 1. Con atto di intimazione di sfratto per morosità del 31.5.2021, notificato a mezzo pec in pari data, il sig. (...) ha citato in giudizio l'Avv. (...), chiedendo a questo Tribunale di: "1) - Convalidare l'intimato sfratto per morosità nei confronti di (...), nata (...), residente in Cupello (CH), alla Via (...), relativamente all'immobile ad uso civile abitazione, sito in Cupello (CH), alla Via (...) (1 piano - int. 3), contraddistinto in catasto al fg. (...), composto da 6 vani, con rendita catastale pari ad Euro 480,30, cat. A/2, Classe U, ai sensi dell'art. 663 c.p.c., diffidando a riconsegnare immediatamente il bene de quo, libero e vuoto da persone e/o cose ed alla completa disponibilità di esso (...), fissando la data di esecuzione dello sfratto entro breve termine, in virtù del grave e consolidato inadempimento del conduttore, con contestuale pronuncia di risoluzione del contratto; 2) - In caso di opposizione: Si chiede sin da ora l'emissione dell'ordinanza non impugnabile di provvisorio rilascio ex art. 665 c.p.c., sempre con fissazione a breve della data del rilascio, e voglia fissare l'udienza di prosecuzione della causa disponendo il mutamento di rito ex artt. 667 e 426 c.p.c.; 3) - Nel merito e successivamente al mutamento del rito, ritenere e dichiarare risolto per grave inadempimento della conduttrice (...), nata (...)), residente in Cupello (CH), alla Via (...) piano - int. 3), il contratto de quo, sempre con la condanna della stessa al medesimo al pronto ed immediato rilascio dell'immobile innanzi descritto; 4) - Condannare (...), nata (...), residente in Cupello (CH), alla Via (...), al pagamento delle spese ed onorari di giudizio; 5) - Sentenza esecutiva come per legge". 2. L'intimata ha proposto opposizione alla convalida, assumendo di aver sempre versato i canoni di locazione e che al contrario sarebbe il locatore inadempiente ai propri obblighi poiché non avrebbe risolto problematiche di natura condominiale, né avrebbe sostituito la caldaia, né avrebbe apposto un lavabo nel bagno né avrebbe impedito continue molestie da parte di tutti i condomini della palazzina, né, infine, avrebbe eseguito lavori di straordinaria manutenzione e che la dedotta morosità sarebbe generica e priva di prova. 3. Radicatosi il contraddittorio, con provvedimento del 20.07.2021 questo Giudice ha convalidato lo sfratto e disposto il rilascio dell'immobile entro la data del 30.09.2021; inoltre, previo mutamento del rito, ha concesso il termine per instaurare il procedimento di mediazione il quale si è concluso con esito negativo. Con lo stesso provvedimento ha assegnato alle parti termine per l'integrazione degli atti introduttivi fissando per la discussione l'odierna udienza. 4. All'odierna udienza, questo Tribunale ritenendo la causa matura per la decisione la ha trattenuta a sentenza, non avendo le parti chiesto termini per memorie conclusive. RITENUTO IN DIRITTO CHE 1. Il ricorso è fondato e, pertanto, merita di essere accolto. 2. Dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, va in primo luogo dichiara la inammissibilità della domanda riconvenzionale effettuata dalla resistente nella memoria integrativa (ove è stata opposta l'eccezione di inadempimento legittimante la sospensione del pagamento dei canoni) rispetto alla posizione processuale assunta nella comparsa di risposta della fase sommaria (ove era stato dedotto il pagamento di tutti i canoni, compresi quelli oggetto di intimazione). Al riguardo osserva il Tribunale che, nel procedimento per convalida di sfratto, a seguito di mutamento del rito è consentito alle parti proporre domande ed eccezioni nuove, concludendosi il procedimento a carattere sommario ed instaurandosi un nuovo ed autonomo procedimento a cognizione piena (cfr. Cass. n. 7430/2017). Vi è da osservare che, tuttavia, le domande ed eccezioni nuove devono essere compatibili con quelle precedentemente proposte e detta compatibilità non si riscontra nel caso di specie, in cui, in fase sommaria è stato dedotto il pagamento dei canoni intimati e, in modo contraddittorio, nella fase a cognizione piena, la sospensione del pagamento degli stessi per eccezione di inadempimento opposta al locatore. Ne consegue l'improponibilità in fase a cognizione piena di domande ed eccezioni incompatibili con quelle già formulate in fase sommaria e su cui, tra l'altro, il ricorrente ha dichiarato di non accettare il contraddittorio. In ordine alla sussistenza della morosità della conduttrice evidenzia il Tribunale che già nella fase sommaria non sussisteva prova scritta dell'opposizione, specie del pagamento dei canoni intimati. Difatti, all'esito del deposito delle memorie integrative degli atti introduttivi, la convenuta ha riconosciuto ed ammesso, personalmente e dunque con efficacia confessoria, di non aver pagato i canoni intimati (ciò fermo restando che, ai sensi degli artt. 1218 e 2697c.c., è onere del conduttore dare la prova dell'effettivo pagamento dei canoni di cui il concedente assume la morosità). 3. Ne consegue che, alla luce delle stesse ammissioni confessorie dell'intimata, la morosità deve ritenersi definitivamente sussistere. La resistente, inoltre, non aveva la facoltà di sospendere il pagamento dei canoni, poiché vi aveva rinunciato espressamente, essendo chiaro il tenore della clausola di cui all'art. 7 del contratto di locazione, peraltro approvato con doppia sottoscrizione: "Il pagamento del canone o di quant'altro dovuto anche per oneri accessori non potrà essere sospeso o ritardato da pretese o eccezioni del conduttore, qualunque ne sia il titolo. Il mancato puntuale al domicilio del proprietario, per qualunque causa, costituisce in mora di diritto il conduttore". Ad ogni buon conto dalle produzioni delle parti, ossia dalle quietanze di pagamento e ricevute di bonifico e vaglia (si veda ad esempio il documento n. 4 delle produzioni del ricorrente) si evince, quanto agli asseriti pagamenti in contanti, come venisse rilasciata regolare ricevuta/quietanza, ancor più quanto ai successivi pagamenti dei canoni avvenuti tramite bonifico o vaglia postali, non soltanto essi risultano effettuati con notevole ritardo e documentati solo sino alla mensilità febbraio 2020 (pagata solo nel mese di ottobre 2020), ma dalla stessa causale indicata dalla intimata (in alcune operazioni) risulta l'esistenza di notevole e grave morosità, poiché testualmente l'odierna conduttrice ha dichiarato che: "motivo del pagamento: 450,00 Euro canone locazione appartamento, 50,00 Euro garage 150,00 Euro in acconto sul maggior dovuto per canone scaduto". Peraltro, dalle stesse produzioni documentali effettuate dalla resistente soprattutto dai solleciti di pagamento e relativi riscontri si ricava come fosse pacifica l'esistenza di una notevole morosità. Non appare configurabile, invece, la morosità del locatore. Essa non è configurabile con riguardo alle presunte molestie da parte dei vicini, ostandovi il disposto di cui all'art. 1585 c.c. comma 2, secondo cui il locatore non è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie di fatto provenienti da terzi, verso cui il conduttore ha azione diretta. Del pari risultano infondate le eccezioni riguardanti la caldaia dell'appartamento, avendo il ricorrente documentato che, al momento della consegna dell'appartamento la caldaia era pienamente efficiente ed era stata oggetto di regolare e periodica manutenzione come risulta dal rapporto di controllo di efficienza energetica tipo 1 del 21.06.2017, rilasciato dalla ditta (...) (cfr. doc. 8 delle produzioni del ricorrente). A fronte di detta produzione delle argomentazioni del ricorrente, la resistente non ha dimostrato di aver proceduto alla successiva periodica manutenzione ordinaria della caldaia stessa, benché ne fosse onerata, atteso che tutti i costi inerenti l'uso della caldaia, la manutenzione ordinaria ed il controllo periodico spettano al conduttore, come pure gli adempimenti relativi al c.d. "libretto caldaia" (manutenzioni periodiche ed autocertificazione al comune) e le piccole ed ordinarie riparazioni e le spese di accensione. Nel caso di specie è poi incontestata la circostanza dedotta dal ricorrente che la conduttrice ha rifiutato di svolgere tali attività, ossia di continuare ad avvalersi della ditta (...) per la periodica manutenzione ordinaria e controllo fumi, sicché eventuali riparazioni sono connesse a negligenza (imputabile proprio all'intimata) nella conservazione della caldaia stessa. La morosità del locatore, infine, non è configurabile neppure con riguardo all'asserita mancanza del lavabo in bagno, poiché è la stessa conduttrice a riconoscere che l'immobile si presenta idoneo all'uso convenuto (art. 9 del relativo contratto di locazione) ed in buono stato di manutenzione: "Il conduttore dichiara di aver visitato la casa locata e di averla trovata adatta all'uso convenuto". Fermo restando che la dichiarazione della conduttrice contenuta in contratto già di per sé esclude la mancanza del lavabo, si osserva che l'art. 1590 c.c. 2 comma, prevede, in mancanza di descrizione in contratto dell'immobile locato, la presunzione "che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione" e tale presunzione può essere superata solo attraverso una prova rigorosa, non offerta nel caso che ci occupa (cfr. Cass. civ. Sez. III, 26 luglio 2016, n. 15361). Quanto infine all'asserita presenza di calcinacci e pezzi di cornicione che cadrebbero dal fabbricato, anch'essa risulta priva del benché minimo riscontro probatorio, essa in ogni caso non può essere in alcun modo imputabile al ricorrente, né implica un qualsivoglia inadempimento al contratto di locazione. 4. In merito alla domanda riconvenzionale di cui alla conclusione n. 3 della memoria integrativa di parte resistente volta ad ottenere il risarcimento dei danni nella misura di Euro 40.000,00, ritiene il Tribunale che la parte deve essere dichiarata decaduta da detta domanda, atteso che nella propria memoria integrativa la resistente non ha formulato istanza ex art. 418 c.p.c., di fissazione di una nuova udienza (cfr. Cass. Sez. Un., 4 dicembre 1991, sent. n°13025 e Cass. 2 dicembre 1992, sent. N. 12857). Sotto altro aspetto la stessa domanda appare assolutamente indeterminata nella causa petendi, nell'oggetto e nel petitum, di tal che deve ritenersi nulla seguendo il rito locatizio il rito del lavoro. In effetti non si comprendono le ragioni per cui la convenuta pretenda a titolo risarcitorio la somma di Euro 40.000,00 e le modalità e voci con cui sia pervenuta a detta quantificazione. 5. Non appaiono ammissibili le richieste istruttorie articolate dalla convenuta nella memoria integrativa, in quanto la prova orale non è stata effettuata con formulazione di capitoli specifici e separati, ma con generico richiamo alla premessa della stessa memoria integrativa, che contiene inscindibili espressioni di giudizio e valutazioni e comunque essendo la prova stessa riferita a domanda riconvenzionale da cui la parte non solo è decaduta ma che è pure viziata da nullità insanabile. 6. Alla luce di quanto sopra, va accolta la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento del conduttore, con conferma dell'ordinanza di rilascio emessa in fase sommaria e condanna della conduttrice al pagamento dei canoni morosi nella misura di Euro 2.400,00 relativi alle mensilità da dicembre 2020 a tutto maggio 2021, oltre quelli eventualmente a scadere da giugno 2021 alla data del rilascio effettivo dell'immobile. 7. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda segue la condanna di parte resistente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. Il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, esclusa la fase istruttoria. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE il ricorso e, per l'effetto, dichiara la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento della conduttrice con conferma dell'ordinanza di rilascio emessa in fase sommaria e condanna della conduttrice al pagamento dei canoni morosi nella misura di Euro 2.400,00 relativi alle mensilità da dicembre 2020 a tutto maggio 2021, oltre quelli eventualmente a scadere da giugno 2021 alla data del rilascio effettivo dell'immobile. CONDANNA (...) al pagamento, in favore di (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.591,00 (di cui Euro 76,00 per spese documentate, Euro 1.515,00 per compensi professionali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 esclusa la fase istruttoria), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 30 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, alla pubblica udienza del 02/11/2021 al termine della discussione orale disposta ai sensi dell'art. 429 c.p.c., ha pronunciato la seguente ha pronunciato la seguente SENTENZA dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, nel procedimento civile iscritto al n. 1144/2019 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Intimazione di sfratto per morosità - uso diverso. TRA (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), presso il cui studio, con sede in VASTO, (...), è elettivamente domiciliata; ATTORE E (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...), presso il cui studio, con sede in VASTO, VIA (...), è elettivamente domiciliato; CONVENUTO LETTI gli atti e la documentazione di causa; ASCOLTATE le conclusioni rassegnate dai difensori delle parti; PREMESSO IN FATTO CHE 1. (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...), assumendo di essere divenuta proprietaria di un immobile sito in Vasto, alla Via (...), già concesso in locazione per uso abitativo al convenuto, con contratto del 07.09.2009, per il canone mensile attuale di euro 350,00, da versarsi anticipatamente entro il giorno 5 di ogni mese; il conduttore si è reso moroso nell'adempimento delle sue obbligazioni e, in particolare, nel pagamento del canone a far data dal mese di marzo 2019, nonché degli oneri condominiali; nonostante le numerose diffide ad adempiere, da ultimo formalizzate dalla locatrice con lettera raccomandata a.r. del 07.06.2019, il conduttore restava inadempiente, senza provvedere alla sanatoria della morosità accumulata. 2. Sulla base delle riferite circostanze, (...) ha intimato al conduttore sfratto per morosità, contestualmente citandolo dinanzi a questo Tribunale per la convalida e chiedendo che, in caso di opposizione, fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento, con condanna al rilascio. 3. Si è costituito in giudizio (...), il quale, nel contestare le circostanze allegate dalla controparte, si è opposto all'accoglimento della avversaria domanda ed ha concluso per il rigetto della domanda, a motivo della sua infondatezza e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna di parte ricorrente al rimborso dei canoni asseritamente versati in eccedenza, nella misura complessiva di euro 10.000,00, il tutto con vittoria di spese ed onorari di causa. 4. Con ordinanza del 12.11.2019, il Giudice, negata l'ordinanza provvisoria di rilascio, disponeva il prosieguo della causa per la completa cognizione, previo mutamento di rito ex art. 667 c.p.c., contestualmente disponendo l'esperimento della procedura di mediazione, prevista come condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28/10. 5. Nel corso della procedura di mediazione, le parti - personalmente presenti ed assistite dai rispettivi difensori - addivenivano ad un accordo amichevole di definizione della controversia alle condizioni consacrate nel verbale di mediazione del 20.07.2020. Ciononostante, parte ricorrente, eccependo l'inottemperanza di controparte agli obblighi assunti con l'accordo di mediazione, insisteva per la definizione del giudizio con pronunciamento di una sentenza di accoglimento della propria iniziale domanda. 6. La controversia, implicando esclusivamente la soluzione di questioni giuridiche, non ha necessitato di attività istruttoria, potendo essere decisa sulla base degli atti e dei documenti prodotti dalle parti. RITENUTO IN DIRITTO CHE 1. Deve, preliminarmente, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, prendendo atto che, nel corso della procedura di mediazione obbligatoria disposta dal giudice dopo il mutamento del rito, le parti hanno raggiunto un accordo amichevole di definizione della controversia, per effetto del quale è venuta meno la situazione di contrasto che rappresentava la ragion d'essere sostanziale della lite. Sul punto, occorre rammentare, sotto il profilo teorico, che, secondo l'orientamento della giurisprudenza prevalente, condiviso da questo giudice, a tale pronuncia può pervenirsi in ogni fase e grado del giudizio ordinario, ogniqualvolta non si possa far luogo alla definizione del giudizio per rinuncia alla pretesa sostanziale o per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio stesso. In particolare, la conciliazione intervenuta nel corso del giudizio di merito tra le parti determina la cessazione della materia del contendere, che può essere rilevata di ufficio dal giudice e non è soggetta alle preclusioni previste per detto tipo di eccezioni. 2. Facendo applicazione dei principi di diritto appena esaminati al caso di specie, va evidenziato che, sulla base di quanto emerge dal verbale di mediazione del 20.07.2020, le parti, personalmente presenti ed assistite dai propri difensori muniti di procura speciale, hanno raggiunto un accordo amichevole di definizione della controversia, con il quale hanno disciplinato ogni aspetto della lite, ivi compreso quello riguardante la regolamentazione delle spese processuali. Sul punto, giova ricordare che, ai sensi dell'art. 12 d.lgs. n. 28/10, nella versione introdotta dal cd. "decreto del fare" convertito con la L. 9 agosto 2013, n. 98, "ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale". Pertanto, il verbale di conciliazione e l'accordo ad esso allegato costituiscono titolo esecutivo ex lege, rientrando nel novero dei titoli esecutivi richiamati dall'art 474, n.1 c.p.c. ultimo periodo, che fa riferimento a "gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva". Sulla scorta di tali rilievi, deve concludersi che, a seguito del raggiungimento dell'accordo nel corso della mediazione, parte ricorrente non è più titolare di un interesse alla coltivazione del presente giudizio, neppure al limitato fine di far valere l'inottemperanza della controparte agli impegni convenzionalmente assunti, ben potendo (...) pretenderne l'esecuzione azionando i rimedi all'uopo previsti dalla legge. Né può ritenersi che il successivo inadempimento da parte di (...) agli obblighi assunti con l'accordo amichevole raggiunto in mediazione (in particolar modo, sotto il profilo del mancato pagamento dei canoni di locazione pregressi e delle spese condominiali) possa costituire causa di invalidità o inefficacia degli accordi negoziali intercorsi tra le parti, i quali restano consacrati all'interno di un atto avente ex lege efficacia esecutiva. 3. Sulla scorta di quanto finora esposto, si impone la declaratoria giudiziale di cessazione della materia del contendere, per la sopravvenienza di fatti che, nelle more del processo, hanno privato le parti di ogni interesse a continuare il giudizio fino alla sua naturale conclusione (cfr., sul punto, ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, 04/06/2009, n. 12887). 4. Quanto al regime delle spese processuali, va disposta la compensazione integrale delle stesse, in conformità alla intesa raggiunta dalle parti anche sulla regolamentazione delle spese di lite, avendo esse accettato la parte della proposta conciliativa che ne prevedeva, appunto, la compensazione integrale. Per Questi Motivi Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA cessata la materia del contendere tra le parti, a seguito di intervenuto accordo amichevole in corso di mediazione; DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 2 novembre 2021. Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2021.

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