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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione collegiale, nelle persone dei signori Magistrati: - dott. Fabrizio Pasquale - Presidente Relatore - dott.ssa Elisa Ciabattoni - Giudice - dott.ssa Maria Elena Faleschini - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 719/2020 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: CESSAZIONE EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO TRA (...) (c.f. (...) ), rappresentato e difeso dall'avv. PA.AL., presso il cui studio con sede in Vasto (CH), alla Via (...), è elettivamente domiciliato; RICORRENTE E (...) (c.f. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. PE.CA., presso il cui studio con sede in Vasto (CH), al Corso (...), è elettivamente domiciliato; RESISTENTE NONCHE' Il Pubblico Ministero presso questo Tribunale INTERVENTORE NECESSARIO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Va preliminarmente precisato che la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, richiesta da entrambi i coniugi, è fondata e va, pertanto, accolta. Invero, sono stati prodotti in giudizio, a conferma dei presupposti dell'istanza, i certificati anagrafici delle parti ed il certificato attestante il matrimonio, nonché la copia della sentenza di separazione. Ricorrono i requisiti richiesti dall'art. 3, n. 2, lett. b) della L. 1 dicembre 1970, n. 890, come modificata dalla L. 6 marzo 1987, n. 74 e dalla L. 6 maggio 2015, n. 55 (entrata in vigore il 26.05.2015 ed applicabile ai procedimenti in corso a tale data, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data). I coniugi sono comparsi innanzi al Presidente del Tribunale, nel giudizio di separazione, in data 21/04/2017. Da tale data, fino alla proposizione del ricorso divorzile, è decorso un periodo superiore a dodici mesi, durante i quali, per pacifica ammissione delle parti, la separazione si è protratta ininterrottamente e la convivenza non è mai ripresa. La persistenza di uno stato di separazione da oltre dodici mesi, la conduzione di vite del tutto autonome, l'assenza di qualsivoglia rapporto, la proposizione e la continuazione del giudizio di divorzio, il fallimento del tentativo di conciliazione esperito dinanzi al Presidente del Tribunale, costituiscono certamente, a parere del collegio giudicante, evidenti manifestazioni della indisponibilità dei coniugi ad una riconciliazione e della completa impossibilità della ricostituzione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, sulla quale il matrimonio è fondato. Preso atto di quanto sopra ed accertata la sussistenza dei presuppost richiesti dagli artt. 2 e 3, n. 2, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, dev essere, nella specie, pronunciata la cessazione degli effetti civili de matrimonio a suo tempo contratto dai coniugi (...) - (...). 2. In ordine alle modalità di affidamento della figlia minorenne (...) occorre evidenziare che, nel quadro della nuova disciplina relativa a provvedimenti riguardo ai figli, improntata alla tutela del diritto de minore alla cd. "bigenitorialità", cioè al diritto di continuare ad avere un rapporto equilibrato e significativo con ciascuno dei genitori l'affidamento condiviso (comportante l'esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i genitori ed una condivisione, appunto delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore) si pone come regola generale rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell'affidamento esclusivo Alla regola prioritaria dell'affidamento condiviso ad entrambi i genitor (che non può ragionevolmente ritenersi precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi) può, pertanto, derogarsi solo ove la sua applicazione risulti contraria all'interesse del minore, interesse che costituisce esclusivo criterio di valutazione in rapporto alle diverse e alle specifiche connotazioni dei singoli casi dedotti in sede giudiziaria, con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore (cfr., Cass., 18.06.2008, n. 16593). Nel caso in esame, non essendo emersi motivi contrari alla opportunità di affidare congiuntamente la minore ad entrambi i genitori, non ricorrono i presupposti di legge per l'affidamento esclusivo, che, nel caso di specie, sarebbe contrario all'interesse della minore a coltivare un equilibrato rapporto bigenitoriale. Al contrario, si reputa opportuno disporre un regime di affidamento condiviso della figlia minorenne, onde evitare l'innescarsi di processi di marginalizzazione della figura paterna, che potrebbero condurre il padre a deleterie condotte abdicative. Tuttavia, è preferibile che la minore, essendo vissuta e cresciuta sin dalla nascita in V., conviva prevalentemente con la madre, salva la facoltà del padre di vedere la figlia ogni volta che vorrà, secondo le richieste della minore e compatibilmente con le sue esigenze di studio, in base alle modalità di volta in volta concordate dai genitori o comunque, in caso di disaccordo tra gli stessi, secondo il programma minimo di realizzazione del rapporto tra il padre e la figlia stabilito in dispositivo, riservando, in ogni caso, ai genitori di concordare, volta per volta, più specifica regolamentazione e rimanendo in facoltà degli stessi di stabilire un generale ampliamento del programma. Sotto questo profilo, non merita di essere accolta la domanda di collocamento prevalente della minore presso il padre (con conseguente assegnazione a sé della casa familiare), formulata dal (...) sull'assunto che la minore vivrebbe con i nonni materni piuttosto che con la madre, attuale collocataria, per il dirimente motivo che tale circostanza è stata decisamente contestata dalla (...) e non risulta essere stata adeguatamente provata dall'istante. In ogni caso, entrambi i genitori hanno l'obbligo di contribuire alla cura, all'istruzione e all'educazione della figlia in maniera armonica, attraverso un costante rilascio reciproco di informazioni ed un assiduo controllo dei risultati scolastici, delle compagnie e del comportamento in generale, sempre rappresentando alla figlia l'importanza del mantenimento di un equilibrato rapporto con ambedue i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per la figlia relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale della minore dovranno essere assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni della figlia, mentre le decisioni su questioni di ordinaria amministrazione potranno essere prese dai genitori anche separatamente, con la precisazione che - qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate - detto comportamento potrà essere valutato anche al fine della modifica delle modalità di affidamento. 3. Da quanto innanzi esposto consegue che la casa familiare, sita in V., alla Via A. n. 2, dovrà rimanere assegnata a (...), in quanto collocataria della figlia (...). La stessa potrà continuare ad abitarvi fintantoché la figlia, quantunque maggiorenne, non avrà raggiunto la propria indipendenza economica e continuerà a convivere con la madre. 4. Con particolare riguardo alle questioni economiche e, nello specifico, alla richiesta di assegno divorzile avanzata dalla resistente, si impone, preliminarmente, il vaglio della sua ammissibilità, espressamente contestata dalla controparte, sul rilievo della sua tardiva formulazione per la prima volta all'udienza presidenziale del 17/06/2021. A tale riguardo, va osservato che la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile la domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile formulata da parte resistente anche in un momento successivo alla comparsa di costituzione, purché non oltre "il termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore", che "segna il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di riconoscimento dell'assegno divorzile, senza che ciò escluda la ritualità della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale, in tempo antecedente alla udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore di cui all'art. 180 c.p.c. (Cass. civ., sez. 1, n. 18116 del 12 settembre 2005)" (cfr., Cass. n. 18527/2017). Aderendo al principio testé enunciato, è, pertanto, da ritenersi ammissibile la domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile della resistente, in quanto tempestivamente spiegata con comparsa integrativa depositata nella fase presidenziale del procedimento, all'udienza del 17/06/2021 e, quindi, in un momento ampiamente antecedente a quello di maturazione della relativa preclusione. 4.1. Tanto premesso, questo Collegio ritiene, tuttavia, che la domanda non merita favorevole scrutinio, per il dirimente motivo che dalle allegazioni della parte resistente e dalle evidenze probatorie in atti, non risulta provata la sussistenza dei presupposti dai quali scaturisce il diritto alla somministrazione di un assegno periodico, vale a dire la mancanza di mezzi adeguati o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. A tale riguardo, deve innanzitutto premettersi che, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr., Cass., S.U., 11.07.2018, n. 18287), "ai sensi dell'art. 5 c.6 della L. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto". Muovendo da tali principi, le Sezioni Unite hanno sancito che, al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba riconoscersi l'invocato assegno divorzile, il giudice: a) procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque, l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e, in particolare, se quella sperequazione sia, o meno, la conseguenza de contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso ed alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né a parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale d garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato. Nell'ambito di questo accertamento, la materia dell'assegno di divorzio che ha ad oggetto un diritto sicuramente disponibile - è dominata nell'ambito del relativo procedimento giurisdizionale predisposto dalla L. n. 898 del 1970 (art. 5), dal principio della disponibilità della prova non intaccato nemmeno dai poteri officiosi di indagine sui redditi, su patrimoni e sull'effettivo tenore di vita dei coniugi, attribuiti al tribunale dall'art. 5, comma 9. L'esercizio di tali poteri presuppone che le part abbiano assolto l'onere, che loro incombe, di esibire, fin dall'udienza d personale comparizione dinanzi al presidente del tribunale, la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa a loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, ed inoltre che documenti prodotti formino oggetto di contestazione; presuppone dunque, un'attività processuale delle parti (espressione del principio dispositivo in materia di prova), la cui omissione non può essere supplita dal giudice, ma la cui applicazione può essere da questi unicamente integrata in ipotesi di contestazione della documentazione prodotta. Di conseguenza, il coniuge richiedente l'assegno di divorzio ha l'onere d dedurre e dimostrare, con idonei mezzi di prova, che: a) in seguito allo scioglimento del matrimonio, si è venuta a creare una rilevante disparità economico-patrimoniale tra i coniugi; b) tale situazione d disuguaglianza è causalmente riconducibile alle scelte adottate (e condivise) dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio, che lo hanno portato ad assumere un ruolo trainante all'interno della famiglia sacrificando le proprie aspettative reddituali e professionali, in funzione della durata del matrimonio e dell'età del coniuge richiedente. 4.2. Orbene, facendo applicazione al caso di specie dei principi di diritti innanzi illustrati, va preliminarmente osservato che, da un'analis comparata delle complessive condizioni economiche dei coniugi, qual emergono dalle risultanze processuali, non si evidenzia una rilevante disparità economico-patrimoniale tale da giustificare il riconoscimento di un assegno di divorzio in favore della resistente. Invero, dalle incontestate argomentazioni difensive delle parti si evince che la resistente "ha sempre lavorato anche in costanza di matrimonio come operaia alle dipendenze del (...)" e successivamente alla cessazione dell'attività della suddetta azienda, ha svolto altre attività lavorative, seppur sporadiche. A ciò aggiungasi, per quanto concerne la titolarità di cespiti immobiliari che la (...) "è proprietaria di un appartamento che ha locato e da cu percepisce la somma di Euro 350,00 mensili di canone" - circostanza dedotta dal ricorrente e non contestata dalla resistente - e gode dell'abitazione a lei assegnata (bene immobile di cui è titolare il (...)). Per altro verso, risulta che il (...) svolge attività di commercio in abbigliamento - con un guadagno, dallo stesso dedotto, di circa Euro 15.000,00/20.000,00 annui - versa alla moglie un contributo per il mantenimento della figlia (...) (di anni nove) di Euro 600,00 mensili e sopporta ulteriori esborsi (e, segnatamente, un finanziamento erogato nel 2019 di circa Euro 53.000,00, con un piano di rimborso di 60 rate; un canone di locazione di Euro 1.300,00 mensili; una somma mensile di circa Euro 1.800,00 per retribuzioni e contribuzioni dei dipendenti). Fatta questa precisazione sulle rispettive condizioni economiche delle parti, deve aggiungersi la seguente considerazione: tenuto conto che l'assegno divorzile assume una funzione perequativa e compensativa del sacrificio sopportato da un coniuge per le scelte fatte e condivise in costanza di matrimonio e, pertanto, è teso a riequilibrare la disparità economica creatasi tra i coniugi in conseguenza del divorzio, nel caso in esame non è possibile stabilire se l'eventuale disparità abbia avuto causa in pregresse scelte familiari, in quanto non è stato dimostrato che la (...) abbia sacrificato le proprie aspettative reddituali e professionali o che abbia dovuto rinunciare alle proprie aspirazioni lavorative a causa degli impegni coniugali, né che l'inadeguatezza dei mezzi della richiedente sia la conseguenza del contributo da lei fornito alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale del marito, non avendo la suddetta articolato alcuna allegazione specifica ed essendo, al contrario, emerso che la (...) ha lavorato in costanza di matrimonio - circostanza, questa, peraltro più volte dalla stessa ribadita. Oltretutto, data l'età della donna, è assolutamente verosimile che ell abbia la piena possibilità di recuperare la propria attività lavorativa - ci che, di fatto, è avvenuto per espressa ammissione della stessa - e l relative aspettative anche reddituali, eventualmente sacrificate i costanza di matrimonio, a tal fine non costituendo un impedimento l rilevata malattia invalidante (ipoacusia neurosensoriale) della quale l resistente è affetta, nel senso che essa non può determinare un particolare difficoltà a reperire un'occupazione lavorativa o, più i generale, un'impossibilità di procurarsi da sola mezzi adeguati, i considerazione sia del relativo grado riconosciuto (pari al 60%), sia della circostanza che l'invalidità, accertata sin dal 1999, non ha costituito i passato un ostacolo nello svolgimento di attività lavorative. Sotto diverso profilo, pur in diparte di tali assorbenti rilievi, è il caso d osservare che l'istante, avendo rifiutato una proposta lavorativa offerta dal (...) nel corso del giudizio, sul rilievo della non affidabilità - tuttavia, indimostrata - della stessa (cfr. verbale udienza presidenziale del 18/03/2021), si è sottratta volontariamente ad un'occasione d lavoro reale, oltreché confacente alla propria condizione personale ed idonea a garantirle un reddito di Euro 800,00 mensili (in luogo dei Euro 300,00 versati dal (...) a titolo di mantenimento), peraltro, a mente de principi espressi dalla Suprema Corte, "in violazione dei doveri posti coniugali, che trovano fondamento nei principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità di entrambi gli ex coniugi" (cfr., Cass., S.U., n 18287/2018). Alla stregua delle riferite considerazioni, la domanda della resistente, d riconoscimento in proprio favore di un assegno divorzile pari a Euro 300,00 mensili, non merita di essere accolta. 5. Deve, altresì, statuirsi in merito al contributo dovuto in favore della figlia, G., minore e non autosufficiente dal punto di vista economico. Pertanto, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, permane l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, fino a quando questi non abbiano raggiunto l'indipendenza economica, ovvero fino a quando il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso (cfr., ex plurimis, Cass., n. 17183/20). A tale riguardo, il (...), pur non contestando l'obbligo di provvedere economicamente al sostentamento della figlia, ha chiesto che detta contribuzione sia determinata nell'importo di Euro 400,00, vale a dire in misura inferiore rispetto a quella concordata in sede di separazione, pari ad Euro 600,00, adducendo, quale ragione a sostegno della richiesta, un peggioramento della propria situazione economica, dovuta all'avversa congiuntura economica a seguito dell'emergenza pandemica. La domanda formulata dal ricorrente non merita di essere accolta, non essendo stati forniti sufficienti mezzi di prova idonei a dimostrarne la fondatezza. Al contrario, è possibile desumere da una pluralità di elementi di prova che l'istante disponga di risorse economiche di entità tale da poter far fronte al suddetto onere contributivo. Rileva, in tal senso - innanzitutto - la circostanza (comprovata mediante certificazione dei redditi) che il ricorrente è precettore di redditi e, in qualità di imprenditore individuale, esercita attività di vendita di abbigliamento al dettaglio e, successivamente alla separazione, ha ampliato la propria attività mediante l'apertura di ulteriori punti vendita che gestisce con l'ausilio di dipendenti (cfr. documentazione allegata agli atti); detta circostanza è, peraltro, comprovata dalla proposta transattiva formulata dal ricorrente, all'udienza presidenziale del 18/03/2021, di assunzione a tempo indeterminato della (...), quale commessa in un punto vendita di Vasto. In secondo luogo, in relazione all'entità degli esborsi sopportati dal ricorrente (e, segnatamente, il finanziamento erogato nel 2019 di circa Euro 53.000,00 - che, comunque, cesserà il prossimo giugno 2024 - il canone di locazione di Euro 1.300,00 mensili, la somma mensile di circa Euro 1.833,00 per retribuzioni e contribuzioni dei dipendenti), è evidente che il loro ammontare complessivo sarebbe assolutamente insostenibile - alla luce dei dati reddituali emergenti in sede fiscale - ed incompatibile con la lamentata peggiorata situazione patrimoniale, il cui esame non ha portato alla luce rilevanti circostanze di fatto che possano indurre ad una conclusione diversa da quella di un deterioramento delle condizioni economiche della parte istante soltanto dichiarato e non anche adeguatamente comprovato. Né meritevole di favorevole scrutinio appare essere l'istanza avversa di aumento dell'assegno a titolo di contributo al mantenimento della minore, avanzata dalla (...) sull'assunto che "... la piccola (...) (...) sta crescendo positivamente ma (...) ha sempre maggiori esigenze ...", in quanto non corroborata da alcuna idonea evidenza probatoria, essendosi l'istante limitata a sottolineare il naturale processo evolutivo della minore, senza alcuna specifica dimostrazione del dedotto incremento delle esigenze economiche della stessa. 6. Sulla scorta delle riferite circostanze, questo Collegio stima congruo fissare il contributo fisso mensile, che il (...) dovrà versare alla ex moglie per il mantenimento della figlia, (...), con decorrenza dalla data della presente sentenza, in Euro 600,00, importo che sostanzialmente corrisponde a quello stabilito in sede di separazione, sebbene depurato dell'eventuale rivalutazione maturata negli anni. Anche tale somma dovrà essere rivalutata annualmente - a decorrere dall'anno successivo alla pronuncia della presente sentenza - secondo gli indici ISTAT di riferimento e dovrà essere versata alla (...) entro il giorno 5 di ciascun mese, in contanti ovvero a mezzo bonifico bancario o vaglia postale o altre modalità che la stessa avrà cura di indicare. In considerazione del fatto che l'ammontare dell'assegno in questione viene determinato tenendo conto delle complessive risultanze istruttorie, la decorrenza dell'obbligo di mantenimento, come sopra specificato, va fissata nella data di pronunzia della presente decisione, dovendo continuare a trovare applicazione, per il periodo antecedente, i provvedimenti temporanei ed urgenti pronunziati dal Presidente del Tribunale all'esito del tentativo di conciliazione. 7. Alla predetta somma deve poi aggiungersi il contributo, che (...) dovrà assicurare, al pagamento delle spese straordinarie da sostenersi nell'interesse della figlia, nella misura del 50%. 8. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, della L. 1 dicembre 1970, n. 890, la moglie perde il cognome che aveva aggiunto al proprio in conseguenza del matrimonio. 9. Quanto al regime delle spese processuali, considerati i contrastanti esiti decisori delle rispettive domande formulate dalle parti, esse vanno integralmente compensate tra di esse. 10. Copia autentica della presente sentenza, una volta passata in giudicato, dovrà essere trasmessa a cura della Cancelleria all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Vasto (CH), per le incombenze di cui al D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. Per Questi Motivi Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), con l'intervento del P.M. in sede, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra i coniugi (...), nato a P. (C.) il (...) e (...), nata a V. (C.) il (...); (...), per l'effetto, le seguenti condizioni del divorzio: a) la figlia minorenne (...) è affidato congiuntamente ad entrambi i genitori; la stessa vivrà prevalentemente con la madre, salvo il diritto del padre di vederla e tenerla con sé ogni volta che vorrà, secondo le volontà della minore e compatibilmente con le sue esigenze di studio, in base alle modalità di volta in volta concordate dai genitori o comunque, in caso di disaccordo tra gli stessi, secondo un programma minimo di realizzazione del rapporto tra il padre e la figlia, che preveda almeno tre pomeriggi a settimana per tre ore consecutive; due fine settimana al mese, dal sabato pomeriggio alla domenica sera, con facoltà di pernottamento; sette giorn durante le festività natalizie, ad anni alterni, una volta dal 24 al 3 dicembre ed una volta dal 31 dicembre al 6 gennaio; tre giorni durante l festività pasquali, ad anni alterni, una volta dal lunedì al mercoledì i A. ed una volta dal V.S. alla D.D.P.; trent giorni anche non consecutivi nel periodo estivo, alternativamente ne mese di luglio ed agosto, fatta sempre salva la facoltà per i genitori d concordare, volta per volta, più specifica regolamentazione ovvero d stabilire un generale ampliamento del programma; b) la casa coniugale, sita in V. (C.), alla Via E. A. n. 2 rimane assegnata a (...), collocataria della figlia minore la quale avrà diritto di abitarvi fintantoché la figlia (...), quantunque maggiorenne, non avrà raggiunto la propria indipendenza economica e continuerà a convivere con la madre; c) (...) corrisponderà in favore di (...) con decorrenza dalla data della presente sentenza (confermandosi sino alla predetta data i provvedimenti temporanei ed urgenti emessi da Presidente), la somma mensile di Euro 600,00, a titolo di contributo per i mantenimento della figlia minore; gli importi andranno annualmente rivalutati secondo gli indici ISTAT di riferimento, a partire dal mese d maggio 2024 e dovranno essere versati entro il giorno 5 di ciascun mese in contanti ovvero a mezzo bonifico bancario o vaglia postale o altre modalità che la beneficiaria avrà cura di indicare; d) (...) contribuirà, altresì, al pagamento, nella misura del 50%, delle spese straordinarie da sostenersi nell'interesse della figlia; RIGETTA la richiesta della resistente di versamento di un assegno divorzile in proprio favore; DICHIARA che la moglie perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; O. che la presente sentenza sia trasmessa, a cura della Cancelleria, in copia autentica all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Vasto per l'annotazione, ai sensi dell'art. 69, 1 comma, lett. d), D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, della presente sentenza sul relativo atto di matrimonio (n. 72, parte II, serie A, anno 2005), al momento del suo passaggio in giudicato; DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 25 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 25 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Maria Elena Faleschini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 386 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2021, e promossa (...) s.r.l. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, ed in sua vece la procuratrice (...) s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. (...) attrice in riassunzione contro (...) convenuto OGGETTO: CONTRATTI BANCARI MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione per riassunzione, (...) s.r.l. ha convenuto in giudizio (...) al fine di ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 45.497,37, oltre interessi di mora e spese. L'attrice ha premesso di aver richiesto ed ottenuto dal Tribunale di Chieti il decreto ingiuntivo n. 506 del 2/10/2019, avverso il quale, con atto di citazione notificato in data 7/12/2019, ha proposto opposizione l'ingiunto, deducendo, tra plurimi motivi di doglianza, l'incompetenza per territorio del Tribunale di Chieti, identificando quale competente il Tribunale di Vasto; all'esito dell'udienza di comparizione delle parti, in data 25/1/2021, il Tribunale di Chieti ha dichiarato la propria incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Vasto, davanti al quale ha rimesso le parti assegnando termine perentorio per la riassunzione della domanda avente ad oggetto il credito di cui al decreto ingiuntivo opposto, nulla disponendo in ordine alle spese di lite. Riassunta la causa davanti al Tribunale di Vasto, l'attrice ha premesso in fatto che: - (...) ha sottoscritto con (...) S.p.A. (poi incorporata da (...) s.p.a.) il contratto n. (...) in data 7/12/2007 ed il contratto n. (...) in data 4/9/2008, aventi, rispettivamente, ad oggetto il finanziamento per l'ammontare di Euro 21.582,96 e di Euro 8.443, 60; - la parte finanziata è rimasta inadempiente agli obblighi di pagamento contrattualmente previsti, con ciò maturando, alla data del 22/6/2015, un'esposizione debitoria per complessivi Euro 45.497,37; - il credito, in origine facente capo a (...) di fusione per incorporazione del 27/3/2015) è stato oggetto di cessione pro soluto in favore di (...) s.r.l., realizzatasi nel contesto di un'operazione di cartolarizzazione ex L. n. 130/1999 e art. 58 del D. Lgs. n. 385/1993, provata e pienamente efficace ed opponibile al debitore ceduto in virtù dell'avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 75 del 2/07/2015. Si è costituito in giudizio (...), il quale - riportandosi a tutte le deduzioni, eccezioni, domande e richieste istruttorie già formulate con l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo introduttivo del giudizio davanti al Tribunale di Chieti - ha eccepito: a) l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria previsto dall'art. 5, D.lgs. n. 28/2010; b) la mancata sottoscrizione dei contratti da parte dell'istituto di credito, recando gli stessi la sola sottoscrizione del cliente; c) la prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2948 n. 4) c.c. delle somme dovute a titolo di interessi; d) la mancanza degli estratti conto integrali; e) la nullità dei contratti di finanziamento de quo per carenza di accordo in ordine alle condizioni economiche e per mancata consegna di un esemplare al cliente, nonché per violazione degli artt. 1341, comma secondo, c.c. e 33 e 34 cod. cons.; f) la mancanza di titolarità del credito e/o difetto di legittimazione attiva in capo all'attrice per mancata prova della cessione del credito. La causa è stata istruita mediante produzioni documentali. Le parti hanno precisato le conclusioni all'udienza del 13/12/2022. La domanda è infondata e va, pertanto, respinta. In via introduttiva, giova premettere che, in base alla consolidata ripartizione dell'onere della prova tra creditore e debitore, il primo deve dimostrare che il suo credito esiste e che è diventato esigibile/è scaduto, mentre spetta al debitore dimostrare che l'asserito credito non esiste ovvero che sussistono fatti modificativi, impeditivi o estintivi dello stesso (art. 2697 c.c.). Nel caso di specie, l'attrice ha prodotto in giudizio: - i contratti di finanziamento n. (...) del 7/12/2007 e n. (...) del 4/9/2008 (doc. 5), che parte convenuta non contesta né in ordine alla loro esistenza né in ordine alla loro sottoscrizione; - gli estratti del libro giornale contabilità di (...) S.p.A. costituenti prova dell'erogazione delle somme di cui ai suddetti contratti (doc. 10 e 11); - gli estratti conto integrali relativi ai suddetti contratti, da cui si desumono gli importi dovuti (doc. 6 e 7). Sulla base di tale documentazione, risulta provata la sussistenza dei fatti costitutivi del credito azionato. Sennonché, parte convenuta ha eccepito il difetto di titolarità del credito e/o di legittimazione attiva in capo a (...) s.r.l. in ragione del fatto che non sarebbe stato provato dall'attrice che l'operazione di cessione in blocco avrebbe avuto ad oggetto anche i crediti specifici di cui essa chiede il riconoscimento: in altri termini, parte convenuta non contesta né la cessione in blocco né l'efficacia della stessa - conseguita attraverso la pubblicazione in G.U. - ma il fatto che la suddetta cessione abbia specificamente riguardato il credito oggetto di causa. L'eccezione è fondata. Innanzitutto, giova precisare che la questione posta dal convenuto non riguarda il supposto difetto di legittimazione attiva di (...) s.r.l., quanto piuttosto la titolarità sostanziale del credito in capo all'odierna attrice. Le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. Sez. Un., 16/2/2016, n. 2951), distinguendo i due concetti, hanno chiarito che a) la mancanza di legittimazione attiva integra una questione di rito e può ricavarsi dalla prospettazione fatta nella domanda di parte attrice/ricorrente, in questo caso del creditore; b) la titolarità del rapporto controverso, dal lato attivo o passivo, oggetto dell'azione rappresenta una questione di merito, in quanto attiene alla fondatezza della domanda. È pacifico, nel caso concreto, che l'attrice prospetta di essere la parte attiva del rapporto di credito dedotto in giudizio, sicché è escluso che possano esservi questioni di rito, mentre l'eccezione del convenuto mira a contestare la titolarità del rapporto, cioè il fatto che (...) s.r.l. sia effettivamente succeduta nella posizione dell'originario creditore ((...) s.p.a.) per effetto di una valida cessione dei suoi rapporti. Quindi, il convenuto ha sostanzialmente sollevato una questione preliminare di merito, onerando così la società di fornire la prova della titolarità dal lato attivo del rapporto obbligatorio. A tal proposito, costituisce principio generale, ed è quindi applicabile anche all'operazione di cartolarizzazione, che un negozio di cessione, per essere opponibile, deve contenere gli elementi minimi necessari alla cognizione del debitore circa la modificazione dal lato attivo dell'obbligazione da lui contratta; a questo fine, tali elementi possono ricavarsi dal solo contratto di cessione, non essendo, tuttavia, necessaria o rilevante la sua accettazione. Pertanto, la pubblicazione nella G.U. dell'avvenuta cessione esonera la cessionaria dalla notificazione al debitore ceduto, ma non dalla prova dell'esistenza della cessione stessa, in quanto una cosa è l'avviso della cessione, un'altra è la prova della sua esistenza e del suo specifico contenuto (Cass. civ., sez. III, 13.09.2018, n. 22268). Ne deriva che la sola allegazione della copia dalla pubblicazione nella G.U. non è sufficiente a provare l'avvenuta cessione di quello specifico credito (Cass. civ., 31/01/2019, n. 2780). Peraltro, se è vero che "La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ha anche l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta" (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24798 del 05/11/2020) è, del pari, vero che "In tema di cessi one i n blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione" (Cass. Civ., Sez. 3, 13/06/2019, n. 15884; Cass. Civ., Sez. 5, n. 31118/2017; Cass. Civ., Sez. III, n. 15884/2019; Cass. civ., Sez. 3, Ordinanza n. 31188 del 29/12/2017). Quindi, ai fini della dimostrazione della titolarità del rapporto, la prova primaria è costituita dal contratto di cessione, da cui si possa ricavare che lo specifico credito azionato è stato effettivamente ed inequivocabilmente cartolarizzato. Ad essa può, in subordine, sopperirsi con la dimostrazione che il singolo credito ceduto integra tutti i requisiti e rientra in tutti i criteri indicati nell'estratto di cessione pubblicato in G.U. Sul punto, si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito: alcuni giudici sostengono che la prova dell'avvenuta cessione possa essere fornita solo con la produzione del contratto di cessione o, in alternativa, con una dichiarazione scritta e dettagliata firmata dalla cedente, nella quale si dia atto della cartolarizzazione di quella specifica posizione debitoria; altri giudicanti, per converso, facendo leva sulla lettera dell'art. 4 L. n. 130/1999, che richiama l'art. 58 TUB, ritengono sufficiente la produzione in giudizio dell'estratto della Gazzetta Ufficiale. In definitiva, è rimesso all'apprezzamento del singolo giudice valutare, caso per caso, quali siano gli elementi in grado di fondare il proprio convincimento in merito alla titolarità del credito in capo alla società veicolo cessionaria. Ebbene, nel caso di specie, si ritiene che parte attrice non abbia fornito adeguata prova della titolarità del credito oggetto di causa. Invero, a fronte dell'eccezione di difetto di titolarità del credito e/o di legittimazione attiva sollevata dal convenuto nella propria comparsa di costituzione e risposta, l'attrice non ha né prodotto in giudizio il contratto di cessione (con relativo elenco notarile dei crediti ceduti) né altro documento comprovante l'avvenuta cessione dello specifico credito quale, in particolare, la dichiarazione ricognitiva della cessione rilasciata dal creditore cedente. Né ha provato (e neppure, in realtà, allegato) che il credito di cui pretende essere riconosciuta titolare soddisfa tutti i dodici criteri di inclusione elencati nell'avviso di cessione pubblicato in G.U. (doc. 8 allegato alla citazione). Tali criteri di inclusione sono da intendersi quali requisiti che il credito per potersi considerare rientrante nell'operazione di cessione in blocco - deve possedere cumulativamente e non alternativamente. Ciò si desume sia dal tenore letterale dell'avviso ("il Cessionario ha acquistato pro soluto dalla Cedente, con effetto giuridico dal 22 giugno 2015, crediti pecuniari rispondenti ai seguenti criteri alla data del 22 giugno 2015 (...)") sia dal fatto che trattasi di criteri tra loro compatibili e non di criteri volti ciascuno ad individuare una categoria distinta di crediti. Per giunta, l'avviso prosegue prevedendo che "Ancorché rispondenti ai criteri di inclusione sopra indicati si intendono espressamente esclusi dal blocco di cessione i crediti per i quali sussista anche una soltanto delle seguenti circostanze". Segue elencazione di cinque criteri di esclusione. Ciò posto, è evidente come, in presenza di una specifica eccezione di parte convenuta, e in assenza di qualsiasi successiva allegazione sul punto da parte della società attrice, risulti impossibile per il giudice verificare se il credito de quo rientri in tutti i criteri di inclusione e al tempo stesso non sia ricompreso tra le categorie escluse. Né può giovare a parte attrice il mero dato della disponibilità, in capo alla stessa, dei documenti probatori del credito. Infatti, "la circostanza del possesso di documentazione relativa un contratto di finanziamento tra terzi soggetti non è idonea a sostituire il documento attestante la cessione del credito. La semplice circostanza del possesso di tale documentazione, infatti, può giustificarsi sulla base di una pluralità di circostanze, come, ad esempio, la qualità di semplice mandatario del creditore e non di cessionaria del credito" (Cass. civ., 31/01/2019, n. 2780). Alla luce delle superiori considerazioni, va accolta l'eccezione di difetto di titolarità del credito azionato, con conseguente rigetto della domanda attorea. Da ultimo, si osserva come l'intervenuta omologa del piano del consumatore - di cui è stato dato atto all'udienza di precisazione delle conclusioni del 13/12/2022 - non consenta di dichiarare la cessazione della materia del contendere come richiesto in via principale dal convenuto. Ciò in quanto parte attrice, pur dopo aver appreso dell'omologa, ha insisto per l'accoglimento della propria domanda, sicché non si può ritenere che le parti concordino sul venir meno di ogni residuo motivo di contrasto tra le stesse. Al contempo, l'intervenuto provvedimento di omologa, se inibisce l'avvio o la prosecuzione di azioni esecutive individuali e di azioni cautelari, certamente non preclude che il giudizio di cognizione relativo a credito ricompreso nel piano addivenga a sentenza, non rendendolo improcedibile né determinandone la sospensione. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo (D.M. 155/2014, scaglione da Euro 26.0001,00 a Euro 52.000,00, parametri medi vigenti a far data dal 23.10.2022), sono poste a carico di parte attrice in ragione del principio di soccombenza. Nulla sulle spese del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Chieti, sulle quali avrebbe dovuto provvedere, appunto, il Tribunale dichiaratosi incompetente (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3122 del 07/02/2017: "il giudice che si dichiara incompetente deve provvedere sulle spese della fase di giudizio svoltasi davanti a lui (e la relativa statuizione è appellabile, e non impugnabile con regolamento di competenza: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21697 del 20/10/2011, Rv. 620334; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23727 del 19/11/2015, Rv. 638092; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 11764 del 08/06/2016, Rv. 639916). Necessario corollario del suddetto principio è che il giudice davanti al quale il processo sia riassunto deve provvedere solo sulle spese della fase della riassunzione e non anche su quelle della fase svoltasi davanti al giudice incompetente"). P.Q.M. Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando nel giudizio R.G. 386 del 2021 sulla domanda proposta da (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., contro (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1) Rigetta la domanda attorea; 2) Condanna (...) S.r.l. al pagamento, in favore di (...) delle spese di lite, che liquida in Euro 7.616,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarre ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore dichiaratosi antistatario. Così deciso in Vasto il 3 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 773/2021 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Fideiussione. TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv.(...) c.f. (...) p.e.c. (...) presso il cui studio, con sede in San Salvo (CH) alla (...) è elettivamente domiciliata; ATTORE - OPPONENTE E (...) s.p.a. (c.f. (...) in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) del Foro di Milano (C.F. (...) p.e.c.(...), presso il cui studio professionale, con sede in Milano, (...) è elettivamente domiciliata; CONVENUTA - OPPOSTA FATTO 1. (...) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 193/2021 del 20.05.2021, con il quale il Tribunale di Vasto le ha ingiunto, in qualità di fideiussore e in solido con altri condebitori, l'immediato pagamento, in favore della (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, della complessiva somma di Euro 25.600,57, oltre interessi di mora al tasso convenzionale sulla sorte capitale, con decorrenza dalle singole date indicate in ricorso fino al saldo, nonché delle spese della procedura monitoria, liquidate in complessivi Euro 766,50, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge. A sostegno dell'opposizione, l'attrice ha sollevato molteplici motivi di doglianza, contestando, tra altro, la correttezza e la legittimità dei conteggi così come operati unilateralmente dalla banca creditrice, la sussistenza del periculum in mora rappresentato nel ricorso monitorio, la validità ed efficacia della garanzia fidejussoria in ipotesi rilasciata dall'opponente, la nullità delle clausole della stessa corrispondenti a quelle dichiarate illegittime, giusta provvedimento A. del 2005 e operando il disconoscimento del documento prodotto da controparte (cfr. doc. sub. n. 13). Sulla base delle deduzioni e argomentazioni in sintesi riferite, l'opponente ha concluso, in via preliminare, per la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e, nel merito, per la dichiarazione di nullità, improcedibilità e/o inefficacia dello stesso, stante: a) l'inammissibilità del ricorso alla procedura monitoria in oggetto; b) l'assoluta mancanza dei presupposti e requisiti minimi necessari, a causa della nullità delle clausole riportate agli artt. 2, 6 e 8 del contratto di fidejussione datato 20/07/2005 e la susseguente nullità dell'intero contratto di fideiussione, ai sensi dell'art. 1419, 1 "comma, c.c.; c) l'insussistenza delle condizioni di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. Ha, pertanto, chiesto, la revoca del decreto Ingiuntivo opposto, con condanna della controparte al pagamento delle spese ed onorari di giudizio. 2. Si è costituita in giudizio la (...) s.p.a. per rappresentare, in via preliminare, che il credito a favore della (...) s.p.a. (mandante della (...) s.p.a.), oggetto del decreto ingiuntivo opposto, era stato ceduto alla (...) s.p.a. giusta atto di cessione pro soluto ed in blocco ai sensi dell'art. 58 del T.U.B. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Parte Seconda, n. 118 del 10 ottobre 2021, così legittimando il proprio intervento ex art. 166 e 111, III comma c.p.c.. Nel merito, la società intervenuta in luogo della (...) s.p.a. - ricostruiti i rapporti di credito garantiti - ha eccepito la prescrizione dei crediti in ipotesi maturati verso la banca, ha dichiarato di volersi avvalere del documento integrante la modifica contrattuale intercorsa in data 22.09.2005 (doc. 5), proponendo formale istanza di verificazione ai sensi dell'art. 216 c.p.c. della sottoscrizione apposta da (...) nella qualità di rappresentante legale della società (...) S.r.l., in calce alla modifica contrattuale datata 22.09.2005. Ha, inoltre, contrastato l'eccepita nullità della fideiussione per violazione della disciplina antitrust e le restanti contestazioni avversarie. Sulla scorta delle istanze e argomentazioni difensive come sopra compendiate, la la (...) s.p.a. ha concluso come di seguito testualmente riportato: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e/o allegazione, così giudicare: - In via preliminare: - confermare la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo telematico n. 193/2021 del 19.05.2021 emesso dal Tribunale di Vasto; - accertare e dichiarare, per i fatti e le ragioni esposti in narrativa, l'intervenuta prescrizione dell'eventuale diritto dell'attrice opponente di richiedere l'espunzione degli addebiti effettuati da (...) S.p.A. sui conti correnti per cui è causa in data anteriore al 23 luglio 2011 2007; In via principale: - rigettare, in quanto inammissibili e/o infondate per le ragioni esposte in narrativa, le domande e le eccezioni ex adverso formulate e, per l'effetto, confermare integralmente il decreto ingiuntivo telematico n. 193/2021 del 19.05.2021 emesso dal Tribunale di Vasto; In subordine: - condannare parte opponente al pagamento nei confronti di (...) S.p.A. della somma di Euro 25.600,57 (ovvero, in subordine, della diversa somma che dovesse risultare dovuta), oltre agli interessi contrattuali dal dovuto al saldo; In via istruttoria: - disporsi la verificazione giudiziale, ai sensi dell'art. 216 c.p.c., della sottoscrizione disconosciuta apposta alla modifica del contratto di conto corrente del 22.09.2005 da parte della signora (...) e, per l'effetto, accogliere la produzione delle scritture di comparazione in narrativa indicate o, ove ritenuto, disporsi, ai sensi dell'art. 219 c.p.c., la redazione di una scrittura comparativa della stessa disconoscente, con riserva di chiedere nel termine di cui all'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. l'ammissione di una CTU grafologica avente ad oggetto la sottoscrizione apposta sul documento disconosciuto; In ogni caso: - con vittoria di spese e onorari del presente giudizio, aumentati di spese generali, c.p.a. e i.v.a.". 3. Con ordinanza del 10.02.2022, il giudice - dopo aver rilevato che il giudizio introdotto dall'attrice concerne un'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari e finanziari, per la quale l'art. 5, commi 1 e 4, lett. a), del D.Lgs. n. 28 del 2010 impone il previo esperimento del procedimento di mediazione, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, a seguito della pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione - ha rigettato l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo n. 193/21, emesso dal Tribunale di Vasto in data 19.05.2021, contestualmente disponendo che la parte opposta provvedesse ad attivare la procedura di mediazione per la soluzione della controversia. 4. All'udienza del 28.06.2022, tenutasi a seguito del predetto provvedimento, la parte opponente ha tempestivamente eccepito che il procedimento di mediazione non è stato attivato dalla parte a ciò onerata, insistendo per la declaratoria di improcedibilità della domanda monitoria e per la revoca del decreto ingiuntivo opposto. 5. A questo punto, il giudice ha fissato l'udienza di precisazione delle conclusioni sulla sola questione preliminare della improcedibilità della domanda per la mancata proposizione della procedura di mediazione da parte della convenuta opposta. DIRITTO 1. La domanda monitoria deve essere dichiarata improcedibile, stante l'acclarata e non contestata inerzia della parte convenuta opposta nell'attivazione della procedura obbligatoria di mediazione, disposta dal giudice con ordinanza pronunciata dopo l'adozione del provvedimento sull'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo. Con la richiamata ordinanza del 10/02/2022, questo giudice, nell'assegnare i termini per l'introduzione del procedimento di mediazione, ha espressamente richiamato il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr., Cass., S.U., 18 settembre 2020, n. 19596), in ragione del quale "nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo". Inoltre, nel richiamato provvedimento è stato esplicitamente precisato che il mancato esperimento della procedura è sanzionato, per la parte opposta, con la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale e con la conseguente revoca del decreto ingiuntivo. 2. È pacifico che la parte opposta, a ciò onerata, non ha attivato la procedura di mediazione, con ciò contravvenendo a quanto disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1 e 4, lett. a), del D.Lgs. n. 28 del 2010. Non vi è dubbio, pertanto, che l'inosservanza delle disposizioni dettate con l'ordinanza del 10.02.2022 abbia determinato una sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda monitoria, ponendo una questione pregiudiziale che assume valore dirimente rispetto allo scrutinio nel merito delle argomentazioni difensive delle parti. 3. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che alla dichiarazione di improcedibilità della domanda monitoria segue la condanna di parte convenuta opposta al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori minimi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) s.p.a., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA improcedibile la domanda monitoria proposta da (...) s.p.a. e, per essa, da (...) s.p.a.; REVOCA il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 193/2021 emesso dal Tribunale di Vasto in data 20.05.2021; CONDANNA (...) s.p.a., in persona dei legali rappresentati pro tempore, al pagamento, in favore di (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.066,50 (di cui Euro 145,50 per spese documentate, Euro 2.540,00 per compensi professionali ed Euro 381,00 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. - se dovuta - e C.P.A. come per legge; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 7 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 493/2018 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: altri istituti in materia di diritti reali possesso e trascrizioni. TRA (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ga.D'U. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), C.so (...), è elettivamente domiciliato; ATTORE E (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. An.BR. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), Via (...), è elettivamente domiciliato; CONVENUTO E (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Va.CI. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), via (...), sono elettivamente domiciliati; CONVENUTI (...), residente in Rimini (RN), alla via (...); CONVENUTA CONTUMACE NONCHÉ (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Am.LA. (c.f. (...)), presso il cui studio, con sede in Vasto (CH), C.so (...) n. 320, è elettivamente domiciliata; TERZA INTERVENUTA FATTO 1. (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...), (...), (...) e (...) per ivi sentir accertare e dichiarare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1158 e 1146 c.c., l'avvenuto acquisto per usucapione in proprio favore della quota di 4/5 dell'immobile sito in Vasto (CH), alla Via (...), int. 3, distinto al catasto urbano al fol. n. (...), rendita dominicale Euro 352,48, confinante con (...), con annessa pertinenza distinta al catasto urbano alla p.lla n. (...) e, conseguentemente, ordinare alla competente Conservatoria dei Registri Immobiliari di provvedere alla trascrizione dell'emananda sentenza; il tutto con condanna dei convenuti al pagamento delle spese e competenze di giudizio, oltre accessori. A sostegno della domanda, (...) ha premesso che l'immobile oggetto della domanda costituisce una casa di proprietà di (...), caduta in successione, alla morte di questa, in favore delle figlie (...) e (...) nella misura del 50% ciascuna. Alla morte di (...), la quota del 50% passava in successione all'attore (...) e ai figli dello stesso, (...) e (...), così risultanti titolare dei 3/6 della proprietà. Il restante 50% cadeva in successione, alla morte di (...), in favore dei figli della stessa, ovvero (...), (...) e (...), così risultanti titolari dei rimanenti 3/6 della proprietà. All'esito della rinuncia liberatoria alla propria quota da parte di (...) (pari ad 1/6) avvenuta in data 15.04.2015 e del conseguente accrescimento della quota degli altri comproprietari, le quote di comproprietà sono state redistribuite in quinti (anziché in sesti), con relativa attribuzione dei 3/5 in capo all'attore (...) (1/5) e ai suoi figli (...) (1/5) e (...) (1/5) e dei 2/5 in capo ai convenuti (...) (1/5) e (...) (1/5). L'attore ha, quindi, sostenuto di aver esercitato uti dominus, per oltre vent'anni, in maniera pacifica, pubblica e ininterrotta, il possesso indisturbato dell'immobile in questione, per effetto del disposto dell'art. 1146, I comma c.c., quale erede della propria consorte (...), cumulando il proprio possesso con quello della sua dante causa fino al 25.08.2011. 2. Sulla base delle circostanze appena riferite, l'attore, con atto depositato telematicamente in data 12/07/2021, ha concluso per l'accertamento e la dichiarazione dell'avvenuto acquisto per usucapione in proprio favore della quota di 4/5 della proprietà dell'immobile dinanzi descritto, con richiesta di condanna dei convenuti, in caso di ingiustificata opposizione, al pagamento delle spese e competenze di giudizio oltre accessori. 3. (...), sebbene ritualmente citata in giudizio, non si è costituita, né è personalmente comparsa in udienza, senza fornire alcun giustificato motivo della propria assenza. 4. (...) si è costituito in giudizio per contestare la domanda attorea, eccependo, attraverso una diversa ricostruzione fattuale: a) il mancato possesso esclusivo ultraventennale e, comunque, l'esplicazione dello stesso "uti condominus" e non "uti dominus" (avendo, tra l'altro, gli altri comproprietari provveduto al pagamento, per la propria quota, delle spese di conservazione del cespite); b) in ogni caso, l'interruzione del termine di usucapione, per aver egli stesso attivato procedura di mediazione ex D.Lgs. 28/2010, così ponendo in essere l'effetto interruttivo previsto da tale norma. Sulla base delle riferite deduzioni, (...) ha concluso per il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese ed onorari di causa. 5. Si sono costituiti in giudizio, con unico difensore, (...) e (...), non contestando la domanda attorea e, anzi, riconoscendo per vero quanto dall'attore dedotto ed esposto, rilevando la loro evocazione in giudizio quale atto meramente formale/processuale ed evidenziando la loro, anche pregressa, disponibilità ad ogni formalizzazione necessaria alla intestazione delle proprie quote comproprietarie in capo al proprio padre, ovvero l'attore (...). Sulla base delle riferite deduzioni, (...) e (...), sulla premessa della propria sostanziale e formale adesione alla domanda attorea per intervenuta usucapione, hanno concluso chiedendo unicamente il proprio esonero dal pagamento delle spese e competenze di lite. 6. Con atto di intervento volontario depositato in data 19.11.2018, si è costituita in giudizio (...) - nella qualità di acquirente della quota di 2/5 di proprietà dei convenuti (...) (1/5) e (...) (1/5) giusta atto di compravendita n. 23735 del 25.09.2018 per Notaio (...) in Cupello - per aderire alle difese dei propri danti causa e contestare la domanda attorea, sulla scorta delle medesime eccezioni e contestazioni di merito. Pertanto, con atto di precisazione delle conclusioni del 08/07/2021, ha concluso per il rigetto della domanda, con richiesta di condanna dell'attore al pagamento delle spese e competenze di lite. DIRITTO 1. Stante la mancata costituzione in giudizio della parte convenuta (...), deve preliminarmente dichiararsene la contumacia, all'esito di una positiva verifica sulla ritualità della notifica dell'atto introduttivo e, quindi, sulla regolare instaurazione del contraddittorio. 2. La domanda principale è infondata e, pertanto, non merita di essere accolta. Dagli esiti dell'istruttoria, dall'escussione dei testimoni ammessi e dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, si può ritenere raggiunta la prova in ordine alle seguenti circostanze. È comprovato in atti e, in ogni caso, incontestato tra le parti che l'immobile per cui è causa è stato di proprietà esclusiva di (...) (madre di (...) e (...)) fino alla dipartita della stessa, avvenuta in data 04.01.1995. Alla morte della madre, l'immobile è caduto in successione, per quota paritaria al 50%, a favore delle suddette figlie (...) e (...). Alla morte di (...), avvenuta in data 25.08.2011, la sua quota del 50% è caduta in successione a favore del di lei consorte (...) (attore) e dei figli di entrambi, (...) (convenuta) e (...) (convenuto). Alla morte di (...), avvenuta in data 24.02.2012, la sua quota del 50% è caduta in successione in favore dei propri figli (essendo premorto il consorte (...)), (...) (convenuta contumace), (...) e (...) (convenuto). Le quote di comproprietà sono state ripartite in frazione di sesto (1/6 pro capite) fino all'atto di rinuncia posto in essere in data 15.04.2015 da (...) (giusta atto n. 18382 del 15.04.2015 per Notaio in Napoli Dott. (...): cfr. doc. 20 produzioni attoree), con consequenziale accrescimento della quota comproprietaria degli altri intestatari superstiti e diversa ripartizione in frazione di quinto (ovvero 1/5 pro capite). 3. Dovendo esaminare, in via logicamente prioritaria, l'eventuale decorrenza del termine ultraventennale utile ai fini ex art. 1158 c.c., la ricostruzione cronologica che precede rende evidente come l'attore possieda - quantomeno "uti condominus" (in ragione della quota di 1/5 ereditata dalla consorte (...)) - a far data dal decesso della stessa (25.08.2011). L'attore ha invocato l'art. 1146, I comma c.c. al fine di cumulare tale più recente possesso con quello della consorte e dante causa (...), la quale, tuttavia, ha iniziato il possesso esclusivo della propria quota paritaria solo a partire dal 04.01.1995, data di decesso della madre (...), unica ed esclusiva proprietaria dell'immobile fino al trapasso. Ed infatti, la circostanza che l'attore (...) sia residente nell'immobile in discussione a far data dal 13.06.1973 (così come attestato dal certificato sub. n. 2 delle produzioni attoree) rende verosimile che lo stesso (unitamente alla propria famiglia) abbia - conformemente a quanto allegato dal convenuto (...) nella comparsa di costituzione - coabitato con la propria suocera fino al decesso della stessa. La predetta situazione di coabitazione esclude categoricamente che il possesso esercitato da (...) sull'immobile possa essere unito a quello esercitato da (...), ai fini della maturazione del ventennio utile per l'usucapione, quantomeno fino alla data del decesso di (...) (04.01.1995), e ciò per l'evidente ragione che, fino a quando quest'ultima ha vissuto all'interno del proprio appartamento, non è potuto configurarsi il requisito dell'esclusività del possesso a fini dell'usucapione. Ne consegue che il termine utile a verificare la maturazione del possesso ultraventennale da parte di (...) deve farsi decorrere, al più, dalla data del 04.01.1995, momento in cui, con il venir meno della (...), è potuto iniziare il possesso esclusivo della dante causa dell'attore, (...). Senonché, è comprovato in atti (cfr. doc. 9 fascicolo di (...)) come, in data 20.01.2014, vale a dire prima della maturazione del ventennio decorrente dal 04.01.1995, il convenuto (...) abbia attivato la procedura di mediazione ex art. 5 del D.Lgs. 28/2010 (obbligatoria, tra l'altro, in materia di divisione, diritti reali e successioni ereditarie) al fine di "sciogliere la predetta comunione con liquidazione del valore della propria quota di partecipazione" (riguardante anche altro cespite non oggetto della presente causa), convocando tutti i soggetti cointestatari. L'attivazione di detta procedura, che ha avuto esito negativo al primo incontro per mancata adesione delle parti convenute, ha sicuramente valenza quale atto interruttivo della prescrizione acquisitiva nella quale si sostanzia l'usucapione, sulla scorta di quanto prescritto dall'art. 5, VI comma, del D.Lgs. 28/2010, il quale recita testualmente che "Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo". La inequivoca portata testuale di detta norma è stata ribadita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass. S.U. n. 17781/2013), secondo la quale l'ultimo comma dell'art. 5 del D.Lgs. 28/2010 "parifica la domanda di mediazione per la conciliazione sul diritto controverso alla "domanda giudiziale" di tutela di tale situazione soggettiva ai fini della prescrizione, stabilendo che l'istanza di mediazione, come accade per ogni domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2943 c.c., commi 1 e 2, e art. 2945 c.c., interrompe la prescrizione del diritto controverso (su tale interruzione cfr., di recente, Cass. 10 aprile 2013 n. 8686 e 14 dicembre 2012 n. 23017)". Considerato che l'interruzione della decadenza e della prescrizione prevista dall'art. 5, comma 6, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 in materia di mediazione obbligatoria, si verifica per effetto non già della mera presentazione dell'istanza di mediazione, ma solo nel momento in cui essa è comunicata alle altre parti (adempimento a cui può provvedere, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lo stesso istante), non può essere posto in dubbio che, nel caso di specie, tale incombenza sia stata curata quanto meno alla data del 20/01/2014, in concomitanza con le attività risultanti dal verbale della procedura di mediazione n. 84/2013. L'antecedenza di tale data rispetto a quella di maturazione del termine ventennale di usucapione (04.01.2015), esclude ogni congettura di usucapione ed, avendo carattere assorbente, rende ultronea ogni analisi sulla sussistenza degli ulteriori presupposti necessari all'acquisto per usucapione, rispetto ai quali - peraltro - sono state dedotte non sempre pertinenti circostanze di fatto. 4. Sulla scorta delle considerazioni fin qui esposte, ricorrono plurime e fondate argomentazioni che conducono all'inevitabile rigetto della domanda di usucapione. 5. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che al rigetto della domanda segue la condanna di parte attrice al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia; in particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, con riduzione del 30%, ex art. 4, IV comma, applicabile ai compensi liquidabili in favore della difesa della intervenuta (...), che, avendo acquisito la medesima posizione processuale del convenuto (...), non ha comportato l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto. Deve essere, invece, disposta la compensazione delle spese tra l'attore e i convenuti (...) e (...), in ragione della sostanziale adesione di questi alla domanda principale. Nel rapporto processuale con (...), poiché la parte vittoriosa è rimasta contumace, non vi sono spese di lite da ripetere in suo favore da parte dell'attore soccombente. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), (...), (...), (...), nonché della intervenuta (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA la contumacia di (...); RIGETTA la domanda di cui in epigrafe; CONDANNA (...) al pagamento, in favore del convenuto (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.650,25 (di cui Euro 4.835,00 per compensi professionali ed Euro 725,25 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; CONDANNA (...) al pagamento, in favore della convenuta (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.892,18 (di cui Euro 3.384,50 per compensi professionali ed Euro 507,68 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; DICHIARA interamente compensate le spese del presente giudizio tra l'attore (...) e i convenuti (...) e (...); NULLA dispone in ordine alle spese nel rapporto tra l'attore e la convenuta contumace (...); MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 9 luglio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Franca Malatesta, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n.1226/2016 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Servitu. TRA (...) ((...)) e (...) ((...)), rappresentati e difesi dall'avv. Si.Pr. con studio in Lanciano e dall'avv. Ma.No., con studio in Vasto, ivi elettivamente domiciliati; ATTORI E (...) ((...)) e (...), rappresentati e difesi dall'avv. Vi.Ma., con studio, in Vasto, alla Via (...), ivi elettivamente domiciliati. CONVENUTI FATTO (...) e (...) hanno convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...) e (...), per ivi sentir 1) accertare e dichiarare l'inesistenza di qualsiasi servitù di passaggio sulla proprietà del sig. (...) e della sig.ra (...) in favore degli odierni convenuti, 2) condannare i convenuti al risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa, arrecato in conseguenza delle molestie nel godimento della piena e legittima proprietà e dell'interferenza illecita nella vita privata di parte attrice; 3) condannare i convenuti al risarcimento del danno per lite temeraria, ex art. 96 c.p.c., nella misura ritenuta equa e di giustizia; 4) con vittoria di spese e competenze di lite. A sostegno della domanda hanno dedotto i coniugi (...) di aver acquistato da (...), con atto pubblico per Notar (...) del 15.12.2008, rep. (...), racc. (...), la proprietà di un fabbricato, con relative pertinenze, sito in V., in catasto fg.(...), p.lle (...) sub. (...), (...) e (...) sub.(...); dopo essere stati dal venditore rassicurati circa l'inesistenza di oneri, pesi e/o servitù; e che, nella parte retrostante del fabbricato, insiste sulla p.lla (...) un cortile delimitato da recinzione metallica. Hanno evidenziato che nell'estate del 2009, rientrati in Italia dal Belgio per trascorrere un periodo di ferie, hanno trovato la recinzione metallica totalmente rimossa ed i confinanti coniugi (...) che pretendevano di esercitare la servitù di passaggio su detto cortile, pur accedendo i medesimi alla loro abitazione attraverso il Vico VII di Corso (...) e da Via (...) attraverso il terreno di loro proprietà di cui alla p.lla n.. Hanno riferito circa l'inutilità dei tentativi di comporre bonariamente la questione. Si sono costituiti in giudizio (...) e (...) i quali hanno eccepito di aver acquistato con atto per notar (...) del (...) (Rep. n. (...), registrato in Lanciano il 2 settembre 1970 al n. 1420 del Vol. n. 195), in comunione dei beni, un piccolo immobile in agro di V. al vico 7 di Corso (...), civico n. (...), in catasto al foglio n. (...), particella n. (...), sub. (...); con accesso da Corso (...) attraverso il vico 7, all'attualità senza alcuna indicazione visibile; di aver successivamente acquistato da (...) e (...), con rogito per notar (...) del 1 ottobre 1993 (Rep. n. (...), registrato in Lanciano l'8 ottobre 1993 al n. 1573, Sez. IV), due unità immobiliari nel medesimo Comune: la prima al vico 7 di corso (...) e l'altra al vico 8 dello stesso corso, in catasto al foglio n. (...), rispettivamente, nella particella n. (...), sub. (...) e sub. (...); nonché un terreno adiacente a dette unità, sempre in foglio n. (...), alla particella n. (...). Hanno aggiunto che l'accesso all'unità sub. (...) avveniva da Corso (...) attraverso il vico 7, all'attualità senza alcuna indicazione visibile; mentre per il sub. (...) l'accesso avveniva da Corso (...), attraverso il vico 8, ugualmente senza alcuna indicazione visibile. Hanno dedotto che, dopo lavori di ristrutturazione, le predette due unità immobiliari sono state unite in un'unica, come da denuncia di variazione n. 1179 per fusione (21 dicembre 1995) all'UTE di Chieti, con la quale venivano soppressi i subalterni n. 2 e n. 3 con la costituzione del subalterno (...). Hanno evidenziato che il fabbricato di essi (...) - (...) è stato sempre servito da una corte che, dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo (...) di Corso (...). Detta corte è stata da sempre comodamente, pacificamente, continuativamente ed ininterrottamente utilizzata da (...) ed (...), nonché dai loro precedenti danti causa tutti, per raggiungere il proprio immobile, in un percorso largo circa un metro, che insiste sull'area di corte. Hanno rappresentato che, in seguito all'acquisto da parte di (...) e (...) di una porzione della particella (...) e della particella (...) del foglio n. (...), nello stato di fatto, per notar (...) del (...) (rep. n. (...), racc. n. (...)), ovvero quasi quarant'anni dopo l'acquisto dei (...), seguiva illegittima interclusione del piccolo spiazzo operata dal (...), che ha impedito ogni passaggio ai (...) per accedere alla proprietà. Hanno riferito che il Tribunale di Vasto, su ricorso di essi coniugi (...), con giudicato possessorio (RG 1406/09), ha condannato gli odierni attori alla rimozione di una recinzione illegittimamente apposta, conclamando il possesso ultra - trentennale degli scriventi, giusta ordinanza (prot. (...) del 13 ottobre 2010) per dr. (...); e che, per i medesimi fatti è stato attivato pure procedimento penale per inottemperanza all'ordine del giudice e per minacce, illeciti patiti sempre a causa del (...), conclusosi con la condanna del (...), giusta decisione del Tribunale di Vasto - sez. Penale - giudice monocratico (1384/13 RGNR - sent. 301/16). Hanno eccepito, in diritto, l'insistenza del danno subito dagli attori, per essere, al contrario, il danno stato perpetrato dagli attori nei confronti dei convenuti; l'insussistenza della lite temeraria a carico dei convenuti, bensì la sussistenza a carico degli attori e l'inesistenza di alcun diritto assoluto degli attori, sussistendo in favore dei convenuti servitù di passaggio, da usucapione ultraventennale. In corso di causa gli attori hanno aggiunto alle proprie conclusioni, con la memoria ex art. 183, co.1, c.p.c., in via subordinata, la domanda di accertamento e declaratoria di estinzione della servitù di passaggio per non uso ventennale da parte dei coniugi (...). Sono state, quindi, ammesse le prove richieste dalle parti; precisate le conclusioni e assegnata la causa in decisione, alla scadenza dei termini di legge la causa è stata rimessa sul ruolo al fine di acquisire ctu volta a determinare la ricorrenza delle condizioni indicate da parte convenuta. Espletata ctu a mezzo dell'ing. (...), veniva fissata al 12 maggio 2020 l'udienza per la precisazione delle conclusioni. Con decreto del 5 maggio 2020 la causa è stata rinviata all'udienza del 4 giugno 2020, in ossequio alle tabelle del magistrato nelle more assegnatario del procedimento, nonché disposta la trattazione scritta dell'udienza, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Ha fatto seguito, dipoi, provvedimento di variazione tabellare del 7 gennaio 2021, con il quale il procedimento iscritto al n. 1226/2016 veniva assegnato allo scrivente magistrato che, con decreto in data 17 febbraio 2021, ha rinviato la causa davanti a sé, all'udienza del 21 maggio 2021, al fine di trattenere la causa in decisione, senza ulteriore concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. DIRITTO La domanda è parzialmente fondata e, pertanto, meritevole d'accoglimento, nei limiti di seguito indicati. Preliminarmente, osserva il giudicante che la comparsa conclusionale di parte convenuta, depositata in data 22 giugno 2021, non era stata autorizzata e pertanto la stessa non è utilizzabile: infatti, nel decreto di fissazione udienza mediante trattazione scritta del 17 febbraio 2021 si legge "non assegna alle parti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., essendo già stati concessi". Gli attori si sono azionati per sentir dichiarare l'inesistenza di qualsiasi servitù di passaggio sulla loro proprietà, a favore dei convenuti e questi ultimi, nel chiedere il rigetto della domanda attorea, hanno eccepito di aver acquisito il diritto di servitù di transito a favore dell'unità individuata in catasto al fg. (...), part. n. (...) sub (...) e a peso delle particelle n. (...) e n. (...) del fg. (...), ovvero per accedere all'immobile di proprietà da Vico VIII di Corso (...), passando sulla corte di proprietà attorea, per usucapione; o per destinazione del padre di famiglia. Per quanto attiene all'acquisto per usucapione ventennale, occorre chiarire che il termine iniziale non può individuarsi nel 31 agosto 1970, data di acquisto da parte degli odierni convenuti in comunione dei beni, dell'immobile in agro di Villalfonsina al Vico 7 di Corso (...), civico n. (...), in catasto al foglio n. (...), particella n. (...), sub. (...), con accesso - per l'appunto - da Corso (...) attraverso il Vico 7, bensì, semmai, con il 1 ottobre 1993, data di acquisto da (...) e (...) delle unità immobiliari site nel medesimo Comune, in catasto al foglio (...), p.lla (...) sub. (...) e p.lla (...) sub (...), con terreno adiacente, fg. (...) p.lla (...). Senonché, dalla lettura dell'atto di acquisto e dalla richiesta di concessione edilizia n.33 dell'11 giugno 1994, emerge l'impossibilità da parte dei coniugi (...) di unire il possesso a quello dei loro danti causa al fine del computo del termine utile per l'usucapione (art. 1146, co. 2, C.C.). Si legge infatti, nell'atto di acquisto che gli odierni convenuti "? accettano quanto segue: vecchia, cadente, inabitabile, casa di abitazione, disabitata da anni e da demolire ..." e nella relazione accompagnatoria della richiesta predetta concessione "Il fabbricato interessato ai lavori è ubicato nel centro urbano del Comune di V., vico 7 di corso (...) e consta di n. 3 piani fuori terra. È da diversi anni disabitato, in precarie condizioni di stabilità, con parti già in parte crollate come i balconi e la gradinata esterna ...". E' evidente, quindi, che l'esercizio della servitù di passaggio, della quale si ha contezza dalle dichiarazioni degli informatori sentiti nel procedimento possessorio n. 1406/2009, versate in atti e dalle prove orali assunte nel presente procedimento è stato interrotto per anni, con conseguente impossibilità per i convenuti coniugi (...) - (...) di giovarsi del possesso dei propri danti causa. Resta da esaminare se l'usucapione ventennale si sia perfezionata a decorrere dall'ottobre del 1993, meglio, dall'11 giugno 1994 (data rilascio concessione all'esecuzione dei lavori edili da parte del Comune di Villalfonsina), sussistendo almeno astrattamente tale possibilità, atteso che l'atto introduttivo del presente giudizio risulta notificato tramite spedizione mediante il servizio postale effettuata in data 30 novembre 2016. Presupposti per l'usucapione sono la prova del possesso per un periodo di tempo - come si è appena detto - non inferiore a venti anni, continuato, non violento, non clandestino, la prova dell'animus di esercitare la servitù di passaggio; deve essere, altresì, soddisfatto il requisito dell'apparenza. La costituzione della servitù di passaggio, sia per usucapione, sia per destinazione del padre di famiglia, infatti, può avvenire solo per le servitù c.d. apparenti, cioè per quelle servitù che si manifestano con opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio (ad es. la presenza di un viottolo che percorre il fondo servente, che si è formato per effetto del passaggio continuo); e questo, per evitare che comportamenti solamente tollerati o addirittura clandestini possano portare all'usucapione di una servitù. Dagli esiti dell'istruttoria e, in particolare, dall'escussione dei testimoni ammessi e dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, si può ritenere raggiunta la prova in ordine al passaggio esercitato per un periodo di tempo superiore al ventennio, in modo non clandestino, pacifico e continuo, con l'animus di esercitare la detta servitù. La teste (...) (ud. 12.12.2017) ha affermato "... E' vero il fabbricato (...) - (...) è stato sempre servito da una corte che dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo 8 di Corso (...). Prima che i convenuti acquistassero la proprietà era di due fratelli prima ancora non lo so". E, ancora:" E' vero detta corte è stata da sempre utilizzata da (...) ed (...) nonché dai loro danti causa per raggiungere l'immobile in un percorso largo un metro. Nello spiazzo retrostante il fabbricato invece si riunivano le persone ed era un luogo di ritrovo"; La teste (...), residente in Corso del P. V. V., afferma "E' vero il fabbricato (...) - (...) è stato sempre servito da una corte che dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo 8 corso (...) come da planimetria allegato n.3 alla perizia di parte convenuta". E continua: " E' vero detta corte è stata da sempre utilizzata da (...) ed (...) nonché dai loro dante causa per raggiungere l'immobile in un percorso largo un metro all'incirca dal 1960 perché nel 1953 facevo catechismo". Conferma l'esercizio del passaggio anche la teste (...) (ud. 27 marzo 2018), residente al Corso (...), V. V., che afferma: "L'accesso all'immobile avveniva ed avviene attraverso il vico VIII"; e, ancora: "E' vero il fabbricato dei coniugi (...) è stato sempre asservito da una corte che dipartendosi dall'ingresso ex sub (...) del fabbricato di proprietà conduce al limitrofo vicolo (...) di corso (...)". " E' vero detta corte è stata da sempre utilizzata dai coniugi (...) e prima dai loro dante causa per raggiungere l'immobile in un percorso largo più di un metro". Nello stesso senso le dichiarazioni rese dagli informatori, nel procedimento possessorio n. 1406/2009 promosso dai coniugi (...) - (...), tutte rese previa assunzione dell'impegno di rito. L'informatrice (...), residente in Corso del P., V. I. (chiarito in corso di causa che il Vico indicato come IX corrisponde in realtà al Vico VIII) ha riferito: "... So che i ricorrenti da sempre e cioè ben prima che acquistassero l'immobile dove abitano passavano su detto spiazzo. Successivamente all'acquisto dell'immobile e cioè nei primi anni '90, i ricorrenti accedevano alla porta dello stesso percorrendo il vicolo 8 e, giunti allo spiazzo stesso, entravano in casa. Posso precisare che il vicolo è carrabile e ciò fino alla fine. Infatti i ricorrenti entravano assai spesso, anzi quasi sempre, nel vicolo; alla fine della strada parcheggiavano e scaricavano la vettura, provvedendo a portare ogni cosa, alimenti e quant'altro, oppure mobili, passando sullo spiazzo ed entrando da lì nella porta di casa". L'informatore (...) (nato a V. nel (...)) ha ricostruito i passaggi delle unità immobiliari di proprietà dei convenuti: "Conosco perfettamente i luoghi per cui è causa. Conoscevo, infatti, il signor (...) che era il proprietario dell'immobile oggi in proprietà dei (...) che lo hanno acquistato dal nipote del (...) stesso, successore di tale ultimo. Posso riferire che quando ero più giovane mi sono recato più volte a casa del (...) ed accedevamo a casa dello stesso passando per il vicolo 8, ciò con una vecchia "topolino" del (...) ed accedevamo a casa dello stesso passando sullo spiazzo. Ciò attraverso la porta stessa che attualmente conduce a casa dei ricorrenti. Tutto ciò è successo da sessanta anni a questa parte. Vado a casa dei (...) da quando loro hanno acquistato quell'immobile e cioè dal 1993. Passo sempre per il vicolo 8 e poi entro nello spiazzale per entrare nella porta di casa loro. Più volte mi sono fermato intrattenendomi sullo spiazzale con i ricorrenti. Questi hanno sempre usato lo spiazzo per fare conserve, pomodori e quant'altro; per stendere i panni e per fare diverse faccende quali carichi e scarichi di merci che portavano con la macchina fino alla fine del vicolo. Più volte li ho aiutati io stesso a caricare e scaricare merce, trasportandola dalla macchina alla casa proprio attraverso lo spiazzo. Abbiamo usato quello spazio anche per intrattenerci tutti insieme e vi abbiamo anche mangiato. I (...) infatti, spesso ci poggiavano un tavolo e delle sedie". C. la dichiarazione dell'informatore (...): "conosco i luoghi per cui è causa perché sono un vicino dei ricorrenti. Essendo loro amico, più volte mi sono recato in casa dei (...) assieme a mia moglie presso casa loro, prendendo il vicolo 8 ed arrivando allo spiazzo, spazio su cui è presente l'ingresso". (...), sempre nella fase possessoria, ha detto: "conosco i fatti di causa perché sono nata nella casa che oggi è di (...). L'immobile era di mio padre che l'ha lasciato in eredità a mio fratello, (...). Oggi io quando vado a V., abito di fronte, ovvero su vico 8. Ricordo che i proprietari dell'immobile che oggi è dei (...), signori (...), passavano tranquillamente sullo spazio innanzi all'immobile, appunto, dei (...) (allora (...)). Avevano, quindi, un passaggio sin dai primi del '900. Nessuno ha mai impedito il passaggio su quello spazio da cui si accede all'immobile dei ricorrenti: né i miei nonni e nemmeno alcun altro. Attualmente il passaggio era pacificamente aperto e libero. Infatti, più spesso negli anni sono andato sul posto per cui è causa passando attraverso lo spiazzo ed entrando in casa dei (...). Lo spiazzo, come detto era completamente aperto e libero. Ci siamo più volte trattenuti con i (...) sullo spiazzale, intrattenendoci anche per cene o pranzi o solo per parlare ...". Non supportato da prova è risultato l'assunto di parte attrice secondo il quale i (...) avrebbero apposto, all'atto della fusione dei fabbricati, una recinzione per "delimitare la loro proprietà a confine con la particella n. (...), al tempo di (...) e successivamente acquistata dai (...)". In merito, nessun teste né informatore ha riferito sulla presenza della detta recinzione, eccezion fatta per i testi (...) e (...), fratello e cognata dell'attore, peraltro residenti in Belgio, i quali sul punto risultano inattendibili. Sussiste anche il requisito della continuità del possesso, dal momento che l'esito favorevole agli odierni convenuti del procedimento possessorio ha prodotto in capo ai medesimi l'effetto di cui all'art. 1167, co. 2, c.c., e a nulla valendo lettere di diffida (come quella datata luglio 2012, doc.7 all. atto di citazione) o di messa in mora: tali atti, infatti, idonei ad interrompere il decorso della prescrizione per i diritti obbligatori, come i diritti di credito, non impediscono l'esercizio del possesso da parte del terzo, che ben può esercitarlo anche in contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale (Cass. civ. Sez. II, 29 luglio 2016, n. 15927). Solo la domanda giudiziale, precisamente, la notificazione dell'atto con cui inizia il giudizio (art. 2943 c.c.) diretto al recupero del possesso interrompe il decorso del tempo utile per l'usucapione (Cass., 16861/2013); ma, come si è detto sopra, nella fattispecie concreta la notifica dell'atto di citazione da cui è originata la causa in oggetto è stata effettuata 22 anni dopo l'inizio dell'esercizio della servitù da parte dei convenuti. Gli attori, ai fini dell'interruzione dell'usucapione, hanno eccepito di aver introdotto un procedimento di mediazione, fornendo a sostegno prova documentale (verbale di primo incontro, doc. n. 19 all. atto di citazione). La domanda di mediazione deve ritenersi valido atto interruttivo dell'usucapione. L'articolo 5, comma 6, del D.Lgs. n. 28 del 2010, infatti, sancisce l'equiparazione della domanda di mediazione alla domanda giudiziale in relazione agli effetti sulla prescrizione (articolo 5, comma 6: "Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo"). Tuttavia, anche questo atto è tardivo rispetto all'interruzione del termine per l'usucapione, leggendosi nel verbale di primo incontro che la comunicazione agli odierni convenuti è stata effettuata in data 22 luglio 2016. L'unico requisito che manca, al fine dell'accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione della servitù di passaggio, è la presenza di opere visibili e permanenti, obiettivamente destinate al suo esercizio, che siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo prescritto dalla legge (Cass., 21.07.1989, n. 3472). Più precisamente, "Se un sentiero costituisce passaggio da un fondo ad un altro del medesimo proprietario, per l'acquisto per usucapione della servitù di transito attraverso di esso a favore di un fondo appartenente ad un altro soggetto, è necessaria l'esistenza di ulteriori opere, visibili e permanenti, da cui il giudice del merito possa desumere inequivocabilmente la destinazione anche al servizio di questo, quali per esempio un tracciato di collegamento (Cass., 23.06.1998, n. 6207). Avrebbe, in tal senso, giovato alla posizione dei convenuti la ricostruzione della gradinata esterna, orientata verso Vico IX di Corso (...) che dava accesso al piano 1, in quanto, come afferma il ctu nel proprio elaborato, il sedime della scala (in parte crollata, in parte demolita) dimostra che la parte iniziale di detta scalinata si collocava "su quella che attualmente appare essere la sola particella n." (figura 2, a pagina 8 dell'elaborato), "circostanza confermata da una sovrapposizione grafica in scala più ampia allegata alla presente". Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia) si configura, infatti, come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti, in modo non equivoco, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile; ne consegue che, per l'acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l'esistenza di una strada o di un percorso all'uopo idonei, essendo, viceversa, essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù (Cass. Civ., n. 13238/2010; Cass. Civ., sez. II, 25/10/2017, n.25355). Conforme alle citate pronunzie è, da ultimo, la recente ordinanza del 6 maggio 2021, n. 11834, con la quale la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva ritenuto acquisita, per usucapione, la servitù di passaggio su di una scalinata presente sul fondo dei convenuti ed utilizzata dall'attrice per accedere alla propria cantina, collocata sul fondo costeggiato dalla scalinata medesima, nonostante quest'ultimo avesse altro accesso dalla pubblica via e la scalinata fosse stata realizzata non già per accedere a detta cantina, ma per collegare due strade pubbliche, collocate una a monte e l'altra a valle. L'inesistenza sul fondo degli attori, di opere visibili e permanenti, realizzate con lo scopo preciso di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello di essi attori, (per l'appunto) preteso servente, determina il rigetto della domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione. Si perviene, quindi, all'esame della domanda di acquisto della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia. Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che "Una servitù di passaggio può ritenersi costituita per destinazione del padre di famiglia solo quando la cessazione dell'appartenenza dei due fondi all'originario unico proprietario si sia verificata dopo l'entrata in vigore dell'attuale codice civile. Infatti, l'art. 1061 cod. civ., che ha ammesso questo modo di costituzione, anche per le servitù discontinue, tra le quali rientra quella di passaggio, ha carattere innovativo, per cui non è applicabile retroattivamente a situazioni esauritesi quando era ancora in vigore l'art. 629 del codice del 1865, per il quale potevano costituirsi per destinazione del padre di famiglia soltanto le servitù continue ed apparenti" (22.10.1998, n. 10475). Osta, pertanto, alla costituzione della servitù di passaggio in favore dei convenuti ex art. 1062 c.c., il suddetto orientamento della Corte di Cassazione, confermato peraltro con pronunzia più recente, secondo la quale "Gli artt. 1061 e 1062 cod. civ., che consentono l'acquisto per usucapione e per destinazione del padre di famiglia delle servitù apparenti, anche se discontinue (nella specie, servitù di passaggio), hanno carattere innovativo rispetto all'art. 630 del codice civile del 1865, che disponeva che le servitù continue non apparenti e le servitù discontinue, apparenti o meno, non potevano costituirsi se non mediante titolo. Ne consegue che le citate norme del vigente codice civile non possono trovare applicazione rispetto a situazioni esauritesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore" (Cass., sezione II, 29 aprile 2015, n. 8725). La cessazione dell'appartenenza dei fondi allo stesso proprietario, infatti, nel caso in esame, risale ad epoca anteriore al 3 giugno 1940 - come da planimetrie catastali allegate alla c.t. di parte convenuta redatta dall'arch. G.N., relative rispettivamente alle particelle n. (...) sub (...) e (...) sub (...), intestate a (...), ovvero a periodo anteriore all'entrata in vigore del codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262, pubbl. in G.U. 04.04.1942, n.79). L'accoglimento della domanda principale formulata dagli attori esclude l'esame della domanda subordinata di cui al punto n.2) delle conclusioni rassegnate nella memoria ex art. 183, co.6, n.1, c.p.c.. Il capo della domanda attorea relativo al risarcimento del danno per molestie, da liquidarsi in via equitativa, è rimasto del tutto sfornito di prova: infatti, non sono stati articolati capitoli di prova sul punto e le produzioni allegate all'atto di citazione (verbali del processo penale e relativa sentenza monocratica) dimostrano semmai l'inottemperanza del (...) al Provv. possessorio n. 1406 del 2009 emesso dal Tribunale di Vasto, Giudice dott. (...) e la condanna subita dall'odierno attore per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art.393, co. 1 e 2 c.p.), senza concessione delle attenuanti generiche "avendo perseverato in una condotta che lo aveva visto soccombente nel giudizio civile possessorio". Dunque, nessuna molestia è stata perpetrata dai coniugi (...), nessuna interferenza illecita nella vita privata; d'altra parte, la reintegra nel possesso del piazzale (c.d. "spiazzo" adiacente alla parte dell'edificio di proprietà degli attori che si affaccia sulla p.lla (...) di proprietà degli odierni convenuti) comportava il passaggio sulla proprietà dei coniugi (...). Neppure si ravvisano, a carico dei convenuti, gli estremi della lite temeraria. L'art. 96 c.p.c. richiede, infatti, oltre alla soccombenza, la prova dell'altrui malafede o colpa grave nel (l'agire o) resistere in giudizio e la prova del danno subìto a causa della condotta temeraria della controparte. Pertanto, è necessario dimostrare l'esistenza sia dell'elemento soggettivo consistente nella consapevolezza o nell'ignoranza colpevole dell'infondatezza della propria tesi, sia di quello oggettivo, ovvero il pregiudizio subìto a causa della condotta temeraria della parte soccombente. Difettano nel caso in esame: l'elemento psicologico, sia a motivo della citata pronunzia possessoria, sia per la sussistenza della quasi totalità dei presupposti integranti l'acquisto della servitù di passaggio per usucapione; l'elemento oggettivo, non essendo stati forniti elementi probatori tali da provare l'esistenza del danno ed essendosi concluso, peraltro, il processo derivante dalla querela sporta nei confronti di (...) - culmine, secondo gli assunti attorei, delle molestie perpetrate dai convenuti - con la condanna del medesimo per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393, co.1 e 2 c.p.). Del pari, per le stesse ragioni, non possono trovare accoglimento le speculari richieste formulate dai convenuti i quali nulla hanno provato in ordine ad elemento soggettivo ed oggettivo con riferimento a molestie e/o comportamenti costituenti interferenze nella vita privata, attuate dagli attori. L'accoglimento della domanda attorea, infine, esclude qualsiasi ipotesi di azione temeraria da parte dei coniugi (...) - (...). Da ultimo, si rileva che i convenuti non hanno dato seguito al capo della domanda sub (...)) formulato nella memoria di costituzione con domanda riconvenzionale di usucapione. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda principale segue la condanna di parte convenuta al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia (euro 5.200,00,). In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del (...) n. 55 del 10 marzo 2014, aumentati del 60 per cento (art. 4, co.1, cit. D.M.). Anche le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente ed interamente a carico della parte convenuta, con espresso riconoscimento del diritto di parte attrice di ripetere, nei confronti della soccombente, le somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. in via di anticipazione. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) e (...) nei confronti di (...) e (...), nonché sulle domande riconvenzionali da questi ultimi formulate, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: 1. dichiara l'inesistenza di qualsiasi servitù di passaggio sulla proprietà di (...) e (...) in favore dei convenuti; 2. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dagli attori, relativamente a molestie nel godimento della proprietà ed interferenza illecita nella vita privata; 3. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dagli attori ex art. 96 c.p.c.; 4. rigetta la domanda riconvenzionale, formulata dai convenuti, di acquisto della servitù di passaggio per usucapione; 5. rigetta la domanda riconvenzionale, formulata dai convenuti, di acquisto della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia; 6. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dai convenuti, relativamente a molestie nel godimento della proprietà ed interferenza illecita nella vita privata; 7. rigetta la richiesta di risarcimento del danno formulata dai convenuti ex art. 96 c.p.c.; 8. condanna (...) e (...) in solido tra loro al pagamento, in favore della parte attrice, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.611,60 (di cui Euro 140,40 per spese documentate, Euro 2.430,00 per compensi professionali, euro 1.458,00 per aumento del 60% ed Euro 583,20 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; 9. pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese della consulenza tecnica d'ufficio, per l'importo come liquidato in corso di causa, dichiarando espressamente ripetibili nei confronti dei convenuti quelle eventualmente anticipate al c.t.u. da parte attrice. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 23 maggio 2022. Depositata in Cancelleria 23 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 2/2019 del Ruolo Generale Affari Civili avente ad oggetto: Responsabilità ex art. 2051 c.c. TRA (...) c.f. (...), residente in Chieti, rappresentato e difeso dagli avv.ti Si.Di. e Ma.Sa. ATTORE E (...) SpA con sede in Roma c.f. (...) in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Di.; CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che: ai sensi dell'art. 132 c.p.c. comma 2, n. 4 (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009), n. ' la sentenza deve contenere "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione" (e non più "la concisa esposizione dello svolgimento del processo"); ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009) la "motivazione della sentenza di cui all'art. 132, comma 2, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". Pertanto, con riguardo allo svolgimento del processo saranno richiamati unicamente gli eventi rilevanti ai fini della decisione. (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, l'(...) SpA per ivi sentir dichiarare la convenuta responsabile del sinistro descritto nell'atto introduttivo e condannarla al risarcimento dei danni che ne sono conseguiti, quantificati in Euro 12.097,370 a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale con interessi e rivalutazione dal giorno del sinistro al saldo, il tutto con vittoria di spese e competenze di lite. L'atto di citazione risulta notificato a mezzo pec in data 28 dicembre 2018. A sostegno della domanda, l'attore ha dedotto che, in data 12.07.2015, alle ore 10.40 circa, esso istante mentre percorreva, alla guida della propria bicicletta, la SS. 16 nord, all'altezza del Km 514 VIII, mentre proseguiva la marcia accostandosi al margine destro della strada per non essere investito dalle auto che lo sorpassavano, cadeva rovinosamente a terra a causa di una fenditura non segnalata e non visibile in cui si incastrava la ruota anteriore della detta bicicletta; immediatamente soccorso, veniva trasportato presso l'Ospedale Civile di Vasto, dove a seguito delle cure del caso, veniva formulata la seguente diagnosi: "lussazione acromionclaveare". Pertanto, veniva sottoposto a cure dapprima presso l'Ospedale di Chieti e, successivamente presso un centro di riabilitazione. Parte attrice ha, altresì, precisato che l'evento lesivo è imputabile alla esclusiva responsabilità dell'(...), in quanto ente gestore del tratto stradale ove è avvenuto il sinistro, per omessa manutenzione e segnalazione del solco lungo 5 metri e largo 8 cm. La causa è stata iscritta a ruolo in data 3.1.2019 e, quindi, tempestivamente. Si è costituita in giudizio l'(...) SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, il quale, pur non disconoscendo la proprietà del tratto stradale, ha eccepito l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della negoziazione assistita, l'infondatezza della pretesa per essersi verificato il sinistro al di fuori del margine della corsia di marcia sia il quantum della pretesa risarcitoria. Sulla scorta delle riferite circostanze, la convenuta ha concluso per il rigetto della avversa domanda risarcitoria, a motivo della sua infondatezza, con vittoria di spese e competenze di causa. DIRITTO In via preliminare, va esaminata la richiesta di declaratoria di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita Agli atti risulta che parte attrice abbia inviato, sia pur dopo l'iscrizione a ruolo della causa, l'invio alla negoziazione assistita. Si evidenzia che dopo l'invito alla stipula è quindi possibile stipulare la "convenzione di negoziazione" che, evidentemente, altro non è che un accordo tra le parti tramite il quale queste pattuiscono di "cooperare in buona fede e con lealtà" per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati. In particolare, secondo la definizione normativa "la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96". Tramite l'introduzione di questo tipo di convenzione non si vuole che le parti si obblighino a pervenire ad una definizione stragiudiziale della controversia, ma soltanto che esse si impegnino a "cooperare in buona fede e con lealtà" per tentare di definire bonariamente la loro controversia. Si tratta di un contratto che impegna le parti a negoziare al fine di trovare una composizione della lite. Affinché il giudice possa ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità basta che i difensori producano in causa la dichiarazione di mancato accordo, certificata dai difensori medesimi, ovvero che l'avvocato che introduce la lite provi l'avveramento della condizione di procedibilità producendo, quindi, un invito contenutisticamente idoneo. Deve, ancora, evidenziarsi che l'orientamento giurisprudenziale prevalente è nel senso di ritenere che ove l'improcedibilità dell'azione, ancorché segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il termine di cui all'art. 183 c.p.c., la questione non possa essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (v., per l'analogo caso del rito del lavoro, Cass. 21797/09; 13591/09; 7871/08; 13708/07; 15956/04; 11629/04; v. Cass. 3022/03, 10089/00 e 4578/96 per l'ipotesi di improcedibilità prevista dall'art. 5 della legge n. 108 del 1990). E' opportuno premettere, ancora, che i presupposti applicativi della responsabilità del custode consistono, innanzitutto, nell'esistenza di un rapporto definibile come di custodia, il quale ricorre quando il soggetto cui si imputa tale responsabilità sia in grado di esplicare riguardo alla cosa un potere di governo (non semplicemente giuridico, ma anche di mero fatto) e, in secondo luogo, nella configurabilità di un nesso di derivazione causale tra la res e il danno lamentato, nel senso che la cosa deve aver costituito la causa del danno e non la mera occasione dello stesso. a) In particolare, con riferimento al primo presupposto, la relazione custodiale si identifica in una potestà di fatto che, da un lato, attribuisce al titolare poteri di effettiva disponibilità, controllo e sorveglianza sulla cosa, in modo da impedire che essa produca danni a terzi e, dall'altro, si manifesta nella possibilità di gestire ed utilizzare la cosa o modificarne lo stato e di escludere che altri possano ingerirsi sulla stessa (cfr., Cass. 20.06.2006, n. 3651). Il rapporto di custodia postula, in altri termini, un concreto potere sulla cosa, e cioè una disponibilità giuridica e materiale della stessa che comporta il potere-dovere di intervento su di essa (cfr., Cass. 10.02.2003, n. 1948) e che compete non solo al proprietario, ma anche al possessore o detentore. Peraltro, con specifico riferimento all'obbligo di custodia dell'ente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito, è configurabile a carico dell'amministrazione una responsabilità ex art. 2051 c.c., per i sinistri causati dalla particolare conformazione della strada, tutte le volte in cui sia possibile esercitare sul bene, anche se di rilevanti dimensioni, la custodia intesa quale potere di fatto sulla cosa (cfr., ex plurimis, Cass. 26/11/2007, n. 24617, secondo cui "l'applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. alla P.A. per i beni demaniali soggetti ad un uso ordinario generale e diretto da parte dei cittadini può essere esclusa soltanto nell'ipotesi in cui sul bene demaniale non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le sue modalità d'uso - un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (v. Corte cost. n. 156 del 1999). Da ciò consegue che è proprio l'esistenza o meno del potere di controllo e di vigilanza sul bene - la cui sussistenza in concreto deve essere oggetto di indagine mirata, caso per caso, da parte del giudice del merito - a costituire il discrimine per l'applicabilità della norma suddetta e non già la natura demaniale del bene medesimo"). b) Relativamente al secondo presupposto della responsabilità ex art. 2051 c.c., è necessario e sufficiente che la cosa abbia prodotto o partecipato alla produzione del danno, secondo i comuni criteri della causalità giuridica, caratterizzata dai requisiti della adeguatezza e della regolarità. Il danno, pertanto, deve essere provocato dalla cosa, la quale deve essere, già di per sé, in grado di produrlo ovvero diventa produttiva di danni, per effetto della combinazione con altri elementi. Ove, invece, il danno sia causato dall'azione dell'uomo, quantunque per il tramite della cosa, la norma di cui all'art. 2051 c.c. non sarà più applicabile. Fatta questa premessa sui presupposti applicativi della norma, ne deriva che, ai fini della configurabilità della responsabilità per danni da cose in custodia, sul danneggiato incombe l'onere di allegare e provare non solo le modalità di verificazione dell'evento lesivo e il danno che ne è conseguito, ma anche e soprattutto la qualità di custode del convenuto, nei già chiariti termini, e la inerenza eziologica del danno lamentato con la cosa custodita. In tema di ripartizione degli oneri probatori tra le parti, la giurisprudenza ha, infatti, ripetutamente affermato che "l'attore deve offrire la prova dell'esistenza di un rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, nonché della ricorrenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, come pure delle modalità con cui si è svolto il fatto lesivo, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore causale estraneo che, per il carattere della imprevedibilità e della eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il cd. caso fortuito, da intendersi in senso ampio, come comprensivo anche del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno" (cfr., ex plurimis, Cass. 25.07.2008, n. 20427). Con specifico riferimento ai sinistri stradali, l'ente proprietario (o gestore) della strada si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. III, 12/4/2013, n. 8935; Cass. n. 18753/17; Cass. n. 11526/17; Cass. n. 7805/17; Cass. n. 1677/16; Cass. n. 9547/15; Cass. n. 1896/2015). Facendo applicazione al caso di specie dei principi finora esposti, deve, innanzitutto, prendersi atto che la convenuta non ha avanzato specifiche contestazioni, né in ordine alle modalità di verificazione dell'evento lesivo, né in merito alla propria qualità di proprietario e/o gestore della parte della strada ove è avvenuto il sinistro. Ad avviso di questo giudicante appaiono sussistere sufficienti elementi probatori per ricostruire correttamente la dinamica del sinistro nel senso che la perdita di controllo della bicicletta non sia stata causata da un'imprudente condotta di guida del ciclista, bensì proprio dalla presenza sul manto stradale della fenditura indicata nell'atto di citazione, che ha determinato l'improvviso blocco della ruota anteriore e la caduta dell'attore. Depongono in tal senso innanzitutto le risultanze del verbale di accertamento dello stato dei luoghi redatto nella immediatezza dei fatti dalla Polizia Municipale di Vasto, dal quale emerge che "sul manto stradale lungo il margine destro della carreggiata direzione sud-nord era presente un solco lungo 5 metri e largo circa 8 cm; e che lungo il solco era incastrata con la ruota anteriore, la bici del Sig. (...), come da rilievi fotografici allegati". Le dichiarazioni rese dai testi appaiono tutte precise e concordanti. Tutti, infatti, hanno confermato la dinamica dell'incidente per come descritta nei capitoli di prova ed hanno riconosciuto il luogo in cui si è verificato l'incidente. Per quanto riguarda, invece, il legame di derivazione causale tra la res custodita e il danno lamentato, deve senz'altro ritenersi, alla stregua delle risultanze processuali, che la causa del sinistro stradale sia da ascriversi alla presenza della lunga fessurazione presente sul manto stradale come rilevata dagli Agenti intervenuti sul posto. Ciò è sufficiente a provare che la convenuta è venuta meno ai suoi obblighi di gestione e manutenzione del bene di sua proprietà, omettendo di esercitare i poteri di fatto preordinati ad evitare che la cosa in custodia fosse produttiva di danni nei confronti di terzi. Deve, peraltro, osservarsi che la stessa convenuta ha affermato che, successivamente, la strada è stata riparata. L'(...), d'altro canto, non ha fornito la prova della ricorrenza del caso fortuito, cioè di un fattore estraneo alla sua sfera di custodia, imprevisto ed eccezionale (che può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato), avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. Pertanto, non sussistendo, nel caso di specie, elementi idonei ad accertare un'effettiva condotta imprudente del (...), non può dirsi integrato il concorso di colpa del danneggiato, né tantomeno, il caso fortuito idoneo a spezzare il nesso di causalità. Sulla scorta delle considerazioni innanzi esposte, è - pertanto - possibile pervenire alla formulazione di un giudizio di responsabilità in capo all'ente convenuto, avendo il (...) offerto in giudizio sufficienti elementi di prova in merito alla ricorrenza dei presupposti applicativi della fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. Dall'accertamento condotto in ordine ai profili di responsabilità dell'(...), consegue il riconoscimento del diritto di parte attrice ad essere integralmente risarcita dei danni subiti in occasione del sinistro per cui è causa. Accertata la responsabilità dell'(...), in ordine alla determinazione del quantum dei danni complessivamente dedotti e richiesti dal (...), osserva il giudicante che, tenuto conto della documentazione medica in atti e delle risultanze peritali prodotte dal c.t.u., l'entità delle somme pretese non è da considerarsi congrua e, pertanto, necessita di un'adeguata rideterminazione alla luce delle seguenti considerazioni. Per quanto riguarda l'entità del danno biologico subito dalla vittima dell'incidente, esso va quantificato in base alle conclusioni della perizia medico-legale eseguita dal c.t.u. dott. (...), che ha stimato postumi invalidanti permanenti pari al 3% e, in base alla evoluzione del quadro traumatico, una invalidità temporanea parziale al 75% per giorni 35, una invalidità temporanea parziale al 50% per giorni 30, ed una invalidità temporanea parziale al 25% per giorni 15. Il c.t.u. ha inoltre ritenuto congruo l'importo di Euro 244,00 comprensivo delle spese di assistenza. Trattandosi di danni alla persona qualificabili di lieve entità e non derivanti da sinistro stradale, la liquidazione del danno biologico non può essere compiuta secondo criteri tabellari stabiliti dalla legge, bensì secondo i parametri e i valori di riferimento indicati nelle "tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica", predisposte dal Tribunale di Milano, le quali, proprio perché applicate ed utilizzate nella gran parte dei Tribunali e delle Corti di Appello italiane, vengono maggiormente incontro ad esigenze di uniformità decisionale e costituiscono, per espressa previsione della giurisprudenza della Corte di Cassazione "valido e necessario criterio di riferimento, ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c." (cfr., Cass. 30.06.2011, n. 14402), cioè "valore da ritenersi equo, perché in grado di garantire la parità di trattamento" (cfr. Cass. 07/06/2011, n. 12408, secondo cui "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la Suprema Corte, in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ."). Deve, peraltro, sul punto precisarsi che, a seguito dell'indirizzo giurisprudenziale segnato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel novembre 2008 (cfr., Cass. Sez. Un., 11.11.2008, n. 26972), l'Osservatorio per la giustizia civile di Milano ha rilevato l'esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale e di ogni altro danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica, portando all'adozione, in data 25.06.2009, di una nuova tabella denominata, in ossequio ai principi enunciati dalle Sezioni Unite del 2008, non più "tabella per la liquidazione del danno biologico", bensì "tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica". A partire dal 2009 è stata, quindi, proposta una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale", sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi (c.d. danno biologico "standard") che particolari (c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico), nonché del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore" e "sofferenza soggettiva" (c.d. danno morale), in via di presunzione e in riferimento ad un dato tipo di lesione, pregiudizi, questi, liquidati separatamente sino al 2008. Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, si è elaborata una tabella di valori "medi", corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili", in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva), con percentuali di aumento di tali valori "medi" (al fine di una adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione), da utilizzarsi laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate, anche in via presuntiva, dal danneggiato e ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori massimi, in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti. Le "Tabelle del Tribunale di Milano" individuano il nuovo valore del c.d. "punto" di invalidità partendo dal valore delle Tabelle 2008 (relativo alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato di una percentuale ponderata, in riferimento al valore di liquidazione "medio" della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva", c.d. danno morale (che, secondo le tabelle in uso sino al 2008, era parametrato tra un quarto e la metà del valore di liquidazione del danno biologico), nonché prevedendo percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di personalizzazione. Sono stati, altresì, rivisitati i valori liquidati a titolo di danno biologico e morale temporaneo proponendo, anche in questo caso, una liquidazione congiunta dell'intero danno non patrimoniale "temporaneo" derivante da lesione alla persona. In particolare, per il risarcimento del danno non patrimoniale "temporaneo" complessivo, corrispondente a un giorno di invalidità temporanea al 100%, è stata proposta una forbice di valori monetari da un minimo di Euro 99,00. Facendo applicazione al caso di specie dei parametri di calcolo testè illustrati, deve tenersi conto che l'attore, al momento dell'incidente, aveva 42 anni e che tutti gli aspetti relativi alla sofferenza soggettiva causata dall'incidente (spavento e dolore fisico subiti al momento dell'incidente, fase acuta della patologia, disagi e difficoltà pratiche sofferte dalla vittima, sia nel periodo della degenza ospedaliera, che nell'ulteriore periodo dedicato al riposo forzato e alle necessarie cure mediche) vengono inclusi nella percentuale di aumento automatico del valore di liquidazione "medio" del punto di invalidità assunto come base di calcolo. Non sono state dedotte dall'attore ulteriori ripercussioni psichiche e comportamentali, travalicanti la normale sofferenza morale, in conseguenza del sinistro; anche con riferimento al danno da invalidità temporanea, non sono state dedotte circostanze di particolare penosità o sofferenza, anche fisica, da parte della vittima, tale da giustificare un aumento personalizzato, sicché la stima del danno deve effettuarsi in base alla somma minima di Euro 99,00, per ogni giorno di invalidità assoluta. Non vi è, pertanto, spazio per un adeguamento personalizzato del danno non patrimoniale subito dall'attore, poiché - in assenza di specifiche peculiarità delle conseguenze pregiudizievoli dell'evento dannoso o di particolari condizioni soggettive della vittima, come pure, di ripercussioni sulla capacità lavorativa specifica e generica - tutti i risvolti, sia anatomo-funzionali che relazionali, del danno devono farsi rientrare nella liquidazione globale standard, operata secondo il riferito criterio tabellare. Sulla scorta delle considerazioni appena esposte, il danno non patrimoniale, complessivamente arrecato alla persona di (...), è quantificabile in complessivi Euro 7.915,00 comprensiva della somma di Euro 244,00, a titolo di esborsi per spese di assistenza in rapporto di causalità con l'incidente medesimo, così come determinata dal c.t.u., secondo lo schema riepilogativo che segue: Tabella di riferimento: Tribunale di Milano 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 42 anni Percentuale di invalidità permanente 3% Punto base danno non patrimoniale Euro 1.348,61 Punto base I.T.T. Euro 99,00 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 35 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 30 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 15 Danno risarcibile Euro 3.216,00 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 2.598,75 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 1.485,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 371,25 Totale danno biologico temporaneo Euro 4.455,00 Spese di assistenza Euro 244,00 TOTALE GENERALE: Euro 7.915,00 Premesso che, nelle obbligazioni risarcitone, la somma di denaro che esprime il valore del bene perduto dal danneggiato deve essere non solo rivalutata all'attualità, ma anche maggiorata degli interessi cd. compensativi, i quali assolvono alla funzione di risarcire il danneggiato del mancato guadagno provocato dal ritardato pagamento della somma dovuta, nel caso di specie l'importo, come sopra indicato, essendo stato calcolato in base ai valori aggiornati al 01.01.2021, deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria, dal 01.01.2021 fino all'attualità, nonché degli interessi compensativi nella misura legale, sul capitale via via rivalutato annualmente (cfr., Cass. S.U., 17.02.1995, n. 1712), dalla data di verificazione del sinistro fino all'attualità, previa devalutazione della sorte capitale dalla data della liquidazione (01.01.2021) a quella di verificazione del danno (12.07.2015). Per il periodo successivo alla presente liquidazione e fino alla data dell'effettivo soddisfo, detta somma andrà maggiorata degli interessi al tasso legale. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che al parziale accoglimento della domanda segue la condanna di parte convenuta al pagamento parziale delle spese del presente giudizio nella misura dei 4/5 delle stesse, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia, determinato avendo riguardo alla minore somma attribuita alla parte vincitrice rispetto a quella da essa domandata. La restante quota di 1/5 viene integralmente compensata. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 37 del 08 marzo 2018. Le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente ed interamente a carico della parte convenuta, con espresso riconoscimento del diritto dell'attore di ripetere, nei confronti del soccombente, le somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. in via di anticipazione. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti dell'(...) SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE la domanda di cui in epigrafe; CONDANNA l'(...) SpA, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della complessiva somma di Euro 7.915,00 in favore di (...) maggiorata della rivalutazione monetaria, dal 01.01.2021 fino all'attualità, nonché degli interessi compensativi nella misura legale, sul capitale via via rivalutato annualmente dalla data di verificazione del sinistro fino all'attualità, previa devalutazione della sorte capitale dalla data della liquidazione (01.01.2021) a quella di verificazione del danno (12.07.2015), ed oltre agli interessi legali fino al soddisfo. CONDANNA, altresì, l'(...), in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di (...), dei 4/5 delle spese del presente giudizio, che liquida, in tale quota, in complessivi Euro 4.132, (di cui Euro 264,00 per spese documentate, Euro 700,00 per la fase di studio, Euro 592,00 per la fase introduttiva, Euro 1.280,00 per la fase istruttoria e trattazione, Euro 1.296,00 per la fase decisionale) oltre rimborso forf. 15%, CPA ed IVA, se ed in quanto dovuta; COMPENSA tra le parti la restante quota di 1/5 delle spese legali; PONE definitivamente a carico dell'(...) SpA, le spese di consulenza tecnica d'ufficio, per l'importo come liquidato in corso di causa, dichiarando espressamente ripetibili nei confronti del convenuto quelle eventualmente anticipate al c.t.u. dall'attore; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 24 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Iannetta Michelina, alla pubblica udienza del 30/11/ 2021 al termine della discussione orale disposta ai sensi dell'art. 429 c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, nel procedimento civile iscritto al n. 741/2021 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Intimazione di sfratto per morosità (uso abitativo). TRA (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. DE.PO., presso il cui studio in Vasto alla via (...) è elettivamente domiciliato, giusta procura in calce all'atto di intimazione di sfratto ed alla memoria integrativa; RICORRENTE E (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa da sé medesima ex art. 83 c.p.c. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, con sede in Benevento al Viale (...) n. 85; RESISTENTE LETTI gli atti e la documentazione di causa; ASCOLTATE le conclusioni rassegnate dai difensori delle parti; PREMESSO IN FATTO CHE 1. Con atto di intimazione di sfratto per morosità del 31.5.2021, notificato a mezzo pec in pari data, il sig. (...) ha citato in giudizio l'Avv. (...), chiedendo a questo Tribunale di: "1) - Convalidare l'intimato sfratto per morosità nei confronti di (...), nata (...), residente in Cupello (CH), alla Via (...), relativamente all'immobile ad uso civile abitazione, sito in Cupello (CH), alla Via (...) (1 piano - int. 3), contraddistinto in catasto al fg. (...), composto da 6 vani, con rendita catastale pari ad Euro 480,30, cat. A/2, Classe U, ai sensi dell'art. 663 c.p.c., diffidando a riconsegnare immediatamente il bene de quo, libero e vuoto da persone e/o cose ed alla completa disponibilità di esso (...), fissando la data di esecuzione dello sfratto entro breve termine, in virtù del grave e consolidato inadempimento del conduttore, con contestuale pronuncia di risoluzione del contratto; 2) - In caso di opposizione: Si chiede sin da ora l'emissione dell'ordinanza non impugnabile di provvisorio rilascio ex art. 665 c.p.c., sempre con fissazione a breve della data del rilascio, e voglia fissare l'udienza di prosecuzione della causa disponendo il mutamento di rito ex artt. 667 e 426 c.p.c.; 3) - Nel merito e successivamente al mutamento del rito, ritenere e dichiarare risolto per grave inadempimento della conduttrice (...), nata (...)), residente in Cupello (CH), alla Via (...) piano - int. 3), il contratto de quo, sempre con la condanna della stessa al medesimo al pronto ed immediato rilascio dell'immobile innanzi descritto; 4) - Condannare (...), nata (...), residente in Cupello (CH), alla Via (...), al pagamento delle spese ed onorari di giudizio; 5) - Sentenza esecutiva come per legge". 2. L'intimata ha proposto opposizione alla convalida, assumendo di aver sempre versato i canoni di locazione e che al contrario sarebbe il locatore inadempiente ai propri obblighi poiché non avrebbe risolto problematiche di natura condominiale, né avrebbe sostituito la caldaia, né avrebbe apposto un lavabo nel bagno né avrebbe impedito continue molestie da parte di tutti i condomini della palazzina, né, infine, avrebbe eseguito lavori di straordinaria manutenzione e che la dedotta morosità sarebbe generica e priva di prova. 3. Radicatosi il contraddittorio, con provvedimento del 20.07.2021 questo Giudice ha convalidato lo sfratto e disposto il rilascio dell'immobile entro la data del 30.09.2021; inoltre, previo mutamento del rito, ha concesso il termine per instaurare il procedimento di mediazione il quale si è concluso con esito negativo. Con lo stesso provvedimento ha assegnato alle parti termine per l'integrazione degli atti introduttivi fissando per la discussione l'odierna udienza. 4. All'odierna udienza, questo Tribunale ritenendo la causa matura per la decisione la ha trattenuta a sentenza, non avendo le parti chiesto termini per memorie conclusive. RITENUTO IN DIRITTO CHE 1. Il ricorso è fondato e, pertanto, merita di essere accolto. 2. Dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, va in primo luogo dichiara la inammissibilità della domanda riconvenzionale effettuata dalla resistente nella memoria integrativa (ove è stata opposta l'eccezione di inadempimento legittimante la sospensione del pagamento dei canoni) rispetto alla posizione processuale assunta nella comparsa di risposta della fase sommaria (ove era stato dedotto il pagamento di tutti i canoni, compresi quelli oggetto di intimazione). Al riguardo osserva il Tribunale che, nel procedimento per convalida di sfratto, a seguito di mutamento del rito è consentito alle parti proporre domande ed eccezioni nuove, concludendosi il procedimento a carattere sommario ed instaurandosi un nuovo ed autonomo procedimento a cognizione piena (cfr. Cass. n. 7430/2017). Vi è da osservare che, tuttavia, le domande ed eccezioni nuove devono essere compatibili con quelle precedentemente proposte e detta compatibilità non si riscontra nel caso di specie, in cui, in fase sommaria è stato dedotto il pagamento dei canoni intimati e, in modo contraddittorio, nella fase a cognizione piena, la sospensione del pagamento degli stessi per eccezione di inadempimento opposta al locatore. Ne consegue l'improponibilità in fase a cognizione piena di domande ed eccezioni incompatibili con quelle già formulate in fase sommaria e su cui, tra l'altro, il ricorrente ha dichiarato di non accettare il contraddittorio. In ordine alla sussistenza della morosità della conduttrice evidenzia il Tribunale che già nella fase sommaria non sussisteva prova scritta dell'opposizione, specie del pagamento dei canoni intimati. Difatti, all'esito del deposito delle memorie integrative degli atti introduttivi, la convenuta ha riconosciuto ed ammesso, personalmente e dunque con efficacia confessoria, di non aver pagato i canoni intimati (ciò fermo restando che, ai sensi degli artt. 1218 e 2697c.c., è onere del conduttore dare la prova dell'effettivo pagamento dei canoni di cui il concedente assume la morosità). 3. Ne consegue che, alla luce delle stesse ammissioni confessorie dell'intimata, la morosità deve ritenersi definitivamente sussistere. La resistente, inoltre, non aveva la facoltà di sospendere il pagamento dei canoni, poiché vi aveva rinunciato espressamente, essendo chiaro il tenore della clausola di cui all'art. 7 del contratto di locazione, peraltro approvato con doppia sottoscrizione: "Il pagamento del canone o di quant'altro dovuto anche per oneri accessori non potrà essere sospeso o ritardato da pretese o eccezioni del conduttore, qualunque ne sia il titolo. Il mancato puntuale al domicilio del proprietario, per qualunque causa, costituisce in mora di diritto il conduttore". Ad ogni buon conto dalle produzioni delle parti, ossia dalle quietanze di pagamento e ricevute di bonifico e vaglia (si veda ad esempio il documento n. 4 delle produzioni del ricorrente) si evince, quanto agli asseriti pagamenti in contanti, come venisse rilasciata regolare ricevuta/quietanza, ancor più quanto ai successivi pagamenti dei canoni avvenuti tramite bonifico o vaglia postali, non soltanto essi risultano effettuati con notevole ritardo e documentati solo sino alla mensilità febbraio 2020 (pagata solo nel mese di ottobre 2020), ma dalla stessa causale indicata dalla intimata (in alcune operazioni) risulta l'esistenza di notevole e grave morosità, poiché testualmente l'odierna conduttrice ha dichiarato che: "motivo del pagamento: 450,00 Euro canone locazione appartamento, 50,00 Euro garage 150,00 Euro in acconto sul maggior dovuto per canone scaduto". Peraltro, dalle stesse produzioni documentali effettuate dalla resistente soprattutto dai solleciti di pagamento e relativi riscontri si ricava come fosse pacifica l'esistenza di una notevole morosità. Non appare configurabile, invece, la morosità del locatore. Essa non è configurabile con riguardo alle presunte molestie da parte dei vicini, ostandovi il disposto di cui all'art. 1585 c.c. comma 2, secondo cui il locatore non è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie di fatto provenienti da terzi, verso cui il conduttore ha azione diretta. Del pari risultano infondate le eccezioni riguardanti la caldaia dell'appartamento, avendo il ricorrente documentato che, al momento della consegna dell'appartamento la caldaia era pienamente efficiente ed era stata oggetto di regolare e periodica manutenzione come risulta dal rapporto di controllo di efficienza energetica tipo 1 del 21.06.2017, rilasciato dalla ditta (...) (cfr. doc. 8 delle produzioni del ricorrente). A fronte di detta produzione delle argomentazioni del ricorrente, la resistente non ha dimostrato di aver proceduto alla successiva periodica manutenzione ordinaria della caldaia stessa, benché ne fosse onerata, atteso che tutti i costi inerenti l'uso della caldaia, la manutenzione ordinaria ed il controllo periodico spettano al conduttore, come pure gli adempimenti relativi al c.d. "libretto caldaia" (manutenzioni periodiche ed autocertificazione al comune) e le piccole ed ordinarie riparazioni e le spese di accensione. Nel caso di specie è poi incontestata la circostanza dedotta dal ricorrente che la conduttrice ha rifiutato di svolgere tali attività, ossia di continuare ad avvalersi della ditta (...) per la periodica manutenzione ordinaria e controllo fumi, sicché eventuali riparazioni sono connesse a negligenza (imputabile proprio all'intimata) nella conservazione della caldaia stessa. La morosità del locatore, infine, non è configurabile neppure con riguardo all'asserita mancanza del lavabo in bagno, poiché è la stessa conduttrice a riconoscere che l'immobile si presenta idoneo all'uso convenuto (art. 9 del relativo contratto di locazione) ed in buono stato di manutenzione: "Il conduttore dichiara di aver visitato la casa locata e di averla trovata adatta all'uso convenuto". Fermo restando che la dichiarazione della conduttrice contenuta in contratto già di per sé esclude la mancanza del lavabo, si osserva che l'art. 1590 c.c. 2 comma, prevede, in mancanza di descrizione in contratto dell'immobile locato, la presunzione "che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione" e tale presunzione può essere superata solo attraverso una prova rigorosa, non offerta nel caso che ci occupa (cfr. Cass. civ. Sez. III, 26 luglio 2016, n. 15361). Quanto infine all'asserita presenza di calcinacci e pezzi di cornicione che cadrebbero dal fabbricato, anch'essa risulta priva del benché minimo riscontro probatorio, essa in ogni caso non può essere in alcun modo imputabile al ricorrente, né implica un qualsivoglia inadempimento al contratto di locazione. 4. In merito alla domanda riconvenzionale di cui alla conclusione n. 3 della memoria integrativa di parte resistente volta ad ottenere il risarcimento dei danni nella misura di Euro 40.000,00, ritiene il Tribunale che la parte deve essere dichiarata decaduta da detta domanda, atteso che nella propria memoria integrativa la resistente non ha formulato istanza ex art. 418 c.p.c., di fissazione di una nuova udienza (cfr. Cass. Sez. Un., 4 dicembre 1991, sent. n°13025 e Cass. 2 dicembre 1992, sent. N. 12857). Sotto altro aspetto la stessa domanda appare assolutamente indeterminata nella causa petendi, nell'oggetto e nel petitum, di tal che deve ritenersi nulla seguendo il rito locatizio il rito del lavoro. In effetti non si comprendono le ragioni per cui la convenuta pretenda a titolo risarcitorio la somma di Euro 40.000,00 e le modalità e voci con cui sia pervenuta a detta quantificazione. 5. Non appaiono ammissibili le richieste istruttorie articolate dalla convenuta nella memoria integrativa, in quanto la prova orale non è stata effettuata con formulazione di capitoli specifici e separati, ma con generico richiamo alla premessa della stessa memoria integrativa, che contiene inscindibili espressioni di giudizio e valutazioni e comunque essendo la prova stessa riferita a domanda riconvenzionale da cui la parte non solo è decaduta ma che è pure viziata da nullità insanabile. 6. Alla luce di quanto sopra, va accolta la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento del conduttore, con conferma dell'ordinanza di rilascio emessa in fase sommaria e condanna della conduttrice al pagamento dei canoni morosi nella misura di Euro 2.400,00 relativi alle mensilità da dicembre 2020 a tutto maggio 2021, oltre quelli eventualmente a scadere da giugno 2021 alla data del rilascio effettivo dell'immobile. 7. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda segue la condanna di parte resistente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. Il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, esclusa la fase istruttoria. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE il ricorso e, per l'effetto, dichiara la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento della conduttrice con conferma dell'ordinanza di rilascio emessa in fase sommaria e condanna della conduttrice al pagamento dei canoni morosi nella misura di Euro 2.400,00 relativi alle mensilità da dicembre 2020 a tutto maggio 2021, oltre quelli eventualmente a scadere da giugno 2021 alla data del rilascio effettivo dell'immobile. CONDANNA (...) al pagamento, in favore di (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.591,00 (di cui Euro 76,00 per spese documentate, Euro 1.515,00 per compensi professionali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 esclusa la fase istruttoria), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 30 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabrizio Pasquale, alla pubblica udienza del 02/11/2021 al termine della discussione orale disposta ai sensi dell'art. 429 c.p.c., ha pronunciato la seguente ha pronunciato la seguente SENTENZA dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, nel procedimento civile iscritto al n. 1144/2019 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Intimazione di sfratto per morosità - uso diverso. TRA (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), presso il cui studio, con sede in VASTO, (...), è elettivamente domiciliata; ATTORE E (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...), presso il cui studio, con sede in VASTO, VIA (...), è elettivamente domiciliato; CONVENUTO LETTI gli atti e la documentazione di causa; ASCOLTATE le conclusioni rassegnate dai difensori delle parti; PREMESSO IN FATTO CHE 1. (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...), assumendo di essere divenuta proprietaria di un immobile sito in Vasto, alla Via (...), già concesso in locazione per uso abitativo al convenuto, con contratto del 07.09.2009, per il canone mensile attuale di euro 350,00, da versarsi anticipatamente entro il giorno 5 di ogni mese; il conduttore si è reso moroso nell'adempimento delle sue obbligazioni e, in particolare, nel pagamento del canone a far data dal mese di marzo 2019, nonché degli oneri condominiali; nonostante le numerose diffide ad adempiere, da ultimo formalizzate dalla locatrice con lettera raccomandata a.r. del 07.06.2019, il conduttore restava inadempiente, senza provvedere alla sanatoria della morosità accumulata. 2. Sulla base delle riferite circostanze, (...) ha intimato al conduttore sfratto per morosità, contestualmente citandolo dinanzi a questo Tribunale per la convalida e chiedendo che, in caso di opposizione, fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento, con condanna al rilascio. 3. Si è costituito in giudizio (...), il quale, nel contestare le circostanze allegate dalla controparte, si è opposto all'accoglimento della avversaria domanda ed ha concluso per il rigetto della domanda, a motivo della sua infondatezza e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna di parte ricorrente al rimborso dei canoni asseritamente versati in eccedenza, nella misura complessiva di euro 10.000,00, il tutto con vittoria di spese ed onorari di causa. 4. Con ordinanza del 12.11.2019, il Giudice, negata l'ordinanza provvisoria di rilascio, disponeva il prosieguo della causa per la completa cognizione, previo mutamento di rito ex art. 667 c.p.c., contestualmente disponendo l'esperimento della procedura di mediazione, prevista come condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28/10. 5. Nel corso della procedura di mediazione, le parti - personalmente presenti ed assistite dai rispettivi difensori - addivenivano ad un accordo amichevole di definizione della controversia alle condizioni consacrate nel verbale di mediazione del 20.07.2020. Ciononostante, parte ricorrente, eccependo l'inottemperanza di controparte agli obblighi assunti con l'accordo di mediazione, insisteva per la definizione del giudizio con pronunciamento di una sentenza di accoglimento della propria iniziale domanda. 6. La controversia, implicando esclusivamente la soluzione di questioni giuridiche, non ha necessitato di attività istruttoria, potendo essere decisa sulla base degli atti e dei documenti prodotti dalle parti. RITENUTO IN DIRITTO CHE 1. Deve, preliminarmente, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, prendendo atto che, nel corso della procedura di mediazione obbligatoria disposta dal giudice dopo il mutamento del rito, le parti hanno raggiunto un accordo amichevole di definizione della controversia, per effetto del quale è venuta meno la situazione di contrasto che rappresentava la ragion d'essere sostanziale della lite. Sul punto, occorre rammentare, sotto il profilo teorico, che, secondo l'orientamento della giurisprudenza prevalente, condiviso da questo giudice, a tale pronuncia può pervenirsi in ogni fase e grado del giudizio ordinario, ogniqualvolta non si possa far luogo alla definizione del giudizio per rinuncia alla pretesa sostanziale o per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio stesso. In particolare, la conciliazione intervenuta nel corso del giudizio di merito tra le parti determina la cessazione della materia del contendere, che può essere rilevata di ufficio dal giudice e non è soggetta alle preclusioni previste per detto tipo di eccezioni. 2. Facendo applicazione dei principi di diritto appena esaminati al caso di specie, va evidenziato che, sulla base di quanto emerge dal verbale di mediazione del 20.07.2020, le parti, personalmente presenti ed assistite dai propri difensori muniti di procura speciale, hanno raggiunto un accordo amichevole di definizione della controversia, con il quale hanno disciplinato ogni aspetto della lite, ivi compreso quello riguardante la regolamentazione delle spese processuali. Sul punto, giova ricordare che, ai sensi dell'art. 12 d.lgs. n. 28/10, nella versione introdotta dal cd. "decreto del fare" convertito con la L. 9 agosto 2013, n. 98, "ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale". Pertanto, il verbale di conciliazione e l'accordo ad esso allegato costituiscono titolo esecutivo ex lege, rientrando nel novero dei titoli esecutivi richiamati dall'art 474, n.1 c.p.c. ultimo periodo, che fa riferimento a "gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva". Sulla scorta di tali rilievi, deve concludersi che, a seguito del raggiungimento dell'accordo nel corso della mediazione, parte ricorrente non è più titolare di un interesse alla coltivazione del presente giudizio, neppure al limitato fine di far valere l'inottemperanza della controparte agli impegni convenzionalmente assunti, ben potendo (...) pretenderne l'esecuzione azionando i rimedi all'uopo previsti dalla legge. Né può ritenersi che il successivo inadempimento da parte di (...) agli obblighi assunti con l'accordo amichevole raggiunto in mediazione (in particolar modo, sotto il profilo del mancato pagamento dei canoni di locazione pregressi e delle spese condominiali) possa costituire causa di invalidità o inefficacia degli accordi negoziali intercorsi tra le parti, i quali restano consacrati all'interno di un atto avente ex lege efficacia esecutiva. 3. Sulla scorta di quanto finora esposto, si impone la declaratoria giudiziale di cessazione della materia del contendere, per la sopravvenienza di fatti che, nelle more del processo, hanno privato le parti di ogni interesse a continuare il giudizio fino alla sua naturale conclusione (cfr., sul punto, ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, 04/06/2009, n. 12887). 4. Quanto al regime delle spese processuali, va disposta la compensazione integrale delle stesse, in conformità alla intesa raggiunta dalle parti anche sulla regolamentazione delle spese di lite, avendo esse accettato la parte della proposta conciliativa che ne prevedeva, appunto, la compensazione integrale. Per Questi Motivi Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA cessata la materia del contendere tra le parti, a seguito di intervenuto accordo amichevole in corso di mediazione; DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 2 novembre 2021. Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott.ssa Lucia Anello, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 1206/2019 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Opposizione a precetto (art. 615, l'comma c.p.c.). TRA (...) (...), residente in Vasto, rappresentata e difesa dall'avv. (...), presso il cui studio, con sede in CORSO (...) VASTO, è elettivamente domiciliata (...); ATTRICE E COMUNE DI VASTO (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), presso il cui studio, Avvocatura comunale ,con sede in piazza (...) Vasto, è elettivamente domiciliato a (...); CONVENUTO FATTO E DIRITTO 1. La signora (...) si è opposta all'atto di precetto che, in attuazione della sentenza n 314/17 del Tribunale di Vasto, ha richiesto il rilascio immediato dell'immobile detenuto dal 1988 ad oggi oltre il pagamento del risarcimento danni e spese legali 2. A base dell'opposizione le difficoltà economiche e lo stato di salute della madre (...) mentre non si contesta la regolarità formale e/o sostanziale né del titolo esecutivo né del precetto 3. Il COMUNE DI VASTO si è costituito in giudizio eccependo la non validità delle motivazioni addotte dall'opponente a base dell'opposizione. 4. Nella sentenza del Tribunale di Vasto n. 314/2017, resa dal Giudice Unico dott.ssa (...), è stato accertato che "benché le sig.re (...) abbiano assunto di aver ottenuto, nel 1988, il diritto a un alloggio popolare non hanno allegato alcunché al fine di dimostrare il loro diritto di ingresso e permanenza nell'immobile effettivamente occupato. Esse vanno, conseguentemente, dichiarate occupanti abusive dell'immobile in oggetto e vanno condannate all'immediato rilascio dello stesso, libero e vuoto da persone e cose in favore del Comune di Vasto". 5. Sono dati incontestati il mancato pagamento del modesto canone di affitto mensile dovuto per l'alloggio, pari ad Euro 103,29 da un lato e dall'altro le condizioni di salute della madre e le difficoltà economiche del nucleo familiare. 6. Il convenuto Ente comunale ha provato che le difficoltà economiche del nucleo familiare non sono sufficienti per impedire l'esecuzione della sentenza 7. Il presente giudicante ha concesso la sospensione in considerazione della emergenza sanitaria e della pandemia da covid 19 che nel 2020 aveva costretto tutti ad insolarsi nelle loro abitazioni ma ,attualmente non sussiste più il pericolo di vita in quanto 80% della popolazione è stato vaccinato a cominciate dalle persone anziane e fragili. 1. Nel caso in esame quindi non sussiste lo stato di necessità. 2. Aderendo al costante orientamento giurisprudenziale, che nega il riconoscimento del c.d. stato di necessità nei casi in cui, al pari di quanto avvenuto nella concreta fattispecie, non è allegato che la predetta abbia posto in essere l'occupazione in oggetto "per salvarsi da un pericolo imminente, ben potendo rivolgersi ad enti assistenziali. E', invero, ius receptum che l'illecita occupazione di un immobile é scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo - una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia (vds. ad es. Sez. 2, Sentenza n. 28067 del 26/03/2015, (...) e altro, Rv. 264560)". (Corte di Cassazione, sez. IV Penale, n. 28576/16, dep. l'8 luglio 2016; in termini T.A.R. Roma, sez. III, 20/03/2015, n. 4407: "Né assume alcuna rilevanza la circostanza che la predetta occupazione da parte del ricorrente sia stata dettata da uno stato di necessità indotto dall'emergenza abitativa del proprio nucleo familiare, atteso che lo stato di necessità non è pacificamente idoneo a legittimare la sua presenza nell'immobile di cui trattasi per le considerazioni che seguono. E, infatti, con la predetta censura è stato sostanzialmente dedotto lo stato di necessità nel quale questi verserebbe in quanto si troverebbe nell'impossibilità di reperire sul mercato un alloggio adeguato al proprio nucleo familiare, e, al riguardo, non può se non richiamarsi anche in questa sede - nella sua piena condivisione - il consolidato orientamento giurisprudenziale nella materia secondo cui le risposte date dall'ordinamento agli stati di bisogno abitativo anche grave consistono nell'attivazione dei servizi preordinati a fornire aiuto alle fasce meno abbienti, che possono concretarsi in sussidi economici, nella temporanea ospitalità presso strutture convenzionate o nell'assegnazione in deroga di alloggi di edilizia economica e popolare e sebbene i soggetti che ritengano di essere stati illegittimamente esclusi dalla fruizione delle predette provvidenze hanno il diritto di adire le vie giurisdizionali, gli stessi, in alcun modo, sono legittimati a ricorrere a forme illecite di autotutela quale è effettivamente l'occupazione abusiva di immobili pubblici, qualunque sia lo stato di bisogno o di necessità in cui questi versino (T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 7-11-2012, n. 2677)". La domanda è infondata e, pertanto, non merita di essere accolta. Il mancato pagamento del canone di affitto ha determinato un danno al Comune di Vasto che va risarcito. Il quantum non è un dato contestato 3. Si ritiene di compensare le spese di lite in considerazione delle difficoltà economiche del nucleo familiare. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di COMUNE DI VASTO, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: RIGETTA l'opposizione confermando l'atto di precetto; Compensa le spese di lite MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 13 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 864/2019 del Ruolo Generale Affari Civili avente ad oggetto assicurazione contro i danni e vertente TRA (...) SpA con sede in Milano (p.i. (...)) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Di. ATTRICE E (...) srl, con sede in Monteodorisio (c.f. (...)) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi.Me. e Ma.Pa. CONVENUTA Si premette che, ai sensi dell'art. 58 della L. 69/2009, l'articolo 132 c.p.c. si applica ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della detta legge per cui non è necessario trascrivere lo "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo, ove necessario od opportuno, per una migliore comprensione delle motivazioni della presente decisione). Con atto di citazione notificato a mezzo pec in data 25.8.2018, la (...) esponeva quanto segue: (...), proprietario del camper targato (...) aveva stipulato due polizze assicurative con la compagnia attrice e, precisamente, una per i danni da effrazione (compresi gli oggetti contenuti nel camper) con il limite dai Euro 800,00 per sinistro ed anno, ed un'altra per i danni riportati dal camper. Esponeva, ancora, che esso (...) aveva lasciato il proprio camper presso la società convenuta per effettuare i prescritti controlli semestrali ma, durante la notte del 30 agosto 2015, presso la sede della (...) si introducevano soggetti ignoti che portavano via un camper ed asportavano diverso materiale da altri mezzi, previa loro effrazione. Tra i mezzi danneggiati rientrava anche quello del (...) dal quale erano asportati diversi oggetti. Aggiungeva, inoltre, che il furto veniva denunciato dalla (...) solamente il 3 settembre 2015. A seguito dell'evento la (...) deduceva di aver risarcito la somma di Euro 800,00 per danni da efferazione e la somma di Euro 7.600,00 per i danni subiti dal camper. Ciò esposto, ritenendo sussistente in capo alla società convenuta l'obbligo di custodia dei mezzi affidatele, e ritenendo che la (...) non avesse adottato le misure sufficienti ad impedire eventi quali quello occorso conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vasto, la (...) S.r.l. per sentir accertare e dichiarare la responsabilità della stessa per i danni riportati dal camper di proprietà del (...) e, quindi, condannare la (...) S.r.l. al rimborso delle somme corrisposte da essa attrice al (...) oltre le spese di assistenza legale, le spese di avvio della negoziazione assistita. La causa è stata iscritta a ruolo in data 10.09.2018 e, quindi, tempestivamente in considerazione della sospensione feriale dei termini. Si è costituita in giudizio la (...) S.r.l. deducendo, preliminarmente, che il (...) aveva sottoscritto una dichiarazione con la quale esonerava la (...) da eventuali danni o furti. Esponeva, ancora, che il (...) aveva sottoscritto una dichiarazione del seguente tenore: "L'(...) nell'occasione dichiara di essere assicurato riguardo furti totali di beni depositati nella propria sede e non per furti parziali e atti vandalici. Il sottoscritto (...) consapevole di quanto dichiarato da (...) S.r.l. la esonera da ogni responsabilità relativa a danni accidentali, in quanto esso dichiara di aver assicurato l'autocaravan targato (...) 474 TT con una polizza assicurativa con le relative coperture". Deduceva, ancora, che il titolare dell'azienda, avendo ricevuto assicurazioni dal personale di vigilanza in ordine al fatto che l'allarme scattato fosse un falso allarme, non si era recato immediatamente sul posto. Contestava l'affermazione in ordine al fatto di non aver adottato tutte le misure idonee ad evitare l'evento occorso in quanto tutto il complesso risultava recintato e protetto da idoneo impianto di allarme e chiedeva, pertanto, il rigetto della avversa domanda. All'esito del deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c. il Giudice ammetteva le prove nei limiti di cui all'ordinanza dell'8.7.2019 ed all'esito veniva fissata l'udienza per la precisazione delle conclusioni. In detta udienza le parti precisavano le conclusioni come segue: Parte attrice: "L'avv. (...) per delega dell'avv. (...) il quale preliminarmente insiste per l'accoglimento delle istanze istruttorie disattese nel corso del giudizio ed in particolare chiede che il Tribunale voglia: - ordinare a "(...) Insurance PLC", Compagnia assicurativa di "(...) S.r.l.", ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'esibizione in giudizio della documentazione afferente al furto de quo avvenuto la notte del 30.08.2015 presso la sede operativa della Società convenuta, ivi compresi gli eventuali pagamenti eseguiti e/o gli eventuali dinieghi di pagamento, i verbali dei sopralluoghi effettuati e le fotografie scattate sui luoghi per cui è causa; - ammettersi, si opus sit, C.T.U. volta ad acclarare l'idoneità dei presidi antifurto predisposti, all'epoca dei fatti, da "(...) S.r.l.". La Compagnia deducente torna inoltre a disconoscere, ad ogni effetto di legge, i documenti indicati nel fascicolo di parte attorea sub n. 1) e n. 3), contestandone la riconducibilità all'assicurato (...), così come la loro esistenza, fattuale e giuridica, anche ai sensi dell'art. 2712 e ss. gg. c.c. All'esito dell'istruttoria espletata, "(...) S.p.A.", ut in atti rappresentata e difesa, chiede all'Ill.mo Tribunale di Vasto l'accoglimento delle seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Il.mo Tribunale adito: - accertare e dichiarare la responsabilità colposa di "(...) s. r. L. "nel verificarsi dei danni riportati dal camper targato (...) e, - per l'effetto, condannare "(...) s.r.l." al pagamento, in favore di "(...) S.p.A.", delle seguenti somme: a) Euro 800,00 per i danni da effrazione subiti dal camper e rimborsati da "(...) S.p.A." al proprio assicurato (...); b) Euro 7.600,00 per i rimanenti danni subiti dal camper e rimborsati da "(...) S.p.A. "al proprio assicurato (...); per un totale di Euro 8.400,00 o di quell'altra somma, maggiore o minore, che risulterà di giustizia. Con rivalutazione ed interessi moratori ex art. 1284, comma 4 c.p.c. e con vittoria delle spese di giudizio". Parte convenuta: "E' altresì comparso l'avv. Gi.Me., anche in sostituzione dell'avv. (...), che si riporta al foglio di precisazione delle conclusioni già depositato contestando ed impugnando le avverse conclusioni, istanze e richieste" Nel foglio di precisazione delle conclusioni le stesse erano riportate come segue: "La società convenuta, come rappresentata e difesa in atti, nel riportarsi integralmente ai propri scritti di causa, agli atti e documenti tutti, a tutte le richieste e conclusioni ivi formulate, impugna e contesta illimitatamente tutto quanto ex-adverso dedotto nell'atto di citazione e negli avversi scritti, siccome irrilevante, erroneo ed infondato, in fatto ed in diritto e chiede il rigetto di tutte le richieste e conclusioni ivi proposte, insistendo per l'accoglimento delle seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa e respinta ogni avversa contraria istanza, eccezione e difesa, valutate le ragioni addotte dalla ditta convenuta: - rigettare la domanda di parte attrice perché infondata in fatto ed in diritto e non provata; - rigettare ogni e qualsiasi altra avversa domanda, richiesta ed eccezione, anche in merito alle ulteriori somme richieste a titolo di spese di assistenza legale - stragiudiziale e a titolo di avvio della procedura di negoziazione assistita; - condannare l'attrice al pagamento delle spese, competenze ed onorari di cui al presente giudizio. I difensori della società convenuta chiedono concedersi i termini previsti ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica". Concessi i termini di cui all'art. 190 c.p.c. e definitivamente spirati, la causa viene decisa come di seguito. Preliminarmente deve rilevarsi che l'eccezione di non imputabilità dell'inadempimento deve essere considerata in senso lato: va, pertanto, esclusa l'applicazione della decadenza prevista dall'articolo 167 c.p.c. (cfr., al proposito, Ord. Cass. 30.06.2020 n. 12980). Le argomentazioni difensive svolte nella comparsa di costituzione dalla convenuta non si sono limitate a negare la sussistenza o la fondatezza dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria ma vi hanno opposto un fatto diverso, non compreso tra quelli allegati da parte attrice a fondamento della propria domanda; hanno, infatti, dedotto quale causa non imputabile dell'inadempimento ad essa attribuito la dichiarazione di esclusione della responsabilità come fatto impeditivo. Si tratta, quindi, per riprendere l'insegnamento del supremo Collegio, non di mere difese ma di eccezioni in senso lato, le quali consistono nella allegazione (se fatta dalla parte) o nella rilevazione (se fatta d'ufficio dal giudice) di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio. Come tali esse sono rilevabili d'ufficio e, pertanto, non soggette alla decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c.. Sorge, pertanto, l'esigenza di valutare, nel merito, la fondatezza o meno di tali argomentazioni. Preliminarmente deve osservarsi che il disconoscimento della sottoscrizione di un documento non può pervenire da parte di un terzo, nel caso di specie dalla compagnia assicuratrice, ma, eventualmente, deve pervenire dalla parte che lo avrebbe sottoscritto, per cui non appare rilevante il disconoscimento della documentazione effettuato da parte attrice. La clausola di esclusione della responsabilità del titolare dell'officina, nel caso di furto del veicolo, avendo carattere vessatorio, è inefficace, qualora non sia stata approvata specificamente per iscritto. Sul punto, occorre precisare che la tutela approntata dal Legislatore in merito alla clausole cd. vessatorie, è basata proprio sul concetto di tempo. Colui che intende approvare un siffatta clausola, è libero di farlo, nel rispetto dell'autonomia contrattuale, tuttavia occorre che vi sia un lasso di tempo necessario per riflettere su ciò che si sta sottoscrivendo. Si osserva che il significato oggettivo del comportamento di colui che conclude un contratto finalizzato alla riparazione di una autovettura, deve essere considerato prevalente su eventuali condizioni generali di contratto predisposte dall'impresa (contraente forte), tese ad escludere la responsabilità per custodia. In buona sostanza, è la tempistica relativa alla conclusione del contratto in esame che non consente all'automobilista di porre la dovuta attenzione alle predette clausole, non essendo conferente il fatto che le stesse siano richiamate nello scontrino o nella scheda fatta sottoscrivere all'atto dell'accettazione. L'attenzione del Legislatore per la tematica de qua, e più in generale la tutela dei consumatori e degli utenti, ha portato all'emanazione del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del Consumo). Detta disciplina, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti, ha riconosciuto come fondamentale il diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali, prevedendo, all'art. 33 del Codice de quo, una serie di clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria. La clausola sottoscritta e richiamata nei documenti subb. 1 e 3 di parte convenuta è una clausola di esclusione della responsabilità di carattere vessatorio e, pertanto, inefficace se non approvata specificamente per iscritto, dovendosi qualificare la medesima come condizione generale di contratto. Deve, ancora, osservarsi che "L'art. 1780 c.c. - in forza del quale il depositario, per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenuto a fornire la prova che l'inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, non essendo sufficiente la prova di avere usato la diligenza del buon padre di famiglia - trova applicazione anche quando l'obbligazione della custodia e della riconsegna formi parte di un contratto misto nel quale confluiscano le cause del deposito e di altro contratto, come nel caso del contratto concluso dall'autoriparatore, in cui l'obbligo di custodia e di restituzione assume funzione accessoria, in quanto finalizzata all'adempimento dell'obbligazione principale. Deriva da quanto precede, pertanto, che l'autoriparatore-depositario non è esente da responsabilità ove si limiti a dimostrare di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 c.c., ma deve provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile e il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto, come tale sottratto al sindacato del giudice di legittimità se sia congruamente motivato...." (cfr. Cassazione 13/08/2015, n. 16783) La diligenza del depositario non può tuttavia essere valutata in astratto, ma deve essere valutata in concreto, tenendo conto di tutte le specifiche del caso. Essa costituisce elemento utile per accertare l'imputabilità dell'inadempimento, sotto il profilo della evitabilità o meno dell'evento dannoso (cfr. Cass. 8629/2006). Nella specie parte convenuta ha allegato che il camper una volta consegnato per le verifiche del caso è stato ricoverato in un recinto protetto verso l'esterno da muro di recinzione in cemento e con sovrastante ringhiera in ferro di altezza media superiore a mt. 2,00; - il cancello in acciaio posteriore, dal quale presumibilmente hanno avuto accesso i malviventi, risultava bloccato con staffe di acciaio saldate al telaio. Tale cancello era dotato anche di sistema di allarme. Ciò risulta inequiovocabilmente dalle testimonianze raccolte in corso di causa. (...), perito della compagnia assicuratrice (...), con la quale (...) aveva stipulato apposita polizza, ha dichiarato, alla udienza dl 28 settembre 2020 che tutta l'area era recitata e che era dotata di sistema di allarme. Ha aggiunto, altresì che le staffe erano state tagliate. Dichiarazioni simili possono rinvenirsi nel verbale di udienza del 17 febbraio 2020 laddove il sovrintendente della Polizia Stradale (...) ha confermato che ignoti avevano reciso il cavo dell'impianto di allarme posto a protezione del cancello carrabile posteriore del secondo piazzale e scardinato le staffe saldate al telaio del cancello. Lo stesso ha riferito che dinanzi al cancello era stato posizionato un rimorchio delle barche spostato dai malviventi, in quanto sulla breccia ivi presente risultavano tracce di scarrocciamento. La circostanza, per quanto la testimonianza sia dotata di minore attendibilità in quanto proveniente da un dipendente della convenuta, è stata confermata da (...) che ha riferito, appunto, che l'intero sito ove è ubicata la sede operativa di (...) è dotata di recinzione con muretto di cemento ne sovrastante ringhiera in ferro di altezza media superiore a mt. 2,00 e risulta interamente dotato di sistema di allarme attivato. Il cancello posteriore in acciaio, divelto dai ladri, risultava e ancora oggi è dotato di sistema di allarme. Assodato, quindi, che l'intera area della (...) era recintata e che vi era un allarme in funzione nonché che era stato attivato anche il servizio di vigilanza deve ritenersi che la (...) abbia prestato le misure di cautela che nel caso erano ad essa ragionevolmente richiedibili, pertanto non è imputabile alla convenuta il fatto di non aver immediatamente dato riscontro all'allarme atteso che dalla prova testimoniale è emerso inequivocabilmente che la guardia giurata, accorsa sul luogo, nella immediatezza della segnalazione di allarme, non ha rilevato anomalie di sorta (cfr., al proposito, la testimonianza dell'agente intervenuto resa all'udienza del 17.2.2020). La giurisprudenza ha richiamato in proposito i concetti di inevitabilità e di adeguatezza, affermando la responsabilità quando il depositario non dimostri di avere adottato tutte le misure di protezione richieste dal caso (Cass. 27 maggio 1982 n. 3288). Tra i fatti non imputabili, rientrano anche quelli che risultino evitabili solo con costi umani o economici talmente elevati da non potere essere richiesti ad un debitore che sia tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia (Cass. 19 luglio 2004 n. 13359). Nella specie, esaminate tutte le circostanze di fatto del furto può affermarsi che (...) ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per evitare il furto. Si è assicurato un servizio continuo di sorveglianza notturna con un Istituto di vigilanza privata. Ha recintante l'intero piazzale con muro di cemento ed inferriate con altezza non inferiore a mt. 2; ha addirittura saldato delle staffe al cancello, ha, ancora, messo un carrello ad ulteriore protezione del cancello, peraltro dotato di allarme i cui cavi sono stati tranciati. L'allarme è scattato tempestivamente per cui lo stesso era perfettamente funzionante. Dalla descrizione del perito della (...) si evince che il primo cancello carrabile è bloccato con perno di sicurezza mentre il secondo cancello carrabile è bloccato con catenaccio e lucchetto di sicurezza mentre il cancello da cui presumibilmente sarebbero entrati i ladri è bloccato con staffe di acciaio saldate al telaio oltre a sistema di allarme con contatti magnetici. Queste misure appaiono tali da impedire, almeno in via normale, la perpetrazione di furti. Nella specie il furto sembra essere stato eseguito da veri e propri professionisti anche in relazione alla quantità e qualità degli oggetti portati via. Ulteriori presidi e mezzi di protezione "pur escogitabili per prevenire l'evento" avrebbero sicuramente ecceduto dal comportamento esigibile da parte della (...). La convenuta ha dunque offerto la prova di aver adottato tutte le possibili precauzioni idonee ad evitare l'evento furto. Nello specifico il mezzo era stato posto in custodia, non era rimasto esposto a terzi soggetti bensì era ricoverato nel piazzale, interdetto da cancelli chiusi con sistemi di sicurezza ed allarmati e che non potevano essere aperti da estranei. Il depositario, al fine di evitare di incorrere in responsabilità per il furto, è tenuto, in base ai principi che regolano la ripartizione dell'onere probatorio in tema di inadempimento contrattuale, a dare la prova di aver posto in essere tutte le attività protettive richieste in base all'ordinaria diligenza (Cass. Civ. 12089/2007). Nel caso di specie, viste e considerate le circostanze sopra riportate, deve ritenersi che parte convenuta abbia adottato tutte le misure protettive esigibili in concreto e secondo il particolare sforzo diligente esigibile in quelle circostanze: il perpetrato furto, caratterizzato da violenza sulle cose (segni di effrazione) e da particolare destrezza ed abilità costituisce dunque "causa non imputabile" (art. 1218 c.c.), come parte convenuta ha invocato e dimostrato. È quindi configurabile una causa di esonero di responsabilità del depositario. Deve in conclusione ritenersi che nei confronti della autofficina assicurata non possa in concreto sollevarsi alcun addebito per non aver agito secondo la diligenza professionale richiesta nella fattispecie, pertanto la domanda non può accogliersi. Al rigetto della domanda deve ovviamente fare seguito la condanna alle spese in favore della convenuta. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) SpA nei confronti di (...) srl, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: RIGETTA la domanda; CONDANNA la (...) SpA, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore di (...) S.r.l. delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.835,00 (di cui Euro 875,00 per la fase di studio, Euro 740,00 per la fase introduttiva, Euro 1.600,00 per la fase istruttoria ed Euro 1.620,00 per la fase decisionale) oltre rimborso forf. ed accessori di legge, se ed in quanto dovuti; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 2 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 999/2016 del Ruolo Generale Affari Civili e vertente TRA (...) nato a V. (C.) il (...) c.f. (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Co.DI. e Ca.DI. RICORRENTE E (...), nato a V. (C.) il (...) c.f. (...), rappresentato e difeso dall'avv. Do.CO. RESISTENTE FATTO E DIRITTO Si premette che, ai sensi dell'art.58 della L. n. 69 del 2009, l'articolo 132 c.p.c. si applica ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della detta legge per cui non è necessario trascrivere lo "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo, ove necessario od opportuno, per una migliore comprensione delle motivazioni della presente decisione). Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. (...) esponeva di essere proprietario di un immobile sito in V. al Corso (...) e distinto in Catasto al F. (...) p.lla (...) sub. (...) e p.lla (...) sub. (...); esponeva, ancora, di aver effettuato lavori di recupero del sottotetto che comprendevano anche la stuccatura, l'impermeabilizzazione e la pittura delle facciate ed altri interventi. Per poter eseguire tali lavori, a detta del ricorrente, sarebbe stato necessario accedere dai solai di copertura di due fabbricati confinanti di proprietà di (...) al quale era stata comunicata la necessità di accedere alla sua proprietà, proprio per l'esecuzione di detti lavori. Il (...), con propria nota, aveva negato l'autorizzazione all'accesso sostenendo che i lavori da eseguirsi si sarebbero potuti realizzare con piattaforme aeree ed elevatori senza necessità di accesso ai solai. Tanto esposto ricorreva al Tribunale di Vasto al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: 1) Accertare e dichiarare, per le causali di cui in premessa, il diritto di (...) ai sensi e per gli effetti dell'art. 843 c.c. di accedere sui solai di copertura dei due fabbricati di proprietà di (...) confinanti con il fabbricato di proprietà del ricorrente sito in V. C.so A. V. X., 12 identificato al catasto al fg (...) All. A, particella (...) sub (...) e particella (...) sub (...) al fine di eseguire i lavori sulle due facciate laterali (stuccatura, impermeabilizzazione, pittura e montaggio delle scassoline). 2) per l'effetto ordinare a (...) di consentire l'accesso e il passaggio sui solai di copertura dei due fabbricati di sua proprietà confinanti con il fabbricato di proprietà del ricorrente sito in V. C.so A. V. X., 12 identificato al catasto al fg (...) All. A, particella (...) sub (...) e particella (...) sub (...), a (...) e alle maestranze dallo stesso incaricate al fine di eseguire i lavori sulle due facciate laterali (stuccatura, impermeabilizzazione, pittura e montaggio delle scassoline). 3) Con vittoria di spese e compensi professionali; A seguito della notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione udienza si è costituito in giudizio (...) il quale ha rilevato che il solaio del proprio immobile non sarebbe stato idoneo a sopportare il peso di un ponteggio e che i lavori avrebbero ben potuto eseguirsi mediante mezzi elevatori. Spiegava, inoltre, domanda riconvenzionale assumendo che in conseguenza dello scoppio di un tubo dell'elevatore idraulico era fuoriuscito dell'olio che aveva imbrattato delle tegole e la facciata principale del proprio locale procurando un danno di circa Euro 19.000,00. Concludeva, pertanto, in tal modo: 1) rigettare, siccome inammissibile, infondata ed erronea, la domanda proposta da (...) con il ricorso del 5 ottobre 2016; 2) in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto (...), condannare l'attore (...) al pagamento, in favore del convenuto, per le causali indicate nella narrativa del presente atto, della somma di Euro 19.000,00 o di quella inferiore che verrà ritenuta equa a seguito dell'istruttoria. Il Giudice, dopo aver disposto il mutamento del rito, con successiva ordinanza del 11.10.2017, ha ammesso la prova articolata da parte resistente ed ha disposto CTU volta a valutare la necessita di esecuzione dei lavori di cui al ricorso, la necessità di accesso ai locali confinanti ovvero l'esistenza di tecniche alternative con indicazione dei costi. Il CTU, con relazione del 19.2.2018, ha evidenziato che i lavori erano necessari e che, per buona parte si sarebbero potuti eseguire mediante elevatori ma che, comunque, sarebbe stato necessario accedere alla copertura del magazzino di parte convenuta per il completamento dei lavori fino all'altezza di m 1,30. In realtà il CTU evidenziava, anche, che il convenuto avrebbe dovuto eseguire alcuni lavori tra cui la messa in sicurezza di una canna fumaria in eternit. Quantificava, inoltre, presuntivamente in Euro 2.200,00 il disagio derivante al convenuto per lo spostamento degli oggetti nel magazzino ed il puntellamento del magazzino medesimo. Dopo la rinuncia all'ascolto dei testi ammessi, parte convenuta ha chiesto la riconvocazione del CTU al fine di rispondere alle osservezioni critiche depositate. Il Giudice ha disposto ctu integrativa ed il fiduciario, con relazione del 1.11.2018 ha specificato le ragioni che lo avevano indotto a ritenere necessario lo svuotamento del magazzino e le ragioni che lo avevano indotto a ritenere necessario puntellare il magazzino medesimo. Formulata la proposta transattiva da parte del Giudice ed accettata da parte attrice, parte convenuta riteneva di non poterla accogliere, cosicchè veniva fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni. Con ordinanza del 23.5.2019, dopo che la causa era stata trattenuta in decisione, il Giudice ha ritenuto opportuno rinnovare la CTU in quanto la soluzione tecnica prospettata appariva piuttosto complessa e di difficile realizzazione. Il nuovo CTU, con relazione del 21.2.2020 ha così riferito: "... si ritiene che il lavoro posa essere eseguito nella seguente maniera: - parte più alta attraverso l'impiego di piattaforme mobili; - realizzazione ponteggio, per la quantità necessaria. - parte finale (quella più bassa non raggiungibile dalle piattaforme) attraverso: costituzione di un piano di appoggio in legno, adeguatamente protetto e fissato, della larghezza di ml. 1,20/1,50, di idoneo spessore, da poggiare direttamente sulle tegole ((...) - Ove mai le tegole, a causa della loro vetustà, dovessero risultare eccessivamente friabili, allo scopo di consentirne la minor rottura possibile, potrà procedersi alla loro preventiva asportazione - nella sola misura necessaria - facendo in modo di poggiare il piano in legno direttamente sulle travi sottostanti e/o sulle tavelline). puntellamento del piano di appoggio in legno attraverso l'impiego di puntelli a vite posti in opera all'interno del magazzino, sia sopra che sotto il soppalco (ove necessario); realizzazione intonaco, posa in opera scossalina, rasatura e finitura della parte finale della facciata con particolare attenzione alla perfetta protezione da eventuali infiltrazioni dell'angolo corrente tra le falde di copertura e le facciate; ripristino delle tegole rimosse e/o di quelle danneggiate; - pulizia finale e sgombero cantiere..." Alla udienza del 9.11.2020 la causa veniva trattenuta in riserva ma con ordinanza del 20.11.2020 il Giudice ha rilevato che la stessa causa, essendo stato mutato il rito, non poteva essere decisa con l'ordinanza di cui all'art. 702 ter c.p.c. e, quindi, la rimetteva sul ruolo per la precisazione delle conclusioni. Le parti hanno così precisato le conclusioni: Parte ricorrente - attrice "L'avv. Concetta Di Risio precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle rassegnate in atti e contesta ed impugna le avverse conclusioni opponendosi, in particolare, alla riconvocazione del CTU superflua in quanto lo stesso ha già risposto ai quesiti." Parte resistente - convenuta: "L'avv. Domenico Conti si riporta alle conclusioni depositate telematicamente e chiede che il Giudice, prima di trattenere la causa in decisione, voglia esaminare la richiesta di riconvocazione del ctu, comeda deduzioni allegate a verbale di udienza del 9.11.2020." Le conclusioni depositate telematicamente erano del seguente letterale tenore: "...Piaccia all'on. Tribunale di Vasto, contrariis reiectis: 1) rigettare, siccome inammissibile, infondata ed erronea, la domanda proposta da (...) con il ricorso del 5 ottobre 2016; 2) in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto (...), condannare l'attore (...) al pagamento della somma che verrà ritenuta di giustizia in esito alla istruttoria per le causali indicate nella narrativa della comparsa di risposta del 12 gennaio 2017. 3) in via gradata: dare atto che il convenuto non si oppone all'utilizzo di mezzi meccanici per l'esecuzione dei lavori per cui è causa ed all'utilizzo della copertura del proprio immobile per le parti non raggiungibili con il predetti mezzi meccanici; 4) porre le spese del giudizio, compresi i costi della CTU, a carico del convenuto; 5) IN VIA ISTRUTTORIA, disporre la riconvocazione del CTU per: a) integrare la relazione peritale, provvedendo a quantificare l'indennità in relazione al controllo dello spostamento fuori dal magazzino (durante le ore di lavorazione) degli oggetti in esso contenuti e alla conseguente attività di sorveglianza dei beni spostati; b) procedere alla redazione di un preventivo di massima che contempli la spesa occorrente per la ipotizzata sostituzione delle tegole, che "quasi certamente capita" (pagina 8 della relazione), e ciò ai fini della previsione di una fideiussione o altra forma di garanzia da porre a carico del D.M., come peraltro già ipotizzato dal convenuto. Accogliere ogni altra richiesta, anche di tipo istruttorio formulata nell'interesse della parte convenuta e subordinare l'eventuale autorizzazione all'utilizzo della proprietà del convenuto al previo versamento delle dovute indennità da determinarsi anche alla luce delle integrazioni peritali sopra richieste nonché alla prestazione di idonea polizza fideiussoria per tutti i danni che dovessero derivare al convenuto..." La causa è stata trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per conclusionali e repliche. All'esito dello spirare dei termini, come assegnati, la causa viene decisa come di seguito. La domanda di parte attrice è fondata e deve, pertanto, trovare accoglimento. E' risultato provato agli atti che sia necessario provvedere ad effettuare i lavori di cui al ricorso introduttivo. Il resistente convenuto non ha contestato la necessità di intervento ma ne ha contestato solamente le modalità di esecuzione. D'altro canto la necessarietà dell'intervento, anche in termini di urgenza, è stata ribadita dal fidiuciario del Giudice con la propria relazione tecnica. Quanto alla modalità di esecuzione degli stessi deve richiamarsi la ctu del geom. (...) il quale, con la detta relazione coerente e supportata da logiche e corrette valutazioni anche dal punto di vista tecnico, e che pertanto può essere fatta propria dal giudicante, ha evidenziato che "L'ipotesi di poggiare sul tetto di proprietà del resistente un ponteggio è da ritenersi non praticabile in quanto il manufatto, e in particolare il manto di copertura, non sarebbero in grado di offrire le dovute garanzie sia in termini di sicurezza attiva che passiva....". Si è già evidenziato quale sia l'intervento proposto dal geom. (...) il quale riferisce, inoltre, in relazione allo stesso, che "Il lavoro da eseguire è relativamente semplice e la soluzione descritta, per altro coincidente con quella descritta nel richiamato verbale, è di normale pratica e non richiede particolari alchimie, se non un adeguato livello di attenzione (come sempre sui luoghi di lavoro, in particolare sui cantieri edili). L'intervento descritto potrà essere eseguito avendo cura di coprire la parte di copertura necessaria all'esecuzione del lavoro con tavoloni di adeguato spessore e lunghezza, in modo da "scaricare" direttamente (e principalmente) sull'orditura principale che sarà assicurata attraverso l'impiego di puntelli a vite posti all'interno, in modo da ridurre al minimo il peso (già di per se, in questo modo, ridotto praticamente alle sole maestranze e alle tavole)...." Passando, dunque, all'esame del merito della controversia, deve riconoscersi la sussistenza del diritto del ricorrente ad accedere, ex art. 843 c.c., agli immobili di proprietà del resistente. Giova al riguardo sottolineare previamente come, ai sensi dell'art. 843 c.c. il proprietario deve consentire l'accesso e il passaggio sul suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta le necessità per eseguire o riparare opere del vicino o comuni. Se l'accesso cagiona danni, é dovuta una congrua indennità. La norma rientra fra quelle che, per la salvaguardia di altri interessi privati socialmente apprezzabili, pongono specifiche deroghe al potere del proprietario di impedire l'accesso al fondo da parte di terzi (cfr. anche artt. 842, 896, 3 co., 924 e 925), riconosciuto in via generale dall'art. 832 c.c.). I termini adoperati nella disciplina codicistica indicano chiaramente la temporaneità della limitazione imposta al proprietario, ma sono tali da consentire comunque l'installazione di opere necessarie al compimento dei lavori come le impalcature (C. 693/1968). Secondo la giurisprudenza, inoltre, la necessità cui la norma subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui per costruire o riparare un muro od altra opera propria o comune, non deve essere riferita all'opera da compiere ma all'accesso ed al passaggio (C. 2274/1995). L'obbligo gravante sul proprietario del suolo su cui va esercitato il transito non determina la costituzione di servitù, ma si ricollega ad una limitazione legale del diritto del titolare del fondo, per un'utilità occasionale e transeunte del vicino, avente per contenuto il consenso all'accesso e al passaggio che il soggetto obbligato é tenuto a prestare (cfr. Cass. 29.09.2020 n. 20540); é richiesta, a tal fine, una valutazione complessiva della singola situazione concreta, da cui deve evidenziarsi la necessità del passaggio per l'esecuzione delle opere e l'insussistenza di soluzioni alternative meno gravose. In particolare, l'accesso non é consentito solo ove sia comunque possibile eseguire i lavori dalla proprietà di chi intende intraprenderli o dal fondo di un terzo, sempre che tale soluzione risulti meno gravosa (cfr. Cass. 28234/2008, 1801/2007). La valutazione del presupposto dell'assoluta necessità comporta che il giudice proceda ad attenta considerazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l'unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo. Ne consegue che, ove egli pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi aliunde l'invocato passaggio, con disagi e costi quanto meno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità (ancora Cass. n. 20540 del 29/09/2020). Nella specie, sussiste certamente la necessità ex art. 843 c.c. per il ricorrente di eseguire (e di farlo con una certa urgenza) i lavori in questione, come inequivocabilmente accertato dal CTU non confutato da alcun elemento processuale di segno contrario. All'esito del giudizio, alla luce degli accertamenti tecnici compiuti può dirsi accertato: "...che (...) deve eseguire dei lavori sui prospetti consistenti in intonacature, ripulitura delle parti già intonacate deteriorate e annerite dalle intemperie, poi su tutto deve eseguire la stuccatura o rasatura e infine la tinteggiatura o l'applicazione di uno strato protettivo ai silicati o simili. Tali lavori che sono definibili "lavori di finitura esterna" sono necessari e anche urgenti, per la protezione del fabbricato..." (cfr. relazione del ctu (...)). che gli interventi di manutenzione indicati da parte attrice possono essere realizzati in parte mediante elevatori ma in parte con l'ingresso e l'utilizzo del bene di parte convenuta (cfr. relazione del ctu (...) pag. 5, laddove si afferma che "Il lavoro che parte ricorrente intende eseguire potrà essere svolto attraverso l'uso combinato di piattaforme aeree (per la maggior parte delle superfici interessate) oltre che attraverso un idoneo utilizzo della copertura come piano di calpestio per le sole manovalanze, limitatamente alla sola parte non diversamente eseguibile). L'art. 843 c.c. riconosce al proprietario del fondo, sul quale venga eseguito l'accesso ed il passaggio per costruire o riparare opere del vicino o comuni, il diritto ad una congrua indennità nel caso in cui l'accesso gli produca un danno, e delinea un'ipotesi di responsabilità da atto lecito che, sebbene prescinda dall'accertamento della colpa, esige tuttavia che il transito e l'accesso abbiano determinato un concreto pregiudizio al fondo interessato, fermo in ogni caso l'obbligo di ripristinare la situazione dei luoghi' (cfr. Cass. n. 20540 del 29/09/2020). Nella specie, in ragione della considerazione tanto dello stato dell'area di proprietà del resistente, interessata dalla occupazione (manufatto che - dall'esame delle fotografie in atti e delle deduzioni di parte attrice, non contrastate da allegazioni e prove di segno contrario di parte convenuta - appare caratterizzato da uno stato grezzo, con la presenza di numerose tegole rotte), quanto del difetto di allegazione e di prova da parte del convenuto (il quale ne era onerato) della sopravvenienza a proprio carico di pregiudizi patrimonialmente apprezzabili di sorta per tale temporanea occupazione, escluderebbe la sussistenza del diritto alla indennità in parola. Lo stesso ctu geom. (...) ha rilevato testualmente che l'intervento proposto "...certamente non necessita di svuotare il magazzino ma potrà, altrettanto certamente, più semplicemente comportare la necessità di spostare momentaneamente, anche di poco, qualcuno dei materiali in esso contenuto, e per un tempo limitato (operazione che, in considerazione di quanto presente in magazzino, non appare di particolare complessità). Si tratta di normalissime operazioni che, con un minimo di collaborazione, possono essere eseguite senza creare disagi particolari. Evidente come, per ovvie ragioni, le operazioni (e l'intera attività) dovranno essere adeguatamente vigilate sia per evitare danni a cose e/o persone sia perché il magazzino contiene oggetti personali. La durata dell'intervento sulla copertura è davvero breve (si stimano due/tre giorni lavorativi con due persone al lavoro) e, anche se fosse necessario spostare fuori dal magazzino (durante le ore di lavorazione), qualcuno degli oggetti (o anche il mezzo) in esso contenuto, risulterebbe economicamente più vantaggioso (e certamente meno disagevole anche per la proprietà - parte resistente) sorvegliarle a vista piuttosto che fittare altri magazzini, trasportarle, ecc.)..." E' noto che "il sistema del risarcimento del danno delineato dal codice civile, nella responsabilità civile, esclude in modo irrevocabile la ipotesi di una configurabilità de danno patrimoniale "in re ipsa", in quanto la obbligazione risarcitoria non insorge in seguito alla mera colposa o dolosa violazione del diritto (antigiuridicità della condotta, nella specie peraltro mancante), ma soltanto a causa delle "conseguenze" pregiudizievoli eventualmente prodottesi come effetto di tale violazione, conseguenze che riguardate sul piano degli accadimenti fenomenici implicano un evento ulteriore ed ontologicamente apprezzabile rispetto a quello determinativo della violazione del diritto (cfr Cass. 11203/2019). Pertanto, il danno, anche nella fattispecie di occupazione abusiva d'immobile, non può coincidere con l'evento, ma deve essere ritenuto un danno conseguenza, risarcibile sotto forma di lucro cessante, in base alla dimostrazione processuale (nella specie insussistente) del soggetto leso di mancato guadagno, derivato dalla circostanza che, qualora avesse avuto la piena disponibilità del bene, ne avrebbe certamente tratto un guadagno (es. alienando il bene, concedendo il bene in locazione). Il danno, dunque, va identificato con le conseguenze negative, patrimonialmente accertabili, derivate dalla condotta contra ius e dimostrate in giudizio dal soggetto leso, essendo "onere del proprietario (nella specie non assolto) provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare l'immobile ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice di merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, sulla base però di elementi indiziari allegati dallo stesso danneggiato, diversi dalla mera mancata disponibilità o godimento del bene" (cfr. Cass. Ord. 31233/2018). Anche nel caso di illegittimo spossessamento di un immobile, il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa", atteso che tale concetto giunge ad identificare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S. C. (sent. n. 26972/2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori é il danno - conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601/2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost. In tale caso il danno pur potendo essere agevolmente provato sulla base di presunzioni semplici, non esonera il danneggiato dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, tra i quali i fatti dimostrativi (nella specie mancanti) dell'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto (cfr. Cass. 25.05.2018 n. 13071, Ord. 31233 del 4.12.2018). In particolare colui che allega di aver subito il danno é tenuto a provare (a differenza di quanto avvenuto nella specie) di non aver potuto, ad esempio, locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli risultando evidente che un danno patrimoniale non é neppure astrattamente configurabile se, invece, dovesse risultare che l'immobile oggetto di occupazione illecita era da tempo lasciato in stato di abbandono o che il proprietario si era disinteressato di dare all'immobile uno scopo remunerativo (cfr. Cass. 20823/2015). Secondo un altro orientamento, invece, l'obbligo imposto dall'art. 843 c.c. al proprietario di consentire al vicino l'accesso al suo fondo per la costruzione o riparazione di un'opera e la corrispondente facoltà riconosciuta al vicino di accedere al fondo attiguo allo stesso fine, hanno natura di limitazioni legali della proprietà e intende, invece, l'indennità come preventiva liquidazione del danno che potrebbe derivare al proprietario del fondo dal passaggio e dal protrarsi dell'occupazione (v. Cass. 27.5.1982 n. 3222). Considerato che, come evidenziato, l'obbligo del proprietario di consentire l'accesso o il passaggio del vicino come espressione di un'obbligazione propter rem, si ritiene più corretto considerare l'espressione "indennità" in riferimento ad un danno provocato da liquidarsi in via equitativa, fermo restante l'obbligo del vicino di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita. Dovendo prescindere dalla colpa, si ritiene che, nel caso di specie, sussistano i presupposti per una liquidazione equitativa, desumibili in via presuntiva dalla necessità di procedere alla installazione di puntelli a vite all'interno del magazzino che, come chiarito da parte attrice e dallo stesso CTU, non è nella disponibilità dell'attore. Considerato che il CTU ha precisato che i tempi di intervento possono quantificarsi in due o tre giornate lavorative, si ritiene equo quantificare in Euro 150,00 l'indennità a favore di parte convenuta (pari ad Euro 50,00 al giorno). Nessun'altra somma può essere riconosciuta a titolo di mancato o limitato uso dell'immobile in quanto il dedotto danno, come già evidenziato, non risulta in alcun modo provato neppure indiziariamente, non avendo il convenuto allegato alcun pregiudizio ulteriore a quello connesso al disagio dell'intervento e ai tempi di cantiere. Quanto alla domanda riconvenzionale spiegata deve osservarsi che parte attrice ha espressamente indicato che la ditta che ha eseguito i lavori è disponibile al risarcimento dei danni nella misura individuata dal CTU (...). Per la verità nessuna prova in giudizio è stata acquisita in ordine all'accadimento occorso ma la mancata contestazione del fatto da parte dell'attore comporta che il Giudice possa ritenere la circostanza pacifica per cui parte attrice dovrà essere condannata al risarcimento del danno nella misura indicata di Euro 841,72. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda segue la condanna di parte convenuta al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia, determinato, avendo riguardo al comportamento processuale e non, di parte convenuta, che si è rifiutata di valutare la proposta transattiva formulata dal Giudice e dal CTU, sulla base dei valori superiori ai medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 37 del 8 marzo 2018. Le spese delle consulenze tecniche d'ufficio, come in atti liquidate, devono porsi definitivamente e carico della parte convenuta. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCERTA la sussistenza del diritto di parte attrice di accesso, ai sensi dell'art. 843 c.c., all'area di proprietà del resistente, per le finalità meglio descritte in motivazione e per l'esecuzione dei lavori descritti nella relazione del CTU geom. (...) che qui deve intedersi richiamata a trascritta e, per l'effetto, autorizza l'occupazione del fondo di proprietà del convenuto (...) per il tempo strettamente necessario all'esecuzione dei lavori; CONDANNA l'attore a corrispondere al convenuto la complessiva somma di Euro 150,00 a titolo di indennità; CONDANNA l'attore, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, a corrispondere in favore di (...), la somma di Euro 841,72 a titolo di risarcimento dei danni subiti alle tegole ed al portone, oltre agli interessi dal 13.1.2017; RIGETTA le altre domande ed eccezioni. CONDANNA (...) al pagamento, in favore dei (...) delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 8.545,00 (di cui Euro 545,00 per spese vive documentate, Euro 1.700,00 per la fase di studio, Euro 1.300,00 per la fase introduttiva, Euro 2.000,00 per la fase istruttoria ed Euro 3.000,00 per la fase decisionale) oltre rimborso forf. ed accessori di legge, se ed in quanto dovuti; PONE definitivamente a carico di (...) le spese delle consulenze tecniche d'ufficio, come liquidate; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 22 agosto 2021. Depositata in Cancelleria il 23 agosto 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione monocratica, nella persona del dott. Lucia Gualtieri, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 870/2019 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: Pagamento somma TRA (...) (C.F.: (...) residente in Vasto ed ivi elettivamente domiciliato al c.so (...) n. 116/b, presso e nello studio dell'avv. MO.NI. che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all'avv. PE.ST. giusto mandato rilasciato in calce all'atto di citazione introduttivo del presente giudizio; ATTORE E (...) S.p.A. (P. IVA: (...)), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma al viale (...) n. 190, presso e nello studio degli avv.ti BO.AN. e SE.KA., che la rappresentano e difendono congiuntamente e disgiuntamente giusta procura generale alle liti per atto del Notaio Pi.Am. di Roma, datato 29.3.2017, Rep. n. 52163, Racc. n. 14154, registrato in Roma in data 6.4.2017 n. 4771; CONVENUTA FATTO E DIRITTO (...) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...) SPA, premettendo di avere acquistato, unitamente alla coniuge sig.ra (...), presso l'Ufficio Postale di Vasto, nel periodo tra il 18.8.1986 e 13.12.1986, n. 9 buoni postali fruttiferi, tutti della serie Q/P e con dicitura "CON PFR", ossia "con pari facoltà di rimborso", che legittima ciascuno dei portatori cointestatari a chiedere a vista all'Ufficio Postale di emissione il pagamento del buono, comprensivo degli interessi maturati, senza che sia necessaria la quietanza congiunta degli aventi diritto. A sostegno della domanda (...) ha dedotto che la rendita dei predetti buoni postali è costituita dagli interessi indicati nella tabella apposta sul retro degli stessi fino al ventesimo anno e da una somma fissa stabilita in Lire 258.150 (per milione di lire), ogni successivo bimestre maturato fino al 31 dicembre del trentesimo anno solare successivo a quello di emissione. Ha asserito di essersi recato, nei primi giorni di gennaio 2018, presso l'Ufficio Postale di Vasto sito in via Giulio Cesare, per ottenere il rimborso dei predetti buoni e di avere appreso che, in realtà, la rendita descritta sui titoli era notevolmente più bassa. Ritenendo non applicabile ai Buoni Fruttiferi Postali oggetto del presente giudizio, il D.M. del 13.6.1986, bensì l'art. 173 del D.P.R. n. 156/1973, per cui: gli interessi vengono corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni, essendo la modifica peggiorativa dei tassi ministeriali avvenuta prima dell'emissione dei titoli oggetto di causa, in mancanza di integrale rimborso di quanto spettantegli, dopo aver formalizzato un reclamo a parte convenuta, si è rivolto a questo giudice chiedendo la condanna della convenuta, (...) S.p.A., al pagamento in favore di esso attore della somma di Euro 40.906,33, già al netto delle ritenute fiscali e dell'imposta di bollo come per legge, quale differenza tra la somma complessivamente dovuta pari ad Euro 111.119,58 e quella già rimborsata pari ad Euro 70.213,25, anch'esse già al netto delle ritenute fiscali e dell'imposta di bollo come per legge; il tutto con vittoria di spese e competenze di giudizio, con distrazione in favore dei procuratori costituiti dichiaratisi antistatari. Si è costituita in giudizio (...) SPA, la quale ha eccepito l'infondatezza della domanda sostenendo di avere applicato correttamente le disposizioni del D.M. 1986 e concludeva chiedendo il rigetto della domanda attorea con vittoria di spese e competenze di lite. La causa, di natura documentale, è stata trattenuta a decisione senza espletare attività istruttoria e, previa assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito di memorie conclusionali e repliche. Tanto premesso, la domanda è fondata e, merita di essere accolta. In particolare, dall'esame della documentazione versata in atti, nonché dalle deduzioni difensive delle parti, è risultato che i buoni fruttiferi postali dei quali l'attore chiede il rimborso, denominati serie Q/P, sono stati acquistati nel periodo che va dal 18.8.1986 al 13.12.1986, ossia successivamente all'emanazione ed entrata in vigore del D.M.1986 che ha istituito, con effetto dal 1.7.1986, una nuova serie di buoni postali fruttiferi contraddistinti con la lettera Q ed ha stabilito che ai buoni della precedente serie P sarebbero stati apposti, a cura degli uffici postali, due timbri, uno sulla parte anteriore con la dicitura della nuova serie Q/P e l'altro sulla parte posteriore, recante la misura dei nuovi tassi introdotti, in diminuzione rispetto ai precedenti. Ebbene, sui buoni fruttiferi postali, oggetto del presente giudizio risulta apposta sulla parte anteriore il timbro con l'indicazione serie Q/P e sul retro il timbro dei rendimenti esclusivamente dal 1 al 20 anno, mentre è rimasta inalterata la stampigliatura originaria per quanto riguarda i rendimenti degli anni successivi, fino al 31 dicembre del 30 anno solare successivo a quello di emissione. Infatti, non è risultato che l'addetto postale abbia modificato, all'atto dell'emissione dei buoni in questione, l'importo fisso a bimestre che sarebbe maturato dal ventunesimo alla fine del trentesimo anno successivo all'emissione. Quindi, in sostanza, il contratto concluso dalle parti con la sottoscrizione dei buoni in parola, prevedeva la promessa di (...) di assicurare un rendimento per l'ultimo decennio, superiore a quello previsto normativamente. Promessa che nei rapporti fra le parti contrattuali rimane vincolante. Infatti, posto che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il D.P.R. n. 156/1973, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio di interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal D.M. che ne disponeva l'emissione, deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contraria alla funzione stessa dei buoni postali, destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori, che le condizioni alle quali l'amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da subito, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto della sottoscrizione del buono (ex plurimis Cass. Civ. sez. I, n. 19002/17; SS.UU., n. 13979/2007). Dunque, non può, in alcun modo, ritenersi che il sottoscrittore dovesse essere edotto del fatto che le condizioni dell'emissione erano diverse da quelle che gli venivano prospettate mediante la consegna di titoli così formulati. Invero, la discrepanza fra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni offerti in sottoscrizione dall'ufficio ai richiedenti può rilevare esclusivamente per eventuali profili di responsabilità interna all'amministrazione, ma non può far ritenere che l'accordo negoziale, in cui pur sempre l'operazione di sottoscrizione si sostanzia, abbia avuto ad oggetto un contenuto divergente da quello enunciato dai medesimi buoni, poiché va senz'altro tutelato l'affidamento riposto dal cliente sulle risultanze letterali del buono fruttifero, in ciò seguendo l'orientamento della Corte di Cassazione (vedi Cass. Civ. Sez. Un. 15.6.2007 n. 13979). Del resto, detta posizione non sembra scalfita dalla più recente pronuncia delle Sezioni Unite del 11.2.2019 n. 3963, la quale, lungi dall'operare un revirement rispetto a Cass. SS.UU. n. 13979/2007, ne ha piuttosto riproposto l'impostazione. Infatti, muovendosi sul solco argomentativo di quest'ultima decisione, ribadita la qualificazione dei buoni postali fruttiferi quali documenti di legittimazione ex art. 2002 c.c., ha affermato, senza contraddire la precedente decisione, "la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali volti a modificare il tasso di interessi originariamente previsto", specificando, però, che siffatta modificazione trova "ingresso all'interno del contratto, mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell'art. 1339 C.C.". Di conseguenza il rapporto che si crea tra il risparmiatore e la società (...) con la sottoscrizione del buono è soggetto alla disciplina codicistica in tema di obbligazioni. In definitiva, dunque, in ossequio alle indicazioni fornite dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, deve ritenersi che laddove, come nella fattispecie in questione, in sede di sottoscrizione dei buoni postali fruttiferi, (...) S.p.A., abbia indicato al cliente, mediante annotazione a tergo del titolo, condizioni economiche e di rimborso difformi rispetto a quelle previste con precedente decreto ministeriale per i buoni della serie in corso, siffatta discrasia e difformità originaria, si risolve nel senso dell'applicabilità in concreto delle condizioni annotate e specificate a tergo dei medesimi titoli. Di conseguenza a parte attrice va accordato il valore di rimborso previsto per i buoni postali fruttiferi della serie Q/P, come indicato a tergo dei titoli sottoscritti da (...), il tutto al netto delle ritenute erariali. Il conteggio di tali rendimenti, così come riportato dalla difesa attorea nei propri atti, non ha formato oggetto di contestazione alcuna ad opera della convenuta e, pertanto, può essere fatto proprio da questo giudice. Detto importo va maggiorato degli interessi al tasso legale a decorrere dalla prima richiesta di liquidazione dei buoni, ossia dal gennaio 2018 all'effettivo soddisfo. Quanto alle spese di lite, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui in dispositivo con riferimento ai valori medi indicati nel D.M. 55/14, tenendo conto delle fasi di giudizio effettivamente svolte. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) SPA, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE la domanda di cui in epigrafe e, per l'effetto, condanna la convenuta (...) S.p.A. al pagamento in favore di (...) della complessiva somma di Euro 40.906,33, già al netto delle ritenute fiscali e dell'imposta di bollo come per legge, oltre interessi al tasso legale dal gennaio 2018 all'effettivo soddisfo; CONDANNA la convenuta (...) S.p.A. al pagamento, in favore di (...), delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.534,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori costituiti dichiaratisi antistatari. MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 3 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 3 agosto 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VASTO in composizione collegiale, nelle persone dei signori Magistrati: - dott.ssa Anna Rosa Capuozzo Presidente - dott.ssa Stefania Izzi Giudice - dott. Fabrizio Pasquale Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 334/2020 del Ruolo Generale Affari Civili, avente ad oggetto: cessazione effetti civili del matrimonio TRA MA.AN. (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. AR.NI., presso il cui studio con sede in Vasto (CH), alla Via (...), è elettivamente domiciliato; RICORRENTE E BA.LO. (c.f. (...)); RESISTENTE CONTUMACE NONCHE' Il Pubblico Ministero presso questo Tribunale INTERVENTORE NECESSARIO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. In via preliminare, si deve prendere atto che Ba.Lo., sebbene ritualmente evocata in giudizio, non si è presentata alla udienza presidenziale, né si è costituita nei termini assegnati dal Presidente con l'ordinanza del 10/11/2020 e, per questo, deve essere dichiarata contumace. 2. La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio è fondata e va, pertanto, accolta. Invero, sono stati prodotti in giudizio, a conferma dei presupposti dell'istanza, i certificati anagrafici delle parti ed il certificato attestante il matrimonio, nonché la copia della sentenza di separazione. Ricorrono i requisiti richiesti dall'art. 3, n. 2, lett. b) della legge 1 dicembre 1970, n. 890, come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74 e dalla legge 6 maggio 2015, n. 55 (entrata in vigore il 26.05.2015 ed applicabile ai procedimenti in corso a tale data, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data). Infatti, il solo ricorrente è comparso innanzi al Presidente del Tribunale, nel giudizio di separazione, in data 21/12/2017. Da tale data, fino alla proposizione del ricorso divorzile, è decorso un periodo superiore a dodici mesi, durante i quali, come da attendibile dichiarazione del ricorrente, non smentita dalla resistente - rimasta contumace in questo giudizio - la separazione si è protratta ininterrottamente e la convivenza non è mai ripresa. Ciò, peraltro, è confermato dalla certificazione anagrafica prodotta dal Ma., dalla quale risulta che egli vive da solo in San Salvo. La persistenza di uno stato di separazione da oltre dodici mesi, la conduzione di vite del tutto autonome, l'assenza di qualsivoglia rapporto, la proposizione e la continuazione del giudizio di divorzio, il fallimento del tentativo di conciliazione esperito dinanzi al Presidente del Tribunale, unitamente al sostanziale disinteressamento al giudizio da parte della resistente, palesato dalla sua mancata costituzione, costituiscono certamente, a parere dell'odierno organo giudicante, evidenti manifestazioni della indisponibilità dei coniugi ad una riconciliazione e della completa impossibilità della ricostituzione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, sulla quale il matrimonio è fondato. Preso atto di quanto sopra ed accertata la sussistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 2 e 3, n. 2, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, deve essere, nella specie, pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio a suo tempo contratto dai coniugi MA.AN. - BA.LO.. 3. Circa i provvedimenti accessori, nulla va statuito circa l'affidamento ed il mantenimento del figlio, essendo costui maggiorenne ed economicamente autosufficiente. 4. Con particolare riguardo alle questioni economiche, nulla va stabilito in ordine all'assegno divorzile, non essendo stata avanzata alcuna richiesta in tal senso dalla moglie, né nel presente giudizio, né in quello di separazione. 5. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge 1° dicembre 1970, n. 890, la moglie perde il cognome che aveva aggiunto al proprio in conseguenza del matrimonio. 6. Quanto al regime delle spese processuali, considerato che la domanda di divorzio ha trovato accoglimento, esse vanno regolate in base al principio della soccombenza e, pertanto, poste a carico della parte resistente e liquidate come in dispositivo, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori minimi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014. Stante l'ammissione della parte vittoriosa al patrocinio a spese dello Stato, l'importo spettante al difensore, calcolato secondo i criteri suindicati, deve essere ridotto della metà, ai sensi dell'art. 130 del D.P.R. 30.05.2002 n. 115 e andrà devoluto direttamente all'Erario, ai sensi dell'art. 133 del richiamato decreto. 7. Copia autentica della presente sentenza, una volta passata in giudicato, dovrà essere trasmessa a cura della Cancelleria all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di San Salvo (CH), per le incombenze di cui al D.P.R. 3.11.2000 n. 396. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da MA.AN. nei confronti di BA.LO., con l'intervento del P.M. in sede, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: DICHIARA la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra i coniugi MA.AN., nato (...) e BA.LO., nata (...); DICHIARA che la moglie perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; ORDINA che la presente sentenza sia trasmessa, a cura della Cancelleria, in copia autentica all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di San Salvo (CH) per l'annotazione, ai sensi dell'art. 69, 1 comma, lett. d), D.P.R. 3-11-2000 n. 396, della presente sentenza sul relativo atto di matrimonio (n. 41, parte II, serie A, anno 1993), al momento del suo passaggio in giudicato; CONDANNA Ba.Lo. al pagamento, in favore di Ma.An., delle spese del presente giudizio, che liquida - già applicata la riduzione della metà, ai sensi dell'art. 130 del D.P.R. 30.05.2002 n. 115 - in complessivi Euro 1.591,60 (di cui Euro 0,00 per spese documentate, Euro 1.384,00 per compensi professionali ed Euro 207,60 per rimborso forfettario spese generali, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, da devolversi direttamente in favore dell'Erario; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 12 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VASTO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Elisa Ciabattoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 129/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RU.VI., ATTORE contro (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.GI., CONVENUTO Oggetto: Assicurazione contro i danni RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) ha citato in giudizio (...) Spa per ottenere, previo accertamento dell'inadempimento contrattuale della convenuta per il denegato indennizzo del furto della propria autovettura, la condanna a pagare all'attore la somma di Euro 32.700,00 ovvero la maggiore o minore somma che dovesse risultare di giustizia, oltre ad interessi legali calcolati per tutto il periodo intercorso dall'evento lesivo alla liquidazione dell'indennizzo, con vittoria di spese e compensi. A sostegno della domanda, l'attore ha dedotto: - di essere proprietario del veicolo (...) allestimento Premium tg. (...) avente telaio n. (...); - che detto veicolo risultava essere stato immatricolato per la prima volta all'estero in data 22.05.2014 e successivamente acquistato al prezzo di Euro 40.000,00, come da allegata fattura; - che in data 10.06.2015 stipulò con la convenuta compagnia di assicurazione polizza n. (...) per la RCA nonché per la garanzia accessoria furto, per importo assicurato di Euro 40.000,00 e scoperto con franchigia fissa di Euro 500,00; - che in data 18.08.2015 l'istante, verso le ore 22:30, nel riprendere la propria auto, regolarmente parcata verso le ore 20:30 presso il parcheggio della vecchia stazione ferroviaria di Vasto, apprendeva che il proprio veicolo era stato oggetto di furto totale ad opera di ignoti; - che in data 19.08.2015 si recava presso i locali della Legione Carabinieri Abruzzo Staz. CC Vasto, formalizzando denuncia orale di furto - che, denunciato il sinistro alla Compagnia convenuta, nonostante formale richiesta di liquidazione indennizzo da condizioni generali di polizza, questa non forniva riscontro; - di avere diritto e interesse a chiedere ed ottenere la dovuta liquidazione dell'indennizzo spettante, pari ad Euro 32.700,00, (valore commerciale alla data dell'evento pari ad Euro 33.200,00 decurtato della franchigia fissa di Euro 500,00), oltre interessi. (...) Spa, tempestivamente costituita, ha contro-dedotto: - che, avviata l'istruttoria di rito a seguito della denuncia di sinistro dell'odierno attore, emergevano circostanze tali da ingenerare fondati dubbi in ordine alla genuinità del sinistro; - che, in particolare, dalle fotografie fornite dal (...) non era possibile evincere che il veicolo avesse effettivamente il telaio n. (...), che la titolare della (...) Srl davanti al cui piazzale era stata fotografata l'auto dichiarava di non aver venduto né mediato l'acquisto, che la fattura di acquisto prodotta dall'assicurato era palesemente non genuina, atteso che era emessa da società (...), non censita presso il Registro Imprese Europee né presso la Camera di Commercio e l'Ufficio Camerale per le licenze commerciali di Monaco e che l'auto, prima di essere immatricolata in Italia risultava intestata alla persona fisica (...) non quale titolare della (...); - di aver, pertanto, provveduto a presentare atto di querela presso la Procura di Treviso per i reati di cui agli artt. 56, 640, 642 e 367 c.p.; - ha chiesto, pertanto, in via pregiudiziale sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c., stante la pendenza del procedimento penale presso la Procura della Repubblica del Tribunale Penale di Treviso; in via preliminare accertare e dichiarare l'inoperatività della garanzia assicurativa di cui alla polizza n.(...) e, conseguentemente, dichiarare l'assoluta carenza di legittimazione passiva della (...) S.p.A., per essere il sinistro mai avvenuto, con ogni conseguenza di legge anche in ordine alle spese di lite; in subordine, nel merito rigettare ogni e qualsivoglia domanda proposta da parte attrice, perché infondata in fatto ed in diritto e comunque non provata, con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa; in via di gradato subordine, in mancanza di prova dell'integrità del veicolo al momento del furto, dichiarare la Compagnia tenuta a liquidare la sola somma che risulterà di giustizia nei limiti delle condizioni tutte di polizza, in particolare nei limiti del massimale e della franchigia di polizza di Euro 500,00, con compensazione delle spese di lite. Al termine della trattazione e concessi i termini di cui all'art.183 comma 6 c.p.c. è stata disposta la produzione dell'incarto inerente il procedimento penale n.702/2018 RGNR della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, pendente a carico dell'attore e, all'esito, con ordinanza del 10.10.2019, ritenuta la causa matura per la decisione, il procedimento è stato rinviato per precisazione delle conclusioni. All'udienza del 26.11.2020 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni, riportandosi ai propri atti difensivi e la causa è stata trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c., con termine ridotto a quaranta giorni per il deposito delle comparse conclusionali. La domanda è infondata, per le ragioni di seguito esposte. Preliminarmente, deve darsi atto della mancata sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., invocata dalla convenuta, in assenza di rapporto di pregiudizialità/dipendenza tra l'odierno procedimento e quello penale scaturito dalla querela della Compagnia assicurativa convenuta. Sul punto, infatti, deve osservarsi come, a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, sia stato abbandonato il principio dell'unità della giurisdizione e della cd. pregiudizialità penale ed è stato accolto il sistema dell'autonomia e separazione dei due giudizi, sicché, tranne le ipotesi di cui all'art.75 comma 3 c.p.p. - non integrate nella specie e, peraltro, restrittivamente intese da Cass. SS.UU. n.13661/2019 - il giudice civile deve procedere all'autonomo accertamento dei fatti dedotti in giudizio, pur potendo trarre elementi di prova dagli atti del pendente procedimento penale, ove prodotti dalle parti. Venendo al merito della controversia, deve premettersi, in diritto, che in tema di assicurazione contro il furto, affinché maturi il diritto all'indennizzo contrattuale in caso di sinistro, presupposto affinché possa affermarsi l'obbligo della Compagnia al relativo pagamento, è onere dell'assicurato dimostrare a) la proprietà dei beni sottratti; b) l'effettiva sottrazione del bene; c) il loro valore al momento del furto e, d) nell'ipotesi in cui la polizza preveda l'esclusione dell'operatività della garanzia in caso di omessa adozione di specifiche misure di sicurezza, la prova positiva della loro adozione. Nel caso di specie dirimente risulta la mancanza di prova in ordine al requisito sub b). Deve premettersi, sul punto, che nel caso in cui si assuma di essere stati vittime della sottrazione del bene assicurato, la sola denuncia di furto presentata davanti alla polizia giudiziaria non può ritenersi sufficiente ad assolvere il relativo onere probatorio, trattandosi di atto di parte e non rivestendo, pertanto, alcun valore probatorio circa la veridicità dei fatti in essa denunciati ma solo della provenienza delle dichiarazioni rese al Pubblico Ufficiale (Cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10262 del 07/09/1992; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1935 del 10/02/2003; Tribunale Milano sez. XII civ. n. 4606 19.04.2012; Tribunale Parma, 11/02/2019, n.243, conforme a Trib. Milano, 29/09/2008, n.11527). La produzione in giudizio della denuncia di furto, in definitiva, non esime l'attore dalla prova rigorosa, in primis, della preesistenza della res assicurata nelle condizioni e nel luogo indicate dall'assicurato e, in secondo luogo, della verificazione dell'evento-furto. L'assicurato, al fine di ottenere il pagamento dell'indennizzo per il furto dell'autovettura, deve dimostrare che la vettura esisteva effettivamente, era idonea a svolgere la funzione sua propria di mezzo di locomozione e trasporto ed era dotata di un apprezzabile valore economico all'epoca della lamentata sottrazione. Detto diversamente, la Compagnia assicurativa, che, convenuta in giudizio dall'assicurato, alleghi l'esclusione dell'operatività della garanzia, non propone un'eccezione in senso tecnico, ma formula una mera difesa volta a contestare il fatto costitutivo della domanda attorea, con la conseguenza che non assume alcun onere probatorio, che resta immutato a carico dell'attore, il quale è tenuto a dimostrare il fatto costitutivo della domanda in tutta la sua estensione (cfr. Cass. civ. sez. III, 20/03/2006, n.6108). Ebbene, nel caso di specie, quanto alla sottrazione dell'auto, l'attore si è limitato a produrre la denuncia del furto sporta ai Carabinieri di Vasto e relativa integrazione (doc. 2) e il certificato cronologico PRA con annotazione della menzionata denuncia di furto (doc.5). Entrambi non sufficienti, quali atti provenienti dallo stesso assicurato, a dimostrare, da sé soli considerati, l'effettiva sottrazione del bene. Né, d'altra parte, di tali circostanze l'attore avrebbe potuto fornire prova testimoniale - le quali, peraltro, non sono state reiterate specificamente al momento della precisazione delle conclusioni e devono, pertanto, considerarsi tacitamente rinunciate (cfr. sul punto Cass. civ. sez. III n.19352/2017) - in quanto, come emerge dalla denuncia di furto, non vi era alcun testimone diretto dei fatti né il luogo era munito di sistema di videosorveglianza. Pertanto il teste indicato, (...), non avrebbe potuto confermare nè che il (...) avesse parcato il veicolo nel parcheggio della vecchia stazione ferroviaria di Vasto adoperando tutti i sistemi di chiusura in dotazione né che successivamente la stessa auto veniva asportata da ignoti, non avendone potuto avere conoscenza diretta. Sul punto deve osservarsi come la rilevanza della testimonianza de relato actoris, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa (così ad es. Trib. Roma, sez.XII, 14/12/2017, n. 23361; Cass. Sez. III. 23/03/2017, n.7414; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 569 del 15/01/2015). Deve soggiungersi, inoltre, che sussistono fondati dubbi anche in ordine alla effettiva disponibilità materiale dell'auto da parte del (...) e della sua idoneità a svolgere la funzione sua propria nonché del fatto che la vettura fosse dotata di un apprezzabile valore economico all'epoca della lamentata sottrazione. Circostanze, si ribadisce, che rientrano nell'onere probatorio a carico di parte attrice assicurata. Ed infatti, quanto alla disponibilità dell'auto, l'attore ha prodotto in giudizio solo la fattura di acquisto (risultata falsa dagli accertamenti svolti dalla Procura di Treviso) e le quietanze di pagamento (doc. 4-5-6 memoria del 11.7.2018) ma il pagamento effettivo non risulta tracciato, avendo il (...) asserito di aver pagato l'auto in contanti, e nessun documento di trasporto prova l'effettiva consegna del bene. Dubbi ancor più pregnanti sulle sopra indicate circostanze risultano, peraltro, dall'incarto procedimentale e dalle indagini svolte dalla Procura di Treviso nel procedimento rubricato al R.G.N.R con n.702/2018, le quali hanno condotto al decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti dell'odierno attore e del precedente proprietario dell'auto, (...), "per il reato di cui agli artt. 110 - 642 c.p. perché, in concorso tra loro a al fine di conseguire un ingiusto indennizzo, denunciavano falsamente alla "(...) S.p.A." assicurazioni essere avvenuto un sinistro (furto del veicolo Mercedes CLA tg.(...)) in data 18/8/2015, furto mai accaduto. In particolare, il S., dopo aver avuto con il predetto veicolo, recante targa tedesca per esportazione, un incidente devastante, tale da rendere antieconomica la riparazione, si intestava il mezzo e poi simulavano la compravendita con il (...) producendo falsa fattura, per l'importo di Euro 40.000,00, procedevano ad immatricolare il veicolo a nome di (...) il quale proponeva falsa denuncia di furto della vettura con la quale richiedeva l'indennizzo alla (...)". Dalle indagini svolte dalla Procura, in particolare, è emerso che in data 6.2.2015, ovvero soli tre mesi prima dell'asserito acquisto dell'auto da parte del (...), la medesima vettura che questi asserisce essere stata rubata, recante telaio n. (...), anche se con diversa targa per esportazione (...), veniva coinvolta in un sinistro stradale riportando ingenti danni, tanto che la stessa Polizia Giudiziaria attestava che "come si evince dalla fotografia trasmessa, l'autovettura appare con tutta la parte anteriore distrutta, tanto da rendere antieconomica la sua riparazione (doc. 5)". I medesimi operatori di Polizia concludevano nel senso che "(...), dopo questo sinistro si è prima intestato il mezzo in data 5.3.2015 con targa (...), verosimilmente con i semplici documenti, per poi simulare la compravendita con il (...) producendo la falsa fattura di compravendita per l'importo di Euro 40.000,00 utilizzata per l'immatricolazione in Italia in data 25.5.2015. Quest'ultimo, quindi, ottenuta carta di circolazione italiana con la targa (...), ha poi provveduto ad assicurarla in data 10.6.2015 presso l'agenzia (...) di V., provvedendo poco dopo a presentare la falsa denuncia di furto". Occorre chiarire che, per consolidata giurisprudenza, le prove raccolte in diverso procedimento, comprese le perizie e gli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, pur non potendosi ritenere elementi di prova da sé sole considerate, possono considerarsi indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio (Cassazione civile, sez. III, 19/07/2019, n. 19521). In definitiva, da un lato, l'attore non ha fornito adeguata dimostrazione in ordine alla effettiva sottrazione del bene e, dall'altro, dalla documentazione prodotta da parte convenuta e dagli atti di indagine del procedimento penale R.G.N.R con n.702/2018 risultano fondati dubbi in punto di effettiva acquisizione, da parte del (...), della disponibilità della vettura e in ordine al suo valore economico e alla sua funzionalità all'epoca della lamentata sottrazione. In difetto di elementi di prova certi, precisi e concordanti circa la sottrazione dell'autovettura ad opera di ignoti, appare legittimo il diniego di indennizzo opposto dalla Compagnia assicurativa (ex plurimis, cfr. Trib. Roma, 07/12/2016, n.22823; cass.4426/1997). Accertata l'insussistenza dell'inadempimento della Compagnia assicurativa, deve essere rigettata la domanda di condanna al pagamento della somma chiesta a titolo di indennizzo. Le spese di lite, determinate con applicazione dei parametri medi, seguono la soccombenza dell'attore e si liquidano come da dispositivo osservando che, in caso di rigetto della domanda, il valore della controversia, va determinato utilizzando il criterio del "disputatum", senza che trovi applicazione il correttivo del "decisum" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28417 del 07/11/2018). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta la domanda proposta dall'attore nei confronti della (...) Spa; - Condanna l'attore a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite, liquidate in Euro 7.254,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% sui compensi, IVA e CPA come per legge. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 3 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VASTO Il Tribunale di Vasto in composizione monocratica, nella persona del G.O. Tommaso David, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 396/2018 del Ruolo Generale Affari Civili e vertente TRA (...) nato a V. il (...) (c.f. (...)) in proprio e quale esercente la postestà genitoriale sul figlio minore (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Pi.AN. ATTORE E CONDOMINIO (...), in persona dell'Amministratore p.t. c.f. (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ni.TA. CONVENUTO Si premette che ai sensi dell'art. 58 della L. n. 69 del 2009, l'articolo 132 c.p.c. si applica ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della detta legge per cui non è necessario trascrivere lo "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo, ove necessario od opportuno, per una migliore comprensione delle motivazioni della presente decisione). FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 12.4.2018 (...), anche quale esercente la potestà sul minore (...), conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vasto, il Condominio Gardenia esponendo di essere proprietario dell'immobile sito in V. alla Via M. dell'A. n. 130 facente parte del Condominio Gardenia, distinto in Catasto al F. (...) p.lla (...) sub. (...). Deduceva che originariamente la detta unità immobiliare era costituita da due unità immobiliari distinte in C. al F. (...) p.lla (...) sub. (...) e sub. (...), successivamente accorpate in un unico appartamento. Per quel che interessa in questa sede, deduceva che l'Assemblea Condominiale, in data 2 novembre 2015 aveva, all'unanimità, deciso di assegnare 10 posti auto da realizzarsi nel cortile condominiale e che al D. S. erano stati assegnati i posti auto distinti con i nn. 9 e 3. Con successiva Delib. del 13 gennaio 2016 il Condominio confermava quanto stabilito in data 2 novembre 2015 confermando la realizzazione di 10 posti auto. Successivamente, ancora, in data 5.5.2017 l'Assemblea Condominiale rigettava la richiesta di un condomino di regolamentazione diversa dei posti auto. In data 16.11.2017 l'assemblea dava incarico al tecnico di fiducia dell'amministratore di redigere una planimetria dei posti auto. La delibera con cui veniva assunta tale decisione veniva impugnata dall'odierno attore. In data 27.12.2017 l'assemblea, dopo che il geom. S., all'uopo incaricato dall'Amministratore, aveva illustrato il proprio elaborato progettuale e dopo che lo stesso aveva fatto presente che il numero di unità abitative allo stato attuale contava 9 unità, approvava tale planimetria. Anche tale delibera veniva impugnata dall'attore. Entrambi i due procedimenti di impugnazione delle delibere proposte dal D.S. venivano dichiarati esauriti poiché il Condominio non prestava il consenso alla prosecuzione. Ciò sinteticamente esposto, chiedeva preliminarmente sospendersi l'efficacia delle delibere del 16.11.2017 relativamente al punto 3 dell'ordine del giorno e del 27.12.2017 relativamente ai punti 1 e 2; nel merito chiedeva dichiararsi la nullità ovvero l'annullabilità delle anzidette delibere, con vittoria di spese e compensi. La causa è stata ritualmente e tempestivamente iscritta a ruolo in data 17 aprile 2018. Si è costituito in giudizio il Condominio convenuto il quale ribadiva che le unità abitative, attualmente, erano in numero di 9 per cui, onde non alterare il principio di pari uso della cosa comune, i posti auto da assegnare erano solamente nove e non più dieci. Tale assunto, secondo parte convenuta, era corroborato dal fatto che le unità immobiliari di parte attrice erano state fuse in una unica unità con un nuovo subalterno, prima dell'acquisto da parte dell'attore medesimo. Concludeva perché il Tribunale rigettasse la chiesta sospensione e chiedeva, nel merito, il rigetto della domanda per manifesta infondatezza ed antigiuridicità con condanna dell'attore al pagamento dei compensi di causa. Il Giudice, con ordinanza del 20.09.2018, rigettava la chiesta sospensione dell'efficacia delle delibere impugnate perché parte attrice non aveva dedotto il periculum in mora e, con successiva ordinanza del 8.2.2019, rigettava le richieste istruttorie formulate dalle parti. Le parti hanno precisato le proprie conclusioni come segue: parte attrice: "L'avv. (...) si riporta alle conclusioni rassegnate nell'atto introduttivo, reitera la richiesta di ammissione dei mezzi istruttori in atti ed, in ogni caso, precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle rassegnate nell'atto introduttivo e nelle memorie ex art. 183 VI comma n. 1. Chiede concedersi i termini di cui all'art. 190 c.p.c." Parte convenuta: "Voglia l'On.le giudicante adito, contrariis reiectis, così statuire: 1. Affermare e pronunciare il rigetto integrale, sotto i vari profili eccepiti, della domanda attrice, sottesa alla dichiarazione di nullità e/o annullabilità delle delibere assembleari del 16.11.2017 (relativamente al punto 3 dell'o.d.g.) e del 27.12.2017 (punti 1 e 2 all'o.d.g.) per manifesta infondatezza ed antigiuridicità; 2. Condannare (...), in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul minore (...), al pagamento di tutte le spese del presente giudizio, oltre accessori di legge e cap, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore che "antistatario" ex art. 93 c.p.c.." La causa, come già detto necessariamente ricostruita in maniera assai schematica in tali termini, veniva assegnata al sottoscritto ed alla prima udienza in cui è pervenuta sul ruolo dello scrivente è stata trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini di legge per conclusionali e repliche. Dalla documentazione prodotta, sia da parte attrice che da parte convenuta, si evince chiaramente che il fabbricato condominiale era originariamente composto di n. 10 appartamenti. Appare pacifico, inoltre, tra le parti, che in data 9.7.2013 i due appartamenti distinti con i subalterni (...) e (...) del F. (...) p.lla (...) sono stati accorpati ed hanno dato origine al nuovo subalterno (...), successivamente acquistato dall'attore in tale consistenza. Con delibera condominiale del 3.7.2014 si era stabilito che nel cortile condominiale si potesse parcheggiare una autovettura per appartamento. Con la Delib. del 13 gennaio 2016 l'assemblea condominiale decideva di confermare quanto già stabilito con Delib. del 2 novembre 2015 e cioè la creazione di n. 10 posti auto e gli stessi sono stati sorteggiati attribuendo all'attore i posti auto n. 9 e 3. Con le successive delibere impugnate, invece, i condomini hanno deciso di ridurre il numero di posti auto a 9 sul presupposto che l'unità immobiliare dell'attore fosse una sola e non più due, giusta considerazioni del geom. S.. Al proposito deve osservarsi che la Corte di Cassazione, con la recente sentenza del 31 Agosto 2017 n. 20612 ha ribadito che in base all'art. 1117 del codice civile, sono intesi "beni comuni" il suolo, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solati, le scale, i portoni di ingresso, i portici, i cortili e le facciate; inoltre sono ricompresi tra gli spazi comuni le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti e tutti quegli spazi destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune. Un tipico esempio di spazio comune è quello del cortile condominiale e dell'area esterna all'edificio destinata a parcheggio delle auto dei condomini. Secondo la Corte di Cassazione è valida la delibera dell'assemblea condominiale, approvata a maggioranza, con la quale si assegnano ai condomini i posti auto ricavati nell'area del cortile comune, senza attribuire agli assegnatari il possesso esclusivo della porzione. Poiché, infatti, con tale delibera si disciplinano le modalità d'uso dei beni comuni non è necessaria l'unanimità dei consensi, essendo sufficiente la delibera adottata a maggioranza. Ebbene, in base ai principi affermati dalla Cassazione, l'assemblea può decidere, anche a maggioranza, l'assegnazione e/o turnazione dei posti auto ai singoli condomini. Solo il titolo costitutivo di ogni singola proprietà, cioè l'atto di compravendita della singola unità immobiliare e delle relative pertinenze, è idoneo ad individuare l'area di proprietà esclusiva; così come solo dall'atto originario di costituzione del condominio si possono ricavare gli spazi condominiali. Da tale principio consegue che l'area esterna di un edificio condominiale, della quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo d'acquisto, nonché nell'atto originario di costituzione del condominio, va ritenuta presuntivamente di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c., salvo prova contraria da parte del singolo condomino. In sostanza, "ove manchi un'espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c." (Cass. n. 730/08), mentre i posti-auto sono da considerarsi quali pertinenze delle singole unità immobiliari secondo il regime previsto dagli artt. 817 e 818 c.c. (Cass. n. 11261/03). Non può esistere perciò dubbio alcuno circa il fatto che l'area adibita a parcheggio sia oggetto di proprietà comune e precisamente condominiale. Chiarito tale aspetto e rilevato che agli atti non risulta una diversa situazione fattuale, non può che ribadirsi che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene, salvo che il titolo disponga altrimenti, (così, infatti, dispone l'art. 1118 c.c.). Il godimento, per espressa pattuizione intervenuta tra tutti i condomini, può, invece, essere attribuito in maniera non proporzionale al valore delle singole proprietà: ciò che è essenziale (in relazione a quanto disposto dall'art. 1202 c.c., richiamato per il condominio dall'art. 1139 c.v.) è che ciascun partecipante possa servirsi del bene comune purché non ne alteri la destinazione economica e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Non è, invece, possibile, escludere un condomino dal godimento del bene comune. In conseguenza di quanto appena evidenziato si evidenzia che l'uso ripartito dei posti auto condominiali consente un uso "individuale" di quelle che sono parti condominiali, che presupporrebbero, per definizione, un uso e godimento promiscui. Ciascun condomino, in particolare, potrà utilizzare il posto auto che gli è stato attribuito a seguito della ripartizione, posto auto che per converso non potrà essere utilizzato da tutti gli altri condomini. La possibilità di prevedere un uso individuale di beni comuni, peraltro, sembra trovare un testuale riscontro nella disposizione dell'art. 1122 del c.c.: "Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.". L'articolo appena richiamato lascia intendere che vi possano essere forme di "uso individuale" di parti comuni condominiali che debbono, comunque, sempre soddisfare la condizione sopra illustrata di cui all'art. 1102 c.c. (e cioè che attraverso forme di uso individuale sia comunque consentito a tutti i condomini di fare parimenti uso della cosa comune). Si pone, nel caso oggi in esame, invece e solamente un problema di gestione e di disciplina condominale dell'area complessivamente destinata a parcheggio. Va immediatamente puntualizzato che l'effettiva esistenza degli spazi destinati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione è condizione per il riconoscimento giudiziale del diritto reale al loro uso da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari, ai quali altrimenti compete soltanto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno conseguente all'indisponibilità degli spazi stessi e senza possibilità di ubicazioni alternative (così, Cass. n. 3393/09). I comproprietari, come detto, sono nove; gli appartamenti sono pure nove, ma sarebbero dieci se si considera che le unità dell'attore sono il risultato di un accorpamento. Si tratta di stabilire come possa essere garantito il diritto al parcheggio inerente ad ogni unità immobiliare. Ma prima bisogna stabilire se ad ogni unità, anche se accorpata con altra, spetti un posto auto oppure due. La risposta la si può trarre da questo principio giurisprudenziale: il diritto al parcheggio connesso a ciascuna delle unità immobiliari acquistate non può venire meno per il fatto che il proprietario di due unità immobiliari le abbia, poi, accorpate trasformandole in un complesso unitario, non solo perché, diversamente, verrebbe frustrata la ratio della normativa (di deflazione della domanda di spazi per parcheggio nelle aree destinate alla pubblica circolazione), ma anche perché il disporre ad libitum del bene rientra nell'esercizio delle legittime facoltà del proprietario, senza che ciò possa in alcun modo incidere sui rapporti esterni e sull'originaria distinzione ed autonomia delle singole unità interessate e, quindi, sui diritti che la proprietà di ciascuna attribuisce (cfr. Cass. n. 20032/04). Non appare ragionevole fare dipendere la quantità di superficie riservata a parcheggio per unità immobiliare dal fatto che l'accorpamento sia stato effettuato in fase di costruzione dell'edificio, prima della vendita, o dall'acquirente, dopo la vendita. La soluzione deve perciò essere uniforme in entrambi i casi. In definitiva, va accertato il diritto dell'attore a disporre, nell'ambito dello spazio condominiale complessivamente destinato a parcheggio, di due posti auto corrispondenti ai due appartamenti originariamente previsti all'atto della costruzione del fabbricato. Spetta invece all'assemblea - e non è possibile in questa sede provvedervi, stante la natura e l'oggetto del procedimento - procedere alla individuazione e delimitazione dei posti auto e stabilire le relative modalità di uso che consentano a ciascun condomino, fermo restando il diritto dell'attore a usarne due (che può comportare, a seconda della concreta modalità di attuazione, cioè di regolazione dell'uso, anche il simultaneo parcheggio da parte sua di due autovetture), di disporre pariteticamente dei posti auto. Non appare, pertanto conforme al dettato di cui all'art. 1102 c.c. la delibera che ha deciso di privare dell'uso della cosa comune il proprietario dell'appartamento derivato dall'accorpamento di due distinte unità immobiliari. Ne consegue che le delibere condominiali del 16.11.2017 (relativamente al punto 3 dell'ordine del giorno) e del 27.12.2017 (relativamente ai punti 1 e 2 dell'ordine del giorno) sono nulle perché hanno comportato la lesione del diritto di comproprietà sulle parti comuni dell'attore il quale avendo acquistato una unità immobiliare derivante dall'accorpamento di due distinti appartamenti, ha diritto ad utilizzare le parti comuni con riferimento alla originaria situazione. Deve peraltro osservarsi che nel caso in esame non sono state esplicitate ragioni per cui il posto auto originariamente assegnato in uso all'attore, debba essere revocato. La semplice dichiarazione che gli appartamenti attualmente sono 9, non suffragata da motivazione ulteriore in ordine alla necessità di soppressione del posto auto e conseguente compressione del diritto al pari uso della cosa comune, non trova giustificazione. E ciò anche in considerazione del fatto che ove l'attore dovesse rifrazionare l'appartamento e rivenderlo, il posto auto dovrebbe automaticamente essere assegnato al diverso proprietario. Né vale sostenere, come effettuato da parte convenuta, che l'immobile è stato accorpato in una unica unità perché, ove si ragionasse in tal modo ed uno dei condomini, per ipotesi, acquistasse tutti gli appartamenti tranne uno e li accorpasse, dovrebbe avere, conseguentemente, diritto ad un solo posto auto. Il regime delle spese processuali è regolato dal principio della soccombenza; questo implica che all'accoglimento della domanda segue la condanna della parte convenuta al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano come appresso, secondo lo scaglione corrispondente al valore della presente controversia. In particolare, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, il calcolo dei compensi professionali è stato effettuato sulla base dei valori al di sotto dei medi dei parametri tabellari applicabili allo scaglione di riferimento, ai sensi del D.M. n. 37 del 08 marzo 2018. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), in proprio e quale esercente la potestà sul minore (...), nei confronti del Condominio Gardenia in persona dell'Amministratore e legale rappresentante pro tempore, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: ACCOGLIE, per quanto di ragione, la domanda di cui in epigrafe; DICHIARA, per l'effetto, la nullità delle delibere condominiali del 16.11.2017 (relativamente al punto 3 dell'ordine del giorno) e del 27.12.2017 (relativamente ai punti 1 e 2 dell'ordine del giorno); CONDANNA il Condominio Gardenia, in persona dell'Amministratore e legale rappresentante p.t. al pagamento in favore dell'attore delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.295,50 (di cui Euro 295,50 per spese documentate, Euro 1.600,00 per la c.d. fase di studio, Euro 1.000,00 per la fase introduttiva; Euro 1.200,00 per la fase istruttoria ed Euro 2.200,00 per la fase conclusionale) oltre rimborso forfettario spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Vasto il 2 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2021.

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