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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VELLETRI Prima sezione civile Il Tribunale di Velletri, nella persona del Giudice dott.ssa Prisca Picalarga, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al numero 6078 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno (...), avente ad oggetto (...) impugnazione di delibera assembleare - spese condom., trattenuta in decisione all'udienza del (...) e vertente tra (...) (c.f. (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) Attore e (...) (c.f. (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) Convenuto RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) ha convenuto in giudizio dinanzi a questo Tribunale (...) per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "1) Annullare la deliberazione assunta, in data (...) dall'Assemblea condominiale straordinaria del (...) al I punto all'ordine del giorno, recante la "Discussione, approvazione del Bilancio consuntivo dei Lavori del "muro perimetrale" e sua ripartizione" con la conseguente restituzione ai condomini delle quote versate; 2) Annullare la deliberazione assunta, in data (...), dall'Assemblea straordinaria del (...) di (...) al III punto all'ordine del giorno, recante "Consulente tecnico per la valutazione dello stato della palazzina, con particolare riferimento alle infiltrazioni d'acqua", con l'annullamento degli atti conseguenti e la restituzione delle quote versate; 3) Condannare il convenuto, ai sensi dell'art. 8, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dall'art. 84, comma 1, lett. I), D.L. (...), n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. (...), n. 98, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. 4) Condannare il Convenuto al risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., per non aver usato la "exacta diligentia" esigibile da un Amministratore condominiale professionista e da un Avvocato assistente in mediazione, nell'aver resistito in un giudizio con la consapevolezza dell'infondatezza della propria difesa, e, pertanto, abusando del diritto di difesa per fini dilatori o per la mancanza di quel minimo di diligenza o prudenza necessarie per rendersi conto dell'infondatezza della propria difesa e per valutare le conseguenze dei propri atti sul (...) stesso; danni da liquidarsi in via equitativa. Saranno documentati i danni di natura psicologica, derivati dalla conflittualità innescata dalle problematiche oggetto del presente atto di citazione, che hanno originato i comportamenti diffamatori, da parte di alcuni condomini, in occasione dell'assemblea condominiale del (...)". Con comparsa di costituzione e risposta il (...), (...) ha eccepito il mancato esperimento della mediazione obbligatoria, ha contestato quanto ex adverso dedotto e ha concluso nel senso di "Pregiudizialmente, accertare e dichiarare l'inammissibilità della presente impugnazione per mancato rispetto dei termini previsti dal combinato disposto dell'art. 71 quater disp. att. c.c. e 1137, c. 2, c.c. In subordine, nel merito, rigettare le domande di parte attrice perché infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate". Concessi i termini ex art. 183 sesto comma n. 1, 2, 3 c.p.c., disposti rinvii a causa dell'emergenza sanitaria da Covid-19, ritenuta la causa matura per la decisione stante la richiesta di rinvio per precisazione delle conclusioni da parte di entrambe le parti, rientrato in servizio il giudice assegnatario del procedimento in data (...), all'udienza del (...), sostituita dal deposito di note scritte, le parti hanno precisato le conclusioni e il giudice ha trattenuto la causa in decisione, previa assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Le domande di parte attrice devono essere dichiarate improcedibili come da dispositivo per i seguenti motivi. Le eccezioni di parte convenuta relative alla condizione di procedibilità del regolare svolgimento della mediazione obbligatoria possono essere infatti esaminate, essendo state tempestivamente eccepite da parte convenuta nella comparsa di costituzione e risposta e ribadite alla prima udienza, e quindi nel termine di legge - non oltre la prima udienza - ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010. L'oggetto della controversia attiene all'impugnazione di due delibere assunte dal condominio e pertanto la domanda è sottoposta alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria. La mediazione per la delibera assembleare del (...) si è svolta presso l'organismo di mediazione "(...) ( all.1 citazione) in data (...), con esito negativo. Il mediatore Dott. F.G. ha infatti attestato che "... il primo incontro, originariamente fissato per il giorno (...), è stato dapprima rinviato al (...) su richiesta della parte chiamata e successivamente, prima alla data del (...) ed infine alla data odierna, alle ore 11.00 presso la sede (...) di (...), su richiesta della parte istante, tramite il rappresentante (...); in data odierna la Parte istante, tramite il rappresentante (...), inviava alle ore 10:02 a mezzo PEC ulteriore richiesta di rinvio dell'incontro (terzo rinvio richiesto dalla parte istante); a fronte della ulteriore richiesta di rinvio pervenuta dalla parte istante per mezzo del suo rappresentante, la parte chiamata rappresenta di non acconsentire all'ulteriore richiesta di rinvio della suddetta procedura. Tanto Premesso alle ore 11:30 il mediatore, preso atto di quanto sopra, dichiara chiuso il procedimento". Emerge quindi che parte istante, dopo aver attivato la procedura di mediazione obbligatoria, non si è presentata all'incontro fissato. Né era presente il proprio difensore. Occorre innanzitutto rilevare che parte attrice non ha dimostrato in questo giudizio né di aver conferito procura speciale a (...), qualificato come rappresentante nel verbale, né ha documentato l'impossibilità oggettiva dello stesso di presenziare all'incontro del 30 luglio e a quelli precedenti. Si è limitata ad affermare di aver inviato, tramite pec, un certificato medico rilasciato dal Pronto soccorso dell'ospedale (...) di (...) senza produrre in tale sede il certificato medico né articolando prove sul punto. A tal proposito questo Tribunale ritiene di dar seguito all'autorevole e recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione secondo cui " Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all'art. 84). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale. Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale. Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista" (cfr. Cass. n. 8473/2019). Pertanto, oltre al fatto che non è stato provato il legittimo impedimento del rappresentante, parte attrice non ha fornito prova di aver correttamente delegato un terzo a partecipare all'incontro di mediazione. Ne segue che, essendo in tale ambito obbligatorio l'esperimento di procedimento di mediazione, se la parte attrice non si attiva deve pervenirsi alla improcedibilità della domanda. Ciò posto deve chiarirsi cosa deve intendersi per attivazione della parte onerata ai fini dell'avveramento della condizione di procedibilità. E' da escludere che la stessa possa dirsi integrata dalla mera attivazione del procedimento di mediazione, senza l'effettiva partecipazione alla procedura della parte opposta. Ciò si evince chiaramente dalle disposizioni che sotto si richiamano. L'art. 5, co. 1 bis D.Lgs. n. 28 del 2010 e ss.mm.ii. prevede che "chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio...è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ....L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale....L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.... ". Allo stesso tempo il comma 2 - bis del medesimo articolo prescrive che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale "si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l'accordo". Ad avviso di questo giudice il "primo incontro" cui allude la suddetta disposizione non può che essere quello delle parti, cioè di tutte le parti del giudizio, avanti al mediatore. D'altra parte, al primo incontro di fronte al mediatore deve non solo procedersi ad opera del mediatore ad una attività informativa circa la funzione e la modalità della mediazione, ma anche effettuarsi una vera e propria attività di mediazione di merito sulle questioni oggetto di lite, salva la facoltà delle parti di non procedere oltre nella mediazione, ove non sia raggiunto accordo al primo incontro. Segue da quanto sopra che la parte che ha interesse ad assolvere la condizione di procedibilità ha l'onere di attivare il procedimento, ferma restando la possibilità che esso possa essere attivato dalla controparte, e comunque di partecipare agli incontri avanti al mediatore. Neppure d'altra parte a diversa conclusione può giungersi valorizzando il disposto di cui all'art. 8, co. 4 - bis del D.Lgs. n. 28 del 2010 citato, secondo cui "dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116, secondo comma c.p.c.. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio". Ad una prima lettura, in effetti, tale disposizione sembrerebbe escludere che alla mancata partecipazione di una parte al procedimento possa seguire la sanzione della improcedibilità. Le conseguenze sarebbero infatti solo quelle previste da tale norma, con riflessi quindi sfavorevoli sotto il profilo probatorio (ex art.116 c.p.c.) e con applicazione della sanzione pecuniaria. Ad avviso del giudicante tale disposizione, alla luce della ratio della sanzione della improcedibilità e della efficacia deflattiva dell'istituto, va invece letta nel senso che essa sia applicabile esclusivamente nei confronti della parte che non è onerata ex lege, sotto comminatoria di improcedibilità, all'esperimento della mediazione ( così da ultimo sent. Tribunale Firenze Sez. III, Sent., (...)). Non si può infatti rendere possibile alla parte onerata di assolvere alla condizione, assicurando la procedibilità della propria domanda, semplicemente attivando il procedimento e non mediante "l'esperimento" dello stesso. Venendo alla presente fattispecie, in conclusione, va quindi sanzionato con l'improcedibilità della domanda il comportamento della parte onerata ex lege che non compaia avanti al mediatore. Per quanto riguarda poi la seconda delibera, del (...), si deve preliminarmente osservare, come eccepito da parte convenuta, che, ai sensi dell'art. 71 quater disp att c.c., l'istanza andava presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato. Pertanto il mediatore con verbale del (...) "alla luce di quanto dichiarato dalle parti, viste le eccezioni sollevate, dichiara la propria indisponibilità a presiedere all'incontro preposto dal legislatore per l'opportunità di tentare la mediazione, lasciando al Giudice preposto le dovute valutazioni" (All. 2 cit.). Parte attrice ha svolto il tentativo obbligatorio di mediazione dinanzi all'organismo di mediazione 101mediatori sede di Roma, ubicato quindi al di fuori della circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato, ossia quella di (...) Secondo l'orientamento a cui si ritiene di aderire "Il preventivo esperimento della mediazione presso la sede di un organismo in luogo diverso da quello del giudice competente per la controversia, non produce effetti e non è idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda" ( così sent. Tribunale Milano, (...) ). La parte convenuta ha denunciato al mediatore l'incompetenza per territorio dell'organismo adito, con comunicazione pec inviata alle 19,20 del (...) e comunicata al mediatore solo successivamente alla redazione del primo verbale negativo per mancata adesione della parte invitata, successivamente poi annullato con il verbale sopra citato del (...). Non può ritenersi fondata la difesa di parte attrice, secondo cui le parti avrebbero raggiunto un accordo in ordine alla deroga della competenza territoriale, "documentato nel verbale dell'assemblea condominiale del (...), che ha autorizzato l'amministratore condominiale e nominato l'avvocato ad assistere il condominio, in una specifica mediazione che si sarebbe svolta presso uno specifico organismo, in una specifica data, avente la sede principale a (...) poiché questo è un atto unilaterale del (...) convenuto e non un'intesa intervenuta tra le parti, che inoltre si sarebbe raggiunta successivamente all'avvio della procedura. In ogni caso sul punto si deve ricordare che l'art. 71 quater disp. Att. c.c. prevede la competenza dell'organismo per le controversie in materia di condominio a pena di inammissibilità. Poiché a fronte di tali eccezioni, tempestivamente sollevate da parte convenuta, parte attrice non ha chiesto concedersi termine per rinnovare la mediazione obbligatoria né vi ha proceduto spontaneamente, il giudice non può che dichiarare l'improcedibilità delle domande. Le questioni di merito, pertanto, non dovranno essere valutate perché assorbite da detto profilo di procedura. La soccombenza regola le spese di lite, liquidate come da dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche, tenuto conto del valore della controversia dichiarato da parte attrice, al di sotto dei valori medi stante la natura della decisione e il mancato espletamento di prove. Parte attrice è condannata a rifondere a parte convenuta i compensi del difensore per la fase di mediazione, ricompresi nelle spese processuali ex art. 91 c.p.c. ed in virtù del principio della causalità da porre a carico del soccombente, liquidati secondo i parametri sopra indicati, tenuto conto dell'effettiva attività espletata. P.Q.M. Il Tribunale di Velletri, ogni diversa istanza od eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede: dichiara l'improcedibilità delle domande di parte attrice. Condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite sostenute dal (...) convenuto che liquida in complessivi Euro 396,00 per compensi - di cui 64,00 euro per le due mediazioni -, oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Così deciso in Velletri il 29 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI -SEZIONE LAVORO 1 GRADO- Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 2/05/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4784/2020 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri e vertente tra (...) Ricorrente Rappresentato e difeso dall'Avv.to Fe.Ce. CONTRO (...) S.r.l. In persona del legale rappresentante pro-tempore Resistente Rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ug.Ma. e Ca.De. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 20.12.2020, ritualmente notificato, il ricorrente epigrafato conviene in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri la società (...) S.r.l.s. di cui è stato dipendente dal 4.06.2019 al 25.03.2020 con le mansioni di addetto alla manutenzione delle aree verdi - di cui al 2 livello del CCNL Servizi di Pulizia -, e orario di lavoro di 40 ore settimanali. Riferisce che il rapporto di lavoro si è svolto in virtù di plurimi contratti a tempo determinato -e relative proroghe- di cui alcuni non gli sono mai stati consegnati dalla società. Sostiene che la (...) ha abusato dello strumento del rapporto a tempo determinato in quanto, sia la proroga del primo contratto del 4.6.2019, sia quella del contratto del 19.08.2020, non indicano le causali del rinnovo, per cui ha diritto a che il rapporto di lavoro sia trasformato a tempo indeterminato a norma dell'art. 21 del D.Lgs. n. 81 del 2015, come modificato dalla L. n. 96 del 2018. Riferisce, ancora, di avere reso la propria prestazione lavorativa presso vari committenti della convenuta svolgendo lavoro straordinario eccedente le 40 ore settimanali ragione per cui, oltre che per il fatto che la società datrice di lavoro non gli ha corrisposto la retribuzione dovuta secondo quanto previsto nel CCNL applicato al rapporto, in violazione del combinato disposto degli artt. 2099 c.c. e 36 Cost, rivendica un credito retributivo pari alla somma complessiva di Euro 15.369,74. Quanto alla cessazione del rapporto, riferisce che il 25 marzo 2020 il datore di lavoro gli impediva di svolgere la propria attività a causa dell'emergenza epidemiologica da COVID19 e gli diceva di attendere sue comunicazioni, purtuttavia non è stato più richiamato per riprendere l'attività, e quindi, di fatto, licenziato illegittimamente senza motivazione, senza formalità e senza preavviso. Sulla base di tale premessa fattuale chiede al Tribunale adito di accertare la sussistenza, per il periodo compreso tra il 4.06.2019 e il 25.03.2020, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti in causa; di accertare le mansioni svolte in concreto e quindi il suo diritto ad essere inquadrato nel 2 livello del CCNL del Settore. Per l'effetto chiede di condannare la società resistente al pagamento del credito retributivo oltre che all'adempimento degli obblighi di natura contributiva derivanti dal rapporto di lavoro. Chiede, altresì, di accertare la nullità, illegittimità ed inefficacia del licenziamento orale e, per l'effetto, condannare la resistente a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno subito in misura non inferiore a 5 mensilità dell'ultima retribuzione dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione. La società (...) S.r.l.s. si costituisce in giudizio ed eccepisce la nullità del ricorso. Nel merito ne chiede il rigetto per la sua infondatezza in fatto e in diritto. Non contesta l'esistenza e la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il ricorrente purtuttavia sostiene di avere agito in conformità delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro a tempo determinato. Contesta, invece, sia il dedotto licenziamento verbale, affermando che il rapporto di lavoro è cessato per la scadenza del termine apposto all'ultimo contratto, sia che il ricorrente abbia svolto lavoro straordinario, ragione per cui non vanta alcun credito retributivo. La causa veniva istruita a mezzo della prova documentale e con la prova per testi. All'odierna udienza dopo la discussione, previa concessione di termine per note, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c.. Così riassunti i fatti di causa si rammenta che, a norma dell'art. 414 c.p.c., il ricorso deve contenere, fra l'altro, "la determinazione dell'oggetto della domanda" e "l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sul quale si fonda la domanda con le relative conclusioni", ciò al fine di assolvere ad una pluralità di funzioni che vanno opportunamente considerate così da individuare quando si verifica la sua nullità per mancato raggiungimento dello scopo ai sensi dell'art. 156 c.p.c.. La norma si pone come obiettivo principale quello di individuare l'oggetto del processo, ossia il diritto soggettivo del quale si chiede tutela, nonché la tutela richiesta, previa individuazione dei fatti storici che l'attore pone a fondamento della domanda in quanto costitutivi del diritto fatto valere dinanzi all'AG. Nel caso di specie tuttavia dall'esame complessivo del ricorso può affermarsi che il ricorrente ha fatto fronte all'onere previsto dall'articolo in esame, avendo indicato gli elementi di cui all'art. 414 n. 4, c.p.c. così da consentire al convenuto di difendersi compiutamente nella memoria di costituzione i giudizio e di consentire al giudice di pervenire all'udienza edotto degli esatti termini della controversia. Venendo al merito del giudizio, può dirsi pacifico tra le parti, oltre che documentalmente provato, che il rapporto di lavoro tra (...) e la società (...) S.r.l.s. si è svolto in virtù di 3 contratti a tempo pieno e determinato, e relative proroghe, in cui il ricorrente risulta inquadrato nel 2 livello del CCNL Servizi di Pulizia, con le mansioni di addetto alla manutenzione di aree verdi, in particolare: a) un primo contratto del 4.06.2019 con decorrenza 5.06.2019 e scadenza al 30.06.2019 (prorogato al 9.08.2019); b) un secondo contratto del 9.08.2019 con decorrenza dal 19.08.2019 e scadenza al 30.09.2019 (prorogato al 31.10.2019, poi al 30.11.2019 e quindi al 20.12.2019); c) un terzo contratto del 3.01.2020 con decorrenza dal 7.01.2020 e scadenza al 31.03.2020. L'art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015 nella formulazione applicabile ratione temporis al caso di specie dispone quanto segue: "Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. 1-bis. In caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi. 2. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l'eccezione delle attività stagionali di cui all'articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, non può superare i ventiquattro mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresi' conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento. 3. Fermo quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione". 4. Con l'eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l'apposizione del termine al contratto e' priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione. L'atto scritto contiene, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze di cui al comma 1 in base alle quali e' stipulato; in caso di proroga dello stesso rapporto tale indicazione e' necessaria solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi. 5. Il datore di lavoro informa i lavoratori a tempo determinato, nonche' le rappresentanze sindacali aziendali ovvero la rappresentanza sindacale unitaria, circa i posti vacanti che si rendono disponibili nell'impresa, secondo le modalità definite dai contratti collettivi". Ne consegue che la normativa vigente prevede la possibilità di stipulare il contratto di lavoro a tempo determinato "a-causale" per un periodo di durata non superiore ai 12 mesi e che, in caso di superamento del termine dei 12 mesi in assenza di una delle causali giustificatrici previste dal comma 1 dell'art. 19, il contratto si trasforma da tempo determinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di superamento del termine massimo. Il contratto a termine può, quindi, essere liberamente prorogato nel periodo massimo dei 12 mesi, ed è previsto un numero massimo di 4 proroghe, per cui il rapporto si considererà a tempo indeterminato a partire dalla data di concorrenza della eventuale quinta proroga. Nel caso di specie è pacifico tra le parti oltre che provato per tabulas il rapporto di lavoro tra (...) e la (...) S.r.l.s. ha avuto una durata complessiva di 299 giorni, quindi inferiore a 12 mesi, per cui non sussistono i presupposti per dare corso alla conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, come invece affermato dal procuratore del ricorrente. Procedendo con lo scrutinio della domanda di reintegrazione conseguente al dedotto licenziamento verbale del 25.03.2020, va opportunamente precisato che, essendo stato accertato che tra le parti è intercorso un rapporto a tempo determinato, ne consegue che la risoluzione anticipata da parte del datore di lavoro, se non sorretta da giusta causa, pur se qualificabile come "licenziamento", non comporta l'applicazione in favore del lavoratore né della tutela obbligatoria, né della tutela reale, bensì la sola risarcibilità del danno dallo stesso subito, commisurato alle retribuzioni perse fino alla naturale conclusione del contratto, danno che in specie non sussiste in quanto la scadenza del termine era in ogni caso stata fissata al 31.03.2020. Non può dirsi, quindi, che il (...) faceva legittimo affidamento su una ulteriore durata della relazione contrattuale e che detto interesse è stato leso dal recesso anticipato del datore di lavoro. Ma in ogni caso va considerato che, come è noto, il lavoratore che deduce la nullità/inefficacia del licenziamento per l'inosservanza della forma scritta prevista dall'art. 2 della L. n. 108 del 1990, ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa. Ebbene l'unico testimone di parte ricorrente esaminato nel corso dell'istruttoria, (...), ha riferito di avere lavorato per la società resistente in virtù di un contratto di lavoro a tempo determinato scaduto a febbraio 2020 e che pertanto non è a conoscenza delle vicende aziendali del successivo mese di marzo 2020. Ne consegue che, anche qualora il rapporto di lavoro tra le parti fosse stato a tempo indeterminato, il ricorrente non avrebbe fatto fronte all'onere probatorio di cui era gravato, ossia provare che la cessazione del rapporto medesimo è stata ascrivibile alla volontà datoriale manifestata verbalmente e/o per fatti concludenti. Non spetta, pertanto, al ricorrente l'indennità sostitutiva del preavviso di cui all'art. 2118 c.c.. Infine, con riferimento alla domanda di pagamento delle differenze retributive, è opportuno premettere che nelle conclusioni formulate in ricorso il procuratore del (...) chiede che sia accertato il diritto nel suo assistito ad essere inquadrato nel 2 livello del CCNL Servizi di Pulizia. Purtuttavia, dalla piana lettura dei contratti di lavoro prodotti dalla società resistente, ed invero dalle stesse allegazioni di cui alla premessa in fatto del ricorso, risulta che al ricorrente è stato riconosciuto esattamente il livello di inquadramento rivendicato in questa sede che, peraltro appare del tutto conforme con le mansioni in concreto svolte dallo stesso quale operaio addetto alla manutenzione delle aree verdi. Ed infatti appartengono al predetto livello "i lavoratori che, con un breve periodo di pratica/addestramento, sono adibiti ad operazioni per la cui esecuzione si richiede il possesso di (semplice) conoscenze pratiche, anche con macchine e mezzi meccanici senza autorizzazione. Appartengono a questo livello anche i lavoratori che svolgono mansioni esecutive che richiedono una generica preparazione professionale e conoscenze elementari di prodotti chimici ...". Ciò chiarito, il ricorrente afferma di non essere stato retribuito secondo quanto previsto dagli artt. 2099 c.c. e 36 Cost., tenuto conto degli istituti di cui al CCNL del Settore. Dalle buste paga prodotte in atti dallo stesso (...) risulta che al lavoratore è stata riconosciuta la retribuzione lorda mensile di Euro 1.186,50 (di cui: 659,21 a titolo di paga base, 513,96 a titolo di contingenza, 10,33 a titolo di EDR) secondo quanto dalle Tabelle del CCNL di categoria nel periodo di interesse per gli operai inquadrati al 2 livello, che invero è esattamente quella indicata come dovuta nei conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio. Da un attento esame dei conteggi si evince, quindi, che il credito rivendicato dal (...) in questa sede è giustificato: dal mancato pagamento (parziale o totale) di quanto dovuto a titolo di retribuzione mensile, per un ammontare complessivo di Euro 6.099,91; dall'inadempimento parziale o totale del pagamento delle mensilità aggiuntive; per il mancato pagamento del compenso per il lavoro straordinario nonché dell'indennità sostitutiva delle festività ferie e dei permessi non goduti, dell'indennità per il mancato preavviso oltre che a titolo di TFR. Ciò posto è bene rammentare che è nota l'affermazione, reiteratamente e correttamente ripetuta nelle massime giurisprudenziali, secondo cui spetta al lavoratore, che chiede il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario - ma il discorso vale anche per le ferie e i permessi non goduti -, fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti. Tale affermazione costituisce la proiezione del principio guida del citato art. 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro "in eccedenza" rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata. Peraltro, la Suprema Corte ha avuto cura di precisare che è del tutto irrilevante il maggiore agio che potrebbe avere il datore di lavoro a provare il fatto in questione, non potendo questa circostanza, da sola, costituire una valida ragione per sovvertire le regole probatorie generali. In altri, termini, l'obbligazione di pagamento del compenso aggiuntivo e/o dell'indennità sostitutiva sorge per effetto e quale conseguenza di un fatto storico costitutivo, ossia lo svolgimento di attività lavorativa eccedente quella dovuta da parte del lavoratore (cfr., di recente, Cass. n. 26985 del 22 dicembre 2009), sicché soltanto ove sia provata la sussistenza dell'obbligazione di pagamento questi potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento datoriale, a fronte del quale la parte resistente avrebbe a sua volta l'onere di provare l'esatto adempimento. Da ultimo la giurisprudenza della S.C. di Cassazione è tornata sul punto precisando che "Sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell'onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice (Sent. n. 13150/2018). Infine, sempre in punto di distribuzione dell'onere della prova, si rammenta che le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che l'attore agisca per l'esatto adempimento, sia per la risoluzione del rapporto, sia per il risarcimento del danno, può limitarsi a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento (totale o parziale). Il convenuto sarà, invece, onerato di provare l'esatto adempimento ovvero l'impossibilità sopravvenuta, a lui non imputabile, della prestazione (cfr. S.U. 13533/2001). Inoltre costituisce dovere legale del datore di lavoro rilasciare al dipendente regolare prospetto paga per il periodo relativo alla prestazione lavorativa resa anche nell'interesse del datore di lavoro in quanto le buste paga costituiscono piena prova dei dati in esse indicati, in ragione della loro specifica normativa (L. n. 4 del 1953) che prevede l'obbligatorietà del loro contenuto e la corrispondenza di esso alle registrazioni eseguite (articolo 2). La L. di Bilancio n. 205 del 2017 (art. 1 commi 910-914) ha introdotto l'obbligo di tracciabilità del pagamento delle retribuzioni dei dipendenti. Pertanto, dall'1.07.2018, i datori di lavoro o i committenti hanno l'obbligo di corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo, attraverso gli strumenti di pagamento individuati dalla legge stessa, con la precisazione che la busta paga ha natura di confessione stragiudiziale ex artt. 2734 e 2735 c.c... Applicando i richiamati principi di diritto al caso di specie ne consegue che non spetta al ricorrente quanto da lui rivendicato a titolo di lavoro straordinario posto che il teste (...) ha confermato che egli osservava l'orario di lavoro di 8 ore al giorno per cinque giorni a settimana (dalle 7,00 alle 16,00 con un'ora di pausa pranzo) e che all'incirca due volte a settimana lavorava anche oltre le 16,00 più o meno fino alle 18,00. A giudizio della scrivente la testimonianza non appare di per sé sola sufficiente a sostenere l'assunto di parte ricorrente tenuto conto degli stringenti oneri che gravano sul lavoratore con riferimento al diritto al compenso per il lavoro straordinario, poiché il teste ha reso sul punto una testimonianza generica che non consente di pervenire alla determinazione del quantum del credito retributivo azionato in questa sede, non surrogabile dalla valutazione equitativa del giudice. Ed infatti, la possibilità di valutazione equitativa dell'ammontare della prestazione retributiva del lavoratore presuppone che il diritto dello stesso sia certo, circostanza che non ricorre nel caso in esame. Ciò senza contare che non è neanche possibile stabilire l'effettiva conoscenza diretta dei fatti di causa da parte del teste che si è limitato a riferire genericamente di avere lavorato spesso insieme al (...). Pertanto la domanda di pagamento non basata su fatti che ne dimostrano la fondatezza non può essere accolta. Di contro i testimoni di parte resistente, (...) e (...), sulla cui attendibilità soggettiva oggettiva non sussistono motivi di sospetto, hanno riferito che le squadre degli operai fanno rientro in azienda alle 16,00 e che nel caso in cui il lavoro non sia ultimato le attività proseguono il giorno successivo. Hanno, quindi, confermato l'assunto di parte convenuta secondo cui il ricorrente ha sempre osservato l'orario di 40 ore settimanali previsto in contratto. Diversamente sono dovute al (...) dalla società ex datrice di lavoro le somme rivendicate a titolo di differenze sulla retribuzione mensile pari a 6.099,91; le differenze sulle mensilità aggiuntive per un ammontare complessivo di Euro 1.580,61 (887,64 per la 13ma e 694,97 per la 14ma) e TFR Euro 708,71. Per quanto riguarda invece le festività e l'indennità sostitutiva delle festività ferie e dei permessi non goduti riconosciuti dalla datrice di lavoro in busta paga, sussiste un credito a favore della medesima società datrice di lavoro pari alla somma di Euro 144,90. Con riferimento ai conteggi di parte attrice si evidenzia che appaiono immuni da vizi con riferimento sia ai criteri sulla cui base sono stati sviluppati sia alle singole operazioni di calcolo. Peraltro, il procuratore della società resistente, diversamente da quanto dal medesimo affermato, li ha contestati solo genericamente. In definitiva, la società (...) S.r.l.s., in persona della l.r.p.t., va condannata a corrispondere in favore di (...) la somma complessiva di Euro 8.244,33 (8.389,23 - 144,90). Alla stregua dell'indirizzo ormai pacifico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, la liquidazione delle differenze retributive va operata detratto dal lordo dovuto il netto percepito. Ed infatti i Supremi Giudici affermano che "l'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall'art. 19, L. 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell'art. 23, comma primo, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire" (cfr., per tutte, Cass. 11 luglio 2000, n. 9198, Cass. 15 luglio 2002, n. 10258 e Cass., n. 18584 del 7 luglio 2008, Cass. n. 19790 del 28 settembre 2011 e Cass., sez. lav., n. 3525 del 13 febbraio 2013, nelle quali ultime viene precisato che dall'importo lordo dovuto va detratto quello netto percepito nonché, più di recente, Cass., sez. lav., n. 12566 del 29 maggio 2014). Sui crediti del lavoratore spettano, inoltre, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalle singole maturazioni al saldo (Corte Cost., 2 novembre 2000, n. 459 e Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2001, n. 38). Va rigettata, infine, la domanda di regolarizzazione contributiva posto che l'an del credito accertato in questa sede ha natura contrattuale e non vi è prova che la società abbia omesso di corrispondere all'INPS quanto dovuto in ottemperanza agli obblighi dei versamenti contributivi relativi alla posizione del ricorrente. Per tutti i motivi esposti il ricorso è in parte fondato e merita di essere accolto nei limiti innanzi precisati. Quanto al regolamento delle spese processuali, osserva il giudicante che la soccombenza reciproca ne giustificherebbe la compensazione totale ai sensi dell'articolo 92 c.p.c.. Purtuttavia, tenuto conto del comportamento processuale della società resistente, che benché fosse stato raggiunto l'accordo conciliativo non ha provveduto ai pagamenti pattuiti da corrispondere al (...) prima della formalizzazione della conciliazione, come dichiarato dai procuratori delle parti a verbale dell'udienza del 18 gennaio 2022, ritiene il giudicante che vadano solo in parte compensate, e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il giudice definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione 1. Condanna la società (...) S.r.l.s., in persona della l.r.p.t., a pagare in favore di (...) la somma complessiva di Euro 8.244,33 per i titoli di cui in motivazione, oltre rivalutazione e interessi legali dal dì del dovuto al saldo. 2. Rigetta le altre domande. 3. Compensa della metà le spese processuali e condanna la società resistente, in persona del l.r.p.r., a rimborsare al ricorrente il residuo, liquidato in complessivi Euro 2.800,00 oltre IVA CPA e spese generali come per legge. Così deciso in Velletri il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI SEZIONE LAVORO 1 GRADO Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 2/05/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa lavoro di I grado iscritta al n. 2621 del Ruolo Generale dell'anno 2022 vertente tra (...) Ricorrente - Opponente Rappresentato e difeso dall'Avv.to Mi.Ca. E AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE successore universale di (...) SERVIZI DI RISCOSSIONE S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore Rappresentata e difesa dall'Avv.to Lu.Gh. Resistente - Opposta E INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale-, in persona del legale rappresentante p.t., Resistente - Opposto - Contumace E I.N.A.I.L., Istituto Nazionale Per L'assicurazione Contro Gli Infortuni Sul Lavoro in persona del legale rappresentante pro tempore, Resistente - Opposto Rappresentato e difeso dall'Avv.to Pi.Da. OGGETTO: Opposizione a Intimazione di pagamento. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 16.05.2022, ritualmente notificato, il ricorrente epigrafato adisce il Tribunale di Velletri deducendo che in data 26.04.2022 gli è stata notificata a mezzo del servizio postale l'avviso di intimazione n. (...) con cui l'ADER chiede il pagamento della somme portate da 3 cartelle di pagamento e 3 avvisi di addebito aventi ad oggetto crediti di competenza del giudice del lavoro in quanto rivendicati dall'INPS, e dall'INAIL per un importo complessivo di Euro 8.636,00. Eccepisce l'inesistenza, illegittimità e nullità dell'intimazione di pagamento per l'omessa notifica delle cartelle e degli avvisi di addebito e la conseguente prescrizione quinquennale dei crediti portati nei medesimi titoli, ai sensi dell'art. 3 co. 9 della L. n. 335 del 1995. Allega documentazione. L'INAIL e l'Agenzia delle Entrate Riscossione si costituiscono in giudizio sollevando eccezioni preliminari e, nel merito, chiedono il rigetto del ricorso perché infondato in fatto e in diritto. Allegano documentazione. L'INPS benché ritualmente citato non si costituiva in giudizio, per cui ne veniva dichiarata la contumacia. La causa veniva istruita a mezzo dei documenti prodotti dalle parti. All'odierna udienza, dopo la discussione, previa concessione di termine per il deposito di note, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale, ex art. 429 c.p.c. Giova premettere che di recente le S.U. della Corte di Cassazione (sentenza n. 7514 dell'8.03.2022) hanno rimeditato la questione della legittimazione passiva nei giudizi di opposizione a cartella esattoriale, avente ad oggetto crediti per contributi previdenziali pretesi dall'INPS (ma lo stesso vale per le sanzioni comminate dall'ITL), nei casi in cui si lamenti la prescrizione della pretesa creditoria maturata successivamente alla trasmissione del ruolo per vizi di notifica della cartella o comunque per l'inerzia dell'agente della riscossione, circostanze imputabili musicalmente a quest'ultimo ed estranee alla condotta dell'Ispettorato del Lavoro. In tali casi, anche laddove si lamenti l'omessa notifica delle cartelle, l'azione promossa dal contribuente ha quindi natura di azione di accertamento negativo del credito in quanto l'interesse ad agire del ricorrente è solo quello di negare di essere debitore chiedendo al giudice una pronuncia sul merito della pretesa contributiva, che può essere attribuita tanto all'inerzia del concessionario, che tuttavia, non assume rilevanza nei rapporti tra destinatario della pretesa contributiva ed Ente titolare del credito, quanto alla mancata o ritardata trasmissione del ruolo all'esattore. Le S.U. evidenziano in proposito che una parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto applicabile in tali casi l'articolo 39 del D.Lgs. n. 112 del 1999 a norma del quale se la lite non riguarda esclusivamente la regolarità o validità degli atti esecutivi e il giudizio è stato promosso unicamente nei confronti del riscossore, è onere del concessionario di chiamare in causa l'Ente creditore. Si sarebbe, quindi, in presenza di una domanda ammissibile che non implica la sussistenza di un litisconsorzio necessario, ai sensi dell'art. 102 c.p.c. tra riscossore e Ente creditore, ragione per cui il giudice non deve disporre l'integrazione del contraddittorio (Cass. sent. n. 14991/2020 e già sent. n. 21220/2012). Altra parte della giurisprudenza di legittimità, invece, riteneva, nel caso di denuncia di vizio della notifica o tardività della notifica e di eccezione della prescrizione del credito previdenziale, l'esistenza di litisconsorzio necessario tra Ente creditore e concessionario per la riscossione (Cass. sent. n. 594 /2016 e sent. n. 12385/2013). Fatta tale premessa, le S.U. evidenziano che il sistema previdenziale è peculiare rispetto a quello tributario, per cui se l'azione ad oggetto la sussistenza del debito contributivo, quindi il merito della pretesa creditoria, non può trovare applicazione il D.Lgs. n. 112 del 1999 (come già affermato dalle Sezioni Unite del 2016), ma va applicato il solo disposto dell'art. 24 del D.Lgs. n. 46 del 1999, con conseguente legittimazione passiva esclusiva dell'Ente impositore. Né sussistono ragioni per dare corso all'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., considerato che la sentenza produce effetti ultra partes verso l'esattore -adictus- senza necessità che questi partecipi al processo. In conclusione, laddove l'azione sia promossa solo nei confronti del concessionario per la riscossione, il ricorso va rigettato per carenza di legittimazione passiva di quest'ultimo, vizio peraltro rilevabile anche d'ufficio. Inoltre è bene precisare che a decorrere dal 1 gennaio 2011, il D.L. n. 78 del 2010 - convertito con modificazioni nella L. n. 122 del 2010- ha sostituito per i crediti INPS il precedente sistema di riscossione a mezzo ruolo, Il comma 4 dell'art. 30 previde che l'avviso è notificato direttamente dall'Istituto "... in via prioritaria tramite posta elettronica certificata all'indirizzo risultante dagli elenchi previsti dalla legge, ovvero previa eventuale convenzione tra comune e INPS, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento". Nel caso in esame, pertanto, considerato che il ricorrente non lamenta vizi propri dell'intimazione di pagamento, bensì propone opposizione eccependo unicamente l'omessa notifica delle cartelle e la prescrizione dei crediti contributivi e assicurativi sussiste la sola legittimazione passiva degli Enti creditori non rilevando la circostanza che la prescrizione sia maturata anche eventualmente per l'asserita inerzia del concessionario per la riscossione. Sempre in via preliminare va verificata l'inammissibilità dell'opposizione che, nella materia che ci occupa il giudice è tenuto a verificare, anche d'ufficio, trattandosi della verifica di un presupposto processuale attinente alla proponibilità della domanda, con la conseguenza che il mancato rilievo officioso dell'eventuale carenza di detto presupposto comporta la nullità della sentenza, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in ragione del difetto di "potestas judicandi" derivante dalla preclusione dell'azione giudiziale (vedi Cass. 16.5.2007 n. 11274). Ebbene, l'azione per lamentare vizi di forma dell'avviso di addebito (così come della cartella di pagamento) va proposta ai sensi degli artt. 29 D.Lgs. n. 46 del 1999 e 617 c.p.c. entro 20 giorni dalla notifica della stessa mentre invece quella per far valere vizi di merito della pretesa creditoria (tra cui la prescrizione antecedente la notifica) va proposta ai sensi dell'art. 24, comma 5, del D.Lgs. n. 46 del 1999 entro 40 giorni dalla notifica del titolo. Secondo i giudici di legittimità, ove ne sia accertata la nullità della notifica, il momento di garanzia può essere recuperato utilizzando il primo atto idoneo a porre il soggetto interessato in grado di esercitare validamente il proprio diritto di difesa, rispetto al quale andrà verificata la tempestività dell'opposizione, con la conformazione della disciplina applicabile a quella dettata per l'azione recuperata. Ed infatti la Cassazione ha evidenziato che: "se la irrituale notifica della cartella poteva impedire la tempestività dell'opposizione, viceversa, la opposizione doveva essere tempestivamente proposta avverso l'avviso di pagamento, con la conseguenza che la inammissibilità della opposizione a detto avviso precludeva ogni questione sulla ritualità della notifica della cartella" (Cass. n. 27019/08 n. 11338/10; 24506/2016 e altre). Al riguardo la Cassazione ha affermato che: "All'opposizione all'avviso di intimazione di pagamento dei contributi omessi e iscritti a ruolo, si applica il termine perentorio di cinque giorni dalla notifica, di cui all'art. 617 cod. proc. civ. nel testo originario applicabile "ratione temporis" per l'opposizione agli atti esecutivi (termine poi elevato a 20 dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e), convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80.), la cui inosservanza comporta l'inammissibilità dell'opposizione, rilevabile d'ufficio, anche in sede di legittimità, a prescindere dalla tardiva costituzione del convenuto, inammissibilità che preclude ogni questione sulla irritualità della notifica della cartella di pagamento" (Cass. n.27019/08). In specie, considerato che è pacifico tra le parti, oltre che provato per tabulas, che l'intimazione di pagamento è stata notificata al (...) il 26.04.2022 e l'opposizione che ha dato origine al presente giudizio è stata depositata presso la Cancelleria di questo Tribunale il 16.05.2022, ne va dichiarata la tempestività e, quindi, l'inammissibilità, sia per far valere vizi di forma tra cui, come detto, l'omessa notifica dei titoli, sia di merito quali la prescrizione antecedente la notifica. Va da sé che l'opposizione è in ogni caso ammissibile con riferimento all'eccepita prescrizione dei crediti INPS e INAIL sopravvenuta alla notifica delle cartelle e degli avvisi di addebito, in quanto proposta in parte de qua ai sensi dell'articolo 615 c.p.c., e dunque non soggetta a termini di decadenza. Con riferimento alla eccepita inesistenza/nullità della notifica degli avvisi di addebito osserva il giudicante che l'INPS è rimasto contumace e si è quindi volontariamente sottratto al processo e alla possibilità di fornire la prova di avere validamente notificato l'avviso n. (...); l'avviso n. (...); l'avviso n. (...), sottesi all'intimazione di pagamento in questione. Per quanto riguarda, invece, le cartelle di pagamento, l'A. ha prodotto documentazione da cui risulta che: - La cartella n. (...) è stata notificata in data 22.06.2011 a mezzo del servizio postale con consegna del piego raccomandato a persona qualificatasi come familiare convivente del destinatario; - La cartella n. (...) è stata notificata in data 16.01.2012 a mezzo del servizio postale con consegna del piego raccomandato a persona qualificatasi come familiare convivente del destinatario; - La cartella n. (...) è stata notificata in data 22.02.2013 a mezzo del servizio postale con consegna del piego raccomandato a persona qualificatasi come familiare convivente del destinatario. Pertanto, al fine di contestare l'avvenuta rituale notifica dei suddetti titoli, l'opponente avrebbe dovuto proporre querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., posto che pacifico in giurisprudenza che, tanto le annotazioni del messo notificatore, quanto quelle dell'ufficiale postale hanno cd fidefacenza. L'ADER, inoltre, sostiene di avere validamente interrotto il decorso della prescrizione, ai sensi dell'art. 2943 c.c., comunicando al ricorrente l'intimazione di pagamento n. (...). Dagli atti risulta che il predetto avviso di intimazione, dopo tre tentativi di notifica a mezzo del messo notificatore (in data 13, 17 e 20.01.2017) non andati a buon fine per l'assenza temporanea del destinatario e di persone abilitate a ricevere l'atto, è stata notificata ai sensi degli artt. 140 e 139 c.p.c.. In particolare risulta che l'atto è stato depositato presso la locale Casa comunale e che dell'avvenuto deposito è stato dato avviso all'interessato con la CAD n. (...) -anch'essa non recapitata dall'ufficiale postale a causa dell'assenza temporanea del destinatario di persone abilitate a ricevere l'atto- quindi depositata presso il locale ufficio postale previa immissione del relativo avviso in cassetta in data 26.01.2017. La notifica si è quindi perfezionata il successivo 7.02.2017, come affermato dallo stesso procuratore del concessionario per la riscossione. Ne consegue che l'intimazione di pagamento del 2016 ha utilmente interrotto il decorso della prescrizione solo con riferimento alla cartella INAIL n. (...) dell'importo di Euro 334,65 che tuttavia è stata oggetto di sgravio da parte dell'Ente titolare del credito come affermato dal procuratore dell'ADER e non contestato dal procuratore dell'INAIL. Pertanto con riferimento al predetto titolo va dichiarata la sopravvenuta cessazione della materia del contendere. Diversamente, l'intimazione del 2016 non ha utilmente interrotto il decorso della prescrizione con riferimento le altre due cartelle del 2011 (n. (...) e n. (...)) in quanto risulta notificata dopo cinque anni dalla notifica di ciascun titolo, con la conseguenza che i crediti INPS ed INAIL portati in dette cartelle vanno dichiarati estinti essendo spirato il termine di prescrizione, ai sensi dell'art. 3 co. 9 della L. n. 335 del 1995. L'opposizione è, quindi, fondata e merita di essere accolta. Le spese processuali seguono la soccombenza, ex art. 91 c.p.c., e vengono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore del ricorrente che se ne dichiara antistatario ai sensi dell'art. 93 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza o eccezione disattesa, 1. Dichiara il difetto di legittimazione passiva dell'ADER. 2. Dichiara cessata la materia del contendere con riferimento alla cartella INAIL n. (...), dell'importo di Euro 334,65, in quanto oggetto di sgravio da parte dell'Ente creditore. 3. Annulla l'intimazione di pagamento n. (...) con riferimento ai crediti di cui alle cartelle n. (...) e n. (...), e agli avvisi di addebito n. (...), n. (...) e n. (...), in quanto il credito portato nei predetti titoli è estinto per prescrizione e, per l'effetto, dichiara che nulla è dovuto dal (...) all'INPS e all'INAIL in virtù dei predetti titoli. 4. Condanna l'INPS e l'INAIL, in persona del l.r.p.t., a rimborsare all'opponente le spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.800,00, oltre IVA CPA e spese generali come per legge (di cui Euro 1.800,00 a carico dell'INPS e Euro 1.000,00 a carico dell'INAIL), da distrarre in favore del procuratore che se ne dichiara antistatario. 5. Compensa le spese processuali tra il ricorrente e l'ADER. Così deciso in Velletri il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI SEZIONE LAVORO 1 GRADO Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 27/04/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2629/2022 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri e vertente TRA (...) Ricorrente Rappresentato e difeso dall'Avv.to Vincenzo Inglima E I.N.P.S. - Istituto Nazionale Della Previdenza Sociale -In persona del legale rappresentantepro tempore, Resistente Rappresentato e difeso dall'Avv.to Iv.Ci. Oggetto: Indennità di disoccupazione (...). MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso in riassunzione depositato in data 16.05.2022, ritualmente notificato, il ricorrente epigrafato conviene in giudizio l'INPS chiedendo che il Tribunale adito accerti e dichiari che ha diritto alla prestazione dell'indennità di disoccupazione (...) richiesta con la domanda presentata il 25.08.2020 e, per l'effetto, condanni l'Istituto al pagamento della prestazione in parola. Riferisce in sintesi che: - In data 25.08.2020, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge, presentava domanda all'INPS per ottenere l'indennità di disoccupazione (protocollo numero (...)); - L'Istituto con la nota del 5.10.2020 gli comunicava di avere rigettato la domanda con la seguente motivazione: "Titolarità dell'IBAN (...) già verificata amministratore unico rea RM/00129795 attiva - no dichiarato reddito presunto"; - L'INPS è pervenuto al rigetto della domanda ritenendo, erroneamente, che l'IBAN innanzi indicato fosse attribuito alla società (...) S.r.l. mentre invece si tratta del suo codice IBAN personale, a nulla rilevando la corrispondenza con la società di cui era amministratore, in quanto inattiva sin dal 2016; - Il ricorso gerarchico presentato avverso il provvedimento di diniego è rimasto senza esito nonostante siano ampiamente decorsi i termini per la definizione del procedimento amministrativo. L'INPS si costituisce in giudizio e chiede il rigetto del ricorso per la sua infondatezza. Ribadisce che il ricorrente, amministratore unico della (...) S.r.l. in carica fino al 6.05.2022, non ha dichiarato il reddito presunto relativamente all'anno in cui aveva presentato la domanda di (...) (2020), così impedendo di verificare se dall'attività svolta a favore della società derivasse un reddito superiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione. La causa veniva istruita con la documentazione versata in atti dai procuratori delle parti. All'odierna udienza, dopo la discussione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c. Così riassunti i fatti di causa è bene premettere che l'indennità di disoccupazione (...), originariamente prevista dall'art. 2 della L. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. Riforma del mercato del lavoro), attualmente disciplinata dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22 -Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183-, è riconosciuta, nell'ottica del riordino e miglioramento delle tutele nei casi di perdita dell'occupazione, a coloro che hanno perso involontariamente la propria occupazione lavorativa (anche in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo o dimissioni per giusta causa) e siano in possesso degli ulteriori requisiti previsti dalla legge (due anni di versamenti contributivi contro la disoccupazione; almeno un anno di contribuzione utile). La normativa richiamata prevede, infatti, che: La (...) è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti: a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni; b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione; c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione. 2. La (...) è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della L. n. 92 del 2012. L'indennità è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione. Per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1 gennaio 2017 la (...) è corrisposta per un massimo di 78 settimane. Il soggetto titolare dell'indennità di disoccupazione, inoltre, può svolgere attività lavorativa di natura meramente occasionale (lavoro accessorio), autonomo o parasubordinato, purché la stessa non dia luogo a compensi superiori ai redditi previsti come limite utile per la conservazione dello stato di disoccupazione nel corso dell'anno solare. Ed infatti l'art. 2 comma 17 della L. n. 92 del 2012 dispone che: "In caso di svolgimento di attività lavorativa in forma autonoma, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, il soggetto beneficiario deve informare l'INPS entro un mese dall'inizio dell'attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarre da tale attività. Il predetto Istituto provvede, qualora il reddito da lavoro autonomo sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, a ridurre il pagamento dell'indennità di un importo pari all'80 per cento dei proventi preventivati, rapportati al tempo intercorrente tra la data di inizio dell'attività e la data di fine dell'indennità o, se antecedente, la fine dell'anno. La riduzione di cui al periodo precedente è conguagliata d'ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi; nei casi di esenzione dall'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, è richiesta al beneficiario un'apposita autodichiarazione concernente i proventi ricavati dall'attività autonoma. L'inottemperanza all'obbligo previsto nel suddetto articolo costituisce motivo di decadenza della prestazione come espressamente previsto dall'art.11 lett. c) del D.Lgs. n. 22 del 2015 a norma del quale: "Ferme restando le misure conseguenti all'inottemperanza agli obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva previste dal decreto di cui all'articolo 7, comma 3, il lavoratore decade dalla fruizione della (...) nei seguenti casi ... c) inizio di un'attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale senza provvedere alla comunicazione di cui all'arti-colo 10, comma 1, primo periodo". L'INPS ha pertanto adottato la Circolare n. 94/2015 in cui al punto 2.10.b si legge: "In caso di svolgimento di attività lavorativa in forma autonoma, di impresa individuale o parasubordinata, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, il soggetto beneficiario deve informare l'INPS entro un mese dall'inizio dell'attività, o entro un mese dalla domanda di (...) se l'attività era preesistente, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarre da tale attività". ? In caso di mancata comunicazione del reddito, laddove il rapporto di lavoro sia di durata pari o inferiore a sei mesi si applica l'istituto della sospensione di cui all'art. 9 comma 1 del D.Lgs. n. 22 del 2015; laddove il rapporto sia di durata superiore a sei mesi o a tempo indeterminato si applica l'istituto della decadenza. Fatta tale doverosa premessa, giova, altresì, rammentare che, secondo il principio di normale distribuzione degli oneri probatori di cui all'art. 2697 c.c., grava sul ricorrente provare i fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio, per cui, nel caso che ci occupa, (...) era onerato di provare il possesso di tutti i requisiti di legge innanzi richiamati per poter accedere all'indennità di disoccupazione, con la precisazione che, secondo la giurisprudenza di merito cui aderisce questo giudicante, se l'obbligo tassativo di comunicazione dei redditi presunti entro 30 giorni dall'inizio dell'attività (quindi anche qualora pari a zero) grava su coloro che già percepiscono l'indennità di disoccupazione e iniziano un'attività lavorativa (art. 10 D.Lgs. n. 22 del 2018), a maggior ragione grava su chi presenta la domanda per accedere alla (...), in quanto si è in presenza di un obbligo del tutto in linea con il sistema ordinamentale che prevede che il richiedente di un beneficio previdenziale (o assistenziale) deve presentare: "un'istanza amministrativa corredata di tutta la documentazione necessaria al fine di provare il possesso del requisiti richiesti per accedere al beneficio". Va da sé che, nel caso di attività autonoma preesistente alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il termine di un mese previsto per la dichiarazione concernente il reddito presunto decorre dalla data di presentazione della domanda amministrativa. Venendo al merito del giudizio è bene premettere che è pacifico tra le parti, oltre che provato per tabulas, che al momento della presentazione della domanda di disoccupazione (25.08.2020) (...) ricopriva la carica di amministratore unico della società (...) S.r.l.. E', altresì, pacifico che il ricorrente ha omesso di darne comunicazione all'Ente previdenziale e, quindi, trattandosi di attività astrattamente idonea a produrre reddito, non ha comunicato il reddito presunto che ne sarebbe derivato nell'anno 2020. La difesa del ricorrente sostiene come detto che l'obbligo non sussisteva in quanto la società era inattiva da anni, e produce a sostegno dell'allegazione la (...) estratto Registro delle Imprese alla data del 15.10.2020 (doc 2), in cui è indicato che la società (...) S.r.l. a tale data era inattiva ed aveva depositato l'ultimo bilancio nel 2011 coincidente con quello di inizio dell'attività. L'INPS produce, invece, in allegato alla memoria di costituzione in giudizio la (...), estratto Registro delle Imprese alla data del 22.11.2022 (doc 6), da cui risulta che nel 2022 la società era attiva ed ha depositato i bilanci dal 2017 al 2021 (incluso l'anno 2020). Dalle ulteriori annotazioni contenute nella Visura si desume, inoltre, che cessazione risalente al 2016 si è riferita al mutamento dell'oggetto dell'attività prevalente svolta dalla società. Ma in ogni caso ciò che vale è che (...), in qualità di amministratore unico della (...) S.r.l. fino al 6.05.2022 (data di iscrizione della nomina quale nuovo amministratore di T.M. nominato nel gennaio del 2021), aveva l'obbligo di comunicare all'Ente sia l'attività di amministratore svolta per la predetta società, sia il reddito presunto che dalla stessa gli sarebbe derivato nell'anno 2020 (in cui ha inoltrato la domanda all'INSP per ottenere l'indennità di disoccupazione), non essendo condivisibile l'assunto secondo cui tale obbligo non sussisteva in concreto per la presunta inattività della (...) S.r.l. dal 2016 al 15.10.202ì0. Ed infatti, come detto, la ratio della normativa è quella di escludere o ridurre l'erogazione dell'indennità nei confronti dei soggetti che, pur on possesso degli altri requisiti amministrativi per beneficiarne, sono o divengono titolari di redditi superiori a determinati limiti-soglia. Pertanto, in tale ottica, il legislatore ha previsto che il richiedente ha l'obbligo di inoltrare talune comunicazioni all'Ente previdenziale entro il termine previsto dalle disposizioni in questione, e che l'omissione è sanzionata con la decadenza dalla prestazione e l'obbligo di restituire quanto eventualmente già percepito. Ne consegue che la sanzione della decadenza dalla possibilità di beneficiare della (...) opera per il solo fatto dell'omissione, a prescindere dall'idoneità di tale comunicazione a incidere (o meno) sulla spettanza dell'indennità di disoccupazione, o sulla sua quantificazione, quindi senza che rilevi se dall'omissione sia derivato un evento lesivo. Per tutti i motivi esposti, il ricorso non merita di essere accolto. Le spese processuali vengono regolate tenuto conto della presenza dei requisiti per l'esonero del ricorrente dal pagamento delle stesse, ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c., come da dichiarazione in atti a firma della medesima parte. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione 1. Rigetta il ricorso. 2. Dichiara irripetibili le spese processuali. Così deciso in Velletri il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI SEZIONE LAVORO 1 GRADO Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 27/04/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 3503/2022 R.G.A.L. e vertente TRA (...) Ricorrente Rappresentato e difeso dagli Avv.ti Fr.El. e Da.De. E I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - in persona del legale rappresentante pro tempore Resistente - Contumace Oggetto: Indebito. Assegno Sociale. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 30.06.2022, ritualmente notificato, il ricorrente epigrafato conviene in giudizio l'INPS al fine di ottenere la declaratoria di inesistenza/irripetibilità/inesigibilità dell'indebito rivendicato dall'Istituto con Provv. del 28 marzo 2022. Riferisce di essere titolare dell'assegno sociale n. (...), con decorrenza 1.03.2020, e che, in quanto disoccupato, nel predetto anno ha percepito unicamente i redditi derivanti dall'indennità di disoccupazione (...) per Euro 1.073,85 e, nel 2021, redditi esigui a titolo di compensi arretrati e TFR, soggetti a tassazione separata. Sostiene, quindi, l'illegittimità della pretesa restitutoria avanzata dall'Ente previdenziale con la nota del 28.03.2022 in cui si legge che la prestazione è stata riliquidate e che, dal conguaglio e derivato un debito a suo carico di Euro 2.361,46 alla data del 30 aprile 2022 (in particolare per il ricalcolo al ribasso della linea capitale del rateo dell'assegno per gli anni 2020 e 2021, e per la riduzione dell'importo corrisposto a titolo di maggiorazione sociale per gli anni 2020 e 2022). L'INPS benché ritualmente citato non si costituiva in giudizio per cui ne veniva dichiarata la contumacia. La causa veniva istruita attraverso l'acquisizione della documentazione prodotta dal procuratore del ricorrente. All'odierna udienza, dopo la discussione, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c.. Così riassunti i fatti di causa osserva il giudicante che è utile premettere che le prestazioni economiche a sostegno del reddito costituiscono l'oggetto di obbligazioni (pubbliche) ex lege, in quanto nascono al verificarsi dei fatti previsti dalle norme. Di conseguenza, i procedimenti amministrativi preordinati ad accertare tali fatti e, quindi, l'esistenza o l'inesistenza dell'obbligazione (originaria o sopravvenuta), ancorché i detti fatti siano complessi e il relativo accertamento abbia natura critica, cioè di giudizio, con l'opinabilità che contrassegna tutti i giudizi, rivestono natura meramente ricognitiva, funzionale all'attuazione dei rapporti obbligatori, perciò escludono la configurabilità di poteri amministrativi e di provvedimenti costitutivi degli effetti (giurisprudenza pacifica: cfr. per tutte, Cass., Sez. Un., 8 aprile 1975, n. 1261 e 24 ottobre 1991, n. 11329). Ciò implica che il diritto nasce in coincidenza con l'insorgenza dei requisiti e non certo per effetto degli atti c.d. di "concessione", come impropriamente talora denominati dalle norme. Analogamente, i c.d. atti di revoca non sono altro che ricognizioni in ordine all'inesistenza originaria o sopravvenuta dell'obbligazione e non certo provvedimenti espressione della c.d. "autotutela amministrativa", che è potere discrezionale di apprezzamento della conformità della situazione all'interesse pubblico (vedi, per tutte, Cass. n. 256/2001; n. 8713/1999; n. 5138/1994). Il descritto assetto ordinamentale si pone in diretta derivazione dai principi espressi dall'art. 38 Cost., attributivi del "diritto" al mantenimento e all'assistenza sociale -spettante ai cittadini inabili e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere-, nonché del diritto alla previdenza per i lavoratori. In linea generale, perciò, le prestazioni derivanti dalla solidarietà sociale non possono riconoscersi a coloro che non possiedono i requisiti previsti dalla legge per essere titolari del diritto. La giurisprudenza di legittimità (ex multis ad es. Cass. n. 16620/2003, n. 7048/2006, n. 6610/2005 e 261262/2016) ha evidenziato che la materia della ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite -in caso di accertata insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti prescritti dalla legge - è stata diversamente regolata nel corso del tempo da numerose disposizioni che si sono susseguite. Il termine di prescrizione per ripetere le prestazioni non dovute è quello decennale, a norma dell'art. 2946 c.c., in quanto il credito scaturisce da indebito, e la prescrizione, in ossequio al principio generale dettato dall'art. 2935 c.c., comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Ne discende che non può farsi riferimento alle disposizioni di legge in materia di prestazioni previdenziali indebitamente corrisposte, giacché la presente causa concerne una prestazione assistenziale, mentre le disposizioni di cui all'art. 52 della L. 9 marzo 1988, n. 89, si applicano esclusivamente all'ipotesi di corresponsione indebita di "pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonché la pensione sociale". Né si applica quanto disposto dall'art. 13 n. 2 della L. n. 412 del 1991. Nel primo caso, infatti, si tratta di una norma speciale rispetto a quella generale codicistica (art. 2033) e non può applicarsi in via analogica a fattispecie da essa non espressamente contemplate, non potendosi estendere la sua applicazione dall'interprete oltre lo stretto ambito cui sono dedicate dalla legge. Nel secondo caso si tratta di una norma che prevede una decadenza e, in quanto tale, anch'essa di cd "stretta interpretazione". Purtuttavia la S.C. Cassazione, con l'Ordinanza n. 13223 del giugno 2020, ha precisato che, nel settore, non si applica il principio generale codicistico di incondizionata ripetibilità dell'indebito sancito dall'art. 2033 c.c. -secondo cui ogni erogazione attribuita in assenza dei requisiti prescritti dalla legge, sia nel caso d'inesistenza originaria, sopravvenuta, o parziale, è da considerare indebita e, dunque, soggetta a ripetizione-. I Supremi Giudici hanno, infatti, chiarito che trova applicazione la regola, propria del sottosistema in esame, che esclude la ripetizione in presenta di situazioni di fatto variamente articolate ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta, ed unasituazione idonea a generare affidamento. Peraltro su detto principio ha fatto leva anche la giurisprudenza della Corte Cost. in materia di indebito assistenziale allorché pur affermando - ordinanze n. 264/2004 e n. 448/2000 - che non sussista un'esigenza costituzionale che imponga per l'indebito previdenziale e per quello assistenziale un'identica disciplina, ha ritenuto che operi anche "in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell'indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile" (ord. n. 264/2004). In sintesi, la più recente giurisprudenza di legittimità muove dalla tesi secondo cui "il regime dell'indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell'art. 2033 c.c., in ragione dell' "affidamento dei pensionati nell'irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede" in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate "al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia" (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua "alla luce dell'art. 38 Cost. - un principio di settore, che esclude la ripetizione se l'erogazione (...) non sia (...) addebitabile" al percettore (Corte Costituzionale 14 dicembre 1993 n. 431)". Ciò posto, venendo al caso che ci occupa, è bene chiarire che l'INPS ha riconosciuto il diritto dell'odierno ricorrente a percepire il beneficio assistenziale in parola, purtuttavia afferma che negli anni 2020, 2021 e 2022 egli non aveva diritto a beneficiare in misura piena dell'assegno e/o della maggiorazione di cui all'art. 38 della L. n. 448 del 2001 (cosiddetto incremento al minore) tenuto conto dei redditi dallo stesso percepiti in detti anni. Ebbene la disciplina dell'assegno sociale stabilita dalla L. n. 335 del 1995, all'art. 3, co. 6 dando attuazione al principio di solidarietà sociale sancito nell'art. 2 della Costituzione al fine di assicurare "i mezzi necessari per vivere" dei cittadini anziani che vertono in stato di bisogno, così dispone: "Con effetto dal 1 gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a L. 6.240.000, denominato "assegno sociale". Se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo soglia annualmente previsto, se non coniugato (cd integrazione al trattamento minimo), ovvero fino al doppio del predetto importo se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell'eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare. Il reddito soglia è, infatti, costituito dall'ammontare dei redditi coniugali conseguibili nell'anno solare di riferimento ed adeguato nel tempo dal legislatore (da ultimo L. n. 448 del 2011, art. 38, comma 1, lett. b). La posizione del 65enne non coniugato viene equiparata a quella del 65 legalmente (ed effettivamente) separato, anche in via provvisoria, per cui non si procede al cumulo del reddito dell'interessato con quello del coniuge. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell'art. 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale. L'assegno è, tuttavia, erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente, ed è conguagliato entro il mese di luglio dell'anno successivo sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. In sintesi quindi: a) se non si posseggono redditi si ha diritto alla misura intera della prestazione; b) se si posseggono redditi in misura inferiore all'assegno sociale si ha diritto alla misura ridotta fino alla concorrenza dell'assegno medesimo; c) se si posseggono redditi superiori all'importo dell'assegno sociale non si ha diritto alla prestazione. Il superamento del tetto reddituale determina la sospensione della prestazione la cui erogazione riprenderà quando i redditi torneranno al di sotto del limite massimo previsto per la sua attribuzione. Nel caso di specie è provato per tabulas (cfr. Modello OBIS-3, estratto contributivo, CUD anno 2022) che il ricorrente: - Nell'anno 2020 ha percepito il reddito derivante dall'indennità di disoccupazione (...) per complessivi Euro 1.073,85; - Nel 2021 ha percepito redditi a titolo di compensi arretrati per rapporto di lavoro dipendente, per Euro 2.631,06, e TFR, per Euro 1.518,22, emolumenti tutti soggetti a tassazione separata, e quindi non rilevanti ai fini del riconoscimento del beneficio assistenziale in parola; - Nel 2022 non ha percepito alcun reddito. Pertanto, tenuto conto dei limiti reddituali di cui alle Tabelle relative agli anni di interesse risulta che: - Non ha superato il limite di reddito per beneficiare dell'assegno sociale fissato negli anni 2020 e 2021 in Euro 5.963,64 annui per il pensionato non coniugato e in Euro 11.967,28 annui per il pensionato coniugato, e nel 2022 in Euro 6.085,43 annui per il pensionato non coniugato e in Euro 12.170,86 annui per il pensionato coniugato; - Non ha, altresì, superato il limite di reddito per il diritto all'aumento dell'assegno sociale annuo fissato negli anni 2020 e 2021 in Euro 6.151,60 annui per il pensionato non coniugato e in Euro 12.854,14 annui per il pensionato coniugato, e nel 2022 pari a Euro 6.816,55 annui per il pensionato non coniugato e in Euro 13.069,94 annui per il pensionato coniugato; - Non ha, infine, superato il limite per beneficiare della maggiorazione sociale fissato negli anni 2020 e 2021 in Euro 8.476,26 annui per il pensionato non coniugato e in Euro 14.459,90 annui per il pensionato coniugato, e nel 2022 in Euro 8.590,27 annui per il pensionato non coniugato e in Euro 14.675,60 annui per il pensionato coniugato. In proposito è bene chiarire che per verificare la sussistenza del requisito reddituale, l'art. 13 co. 6 lett. a) e b) del D.L. n. 78 del 2010 convertito in L. n. 122 del 2010 (che ha modificato l'art. 35 del D.L. n. 207 del 2008 convertito in L. n. 14 del 2009), stabilisce che il reddito di riferimento ai fini della liquidazione o ricostituzione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali collegate al reddito, è quello conseguito dal beneficiario e dal coniuge nell'anno solare precedente calcolato in via presuntiva. La norma ha, inoltre, aggiunto che per le prestazioni per le quali sussiste l'obbligo di comunicazione al Casellario Centrale dei pensionati di cui al D.P.R. n. 1338 del 1971 (che ha il compito di raccogliere, conservare e gestire i dati dei redditi e altre informazioni relativi a soggetti che beneficiano di prestazioni assistenziali), rilevano, invece, i redditi conseguiti nello stesso anno. La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5271/2017 ha affermato che dal tenore letterale della norma emerge la regola generale secondo cui rileva il reddito conseguito nell'anno solare precedente, e che però è stata introdotta un'eccezione -con riferimento alle prestazioni assistenziali per cui sussiste l'obbligo di comunicazione al Casellario Centrale dei pensionati-, come è quella in questione, nel qual caso rileva il reddito conseguito nello stesso anno. Quanto all'importo annuo dell'assegno sociale, si rammenta che è stato pari a Euro 5.983,64 negli anni 2020 e 2021 (460,28 x 13) e a Euro 6.085,43 nell'anno 2022 (468,11 x 13); la maggiorazione sociale di cui all'art. 38 L. n. 448 del 2001 (cosiddetto incremento milione) è stata pari a Euro 191,74 nel 2020 e 2021 e a Euro 192,68 nel 2022. Considerato, quindi, che, secondo le vigenti disposizioni normative, l'aumento spettante al pensionato è dato dall'importo meno elevato tra l'intero importo dell'aumento e quello risultante dal calcolo effettuato tenuto conto del reddito personale del pensionato eventualmente sommato a quello del coniuge, ne deriva che l'importo dell'assegno sociale spettante al ricorrente nel 2020 era pari a Euro 377,67 (5983,64 - 1073,85: 13) e la maggiorazione sociale pari a Euro 109,13 - con riferimento al limite reddituale di Euro 8.476,28 - (reddito personale + assegno sociale = 7053,48: 13), per un ammontare complessivo annuo di Euro 6.328,40 (486,80 x 13), come peraltro calcolato dallo stesso procuratore di parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio. Negli anni 2021 e 2022 aveva, invece, diritto all'importo pieno sia dell'assegno che della maggiorazione. In conclusione, considerato il (...) non contesta di avere percepito nell'anno 2020 le somme risultanti dalla comunicazione di indebito del 28 marzo 2022 (cfr. pag. 3 Tabella Importi dell'assegno antecedenti alla ricostruzione ossia Euro 559,34 per 12 mensilità e Euro 466,12 a titolo di 13ma), per un ammontare complessivo di Euro 7.178,20, l'indebito quantificato dall'Istituto per detta annualità, nella somma di Euro 2.044,03 va ridotto all'importo di Euro 849,80. E', invece, del tutto insussistente l'indebito di Euro 317,43 rivendicato dall'INPS con riferimento agli anni 2021 e 2022. Di qui l'irripetibilità complessiva della minor somma di Euro 1.511,66 (2361,46 - 849,90). Del resto l'Istituto è rimasto contumace, e benché la contumacia non equivale alla non contestazione delle altrui pretese, in quanto l'art. 115 c.p.c. fa' espresso riferimento alle parti costituite, si è comunque sottratto al processo e alla possibilità di provare l'esistenza di fatti modificativi o estintivi del diritto azionato dal ricorrente nel presente giudizio. Per tutti i motivi esposti, il ricorso è in parte fondato e merita accoglimento nei limiti di cui innanzi. Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione di parte delle spese processuali ex art. 92 c.p.c. che vengono liquidate come in dispositivo con distrazione in favore del procuratore del ricorrente che se ne dichiarano antistatari ai sensi dell'art. 93 c.p.c.. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione 1. Accerta e dichiara la parziale irripetibilità dell'indebito di cui alla comunicazione di riliquidazione INPS del 28.03.2022 e, per l'effetto, dichiara che non è dovuta da (...) all'Istituto la somma complessiva di Euro 1.511,66 richiesta in pagamento con il provvedimento di cui innanzi. 2. Compensa di 1/3 le spese processuali e condanna l'INPS, in persona del l.r. pro-tempore, a rimborsare al ricorrente il residuo, liquidato in complessivi Euro 1.600,00 oltre IVA CPA e spese generali come per legge, da distrarre in favore dei procuratori che se ne dichiarano antistatari. Così deciso in Velletri il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Velletri, nella persona del Giudice Unico, dr. Enrico COLOGNESI ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause civili riunite di primo grado, iscritte ai nn. 1122 e 1444 dell'anno 2020 del Ruolo Generale Contenzioso, ed aventi ad oggetto: opposizione al precetto ed alla esecuzione/atti esecutivi. PROMOSSA da (...) (CF (...)), nato a Palermo in data (...) e residente in Rocca di Papa (RM), via (...), rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dall'avv. (...) del Foro di Roma - (...) - e dall'avv. (...) - ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in via (...) - 00048, Nettuno (RM)., per procura allegata al proprio atto, ATTORE opponente CONTRO "(...)" - Società Cooperativa Edilizia di Abitazione in Liquidazione Coatta Amministrativa, con sede legale in Roma (RM), via (...), in persona dell'avv. (...), n.q. di Commissario Liquidatore, giusto provvedimento del Ministero dello Sviluppo Economico n. 273 del 18/04/2018, rappresentata e difesa dall'avv. (...), ed elettivamente domiciliato in Roma, via (...) (00199), giusta procura rilasciata in calce al proprio atto, CONVENUTO opposto conclusioni per l'attore: come in atti, conclusioni per il convenuto: come in atti PREMESSO CHE 1) (...), con ricorso in opposizione ex art. 617 c.p.c., conveniva in giudizio la (...) Società Cooperativa Edilizia di Abitazione a r.l., C.F. (...), al fine di vedersi accogliere le seguenti conclusioni "voglia codesto Giudice dell'esecuzione, in accoglimento dell'opposizione proposta con il presente atto: 1. in via preliminare, sospendere, anche a mezzo di decreto inaudita altera parte, l'esecuzione minacciata con il preavviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. cui con il presente atto è proposta formale opposizione e, quindi, l'esecuzione minacciata e intrapresa; 2. dichiarare inefficace e annullare il preavviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. notificato in data 6 febbraio 2020, ad iniziativa della (...) - Società Cooperativa Edilizia di Abitazione in Liquidazione Coatta Amministrativa, e per l'effetto dichiarare che non sussiste il diritto di quest'ultima di procedere ad esecuzione forzata per ottenere il rilascio dell'immobile sito in Rocca di Papa (RM), via (...) int. C3 identificato al NCEU del Comune di Rocca di Papa al foglio 8, particella (...), sub 3 appartamento T-S1, particella (...), sub 15 box, per tutti i motivi esposti nel presente atto, con ogni consequenziale pronuncia "; 2) a sostegno delle proprie domande l'odierno ricorrente lamentava la mancata notifica del titolo esecutivo e del precetto, dei quali asseriva di non aver avuto legale ed effettiva conoscenza, nonché l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione e del titolo esecutivo. Con il proprio atto, si costituisce in giudizio la "(...)" - Società Cooperativa Edilizia di Abitazione in Liquidazione Coatta Amministrativa, con sede legale in Roma (RM), via (...), c.f./p.iva (...), in persona dell'avv. (...), n.q. di Commissario Liquidatore che, alla luce delle argomentazioni, eccezioni e richieste formulate, deduce e precisa quanto segue in fatto ed in diritto. IN FATTO a) in data 18 aprile 2018, ai sensi e per l'effetto dell'art. 207 della Legge Fallimentare, con decreto n. 273 del Ministero dello Sviluppo Economico, veniva disposta la Liquidazione Coatta Amministrativa della (...) - Società Cooperativa Edilizia di Abitazione a r.l., C.F. (...) e, con il medesimo decreto, veniva nominato Commissario Liquidatore, l'avv. (...), con studio in Roma, via (...) - 00199; b) a seguito della predetta nomina, il Commissario Liquidatore apprendeva che l'immobile sito in Rocca di Papa, via (...) e censito al catasto urbano NCEU del Comune di Rocca di Papa al foglio (...) particella (...) sub. 3, categoria A/7, classe 2, appartamento T-S1 e foglio 8, particella 1679 sub 15, categoria C/6, classe 2, box T-S1, era stato assegnato a (...), non socio della Cooperativa, in virtù di un contratto di comodato d'uso gratuito non registrato; c) in data 7-18 giugno 2018 il Commissario Liquidatore, a mezzo lettera raccomandata e a mezzo pec, dichiarava espressamente al (...), "di non voler subentrare nel contratto preliminare, il quale deve ritenersi, dunque, ad ogni effetto sciolto " invitandolo, al contempo, "a liberare immediatamente l'immobile da persone e cose, a riconsegnare le chiavi dello stesso al fine di permettere alla Cooperativa di rientrare nel legittimo possesso"; d) tale immobile, tuttavia, era stato concesso in locazione dal (...) al (...), terzo estraneo alla compagine della Cooperativa (...), giusto contratto di locazione del 2 maggio 2013, anch'esso non registrato; e) pertanto, in data 13 dicembre 2018, il Commissario Liquidatore, al fine di rientrare nel possesso del bene immobile occupato da un soggetto terzo, depositava, presso l'Organismo di mediazione di Roma, domanda di mediazione; f) tale domanda veniva svolta nei confronti del (...), C.F. (...), domiciliato in Via (...) - Rocca di Papa (RM) CAP 00040, al fine di far valere: A) l'inopponibilità dei contratti di comodato gratuito del 27 marzo e del 31 maggio 2013, riferiti alle unità abitative site in 1) in Rocca di Papa, già Via (...) int. C4, oggi Via (...), identificata nel NCEU del Comune di Rocca di Papa al foglio (...), particella (...) sub 4, appartamento T-S1 e particella (...) sub 16 box T-S1; 2) Rocca di Papa, già Via (...) int. C3, oggi Via (...), identificata nel NCEU del Comune di Rocca di Papa al foglio (...), particella (...), sub 3, l'appartamento T-S1 e particella (...) sub 15 il box T-S1; B) l'inopponibilità dei contratti di locazione del 2 maggio 2013 e del 10 novembre 2017; C) di ottenere, altresì, il rilascio degli immobili di cui ai predetti contratti; g) a tal fine, si adduceva che detti contratti non risultavano registrati e, come tali, erano e sono inopponibili alla Procedura Liquidatoria, si chiedeva, pertanto, la restituzione delle somme illegittimamente percepite a titolo di canone di locazione in virtù di successivi contratti di locazione stipulati con terzi e/o il pagamento dell'indennità di occupazione senza titolo; h) nelle more, con lettera del 21 dicembre 2018, il Comm. Liquidatore diffidava il (...) alla liberazione ed alla riconsegna dell'immobile sito in Via (...), invitandolo, altresì, al versamento della somma di Euro 650,00 mese a titolo di occupazione senza titolo; i) successivamente, in data 20 febbraio 2019, detto procedimento veniva esteso anche nei confronti del (...), occupante/conduttore dell'immobile de quo, concesso a lui, illegittimamente, in sublocazione dal (...); j) in data 6 marzo 2019, dinanzi al Mediatore nominato, avv. A. (...), veniva formalizzato verbale di intervenuto accordo conclusivo, con il quale il chiamato principale, (...), manifestava la sua disponibilità al rilascio immediato degli immobili di cui ai contratti di comodato del 27 marzo e 31 maggio 2013; k) (...) interveniva, personalmente, nella presente procedura (all'incontro del 6 marzo 2019), assistita dall'avv. (...), pur non aderendo alla mediazione; l) in ragione delle dichiarazioni delle parti il Mediatore provvedeva alla chiusura del procedimento di mediazione per intervenuto accordo; m) l'odierna opposta provvedeva, dunque, a notificare atto di precetto ex art. 605, comma 2 c.p.c. con il quale si intimava al (...) e, quindi, al (...), di mettere nella piena disponibilità della "(...)" - Società Cooperativa Edilizia di Abitazione in Liquidazione Coatta Amministrativa, l'immobile di seguito indicato: unità immobiliare adibita ad uso abitativo sita in Rocca di Papa, Via (...) int. C3, identificata nel NCEU del Comune di Rocca di Papa al foglio (...), particella (...), sub 3, appartamento T-S1 e particella (...) sub 15 il box T-S1; n) tale notifica si perfezionava nei confronti del sig. (...), ex art. 140 c.p.c., per compiuta giacenza, giusta raccomandata n. 66838846224-0; o) successivamente, il Commissario Liquidatore provvedeva a notificare atto di preavviso ex art. 608 c.p.c.; p) ad oggi, in ragione dell'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, l'esecuzione non è stata ancora eseguita; q) nelle more dell'esecuzione del rilascio dell'immobile, il Sig. (...) depositava presso il Tribunale Civile di Roma - R.G. 11419/2020 - atto di citazione con il quale chiedeva al Giudice adito di "accertare e dichiarare l'opponibilità del contratto di locazione e del patto di prelazione all'acquisto in esso contenuto e il subentro ex art. 80 Legge Fallimentare della procedura nel contratto di locazione medesimo avente ad oggetto l'appartamento sito in Rocca di Papa, via (...) accatastato al NCEU del Comune di Rocca di Papa al foglio (...) particella (...) sub 3 appartamento t-S1 e particella (...) sub 15 box T-S1 e stipulato in data 2 maggio 2013 dal Sig. (...) alla (...) Società Cooperativa Edilizia di Abitazione in Liquidazione Coatta Amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore -per le ragioni esposte nel presente atto; - conseguentemente dichiarare legittima la detenzione qualificata dell'immobile da parte del (...) e condannare la Cooperativa convenuta al rispetto e all'adempimento del contratto di locazione stipulato e del patto di prelazione nei modi e termini previsti dalla legge........"nonché l'atto di citazione in opposizione ex art. 615 c.p.c. presso il Tribunale di Velletri - R.G. 1444/2020. In via del tutto preliminare e pregiudiziale - si eccepiva l'incompetenza territoriale, ex artt. 24 e 52, 2° co. L.F. ed ex art. 404 c.p.c. del Tribunale Civile di Velletri in favore della sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Roma. In via del tutto preliminare, si eccepisce l'incompetenza territoriale, ex artt. 24 e 52, 2° co. L.F. ed ex art. 404 c.p.c. del Tribunale Civile di Velletri in favore della Sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Roma. Infatti, ai sensi dell'art. 24 L.F. "il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere tutte le azione che ne derivano, qualunque ne sia il valore," al contempo, l'art. 52, 2° co. L.F. prevede espressamente che "..Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell'articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V(92-103), salvo diverse disposizioni della legge." Appare, pertanto, evidente dalle norme sopra richiamate, che competente a dirimere le controversie relative alla procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa è il Tribunale Fallimentare di Roma. Vi è di più, il (...), rispetto al rapporto sorto tra la Cooperativa (...), allora in bonis, ed il (...), in ragione del contratto di comodato d'uso gratuito, deve ritenersi un soggetto terzo e, in quanto tale doveva agire ai sensi e per gli effetti dell'art. 404 c.p.c. ovvero mediante la proposizione, innanzi al Tribunale Civile di Roma, di una domanda di accertamento negativo. Ciò posto, è evidente che il Tribunale competente a giudicare sull'opposizione ex art. 617, comma 2 c.p.c. proposta dal (...) è la sezione Fallimentare del Tribunale di Roma. - Continenza tra il presente procedimento e quello instaurato innanzi al Tribunale Civile di Roma, Sezione 6° - R.G. 11419/2020 - Pregiudizialità delle cause. Occorre evidenziare all'odierno Giudicante che il (...), in data 14 febbraio 2020, ha intrapreso, innanzi al Tribunale Civile di Roma - R.G. 11419/2020, un giudizio volto all'accertamento dell'opponibilità del contratto di locazione e del patto di prelazione all'acquisto dell'immobile di cui al presente giudizio, nonché il subentro, ex art. 80 L.F. della procedura nel contratto di locazione stipulato, la cui udienza è stata fissata al 3 febbraio 2021. Orbene, fermo restando l'inopponibilità del contratto di locazione alla Procedura di Liquidazione coatta amministrativa, stante anche la dichiarazione espressa di non voler subentrare nel contratto comunicata dal Commissario liquidatore con comunicazione del 7-18 giugno 2018, è evidente che tra il presente giudizio, quello pendente presso il Tribunale di Velletri - R.G. 1444/2020 e quello incardinato precedentemente presso il Tribunale di Roma - R.G. 11419/2020, si pone una questione di continenza di cause ex art. 39 c.p.c. nonché di pregiudizialità del giudizio instaurato dinanzi al Tribunale di Roma, avente natura accertativa dell'opponibilità alla L.C.A. del contratto di locazione stipulato tra il Sig. (...) ed il Sig. (...). Ciò posto, stante la continenza (e, quindi, la pregiudizialità) tra i 3 (tre) giudizi pendenti innanzi al Tribunale di Roma ed al Tribunale di Velletri, appare evidente che il Giudice adito dovrà disporre ogni provvedimento previsto ex art. 39 c.p.c. Si evidenzia, inoltre, che i due giudizi pendenti innanzi al Tribunale di Velletri, hanno anche identità di oggetto in quanto volti alla declaratoria di inefficacia del preavviso ex art. 608 c.p.c. notificato in danno del (...). ed IN DIRITTO 1. Sulla presunta mancata notifica del titolo esecutivo e del precetto. Del tutto infondata appare l'eccezione sollevata dall'odierno ricorrente sulla presunta illegittimità dell'atto di preavviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. per mancata notifica del titolo esecutivo e del precetto. Diversamente da quanto voglia far trasparire la controparte, l'atto di precetto ex art. 605 c.p.c., unitamente al titolo esecutivo costituito dal verbale di mediazione del 6 marzo 2019, sono stati notificati a mezzo Ufficiale Giudiziario di Velletri in data 16 ottobre 2019. Tale notifica, peraltro, si è perfezionata in danno del (...), ai sensi e per gli effetti dell'art. 140 c.p.c. per compiuta giacenza non essendo stata ritirata entro 10 giorni dalla sua comunicazione. Priva di pregio appare, dunque, la contestazione mossa dall'odierno ricorrente in quanto gli atti presupposti al preavviso ex art. 608 c.p.c. sono stati tutti regolarmente e ritualmente notificati a mezzo ufficiale giudiziario e si sono perfezionati, nei confronti del (...), ex art. 140 c.p.c., per compiuta giacenza. Prova ne è, d'altronde, il fatto che, se così non fosse stato, l'UNEP di Velletri non avrebbe potuto recepire il passaggio del preavviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. 2. Sulla presunta inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione e sulla presunta inesistenza del titolo esecutivo nei confronti del (...). Parte attrice, inoltre, asserisce l'inesistenza del titolo esecutivo nei suoi confronti in ragione di quanto previsto dall'art. 12 del D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 sull'assunto secondo il quale l'accordo transattivo e non il verbale di mediazione sarebbe titolo idoneo all'esecuzione. Orbene sul punto occorre precisare quanto segue. L'art. 12 del D.Lgs. n. 28/2010 statuisce, al comma 1, che "Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata." Dalla lettura della norma sembrerebbe che verbale di mediazione ed accordo siano due atti distinti e separati. Come noto, il verbale è l'atto del mediatore che dà atto dello svolgimento e dell'esito del procedimento di mediazione (e, quindi, in caso di esito positivo, anche dell'accordo amichevole raggiunto dalle parti); l'accordo è, invece, l'atto con il quale le parti, nell'esplicazione della propria autonomia contrattuale, regolamentano i loro rapporti allo scopo di porre fine alla controversia. Il verbale ha, quindi, funzione essenzialmente documentativa o certificativa dell'esito della conciliazione tra le parti in conflitto. Ciò emerge pienamente quando il verbale dà atto della non riuscita della conciliazione. Quando, invece, le parti raggiungono un accordo amichevole, il verbale, oltre ad accertare e descrivere il fatto dell'avvenuta conciliazione, recepirà l'accordo delle parti e, quindi, un contenuto di carattere negoziale. In quest'ultima ipotesi, il contenuto del verbale si amplia e, proprio in conseguenza del recepimento delle dichiarazioni negoziali delle parti, il verbale non solo estende il suo contenuto ma - stante il disposto dell'art.12 del citato D.Lgs. n.28/2010 - può anche implementare la sua funzione contenendo al suo interno l'accordo di mediazione, ovvero quell'atto idoneo ad essere titolo esecutivo. Nel caso di specie, l'accordo di mediazione è contenuto all'interno dello stesso verbale di mediazione redatto alla presenza del Mediatore nominato e sottoscritto tra le parti. In detto verbale, infatti, si legge, testualmente, che "Il Mediatore ascolta le parti in sessione congiunta ed all'esito la (...) Soc. Coop. Edilizia di Abitazione in L.C.A. nella persona del Commissario Liquidatore e (...) dichiarano di aver raggiunto un accordo " e che "A questo punto (...) dichiara di rendersi disponibile al rilascio immediato dell'immobile di cui al contratto di comodato..." Alla luce di quanto spora non vi è chi non veda come l'accordo sia contenuto all'interno del verbale di mediazione e ne costituisca parte integrante dello stesso. Priva di pregio è anche l'eccezione secondo cui il verbale di mediazione del 6 marzo 2019 non contenga alcun accordo di avvenuta conciliazione tra il Sig. (...), da una parte e la Cooperativa dall'altra in quanto il titolo contrattuale dal quale ha preso le mosse il procedimento di mediazione di cui si discorre non è certamente il contratto di locazione stipulato tra il Sig. (...) ed il Sig. (...), bensì il contratto di comodato stipulato tra la Cooperativa (...), nel periodo antecedente alla L.C.A., ed il Sig. (...) e la sua inopponibilità alla procedura di liquidazione ministeriale. Diversamente ci si troverebbe dinanzi ad un paradosso giuridico - scongiurato peraltro dal consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 29850/18 e n. 20053/13) - per il quale, in violazione anche del principio di economicità processuale e di celerità dei giudizi, il Commissario Liquidatore, n.q. di legale rappr.te p.t. della Soc. Coop. (...), si ritroverebbe obbligato ad agire giudizialmente non solo nei confronti del (...), ossia del soggetto cui il precedente legale rappresentante della Cooperativa, in bonis, ha concesso in comodato gratuito il bene, ma anche contro tutti i soggetti, diversi dal suddetto, che occupassero l'immobile senza averne titolo, in forza di contratti stipulati illegittimamente dal primo conduttore. Alla luce di quanto sopra, è di tutta evidenza che l'unico legittimato passivo all'azione di rilascio dovesse e debba essere il (...), in forza dell'accordo di mediazione raggiunto, ovvero il soggetto con il quale intercorreva il contratto di comodato d'uso gratuito. Il successivo contratto di locazione del 2 maggio 2013, infatti, stipulato tra il (...) ed il (...), come verrà meglio esplicitato innanzi, non produce alcun effetto giuridico nei confronti della Procedura di liquidazione coatta amministrativa. Per mero tuziorismo, si rileva che l'estensione della domanda di mediazione del 20 febbraio 2019 nei confronti del Sig. (...) - tanto quanto nei confronti della occupante dell'altro immobile, "conduttrice" del (...) anch'essa, la (...) - non rappresentava certo un atto dovuto in capo alla Liquidatela ma solo e soltanto un'iniziativa volta alla possibile definizione bonaria dell'intera vicenda. 3. Sull'inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione e sulla opponibilità alla procedura di L.C.A. del Contratto di locazione stipulato tra il Sig. (...) ed il Sig. (...). - Continenza dei giudizi. Parte attrice, nel richiamare il giudizio incardinato innanzi al Tribunale Civile di Roma, Sezione Fallimentare, insiste nel voler sentire riconoscere l'opponibilità del contratto di locazione stipulato con (...), peraltro mai registrato presso gli uffici competenti. Orbene, stante la continenza tra il presente giudizio e quello instaurato innanzi al Tribunale Civile di Roma, peraltro, incardinato in data 14 febbraio 2020, lo scrivente difensore dichiara di non voler accettare il contraddittorio in merito alla contestazione mossa dall'odierno ricorrente; tuttavia, per mero tuziorismo, si ritiene doveroso precisare quanto segue. Il fondamento dell'azione di rilascio intrapresa dal Commissario Liquidatore non trova la sua origine nel contratto di locazione stipulato tra (...) ed (...) - inopponibile nei confronti della Procedura di L.C.A. - ma unicamente nel suo atto presupposto, rappresentato dal contratto di comodato gratuito del 23 marzo 2013, stipulato tra l'ex legale rappresentante della Cooperativa in bonis, (...), e (...), dal quale, in ragione della sua inopponibilità alla Procedura di L.C.A., lo stesso Commissario Liquidatore, con comunicazione a mezzo racc. a.r. e Pec del giugno 2018, si è espressamente sciolto. In tale missiva, peraltro, la Liquidatela, oltre a dichiarare di non voler subentrare in detto contratto, eccepiva e contestava l'illegittima ed inopponibile locazione a terzi, concessa dal (...), peraltro in violazione dell'art. 5 del contratto di comodato, secondo cui si prevedeva espressamente, al punto 5) "Limiti d'uso" che "il comodatario userà l'immobile come abitazione, non potrà variare la destinazione o concederlo in godimento a terzi né a titolo gratuito né a titolo oneroso. Nel caso in cui la destinazione convenuta venisse mutata per fatto del comodatario, o fosse concesso in godimento a terzi tale comportamento sarà considerato come recesso dal contratto con immediata restituzione dell'immobile, oltre al risarcimento del danno." A tale riguardo, del tutto irrilevante ed inconferente è il richiamo di controparte alla presunta data certa del rapporto di locazione in capo all'odierno opponente così come quello alla asserita tutela dell'affidamento incolpevole dello stesso (...), che si sarebbe limitato, quale mero "rappresentato", a tollerare l'attività del falsus procurator. Si tenga conto, altresì, che, sul punto, l'orientamento della Suprema Corte appare univoco, in buona sostanza è consolidato il principio secondo cui l'ordine contenuto in una sentenza di condanna al rilascio - cui è assimilabile, per analogia, l'accordo di mediazione - spiega i suoi effetti nei confronti non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di "chiunque si trovi a disporre del bene nel momento in cui la pronuncia stessa venga coattivamente eseguita... " (cfr. Cass. n. 29850/18 e n. 20053/13). Peraltro, la lettera-diffida del 21 dicembre 2018 (doc. 5), cui lo stesso opponente fa menzione, è chiaramente rappresentativa della volontà della Liquidatela di non riconoscere titolo alcuno al (...), a legittimazione della sua occupazione dell'immobile di cui è causa, al quale veniva appunto richiesto il pagamento dell'indennità di occupazione fino all'effettivo rilascio dell'immobile, spontaneamente mai avvenuto. Il tenore ed il contenuto della suddetta missiva fuga ogni dubbio sulla trasparente e legittima posizione della Liquidatela sia nei confronti del (...) che del (...). Il mancato subentro del Commissario Liquidatore nel contratto di comodato gratuito del marzo del 2013 produce, inevitabilmente, i propri effetti anche nei confronti del (...) in ragione della inefficacia, nei confronti della procedura di L.C.A. del contratto di locazione stipulato da quest'ultimo con il (...). A nulla rileva, dunque, il timbro postale apposto sul contratto di locazione in quanto privo, per le ragioni di cui sopra, di qualsivoglia effetto giuridico, in termini di opponibilità, nei confronti della Procedura di Liquidazione coatta amministrativa. Tale timbro, infatti, è stato apposto su un contratto inopponibile, e quindi inefficace, ab origine, in ragione, peraltro, anche del divieto espresso, nel contratto di comodato gratuito, alla concedibilità a terzi del godimento del bene immobile. Posto che, come lo stesso opponente ricorda ".....il (...) ha introdotto il giudizio sopra indicato...(dinanzi al Tribunale Fall.re di Roma, R.G. n. 11419/2020)....al fine di veder riconosciuta l'opponibilità alla (...) Soc. Cooperativa in liquidazione del contratto di locazione stipulato con il (...) e del patto di prelazione nello stesso contenuto," da tale circostanza fattuale l'odierno attore pretende di far valere non solo la validità ed efficacia del contratto di locazione che lo riguarda ma persino il suo asserito diritto all'assegnazione definitiva dell'immobile occupato, così assumendo "..si evince che la Cooperativa in bonis era perfettamente a conoscenza dell'esistenza del contratto di locazione stipulato dal Sig. (...) in data senza dubbio antecedente alla dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa e che essa aveva deliberato la futura assegnazione a fronte dell'accollo (assumendo la correlativa obbligazione)." Tali argomentazioni sono irrilevanti ai fini della prova dell'opponibilità del contratto di locazione alla procedura di L.C.A. per i medesimi motivi sopra esposti posto che, peraltro, proprio con la richiamata diffida del 21 dicembre 2018, la Liquidatela ha manifestato la sua espressa volontà di rientrare nel possesso del bene immobile. Inoltre, del tutto inconferente è il richiamo fatto dalla difesa dell'opponente all'art. 80 L.F., posto che la Liquidatela non poteva sciogliersi da un contratto di locazione (nel caso in esame del maggio del 2013), di cui non era parte contrattuale. In conclusione, allo stesso modo, deve ritenersi inopponibile alla Procedura di L.C.A. e, quindi, inefficace, finanche il verbale di assemblea straordinaria del 25 ottobre 2017, richiamato dall'odierno attore, che non attribuisce alcun diritto e/o legittima pretesa al (...). 4. Sull'istanza di sospensione In merito alla istanza di sospensione, formulata dall'odierno ricorrente, vista la carenza dei presupposti, ci si oppone alla sua concessione in ragione della regolarità e del perfezionamento della notifica degli atti presupposti al preavviso di rilascio ex art. 608 c.p.c. per le ragioni sopra esposte. Tali atti, infatti, come già ampiamente dedotto nei punti precedenti sono stati notificati a mezzo Ufficiale Giudiziario e si sono perfezionati, in danno del (...), ex art. 140 c.p.c., per compiuta giacenza. La concessione di un qualsivoglia provvedimento di sospensione provocherebbe un grave danno nei confronti della Procedura di Liquidazione coatta amministrativa in quanto la L.C.A. si vedrebbe nell'impossibilità di procedere alla liberazione del bene immobile, occupato dall'odierno ricorrente, e dall'impossibilità di procedere alla sua vendita a terzi. E parimenti concludeva, per cui il procedimento, dopo riunione allo stesso di quello successivamente iscritto e contenente medesimi motivi e domande, rubricato al n.1444/20, avente ad oggetto la opposizione alla esecuzione per rilascio introdotto con il preavviso successivo, solo documentalmente istruito, veniva, dopo una serie di rinvii della udienza di p.c. per consentire una definizione concordata della vicenda, trattenuto in decisione alla udienza del 8 marzo 2023 con concessione di termini ex art.190 cpc, sulla scorta delle conclusioni, rassegnate dai procuratori delle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE Va anzitutto dichiarata la competenza di questo ufficio, per la opposizione al precetto del 16.10.2019 (ritualmente notificato al (...) presso l'immobile locato in via (...) in Rocca di Papa, ex art.140 cpc, con plico non rituirato allo UP), ed gli atti esecutivi in relazione alla esecuzione per rilascio che dovrebbe avvenire nel Comune di Rocca di Papa e quindi nel territorio dell'Ufficio adito (per quello che concerne la regolarità della azione esecutiva, in effetti svolta non già come visto, senza la notificazione di un atto di precetto all'occupante l'immobile della coop.edil. in lca, ma invero senza la esistenza di un t.e. nei suoi confronti, tale non potendosi ritenere il verbale di mediazione emesso con la partecipazione e l'accordo del solo citato (...), titolare di un diritto diverso ed autonomo ad occupare l'immobile, rispetto allo odierno opponente); per cui deve effettivamente dichiararsi la nullità del citato precetto, e del p.r. del 20.04.2020, in quanto non preceduti dai prodromici atti, completi dei requisiti di legge, di cui si è detto; mentre ovviamente, quanto al capo di opposizione ex art.615 cpc, che presuppone un accertamento, ovvero quello relativo alla opponibilità alla procedura concorsuale del rapporto locativo o sub-locativo, instaurato con il (...)) che, proprio a seguito della instaurazione della procedura concorsuale, ed ancor più della proposizione del giudizio di accertamento in proposito presso il T.Roma (il citato giudizio n.11419/20 RGAC avente ad oggetto proprio quanto sopra), deve ritenersi di competenza di tale Ufficio, presso la Sez. Fall., con litispendenza parziale quanto a tale aspetto, e pertanto non può che accertare e dichiarare la continenza del presente procedimento con il procedimento pendente innanzi al Tribunale Civile di Roma, R.G. 11419/2020, con ogni conseguenza di legge, anche attesa la incompetenza di questo Ufficio, in presenza di una domanda di accertamento nei confronti di una procedura concorsuale, radicata presso il Tribunale di Roma, ad accertare la opponibilità e validità nei confronti della lca del contratto di locazione stipulato in favore del (...), e dei patti in esso contenuti (procedimento, in realtà in via di riassunzione, per dichiarata incompetenza territoriale, in favore del T. in sede, come indicato nella ultima udienza, da parte del g. adito, ma giudizio comunque anteriore rispetto al presente, senza che possa duplicarsi la decisione sul punto, con possibilità di contrastanti giudicati), con compensazione atteso l'esito complessivo del giudizio delle spese di lite del presente giudizio. P.Q.M. - dichiara la nullità del precetto per rilascio del 16.10.2019 e del preavviso di rilascio del 28.04.2020, per i motivi di cui sopra, disponendo la sospensione della esecuzione per rilascio stessa, e per il resto dichiara la litispendenza delle altre domande versate nel presente giudizio, attesa la precedente pendenza presso il T.Roma del procedimento n. 11419/20 RGAC, trasferito per competenza territoriale presso il Tribunale in sede, avente identico oggetto, - spese di lite compensate. Velletri, lì 19 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI SEZIONE LAVORO 1 GRADO Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 13/04/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2157/2022 R.G.A.L. e vertente TRA (...) Ricorrente Rappresentata e difesa dall'Avv.to Sa.Lu. E I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - in persona del legale rappresentante protempore Resistente Rappresentato e difeso dall'Avv.to Ma.Mo. Oggetto: Altre controversie in materia di previdenza obbligatoria. Assegno Sociale. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 22.04.2022, ritualmente notificato, la ricorrente epigrafata, conviene in giudizio l'INPS al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all'Assegno Sociale, ex art. 3 co. 6 della L. n. 335 del 1995 relativamente al periodo da Settembre 2019 ad Aprile 2021 per un importo di Euro 8.990,80, con favore delle spese processuali. Riferisce in particolare: Di avere presentato domanda all'Istituto per ottenere la predetta prestazione assistenziale in data 30.08.2019 che veniva rigettata sul presupposto generico di una asserita carenza documentale (sentenza); Di avere proposto ricorso amministrativo avverso il provvedimento di diniego il successivo 26.04.2021, rendendo edotto l'Istituto che il coniuge separato (...) non aveva mai versato l'assegno di mantenimento sia nel corso del giudizio per la separazione sia in ottemperanza a quanto disposto dal Tribunale di Velletri con la sentenza definitiva n. 1191/2020 del 7.08.2020 (da ultimo dell'importo di Euro 700,00 mensili), e aveva, altresì, blindato le sue proprietà in un Trust, rendendo, così, inefficace qualsiasi azione di recupero; Che, con Provv. del 13 maggio 2021, l'INPS accoglieva la domanda e liquidava il primo rateo dell'assegno sociale per l'importo di Euro 473,20 relativamente al mese di Maggio, ma non versava gli arretrati maturati a decorrere dal mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa fino ad Aprile 2021, pari alla somma complessiva di Euro 8.990,80, oltre interessi legali e rivalutazione dalle singole scadenze al saldo. Allega documentazione. L'INPS si costituisce in giudizio ed evidenzia, in primo luogo, che la ricorrente ha presentato la sentenza di separazione e il precetto per il recupero dell'assegno di mantenimento non erogato dall'ex coniuge solo nel mese di Aprile 2021. Sostiene, inoltre, che alla data di presentazione della domanda amministrativa l'ex coniuge della ricorrente aveva un rapporto di lavoro dipendente ma ciò nonostante la (...) ha notificato l'atto di precetto al coniuge inadempiente soltanto nel mese di Febbraio 2021, per cui non si è utilmente attivata per riscuotere coattivamente il proprio credito. Invoca, quindi, la giurisprudenza di merito -di questo Tribunale- secondo cui la presentazione della domanda dell'assegno sociale non deve integrare una condotta di abuso del diritto, ossia contrastare con il dovere di buona fede in senso oggettivo, per cui deve trovare applicazione la previsione dell'articolo 1227 c.c. (concorso del fatto colposo del creditore) al fine di limitare o escludere il diritto alla prestazione medesima. Allega documentazione. La causa veniva istruita attraverso l'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti. All'odierna udienza, dopo la discussione, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c.. Va richiamata, in via preliminare, la disciplina dell'assegno sociale stabilita dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, che così recita: "Con effetto dal 1 gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a Lire 6.240.000, denominato "assegno sociale". Se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo soglia annualmente previsto, se non coniugato (cd integrazione al trattamento minimo), ovvero fino al doppio del predetto importo se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell'eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare. Il reddito soglia è, infatti, costituito dall'ammontare dei redditi coniugali conseguibili nell'anno solare di riferimento ed adeguato nel tempo dal legislatore (da ultimo L. n. 448 del 2011, art. 38, comma 1, lett. b). La posizione del 65enne non coniugato viene equiparata a quella del 65 legalmente (ed effettivamente) separato, anche in via provvisoria, per cui non si procede al cumulo del reddito dell'interessato con quello del coniuge. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell'art. 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale. L'assegno è, tuttavia, erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente, ed è conguagliato entro il mese di luglio dell'anno successivo sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. In sintesi quindi: a) se non si posseggono redditi si ha diritto alla misura intera della prestazione; b) se si posseggono redditi in misura inferiore all'assegno sociale si ha diritto alla misura ridotta fino alla concorrenza dell'assegno medesimo; c) se si posseggono redditi superiori all'importo dell'assegno sociale non si ha diritto alla prestazione. Il superamento del tetto reddituale determina la sospensione della prestazione la cui erogazione riprenderà quando i redditi torneranno al di sotto del limite massimo previsto per la sua attribuzione. Il legislatore, quindi, dando attuazione al principio di solidarietà sociale sancito nell'art. 2 della Costituzione, ha previsto in favore delle persone anziane che hanno superato una prefissata soglia di età (oggi rileva l'età di 67 anni) e che non dispongono di tutela previdenziale per fronteggiare l'evento della vecchiaia, la corresponsione di detta prestazione avente natura assistenziale, che in quanto tale è volta ad assicurare "i mezzi necessari per vivere" (ai sensi dell'art. 38 comma 1 Cost.). Il relativo diritto si fonda, infatti, esclusivamente sullo stato di bisogno accertato del titolare che viene desunto, in base alla legge, dalla mancanza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti al disotto del limite massimo indicato dalla legge. La S.C. di Cassazione, chiamata a esprimersi in un caso in cui il richiedente non aveva richiesto l'assegno di mantenimento al coniuge separato (cfr. sent. n. 14513/2020 e n. 24951/2021), ha precisato che la predetta situazione non può dirsi equivalente ad assenza dello stato bisogno (rectius, riconoscimento del proprio stato di autosussistenza economica), poiché va escluso che possa rilevare un reddito potenziale mai attribuito e/o percepito dal soggetto che richiede l'assegno sociale nel periodo considerato ma soprattutto, per quanto qui interessa, che non è previsto che lo stato di bisogno per essere normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole. Al contrario, la condizione legittimante per l'accesso alla prestazione assistenziale rileva nella sua mera oggettività, come si ricava dalla lettura congiunta della disposizione secondo cui il requisito rilevante ai fini del diritto all'assegno "è costituito dall'ammontare dei redditi ... conseguibili nell'anno solare di riferimento" e quella secondo cui l'assegno "è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato ... sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti"). Secondo i Supremi Giudici, infatti, diversamente opinando, si introduce nell'ordinamento l'ulteriore requisito (rilevante in generale, a livello dell'astratta disciplina legale, quale conditio iuris) dell'obbligo del richiedente l'assegno sociale di rivolgersi previamente al proprio coniuge separato, con effetti inderogabilmente ablativi del diritto all'assegno sociale, in caso di inottemperanza, pur nella accertata sussistenza dei requisiti esplicitamente dettati allo scopo dalla legge "? che prevede, al contrario, come unico requisito, uno stato di bisogno accertato, caso per caso, non solo per concedere ma anche per mantenere la tutela di base assistenziale per gli anziani nel nostro Paese". Venendo, quindi, al caso in esame è bene precisare che l'INPS ha riconosciuto il diritto della ricorrente alla prestazione in parola con decorrenza da Maggio del 2021. Relativamente al periodo precedente, ossia da Settembre 2019 ad Aprile 2021, premette che la (...) non ha fornito la prova della propria situazione reddituale, e soprattutto sostiene che la stessa ha colposamente concorso a cagionare il suo stato di bisogno sull'assunto che, qualora si fosse tempestivamente attivata per riscuotere coattivamente il credito vantato nei confronti dell'ex coniuge a titolo di assegno di mantenimento, avrebbe ottenuto un risultato utile poiché il (...) al momento della presentazione della domanda di assegno sociale era titolare di un rapporto di lavoro dipendente. Osserva il giudicante che dalla piana lettura della sentenza n. 1191/2020 del Tribunale di Velletri, pubblicata il 7.08.2020 e resa esecutiva il 15.09.2020, risulta che la ricorrente e (...) sono separati dal 2012 e che il Presidente del Tribunale, in via provvisoria, lasciava in godimento alla ricorrente la casa coniugale ed imponeva al (...) di corrispondere in favore della moglie un assegno di mantenimento di Euro 500,00 mensili. Con la predetta sentenza definitiva viene, quindi, pronunciata la separazione giudiziale dei coniugi e, in accoglimento della domanda di addebito formulata dalla (...), viene disposto che il (...) versi nei confronti della ex coniuge la somma di Euro 700,00 mensili a titolo di mantenimento. L'odierna ricorrente ha, quindi, notificato al (...) il titolo esecutivo in uno con l'atto di precetto nel mese di Febbraio 2021, intimando all'ex coniuge il pagamento della somma complessiva di Euro 60.330,69. Ebbene, applicando i citati principi di diritto enucleati dalla S.C. di Cassazione nella materia che ci occupa, ritiene la scrivente che non può trovare applicazione quanto disposto dall'art. 1227 c.c. poiché i Supremi giudici hanno chiaramente affermato che non rileva il comportamento dell'interessato, né tanto meno può intervenire un processo interpretativo che metta in discussione lo stato di bisogno a seconda delle scelte di vita del beneficiario, come ad esempio, avere rinunciato all'assegno di mantenimento, ovvero non aver accettato, in sede di separazione consensuale, un assegno di mantenimento "adeguato" o, come nel caso in esame, non avere agito per la riscossione coattiva del credito in epoca prossima a quella di presentazione della domanda di assegno sociale, in specie, quindi, prima della sentenza definitiva con cui è stata pronunciata la separazione giudiziale con addebito e disposto il pagamento dell'assegno di mantenimento. Diversamente opinando sarebbero violati gli stessi principi costituzionali alla base del sistema di sicurezza sociale per cui l'intervento pubblico a favore dei bisognosi non ha e non può detenere un carattere di natura sussidiaria (Cass. Sez. L. n. 24954 del 2021). In altre parole applicando la citata norma codicistica si perverrebbe ad una conclusione ritenuta dalla Cassazione inaccettabile perché, oltre a violare la legge istitutiva della provvidenza, significherebbe che l'obbligo dello Stato di assistenza dei cittadini bisognosi opera solo in via sussidiaria e solo qualora non ci siano altre opzioni utili, come l'assegno di mantenimento in questo caso. Un'interpretazione, quindi, che "finirebbe per lasciare tali soggetti alla mercé delle vischiosità dei rapporti familiari, impedendo alla collettività di garantirne la personalità, l'autonomia e la stessa dignità" in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza sostanziale (art. comma 2) e sicurezza sociale (art. 38) o con il diritto alla salute (art. 32). La Cassazione, pertanto, afferma il principio di diritto secondo cui, ai fini della concessione dell'assegno sociale, lo "stato di bisogno economico" non può essere desunto dalle scelte di vita del richiedente. Ne deriva che la discriminante per poter accedere alla prestazione è l'effettivo incasso dell'assegno di mantenimento. L'INPS, in altre parole, per negare la spettanza dell'assegno sociale, non deve solo dimostrare che il soggetto ha diritto al mantenimento, ma anche che la somma viene regolarmente pagata e accreditata. Un assegno di divorzio spettante sulla carta, ma non retribuito, costituendo un reddito potenziale, non "salva", infatti, la persona da una situazione di disagio economico, in quanto la L. n. 335 del 1995 attribuisce rilievo al fine del raggiungimento del requisito reddituale e della dimostrazione dello stato di bisogno agli "assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile". Ciò senza contare che risulta provato per tabulas dal mese di Giugno del 2018 il (...) aveva costituito un Trust di beni immobili e che l'allegazione secondo cui il medesimo (...) nel Settembre del 2019 era titolare di un rapporto di lavoro subordinato, per cui un'azione esecutiva promossa in tale epoca avrebbe consentito alla ricorrente di ottenere un risultato utile, è sprovvista di qualsivoglia supporto probatorio, né l'Istituto chiede di provare la circostanza avanzando a tal fine idonee istanze istruttorie. Per completezza si osserva, infine, che nel corso del procedimento amministrativo l'INPS non ha mai posto in discussione la sussistenza del requisito reddituale per accedere alla prestazione assistenziale per cui è processo. Pertanto, a parere del giudicante, la deduzione secondo cui la signora (...) non avrebbe dato prova della sua situazione reddituale relativamente al periodo Settembre 2019 - Aprile 2021 va considerata generica oltre che, in parte, contradditoria in quanto, come detto, l'Istituto ha riconosciuto il diritto a decorrere dal mese di Maggio 2021. Per tutti i motivi esposti, il ricorso è fondato e merita accoglimento. Va, pertanto, dichiarato il diritto di (...) ad ottenere l'Assegno Sociale di cui all'art. 3 co. 6 L. n. 335 del 1995 con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa del 30.08.2019, e per l'effetto l'INPS, in persona del l.r. pro-tempore, va condannato a corrispondere alla ricorrente i ratei maturati da Settembre 2019 a Aprile 2021, pari alla somma complessiva di Euro 8.990,80 (importo non specificamente contestato dal procuratore dell'Ente), oltre interessi legali dal dì del dovuto al saldo. Le spese processuali seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione 1. Accerta e dichiara il diritto di (...) al riconoscimento dell'Assegno Sociale di cui all'art. 3 comma 6 L. n. 335 del 1995, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa del 30.08.2019 fino al mese di Aprile 2021. 2. Per l'effetto, condanna l'INPS, in persona del l.r. pro-tempore, a corrispondere alla ricorrente gli arretrati maturati della prestazione di cui sub (...), per il periodo innanzi indicato, pari alla somma complessiva di Euro 8.990,80 oltre interessi legali dal dì del dovuto al saldo. 3. Condanna l'INPS, in persona del l.r. pro-tempore, a rimborsare alla ricorrente le spese processuali liquida in complessivi Euro 1.800,00 oltre IVA CPA e spese generali come per legge. Così deciso in Velletri il 13 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VELLETRI SEZIONE LAVORO in persona del giudice Pietro Gerardo Tozzi ha emesso la seguente SENTENZA ex art. 127ter c.p.c. nella causa iscritta al numero 6571 del ruolo generale dell'anno 2019 promossa DA (...), elettivamente domiciliata in Nettuno Via (...), presso lo studio dei procuratori Avv. Ra.Lu. e Avv. Fr.Ce., che la rappresentano e difendono RICORRENTE CONTRO (...) S.R.L., con sede legale in R., in persona del legale rappresentante (...) CONVENUTA/CONTUMACE NONCHE' INPS, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma via (...), presso la sede dell'Avvocatura Distrettuale Inps, rappresentato e difeso dal procuratore Avv. Ci.Eu. LITISCONSORTE NECESSARIO FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato il 10 dicembre 2019 (...) ha affermato: di aver lavorato alle dipendenze della (...) s.r.l., dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019, con mansioni di commessa addetta al banco inquadrata nel 4 livello c.c.n.l. terziario e servizi commercio - confcommercio; di aver lavorato dalle 7:00 alle 14:00 o dalle 12.00 alle 20.00 dal lunedì alla domenica, con un giorno di riposo a settimana, in base ai turni; di essere stata sottoposta al potere direttivo, organizzativo e sanzionatorio del responsabile del punto vendita gestito dalla società; di non aver percepito le retribuzioni di novembre 2018, dicembre 2018, gennaio 2019 e i ratei di tredicesima e quattordicesima 2018 e 2019, nonché il trattamento di fine rapporto, per un totale di Euro 5.731,96; che la datrice di lavoro ha omesso il versamento della contribuzione previdenziale dovuta dal mese di settembre 2018 alla fine del rapporto. In diritto, la ricorrente ha affermato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con inquadramento al 4 livello c.c.n.l. di settore e di essere creditrice della somma di Euro 5.731,96, di cui Euro 1.263,68 a titolo di trattamento di fine rapporto. (...) ha quindi convenuto in giudizio (...) s.r.l., e l'Inps, chiedendo che il giudice accerti la sussistenza di un rapporto di lavoro con la società convenuta e la condanni al pagamento in suo favore della somma di Euro 5.731,96 per differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché alla regolarizzazione contributiva e previdenziale del rapporto di lavoro da settembre 2018 a gennaio 2019 1.1. Pur a seguito di regolare notifica del ricorso, (...) s.r.l. non si è costituita in giudizio e, all'udienza dell'11 febbraio 2021, è stata dichiarata la contumacia. 1.2. L'Inps si è regolarmente costituito in giudizio, eccependo il difetto della propria legittimazione passiva e chiedendo, in via subordinata, nel caso in cui ricorrano i requisiti per l'assicurabilità della ricorrente, la condanna della datrice di lavoro al pagamento, in proprio favore, dei contributi, sanzioni ed interessi ex lege, che saranno quantificati dall'Istituto. 2. Assegnata la causa al presente giudice il 15 luglio 2022, esperita la fase istruttoria, con ordinanza resa all'esito dell'udienza del 7 marzo 2023 è stata disposta ex art. 127ter c.p.c. la sostituzione dell'udienza di discussione del 29 marzo 2023 con il deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni. 2.1. Parte ricorrente ha depositato tempestivamente nota di trattazione scritta, chiedendo l'accoglimento delle conclusioni rassegnate in ricorso. 3. Inps, costituendosi, ha eccepito il difetto della propria legittimazione passiva. 3.1. Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nelle controversie promosse dai dipendenti, volte ad ottenere la condanna del datore di lavoro al versamento al Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito, istituito presso l'INPS ex D.M. n. 158 del 2000, dei contributi correlati alla retribuzione mensile, utili per la determinazione dell'assegno ordinario di accompagnamento, la natura obbligatoria della contribuzione e la struttura del rapporto dedotto in giudizio, avente ad oggetto una autonoma obbligazione di diritto pubblico, impongono la partecipazione al processo dell'ente previdenziale in qualità di litisconsorte necessari. (Cass. 14 maggio 2020 n. 8956). 3.2. Tanto premesso, rilevato che parte ricorrente ha domandato, tra l'altro, il versamento dei contributi dovuti e non versati dalla società convenuta in relazione al rapporto di lavoro sussistente tra le parti, l'eccezione deve essere respinta. 4. La lavoratrice ha affermato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019 con un orario part time al 62,5%. 4.1. Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro (cfr. Cass. 31 ottobre 2013 n. 24561; Cass. 19 aprile 2010, n. 9251). 4.2. Nel caso di specie, risultano acquisiti al fascicolo di causa: comunicazione Unilav di assunzione del lavoratore da parte di (...) S.R.L., con decorrenza dal 5 ottobre 2017 e cessazione al 31 gennaio 2019, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e a tempo parziale per 20 ore settimanali, con inquadramento al 6 livello c.c.n.l. terziario distribuzione e servizi (doc. 2 di parte ricorrente); buste paga della lavoratrice, rilasciate dalla società convenuta, relative ai mesi da ottobre 2017 a novembre 2018, con qualifica "commesso di banco", da cui risulta il riconoscimento del 4 livello c.c.n.l. applicato a partire dal mese di novembre 2017 (doc. 3 di parte ricorrente) e a decorrere dal mese di aprile 2018 un part time al 62,50%; Certificazione Unica dei redditi anno 2018 (doc. 4 di parte ricorrente); estratto contributivo dal cui risulta il rapporto di lavoro con la convenuta dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019 (doc. 8 di parte ricorrente). 4.3. Nel corso dell'istruttoria, la teste B.C. ha riferito: "Io ho lavorato per la convenuta da settembre 2018 fino al 31 gennaio 2019, ero un jolly nel supermercato, facevo un po'di tutto, sostituivo gli altri lavoratori all'occorrenza. Lavoravo dalle 7:00 alle 11.00 o dalle 16:30 alle 20:30, per quattro ore al giorno, lavoravo sei giorni a settimana, con un riposo a turno. A gennaio 2019 la ricorrente ha lavorato per la società convenuta. Abbiamo finito insieme di lavorare al supermercato: lavorava dalle 7:00 alle 14:00 o dalle 12:00 alle 20:00, faceva full time, lavorava al banco della gastronomia". Inoltre, la teste (...), nuora della ricorrente, ha affermato: "Mia suocera lavorava al supermercato IN's di Lavinio, fino a gennaio 2019, mi sembra quello l'anno. Lavorava per 8 ore al giorno, con turni la mattina o il pomeriggio, a tempo pieno". 4.4. Quanto all'orario, si deve infine richiamare la documentazione in atti (comunicazione Unilav) che indica un part time al 50%, mentre da aprile 2018 le buste paga depositate riconoscono una retribuzione in base ad un orario part time al 62,5%. 4.5. Ritiene l'Ufficio, pertanto, che è emersa in giudizio la prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra (...) e (...) s.r.l., dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019, con inquadramento nel 4 livello c.c.n.l. applicato da novembre 2017. 5. La lavoratrice ha domandato il pagamento della retribuzione ordinaria da novembre 2018 a gennaio 2019. 5.1. Qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l'onere di provare l'esistenza del rapporto di lavoro quale fatto costitutivo del diritto azionato, mentre incombe sul datore di lavoro che eccepisce l'avvenuta corresponsione delle somme richieste, l'onere di fornire la prova di siffatta corresponsione; e tale principio vale sia per la retribuzione mensile, sia per la tredicesima mensilità (che costituisce una sorta di retribuzione differita), sia per la corresponsione del trattamento di fine rapporto (che integra parimenti una componente del trattamento economico costituendo in buona sostanza una sorta di accantonamento da parte del datore di lavoro), sia per il pagamento delle ferie non retribuite (atteso che l'obbligo di corrispondere la retribuzione incombe anche nel periodo in cui il lavoratore usufruisce delle ferie, che costituiscono un diritto irrinunciabile costituzionalmente garantito ai sensi dell'art. 36 Cost., comma 3) (cfr. Cass. 27 aprile 2015, n. 8521; Cass. 22 dicembre 2009, n. 26985). Pertanto, in presenza della prova dello svolgimento di una prestazione lavorativa, prova che grava sul lavoratore che afferma l'esistenza del rapporto di lavoro, è onere del debitore provare di avere integralmente retribuito il dipendente, prova che nel caso di specie non è stata fornita stante la contumacia della convenuta. 5.2. Affermata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e la società convenuta, dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019, con inquadramento della lavoratrice al 4 livello c.c.n.l. applicato, visti i conteggi depositati, elaborati sul minimo retributivo contrattualmente previsto, considerato il tempo parziale per 25 ore settimanali da aprile 2018, a fronte di un orario normale di lavoro di 40 (c.c.n.l. applicato), si deve affermare che la lavoratrice ha maturato un credito per la somma mensile di Euro 1.011,68 per retribuzione ordinaria, per i mesi da novembre 2018 a gennaio 2019. La ricorrente ha tuttavia indicato nei conteggi (quindi con valore confessorio) di aver percepito Euro 1.011.68 a titolo di retribuzione dall'inizio del rapporto fino al mese di novembre 2018, compreso. 5.3. Conseguentemente, ne deriva che spetta a (...), per il periodo da dicembre 2018 a gennaio 2019, il pagamento della somma totale di Euro 2.023,36 (Euro 1.011,68 mensili), a titolo di retribuzione ordinaria. 6. La lavoratrice ha chiesto poi il pagamento dell'importo di Euro 1.011.68 per tredicesima mensilità 2018, di Euro 84,31 per rateo tredicesima mensilità 2019 ed Euro 1,348,91 per quattordicesima mensilità. 6.1. Stante la prova della sussistenza del rapporto di lavoro e della effettività della prestazione di lavoro fornita da parte ricorrente, richiamati i conteggi depositati, la domanda deve essere accolta. 7. La lavoratrice ha domandato il pagamento della somma di Euro 1.236,68 per trattamento di fine rapporto. 7.1. Vista la certificazione unica dei redditi anno 2018, che indica in Euro 931,58 la somma maturata al 31 dicembre 2018 dalla lavoratrice a titolo di trattamento di fine rapporto, la domanda può essere accolta nella misura di Euro 1.019,01 (da Euro 931,58 + 87,43, quale rateo tfr maturato a gennaio 2019 su retribuzione mensile, rateo 13 e 14). 8. Infine, la società contumace deve essere altresì condannata al versamento presso l'Inps dei contributi, sanzioni e interessi eventualmente dovuti in relazione al rapporto di lavoro per la sua completa regolarizzazione contributiva, in assenza di prova del versamento dei contributi dovuti. 9. Tanto premesso, in accoglimento del ricorso, deve essere dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e la società convenuta, dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019, con inquadramento della lavoratrice a l4 livello c.c.n.l terziario, distribuzione e servizi e, per l'effetto, (...) s.r.l. deve essere condannata al pagamento, in favore di (...), della somma complessiva di Euro 5.487,27, di cui Euro 2.023,36 per retribuzione mesi di dicembre 2018 e gennaio 2019, Euro 1.011.68 per tredicesima mensilità 2018, Euro 84,31 per rateo tredicesima mensilità 2019, Euro 1,348,91 per quattordicesima mensilità ed Euro 1.019,01 per trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali e rivalutazione. 10. La società convenuta, stante la soccombenza, deve essere condannata al pagamento dei compensi di lite in favore di parte ricorrente e di Inps, secondo la liquidazione operata in dispositivo sulla base del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, da distrarsi in favore dei procuratori costituiti per parte ricorrente. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, in accoglimento del ricorso, dichiara la sussistenza di un rapporto di lavoro tra (...) e (...) s.r.l., dal 5 ottobre 2017 al 31 gennaio 2019, con inquadramento della lavoratrice al 4 livello c.c.n.l. terziario distribuzione e servizi da novembre 2017; per l'effetto, condanna (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante (...), al pagamento in favore di (...) della somma complessiva di Euro 5.487,27, di cui Euro 1.019,01 per trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al versamento presso l'Inps di contributi, sanzioni e interessi eventualmente dovuti in relazione al rapporto di lavoro per la sua completa regolarizzazione contributiva; condanna (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante (...), al pagamento in favore di (...) delle spese di lite, liquidate in Euro 2.600,00 oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge, da distrarsi; condanna (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante (...), al pagamento in favore dell'Inps delle spese di lite, liquidate in Euro 1.300,00, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge. Si comunichi. Così deciso in Velletri il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VELLETRI SEZIONE LAVORO in persona del giudice Pietro Gerardo Tozzi ha emesso la seguente SENTENZA Ex art. 127 ter c.p.c. nella causa iscritta al numero 2700 del ruolo generale dell'anno 2019 promossa DA (...), elettivamente domiciliato in Roma via (...), presso lo studio del procuratore Avv. Vi.Ca., che lo rappresenta e difende RICORRENTE CONTRO (...) SOCIETA' COOPERATIVA A R.L., con sede in P., in persona del Presidenza del C.d.A. (...), elettivamente domiciliata in Albano Laziale via (...), presso lo studio del procuratore Avv. Fr.Gi., che la rappresenta e difende RESISTENTE NONCHE' INPS, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma via (...), preso l'Avvocatura Distrettuale dell'Istituto, rappresentato e difeso dal procuratore Avv. Iv.Ci. LITISCONSORTE NECESSARIO FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato il 22 maggio 2019 (...) ha affermato: di aver lavorato dal 4 aprile 2016 al 19 febbraio 2019, alle dipendenze di (...) Società Cooperativa a r.l., con contratto di lavoro a tempo determinato con inquadramento al 5 livello c.c.n.l. imprese di spedizione, autotrasporto merci e logistica, poi trasformato in rapporto a tempo indeterminato, con mansioni di capo commessa per la gestione delle risorse umane e tecniche presso l'unità operativa (...); che la datrice di lavoro l'1 febbraio 2019 ha revocato il suo incarico di capo commessa e non lo ha assegnato a nessun diverso appalto; di aver rassegnato le proprie dimissioni per giusta causa il 19 febbraio 2019. In diritto, il lavoratore ha affermato l'erronea determinazione della retribuzione oraria per il periodo da aprile 2016 ad agosto 2017, il proprio diritto all'inquadramento al 1 livello c.c.n.l. di settore e alle conseguenti differenze retributive, all'indennità di reperibilità, a di essere creditore della somma di Euro 9.962,12 per trattamento di fine rapporto e la sussistenza di giusta causa di dimissioni; ha quindi convenuto in giudizio (...) Società Cooperativa a r.l. perché il giudice, accertato che ha svolto mansioni rientranti nel 1 livello c.c.n.l. logistica, condanni la convenuta al pagamento della somma di Euro 45.794,05, di cui Euro 30.433,60 per differenze retributive, Euro 9.962,13 per trattamento di fine rapporto ed Euro 5.398,32 per indennità sostitutiva del preavviso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, e alla regolarizzazione contributiva del rapporto di lavoro. 1.1. Si è costituita in giudizio (...) Società Cooperativa a r.l., che ha contestato quanto dedotto da parte ricorrente e chiesto il rigetto del ricorso. 2. La causa è stata assegnata al presente giudice il 9 luglio 2020. Escussi i testi ammessi, all'udienza del 25 maggio 2022, rilevato che parte ricorrente ha chiesto, tra l'altro, la regolarizzazione contributiva e previdenziale in seguito al riconoscimento dell'intero servizio svolto, è stata ordinata l'integrazione del contraddittorio, con la chiamata in causa di Inps, a cura di parte ricorrente; in data 19 dicembre 2022 l'Inps si è costituito chiedendo, per il caso dell'accoglimento della domanda della ricorrente, di condannare parte convenuta al pagamento in suo favore delle differenze contributive, oltre sanzioni e interessi ex lege, e comunque sempre nei limiti della prescrizione quinquennale nel termine di legge. Con Provv. del 12 gennaio 2023 è stata disposta ex art. 127ter c.p.c. la sostituzione dell'udienza di discussione del 14 febbraio 2023 con il deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni. Il lavoratore e la società resistente hanno depositato tempestivamente note di trattazione scritta, chiedendo l'accoglimento delle rispettive conclusioni. 3. All'udienza del 15 ottobre 2019, parte ricorrente ha eccepito la tardività della costituzione della resistente, avvenuta con deposito del 5 ottobre 2019, sabato. 3.1. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il quarto comma dell'art. 155 cod. proc. civ. (diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo) e il successivo quinto comma del medesimo articolo (introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. f, della L. 28 dicembre 2005, n. 263, e diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato) operano anche con riguardo ai termini che si computano "a ritroso" (come, nella specie, quello previsto dall'art. 378 cod. proc. civ.), ovvero contraddistinti dall'assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il "dies ad quem" dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass. 30 giugno 2014 n. 14767). 3.2. Con ordinanza del 30 novembre 2019, il giudice ha dichiarato la tardività della costituzione della società, in applicazione dei principi affermati dalla Corte di legittimità, e tale determinazione deve essere qui confermata. 4. Con il ricorso e i conteggi depositati, (...) ha domandato il pagamento della somma di Euro 2.849,22, di cui Euro 2.727,26 per l'anno 2016 ed Euro 121,96 per l'anno 2017 (somma che tiene conto anche dei periodi in cui ha percepito più di quanto indicato come spettante, e fino al 30 giugno) per erronea determinazione della retribuzione oraria, individuata dalla datrice di lavoro in Euro 8,00, in luogo di Euro 8,63. Il lavoratore in ricorso riferisce tale richiesta al periodo sino ad agosto 2017, ma si deve considerare che per il periodo dall'1 luglio 2017 lo stesso ricorrente ha chiesto accertamento dello svolgimento di mansioni superiori: ritiene l'Ufficio, pertanto, che per la domanda in esame deve essere presa in considerazione il periodo dall'assunzione sino al 20 giugno 2017. 4.1. Occorre ricordare, in proposito, che il cosiddetto superminimo, ossia l'eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell'assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l'emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l'onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l'assorbimento (Cass. 17 ottobre 2018 n. 26017); il trattamento economico complessivamente più favorevole previsto da un contratto aziendale ha una portata sostitutiva rispetto al trattamento deteriore di cui al contratto collettivo nazionale, sicché va escluso il diritto ad una applicazione cumulativa dei benefici rispettivamente previsti (Cass. 1 febbraio 2016 n. 1843). 4.2. Nel caso di specie, parte resistente non ha contestato quanto dedotto da parte ricorrente, osservando però che, oltre alla retribuzione ordinaria, il lavoratore ha percepito somme ulteriori a titolo di premio di produzione, diaria e cottimo, da imputarsi a retribuzione ordinaria. 4.2.1. Ritiene infatti il Giudicante che in assenza di deduzione e prova circa il titolo della attribuzione delle dette voci retributive (ad es. una particolare professionalità o responsabilità attribuite al lavoratore, il lavoro in trasferta o il raggiungimento di specifici obiettivi di produzione), i premi di produzione, le diarie e il cottimo corrisposti devono essere considerati quali superminimo assorbibile, e quindi parte della retribuzione ordinaria. 4.2.2. Invitato il lavoratore a redigere nuovi conteggi, con indicazione delle somme percepite, risulta che lo stesso ha ricevuto complessivamente, per retribuzione ordinaria, premi di produzione e diaria, per il mese di; aprile 2016, la somma di Euro 1.433,00; maggio 2016, la somma di Euro 1.689,00; giugno 2016, la somma di Euro 1.481,00; per luglio 2016, la somma di Euro 2.233,00; per agosto 2016, la somma di Euro 2.208,00; per settembre 2016, la somma di Euro 2.288,00; per ottobre 2016, la somma di Euro 2.309,00; per novembre 2016, la somma di Euro 2.400,00; per dicembre 2016, la somma di Euro 2.145,00; per tredicesima mensilità 2016, la somma di Euro 544,80; per gennaio 2017, la somma di Euro 2.315,00; per febbraio 2017, la somma di Euro 2.312,00; per marzo 2017, la somma di Euro 2.352,00; per aprile 2017, la somma di Euro 2.457,20; per maggio 2017, la somma di Euro 2.350,80; per giugno 2017, la somma di Euro 2.978,20; per quattordicesima mensilità, la somma di Euro 695,30; e così per un totale di Euro 34.191,30 (conteggi depositati il 20 dicembre 2022). A fronte di tali somme, riconosciute da (...) come ricevute, lo stesso afferma in conteggi di aver maturato la minore somma di Euro 24.795,05, di cui Euro 15.956,59 per il 2016 ed Euro 8.838,46 per il 2017. 4.3. Ne deriva che nulla spetta al ricorrente per differenze retributive, per retribuzione ordinaria, per il periodo dalla assunzione al 30 giugno 2017. 4.4. In relazione alle differenze su compenso per lavoro straordinario, calcolate in conteggi su una paga oraria di importo orario diverso da Euro 8,63, il lavoratore, invece, nulla ha dedotto, con la conseguenza che la domanda non può essere accolta. 4.5. Quanto alla domanda di pagamento di indennità per festività non godute, per Euro 57,48 per dicembre 2016 ed Euro 57,48 per gennaio 2017 (come da conteggi depositati), la mancanza di deduzione e prova circa il lavoro prestato in giornate festive determina il rigetto della stessa. 5. Il ricorrente ha affermato il proprio diritto all'inquadramento al 1 livello c.c.n.l. applicato per il periodo dal'1 luglio 2017 al 28 febbraio 2019. 5.1. Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, ed è sindacabile in sede di legittimità a condizione, però, che la sentenza, con la quale il giudice di merito abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi, sia stata censurata dal ricorrente in ordine alla ritenuta mancanza di prova dell'attività dedotta a fondamento del richiesto accertamento (Cass. 28 aprile 2015 n. 8589). Inoltre, nel giudizio relativo all'attribuzione di una qualifica superiore, l'osservanza del cd. criterio "trifasico", da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni (Cass. 27 settembre 2016 n. 18943). 5.2. Il c.c.n.l. applicato stabilisce che appartengono al 1 livello "gli impiegati sia tecnici che amministrativi, interni od esterni, che hanno funzioni direttive non rientranti in quelle previste per i quadri, nonché quelli aventi mansioni di concetto svolte in autonomia decisionale di particolare ampiezza e importanza, nei limiti delle sole direttive generali loro impartite", tra cui i "responsabili di filiale, agenzia, docks e silos, capi servizio o capi reparto, capi movimento, ispettori, capi ufficio con mansioni di analoga importanza non rientranti nel livello superiore" e i "capi magazzinieri con responsabilità tecnica ed amministrativa" (doc. 2 di parte ricorrente). 5.3. Il lavoratore ha depositato la sua nomina a capo commessa per la gestione delle risorse umane e tecniche presso l'unità operativa (...)(...) e quale preposto ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. n. 81 del 2008, preposto per la sicurezza, da parte della datrice di lavoro, e la lettera di assunzione a tempo indeterminato del 26 giugno 2017, con decorrenza 1 luglio 2017, con inquadramento al 5 livello c.c.n.l. applicato e mansioni (doc. 3 di parte ricorrente), quale socio lavoratore. In particolare, la lettera di nomina indica che il "Capo commessa ha il primario compito di assicurare il corretto svolgimento del servizio e l'ottimale gestione delle risorse umane e tecniche assegnate per il servizio. Inoltre - è il riferimento per la Cooperativa esecutrice e per il Cliente per tutto ciò che riguarda il servizio; - fornisce alla cooperativa esecutrice la necessaria assistenza per l'organizzazione del servizio, assicurando l'immediata trasmissione delle informazioni tra Cooperativa e Consorzio - ha la responsabilità di coordinare i soci e le risorse assegnate in modo da assicurare il corretto svolgimento del servizio; - ciascun socio deve seguirne le indicazioni, attuarne le disposizioni e riferire a lui in merito a ogni aspetto ordinario e straordinario del servizio, incluse eventuali situazioni di pericolo ed emergenza - ha il dovere e l'autorità di richiamare qualunque socio al rispetto degli obblighi indicati nello Statuto e richiedere alla Cooperativa sanzioni disciplinari a carico dei soci inadempienti" (doc. 3 di parte ricorrente). 5.3.1. Nel corso dell'istruttoria espletata, il teste E.P., collega del ricorrente che ha affermato di conoscerlo dal 2018, ha riferito: "Il ricorrente da quando ha iniziato a lavorare presso la citata sede, 2018, svolgeva mansioni di responsabile di commessa per l'appalto di cui sopra. Lui era il mio capo diretto; preciso che quando lui è arrivato è stato per un periodo affiancato al precedente responsabile di commessa (S.A.) per imparare l'attività da svolgere e dopo tali mesi è divenuto autonomo e faceva tutto da solo. In qualità di capo commessa, il ricorrente, si occupava, per quello che ho visto io, di: gestione turni personale della cooperativa presente nell'appalto e modalità d'organizzazione e gestione dei beni nel magazzino. ADR il personale presente della cooperativa era di circa 160 dipendenti ed è tuttora in corso e dura dal 2000. ADR. L'unico capo del ricorrente era l'amministratore della Cooperativa, tale (...)". Il teste (...), collega del ricorrente, che ha lavorato quale operaio e suo vice, ha riferito: "Il ricorrente era capo commessa dell'appalto intercorrente tra la cooperativa e la (...). In tale qualità il ricorrente si occupava della gestione del personale della cooperativa presente nell'appalto, si occupava di predisporre i turni del personale, nonché dell'organizzazione del lavoro (cioè della modalità di gestione del magazzino oggetto dell'appalto nonché dell'imballaggio delle merci). ... ADR il ricorrente non aveva un superiore gerarchico della cooperativa presso l'appalto di Pomezia". 5.4. Richiamate qui le risultanze testimoniali e documentali, rileva l'Ufficio che (...) ha svolto mansioni di "gestione del personale della cooperativa presente nell'appalto, si occupava di predisporre i turni del personale, nonché dell'organizzazione del lavoro" (teste (...)), e di "gestione del magazzino oggetto dell'appalto nonché dell'imballaggio delle merci" (teste (...)), con "autonomia decisionale di particolare ampiezza e importanza, nei limiti delle sole direttive generali", come unico referente per la cooperativa all'interno dell'appalto, senza essere sottoposto a un superiore gerarchico. Deve quindi essere accolta la domanda di accertamento dello svolgimento di mansioni rientranti nel 1 livello c.c.n.l. applicato, per il periodo dall'1 luglio 2017 alla cessazione del rapporto di lavoro. 6. Il ricorrente ha poi domandato la condanna di parte resistente al pagamento delle differenze retributive conseguenti. 6.1. Tuttavia, considerata la necessaria applicazione del principio di assorbimento, come sopra evidenziato, risulta dai conteggi da ultimo depositati che il ricorrente ha ricevuto, per il periodo dall'1 luglio 2017 alla cessazione del rapporto, a titolo di retribuzione ordinaria, premio produzione, cottimo e diaria (da considerarsi quale superminimo, in mancanza di prova di un diverso titolo di attribuzione), somme superiori a quelle complessivamente spettanti, con la conseguenza che nulla spetta al lavoratore a titolo di differenze. Visti i conteggi da ultimo depositati, emerge infatti che (...) ha ricevuto la somma complessiva di Euro 83.351,03, di cui Euro 23.874,08 per il 2017 (dall'1 luglio), Euro 53.805,87 per il 2018 ed Euro 5.671,08 per il 2019, mentre ha affermato di aver maturato complessivamente, a titolo di retribuzione ordinaria, la minore somma di Euro 48.563,62. 6.1.1. La domanda pertanto non può essere accolta. 6.2. (...) domanda poi il pagamento delle somme complessive di Euro 1.436,84 per differenze su compenso per lavoro straordinario e di Euro 645,85 per differenze su indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti, già riconosciuta, per il periodo dall'1 luglio 2017 alla cessazione del rapporto. 6.2.1. Occorre ricordare che iI cosiddetto superminimo, ossia l'eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, che sia stato individualmente pattuito, è normalmente soggetto al principio generale dell'assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, tranne che sia da questa diversamente disposto, o che le parti abbiano attribuito all'eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo. Il c.d. superminimo non costituisce titolo per operare una compensazione con differenze per lavoro straordinario eventualmente dovute (Cass. 27 marzo 2013, n.7685). 6.2.2. In ossequio ai principi affermati dalla Suprema Corte, quindi, occorre afferma che il riconoscimento del superminimo in favore del lavoratore, come sopra qualificato, non esime la datrice di lavoro dal pagamento di crediti maturati dal lavoratore per differenze su compenso per lavoro straordinario e indennità sostitutiva del preavviso. 6.2.3. Deve quindi essere accolta la domanda in esame. 6.3. Quanto alla domanda di pagamento di indennità per festività non godute, per la somma totale di Euro 604,23, la mancanza di deduzione e prova circa il mancato godimento dei giorni di festività determina il rigetto della stessa. 6.4. Considerato quanto sopra, deve invece essere accolta la domanda di pagamento della somma di Euro 9.962,13 a titolo di trattamento di fine rapporto. Non può infatti essere condivisa la difesa di parte resistente, che ha eccepito la prescrizione al diritto alla quantificazione del trattamento di fine rapporto, in quanto la parte, costituitasi tardivamente in giudizio per la ragioni sopra esposte, deve ritenersi decaduta dalla possibilità di sollevare eccezioni in senso stretto. 7. Il lavoratore ha chiesto poi il pagamento della indennità di reperibilità. 7.1. L'art. 76 c.c.n.l. applicato prevede che "Al lavoratore che, per esigenze tecnico-produttive, è soggetto ad essere reperibile in ore non lavorative, l'azienda corrisponderà un'indennità minima di reperibilità di Euro 25,82 lordi mensili, per dodici mensilità. Tale indennità non ha alcuna incidenza sulla retribuzione da corrispondere per lavoro straordinario, notturno e festivo e relative maggiorazioni. Le professionalità interessate ed i tempi di reperibilità verranno individuati aziendalmente dopo esame congiunto con le R.S.U./R.S.A" (doc. 2 di parte ricorrente). 7.2. Rileva l'Ufficio che nel caso di specie non è emerso che il ricorrente sia stato soggetto a essere reperibile in ore non lavorative, né che la sua professionalità sia stata individuata sulla base di un esame congiunto con le RSU/ESA. 7.3. Ne deriva il rigetto della domanda. 8. Il lavoratore ha chiesto inoltre il pagamento della somma di Euro 5.398,32 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, motivando la propria domanda asserendo la sussistenza di una giusta causa di dimissioni, e consistente nella mancata assegnazione di un nuovo incarico, dopo la revoca dell'1 febbraio 2019. 8.1. Secondo l'art. 2118 c.c., "Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso". 8.1.1. Occorre ricordare che il mancato pagamento della retribuzione, che costituisce il corrispettivo fondamentale della prestazione del lavoro subordinato, integra la giusta causa di dimissioni in tronco del lavoratore per colpa del datore di lavoro, senza che possa rilevare che il mancato pagamento sia dovuto ad una situazione di crisi aziendale, nota al lavoratore medesimo, che abbia continuato a fornire la sua prestazione (Cass. 8 agosto 2017 n. 6830). 8.2. Nel caso di specie, risulta agli atti che la società resistente ha comunicato a (...), con nota dell'1 febbraio 2019: "con la presente ti comunichiamo la revoca dell'incarico di Capo Commessa dell'appalto (...)(...) a far data dal 04 febbraio 2019. Dalla stessa sarai a disposizione della Cooperativa" (doc. 4 di parte ricorrente) e che il lavoratore ha presentato il 18 febbraio 2019 le proprie dimissioni a decorrere dal 19 febbraio 2019, per giusta causa indicata nell'inadempimento del datore di lavoro "(Mancato pagamento differenze retributive)" (doc. 11 di parte ricorrente). 8.3. Rileva l'Ufficio che nel caso di specie, pur accertato il diritto a differenze retributive sul compenso per lavoro straordinario e sull'indennità sostitutiva di preavviso, non può dirsi che, in considerazione del periodo di assenza per malattia del lavoratore dal 4 al 17 febbraio 2019 (dedotto da parte resistente e non contestato alla prima udienza), la revoca dell'incarico di capo commessa (allegato in giudizio) possa costituire di per sé una giusta causa di dimissioni. 8.4. La domanda di pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso deve pertanto essere respinta. 9. Tanto premesso, considerate le domande meritevoli di accoglimento, accertato che (...) ha svolto mansioni riconducibili al 1 livello c.c.n.l. logistica, dall'1 luglio 2017 alla cessazione del rapporto di lavoro, la società resistente deve essere condannata al pagamento in suo favore della somma complessiva di Euro 12.045,82 per differenze retributive, di cui Euro 1.436,84 per compenso per lavoro straordinario, Euro 645,85 per indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti ed Euro 9.963,13 per trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali e rivalutazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali per la regolarizzazione della posizione del ricorrente per le somme dovute, presso l'Inps, oltre interessi e sanzioni, nei limiti della prescrizione quinquennale. 9.1. (...) Società Cooperativa a r.l. deve essere altresì condannata al pagamento delle spese di lite, secondo la liquidazione operata in dispositivo sulla base del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in favore di (...). P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara che (...) ha svolto mansioni riconducibili al 1 livello c.c.n.l. logistica, dall'1 luglio 2017 alla cessazione del rapporto di lavoro e, per l'effetto, condanna (...) Società Cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante, al pagamento in suo favore della somma di Euro 12.045,82 per differenze retributive, di cui Euro 1.436,84 per compenso per lavoro straordinario, Euro 645,85 per indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti ed Euro 9.963,13 per trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali e rivalutazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali in relazione alle somme dovute, presso l'Inps, oltre interessi e sanzioni, nei limiti della prescrizione quinquennale; rigetta nel resto il ricorso; condanna (...) Società Cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante, al pagamento in favore di (...) delle spese di lite, liquidate in Euro 4.500,00, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge. Si comunichi. Così deciso in Velletri l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI sezione lavoro 1 grado Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 7/03/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1451/2022 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri TRA (...) Ricorrente Rappresentato e difeso dall'Avv.to Ma.Ge. E (...) S.r.l., in persona del l.r. pro-tempore Resistente Rappresentata e difesa dall'Avv.to Gi.Ro. OGGETTO: Mansioni e Retribuzione. MOTIVI DELLA DECISIONE (...), con ricorso depositato in data 15.03.2022, ritualmente notificato, conviene in giudizio dinanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale di Velletri la società (...) S.r.l., con sede di F. via T. 20, di cui è stato dipendente dal 4.03.1999 al 31.12.2018 in virtù di un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (40 ore settimanali su 6 giorni a settimana), con la mansione di Impiegato di III Livello del CCNL Settore Turismo. Sostiene di avere svolto per tutta la durata del rapporto mansioni superiori per le quali rivendica il diritto ad essere inquadrato nel II Livello, essendosi occupato, quanto al front office, dei check-in, dei check-out - incluse le operazioni di cassa -e dei rapporti con la clientela e tour operator e, quanto al back office, della vendita online di camere e del recupero dei crediti. Sostiene, ancora, che, di fatto, ha sempre lavorato per 48 ore settimanali fisse con turni di 8 ore (dalle 7,00 alle 15,00; o dalle 15,00 alle 23,00; talvolta anche dalle 23,00 alle 7,00). Lamenta, quindi, di essere stato retribuito in misura inadeguata rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, per cui ha maturato un credito nei confronti dell'ex datore di lavoro pari a complessivi Euro 47.222,31 per differenze retributive, straordinari, permessi, festività ecc., con la precisazione che, per ottenere il pagamento delle competenze di fine rapporto, incluso il TFR, ha promosso autonomo ricorso in monitorio. Chiede, quindi, la condanna della società ex datrice di lavoro al pagamento della somma di cui innanzi, oltre alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, ragione per cui conviene in giudizio anche l'INPS, quale litisconsorte necessario. La (...) S.r.l. (da qui in poi (...)) si costituisce in giudizio e chiede il rigetto del ricorso eccependo, in primo luogo, l'Improponibilità della domanda di riconoscimento di differenze retributive per il periodo fino al 4.08.2018, data di sottoscrizione del verbale di conciliazione in sede sindacale. In subordine, eccepisce la decadenza dall'impugnazione delle rinunce e transazioni contenute nel predetto verbale di conciliazione sindacale. Nel merito, sostiene l'infondatezza delle domande di parte ricorrente ed, infine, contesta i conteggi di controparte in quanto inconferenti rispetto alle domande proposte dal (...). L'INPS si costituisce in giudizio e chiede di decidere come di giustizia sulle domande proposte dal ricorrente nei confronti del datore di lavoro convenuto e, in caso di accoglimento, di dichiarare che quest'ultimo è tenuto a versare all'istituto i contributi dovuti all'ex dipendente entro i limiti della prescrizione quinquennale. La causa veniva istruita a mezzo della prova documentale ritenuta sufficiente ai fini della decisione. All'odierna udienza dopo la discussione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c.. Così riassunti i fatti di causa, giova rammentare che, l'onere probatorio circa la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio incombe, ex art. 2697 c.c., sul ricorrente, per cui, nei casi in cui l'oggetto della controversia riguarda l'accertamento del diritto alla corresponsione di differenze retributive, e/o ulteriori voci di retribuzione, il lavoratore deve fornire la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura e durata, della sua articolazione oraria, delle mansioni svolte, ossia dei "fatti" da cui origina il diritto alla corresponsione di ogni singola voce richiesta. Qualora poi il lavoratore agisca per ottenere il corretto inquadramento professionale, ai sensi dell'art. 2103 c.c., ha, altresì, l'onere di provare l'effettivo svolgimento di mansioni diverse, e superiori, rispetto a quelle contrattualmente concordate. La giurisprudenza della S.C. si è più volte espressa sul punto e, in conformità con il dettato normativo, ritiene che, al fine di individuare la categoria in cui il lavoratore deve essere inquadrato per il riconoscimento dei diritti conseguenti lo svolgimento di mansioni superiori, occorre seguire un iter logico articolato in tre fasi successive: a) accertare le mansioni concretamente svolte dal lavoratore; b) verificare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; c) raffrontare i risultati delle due indagini ed individuare la categoria in cui deve essere inquadrato il lavoratore in base alle mansioni svolte. Ne discende che, nei casi in cui il lavoratore non descriva, e provi, le mansioni effettivamente svolte, al giudice è precluso il giudizio a cui è chiamato, non potendo operare il raffronto tra le mansioni in concreto svolte -che dagli atti e dai documenti di causa non è dato conoscere-, con quelle descritte nel contratto collettivo di categoria in relazione all'inquadramento professionale (Cass. n. 6238/01; 8225/03; 11925/03; 12092/04 - Cass. Civ. n. 7007/1987 n. 7453/2002 n. 12792 del 2003; cfr. anche Cass. Civ. n. 3446 del 2004, Cass. Civ. n. 9822 del 2000, Cass. Civ. n. 3528 del 1999). Inoltre, è opportuno precisare che è nota l'affermazione, reiteratamente e correttamente ripetuta nelle massime giurisprudenziali, secondo cui spetta al lavoratore, che chiede il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario - ma il discorso vale anche per le ferie e i permessi non goduti -, fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti. Tale affermazione costituisce la proiezione del principio guida del citato art. 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro "in eccedenza" rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata. Peraltro, la Suprema Corte ha avuto cura di precisare che è del tutto irrilevante il maggiore agio che potrebbe avere il datore di lavoro a provare il fatto in questione, non potendo questa circostanza, da sola, costituire una valida ragione per sovvertire le regole probatorie generali. In altri, termini, l'obbligazione di pagamento del compenso aggiuntivo e/o dell'indennità sostitutiva sorge per effetto e quale conseguenza di un fatto storico costitutivo, ossia lo svolgimento di attività lavorativa eccedente quella dovuta da parte del lavoratore (cfr., di recente, Cass. n. 26985 del 22 dicembre 2009), sicché soltanto ove sia provata la sussistenza dell'obbligazione di pagamento questi potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento datoriale, a fronte del quale la parte resistente avrebbe a sua volta l'onere di provare l'esatto adempimento. Venendo, quindi, al caso in esame, osserva preliminarmente il giudicante che il lavoratore nell'atto introduttivo del giudizio non fa' alcuna menzione di avere sottoscritto in data 4.08.2018 un Verbale di conciliazione sindacale alla presenza del Conciliatore (...) del Sindacato UGL a cui lo stesso (...) aveva conferito espresso mandato, salvo poi sostenere, alla prima udienza di comparizione del 21.06.2022, che sarebbe stato formato in maniera irrituale. E' bene precisare che l'art. 2113 co. 4 c.c., esclude tutte le rinunce e transazioni stipulate dal lavoratore nelle sottoelencate "sedi protette" dal regime delle impugnazioni previsto dai commi 1 e 2 dell'art. 2113 c.c. che sono, quindi, da ritenere valide ed efficaci sino dal momento della loro sottoscrizione: a) davanti al giudice (art. 420 c.p.c.); b) davanti alle commissioni di conciliazione costituite presso la direzione territoriale del lavoro (art. 410 c.p.c c) con l'assistenza del sindacato ex art. 411, c. 3 c.p.c.; d) nelle forme regolate dalla contrattazione collettiva ex art. 412 ter c.p.c.; e) davanti alle commissioni di conciliazione costituite ex art. 412 quater c.p.c. La ratio della deroga è fondata sulla presunzione che anche in caso di eventuali conseguenze negative per il lavoratore, le stesse non possono essere imputate ad uno stato di soggezione dello stesso, dovendosi escludere che in tali contesti possa sussistere uno stato di coazione psicologica nei confronti del datore di lavoro. La Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 9006/2019 ha affermato che: "le rinunce e transazioni ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura". Nei fatti, quindi, obbligo primario e ineludibile in capo al sindacalista è quello della effettiva assistenza del lavoratore che si concreta nell'illustrare compiutamente allo stesso ogni effetto e conseguenza discendente dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione, di guisa che egli possa avere piena consapevolezza delle conseguenze cui va incontro con le rinunce e transazioni da sottoscrivere. Dunque il lavoratore, in via preliminare alla sottoscrizione del verbale, deve essere posto nelle condizioni di poter comprendere in modo esaustivo ogni effetto discendente dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione, ossia a quali diritti rinuncia e la misura della rinuncia. La Corte ha precisato ulteriormente che, se il rappresentante dei lavoratori dà lettura del verbale di conciliazione ed illustra i diritti e le rinunce del lavoratore, il verbale di conciliazione è da ritenere valido e le rinunce non possono essere più impugnate dal lavoratore. In sintesi, perché sia rispettato l'obbligo di effettiva assistenza, il sindacalista deve essere pienamente informato della vicenda e deve illustrare al dipendente gli effetti e le conseguenze della firma del verbale di conciliazione (costi e benefici). In questo modo il lavoratore ha la piena e completa consapevolezza delle conseguenze della rinuncia e può comprendere le conseguenze della firma del verbale di conciliazione. Ulteriore requisito necessario è quello di rilevare nelle transazioni l'oggetto della "lite" e le reciproche concessioni, in cui si estrinseca il negozio transattivo; il tutto anche alla stregua di quanto disposto dall'art. 1965 c.c. (in materia ad es. Cass. n. 24024/2013. Inoltre, va rilevato come i verbali conciliativi stipulati in dette sedi protette esulino dalla disciplina dei primi tre commi dell'art. 2113, ma non dalla disciplina generale di cui all'art. 1418, comma 2, c.c., con la conseguenza che una rinunzia oppure una transazione avente ad oggetto un diritto futuro è nulla ("La rinuncia del lavoratore subordinato a diritti futuri ed eventuali è radicalmente nulla ai sensi dell'art. 1418 c.c. e non annullabile previa impugnazione da proporsi nel termine di cui all'art. 2113 c.c., riferendosi tale ultima norma ad atti dispositivi di diritti già acquisiti e non ad una rinuncia preventiva, come tale incidente sul momento genetico dei suddetti diritti.", Cass. civ., sez. lav., 14-12-1998, n. 12548). Conclusivamente, la ratio dell'art. 2113 c.c. è quella di apprestare una tutela a favore del lavoratore che potrebbe essere indotto a sottoscrivere negozi abdicativi dei suoi diritti in favore del datore di lavoro (sicchè il previsto termine decadenziale di impugnazione consentendo al lavoratore un congruo lasso di tempo per decidere se il negozio abdicativo sia o meno comunque rispondente ai suoi interessi), purtuttavia, al comma 4, prevede una deroga a questa disciplina se le rinunce e transazioni sono sottoscritte in "sedi protette" posto che in tali sedi il lavoratore è assistito, da soggetti qualificati, nella redazione e firma del negozio abdicativo, che lo rendono edotto della sua situazione giuridica e delle conseguenze della sua scelta. Ciò posto, considerato che nel caso che ci occupa è provato per tabulas che: il Conciliatore (...) del Sindacato UGL (con firma depositata presso l'ITL di Roma) era stato designato dallo stesso (...); la sottoscrizione del verbale è avvenuta presso al sede del Sindacato; l'oggetto della transazione ha riguardato il pagamento di differenze retributive, mensilità accessorie, ferie, permessi e festività; il Conciliatore dichiara di avere avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliatore in sede sindacale in particolare la non impugnabilità; la presunta irritualità della formazione dell'atto è stata eccepita in maniera assolutamente generica dal procuratore del ricorrente, come mera clausola di stile (laddove l'art. 115 c.p.c. pone alle parti l'onere di specifica contestazione delle avverse deduzioni); ne consegue la validità della transazione con cui il lavoratore dichiara espressamente di non avere altro a pretendere per alcun titolo ragione o causa relativa al rapporto di lavoro. La domanda di riconoscimento di differenze retributive per il periodo 4.03.1999/4.08.2018 va, pertanto, dichiara improponibile. Ma anche a voler diversamente ritenere, ed in ogni caso, dovendosi accertare la fondatezza della pretesa creditoria azionata dal (...) relativamente al periodo 5.08.2018/31.12.2018 per l'asserito svolgimento di mansioni superiori e per la dedotta esecuzione della prestazione lavorativa per un numero di ore settimanali superiori alle 40 contrattualizzate (in particolare 8 ore per 6 giorni a settimana), osserva la scrivente che dalla disamina dei conteggi allegati al ricorso (doc 1) risulta quanto segue: Il calcolo è stato elaborato tenuto conto del III Livello di inquadramento contrattuale e non del II Livello rivendicato dal (...), come confermato dal procuratore del ricorrente a verbale dell'udienza del 21.06.2022, per cui non è dato comprendere a che titolo chiede il pagamento delle differenze retributive; La domanda di pagamento si fonda, come detto, anche per l'asserito svolgimento di lavoro straordinario per 8 ore settimanali fisse, purtuttavia nei conteggi la retribuzione diretta tiene conto unicamente della paga base e degli scatti di anzianità senza alcuna menzione del lavoro straordinario; Infine, quanto alla retribuzione indiretta, nei conteggi viene inclusa la sola voce festività non godute, purtuttavia nella premessa in fatto non si rinviene alcun accenno al lavoro festivo. Ma soprattutto va considerato che lo stesso procuratore del ricorrente riferisce che, in data 20.03.2020, questo Tribunale ha emesso il Decreto Ingiuntivo n. 216/2020 con cui veniva ingiunto alla (...) di pagare in favore del lavoratore la somma di Euro 36.054,43 a titolo di competenze di fine rapporto. Ne consegue che il ricorrente ha già ottenuto il pagamento del TFR, delle indennità per ferie e permessi residui e per le festività maturate all'atto della definitiva cessazione del rapporto di lavoro, nell'importo calcolato tenuto conto del III Livello di inquadramento, così come in questa sede (doc 5). Per tutti I motivi esposti il ricorso è infondato e non merita di essere accolto. Le spese processuali regolate secondo il principio della soccombenza, ex art. 91 c.p.c., vengono liquidate come in dispositivo tenendo conto del credito accertato in giudizio. La domanda di condanna del ricorrente per lite temeraria va rigettata per l'insussistenza dei presupposti. P.Q.M. Il giudice definitivamente pronunciando 1. Rigetta il ricorso. 2. Condanna il ricorrente a rimborsare alla società resistente le spese processuali, che liquida in complessivi Euro 4.800,00, oltre IVA e CPA e spese generali come per legge. 3. Rigetta la domanda di condanna del ricorrente ex art. 96 co. 3 c.p.c.. Così deciso in Velletri il 7 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI SEZIONE LAVORO 1 GRADO Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 7/03/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 3726/2021 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri TRA (...) Ricorrente Rappresentata e difesa dall'Avv.to Mo.Pe. E (...) della omonima impresa individuale Resistente - Contumace OGGETTO: Retribuzione. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 11.10.2021, ritualmente notificato, la ricorrente epigarafta conviene in giudizio (...), titolare della omonima ditta individuale che gestisce il salone di parrucchiere ed (...) sito in L. 4 aprile 1952, n. 218 n. 51, di cui è stata dipendente dal 2.09.2020 al 6.02.2021 con le mansioni di estetista e inquadramento al III Livello CCNL per i dipendenti delle imprese artigiane di acconciatura ed E., in virtù di un contratto di lavoro a tempo indeterminato part-time orizzontale (20 ore settimanali). Riferisce, in primo luogo, che il datore di lavoro non le ha corrisposto il cd (...), ossia una quota di retribuzione pari a Euro 25 lordi mensili per 13 mensilità, che spetta ai lavoratori del settore artigianato a decorrere dal 2010 a seguito dell'accordo I.-confederale siglato dalle categorie del settore e recepito all'Art. 9 del CCNL applicato dalla ditta convenuta al rapporto di lavoro. Riferisce, altresì, di avere svolto lavoro supplementare rispetto al part-time contrattualizzato, in particolare di avere reso la prestazione lavorativa dal martedi al sabato dalle ore 9,00 alle ore 18,00 con mezzora di pausa pranzo. Riferisce, ancora, di essersi occupata come estetista di: pedicure e manicure, epilazione, ceretta, Laser a diodo, trattamenti corpo come presso-terapia, onda dinamica trattamenti viso, pulizia e massaggi, attività non riconducibili al livello di inquadramento assegnatole dal datore di lavoro bensì al superiore II Livello. Riferisce, infine, di avere percepito solo acconti sulla retribuzione dovutale, di non avere percepito la 13ma 2020 e i ratei 2021, né infine le competenze di fine rapporto -ferie non godute, permessi retribuiti non fruiti, TFR-. Sostiene, quindi, di essere stata retribuita in misura inferiore a quanto spettante a norma degli artt. 36 Cost. e 2099 c.c. -in base all'inquadramento dovuto e all'orario di lavoro effettivamente osservato-, per cui rivendica un credito retributivo pari a complessivi Euro 7.221,21 per i titoli di cui ai conteggi allegati al ricorso. Sulla base di tale premessa chiede al Tribunale adito di condannare (...) al pagamento in suo favore della somma di cui innanzi oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge. (...), titolare dell'omonima individuale, benché ritualmente citato non si costituiva in giudizio per cui ne veniva dichiarata la contumacia. La causa veniva istruita con la prova documentale e testimoniale nonché a con l'interrogatorio formale del convenuto contumace. All'odierna udienza, dopo la discussione, sulle conclusioni rassegnate dal procuratore della ricorrente negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c.. Così riassunti i fatti di causa, appare utile precisare che, com'è noto, l'onere della prova incombe, ex art. 2697 c.c., sul ricorrente, per cui, nei casi in cui l'oggetto della controversia riguarda l'accertamento del diritto alla corresponsione di differenze retributive, il lavoratore deve fornire la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura, durata, articolazione oraria e delle mansioni svolte in concreto, ossia dei "fatti" da cui origina il diritto alla corresponsione di ogni singola voce richiesta. Inoltre, qualora sostenga di avere svolto lavoro in eccedenza (lavoro straordinario mancata fruizione delle ferie e dei permessi retribuiti nella misura spettante, lavoro festivo ecc.) spetta al lavoratore di fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti. Tale affermazione costituisce la proiezione del principio guida del citato art. 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro "in eccedenza" rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata. Peraltro, la Suprema Corte ha avuto cura di precisare che è del tutto irrilevante il maggiore agio che potrebbe avere il datore di lavoro a provare il fatto in questione, non potendo questa circostanza, da sola, costituire una valida ragione per sovvertire le regole probatorie generali. In altri, termini, l'obbligazione di pagamento del compenso aggiuntivo e/o dell'indennità sostitutiva sorge per effetto e quale conseguenza di un fatto storico costitutivo, ossia lo svolgimento di attività lavorativa eccedente quella dovuta da parte del lavoratore (cfr., di recente, Cass. n. 26985 del 22 dicembre 2009), sicché soltanto ove sia provata la sussistenza dell'obbligazione di pagamento questi potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento datoriale, a fronte del quale la parte resistente avrebbe a sua volta l'onere di provare l'esatto adempimento. Qualora poi il lavoratore agisca per ottenere il corretto inquadramento professionale, ai sensi dell'art. 2103 c.c., ha, altresì, l'onere di provare l'effettivo svolgimento di mansioni diverse, e superiori, rispetto a quelle contrattualmente concordate. La giurisprudenza della S.C. si è più volte espressa sul punto e, in conformità con il dettato normativo, ritiene che, al fine di individuare la categoria in cui il lavoratore deve essere inquadrato per il riconoscimento dei diritti conseguenti lo svolgimento di mansioni superiori, occorre seguire un iter logico articolato in tre fasi successive: a) accertare le mansioni concretamente svolte dal lavoratore; b) verificare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; c) raffrontare i risultati delle due indagini ed individuare la categoria in cui deve essere inquadrato il lavoratore in base alle mansioni svolte. Ne discende che, nei casi in cui il lavoratore non descriva, e provi, le mansioni effettivamente svolte, al giudice è precluso il giudizio a cui è chiamato, non potendo operare il raffronto tra le mansioni in concreto svolte -che dagli atti e dai documenti di causa non è dato conoscere-, con quelle descritte nel contratto collettivo di categoria in relazione all'inquadramento professionale. Inoltre, "ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in due distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in manieraelementare o in maniera più complessa, l'onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, anche sull'espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento" (Cass. n. 6238/01; 8225/03; 11925/03; 12092/04 - Cass. Civ. n. 7007/1987 n. 7453/2002 n. 12792 del 2003; cfr. anche Cass. Civ. n. 3446 del 2004, Cass. Civ. n. 9822 del 2000, Cass. Civ. n. 3528 del 1999). Nel caso che ci occupa, considerato che il rapporto di lavoro tra le parti si è svolto per tutta la sua durata in virtù della sottoscrizione di un regolare contratto di lavoro subordinato (come risulta dalla comunicazione U. e dalla busta paga del mese di ottobre 2020), lo scrutinio demandato a questo giudicante ha come oggetto le mansioni di fatto svolte da (...) in modo prevalente e continuativo e l'orario di lavoro dalla medesima osservato in concreto. I testimoni esaminati nel corso dell'istruttoria hanno dichiarato quanto segue: (...), non parente indifferente: "A cavallo tra il 2020-2021 ho acquistato un pacchetto laser presso il (...) gestito dal resistente per cui ho frequentato il centro per una decina di volte a distanza di 20 giorni l'una dall'altra. Tutte le volte il trattamento estetico mi è stato praticato dalla ricorrente. Che io sappia si occupava di tutti o trattamenti di cui al capitolo 2 del ricorso in quanto ne parlavamo durante le sedute. Come ho detto l'ho sempre trovata al lavoro sia di mattina che di pomeriggio ma non conosco quali fossero i suoi orari di lavoro". (...), sorella della ricorrente: "Ho frequentato il (...) gestito dal resistente come cliente quando mia sorella ci lavorava in particolare a novembre del 2020 e altre volte successivamente. In quel periodo vivevo con mia sorella per cui la vedevo uscire di casa la mattina per recarsi al lavoro e rientrare la sera. E' vero per quanto a mia conoscenza che ha lavorato presso il (...) dal 22.09.2020 al 6.02.2021 come estetista. E' vero per quanto mi consta che si occupava di tutti o trattamenti di cui al capitolo 2 del ricorso. Ricordo che mi ha fatto una ceretta e una sola volta il laser per l'epilazione. E' vero che lavorava dal martedi al sabato dalle 9,00 alle 18,00". (...) cognato della ricorrente: "E' vero che mia cognata da settembre 2020 a febbraio 2021 ha lavorato presso un centro estetico (...) di (...) laziale via D. G.3 51 e ciò è a mia conoscenza in quanto per tre volte a distanza di un mese mi sono recato presso il predetto centro per sottopormi ad una depilazione laser. Mia cognata è in possesso del diploma di estetista e per quanto mi risulta svolge tutte le attività proprie di tale figura professionale anche i trattamenti con i macchinari come quello a cui mi sono sottoposto. E' vero che lavorava dal martedì al sabato dalle 9,00 alle 18,00 con pausa pranzo". A parere di questo giudicante, le emergenze istruttorie di cui innanzi, valutate alla luce dei richiamati principi di diritto che costituiscono la cornice ermeneutica entro cui inquadrarle, può ritenersi che la ricorrente abbia fatto fronte, in modo serio e rigoroso, all'onere probatorio di cui era gravata sia con riferimento all'orario di lavoro effettivamente osservato, sia alle mansioni svolte in concreto in modo pieno, prevalente e continuativo. Ed infatti, precisato che la prova orale rientra nel novero delle prove liberamente valutabili dal giudice, a giudizio della scrivente, va attribuita la massima attendibilità soggettiva e oggettiva ai testimoni esaminati nel corso dell'istruttoria i quali, in possesso di una conoscenza diretta dei fatti di causa, hanno reso dichiarazioni precise, circostanziate e che hanno trovato pieno riscontro reciproco. Ne deriva il diritto della ricorrente al riconoscimento delle mansioni superiori poiché, dalla disamina delle declaratorie professionali previste dal CCNL del settore, risulta che appartengono al III Livello: "i lavoratori che, anche utilizzando elementari attrezzature elettromeccaniche, siano in grado di eseguire le seguenti mansioni, manicure, pedicure estetico, depilazione, trattamenti al viso, massaggio al corpo, trucco di base con l'applicazione di prodotti specifici a gradi di difficoltà semplici". Diversamente appartengono al II Livello: "i lavoratori che sotto la guida del titolare o di altro lavoratore inquadrato al primo livello siano in grado di eseguire tutti i trattamenti dell'estetica compreso il trucco giorno-sera, in grado di avvalersi delle apparecchiature elettromagnetiche idonee ad ogni trattamento, cassiere addetto alla vendita dei prodotti cosmetici". Ed infatti, i testimoni esaminati in corso di causa hanno confermato che la ricorrente (in possesso di diploma di estetista) non si limitava ad eseguire manicure e pedicure estetico, né utilizzava semplici macchinari, ma utilizzava macchinari complessi come il Laser, la macchina per la presso terapia e quella per l'onda d'urto, ossia si occupava di trattamenti estetici complessi diretti anche a migliorare la condizione fisica e non solo finalizzato ad ottenere un risultato puramente estetico. In conclusione va dichiarata l'esistenza tra le parti di un ordinario rapporto di lavoro subordinato, a tempo pieno e indeterminato, a decorrere dal 2.09.2020 al 6.02.2021 (data in cui la ricorrente ha rassegnato le dimissioni volontarie), con diritto di (...) ad essere inquadrata nel II livello del CCNL applicato dalla ditta convenuta al rapporto medesimo. Diversamente, la ricorrente non ha provato il rivendicato diritto al pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute e dei permessi non fruiti, in quanto nulla hanno riferito in tal senso i testi esaminati nel corso dell'istruttoria, né il mancato godimento delle ferie e dei permessi è desumibile dalla prova documentale, non avendo la ricorrente prodotto in atti la busta paga delle competenze di fine rapporto. Ciò detto, sempre in tema di distribuzione degli oneri probatori, va evidenziato che le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che l'attore agisca per l'esatto adempimento, sia per la risoluzione del rapporto, sia per il risarcimento del danno, può limitarsi a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento (totale o parziale). Il convenuto sarà, invece, onerato di provare l'esatto adempimento ovvero l'impossibilità sopravvenuta, a lui non imputabile, della prestazione (cfr. S.U. 13533/2001). Nel caso in esame (...) è rimasto contumace, e benché la contumacia non equivale alla non contestazione delle altrui pretese, posto che l'art. 115 c.p.c. nel sancire detto principio fa' espresso riferimento alle parti costituite, ha comunque rinunciato a fornire la prova di avere esattamente adempiuto alle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro corrispondendo alla dipendente quanto a lei dovuto, oltre a quanto dalla stessa spontaneamente riconosciuto, nonché eventualmente a contestare la documentazione prodotta dalla medesima ricorrente. Inoltre, va considerato che il resistente non ha risposto all'interpello. Al riguardo osserva questo Giudice che la giurisprudenza di legittimità ha fissato i principi secondo cui "La valutazione, ai sensi dell'art. 232 cod. proc. civ., della mancata risposta all'interrogatorio formale rientra nell'ampia facoltà del giudice di merito di desumere argomenti di prova dal comportamento delle parti nel processo, a norma dell'art. 116 cod. proc. civ. In particolare, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio stesso quando la parte non si presenti a rispondere senza giustificato motivo, valutando ogni altro elemento probatorio, che non deve risultare "ex se" idoneo a fornire la prova del fatto contestato (poiché, in tal caso, sarebbe superflua ogni considerazione circa la mancata risposta all'interrogatorio), ma deve soltanto fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento del giudice sui fatti dedotti nell'interrogatorio medesimo; l'esercizio di tale potere non può essere censurato in sede di legittimità né per violazione di legge, né per vizio di motivazione" (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 10099 del 26/04/2013) e ancora "Ai fini della formazione del convincimento del giudice ? la mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio formale costituisce fatto processuale, tale da indurre a ritenere ammessi i fatti che formano oggetto di interrogatorio, purché concorrano anche altri elementi, mentre non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che pur in caso di mancata risposta a interrogatorio formale, non ritenga ammessi i suddetti fatti. (In applicazione di tali principi di diritto, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito che non aveva ritenuto provato che la dinamica di un incidente fosse quella sostenuta dall'attore sulla base delle dichiarazioni rese dal convenuto alla polizia stradale e della mancata comparizione di questi a rendere interrogatorio formale, fondando il proprio convincimento su altre risultanze processuali (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17249 del 14/11/2003) e ancora "In tema di prove, con riferimento all'interrogatorio formale, la disposizione dell'articolo 232 cod. proc. civ. non ricollega automaticamente alla mancata risposta all'interrogatorio, per quanto ingiustificata, l'effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva rigettato una domanda di restituzione di somme di danaro perché la mancata comparizione del convenuto all'interrogatorio deferitogli dall'attrice non costituiva prova sufficiente dell'asserito rapporto di mutuo, considerato che l'esistenza di una relazione sentimentale tra le parti rendeva incerta l'individuazione della causa sottostante l'emissione degli assegni in favore del convenuto medesimo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3258 del 14/02/2007). Infine, con specifico riguardo al procedimento contumaciale, la S.C. ha statuito che "qualora venga notificata personalmente al contumace l'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio formale, ai sensi dell'art. 292, primo comma, cod. proc. civ., e siano così rispettate le norme a tutela del contraddittorio, se egli non si presenti all'udienza fissata per l'interrogatorio senza giustificato motivo il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 28293). Conclusivamente, (...) deve essere condannato a corrispondere in favore di (...) la somma complessiva di Euro 6.114,38 (differenze retributive mensili pari ad Euro 4.902,32; differenze 13ma pari ad Euro 758,49; TFR pari ad Euro 453,57), come risulta dai conteggi allegati al ricorso, che appaiono immuni da vizi sia con riferimento ai criteri sulla cui base sono stati sviluppati, sia con riferimento alle singole operazioni di calcolo. Alla stregua dell'indirizzo ormai pacifico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, la liquidazione delle differenze retributive va operata detratto dal lordo dovuto il netto percepito. Ed infatti i Supremi Giudici affermano che "l'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall'art. 19, L. 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell'art. 23, comma primo, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire" (cfr., per tutte, Cass. 11 luglio 2000, n. 9198, Cass. 15 luglio 2002, n. 10258 e Cass., n. 18584 del 7 luglio 2008, Cass. n. 19790 del 28 settembre 2011 e Cass., sez. lav., n. 3525 del 13 febbraio 2013, nelle quali ultime viene precisato che dall'importo lordo dovuto va detratto quello netto percepito nonché, più di recente, Cass., sez. lav., n. 12566 del 29 maggio 2014). Sui crediti della lavoratrice spettano, inoltre, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalle singole maturazioni al saldo (Corte Cost., 2 novembre 2000, n. 459 e Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2001, 38). Per tutti i motivi esposti il ricorso è in parte fondato e merita di essere accolto nei limiti innanzi precisati. Le spese di lite, regolate secondo il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., vengono liquidate come in dispositivo tenuto conto dell'importo del credito accertato in giudizio. P.Q.M. Il giudice definitivamente pronunciando, 1. Accerta e dichiara che tra (...) e (...), titolare dell'omonima impresa individuale che gestisce l'esercizio G&C sito in L. 4 aprile 1952, n. 218 n. 51, dal 2.09.2020 al 6.02.2021 ha avuto corso un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, con diritto della lavoratrice ad essere inquadrata nel II livello del CCNL (...)/(...). 2. Per l'effetto, condanna (...), nella qualità innanzi indicata, al pagamento in favore di (...) della somma complessiva di Euro 6.114,38 per i titoli di cui in motivazione, oltre rivalutazione e interessi legali dal dì del dovuto al saldo. 3. Rigetta le altre domande di pagamento. 4. Condanna (...), nella qualità di cui innanzi, a rimborsare alla ricorrente le spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.800,00 oltre IVA CPA e spese generali come per legge. Così deciso in Velletri il 7 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI Seconda CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesca Collu ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429 c.p.c. nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6997/2021 promossa da: (...), nata in Polonia, il (...), residente in Ardea, (...) elettivamente domiciliata in Roma, Via (...) presso lo studio dall'avvocato (...), che la rappresenta e difende giusta procura ad litem in calce all'atto introduttivo del giudizio; - Opponente - NEI CONFRONTI DI (...) (C.F. (...)) conferendo mandato in calce al presente atto all'Avv. (...) con Studio in Ardea Via (...) presso cui l'opponente elegge domicilio; - Opposta - Conclusioni per le parti: come in atti. OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di opposizione a decreto ingiuntivo ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio (...) al fine di sentire accertato il diritto di essa conduttrice alla riduzione del canone di locazione in ragione dei vizi dell'immobile dalla stessa occupato. A sostegno della domanda del mancato pagamento la conduttrice dell'immobile richiamava la perizia depositata nel fascicolo ATP rg 2825/2020 del Tribunale di Velletri chiedendo nelle proprie conclusioni, in via riconvenzionale, la restituzione del deposito cauzionale, il risarcimento dei danni patiti per aver dovuto vivere nella casa affittata pari ad Euro 25.000,00, la riduzione del canone di locazione nella misura dell'80% quale percentuale di responsabilità evidenziata dal CTU da porre a carico della proprietaria. Si costituiva in giudizio l'opposta contestando l'avversa domanda in quanto infondata sia in fatto che in diritto. La causa veniva istruita con prove documentali ed in data 10/02/2023 veniva data lettura del dispositivo seguita dal deposito della sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposizione è parzialmente fondata. Dall'esame della documentazione versata in atti, in particolare con riferimento alla relazione peritale depositata nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo (R.G. n. 2825/2020, G. I. Buzi) è emerso che i vizi dell'immobile sono attribuibili, per la maggior percentuale alla natura del costruito; più precisamente il consulente afferma che "A conclusione delle giuste responsabilità, in relazione dello stato dei luoghi il sottoscritto ritiene di conferire la maggior percentuale alla natura del costruito (80%) e la parte restante (20%) in capo al conduttore di cui non è possibile conoscere a pieno le abitudini in genere" (cfr CTU in atti). Preliminarmente deve rigettarsi l'eccezione di improcedibilità avanzata da parte opponente atteso che la mediazione obbligatoria è stata ritualmente incardinata, su richiesta di parte opponente. L'ipotesi di improcedibilità contemplata dalla norma è riferita alla mancata attivazione della procedura di mediazione tout cour. Passando al merito della domanda monitoria, non risulta contestato il possesso del bene, avendo l'opponente l'onere di dimostrare l'esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito di parte ingiungente. In sostanza la conduttrice ha sollevato una exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c.. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'art. 1460 c.c. prevede una forma di autotutela che attiene alla fase esecutiva e non genetica del rapporto e consente al conduttore, in presenza di un inadempimento del locatore, di sospendere liberamente la sua prestazione, nel rispetto del canone della buona fede oggettiva, senza la necessità di adire il giudice ai sensi dell'art. 1578 c.c., con la precisazione che in tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purché la sospensione, totale o parziale, del pagamento del canone risulti giustificata dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede (cfr. cass. 16917/19). È stato pure da ultimo ribadito che, in tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento, ai sensi dell'art. 1460 c.c., non solo quando venga completamente a mancare la prestazione del locatore ma anche nell'ipotesi del suo inesatto inadempimento, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile, purché la sospensione del canone appaia giustificata, in ossequio all'obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all'incidenza della condotta della parte inadempiente sull'equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all'interesse della controparte (cfr. cass. 16918/19). Con tale ultima pronuncia è stato affermato - in motivazione - che "L'importanza della prestazione, per così dire, permanente del locatore, ovvero la detenzione dell'immobile da parte del conduttore che è derivata dalla consegna, non è sufficiente (anche se è la sottesa "ratio interpretandi" di un siffatto orientamento atrofizzante l'art. 1460) per compiere e cristallizzare la realizzazione esecutiva del sinallagma, ovvero per escludere definitivamente la sussistenza di buona fede oggettiva nella reazione sospensiva del conduttore alle inadempienze del locatore rispetto alle ulteriori sue obbligazioni". Tale orientamento è stato ripreso poi dalla Suprema Corte che con sentenza 12103/2020 ha precisato: "E se, allora, la permanenza della detenzione della cosa locata è compatibile con la sospensione totale del canone nel caso in cui l'inutilizzabilità di detta detenzione renda totale anche l'inadempimento del locatore, qualora invece sussista ancora un grado di utilizzabilità dell'immobile locato, ovvero una "quota" di adempimento del locatore, il conduttore potrà sospendere in proporzione il versamento del canone, applicandosi quindi integralmente l'art. 1460 e seguendo, per effettuarne nel concreto la corretta applicazione, il parametro posto nel comma 2 dell'articolo, ove lo si evince a contrario: se non corrisponde alla buona fede oggettiva sospendere l'adempimento nel caso in cui l'inadempimento o l'adempimento inesatto di controparte "avuto riguardo alle circostanze" non giustifichi la sospensione, viceversa la sospensione è corrispondente alla buona fede oggettiva quando "avuto riguardo alle circostanze" l'inadempimento o l'adempimento inesatto del locatore è tale da giustificare il rifiuto di adempimento del conduttore. E in questo raffronto sintonizzante non può non venire inclusa pure la sospensione parziale - quindi la determinazione proporzionale del quantum del canone sospeso -, proprio perché (cfr. art. 1218 c.c.) si tratta di una reazione che deve essere il consequenziale riverbero non solo di un inadempimento, ma - come il più delle volte è configurabile nel contratto locatizio quando l'eccipiente è il conduttore che permanga nella detenzione dell'immobile - anche di un adempimento inesatto (exceptio non rite adimpleti contractus)". Nel caso di specie risulta provato l'inesatto adempimento di parte locatrice, come confermato anche dal consulente tecnico d'ufficio attesa la presenza di problematiche imputabili al costruito, ovvero alla tipologia edilizia del fabbricato. È altresì da considerarsi che la conduttrice ha integralmente sospeso la corresponsione dei canoni locatizi, interrompendo totalmente la corresponsione di canoni di locazione, con interruzione del rapporto sinallagmatico. Deve, conseguentemente, accogliersi parzialmente la domanda dell'opponente tesa ad ottenere una riduzione del canone di locazione atteso che l'immobile risulta allo stato ancora abitato dalla stessa, senza corresponsione alcuna del canone di locazione (nemmeno in misura ridotta). La riconducibilità dei vizi dell'immobile al fabbricato al locatore ed al conduttore come quantificata da parte del CTU è indice che deve essere applicato non in ragione alla somma da corrispondersi, rectius da decurtarsi rispetto al maggior dovuto, ma alla natura dei danni ed alla "responsabilità" degli stessi. Ciò necessariamente precisato, non può non considerarsi che parte conduttrice ha occupato e continua ad occupare l'immobile per cui è causa senza alcuna corresponsione del canone locatizio dal gennaio 2021. Il canone di locazione, considerata la riduzione del godimento, deve essere ridotto nella misura del 30% del dovuto, anche considerata la somma, come determinata dal CTU nell'ambito del procedimento di ATP, necessaria per il ripristino interno dei locali pari ad Euro 3.683,68 al netto di ogni onere di legge. La riduzione de qua, considerata la mancata documentata contestazione dei vizi prima dell'attivazione del giudizio di accertamento tecnico preventivo, deve essere applicata con decorrenza dalla data di iscrizione a ruolo della causa di accertamento tecnico preventivo (RG 2825/2020). Deve, inoltre rigettarsi la domanda volta ad ottenere la restituzione delle somme corrisposte a titolo di deposito cauzionale per i motivi sopra evidenziati; somme che il locatore provvederà a restituire al conduttore al momento del rilascio dell'immobile. Deve, di contro, essere rigettata la domanda volta ad ottenere la restituzione del deposito cauzionale atteso che la funzione del deposito è quella di tenere indenne il proprietario rispetto ad eventuali danni provocati al proprio immobile da parte del conduttore; nel caso di specie la richiesta restituzione della suddetta somma non è sorretta da idonea causa (quale sarebbe il rilascio dell'immobile già eseguito/effettuato). Deve essere rigettata la richiesta di risarcimento dei danni alla salute non sussistendo in atti alcuna documentazione idonea a stabilire la sussistenza degli stessi, né la riconducibilità, eventuale, dai danni de quibus allo stato dell'immobile. Assorbite e disattese le ulteriori e diverse istanze. La particolarità delle questioni trattate in uno con la reciproca parziale soccombenza, giustifica, anche ex sent. 77/18 C. Cost. l'integrale compensazione delle spese di lite. PQM Definitivamente pronunciando: - accoglie parzialmente l'opposizione; - accerta il diritto di (...) ad ottenere una riduzione del canone di locazione decorrente dalla data di introduzione del procedimento di accertamento tecnico preventivo nella misura del 30%; - revoca il decreto ingiuntivo n. 1859/2021 emesso dal Tribunale di Velletri; - compensate integralmente le spese di lite come da motivazione. Sentenza resa ex art. 429 c.p.c. mediante lettura virtuale del dispositivo e deposito della sentenza. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., alle ore 19.00, pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale. Velletri, 10 febbraio 2023 Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maurizio Colangelo ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. r.g. 6745/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BI.AN. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIALE (...) ROMA presso il difensore avv. BISOGNO ANNAMARIA ATTORE/I contro (...) SRL (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. (...) COMUNE DI NETTUNO (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. LI.AN. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) 00189 ROMA presso il difensore avv. LI.AN. CONVENUTO/I Con atto di citazione ritualmente notificato l'attore conveniva dinnanzi l'intestato Tribunale di Velletri il convenuto per ivi sentirlo condannare al risarcimento dei danni fisici tutti subiti dall'attore in conseguenza del sinistro Si costituiva in giudizio il convenuto COMUNE e contestava quanto ex adverso dedotto Nessuno risultava costituirsi per la (...) SRL che risultava contumace MOTIVI NELLA disamina dei documenti depositati dalla parte attrice e dalle prove sia di elaborato peritale esse contribuiscono ad appurare la verità, e si rileva che vi sono evidenti elementi per ritenere che tra l'evento traumatico occorso alla parte attrice e una responsabilità del convenuto, sussista integralmente il rapporto causale ossia il nesso eziologico. Infatti se si esamina l'atto introduttivo del giudizio si configura che il danno/evento si sarebbe verificato (come da narrativa del medesimo). L'evento traumatico è conseguenza di quanto subito ed evidenziato e le lesioni sono confermate nel giorno precisato dall'attore e dai testimoni escussi ed in quell'occasione è andato a cagionarsi le ferite l.c come descritte nella perizia disposta dal GU e tutte le complicanze successive ai postumi derivanti dalle lesioni provocate dall'incidente Il G.U attuale assegnatario in via definitiva del procedimento per la decisione tratteneva la causa in decisione. La domanda attrice può trovare accoglimento, per i seguenti e nei limiti della presente statuizione MOTIVI Nel merito Le domande attoree come risulta dalla attività istruttoria e difensiva soddisfano il raggiungimento dell'obiettivo conclamato nel "petitum" e nella "causa petendi" dell'azione come incardinata, riguardo al " quantum" , anche e soprattutto sotto il profilo probatorio che investe il mero ruolo della parte danneggiata in relazione alle norme da essa invocate. Infatti ciò che rendono fondate le argomentazioni attoree è offerto anche dalla disamina della documentazione prodotta da parte attrice in sede di accertamenti tecnici medici effettuati oltre che la conferma dell'evento occorso in sede di CTU. E' stato dimostrato che il sinistro sia stato causato dalla dinamica come formulata da parte attrice per una insidia non visibile né segnalata Le testimonianze rese sono risultate idonee a contribuire all'accertamento della verità in merito all'occorso evento. In ogni caso vi è un onere di responsabilità del custode di segnalare eventuali pericoli in cui si possano trovare esposti gli utenti soprattutto se trattasi di pavimentazione stradale gestiti dalla PA - la responsabilità per le cose in custodia presuppone, infatti, la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa, una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, tale da consentirne il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con essa; - si deve, pertanto, considerare custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione e di manutenzione. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. In sostanza, in tema di responsabilità da cose in custodia, la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2051 cod. civ. presuppone la dimostrazione, ad opera dal danneggiato, dell'esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso; -nesso di causalità provato tramite le prove testimoniali -per il verificarsi della responsabilità prevista dall'art. 2051 cod. civ. è necessaria e sufficiente una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, che risulta così riconducibile ad un'anomalia (originaria o sopravvenuta) nella struttura o nel funzionamento della cosa stessa, nonché l'esistenza dell'effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l'obbligo di vigilarla e di mantenere il controllo onde evitare che produca danni a terzi, in tal caso nessuna manutenzione o diligenza nella manutenzione dei pavimenti stradali è stata dimostrata; - l'art. 2051 cod. civ. pone a carico del custode, quindi, una "praesumptio iuris tantum" di colpa per i danni cagionati dalla cosa, quantunque priva di un dinamismo proprio (Cassazione Civile 28.10.1995 n. 11246); -a carico del custode convenuto incombe, pertanto, l'onere di offrire la prova contraria alla presunzione "iuris tantum" della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nell'eventualità della persistenza dell'incertezza sull'individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento (Cass. civ., Sez. III, 02/02/2006, n. 2284); -alla luce dei fatti narrati e delle considerazioni suesposte si evince chiaramente, quindi, che l'evento dannoso è riconducibile ad una cattiva manutenzione della pavimentazione stradale dall'odierno convenuto, in solido con l'originario causatore dell'evento ossia la impresa che ha messo la segatura solo sotto il proprio mezzo ma non anche lungo la strada e rispetto alla quale vigeva l'obbligo di vigilanza e di manutenzione ed aggiungerei di diligenza del Comune il quale è da ritenersi, infatti, custode, ex. art. 2051 c.c. e quest'ultimo aveva l'obbligo di intervenire a qualsiasi orario e transennare le parti di pavimentazione pericolose per i pedoni, automobilisti e motociclisti,; -l'anomalia nei pavimenti stradali era peraltro non visibile all'utente in quanto non segnalata; - infatti la parte attrice addirittura è caduta sulle strisce pedonali ed aiutata a rialzarsi dall'agente di polizia che visto il verificarsi della caduta e il spargersi dell'olio sul manto stradale e la circostanza più grave che nonostante i solleciti a intervenire per transennare nessuno della amministrazione è intervenuto -Il Comune è da ritenersi responsabile del sinistro evento traumatico anche ex art. 2043 c.p.c.; - La presenza, infatti, di insidie sulla pavimentazione stradale costituisce di per sé insidia fonte di responsabilità ex art. 2043 c.c., in quanto caratterizzata dalla concorrenza dell'elemento obiettivo della non visibilità, e di quello soggettivo della non prevedibilità dell'evento, apparendo contrario all' "id quod plerumque accidit" che la pavimentazione stradale , come quello del luogo del sinistro, possa essere lasciata in stato di degrado e abbandono ma deve essere sempre soggetta a pulizia e controllo e , quantomeno, a un controllo con mezzi che prevengono o segnalino le insidie a danno dei pedoni; Sotto altro profilo deve escludersi la ipotesi di concorso di colpa del danneggiato in quanto il convenuto non solo non ha fornito alcun elemento a supporto di tale tesi ma giova richiamare brevemente una recentissima pronuncia della Suprema Corte, la quale, pronunciando su di un caso di caduta a seguito di una sconnessione del marciapiede, prevede che "il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestatamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e pre-venibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano."( cfr Cassazione, Sezione Terza civile, n. 4035/2021 del 16.2.2021) Nel caso di specie vi era una grande macchia oleosa che copriva l'intero manto stradale Pertanto appurato l'an E LA LEGITTIMAZIONE SIA ATTIVA CHE PASSIVA si deve ora individuare il quantum. Se in astratto il CT ha riconosciuto una compatibilità dell'evento con la dinamica prospettata da parte attrice rispetto alla "res" causativa del danno, questo Giudicante , nel suo doveroso "officio", deve osservare tutti gli elementi necessari per il raggiungimento della verità. Sotto il profilo del danno fisico subito dalla parte attrice, anche con riferimento al calcolo del danno biologico esso deve essere valutato secondo i parametri indicati dal CTU ed in particolare per la somma dovuta totale per IP 8.748,00 Euro, oltre ITP 11.025,00 Euro oltre interessi dal dì del sinistro SINO AL SODDISFO, OLTRE ALLA RIPETIZIONE DELLE spese CTU da rimborsare, OLTRE ALLE SPESE MEDICHE DI EURO 440,09 RITENUTE CONGRUE DAL CTU SI DEVE, INOTRE, CONSIDERARE LA LITE TEMERARIA del convenuto, costituito che è valutabile ai sensi dell'art. 96 c.p.c. co. 3 e non primo, applicabile di ufficio. Sotto il profilo, invece, dell'art. 96 c.p.c. questo Giudicante osserva di ufficio ai sensi del comma terzo e non primo quanto segue La difesa della attrice, infatti, conferma ed ha confermato, anche all'esito delle risultanze istruttorie, la consapevolezza della temerarietà della stessa parte resistente e che si è contrapposta ad una rivendicazione o confutazione di parte attorea di un " petitum" e prospettazione di una " causa petendi" completamente invece confermate dalle risultanze argomentative e documentali Si ritiene la condanna, oltre alle spese legali ordinarie del grado di giudizio, al risarcimento dei danni delle stesse per mala fede e responsabilità aggravata ex art. 96 co 3 c.p.c., anche d'ufficio, alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione Civile del 18.11.2019 (vd Ordinanza n. 29812/2019 della Terza Sezione Civile), venendo qui in rilievo, non un risarcimento come nel caso di cui all'art. 96 com.1,c.p.c., bensì un indennizzo, una vera e propria pena pecuniaria inflitta per sanzionare colui che abbia abusato dello strumento processuale, nonché abbia così appesantito inutilmente il corso della Giustizia, agendo con imprudenza, colpa o dolo (Trib. Roma, 28 settembre 2017; Cass. Civ., 8 febbraio 2017, n.3311; Cass. Civ., 19 aprile 2016, n.7726 ed altre ). La sua applicazione, quanto all'ultimo comma art. 96 c.p.c., pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di"abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente ( Cass. 27623/2017) e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione, come nel caso di specie e come evidenziato in maniera chiara ed inequivocabile dalle risultanze istruttorie. Tale pronuncia della S.C è stata preceduta da un altro fondamentale arresto secondo il quale "nel vigente Ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei "risarcimenti punitivi"( Cass. SSUU 16601/2017)": nella motivazione della sentenza richiamata l'art. 96 u.co c.p.c è stato inserito, proprio, nell'elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza. In relazione a ciò, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. può costituire abuso del diritto la proposizione di un ricorso o una difesa basato su motivi manifestamente infondati o privi di riscontro probatorio , dedotti in assenza della esposizione sommaria dei fatti. Una domanda di tal genere, privo di alcun fondamento giuridico fattuale e di diritto, integra un "ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale", essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma risolvendosi soltanto, oggettivamente, ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione. Inoltre si deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni proposte senza l'osservanza delle norme procedurali o con gravi errori di diritto consumati dalla parte attorea: in tale contesto la Suprema Corte ha inteso valorizzare la sanzionabilità dell'abuso dello strumento giudiziario (Cass. n. 10177 del 2015), proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione (cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione) e consentire l'accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo - rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere - è affidato alla prudenza del ceto forense coniugata con il principio di responsabilità delle parti (in questi termini, da ultimo, Cass. n. 25177/2018; vd Cass. Civ. Sez. 3 , Ordinanza n. 17902del 04/07/2019; vd Cass. Civ. Sez. 5 , Sentenza n. 14035del 23/05/2019; Cass. Civ. Sez. 3, Ordinanza n. 5725 del 27/02/2019), oltre alla violazione di diritti costituzionalmente garantiti quale l'art. 2 sul diritto alla immagine e secondo i principi sovranazionali desumibili dal (...) e dalla Carta di Nizza che assurge a diritto primario avente quindi carattere cogente al pari dei Trattati. Per tali motivi ritiene di applicare nei confronti della convenuta COMUNE, che dovrà essere condannata, oltre alla soccombenza del giudizio ordinario, anche alla rifusione ex art. 96 c.p.c. co 3 alle spese di Euro 3.000. P.Q.M. Disattesa ogni altra deduzione e/o istanza, così statuisce: 1) Accoglie l'atto introduttivo del giudizio 2) Condanna la parte convenuta COMUNE DI NETTUNO IN SOLIDO CON LA (...) SRL alla rifusione alla parte attrice della SOMMA per IP 8.748,00 Euro, oltre ITP 11.025,00 Euro oltre interessi dal dì del sinistro SINO AL SODDISFO, OLTRE ALLA RIPETIZIONE DELLE spese CTU da rimborsare, OLTRE ALLE SPESE MEDICHE DI EURO 440,09 RITENUTE CONGRUE DAL CTU 3) Condanna le parti convenute, in solido, alle spese di giudizio che si quantificano in Euro 3.500 oltre accessori. 4) Condanna SOLO la parte convenuta COMUNE DI NETTUNO alle spese da rifondere alla parte attrice ex art. 96 c.p.c. comma terzo che si quantificano in Euro 3.000 oltre accessori. Così deciso in Velletri il 21 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI SENTENZA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maurizio Colangelo ha pronunciato la seguente Seconda CIVILE Nella causa civile iscritta al n. r.g. 5104/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. CI.CR. e dell'avv. BA.MA. ((...)) Indirizzo Telematico; , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. CI.CR. ATTORE/I contro (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CO.LU. e dell'avv. PO.LU. ((...)) VIA (...) ROMA; elettivamente domiciliato in VIA (...) 00142 ROMA presso il difensore avv. CO.LU. CONVENUTO/I FATTO E DIRITTO Con atto notificato l'attore IN OPPOSIZIONE conveniva in giudizio il convenuto OPPOSTO, al fine di sentir accogliere le seguenti conclusioni: conclusioni come da atto introduttivo. Si costituiva in giudizio la parte opposta e contestava quanto avverso dedotto Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, il sig. (...) conveniva in giudizio la (...) S.p.A. - (...), dinanzi Codesto Ill.mo Tribunale, al fine di ottenere la nullità del decreto ingiuntivo n. 847/2021 del 19.04.2021, emesso in data 17.04.2021 dal Tribunale di Velletri, nella persona del Giudice, Dott.ssa (...), R.G. n. 1145/2021, con il quale veniva intimato al sig. (...) il pagamento della somma di Euro 11.979,40, oltre interessi legali, oltre le spese della procedura di ingiunzione liquidate in Euro 540,00 per onorari e in Euro 145,50 per spese, oltre spese generali, IVA e C.P.A. come per legge. Parte opposta si costituiva in giudizio con formale comparsa di costituzione e risposta. All'udienza del 23.09.2022, il Giudice, Dott. (...), assumeva la causa in decisione ex art. 190 c.p.c. con termine per il deposito di memorie conclusionali a far data dal 30.10.2022. MOTIVI La domanda di parte attrice può essere accolta La eccezione di parte opposta deve essere disattesa dalla documentazione agli atti Le argomentazioni formulate dalla parte opponente hanno trovato riscontro nell'odierno giudizio civile di opposizione Si fa presente, infatti, che il credito preteso da controparte è sorto in virtù di un contratto di finanziamento sottoscritto dall'opponente nel 2002 e, dunque, con un soggetto giuridico diverso e distinto dalla (...) S.p.A.. Controparte assume di essere legittimata al recupero del quantum preteso, in forza di un contratto di cessione pro soluto dei crediti di (...) S.p.A. Ebbene, non vi è prova alcuna della asserita cessione del credito che non risulta essere mai stata notificata all'odierno opponente, con conseguente inopponibilità della cessione stessa all'opponente ex art. 1264 c.c. Infatti la prima ipotesi epistolare di comunicazione della cessione risulta " ex actis" a ottobre 2017 senza alcuna prova della comunicazione. Quella inviata in nome e per conto della opposta a firma dell'Avv S., poi revocato dall'opposto, anche essa comunicazione del 2018 è irrilevante giuridicamente e comunque non era onere della cessionaria effettuare tale missiva, a norma di legge, alla parte opponente. Ed anche le ulteriori comunicazioni di (...) spa sono tutte prive della documentazione di ricezione da parte dell'opponente. Peraltro, controparte ha depositato in atti un estratto della Gazzetta Ufficiale che contiene il mero riferimento ad un avviso di cessione senza, tuttavia, individuare quali siano gli specifici contratti ceduti ed il relativo contenuto degli stessi. Secondo la più recente giurisprudenza di merito, occorre dar prova nello specifico della cessione del credito vantato indicando dettagliatamente i rapporti ceduti e la loro specifica enumerazione. Ed, invece, nel caso di specie, parte avversa neppure indica, con un richiamo o un riferimento, gli effettivi debitori ceduti, le posizioni oggetto della cessione e gli estremi degli eventuali contratti che possano consentire di identificare i debitori ceduti, restando incerta la loro identificazione concreta. Si rammenta sul punto la sentenza di Cassazione n. 22268/2018 secondo la quale "la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma se non individua il contenuto del contratto di cessione non prova l'esistenza di quest'ultima, giacché una cosa è l'avviso della cessione - necessario ai fini della efficacia della cessione - un'altra la prova della esistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto". La pubblicazione dell'avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale esonera, pertanto, solo la cessionaria dal notificare la cessione del credito al titolare del debito ceduto e a null'altro. Con Sentenza n. 2780/2019 la Corte di Cassazione ha addirittura richiesto la produzione in giudizio del contratto di cessione in originale. Numerosa giurisprudenza di merito ha dato seguito al suddetto orientamento. Il Tribunale di Rimini con ordinanza del 27.02.2020 ha affermato che la mancanza della certezza documentale che un credito sia stato ceduto produce l'effetto di non poter ritenere esistente la legittimazione attiva della banca. Appare, pertanto, impossibile ricondurre la titolarità del credito alla (...) S.p.A. e, pertanto, si deve pronunciare declaratoria di carenza di legittimazione attiva della stessa e la conseguente nullità del titolo impugnato. Sul caso di specie si è pronunciata recentemente il Tribunale di Spoleto (Trib. Spoleto, 6 settembre 2021) il quale ha accolto l'opposizione e, conseguentemente, revocato il decreto ingiuntivo opposto, ritenendo, al termine di un approfondimento "monografico", fondata l'eccezione di carenza di legittimazione attiva, in capo alla società asseritamente creditrice, formulata dall'opponente. Il giudice umbro rileva come, secondo un primo orientamento (ormai residuale), l'allegazione dell'avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art. 58, comma 2, TUB, sia bastevole per comprovare, in giudizio, l'avvenuto trasferimento del credito in favore del soggetto cessionario, a condizione che tale avviso consenta di individuare con certezza, mediante il ricorso a caratteristiche comuni, i crediti oggetto della cessione in blocco. Mutuando testualmente il pronunciamento della Corte di Cassazione, "è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazioneper la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezzei rapporti oggetto della cessione" Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 29.12.2017, n.31188; Cass. Civ., Sez. III, 13.06.2019, n. 15884; Cass. Civ., Sez. I, 26.06.2019, n. 17110. Il principio de quo si fonda su due ordini di ragioni: il legislatore avrebbe voluto distinguere la cessione di crediti in blocco dalle altre forme di cessione, assoggettandola alla disciplina speciale del TUB, che deroga alle regole codicistiche sulla cessione del credito (ex art. 1264 c.c.). La ratio della normativa di favore nei confronti del creditore risiederebbe nella natura di questo tipo di cessioni, riguardanti un gran numero di rapporti giuridici e, spesso, una pluralità di vicende circolatorie; la finalità sottesa all'art. 58 TUB sarebbe completamente vanificata qualora si onerasse il creditore cessionario di provare la titolarità del credito mediante la produzione del contratto di cessione, poiché, significherebbe costringerlo anche a produrre tutti i contratti che riguardano le cessioni precedenti sino a risalire all'originario creditore cedente Tale aggravio dell'onere probatorio si porrebbe, peraltro, in contrasto con l'art. 24 Cost, da cui discende il principio di vicinanza della prova e il divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio. La Suprema Corte aggiunge che "a tal fine, è prevista anche l'emanazione d'istruzioni da parte della B.D., la quale, nell'esercitare il relativo potere, ha confermato che per "rapporti giuridici individuabili in blocco" devono intendersi "i crediti, i debiti e i contratti che presentano un comune elemento distintivo", chiarendo che lo stesso "può rinvenirsi, ad esempio, nella forma tecnica, nei settori economici di destinazione, nella tipologia della controparte, nell'area territoriale e in qualunque altro elemento comune che consenta l'individuazione del complesso dei rapporti ceduti" (cfr. circolare n. 229 del 21 aprile 1999)". Del pari, il raccordo tra la disciplina speciale (a cui sono sottoposti i contratti di cessione di crediti in blocco) e la disciplina generale del contratto, prevista dal codice civile, non indurrebbe alcuna violazione dell'art. 1346 c.c., poiché, tale disposizione, nel prevedere che l'oggetto del contratto debba essere determinato o determinabile, non richiede alcuna indicazione specifica, e pertanto, può ritenersi sufficiente che il credito ceduto in blocco possa essere identificato con certezza sulla base di elementi obbiettivi e prestabili risultanti dallo stesso contratto. Nel nostro caso di specie, la cessionaria ha prodotto un avviso di cessione di crediti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana con indicazione dell'indirizzo del sito internet ove erano asseritamente disponibili i dati relativi ai crediti fino a loro estinzione. Al riguardo, tuttavia, questo Tribunale, non si esime dal rilevare la diffusione, sempre maggiore, di un orientamento più "severo", che ritiene che la pubblicazione dell'avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma non sia bastevole a comprovare la titolarità del credito in capo all'avente causa, se non individui il contenuto del contratto di cessione (V. Cass. Civ., Sez. III, 13.09.2018, n. 22268). Senza soluzione di continuità, una parte della giurisprudenza ha statuito che "? una cosa è l'avviso della cessione - necessario ai fini dell'efficacia della cessione - un'altra è la prova dell'esistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto" (V. Cass. Civ., Sez. III, 31.01.2019, n. 2780), e dichiarando, conseguentemente, il difetto di legittimazione attiva in capo al cessionario del credito. In base a una valutazione "più rigorosa", la prova della titolarità del credito transita necessariamente mediante la produzione del contratto di cessione; non basterebbe la dichiarazione della cessionaria contenente l'elenco delle posizioni cedute, individuate con codici numerici. Secondo altra valutazione, la prova può essere raggiunta mediante il contratto di cessione, o, in alternativa, una liberatoria rilasciata dall'Istituto di credito cedente. Nel nostro caso, l'unico documento ritualmente prodotto dalla convenuta è stato l'estratto della Gazzetta Ufficiale ed una fotocopia del contratto nemmeno inoriginale, con il quale è stata data notizia dell'avvenuta operazione di cartolarizzazione, ma nel quale non sono state fornite indicazioni, sufficientemente specifiche, puntuali e dettagliate, per l'individuazione delle singole posizioni cedute, rinviando, per relationem, ad altre fonti (V. Cass. Civ., Sez. III, 31.01.2019, n. 2780). In sede giurisdizionale, pertanto, stante la specifica eccezione, sarebbe stato onere della società convenuta (si badi, attrice in senso sostanziale) fornire la documentazione dalla quale poter verificare se anche il credito attenzionato rientrasse (o meno) tra quelli oggetto di cessione. (sul punto è tetragona la Suprema Corte di Cassazione: si vedano Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 4116/2016 e Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 10518/2016 secondo le quali la società cessionaria di crediti in blocco a fronte della contestazione di controparte sulla titolarità del credito "ha l'onere di produrre? di documenti idonei a dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco?dovendo fornire la prova documentale della propria legittimazione, a meno che la controparte non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta"; è del medesimo tenore anche la più accorta giurisprudenza di merito: Trib. Padova, decr. 03.06.2016; Trib. Napoli, sent. 24.05.2019, n. 5337, Tribunale di Treviso del 16 Settembre2021, Tribunale Firenze, Sent. n. 1865/2021). In ogni caso né il creditore originario né il cessionario hanno fornito prova della cessione del contratto e la compiuta giacenza della comunicazione a ministero dell'avv S., in nome e per conto della opposta, è irrilevante, in quanto la comunicazione della cessione del contratto doveva essere effettuata dal creditore originarie. Infine nel merito la parte opponente ha dato prova della avvenuta estinzione del diritto di credito vantato da controparte e precisamente si è documentato che l'Istituto finanziario è già stato soddisfatto ottenendo, previa ammissione al passivo del preteso credito nella procedura concorsuale del datore di lavoro del sig. (...), l'accantonamento di parte del TFR presso la tesoreria dell'INPS della somma di Euro 11.268,23 ed in particolare il sig. (...), che vantava la somma di Euro 38.391,87 a titolo di competenze di fine rapporto, otteneva pertanto, dal Fondo T., solo la liquidazione della minor somma pari ad Euro 21.399,20, proprio in ragione dell'accantonamento della residua somma disposto in favore della F.. Inoltre l'opponente ha fornito prova del fatto documentale che l'INPS, in riscontro alla sa richiesta della residua somma del TFR, dichiarava che "la somma de qua era stata riconosciuta a favore della (...) spa insinuatasi per il recupero al n. 287 dello stato passivo come confermato dal responsabile della procedura concorsuale nel mod 52 compilato il 22 dicembre 2009 e consegnatoci per la liquidazione della prestazione" e che, pertanto, il (...) non aveva più titolo per la restituzione. ( come fornito parte opponente a titolo di prova nel doc. 7 dell'atto di citazione) L'opponente, sostanzialmente e formalmente, ha fornito prova documentale anche del fatto che la (...) S.p.A. (nuova denominazione della (...) banca, a sua volta cessionaria della (...)P.) abbia ottenuto l'accantonamento, presso il Fondo T. dell'INPS, del TFR sottratto al sig. (...), mentre il nuovo cessionario subentrato a (...) e quindi l'attuale opposta nulla ha fatto in merito alle sue rivendicazioni o pretese monitorie subentrando nelle somme riconosciute alla (...) e conseguentemente riconosciute alla nuova cessionaria opposta e solo nei suoi confronti sarebbero svincolabili e non riguardo al lavoratore. Si deve, inoltre, rilevare che è condivisibile anche la eccezione della prescrizione poiché anche sotto questo profilo sono decorsi i termini previsti per l'esperimento della azione a tutela del credito Le spese, inoltre, visto il comportamento processuale e temerario della parte opposta, seguono anche la soccombenza secondo i criteri ordinari ed ex art. 96 c.p.c. comma terzo applicabile di ufficio. SI DEVE, INOLTRE, CONSIDERARE (...) della convenuta opposta , che è valutabile ai sensi dell'art. 96 c.p.c. co. 3 e non primo, applicabile di ufficio. Sotto il profilo, invece, dell'art. 96 c.p.c. questo Giudicante osserva di ufficio ai sensi del comma terzo e non primo quanto segue La difesa della attrice opponente, infatti, conferma ed ha confermato, anche all'esito delle risultanze istruttorie, la consapevolezza della temerarietà della stessa parte resistente opposta e che si è contrapposta ad una rivendicazione o confutazione di parte attorea di un " petitum" e prospettazione di una " causa petendi" completamente invece confermate dalle risultanze argomentative e documentali e contabili Si ritiene la condanna, oltre alle spese legali ordinarie del grado di giudizio, al risarcimento dei danni delle stesse per mala fede e responsabilità aggravata ex art. 96 co 3 c.p.c., anche d'ufficio, alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione Civile del 18.11.2019 (vd Ordinanza n. 29812/2019 della Terza Sezione Civile), venendo qui in rilievo, non un risarcimento come nel caso di cui all'art. 96 com.1, c.p.c., bensì un indennizzo, una vera e propria pena pecuniaria inflitta per sanzionare colui che abbia abusato dello strumento processuale, nonché abbia così appesantito inutilmente il corso della Giustizia, agendo con imprudenza, colpa o dolo (Trib. Roma, 28 settembre 2017; Cass. Civ., 8 febbraio 2017, n.3311; Cass. Civ., 19 aprile 2016, n. 7726ed altre). La sua applicazione, quanto all'ultimo comma art. 96 c.p.c., pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di"abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente ( Cass. 27623/2017) e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione, come nel caso di specie e come evidenziato in maniera chiara ed inequivocabile dalle risultanze istruttorie. Tale pronuncia della S.C è stata preceduta da un altro fondamentale arresto secondo il quale "nel vigente Ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei "risarcimenti punitivi"( Cass. SSUU 16601/2017)": nella motivazione della sentenza richiamata l'art. 96 u.co c.p.c è stato inserito, proprio, nell'elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza. In relazione a ciò, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. può costituire abuso del diritto la proposizione di un ricorso basato su motivi manifestamente infondati o privi di riscontro probatorio , dedotti in assenza della esposizione sommaria dei fatti. Una domanda di tal genere, privo di alcun fondamento giuridico fattuale e di diritto, integra un "ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale", essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma risolvendosi soltanto, oggettivamente, ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione. Inoltre si deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni proposte senza l'osservanza delle norme procedurali o con gravi errori di diritto consumati dalla parte attorea: in tale contesto la Suprema Corte ha inteso valorizzare la sanzionabilità dell'abuso dello strumento giudiziario (Cass. n. 10177 del 2015), proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione (cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione) e consentire l'accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo - rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere - è affidato allaprudenza del ceto forense coniugata con il principio di responsabilità delle parti (in questi termini, da ultimo, Cass. n. 25177/2018; vd Cass. Civ. Sez. 3, Ordinanza n. 17902 del 04/07/2019; vd Cass. Civ. Sez. 5 , Sentenza n. 14035del 23/05/2019; Cass. Civ. Sez. 3, Ordinanza n. 5725 del 27/02/2019), oltre alla violazione di diritti costituzionalmente garantiti quale l'art. 2 sul diritto alla immagine e secondo i principi sovranazionali desumibili dal Trattato di Lisbona e dalla Carta di Nizza che assurge a diritto primario avente quindi carattere cogente al pari dei Trattati Tutte le altre eccezioni devono ritenersi assorbite nel merito Per tali motivi ritiene di accogliere le richieste di parte attrice secondo le motivazioni sopraindicate nei confronti della convenuta/opposta che dovra essere condannata anche alla rifusione ex art. 96 c.p.c. co 3 alle spese di Euro 5.000. P.Q.M. Disattesa ogni altra deduzione e/o istanza, così statuisce: 1) Accoglie opposizione e revoca il decreto ingiuntivo opposto 2) Condanna la parte opposta alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore della parte opponente nella misura di Euro 3.200 oltre accessori 3) Condanna la parte opposta alla rifusione delle spese di questo giudizio ex art. 96 c.p.c. in favore della parte opponente nella misura di Euro 5.000 oltre accessori. Così deciso in Velletri il 21 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VELLETRI SEZIONE LAVORO in persona del giudice Pietro Gerardo Tozzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero 5011 del ruolo generale dell'anno 2019 promossa DA (...), elettivamente domiciliata in Albano Laziale via (...), presso lo studio del procuratore Avv. Gi.Ma., che la rappresenta e difende RICORRENTE CONTRO MINISTERO DELL'ISTRUZIONE - UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, rappresentato e difeso dai propri funzionari Avv. Al.Mo. e Avv. Em.Pr. ex art. 417bis c.p.c. RESISTENTE NONCHE' INPS, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma via (...), preso l'Avvocatura Distrettuale dell'Istituto, rappresentato e difeso dal procuratore Avv. Al.Ma. TERZO CHIAMATO FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato il 24 settembre 2019 (...) ha rappresentato di aver lavorato dapprima quale docente presso Istituti Paritari, dall'1 settembre 1999 al 31 agosto 2007, e poi quale docente di scuola superiore, in virtù di una pluralità di contratti a termine, dal 26 settembre 2007 al 31 agosto 2012, e che in data 1 settembre 2012 è stata assunta a tempo indeterminato. Ha sostenuto il suo diritto al riconoscimento anzianità di servizio ai fini giuridici ed economici dei rapporti di lavoro a tempo determinato instaurati nel tempo con la Scuola statale e ha quindi convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Velletri il Ministero dell'Istruzione chiedendo che il giudice: condanni l'amministrazione convenuta al riconoscimento del suo diritto alla progressione stipendiale per il periodo pre ruolo e al pagamento della differenza retributiva di Euro 2.268,19, oltre che alla regolarizzazione previdenziale presso l'Inps; accerti il suo diritto al riconoscimento ai fini della mobilità e della ricostruzione di carriera, dell'anzianità di servizio maturata presso le scuole paritarie; dichiari il suo diritto alla ricostruzione di carriera alla luce del periodo svolto anche presso gli Istituti paritari, con condanna del Ministero convenuto al pagamento della somma di Euro 26.656,96 per il periodo successivo alla sua immissione in ruolo, oltre che alla regolarizzazione contributiva relativa. 1.1. Si è costituito tardivamente in giudizio il Ministero dell'Istruzione, che ha contestato quanto affermato dal ricorrente, chiedendo il rigetto del ricorso. 2. Assegnata la causa al presente giudice l'1 luglio 2020, all'udienza del 27 ottobre 2020, rilevato che parte ricorrente ha chiesto, tra l'altro, la regolarizzazione contributiva e previdenziale in seguito al riconoscimento dell'intero servizio svolto, è stata ordinata l'integrazione del contraddittorio, con la chiamata in causa di Inps, a cura di parte ricorrente; in data 18 maggio 2021 l'Inps si è costituito chiedendo, per il caso dell'accoglimento della domanda della ricorrente, di condannare parte convenuta al pagamento in suo favore dei contributi, ovvero delle differenze contributive, oltre sanzioni ed interessi ex lege, e comunque sempre nei limiti della prescrizione quinquennale nel termine di legge. è stata disposta consulenza tecnica d'ufficio volta all'accertamento delle eventuali differenze retributive maturate. All'udienza odierna, la causa è stata discussa e decisa come da motivazione e dispositivo in calce di cui è stata data lettura. 3. La ricorrente afferma il proprio diritto al riconoscimento integrale, ai fini giuridici ed economici, del periodo di servizio svolto prima della immissione in ruolo anche presso Istituti paritari, e ciò anche ai fini della attribuzione del punteggio nelle operazioni di mobilità. 3.1. Rileva l'Ufficio che al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) per la mobilità del personale docente dell'8 aprile 2016 e ai successivi contratti (fino al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per gli anni scolastici relativi al triennio 2022/23, 2023/24, 2024/25 sottoscritto il giorno 18 maggio 2022) risultano allegata le "tabella di valutazione dei titoli ai fini dei trasferimenti a domanda e d'ufficio del personale docente" che al punto I ("Anzianità di servizio") lett. B) prevede "per ogni anno di servizio pre-ruolo" l'attribuzione di "Punti 3", mentre nelle "note comuni" dispone che "il servizio prestato nelle scuole paritarie non è valutabile in quanto non riconoscibile ai fini della ricostruzione di carriera. È fatto salvo il riconoscimento del servizio prestato: fino al 31.8.2008 nelle scuole paritarie primarie che abbiano mantenuto lo status di parificate congiuntamente a quello di paritarie nelle scuole paritarie dell'infanzia comunali nelle scuole secondarie pareggiate (art. 360 del T.U.)". 3.2. Al fine di valutare la legittimità delle richiamate disposizioni contrattuali occorre procedere all'esame della normativa vigente. 3.2.1. L'art. 1 D.L. n. 370 del 1970 statuisce che "al personale docente delle scuole statali di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate in qualità di insegnante non di ruolo con qualifica non inferiore a "buono" o che risulti prestato senza demerito nei casi in cui non sia stata attribuita la qualifica, è riconosciuto, all'atto del superamento del periodo di prova, come servizio di ruolo nei limiti e alle condizioni stabilite dagli articoli che seguono" e in particolare l'art. 3 "viene riconosciuto il servizio di cui ai precedenti articoli agli effetti giuridici ed economici per interno e fino a un massimo di quattro anni, purché prestato con il possesso, ove richiesto del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo". Il D.Lgs. n. 297 del 1994 ha poi riorganizzato la disciplina delle forme di equiparazione delle scuole private a quelle pubbliche: la parificazione (artt. 344 ss.), propria delle scuole elementari e caratterizzata dal riconoscimento ad ogni effetto legale dell'attività di istruzione privata, in forza di una convenzione con il provveditore agli studi che obbliga l'istituto ad adottare programmi e orari analoghi a quelli delle scuole statali; il riconoscimento legale (art. 355), derivante da un provvedimento amministrativo con il quale il Ministero competente attribuisce validità a studi ed esami sostenuti nella scuola secondaria non statale subordinato all'idoneità della sede, all'adeguamento dei programmi di insegnamento a quelli delle scuole statali, il possesso, da parte degli alunni e dei docenti, dei titoli previsti rispettivamente per l'accesso alle classi e per l'insegnamento; infine il pareggiamento (art. 356), istituto limitato a scuole tenute da enti pubblici o enti ecclesiastici, per ottenere il quale, oltre ai requisiti previsti per il riconoscimento legale, si richiede: che il numero e il tipo delle cattedre siano uguali a quelli delle corrispondenti scuole statali; che le cattedre siano occupate da personale nominato in seguito ad apposito pubblico concorso, o che sia risultato vincitore, o abbia conseguito la votazione di almeno sette decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o pareggiate o in esami di abilitazione all'insegnamento corrispondente, ovvero per chiamata, dal ruolo di scuole di pari grado, statali o pareggiate, ai sensi della lettera b) dell'articolo unico del R.D. 21 marzo 1935, n. 1118; che al personale della scuola sia assicurato un trattamento economico iniziale pari a quello delle scuole statali corrispondenti. In questo quadro l'art. 485 D.Lgs. n. 297 del 1994 (inserito nella sezione dedicata al "Riconoscimento del servizio agli effetti della carriera") ha affermato che al personale docente delle scuole di istruzione secondaria e artistica il servizio prestato presso le sole scuole pareggiate, oltre che statali, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici derivati da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo. L'art. 1 della L. n. 62 del 2000 ha successivamente modificato la disciplina statuendo che "il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita"; il successivo 2 comma definisce la nozione di scuola paritaria, precisando che tali sono, "a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti, in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia di cui ai commi 4, 5 e 6". Successivamente, l'art. 2 comma 2 D.L. 3 luglio 2001, n. 255, "Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2001/2002", convertito con L. n. 333 del 2001, ha statuito che: "nella integrazione della graduatoria di cui al comma 1, il personale già inserito nelle graduatorie permanenti che intende aggiornare il proprio punteggio e quello che chiede l'inserimento per la prima volta è graduato, nell'ambito del proprio scaglione, in base ai titoli posseduti, da valutare secondo le disposizioni della tabella di cui all'allegato A annesso al regolamento. I servizi di insegnamento prestati dal 1 settembre 2000 nelle scuole paritarie di cui alla L. 10 marzo 2000, n. 62, sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali". Il comma 1 dell'articolo 1 bis del D.L. n. 250 del 2005, convertito con L. n. 27 del 2006, dispone che le scuole non statali di cui alla parte II, titolo VIII ("Istruzione non statale"), capi I ("Scuola materna"), II ("Istruzione elementare") e III ("Istruzione secondaria") del D.Lgs. n. 297 del 1994, siano ricondotte alle due tipologie: scuole paritarie riconosciute ai sensi della L. n. 62 del 2000 e scuole non paritarie. 3.3. Occorre allora verificare se tale riforma coinvolga la disciplina dello stato giuridico proprio dei docenti delle scuole private, in relazione al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato presso istituti paritari. Secondo l'art. 1bis comma 6 D.L. n. 250 del 2005 "dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non possono essere rilasciati nuove autorizzazioni, riconoscimenti legali o pareggiamenti, secondo le disposizioni di cui alla parte II, titolo VIII, del testo unico di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297. Nelle scuole che non hanno chiesto ovvero ottenuto il riconoscimento della parità di cui alla citata L. n. 62 del 2000, i corsi di studio già attivati, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sulla base di provvedimenti di parificazione, riconoscimento legale e pareggiamento adottati ai sensi degli articoli 344, 355, 356 e 357 del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, continuano a funzionare fino al loro completamento". Ebbene, il medesimo D.L. n. 250 del 2005 ha disposto (con l'art. 1-bis, comma 7) che a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione sono abrogate le disposizioni contenute nella parte II, titolo VIII, capi I, II e III, del testo unico di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, fatta eccezione per le disposizioni degli articoli 336, 339, 340, 341, 342, 345 e, in relazione alla istruzione secondaria, oggetto della presente causa, gli artt. 352 comma 6 ("Scuole e corsi"), degli articoli 353 ("Soggetto gestore"), 358 comma 5 ("Oneri a carico del soggetto gestore") e degli articoli 362 ("Scuole dipendenti dalle autorità ecclesiastiche") e 363 ("Licei linguistici") che si applicano con riferimento alle scuole paritarie; è fatti altresì salvo il comma 6 dell'articolo 360 ("Personale direttivo e docente delle scuole pareggiate"), le cui disposizioni continuano ad applicarsi nei confronti del personale dirigente e docente già di ruolo nelle scuole pareggiate che sia assunto con rapporto a tempo indeterminato nelle scuole statali in applicazione delle disposizioni vigenti. Secondo l'art. 360 comma 6 D.Lgs. n. 297 del 1994, in particolare, "ai docenti di scuole secondarie pareggiate che passino, per effetto di statizzazione o di concorso, alle dipendenze dello Stato, sono applicabili, per quanto si riferisce al periodo di prova, le norme vigenti per i docenti dei ruoli statali. Ad essi e ai presidi è riconosciuto utile, agli effetti della progressione di carriera, il servizio di ruolo prestato nelle scuole pareggiate". Nessuna modifica è inoltre intervenuta sull'art. 485 D.Lgs. n. 297 del 1994, in relazione al riconoscimento del servizio prestato pre-ruolo, per altro non applicabile nel caso della mobilità. Infine, come già chiarito, l'equiparazione prevista dall'art. 2 comma 2 D.L. n. 255 del 2001 riguarda la "integrazione a regime delle graduatorie permanenti del personale docente", mentre nessun riconoscimento normativo è possibile desumere, ai fini della mobilità, per i servizi prestati nelle scuole paritarie di cui alla L. n. 62 del 2000 che non godano del pareggiamento. 3.4. Si può pertanto affermare la sopravvivenza nell'ordinamento interno, vigenti le disposizioni degli artt. 360 6 comma e 485 D.Lgs. n. 297 del 1994, pur successivamente alla riforma introdotta con la L. n. 62 del 2000, della distinzione, ai fini della disciplina dello stato giuridico dei docenti, tra scuole paritarie pareggiate e non: la disciplina richiamata, inoltre, non prevede in alcun modo, con norme imperative, la rilevanza del servizio prestato presso la scuola paritaria, ai fini della mobilità. In tale quadro normativo, in assenza di alcuna disposizione che imponga il riconoscimento del servizio svolto presso le scuole paritarie ai fini della mobilità, va allora dichiarata la legittimità delle tabelle "di valutazione dei titoli ai fini dei trasferimenti a domanda e d'ufficio del personale docente" allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) per la mobilità del personale docente, che prevedono nelle "note comuni" che "il servizio prestato nelle scuole paritarie non è valutabile in quanto non riconoscibile ai fini della ricostruzione di carriera". 3.5. Quanto alla lamentata violazione del principio di non discriminazione, secondo l'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, "è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. 2. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità". Anche in relazione alla citata disposizione, nel caso di specie non viene in rilievo una qualsiasi forma discriminazione contro il lavoratore, ma solo la corretta valutazione, ai fini della mobilità nell'ambito del rapporto di lavoro nella scuola pubblica, del servizio prestato presso la stessa Amministrazione che ha determinato anche in passato la sede di servizio e cui si chiede il trasferimento, essendo al contrario irragionevole che sia considerata come anzianità di servizio utile nella procedura di mobilità quella prestata alle dipendenze di altro datore di lavoro. 3.6. Le conclusioni cui giunge l'Ufficio trovano sostegno anche nella recente giurisprudenza sul punto. Secondo la Corte d'Appello di Genova, "sia il CCNI dell'8 aprile 2016 (concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per l'anno scolastico 2016/2017), i cuicontenuti cono stati poi trasposti dell'O.M. n. 241 dell'8 aprile 2016, sia il CCNI dell'11 aprile 2017 (concernente la mobilità del personale docente per l'anno scolastico 2017/2018), i cui contenuti sono stati trasposti nell'O.M. n. 221 del 12 aprile 2017, prevedono che "il servizio prestato nelle scuole paritarie non è valutabile in quanto non riconoscibile ai fini della ricostruzione di carriera". Il CCNI 2016 aggiunge che "è fatto salvo il riconoscimento del servizio prestato fino al 31.8.2008 nelle scuole paritarie primarie che abbiano mantenuto lo status di parificate congiuntamente a quello di paritarie e del servizio comunque prestato nelle scuole paritarie dell'infanzia comunali", mentre il CCNI 2017 aggiunge che "è fatto salvo il riconoscimento del servizio prestato: a) fino al 31.8.2008 nelle scuole paritarie primarie che abbiano mantenuto lo status di parificate congiuntamente a quello di paritarie; b) nelle scuole paritarie dell'infanzia comunali; c) nelle scuole secondarie pareggiate (art. 360 del T.U.)". E' dunque evidente che anche le parti sociali hanno interpretato l'art. 485 cit. nel senso che esso non prevede la ricostruzione della carriera in favore dei docenti provenienti dalle scuole paritarie (fatta eccezione per le tipologie di scuole paritarie ivi espressamente menzionate), e non nel senso invocato dagli odierni appellanti. In conclusione, dunque: - la materia del punteggio utile ai fini della mobilità è disciplinata unicamente dai CCNI sopra richiamati; - la ragionevolezza delle scelte adottate dalla contrattazione collettiva non è sindacabile, a meno che le pattuizioni collettive non si pongano in contrasto con la disciplina di legge; - nel caso in esame la previsione di cui alle "Note comuni" allegate al CCNI per la mobilità del personale docente a.s. 2016/2017 (contestata dagli appellanti nella parte in cui esclude espressamente che il servizio prestato nelle scuole paritarie sia valutabile ai fini della mobilità) non confligge con alcuna norma di legge; - neppure può ritenersi che la diversità di trattamento riservata ai docenti che hanno prestato attività lavorativa pre-ruolo in una scuola paritaria, rispetto ai docenti che hanno prestato attività lavorativa pre-ruolo alle dipendenze del M.I.U.R., sia irragionevole, stante la diversità del datore di lavoro e delle modalità di accesso; - analogamente, l'attività lavorativa pre-ruolo prestata alle dipendenze di una scuola paritaria non può essere riconosciuta neppure ai fini della progressione economica, ostandovi la formulazione dell'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 in materia di ricostruzione di carriera ed essendo tale previsione (poi ribadita anche dalle parti collettive con i succitati CCNI) del tutto legittima alla luce delle medesime considerazioni (diversità del datore di lavoro e delle modalità di accesso) sopra evidenziate" (Corte App. Genova, 12 settembre 2018; nello stesso senso, Corte App. Firenze, 29 maggio 2018; Trib. Vicenza 19 luglio 2018; Trib. Torino 30 maggio 2018; Trib. Genova 11 agosto 2017). Infine, anche la Corte di Cassazione ha affermato che, "ai fini dell'inquadramento e del trattamento economico dei docenti non è riconoscibile il servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie in ragione della non omogeneità dello "status" giuridico del personale, che giustifica il differente trattamento, nonché della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento" (Cass. 11 dicembre 2019 n. 32386), escludendo così l'equiparazione tra il servizio prestato presso la scuola paritaria e quello prestato presso la scuola pubblica. 3.7. La domanda in esame non può pertanto essere accolta. 4. La ricorrente afferma il proprio diritto al riconoscimento integrale, ai fini giuridici ed economici, del periodo di servizio svolto prima della immissione in ruolo presso scuole statali (c.d. preruolo). 4.1. Secondo l'art. 485 D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, "al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo". La direttiva n. 1999/70/CE prevede quale obiettivo (clausola n. 1) "a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato". La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro dispone che "per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive". 4.1.1. Questi principi sono stati affermati anche dalla Corte di Cassazione (Cass. 7 novembre 2016 n. 22558), che anche da ultimo ha ribadito che l'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 che, anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive, disciplina il riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato. Il giudice del merito, per accertare la sussistenza della denunciata discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all'assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato e ciò implica che non potranno essere valorizzate le interruzioni fra un rapporto e l'altro, nè potrà essere applicata la regola dell'equivalenza fissata dall'art. 489 citato (Cass. 28 novembre 2019, n. 31149). Nel calcolo dell'anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l'assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l'assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati nè gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, nè, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio (Cass. 28 novembre 2019, n. 31149). 4.2. La domanda in esame deve pertanto essere accolta. 5. La lavoratrice chiede il pagamento delle differenze retributive conseguenti, per il periodo precedente e successivo alla immissione in ruolo, quantificate rispettivamente in Euro 2.268,19 e in Euro 26.656,96, oltre interessi legali e rivalutazione. 5.1. In relazione alle differenze retributive e alla fascia stipendiale maturate, occorre avere riguardo alla relazione depositata dal CTU. Il consulente ha osservato: "Anzianità di servizio maturata al momento dell'assunzione a tempo indeterminato Tenuto conto di tutto quanto sopra esposto e considerato quanto richiesto di accertare al consulente tecnico, si predispone la tabella che segue al fine di calcolare la corretta anzianità di servizio maturata al momento dell'immissione a ruolo (ossia 1.09.2012): ? Dalla tabella di cui sopra risulta che, alla data di immissione a ruolo, ossia alla data del 01.09.2012, la ricorrente s.(...) aveva maturato un'anzianità di servizio pari ad anni 4, mesi 3, giorni 28. 7 Fascia stipendiale spettante al momento dell'immissione al ruolo (01.09.2012) La ricorrente, ha iniziato a prestare la propria attività lavorativa, presso la scuola pubblica, in data 26.09.2007 ed è stata immessa al ruolo in data 01.09.2012. ... Tenuto conto di tutto quanto sopra esposto, alla data di immissione al ruolo, ossia alla data del 1.09.2012 la ricorrente sig.a (...) aveva maturato anzianità di servizio, pari ad anni4, mesi 3, giorni 28, e pertanto aveva maturato il diritto ad essere inquadrata nella fascia stipendiale 3 - 8. A seguire, con decorrenza 01.02.2018, tenuto conto del D.P.R. n. 22 del 2013 - blocco della progressione economica anno 2013 -, la sig.a (...) maturava il diritto alla fascia stipendiale 9 - 14. 8 Determinazione differenze retributive Periodo pre ruolo 26.09.2007 - 31.08.2012 2007 giorni lavorati 95 2008 giorni lavorati 314 2009 giorni lavorati 255 2010 giorni lavorati 298 2011 giorni lavorati 356 2012 giorni lavorati 243 ? Alla luce di quanto sopra si determinano in Euro 2020,07= le differenze retributive lorde, dovute alla ricorrente, per il periodo pre ruolo, ossia per il periodo dal 26.09.2007 al 31.08.2012. Periodo in ruolo 01.09.2012 - 31.08.2019 (come richiesto in ricorso). Tenuto conto delle fasce stipendiali, spettanti alla ricorrente, nella tabella che segue si procede con la quantificazione delle differenze retributive eventualmente spettanti alla sig.a (...) nel periodo di lavoro svolto dalla data di immissione a ruolo, ossia dalla data dell'1.9.2013 alla data del 31.08.2019. ... Alla luce di quanto sopra si determinano in Euro 6717,07= le differenze retributive lorde, dovute alla ricorrente, per il periodo in ruolo, ossia per il periodo dal 1.09.2012 al 31.08.2019" (relazione peritale agli atti). Il consulente ha quindi concluso come segue: "Il consulente tecnico, esaminato gli atti acquisiti a giudizio, le domande formulate dalla parte ricorrente, e tenuto conto di quanto stabilito dal CCNL Comparto Scuola, ha determinato le differenze retributive spettanti alla sig.a (...), considerando la retribuzione che alla stessa sarebbe spettata se inquadrata a tempo indeterminato sin dall'inizio del suo rapporto di lavoro. Nel calcolo di cui sopra, ha interamente riconosciuto il servizio pre ruolo svolto presso le sole scuole pubbliche, ai fini della ricostruzione della carriera della parte ricorrente, rideterminando anche le diverse decorrenze degli inquadramenti economici da riconoscersi. Dai calcoli come sopra elaborati, scaturiscono differenze retributive spettanti alla sig.a (...). Di seguito la specifica: - Si quantificano in Euro 2020,07 le differenze dovute per il periodo di lavoro in ruolo, ossia per il periodo dal 26.09.2007 al 31.08.2012 - Si quantificano in Euro 6717,07 le differenze dovute per il periodo di lavoro in ruolo, ossia per il periodo dall'1.09.2012 al 31.08.2019 L'importo complessivo come sopra determinato, pari ad Euro 8737,14, risulta essere stato maturato per Euro 3975,82 fino alla data del 7.03.2014 mentre la rimanente somma, pari ad Euro 4761,32 risulta essere stata maturata successivamente al 7.03.2014". 5.2. Le conclusioni cui giunge il CTU nominato devono qui essere condivise, in quanto argomentate ampiamente con criteri contabili e scientifici, con iter logico ineccepibile. 6. L'Amministrazione resistente, nella propria memoria di costituzione, ha contestato la quantificazione del credito operata e ha eccepito la maturata prescrizione quinquennale. 6.1. La tardività della costituzione della parte resistente determina, tuttavia, la dichiarazione di inammissibilità della eccezione di parte. 7. Tanto premesso, in parziale accoglimento della domanda proposta: si deve dichiarare il diritto della ricorrente al riconoscimento della ricostruzione di carriera e della progressione stipendiale prevista dal c.c.n.l. scuola, in relazione al periodo in cui ha prestato servizio in virtù di contratti a termine presso la scuola statale, con riconoscimento della fascia stipendiale 9-14 dall'1 febbraio 2018; per l'effetto, il Ministero resistente deve essere condannato al pagamento della somma di Euro 8.737,14, per differenze retributive, oltre i soli interessi legali (art. 16, comma 6, L. n. 412 del 1991), e al versamento dei contributi previdenziali calcolati su tale somma presso l'Inps, oltre interessi e sanzioni, nei limiti della prescrizione quinquennale. 8. Il Ministero resistente, soccombente, deve altresì essere condannato al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. I compensi di lite tra Ministero resistente e Inps sono compensate integralmente, in considerazione della chiamata in causa dell'Istituto, disposta d'ufficio. Le spese di CTU sono poste in via definitiva a carico della parte resistente, soccombente. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, in accoglimento parziale del ricorso, dichiara il diritto di (...) al riconoscimento integrale, ai fini giuridici ed economici, dell'anzianità maturata in tutti i servizi effettivamente prestati pre ruolo presso la scuola statale, con riconoscimento della fascia stipendiale 9-14 dall'1 febbraio 2018; condanna il Ministero dell'Istruzione al pagamento, in favore di (...) somma di Euro 8.737,14 per differenze retributive, oltre interessi legali, e al versamento dei contributi previdenziali calcolati su tale somma presso l'Inps, oltre interessi e sanzioni, nei limiti della prescrizione quinquennale; condanna il Ministero dell'Istruzione alla corresponsione in favore di (...) dei compensi di lite, liquidati in Euro 2.694,00, di cui Euro 351,00 per spese generali, oltre Iva e Cpa come per legge, da distrarsi; rigetta nel resto il ricorso; compensa i compensi di lite tra Ministero dell'Istruzione e Inps; pone a carico del Ministero dell'Istruzione le spese per CTU, liquidate con separato decreto. Così deciso in Velletri il 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.
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