Sentenze recenti Tribunale Venezia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1250 del 2021, proposto da AN. (Associazione Nazionale Aziende Ca. St.) e Gi. Pu. Gr. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Ri. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento della delibera del Consiglio Comunale del Comune di (omissis) n. 40 del 29.06.2021, pubblicata all'albo comunale fino al 13.08.2021, con cui è stato approvato il "nuovo regolamento canone unico, arredo, decoro urbano, giardini d'inverno e mezzi pubblicitari", nei limiti dell'interesse delle ricorrenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Andrea Gana e uditi per le parti i difensori Ru. e Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO L'Associazione Nazionale Aziende Ca. St. (di seguito AN.), in qualità di ente esponenziale di interessi collettivi, e la Gi. Pu. Gr. S.r.l., che si occupa della progettazione e della commercializzazione di servizi pubblicitari, hanno impugnato la delibera del Consiglio Comunale del Comune di (omissis) n. 40 del 29.06.2021, con cui è stato approvato il "Nuovo regolamento canone unico, arredo, decoro urbano, giardini d'inverno e mezzi pubblicitari". Avverso la disciplina regolamentare le ricorrenti hanno presentato impugnazione, contestando sia il fondamento del potere esercitato dal Comune, sia il contenuto delle singole previsioni, per la parte che incide sugli impianti pubblicitari. I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue. I. Il regolamento comunale sarebbe stato adottato in violazione degli artt. 11 e 12 dello Statuto del Comune e dell'art. 9 del regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale dato che il testo del regolamento non è stato sottoposto al preventivo esame della Commissione consiliare permanente. II. La disciplina introdotta dal Comune sarebbe in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, con il Codice della Strada e dei Beni Ambientali D.L.vo n. 42/2004 e sarebbe viziata da eccesso di potere per difetto d'istruttoria, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e travisamento dei fatti. In estrema sintesi, le ricorrenti deducono che il Comune ha apparentemente suddiviso il territorio comunale in sei zone, ma di fatto ha introdotto un divieto generalizzato di pubblicità, posto che tutto il territorio è da ricondurre alla "zona 5" (c.d. area di tutela paesaggistica e ambientale) nella quale "è vietata l'installazione di qualsiasi mezzo pubblicitario salvo particolari casi motivati da sottoporre a parere della Commissione Locale per il paesaggio e per eventuali installazioni stagionali da ritenersi esclusivamente temporanee". III. La disciplina regolamentare, che impedisce in modo assoluto la posa di cartelli e insegne su pali nella maggior parte del territorio, risulterebbe in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, oltre ad essere viziata da irragionevolezza, carenza di motivazione e di istruttoria. IV. Il regolamento impugnato, in modo irragionevole e senza una adeguata motivazione, impone per i cartelli su palo, ove ancora consentiti, una distanza tra gli stessi di 300 metri, sia al di fuori che all'interno del centro abitato se si tratta di strada con un limite di velocità superiore ai 50 Km/h; tale distanze è ridotta a 150 m se il limite di velocità, invece, è inferiore a 50 Km/h. Siffatta previsione, a giudizio delle ricorrenti, risulterebbe palesemente irragionevole, oltre che adottata in mancanza di una specifica istruttoria, dato che il Codice della Strada prevede, invece, una distanza di 100 metri nel primo caso e di 25 metri nel secondo. V. L'art. 147 del regolamento, con una previsione illogica, irragionevole e non proporzionata, dispone che i cartelli su palo, nelle zone 2, 4 e 6, non possono superare la dimensione di mt. 1,00 x 1,50, che è del tutto insufficiente rispetto a quelle normalmente utilizzate dagli operatori per veicolare, in condizioni di sicurezza, il messaggio pubblicitario. VI. L'art. 148 del regolamento, con una previsione viziata da illogicità e contraddittorietà, ha imposto una distanza di 300 metri tra le "preinsegne" e altri mezzi pubblcitari, a fronte dei 100 metri previsti dal Codice della Strada, determinando che se ne potrà posizionare soltanto una nei tratti dove, astrattamente, è possibile la loro collocazione, tenendo conto anche dell'esigenza di rispettare la distanza minima di 500 metri dalle intersezioni fuori dai centri abitati, prevista dal legislatore nazionale. VII. Il Comune, pur essendo incompetente, con l'art. 158 del regolamento avrebbe inteso disciplinare anche l'istallazione delle insegne sulle strade regionali e provinciali, rimandando l'individuazione delle modalità e dei tratti interessati al Piano Generale degli Impianti. Inoltre, a giudizio delle ricorrenti, il Comune avrebbe dovuto preventivamente procedere all'adeguamento dei cartelli pubblicitari esistenti (come previsto dall'art. 58 del DPR 405/1992) e, solo successivamente, procedere al riordino di quelli esistenti con l'eventuale ricollocazione che, in modo illegittimo, è stata limitata ai soli cartelli in possesso di autorizzazione rilasciata dal Comune e dal proprietario della strada. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, con atto depositato in data 13.12.2021, chiedendo la reiezione del ricorso. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 22 maggio 2024, in previsione della quale il Comune resistente, con la memoria depositata ai sensi dell'art. 73 cod. proc. amm, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, in ragione della natura regolamentare degli atti impugnati e dell'assenza di un interesse attuale in capo ai ricorrenti, ed ha domandato la riunione del presente giudizio con quello introdotto con il ricorso RG n. 1342/2021, in ragione della loro connessione oggettiva. Tanto premesso, in via preliminare, con riferimento all'istanza di riunione formulata dall'Amministrazione resistente il Collegio ricorda che nel processo amministrativo la riunione di ricorsi legati da vincoli di connessione soggettiva od oggettiva non è mai obbligatoria ed è rimessa ad una valutazione di mera opportunità della loro trattazione congiunta per ragioni di economia processuale (Consiglio di Stato, Sez. III, 19 aprile 2024, n. 3553). Ebbene, nel caso di specie l'opportunità della riunione è da escludere, considerato che per il giudizio introdotto con il ricorso RG n. 1342/2021 non è ancora stata fissata l'udienza pubblica e che tra i due giudizi non sussiste alcun nesso di pregiudizialità, con la conseguenza che non è opportuno, né tantomeno necessario differire ulteriormente nel tempo la decisione sul ricorso in epigrafe indicato. Passando all'esame delle suesposte censure, il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato. È infondato il primo motivo di ricorso con cui le ricorrenti hanno contestato, su un piano formale, la mancata sottoposizione del regolamento al parere della competente Commissione comunale permanente. Sul punto, è dirimente quanto osservato dal Comune circa la mancanza di una norma che abbia stabilito l'obbligatorietà della costituzione della Commissione o della richiesta del parere stesso. Con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso, è opportuno ricordare, preliminarmente, che i regolamenti possono essere autonomamente e immediatamente impugnati solo quando contengano disposizioni suscettibili di arrecare, in via diretta e immediata, una effettiva ed attuale lesione dell'interesse di un determinato soggetto (c.d. regolamenti "volizione - azione"), mentre se il pregiudizio è conseguenza dell'atto di applicazione concreta il regolamento deve essere impugnato congiuntamente all'atto applicativo (c.d. regolamenti "volizione - preliminare"); infine, qualora si tratti di "regolamenti misti", ossia recanti sia prescrizioni programmatiche, sia precetti immediatamente lesivi, il regime di impugnazione varia a seconda della natura delle prescrizioni ritenute illegittime. In questo quadro generale, con specifico riferimento ai regolamenti istitutivi di canoni patrimoniali la giurisprudenza ha già chiarito che l'interesse a ricorrere si radica solo con l'atto applicativo, poiché "sebbene il regolamento comunale impugnato, coerentemente con il suo nomen juris, ha indubbiamente contenuto normativo, in quanto individua, con previsioni generali e astratte, le tipologie di concessioni sottoposte al canone concessorio non ricognitorio, i relativi presupposti applicativi e i criteri di quantificazione del canone, (...) è soltanto con il successivo atto applicativo che si viene a radicare tanto l'interesse al ricorso, quanto la legittimazione a ricorrere" (Consiglio di Stato, Sez. V, 2 novembre 2017, n. 5071; C.G.A.R.S., Sez. Riun., parere del 30 maggio 2023, n. 292). Ne deriva, in linea generale, che l'interesse del singolo all'annullamento delle norme regolamentari generali e astratte è un interesse indifferenziato, sostanzialmente omogeneo rispetto a quello che può vantare qualsiasi altro soggetto che appartenga alla generalità dei potenziali destinatari; soltanto con l'atto applicativo è possibile individuare un soggetto che viene concretamente inciso nella sua sfera giuridica. Ebbene, nella fattispecie in esame, il Collegio ritiene che sia stato impugnato un regolamento misto, caratterizzato sia da prescrizioni puramente programmatiche, sia da precetti immediatamente lesivi, in quanto idonei a incidere negativamente sulla sfera giuridica degli interessati, privandoli in senso assoluto della possibilità di conseguire il bene della vita. Più nello specifico, devono essere ricondotte nella categoria delle prescrizioni puramente programmatiche, le norme regolamentari censurate dalle ricorrenti con il secondo e con il settimo motivo di ricorso. Infatti la previsione per la quale, nella zona 5 (che ricomprende l'area di tutela paesaggistica), "è vietata l'installazione di qualsiasi mezzo pubblicitario salvo particolari casi motivati da sottoporre a parere della Commissione Locale per il paesaggio e per eventuali installazioni stagionali da ritenersi esclusivamente temporanee" non è idonea a radicare una lesione immediata e attuale nella sfera giuridica delle ricorrenti le quali, eventualmente, potrebbero avere interesse a contestarne la legittimità successivamente all'adozione dell'atto applicativo con riferimento ad una loro specifica istanza di autorizzazione all'installazione del mezzo pubblicitario. Analogamente, gli artt. 158 e 159 del regolamento impugnato, contestati con il settimo motivo di impugnazione, hanno carattere meramente programmatico, essendo relativi ad un'attività di riordino dei mezzi pubblicitari presenti sul territorio comunale (sulla base di specifici criteri già individuati), che potrà comportare una lesione attuale della sfera giuridica degli interessati soltanto qualora la stessa sarà effettivamente attuata. Al contrario, relativamente al terzo, al quarto, al quinto e al sesto motivo di impugnazione, sussiste l'interesse all'immediata proposizione del ricorso, trattandosi di motivi proposti per contestare la legittimità delle previsioni regolamentari che immediatamente escludono la possibilità per i soggetti interessati di conseguire il bene della vita. Più nel dettaglio, le ricorrenti contestano: 1) le norme del regolamento che vietano, quasi su tutto il territorio comunale, l'installazione di cartelli pubblicitari e insegne "su palo" prescrivendone, dove ancora consentiti, una dimensione massima di mt. 1,00 x 1,50; 2) le previsioni che impongono distanze minime tra i cartelli e le insegne, differenziandole a seconda del limite di velocità della strada interessata, e tra le "preinsegne" e altri mezzi pubblicitari. Con riferimento a tali contestazioni il Comune di (omissis), nella memoria memoria depositata il 18 aprile 2024, ha evidenziato che "il centro storico del Comune di (omissis) è costituito da un piccolo borgo di origine antichissima, formato da stradine strette per lo più pedonali, ricco di opere storiche ed architettoniche come il Castello Scaligero, le Mura di Cinta, Dogana Veneta, Chiese romaniche, Ville Venete. Al fine di garantire il mantenimento di tale contesto e del decoro urbano, il Comune di (omissis), in assoluta conformità alle norme del Codice della Strada e a quelle del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha regolamentato in maniera assolutamente lecita la collocazione dei mezzi pubblicitari, vietando l'installazione di cartelli su palo (ma non di altri mezzi pubblicitari) nell'area storica ed abitata e in quella soggetta a vincoli paesaggistici ed ambientali"; che la collocazione di insegne su pali ad una distanza inferiore (rispetto a quella prescritta) andrebbe a pregiudicare la sicurezza stradale, a fronte della massiccia quantità di insegne già presente, e la visibilità dei segnali stradali; che i cartelli di dimensione mt 1,00 x 1,50 risultano visibili ed il messaggio grafico contenuto dentro tale superficie risulta di immediata percezione, oltre a non esistere alcuna norma che imponga di consentire una loro maggiore dimensione; che la distanza da rispettare tra le "preinsegne" è pari a 100 metri (e non ai 300 indicati dalle ricorrenti), considerati i limiti di velocità delle strade comunali e, in ogni caso, che la collocazione di un numero superiore di "preinsegne" costituirebbe un pericolo per la sicurezza stradale, considerata anche la presenza dei segnali stradali. Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ritiene che le censure in esame non siano fondate. Nel caso di specie le scelte operate dal Comune sono espressione di discrezionalità, anche tecnica, perché l'Amministrazione ha sia valutato comparativamente interessi pubblici e privati (alla sicurezza stradale, alla salvaguardia del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico e alla tutela della libertà di iniziativa economica privata), sia compiuto un giudizio tecnico individuando, sulla base di un sapere specialistico, le dimensioni massime dei cartelli e delle insegne stradali, nonché le distanze tra questi e tra le "preinsegne". In questo quadro, non si ravvisa alcun indice sintomatico di un non corretto esercizio della discrezionalità amministrativa nella previsione che ha vietato, su ampia parte del territorio comunale l'installazione di cartelli e insegne su palo: tale previsione, come ha esposto il Comune nei suoi scritti difensivi, è volta a perseguire un ragionevole equilibrio tra l'esigenza di preservare le peculiarità di un borgo di origine antichissima, caratterizzato da stradine strette e per lo più pedonali (nelle quali il cartello su palo avrebbe necessariamente comportato un ostacolo alla circolazione oltre che una alterazione del paesaggio) e le esigenze delle attività commerciali che, in ogni caso, potranno fare ricorso agli altri mezzi pubblicitari consentiti (tra cui parete e vetrofanie, su copertura, a bandiera, a totem, scritte su tenda, insegne "a croce" delle farmacie), circostanza che rende altresì evidente l'assenza di contrasto con l'art. 41 della Costituzione. Quanto alle previsioni in materia di dimensioni dei cartelli stradali e di distanze, il Collegio esclude la presenza di elementi sintomatici di un illogico esercizio della discrezionalità tecnica: si tratta di prescrizioni che perseguono lo scopo di garantire la sicurezza nella circolazione stradale, stabilendo dei limiti (relativi ai cartelli su palo, alle insegne e alle "preinsegne") che il Comune, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ha ritenuto di imporre allo svolgimento dell'attività pubblicitaria. Non si ravvisa, al riguardo, alcuna illogicità o arbitrarietà nella previsione di dimensioni massime e di distanze, che in ragione delle peculiarità del territorio comunale, ben evidenziate dall'Amministrazione, appaiono ragionevoli e, per tale ragione, non sindacabili da questo Tribunale. Si osserva, per completezza, che l'aver previsto una disciplina in materia di distanze diversa da quella del Codice della Strada non costituisce un elemento, di per sé, sintomatico dell'illegittimità della previsione regolamentare, posto che l'art. 23 del Codice della Strada ha attribuito ai Comuni la competenza ad apportare delle deroghe alla disciplina minimale prevista in linea generale dal legislatore nazionale. Il ricorso, alla luce di quanto esposto, dev'essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse quanto al secondo e al settimo motivo e respinto perché infondato quanto al primo, al terzo, al quarto, al quinto e al sesto motivo. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti in ragione della novità e della complessità della controversia, come è reso evidente dalla valutazione differenziata compiuta dal Collegio a seconda della natura delle prescrizioni regolamentari impugnate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge perché infondato, come indicato in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Polidori - Presidente Paolo Nasini - Primo Referendario Andrea Gana - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 577 del 2024, proposto da Ma. S.r.l., in proprio ed in qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con la Co. So. Soc. Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ad. e Fu. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedale Un. di Pa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato En. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Consip S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Ze. della Re. Ve., non costituita in giudizio; Du. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Or. Co., Gi. Mo., Sa. St. Da. e Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione cautelare, - della delibera del Direttore Generale dell'Azienda Ospedale Università Pa. n. 742 del 22/04/2024, avente il seguente oggetto: "ID 24S030 - Adesione al la convenzione Consip per l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli enti del servizio sanitario nazionale, lotto 12, per il periodo di 48 mesi per l'Azienda Ospedale - Università Pa.", pubblicata sull'albo on line in data 25 aprile 2024 (CIG A0576594C9); nonché : - della richiesta preliminare di fornitura (Id. ordine n. 7725321) del giorno 8 marzo 2024 e dell'ordinativo di fornitura di numero e data non noti; - di tutti gli atti presupposti, e di qualsivoglia ulteriore provvedimento antecedente e/o successivo; nonché - per la declaratoria, in via principale o incidentale, della illegittimità /inefficacia della convenzione Consip denominata Convenzione Servizio Sanitario Nazionale Lotto 12 (ID1460 c.d. convenzione "Pulizie SSN", attivata il 29 aprile 2022; - per la declaratoria di inefficacia del contratto attuativo nelle more eventualmente stipulato; - per la condanna dell'Azienda Ospedale Università Pa. al risarcimento del danno per equivalente nella misura da quantificare in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedale Un. di Pa., della Consip S.p.a. e della Du. Se. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 il dott. Andrea Gana e uditi per le parti i difensori come riportato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. La Ma. S.r.l. ha impugnato gli atti in epigrafe indicati deducendo, in fatto, che: - questo Tribunale con le sentenze n. 2023 e 2024 del 29 dicembre 2023 ha accolto i ricorsi avverso i provvedimenti di aggiudicazioni della gara, suddivisa in 13 lotti, indetta da Azienda Ze. per l'affidamento, tramite procedura aperta, del Servizio di pulizia e sanificazione a ridotto impatto ambientale in favore degli Enti aderenti all'iniziativa di acquisto, ivi compresa l'Azienda Ospedale Un. di Pa. (di seguito Azienda ospedaliera); - in pendenza del giudizio di appello Azienda Ze. non ha dato esecuzione alle citate sentenze, con le quali è stata ordinata la nomina di una nuova commissione di gara; - in data 8 marzo 2024 l'Azienda ospedaliera ha inviato alla Du. Se. S.r.l. (di seguito Du.) e alla Consip S.p.A. una richiesta preliminare di fornitura in relazione alla Convenzione Servizio Sanitario Nazionale - Lotto 12, nota come convenzione "Pulizie SSN"; - essa ha prontamente segnalato alla predetta Azienda Ospedaliera, in qualità di attuale gestore del servizio di pulizia per quest'ultima, che la Du.n è risultata priva del requisito della regolarità fiscale, previsto a pena di esclusione dall'art. 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50/2016, con riferimento al periodo dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 (come accertato dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7/2024), con la conseguenza che, in applicazione del principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare, l'Amministrazione non potrebbe stipulare con tale società prima di compiere i necessari controlli relativi a tutto il periodo d'interesse; - ciononostante, l'Azienda Ospedaliera ha ugualmente deciso di procedere alla stipula del contratto attuativo, mediante un apposito ordinativo di fornitura. Con l'unico motivo di impugnazione la ricorrente, premesso il proprio interesse alla proposizione del ricorso in quanto attuale esecutore del servizio di pulizia e per "le fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale" (pag. 6 ricorso introduttivo), ha dedotto la violazione dell'art. 38 del decreto legislativo n. 163/2006, nonché il vizio di eccesso di potere per errore sui presupposti e travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà e ingiustizia grave e manifesta. Più nel dettaglio, la ricorrente ha evidenziato l'illegittimità dell'atto di adesione alla convenzione Consip stipulata in data 18 dicembre 2020, in quanto a quella data (e sino al 29 giugno 2022) la Du. era priva del requisito di regolarità fiscale con la conseguenza che tale carenza rileverebbe (precludendo la stipula del contratto) sino all'ultimo atto della procedura di affidamento, da individuare nell'ordinativo di fornitura con cui l'Azienda ospedaliera, aderendo alla Convenzione Consip, ha disposto l'aggiudicazione del servizio. Inoltre, la violazione tributaria è stata commessa dalla Du. in misura superiore alla soglia di gravità prevista dal legislatore, con la conseguenza che si configura a suo carico una fattispecie immediatamente escludente senza alcuna discrezionalità in capo alla Stazione appaltante. 2. Si sono costituite Consip, la Du. e l'Azienda ospedaliera per resistere al ricorso. In particolare Consip, dopo aver evidenziato che l'Azienda ospedaliera in mancanza di una gara regionale era obbligata ad aderire alla Convenzione Consip, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione di questo Tribunale osservando che, considerata la legittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato in data 12 marzo 2020 dalla stessa Consip in favore della Du.n, le contestazioni inerenti all'adesione alla convenzione, alla costituzione e all'esecuzione del rapporto contrattuale tra gli Enti ordinanti e l'aggiudicataria devono essere conosciute esclusivamente dal Giudice ordinario, trattandosi di attività di natura privatistica a valle della procedura pubblicistica di scelta del contraente. Consip ha eccepito, inoltre, l'incompetenza territoriale di questo Tribunale osservando che il lotto n. 12 della convenzione ha carattere pluriregionale, nonché l'irricevibilità del ricorso, in quanto tardivamente proposto per contestare l'aggiudicazione definitiva disposta dalla stessa Consip in favore della Du. in data 12 marzo 2020, ossia quando quest'ultima era in possesso del requisito di regolarità fiscale. L'Azienda ospedaliera ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione della natura non provvedimentale degli atti impugnati, il proprio difetto di legittimazione passiva (non potendo essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice) e la carenza di un interesse attuale e concreto della Ma. alla proposizione del ricorso. Nel merito, l'Azienda ospedaliera ha contestato che l'atto di adesione alla Convenzione Consip sia qualificabile, come esposto dalla ricorrente, quale aggiudicazione finale, evidenziando come la procedura ad evidenza pubblica sia interamente gestita dalla Consip che ha il compito di selezionare il miglior contraente per la fornitura di un determinato servizio, aggiudicandogli la gara e sottoscrivendo la convenzione con Consip che indica le condizioni generali degli obblighi da egli assunti in qualità di fornitore per le Amministrazioni interessate. La Du., premesso che essa ha impugnato la sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 7/2024 dinnanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e/o di un interesse ad agire meritevole di tutela in capo a Ma.. Nel merito, la Du. ha evidenziato come l'aggiudicazione definitiva in proprio favore sia stata disposta da Consip in data 12 marzo 2020 e che tale atto - che costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica indetta dalla centrale di committenza - è legittimo perché l'aggiudicazione è stata disposta in data antecedente rispetto a quella in cui sarebbe maturata l'irregolarità fiscale evidenziata dalla Ma.. Infine, la Du. ha osservato che l'adesione alla convenzione da parte dell'Azienda ospedaliera si colloca in una fase negoziale e privatistica che non contempla la verifica da parte del soggetto aderente dei requisiti del fornitore, già selezionato da Consip nell'ambito di una procedura pubblicistica già conclusa. 3. All'udienza camerale del 22 maggio 2024 le parti hanno ampiamente discusso in ordine alla natura della procedura Consip e degli atti di adesione alla stessa. In particolare la ricorrente ha qualificato la convenzione Consip quale accordo quadro ai sensi dell'art. 59 del d.lgs. n. 163/2006 che verrebbe aggiudicato soltanto al momento dell'ordinativo di fornitura da parte del singolo Ente aderente; le Amministrazioni resistenti e la controinteressata hanno contestato tale tesi evidenziando la specialità delle convenzioni Consip, che hanno una loro autonoma base normativa rispetto al genus dell'accordo quadro ed hanno ribadito che il completamento della procedura ad evidenza pubblica è coinciso con l'aggiudicazione definitiva disposta dalla Consip in data 12 marzo 2020. 4. Il Collegio, previo avviso alle parti, ha trattenuto la causa in decisione, sussistendo i presupposti per una pronuncia in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. 5. Preliminarmente occorre ricostruire la vicenda in esame alla luce di quanto è stato documentato dalle parti e dei dati pacificamente acquisiti in corso di causa. La Consip con provvedimento del 12 marzo 2020 ha comunicato alla Du. l'aggiudicazione definitiva della gara per "l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale", relativamente al lotto 12. Con successiva convenzione del 18 dicembre 2020 la Consip e la Du., in qualità di aggiudicatario e di fornitore del servizio, hanno stabilito, testualmente, le condizioni generali del contratto che le singole amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura. Nella convenzione le parti hanno specificato che la conclusione della convenzione stessa non implica alcun obbligo per le Amministrazioni o per la Consip di procedere "all'acquisto di quantitativi minimi o predeterminati di beni e/o servizi, bensì dà origine unicamente ad un obbligo del Fornitore di accettare, mediante esecuzione, fino a concorrenza dell'importo massimo stabilito, gli Ordinativi di Fornitura deliberati dalle Amministrazioni Pubbliche che utilizzano la presente Convenzione per l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale per le Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell'articolo 26, legge 23 dicembre 1999 n. 488 e s.m.i. e dell'articolo 58, legge 23 dicembre 2000 n. 388". Dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 la Du. è risultata priva del requisito di regolarità fiscale, a causa del mancato pagamento della somma di euro 27.000,00 (poi ridotta a euro 18.000,00), dovuti a titolo di contributo unificato. In data 22 aprile 2024 l'Azienda ospedaliera ha deliberato di aderire al lotto 12 della convenzione Consip, aggiudicato alla Du., con l'emissione del relativo ordinativo di fornitura. Ebbene, in questo quadro fattuale dev'essere esaminata preliminarmente l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata in giudizio dalle Amministrazioni resistenti e, anche se non in modo esplicito, anche dalla controinteressata. In base all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, la Consip ha il compito di stipulare, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, convenzioni con le quali il fornitore prescelto si impegna ad accettare ordinativi di fornitura deliberati dalle Pubbliche Amministrazioni interessate,sino alla concorrenza dell'importo massimo complessivo stabilito dalla convenzione medesima ed ai prezzi e alle condizioni generali prestabiliti. In questo quadro, l'art. 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), nel testo attualmente in vigore, stabilisce che "Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.". Quanto alle modalità di adesione alla convenzione Consip, l'Amministrazione interessata è tenuta a seguire il "processo di attivazione dei servizi oggetto della Convenzione Consip", procedendo all'emissione della richiesta preliminare di fornitura, alla sua accettazione e alla successiva emissione dell'ordinativo di fornitura. Sulla natura giuridica dell'atto di adesione ad una convenzione Consip hanno preso posizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi su una questione di giurisdizione sostanzialmente analoga a quella prospettata nel presente giudizio, nell'ambito di una controversia che vedeva anch'essa come parte un ente del SSN. In particolare le Sezioni Unite hanno osservato quanto segue: "(...) quando si adotta il modulo dell'accordo quadro, l'aggiudicatario - scelto con la procedura di evidenza pubblica che ha portato alla sua stipulazione ottiene gli appalti basati sull'accordo quadro in virtù di affidamenti diretti. E' noto d'altro canto che gli affidamenti diretti sono consentiti "entro i limiti delle condizioni fissate nell'accordo quadro stesso" (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 54, comma 3), sicché allorquando, come nel caso in esame - ove si ricorderà il PTE predisposto da Getec era manchevole di taluni documenti significativi - si assume che l'affidamento sia avvenuto in deroga alle norme previste dall'accordo quadro, si è presenza di un affidamento illegittimo. Tale illegittimità può essere fatta valere esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo, al quale la trattazione delle controversie in materia di appalti pubblici conferiti mediante affidamenti diretti era già riconosciuta in via esclusiva dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 (Cass., Sez. U. 8/08/2012, n. 14260) (...) Si è già sopra precisato che gli atti a mezzo dei quali le amministrazioni interessate procedono al conferimento dell'incarico di servizio si configurano in forma di affidamento diretto. Ora non pare dubbio che, nell'operare in tale forma, l'amministrazione conferente non sia affatto vincolata in forza dell'intervenuta stipulazione della convenzione, giacché questa non configura un obbligo, ma solo un'opportunità . L'amministrazione interessata resta, infatti, libera di determinarsi, di fronte all'opportunità prefigurata dalla convenzione quadro, secondo la sua discrezionalità, potendovi aderire ovvero potendo optare, come pure l'esperienza concreta insegna, per una diversa soluzione parimenti giudicata vantaggiosa. Nell'uno e nell'altro caso essa esercita, nella facoltà di scelta di fruizione dei vantaggi offerti dalla convenzione mediante o meno adesione ad essa, il proprio potere d'autorità, con la conseguenza che del legittimo esercizio di esso, anche in difetto della competenza esclusiva attribuitagli dalla legge, potrà conoscere solo il giudice amministrativo. Anche sotto questa angolazione non vi e, dunque, ragione di dubitare della giurisdizione del giudice già adito" (Cassazione civile, Sez. un., 30 novembre 2022, n. 35335). Secondo tale ricostruzione l'atto di adesione ad una convenzione Consip rappresenta l'esito di una valutazione comparativa di interessi con la quale l'Amministrazione, nell'esercizio della sua discrezionalità, individua la soluzione maggiormente vantaggiosa per il soddisfacimento del suo bisogno. Ciò sta a significare che la delibera di adesione alla convenzione si caratterizza - come nel caso in esame emerge anche dalla lettura dell'atto di adesione adottato dall'Azienda ospedaliera - per la spendita di un potere autoritativo da parte dell'Amministrazione, la quale provvede in primo luogo alla ricognizione del proprio fabbisogno e alla scelta di esternalizzarne il soddisfacimento mediante il ricorso al mercato (e quindi all'aggiudicatario della convenzione Consip), piuttosto che all'autoproduzione del servizio, secondo uno schema che, in buona sostanza, è proprio della delibera a contrarre della procedura di evidenza pubblica. Nel caso in esame, tuttavia, la peculiarità è data dal contenuto, sostanzialmente vincolato, che la delibera assume con riferimento al soggetto chiamato ad eseguire la prestazione, essendo già stato selezionato a monte nell'ambito dell'accordo quadro stipulato con Consip. 6. Tenuto conto di quanto precede, il Collegio ritiene che la controversia in esame sia ricompresa nella giurisdizione del Giudice amministrativo. Nel presente giudizio, infatti, è in contestazione la modalità, ritenuta illegittima, di esercizio di un potere autoritativo in quanto l'Azienda ospedaliera ha deliberato di soddisfare il proprio fabbisogno, inerente alla pulizia e sanificazione degli ambienti, tramite il ricorso allo strumento convenzionale predisposto dalla Consip. Non può affermarsi, pertanto, che la controversia si radica su un rapporto paritario collocato a valle dell'evidenza pubblica, perché essa ha ad oggetto un atto che è espressione di un potere amministrativo che, a determinate condizioni, è stato vincolato dal legislatore con l'imposizione dell'obbligo di aderire agli accordi stipulati dalla Consip. Sotto questo aspetto, si rende necessario precisare che l'obbligo previsto dall'art. 1, comma 449, della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (ai sensi del quale "Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.") non esclude il carattere discrezionale della scelta operata dall'Azienda ospedaliera: quest'ultima, infatti, è obbligata ad aderire alle convenzioni Consip soltanto qualora abbia preliminarmente valutato di non poter provvedere con i propri mezzi al soddisfacimento del bisogno, decidendo quindi di rivolgersi al mercato e, soprattutto, soltanto qualora non siano utilizzabili convenzioni regionali per quello specifico bisogno. Ne consegue che, anche a fronte del dato normativo innanzi riportato, emerge con ogni evidenza il carattere discrezionale e autoritativo che permea la delibera di adesione alla Convenzione. Tale carattere, peraltro, risulta ancora più evidente nel caso in esame, in cui l'Azienda ospedaliera, mediante una comparazione di interessi, ha ritenuto di aderire alla convenzione, decidendo di non attendere gli esiti della gara in corso di svolgimento da parte di Azienda Ze., che dovrà procedere alla nomina di una nuova commissione di gara in ottemperanza alle già citate sentenze di questo Tribunale n. 2023 e n. 2024 del 29 dicembre 2023. 7. A conclusioni difformi si deve pervenire, in punto di giurisdizione, con riferimento alla domanda con cui la ricorrente ha chiesto la declaratoria di illegittimità o inefficacia della convenzione stipulata tra la Consip e la Du. in data 18 dicembre 2020. Sul punto il Collegio ritiene che si tratti di una convenzione privatistica, stipulata tra le parti in condizioni di parità all'esito della procedura ad evidenza pubblica che aveva determinato l'aggiudicazione della gara in favore della Du.. Tramite tale convenzione le parti hanno stabilito le condizioni generali del contratto che le singole Amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura e gli obblighi assunti dal fornitore del servizio. Inoltre, il Collegio condivide l'osservazione, dirimente, formulata dalle Amministrazioni resistenti e dalla controinteressata, per la quale il legislatore consente al Giudice amministrativo di pronunciarsi sull'efficacia del contratto stipulato a valle dell'aggiudicazione soltanto nell'ipotesi in cui venga annullata l'aggiudicazione, che, invece, nel caso in esame non è stata impugnata dalla ricorrente. Ne consegue che la domanda dev'essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, fermo restando che la stessa potrà essere riproposta dinanzi al Giudice ordinario ai sensi dell'articolo 11 cod. proc. amm. Tale declaratoria di difetto di giurisdizione evidentemente assorbe l'eccezione di incompetenza di questo Tribunale, sollevata dalla Difesa erariale. 8. Affermata la giurisdizione di questo Tribunale nei limiti ora indicati, il Collegio ritiene che il ricorso non sia supportato da un interesse diretto e attuale ad agire. È opportuno ricordare che, nel giudizio amministrativo, "la legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non è preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì a tutelare la posizione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura; qualsiasi ricorso deve, quindi, fondarsi su un interesse ad agire; l'esistenza di tale interesse presuppone che l'annullamento dell'atto impugnato possa, di per sé, procurare un beneficio al ricorrente e tale interesse deve essere esistente ed effettivo non potendo riguardare una situazione futura e ipotetica" (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 5 aprile 2024, n. 3148). Nel caso di specie, la ricorrente ha affermato che il proprio interesse "non è costituito solo dall'essere l'attuale esecutore, ma anche dalle fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale o dei segmenti rilevanti della medesima (posto che tale riedizione non è stata ancora neanche avviata con la nomina di una nuova commissione). Inoltre, a ben vedere, la Consip potrebbe (e dovrebbe) risolvere la convenzione stipulata con Du.n, e scorrere la graduatoria. E Ma. è al secondo posto nella gara Consip, in relazione al lotto 12 di cui si discute". Ebbene, il Collegio ritiene che la qualifica di attuale esecutore del contratto per la pulizia e la sanificazione dei locali dell'Amministrazione non radichi in capo alla ricorrente un interesse attuale e concreto, a fronte della volontà dell'Azienda ospedaliera di aderire alla convenzione Consip, alla scadenza del contratto in vigore. Non può, infatti, ravvisarsi una situazione giuridica tutelabile in capo alla ricorrente all'ottenimento di un'ulteriore proroga del contratto, trattandosi di una facoltà che può essere liberamente esercitata dall'Amministrazione alle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto, né tantomeno l'esercizio o meno di tale facoltà (e la conseguente scelta di approvvigionarsi altrove per soddisfare il proprio bisogno) può configurare un pregiudizio patrimoniale ristorabile in via risarcitoria. Analogamente, l'interesse della ricorrente ad aggiudicarsi la futura gara regionale ha carattere puramente ipotetico e non si vede come l'adesione alla convenzione Consip da parte dell'Amministrazione resistente possa arrecare alla ricorrente medesima un pregiudizio concreto e attuale. Lo stesso può dirsi con riferimento all'interesse allo scorrimento della graduatoria della Convenzione Consip, posto che si tratta di Convenzione rispetto alla quale non si potrebbe rinnovare una richiesta di adesione in favore di un soggetto diverso dalla Du.. 9. In via subordinata, il Collerio ritiene comunque di precisare che, seppure si volesse ravvisare un interesse tutelabile in capo alla ricorrente, il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito. Ciò emerge da un dato fattuale, ossia dal rilievo per cui alla data in cui l'Azienda ospedaliera ha deliberato di aderire alla convenzione Consip, la Du. era pacificamente titolare anche del requisito della regolarità fiscale (a decorrere dal 29 giugno 2022). Ne consegue che in alcun modo il principio della continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla gara risulta violato nel caso di specie: l'aggiudicataria, infatti, ne era in possesso al termine della procedura Consip e anche nel momento in cui si è obbligata a svolgere le prestazioni in favore dell'Amministrazione aderente alla convenzione. Ciò che è accaduto medio tempore - ossia la provvisoria perdita del requisito di regolarità fiscale - non determina l'illegittimità della delibera di adesione dell'Azienda ospedaliera, che nel periodo considerato non era in alcun modo legata contrattualmente all'aggiudicataria, che era stata selezionata in modo legittimo dalla Consip, e quindi non era qualificabile in termini di affidataria del servizio, tenuta in quanto tale alla continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la fase di esecuzione del contratto. Questa prospettiva è avvalorata anche dalla pronuncia delle Sezioni Unite innanzi citata: se è vero, infatti, che l'adesione alla convenzione Consip è espressione di una valutazione di convenienza e di opportunità da parte dell'Azienda ospedaliera, quanto accaduto prima che quest'ultima si determinasse nel senso dell'adesione alla convenzione non può esserle opposto, perché attiene ad un procedimento che si è integralmente svolto fra altri soggetti. 10. Ne consegue che anche la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente sarebbe infondata nel merito, in ragione della legittimità dell'avversata delibera di adesione alla Convenzione. 11. Per le ragioni esposte il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, con conseguente assorbimento delle restanti eccezioni processuali sollevate dall'Azienda ospedaliera, dalla Consip e dalla controinteressata. 12. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti in ragione della novità e della particolare complessità della fattispecie esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara: - inammissibile per difetto di giurisdizione quanto alla domanda con cui è stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di illegittimità della convenzione stipulata tra la Consip e la Du., trattandosi di domanda ricompresa nella giurisdizione del Giudice ordinario; - inammissibile per carenza d'interesse quanto alle restanti domande proposte dalla ricorrente. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Polidori - Presidente Paolo Nasini - Primo Referendario Andrea Gana - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 576 del 2024, proposto da Ma. S.r.l., in proprio ed in qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con la Co. So. Soc. Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ad. e Fu. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Istituto On. Ve. - Istituto di Ri. e Cu. a Ca. Sc., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Consip S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Ze. della Re. Ve., non costituita in giudizio; Du. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Or. Co., Gi. Mo., Sa. St. Da. e Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione cautelare, - della delibera del Direttore Generale dell'Istituto On. Ve. n. 385 del 24 aprile 2024, avente il seguente oggetto: "Adesione alla convenzione Consip per l'affidamento dei "servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi del sistema sanitario nazionale" - lotto 12.", pubblicata sull'albo on line in data 26 aprile 2024 (CIG Master 60361482E8 / CIG derivato A0579D875C); nonché : - della richiesta preliminare di fornitura (Id. ordine n. 7786356) del giorno 8 marzo 2024 e dell'ordinativo di fornitura di numero e data non noti; - del diniego di autotutela, inviato alla ricorrente Ma. in data 3 maggio 2024; - di tutti gli atti presupposti, e di qualsivoglia ulteriore provvedimento antecedente e/o successivo; nonché - per la declaratoria, in via principale o incidentale, della illegittimità /inefficacia della convenzione Consip denominata Convenzione Servizio Sanitario Nazionale Lotto 12 (ID1460 c.d. convenzione "Pulizie SSN"), attivata il 29 aprile 2022; - per la declaratoria di inefficacia del contratto attuativo nelle more eventualmente stipulato; - per la condanna dell'Istituto On. Ve. al risarcimento del danno per equivalente nella misura da quantificare in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Istituto On. Ve., della Consip S.p.a. e della Du. Se. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 il dott. Carlo Polidori e uditi, per le parti, i difensori presenti come riportato nel verbale di udienza; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Ma. S.r.l. ha impugnato gli atti in epigrafe indicati deducendo, in fatto, che: - questo Tribunale con le sentenze n. 2023 e 2024 del 29 dicembre 2023 ha accolto i ricorsi avverso i provvedimenti di aggiudicazioni della gara, suddivisa in 13 lotti, indetta da Azienda Ze. per l'affidamento, tramite procedura aperta, del Servizio di pulizia e sanificazione a ridotto impatto ambientale in favore degli Enti aderenti all'iniziativa di acquisto, ivi compreso l'Istituto On. Ve.; - in pendenza del giudizio di appello Azienda Ze. non ha dato esecuzione alle citate sentenze, con le quali è stata ordinata la nomina di una nuova commissione di gara; - in data 5 aprile 2024 l'Istituto On. Ve. ha inviato alla controinteressata Du. Se. S.r.l. (di seguito Du.) e alla Consip S.p.A. una richiesta preliminare di fornitura in relazione alla Convenzione Servizio Sanitario Nazionale - Lotto 12, nota come convenzione "Pulizie SSN"; - essa, in qualità di attuale gestore del servizio di pulizia, ha prontamente segnalato all'Istituto On. Ve., che la Du. è risultata priva del requisito della regolarità fiscale, previsto a pena di esclusione dall'art. 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50/2016, con riferimento al periodo dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 (come accertato dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7/2024), con la conseguenza che, in applicazione del principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare, l'Amministrazione non potrebbe stipulare con tale società prima di compiere i necessari controlli relativi a tutto il periodo d'interesse; - ciononostante, l'Istituto On. Ve. ha ugualmente deciso di procedere alla stipula del contratto attuativo, mediante un apposito ordinativo di fornitura. - in data 3 maggio 2024 è pervenuto dall'Istituto On. Ve. il diniego di autotutela, in cui si legge quanto segue: "Trattandosi di una gara espletata dalla centrale di committenza Consip S.p.a, quindi il soggetto competente ed abilitato ad espletare i controlli sul possesso dei requisiti di cui all'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 e ss. mm. ii., la Scrivente Amministrazione non può che rimettersi alle determinazioni sul punto della stessa Consip S.p.a.. Pertanto si invita la spett.le ditta, qualora non avesse già provveduto, a comunicare alla centrale di committenza le osservazioni già trasmesse". Con l'unico motivo di impugnazione la ricorrente, premesso il proprio interesse alla proposizione del ricorso in quanto attuale esecutore del servizio di pulizia e per le "fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale", ha dedotto la violazione dell'art. 38 del decreto legislativo n. 163/2006, nonché il vizio di eccesso di potere per errore sui presupposti e travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà e ingiustizia grave e manifesta. Più nel dettaglio, la ricorrente ha evidenziato l'illegittimità dell'atto di adesione alla convenzione Consip stipulata in data 18 dicembre 2020, in quanto a quella data (e sino al 29 giugno 2022) la Du. era priva del requisito di regolarità fiscale con la conseguenza che tale carenza rileverebbe (precludendo la stipula del contratto) sino all'ultimo atto della procedura di affidamento, da individuare nell'ordinativo di fornitura con cui l'Istituto On. Ve., aderendo alla Convenzione Consip, ha disposto l'aggiudicazione del servizio. Inoltre, la violazione tributaria è stata commessa dalla Du. in misura superiore alla soglia di gravità prevista dal legislatore, con la conseguenza che si configura a suo carico una fattispecie immediatamente escludente senza alcuna discrezionalità in capo alla Stazione appaltante. 2. Si sono costituite la Consip, la Du. e l'Istituto On. Ve. per resistere al ricorso. In particolare la Consip, dopo aver evidenziato che l'Istituto On. Ve., in mancanza di una gara regionale, era obbligata ad aderire alla convenzione Consip, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione di questo Tribunale osservando che, considerata la legittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato in data 12 marzo 2020 dalla stessa Consip in favore della Du., le contestazioni inerenti all'adesione alla convenzione, alla costituzione e all'esecuzione del rapporto contrattuale tra gli Enti ordinanti e l'aggiudicataria devono essere conosciute esclusivamente dal Giudice ordinario, trattandosi di attività di natura privatistica a valle della procedura pubblicistica di scelta del contraente. Consip ha eccepito, altresì, l'incompetenza territoriale di questo Tribunale, osservando che il lotto n. 12 della convenzione ha carattere pluriregionale, nonché l'irricevibilità del ricorso, in quanto tardivamente proposto per contestare l'aggiudicazione definitiva disposta dalla stessa Consip in favore della Du. in data 12 marzo 2020, ossia quando quest'ultima era in possesso del requisito di regolarità fiscale. L'Istituto On. Ve. ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione della natura non provvedimentale degli atti impugnati, il proprio difetto di legittimazione passiva (non potendo essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice) e la carenza di un interesse attuale e concreto della Ma. alla proposizione del ricorso. Nel merito, l'Istituto On. Ve. ha contestato che l'atto di adesione alla Convenzione Consip sia qualificabile, come esposto dalla ricorrente, quale aggiudicazione finale, evidenziando come la procedura ad evidenza pubblica sia interamente gestita dalla Consip, che ha il compito di selezionare il miglior contraente per la fornitura di un determinato servizio, aggiudicandogli la gara e sottoscrivendo la convenzione con Consip che indica le condizioni generali degli obblighi da egli assunti in qualità di fornitore per le Amministrazioni interessate. La Du., premesso che essa ha impugnato la sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 7/2024 innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e/o di un interesse ad agire meritevole di tutela in capo a Ma.. Nel merito, la Du. ha evidenziato come l'aggiudicazione definitiva in proprio favore sia stata disposta da Consip in data 12 marzo 2020 e che tale atto - che costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica indetta dalla centrale di committenza - è legittimo perché l'aggiudicazione è stata disposta in data antecedente rispetto a quella in cui sarebbe maturata l'irregolarità fiscale evidenziata dalla Ma.. Infine, la Du. ha osservato che l'adesione alla convenzione da parte del l'Istituto On. Ve. si colloca in una fase negoziale e privatistica che non contempla la verifica da parte del soggetto aderente dei requisiti del fornitore, già selezionato da Consip nell'ambito di una procedura pubblicistica già conclusa. 3. All'udienza camerale del 22 maggio 2024 le parti hanno ampiamente discusso in ordine alla natura della procedura Consip e degli atti di adesione alla stessa. In particolare la ricorrente ha qualificato la convenzione Consip quale accordo quadro ai sensi dell'art. 59 del decreto legislativo n. 163/2006 che verrebbe aggiudicato soltanto al momento dell'ordinativo di fornitura da parte del singolo Ente aderente. Le Amministrazioni resistenti e la controinteressata hanno contestato tale tesi evidenziando la specialità delle convenzioni Consip, che hanno una loro autonoma base normativa rispetto al genus dell'accordo quadro ed hanno ribadito che il completamento della procedura ad evidenza pubblica è coinciso con l'aggiudicazione definitiva disposta dalla Consip in data 12 marzo 2020. 4. Il Collegio, previo avviso alle parti, ha trattenuto la causa in decisione, sussistendo i presupposti per una pronuncia in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.. 5. Preliminarmente occorre ricostruire la vicenda in esame alla luce di quanto è stato documentato dalle parti e dei dati pacificamente acquisiti in corso di causa. La Consip con provvedimento del 12 marzo 2020 ha comunicato alla Du. l'aggiudicazione definitiva della gara per "l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale", relativamente al lotto 12. Con successiva convenzione del 18 dicembre 2020 la Consip e la Du., in qualità di aggiudicatario e di fornitore del servizio, hanno stabilito, testualmente, le condizioni generali del contratto che le singole amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura. Nella convenzione le parti hanno specificato che la conclusione della convenzione stessa non implica alcun obbligo per le Amministrazioni o per la Consip di procedere "all'acquisto di quantitativi minimi o predeterminati di beni e/o servizi, bensì dà origine unicamente ad un obbligo del Fornitore di accettare, mediante esecuzione, fino a concorrenza dell'importo massimo stabilito, gli Ordinativi di Fornitura deliberati dalle Amministrazioni Pubbliche che utilizzano la presente Convenzione per l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale per le Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell'articolo 26, legge 23 dicembre 1999 n. 488 e s.m.i. e dell'articolo 58, legge 23 dicembre 2000 n. 388". Dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 la Du. è risultata priva del requisito di regolarità fiscale, a causa del mancato pagamento della somma di euro 27.000,00 (poi ridotta a euro 18.000,00), dovuti a titolo di contributo unificato. In data 24 aprile 2024 l'Istituto On. Ve. ha deliberato di aderire al lotto 12 della convenzione Consip, aggiudicato alla Du., con l'emissione del relativo ordinativo di fornitura. Ebbene, in questo quadro fattuale dev'essere esaminata preliminarmente l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata in giudizio dalle Amministrazioni resistenti e, anche se non in modo esplicito, anche dalla controinteressata. In base all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, la Consip ha il compito di stipulare, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, convenzioni con le quali il fornitore prescelto si impegna ad accettare ordinativi di fornitura deliberati dalle Pubbliche Amministrazioni interessate, sino alla concorrenza dell'importo massimo complessivo stabilito dalla convenzione medesima ed ai prezzi e alle condizioni generali prestabiliti. In questo quadro, l'art. 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), nel testo attualmente in vigore, stabilisce che "Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.". Quanto alle modalità di adesione alla convenzione Consip, l'Amministrazione interessata è tenuta a seguire il "processo di attivazione dei servizi oggetto della Convenzione Consip", procedendo all'emissione della richiesta preliminare di fornitura, alla sua accettazione e alla successiva emissione dell'ordinativo di fornitura. Sulla natura giuridica dell'atto di adesione ad una convenzione Consip hanno preso posizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi su una questione di giurisdizione sostanzialmente analoga a quella prospettata nel presente giudizio, nell'ambito di una controversia che vedeva anch'essa come parte un ente del SSN. In particolare le Sezioni Unite hanno osservato quanto segue: "(...) quando si adotta il modulo dell'accordo quadro, l'aggiudicatario - scelto con la procedura di evidenza pubblica che ha portato alla sua stipulazione ottiene gli appalti basati sull'accordo quadro in virtù di affidamenti diretti. É noto d'altro canto che gli affidamenti diretti sono consentiti "entro i limiti delle condizioni fissate nell'accordo quadro stesso" (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 54, comma 3), sicché allorquando, come nel caso in esame - ove si ricorderà il PTE predisposto da Getec era manchevole di taluni documenti significativi - si assume che l'affidamento sia avvenuto in deroga alle norme previste dall'accordo quadro, si è presenza di un affidamento illegittimo. Tale illegittimità può essere fatta valere esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo, al quale la trattazione delle controversie in materia di appalti pubblici conferiti mediante affidamenti diretti era già riconosciuta in via esclusiva dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 (Cass., Sez. U. 8/08/2012, n. 14260) (...) Si è già sopra precisato che gli atti a mezzo dei quali le amministrazioni interessate procedono al conferimento dell'incarico di servizio si configurano in forma di affidamento diretto. Ora non pare dubbio che, nell'operare in tale forma, l'amministrazione conferente non sia affatto vincolata in forza dell'intervenuta stipulazione della convenzione, giacché questa non configura un obbligo, ma solo un'opportunità . L'amministrazione interessata resta, infatti, libera di determinarsi, di fronte all'opportunità prefigurata dalla convenzione quadro, secondo la sua discrezionalità, potendovi aderire ovvero potendo optare, come pure l'esperienza concreta insegna, per una diversa soluzione parimenti giudicata vantaggiosa. Nell'uno e nell'altro caso essa esercita, nella facoltà di scelta di fruizione dei vantaggi offerti dalla convenzione mediante o meno adesione ad essa, il proprio potere d'autorità, con la conseguenza che del legittimo esercizio di esso, anche in difetto della competenza esclusiva attribuitagli dalla legge, potrà conoscere solo il giudice amministrativo. Anche sotto questa angolazione non vi e, dunque, ragione di dubitare della giurisdizione del giudice già adito" (Cassazione civile, Sez. un., 30 novembre 2022, n. 35335). Secondo tale ricostruzione l'atto di adesione ad una convenzione Consip rappresenta l'esito di una valutazione comparativa di interessi con la quale l'Amministrazione, nell'esercizio della sua discrezionalità, individua la soluzione maggiormente vantaggiosa per il soddisfacimento del suo bisogno. Ciò sta a significare che la delibera di adesione alla convenzione si caratterizza - come nel caso in esame emerge anche dalla lettura dell'atto di adesione adottato dall'Istituto On. Ve. - per la spendita di un potere autoritativo da parte dell'Amministrazione, la quale provvede in primo luogo alla ricognizione del proprio fabbisogno e alla scelta di esternalizzarne il soddisfacimento mediante il ricorso al mercato (e quindi all'aggiudicatario della convenzione Consip), piuttosto che all'autoproduzione del servizio, secondo uno schema che, in buona sostanza, è proprio della delibera a contrarre della procedura di evidenza pubblica. Nel caso in esame, tuttavia, la peculiarità è data dal contenuto, sostanzialmente vincolato, che la delibera assume con riferimento al soggetto chiamato ad eseguire la prestazione, essendo già stato selezionato a monte nell'ambito dell'accordo quadro stipulato con Consip. 6. Tenuto conto di quanto precede, il Collegio ritiene che la controversia in esame sia ricompresa nella giurisdizione del Giudice amministrativo. Nel presente giudizio, infatti, è in contestazione la modalità, ritenuta illegittima, di esercizio di un potere autoritativo in quanto l'Istituto On. Ve. ha deliberato di soddisfare il proprio fabbisogno, inerente alla pulizia e sanificazione degli ambienti, tramite il ricorso allo strumento convenzionale predisposto dalla Consip. Non può affermarsi, pertanto, che la controversia si radica su un rapporto paritario collocato a valle dell'evidenza pubblica, perché essa ad oggetto un atto che è espressione di un potere amministrativo che, a determinate condizioni, è stato vincolato dal legislatore con l'imposizione dell'obbligo di aderire agli accordi stipulati dalla Consip. Sotto questo aspetto, si rende necessario precisare che l'obbligo previsto dall'art. 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (ai sensi del quale "Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.") non esclude il carattere discrezionale della scelta operata dall'Istituto On. Ve.: quest'ultimo, infatti, è obbligato ad aderire alle convenzioni Consip soltanto qualora abbia preliminarmente valutato di non poter provvedere con i propri mezzi al soddisfacimento del bisogno, decidendo quindi di rivolgersi al mercato e, soprattutto, soltanto qualora non siano utilizzabili convenzioni regionali per quello specifico bisogno. Ne consegue che, anche a fronte del dato normativo innanzi riportato, emerge con ogni evidenza il carattere discrezionale e autoritativo che permea la delibera di adesione alla Convenzione. Tale carattere, peraltro, risulta ancora più evidente nel caso in esame, in cui l'Istituto On. Ve., mediante una comparazione di interessi, ha ritenuto di aderire alla convenzione, decidendo di non attendere gli esiti della gara in corso di svolgimento da parte di Azienda Ze., che dovrà procedere alla nomina di una nuova commissione di gara in ottemperanza alle già citate sentenze di questo Tribunale n. 2023 e n. 2024 del 29 dicembre 2023. 7. A diverse conclusioni si deve pervenire, sempre in punto di giurisdizione, con riferimento alla domanda con cui la ricorrente ha chiesto la declaratoria di illegittimità o inefficacia della convenzione stipulata tra la Consip e la Du. in data 18 dicembre 2020. Sul punto il Collegio ritiene che si tratti di una convenzione privatistica, stipulata tra le parti in condizioni di parità all'esito della procedura ad evidenza pubblica che aveva determinato l'aggiudicazione della gara in favore della Du.. Tramite tale convenzione le parti hanno stabilito le condizioni generali del contratto che le singole Amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura e gli obblighi assunti dal fornitore del servizio. Inoltre, il Collegio condivide l'osservazione, dirimente, formulata dalle Amministrazioni resistenti e dalla controinteressata, per la quale il legislatore consente al Giudice amministrativo di pronunciarsi sull'efficacia del contratto stipulato a valle dell'aggiudicazione soltanto nell'ipotesi in cui venga annullata l'aggiudicazione, che, invece, nel caso in esame non è stata impugnata dalla ricorrente. Ne consegue che la domanda dev'essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, fermo restando che la stessa potrà essere riproposta dinanzi al Giudice ordinario, ai sensi dell'articolo 11 cod. proc. amm.. Tale declaratoria di difetto di giurisdizione evidentemente assorbe l'eccezione di incompetenza di questo Tribunale sollevata dalla Difesa erariale. 8. Affermata la giurisdizione di questo Tribunale nei limiti ora indicati, il Collegio ritiene che il ricorso non sia supportato da un interesse diretto e attuale ad agire. È opportuno ricordare che, nel giudizio amministrativo, "la legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non è preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì a tutelare la posizione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura; qualsiasi ricorso deve, quindi, fondarsi su un interesse ad agire; l'esistenza di tale interesse presuppone che l'annullamento dell'atto impugnato possa, di per sé, procurare un beneficio al ricorrente e tale interesse deve essere esistente ed effettivo non potendo riguardare una situazione futura e ipotetica" (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 5 aprile 2024, n. 3148). Nel caso di specie, la ricorrente ha affermato che il proprio interesse "non è costituito solo dall'essere l'attuale esecutore, ma anche dalle fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale o dei segmenti rilevanti della medesima (posto che tale riedizione non è stata ancora neanche avviata con la nomina di una nuova commissione). Inoltre, a ben vedere, la Consip potrebbe (e dovrebbe) risolvere la convenzione stipulata con Du., e scorrere la graduatoria. E Ma. è al secondo posto nella gara Consip, in relazione al lotto 12 di cui si discute". Ebbene, il Collegio ritiene che la qualifica di attuale esecutore del contratto per la pulizia e la sanificazione dei locali dell'Amministrazione non radichi in capo alla ricorrente un interesse attuale e concreto, a fronte della volontà dell'Istituto On. Ve. di aderire alla convenzione Consip, alla scadenza del contratto in vigore. Non può, infatti, ravvisarsi una situazione giuridica tutelabile in capo alla ricorrente all'ottenimento di un'ulteriore proroga del contratto, trattandosi di una facoltà che può essere liberamente esercitata dall'Amministrazione alle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto, né tantomeno l'esercizio o meno di tale facoltà (e la conseguente scelta di approvvigionarsi altrove per soddisfare il proprio bisogno) può configurare un pregiudizio patrimoniale ristorabile in via risarcitoria. Analogamente, l'interesse della ricorrente ad aggiudicarsi la futura gara regionale ha carattere puramente ipotetico e non si vede come l'adesione alla Convenzione Consip da parte dell'Amministrazione resistente possa arrecare alla ricorrente medesima un pregiudizio concreto e attuale. Lo stesso può dirsi con riferimento all'interesse allo scorrimento della graduatoria della Convenzione Consip, posto che si tratta di Convenzione rispetto alla quale non si potrebbe rinnovare una richiesta di adesione in favore di un soggetto diverso dalla Du.. 9. In via subordinata, il Collegio ritiene comunque di precisare che, seppure si volesse ravvisare un interesse tutelabile in capo alla ricorrente, il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito. Ciò emerge da un dato fattuale, ossia dal rilievo per cui alla data in cui l'Istituto On. Ve. ha deliberato di aderire alla convenzione Consip, la Du. era pacificamente titolare anche del requisito della regolarità fiscale (a decorrere dal 29 giugno 2022). Ne consegue che in alcun modo il principio della continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla gara risulta violato nel caso di specie: l'aggiudicataria, infatti, ne era in possesso al termine della procedura Consip e anche nel momento in cui si è obbligata a svolgere le prestazioni in favore dell'Amministrazione aderente alla convenzione. Ciò che è accaduto medio tempore - ossia la provvisoria perdita del requisito di regolarità fiscale - non determina l'illegittimità della delibera di adesione dell'Istituto On. Ve., che nel periodo considerato non era in alcun modo legata contrattualmente all'aggiudicataria, che era stata selezionata in modo legittimo dalla Consip, e quindi non era qualificabile in termini di affidataria del servizio, tenuta in quanto tale alla continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la fase di esecuzione del contratto. Questa prospettiva è avvalorata anche dalla pronuncia delle Sezioni Unite innanzi citata: se è vero, infatti, che l'adesione alla convenzione Consip è espressione di una valutazione di convenienza e di opportunità da parte dell'Istituto On. Ve., quanto accaduto prima che quest'ultima si determinasse nel senso dell'adesione alla convenzione non può esserle opposto, perché attiene ad un procedimento che si è integralmente svolto fra altri soggetti. 10. Ne consegue che anche la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente sarebbe infondata nel merito, in ragione della legittimità dell'avversata delibera di adesione alla Convenzione. 11. In definitiva, per le ragioni esposte il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, con conseguente assorbimento delle restanti eccezioni processuali sollevate dall'Istituto On. Ve., dalla Consip e dalla controinteressata. 12. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti in ragione della novità e della particolare complessità della fattispecie esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 576 del 2024, lo dichiara: - inammissibile per difetto di giurisdizione quanto alla domanda con cui è stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di illegittimità della convenzione stipulata tra la Consip e la Du., trattandosi di domanda ricompresa nella giurisdizione del Giudice ordinario; - inammissibile per carenza d'interesse quanto alle restanti domande proposte dalla ricorrente. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Polidori - Presidente, Estensore Paolo Nasini - Primo Referendario Andrea Gana - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 362 del 2023, proposto da El. Sa., rappresentata e difesa dall'avvocato El. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis) sull'istanza presentata in data 29 dicembre 2022 di avvio del procedimento volto all'approvazione della variante al Piano Ambientale del Parco dei Colli Euganei necessaria per proseguire nell'iter dell'accordo di programma sul progetto strategico turistico di cui alla delibera della Giunta Regionale n. 1770 del 2 novembre 2016 e dell'obbligo del Comune di provvedere in relazione alla suddetta istanza; nonché per la conseguente condanna del medesimo ente ad assumere un provvedimento espresso, entro e non oltre il termine di trenta giorni, con richiesta, ai sensi dell'art. 117, comma 3 c.p.a., di nominare un commissario ad acta per il caso di inerzia; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2023 la dott.ssa Elena Garbari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La Signora El. Sa. propone ricorso ai sensi degli articoli 31 e 117 del codice di rito avverso il silenzio serbato dal Comune di (omissis) sulla sua istanza del 29 dicembre 2022 di avvio del procedimento diretto all'approvazione della Variante al Piano ambientale del Parco dei Colli Euganei, necessaria per proseguire nell'iter di approvazione dell'accordo di programma sul progetto strategico turistico cui la ricorrente ha interesse. Espone la deducente: - di aver proposto alla Regione Veneto un accordo di programma ex art. 26, comma 2 ter della l.r. del Veneto 23/04/2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio) per la realizzazione, sul terreno di sua proprietà nel Comune di (omissis), di un progetto strategico turistico riguardante un'area adibita a servizi dell'anello ciclo-turistico dei Colli Euganei, che prevede il completamento dell'esistente pista ciclabile e la realizzazione di una nuova zona residenziale; - che la Giunta regionale, acquisita la positiva valutazione del Comitato per la Valutazione Tecnica Regionale, con delibera 2 novembre 2016, n. 1770 ha riconosciuto l'interesse strategico turistico della proposta, dando avvio al procedimento per la stipula dell'Accordo di programma tra Regione, Comune e privata interessata; - che tale proposta rientra nella clausola di salvaguardia di cui alla legge regionale 10/2021, che ha abrogato le norme sugli accordi strategici turistici facendo però salve le procedure avviate per le quali, alla data di entrata in vigore della legge, la Regione aveva già riconosciuto l'interesse strategico; - che il progetto risulta incompatibile con le previsioni del Piano Ambientale del Parco, comportando l'edificazione in un'area attualmente classificata come Zona di promozione agricola (non modificabile con variante parziale), e richiede pertanto, oltre ad una modifica degli strumenti urbanistici, ovvero del Piano di Assetto del territorio (PAT) e del Piano degli Interventi (PI), anche una Variante generale al predetto Piano Ambientale (PA), la cui adozione è rimessa al Consiglio dell'Ente Parco e l'approvazione al Consiglio regionale; - che in ragione della competenza consiliare all'approvazione di tale strumento di pianificazione la Regione ha chiarito che la procedura di variante al Piano Ambientale non può essere realizzata attraverso l'accordo di programma, che è invece demandato alla Giunta Regionale e può comportare solo la variazione degli strumenti urbanistici; - che il Comune di (omissis) nel dicembre del 2017 ha inviato all'Ente Parco una proposta di variante urbanistica ai fini della predisposizione della necessaria variante generale al Piano Ambientale, ma tale istanza non ha avuto seguito perché il Commissario straordinario dell'Ente, all'epoca in carica, si è dichiarato incompetente, ritenendo tale atto esorbitante dai suoi poteri di ordinaria amministrazione; successivamente l'amministrazione comunale, nonostante i ripetuti solleciti del privato e l'individuazione della sua competenza all'iniziativa per l'iter della variante al Piano sia da parte del Parco che della Regione, non ha assunto alcun provvedimento, né ha riscontrato la formale istanza della ricorrente del 29 dicembre 2022. Tanto premesso l'esponente denuncia l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune per violazione del termine di 30 giorni per la conclusione del procedimento di cui all'articolo 2 della legge 241/1990 nonché dei principi di buon andamento e di buona fede ex art. 97 Cost. e chiede al TAR di assumere conseguente declaratoria, accertando l'obbligo del Comune di provvedere sulla sua istanza, concludendo l'iter. Si è costituito per resistere al ricorso il Comune di (omissis), eccependo plurimi profili di inammissibilità del ricorso: - per carenza della condizione processuale del silenzio o dell'inerzia rispetto ad un'istanza procedimentale, in quanto l'amministrazione con nota sindacale del 4 novembre 2022 si sarebbe già pronunciata sull'istanza di variante al Piano degli Interventi proposta dalla ricorrente (e preliminare alla congruente successiva modifica al PA), dichiarandone l'irricevibilità ai sensi dell'art. 17 della l.r. 11/2004 per contrasto della stessa con il PAT; - per insussistenza di un obbligo procedimentale in capo all'amministrazione civica, atteso che quello del Progetto strategico è un procedimento integralmente gestito dalla Regione e il Comune non ha titolo a dare impulso alla procedura di Variante al Piano del Parco; - per inconfigurabilità di un obbligo di provvedere rispetto a scelte pianificatorie, ampiamente discrezionali anche nell'an; - per intervenuta abrogazione dell'art. 26 della L.R. 11/2004. Con ordinanza collegiale 3 luglio 2023, n. 934 è stata disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione Veneto e del Parco regionale dei Colli Euganei, onerandone la ricorrente. Pur ritualmente notificate tali amministrazioni non si sono costituite in giudizio. Nelle difese depositate in prossimità della discussione del gravame il Comune di (omissis) ha sostenuto che dall'ordinanza di integrazione del contraddittorio sarebbe desumibile l'inammissibilità del ricorso, sia che la Regione Veneto ed il Parco siano qualificabili come controinteressati (essendo possibile l'integrazione del contraddittorio, a termini dell'articolo 49 c.p.a., solo ove il ricorso sia originariamente proposto almeno nei confronti di un controinteressato) sia che siano amministrazioni titolari dell'obbligo di provvedere, perché nel ricorso si chiede unicamente l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis), sicché nessuna statuizione può essere pronunciata dal TAR nei confronti di altre amministrazioni. La causa è stata chiamata alla Camera di Consiglio del 5 ottobre 2023 ed è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Vanno preliminarmente scrutinate le eccezioni in rito sollevate dal Comune di (omissis). Anzitutto è destituita di fondamento l'eccezione di difetto di presupposto processuale dell'azione ex art. 117 c.p.a, in tesi collegata alla carenza del requisito del silenzio rispetto ad un obbligo di provvedere posto in capo all'amministrazione civica. In disparte l'indiscussa discrezionalità del potere pianificatorio comunale, di cui si dirà oltre, va evidenziato infatti che - a fronte della formale istanza della ricorrente - la nota del Sindaco richiamata dalla difesa di parte resistente non costituisce un atto di rigetto, sia in quanto proveniente da organo diverso da quello competente alla pianificazione, sia perché avente un contenuto meramente interlocutorio. La nota sindacale del 4 novembre 2022, infatti, si limita a sostenere l'impossibilità giuridica per il Comune di adottare una variante al Piano degli interventi, come richiesto dall'ente Parco ai fini dell'attivazione della procedura di variante al Piano Ambientale, prospettando alla richiedente l'opzione alternativa della modifica di tale Piano tramite la stipula dell'accordo di programma ovvero la decadenza del progetto. Va parimenti disattesa l'eccezione di inammissibilità per abrogazione della legge istitutiva dei progetti turistici strategici, rientrando il caso di specie nella clausola di salvaguardia di cui all'articolo 2 della legge regionale 10/2021, secondo cui i progetti "già presentati in Regione per i successivi adempimenti e per i quali sia intervenuta all'entrata in vigore della presente legge la deliberazione della Giunta regionale che dichiara e conferma la natura strategica del progetto nel rispetto delle procedure di cui alle deliberazioni della Giunta regionale n. 450 del 7 aprile 2015 (...) fatte salve le fasi procedimentali e gli adempimenti già svolti, possono concludersi (...)". Deve essere respinta anche l'eccezione di inammissibilità per mancata originaria notifica del ricorso alle amministrazioni destinatarie dell'integrazione del contraddittorio disposta da questo TAR. Invero tali enti non sono in alcun modo qualificabili come controinteressati al ricorso, non essendo titolari di un interesse contrario a quello di parte ricorrente, né sono le Amministrazioni tenute a provvedere sull'istanza, come asserito dalla parte resistente. Si tratta però di Amministrazioni coinvolte nell'iter di approvazione e attuazione del progetto strategico che proprio il Comune, costituendosi in giudizio, ha dichiarato competenti a procedere alla richiesta variante al Piano Ambientale, sicché la loro evocazione in giudizio è stata disposta non in qualità di parti necessarie, ma quali Enti interessati al progetto e opportunamente da notiziare ai fini di un eventuale intervento in giudizio. Per quanto concerne la dedotta inammissibilità del ricorso per incoercibilità del potere pianificatorio, il Collegio non intende discostarsi dal principio generale secondo cui va di regola escluso, con riguardo agli atti di pianificazione urbanistica, connotati da ampia discrezionalità nell'an e nel quomodo, la configurabilità di un obbligo di provvedere dell'amministrazione. Tale regola generale è stata infatti ripetutamente affermata rispetto agli atti di carattere generale, rispetto ai quali non è configurabile un interesse qualificato dal privato (ex multis TAR Veneto, Sez. II, 6 ottobre 2021, n. 1177 citata dalla parte resistente). Nel caso di specie occorre peraltro evidenziare la peculiare specificità dell'iter di cui è questione, avviato originariamente dalla ricorrente proprio tramite il Comune, nonché della posizione di cui è titolare la Signora Sa., particolarità che consentono nel caso concreto di discostarsi dall'evocato principio generale, quanto meno sotto il profilo dell'obbligo per l'amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso anche, ove lo ritenga, rigettando la domanda di avvio dell'iter di adozione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali prodromiche alla variante generale al Piano Ambientale del Parco, essendosi allo stato l'amministrazione comunale espressa solo in termini procedurali e non nel merito (nota sindacale del 4 novembre 2022). Infatti va evidenziato che su proposta della ricorrente l'iter per l'approvazione dell'accordo di programma è stato avviato per impulso dello stesso Comune (che in data 1 giugno 2016 ha trasmesso alla Regione l'istanza di attivazione del progetto strategico turistico, allegando la valutazione del progetto la cui strategicità era stata riconosciuta a livello locale nella riunione con le Associazioni di Categoria, chiedendo la prosecuzione dell'iter), che l'interesse strategico del progetto è stato espressamente riconosciuto dalla Regione, che ha poi invitato il Comune ad attivarsi per promuovere le necessarie verifiche (o, eventuali, modifiche) di compatibilità con il Piano ambientale, che è stata già effettuata l'istruttoria di merito del progetto, ostacolato poi solo dall'individuazione del corretto iter di approvazione delle necessarie modifiche degli strumenti pianificatori. Tali circostanze hanno ingenerato nella ricorrente un affidamento qualificato, rispetto al quale si ritiene sussista nel peculiare caso specifico un obbligo per l'amministrazione resistente di riscontrare l'istanza di avvio del procedimento di variante urbanistica con un provvedimento espresso, nel rispetto dei principi di buona amministrazione e di certezza del diritto. Infatti secondo un orientamento giurisprudenziale altrettanto consolidato "l'obbligo di provvedere sussiste, non solo, in tutti i casi in cui il diritto di iniziativa procedimentale sia accordato da espresse disposizioni di legge, ma anche, allorquando l'Amministrazione si sia a ciò vincolata, come deve ritenersi nel caso in esame, in ragione dello stato di avanzamento procedimentale, verificandosi, pertanto, l'ipotesi in cui l'interessato è titolare di un interesse differenziato e qualificato ad un bene della vita per il cui conseguimento è necessario l'esercizio del potere amministrativo (...)" (T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 31/03/2023, n. 582). Va evidenziato come dal copioso scambio di corrispondenza intercorso tra il Comune medesimo, l'ente Parco e la Regione emerge che in un primo momento il Comune aveva già chiesto al Parco di adottare una variante al Piano Ambientale ai fini della prosecuzione dell'iter procedurale, ma il commissario straordinario all'epoca in carica aveva ritenuto di non disporre dei necessari poteri, considerandoli esorbitanti dall'ordinaria amministrazione (nota 7 marzo 2018), tanto che lo stesso Parco con nota del 20 aprile 2018 aveva chiesto alla Regione di valutare la nomina di un commissario ad acta. Inoltre sotto il profilo della dedotta impossibilità giuridica di approvazione di una variante al Piano degli Interventi contrastante con il PAT e il PA, va evidenziato che l'amministrazione comunale, ove lo ritenga, ben può adottare una variante al PI e una contestuale variante al PAT (la cui approvazione è poi demandata alla Provincia), restando l'approvazione definitiva di tali atti subordinata al previo adeguamento del Piano Ambientale. Tale ricostruzione trova conforto nell'iter di approvazione della variante al Piano Ambientale come disciplinata dal regolamento del Parco e dalle NTA del Piano: le NTA (art. 4) prevedono, infatti, che "2. In sede di formazione o di adeguamento degli strumenti urbanistici, i Comuni sono tenuti a rispettare gli indirizzi indicati dal P.A., specificandone le determinazioni sulla base di opportuni approfondimenti. Qualora le determinazioni degli strumenti urbanistici contrastino con le previsioni del P.A., la loro approvazione è subordinata alla preventiva approvazione delle necessarie varianti al P.A., ai sensi dell'articolo 7 della legge istitutiva."; il regolamento generale del Parco prevede poi all'articolo 131 che "Nel caso in cui esistano difformità tra il P.R.G. adottato dal Comune ed il P.A. l'invio presso l'Ente del P.R.G. o di sue varianti, viene considerata a tutti gli effetti come richiesta di variante al P.A.". Per le considerazioni premesse il ricorso va accolto con conseguente accertamento dell'illegittimità del silenzio sull'istanza della ricorrente e dell'obbligo per il Comune di (omissis) di esprimersi motivatamente sulla stessa entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, accerta l'illegittimità del silenzio e l'obbligo per il Comune di (omissis) di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Condanna l'amministrazione resistente alla refusione alla ricorrente delle spese di lite, che liquida in 1.500,00 (millecinquecento/00) euro, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Grazia Flaim - Presidente Elena Garbari - Primo Referendario, Estensore Andrea Rizzo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 355 del 2015, proposto da Fr. Ce., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Venezia, con digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento della giusta entità, pro- quota di spettanza dell'Amministrazione Comunale, dell'importo dovuto a titolo di oblazione per il rilascio della concessione in sanatoria per la costruzione di un solaio intermedio e per il cambio di destinazione d'uso con opere (limitatamene al primo piano) da annesso rustico a commerciale dell'immobile sito in Comune di (omissis), Sezione (omissis), Foglio (omissis), Particella (omissis) come da domanda presentata dalla Sig.ra Ce. Fr. al Comune di (omissis) in data 10.12.2004, prot. n. 22995, nonché per la restituzione della somma di Euro 15.259.80 oltre ì interessi dal dovuto al saldo in quanto versata in eccedenza e per l'annullamento del diniego di restituzione della predetta somma di Euro 15.259,80 opposto dal Comune di (omissis) con determinazione prot. n. 23666 del 19.12.2014 e di ogni altra determinazione presupposta, connessa o conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2023 il dott. Marco Rinaldi e uditi per le parti i difensori Bo. e, in sostituzione dell'avv. Sa., Pi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO L'odierna ricorrente, in data 10 dicembre 2004, presentava al Comune di (omissis) domanda per il rilascio della concessione in sanatoria per la costruzione di un solaio intermedio e per il cambio di destinazione d'uso con opere (limitatamente al primo piano) da annesso rustico ad uso commerciale dell'immobile sito in Comune di (omissis), Sezione (omissis), Foglio (omissis), Particella (omissis). Per l'effetto la Sig.ra Ce. Fr. versava il complessivo importo di Euro 93.696,00 a titolo di oblazione per la concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, ai sensi dell'art. 32 D.L. n. 269/2003. In particolare la ricorrente versava inizialmente l'importo di Euro 53.760,00 e successivamente, a seguito della richiesta prot. n. 12637/2007 del Comune di (omissis) l'ulteriore somma di Euro 39.936,00, di cui Euro 19.968,00 per quota dovuta allo Stato e Euro 19.968,00 per quota dovuta al Comune. Con il ricorso all'esame la Sig.ra Ce. Fr. sostiene che avrebbe invece dovuto versare a titolo di oblazione solamente la somma di Euro 63.176,40 e non invece quella di Euro 93.696,00 e di aver quindi versato in eccedenza Euro 30.159,60. Secondo la ricorrente l''importo dovuto a titolo di oblazione - diversamente da quanto imposto e preteso dal Comune di (omissis) - avrebbe infatti dovuto essere calcolato applicando i seguenti criteri: a) quanto al piano terra dell'edificio (superficie totale di mq 329,08) - trattandosi di modifica di destinazione d'uso senza opere - applicando la tipologia 6 ex art. 4 L.R. Veneto 21/2004 (Euro 516,00 "una tantum") per i primi 100 mq e la tipologia 3 ex art. 4 L.R. Veneto 21/2004 (Euro 80,00 al mq) per la residua porzione, pari a mq 229,08 e così complessivamente Euro 18.842,40 (229,08 x Euro 80,00 = Euro 18.326,40 + Euro 516,00= Euro 18.842,40); b) quanto al piano primo (trattandosi di superficie aggiuntiva pari a mq 295,56 realizzata in difformità, senza aumento del volume) applicando il parametro di cui alla tipologia 1 tabella c) pari a Euro 150,00 al mq: e così complessivamente 44.334,00. E così, complessivamente (a) + b)) pari ad Euro 63.176.40. Con domanda del 22 gennaio 2013, la Sig.ra Ce. Fr. chiedeva pertanto allo Stato il rimborso della maggior somma indebitamente corrisposta a titolo di oblazione e pari ad Euro 30.519,60. Con nota prot. n. 1622 del 6 febbraio 2013, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (competente per l'istruttoria della pratica) informava tuttavia la Signora Ce. che - dell'importo di Euro 39.936,00 corrisposti a seguito della richiesta prot. 12637/07 del Comune - soltanto Euro 19.968,00 erano stati versati allo Stato, mentre i restanti Euro 19.968,00 erano stati incassati dal Comune di (omissis), sicchè lo Stato poteva procedere al rimborso solamente di Euro 15.259,80 (pari ad Euro 19.968,00 - 4.708,20 in quanto effettivamente dovuti). Con nota prot. 3481 del 14 marzo 2013 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - nell'avviare la procedura contabile per il rimborso della quota di 15.259,80 di pertinenza dello Stato - riconosceva la fondatezza del diritto al rimborso vantato dalla richiedente e precisava testualmente: " la pratica è corredata da idonea documentazione e, per ciò che risulta dai dati in possesso di questa Amministrazione, non emergono elementi in contrasto con quanto dichiarato dall'interessata e pertanto si esprime parere favorevole al pagamento della somma". In data 21.02.2013 la Sig.ra Ce. Fr. presentava quindi nuova istanza di rimborso parziale delle somme pagate al Comune di (omissis) a titolo di oblazione per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, al fine di vedersi restituire l'importo di 15.259,80 indebitamente corrisposto al Comune. Con nota prot. n. 8409 del 03.05.2013 il Comune resistente comunicava, ai sensi dell'art. 10 bis della L. 241/1990, i motivi per cui la suddetta istanza di parziale rimborso non avrebbe potuto essere accolta, in particolare ritenendo che: - l'abuso commesso dall'odierna ricorrente rientrerebbe (ad opinione del Comune) nella "tipologia n. 1" delle categorie di opere abusive suscettibili di sanatoria previste dalla legge (all. 1 D.L. n. 269/2003), in quanto si tratterebbe di un abuso di carattere sostanziale, commesso in contrasto con le norme urbanistiche e con le prescrizioni degli strumenti urbanistici; -l'importo dovuto a titolo di oblazione per il "condono edilizio" dovrebbe ritenersi pertanto pari ad Euro 93.696,00, ai sensi di quanto disposto dal D.L. n. 269/2003; - la ricorrente avrebbe erroneamente inquadrato gli abusi commessi nella "tipologia n. 3" riguardante le "opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio", distinguendo superfici diverse, al fine di poter applicare le disposizioni di cui all'art. 4, co. 2, lett. b, L. R. 21/2004 relative alla modifica della destinazione d'uso senza opere; - l'istanza di rimborso presentata dalla ricorrente si fonderebbe unicamente su tale diversa classificazione (rispetto a quella data dal Comune) degli abusi e non invece su un errato conteggio delle somme dovute a titolo di oblazione per il rilascio della concessione in sanatoria; - pertanto l'istanza di parziale rimborso non poteva essere accolta. Con comunicazione pec del 13.05.203 la Sig.ra Ce. Fr., per il tramite del proprio legale, contestava tutto quanto esposto dal Comune di (omissis) nella nota suddetta pec, evidenziando che: - a prescindere dalla classificazione della tipologia dell'abuso edilizio, l'art. 32 del D.L. n. 269/2003 prevedeva che i limiti e le modalità per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria sono fissati anche dalle normative regionali; - la Regione Veneto, all'art. 4 della L. 21/2004, ha espressamente previsto specifiche disposizioni in materia di "determinazione dell'oblazione e degli oneri concessori" nel caso di mutamento di destinazione d'uso sia senza opere, sia con opere; - il caso di specie riguarda sia la modifica di destinazione d'uso senza opere (al piano terra), sia la modifica di destinazione d'uso con opere (relativa al primo piano); - trattandosi di materia a potestà legislativa concorrente la normativa da applicare è quella regionale, in quanto prevalente sulle disposizioni nazionali di principio; -la richiesta di pagamento di Euro 93.696,00, conteggiati esclusivamente in base a quanto disposto dal D.L. n. 269/2003 e senza tenere conto della normativa regionale, era pertanto eccessiva; - la somma esatta dovuta dalla Sig.ra Ce. Fr. per il rilascio della concessione in sanatoria del titolo abilitativo edilizio era pertanto di Euro 63.176,40 alla luce di quanto disposto dalla normativa regionale sopra richiamata; - di conseguenza l'odierna ricorrente aveva corrisposto Euro 30.519,60 in eccedenza rispetto a quanto effettivamente dovuto, di cui 15.129,80 direttamente al Comune di (omissis); - per tali ragioni l'istanza di parziale rimborso doveva essere accolta e l'Amministrazione non avrebbe dovuto procedere all'emanazione del provvedimento di diniego. Con nota prot. n. 23666 del 19.12.2014 il Comune comunicava tuttavia il provvedimento definitivo di diniego dell'istanza di rimborso parziale asserendo che: -le osservazioni presentate dalla ricorrente in data 13.05.2013 sarebbero intese a frazionare l'abuso edilizio commesso al fine di consentire l'applicazione dell'art. 4 della L. R. n. 21/2004; - si tratterebbe di un abuso relativo al cambio d'uso con opere; - l'istanza di rimborso era fondata su una classificazione della tipologia di abuso diversa da quella data dal Comune e non su un errato conteggio delle somme dovute; - pertanto la richiesta di Euro 93.696,00 a titolo di oblazione per il rilascio della concessione in sanatoria era corretta. Avverso il prefato diniego di rimborso è insorta l'odierna ricorrente, chiedendo accertarsi e rideterminarsi nella totale somma di Euro 63.176,40 l'importo che la Sig.ra Ce. è tenuta a pagare per la concessione in sanatoria del titolo abilitativo edilizio oggetto di causa e per l'effetto condannarsi il Comune di (omissis) alla restituzione in favore della ricorrente dell'importo di Euro 15.259,80 e comunque di quello versato in eccedenza - pari alla quota di spettanza dell'Amministrazione Comunale - oltre ad interessi legali a far data dal 04 aprile 2013, data di presentazione della richiesta. Ha resistito al ricorso il Comune di (omissis), richiamandosi agli atti del procedimento amministrativo e chiedendo il rigetto del ricorso. All'udienza in epigrafe indicata la causa è passata in decisione. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Il Collegio condivide l'interpretazione prospettata dalla parte ricorrente, già accolta e fatta propria dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha riconosciuto la fondatezza del diritto al rimborso vantato dalla richiedente relativamente alla quota di 15.259,80 di pertinenza dello Stato. Giova premettere che l'art. 32 del D.L. n. 269/2003 (convertito con L. 326/2003) dispone espressamente che "le condizioni, i limiti e le modalità del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali". La determinazione dell'entità di oblazione da versare per la concessione in sanatoria del titolo abilitativo edilizio rientra pertanto nella materia del governo del territorio, soggetta a potestà legislativa concorrente ex art. 117 Cost.. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 196/2004 (che ha accolto i ricorsi regionali proposti avverso molteplici disposizioni dell'art. 32 del d.l. n. 269/03, ritenute invasive della competenza concorrente in tema di governo del territorio), è intervenuta in materia di condono edilizio, qualificando la normativa statale come normativa di principio ed attribuendo alle Regioni la competenza in ordine alla determinazione sia dei limiti volumetrici delle opere condonabili nel proprio territorio, sia dell'entità dell'oblazione da versare per tali condoni. La Corte ha infatti dichiarato "l'inammissibilità di una legislazione statale che determini anche la misura dell'anticipazione e degli oneri concessori e le relative modalità di versamento ai Comuni "; d'altronde - precisa la Corte - l'ordinaria disciplina vigente attribuisce il potere di determinare l'ammontare degli oneri concessori agli stessi Comuni, sulla base della legge regionale (art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001). Ne deriva che, in conformità a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale e dai principi sanciti dal Testo Unico sull'edilizia, la normativa da applicare per la determinazione dell'entità dovuta a titolo di oblazione per la concessione in sanatoria è quella regionale (Veneta). La legislazione nazionale si applica esclusivamente ogniqualvolta le regioni, nella propria autonomia, non abbiano disposto diversamente. Orbene, la Regione Veneto, con la L. R. n. 21/2004, ha dettato precise disposizioni in ordine alla determinazione dell'entità dell'oblazione dovuta per la concessione in sanatoria del titolo abilitativo edilizio. In particolare, l'articolo 4 della suddetta legge, ai commi 2 e 3 dispone che: "2. Nel caso di mutamento di destinazione d'uso senza opere la misura dell'oblazione è calcolata con le seguenti modalità : a) per gli immobili con superficie fino a 100 mq, è esclusivamente quella prevista per la tipologia 6 della tabella C allegata alla legge sul condono; b) per gli immobili con superficie superiore a 100 mq è quella prevista per la tipologia 6 fino a 100 mq e per la parte eccedente, in ragione dei metri quadrati interessati dal mutamento di destinazione d'uso, quella prevista per la tipologia 3 della medesima tabella C. 3. Nel caso di mutamento di destinazione d'uso con opere la misura dell'oblazione è quella prevista per la tipologia 3 della tabella C allegata alla legge sul condono". Sulla base della suesposta normativa, l'odierna istante avrebbe pertanto dovuto versare la complessiva somma di Euro 63.176,40 (Euro 18.842,40 per il piano terra ed Euro 44.334,00 per il primo piano) a titolo di oblazione, come determinata nella narrativa in fatto ai punti a) e b) - ai quali per brevità si rinvia in omaggio al principio di sinteticità degli atti - e come riconosciuto dal Ministero, relativamente alle somme di competenza La richiesta del pagamento di Euro 93.696,00, avanzata dal Comune di (omissis) per il rilascio della concessione in sanatoria è pertanto eccessiva e fondata su di un calcolo errato, basato su criteri stabiliti dalla normativa nazionale anziché su quelli stabiliti dalla legislazione regionale molto dettagliata. L'affermazione del Comune resistente secondo cui la ricorrente avrebbe erroneamente inquadrato gli abusi commessi nella "tipologia n. 3", anziché nella "tipologia n. 1" assegnata dal Comune stesso, risulta priva di fondamento, in quanto la ricorrente si è limitata unicamente ad applicare la legge regionale vigente, alla stregua della quale tutti gli abusi edilizi contemplati dall'istanza di "condono" devono ritenersi riconducibili alla "tipologia n. 3" della Tabella C allegata al D.L. n. 269/2003. Irrilevante è, altresì, l'affermazione - contenuta nel diniego - secondo cui la ricorrente avrebbe formulato la domanda di condono qualificando l'abuso come cambio di destinazione d'uso con opere, posto che, nell'istanza, la Sig.ra Ce. ha riferito la modifica di destinazione d'uso con opere esclusivamente al primo piano dell'edificio. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto con conseguente condanna del Comune di (omissis) alla restituzione in favore della ricorrente di Euro 15.259,80, oltre interessi legali maturati dalla data dell'indebito pagamento e sino al saldo. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della problematicità delle questioni che hanno dato origine alla vertenza, ferma la restituzione del contributo unificato da porre a carico del Comune. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto condanna il Comune di (omissis) alla restituzione in favore della ricorrente di Euro 15.259,80, oltre interessi legali maturati dalla data dell'indebito pagamento e sino al saldo. Spese compensate, ferma la restituzione del contributo unificato a carico del Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Grazia Flaim - Presidente Marco Rinaldi - Consigliere, Estensore Elena Garbari - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 742 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da F.Lli Am. Spa, ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ga. Ma., Fr. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: della determinazione del Comune di (omissis) n. 83 del 09/02/2011, a firma del Responsabile del Servizio; nonché di ogni atto annesso, connesso o presupposto. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da F.Lli Am. S.p.A. il 9/5/2023: per l'accertamento della prescrizione del credito del Comune di (omissis) al pagamento della sanzione irrogata con determinazione del Responsabile del Servizio Edilizia Privata n. 83 del 09/02/2011. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 giugno 2023 il dott. Marco Rinaldi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso principale, integrato da motivi aggiunti, la parte ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe indicato con cui il Comune di (omissis) le ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 11.000,00 (undicimila euro/00), per aver realizzato, senza titolo abilitativo, un manufatto destinato all’alloggiamento della centrale termica dell’impianto idro-termo-sanitario dell’Hotel Vi. Ma. Con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato, sostenendo che il manufatto di cui trattasi non poteva considerarsi realizzato senza titolo abilitativo poiché la ricorrente aveva presentato una DIA in sanatoria, che si era consolidata per decorso del termine di 30 giorni, sicché il Comune avrebbe potuto eliderne gli effetti solo intervenendo “in autotutela”. Con successivi motivi aggiunti l’odierna istante ha eccepito l’intervenuta prescrizione del credito fatto valere dal Comune. All’udienza straordinaria in epigrafe indicata la causa è passata in decisione. In applicazione del "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), il Collegio ritiene di poter derogare all'ordine logico delle questioni e di esaminare prioritariamente il ricorso per motivi aggiunti, con cui la parte ricorrente ha chiesto accertarsi l’intervenuta prescrizione del credito azionato dal Comune. I motivi aggiunti sono fondati. Ai sensi dell’art. 12 L. n. 689/1981, le norme di cui al Capo I della L. n. 689/1981 sono applicabili anche alle sanzioni pecuniarie edilizie: dunque, la regola della prescrizione quinquennale propria delle sanzioni amministrative ex art. 28 L. n. 689/81 trova applicazione anche agli illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria dalla normativa urbanistico-edilizia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3649; Cons. Stato, Sez. IV, 25 novembre 2003 n. 7765). Nel caso di specie, all’irrogazione della sanzione pecuniaria notificata in data 15/01/2011 non è seguito alcun atto interruttivo della prescrizione, neppure l'Amministrazione si è costituita in giudizio, sicché il credito per cui è causa deve ritenersi prescritto nel 2016 e all’attualità (cfr. T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. II, 22/04/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 22/04/2011), n. 678). Né può considerarsi utile ai fini interruttivi della prescrizione, ai sensi degli artt. 2943 e 2945 cc., l'introduzione della presente controversia, avendo la giurisprudenza chiarito che la proposizione di un giudizio può ritenersi idonea ad interrompere la prescrizione soltanto se la causa è promossa dal creditore, ma non se attivata dal debitore per contestare la sussistenza del presunto debito (Cassazione civile sez. III - 29.5.2013, n. 13438; T.A.R. Lombardia sez. IV - Milano, 29.12.2009, n. 6265). L’effetto interruttivo della prescrizione si sarebbe potuto riconoscere all'atto di costituzione in giudizio del creditore (nella specie il Comune), laddove contenente l'affermazione del proprio diritto e la domanda di rigetto della pretesa altrui. Se, infatti, il creditore convenuto nel giudizio promosso dal debitore si costituisce formulando una domanda comunque tendente all'affermazione del proprio diritto (e in tale categoria va compresa certamente anche la mera richiesta di rigetto della domanda altrui), con ciò compie un'attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dall'art. 2943, comma 2, c.c., e pertanto, ai sensi dell'art. 2945 comma 2, la prescrizione non corre fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (v. Cassazione civile sez. lav., 29.7.2021, n. 21799 e T.A.R. Lombardia sez. I - Brescia, 3.7.2019, n. 624). Tuttavia, nel caso di specie, l’Ente Civico (creditore) non si è costituito in giudizio ed essendo stato il giudizio introdotto dal debitore, ad esso non può riconoscersi alcuna efficacia interruttiva. In conclusione, i motivi aggiunti vanno accolti, mente il ricorso principale va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, non potendo la parte ricorrente trarre alcuna ulteriore, concreta utilità dal suo eventuale accoglimento. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della problematicità delle questioni trattate, ferma la restituzione del contributo unificato, da porsi a carico del Comune soccombente. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come integrato da motivi aggiunti, così provvede: a) dichiara improcedibile il ricorso principale; b) accoglie i motivi aggiunti e, per l’effetto, accerta l’intervenuta prescrizione del credito vantato dal Comune; c) compensa le spese di lite, ferma la restituzione del contributo unificato a carico della P.A.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Mara Bertagnolli - Presidente Alfredo Giuseppe Allegretta - Consigliere Marco Rinaldi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 114 del 2023, proposto da H.C. Ho. Co. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ca. e An. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Zg. in Tr., (...); contro Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Be. Cr. e Ma. Pi. dell'Avvocatura regionale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso gli Uffici dell'Avvocatura stessa in Trieste, p.zza Unità d'Italia 1; nei confronti -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. avv. Sa. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della Determinazione ARCS n. (...) del 12.9.2022 -comunicata il successivo 21.9.2022, recante "Aggiudicazione e approvazione dei verbali della gara europea ex art. 60 del D.Lgs. n. 50/2016 per la stipula di una convenzione per l'affidamento dei servizi tecnico/manutentivi integrati delle apparecchiature biomedicali per gli Enti del SSR FVG"; - dell'Allegato A.1 al predetto provvedimento, contenente i relativi verbali di gara e, segnatamente -ma non esclusivamente-, del verbale del 19.1.2021, avente ad oggetto la valutazione della documentazione amministrativa dei concorrenti nella parte in cui non motiva in ordine all'ammissione della controinteressata; - di ogni ulteriore ed eventuale provvedimento con il quale si ritornasse sul tema dell'ammissione dei concorrenti senza motivare sulla posizione di -OMISSIS-; - del verbale datato 30.12.2022, con cui ARCS archiviava il procedimento per la verifica del perdurante possesso dei requisiti generali di partecipazione avviato nei confronti dell'odierna aggiudicataria a seguito delle sanzioni irrogate a suo carico dal GIP del Tribunale di Palermo; - di qualsiasi ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale; nonché per la declaratoria di nullità/inefficacia del Contratto d'appalto se medio tempore stipulato e rispetto al quale si dichiara di voler subentrare e per il risarcimento del danno per equivalente che dovesse derivare alla ricorrente, in toto o in parte, dall'illegittima condotta posta in essere nei suoi confronti dalla Stazione appaltante; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e della società -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2023 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La società H.C. Ho. Co. s.p.a., seconda graduata all'esito della gara europea ex art. 60 del d.lgs. n. 50/2016 bandita dall'ARCS per conto della Centrale Unica di Committenza regionale (di seguito denominata CUC), soggetto aggregatore della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, per la stipula di una convenzione per l'affidamento dei servizi tecnico/manutentivi integrati delle apparecchiature biomedicali per gli Enti del SSR FVG - ID19SER002 CUC, per un periodo di 48 mesi, ha chiesto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata -OMISSIS- Italia S.p.A. e degli altri atti in epigrafe compiutamente indicati, nonché la declaratoria di nullità/inefficacia del contratto d'appalto se medio tempore stipulato, dichiarando, al contempo, di volervi subentrare, e, inoltre, il risarcimento del danno asseritamente patito e/o patiendo a causa e in conseguenza dell'illegittimità provvedimentale denunciata. Questi i motivi di impugnazione: Sul procedimento di verifica della permanenza dei requisiti generali: illegittimità della mancata esclusione a carattere vincolato di -OMISSIS- 1. "Violazione art. 80, comma 5, lettera f), e comma 6, Codice Contratti - Violazione del principio di continuità del possesso dei requisiti generali di ammissione, partecipazione ed esecuzione", con cui lamenta, in estrema sintesi, l'illegittimità che affligge gli atti e provvedimenti gravati, laddove non hanno escluso la controinteressata dalla procedura in ragione del fatto che, essendo stata attinta da un provvedimento di divieto a contrarre con la Pubblica Amministrazione - per la durata di un anno - ai sensi degli artt. 9 e 14, d.lgs. n. 231/2001, emesso nei suoi confronti dal GIP del Tribunale di Palermo -OMISSIS-[ovvero asseritamente della misura indicata dall'art. 80, comma 5, lettera f), del d.lgs. n. 50/2016], non ha soddisfatto il possesso dei requisiti generali richiesti per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva e alla stipula del contratto, senza soluzione di continuità. A nulla potendo rilevare, al riguardo, la circostanza che la detta misura è stata dapprima sospesa con provvedimento del GIP -OMISSIS-e, poi, definitivamente revocata con provvedimento-OMISSIS-, in quanto, comunque, per lo meno nel periodo intercorrente tra la data di emissione e quella della sua sospensione la società -OMISSIS- è stata priva del fondamentale requisito della legittimazione a contrarre con la Pubblica Amministrazione, essendo risultata, per l'appunto, destinataria di un provvedimento interdittivo adottato ai sensi dell'art. 9, comma 2, lettera c), d.lgs. n. 231/2001 e ricadente nel meccanismo espulsivo del ripetuto art. 80, comma 5, lettera f), Codice Contratti. Misura, peraltro, revocata ex nunc e non ex tunc. Ritiene, in definitiva, che trattandosi di una fattispecie espulsiva a carattere vincolato, la s.a. avrebbe dovuto solo accertare l'inverarsi o meno delle condizioni previste dalla norma su indicata, e, in ipotesi affermativa, disporre l'esclusione della società controinteressata. Non avendolo fatto, è incorsa nell'illegittimità denunciata. In via subordinata. Sul difetto d'istruttoria e di motivazione in ordine all'ammissione in gara della controinteressata 2. "Eccesso di potere sotto varie forme e violazione art. 3, l. n. 241/1990", con cui deduce che la s.a. ha omesso i necessari approfondimenti istruttori in relazione alle numerose situazioni potenzialmente rilevanti ai sensi dell'art. 80, comma 5, lettere c) - c-ter), Codice Contratti, che la controinteressata ha indicato sub pt. 3.7 della dichiarazione ex art. 80 del d.lgs. 50/2016 e s.m.i., avendo, per converso, incondizionatamente ed acriticamente accolto le precisazioni offerte dalla società, secondo cui i vari provvedimenti risolutori adottati nei suoi confronti sarebbero divenuti "inesistenti nel mondo giuridico, sicché non potrebbero neppure astrattamente ritenersi indice di un grave illecito professionale" e ciò in forza degli accordi transattivi successivamente intervenuti in merito. Sottolinea che analoghe circostanze avevano, purtuttavia, già portato altri TT.AA.RR. ad annullare per illegittimità le ammissioni ottenute dalla controinteressata in varie gare in forza delle medesime dichiarazioni ed in assenza di una sia pur minima attività istruttoria e/o di verifica da parte delle Commissioni di gara. Ancora in via subordinata 3. "Omessa comunicazione della risoluzione intervenuta presso l'ASP di Trapani -OMISSIS-. Omessa comunicazione dell'avvenuta iscrizione della predetta risoluzione nella Sezione "B" del Casellario Informatico ANAC", con cui - premesso che le concorrenti a pubbliche gare hanno l'onere di informare l'Amministrazione degli eventi, anche sopravvenuti all'istanza di ammissione, potenzialmente in grado di condurre ad una rinnovata valutazione sul possesso dei requisiti generali ex art. 80, d.lgs. n. 50/2016 - ha rilevato che la controinteressata, a pochi mesi dalla presentazione della domanda, è risultata destinataria, da parte dell'ASP di Trapani, di un ulteriore provvedimento risolutorio (-OMISSIS-), dalla medesima non dichiarata, sebbene anche successivamente iscritta - in esito ad un procedimento in contraddittorio avviato da ANAC- in seno al Casellario Informatico nella c.d. Sezione "B". La ricorrente ha formulato, inoltre, istanza di risarcimento del danno per equivalente con funzione sussidiaria rispetto alla ordinaria tutela giurisdizionale - finalizzata all'annullamento degli atti gravati - per l'ipotesi in cui gli effetti conformativi del giudicato d'annullamento non garantissero, in parte o in toto, effettiva tutela alla sua posizione. La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, costituita, con memoria ex art. 73, comma 1, c.p.a., dimessa in vista dell'udienza pubblica del 10 maggio 2023 ha svolto compiute difese a tutela dell'attività provvedimentale posta in essere, contestando gli assunti della società ricorrente. In particolare: - con riguardo al primo motivo d'impugnazione, ritiene, essenzialmente, che la misura cautelare di divieto di contrarre con le Pubbliche Amministrazioni adottata dal GIP di Palermo non configuri un'ipotesi di automatica esclusione dalla procedura di affidamento ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f), del Codice, in ragione del fatto che l'esclusione automatica (obbligatoria) dalla partecipazione ad una procedura d'appalto viene prevista dal Codice stesso per le violazioni più gravi, definitivamente accertate (sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione), e nei casi di mancato rispetto agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o al pagamento di contributi previdenziali ed assistenziali, nei casi previsti dai commi 1, 2 e 4 dell'art. 80. Senza trascurare di considerare che quanto disposto dai commi 7 e 8 dell'art. 80 offre idoneo conforto all'attività concretamente posta in essere dalla CUC; - con riguardo al secondo motivo d'impugnazione, rappresenta che, come emerge dalla lettura del verbale di gara, il competente seggio ha proceduto alla valutazione della documentazione amministrativa e delle dichiarazioni rese da -OMISSIS- e ritenuto necessari chiarimenti in merito alla sussistenza dei requisiti di capacità economica e tecnica della stessa. Non ha ravvisato, invece, emergere dalle dichiarazioni stesse fatti e circostanze, né gravi illeciti professionali accertati "con provvedimento esecutivo", tali da rendere dubbia l'integrità della medesima, intesa come moralità professionale, o la sua affidabilità, intesa come reale capacità tecnico professionale, nello svolgimento dell'attività oggetto di affidamento. Conseguentemente, non ha attivato nei suoi confronti il soccorso istruttorio, come disposto per altri operatori economici. Sottolinea, inoltre, che la società -OMISSIS- ha, negli anni, partecipato a diverse gare svolte da ARCS e ha avuto diversi rapporti contrattuali con Enti del SSR della Regione FVG, nell'ambito dei quali non sono emersi elementi di sospetto in ordine alla sua moralità e affidabilità, nonché di avere, invece, esperito compiute e motivate valutazioni in ordine al procedimento penale a carico di -OMISSIS- presso il Tribunale di Palermo nell'esercizio della discrezionalità che le compete. Dopo avere ribadito che "le risoluzioni contrattuali non sono state valutate di tale gravità da incidere sul corretto svolgimento della prestazione contrattuale e, quindi, sull'interesse della stazione appaltante a contrattare con l'operatore economico interessato a fronte del pregresso rapporto contrattuale in essere con -OMISSIS- che non ha sino ad ora evidenziato criticità in merito all'affidabilità, professionalità e serietà del contraente", ha evidenziato che "In merito a quanto riferito dalla ricorrente H.C. Hospital sul coinvolgimento dell'ex amministratore dell'-OMISSIS- per reati -OMISSIS- avanti alla procura di Trento, ed in merito alle citate pronunce del Consiglio di Stato (-OMISSIS-, del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia (-OMISSIS-), del TAR Marche (-OMISSIS-) e TAR Lombardia (-OMISSIS-) l'Amministrazione non è stata messa a conoscenza di tali circostanze". Ha, quindi, concluso rappresentando che "la contestata mancanza di accertamenti istruttori sulla posizione di -OMISSIS- in fase di partecipazione alla gara, è stata superata dal procedimento istruttorio avviato da ARCS, prima della sottoscrizione del contratto, per la verifica sulla permanenza dei requisiti ex art. 80 Dlgs. 50/2016" (n. d.r. quello esitato nell'atto in data 30/12/2022); - con riguardo al terzo motivo d'impugnazione, circa l'omessa dichiarazione da parte della controinteressata della risoluzione intervenuta presso l'ASP di Trapani e la presunta iscrizione dell'episodio in seno al Casellario ANAC, osserva che la ricorrente ha, pur tuttavia, omesso di evidenziare che "il Consiglio di Stato con l'ordinanza -OMISSIS- ha accolto l'appello promosso contro l'ordinanza cautelare -OMISSIS-del TAR per il Lazio dd. 12.12.2022 motivando espressamente <che le ragioni dedotte dall'appellante siano idonee a fondare l'invocata misura cautelare, in quanto il provvedimento impugnato non pare tenere conto della assoluta particolarità della vicenda>", nonché posto in rilievo che si tratta, in ogni caso, di ordinanze cautelari intervenute successivamente alle audizioni di -OMISSIS- e che la s.a. si è espressa sul certificato del casellario dell'ANAC dd. 30.12.2022, osservando che dallo stesso non emergevano annotazioni rilevanti a carico della medesima. La controinteressata -OMISSIS-, del pari costituita, ha analogamente concluso per: - l'infondatezza del primo motivo di ricorso. In particolare, ritiene di non essere mai incorsa nella causa di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. f), d.lgs. n. 50/2016, non essendosi verificata alcuna interruzione nel possesso continuativo dei requisiti, tale da determinare l'esclusione ai sensi del comma 6 dell'art. 80, atteso che la misura del divieto di contrarre con la P.A., peraltro non più efficace, era di carattere cautelare e non emessa nei suoi confronti all'esito di un giudizio definitivo di responsabilità amministrativa di reato. Sicché, Il principio di tassatività e tipicità della fattispecie - che governa pacificamente la materia (tanto il D.lgs. n. 231/01, corpus sanzionatorio, quanto il D.lgs. 50/2016) - preclude una lettura estensiva del citato art. 80, comma 5, lett. f). Ritiene, in particolare, che "ove il legislatore del Codice degli appalti avesse voluto <estendere> la causa di esclusione anche all'applicazione solo in via cautelare (id est: la misura cautelare in esame) della citata misura interdittiva di cui all'art. 9, comma 2 lettera c), avrebbe fatto riferimento espresso anche agli art. 45 e ss. del D.lgs. 231/01, che regolano l'applicazione delle misure cautelari; e non lo ha fatto". Un tanto senza trascurare anche il "parallelismo interno tra art. 80, comma 1 e comma 5, lett. f) del Codice appalti, ambedue concernenti motivi automatici di esclusione dalla partecipazione a gara", che porta a ritenere che l'effetto esclusivo/preclusivo può conseguire solo ad una evenienza definitiva. Peraltro, il brevissimo arco temporale durante il quale la misura interdittiva è stata produttiva di effetti non è sufficiente a farne discendere i presupposti per la causa di esclusione di cui all'art. 80, comma 6, del Codice e ciò in ragione del fatto che il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione va interpretato alla luce dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché di quelli di massima partecipazione e libera concorrenza, onde evitare un fenomeno di eterogenesi dei fini; - la palese inammissibilità, oltre che infondatezza, del secondo motivo di ricorso. Ritiene, in particolare, che parte ricorrente tenta di sovvertire capziosamente l'insegnamento giurisprudenziale, per il quale la valutazione della stazione appaltante in ordine alla titolarità del requisito di cui all'art. 80 comma 5 lett. c) del Codice è ampiamente discrezionale e che solo in caso di esclusione è necessaria una congrua motivazione, non anche allorquando l'iter valutativo si concluda con l'ammissione dell'o.e. alla gara. Sicché, è rimesso al vaglio discrezionale della s.a. valutare i fatti e stabilire se le vicende concernenti il vissuto professionale di un operatore siano di gravità tale da rendere necessaria una motivazione esplicita, perché astrattamente incidenti sull'integrità e affidabilità dell'operatore economico. Anche tale valutazione implica spendita di potere amministrativo discrezionale, che è suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale solo nei limiti della non manifesta pretestuosità e illogicità. Osserva, in ogni caso, che l'affidabilità e l'integrità di -OMISSIS- è stata valutata da ARCS in ben due occasioni: la prima al momento dell'ammissione in gara, in modo implicito, e la seconda con il verbale di conclusione dell'attività istruttoria svolta in sede di verifica dei requisiti, in modo esplicito. Ritiene inconferenti i precedenti giurisprudenziali ex adverso invocati, anche in ragione del fatto che il termine triennale di rilevanza delle cause di esclusione facoltative di cui all'art. 57, comma 4, (ivi compresa quindi la risoluzione per inadempimento di cui all'art. 57, comma 4, lett. g) decorre, in ogni caso, dalla data di commissione del fatto. Ha, poi, ulteriormente osservato che devono ritenersi irrilevanti ai fini delle valutazioni di affidabilità anche tutte le vicende relative a società fuse per incorporazione con -OMISSIS-. Si è, infine soffermata a svolgere sintetiche esplicitazioni in ordine alle singole evenienze risolutive, affermandone l'inidoneità a dimostrare alcun disvalore nella sua condotta e ciò anche per le ragioni già innanzi evidenziate; - la palese inammissibilità, oltre che infondatezza, anche del terzo motivo di ricorso. Al riguardo, ha, in particolare, osservato che "La vicenda è stata (...) conosciuta dalla S.A. che nel provvedimento finale di archiviazione del procedimento su -OMISSIS- ha dato conto di aver svolto attività istruttoria, dalla quale <non sono emersi altri elementi pregiudizievoli (cfr. certificati del casellario giudiziale dei soggetti di cui al citato art. 80; certificato d.d. 20/12/2022 dell'Anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato; certificato dd. 30/12/2022 del casellario ANAC)>. Ha motivato la S.A. che dal predetto certificato dd 30/12/2022 <non emergono annotazioni rilevanti a carico della società --OMISSIS->. Dunque, il fatto che a detta di HC, -OMISSIS- avrebbe dovuto comunicare e che la S.A. avrebbe dovuto valutare è già stato conosciuto e valutato come irrilevante, da cui l'inammissibilità del motivo di gravame, nel quale, peraltro, controparte non pone in discussione la motivazione di ammissione, fondata anche sulle acquisizioni del Casellario informatico, ma solo la pretesa omissione dichiarativa. (...) la vicenda per cui è causa è del tutto irrilevante e non ricorreva alcun onere dichiarativo che -OMISSIS- avrebbe dovuto assolvere, dopo la presentazione della domanda di partecipazione, non essendo il fatto neppure astrattamente riconducibile all'illecito professionale, come correttamente inteso anche dalla S.A.". Ha, poi, comunque fornito esplicitazioni e svolto considerazioni al riguardo. Hanno fatto seguito le repliche di -OMISSIS- e della ricorrente H.C. Hospital Consulting. La prima ha, in particolare, stigmatizzato, ritenendolo lesivo del contraddittorio, il deposito documentale effettuato dalla ricorrente in vista dell'udienza pubblica e, segnatamente, il deposito della deliberazione SAR n. 21 del 16.2.2023, adottata da InnovaPuglia, che ha disposto l'esclusione di -OMISSIS- da altra procedura di gara, in quanto non accompagnato da alcuna memoria difensiva, illustrativa delle ragioni per le quali tale deliberazione sarebbe rilevante nel caso di specie. Ha, quindi, chiesto che l'eventuale memoria di replica della ricorrente, laddove intesa a supplire alla memoria conclusionale, non venga presa in considerazione, in ragione del mancato rispetto dei termini di cui all'art. 73 c.p.a.. Ha svolto, in ogni caso, precisazioni difensive, nonché, con specifico riguardo alla ex adverso invocata esclusione automatica dalla procedura ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f), d.lgs. n. 50/2016 (primo motivo), ha ribadito, facendovi espresso rinvio, le controdeduzioni difensive già svolte. Ha sottolineato, inoltre, l'esigenza di fornire alla norma in questione un'interpretazione costituzionalmente orientata, in particolare avuto riguardo all'esigua durata della misura cautelare del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, disposta nei suoi confronti. La società ricorrente, dopo essersi soffermata a svolgere considerazioni critiche in ordine al reiterato affidamento diretto del servizio di che trattasi a favore della controinteressata, gestore uscente, asseritamente ai sensi dell'art. 63, comma 2, lettera c), d.lgs. n. 50/2016, ha ribadito gli assunti sviluppati nell'atto introduttivo del giudizio, svolgendo motivate argomentazioni in replica alle controdeduzioni della società controinteressata e della Regione intimata. L'affare è stato, quindi, chiamato e discusso, come da sintesi a verbale, all'udienza su indicata e, poi, è stato introitato per essere deciso. Il ricorso è fondato nei limitati sensi di seguito precisati. Il primo motivo di gravame è destituito di fondatezza. Invero - in disparte ogni considerazione circa la rilevanza che possono assumere le disposizioni contenute ai commi 7 ["Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui (...) al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti"] e 8 ["Se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l'operatore economico non è escluso della procedura d'appalto; (...)"] dell'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 con riguardo alla specifica fattispecie che parte ricorrente ritiene che qui assuma rilievo ovvero quella di cui al comma 5, lett. f), del medesimo articolo ["Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, qualora: (...) l'operatore economico sia stato soggetto alla sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81"] - il Collegio ritiene dirimente la considerazione che la misura del divieto di contrarre con le PP.AA. disposta dal GIP del Tribunale di Palermo nei confronti della società controinteressata -OMISSIS- ha chiara ed evidente natura cautelare e non sanzionatoria. Trattasi, infatti, di misura che - al di là del fatto che è stata dapprima sospesa -OMISSIS- e, poi, revocata -OMISSIS- - accede, dandovi positivo riscontro, all'istanza avanzata dal P.M. in data 13 maggio e 9 agosto 2022, volta, per l'appunto, all'applicazione nei confronti della società -OMISSIS- di misure cautelari, in quanto indagata per illecito amministrativo dipendente da reato nell'ambito del procedimento -OMISSIS- segnatamente, per l'illecito di cui all'art. 25, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 "in relazione alle condotte contestate a -OMISSIS- (...), poste in essere nelle rispettive qualità di Direttore PPP e Businnes Development e Businnes Innovation Commercial Manager della -OMISSIS-". E', dunque, evidente che, pur assumendo a riferimento (come stabilito dall'art. 45 del d.lgs. n. 231/2001) le sanzioni interdittive previste dall'art. 9, comma 2, del medesimo decreto e, segnatamente, quella di cui alla lett. c), ha natura e poggia su presupposti ontologicamente diversi. La sanzione è irrogata, infatti, all'esito del procedimento penale e presuppone, necessariamente, l'accertamento della responsabilità dell'ente nella commissione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, come si evince agevolmente dalla lettura del citato art. 9 e delle norme di cui al Capo III del decreto (art. 34 e ss. e, in particolare, art. 69), nel mentre la misura cautelare "interdittiva" può essere chiesta dal P.M. "quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede (...)" (art. 45, comma 1, d.lgs. n. 231/2001) e disposta dal giudice con ordinanza, con l'osservanza di quanto disposto dall'art. 292 c.p.p. (art. 45, comma 2). Ciò premesso e avuto riguardo all'automatismo espulsivo effettivamente ravvisabile nella fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. f), d.lgs. n. 50/2016, s'appalesano, pertanto, condivisibili le osservazioni della controinteressata -OMISSIS-, laddove sottolinea che il presupposto della "sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81", al verificarsi del quale l'operatore economico che ne risulta inciso va escluso dalla partecipazione alla procedura d'appalto, va necessariamente letto in maniera aderente al dato testuale (che parla espressamente di "sanzione" e, in alcun modo, richiama le misure cautelari di cui all'art. 45 d.lgs. n. 231/2001) e, in ogni caso, in maniera ragionevolmente coerente con il sistema delineato dal legislatore, che ha, per l'appunto, correlato conseguenze automaticamente espulsive alle sole fattispecie caratterizzate dall'intervenuto definitivo accertamento giudiziale delle ipotesi di responsabilità ritenute a tal fine rilevanti (art. 80, commi 1, 4 e comma 5, lett. c-quater e h). All'estensiva applicazione della fattispecie astratta normativa a quella concreta verificatasi osta, dunque, la tipicità della fattispecie e, in ogni caso, il principio di tassatività delle cause di esclusione. In tal senso, conforta il precedente del TAR Sicilia, -OMISSIS- (passato in giudicato), citato anche da parte ricorrente nella propria memoria di replica (n. d.r. erroneamente indicata come n. 2299), seppure non traendone le conclusioni che trae questo Collegio, che - con specifico riferimento alla fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. f), d.lgs. n. 50/2016 - ha, condivisibilmente, sottolineato che "- la disposizione (...) riconnette la causa di esclusione ivi menzionata all'avere l'operatore economico riportato una sanzione interdittiva in seguito all'accertamento della responsabilità amministrativa dell'ente dipendente da reato ovvero alle altre ipotesi in cui l'ente riporti una sanzione che comporti il divieto dello stesso di contrarre con la pubblica amministrazione; - nel caso di specie la -OMISSIS- s.r.l., società mandante del RTP partecipante alla gara, non è stata destinataria di sanzione interdittiva nel senso precisato". Il motivo va, in definitiva, respinto, in quanto infondato. A conclusioni diverse, conduce, invece, lo scrutinio del secondo motivo d'impugnazione e, occorrendo, anche quello del terzo motivo. E', infatti, evidente il grave deficit istruttorio che affligge l'attività di verifica della s.a., atteso che la dichiarazione resa dal -OMISSIS- ai fini dell'art. 80, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 50/2016 e, in particolare, quanto riportato dalla medesima sub pt. 3.7 (all. 016-16 - fascicolo doc. ricorrente), alla cui lettura si fa espresso ed integrale rinvio, avrebbe meritato, in effetti, ben diverso approfondimento, idoneo, verosimilmente, anche a fare emergere quanto evidenziato dalla società ricorrente nella propria memoria di replica ovvero che, con riguardo ai fatti oggetto dell'indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Trento, il Tribunale di Bolzano, -OMISSIS-, aveva applicato all'ex Amministratore Delegato e Direttore Tecnico di -OMISSIS- la pena di anni 2 di reclusione per corruzione in gare pubbliche. Tale circostanza, che non consta sia stata, invece, portata a conoscenza della s.a. a cura della società controinteressata, s'appalesa, peraltro, anche astrattamente idonea ad assumere rilievo ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 80, comma 5, lettera c-bis), d.lgs. n. 50/2016. Vero è, in ogni caso, che, contrariamente a quanto opinato dalla società controinteressata, la Commissione di gara è onerata a rendere apposita motivazione non solo in caso di esclusione di un operatore economico, ma anche, laddove, come nel caso di specie, il particolare "vissuto" imprenditoriale della società, costellato da plurimi precedenti professionali "critici", idonei per lo meno a metterne in dubbio l'affidabilità, richiede, in maniera imprescindibile, la chiara, espressa ed intellegibile esplicitazione delle ragioni per cui l'impresa stessa è ritenuta, nonostante tutto, professionalmente affidabile ovvero che non ricorrono i presupposti di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) e c-ter), d.lgs. n. 50/2016 (ex multis C.d.S., sez. V, n. 10607/2022; id., sez. III n. 2577/2021; id., sez. V, n. 1500/2021 e n. 393/2021; CGA Regione Siciliana, n. 881/2021). E', peraltro, pacifico che il giudizio esitato nel verbale del 30.12.2022 (all. 026-26 - fascicolo doc. ricorrente) riguarda i soli fatti penali riguardanti l'indagine -OMISSIS- [come si evince agevolmente non solo dalla premessa fattuale introduttiva, laddove, per l'appunto, viene data evidenza del fatto che "in pendenza dei controlli sul possesso dei requisiti di partecipazione ex art. 32 comma 7 del D.Lgs. n. 50/2016, -OMISSIS- ITALIA S.P.A. notiziava ARCS -mediante comunicato stampa acquisito con nota prot. (...)- circa l'esistenza di recenti notizie di stampa aventi a oggetto la pendenza di una indagine penale (denominata -OMISSIS-) avviata dalla Procura di Palermo nei confronti di due dipendenti e conseguente emissione nei propri confronti della misura cautelare interdittiva del divieto di contrarre per un anno con la PA" e che "con nota prot. n. 42602 del 15/11/2022, ARCS ha comunicato l'avvio di specifico procedimento istruttorio nei confronti di -OMISSIS- ITALIA S.P.A. con richiesta di audizione presso gli uffici di ARCS per rendere i chiarimenti necessari sulle riferite vicende giudiziarie, che potrebbero potenzialmente incidere, ai sensi dell'art. 80 comma 5 lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016, sulla attuale integrità e/o affidabilità della Società aggiudicataria rispetto alla procedura in oggetto", ma anche dall'elenco della documentazione acquisita e scrutinata e dalle valutazioni, nel complesso, effettuate] e che non sono stati mai, invece, affrontati ed apprezzati tutti gli altri episodi contenuti nella dichiarazione dimessa a corredo della domanda di partecipazione, rispetto ai quali non consta, peraltro, che l'Amministrazione avesse acquisito tutta la documentazione di riferimento per potersi consapevolmente determinare in merito. Gli approfondimenti istruttori disposti in ordine al requisito di capacità economico-finanziaria non esoneravano, infatti, in alcun modo la Commissione dal procedere analogamente in relazione ai requisiti di affidabilità imprenditoriale, né i primi possono ritenersi idonei ad assolvere anche alle esigenze di verifica dei secondi. Considerazioni pressoché analoghe possono essere riproposte anche con riguardo al terzo motivo di ricorso, atteso che, come opportunamente sottolineato dalla società ricorrente, il Consiglio di Stato, pronunciandosi proprio su questioni riguardanti l'odierna controinteressata, ha affermato che "... in ossequio al principio di lealtà, ben avrebbe potuto e dovuto l'aggiudicataria integrare nel corso della procedura le originarie dichiarazioni partecipando alla stazione appaltante il proprio effettivo vissuto professionale indubbiamente suscettivo di doveroso apprezzamento nel giudizio sulla affidabilità professionale dell'operatore. E', invero, ius receptum in giurisprudenza il principio - declinato in diretta coerenza con l'obbligo di mantenere i requisiti per tutta la durata del procedimento e successivamente alla sua conclusione (Cons St., VI, 25 settembre 2017, n. 4470) - secondo cui sussiste, in capo ai partecipanti alle procedure d'appalto della Pubblica amministrazione, l'obbligo di comunicare a quest'ultima, nel corso della gara, tutte le vicende, anche sopravvenute, attinenti allo svolgimento della propria attività professionale, al fine di consentire alla stazione appaltante di valutare l'eventuale incidenza di tali precedenti sulla reale affidabilità, morale e professionale, dei concorrenti (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. III, 26 ottobre 2020, n. 6530; Cons. St., Sez. V, 16 dicembre 2020, n. 8514; Cons. St., III, 13 giugno 2018, n. 3628)" -OMISSIS-). Viene, infatti, in rilievo l'omissione dell'obbligo dichiarativo circa l'esistenza della risoluzione intervenuta presso l'ASP di Trapani -OMISSIS- e dell'avvenuta iscrizione della predetta risoluzione nella Sezione "B" del Casellario Informatico ANAC, in alcun modo scalfito dal provvedimento cautelare del Consiglio di Stato in data 24/02/2023, atteso che, nelle more, la controinteressata non poteva in alcun modo ritenersi esentata dall'obbligo di rendere edotta la s.a. della loro esistenza, né, tanto meno, autorizzata a valutarne la rilevanza o meno in luogo della s.a. stessa (in termini, ex multis, TAR Lazio n. 3786 dell'1.4.2022). In definitiva, sono fondate e meritano accoglimento le deduzioni sviluppate dalla ricorrente nell'ambito del secondo e del terzo motivo d'impugnazione. La domanda caducatoria va, pertanto, accolta e, per l'effetto, annullati gli atti e i provvedimenti impugnati e, in particolare, l'aggiudicazione della gara a favore della società -OMISSIS- e la presupposta ammissione della stessa alla relativa procedura. Ne deriva, quale naturale effetto conformativo, l'obbligo della CUC di rieditare la procedura stessa laddove incisa dalle illegittimità acclarate e a partire dal segmento procedurale in cui le stesse sono state riscontrate, informandone lo svolgimento alla regola juris ritraibile dalla presente decisione. La tutela assicurata alla ricorrente dall'accoglimento della domanda caducatoria s'appalesa, allo stato, idoneamente satisfattiva delle sue pretese e tale da consentire di soprassedere dallo scrutinio di ogni altra richiesta avanzata. Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra la società ricorrente e la Regione intimata e vengono liquidate a favore della prima nella misura indicata in dispositivo. Possono essere, invece, compensate con la controinteressata. La Regione intimata sarà, inoltre, tenuta a rimborsare alla società ricorrente (all'atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell'art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall'art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, sez. prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limitati sensi e per le ragioni di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla gli atti e i provvedimenti impugnati e, in particolare, l'aggiudicazione della gara a favore della società -OMISSIS- e la presupposta ammissione della stessa alla relativa procedura. Condanna la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia al pagamento delle spese di lite a favore della società ricorrente, che vengono liquidate nell'importo complessivo di € 5.000,00 (cinquemila), oltre oneri di legge. Le compensa per il resto. Dà atto che la Regione sarà tenuta al rimborso a favore della società ricorrente medesima (all'atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell'art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall'art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, del contributo unificato nella misura versata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Oria Settesoldi - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Filippo Dallari, Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE DI VENEZIA dott.ssa Margherita Bortolaso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 1568/2022 RG promossa con ricorso da (...) rappresentata e difesa dall'avv.to Al.Ch. - ricorrente - contro MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA + UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO e UFFICIO AMBITO TERRITORIALE DI VENEZIA in proprio ex art. 417 bis c.p.c. - resistente - in punto: pre-ruolo personale docente; decisa il 2.5.2023 FATTO La controversia, radicata con ricorso depositato il 21.9.2022 riguarda docente immessa in ruolo l' 1.9.2007 con pregressa attività lavorativa prestata in forza di una serie di contratti a termine in successione dall'a.s. 1994/1995 all'a.s. 2006/2007 presso vari istituti della Provincia di Venezia tra i quali (...) Commerciale "(...)", (...) Turismo "(...)", la (...) "(...)", l'I.P.I.A. Marinare "(...)", (...) "(...)", la (...) "(...)", l'Istituto (...), (...) "(...)", (...) "(...)". Aziona il diritto al riconoscimento del cd servizio pre-ruolo, richiesto con specifica domanda all'(...) "(...)" protocollata in data 13.10.2018 al n. 8212/2018, in sé e per l' equiparazione dello stesso, sul piano giuridico ed economico, all' anzianità riconosciuta al personale a tempo indeterminato, con condanna per l'effetto dell' Amministrazione alla c.d. ricostruzione della carriera e al pagamento delle relative differenze retributive. Sono in particolare fatti valere : 1. la pacifica non prescrittibilità del diritto al riconoscimento dell' anzianità pre ruolo a fronte di rigetto integrale della richiesta avanzata il 13.10.2018 per decorso del termine decennale dall' immissione in ruolo, come da ultimo con decreto del DS n. 3635 in data 08.02.2021 su rilievo di ritenuta maturata prescrizione sollevato dalla Ragioneria di Stato di Venezia in sede di controllo contabile; 2. il principio comunitario di non discriminazione a fronte di iniziale ricostruzione di carriera ai sensi dell' art. 485 TU con computo di 4 anni e mesi 8, e non già invece di tutto il pre-ruolo, come da iniziale decreto n. 3615 in data 07.12.2020, poi rivisto in senso peggiorativo con disconoscimento totale alla luce del rilievo di maturata prescrizione sollevato dalla Ragioneria di Stato in sede di controllo contabile. Sono formulate le seguenti conclusioni: "Nel merito, voglia l'Ill.mo Giudice adito, accertare il diritto dalla ricorrente al riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata in tutti i servizi non di ruolo prestati fin dal primo giorno riconoscendo la stessa progressione professionale prevista dal CCNL Comparto Scuola per il personale docente assunto a tempo indeterminato e per l'effetto, condannare il Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, l'Ufficio Scolastico Regionale del Veneto e l'Ufficio Scolastico Provinciale di Venezia a collocare la ricorrente al livello stipendiale corrispondente all'anzianità di servizio maturata, nonché a corrisponderle le differenze retributive tra quanto percepito in forza di contratti individuali a tempo determinato a far data dall'anno scolastico 1994/1995 e quanto previsto dal CCNL comparto scuola per il contratto a tempo indeterminato, da determinarsi in corso di causa previa espletanda CTU, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo. Con vittoria di spese e onorari di causa. In via subordinata nel merito, voglia l'Ill.mo Giudice adito, accertare il diritto dalla ricorrente al riconoscimento ai fini giuridici ed economici della ricostruzione di carriera , ex art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 , fin dal primo anno di servizio e, per l'effetto, condannare il Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, l'Ufficio Scolastico Regionale del Veneto e l'Ufficio Scolastico Provinciale di Venezia a collocare la ricorrente al livello stipendiale corrispondente all'anzianità di servizio maturata, nonché a corrisponderle le differenze retributive tra quanto percepito in forza di contratti individuali a far data dall'anno scolastico 1999/2000 e quanto previsto dal CCNL comparto scuola per il contratto a tempo indeterminato, da determinarsi in corso di causa previa espletanda CTU, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata in tutti i servizi non di ruolo prestati fin dal primo giorno riconoscendo la stessa progressione professionale prevista dal CCNL Comparto Scuola per il personale docente assunto a tempo indeterminato e per l'effetto, condannare il Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, l'Ufficio Scolastico Regionale del Veneto e l'Ufficio Scolastico Provinciale di Venezia a collocare la ricorrente al livello stipendiale corrispondente all'anzianità di servizio maturata, nonché a corrisponderle le differenze retributive tra quanto percepito in forza di contratti individuali a tempo determinato a far data dall'anno scolastico 1994/1995 e quanto previsto dal CCNL comparto scuola per il contratto a tempo indeterminato, da determinarsi in corso di causa previa espletanda CTU, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo. Con vittoria di spese e onorari di causa. In via subordinata nel merito, voglia l'Ill.mo Giudice adito, accertare il diritto dalla ricorrente alriconoscimento ai fini giuridici ed economici della ricostruzione di carriera , ex art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 , fin dal primo anno di servizio e, per l'effetto, condannare il Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, l'Ufficio Scolastico Regionale del Veneto e l'Ufficio Scolastico Provinciale di Venezia a collocare la ricorrente al livello stipendiale corrispondente all'anzianità di servizio maturata, nonché a corrisponderle le differenze retributive tra quanto percepito in forza di contratti individuali a far data dall'anno scolastico 1999/2000 e quanto previsto dal CCNL comparto scuola per il contratto a tempo indeterminato, da determinarsi in corso di causa previa espletanda CTU, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo." Il Ministero convenuto si è difeso nel merito, eccepite in via preliminare la necessità di chiamata in causa del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Ragioneria Territoriale dello Stato di Venezia, la nullità del ricorso, la decadenza ex art. 32 L. n. 183 del 2010 e la prescrizione quinquennale quanto alle differenze retributive. La causa, istruita documentalmente, in data odierna è stata trattenuta in decisione all' esito di udienza da remoto. MOTIVI DELLA DECISIONE Vanno PRELIMINARMENTE disattese le eccezioni, sollevate dal Miur, di: - necessaria estensione del contraddittorio alla Ragioneria di Stato, infondata in quanto si tratta di mero ente erogatore nei confronti del quale non è svolta con il ricorso domanda alcuna ; - nullità del ricorso per indeterminatezza, infondata in quanto le ragioni di fatto e di diritto dell'azione svolta sono indicate in modo chiaro e puntuale anche con specifici riferimenti ai rapporti contrattuali tra le parti e alla normativa italiana e comunitaria di riferimento; - decadenza ex art. 32 della L. n. 183 del 2010, infondata in quanto l' istituto non opera nella fattispecie in esame, essendo limitato alle ipotesi di contratto a termine stipulato in base al D.Lgs. n. 368 del 2001 e dovendo prediligersi una interpretazione non estensiva della norma di cui all'art. 32 L. n. 183 del 2010 stante il carattere eccezionale dell'istituto; non facendosi oltretutto questione di impugnazione dei contratti a termine siccome illegittimi, ma unicamente di riconoscimento dell' anzianità di servizio, per cui l' eccezione non è nemmeno in astratto pertinente. Quanto al MERITO, la normativa di riferimento è costituita dagli artt. 485 e 489 del TU 297/1994, in forza dei quali: Art. 485 - Personale docente: 1. Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. Idiritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo. 2. Agli stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di ruolo e non di ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei predetti educandati e quelle all'estero, nonché nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie. 3. Al personale docente delle scuole elementari è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti fissati al comma 1, il servizio prestato in qualità di docente non di ruolo nelle scuole elementari statali o degli educandati femminili statali, o parificate, nelle scuole secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non di ruolo prestati nelle scuole materne statali o comunali. 4. Ai docenti di cui al comma 1, che siano privi della vista, ed al personale docente delle scuole elementari statali o parificate per ciechi il servizio non di ruolo comunque prestato è riconosciuto per intero ai fini giuridici ed economici. 5. Al personale docente contemplato nel presente articolo è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti precedentemente indicati, il servizio prestato in qualità di docente incaricato o di assistente incaricato o straordinario nelle università. 6. I servizi di cui ai precedenti commi sono riconosciuti purché prestati senza demerito e con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. 7. Il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti. Art. 489 - Periodi di servizio utili al riconoscimento: 1. Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell'anno dall'ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. 2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento". Ai sensi dell' art. 11 comma 14 della L. n. 124 del 1999 si considera anno scolastico intero ex art. 489 il servizio di almeno 180 gg o servizi continuativo dall' 1 febbraio agli scrutini. Ciò premesso, il ricorso è fondato con riferimento ad entrambe le questioni dibattute. Quanto alla prima (prescrizione del diritto), certamente non può dirsi prescritto il diritto al riconoscimento dell'anzianità di servizio in sè, che costituisce elemento di fatto non suscettibile di prescrizione, neppure decennale ex art. 2946 c.c., come da Cass. 4076/2004 e 2232/2020 + Circolare n. 28 del 2.12.2021 del Ministero dell'Economia e della Finanze. Quanto alla seconda (computo dell' intero pre-ruolo a far data dall' as 1999/2000 ), va data continuità all' orientamento dell' Ufficio, che ha trovato conferma in sede di legittimità come da Cass. n. 22558/16, 8945/2017 e 20918/2019, secondo cui il mancato riconoscimento al personale non di ruolo delle progressioni stipendiali invece previste per il personale di ruolo in ragione dell'anzianità di servizio è in contrasto con il principio di non discriminazione di cui alla Direttiva 1999/77/CE, non poggiando la difformità di trattamento ivi prevista su ragioni oggettive, nel senso fatto proprio dalla direttiva, così come interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Tanto il principio in questione, che le sentenze della Corte di Giustizia, costituiscono nell'ambito del diritto interno fonti dell'ordinamento, cui il giudicante è tenuto ad attenersi se del caso anche disapplicando le norme interne. Se ne deduce che ai docenti precari, nell'ambito delle supplenze via via affidate, dovrebbe essere riconosciuta l'anzianità di servizio via via maturata, non essendo giustificato, attesa l' identità di mansioni e la conseguente esperienza maturata, escluderne e/o limitarne la rilevanza solo perché maturata in forza di rapporti a tempo determinato. Trattandosi nello specifico di docente immessa in ruolo, tale consolidato orientamento va applicato tenuto conto della nota sentenza CGCE 20.9.2018 in C-466/17 (= sentenza Motter), seguita da Cassazione nn. 31149/2019 e 33138/2019, secondo cui, onde evitare c.d. discriminazioni "alla rovescia", un problema di trattamento discriminatorio può porsi nelle sole ipotesi in cui l' anzianità di servizio effettiva (e non quella virtuale ex art. 489 TU 297/1994), risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 TU 297/1994. In base a tali nuovi approdi giurisprudenziali, per quanto in particolare statuito ai punti 9 e 10 di Cass. n. 31149/2019 (seguita da conf Cass. 16.12.2019 n. 33138, 7.2.2020 n. 2924, 12.2.2020 n. 3472) : - onde evitare cd discriminazioni "alla rovescia", un problema di trattamento discriminatorio può porsi nelle sole ipotesi in cui l' anzianità di servizio effettiva (e non quella virtuale ex art. 489 TU 297/1994), risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 TU 297/1994; - va considerato l' intero pre-ruolo, anche quello antecedente alla scadenza il 10.7.2001 del termine per il recepimento della Direttiva CE 1999/70; - in particolare il trattamento è discriminatorio - per cui la norma di diritto interno (art. 485 TU) va disapplicata e al docente va riconosciuto il medesimo trattamento spettante, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, al docente a tempo indeterminato - solo se l' anzianità maturata con rapporti a tempo determinato, anche antecedenti al 10.7.2001 e anche in ruoli diversi da quello per cui è chiesta la ricostruzione di carriera se ricorrono le condizioni ex art. 485 TU, calcolata senza computo dell'anzianità virtuale ex art. 489 TU in base ai soli periodi di vigenza dei contratti a termine e maggiorata dei periodi nei quali l' assenza è giustificata anche per l' assunto a tempo indeterminato (congedo ordinario, aspettativa retribuita, maternità ecc), è superiore a quella riconoscibile ex art. 485 TU. Nel caso di specie, tenuto conto dei periodi effettivamente lavorati come da stato matricolare, dal raffronto tra anzianità calcolata ai sensi della norma speciale e anzianità che nello stesso arco temporale avrebbe maturato l' insegnante comparabile periodi lavorati emerge il riscontro dell' effettiva sussistenza di discriminazione nel senso puntualizzato dalla succitata sentenza Cass. 31149/2019 al paragrafo 9.1. Ne è conferma il richiesto prospetto allegato alle note finali attoree sub doc. (...) ric La possibilità di poter usufruire in futuro del meccanismo di riallineamento ex art. 4, comma 3, del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399 non esclude, d' altro canto, che il docente abbia subìto una discriminazione nella ricostruzione di carriera in relazione al periodo di pre ruolo, rispetto a coloro che sono stati assunti sin dall'origine a tempo indeterminato: si tratta di ipotesi futura meramente eventuale laddove la discriminazione va valutata con riferimento al momento di ricostruzione della carriera. Il ricorso è dunque fondato. Il QUANTUM va determinato in base ai seguenti criteri: a) Non spettano né le retribuzioni per i mesi non lavorati, né gli scatti di anzianità per inapplicabilità della norma di cui all'art. 53 L. n. 312 del 1980: tale norma, infatti, disciplina la retribuzione spettante ai cd. docenti incaricati, venuti meno nel sistema di reclutamento scolastico introdotto dalla normativa successiva. Sul punto si è pronunciata anche la Cassazione (sentenza v. 22558/16 i punti 3.1-3.5 cui si rimanda). b) Va considerato l' intero pre-ruolo, anche quello antecedente alla scadenza il 10.7.2001 del termine per il recepimento della Direttiva CE 1999/70, come da punti n 9 e 10 della surrichiamata sentenza Cass. n. 31149/2019. Ai fini dell'applicazione della direttiva 1999/70/CE e della verifica della sussistenza o meno dell'eventuale discriminazione tra personale precario e di ruolo, non rileva la data di espletamento del servizio, bensì quella di stipula del contratto di assunzione a tempo indeterminato o di adozione del decreto di ricostruzione di carriera (Cass. Civ., Sez. Lav., 16.7.2020 n. 15231 e 15232), risalenti, nel caso di specie, ad una data successiva al 10.7.2001, quando era già scaduto il termine concesso agli stati membri per il recepimento della direttiva europea. c) E' fondata, sia pure parzialmente, l'eccezione di prescrizione ex art. 2948 n. 4 c.c. relativamente alla domanda di condanna al pagamento di differenze retributive - derivanti dall'applicazione delle progressioni stipendiali previste per i docenti di ruolo, quanto ai periodi fuori ruolo - mentre, come già detto, non può dirsi prescritto il diritto al riconoscimento dell'anzianità di servizio in sè, che costituisce elemento di fatto non suscettibile di prescrizione, neppure decennale (V. Cass. 4076/2004 , 2232/2020). Il decorso della prescrizione quanto alle differenze retributive non può ritenersi sospeso ovvero interrotto in quanto si tratta di rapporti di lavoro a tempo determinato, posto che nella peculiare fattispecie di cui è causa va esclusa una situazione psicologica di "metus" del lavoratore poiché la proposta relativa all'affidamento di contratti a tempo determinato nell'ambito del settore scolastico avviene secondo procedure rigidamente predeterminate non idonee ad essere influenzate dalla discrezionalità del datore di lavoro. E' dunque maturata a prescrizione in relazione alle differenze retributive astrattamente dovute al quinquennio precedente la notifica del ricorso-decreto. d) Dal computo dell'anzianità di servizio va escluso l' anno 2013 in quanto : - ai sensi dell' art. 9, comma 23, del D.L. n. 78 del 2010 convertito dalla L. n. 122 del 2010"Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti"; l' art. 1, comma 1, lettera b), del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, ha poi previsto che "le disposizioni recate dall'articolo 9, comma 23, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2013"; gli anni dal 2010 al 2012, non anche il 2013, sono stati poi recuperati ex D.I. n. 3 del 14 gennaio 2011 e Ccnl Comparto Scuola 13.3.2013; Spese parzialmente compensate nella misura di 1/2 in ragione di natura e pluralità di questioni dibattute, per la residua quota a carico del Ministero convenuto in base a soccombenza liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1. nei limiti di cui in motivazione sub quantum, accerta il diritto della ricorrente al riconoscimento a fini economici e giuridici dell'anzianità maturata nei servizi pre-ruolo prestati dall'as 1999/2000 e condanna il Ministero convenuto a riconoscere detta anzianità di servizio e a collocare la ricorrente nel livello stipendiale corrispondente all'anzianità di servizio effettivamente maturata nonché a corrispondere alla stessa le conseguenti differenze stipendiali maturate oltre alla maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria; 2. compensa per 1/2 tra le parti le spese di patrocinio e condanna il Ministero convenuto alla rifusione dell'ulteriore metà, che liquida, per la quota e al netto di accessori, in Euro 1.850,00. Così deciso in Venezia il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE DI VENEZIA dott.ssa Margherita Bortolaso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 2165/2021 RG promossa con ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato il 28.12.2021 da (...) con l'avv.to Lu.Pa. - ricorrente - contro COMUNE DI SAN DONA' con gli avv.ti (...), (...) e (...) - resistente - IN PUNTO: differenze retributive - progressione economica orizzontale (D2 - D3) decisa il 26.1.2023 FATTO La controversia è stata radicata dal ricorrente in epigrafe indicato quale ex dipendente del Comune di San Donà, segnatamente dal 19.09.1988 al 30.09.2019 con mansione di addetto al servizio di Polizia Municipale, cessato per pensionamento. Chiede l'accoglimento delle seguenti domande di merito: -IN VIA PRINCIPALE: per tutti i motivi di cui in narrativa, previo annullamento e/o nullità, anche parziale, e/o inefficacia e/o disapplicazione del contratto decentrato integrativo allegato all'atto unilaterale provvisorio di cui al verbale di deliberazione del Comune di San Donà di Piave n. 275 del 29.12.2016 e, in particolar modo, dell'art. 8, comma 9, e di tutte le determinazioni e/o verbali di deliberazione e, comunque, di tutti gli atti del Comune di San Donà di Piave ad esso conseguenti e previa dichiarazione dell'illegittimità della procedura di selezione per la progressione economica orizzontale anni 2017 - 2019, condannarsi il Comune di San Donà di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, alla riformulazione della relativa graduatoria con adozione dei criteri di merito previsti dal CCNL comparto Regioni ed Autonomie Locali del 1999 e CCNL comparto Funzioni Locali del 2018 e comunque della normativa nazionale vigente con conseguente condanna del Comune di San Donà di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, a corrispondere al sig. (...) gli arretratimaturati a titolo di progressione economica orizzontale a far data dal 01.01.2017 nella misura di Euro 6.395,25 lordi (cfr. tabella B passaggio da D2 a D3 anni 2016, 2017, 2018 e 2019 pag. 99 doc. 20) oltre TFR, interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo o nella misura che verrà accertata in corso di causa o ritenuta di giustizia anche in via equitativa -IN (...): I) per tutti i motivi di cui in narrativa, accertato il diritto del ricorrente al conseguimento della progressione economica orizzontale per la categoria da (...) a (...) anni 2017 - 2019 secondo i criteri previsti dal CCNL comparto Regioni ed Autonomie Locali del 1999 e CCNL comparto Funzioni Locali del 2018 nonché dalla legislazione nazionale, anche previo ricalcolo del punteggio attribuito allo stesso, condannare il Comune di San Donà di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, a corrispondere al sig. (...) gli arretrati maturati a titolo di progressione economica orizzontale a far data dal 01.01.2017 nella misura di Euro 6.395,25 lordi (cfr. tabella B passaggio da D2 a D3 anni 2016, 2017, 2018 e 2019 pag. 99 doc. 20) oltre TFR, interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo o nella misura che verrà accertata in corso di causa o ritenuta di giustizia anche in via equitativa. II) per tutti i motivi di cui in narrativa, accertato il diritto del ricorrente al conseguimento della progressione economica orizzontale per la categoria da (...) a (...) anni 2017 - 2019 secondo i criteri previsti dal CCNL comparto Regioni ed Autonomie Locali del 1999 e CCNL comparto Funzioni Locali del 2018 nonché dalla legislazione nazionale, anche previo ricalcolo del punteggio attribuito allo stesso, condannare il Comune di San Donà di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, previa riliquidazione della pensione, al versamento a favore del sig. (...) il corrispondente aumento pensionistico per i mesi compresi tra il 2017 ed il 2019 nella misura che verrà accertata in corso di causa o ritenuta di giustizia anche in via equitativa, considerando che la progressione orizzontale da D2 a D3 avrebbe comportato un aumento della pensione mensile lorda pari ad Euro 96,15 oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo. III) Spese legali e compensi professionali integralmente rifusi. Allega di avere sempre avuto negli anni, nelle note di valutazione, punteggio di merito pari a 10/10 e ciononostante di non avere mai superato le progressioni economiche per il passaggio dal livello D2 al D3 indette dal Comune nel periodo 2017 - 2019. Imputa tale mancato superamento ad un illegittimo correttivo nell'attribuzione del punteggio introdotto dapprima, nel 2016, con atto unilaterale del Comune poi ratificato a posteriori tramite accordo collettivo integrativo (= atto unilaterale di cui al verbale di deliberazione del Comune di San Donà di Piave n. 275 del 29.12.2016 ratificato con accordo integrativo del 2018), e successivamente, negli stessi termini, direttamente dall'accordo integrativo per il triennio 2019/2021. Riferisce di non avere conseguito l'avanzamento economico, nonostante, appunto, il massimo punteggio di 10/10 sempre conseguito nelle note di valutazione, attesa la non rilevanza esclusiva, in base a tale correttivo, del punteggio in sé in termini assoluti, e l'applicazione invece di formula matematica basata sulla parametrazione del punteggio individuale alla media dei punteggi riportati dai vari colleghi del medesimo settore. Sostiene l'avvenuta vanificazione, in tal modo, dei criteri meritocratici vincolanti per legge e contrattazione nazionale, e chiede dunque al Tribunale, previa dichiarazione di nullità/ disapplicazione in parte qua dell'accordo integrativo, allegato all'atto unilaterale provvisorio di cui al verbale di Deliberazione del Comune di San Donà di Piave n. 275 del 29/12/2016 (art. 8 comma 9), di condannare il Comune a riformulare la graduatoria della procedura di selezione sulla base dei soli criteri di merito previsti dal CCNL comparto Regioni ed Autonomie Locali del 1999 e CCNL comparto Funzioni Locali del 2018, nonché dalla legislazione nazionale, con ricalcolo del punteggio e pagamento del maturato considerata la spettanza del passaggio al D3 dall'01.01.2017, quantificato in Euro 6.395,25 lordi a titolo di differenze retributive, oltre ad incidenza sul TFR, accessori e riliquidazione della pensione. La pretesa è contrastata dal Comune nel merito per legittimità e corretta applicazione del meccanismo (correttivo) come previsto dalle parti, Amministrazione da un lato e delegazione sindacale RSU dall'altro, in sede di accordo integrativo. La causa è stata istruita con acquisizione della documentazione offerta. Sono state depositate note finali autorizzate. All'odierna udienza è stata trattenuta in decisione all'esito di udienza da remoto. MOTIVI Il ricorso va rigettato. E'scontato, e pacifico in causa, che in conformità all'art. 52 comma 1 bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 23, 62 e 40 comma 3 quinquies del D.Lgs. n. 150 del 2009 (cd decreto B.), e a cascata della contrattazione collettiva nazionale, le progressioni economiche orizzontali devono essere attribuite in base a criteri meritocratici, segnatamente: - in relazione alle risultanze della valutazione della performance individuale del triennio che precede l'anno in cui decisa l'attivazione dell'istituto; - in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali e ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione. L'attribuzione automatica di incrementi retributivi indipendentemente dal carattere meritorio dell'attività prestata dai lavoratori interessati è pacificamente esclusa, contrastante con i vincoli posti dalla legge. Coerentemente ex art. 12 Ccnl 31.3.1999 Comparto Regioni ed Autonomie Locali la progressione economica D2?D3 deve avvenire sulla base di : 1) risultati ottenuti; 2) prestazioni rese con più elevato arricchimento professionale, anche conseguenti ad interventi formativi e di aggiornamento collegati alle attività lavorative ed ai processi di riorganizzazione; 3) impegno e qualità della prestazione individuale. Detti elementi, utilizzati anche disgiuntamente, devono tenere conto del: "diverso impegno e qualità delle prestazioni svolte, con particolare riferimento ai rapporti con l'utenza; grado di coinvolgimento nei processi lavorativi dell'ente, capacità di adattamento ai cambiamenti organizzativi, partecipazione effettiva alle esigenze di flessibilità; iniziativa personale e capacità di proporre soluzioni innovative o migliorative dell'organizzazione del lavoro". Nel contempo l'art. 7, comma 4 lettera c) del medesimo Ccnl Comparto Regioni ed Autonomie Locali demanda espressamente alla contrattazione integrativa i criteri per la definizione delle procedure delle progressioni economiche. Sono, infatti, oggetto di contrattazione integrativa: a) i criteri di ripartizione delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa di cui all'art. 68, comma 1 tra le diverse modalità di utilizzo; b) i criteri per l'attribuzione dei premi correlati alla performance; c) i criteri per la definizione delle procedure per le progressioni economiche. Si tratta - nuovamente come noto e pacifico - del tipico, elettivo, ambito di intervento della contrattazione di secondo grado, la cui competenza copre, ed è, per così dire, "regina", quanto all'intera materia del salario accessorio, sia in punto ripartizione risorse e progressioni economiche, sia in merito alla specificazione dei criteri per l'assegnazione ai singoli lavoratori. Ciò posto, l'accordo integrativo 2018 oggetto di causa, laddove, tramite la ratifica del punto 8 comma 9) dell'Atto Unilaterale Sostitutivo allegato alla deliberazione n. 275 del 29.12.2016, ha introdotto il meccanismo di cd "normalizzazione" censurato in causa dal F., è, dunque, correttamente intervenuto nel tipico ambito di operatività della contrattazione integrativa. Nel merito lo ha fatto, a fronte di risorse limitate rispetto ai potenziali interessati, tenendo conto del divieto generale di prevedere somme per le PEO utili per la totalità del personale interessato, ovvero automatiche a prescindere dal merito, e muovendo nel contempo dall'esigenza di contrastare l'anomala situazione verificatasi negli anni precedenti, di accesso alla progressione sempre da parte del medesimo personale in ragione della differenziazione della valutazione di ciascun dirigente, per sua natura di tipo soggettivo. A tal fine, per poter avere graduatorie uniche per categoria ((...), (...) e (...)) con un parametro il più possibile omogeneo di valutazione, Amministrazione e delegazione Sindacale RSU hanno deciso di introdurre un correttivo standard diretto a neutralizzare l'incidenza di tale componente soggettiva insita nella valutazione da parte di ciascun dirigente, e a produrre la formazione di graduatorie "normalizzate" per ogni singola categoria. Tale finalità è stata perseguita rapportando la media aritmetica delle valutazioni della performance individuale del triennio alla media reale nel settore di appartenenza, con formula tale da comportare il massimo rilievo della media reale del singolo settore e non già della media delle medie reali di tutti i settori, essendo quest'ultimo un parametro neutro, uguale per ogni settore. In tal senso la seguente testuale previsione in merito, come detto ex art. 8 comma 9 dell'Atto Unilaterale Sostitutivo allegato alla deliberazione 275/2016 (doc. 4 ric): "qualora le risorse destinate alle progressioni siano tali da non permettere il finanziamento dei passaggi all'interno dei singoli settori, si procederà a formalizzare "graduatorie normalizzate", per ogni singola categoria, a livello di Ente. In tal caso si applicherà la seguente formula di normalizzazione delle valutazioni: Punti merito individuale: media reale settore = x : media delle medie reali di tutti i settori" , pacificamente operante, a seguito di ratifica ex accordo integrativo, rispetto all'intero triennio 2017-2019 oggetto di causa. In base a tale formula il voto medio-alto dell'individuo, diviso per la media alta reale del settore, comporta l'abbassamento del voto individuale, mentre il voto medio-basso dell'individuo, diviso per la media bassa del settore comporta l'innalzamento del voto individuale. Ne deriva che dipendenti con media di punteggio alta o bassa che facciano parte di un settore con media bassa raggiungano un punteggio superiore rispetto ad individui con media di punteggio alta che facciano parte di un settore con media alta. Rispetto all'odierno ricorrente la formula è stata applicata tenuto conto che il corpo di appartenenza, ossia la Polizia Municipale, a partire dal 2016 costituisce - come da organigramma doc 1 resist - servizio autonomo non incluso in alcuno dei settori del Comune, non piu'incluso, infatti, da tale data, come era invece in precedenza, nel Settore Primo accorpato ad Anagrafe, Stato Civile e Messi comunali, né inserito in altro Settore, e dunque, appunto, a sé stante, ufficio di staff alle dirette dipendenze del Segretario Generale e del Sindaco. L'appartenenza del (...) a servizio autonomo che ha in concreto riportato, nel periodo di interesse, una media alta (precisamente del 9,69), ne ha fortemente penalizzato le aspettative di progressione orizzontale: nonostante negli anni precedenti avesse riportato un voto individuale pari a 10, l'entità elevata della media di settore ha, infatti, comportato l'attribuzione di una media bassa. Questo in base alla corretta applicazione da parte del Comune del sopra descritto correttivo previsto dalla contrattazione integrativa, di per sé - ad avviso di questo giudicante - legittimo in quanto non già contrastante in assoluto con i criteri meritocratici fissati dalla legge e dalla contrattazione nazionale, bensì semplicemente derivanti da una ponderazione degli stessi finalizzata all'apprezzabile esigenza di neutralizzare disparità di trattamento direttamente collegate alla natura soggettiva della valutazione da parte dei singoli dirigenti. E'infatti evidente, ed ovvio, che la media reale alta o bassa di un settore non deriva dalla casuale concentrazione nello stesso di personale rispettivamente tutto meritevole o tutto scarso, bensì sta ad indicare un diverso apprezzamento soggettivo del singolo dirigente nella valutazione, ovvero risente, in poche parole, del fatto che il relativo dirigente sia più o meno "di manica larga". Dunque, la previsione del correttivo standard oggetto di causa a mezzo della contrattazione integrativa, frutto dell'incontro di volontà di Amministrazione da una parte e delegazione sindacale dall'altra, non è censurabile poiché : - sul piano formale l'intervento è avvenuto nel tipico ambito di competenza per materia proprio della contrattazione decentrata, nel rispetto dei rapporti tra i diversi livelli della contrattazione, ovvero nei limiti stabiliti dal contratto collettivo nazionale; - sul piano sostanziale non si tratta di disciplina contrastante con i criteri meritocratici in base ai quali deve, per legge e contrattazione nazionale, avvenire l'attribuzione delle progressioni economiche orizzontali: non comporta, infatti, alcuna assegnazione automatica di incrementi retributivi indipendentemente dal carattere meritorio dell'attività resa da ogni singolo lavoratore, né prescinde totalmente dalle risultanze della valutazione della performance individuale del triennio ; - il sistema appontato risponde all'apprezzabile esigenza di pervenire a graduatorie uniche per categoria con un parametro il più possibile omogeneo di valutazione, evitando disparità di trattamento a carico degli appartenenti a settori guidati da dirigenti "di manica stretta", meno "benevoli" nelle valutazioni, e vanno dunque escluse arbitrarietà o illogicità tali da giustificare un sovvertimento della volontà sovrana delle parti sociali a mezzo di pronuncia demolitoria (nel caso non già disapplicazione, bensì declaratoria di nullità) da parte dell'Autorità Giudiziaria. Il ricorso va pertanto, per le esposte ragioni, rigettato. Novità e peculiarità delle questioni trattate giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. definitivamente pronunziando, contrariis reiectis, così provvede: 1. rigetta il ricorso; 2. dichiara le spese di lite integralmente compensate tra le parti. Così deciso in Venezia il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE DI VENEZIA dott.ssa Margherita Bortolaso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di lavoro n. 432/2021 RG promossa con ricorso da (...), proseguita dalle eredi (...) e (...) con avv.ti Ma.Ca. e Gi.Mo. per mandato allegato alla comparsa di costituzione volontaria depositata il 18.10.2022 - RICORRENTI - contro (...) SPA rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ca. per mandato in atti - RESISTENTE - in punto: risarcimento danni - responsabilità ex art. 2087 c.c.; decisa il 19.1.2023 FATTO Con ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato telematicamente il 12.3.2021 (...) ha agito in giudizio verso (...) svolgendo le seguenti domande di merito : "accertato quanto in premessa, condannarsi la società (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in (...), Piazza della (...) n. 1, a pagare a favore del ricorrente a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla patologia professionale di causa descritti nella precedente parte espositiva, la somma complessiva di Euro 1.218.437,40 al lordo dell'indennizzo Inail, oltre a rivalutazione e interessi come per legge, oltre al rimborso delle spese sostenute pari a Euro 275,00, ovvero al pagamento delle diverse somme che appariranno eque e di giustizia oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge. Con rifusione di spese, rimborso forfetario spese generali e compensi professionali, con distrazione in favore degli scriventi difensori quali antistatari". Ha agito allegando e documentando di essere affetto da mesotelioma pleurico scoperto nel corso del 2019 e sostenendone la correlazione all'attività lavorativa con mansioni di capotreno svolta dal 1969 al 1983 alle dipendenze dell'allora Azienda (...), oggi (...) s.p.a. - (...), responsabile ex art. 2087 c. La correlazione è, in estrema sintesi, fondata sull'indiscriminata esposizione ad amianto per massiccio impiego in azienda di materiali in asbesto, in particolare pannelli e fasce per isolare tubature e caldaie, coibentazione delle cabine di guida dei locomotori per isolare i rotabili di nuova costruzione e per sostituire i materiali isolanti infiammabili (come il sughero) che caratterizzavano le carrozze di più remota costruzione, cavi e capicorda, guarnizioni dei motori e delle condotte di riscaldamento, spruzzatura delle pareti per isolamento termo-acustico, collettori di scarico dei motori diesel delle locomotive; freni e relative guarnizioni. (...) si è costituita in giudizio eccependo in via preliminare la nullità del ricorso per difetto di allegazione e prova, quanto al merito rilevando l'assenza di prova sul nesso attività lavorativa/patologia; in via subordinata contestando la quantificazione del danno, in particolare per omesso scomputo della rendita Inail. In corso di causa, segnatamente il 19.8.2022 all'esito della fase istruttoria (prove orali + ctu ) e del deposito di note finali, è intervenuto il decesso del (...). Con comparsa depositata il 18.10.2022 si sono costituite le eredi dello stesso, (...) e (...), rispettivamente moglie e figlia, formulando le seguenti conclusioni di merito: "condannarsi la società (...) s.p.a., in persona del le-gale rappresentante pro-tempore, con sede in (...), Piazza della (...) n. 1, a risarcire in favore di G.B. vedova (...) e (...), eredi ex lege del sig. (...), i danni non patrimo-niali di natura biologica, morale ed esistenziale patiti in vita dal loro con-giunto per la patologia di cui in narrativa e trasmessi jure hereditatis alle odierne intervenienti, come sopra rappresentate e difese, in proporzione alle rispettive quote ereditarie ex lege, da quantificarsi in complessivi Euro 1.218.437,40 al lordo dell'indennizzo Inail in somma capitale o nella eventuale diversa somma, maggiore o minore, che risulterà equa e di giu-stizia, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria. Con rifusione di spese, rimborso forfetario spese generali e dei compensi professionali, da di-strarsi a favore degli scriventi procuratori in qualità di antistatari.". All'udienza 20.10.2022, all'esito di discussione, è stata disposta l'acquisizione delle cartelle cliniche del (...) dell'estate 2022 (ricovero esitato nel decesso) e di prospetto aggiornato di quanto erogato al medesimo (...) dall'Inail a titolo di rendita. All'odierna udienza all'esito di discussione finale la causa è stata trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare va esclusa l'eccepita nullità del ricorso per genericità di allegazioni e prova essendo al contrario le ragioni della domanda e il peitum puntualmente formulati e altresì adeguatamente riscontrati. Il ricorso è altresì fondato nel merito, per le seguenti ragioni. A) Responsabilità Come è noto, secondo consolidati principi giurisprudenziali l'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva in quanto la responsabilità del datore di lavoro, direttamente fondata sul rapporto contrattuale ed eventualmente concorrente con la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., deriva dal mancato adempimento dell'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti: va quindi collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale ovvero suggeriti dalle conoscenze specifiche e tecniche del momento. Il regime probatorio della responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.) prevede che il lavoratore/creditore ha l'onere di dimostrare l'inadempimento/condotta illecita del debitore/datore di lavoro, l'evento lesivo e il nesso causale tra l'inadempimento e l'evento mentre è onere del datore di lavoro/debitore dimostrare che l'inadempimento è determinato da impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile. La specifica responsabilità in questione (art. 2087 c.c.) non è basata su un criterio puramente oggettivo di imputazione dell'evento lesivo collegato al rischio inerente l'attività svolta nel suo interesse, nel senso che il datore di lavoro può fornire la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di avere adottato tutte le misure e le cautele necessarie per prevenire ed evitare i rischi connessi all'attività lavorativa. La previsione dell'obbligo contrattuale di sicurezza comporta - in linea con i principi generali in tema di obbligazione affermati dalle ss.uu. Cass. nella nota pronuncia 30.10.2001 n. 13533 e già in precedenza applicati nella materia specifica degli infortuni sul lavoro con orientamento consolidato dalla sezione semplice - che al lavoratore è sufficiente provare il danno ed il nesso causale; spetta poi all'imprenditore provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno con la conseguenza che solo l'effettiva interruzione del nesso di causalità tra malattia ( o infortunio) e un comportamento colpevole dell'imprenditore esclude la responsabilità di costui non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore, per condotta negligente o imprudente dello stesso, ma occorrendo o una di lui condotta dolosa (o comunque assolutamente anomala) ovvero la presenza di un rischio effettivo generato da un'attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso. Il datore di lavoro è in particolare responsabile non solo quando ometta di adottare le idonee misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente non assumendo alcun valore esimente per l'imprenditore l'eventuale concorso di colpa del lavoratore e potendo configurarsi un esonero di responsabilità per il datore stesso soltanto quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità e dell'assoluta inopinabilità, da valutarsi anche con riferimento al livello di esperienza del singolo lavoratore. Nello specifico, il lavoratore deve dimostrare la nocività dell'ambiente di lavoro, la lesione alla propria integrità fisica e/o psichica e il nesso di causa tra i due fatti mentre il datore di lavoro deve dimostrare di avere adottato nel luogo di lavoro tutte le misure idonee a garantire la integrità fisica e psichica dei lavoratori in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e alle possibilità messe a punto dalla scienza e dalla tecnica anche oltre l'adozione di particolari misure tassativamente imposte dalle leggi speciali in materia antinfortunistica; ciò non comporta, come detto, l'affermazione di una natura oggettiva della responsabilità del datore di lavoro atteso che detta responsabilità è comunque da collegarsi ad una violazione di doveri di comportamento che traggono la loro fonte nell'art. 2087 - quale norma di chiusura del sistema - e che vanno individuati in quei comportamenti e cautele che la tecnica e la scienza suggeriscono in un determinato momento storico. Parte ricorrente nel caso di specie ha assolto l'onere a suo carico tramite documentazione, testi e ctu medico legale. Depone innanzitutto a supporto delle doglianze attoree la Circolare 9.6.1979 del Servizio Sanitario delle F. dello Stato doc. 11 ric., nella quale, indicati i rischi per la salute derivanti dalla inalazione di fibre di amianto, è elencata una lunga serie di siti con presenza di amianto nel settore ferroviario, quali fasciatura delle tubazioni di acqua, dei gas di scarico e del riscaldamento; scaldiglie di carrozze e mezzi di trazione; cavi e capicorda; guarnizioni dei motori e delle condotte di riscaldamento; spruzzatura delle pareti per isolamento termo-acustico; collettori di scarico dei motori diesel delle locomotive; freni e relative guarnizioni, ecc. ... Depongono nella stessa direzione le Linee guida elaborate nel 2006 dal CONTARP CENTRALE - INAIL per il riconoscimento dell'esposizione ad amianto dei ferrovieri: esse offrono un'analitica descrizione dell'impiego dell'amianto presso le F. (cfr. doc. 21 ric ), ed altresì perizie ambientali eseguite nell'ambito di tre procedimenti giudiziari promossi nei confronti dell'Inps da alcuni dipendenti delle F., che si sono conclusi con il riconoscimento ai lavoratori dei benefici previdenziali di cui alla L. n. 257 del 1992 (v. docc 18,19,20 ric). Riscontrano inoltre la specifica esposizione ad amianto come prospettata in ricorso le risultanze dell'istruttoria orale avendo i testi così riferito: - (...), dipendente delle F. Stato dal 1956 al 1993, con mansioni di personale viaggiante conduttore passeggeri - capo treno e capo deposito: " Con (...) ho lavorato assieme a Padova negli anni 70, io già all'epoca capo personale viaggiante (redazione turni, coordinamento), (...) come capotreno. In origine come sistema frenante c'erano ceppi in ferro che frenavano sulle ruote stesse del treno (l'amianto non c'era). A partire dal 1961 in concomitanza con l'elettrificazione delle linee sono stati introdotti i freni a disco con componenti di amianto che frenando provocavano dispersione di pulviscolo e quindi anche di amianto. Il capo treno doveva fare le prove dei freni dei treni; nelle grandi stazioni c'erano i verificatori; nelle piccole invece provvedeva il capotreno ad ogni viaggio, dunque quotidianamente, così anche G.. La verifica consisteva nell'azionare i freni e controllare visivamente il funzionamento della frenatura . Il macchinista frenava e il capotreno controllava appunto visivamente il funzionamento del sistema frenante lungo tutto il treno che in caso di treni merci era composto da molti carri, anche 40-50, in coda apriva il rubinetto dell'aria e la scaricava; poi il macchinista la ricaricava e il capo treno faceva il controllo all'inverso che fosse tutto sfrenato. Nei treni viaggiatori il pulviscolo con amianto si posava in terra e al passaggio del treno successivo si muoveva nell'aria e dunque veniva facilmente respirato. La situazione descritta è stata tale certamente fino a fine anni '80 e anche oltre, nel senso che tuttora i dischi dei freni contengono amianto". - (...), dipendente FS fino al 1986, con qualifica inizialmente bassa e poi capotreno: "Il sistema frenante inizialmente era con ceppi, per il controllo c'erano i verificatori, inoltre il capo treno faceva il controllo alla partenza del treno e comunque dei carri dei treni merci ; in particolare il capo treno aveva tale compito di controllo del sistema frenate rispetto ai treni merci ed inoltre in caso di partenza del treno da stazioni piccole (es (...), (...) ecc) in cui non c'erano verificatori ; era un controllo visivo e obbligatorio diverso comunque da quello dei vertificatori in quanto contingente al momento. Non ricordo da quando ci sono i freni a disco con componenti di amianto, cd ferro di; l'introduzione é stata comunque progressiva" - (...), dipendente (...) dall'1.4.1981 con mansioni iniziali di macchinista e da ultimo responsabile SPP: "Tra le attività del capo treno c'è sempre stato anche il controllo del sistema a frenante presso le stazioni piu'piccole senza verificatori. All'epoca del rapporto di lavoro di (...) in origine il sistema era costituito da ceppi all'interno delle ruote e si doveva verificare che aderissero e si allentassero; il controllo del capotreno era dunque visivo. Nelle carrozze costruite nel 1959 i ceppi erano di ghisa. Poi dagli anni '70/80'è stato introdotto il sistema frenante a dischi contenenti in parte amianto, ossia contenenti amianto solo però per una quota; non ho mai visto schede tecniche in merito e non saprei indicare la percentuale. I capi-treni hanno continuato a svolgere la funzione di controllo del sistema frenante a quel punto però con modalità diverse in quanto i dischi sono contenuti nell'asse che collega le due ruote e non erano dunque visibili; il sistema di verifica avveniva a cd finestrelle che in base al cambio di colore (verde o rosso) indicavano se il sistema era frenato o sfrenato. I dischi dentro all'asse avevano le pastiglie caricato da un lato e , pur non visibili totalmente, non erano segregati bensì esposti all'aria anche per il raffreddamento. I capi-treni avevano compiti di controllo del sistema frenante sia rispetto ai treni passeggeri nelle stazioni piccole senza verificatori, sia quanto ai treni merci che erano composti da più carri; era un compito svolto, nelle linee con stazioni piccole, quotidianamente". Dunque, secondo quanto confermato concordemente dai testi, a diretti conoscenza dei fatti quali colleghi, (...) quale capotreno (...) è stato massicciamente esposto all'inalazione delle fibre di amianto in quanto all'epoca del suo rapporto con (...) i freni erano a disco con componenti di amianto e frenando provocavano dunque dispersione di pulviscolo e quindi anche di amianto, laddove (...), come tutti i capitreno nelle piccole stazioni in cui non c'era la figura del c.d. verificatore, aveva il compito di verificare quotidianamente i freni controllandone visivamente, dunque in posizione ravvicinata rispetto alla dispersione di fibre amianto generata dalle frenate, il funzionamento. L'espletata ctu del prof (...) conferma, d'altro canto, la riconducibilità del mesotelioma all'attività del (...) quale dipendente (...). E'ben vero - come rimarcato dalla società convenuta anche nelle note finali - che vi è stata possibile esposizione professionale anche presso precedente datore di lavoro, ma si è trattato di qualche mese a cavallo tra il dicembre 1964 e il maggio del 1965 quando operava alle dipendenze della ditta (...) di (...) e soprattutto esposizione all'amianto e l'origine professionale del mesotelioma riferite alle mansioni di capotreno (...) risultano attestate dall'esito della causa Inail ed altresì in modo concorde dalla ctu medico legale (...). E'certo dalle prove che l'esposizione ha riguardato tutto il periodo (...): in veste di conduttore per la permanenza all'interno delle cabine di guida e dei vagoni dei treni ove la polvere si propagava in quanto l'amianto era presente sulla cassa delle cabine di guida oppure sui sistemi di condizionamento (cfr. CTU pag. 33, con i richiami ai dati dei Registri ReNaM) mentre, in veste di capo treno, come già detto, in quanto eseguiva in via continuativa la verifica del funzionamento del sistema frenante dei treni. A tale esposizione in base alla ctu è riconducibile il mesotelioma pleurico diagnosticato al (...) nel 2019. E' pacifico, d'altro canto, nemmeno contestato e comunque riscontrato dalle cartelle cliniche dell'ultimo ricovero dimesse dalle eredi in pct il 21.10.2022, che il decesso del (...) stesso in data 19.8.2022 è stato causato proprio dal mesotelioma pleurico (v. nelle cartelle cliniche quale causa di morte: complicazioni, segnatamente insufficienza respiratoria e cachessia, del mesotelioma pleurico) , In punto danno il CTU, confermate la patologia quale mesotelioma pleurico maligno di tipo epitelioide e la riconducibilità causale dello stesso all'esposizione professionale a fibre di amianto, accerta la sussistenza di postumi pari al 70% dall'epoca della diagnosi, da aumentare all'80% a partire dal settembre 2020 e da aumentare ulteriormente al 90% dal marzo 2021 per il progressivo aggravarsi della patologia, con grado di sofferenza anche a livello psicologico elevata. Così dunque provate dalle ricorrenti, tramite documentazione, testi e ctu, l'esposizione del (...) ad amianto quale dipendente Rfi e la riconducibilità alla stessa del mesotelioma pleurico che lo ha afflitto dal 2019 e che ne ha da ultimo, il 19.8.022, provocato il decesso, dal canto suo l'ente convenuto non ha fornito, né chiesto di fornire, la prova liberatoria prevista dall'art. 2087 c.c.. Del tutto infondata la difesa di (...) secondo cui le prime affermazioni scientifiche in materia di amianto risalirebbero agli anni '60 e solo attraverso approfonditi studi solo negli anni '80 si sarebbe arrivati a provare con certezza che l'amianto aveva capacità patogenetica anche a basse dosi. Le conoscenze scientifiche sulla pericolosità dell'amianto, risalgono, come noto, a inizio 1900 e una società di articolata struttura e grandi dimensioni quale (...) avrebbe dovuto dunque adottare le contromisure ex art. 2087 c. ben prima dei anni '80. Sul punto l'orientamento della Cassazione è assolutamente univoco, e pienamente condivisibile. V. per tutte: - Cass. 24217 del 13/10/2017: " In materia esercizio di attività pericolose ed esposizione dei lavoratori alle polveri di amianto, la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e d'indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice di merito che ? riconosciuto il nesso di causalità tra affezione ed esposizione alle polveri da absesto - aveva ritenuto la responsabilità del datore di lavoro sul presupposto che ad esso, Autorità portuale di Venezia, all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro - anni dal 1968 al 2000 - dovesse essere ben nota la pericolosità delle fibre di amianto, materiale il cui uso è sottoposto a particolari - Cass. 18503 del 21/09/2016, secondo cui: "In materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli artt. 174 e 175 del D.P.R. n. 1124 del 1965 all'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 1956, norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini) di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza, comporta che non sia sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. civ. "threshold limit value") poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte. - proprio nei confronti di (...) Cass. 18626 del 05/08/2013, secondo cui : " La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La domanda risarcitoria in punto an debeatur risulta dunque fondata. B) Quantificazione Ritenuta, dunque, per le ragioni fin qui esposte, la responsabilità risarcitoria di (...) , ai fini della quantificazione del danno iure hereditario, da un lato, va esclusa la risarcibilità del c.d. danno tanatologico, dall'altro non va utilizzato il criterio del valore per punto di invalidità, che serve per liquidare il danno da invalidità permanente, bensì il meccanismo di liquidazione del danno da invalidità temporanea tenuto conto della durata della malattia tra insorgenza e decesso. Insegna, infatti, la Cassazione - v. ss. n. (...) del 28.8.2007, conf. Cass. n. 9959 del 28.4.2006 e Cass. n. 3549 del 23.2.2004 - che nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione della integrità psicofisica patita dal danneggiato per quel periodo di tempo, e il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi "iure hereditatis"; in questo caso, l'ammontare del danno biologico terminale sarà commisuratosoltanto all'inabilità temporanea, e tuttavia il giudice di merito, ai fini della liquidazione, dovrà tenere conto, nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità e intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte. La medesima Cassazione, nel pronunciarsi a SS.UU. sul danno tanatologico con la sentenza n. 15350 del 22.7.2015 rel. S. a seguito del contrasto insorto, rispetto al precedente orientamento, per effetto della nota pronuncia n. 1361/2014, ha ribadito la non-risarcibilità iure hereditatis del danno da perdita del bene vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito, e la risarcibilità invece del danno da lesione in capo al defunto, con conseguente trasmissibilità mortis causa dell'obbligazione risarcitoria agli eredi, qualora la morte segua - come nel caso di specie - dopo un apprezzabile lasso di tempo (nozione indicata come danno biologico terminale o danno catastrofale). Tale pronuncia negazionista, confermativa dell'orientamento consolidato ante Cassazione 2014, riguarda dunque chiaramente, così come la nozione di danno tanatologico in senso proprio, unicamente il caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni laddove invece il caso di specie involge la questione del risarcimento delle lesioni esitate in morte dopo un certo lasso di tempo, trasmissibile agli eredi, per il quale è ribadita la liquidazione quale invalidità temporanea con il massimo di personalizzazione in considerazione della entità e intensità del danno. Ciò posto, nel caso di specie, come già detto, il mesotelioma pleurico è stato diagnosticato al (...) nell'agosto 2019 e il decesso è intervenuto a distanza circa tre anni il 19.8.2022, con durata della malattia dunque pari a complessivi (...) giorni. In particolare nell'agosto 2019, a causa di dispnea e versamento pleurico, il ricorrente è stato ricoverato presso il reparto di pneumologia dell'Ospedale di Padova e come risulta dalla cartella clinica riferita a tale ricovero (doc. n. 2 ric), protrattosi dal 22.8.2019 al 29.8.2019, è stato sottoposto a toracoscopia transpleurica e toracentesi e ad altri esami specialistici e, all'esito, è stata formulata diagnosi di mesotelioma pleurico, poi confermata come da referto 13.9.2019 doc 3 ric e certificato medico del 5.12.2019 doc. 4 ric. Hanno fatto seguito presso lo IOV di Padova cicli di chemioterapia. In data 4.11.2019 il dott. (...) ha redatto il primo certificato medico di malattia professionale. Come già detto dalla ctu (...) è accertata la sussistenza di postumi pari al 70% dall'epoca della diagnosi, da aumentare all'80% a partire dal settembre 2020 e da aumentare ulteriormente al 90% dal marzo 2021 per il progressivo aggravarsi della patologia, con grado di sofferenza anche a livello psicologico elevata. Ne deriva, in base alle tabelle di Milano, la seguente liquidazione: 1. quanto ai 100 giorni antecedenti al decesso Euro 109.851,00, così determinato: Euro 30.000,00 per tre giorni + a partire dal quarto giorno fino al 100 giorno antecedente al decesso, tenuto conto dell'elevato grado di sofferenza tale da giustificare la massima personalizzazione (50%), importo giornaliero pari ad Euro 1000,00 quanto al 4 giorno diminuito progressivamente giorno per giorno fino al valore, al 100 giorno, di Euro 147,00 ( = Euro 98 aumentato del 50%); 2. quanto agli ulteriori 995 giorni sui (...) complessivi (agosto 2019/agosto 2022) Euro 146.265,00 così determinato: Euro 147,00 x 995 giorni, tenuto conto dell'elevato grado di sofferenza e della consapevolezza circa l'esito infausto della malattia fin dalla diagnosi, che giustificano l'applicazione della massima personalizzazione al 100%;. da cui un danno non patrimoniale complessivo di Euro 256.116,00 ( = Euro 109.851,00 + 146.245,00). Da tale importo va detratto quanto percepito dal (...) dall'Inail a titolo di danno biologico nell'ambito della rendita, fruita dal 13.11.2019 fino al decesso, pari, come da prospetto da ultimo acquisito, ad Euro 39.671,36 (v. prospetto Inail inserito in pct il 4.1.2023), da cui residui Euro 216.444,64 ( = 256.116 - 39.671,36). Tale posta va scomputata siccome omogenea rispetto al pregiudizio corrispondente al risarcimento per Euro 146.265,00, trattandosi in entrambi i casi del danno biologico patito in vita dal decuius. Ed infatti è ben vero che - come da ultimo puntualizzato sulla nozione di danno complementare da Cass. 23767/2022 est (...) (conf. a Cass. 17655/2020 e 9166/2017, anch'esse est (...)) - l'Inail non indennizza né il danno biologico temporaneo, né il danno morale, e rispetto a tali componenti non può dunque operare la compensatio lucri cum damno. E tuttavia nel risarcimento come sopra quantificato in Euro 146.265,00 è ricompreso anche il danno biologico sofferto in vita dal decuius, ovvero, sia pure liquidato, atteso l'intervenuto decesso, con il sistema dell'invalidità temporanea, ontologicamente lo stesso danno coperto dalla quota parte relativa al danno biologico della rendita Inail (nello specifico Euro 39.671,36), che va dunque scomputata. Per le ragioni tutte esposte dunque la società convenuta va condannato a pagare alle eredi di (...) a titolo risarcitorio per il danno non patrimoniale subito dal de cuius Euro 216.444,64 oltre ad interessi legali dalla data dell'insorgenza della patologia (agosto 2019) al saldo effettivo, e con rifusione delle spese di lite in base a soccombenza. P.Q.M. contrariis reictis, definitivamente pronunciando così provvede: 1. accertata la responsabilità dell'Ente resistente nella causazione della malattia professionale che ha determinato il decesso di (...), condanna il medesimo Ente resistente a pagare ai ricorrenti a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, spettante iure hereditatis in proporzione alle rispettive quote ereditarie ex lege, Euro 216.444,64 oltre ad interessi legali dall'agosto 2019 al saldo effettivo; 2. condanna il medesimo Ente convenuto alla rifusione delle spese di lite, che liquida, al netto di accessori di legge, in Euro 7.500,00; pone le spese di ctu in via definitiva per intero a carico del medesimo Ente convenuto. Così deciso in Venezia il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VENEZIA SEZIONE PER LE CONTROVERSIE DI LAVORO Il Giudice dott.ssa ANNA MENEGAZZO ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE AI SENSI DELL'ART. 429 c.p.c. Nella controversia iscritta al n. 600/2022 R.G., promossa con ricorso depositato in data 13.4.2022 da (...), - ricorrente - rappresentato e difeso dagli Avvocati RE.RO. e BR.DI., come da mandato in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Mestre (VE), Via (...) contro (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, - resistente - rappresentata e difesa dagli Avvocati ZA.AN., GR.BA., TE.AL. e BR.AL., come da mandato in calce alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, via (...) nonché contro (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, - resistente - rappresentata e difesa dall'Avvocato BI.CH. come da mandato in calce alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ravenna (RA), via (...) nonché contro (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, - contumace - OGGETTO: retribuzione. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il ricorrente esponeva di avere prestato attività lavorativa alle dipendenze di (...) s.r.l. (si seguito: (...)) dal 27.6.2016 al 17.9.2021 - fino alle dimissioni rese per giusta causa a fronte della sospensione unilaterale dal lavoro disposta da (...) dal 31.7.2021 - e, fino al 31.7.2021, di essere stato esclusivamente impiegato nel subappalto commissionatole da (...) con committente principale (...) presso il relativo stabilimento in P. M. (...); lamentava il mancato pagamento di alcune voci stipendiali - in particolare la mancata corresponsione dell'elemento perequativo di cui all'art. 48 del CCNL, il cd. elemento retributivo aggiuntivo di cui all'art. 53 CCNL, alcuni ratei di 13esima mensilità, il cd. welfare sostitutivo di strumenti di welfare di cui all'art. 52 CCNL, retribuzioni arretrate, compensi per mancati riposi, saldo di TFR, indennità sostitutiva di ferie, permessi e rol, indennità di mancato preavviso, differenze retributive rispetto al livello superiore spettante a partire da agosto 2016 -, e chiedeva che datore di lavoro, (...) e (...), queste ultime responsabili in solido ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 ed in subordine ex art. 1676, fossero condannati a corrispondergli in solido il relativo importo, per complessivi Euro 15.895,93, nonché che (...) fosse condannata a corrispondergli le retribuzioni per i mesi di sospensione unilaterale dal lavoro (agosto e settembre 2021). Nella contumacia di (...) si costituivano in giudizio (...) ed (...). La prima negava fondatezza alle pretese di cui al ricorso, evidenziando l'onere probatorio in capo ai ricorrenti quanto alla sussistenza dei presupposti per le azioni svolte nei suoi confronti e per la debenza delle specifiche voci di credito azionate e l'erroneità dei conteggi di parte ricorrente; eccepiva l'intervenuta decadenza in relazione ad eventuali crediti maturati dal ricorrente oltre i 2 anni dal deposito del ricorso ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 perché relativi a contratti di appalto da ritenersi cessati quantomeno dalla data di consegna delle singole navi in costruzione, e la prescrizione relativa a crediti maturati oltre il quinquennio dalla notifica del ricorso (in data 12.5.2022) ex art. 2948 n. 4 c.c. ed argomentava inoltre circa l'inapplicabilità nei suoi confronti della responsabilità ex art. 1676 c.c. in carenza di rapporto diretto con (...) e la limitazione della responsabilità ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 in relazione ai soli crediti non aventi natura strettamente retributiva; contestava inoltre la quantificazione dei crediti operata in ricorso per indeterminatezza e carenza di prova degli elementi costitutivi rispetto ai titoli azionati (diritto alla qualifica superiore, all'indennità sostitutiva di ferie/permessi/rol, mancati riposi, presupposti per l'erogazione dell'elemento aggiuntivo della retribuzione e del cd Welfare, indennità di mancato preavviso ...); quanto al TFR, sosteneva il difetto di legittimazione passiva di (...) in quanto dovuto, eventualmente, dal Fondo di (...) presso INPS. I. a sua volta eccepiva l'intervenuta prescrizione per i crediti eventualmente maturati otre il quinquennio dalla notifica del ricorso (in data 12.5.2022) ex art. 2948 n. 4 c.c., sosteneva la carenza di prova a fondamento delle pretese di cui al ricorso, l'eventuale debenza ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 solo delle somme riferite a crediti aventi natura strettamente retributiva - eccepiva comunque sul punto la decadenza biennale - e la carenza di prova e comunque l'insussistenza dei presupposti per l'operatività della garanzia di cui all'art. 1676 c.c. se non nei limiti della trattenuta operata rispetto alle lavorazioni afferenti la nave 6278 - valorizzabili solo per i crediti maturati nell'ambito di detto appalto -, il proprio difetto di legittimazione in relazione al credito per TFR rispetto al Fondo (...) INPS. Non ammesse le istanze di prova orale richieste dalle parti, veniva disposta l'acquisizione di informazioni scritte da parte dell'INPS circa eventuali versamenti operati da (...) a favore del Fondo di (...) con riguardo al ricorrente e la causa perveniva in discussione all'udienza odierna, previo deposito di note conclusive. Quanto alle domande svolte nei confronti del datore di lavoro (...) s.r.l., rimasta contumace nel giudizio odierno, si osserva: - la documentazione in atti consente di ritenere dimostrata per il ricorrente la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo di cui al ricorso; - spettava al datore di lavoro, quale debitore, dimostrare di avere adempiuto al pagamento delle retribuzioni dirette ed indirette spettanti in relazione alla durata del rapporto di lavoro, ovvero allegare e dimostrare la sussistenza di circostanze ostative del diritto alla retribuzione ed alla corresponsione in generale degli emolumenti connessi alla prestazione lavorativa, come dovuti anche in base al CCNL; la società convenuta peraltro, non costituendosi, non ha offerto tale prova; - rispetto alle voci oggetto di domanda giudiziale risultano dovuti a favore del ricorrente: - l'elemento perequativo di cui all'art. 48 del CCNL secondo quanto richiesto in ricorso e quantificato nei conteggi sub doc. 13 ric.: infatti è previsto (si veda pag. 12 del CCNL prodotto sub doc 20 ric.) che detto elemento spetti ai lavoratori in forza al 1 gennaio che nell'anno precedente abbiano percepito "un trattamento retributivo composto esclusivamente da importi retributivi previsti dal CCNL", laddove il ricorrente ha percepito la sola retribuzione prevista dal CCNL, se si considera che egli ha percepito la retribuzione ordinaria ed un superminimo che è tuttavia previsto dal CCNL, essendo inserito nelle relative tabelle retributive in relazione ai lavoratori inquadrati al 1 livello del CCNL (pag. 21 del doc. 20 ric.). In relazione al quantum, posto che la norma contrattuale stabilisce un importo annuale spettante ai lavoratori "in forza al 1 gennaio di ogni anno" quantificato in ragione della durata del rapporto di lavoro nell'anno precedente, il relativo importo spettava anche nel 2021 in relazione all'attività lavorativa svolta l'anno precedente; - l'elemento retributivo aggiuntivo di cui all'art. 53 del CCNL (pagg. 15 e ss. del doc. 20 ric.), ovverossia l'importo di Euro 25,00 al mese per 13 mensilità previsto dall'art. 53 a favore del personale dipendente di imprese che non aderiscono al sistema di bilateralità, come conteggiato sub doc. 13 ric. nelle mensilità di dicembre e nell'ultima busta paga; la mancata adesione di (...) al sistema di bilateralità risulta documentarmene dalle buste paga allegate; - il controvalore degli strumenti di welfare imposti a carico delle aziende ex art. 52 CCNL, pari ad Euro 150,00 annuali a far data dal 2018 (come previsto dal CCNL), non risultando gli stessi attivati da (...), come computato sub doc. 13 ric.; - le differenze retributive tra il 1 livello riconosciuto in contratto e busta paga ed il 2 livello dovuto dall'1.8.2016, sia sul lavoro straordinario riconosciuto in busta paga che sulla retribuzione ordinaria, come da conteggi sub doc. 13 ric.; infatti, il CCNL (pag. 81 del doc. 20 ric.) stabilisce il passaggio dal 1 al 2 livello dopo un periodo non superiore a 4 mesi per gli addetti alla produzione, tra i quali vanno considerati sia il verniciatore a mano che il coibentatore, mansioni che risultano affidate al ricorrente nel contratto per il periodo 18.2.2016 - 31.5.2016 (docc. 3 e 5 ric.) e dal 27.6.2016; - i ratei di tredicesima parzialmente non pagati come risulta dalle buste paga, ratei calcolati sulla base della retribuzione dovuta per il personale di 1 livello e, dall'agosto 2016, del 2 livello, per quanto sopra argomentato; - il TFR residuale rispetto a quanto risulta corrisposto in busta paga; si rileva che "In tema di pagamento delle quote di t.f.r. maturate dopo il 1 gennaio 2007, deve escludersi il relativo obbligo da parte del Fondo (...) dello Stato, gestito dall'INPS, ove il datore di lavoro-appaltatore o il committente, obbligato solidale "ex lege", non provino l'avvenuto versamento al Fondo, da parte di uno di essi, delle quote di t.f.r., costituendo tale circostanza un fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro, da provarsi a cura di chi lo eccepisca" (Cass., 11536/19), laddove in causa è emerso che alcuna somma è stata versata da (...) a favore del Fondo di (...) in relazione alla posizione del ricorrente; - somma corrispondente alle retribuzione perdute per la sospensione unilaterale dal lavoro disposta dal datore di lavoro dal 31.7.2021, non potendo essere addebitata al lavoratore l'impossibilità della prestazione dipendente da determinazioni datoriali, in assenza di prova che ciò sia derivato da forza maggiore o da comportamento di terzi; - l'indennità sostitutiva di ferie, permessi e ex festività non goduti come da ultima busta paga; - indennità sostitutiva del preavviso, a fronte delle dimissioni da ritenersi giustificate da giusta causa per il mancato pagamento delle ultime mensilità; - mensilità non pagate: la domanda giudiziale attiene sul punto solo alla mensilità di giugno 2021 per l'elemento perequativo (non inserito nella busta paga oggetto del decreto ingiuntivo sub doc. 11 ric.: infatti tenendo con delle somme indicate come percepite nei conteggi sub doc. 13 ric. pari ad Euro 1.500 pag. 62 e di Euro 383,04 pag. 73, si ricava che per detta mensilità è azionata solo la somma riferita all'elemento perequativo); - il risarcimento dei danni per i mancati riposi, che si ricavano dalle buste paga da cui emerge l'utilizzazione del ricorrente anche in giornate di riposo mentre non emerge la fruizione di riposi compensativi. - in conclusione, (...) va condannata a pagare al ricorrente l'importo lordo di Euro 18.911,08, oltre alla rivalutazione secondo indici ISTAT ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al saldo, calcolata nei conteggi sub doc. 13 ric. in coerenza con le buste paga in atti e con le previsioni del CCNL. Quanto alla domanda di condanna in solido nei confronti di (...) e di (...), va osservato preliminarmente che non è stata specificamente contestata dalle società resistenti la circostanza che il ricorrente per l'intera durata del rapporto alle dipendenze di (...) fosse impiegato nello stabilimento di (...) in P. M. (...) nell'ambito di appalti da questa commissionati ad (...), che infatti come pacifico ha subappaltato parte degli ordini commissionati da (...) a (...). Detta circostanza deve comunque ritenersi provata in causa da: scheda anagrafico-professionale del ricorrente (doc. 3 ric.), mancata opposizione di (...) al decreto ingiuntivo riferito alle competenze spettanti per le mensilità di agosto e settembre 2021 (doc. 11 ric.), comunicazioni intercorse tra (...) ed (...) e (...) (doc. 17 ric.). Si rileva sul punto che sia (...) che (...) non sono terzi estranei al rapporto di lavoro, che si deduce essersi svolto all'interno dello stabilimento (...) e nell'ambito di appalti nei quali vi è supervisione e controllo sia fisico - su luoghi in cui permane la piena disponibilità del committente - che documentale da parte delle committenti, con ciò la sussistenza in loro capo di uno specifico onere di contestazione. Con specifico riferimento alla responsabilità di (...) ed (...) azionata ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, la responsabilità solidale delle resistenti ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 sussiste in relazione ai crediti di natura strettamente retributiva maturati fino al 31.7.2021, posto che nel periodo successivo è pacifico che i ricorrenti non siano stati utilizzati nell'appalto ma sospesi unilateralmente dal lavoro. Non è fondata l'eccezione di decadenza, considerato che il rapporto contrattuale tra (...) ed (...) e (...) si è protratto continuativamente per l'intero periodo in cui il ricorrente ha lavorato per (...), fino al 31.7.2021. Va infatti rimeditato, alla luce delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione sul punto (Cass., 29629/19; Cass., 7815/22), il precedente orientamento secondo cui la decadenza di cui all'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, in relazione all'utilizzazione del lavoratore in commesse riferite a diverse navi in costruzione, sia da verificare sulla base della cessazione delle attività commissionate sulla singola nave. La Cassazione, valorizzando lo scopo di garanzia per il lavoratore alla base della norma di cui all'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, ha statuito in particolare che "In tema di appalto, in ipotesi di successione senza soluzione di continuità di più contratti con il medesimo appaltatore, il termine di decadenza biennale - previsto dall'art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276 del 2003, nel testo "ratione temporis" applicabile - per far valere la responsabilità solidale del committente quanto ai trattamenti retributivi ed ai contributi previdenziali dovuti dall'appaltatore ai dipendenti, decorre dalla cessazione del rapporto contrattuale e non dalla data di scadenza dei singoli contratti intervenuti in relazione al medesimo appalto tra committente ed appaltatore, in quanto la data in questione potrebbe non essere conosciuta dal lavoratore, sicché, in coerenza con la "ratio" ispiratrice della norma - che è quella di assicurare un'ampia ed effettiva tutela del lavoratore medesimo - il predetto termine deve essere ancorato al dato fattuale, facilmente ed immediatamente percepibile dal beneficiario della garanzia, rappresentato dalla cessazione effettiva dell'appalto al quale egli era addetto" (Cass., 7518/22), ed in effetti laddove - come nella fattispecie in esame - l'utilizzazione dei lavoratori avvenga con carattere continuativo e senza interruzioni di sorta a favore del medesimo committente e negli stessi luoghi, il mero mutamento dell'oggetto fisico sul quale viene svolta la prestazione non è idoneo a far percepire con immediatezza agli stessi l'intervenuta cessazione dell'appalto. Una volta che, seguendo l'insegnamento della Corte di Cassazione, si debba valorizzare la possibilità di immediata percezione da parte del lavoratore del venir meno dell'appalto, di modo che l'operare della decadenza possa essere utilmente impedita, non vi è ragione per ritenere che l'avvenuta consegna della nave faccia decorrere il termine di decadenza di cui all'art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, non essendo a conoscenza del singolo addetto il contenuto specifico del contratto sulla base del quale le sue prestazioni sono svolte, ed essendo verosimile che, invece che tramite singole commesse, le lavorazioni siano appaltate alla propria datrice di lavoro in maniera unitaria, in relazione a tutte le navi in costruzione, anche considerato che di regola vi sono più navi in costruzione in contemporanea all'interno dello stabilimento. E' infondata pure l'eccezione di prescrizione (parziale) ex art. 2948 n. 4 c.c., in considerazione della riduzione di tutele operata dalla L. n. 92 del 2012 anche in relazione ai dipendenti di aziende cui si applica la cd. stabilità reale; si richiama sul punto Cass., 26246/22. I crediti di natura strettamente retributiva sono quelli riferiti a: - differenze retributive tra livello dovuto e livello assegnato, essendo riferite a trattamento stipendiale dovuto; - elemento perequativo di cui all'art. 48 del CCNL, in quanto avente carattere di integrazione della retribuzione rispetto ai minimi del CCNL; - elemento aggiuntivo della retribuzione di cui all'art. 53 CCNL, esplicitamente volto - secondo la relativa previsione del CCNL - ad integrare la retribuzione globale di fatto ed avente incidenza sugli istituti retributivi escluso solo il TFR (precedenti difformi decisioni nascevano dall'ambiguo riferimento al welfare di cui al diverso art. 52 CCNL); - ratei di tredicesima non pagati; - TFR non pagato; Sono invece esclusi dall'ambito della responsabilità solidale ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, in quanto non aventi natura strettamente retributiva: - il cd. welfare di cui all'art. 52 del CCNL, cioè il controvalore di istituti di welfare che il datore di lavoro era tenuto a fornire ai propri dipendenti secondo la previsione del CCNL, in quanto riferito a somme in alternativa rispetto a prestazioni di tipo previdenziale; - l'importo di carattere risarcitorio riconosciuto per la mancata effettuazione di riposi compensativi a fronte di lavoro prestato in giorni di riposo; - l'indennità sostitutiva di ferie, festività, permessi non goduti, come da orientamento pressoché consolidato della Corte di Cassazione, che sul punto non distingue tra indennità sostituiva di ferie e di permessi; - l'indennità sostituiva del preavviso, perché non correlata alla prestazione lavorativa svolta, anche perché le dimissioni per giusta causa sono state rese nel settembre 2021, ad appalto cessato. Ne consegue che debba essere ravvisata a carico di (...) e di (...) responsabilità solidale ex art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003 per l'importo di Euro 11.395,96: rispetto a quanto quantificato da parte ricorrente nelle ultime note dimesse, occorre escludere dal dovuto anche l'indennità sostitutiva di ferie/permessi/rol/ex festività per complessivi Euro 1.590,91 (come ricavato dal doc. 13 ric. pag. 65) e l'importo del cd. welfare per Euro 150,00 annuali computati dal 2018 per un totale di Euro 600,00. Quanto alla responsabilità solidale di cui all'art. 1676 c.c.: - non sussiste la responsabilità in oggetto nei confronti di (...), che non ha mai avuto un rapporto diretto con (...); - (...) ha dato atto dell'esistenza di una provvista, idonea a fare fronte al credito azionato, ma riferita al solo subappalto riferito all'attività di isolamento per la nave 6278; - la garanzia di cui all'art. 1676 c.c. - che così stabilisce: "coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto é loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda" - ad avviso del giudicante consente ai dipendenti dell'appaltatore di avvantaggiarsi della posizione di creditore del loro datore di lavoro nei confronti del committente anche per appalti diversi (precedenti o successivi) rispetto a quelli cui si riferiscono i crediti medesimi, purché il lavoratore vi abbia lavorato, trattandosi pur sempre di crediti riferiti a rapporto di lavoro dalla cui esecuzione ha avuto utilità il committente ed in assenza di precisa delimitazione ricavabile della norma, né dal punto di vista testuale né di ratio; né sul punto, in senso contrario, è valorizzabile Cass., 23489/10, che esclude la responsabilità del committente ex art. 1676 c.c. per crediti estranei alle prestazioni rese a favore del committente; - a carico di (...) vi è dunque responsabilità soldale ex art. 1676 c.c. per tutti i crediti maturati fino al 31.7.2021, anche di natura risarcitoria - non vale infatti per la garanzia ex art. 1676 c.c. la limitazione ai crediti di natura strettamente retributiva che opera in relazione all'art. 29 D.Lgs. n. 273 del 2006 -. In conclusione, quanto a (...) ed I.: - (...) va condannata, in solido con (...), a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 11.395,96, oltre alla rivalutazione secondo indici ISTAT ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al saldo; - (...) va condannata, in solido con (...), a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 15.895,93, oltre alla rivalutazione secondo indici ISTAT ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al saldo. Le spese di lite vanno compensate nella misura di un terzo per la sussistenza di orientamenti non consolidati su talune delle questioni di causa; per il residuo seguono la soccombenza e sono liquidate a favore dei procuratori del ricorrente che si sono dichiarati antistatari. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, ogni contraria istanza disattesa: - condanna (...) s.r.l. a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 18.911,08, oltre alla rivalutazione secondo indici ISTAT ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al saldo; - condanna (...) s.r.l., in solido con (...) s.r.l., a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 11.395,96, oltre alla rivalutazione secondo indici ISTAT ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al saldo; - condanna (...) s.r.l., in solido con (...) s.r.l., a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 15.895,93, oltre alla rivalutazione secondo indici ISTAT ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al saldo. Compensa per un terzo le spese di lite tra le parti, e condanna i convenuti, in solido tra loro, a rifondere ai procuratori del ricorrente - che si sono dichiarati antistatari - le residue spese di lite, per importo di Euro 1.800,00 maggiorati del 30% ex D.M. n. 55 del 2014, oltre CPA ed IVA ed al rimborso forfetario del 15%. Così deciso in Venezia il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1284 del 2021, proposto da -OMISSIS-, in proprio e quale titolare dell'omonima azienda agricola, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Al., Ma. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello. Stato, domiciliata in Venezia, piazza (...); Ader - Agenzia delle Entrate Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello. Stato, domiciliata in Venezia, piazza (...); per l'annullamento 1. - della "Cartella di pagamento n. 124 2021 00273433 04 000" intestata all'Agenzia delle Entrate - Riscossione competente per la provincia di -OMISSIS-, con allegato "Modulo di pagamento" Pago PA, inviata al ricorrente a mezzo casella PEC (omissis) in data 20 settembre 2021, con la quale è stato richiesto il pagamento della somma di Euro 22.958,50 per "prelievi latte" relativo all'annata 1999/00, "interessi", nonché "Oneri di Riscossione"; 2. - nonché di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, anche se non conosciuto al momento della notifica del presente ricorso, compreso il ruolo indicato nella cartella impugnata. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura e di Ader Agenzia delle Entrate Riscossione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2022 il dott. Alessio Falferi; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso depositato in data 18.11.2021, -OMISSIS-, in proprio e quale titolare dell'omonima azienda agricola, ha impugnato, formulando anche istanza di sospensione cautelare, la cartella di pagamento, meglio descritta in epigrafe, emessa dall'Agenzia delle Entrate- Riscossione (Ader) per il pagamento della somma di euro Euro 22.958,50 su ruolo Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura reso esecutivo il 23 giugno 2021, per "prelievi latte" e "interessi" per l'anno 1999, oltre "Oneri di riscossione". Il ricorrente, in estrema sintesi, ha dedotto le seguenti censure: 1) nullità della notifica del provvedimento impugnato che risulterebbe notificato a mezzo Pec da un indirizzo che non figurerebbe in nessuno degli elenchi ufficiali delle pubbliche amministrazioni; 2) la cartella impugnata sarebbe nulla atteso che i contestati debiti per prelievo latte, chiesti da Agea tramite l'Agenzia per le Entrate - Riscossione, non sarebbero né certi, né liquidi, né esigibili, in quanto frutto di operazioni di compensazione, peraltro già dichiarate nulle o comunque annullate in sede giurisdizionale (in tal senso Consiglio di Stato n. 1311/2021), effettuate in violazione del diritto comunitario, sia in relazione alla quantificazione del prelievo imputato ai singoli produttori (che sarebbe in contrasto con i regolamenti comunitari in materia), sia per mancata effettiva verifica delle produzioni dichiarate dagli acquirenti; inoltre, sarebbero violati anche gli art. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, L. n. 33/2009 in quanto i debiti in questione non sarebbero stati "accertati come dovuti"; 3) la cartella di pagamento impugnata sarebbe stata notificata oltre il termine di decadenza di cui all'art. 25, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 602/1973; 4) i debiti per prelievo latte di cui alla cartella impugnata sarebbero prescritti sia in relazione al termine quadriennale ex art. 3 reg. CE n. 2988/1995, sia in relazione al termine quinquennale ex art. 2948, n. 4, c.c., sia, in subordine, rispetto al termine decennale ex art. 2946 c.c.; 5) il ruolo di cui alla cartella impugnata sarebbe illegittimo in quanto derivante da una illegittima duplicazione dell'unico ruolo previsto per i recuperi dei prelievi latte; vi sarebbe, inoltre, una illegittima duplicazione della procedure di recupero; 6) la cartella impugnata sarebbe illegittima, sia in relazione all'an che al quantum, per esposizione di somme a debito non dovute e, comunque, già illegittimamente recuperate per compensazione da parte di Agea con premi Pac liquidati alla impresa ricorrente (quantomeno nella misura di euro 170.257,53); 7) mancata notifica e conseguente inefficacia, trattandosi di atti recettizi, degli atti di accertamento/imputazione del prelievo a carico dell'azienda ricorrente; in ogni caso, non potrebbe essere ritenuta valida la sola notifica effettuata ai primi acquirenti; solo i debiti "accertati come dovuti" ex artt. 8 ter, 8 quater e 8 quinquies, l. n. 33/2009, potrebbero essere oggetto delle procedure di recupero, laddove, per contro, non potrebbero ritenersi "accertati come dovuti" debiti per "prelievo latte" privi di efficacia nei confronti del ricorrente, per omessa notifica dei provvedimenti amministrativi presupposti, oltre al fatto che si tratterebbe comunque di prelievi e di intimazioni sub judice e considerato che AGEA non potrebbe procedere con il recupero a mezzo ruolo prima di aver notificato ai produttori l'intimazione di versamento di cui all'art. 8 quinquies, comma 1, l. n. 33 del 2009; impossibilità di esercitare il diritto di difesa in conseguenza della mancata indicazione e mancata notifica degli atti di accertamento; 8) nullità della cartella di pagamento impugnata per difetto degli elementi essenziali; illegittimità del procedimento di recupero per violazione degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies della legge n. 33/09, e erroneità dell'importo indicato, sia in relazione al capitale che agli interessi; difetto di motivazione in relazione alla decorrenza degli interessi e agli oneri di riscossione. Si sono costituite in giudizio Ader - Agenzia delle Entrate-Riscossione e Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, entrambe con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato che ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza. Con ordinanza n. 754, assunta alla Camera di Consiglio del 15 dicembre 2021, è stata accolta l'istanza di sospensione cautelare dell'atto impugnato in relazione al danno grave e irreparabile rappresentato dalla parte ricorrente. In vista dell'udienza di discussione, parte ricorrente ha depositato memoria difensiva con cui ha ribadito le proprie argomentazioni difensive, insistendo per l'accoglimento del ricorso. Alla Pubblica Udienza del 23 novembre 2022, il ricorso è stato trattenuto in decisione, previo avviso ex art. 73, comma 3, CPA in relazione a profili di inammissibilità, come da verbale di causa. Preliminarmente, giusta l'avviso verbalizzato in sede di udienza ex art. 73, comma 3, del CPA, va evidenziata l'inammissibilità delle censure volte a far valere un'invalidità derivata del titolo sulla scorta del quale è stata emessa la cartella oggetto di contestazione. Parimenti inammissibili, anche solo in parte, sono le censure - come si dirà in seguito - che fanno riferimento a vizi imputabili al titolo e non alla cartella. Sotto tale profilo, invero, va richiamato il principio affermato dalla Corte di Cassazione (ex multis, Cass. civ., sez. VI, ord. n. 3743 del 2020), recentemente ribadito nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3910/2022, per la quale "un'intimazione di pagamento riferita ad una cartella di pagamento notificata e non impugnata può essere contestata solo per vizi propri e non già per vizi suscettibili di rendere nulla od annullabile la cartella di pagamento presupposta". La stessa regola deve necessariamente ritenersi applicabile anche con riferimento a una intimazione di pagamento notificata e impugnata. Nel caso in esame, l'intestato TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso cumulativo e collettivo rubricato sub RG. n. 2 del 2019 che, come espressamente ricordato dalla parte ricorrente nell'atto introduttivo del presente giudizio, ha avuto ad oggetto proprio gli atti di intimazione, ai sensi della legge n. 33 del 2009, correlati alla cartella di pagamento in questa sede impugnata. Al riguardo, pare opportuno precisare che la circostanza che la cartella impugnata riporti in modo parzialmente erroneo i dati identificativi dei presupposti atti di intimazione (protocollo ed esatto giorno di notificazione nell'ottobre 2018) non assume rilievo ai fini della presente decisione, sia in quanto parte ricorrente non ha formulato specifici motivi di impugnazione al riguardo, sia in quanto i suddetti errori avrebbero potuto ridondare in un vizio della cartella se e nella misura in cui avessero comportato un vulnus al diritto di difesa del ricorrente, impedendogli di avere contezza dell'effettivo titolo posto a fondamento della cartella. Di contro, parte ricorrente ha chiaramente dimostrato di ben comprendere a quali intimazioni presupposte facesse riferimento la contestata cartella, tanto da rammentare di averle impugnate con il ricordato ricorso sub RG n. 2 del 2019. Tanto premesso e tendendo fermo quanto sopra esposto in ordine alla parziale (nei termini di seguito specificati) inammissibilità delle censure articolate dal ricorrente, il ricorso non può trovare accoglimento. Non è fondato il primo motivo di ricorso con cui parte ricorrente lamenta la nullità della notifica della cartella di pagamento. Premesso che la censura dedotta, di regola riservata alla giurisdizione del giudice ordinario, può essere scrutinata in questa sede in virtù del principio di concentrazione della tutela, se ne rileva l'infondatezza atteso che la notifica risulta comunque conforme a legge. In linea generale, va premesso che è principio consolidato quello secondo il quale qualunque vizio della notificazione è da considerarsi sanato ove risulti provato che il contribuente/destinatario abbia avuto piena cognizione dell'atto, entrato nella propria sfera di conoscenza. La funzione dell'attività di notifica, infatti, è quella di portare a conoscenza del destinatario l'atto che lo riguarda, per cui alcuna conseguenza può derivare da un eventuale vizio, allorquando quest'ultimo risulti superato dal raggiungimento dello scopo. E' innegabile che il ricorrente abbia avuto piena conoscenza dell'atto in questione, considerato che non solo lo ha regolarmente impugnato, esercitando in pieno il diritto di difesa, ma ha anche correttamente evocato in giudizio l'ente che lo ha emesso. Peraltro, ciascun dominio PEC è attribuibile unicamente ad un soggetto e quello assegnato attualmente ad Agenzia Entrate Riscossione reca esattamente la denominazione del mittente non lasciando, quindi, spazio a fraintendimenti circa il soggetto da cui l'atto promana; la piena conoscenza del soggetto che ha assunto l'atto, peraltro, è chiaramente dimostrata dal ricorrente, come sopra già evidenziato, il quale ha correttamente gravato la cartella di pagamento in questione. Le modalità seguite da Ader per la notifica del provvedimento gravato, conseguentemente, non possono ritenersi inficianti il provvedimento medesimo. Il secondo motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile, giusta quanto sopra precisato, atteso che i vizi ivi dedotti riguardano in via diretta e immediata l'atto di intimazione presupposto - oggetto del giudizio rubricato sub RG n. 2 del 2019 e definito nel senso sopra ricordato - alla cartella gravata, venendo in rilievo profili esclusivamente di invalidità derivata. Infondato è il terzo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente deduce l'asserita decadenza, ex art. 25 d.P.R. n. 602/1973, nella quale sarebbe incorsa l'Amministrazione resistente, atteso che, da un lato, occorre dar conto dell'orientamento giurisprudenziale che sostanzialmente afferma l'inapplicabilità dei termini decadenziali previsti dal suddetto art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 con riferimento alla riscossione dei crediti per i quali è causa (si veda al riguardo TAR Brescia, sez. II, 07 novembre 2022, n. 1106); dall'altro, anche laddove si ritenga astrattamente applicabile alla fattispecie in esame l'art. 25, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 602 del 1973, il termine decadenziale ivi previsto non risulta essere decorso nel caso in esame, poiché l'atto di "accertamento" - che in questo caso è rappresentato dall'atto di intimazione ex art. 8 quinquies, l. n. 33 del 2009 - al momento della notifica della cartella di pagamento non era ancora divenuto "definitivo" perché, come detto, impugnato con ricorso sub RG n. 2 del 2019. Per quanto attiene al quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l'asserita prescrizione del credito vantato da Agea e oggetto di riscossione, va rilevata l'inammissibilità della censura, giusta quanto evidenziato in precedenza, atteso che parte ricorrente fa riferimento all'atto di intimazione presupposto alla cartella di pagamento impugnata, il quale sarebbe stato emesso e notificato quando erano già decorsi i termini di prescrizione. Si tratta, pertanto, di un vizio dell'atto presupposto e non della cartella di pagamento qui contestata. Per quanto concerne la doglianza relativa alla asserita duplicazione del ruolo (quinto motivo di ricorso), va richiamato l'insegnamento del Consiglio di Stato secondo il quale "l'iscrizione nel Registro Nazionale dei debiti di cui all'art. 8 ter, 1° comma, della L. n. 33/2009, istituito presso AGEA, è equiparata all'iscrizione a ruolo delle somme dovute, ex art. 8 ter, 2° comma, L. n. 33/2009; ma ciò non comporta che il debito venga riscosso due volte, né è indicativo di tale possibilità il richiamo (erroneamente interpretato dal ricorrente) contenuto nella cartella di pagamento alla legge n. 33/2009" (Consiglio di Stato, sez. III, 12 luglio 2021, n. 5281). Attualmente, dunque, è unica la procedura di riscossione in corso, attivata mediante la cartella di pagamento impugnata. Anche il quinto motivo di ricorso, pertanto, deve essere respinto. Il sesto motivo, con cui si lamenta che la cartella impugnata sarebbe illegittima, sia con riferimento all'an che al quantum debeatur, perché nella medesima risultano esposte a debito somme asseritamente non dovute e comunque già recuperate per compensazione da Agea con i premi PAC liquidati all'azienda ricorrente, è in parte inammissibile e in parte infondato. Da un lato, infatti, le contestazioni inerenti il capitale e gli interessi già individuati nell'atto di intimazione ex art. 8 quinquies, l. n. 33 del 2009, atto presupposto alla cartella di pagamento impugnata, sono inammissibili sulla base delle stesse argomentazioni sopra esposte, con la conseguenza che anche le problematiche concernenti la compensazione con i premi PAC avrebbero dovuto formare oggetto di censura avverso l'atto di intimazione e non nei confronti della successiva cartella di pagamento. Per quanto riguarda, invece, gli interessi e gli oneri, nonché i premi PAC maturati o riconosciuti successivamente alla notifica dell'atto di intimazione presupposto alla cartella di pagamento, la censura di parte ricorrente è del tutto generica e non provata. Il ricorrente, infatti, solo genericamente afferma che gli atti di accertamento del debito non terrebbero conto di compensazioni per contributi PAC, senza fornirne documentata prova, atteso che non risulta utile a tal fine la produzione in giudizio di un mero tabulato, di cui risulta sconosciuta la stessa origine. Pertanto, il motivo di impugnazione, nel suo complesso, deve essere respinto. Anche il settimo motivo di ricorso, nella sua complessa articolazione, concerne per lo più vizi afferenti l'atto presupposto, sì che le censure sono da considerarsi inammissibili per le ragioni già ricordate. Va precisato, peraltro, che erra parte ricorrente nel ritenere che il "titolo esecutivo" sia costituito dagli atti di accertamento precedenti all'atto di intimazione ex l. n. 33 del 2009, poiché è sulla scorta di quest'ultimo che l'Amministrazione ha iscritto a ruolo il proprio credito in forza del quale, poi, ha esperito la procedura di riscossione coattiva. Tale atto di intimazione risulta essere stato notificato, tanto che parte ricorrente lo ha impugnato, come sopra detto: la questione concernente la mancata notifica al ricorrente dell'atto di accertamento presupposto, quindi, integra, nuovamente, un vizio dell'atto di intimazione, non della cartella. In ordine, infine, all'ottavo e ultimo articolato motivo di impugnazione, va rilevato quanto segue. In primo luogo, esclusa ogni valutazione in ordine all'eventuale illegittima adozione degli atti di intimazione presupposti alla cartella per la quale è causa - trattandosi di censure, come detto, inammissibili in questo giudizio - non emergono elementi di illegittimità nella procedura di recupero esperita dall'Amministrazione resistente. In secondo luogo, la censura relativa agli importi a titolo di capitale e interessi indicati in cartella è in parte inammissibile laddove si rivolge alle determinazioni contenute nell'atto di intimazione presupposto, e in parte è infondata, perché generica e non provata, laddove concerne gli interessi maturati successivamente alla notifica dell'atto di intimazione presupposto alla cartella. Per quanto concerne la contestazione inerente gli interessi di mora, la cartella fa riferimento all'atto di intimazione presupposto, da cui sono desumibili tutti i dati relativi al debito imputato anche relativamente agli interessi. Sarebbe stato, dunque, agevole per il ricorrente, applicando il tasso di interesse indicato, calcolare la correttezza (o meno) dell'importo richiesto con la cartella di pagamento. Irrilevante è, peraltro, l'indicazione nella cartella dell'art. 30, d.P.R. n. 602 del 1973, in ogni caso essendo dovuti gli interessi ex artt. 1282 e 1224 c.c. e non avendo parte ricorrente dedotto alcunché in ordine alla quantificazione corretta degli interessi in questione. Va richiamato, infine, il principio recentemente espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo il quale qualora la cartella "segua un atto prodromico nel quale sono già stati computati gli interessi per il ritardato pagamento, giova sottolineare che in tale evenienza la cartella di pagamento svolge la funzione di avviare la fase di riscossione coattiva dei tributi e, laddove la stessa faccia riferimento ad un atto che abbia già determinato, in base alla normativa di riferimento, il quantum reclamato a titolo di interessi - atto divenuto definitivo vuoi perché non impugnato, vuoi perché definitivamente confermato quanto alla sua legittimità in sede giudiziale o comunque ivi rideterminato in maniera in tutto o in parte difforme rispetto all'originaria richiesta di interessi formulata dall'Ufficio-, l'accertamento formatosi con riguardo all'obbligazione relativa agli interessi dovuti dal contribuente troverà corrispondenza nel ruolo che la cartella ordinariamente riprodurrà . Per tali ragioni la motivazione in simili evenienze - alla stregua di quanto previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3 - non imporrà alcun onere aggiuntivo al soggetto emittente la cartella, se non il riferimento - diretto e specifico -, all'atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo, trovando la quantificazione degli interessi, quanto a decorrenza e modalità di calcolo, la sua fonte nell'atto prodromico. Siffatto obbligo motivazionale risulterà, pertanto, circoscritto all'esposizione del ruolo, del titolo costitutivo della pretesa e dell'entità del debito fiscale di interessi (....). Ne consegue che, in assenza di una ulteriore specificazione di una diversa tipologia di interessi richiesti rispetto a quanto già indicato a titolo di interessi nell'atto prodromico, la cartella di pagamento non dovrà che limitarsi ad attualizzare il debito di interessi già individuato in modo dettagliato e completo nell'atto genetico" (Cass. civ. sez. un., 14 luglio 2022, n. 22281). Anche alla luce di tale insegnamento, applicabile alla fattispecie in esame in considerazione del suo valore di regola di principio trasversale, la censura relativa agli interessi di mora deve essere respinta. Infondata, poi, è anche la censura in ordine alla non debenza, per il recupero dei prelievi latte, degli oneri di riscossione, in considerazione del fatto che questi ultimi sono dovuti a prescindere dalla natura della pretesa oggetto di riscossione. Infine, infondata è la censura relativa all'asserito difetto di motivazione della cartella di pagamento. Come precisato dalla Corte di Cassazione "nella cartella esattoriale non è indispensabile l'indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell'accertamento precedentemente emesso, al quale sia stato fatto riferimento, essendo sufficiente l'indicazione di circostanze univoche che consentano l'individuazione di quell'atto, al fine di tutelare il diritto di difesa del destinatario rispetto alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (cfr. Cass., 11/10/2018, n. 25343)" (Cass. civ., sez. VI, 04 marzo 2022, n. 72349). Nel caso di specie, come detto, la cartella reca l'indicazione degli atti di intimazione ex l. n. 33 del 2009 che parte ricorrente ha dato conto di aver chiaramente individuato sia nel numero di protocollo corretto che nella data di notifica, tanto da precisare di averli impugnati con ricorso RG. n. 2 del 2019. In tal senso, non può profilarsi alcun difetto di motivazione in ordine alle somme esposte a titolo di capitale e di interessi: la cartella indica, da un lato, gli importi indicati negli atti di intimazione presupposti e, dall'altro lato, gli interessi successivi (quale attualizzazione dei precedenti), unitamente agli oneri accessori. Nessun difetto di motivazione della cartella può riguardare invece la questione dei premi PAC, in quanto, fermo quanto detto circa l'impossibilità di valorizzare quelli già maturati prima dell'adozione e notifica dell'atto di intimazione ex l. n. 33 del 2009, per quelli successivamente maturati sarebbe stato piuttosto onere di parte ricorrente dedurre e provare la sussistenza dello specifico relativo credito eventualmente non computato. Pertanto, anche tale motivo di impugnazione deve essere respinto. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, atteso che le censure in esso formulate risultano in parte inammissibili e in parte infondate. Le spese di causa, stante la indubbia particolarità delle questioni trattate, possono essere compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Alessandra Farina - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Alessio Falferi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 766 del 2011, proposto da Ap. Ho. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Mi., Br. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Za., Ez. Za., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Za. in Venezia, Regione Veneto - (...); Provincia di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Vo., Pa. Ca., e dall'avvocato St. Zu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della nota a firma del Dirigente della Direzione Mobilità della Regione Veneto prot. n. 41993 del 28.01.2011, successivamente pervenuta con la quale è stato negato alla S.p.a. AP. HO. il riconoscimento della indicizzazione dei corrispettivi del contratto di esercizio dovuti per gli anni 2002-2009, come richiesto nell'atto di costituzione in mora del 23.12.2010, e maturati successivamente alla sottoscrizione nel 2001 del contratto di servizio per lo svolgimento del servizio di trasporto per la provincia di Padova; - del silenzio opposto dalla Provincia di Padova alla medesima costituzione in mora, rimasta priva di riscontro e, ove occorra, di ogni provvedimento consequenziale, presupposto e connesso al precedente, ancorché sconosciuto alla ricorrente; nonchè per l'annullamento e/o la declaratoria di nullità e la consequenziale sostituzione automatica della clausola di cui all'art. 10 del contratto sottoscritto con la Provincia di Padova nella parte in cui dispone in merito alla revisione che "il presente contratto è soggetto a revisione: a) nei casi di ridefinizione del programma di esercizio di cui all'art. 2 del presente contratto, salvo le variazioni di cui al 1° e 2° comma art. 3; b) nel caso di ridefinizioni degli obblighi tariffati di cui ali 'art. 6; c) per variazioni delle risorse finanziarie regionali per i periodi contrattuali successivi al primo anno di applicazione del contratto; d) ove intervengano cause di forza maggiore che ne impongano la modifica ai sensi del comma 3 del! 'art. 3. L'onere finanziario conseguente alle variazioni previste ne precedente comma, con esclusione del caso di cui alla lettera d), non potrà superare complessivamente, entro il periodo di validità del presente contratto, il 5% del corrispettivo stabilito dall'art. 7, comma 1, salvo per circostanze imprevedibili", ovvero di ogni ulteriore parte dello stesso contratto nella quale si nega esplicitamente la revisione o la limita rispetto alle norme cogenti; nonché per l'accertamento dell'obbligo esistente in capo ad entrambe le amministrazioni resistenti, ciascuna per quanto di propria competenza di avviare il procedimento istruttorio amministrativo previsto dall'art. 6 L.537/1994 e ss.mm. nonché dalle disposizioni di legge che lo hanno successivamente recepito e sostituito da effettuarsi con i dirigenti delle Amministrazioni resistenti e diretto alla valutazione in contraddittorio delle voci di costo relative al servrizio di TPL svolto soggette a revisione e per il conseguente accertamento dell'ammissione alla revisione annuale dei corrispettivi effettuata sulla base delle valutazioni della p.A. e del riconoscimento della fondatezza della domanda di cui alla costituzione in mora del 23.12.2010 in ordine al contratto del 2001 avente ad oggetto l'erogazione continuativa del servizio di trasporto pubblico di linea per il trasporto di persone (con decorrenza indicata in contratto dal 1.1.2001 al 31.12.2003, successivamente prorogato sino ad oggi, senza alcuna attività di revisione contrattuale) per l'ammontare da determinarsi in sede di istruttoria, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto e della Provincia di Padova; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 4 ottobre 2022 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I. La società ricorrente, concessionaria che gestisce alla data del ricorso i rami di attività del trasporto pubblico, nella città di Padova e nella zona termale di (omissis), (omissis) e (omissis), con atto di costituzione in mora del 23.12.2010, ha richiesto alle Amministrazioni resistenti il riconoscimento dell'indicizzazione dei prezzi di contratto attualmente in vigore (calcolato sulla base dei criteri indicati dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5954/2010), poiché mai adeguati o revisionati, invocando implicitamente l'avvio del procedimento istruttorio relativo, ricevendo il diniego della Regione ed il silenzio della Provincia. Contro il diniego della Regione ed il silenzio della Provincia ha proposto i seguenti motivi di ricorso. I - Preliminarmente sul silenzio osservato dalla Provincia di Padova. 1. Violazione art. 2 L. 241/1990 - obbligo di avvio del procedimento e di sua conclusione nel termine previsto ex lege. 2. Violazione art. 6 L. 537/1994 e ss.mm. comma 4 e art. 115 D.Igs. 163/2006. II - Nel merito della domanda giudiziale agita. 3. Legittimazione passiva della Regione Veneto e suo obbligo di avviare l'istruttoria procedimentale preposta alla valutazione e all'applicazione della revisione. 4. Violazione dell'art. 6 L. 537 /1993, novellato dall'art. 44 L. n. 724/1994 e sua compatibilità rispetto all'art. 19 D.lgs. 422/97. 5. Violazione di legge: art. 19 D.lgs. 422/97. 6. Violazione di legge: art. 20 D.lgs. 422/97. 7. Violazione odi legge: erronea interpretazione. 8. Eccesso di potere: sviamento. 9. Eccesso di potere: Sviamento. Erroneità manifesta - sentenza del Consiglio di Stato n. 5954/2010. 10. Nullità dell'art. 10 del contratto per la parte che esclude l'operatività della revisione. 11. Nullità della clausola: contrasto con l'art. 6 L. 537/1993, novellato dall'art. 44 L. n. 724/1994 e art. 115 cod.app.; 12. Illegittimità della clausola de qua per violazione dell'art. 19 e 20 D.lgs. 422/97. 13. Automatica sostituzione della clausola ex art. 1339 c.c. La Regione Veneto ha eccepito il difetto di giurisdizione, la carenza di legittimazione passiva della Regione Veneto ed in subordine ha chiesto la reiezione del ricorso in quanto non si tratterebbe di un procedimento amministrativo e le norme riguardanti la revisione dei prezzi non si applicherebbero al settore dei servizi di trasporto pubblico. La Provincia di Padova ha eccepito il difetto di giurisdizione, l'inapplicabilità al caso di specie dell'istituto del silenzio/inadempimento invocato da parte ricorrente ed in subordine ha chiesto la reiezione del ricorso per infondatezza delle domande formulate da Ap. Ho. S.p.A. per la facoltatività dell'aggiornamento previsto dall'art. 19 comma 4 del D. Lgs. 422/97 e per l'inapplicabilità dell'art. 6 della legge n. 537/1993 in quanto operante con esclusivo riferimento agli appalti di servizi con oggetto diverso dal trasporto pubblico locale, il quale sarebbe diversamente regolato, in virtù del criterio di specialità, dalla normativa precipuamente applicabile al settore ed in particolare, dal già menzionato art. 19 del D. Lgs. 422/1990. Da ultimo l'art. 6 della legge n. 537/1993 sarebbe stato abrogato per effetto dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 163/2006. All'udienza del 04/10/2022 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione. II. L'eccezione di difetto di giurisdizione è infondata. II.1 L'art. 19, comma 4 del d.lgs. n. 422/1997, secondo cui "gli importi di cui al comma 3, lettera e), possono essere soggetti a revisione annuale con modalità determinate nel contratto stesso allo scopo di incentivare miglioramenti di efficienza" prevede un potere discrezionale della stazione appaltante di fronte al quale sussiste una posizione di interesse legittimo. In fatti ai sensi dell'art. 7 del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 1. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. II.2 La domanda di indicizzazione dei corrispettivi del contratto fondata sull'art. 6 della legge n. 537/1993 e sull'art. 115 D.Igs. 163/2006 rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133 del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104., secondo il quale 1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: e) le controversie:..... 2)......relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto. Deve quindi escludersi il difetto di giurisdizione per tutte le domande proposte. III. L'eccezione di difetto di legittimazione passiva della Regione Veneto è infondata in quanto il diniego impugnato dalla ricorrente proviene dalla stessa Regione, la quale, ad abundantiam, nel merito respinge l'istanza per infondatezza e non per incompetenza. IV. Nel merito il ricorso è fondato nei termini che seguono. IV.1 La pretesa alla revisione del corrispettivo ai sensi dell'art. 19, comma 4, d.lgs. n. 422 del 1997 è infondata. Come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. Stato, V, 17/10/2018 n. 5940) la disposizione richiamata riguarda il contratto di servizio di trasporto pubblico locale: in essa si prevede in particolare che il corrispettivo possa eventualmente essere revisionato annualmente "in misura non maggiore del tasso programmato di inflazione a mutamenti della struttura tariffaria", in conseguenza di "mutamenti della struttura tariffaria", ai sensi della lett. e), del precedente comma 3, e "allo scopo di incentivare miglioramenti di efficienza". Si tratta pertanto di un'ipotesi che esula dalla mera indicizzazione del corrispettivo in base alla svalutazione monetaria e che, nella misura in cui si propone di ottenere un recupero di efficienza nella struttura dei costi del servizio di trasporto pubblico, postula una definizione negoziale puntuale che nel caso di specie incontestabilmente manca. Anche nel caso di specie manca qualsiasi valutazione in merito al recupero di efficienza per cui la domanda va, a tale titolo, respinta. IV.2 La domanda diretta a sostenere che l'indicizzazione del corrispettivo è comunque dovuta in base all'art. 6 della legge n. 537 del 1993, è invece fondata nei limiti di cui di seguito. Come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. Stato, V, 17/10/2018 n. 5940) 17. Deve premettersi che la disposizione ora richiamata (poi abrogata dal codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163: art. 256) si riferisce ai "contratti della pubblica amministrazione per la fornitura di beni e servizi", con la specificazione che in essi sono compresi "quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi" (comma 2). Pertanto, l'applicabilità della stessa anche a questa tipologia di contratto, oltre dunque all'appalto, si ricava dalla lettera della legge. 18. Va dato poi dato atto che di recente la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affermato che la normativa nazionale italiana è conforme al diritto euronitario nella parte in cui rende non applicabile ai contratti di appalto pubblico relativi ai settori speciali ai sensi del previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, l'obbligo di revisione del corrispettivo (sentenza 19 aprile 2018, C-152/17; Consorzio Italian Management). Tuttavia, la pronuncia si riferisce al periodo di vigenza del codice ora richiamato, in cui l'obbligo di adeguamento dei corrispettivi di tutti i contratti pubblici sancito dall'art. 6 l. n. 537 del 1993 è stato soppresso, con l'abrogazione di quest'ultima disposizione normativa (art. 256 d.lgs. n. 163 del 2006) e ad esso è subentrato un sistema in cui l'indicizzazione del corrispettivo è stata circoscritta ai soli contratti d'appalto (art. 115 d.lgs. n. 163 del 2006), non richiamato dai contratti relativi ai settori speciali di cui alla parte III, tra i quali il trasporto pubblico. 19. Non può nemmeno essere seguita la tesi della natura speciale e derogatoria dell'art. 19, comma 4, d.lgs. n. 422 del 1997, rispetto all'art. 6 l. n. 537 del 1997..... Nessun elemento di carattere testuale suffraga questa ricostruzione. Anche sul piano sistematico, non vi è incompatibilità tra l'indicizzazione del corrispettivo e la revisione legata a modifiche della struttura tariffaria, di cui all'art. 19, comma 4, d.lgs. n. 422 del 1997. Il recupero di efficienza cui è improntato quest'ultimo non elide infatti la funzione di mantenimento del valore reale del corrispettivo alla quale è invece preordinato l'aggiornamento dello stesso in base agli indici ISTAT su costo dei fattori produttivi. 20. Conduce in questo senso il fatto che l'amministrazione concedente concorre al mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario del servizio, attraverso il pagamento diretto della parte del corrispettivo non coperta dalle tariffe praticate all'utenza................ 21. Deve poi sottolinearsi che in base alla giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato, l'art. 6 l. n. 537 del 1997 costituisce norma imperativa integratrice della volontà delle parti del contratto pubblico e non derogabile da queste ultime in via pattizia, operante secondo il meccanismo dell'inserzione automatica ai sensi del sopra citato art. 1339 cod. civ.; la qualificazione di norma imperativa è ricavata sulla base della finalità di ordine pubblico dell'istituto, consistente nel tutelare l'interesse, riferibile anche all'amministrazione, di mantenere nel tempo la qualità delle prestazioni del privato, attraverso la sterilizzazione dei rischi di onerosità sopravvenuta legata alla svalutazione della moneta (cfr., da ultimo: Cons. Stato, III, 20 agosto 2018, n. 4985, 6 agosto 2018, n. 4827; V, 8 agosto 2018, n. 4869, 21 giugno 2018, n. 3812). La giurisprudenza ora richiamata ha precisato che la revisione spetta in caso di proroghe contrattuali e non già di rinnovi, poiché in quest'ultimo caso si è di fronte ad una ridefinizione delle condizioni economiche, nell'ambito della quale deve pertanto essere assorbito l'istituto dell'indicizzazione del corrispettivo, laddove nel primo caso vi è un semplice prolungamento nel tempo dell'efficacia del contratto originario, alle condizioni in esso stabilite. Poiché nel caso di specie il contratto di servizio (c.d. ponte), della durata iniziale di 3 anni (sino 31.12.2003) è stato prorogato con atti successivi sino al momento del ricorso, spetta alla ricorrente l'indicizzazione richiesta ai sensi della suddetta norma. V. In conclusione il ricorso deve essere accolto nei sensi ora esplicitati e vanno annullati gli atti con esso impugnati, con salvezza del riesercizio del potere amministrativo. VI. Le spese del giudizio possono essere compensate, in ragione della particolarità delle questioni controverse. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso e per l'effetto annulla gli atti impugnati. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Alberto Di Mario - Presidente, Estensore Alfredo Giuseppe Allegretta - Consigliere Marco Rinaldi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2694 del 2005, proposto da Cooperativa La Ga. s.c. a r.l. ed altri, rispettivamente in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Al. e Gi. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Pi. in Venezia, (...); contro Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura - AGEA, non costituita in giudizio; per l'annullamento della comunicazione AGEA denominata `Regime quote latte - lista di prelievo per acquirente - periodo 2004/2005", senza indicazione del codice comunicazione, Regione di competenza: Veneto, inviata all'acquirente latte Cooperativa La Ga. S.c.r.l., C.F.: 03534830280 con racc. a.r. n. 129331146606 in allegato alla comunicazione AGEA di prot. n. DPAU.2005.4002, datata 19 luglio 2005, ad oggetto: `Regime quote latte - Restituzione del prelievo supplementare relativo alle consegne del periodo 2004/2005"- che pure si impugna -, dalla quale risulta la quantificazione del prelievo supplementare per il periodo 1 aprile 2004/31 marzo 2005 relativa a ciascuno dei ricorrenti, nella parte in cui detti atti incidono nella sfera giuridica di ciascuno di questi ultimi; della nota informativa AGEA di prot. n. DPAU.2005.4089, di data 27 luglio 2004, ad oggetto: `Regime quote latte - Nota informativa sulla restituzione del prelievo supplementare relativo alle consegne del periodo 2004/2005" e della nota informativa AGEA di prot. n. DPAU.2005.4091, di data 27 luglio 2004, ad oggetto: 'Regime quote latte - Nota informativa sulla restituzione del prelievo supplementare relativo alle consegne del periodo 2004/2005" inviate ai ricorrenti produttori; nonché di ogni altro atto comunque connesso, presupposto o conseguente, anche in corso di definizione al momento di notificazione del presente ricorso e sebbene non conosciuto, nella parte in cui detti atti incidono nella sfera giuridica dei ricorrenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 maggio 2022 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso in epigrafe le ricorrenti - aziende agricole produttrici di latte vaccino e l'acquirente dello stesso latte - hanno impugnato la nota del 19 luglio 2005, con cui A.G.E.A. gli ha applicato un prelievo supplementare pari a tutta la produzione commercializzata in misura eccedente al loro QRI nel periodo 2004/2005, nonché le successive note informative del 27 luglio 2004. I ricorrenti hanno domandato l'annullamento dei provvedimenti impugnati sulla base dei seguenti motivi: I - Contrarietà al diritto comunitario degli artt. 5, 9 e 10 della legge n. 119 del 2003 e dell'art. 2, comma 3, della legge n. 204 del 2004; violazione degli artt. 3 e segg. della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere. La legge n. 119 del 2003, come modificata dal d.l. n. 157 del 2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 204 del 2004, sarebbe contraria al diritto comunitario e in particolare ai Regolamenti CE n. 1788/2003 e n. 595/2004, laddove prevede l'imputazione e la riscossione del prelievo supplementare a prescindere dalla preventiva verifica dell'effettivo superamento del QGG assegnato a livello nazionale. Inoltre ai sensi degli artt. 5 e 9 della legge n. 119 del 2003, risulterebbe stravolto l'impianto della normativa comunitaria relativo al calcolo ed al rimborso del prelievo pagato in eccesso. In primo luogo, la previsione dell'immediata restituzione del prelievo versato mensilmente in eccesso dai produttori in regola con i versamenti comporterebbe che tale redistribuzione possa avvenire anche se il prelievo riscosso non risulti effettivamente superiore a quello dovuto all'UE. In secondo luogo, sarebbe stata introdotta una categoria prioritaria di produttori per la restituzione delle somme riscosse in eccedenza, ossia quella dei produttori in regola con i versamenti mensili, incompatibile con i criteri sanciti dal suddetto Regolamento. Pertanto, i produttori ricorrenti si sarebbero visti quantificare un prelievo supplementare superiore rispetto a quello che sarebbero stati tenuti a versare in base alla normativa comunitaria. AGEA infatti avrebbe annullato il prelievo supplementare ai soggetti in regola con i versamenti mensili e l'avrebbe fatto totalmente ricadere sui soggetti non in regola con lo stesso. Infine, i ricorrenti sostengono che AGEA, in violazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990, non avrebbe motivato circa il superamento da parte dell'Italia del QGG assegnato a livello comunitario. II - Illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 3, del d.l. n. 157 del 2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 204 del 2004 per contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost. per violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa) - Eccesso di potere per sviamento. L'art. 2, comma 3, del d.l. n. 157 del 2004, posto a fondamento degli atti impugnati, opererebbe un'ingiustificata discriminazione tra i produttori che hanno effettuato i versamenti mensili, ai quali è garantita la restituzione di quanto versato, e quelli che non risultano in regola con detti versamenti, i quali risulterebbero penalizzati dal mantenimento a loro carico dell'intero prelievo, anche per la parte che avrebbe potuto essere loro restituita ove non fossero state interamente "abbonate" le multe ai produttori in regola. Inoltre, il medesimo art. 2, comma 3, del d.l. n. 157 del 2004 violerebbe l'art. 25 Cost. nella parte in cui considera non in regola i produttori che hanno omesso i versamenti mensili in base a pronunce giurisdizionali e quindi in presenza di una causa di giustificazione. III - Illegittimità comunitaria per violazione dei regolamenti CE n. 3950/1992 e n. 536/1993 e successive modificazioni; illegittimità derivata per illegittimità dei QRI assegnati per il periodo 2004/2005 e precedenti; violazione della normativa comunitaria e nazionale per mancato conteggio delle effettive quantità di latte prodotto e commercializzato in Italia nel periodo 2004/2005; violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere. I ricorrenti lamentano la carenza dei presupposti sanciti dalla normativa comunitaria ai fini dell'imputazione del prelievo supplementare, in particolare in riferimento alla campagna 2004-2005. Le assegnazioni dei QRI per il suddetto periodo non avrebbero tenuto conto della reale produzione delle aziende ricorrenti, limitandosi a riproporre dei QRI inattendibili, basati su precedenti comunicazioni effettuate ai sensi della legge n. 5 del 1998 e del d.m. del 17 febbraio 1998, sospese in sede giurisdizionale. L'Amministrazione resistente non avrebbe in alcun modo dato conto del concreto superamento del QGG da parte dell'Italia e non avrebbe proceduto alle operazioni di compensazione. IV - Illegittimità comunitaria propria e derivata per violazione e falsa applicazione dei Regolamenti CE n. 3950/1992, n. 536/1993, n. 1265/1999, n. 1932/1991, n. 1788/2003 e n. 595/2004; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere. La normativa italiana che prevede le possibilità di applicare retroattivamente il regime delle quote latte, quindi di assegnare le quote ad anni di distanza dalla chiusura della relativa campagna e di calcolare sempre a posteriori il superamento delle quote, al fine di irrogare la sanzione del prelievo supplementare prima che sia accertato il superamento del QGG, sarebbero in contrasto con il diritto comunitario. Le quote di produzione individuale non sarebbero mai state né individuate, né assegnate prima dell'inizio della campagna di commercializzazione. Ciò risulterebbe in contrasto con la normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, sent. del 25 marzo 2004, cause riunite da C-480/00 a C-482/00, da C-489/00 a C-491/00 e da C-497/00 a C-497/00, ai sensi della quale non si potrebbe prescindere da una previa comunicazione individuale delle quote latte ai fini dell'applicazione del relativo regime. V - Illegittimità comunitaria derivata per violazione dell'art. 2, n. 2, del Regolamento CE n. 3950/1992, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 29 aprile 1999, in causa C-288/97; mancata disapplicazione della legge n. 468 del 1992 e della legge n. 79 del 2000, come modificata dalla legge n. 388 del 2000; eccesso di potere. Con la nota del 19 luglio 2005, AGEA avrebbe sostenuto che l'acquirente avrebbe l'"obbligo" di trattenere, a titolo di prelievo supplementare, una parte del prezzo dovuto ai produttori. Tuttavia, la Corte di Giustizia UE nella sentenza del 29 aprile 1999, in causa C-288/97, avrebbe al contrario affermato che, ai sensi della normativa comunitaria, gli acquirenti hanno la facoltà, non l'obbligo, di trattenere un importo sul prezzo del latte consegnato dai produttori in misura eccedente la quota assegnata. Dovrebbe pertanto ritenersi non conforme al diritto comunitario la norma interna che sancisce l'obbligatorietà della trattenuta, sanzionandone penalmente la violazione. Gli atti impugnati risulterebbero altresì viziati da eccesso di potere, giacché A.G.E.A. avrebbe indotto in errore l'acquirente privato, facendogli credere di non avere alternative, pena l'applicazione di severe sanzioni. VI - Violazione e falsa applicazione dei Regolamenti CE n. 3950/1992 e n. 536/1993 e successive modificazioni; violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990 per mancata comunicazione ai produttori dell'importo del prelievo supplementare, assoluta carenza di motivazione, violazione di procedimento tipizzato e comunque mancata comunicazione di avvio del procedimento. In violazione degli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990, l'Amministrazione non avrebbe comunicato l'avvio del procedimento né ai produttori, né al primo acquirente. Inoltre, il prelievo supplementare imputato ai ricorrenti produttori sarebbe totalmente privo di motivazione. VII - Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 13 del Regolamento CEE n. 595/2004; eccesso di potere; incompetenza. I provvedimenti impugnati sarebbero privi degli elementi essenziali previsti ex lege (soggetto, oggetto, volontà, forma, motivazione) e dei requisiti imposti dalla legge n. 241 del 1990 e dalla legge 689 del 1981. Inoltre, l'Amministrazione avrebbe violato l'art. 13 del Regolamento CE n. 595/2004, che richiede che la comunicazione del prelievo supplementare avvenga mediante notifica e non attraverso lettera raccomandata. Infine, il calcolo del prelievo supplementare non rientrerebbe nell'ambito delle competenze del Dirigente della U.O., sicché i provvedimenti impugnati sarebbero viziati da incompetenza. 2. A.G.E.A. non si è costituita in giudizio. 3. In vista della discussione del ricorso, i ricorrenti hanno depositato una memoria in cui in particolare hanno dato atto della sopravvenuta sentenza 13 gennaio 2022 in causa C-377/19, con cui la Corte di Giustizia UE ha affermato che l'articolo 16, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 595/2004 della Commissione, del 30 marzo 2004, recante modalità d'applicazione del regolamento (CE) n. 1788/2003 del Consiglio che stabilisce un prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale per effetto della quale beneficiano in via prioritaria della restituzione del prelievo supplementare riscosso in eccesso i produttori con riferimento ai quali gli acquirenti abbiano adempiuto il loro obbligo di versamento mensile di tale prelievo. 4. All'udienza pubblica del 3 maggio 2022, fissata per lo smaltimento dell'arretrato, la causa è stata trattenuta in decisione. 5. Appare suscettibile di favorevole apprezzamento la censura contenuta nel primo motivo di ricorso con cui i ricorrenti lamentano la contrarietà del sistema di restituzione previsto dall'art. 2, comma 3, del d.l. n. 157 del 2004, convertito in legge n. 204 del 2004, rispetto all'art. 13 del Regolamento CE n. 1788/2003 e all'art. 16 del Regolamento CE n. 595/2004. 5.1. Come recentemente affermato dalla Sezione III del Consiglio di Stato va infatti "ribadita la contrarietà con la normativa comunitaria del criterio applicato per la compensazione a livello nazionale tra le maggiori e minori quantità di prodotto. La questione peraltro è già stata oggetto di scrutinio da parte del Consiglio di Stato, alle cui risultanze non può non farsi rinvio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. II, 4 febbraio 2020; Id., sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1105). 10. Il meccanismo di compensazione di cui all'art. 1, comma 8, del d.l. n. 43 del 1 marzo 1999, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 118/1999, applicato nei casi di specie, infatti, in quanto basato su categorie prioritarie, è stato ritenuto in palese contrasto con l'art. 2 del Reg. n. 3950/1992, applicabile ratione temporis, con la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sez. VII, del 27 giugno 2019, in esito ad un quesito formulato da questo Consiglio di Stato con ordinanza n. 3074 del 2018. La Corte ha dunque affermato (ai paragrafi 35-37) quanto di seguito testualmente si riporta:"[...] risulta dall'articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, nonché dall'articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 536/93 che lo Stato membro dispone della facoltà di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, o a livello nazionale, direttamente ai produttori interessati, o a livello degli acquirenti affinché detti quantitativi vengano ripartiti tra i produttori in questione. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l'articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, pur concedendo agli Stati membri la facoltà di riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, non li autorizza a decidere in base a quali criteri tale riassegnazione debba essere effettuata. Infatti, risulta dalla formulazione stessa della disposizione suddetta che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tali quantitativi vengono ripartiti in modo "proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore". E' stata in tal modo smentita la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l'indifferenza dell'utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi europei di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, sottolineando (ai paragrafi da 38 a 46 della sentenza) quanto segue: "L'argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l'acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell'articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz'altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo "proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore" e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, Kurt und Thomas Etling e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64)". 11. Dalle statuizioni della Corte di Giustizia discende dunque che il meccanismo di "compensazione-riassegnazione" applicato dall'Amministrazione italiana è stato alterato dall'utilizzazione di un criterio normativo nazionale non conforme al dettato europeo. La norma è stata cioè applicata dall'Amministrazione nel senso che le operazioni di compensazione tra quote eccedentarie e quote non interamente sfruttate, nonché le conseguenti riassegnazioni ai produttori eccedentari dei quantitativi di riferimento individuali inutilizzati, sono state fatte per categorie secondo l'ordine indicato, e non già "proporzionalmente ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore"" (Cons. Stato, Sez. III, 5 aprile 2022, n. 2505). Tali conclusioni hanno peraltro trovato ulteriore conferma nella sentenza della Corte di Giustizia UE, Sez. II, 13 gennaio 2022, in C377/19. In definitiva il meccanismo di restituzione stabilito dalla normativa comunitaria deve ritenersi fondato su criteri difformi rispetto a quelli che si sarebbero dovuti utilizzare in base alla disciplina comunitaria. 6. Stante il carattere pregiudiziale della censura ritenuta fondata, gli ulteriori motivi possono ritenersi assorbiti. 7. Il ricorso deve pertanto essere accolto e, per l'effetto, devono essere annullati gli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione con conseguente obbligo dell'Amministrazione di procedere ad un complessivo ricalcolo del prelievo dovuto. 8. In ragione della peculiarità della fattispecie e in particolare delle incertezze normative e dell'evoluzione giurisprudenziale, sussistono i presupposti per compensare le spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Stefano Mielli - Presidente Nicola Bardino - Primo Referendario, Estensore Filippo Dallari - Referendario

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