Sentenze recenti Tribunale Verbania

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERBANIA Prima CIVILE Il Tribunale di Verbania, in composizione monocratica nella persona del G. Onorario dott. Katia Ruzza ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 209 - 2021 avente ad oggetto: Pagamento somma di denaro, etc. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv.(...) contro (...) di (...) in persona dei soci amministratori e rappresentanti legali della società, nonché sig.ra (...) ed il socio-amministratore sig. (...) rappresentati e difesi rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall'Avv. (...) pec (...) Pec (...) ed elettivamente domiciliata in Verbania via (...) presso i propri legali i quali dichiarano di ricevere le comunicazioni all'indirizzo pec (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE (art. 118 disp. Att. c.p.c. rif. L. n. 69 del 2009 -art. 132 cpc-) Omesso lo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132, comma II, n. 4 c.p.c. introdotto dall'art. 45, comma 17 L. n. 69 del 2009, appare opportuno ripercorrere succintamente le domande e le eccezioni proposte dalle parti, prima di procedere alla stesura della motivazione. Con atto di citazione datato 26.01.2021 e notificato in data 5.02.2021 il signor (...) conveniva in giudizio la società (...) SNC in persona dei soci e legali rappresentanti (...) e (...) per sentir dichiarare e accertare che il finanziamento dallo stesso contratto con (...) per Euro. 45.000,00 e poi rinegoziato con (...) era stato utilizzato integralmente da (...) snc di (...) e (...) (poi divenuta a seguito della cessione della quota della (...) a (...) snc di (...) e (...) in quanto la stessa era allora impossibilitata a richiedere detto finanziamento per mancanza di garanzie ma bisognosa dello stesso per acquistare le attrezzature del bar. E considerato che la società (...) aveva restituito al (...) solo il minor importo di Euro 10.869,50 l'attore ha chiesto la condanna della (...) snc alla corresponsione (...) la somma di Euro 21.335,50, il tutto oltre gli interessi e rivalutazione monetaria. Si costituiva la società (...) SNC (CF e N. REA (...) di (...) e (...) in persona dei soci e legali rappresentanti sedente in V., Vicolo (...) nonché personalmente i Sigg.ri (...) e (...) con comparsa datata 10.05.2021 chiedendo l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della negoziazione assistita, di accertare la carenza di legittimazione passiva di (...) snc di (...) per via della cessione della quota da (...) in via principale il rigetto della domanda, ed in via subordinata di contenersi la somma eventualmente dovuta dai convenuti a quanto di competenza del solo (...) come in narrativa esposto; Accertare che l'importo dovuto dai convenuti in misura di Euro 11.250,00 è già stato integralmente versato dagli stessi prima del presente giudizio e, per l'effetto dichiarare che nulla è più dovuto dai Sigg.ri (...) A fondamento assume che il versamento effettuato dal (...) verso il conto della società, essendo proveniente da conto cointestato tra i coniugi (...) e (...) integrasse in realtà un finanziamento a fondo perduto da parte della socia (...) alla società dal momento che la stessa a differenza della (...) non avrebbe avuto le competenze necessarie per svolgere l'attività e quindi trattavasi di suo apporto capitale e assumendo che la (...) cedendo successivamente la quota di partecipazione avesse dichiarato di nulla avere più a pretendere. Inoltre assume che la (...) fuoriuscendo dalla società si sarebbe sottratta al rischio di impresa e agli obblighi assunti. La causa istruita con escussione dei testi sui capitoli ammessi è stata rinviata per precisazione conclusioni e trattenuta a sentenza. Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di improcedibilità del giudizio per mancato esperimento della negoziazione assistita obbligatoria prevista dal D.L. n. 132 del 2014 convertito il L. n. 162 del 2014 per non aver l'attrice portato a termine la procedura. Tale eccezione deve essere disattesa. Parte attrice ha dimostrato di aver invitato parte convenuta a concludere una negoziazione assistita (doc 10) Parte convenuta risulta aver aderito (doc 11) Tuttavia a fronte dell'invito a redigere l'accordo di negoziazione con l'indicazione di date di incontro le parti non risultano aver raggiunto un accordo e dal carteggio prodotto non è bene chiaro a chi sia addebitabile tale mancato perfezionamento e mancato incontro. Tale evoluzione deve quindi configurarsi quale esito negativo della negoziazione assistita non potendosi inquadrare l'adesione iniziale cui è seguito il procrastinare di un'effettiva impossibilità di incontro quale ostacolo a ritenere verificata la condizione di procedibilità essendo evidente come un'interpretazione in tal senso finirebbe per eludere la finalità dell'istituto e per divenire un oggettivo impedimento alla radicazione della causa laddove sia manifesta l'impossibilità di fissare incontri e di concretizzare nei fatti un accordo. Non merita parimenti accoglimento l'eccezione di carenza di legittimazione passiva della (...) SNC posto che la società già (...) SNC di (...) e (...) ha modificato la ragione sociale a seguito della cessione delle quote da (...) a (...) senza cambiare la propria identità né tantomeno determinare l'estinzione del soggetto giuridico che ha mantenuto infatti lo stesso codice fiscale. Venendo al merito la domanda appare fondata. Parte attrice su cui gravava l'onere della prova della domanda restitutoria ha allegato l'estratto conto cointestato al (...) e alla moglie (...) recante prima un giro conto alla (...) snc (in data 10.04.2017) dell'importo di Euro. 5.000,00, poi un versamento in data 21.04.2017 a (...) snc di Euro. 45.000,00 con la causale "prestito (...) contestuale di poco successivo al prestito ricevuto da (...) in data 21.04.2017 di Euro. 45.000,00 da (...) (doc l parte attrice-14) Seppur il conto corrente dal quale sono state erogate le somme risulti cointestato a (...) e dalla documentazione versata in causa risulta evidente come la disponibilità della somma derivi da finanziamento concesso da (...) al solo (...) con la conseguenza che il versamento disposto a favore di (...) snc contestualmente alla ricezione della somma deve imputarsi al solo (...) posto che la cointestataria del conto (...) non risulta aver contribuito all'erogazione della somma. Successivamente il finanziamento è stato estinto in data 12.11.2018 con il prestito concesso da (...) al solo (...) per capitale di Euro. 44.250,00 (doc 3 e 7 parte attrice) In sede di cessione quote da parte di (...) a (...) in data (...) a rogito Notaio (...) alla presenza della stessa (...) che partecipava all'atto anche per rinuncia alla prelazione e consenso al trasferimento della quota sociale la (...) dichiarava ed il (...) (cessionario) ne prendeva atto che "non sussistono versamenti da lei effettuati nelle casse sociali a titolo di finanziamento o ad altro titolo e che non sussistono garanzie personali dalla stessa prestate in favore della società" (cap 2) Come noto per inquadrare l'erogazione di una somma di denaro e definirne la causa occorre far riferimento agli elementi indiziari presenti: i. l'effettiva indicazione utilizzata nelle causali dei bonifici (ad esempio "prestito"); ii. l'eventuale rimborso anche parziale degli stessi operato nel tempo dalla società; iii. la registrazione effettuata dalla società di tali movimenti nelle scritture contabili e nel bilancio contabile e/o di esercizio. Nel caso in esame è pacifica la dazione dell'importo di Euro. 45.000,00 in data 21.04.2017 (non negata da parte convenuta). Il versamento risulta fatto da (...) (anche se da conto cointestato con una delle due socie della società) e la causale è "prestito (...)". Non sono prodotte le scritture contabili da cui si possa desumere se vi sia stata o meno una registrazione del movimento ed a che titolo. Il fatto che l'erogazione delle somme provenga da soggetto estraneo alla società( il (...) appunto) in quanto effettivo soggetto che ne aveva la disponibilità, il fatto che nella causale lo stesso abbia indicato la voce "prestito (...) porta a ritenere che trattasi di prestito di terzo a favore della società ed infatti non vi è traccia di quanto asserito da parte convenuta per giustificare l'introito delle somme e la mancata restituzione. E segnatamente non vi è traccia del fatto che la (...) avesse effettuato il bonifico delle somme alla società (fatto che avrebbe sì portato a dover valutare se trattavasi di finanziamento socia o versamento a fondo perduto) Anzi la stessa ha dichiarato in sede di cessione quote alla presenza dell'altra socia (...) che nulla ha contestato in tale sede che non sussistevano "versamenti da lei effettuati nelle casse sociali a titolo di finanziamento o ad altro titolo. Il versamento dell'importo di Euro. 45.000,00 nelle casse della (...) snc quindi appare da imputarsi a tutti gli effetti al (...) Come noto "il mutuo va annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene, cioè, con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne sono oggetto; ne consegue che la prova della materiale messa a disposizione dell'uno o delle altre in favore del mutuatario e del titolo giuridico da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione costituisce condizione dell'azione, la cui dimostrazione ricade necessariamente sulla parte che la "res" oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione, non valendo ad invertire tale onere della prova la deduzione, ad opera del convenuto, di un diverso titolo implicante l'obbligo restitutorio, non configurandosi siffatta difesa quale eccezione in senso sostanziale" (Cass. Civ. sez. 2 -, Ordinanza n. 35959 del 22/11/2021) Quindi non è sufficiente da parte dell'attore che agisca per la restituzione la prova della dazione della somma di denaro ma è necessaria la prova della causale e soprattutto dell'obbligo restitutorio. Tale valutazione tuttavia come ci insegna la recente pronuncia della Suprema Corte (Sez. 2 - , Ordinanza n. 27372 del 08/10/2021) deve essere effettuata con cautela in quanto dovrà altresì accertarsi se la natura del rapporto e le circostanze del caso concreto giustifichino che l'accipiens trattenga senza causa il denaro ricevuto dal solvens. Nel caso di specie non è argomentabile con sufficiente cautela il fatto che la (...) snc trattenga una somma che la stessa non nega di aver ricevuto il 21.04.2017 non risultando sufficientemente provata la causale giustificante il trattenimento della somma ed anzi essendo emerso l'obbligo restitutorio già in parte attuato dalla (...). Le prove orali infatti hanno dimostrato che dal 2017 al 2020 la (...) snc versasse degli importi al (...). Così dichiarava infatti (...) so che la (...) mi ha portato qualche volta una busta dove sapevo che c'erano soldi ma non conosco l'importo e la dovevo consegnare al(...) quando sarebbe passato mi aveva chiesto la cortesia e alle domande successive ((28) "Vero che" la sig.a (...) nell'anno 2017 ha versato la somma di Euro 1.192,50; 29) "Vero che" i convenuti nell'anno 2018 hanno versato la somma di Euro 2.921,00; 30) "Vero che" i convenuti nell'anno 2019 hanno versato la somma di Euro 5.684,00; 31) "Vero che" i convenuti nell'anno 2020 hanno versato la somma di Euro 1.072,00; 32) "Vero che" i convenuti nell'anno 2021 hanno versato Euro 0,00) dichiarava " Non so l'importo che gli ha dato .. So che mi hanno portato delle buste che ho consegnato ma non so quanto abbiano dato (..) Che ricordi io sono venuti due o tre volte in questo periodo ricordo che è capitato una volta che il (...) era passato ma la (...) non mi aveva portato nulla ... Nel 2021 non ho visto nessuno Anche (...) ha confermato la dazione di denaro dal 2017 al 2020 in quanto riferitole dalla stessa (...) (Si me lo hanno detto Cap 24) Si. Lo so perché mi è stato detto dalla (...) L'anno era il 2017 (...) Anche questo mi è stato detto dalla (...) Non ricordo i periodi. La somma indicativamente era questa Ricordo che era estate Si mi è stato riferito. Anche la (...) sentita sul punto ha confermato il prestito del maccagnani alla Società e le dazioni restitutorie (Si. Non li davo io da settembre 2017 ero fuori dalla società. Sino a settembre 2017 sono stati versati tramite bonifico Dopo la (...) li dava a mano in busta chiusa li dava o a me o a mio marito. Cap 27) in questi anni si. Era meno della cifra che avrebbero dovuto versare me li davano quando avevano possibilità Sentita anche la consulente contabile (...) la stessa ha parimenti confermato sia il finanziamento da parte del (...) sia le restituzioni che avvenivano anche se non era contabilizzato nulla per via del regime semplificato della società. Così infatti dichiarava " Non so l'iter ma c'è stato il finanziamento da parte del (...) per poter far fronte alle necessità iniziali della società (...) non ricordo le date non ho contabilità di versamenti in quanto la società è in regime di semplificata quindi non rendiconto la banca so che avevano iniziato a far fronte al debito (...) la cifra non la conosco per il motivo di prima so che è stata restituito parte del dovuto mi risulta dalla signora (...) Nella contabilità della società visto il regime non viene richiesto (...) Sicuramente ho sentito il (...) per telefono su questa questione dopo l'uscita della società della (...) per le tempistiche di restituzione dell'importo a lui. Anche la (...) ha confermato la dazione "Ricordo che abbiamo versato delle somme al (...) più di 10.800,00 mi sembra 14.000,00 dal 2017 al febbraio 2020". In conclusione appaiono provati sia la dazione di denaro da parte del (...) alla (...) snc per Euro 45.000,00 a titolo di mutuo e pari al quantum bonificato in data 21.04.2017 sia l'obbligo restitutorio che la (...) snc aveva già iniziato ad assolvere effettuando i versamenti. Parte convenuta ha asserito di aver corrisposto importi maggiori tuttavia non ha fornito valida prova dei propri assunti essendo la prova del fatto estintivo a carico della stessa. Di nessun conto poi appare l'ulteriore finanziamento contratto dal (...) con (...) per far fronte al debito contratto dal (...) con (...) (debito contratto per poter effettuare il prestito alla società (...) snc) non risultando versata in causa la prova di pattuizione di ulteriori interessi e maggiorazioni da corrispondersi a carico di (...) snc a seguito della ricezione della somma mutuata dal (...) né essendovi prova di tempistiche di restituzione gravanti su (...) snc non rispettate che possano aver determinato la necessità in capo al (...) di contrarre altro finanziamento per estinguere il debito con (...). La (...) snc quindi dovrà essere condannata al versamento dell'importo residuo non versato a fronte del mutuo iniziale ricevuto di Euro 45.000,00 e pari ad Euro 21.355,50 come richiesto da parte attrice tenuto conto dei versamenti già effettuati di Euro 10.869,50, il tutto oltre interessi e senza rivalutazione trattandosi di debito di valuta determinato nel suo ammontare. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo sulla base del valore della causa con applicazione dei parametri medi e tenuto conto dell'attività svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Verbania in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza o eccezione disattesa e/o assorbita, così dispone: - in accoglimento della domanda di parte attrice: - Condanna (...) SNC di (...) e (...) in persona dei soci amministratori e rappresentanti legali della società, la socia-amministratrice sig.a (...) ed il socio-amministratore sig. (...) a corrispondere immediatamente in favore dell' attore (...) la somma di Euro 21.335,50, il tutto oltre gli interessi dalla domanda al soddisfo a titolo di restituzione della somma erogata a titolo di mutuo in data 21.04.2017 e pari ad Euro 45.000,00 e detratti gli acconti versati. - Condanna la società (...) SNC di (...) e (...) in persona dei soci amministratori e rappresentanti legali della società, la socia-amministratrice (...) ed il socio-amministratore (...) a corrispondere a (...) le spese legali che liquida in complessivi Euro 4.835,00 (applicati i parametri medi della fascia da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00) per compenso oltre ad Euro. 264,00 per anticipazioni oltre 15% di rimborso forfetario, CPA e Iva se dovuti Così deciso in Verbania il 30 settembre 2022. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VERBANIA Il GOT, dott.ssa Laura Novi, pronuncia la seguente SENTENZA nella controversia civile RG. n. 1110 /2020 promossa da signor Ag.Al. (c.f (...)) assistito e difeso dall'avv. Ed.De. - attore contro (...) Sas di (...) (c. f (...)) assistita e difesa dall'avv. An.Tr. - convenuto nonché contro signor (...) (c.f. (...) ), titolare dell'omonima ditta individuale (p.iva (...)) assistito e difeso dagli avv.ti Al.Za. e An.Po. - terzo chiamato SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato in data 07.09.2020, il signor (...) ha convenuto in giudizio (...) s.a.s. di (...), chiedendo, richiamato l'art. 1453 c.c., la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni e all'eliminazione dei difetti di installazione di un camino posto all'interno della propria abitazione. Nel merito, dopo aver precisato di aver acquistato alla convenuta, e fatto installare dalla stessa, un camino a legna, ad uso anche riscaldamento, riferiva che subito dopo l'installazione si erano presentati problemi di funzionamento, comportanti anche il rilascio esalazioni di monossido di carbonio. Risultati vani i tentativi di trovare una soluzione, si determinava a promuovere, preliminarmente a questo giudizio, un procedimento ex art. 696 c.p.c., nel corso del quale è intervenuta, in qualità di terzo chiamato, su istanza della (...) s.a.s., anche la ditta Individuale (...), che aveva eseguito le opere murarie per la collocazione del camino. Successivamente, sulla scorta delle risultanze emerse nel procedimento anzidetto, parte attrice ha promosso l'odierno giudizio. La padovano Commerciale si è costituita nel presente giudizio, contestando le deduzioni e conclusioni rassegnate dall' attore, come pure le risultanze del procedimento ex art. 696 c.p.c., per genericità ed errore nelle conclusioni rassegnate dal Ctu, riguardo alla posizione della stessa società, chiedendo di essere estromessa dal giudizio e, previa chiamata in causa, la condanna della ditta individuale (...), ritenuta unica responsabile dei difetti d'installazione e, quindi, tenuta agli eventuali esborsi risarcitori in favore dell'attore stesso. In via riconvenzionale, ha, poi, chiesto il pagamento, nei confronti del signor (...) della fattura n. (...) del 28.05.2019, dell'importo di Euro 1.178,97, relativa ad attività connesse alla fornitura oggetto di causa. Ammessa la chiamata del terzo, la ditta individuale (...) si è costituita nel presente giudizio, contestando, come già rappresentato nel precedente giudizio ex art. 696 c.p.c., le deduzioni svolte da (...) s.a.s., eccependo, preliminarmente, la decadenza di quest'ultima ex art. 2226 c.p.c. e, in subordine, chiedendo di accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva della convenuta per i vizi nel funzionamento del camino e per i danni lamentati dall'attore. In via riconvenzionale, ha chiesto il pagamento di Euro 3.720,00, per le opere edili rimaste insolute (come da proforma del 31.05.2018 doc. 08 fasc. terzo chiamato) e di Euro 6.314,36, a titolo di rimborso delle spese legali e peritali sostenute nell'ambito del procedimento ex art. 696 c.p.c. (fatt.re nn. (...) del 19.12.2019; (...) del 24.12.2019 e (...) del 05.12.2020, doc. 09 fasc. terzo chiamato), oltre interessi. Instaurato, così, il contraddittorio, il procedimento è proseguito con la concessione dei termini ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c., come da ordinanza del 12.05.2021. Le deduzioni istruttorie articolate dalle parti con le memorie n. 2 e n. 3 ex art. 183 co. 6 c.p.c. non sono state ammesse, per le ragioni esposte nell'ordinanza del 06.12.2021. Ritenuta, pertanto, la vertenza matura per la decisione, la causa è stata differita all'udienza cartolare di precisazione delle conclusioni, fissata per il 10.03.2022, che le parti hanno rassegnato nei termini che seguono: - attore: ... visto e ritenuto l'esito del procedimento di Accertamento Tecnico Preventivo RG n. 673/2019 avanti il Tribunale di Verbania, visto l'art. 1453 c.c., considerato l'inadempimento della (...) s.a.s. nell'adempimento delle obbligazioni a suo carico con riferimento al contratto di fornitura ed installazione del camino per cui e vertenza, condannare la stessa (...) s.a.s. al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi dall'attore nella misura quantificata nell'importo di Euro 20.000,00 salvo diversa e/o maggiore somma risultante in corso di causa; - condannare altresì la ditta convenuta alla sistemazione definitiva dell'impianto per cui e vertenza, secondo le determinazioni ed i suggerimenti del CTU emersi nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo ..."; - convenuto: "... Voglia l'Onorevole Tribunale adito, previa remissione della causa in istruttoria con ammissione di tutti i mezzi istruttori formulati nelle memorie ex art. 183, co. 6 nn. 2 e 3 c.p.c., da intendersi ivi integralmente richiamati e ritrascritti, contrariis rejectis e previe tutte le declaratorie anche incidentali del caso in via pregiudiziale, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva della società convenuta e, per l'effetto, ordinarsi l'estromissione di questa dal procedimento; - in via principale, nella denegata ipotesi in cui non fosse ordinata l'estromissione della società (...) Sas di (...) rigettare per i motivi di cui in narrativa le domande di parte attrice e della terza chiamata in quanto infondate in fatto ed in diritto;- in via subordinata, dichiarare ed accertare che la responsabilità per tutti i danni richiesti da parte attrice sia da ascrivere esclusivamente alla ditta individuale "(...)", p. iva (...), c. fisc. (...), con sede legale in 28887 O. (V.), via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore; - in via estremamente subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi di affermazione di responsabilità, anche parziale, della società convenuta, condannare e dichiarare tenuta la ditta individuale "(...)", p. iva (...), c. fisc. (...), con sede legale in 28887 O. (V.), via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, a garantire e manlevare la società convenuta dalle pretese risarcitorie diparte attrice e conseguentemente condannarla al pagamento di quanto eventualmente dovuto da (...) S.a.s. di (...); - in via riconvenzionale, condannare il sig. (...), al pagamento in favore di parte attrice dell'importo di Euro 1.178,97, corrispondente alla fattura n. (...) emessa da (...) S.a.s. di (...) in data 28/05/2019 ..."; - terzo chiamato: "... nel merito, in via preliminare: dichiarare ogni azione spiegata da (...) sas contro la ditta (...) travolta dalle maturate decadenza e prescrizione; - nel merito, in via principale: respingere ogni domanda della (...) sas perché infondata in fatto ed in diritto per i motivi esposti in atti. Nel merito, in via riconvenzionale: dichiarare tenuta e condannare la ditta "(...) Sas di (...)", legale rappresentante (...) (CF e P.IVA (...)) a corrispondere alla ditta "(...)" in persona del titolare la somma di Euro 10.034,36=, oltre interessi dal dovuto al saldo giusta le causali in premessa di comparsa di costituzione e risposta ...". Al termine, la causa è stata trattenuta in decisione ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE In via pregiudiziale, deve farsi luogo al rigetto dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva, proposta dalla (...) s.a.s. (...) noto, la legittimazione ad agire/resistere serve ad individuare la titolarità del diritto ad agire/resistere in giudizio. Secondo una tradizionale e condivisibile definizione, la parte è il soggetto che in proprio nome domanda o contro il quale la domanda è proposta. Oggetto di analisi, per valutare la sussistenza della legittimazione ad agire/resistere, è, dunque, solo la domanda. La sua prospettazione. Nel caso in cui l'atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l'attore/convenuto, come titolare del diritto di cui si chiede l'affermazione o come titolare della relativa posizione passiva, l'azione sarà inammissibile. Naturalmente, ben potrà accadere che, poi, all'esito del processo, si accerti che la parte non è titolare del diritto che aveva prospettato come suo o che la controparte non è titolare del relativo obbligo, ma ciò attiene al merito della causa, che non esclude la legittimazione ad essere parte del processo, fino alla sua conclusione. Nel presente giudizio, il signor (...) chiede, nei confronti della (...) s.a.s., il risarcimento del danno e la sistemazione del camino. Sotto il profilo della legittimità passiva, la partecipazione di quest'ultima risulta correttamente inquadrata, posto che nella ricostruzione dei fatti, per l'attore l'unica responsabile è la convenuta. Per la disamina dell'ulteriore eccezione preliminare, svolta, però dalla sola terza chiamata, relativa alla decadenza dalla garanzia ex art. 2226 c.p.c., occorre, invece, partire dalla qualificazione giuridica dei rapporti intercorsi tra le parti del giudizio, attore, convenuto e terzo chiamato, in ordine ai quali non vi è concordia, ancorché solo da parte del convenuto. Parte attrice riferisce, infatti, che il rapporto con il convenuto non è consistito solo nella fornitura del camino, ma anche nell'attività di posa in opera dello stesso. La stessa parte esclude, invece, di aver interagito con il terzo. Deduce, di contro, parte convenuta, che il rapporto con l'attore è consistito in una semplice compravendita, atteso che la società ha solo curato la fornitura del prodotto (il camino), rimettendo, poi, tutte le attività di mano d'opera in loco all'esclusivo appannaggio dell'attore stesso e dei fornitori da questi scelti e pagati, tra cui, per l'appunto, la terza chiamata. Dall'analisi dei documenti prodotti, la prospettazione di parte convenuta non trova riscontro, risultando, al contrario, documentale proprio l esistenza di un rapporto diretto tra attore e convenuto e tra quest ultimo ed il terzo. Ritornando, ora, all'analisi del rapporto intercorso tra l'attore e il convenuto, quest'ultimo non può essere inquadrato nell'ambito dell'appalto, ma deve essere qualificato quale contratto di compravendita. A tal proposito, va, infatti, osservato che, in termini generali, la distinzione tra appalto e vendita va tracciata sulla scorta del criterio della prevalenza dell'obbligazione di dare, ovvero di facere, avuto riguardo all'assetto degli interessi concretamente pattuiti o perseguiti dalle parti. Per costante giurisprudenza, sia di merito e sia di legittimità, l'oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere (anche se comprensivo di un dare), che può concretarsi sia nel compimento di un'opera, che di un servizio che l'appaltatore assume di adempiere verso il committente, dietro corrispettivo. Oggetto del contratto di vendita è, senza dubbio, il trasferimento di un bene, a cui può essere connessa anche un'obbligazione di fare, ovvero di "mettere in opera" il bene compravenduto. In altri termini, nel contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche un fare. La differenza tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l'appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, emerge avuto riguardo alla prevalenza - o meno - del lavoro sulla materia, da considerarsi non in senso oggettivo, ma tenuto conto della volontà dei contraenti. Se la somministrazione della materia è un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro lo scopo del negozio, siamo nell'ambito dell'appalto; invece, se il lavoro è il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa, l'effettiva finalità del contratto, il rapporto dovrà qualificarsi come compravendita (v. ex plurimis Cass. civ. n. 20391 del 24.07.2008; Cass. civ. n. 5935 del 12 marzo 2018, entrambe conformi a Cass., Sez. Unite, n. 1196/1983). Nel caso in esame, facendo applicazione dei richiamati principi e dal tenore letterale dei documenti allegati, nonché sulla scorta degli altri criteri di interpretazione del contratto (in particolare, dal comportamento tenuto dai contraenti nel corso dell'esecuzione), il rapporto intercorso tra attore e convenuto ricalca perfettamente il tipico rapporto contrattuale di vendita. Nel preventivo datato 04.05.2018 (doc. 01 fasc. attore) è riportato il prezzo del bene (camino) e, a seguire, ma separatamente, quello delle opere necessarie alla sua installazione. Nella causale della fattura n. (...) del 04.04.2018 (doc. 02 fasc. attore, prodotta anche dalla convenuta) è, poi, precisato "avanzamento lavori di realizzazione canna fumaria e nuovo camino", dicitura che ritroviamo nella fattura n. (...) del 04.05.2018 (doc. 03 fasc. attore e prodotta anche dalla convenuta) ancorché con la specifica "fine lavori". Come riconosciuto dall'attore, la convenuta è la società che ha fornito il camino e che si è occupata anche della sua installazione (pagg. 01 e 02 citaz. e comp. concl. attore). Nel caso in esame, l'obbligazione di dare (vendita del camino) si è, quindi, accompagnata all'obbligazione di fare (installare del camino). Del tutto irrilevante è, poi, la circostanza che (...) s.a.s. non si occupi, per il settore merceologico di appartenenza o per l'organico di cui dispone, d'installazione, ben potendo, come emerge anche dal citato "preventivo" ove sono stati specificati i costi anche per l'installazione, sopperirvi, per agevolare il perfezionare dell'operazione commerciale prevalente (ovvero, la vendita), con l'individuazione e il coordinamento delle risorse (manodopera) dall'esterno. Inquadrato il rapporto intercorso, occorre ora far rilevare che il signor (...), nella presente vicenda riveste anche la qualità di consumatore in quanto persona fisica che ha acquistato il camino chiedendo la posa in opera nella casa in cui abita e, quindi, per esigenze che esulano dallo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale; la convenuta assume, invece, la qualità di professionista, avendo procurato il camino e avendo provveduto, con l'ausilio di manodopera esterna, alla sua posa, nello svolgimento della propria attività imprenditoriale. Inesistente è risultato il rapporto tra l'attore ed il terzo chiamato, non risultando evidenze contrarie, neppure in sede di istanze istruttorie e ciò sia in termini di conferimento diretto dell'incarico e sia di direttive sul lavoro da svolgere. La terza chiamata è stata individuata e si è relazionata con (...) s.a.s., circostanza che trova conferma, da ultimo, anche in un messaggio (...) (datato 28.02.2018) prodotto dalla stessa convenuta (doc. 23 fasc. convenuta), ancorché si tratti di conversazione intervenuta tra soggetti estranei al presente giudizio, ma ad essi presumibilmente legati da rapporti di parentela o conoscenza. In detto documento è chiaro il riferimento a contatti presi dalla convenuta con il terzo. Aggiuntasi, poi, che detta conversazione è precedente (febbraio 2018) il preventivo (aprile - maggio 2018), come pure l'inizio dei lavori e il suo contenuto non ha trovato riscontri neppure dalla capitolazione dedotta da parte convenuta, considerata, peraltro, la genericità delle circostanze di fatto ivi riportate. Rilevato che un rapporto di collaborazione è, dunque, intercorso, ma solo tra la convenuta ed il terzo, lo stesso deve essere ricondotto nell'alveo del contratto d'opera ex art. 2222 c.c., con committente, la (...) s.a.s. Nel contratto d'opera è centrale il requisito del "lavoro prevalentemente proprio" e, quindi, l'intervento dell'attività lavorativa personale dell'esecutore dell'opera. In tema di garanzia, nel rapporto tra attore e convenuto trova applicazione l'art. 132 Cod. Cons. (con le modifiche apportate dal D.L. n. 221 del 23 ottobre 2007 n. 221), a mente del quale "il venditore è responsabile, a norma dell'articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. Il consumatore decade dai diritti previsti dall'articolo 130, comma 2, se non denuncia al venditore il difetto di conformità' entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto", tra convenuto e terzo, invece, l'art. 2226 c.c.. Se con riferimento al termine di denuncia dei vizi dell'attore, trattandosi di eccezione di merito in senso stretto, non rilevabile d'ufficio, il silenzio al riguardo di parte convenuta porta a concludere per la sua tempestività, non altrettanto può dirsi con riguardo alla posizione della convenuta con il terzo chiamato. L'art. 2226 c.c. pone, infatti, a carico, del committente, l'onere di denunciare le difformità ed i vizi occulti al prestatore d'opera, entro otto giorni dalla loro scoperta; l'azione, poi, si prescrive entro un anno dalla consegna. La giurisprudenza, al riguardo, ha chiarito che il termine comincia a decorrere dalla percezione del nesso causale tra il segno esteriore del vizio e l'opera stessa (Cass. civ. n. 7449/1997). Di fronte all'eccezione di decadenza proposta (in questo caso dal terzo), l'onere di provare la tempestività della denunzia, che è condizione necessaria dell'azione, incombe al committente (Cass. civ. n. 14039/2007; n. 6774/2001; n. 8187/2000; n. 10364/1997 e n. 5677/1994). La prova può essere acquisita con ogni mezzo, ma deve portare all'accertamento del giorno in cui è avvenuta la scoperta (Cass. 2206/1966). La forma non è soggetta a requisiti particolari, ben potendo essere anche orale. Nel caso in esame, è documentale che in data 01.04.2019 i vigili del fuoco sono stati chiamati dall'attore e hanno dichiarato inutilizzabile il camino; in data 04.04.2019 (doc. 05 fasc. attore), il signor (...) ha, formalmente segnalato a (...) s.a.s. il problema (anche se è pacifico, in atti, il coinvolgimento della convenuta già da prima); in data 11.04.2019, il consulente tecnico della convenuta ha formalmente confermato i difetti "di posa rispetto la scheda tecnica di prodotto"; il ricorso per ATP è stato proposto dall' attore in data 16.04.2019 e notificato alla convenuta il 13.05.2019. Ancorché, nello specifico, la concreta conoscenza dei vizi e della loro riconducibilità, debba farsi risalire alle risultanze della perizia tecnica anzidetta, il momento della "scoperta" e, quindi, della denuncia va, invece, fatto risalire già con la costituzione nel giudizio ex art. 689 c.p.c. della convenuta, dato che è in questo atto che quest'ultima esterna le responsabilità del terzo, chiedendone il suo coinvolgimento nel procedimento stesso. Il terzo è stato portato a conoscenza dei difetti, però, solo il 26.07.2019, con la notifica dell'atto di chiamata. La denuncia (ai fini della garanzia) è avvenuta, quindi, oltre gli otto (8) giorni dalla c.d. "scoperta". Passando, ora, al merito, non si può non far rilevare che parte attrice, in questo giudizio chieda, richiamato l'esito dell'ATP e invocato l'art. 1453 c.c., il risarcimento del danno e la riparazione del bene. La domanda, così come è stata formulata, deve essere, quindi, qualificata come volta all'adempimento dell'obbligazione. A norma dell'art. 1490 c.c. "Il venditore ... è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all'uso a cui e destinata ...". Il successivo art. 1492 c.c. stabilisce, poi, che: "Nei casi indicati dall'art. 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (1453 ss) ovvero la riduzione del prezzo .... La scelta è irrevocabile quando è fatta con domanda giudiziale ..."; a norma dell'art. 1453 c.c. "Nei contratti a prestazioni corrispettive, quando uno dei due contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento ... o la risoluzione del contratto .... La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio e stato promosso per ottenere l'adempimento, ma non può più chiedersi l'adempimento quando e stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione ...".Quanto alla presenza dei vizi denunciati dall'attore, questo Giudice fa proprie e richiama in maniera integrale le conclusioni a cui è addivenuto il Ctu, con la propria relazione eseguita in sede di ATP e depositata presso la Cancelleria di questo Tribunale, all'esito del procedimento iscritto al RG n. 673/2019, in ragione della completezza delle indagini e della logica esposizione degli esiti. Le risultanze peritali depongono, inequivocabilmente nell'esistenza di vizi determinati da "... difformità tra le indicazioni presenti sulla scheda tecnica/manuale d'installazione e le modalità di installazione del prodotto. L'entrata d'aria comburente (foro nella soletta) e sottodimensionato ... la distanza tra il generatore di calore e l'isolante e di circa cm 2 anziché cm 5 come da manuale ... Entrate d'aria di convezione sottodimensionate rispetto a quelle richieste dalla scheda tecnica (sezione di aria minima 680 cm2 ) ..." (pag. 6 relazione peritale). Le conclusioni rassegnate dal CTU e che questo giudice fa proprie: "... Considerate le motivazioni descritte nella presente relazione, nonché le risposte fornite al Ctp Ing. (...), la Ctu ritiene, che l'Impresa (...) non sia responsabile delle problematiche riscontrate sul generatore di calore installato dalla Ditta (...). La figura dell'installatore (in questo caso la Ditta (...)) esegue l'assemblaggio e la messa a punto dell'impianto termico in tutti i suoi dettagli, curando il controllo finale e la messa in opera dei relativi componenti, secondo le normative vigenti e le specifiche tecniche contenute nella scheda tecnica e nel manuale d'installazione del manufatto. Rientrano nelle sue competenze, il progetto per l'installazione del prodotto nonché l'analisi o gli studi termici. (vedere manuale punto 2.1). Qualora l'installatore non avesse le competenze progettuali, potrebbe avvalersi di un tecnico specializzato nel settore. Non e competenza dell'impresa edile, dimensionare le fonometrie (richieste dalla scheda tecnica) o conoscere altri particolari tecnici legati all'installazione del prodotto. Queste competenze sono a carico dell'Impresa idraulica. Il compito della ditta edile, salvo diverso accordo, e eseguire le opere edili su indicazione dell'impresa installatrice. Le problematiche emerse durante le prove di accensione del generatore di calore sono due: il tiraggio e l'odore di aria surriscaldata, entrambe di natura idraulica. L'Ing. G. nelle sue osservazioni, afferma la dimostrabilità degli errori, senza però, menzionare le possibili cause, o producendo conteggi teorici, che supportino quanto asserito. La Ditta (...), (prima del contenzioso in corso) ha cercato di risolvere le problematiche legate al funzionamento della stufa, procedendo per tentativi. Alla luce di quanto esposto, a parere della scrivente, l'ipotesi transattiva e auspicabile tra La Ditta (...) ed il Sig. (...) ..." evidenziano, poi, l'inidoneità dei lavori d'installazione, come pure le responsabilità "in eligendo" e "in vigilando" della convenuta, in quanto ditta venditrice che ha fornito le schede tecniche e che era preposta al monitoraggio della conformità del lavoro. Con l'acquisizione della perizia anzidetta, l'attore ha, così, assolto, nel presente giudizio, all'onere probatorio in ordine alla sussistenza dei vizi dedotti a fondamento della domanda. Circa le eccezioni della convenuta, secondo la quale il consulente non avrebbe approfondito - come da quesito - la propria indagine e sarebbe incorso in errori, si osserva che la stessa convenuta non ha fornito, neppure nel presente giudizio, la prova del proprio esatto adempimento, né che l'inadempimento è dipeso da causa ad essa non imputabile, richiedendo l'integrazione della CTU "... stante le eccezioni tecnico - valutativi contenute nella comparsa di costituzione ..." (pag. 1 mem. n. 2 convenuta). In tema di riparto dell'onere della prova è consolidato il principio secondo cui il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento ovvero dall'impossibilità di adempiere per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.; cfr ex multis Cass. S.U., Sentenza, 30.10.2001, n. 13533; Cass. Sez. I, Sentenza 26.01.2007, n. 1743; Cass. Sez. II, Sentenza 19.04.2007, n. 9351). Nel caso di specie, parte convenuta, pur avendo allegato di aver ricevuto in un primo tempo richiesta di installazione, ha solo riferito che, poi, la stessa si sarebbe affidata alla ditta individuale, residuando, a carico della convenuta, solo l'opera di montaggio del camino, senza allegare, né dedurre, prova univoca di quanto affermato. Ebbene, considerato l'onere della convenuta di fornire un prodotto finito, esente da vizi e tenuto conto della sua qualifica professionale, non vi è dubbio che spettasse ad essa l'individuazione delle modalità tecniche per il corretto montaggio del camino. Nello specifico, il fatto che il terzo abbia operato (con opere edili) al posizionamento (ove era presente un precedente camino), non esclude che spettasse alla convenuta la verifica circa la correttezza dell'intervento edile ed eventualmente la manifestazione di riserve di ordine tecnico, che non è stato dimostrato siano state formulate in corso d'opera, né risultano dalla capitolazione articolata. In base a quanto già detto, sussistono, pertanto, i presupposti per l'accoglimento della domanda dell'attore afferente la riparazione, con conseguente condanna della convenuta al ripristino, senza spese a carico del signor (...), della conformità del bene. L'esatta descrizione dei lavori di sistemazione è esposta nella relazione del Ctu che si richiamano e che costituiscono parte integrante della presente sentenza. La domanda risarcitoria non può essere, invece, accolta. Si deve ricordare che detta domanda, nella formulazione dell'art. 1453 c.c. ha una funzione spiccatamente complementare/integrativa, volta, cioè, alla compensazione dei pregiudizi che residuano, una volta operata la scelta, da parte creditrice, tra le due azioni esperibili richiamata dalla norma stessa. Nel caso in esame, è documentale che parte attrice non ha fornito alcun elemento a supporto né dei maggiori costi sostenuti, in rapporto tra le spese di riscaldamento a gas metano (di cui alle fatture prodotte) rispetto (anche solo potenziale) al consumo dei pallet, in termini quantitativi, né con riferimento al "disagio" e lo "stress" patiti. I lamentati danni non sono stati oggetto di alcuna capitolazione, nelle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c.. Passando ora alla domanda riconvenzionale della convenuta, stante l'inadempimento anzidetto, la pretesa azionata va rigettata, tenuto conto che è riferita proprio alla fine dei lavori di canalizzazione e di realizzazione del nuovo camino che, allo stato, non risulta essere stato eseguito come dovuto. Quanto alla domanda riconvenzionale del terzo chiamato, si deve ricordare che la fattura, nel caso in esame poi, di fatto, una pro-forma, non costituisce un'idonea prova dell'ammontare del credito, trattandosi di documento che proviene dalla stessa parte che ne chiede il pagamento. Allo stesso tempo, non costituisce prova del credito anche la contabilità (oraria) redatta dal prestatore d'opera, salvo che essa non risulti portata (entro un ragionevole lasso di tempo) a conoscenza del committente e da questi accettata, senza riserve, pur senza necessità, per la sua accettazione, di formule sacramentali. Con riferimento al doc. 07, ovvero la distinta delle opere edili (fasc. terzo chiamato) e della successiva pro-forma, datata 31.05.2018 (doc. 08 fasc. terzo chiamato), per l'importo di Euro 3.732,00, nessuna prova di trasmissione al convenuto e/o sua conoscenza preventiva da parte dello stesso, rispetto alla sua allegazione nel presente giudizio, è stata fornita. I capitoli di prova articolati al riguardo, con le memorie ex art. 183 c.p.c., sono stati incentrati solo sulla conferma dell'ammontare del credito, ma non sui criteri di sua quantificazione (cfr. memoria n. 2 cap. 09, 10 e 11), né sul contenuto delle intese raggiunte precedentemente con la parte convenuta. Nessuna prova, in ordine al prezzo orario, ma soprattutto senza riferimenti al momento e alle modalità di inoltro della documentazione stessa (considerando anche la genericità del capitolo di prova articolato) prima della costituzione in giudizio del terzo, è stata offerta. L'onere di specifica e tempestiva allegazione dei fatti costitutivi delle pretese giudiziali comporta, secondo i principi generali, che l'attività processuale delle parti si strutturi in allegazione del fatto, affermazione (o invocazione) dei suoi effetti giuridici e prova del medesimo (fatto allegato) ovvero, sotto altro profilo, in disponibilità dell'oggetto, degli effetti (ove non automatici) e delle prove. Quanto detto deve essere, poi, coordinato con il principio dettato dall'art. 115 c.p.c., nel senso che il giudice deve ignorare quanto le parti non hanno allegato e provato (Cass. n. 7878/2000). Con le allegazioni, le parti individuano i fatti rilevanti, prospettandone un'ipotesi ricostruttiva ritenuta funzionale alla pretesa fatta valere in giudizio, mentre con le domande - o con le eccezioni - le parti postulano gli effetti giuridici che assumono siano previsti dalla legge per i fatti allegati. Infine, con le richieste e le deduzioni probatorie le medesime parti tendono a verificare le ipotesi ricostruttive formulate, adoperandosi per dimostrare l'attendibilità, vale a dire la veridicità, delle affermazioni in ordine ai fatti allegati. Il potere d'ufficio del giudice attiene solo al riconoscimento degli effetti giuridici di fatti allegati dalla parte. Il potere di allegazione è, dunque, riflesso processuale dell'autonomia sostanziale delle parti, la quale resterebbe vulnerata, ove soggetta all'iniziativa officiosa. La disponibilità della situazione giuridica sostanziale si atteggia, in sede giurisdizionale, come potere delle parti di determinare l'oggetto della lite (Cass. Sez. Unite, n. 761/ 2002). L'attività di allegazione non può dirsi soddisfatta, perciò, con l'affermazione di un fatto generico, restando indispensabile l'indicazione di tutti gli elementi atti ad individuare il fatto specifico che s'intende allegare (Cass. n. 7878/2000; Cass. n. 4392/2000; Cass. n. 7153/2000; Cass. n. 15142/2003). L'assenza di tali elementi di fatto porta inevitabilmente al rigetto della domanda di pagamento azionata nel presente giudizio. Quanto alla domanda volta al pagamento delle spese del procedimento di ATP, si osserva quanto segue. La disciplina in materia di accertamento tecnico preventivo (art. 696 c.p.c.) non contiene alcuna disposizione specifica in ordine al loro regolamento. Non trova spazio la normativa in materia di giudizi cautelari, di cui agli artt. 669 bis e ss. c.p.c. stante il disposto dell'art. 669 quaterdecies c.p.c. che riconduce all'ambito di applicazione delle disposizioni sul rito cautelare esclusivamente i procedimenti di cui alle sezioni II, III e V e non della sezione IV del capo III del libro IV del c.p.c., inerente i procedimenti di istruzione preventiva, a cui appartiene quello per ATP. Stante la mancanza di una disciplina specifica trova, pertanto, applicazione quella generale in materia di spese processuali, di cui agli artt. 91 e ss. c.p.c. Caratteristiche proprie del procedimento di accertamento tecnico preventivo ex artt. 696 e ss. c.p.c. è principalmente il fatto che questo si conclude con il deposito della relazione di consulenza tecnica e al suo esito segue la liquidazione del compenso al consulente nominato dal Giudice, senza che possa essere adottato alcun altro provvedimento relativo al regolamento delle spese tra le parti (si tratta di principio consolidato in giurisprudenza. V. tra tutte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21888 del 19.11.2004; conformi: Cass. Sent. n. 15672/05; n. 1690/00). Ne consegue che, ferma restando la liquidazione delle spese di Ctu, a carico del richiedente, con provvedimento del Giudice che ha disposto la consulenza, le ulteriori spese di lite devono essere liquidate nel successivo giudizio di merito, cui l'istruzione preventiva è collegata, con conseguente condanna del soccombente al loro pagamento, ovvero con compensazione totale o parziale tra le parti del giudizio. Rispetto alla quantificazione, si evidenzia che non sussiste un diritto al rimborso totale delle spese sostenute per il giudizio, essendo la liquidazione un'operazione rimessa al Giudice, che vi provvede in applicazione dei criteri di legge, senza che ciò incida rispetto al diverso piano del rapporto contrattuale tra la parte e il legale ed eventualmente il consulente di parte. Tenuto conto del valore indeterminato della causa, dell'oggetto, della durata e del grado di difficoltà della stessa, sono, quindi, liquidate le competenze del difensore di parte attrice, con riferimento al procedimento di TP, in misura pari a Euro 1.500,00, oltre esborsi documentati, spese generali al 15% e accessori, come per legge, secondo i dettati dal D.M. n. 55 del 2014, come integrato dal D.M. n. 37 del 2018 e tenuto conto del valore della controversia. Nei riguardi del terzo chiamato, la domanda deve essere, invece, respinta atteso che il Ctu ha, comunque, evidenziato che il difetto nell'istallazione è originata anche da errori da ricondurre all'opera dell'impresa edile, non adeguatamente controllata e diretta dalla convenuta, vista la diversa competenza e ruolo da quest'ultima rivestito. Le spese di lite del presente giudizio seguono, invece, la soccombenza e vengono liquidate, in favore dell'attore, come da dispositivo, in applicazione del decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10 marzo 2014 come integrato dal D.M. n. 37 del 2018. La quantificazione è al valore medio per le fasi studio e introduttiva e al valore minimo per le fasi istruttoria e decisionale, dello scaglione compreso, compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00. Con riferimento alla posizione del terzo chiamato, stante il rigetto delle domande da questi formulate, tra terzo e convenuto, sono integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale di Verbania, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta all'RG. n.1110/2020, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattesa, così decide: 1. condanna, (...) s.a.s. di (...), all'immediata esecuzione, in favore di (...), dei lavori di ripristino descritti in parte motiva ed esposti nella relazione del Ctu, eseguita in sede di ATP (RG. n. 673/2019) e depositata presso la Cancelleria del Tribunale di Verbania; 2. rigetta ogni altra diversa domanda di parte attrice, della convenuta e del terzo chiamato, per le ragioni esposte in motivazione; 3. condanna (...) s.a.s. di (...) al pagamento, in favore del signor (...), delle spese legali del procedimento di ATP, che si liquidano in Euro 1.500,00 per onorari, oltre esborsi documentati, spese generali in misura pari al 15% e accessori, come per legge; 4. condanna (...) s.a.s. di (...) al rimborso, in favore del signor (...), dell'importo del compenso liquidato al Ctu (procedimento RG. 673/2019, Tribunale di Verbania), come da decreto del 11.03.2020, pari ad Euro 2.495,00 oltre accessori, come per legge; 5. condanna (...) s.a.s. di (...), al pagamento, in favore del signor (...), a titolo di spese legali, per il presente giudizio, dell'importo di Euro 3.545,00 oltre esborsi documentati, 15 % spese generali e accessori, come per legge; 6. compensa, tra (...) s.a.s. di (...) e la ditta individuale (...), le spese del presente giudizio. Così deciso in Verbania il 30 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 30 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERBANIA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice dr.ssa Rachele Olivero, ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile NRG 1180/2020 promossa da: (...) (Cf. (...)) e (...) (Cf. (...)), in proprio e in qualità di eredi di (...) (Cf. (...)), elettivamente domiciliati in (...) (VB), via (...), presso lo studio dell'avv. Al.Ma. (...), che li rappresenta e difende per delega in atti; attori; contro (...) (Cf. (...)), elettivamente domiciliato in Cosenza, Viale (...), presso lo studio dell'avv. Al.Am. (...), che lo rappresenta e difende per delega in atti; e contro (...) S.p.A. (Cf. (...); P.Iva (...)), elettivamente domiciliata in Verbania, Via (...), presso lo studio dell'avv. An.Ro.; rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ma. (...) per delega in atti; convenuti. Oggetto: risarcimento del danno ex artt. 2043, 2049 Cc e art. 31c. 3 Dlgs 58/1998. MOTIVAZIONE 1. La causa ha ad oggetto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza delle condotte illecite poste in essere da (...), in qualità di dipendente della (...) Spa, dal 2011 al 2019. Più precisamente, a sostegno della domanda risarcitoria, gli attori hanno allegato: - di essere "una modesta famiglia operaia, che vive in un paesino, Quarna Sopra, di n. 393 abitanti, sulle alture di (...)" e di aver sempre cercato di collocare i propri risparmi "in polizze assicurative sicure, che garantissero interessi certi", affidandosi, a partire dagli anni 80, solo ed esclusivamente alla Compagnia assicurativa convenuta - Agenzia di (...), la quale "autorizzava i propri dipendenti a raggiungere la famiglia (...)-(...) fuori dalla sede dell'Agenzia, al ... domicilio in (...) ... dove venivano effettuate dai dipendenti di (...) S.p.A. tutte le offerte di vendita di polizze assicurative vita, fondi pensione o di investimento, stipulati i contratti, ed effettuati i pagamenti" (cfr. cit. p. 1, 2); - di essere stati seguiti, a partire dal 2001 circa, da (...), dipendente della (...) Spa - Agenzia di (...), "addetto alla Organizzazione Produttiva ed alla Produzione", avente il compito di proporre i prodotti assicurativi della Compagnia (cfr. doc. 3 fasc. att.); - che (...) veniva autorizzato dalla Compagnia a recarsi fuori dall'Agenzia di (...), in particolare presso il domicilio della famiglia (...)-(...) in (...), ove proponeva i prodotti assicurativi ed incassava i relativi premi tramite assegni che diceva di non intestare poiché avrebbe provveduto lui a farlo apponendo il timbro della (...) S.p.A. una volta tornato in Agenzia; - che "tutto sembrava procedere regolarmente fino al 17.9.2019", quando (...) e (...) venivano convocati presso il Commissariato di Polizia sez. Anticrimine di (...), ove apprendevano con stupore che (...) (con il quale negli anni si era istaurato un "rapporto di totale fiducia') risultava indagato per il reato di truffa continuata ad aggravata ex artt. 81 cpv, 640, 61 n. 7 e n 11 Cp, ai danni di 17 clienti della (...) Spa, tra cui loro; in particolare, gli attori appuravano che parecchi assegni da loro emessi per il pagamento di premi assicurativi e consegnati a (...) erano stati indebitamente incassati dallo stesso, che gli aveva intestati a sé e versati sul proprio conto personale, anziché a favore alla Compagnia (cfr. cit. p. 2, 3); in totale gli assegni erano 27, di cui 16 a firma di (...) (cfr. doc. 4.1-4.10, 5.3-5.5, 5.13, 5.15, 5.16 fasc. att.), 10 a firma di (...) (cfr. doc. 5.6-5.12, 5.14, 5.17, 5.18. fasc. att.) e uno a firma di (...) (cfr. doc. 5.2. fasc. att.); - di aver sporto formali denunce nei confronti di (...) (cfr. doc. 6 e 7 fasc. att.), le quali confluivano nel fascicolo RGNR 1705/2018 aperto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verbania ed attualmente ancora in fase d'indagini; - di aver successivamente richiesto alla (...) S.p.A. copia di tutta la documentazione relativa alle polizze stipulate, con l'elenco dei premi, riscatti e liquidazioni; - che dalla documentazione trasmessa dalla Compagnia, la situazione era la seguente: - a nome di (...) risultavano le seguenti polizze (vere) (cfr. doc. 8 fasc. att.): 1. polizza n. (...) in data 30/06/1988, riscattata il 22/04/2005; 2. polizza n. (...) in data 22/04/2005, riscattata il 15/07/2009; 3. polizza n. (...) in data 8/07/2009 all'8/07/2012; - a nome di (...) risultavano le seguenti polizze (vere) (cfr. doc. 9 fasc. att.): 1. polizza n. (...) - "(...)" - in data 22/05/2006 (cfr. doc. 9.1 fasc. att.); 2. polizza n. (...) - "(...)" - in data 18/02/2011 (cfr. doc. 9.2 fasc. att.); (rispetto a tale polizza l'attrice ha disconosciuto le sottoscrizioni apposte sui riscatti parziali dell'8/03/2012 e del 2/04/2013, sostenendo che le firme, apparentemente a suo nome, sarebbero state falsificate da (...)); 3. polizza n. (...) - "(...)" - in data 16/03/2012 (cfr. doc. 9.3 fasc. att.); (rispetto a tale polizza l'attrice ha disconosciuto le sottoscrizioni apposte sul riscatto totale del 30/09/2016, sostenendo che le 4 firme, apparentemente a suo nome, sarebbero state falsificate da (...)); - a nome di (...) risultavano le seguenti polizze (vere) (cfr. doc. 10 fasc. att.): 1. polizza n. (...) - "(...)" - in data 19/12/2002 (cfr. doc.10.1 fasc. att.); 2. polizza n. (...) - "(...)" - in data 30/05/2006 (cfr. doc.10.2 fasc. att.); 3. polizza n. (...) - "Optimum" - in data 9/03/2011 (cfr. doc.10.3 fasc. att.); (rispetto a tale polizza l'attore ha disconosciuto le sottoscrizioni apposte sui riscatti parziali del 13/04/2012, 19/06/2012, 16/04/2013 e 29/11/2013, sostenendo che le 17 firme, apparentemente a suo nome, sarebbero state falsificate da (...)); 4. polizza n. (...) - "(...)" - in data 15/12/2011 (cfr. doc.10.4 fasc. att.); (rispetto a tale polizza l'attore ha disconosciuto sia le sottoscrizioni apposte sulla documentazione di apertura della polizza (sostenendo che la polizza sarebbe stata aperta da (...), a sua insaputa, falsificando la sua firma), sia le sottoscrizioni apposte sulla documentazione di richiesta di riscatto del 13/03/2017 (sostenendo che le 4 firme, apparentemente a suo nome, sarebbero state falsificate da (...))). Sulla base di tali premesse, gli attori hanno invocato la responsabilità di (...) ex art. 2043 Cc, sostenendo che costui avrebbe perpetrato una vera e propria truffa ai loro danni, continuata e aggravata (ex artt. 81 cpv, 640, 61 n. 7 e n 11 Cp), consistente: - nel far emettere agli attori, presso il loro domicilio, assegni in bianco per il pagamento di premi assicurativi (relativi a polizze vere o fasulle), dicendo loro che avrebbe provveduto ad intestarli alla Compagnia una volta rientrato in Agenzia, apponendo il timbro della (...) Spa, ed invece li intestava a sé e li incassava personalmente, rilasciando anche false quietanze (identiche a quelle della (...) Spa); - nell'aprire una polizza a nome di (...), a sua insaputa, falsificandone la firma (polizza n. (...) - cfr. doc.10.4 fasc. att.), e nel riscattarla, sempre apponendovi firme false; - nel falsificare la firma di (...) in relazione alle succitate richieste di riscatto relative alle polizze n. (...) e n. (...) (cfr. doc. 9.2 e 9.3 fasc. att.); - nel falsificare la firma di (...) in relazione alle succitate richieste di riscatto relative alla polizza n. (...) (cfr. doc.10.3 fasc. att.); - nel rappresentare falsamente agli attori che le somme provenienti dai suddetti riscatti fossero puri interessi maturati sul capitale (e non capitale fraudolentemente riscattato), per poi proporre loro di reinvestire immediatamente le somme ricevute in nuove polizze, facendosi rilasciare assegni (in genere del medesimo importo di quello riscattato, ma che gli attori credevano essere interessi) che poi incassava personalmente, rilasciando false polizze e/o false quietanze; - nel dire falsamente agli attori che essi non ricevevano più i resoconti cartacei della (...) S.p.A. poiché la comunicazione degli stessi avveniva solo on line sul sito della Compagnia, nella consapevolezza che gli attori non avessero internet; - nel consegnare periodicamente agli attori falsi prospetti riepilogativi su carta intestata della (...) S.p.A. (cfr. doc. 11 fasc. att.), al fine di rassicurarli e convincerli a investire ulteriori somme in nuove polizze (false); - nel sostituire periodicamente i documenti della (...) Spa, in possesso degli attori presso il loro domicilio, con documenti falsi. Gli attori hanno altresì invocato la responsabilità solidale della (...) S.p.A. per l'illecito commesso da (...) ex art. 2049 Cc e art. 31 c. 3 Dlgs 58/1998, a norma del quale: "il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal promotore finanziario, anche se tali danno siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale". Al riguardo, gli attori hanno sostenuto che la (...) S.p.A. fosse venuta a conoscenza "che (...) truffava i suoi Clienti già a far tempo dal secondo semestre 2015 e sicuramente dal 18.1.2016, ma nulla fece per impedire che egli continuasse (n.d.r.: in quanto il sig. (...) di Gravellona Toce da un controllo on line delle polizze (...) S.p.A. dei figli (...) e Gabriele Sotto si accorse che due assegni, uno da Euro 1.000,00 in data 14.3.2014 e uno da Euro 5.000,00 in data 15.4.2015 dal medesimo (...) consegnati a (...) per essere versati sulle polizze dei figli, non erano stati versati e non comparivano on line, e si rivolse all'Agente di (...) sig. (...) presso la sede di (...) S.p.A. in (...) via (...) 31, per chiedere spiegazioni dell'ammanco, il quale (...) gli disse poi di aver parlato con (...), il quale aveva riferito di essersi "dimenticato" (!!) di versare gli assegni (???), e successivamente il sig. (...) in data 18.1.2016 si vedeva accreditare i due assegni sulle polizze dei figli, sicché quando il sig. (...) fu anch'egli convocato dalla Polizia di Stato di (...) perché i suoi 2 assegni erano stati trovati sul conto corrente di (...), il sig. (...) disse che però i soldi a lui erano stati restituiti e quindi non sporgeva querela contro (...) perché, per fortuna, non aveva subito danno)" (cfr. cit. p. 10, 11). Ciò posto, gli attori hanno chiesto la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni subiti: - iure hereditatis: patrimoniali (danno emergente e lucro cessante), in qualità di eredi di (...) (marito di (...) e padre di (...)), deceduto il 29/03/2015 (cfr. doc. 2 fasc. att.); - iure proprio: patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e non patrimoniali (morale). Il danno emergente iure hereditario è stato quantificato dagli attori nell'importo di Euro 4.000,00 ( Euro 2.000,00 per ciascun attore) di cui all'assegno n. (...), emesso da (...) in data 4/09/2012 (cfr. doc. 4.2 e 5.1. p. 1 fasc. att.) e donato al marito (...) il quale lo utilizzava per pagare l'"importo rata di perfezionamento" ( Euro 4.000,00) della polizza "Plus 8%" sottoscritta dallo stesso in data 5/09/2012, proposta da (...) e risultata falsa (cfr. doc. 4.2 p. 6 fasc. att.). Al riguardo, gli attori hanno osservato come la sottoscrizione di tale polizza falsa da parte di (...) coincida temporalmente con il riscatto parziale di Euro 4.000,00 effettuato da (...) il 6/09/2012 sulla polizza (vera) n. (...) (cfr. doc. 4.2 p. 12 fasc. att.); in sostanza, "(...) faceva riscattare a (...) Euro 4.000,00 da (...) S.p.A. ... e se li faceva subito ridare con questo assegno di Euro 4.000,00, per la sottoscrizione di nuova polizza falsa intestata a (...)" (cfr. cit. p. 12, 13), assegno che poi incassava personalmente. Il lucro cessante iure hereditario è stato quantificato dagli attori nella misura del 2% rispetto al capitale perduto di Euro 4.000,00, tenuto conto che (...) avrebbe sicuramente impiegato tale capitale per l'acquisto di prodotti assicurativi sicuri tali da garantire un tasso non inferiore al 2%. Il danno emergente iure proprio è stato quantificato da (...) in complessivi Euro 31.800,00, pari alla somma dei seguenti assegni: - assegno n. (...) emesso da (...) in data 18/06/2012, per l'importo di Euro 2.800,00 (cfr. doc. 4.1 fasc. att.), consegnato a (...) "al solo scopo di pagare premi assicurativi" e risultato, invece, intestato ed incassato personalmente dallo stesso (...) (cfr. cit. p. 12); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 2/04/2013 per l'importo di Euro 5.000,00 (cfr. doc. 4.3 p. 1 fasc. att.), per pagare la rata di Euro 5.001,00 della polizza "(...)", proposta da (...) e risultata falsa (cfr. doc. 4.3 p. 3 e ss fasc. att.); al riguardo, l'attrice ha osservato come, in data 2/04/2013 (stesso giorno in cui è stato emesso l'assegno in analisi), (...) avesse parzialmente riscattato la polizza (vera) n. (...) "(...)" di (...), falsificandone la firma; dopodiché la somma riscattata ( Euro 7.003,50), spettante a (...), in parte ( Euro 2.002,50) è stata utilizzata per pagare la rata in scadenza della stessa polizza, mentre della restante parte se ne è appropriato (...) facendo emettere all'attrice l'assegno n. 8232527341 poi dallo stesso incassato; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 22/12/2014 per l'importo di Euro 5.000,00 (cfr. doc. 4.4 p. 1 fasc. att.), contestualmente alla sottoscrizione, da parte della stessa, del fondo pensione "(...)" (il cui importo del primo contributo volontario era Euro 5.000,00), proposto da (...) e risultato falso (cfr. doc. 4.4 p. 2 e ss fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 11/07/2015, per l'importo di Euro 3.000,00 (cfr. doc. 4.5 p. 1 fasc. att.), da collegare alla polizza n. (...) "Generali Premium Plus", sottoscritta dall'attrice in data 30/5/2015 e risultata falsa (cfr. doc. 4.5 p. 2 e ss. fasc. att.); al riguardo, l'attrice ha osservato che, in data 8/07/2015 (pochi giorni prima rispetto all'emissione dell'assegno in parola), la Compagnia aveva liquidato agli odierni attori una polizza vita intestata a (...), mediante due assegni di Euro 4.579,13, a favore di ciascuno; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 17/05/2016, per l'importo di Euro 3.000,00 (cfr. doc. 4.6 p. 1 fasc. att.), quale premio per la polizza "Premium 4%+ 4%", proposta da (...) all'attrice e risultata falsa - così come il certificato assicurativo rilasciato - (cfr. doc. 4.6 p. 2 e ss. fasc. att.); al riguardo, l'attrice ha osservato come, in data 10/05/2016 (pochi giorni prima rispetto all'emissione dell'assegno in parola), (...) avesse fatto riscattare totalmente all'attrice la polizza (vera) n. (...) "(...)" con incasso di Euro 4.905,45 (cfr. doc. 9.2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 7/10/2016 per l'importo di Euro 5.000,00 (cfr. doc. 4.7 p. 1 fasc. att.), due giorni dopo rispetto alla sottoscrizione della polizza "(...)" (avvenuta in data 5/10/2016), indicante quale importo di perfezionamento Euro 5.000,00 (cfr. doc. 4.7 p. 2 e ss. fasc. att.), proposta da (...) e risultata falsa; al riguardo, l'attrice ha osservato come, qualche giorno prima rispetto all'emissione dell'assegno in oggetto, (...) avesse effettuato il riscatto totale della polizza (vera) n. (...) "(...)" di (...), falsificandone la firma; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 18/04/2017 per l'importo di Euro 5.000,00 (cfr. doc. 4.8 p. 1 fasc. att.), credendo di effettuare un "versamento aggiuntivo" sulla polizza "(...)" n. (...)", come da quietanza (falsa) rilasciata da (...), a firma (...) (cfr. doc. 4.8 p. 2, 3 fasc. att.), quando invece (...) aveva già chiuso la citata polizza all'insaputa dell'attrice; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 22/09/2017 per l'importo di Euro 1.000,00 (cfr. doc. 4.9 p. 1 fasc. att.), quale "versamento aggiuntivo al 4%" per la polizza (falsa) n. (...), come da quietanza (falsa) rilasciata fa (...) a firma (...) (cfr. doc. 4.9 p. 2 e ss. fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 10/11/2017 per l'importo di Euro 2.000,00 (cfr. doc. 4.10 p. 1 fasc. att.), quale "versamento aggiuntivo al 4%" per la polizza (falsa) n. (...), come da quietanza (falsa) rilasciata fa (...) a firma (...) (cfr. doc. 4.10 p. 2 e 3 fasc. att.). Il lucro cessante iure proprio è stato quantificato da (...) nella misura del 2% rispetto al capitale perduto di Euro 31.800,00, tenuto conto che ella avrebbe sicuramente impiegato tale capitale per l'acquisto di prodotti assicurativi sicuri tali da garantirle un tasso non inferiore al 2%. Il danno emergente iure proprio è stato quantificato da (...) in complessivi Euro 28.680,90, pari alla somma dei seguenti assegni: - assegno n. (...) emesso da (...) in data 11/12/2012 per l'importo di Euro 790,45 (cfr. doc. 5.2 fasc. att.), donato al figlio (...) il quale lo consegnava a (...) per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 16/04/2013 per l'importo di Euro 2.500,00 (cfr. doc. 5.3 p. 1 fasc. att.), donato al figlio (...) il quale lo consegnava a (...) per il pagamento della rata della polizza (falsa) n. 30062907, come da (falsa) ricevuta di pagamento rilasciata da (...) (cfr. doc. 5.3 p. 2 fasc. att.); al riguardo, l'attore ha osservato come l'assegno in analisi sia stato emesso lo stesso giorno in cui (...) aveva parzialmente riscattato la polizza (vera) "Optimum" n. (...) di (...), falsificandone la firma; in sostanza, "(...) prospettava a (...) Filippo l'incasso della somma di Euro 2.792,95 (derivante dal fraudolento riscatto) da (...) S.p.A. come puri interessi sul capitale delle sue polizze e convinceva il medesimo a fare una nuova polizza altrettanto fruttuosa" (cfr. cit. p. 17); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 6/06/2013 per l'importo di Euro 790,45 (cfr. 5.4 p. 1 fasc. att.), donato al figlio (...) il quale lo consegnava a (...) per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. doc. 5.4 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 4/12/2013 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.5 fasc. att.), donato al figlio (...) il quale lo consegnava a (...) per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 20/03/2014 per l'importo di Euro 4.000,00 (cfr. doc. 5.6 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della polizza "175 Special Bonus-Cliente Premium", proposta da (...) e risultata falsa (cfr. doc. 5.6 p. 2 e ss. fasc. att.); al riguardo, l'attore ha osservato come il 17/03/2014 (tre giorni prima rispetto all'emissione dell'assegno in analisi) (...) avesse fatto compilare a (...) i moduli per la chiusura della polizza (vera) "Optimum" n. (...), con incasso di Euro 3.942,88 a favore di (...) (cfr. doc. 10.3 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 15/06/2014 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.7 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.7 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 5/06/2015 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.8 p. fasc. att.), per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.8 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 2/12/2015 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.9 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.9 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 9/06/2016 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.10 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.10 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 20/12/2016 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.11 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della polizza assicurativa "(...)" n. (...) - vera, ma aperta da (...) all'insaputa di (...), falsificandone la firma - (cfr. doc.10.4 fasc. att.) e, invece, costui lo intestava a sé e incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.11 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 28/03/2017 per l'importo di Euro 4.000,00 (cfr. doc. 5.12 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della polizza "Valore (...)", fatta sottoscrivere a (...) da (...) in data 17/03/2017 e risultata falsa - come il certificato di copertura provvisoria rilasciato dallo stesso (...) (cfr. doc. 5.12 p. 2 fasc. att.)-; al riguardo, l'attore ha osservato come, pochi giorni prima rispetto alla sottoscrizione della polizza falsa "Valore (...)", (...) avesse riscattato la polizza (...)" n. (...) di (...), falsificandone la firma, per poi mostrare a (...) una foto del monitor del proprio pc, ove emergeva che gli erano stati accreditati Euro 3.653,54 (cfr. doc. 5.12 p. 3 fasc. att.), dicendogli che erano interessi e convincendolo così a reinvestirli subito nella citata polizza falsa; - assegno n. (...) emesso da (...) in data 11/07/2017 per l'importo di Euro 800,00 (cfr. doc. 5.13 p. 1 fasc. att.), donato al figlio (...) il quale lo consegnava a (...) per il pagamento della rata della succitata polizza falsa "Valore (...)"; (...) intestava a sé l'assegno e lo incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.13 p. 2 e 3 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 21/12/2017 per l'importo di Euro 1.500,00 (cfr. doc. 5.14 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della succitata polizza falsa "Valore (...)"; (...) intestava a sé l'assegno e lo incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.14 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 15/06/2018 per l'importo di Euro 1.500,00 (cfr. doc. 5.15 p. 1 fasc. att.), donato al figlio (...) il quale lo consegnava a (...) per il pagamento della rata della succitata polizza falsa "Valore (...)"; (...) intestava a sé l'assegno e lo incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.15 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 30/07/2018 per l'importo di Euro 5.000,00 (cfr. doc. 5.16 p. 1 fasc. att.), donato al figlio (...) per il pagamento del premio di ingresso della polizza "Valore bimbo total" n. (...) (sottoscritta da (...) in pari data), proposta da (...) quale investimento per il piccolo Joseph (figlio di (...), indicato quale beneficiario in caso vita al compimento della maggiore età) e risultata falsa (cfr. doc. 5.16 p. 3 e ss. fasc. att.); (...) intestava a sé l'assegno e lo incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.16 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 28/12/2018 per l'importo di Euro 1.500,00 (cfr. doc. 5.17 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della succitata polizza falsa "Valore (...)"; (...) intestava a sé l'assegno e lo incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.17 p. 2 fasc. att.); - assegno n. (...) emesso da (...) in data 10/06/2019 per l'importo di Euro 1.500,00 (cfr. doc. 5.18 p. 1 fasc. att.), per il pagamento della rata della succitata polizza falsa "Valore (...)"; (...) intestava a sé l'assegno e lo incassava personalmente, rilasciando ricevuta falsa, identica a quelle in uso alla (...) S.p.A. (cfr. 5.18 p. 2 fasc. att.). Il lucro cessante iure proprio è stato quantificato da (...) nella misura del 2% rispetto al capitale perduto di Euro 31.800,00, tenuto conto che egli avrebbe sicuramente impiegato tale capitale per l'acquisto di prodotti assicurativi sicuri tali da garantirle un tasso non inferiore al 2%. Infine, a titolo di danno non patrimoniale, gli attori hanno chiesto il risarcimento del danno morale, "inteso quale sofferenza cagionata dal reato, in termini di patimenti, stress, depressione, vergogna ed umiliazione" (cfr. cit. p. 24), quantificandolo nella somma di Euro 5.000,00 ciascuno "o di quella somma maggiore o minore che l'Ill.mo Tribunale adito riterrà di giustizia" (cfr. cit. p. 32). Sul punto, gli attori hanno allegato di aver patito una significativa sofferenza, umiliazione e vergogna nello scoprire di essere stati vittime di una truffa da parte di una persona in cui avevano riposto massima fiducia, per lungo periodo di tempo ed oltretutto in una fase delicata della loro vita, essendo entrambi impegnati, a partire dal 2013 e fino al 2015, nelle cure di (...), affetto da 3 tumori alla gola ed alla tiroide (cfr. cit. p. 16, 22, 31); "la sofferenza si aggrava per loro ulteriormente se si aggiunge che (...) S.p.A. alla quale gli attori hanno affidato la gestione dei propri risparmi dagli anni 80 come unica e sola compagnia assicurativa ritenuta solida ed affidabile e sulla quale avevano riposto la loro massima fiducia e dalla quale ora si aspettavano un atteggiamento leale e di massima collaborazione, ora non li vuole risarcire, ed anzi li tratta in maniera ostile e li ostacola nell'accertamento dei fatti occorsi con comportamenti conniventi con (...)!" (cfr. cit. p. 32). Si è costituito (...) eccependo preliminarmente: - la nullità della citazione introduttiva ex art. 164, c. 4 Cpc in relazione ai requisiti di cui all'art. 163 c. 3, n. 3 e 4 Cpc, sul presupposto che la domanda attorea sarebbe "assolutamente generica ... non essendo chiari i fatti denunciati ... né il nesso di causa; né, infine, il danno (se) patito" (cfr. comp. risp. (...) p. 4); - l'intervenuta prescrizione della domanda risarcitoria in relazione ai fatti ascrivibili al periodo anteriore al 16/09/2015 (cinque anni prima rispetto alla notifica della citazione). Nel merito, il convenuto - premesso di essere stato alle dipendenze della (...) S.p.A. dal 2004 al maggio 2017 - ha negato qualsivoglia responsabilità, osservando: - che l'affermazione delle controparti secondo cui sarebbero state costrette a lasciare gli assegni in bianco sarebbe "non veritiera e indimostrata", sicché mancherebbe "la prova di qualunque artificio o raggiro" (cfr. comp. risp. (...) p. 7); - che le polizze indicate da controparte e prodotte sarebbero "del tutto vere" (cfr. comp. risp. (...) p. 9, 10), così come vere sarebbero le relative sottoscrizioni degli attori-contraenti, non avendo mai (...) falsificato le firme di apertura delle polizze né quelle relative alle richieste di riscatto; a fronte del disconoscimento di talune sottoscrizioni da parte degli attori, il convenuto ha proposto istanza di verificazione ex art. 216 Cpc al fine di dimostrarne l'autenticità; - che gli attori non avrebbero provato il danno subito, stante la veridicità dei contratti assicurativi di cui gli stessi avrebbero beneficiato; - che "appare inverosimile, che gli attori, non fossero "avvezzi" ai prodotti e non ne seguissero l'andamento, considerata, la loro dichiarata propensione all'investimento pluritrentennale ed anche la natura dei prodotti acquistati equivalenti ad investimenti, oltre che polizze assicurative e fondi pensione" (cfr. comp. risp. (...) p. 6); - che sarebbe altrettanto inverosimile che gli attori, "pur ricevendo le polizze dal Sig. (...) "nuove" provvedessero a "strappare quelle precedenti", fermo il fatto che mai il convenuto ha riferito agli attori di strappare le copie delle polizze; tanto che sono stati in grado di produrle" (cfr. comp. risp. (...) p. 6). Si è costituita la (...) Spa: - confermando le condotte illecite poste in essere da (...), dipendente della (...) S.p.A. dal 6/09/2004 al 10/05/2017, consistenti nell'"appropriazione dei premi pagati per polizze assicurative - mai versati alla Compagnia convenuta - da parte dei Clienti dell'Agenzia, simulando circostanze e contratti in realtà mai accadute e/o stipulati, e nell'apposizione delle firme nei contratti e/o polizze proposte al posto dei suoi clienti"; - ed affermando di essere venuta a conoscenza di tali fatti "solamente nel corso ... dell'anno 2019, a seguito delle richieste dei clienti pervenute alla convenuta a seguito dell'indagine" avviata dalla Polizia Sez. Anticrimine di (...), richieste a seguito delle quali "ha avviato un accertamento interno tramite l'Unità Antifrode" (cfr. cit. p. 4). In particolare, rispetto alla posizione di (...), la (...) S.p.A. ha affermato che gli assegni di cui la stessa ha chiesto il rimborso, a titolo di danno emergente, sono stati emessi con riferimento "sia alle polizze effettivamente in essere con la (...) (polizza n. (...), n. (...), n. (...) e n. (...)) sia a quella falsamente predisposta dal sig. (...) (polizza n. (...)) (doc. 2)" (cfr. comp. risp. (...) S.p.A. p. 7) e non sono mai stati contabilizzati in alcuna polizza. A titolo transattivo, prima dell'instaurazione della presente causa, la (...) S.p.A. ha proposto a (...) la restituzione dell'importo di Euro 15.000,00 omnia, ma la proposta è stata rifiutata. Rispetto alla pozione di (...), la (...) S.p.A. ha affermato che gli assegni di cui lo stesso ha chiesto il rimborso, a titolo di danno emergente, sono stati emessi con riferimento "sia alle polizze effettivamente in essere con la (...) (polizza n. (...), n. (...), n. (...) e n. (...)) sia a quella falsamente predisposta dal sig. (...) (polizza n. (...)) (doc. 5)" (cfr. comp. risp. (...) S.p.A. p. 9) e non sono mai stati contabilizzati in alcuna polizza. A titolo transattivo, prima dell'instaurazione della presente causa, la (...) S.p.A. ha proposto a (...) la restituzione dell'importo di Euro 18.750,00 omnia, ma la proposta è stata rifiutata. Ciò premesso, la (...) S.p.A. ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, ritenendosi assolutamente estranea alla vicenda, avendo (...) operato in modo del tutto arbitrario e autonomo rispetto alla società datrice di lavoro. Nel merito, la convenuta ha chiesto il rigetto delle domande risarcitorie proposte nei suoi confronti ex art. 2049 Cc ed ex art. 31 c. 3 Dlgs 58/1998, evidenziando: - da un lato, la sussistenza di plurime anomalie caratterizzanti l'attività di intermediazione svolta da (...), svoltasi fuori dal posto di lavoro (senza autorizzazione della Compagnia) e senza coinvolgimento dei sistemi informatici aziendali, sicché la (...) S.p.A. non aveva modo di venire a conoscenza degli illeciti; - dall'altro lato, l'incauta condotta degli attori-investitori (da valutarsi ex art. 1227 Cc), tenuto anche conto che nella modulistica contrattuale vi era una specifica informativa sugli obblighi del personale dipendente di (...) S.p.A. nei confronti dei clienti (cfr. doc. 3 p. 2 fasc. att.). Quanto ai danni, la convenuta ha contestato la richiesta risarcitoria attorea rispetto al lucro cessato e al danno morale. Infine, la (...) S.p.A. ha formulato domanda riconvenzionale trasversale nei confronti dell'ex dipendente (...) (co-convenuto), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati alla Compagnia (datrice di lavoro) pari a: - Euro 63.690,00 a titolo di danno patrimoniale, per il mancato incasso, da parte della Compagnia, dei 27 assegni di cui è causa; - Euro 10.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, per la lesione all'immagine e alla reputazione della (...) Spa. In sede di prima udienza, svoltasi mediante trattazione scritta, (...) ha precisato che "non solo (...), al tempo autorizzava i propri dipendenti a recarsi presso i clienti per la sottoscrizione dei contratti assicurativi, quanto la stessa, e, comunque, il referente datoriale del Sig. (...), era pienamente a conoscenza delle problematiche in essere, tanto che in data 7/03/18 veniva rappresentato all'odierno convenuto l'iter da seguire per potere far si che, a fronte di una eventuale (e da dimostrare) richiesta risarcitoria da parte dei contraenti, si sarebbero offerte le somme, già di pertinenza del sig. (...). A tal fine, veniva richiesto allo stesso il rilascio di autorizzazione al pagamento in favore di terzi, avendo il sig. (...) lasciato a (...) la somma maturata a titolo di TFR affinché procedesse ad disporre della stessa nei termini convenuti (doc.2)" (cfr. note scritte conv. (...) del 7/01/2021 ). Con ordinanza in data 18/06/2021, questo Giudice ha chiesto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verbania di fornire informazioni scritte sullo stato del procedimento RGNR 1705/2018 a carico di (...), il quale è risultato pendente in fase di indagini (cfr. provvedimento del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania, dr.ssa Laura Carrera, in data 15/09/2021). Con la medesima ordinanza, il Giudice, accogliendo l'istanza ex art. 210 Cpc formulata da parte attrice, ha ordinato alla (...) S.p.A. di depositare il dossier contenente le risultanze dell'indagine interna svolta sul dipendente (...), tenuto conto che la stessa convenuta, in comparsa di risposta, aveva dichiarato di aver "avviato accertamento interno tramite l'Unità Antifrode" (cfr. comp. risp. (...) S.p.A. p. 4). In data 15/07/2022, la (...) S.p.A. ha depositato "il dossier contenente le risultanze dell'indagine interna svolta sul dipendente (...) tramite l'unità antifrode" (cfr. nota di deposito (...) S.p.A. 15/07/2022), consistente in realtà in un mero riepilogo delle posizioni delle parti in causa. L'istanza di verificazione formulata dal convenuto (...) in relazione alle sottoscrizioni disconosciute dagli attori (sottoscrizione di (...) apposta sui riscatti parziali dell'8/03/2012 e del 2/04/2013 relativi alla polizza "(...)" n. (...) nonché sul riscatto totale del 30/09/2016 in relazione alla polizza "(...)" n. (...) e sottoscrizione di (...) apposta sui riscatti parziali del 13/04/2012, 19/06/2012, 16/04/2013 e 29/11/2013 relativi alla polizza "Optimum" n. (...) nonché sulla documentazione di apertura e di riscatto della polizza "(...)" n. (...)) non è stata accolta, stante l'irrilevanza della veridicità o meno di tali sottoscrizioni ai fini della decisione. Per la medesima ragione non sono state ammesse le prove orali articolate dalle parti. La causa viene, dunque, decisa sulla base delle produzioni documentali delle parti e tenuto conto delle circostanze incontestate (art. 115 Cpc). 2. L'eccezione di nullità della citazione sollevata da (...). 2.1. In punto di diritto va premesso che l'art. 164 c. 4 Cpc stabilisce che la citazione è nulla "se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3 dell'articolo 163 ovvero se manca l'esposizione dei fatti di cui al numero 4 dello stesso articolo" - cd. vizi dell'edictio actionis. Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che la nullità ex art. 164 c. 4 Cpc si produce solo quando risulti "assolutamente" incerto l'oggetto della domanda, oppure manchi l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda, il che postula una valutazione da compiersi caso per caso, tenuto conto che l'identificazione dell'oggetto e delle ragioni della domanda va operata avendo riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e nei documenti allegati (cfr. Cass. 14071/2016; Cass. 11751/2013). 2.2. Ebbene, nel caso di specie, ritiene il Tribunale che l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda, anche alla luce della documentazione prodotta, non sia assolutamente incerta, avendo parte attrice puntualmente contestato ai convenuti i fatti illeciti costituenti le ragioni della domanda risarcitoria, consentendoli di esercitare a pieno il loro diritto di difesa. L'eccezione di nullità ex art. 164 c. 4 Cpc va pertanto rigettata. 3. L'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla (...) Spa. 3.1. In punto di diritto, si osserva che la legitimatio ad causam, in quanto condizione dell'azione (il cui difetto impedisce la trattazione ed il giudizio sul merito), sorge dalla correlazione configurabile tra i soggetti ed il rapporto giuridico dedotto nella domanda, in base alla quale si identificano le parti fra le quali può essere ammessa la statuizione del Giudice, pervenendosi a riconoscerla per il solo fatto dell'affermazione della titolarità del rapporto sostanziale. Ne deriva che non riguardano la legittimazione, bensì il merito, tutte le questioni che attengono all'effettiva titolarità del rapporto sostanziale. In altri termini, la legittimazione (attiva e passiva) si determina non in base alla effettiva titolarità del rapporto, che è questione di merito, ma in base alla prospettazione data dall'attore e consiste precisamente nella corrispondenza tra colui nei cui confronti è chiesta la tutela e colui in capo al quale si afferma l'esistenza del dovere asseritamente violato. In particolare, quando viene proposta un'azione risarcitoria, la legittimazione ad agire spetta a colui che si afferma danneggiato e la legittimazione passiva a colui che viene individuato quale responsabile (diretto o indiretto) dell'illecito. 3.2. Così inquadrati i termini della questione è del tutto evidente che, nel caso di specie, sulla base delle allegazioni attoree, la legittimazione passiva della (...) S.p.A. deve ritenersi sussistente. A ben vedere, infatti, le eccezioni sollevate attengono non alla legittimazione passiva bensì alla titolarità passiva, che è questione di merito e in quest'ottica verrà vagliata (cfr. punto 5). 4. La responsabilità di (...). 4.1. In punto di diritto, va osservato che, poiché possa configurarsi responsabilità aquiliana, l'art. 2043 Cc richiede la presenza necessaria dei seguenti presupposti: la condotta umana (azione o omissione), il danno ingiusto (pregiudizio all'altrui sfera giuridica consistente nella lesione di un interesse giuridicamente rilevante), il nesso di causalità tra il fatto e il danno (cioè tra la condotta e l'evento lesivo, cd. causalità materiale), la colpevolezza dell'agente (dolo o colpa). Chi agisce contro il danneggiante ex art. 2043 Cc deve "provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" (cfr. art. 2697 Cc), cioè i suesposti elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale. Resta fermo il principio di non contestazione di cui all'art. 115 Cpc, in forza del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita: il convenuto costituito, infatti, è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta non li abbia contestati o si sia limitata a una contestazione generica. 4.2. Nel caso di specie, il Tribunale ritiene che le risultanze istruttorie offrano sufficienti elementi per l'accertamento della responsabilità aquiliana di (...). In particolare, il fatto che gli attori abbiano consegnato a (...), in qualità di dipendente della (...) Spa, i 27 assegni di cui è causa (per un ammontare complessivo di Euro 64.480,90), per il pagamento di premi assicurativi, e che costui li abbia, invece, incassati sul proprio conto personale è pacifico in causa, tenuto conto che: - tutti gli assegni prodotti risultano intestati a (...) e girati a suo favore; sul retro di ciascun assegno, infatti, sotto la dicitura "girate non trasferibile", vi è sempre la firma "(...)", da considerarsi riconosciuta ex art. 215 c. 1 n. 2 Cpc non essendo intervenuto alcun disconoscimento nella presente causa; - (...) non ha contestato di aver incassato i citati assegni sul proprio conto personale né ha contestato che gli assegni gli fossero stati consegnati per il pagamento di premi assicurativi, essendosi limitato a negare di aver indotto/costretto gli attori, con artifizi e raggiri, a non intestare gli assegni (senza tuttavia spiegare per quale ragione gli attori avrebbero scelto di non intestare gli assegni ovvero di intestarli volontariamente a (...) piuttosto che alla (...) Spa, a cui intendevano pacificamente pagare i premi); la distrazione da parte di (...) degli assegni di cui è causa deve, pertanto, ritenersi provata ex art. 115 Cpc; inoltre, anche la (...) S.p.A. ha confermato che le somme di cui ai 27 assegni di cui è causa "non sono mai state contabilizzate in nessuna polizza" (cfr. comp. risp. (...) S.p.A. p. 7 e 9); - conseguentemente, deve ritenersi provata anche la falsità di tutte le quietanze, recanti il logo della (...) Spa, consegnate da (...) agli attori al momento della ricezione dei citati assegni, in quanto attestanti pagamenti in favore della Compagnia, in realtà indebitamente trattenuti da (...). Può, dunque, affermarsi che la condotta di (...) - consistente nella distrazione dei citati 27 assegni (emessi e consegnati a (...) per il pagamento di polizze, ma incassati dallo stesso personalmente) - sia stata la causa dell'evento dannoso patito dagli attori, consistente nella perdita e nel mancato investimento delle somme di cui ai 27 assegni di cui è causa. In ordine all'elemento soggettivo, è sufficiente osservare che (...), dinanzi alla contestazione degli attori, che lo hanno accusato di aver dolosamente incassato i 27 assegni al fine di trarvi un ingiusto profitto, ha omesso di fornire qualsivoglia spiegazione alternativa in ordine al motivo per cui avrebbe incassato gli assegni (pacificamente emessi per il pagamento di polizze assicurative) sul proprio personale conto, anziché su quello della Compagnia. Può, dunque, ritenersi accertata la responsabilità extracontrattuale di (...) per aver cagionato dolosamente agli attori un danno ingiunto (con conseguente ingiusto profitto per sé). 5. La responsabilità della (...) Spa. Gli attori hanno invocato la responsabilità solidale della (...) S.p.A. ex art. 2049 Cc ed ex art. 31 c. 3 Dlgs 58/1998. 5.1. In punto di diritto, va premesso che l'art. 2049 Cc configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del preponente per i fatti illeciti posti in essere dai preposti "nell'esercizio delle incombenze alle quali sono adibiti", indipendentemente dal comportamento colposo o meno del preponente nella scelta o nella sorveglianza dei preposti; in altri termini, il preponente servendosi di altri per lo svolgimento della propria attività d'impresa, si vede imputati, secondo il canone cuius commoda eius et incommoda, i danni che derivino a terzi. In particolare, i presupposti a cui l'art. 2049 Cc collega la responsabilità dei preponenti sono due: - il rapporto di preposizione, anche temporaneo o occasionale, purché caratterizzato, in fatto, da una manifestazione di volontà del dominus, che incarichi altri di svolgere una determinata attività nel proprio interesse; - il fatto che l'illecito del preponente possa dirsi compiuto "nell'esercizio delle incombenze" a cui lo stesso è adibito; al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che non occorre che tra le mansioni espletate e il fatto dannoso ricorra un rigoroso rapporto di causa-effetto, essendo sufficiente un nesso di "occasionalità necessaria": basta cioè che le mansioni espletate dal preposto abbiano reso possibile, o comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno, e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, trasgredendo gli ordini ricevuti e/o agendo con dolo nel proprio esclusivo interesse (ancorché tale comportamento costituisca reato), purché sempre nell'ambito delle sue mansioni, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di preposizione (cfr. Cass. 15020/2014; Cass. 7634/2012; Cass. 8926/2009; Cass. 9764/2005; Cass. 89/2002; Cass. 6670/2001). La disposizione di cui all'art. 31 Dlgs 58/1998, "appartenente alla medesima area concettuale" dell'art. 2049 Cc (cfr. Cass. 1741/2011 che richiama Cass. 17393/2009), nel porre a carico dell'intermediario la responsabilità solidale per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori, "trova la sua ragion d'essere, per un verso, nel fatto che l'agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l'intermediario si avvale nell'organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l'antica regola per cui ubi commoda et eius incommoda; per altro verso, e in termini più specifici, nell'esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall'intermediario per il tramite del promotore, giacché appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata" (cfr. Cass. 5020/2014 che richiama, fra le altre, Cass. 8229/2006; conforme anche Cass. 1741/2011; circa la responsabilità per 'rischio di impresa' si veda anche Cass. 12448/2012). In tale contesto, la Suprema Corte ha chiarito che non è dirimente la circostanza in sé che le somme di denaro siano consegnate con modalità difformi rispetto a quelle che il promotore è legittimato a ricevere, in quanto la prescrizione contenuta nell'art. 5 c. 8 L. 1/1991 e nel regolamento Consob 5388/1991 (che prescrive pagamenti mediante titoli di credito non trasferibili intestati all'intermediario o a lui girati dal cliente) è posta a tutela del risparmiatore; pertanto, "la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe legittimato a riceverle non vale, in caso d'indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività del promotore finanziario e la consumazione dell'illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità d'invocare la responsabilità solidale dell'intermediario preponente; né un tal fatto può essere addotto dall'intermediario come concausa del danno subito dall'investitore in conseguenza dell'illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l'ammontare del risarcimento dovuto, perché la richiamata normativa è destinata a tutelare gli interessi del risparmiatore e non può essere quindi interpretata nel senso che da essa derivi un onere di diligenza a carico del medesimo, la cui violazione gli sia addebitabile a titolo di colpa concorrente o esclusiva" (cfr. Cass. 8236/2012 che richiama in senso conforme Cass. 8229/2006 e Cass. 17393/2009; conformi anche Cass. 1741/2011, Cass. 10645/2014 e Cass. 4037/2016). A una diversa conclusione è dato pervenire soltanto qualora emerga la prova della collusione, o quantomeno della fattiva acquiescenza, del cliente alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore, o comunque quando le circostanze del caso concreto siano tali da implicare che il dovere di comportarsi secondo buona fede e di non pregiudicare ingiustamente le ragioni dell'altro contraente avrebbe imposto al cliente di adottare maggiore diligenza, non prestandosi al compimento di operazioni anomale quando egli sia perfettamente a conoscenza, per personale e pluriennale esperienza, del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento (cfr. Cass. 13529/2009). Ma, perché ciò accada, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte dell'investitore della violazione delle regole di comportamento cui il promotore avrebbe dovuto attenersi per la tutela dei risparmiatori, occorrendo invece che i rapporti tra promotore ed investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale; e spetta all'intermediario l'onere di provare che l'illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall'investitore (cfr. Cass. 6708/2010), non potendo la collusione o la consapevole e fattiva acquiescenza del cliente all'illecito essere presunte sulla base della sola circostanza che l'equivalente pecuniario dell'investimento sia stato conferito con modalità difformi da quelle previste dal regolamento Consob (cfr. Cass. 1741/2011), ma essendo invece necessario che detta circostanza si accompagni con altri elementi significativi, quali ad esempio il numero e la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, la durata nel tempo del rapporto tra investitore e promotore, il valore complessivo delle operazioni poste in essere, l'esperienza acquisita dal cliente nell'investimento in titoli finanziari, la sua conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (cfr. Cass. 30161/2018; Cass. 3708/2018, Cass. 8236/2012, Cass. 4037/2016). 5.2. Dagli enunciati principi giurisprudenziali le parti in causa traggono opposte conclusioni nel caso concreto. Da un lato, gli attori osservano come (...) abbia operato quale dipendente della (...) S.p.A. e ciò anche dopo la cessazione del suo rapporto di lavoro con la Compagnia in data 10/05/2017, mai comunicata agli attori, lasciando sussistere "una situazione oggettiva di apparenza del diritto che (...) fosse ancora un proprio agente assicurativo" (cfr. concl. att. p. 34), ed escludono qualsivoglia acquiescenza rispetto alle violazioni realizzate da (...); dall'altro, la (...) S.p.A. evidenzia le plurime anomalie caratterizzanti le modalità di esecuzione del mandato, sostenendo che sarebbero idonee ad escludere il nesso di occasionalità necessaria. Ritiene il Tribunale che, nel caso di specie, sussista la responsabilità concorrente della (...) S.p.A. per il fatto illecito posto in essere dal dipendente (...), essendo indubbio che la condotta illecita di costui sia stata resa possibile o quanto meno agevolata dall'incarico affidatole dalla (...) S.p.A. e non essendo addebitabili agli attori anomalie comportamentali o gravi negligenze tali da interrompere il nesso di occasionalità necessaria fra i fatti di causa e l'incarico svolto da (...) per conto della (...) Spa. In particolare, non possono considerarsi interruttive del nesso di occasionalità necessaria le circostanze che gli attori abbiano sottoscritto contratti assicurativi al di fuori dei locali della Compagnia, presso la propria abitazione, e abbiano pagato i relativi premi mediante l'emissione di assegni privi di intestazione consegnati nelle mani di (...), tenuto conto che: - l'irregolarità dei pagamenti non vale di per sé ad interrompere il nesso di causalità tra lo svolgimento dell'attività del promotore e la consumazione dell'illecito né può essere addotta dalla Compagnia come concausa del danno subito dall'investitore; - gli attori (risparmiatori di estrazione operaia) non avevano motivo di dubitare della correttezza dell'attività posta in essere da (...), tenuto conto che da anni intrattenevano rapporti con la (...) S.p.A. sottoscrivendo contratti (veri) presso il proprio domicilio (si noti che le polizze trasmesse dalla (...) S.p.A. agli attori e prodotte in causa recano, quale luogo di sottoscrizione, "(...)", luogo di domicilio degli attori, e non "(...)", luogo in cui ha sede l'Agenzia - cfr. doc. 9.1, 9.2, 9.3, 10.1, 10.2, 10.3, 10.4 fasc. att.-, il che dimostra come la sottoscrizione dei contratti al domicilio fosse una prassi conosciuta o quanto meno conoscibile da parte della Compagnia); - (...) utilizzava la modulistica intestata alla (...) Spa, rilasciando quietanze e prospetti riepilogativi apparentemente riconducili alla Compagnia, il che ha ulteriormente contributo a ingenerare negli attori un incolpevole affidamento; - tale affidamento incolpevole si è protratto anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro tra (...) e la Compagnia (cioè dopo il 10/05/2017 e fino al 10/06/2019, data dell'ultimo assegno emesso da (...)), avendo quest'ultima omesso di comunicare tale cessazione agli attori (sul punto, Cass. 8229/2006: "la società di intermediazione, sebbene non sia tenuta a informare tutti i risparmiatori dell'avvenuta cessazione del mandato conferito ad un promotore finanziario, ha comunque l'obbligo di inviare tale informazione a quei risparmiatori che, per avere intrattenuto risalenti e frequenti rapporti col promotore dimissionario, possa ritenersi avrebbero continuato ad averne anche in futuro") e ciò nonostante la Compagnia avesse ricevuto richieste di risarcimento dei danni in relazione a condotte di (...) quantomeno dal 2018, come emerge dalla denuncia-querela presentata dalla (...) S.p.A. in data 25/06/2020 (cfr. doc. 6 fasc. conv. (...) Spa). Da ultimo, si osserva come la (...) S.p.A. abbia omesso di evidenziare le modalità e le risultanze degli accertamenti interni compiuti mediante l'Unità Antifrode, avendo prodotto, dopo l'ordine ex art. 210 Cpc, un "dossier" contenente un mero riepilogo delle posizioni delle parti nella presenza vertenza. 6. L'eccezione di prescrizione sollevata da (...). Accertata la responsabilità solidale delle parti convenute, prima di procedere alla liquidazione dei danni, va esaminata l'eccezione di prescrizione sollevata da (...). 6.1. In punto di diritto, va premesso che l'art. 2935 c.c. dispone che "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere". Detta norma fa riferimento alla possibilità legale di fare valere il diritto (cfr. Cass. 2387/2004; Cass. civ. 7645/1994) e quindi alle eventuali cause impeditive di ordine giuridico dell'esercizio dello stesso, non assumendo rilevanza i semplici impedimenti soggettivi, cioè l'ignoranza da parte del titolare del diritto dell'esistenza del diritto stesso, salvo il caso in cui l'ignoranza sia imputabile al comportamento doloso della controparte, dovendo considerare la previsione di cui all'art. 2941 n. 8 C.c., norma che introduce una causa eccezionale di sospensione della prescrizione (tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia scoperto) che si pone in deroga al principio secondo cui l'ignoranza del titolare del diritto non impedisce il decorso della prescrizione (cfr. Cass. 10828/2015). Come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione, l'eccezione di sospensione della prescrizione ex art. 2941 n. 8 Cc integra un'eccezione in senso lato e, pertanto, può essere rilevata d'ufficio dal giudice (anche in grado di appello) purché sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti. 6.2. Sulla base di tali principi di diritto, l'eccezione di prescrizione deve essere respinta, tenuto conto che, nel caso di specie, deve ritenersi che gli attori abbiano scoperto le condotte dolose di (...) solo nel momento in cui sono stati convocati dalla Polizia di (...) (17/09/2019), non avendo le parti convenute fornito elementi da cui trarre la conclusione che l'infedeltà del dipendente della (...) S.p.A. fosse circostanza conosciuta o conoscibile dagli attori in un momento antecedente; anzi, le risultanze di causa depongono in senso contrario, tenuto conto che la stessa Compagnia convenuta ha sostenuto di non aver avuto modo di accertare prima l'infedeltà del proprio dipendente. 7. La liquidazione dei danni. 7.1. In ordine alla individuazione e alla liquidazione dei danni-conseguenza, va premesso che, oltre al danno patrimoniale, da determinarsi ai sensi dell'art. 2056 Cc, è altresì risarcibile il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 Cc, cioè il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica. Come precisato dalla S.C., il danno non patrimoniale è risarcibile: quando sussiste un fatto-reato (art. 185 Cp) e negli altri casi stabiliti espressamente dalla legge; quando sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito, a condizione che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza), e che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità (cfr. Cass. SU 26972/2008). In ogni caso, il danno non patrimoniale (così come quello patrimoniale), quale danno-conseguenza, deve essere allegato e provato, dovendo essere disattesa la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso (cd. danno-evento), non essendo ammissibile la sussistenza di danni "in re ipsa", neppure con riguardo al danno morale soggettivo derivante da reato (art. 185 Cp), salvo il ricorso alla prova presuntiva. In particolare, con riguardo al danno morale, può essere richiamato il recente e condiviso arresto del Supremo Collegio (cfr. Cass. 25164/2020), secondo il quale l'attore danneggiato ha il preciso onere di allegare puntualmente le sofferenze interiori di cui pretende il risarcimento; se dunque per la prova del danno morale può farsi ampio ricorso alla prova presuntiva, nondimeno il danneggiato è onerato di una puntuale allegazione di quei "fatti" in cui si esplica e manifesta il danno morale lamentato (tristezza, patema d'animo, vergogna, disistima etc.). 7.2. Nel caso di specie, il danno patrimoniale emergente è pari all'ammontare delle somme versate dagli attori a (...) per il pagamento di premi assicurativi, mediante l'emissione dei 27 assegni di cui è causa, ed invece distratte dallo stesso mediante l'incasso sul proprio conto personale. Pertanto, come richiesto dagli attori: - il danno emergente iure hereditario deve essere quantificato in Euro 4.000,00, di cui Euro 2.000,00 spettanti a (...) e Euro 2.000,00 spettanti a (...) (cfr. doc. 4.2, 5.1 fasc. att.); - il danno emergente iure proprio deve essere quantificato Euro 31.800,00 in favore di (...) (cfr. doc. 4.1, 4.3-4.10 fasc. att.) e in Euro 28.680,90 in favore di (...) (cfr. doc. 5.12-5.18 fasc. att.). Inoltre, il risarcimento del danno patrimoniale (iure hereditario e iure proprio) deve comprendere il lucro cessante, pari agli interessi che gli attori avrebbero percepito qualora le somme da loro affidate a (...) fossero state impiegate conformemente alle indicazioni ricevute (cfr. Cass. 8229/2006). Al riguardo, tenuto conto della tipologia di prodotti assicurativi che gli attori intendevano acquistare, si reputa congrua la liquidazione degli interessi proposta da parte attrice, pari al 2% dei capitali affidati a (...), da calcolarsi annualmente dalla data di emissione di ciascun assegno alla data della presente sentenza. Tale importo deve poi essere maggiorato, convertendosi in debito di valuta, degli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo effettivo. Quanto, poi, al risarcimento del danno non patrimoniale (morale) richiesto dagli attori in conseguenza della condotta illecita posta in essere da (...), si osserva: - che nella condotta di (...) appaiono sussistenti gli estremi di reato (truffa o quanto meno appropriazione indebita); - che gli attori hanno puntualmente allegato le sofferenze interiori di cui richiedono il risarcimento (cfr. cit. p. 16, 22, 24, 31, 32); - che, tenuto conto che gli attori appartengono a una modesta famiglia operaia (circostanza incontestata) è presumibile che gli stessi abbiano subito una significativa sofferenza in conseguenza della perdita dei propri risparmi, peraltro sottratti da una persona nella quale avevano riposto massima fiducia, attraverso condotte illecite protrattesi per anni, senza che gli attori si accorgessero di nulla. Al riguardo, si reputa congrua la liquidazione proposta dagli attori nell'atto di citazione, pari a Euro 5.000,00 ciascuno - somma determinata in via equitativa, in moneta attuale. Tale somma non deve essere ulteriormente incrementata della rivalutazione (essendo già liquidata ai valori attuali), ma del solo lucro cessante per compensare la mancata disponibilità della somma alla data della produzione del danno, liquidato in via equitativa attraverso l'attribuzione degli interessi legali secondo i principi espressi dalla nota sentenza n. 1712/1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. 8. Infine, si ritiene inammissibile ex art. 36 Cpc la domanda riconvenzionale trasversale proposta dalla (...) S.p.A. contro (...), trattandosi di una domanda dipendente da un titolo diverso (contrattuale) rispetto a quello dedotto in giudizio dagli attori (illecito extracontrattuale), né sussiste un collegamento con la domanda attorea tale da determinare l'opportunità del simultaneus processus, tenuto anche conto che la domanda risarcitoria della (...) S.p.A. rientra nella competenza funzionale del Giudice del lavoro (cfr. Cass. 3428/1990: "ai sensi dell'art. 409 c.p.c. sono attratte nella competenza funzionale del pretore quale giudice del lavoro anche le controversie inerenti a veri e propri fatti illeciti addebitati ai dipendenti e commessi in relazione ed in occasione dello svolgimento delle prestazioni di lavoro). 9. Le spese di lite seguono la soccombenza dei convenuti soccombenti e vengono liquidate - con riferimento ai valori medi della tabella di riferimento ex Dm. 55/2014 aggiornato sulla base del Dm 37/2018 (scaglione da Euro 52.000,01 a Euro 260.000,00) ridotti del 50% rispetto alla fase istruttoria (limitata al deposito delle memorie ex art. 183 c. 6 Cpc) - nelle seguenti voci analitiche: per la fase studio Euro 2.430,00 per la fase introduttiva Euro 1.550,00 per la fase istruttoria Euro 2.700,00 per la fase decisionale Euro 4.050,00 per complessivi Euro 10.730,00 per compensi, da aumentare: - del 10% ex art. 4 c. 1 bis Dm 55/2014, tenuto conto che la citazione e le memorie ex art. 183 c. 6 Cpc degli attori contengono collegamenti ipertestuali ai documenti prodotti (non viene riconosciuto l'aumento del 30% poiché gli atti non contengono sommari ipertestuali per navigare al loro interno); - del 30% ex art. 4 c. 2 Dm 55/2014, tenuto conto che l'avv. (...) ha assistito due soggetti nella medesima posizione processuale. Non si riconoscono i compensi per la fase di negoziazione assistita in quanto relativa ad attività professionale priva di "autonoma rilevanza" ex art. 20 Dm 55/2014 rispetto alla fase giudiziale strictu sensu intesa; trattasi, infatti, di attività avente il medesimo oggetto (in fatto e in diritto) e strumentale alla proposizione dell'azione. Infine, va riconosciuto il rimborso delle spese documentate pari a Euro 818,38 ( Euro 786,00 per Cu e marca; Euro 25,88 per spese di notifica; Euro 6,50 per la raccomandata a/r invito alla negoziazione assistita per (...)), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% (ex art. 2, c. 2 Dm 55/2014), Iva se dovuta e Cpa come per legge. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione, deduzione, condanna i convenuti (...) e (...) Spa, in solido, a pagare a (...) le seguenti somme: - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale iure hereditario, Euro 2.000,00 (danno emergente), oltre al 2% di interessi da calcolarsi annualmente dal 4/09/2012 (data di emissione dell'assegno di cui al doc. 4.2., 5.1. fasc. att.) alla data della presente sentenza (lucro cessante) ed oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale iure proprio: Euro 31.800,00 (danno emergente), oltre al 2% di interessi da calcolarsi annualmente dalla data di emissione di ciascun assegno (cfr. doc. 4.1, 4.3-4.10 fasc. att.) alla data della presente sentenza (lucro cessante) ed oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; - a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio: Euro 5.000,00 oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; condanna i convenuti (...) e (...) Spa, in solido, a pagare a (...) le seguenti somme: - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale iure hereditario, Euro 2.000,00 (danno emergente), oltre al 2% di interessi da calcolarsi annualmente dal 4/09/2012 (data di emissione dell'assegno di cui al doc. 4.2., 5.1. fasc. att.) alla data della presente sentenza (lucro cessante) ed oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale iure proprio: Euro 28.680,90 (danno emergente), oltre al 2% di interessi da calcolarsi annualmente dalla data di emissione di ciascun assegno (cfr. doc. 5.2-5.18 fasc. att.) alla data della presente sentenza (lucro cessante) ed oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; - a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio: Euro 5.000,00 oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale trasversale proposta dalla (...) S.p.A. contro (...); condanna i convenuti (...) e (...) Spa, in solido, a rimborsare agli attori le spese di lite che liquida in complessivi Euro 15.022,00 per compensi e Euro 818,38 per spese documentate, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% (ex art. 2, c. 2 Dm 55/2014), Iva se dovuta e Cpa come per legge. Così deciso in Verbania il 9 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI VERBANIA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice dr.ssa Rachele Olivero, ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile NRG .../2020 promossa da: Fallimento O. Srl (Cf. (...)), elettivamente domiciliato in...), Via..., presso lo studio dell'avv. ...che lo rappresenta e difende per delega in atti; attore contro G.N. (C.N.) e A.N. (Cf. (...)), elettivamente domiciliati in Milano, c.so..., presso lo studio dell'avv. ...che li rappresenta e difende per delega in atti convenuti; Oggetto: nullità, simulazione e revocatoria ordinaria. Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. Le domande attoree hanno ad oggetto, in via principale, l'accertamento della nullità o dell'inefficacia per simulazione assoluta e, in via subordinata, la revocatoria dell'"atto di disposizione gratuito" del 30/06/2015, con il quale G.N. ha elargito al figlio A.N. la somma di Euro 900.000,00, mediante bonifico bancario recante la causale "donazione 18 compleanno" (cfr. doc. 17 fasc. att.), "al solo fine di sottrarre patrimonio alla garanzia dei creditori" (cfr. cit. p. 9, 10). La causa è stata preceduta da un procedimento cautelare ex art. 671 c.c., all'esito del quale il Tribunale, ritenuta la sussistenza del fumus bonis iuris della domanda revocatoria e il periculum in mora, ha disposto il sequestro conservativo dei beni mobili, immobili e crediti di A.N., sino alla concorrenza di Euro 900.000,00 (cfr. ordinanza del 28/09/2020, confermata in sede di reclamo con ordinanza del 7/12/2020 - doc. 29, 30 fasc. att.). A fondamento delle proprie domande, parte attrice ha premesso: - che la società O. è stata costituita in forma di Spa, con atto notarile del 3/08/2007, dai soci G.N. (quota 20%), G.L.M. (quota 40%) e P.P.M. (quota 40%); dopodiché, in data 9/06/2010, è stata deliberata la trasformazione in Srl (cfr. doc. 3 fasc. att.); - che la compagine sociale ha subito i seguenti cambiamenti: in data 18/12/2014, ognuno dei tre soci ha ceduto a G.G., in quel momento amministratore unico, una quota pari al 33,33% del capitale sociale; in data 21/09/2015, G.N. ha ceduto la sua intera quota di partecipazione nella O. Srl al padre E.N.; - che G.N. ha svolto il ruolo di amministratore della società dal 20/08/2007 al 4/07/2011, in particolare: "dal 20 agosto 2007 al 28 settembre 2010 con ruolo di amministratore delegato con ogni e più ampio potere sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione e, successivamente, dal 29 settembre 2009 al 4 luglio 2011 con medesima carica, con tutti i poteri per statuto spettanti al C.d.A., ad eccezione delle attribuzioni non delegabili a norma di legge e di statuto, con l'esclusione del potere di assumere e licenziare dipendenti di ogni ordine e grado e di esercitare il potere direttivo e disciplinare nei confronti di tutto il personale dipendente; con espressa esclusione altresì delle mansioni esercitate in qualità di dirigente, così come espressamente disciplinare dal contratto di lavoro in essere tra O. S.p.a. e lo stesso Signor G.N., mansioni che sono esercitate sotto la direzione del presidente del C.d.A." (cfr. cit. p. 2); - che successivamente G.N. (unitamente ai soci M.) ha continuato a svolgere il ruolo di amministratore di fatto della società fino alla dichiarazione di fallimento, pronunciata dal Tribunale di Verbania in data 23/09/2015 (cfr. doc. 1 fasc. att.), su istanza del Pubblico Ministero (cfr. doc. 5 fasc. att.), formulata all'esito degli accertamenti della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Verbania da cui è emerso che "sono stati sistematicamente falsificati i bilanci, quanto meno a partire dall'anno 2012, per dissimulare l'intera perdita del capitale sociale verificatasi, al più tardi, nel 2012 stesso" (cfr. cit. p. 3); - che tra le cause che hanno determinato il dissesto della società -illustrate nella Relazione ex art. 33 L. Fall., già depositata in Procura e agli atti della procedura fallimentare dal Curatore dr. F.R. (cfr. doc.6 fasc. att.)- si devono annoverare una serie di condotte distrattive poste in essere (anche) da G.N., quale amministratore di fatto della società, elencate da p. 3 a p. 6 della citazione; - che il Gip presso il Tribunale di Verbania ha emesso nei confronti di G.N. (nonché nei confronti dei soci M. e nei confronti, altresì, degli amministratori formali e "prestanome", G.G. e C.B.) l'ordinanza cautelare n. 46/2017 del 16/08/2017 (cfr. doc. 12 fasc. att.), con la quale ha disposto, a carico di G.N., le misure della custodia cautelare in carcere e il sequestro preventivo per equivalente per la complessiva somma di Euro 5.961.622,98, corrispondente al profitto conseguito dai reati contestati, da eseguirsi su tutti i beni mobili e immobili di proprietà o comproprietà di G.N.; - che tale ordinanza è stata confermata, in sede di riesame, dal Tribunale di Torino in data 21/09/2017 (cfr. doc. 13 fasc. att.); - che il passivo fallimentare ad oggi accertato ammonta a Euro 14.975.448,23 (cfr. doc. 14 fasc. att.), somma che dovrà essere incrementata degli interessi sui crediti ammessi in privilegio (pari ad Euro 14.497.854,15, gran parte dei quali vantati dall'Erario e dall'Inps -i principali creditori del Fallimento O.-), oltre ai costi e alle spese prededucibili; pertanto, il passivo fallimentare risulta ampiamente superiore ad Euro 15.000.000,00; - che la Curatela si è costituita parte civile nel procedimento penale n. .../2015 R.G.N.R. e n. .../2015 R.G. pendente avanti il Tribunale di Verbania (cfr. doc. 15 fasc. att.), chiedendo il risarcimento del danno subito, quantificato in Euro 15.000.000,00; - che, "anche sottraendo dal passivo accertato l'attivo realizzato, pari ad Euro 1.195.809,55 e l'attivo presumibile da realizzare, quantificato dal curatore in Euro 31.771,64 (doc. n. 16), deve senz'altro considerarsi che le somme confiscate non potranno in ogni caso risarcire l'ingentissimo danno causato (anche) dal Signor G.N. ai creditori sociali" (cfr. cit. p. 9); - che, nel corso del dibattimento (cfr. verbale udienza 1/10/2019, esame imputato p. 48 e ss. - doc. 18 fasc. att.), è emerso che, in data 30/06/2015, cioè lo stesso giorno in cui la Polizia Tributaria ha concluso la sua verifica a carico della O. Srl e ha redatto il relativo verbale (cfr. doc. 4 fasc. att.), G.N. ha effettuato un'elargizione di denaro pari a Euro 900.000,00 in favore del figlio A.N., mediante un bonifico bancario recante la causale "donazione 18 compleanno" (cfr. doc. 17 fasc. ric.). Ciò premesso, parte attrice ha chiesto, in via principale, di "accertare e dichiarare la nullità dell'atto di disposizione gratuito" del 30/06/2015 (cfr. cit. p. 10): - ex art. 782 c.c., trattandosi di una donazione, di valore non modico, stipulata in assenza di un atto pubblico e senza la presenza dei testimoni ex art. 47, 48 L. n. 89 del 1913 (cfr. cit. p. 11-14); - ovvero ex art. 1418 c.c., - comma 2, trattandosi di un contratto privo di causa -dovendosi "escludere la sussistenza dell'animus donandi" al momento dell'elargizione di denaro (secondo l'attore, infatti, l'intento di G.N. non era quello di effettuare "un regalo per il diciottesimo compleanno del figlio (nato il (...), un mese prima circa rispetto alla donazione de qua), bensì quello di spogliarsi di tutte le sostanze liquide personali, facilmente e rapidamente aggredibili, sottraendole alla disponibilità dei creditori")- o comunque avente causa o motivi illeciti (ex art. 1345 c.c.), posto che l'unico fine di G.N. era quello di "sottrarre dalla disponibilità dei creditori la garanzia costituita dal patrimonio liquido" (cfr. cit. p. 14-16); - oppure comma 1, trattandosi di un contratto volto a realizzare un risultato vietato dalla legge, in violazione della "norma imperativa dettata dall'art. 11, comma 1 D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, che sanziona le condotte di donazione fraudolenta" (cfr. cit. p. 15). In via principale alternativa, parte attrice ha chiesto di accertare ex art. 1414 c.c. la simulazione assoluta dell'atto dispositivo del 30/06/2015, sostenendo che tale elargizione, apparentemente fondata sulla causa di liberalità, sarebbe in realtà priva di animus donandi ed anche di volontà traslativa, stante l'intenzione di G.N. "di conservare intatta la proprietà del denaro trasferito disponendone, all'occorrenza, mediante l'esercizio dell'autorità paterna nei confronti del giovanissimo figlio" (cfr. cit. p. 23). In via subordinata, parte attrice ha esperito l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c., al fine di sentire dichiarare l'inefficacia, nei propri confronti, della citata elargizione di Euro 900.000,00, sostenendo che, attraverso tale atto dispositivo, G.N. si sarebbe spogliato del proprio patrimonio liquido, pregiudicando le ragioni creditorie del Fallimento O. Srl, titolare di un credito risarcitorio nei confronti di G.N., derivante dagli atti di mala gestio posti in essere da quest'ultimo (unitamente a G.L.M. e P.P.M.) ai danni della O. Srl, di cui era amministratore di fatto. G.N. e A.N., costituendosi, hanno preliminarmente eccepito l'inammissibilità della domanda attorea ex art. 2901 c.c. per carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.. Nel merito, i convenuti hanno chiesto il rigetto delle domande attoree. In particolare, con riguardo alle cause di nullità invocate dal Fallimento O. Srl, i convenuti: - hanno sostenuto l'inapplicabilità dell'art. 782 c.c. all'atto disposizione del 30/06/2015, trattandosi di una donazione indiretta (art. 809 c.c.), con la quale G.N., animato da spirito di liberalità, ha inteso arricchire il figlio A.N. attribuendogli "le somme necessarie per acquistare titoli e azioni bancarie" (cfr. comp. risp. p. 44); - hanno negato qualsivoglia intento fraudolento sotteso all'operazione del 30/06/2015; - hanno escluso che l'elargizione del 30/06/2015, realizzata da G.N. in favore di A.N., possa aver integrato il reato di cui all'art. 11 c. 1 D.Lgs. n. 74 del 2000 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), atteso che tale fattispecie penale può essere contestata solo ai debitori d'imposta e, "nel caso di specie, il contribuente gravato dell'obbligazione societaria era solo ed esclusivamente la società O. e, al più, il legale rappresentante dell'epoca ovvero il firmatario della dichiarazione fiscale, e quindi mai ed in nessun caso G.N. che tali qualità mai ha rivestito" (cfr. comp. risp. p. 58). I convenuti hanno, inoltre, contestato la simulazione invocata dall'attore, osservando come la fuoruscita di denaro dal patrimonio di G.N. fosse effettivamente voluta dallo stesso, allo scopo di consentire al figlio A.N. di "intraprendere un percorso di investimento nel mercato borsistico" (cfr. comp. risp. p. 46). Da ultimo, i convenuti hanno contestato la sussistenza dei presupposti fondanti la revocatoria ex art. 2901 c.c., eccependo: - l'inesistenza di un diritto di credito, o comunque di una valida ragione di credito, in capo al Fallimento O. Srl nei confronti di G.N.; - l'insussistenza dell'eventus damni, dovendosi tener conto della capienza patrimoniale anche degli altri debitori (G.L.M. e P.P.M.), nei cui confronti il Fallimento O. Srl ha già ottenuto una provvisionale; - l'insussistenza del presupposto soggettivo della revocatoria sia con riferimento a G.N. sia con riferimento a A.N.. In via riconvenzionale subordinata, per il caso in cui il Tribunale dovesse pronunciare la nullità della donazione del 30/06/2015, i convenuti hanno chiesto di convertire ex art. 1424 c.c. la donazione nulla in un contratto di mandato senza rappresentanza; in quest'ottica, "l'apertura del conto corrente e l'acquisto dei titoli, eseguito da A.N. in qualità di mandatario, devono essere imputate direttamente a G.N., quale mandante, pur in assenza di un atto di trasferimento, sin dal momento dell'atto gestorio da individuarsi -da ultimo- nel trasferimento della domma di denaro di Euro 900.000,00 sul c/c del figlio acceso presso la B.I.S. S.p.a." (cfr. comp. risp. p. 57). Con la memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c., l'attore, preso atto della domanda riconvenzionale subordinata dei convenuti, ha chiesto al Tribunale, in via subordinata rispetto alle domande formulate in citazione, di accertare la simulazione relativa della donazione del 30/06/2015, in quanto dissimulante un contratto di mandato senza rappresentanza, con la conseguenza che l'importo di Euro 900.000,00 (o i titoli acquistati con tali somme) apparterrebbe in via esclusiva a G.N.. Con la memoria ex art. 183 c. 6 n. 2 c.p.c., i convenuti hanno contestato la domanda attorea di accertamento della simulazione relativa, in quanto integrante un'inammissibile mutatio libelli. Con ordinanza in data 21/06/2021, ritenuta la natura documentale della vertenza, è stata fissata udienza di precisazione delle conclusioni, ove sono stati concessi alle parti i termini ex art. 190 c.p.c.. In sede di comparsa conclusionale, i convenuti, da un lato, si sono riportati alle argomentazioni di cui alla comparsa di risposta, dall'altro lato, hanno parzialmente mutato le proprie difese. In particolare, rispetto all'azione di nullità e di simulazione assoluta, i convenuti hanno dichiarato di condividere le considerazioni e conclusioni di cui alle ordinanze cautelari del 28/09/2020 e 7/12/2020 (cfr. doc. 29, 30 fasc. att.), che hanno qualificato l'atto dispositivo del 30/06/2015 quale atto gratuito in frode ai creditori, escludendo conseguentemente la ricorrenza di profili di nullità e simulazione assoluta. Rispetto all'azione revocatoria, invece, i convenuti hanno sollevato eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2903 c.c., sostenendo che, risalendo l'atto dispositivo al 30/06/2015, l'azione si sarebbe prescritta il 30/06/2020, atteso che il ricorso per sequestro conservativo è stato depositato solo in data 4/08/2020 e non potendo operare la sospensione straordinaria dei termini di prescrizione e decadenza prevista dalla normativa emergenziale per Covid 19. A fronte di tale eccezione, parte attrice, in sede di memoria di replica, ha eccepito l'intervenuta decadenza dall'eccezione di prescrizione, non essendo stata proposta dai convenuti nei termini preclusivi di cui all'art. 166 c.p.c. (seppur precedentemente discussa nella fase cautelare). Nel corso del giudizio, è stato definito il procedimento penale a carico (anche) di G.N., il quale è stato condannato per plurimi reati di bancarotta, falso in bilancio, reati tributari e fiscali, commessi ai danni della O. Srl, in qualità di amministratore di fatto (in concorso con P.P.M. e G.L.M.). In punto statuizioni civili, G.N. è stato condannato (unitamente a L.M.) "al risarcimento del danno subito dalla parte civile Fallimento O. srl, da liquidare in separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile" (cfr. sentenza del Tribunale di Verbania n. 394/2020 - doc. 31, 24 fasc. att.). 2. Al fine di vagliare le plurime domande articolate da parte attrice con riferimento all'"atto di disposizione gratuito" del 30/06/2015 (cfr. cit. p. 10), occorre preliminarmente qualificare tale atto, tenuto conto che il nomen iuris utilizzato dalle parti ("donazione", come si evince dalla causale del bonifico), pur costituendo un elemento da tenere in considerazione, non esime il giudicante dall'accertamento dell'effettiva natura giuridica del negozio. 2.1. In punto di diritto, va premesso che la donazione (art. 769 c.c.) è un contratto tipico a scopo di liberalità che non esaurisce la categoria dei contratti gratuiti in quanto ve ne sono diversi che, pur avendo ad oggetto un'attribuzione patrimoniale gratuita, sono privi del requisito della liberalità (cd. negozi gratuiti non donativi), e non esaurisce neppure la categoria dei negozi inter vivos caratterizzati dallo spirito di liberalità (si pensi alla disciplina di cui all'art. 770 c. 2 c.c. e alle liberalità atipiche o donazioni indirette ex art. 809 c.c.). Ciò che distingue il contratto di donazione dal negozio gratuito non donativo sta nel fatto che, mentre nella donazione (anche indiretta), l'attribuzione patrimoniale gratuita è animata da "spirito di liberalità" (art. 769 c.c.), cioè è "effettuata a titolo di mera e spontanea elargizione, fine a sé stessa" (cfr. Cass. 21781/2008), nel negozio gratuito non donativo sussiste, in capo al disponente, un interesse patrimoniale (anche mediato) giuridicamente rilevante, che non costituisce un semplice motivo dell'attribuzione gratuita, ma integra la causa (in concreto) del negozio. In altri termini, mentre nella donazione, il disponente è spinto a erogare il beneficio per la realizzazione di una causa di liberalità che corrisponde a un interesse non patrimoniale (stima, riconoscenza, ecc.), nel contratto gratuito atipico, il trasferimento gratuito è giustificato da un interesse patrimoniale, suscettibile di apprezzamento in termini economici da parte del disponente stesso. La donazione (diretta) è un contratto necessariamente formale in quanto richiede, a pena di nullità, la forma dell'atto pubblico (art. 782 c.c.), da sottoscriversi alla presenza di testimoni ex art. 47, 48 L. n. 89 del 1913, salvo che si tratti di donazioni di beni mobili di modico valore ex art. 783 c.c.. Tale regola non opera per gli atti gratuiti che non costituiscono liberalità. Inoltre, la forma pubblica non è richiesta per le donazioni indirette (o liberalità atipiche), in forza del mancato richiamo all'art. 782 c.c. da parte dell'art. 809 c.c., né per le liberalità d'uso previste dall'art. 770 c. 2 c.c. (che non costituiscono donazione in senso stretto). 2.2. Nel caso di specie, occorre chiedersi se l'atto dispositivo gratuito del 30/06/2015 debba essere qualificato come donazione diretta di denaro, donazione indiretta di titoli azionari (come sostenuto dai convenuti nella comparsa di risposta) ovvero negozio gratuito interessato (in fronde ai creditori), come affermato nelle ordinanze cautelari del 28/09/2020 e 7/12/2020 (cfr. doc. 29, 30 fasc. att.) e sostenuto dai convenuti in comparsa conclusionale. 2.2.1. La tesi della donazione indiretta (o liberalità atipica) non può trovare accoglimento. Si ha donazione indiretta, infatti, quando le parti, per conseguire il risultato tipico della donazione contrattuale, cioè l'arricchimento del donatario e il depauperamento del donante, fanno ricorso a strumenti giuridici diversi dalla donazione, che ugualmente consentono di produrre, in via mediata, effetti economici di liberalità. L'ordine di bonifico, invece, comporta un trasferimento dal conto del disponente a quello del beneficiario eseguito dalla B. su ordine del titolare del conto stesso e produce il diretto ed immediato arricchimento del beneficiario donatario. Non c'è triangolazione in quanto la B. si limita a dare esecuzione ad un ordine impartitole dal titolare del conto ed il passaggio di ricchezza avviene direttamente dal disponente al beneficiario (cfr. Cass. Su 18725/2017, la quale ha affermato che "il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l'esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta") 2.2.2. Deve, invece, essere accolta la tesi dell'atto dispositivo gratuito non liberale, dovendosi tenere conto delle finalità penetrate nel tessuto negoziale, analizzando il dato sostanziale, cioè gli interessi in concreto perseguiti da G.N. con l'elargizione di Euro 900.000,00 in favore del figlio. Le risultanze di causa, infatti, dimostrano la presenza di un interesse patrimoniale di G.N. sotteso all'atto dispositivo del 30/06/2015, consistente nella volontà dello stesso di frustare le aspettative dei propri creditori (sottraendo una cospicua somma di denaro alla garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c.), come ampliamente e correttamente argomentato dal Giudice della cautela (cfr. ordinanza del 28/09/2020 - doc. 29 fasc. att.), le cui considerazioni e conclusioni sono state condivise anche dai convenuti, in sede di comparsa conclusionale. In particolare, lo scopo distrattivo emerge: - dalla tempistica dell'adozione dell'atto dispositivo, atteso che il bonifico è stato eseguito da G.N. in coincidenza con la conclusione della verifica compiuta dalla Guardia di Finanza di Verbania nei confronti della O. Srl (cfr. doc. 4 fasc. att.) e dopo che era stata notificata a tale società l'istanza di fallimento (cfr. doc. 5 fasc. att.), cioè in un momento in cui G.N. era senz'altro consapevole della possibilità che gli venissero contestate condotte di mala gestio ai danni della O. Srl; - dall'assoluta eccezionalità del "regalo di compleanno" (realizzato peraltro con un ritardo di un mese rispetto al giorno del compleanno di A.N.), tenuto conto: - del patrimonio residuo di G.N., così come ricostruito dal Fallimento O. Srl da p. 12 a p. 13 dell'atto di citazione (cfr. doc. 19-25, 41, 42 fasc. att.) - ricostruzione non contestata dai convenuti-; - del fatto che lo stesso G.N., nell'ambito del procedimento penale, ha dichiarato che la somma bonificata è stata il "frutto dei 35 anni di lavoro ... più una buona gestione del portafoglio azionario" (cfr. verbale udienza 1/10/2019, esame imputato pag. 53 - doc. 18 fasc. att.). La sussistenza di un interesse patrimoniale distrattivo porta a qualificare l'atto dispositivo del 30/06/2016 quale atto gratuito interessato che non integra donazione (stante l'assenza di liberalità) e, dunque, non richiede la forma pubblica. 3. Ciò premesso in punto qualificazione giuridica, il Tribunale ritiene che debbano essere rigettate le domande attoree di nullità, atteso che: - la regola della forma pubblica a pena di nullità ex art. 782 c.c. non opera per i negozi gratuiti che non costituiscono liberalità come l'atto dispositivo del 30/06/2015; - l'atto dispositivo gratuito del 30/06/2015 non può dirsi privo di causa, tenuto conto che il trasferimento monetario realizzato da G.N. era giustificato da uno specifico interesse patrimoniale (frustare le aspettative dei creditori del disponente), né la causa e i motivi sottesi all'atto possono ritenersi illeciti; l'illeceità della causa o dei motivi, infatti, sussiste quando il negozio persegue finalità vietate dall'ordinamento poiché contrarie (o elusive) a norme imperative o ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume (art. 1343-1345 c.c.), fattispecie distinte rispetto a quella del negozio finalizzato a recare pregiudizio ai creditori (cfr. Cass. 8600/2003: "Il negozio in frode alla legge è quello che persegue una finalità vietata in assoluto dall'ordinamento in quanto contraria a norma imperativa o ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume ovvero perché diretta ad eludere una norma imperativa. L'intento di recare pregiudizio ad altri soggetti non rientra di per sé nella descritta fattispecie, sia perché il negozio in frode alla legge è ipotesi del tutto distinta da quella del negozio in frode ai terzi, sia perché non si rinviene nell'ordinamento una norma che stabilisca in via generale, come per il primo tipo di contratto, l'invalidità del contratto stipulato in frode ai terzi, ai quali ultimi, invece, l'ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall'altrui attività negoziale"); - la contrarietà dell'atto dispositivo gratuito del 30/06/2015 alla norma penale di cui all'art. 11 c. 1 D.Lgs. n. 74 del 2000 (che punisce "chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva") risulta solo allegata dall'attore senza essere stata effettivamente dimostrata. 4. Va altresì rigettata la domanda attorea ex art. 1414 c.c., atteso che l'atto dispositivo del 30/06/2015 era effettivamente voluto dal disponente e non simulato. E invero deve ritenersi non configurabile la simulazione allorquando lo scopo precipuo dell'atto è proprio quello di far uscire i beni trasferiti dal patrimonio del disponente, costituente garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., per sottrarlo all'aggressione dei creditori. Infatti, è proprio l'uscita dal patrimonio del debitore ciò che consente al disponente di evitare l'aggressione dei creditori. In questo caso, dunque, l'effetto dell'uscita dal patrimonio di G.N. è proprio l'effetto voluto con l'atto dispositivo gratuito di cui è causa, sicché esso non può dirsi simulato, bensì effettivamente voluto e perseguito. 5. Per quanto concerne l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c., promossa da parte attrice in via subordinata, va affrontata, preliminarmente, l'eccezione di carenza di interesse ad agire sollevata dai conventi, secondo i quali "l'atto di disposizione del patrimonio compiuto da G.N., non essendo stato eseguito in pendenza del giudizio di accertamento del credito paventato dal Fallimento, non può accedere alla tutela conservativa richiesta da parte attrice" (cfr. comp. risp. p. 43). In particolare, i convenuti hanno affermato che non vi sarebbe interesse ex art. 100 c.p.c. all'azione qui promossa e delibata poiché la Suprema Corte a Sezioni Unite, con la sentenza 9440/2004, avrebbe escluso la possibilità di ottenere la tutela revocatoria, con riferimento ai crediti litigiosi derivanti da illecito, nell'ipotesi in cui l'atto dispositivo (nel caso di specie risalente al 30/06/2015) sia antecedente rispetto alla pendenza del giudizio di accertamento del credito medesimo (la costituzione di parte civile del Fallimento O. Srl nel processo penale è stata notificata a G.N. in data 13/03/2018). L'eccezione è infondata e, pertanto, va disattesa poiché la ricorrenza dell'interesse ex art. 100 c.p.c. non deve essere valutata in concreto, bensì in astratto sulla base della mera qualificazione della domanda; ciò significa che l'interesse ad agire sussiste quando l'azione esercitata è astrattamente idonea a tutelare l'interesse fatto valere, a prescindere dalla concreta possibilità di accoglimento (cfr. Cass. 4984/2001 e, in senso conforme, Cass. 3060/2002; Cass. 13485/2014). Senza contare che la sentenza citata dai conventi (cfr. Cass. Su 9440/2004) non afferma affatto il principio di diritto estrapolato dagli stessi. 6. Sempre in via preliminare, occorre affrontare l'eccezione di prescrizione dell'azione revocatoria sollevata dai convenuti in comparsa conclusionale ex art. 2903 c.c., a fronte della quale parte attrice ha eccepito l'intervenuta decadenza. L'eccezione attorea di decadenza dei convenuti dall'eccezione di prescrizione è fondata, atteso che la prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, doveva essere proposta nei termini preclusivi indicati dagli artt. 166 c.p.c. (che prevede l'obbligo per la parte convenuta di costituirsi entro il termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione) e 167 c. 2 c.p.c. (che prevede l'obbligo, per la convenuta, a pena di decadenza, di proporre nella comparsa di risposta le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio). Pertanto, alla luce delle preclusioni derivanti dal combinato disposto degli artt. 166 e 167 c.p.c., deve essere dichiarata la decadenza dall'eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti in comparsa conclusionale. Irrilevante è, infatti, la circostanza che l'eccezione di prescrizione fosse stata sollevata nell'ambito del procedimento ex art. 671 c.c., tenuto conto che il procedimento cautelare è autonomo e distinto dal giudizio di merito (volto a acclarare definitivamente l'esistenza del diritto sottoposto a cautela), sicché l'eccezione di prescrizione sollevata in fase cautelare non può ritenersi automaticamente proposta nella fase di merito, dovendo al contrario essere oggetto di una specifica allegazione. 7. Nel merito, i cui presupposti fondanti la revocatoria ex art. 2901 c.c. sono: l'esistenza di un diritto di credito, o comunque di una valida ragione di credito, in capo al promotore dell'azione; l'esistenza di un atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole delle ragioni creditorie, in quanto determinante una modificazione giuridico-economica della situazione patrimoniale del debitore (eventus damni); un determinato atteggiamento soggettivo del debitore, ossia, se l'atto di disposizione è successivo al sorgere del credito, la conoscenza del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni creditorie (scientia damni) e, quando si tratta di atti a titolo oneroso, anche del terzo (partecipatio fraudis); se l'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione del debitore finalizzata ad arrecare pregiudizio al creditore e, quando si tratta di atti a titolo oneroso, anche del terzo. In applicazione dei suesposti principi, nel caso di specie, la domanda attorea deve essere accolta, sussistendo tutti i requisiti di legge per la revocatoria ex art. 2901 c.c.. 7.1. Sussiste, in primo luogo, una valida ragione di credito in capo agli attori. Al riguardo va evidenziato, in via generale, come l'art. 2901 c.c. abbia accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. Ne consegue che anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare -sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito- l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore (cfr. Cass. Su 9440/2004 n. 9440; a seguire, in senso conforme Cass. 1893/2012, Cass. 23208/2016, Cass. 4212/2020). Nel caso di specie, la ragione del credito risarcitorio invocato dal Fallimento O. Srl -già connotata da una sufficiente parvenza di fondatezza al momento dell'instaurazione del giudizio cautelare (si veda la puntuale ricostruzione di cui all'ordinanza del 28/09/2020, p. 10-19 - doc. 29 fasc. att.)- ha trovato ulteriore conferma nella sentenza penale emessa in corso di causa dal Tribunale di Verbania n. 394/2020, che ha condannato G.N. per plurimi reati, riconoscendone la portata dannosa per il Fallimento O. Srl. La sentenza contiene, infatti, la condanna generica di G.N. (e L.M.) "al risarcimento del danno subito dalla parte civile Fallimento O. srl, da liquidare in separata sede" (cfr. doc. 31, 24 fasc. att.), con la precisazione che ciò che viene rinviato al separato giudizio è soltanto l'accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l'esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa devono ritenersi accertati (cfr. Cass. 21326/2018), a prescindere dal fatto che non sia stata concessa una provvisionale. 7.2. Sussiste, altresì, il requisito oggettivo dell'eventus damni. In ordine a tale requisito, va osservato che non è richiesta, a fondamento dell'azione revocatoria ordinaria, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e/o qualitativa dell'atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che le sue residualità patrimoniali sono tali da soddisfare le ragioni del creditore, con conseguente insussistenza dell'eventus damni (cfr. Cass. 1902/2015, Id. 1896/2012, 7767/2007). Nel caso in esame, la rilevanza della modificazione del patrimonio del convenuto G.N., per effetto dell'atto dispositivo del 30/06/2015, emerge: - dal rilevantissimo importo della disposizione patrimoniale di cui si chiede la revoca (Euro 900.000,00); - dalla scarsa consistenza del patrimonio residuo di G.N. (a fronte ai debiti verso il Fallimento O. Srl il cui passivo ammonta a circa Euro 15.000.000,00), così come ricostruito da parte attrice da p. 12 a p. 13 dell'atto di citazione (cfr. doc. 19-25, 41, 42 fasc. att.); trattasi di terreni e di un fabbricato rurale privi di valore economico, della quota indivisa di 60/100 dell'abitazione di Arizzano -immobile conferito in un fondo patrimoniale e gravato da ipoteca volontaria a garanzia di un mutuo fondiario rimborsato solamente parzialmente-, di talune quote di partecipazione societarie prive di valore economico poiché relative a società sottoposte a procedure concorsuali o cessate ovvero di entità irrisoria, di un'imbarcazione i cui costi di mantenimento e rimessaggio risultano superiori rispetto al valore di mercato; tale ricostruzione non è stata contestata dai convenuti che non hanno indicato ulteriori poste patrimoniali capienti, limitandosi genericamente a richiamare la capienza patrimoniale degli altri condebitori, rimasta priva di prova. Inoltre, tutti i beni sopra descritti, nonché gli ulteriori beni dei condebitori del Fallimento O. Srl sono stati attinti dalla confisca ex art. 12 bis D.Lgs. n. 74 del 2000, con contestuale attribuzione dei beni stessi allo Stato, in conseguenza della commissione di reati tributari (cfr. doc. 12 pagg. 169-175, doc. 34 e doc. n. 40 fasc. att). Deve, dunque, affermarsi la sussistenza di un effettivo eventus damni. 7.3. Sussiste, infine, il requisito soggettivo richiesto dalla legge, la cui prova, come più volte chiarito dalla Suprema Corte, può essere fornita, trattandosi di un atteggiamento soggettivo, mediante presunzioni (cfr. Cass. 2748/2005; Cass 13330/2004; Cass. 11916/2001; Cass. 7452/2000). Nel caso di specie, il requisito soggettivo richiesto è quello della cd. scientia damni in capo al disponente, tenuto conto della gratuità dell'atto di dispositivo del 30/06/2015 e del fatto che, contrariamente a quanto sostenuto dai convenuti, il credito risarcitorio invocato dall'attore è sorto anteriormente rispetto all'atto di cui si chiede la revoca: il credito risarcitorio, infatti, sorge al momento del fatto illecito; dunque, nel caso di specie, deve essere collocato negli anni 2012-2014, periodo in cui sono state poste in essere le condotte di mala gestio da parte (anche) di G.N., come emerso nell'ambito del procedimento penale. Ciò premesso, gli elementi che lasciano ragionevolmente presumere la consapevolezza di G.N. del pregiudizio patrimoniale recato dall'atto dispositivo gratuito del 30/06/2015 sono quelli già esposti al paragrafo 2.2.2.; in particolare: la tempistica dell'adozione dell'atto dispositivo, in coincidenza con l'emergere dei risultati della verifica compiuta dalla Guardia di Finanza di Verbania nei confronti della O. Srl (cfr. doc. 4 fasc. att.) e dopo che era stata notificata a tale società l'istanza di fallimento (cfr. doc. 5 fasc. att.); il rilevantissimo importo dell'elargizione monetaria a fronte della scarsa consistenza patrimoniale residua di G.N. (così come ricostruita dal Fallimento O. Srl da p. 12 a p. 13 dell'atto di citazione e non contestata dai convenuti). 7.4. Sulla base dei motivi esposti devono, pertanto, ritenersi sussistenti tutti i presupposti di legge di cui all'art. 2901 c.c. e, conseguentemente, deve essere accolta la domanda revocatoria attorea. Per l'effetto, va dichiarato inefficace, nei confronti dell'attore, l'atto dispositivo gratuito del 30/06/2015. 8. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e devono essere liquidate - con riferimento ai valori medi della tabella di riferimento ex Dm. 55/2014 modificato dal D.M n. 37 del 2018 (rispetto allo scaglione fino da Euro 520.000,01 a 1.000.000,00, stante l'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione revocatoria oggetto di causa è diretta - cfr. Cass. 10089/2014) - nei seguenti importi: - per il procedimento cautelare ante causam (RG .../2020), Euro 14.567,00 per compensi, oltre a Euro 1.742,21 per spese documentate (Euro 1.686,00 per Cu, Euro 27,00 marca e Euro 29,21 per spese di notifica), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; - per il procedimento di reclamo (RG .../2020), Euro 14.567,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; - per il presente procedimento di merito, Euro 27.804,00 per compensi e Euro 1.721,96 per spese documentate (Euro 1.686,00 per Cu, Euro 27,00 marca e Euro 8,96 per spese di notifica), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge. Non può essere concesso l'aumento del compenso ex art. 4 c. 2 D.M. n. 55 del 2014 richiesto da parte attrice nella nota spesa, tenuto conto che il difensore di parte attrice ha assistito un unico soggetto (Fallimento O. Srl). P.Q.M. Definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione, deduzione, dichiara inefficace, nei confronti del Fallimento O. Srl, l'atto di disposizione gratuito del 30/06/2015, con il quale G.N. ha trasferito a A.N. la somma di Euro 900.000,00, mediante bonifico bancario dal conto corrente acceso presso I.S.P. Spa n. 3849/0000/15006186 (di cui era intestatario G.N.) al conto corrente acceso presso I.S.P. Spa n. 3849/1000/4357 (di cui era intestatario A.N.), recante la causale "donazione 18 compleanno"; condanna G.N. e A.N., in solido, a rimborsare al Fallimento O. Srl le spese di lite, che liquida nei seguenti importi: - per il procedimento cautelare ante causam (RG ../2020): Euro 16.309,21 (di cui Euro 14.567,00 per compensi e Euro 1.742,21 per spese documentate), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; - per il procedimento di reclamo (RG .../2020): Euro 14.567,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; - per la presente fase di merito: Euro 29.525,96 (di cui Euro 27.804,00 per compensi e Euro 1.721,96 per spese documentate), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge. Così deciso in Verbania il 11 aprile 2022. Depositata in Cancelleria 12 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VERBANIA in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Vittoria Mingione ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 1051 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019 vertente TRA (...) (C.F. (...)); (...) (C.F. (...)) in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale sul minore (...) (C.F. (...)); (...) (C.F. (...)) in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale sul minore (...); (...) nata (...) (C.F. (...)) tutti rappresentati e difesi congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti (...) (C.F. (...)) (PEC: (...) - fax (...)) con studio legale in Milano (MI) 20124 Viale (...) n. 41 e in Stresa 28838 (VB) Via (...), (...) (C.F. (...)) (PEC: (...) - fax (...)) con studio legale in (...) Corso (...) e (...) (C.F. (...)) (PEC: (...) - fax (...)) con studio legale in (...) Pallanza (VB) 28922 Corso (...) ed elettivamente domiciliati presso lo Studio di quest'ultimo - Parte attrice - E (...) - Convenuto contumace - E (...) - Convenuto contumace - (...) S.P.A., C.F. (...), in persona del procuratore ad negotia Dott. (...), con sede in Bologna (BO), Via (...), rappresentata e difesa dell'avvocato (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliata in (...), Viale (...) n. 9, numero di fax (...), pec: (...) - Convenuto - Oggetto: responsabilità da circolazione stradale RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Gli attori (...) (vittima del sinistro), (...) e (...) (padre e madre), (...) (fratello) e (...) (zia), hanno esposto che: - il giorno 19 settembre 2016, alle ore 19,25 circa, l'attrice (...), mentre era nel pieno svolgimento delle sue mansioni lavorative di baby-sitter, si apprestava a compiere l'attraversamento pedonale della Strada (...) (dal Residence (...) verso la sede della Camera di Commercio) all'altezza del Km. 86+580 nel Comune di Baveno, veniva violentemente travolta, unitamente al passeggino che stava spingendo, col quale trasportava un bambino di nove mesi di età, dall'auto Opel Corsa targata (...) talvolta indicata nel fascicolo penale con la targa (...), condotta nell'occasione dal sig. (...), nato a (...) il 24/3/1993 di proprietà della madre, (...), assicurata per la responsabilità civile automobilistica presso (...), Ag. (...), con Polizza n. (...), valida dal 9.7.2016 al 8.1.2017; - che a seguito del sinistro (...) riportava - esiti di politrauma con interessamento cranico ed emorragia subaracnoidea post-traumatica trattata chirurgicamente; - esiti di frattura temporale; - esiti di frattura della rocca petrosa di destra con interessamento del 7 n. c. e persistenza di sindrome vertiginosa; - esiti di ematoma subdurale; - esiti di focolai contusivi emorragici frontali e parietali a sinistra maggiormente evidenti al vertice; - stato epilettico riscontrabile elettroencefalograficamente per cui la paziente è - e sarà per molti anni - in trattamento farmacologico; - disturbi neuropsicologici riguardanti le funzioni superiori in particolare la capacità attentiva, i disturbi della memoria e l'irascibilità con la perdita del controllo emotivo e scatti d'ira che testimoniano una sofferenza dell'emisfero destro con verosimile coinvolgimento del circuito ippocampale; - protrusioni discali L2-L3 e L3-L4 associate a reticolopatia; - granulazione del condotto uditivo esterno destro; sensazione ricorrente dell'orecchio tappato, otalgia ricorrente in associazione a cefalee; - gravi alterazioni degli aspetti relazionali ed esistenziali con grave alterazione nella vita di relazione ludica e sociale; - disturbo post-traumatico da stress che necessita trattamento psicoterapico specifico; - parestesie di tipo formicolio e senso di costrizione all'arto sinistro; - che dal sinistro sono derivati molteplici pregiudizi sia di carattere patrimoniale, che non patrimoniale sia a (...) che ai familiari ricorrenti; - che la (...) ha corrisposto acconti pari a complessivi Euro 29.155,00 (Euro 18.020,00 come da comunicazione (...) del 13.09.2017, Euro 3.000,00 come da comunicazione (...) del 10.02.2017, Euro 8.135,00 come da comunicazione (...) del 29.10.2018 e assegno n. (...) - che l'INAIL a seguito di pratica di infortunio ha riconosciuto una rendita vitalizia. Tanto premesso, parte attrice ha chiesto la condanna dei convenuti, ciascuno a proprio titolo, al risarcimento dei seguenti danni conseguenti al sinistro: - in favore di (...) danno alla salute ed, in particolare, danno biologico permanente 40%, oltre al danno temporaneo, con la percentuale massima di personalizzazione alla luce della particolare intensità del pregiudizio esistenziale subito; danno patrimoniale a titolo di lucro cessante ovvero perdita di chances, per spese mediche e legali; - in favore di tutti i parenti ricorrenti il danno da compromissione del rapporto parentale ed il danno morale; - in favore del padre, (...), e della zia, (...), il danno patrimoniale per la contrazione reddituale subita in conseguenza del sinistro. 2. Si è costituita la (...) che ha contestato, in primo luogo, una responsabilità esclusiva del conducente l'autovettura nella causazione del sinistro, eccependo il concorso di colpa dell'attrice. Di seguito ha contestato la quantificazione del danno biologico operata dal CTP di parte attrice, l'esistenza dei presupposti per il riconoscimento di un danno patrimoniale da lucro cessante, la mancanza di prova di un danno da lucro cessante o da perdita di chances e le modalità di calcolo adottate dall'attrice, nonché la mancanza di prova dei pregiudizi lamentati dai parenti. Ha concluso, pertanto, come da conclusioni riportate. I convenuti (...) (conducente l'autovettura) e (...) (proprietaria del veicolo assicurato) sono rimasti contumaci. All'udienza del 17.12.2019 rilevata la regolarità della notifica ai convenuti contumaci, è stata disposta la conversione del rito e sono stati concessi i termini per il deposito delle memorie istruttorie. La causa è stata successivamente istruita mediante consulenza tecnica d'ufficio, prove per testimoni. All'udienza del 14.09.2021, le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata riservata in decisione con la concessione dei termini per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 3. Responsabilità nella causazione del sinistro In punto di responsabilità, giova premettere come in forza dell'art. 2054 c.c. il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Parte attrice ha allegato che il giorno 19 settembre 2016, alle ore 19,25 circa, mentre era nel pieno svolgimento delle sue mansioni lavorative di baby-sitter, si apprestava a compiere l'attraversamento pedonale della Strada Statale del Sempione n. 33 (dal Residence (...) verso la sede della Camera di Commercio) all'altezza del Km. 86+580 nel Comune di Baveno, veniva violentemente travolta, unitamente al passeggino che stava spingendo, col quale trasportava un bambino, dall'auto Opel Corsa targata (...) condotta nell'occasione dal sig. (...). La testimone oculare sig.ra (...), sentita a sommarie informazioni testimoniali, ha dichiarato: "(...) in data 19 settembre, verso le 19,20, alla guida della mia autovettura percorrevo la S.S. 33 in direzione (...). Nella circostanza ero preceduta da un'autovettura opel di colore grigio la quale era posizionata 3/4 macchine davanti a me. Giunta in corrispondenza dell'intersezione stradale con via (...), sita alla mia sinistra, mi spostavo verso il centro strada in attesa di effettuare la svolta e potevo notare chiaramente una persona con un passeggino attraversare la strada da sinistra verso destra camminando tranquillamente, ovvero dal lato monte al lato lago, passando sulle strisce pedonali. Contemporaneamente notavo l'autovettura Opel proseguire la marcia sempre in direzione (...) senza che essa rallentasse l'andatura, premettendo che comunque l'auto manteneva una velocità costante ma non veloce. Immediatamente dopo vedevo la ragazza accelerare il passo ma in prossimità del centro carreggiata o poco più avanti la vedevo volare in aria con le gambe e le braccia aperte e il passeggino veniva anch'esso proiettato davanti rotolando su se stesso ma senza toccare terra, mentre l'autovettura proseguiva la sua marcia fino all'hotel Splendid (...)" (sub. doc. D di parte attrice). La (...) ha contestato la responsabilita esclusiva del conducente l autovettura sulla base di più argomenti; in particolare ha evidenziato che: - l'unica testimone oculare del sinistro si era presentata a rendere informazioni circa un mese dopo gli altri informatori, sicché sussistono dubbi sull'attendibilità di quanto dalla medesima dichiarato; - l'attrice avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione al momento dell'attraversamento e, resasi conto del sopraggiungere della macchina, avrebbe dovuto arrestarsi e non proseguire andando ad impattare contro l'autovettura; - sussistono plurimi elementi (su cui infra) per ritenere che l'attrice non si trovasse sulle strisce pedonali e che attraversasse profittando della coda di macchine sul lato della carreggiata da cui aveva intrapreso l'attraversamento; Preliminarmente, giova evidenziare come la circostanza che l'informatore si sia presentato a rendere sommarie informazioni solo in da 19.10.2016, mentre gli altri informatori erano stati sentiti in data 19.09.2016, non appare circostanza idonea a scalfirne l'attendibilità - come ritenuto dalla (...) - tenuto conto della specifica ricostruzione della dinamica del sinistro e considerato che la stessa (...) non contesta che l'informatore fosse presente al momento del sinistro ed abbia effettivamente assistito al sinistro, tanto da averlo indicato quale testimone per corroborare la propria ricostruzione dei fatti. Quanto al secondo motivo, risulta incontestato che al momento dell'impatto l'attrice avesse già cominciato l'attraversamento, sicché deve escludersi che vi sia stato un attraversamento repentino. Risulta, inoltre, che la (...) avesse accelerato il suo andamento giunta quasi a metà della carreggiata (sulla base di quanto dichiarato dall'informatrice). Risulta infine che il convenuto, sig. (...), procedeva a velocità non elevata, pur essendo in fase di passaggio dalla marcia seconda alla marcia terza (come dal medesimo dichiarato), e che dunque fosse in fase di accelerazione. La (...) sulla base dei detti elementi ha evidenziato che il pedone non ha prestato la dovuta attenzione durante il camminamento, atteso che giunto a metà dell'attraversamento, a fronte dell'autovettura che si stava avvicinando, anziché fermarsi nella consapevolezza, o nel dubbio, che la macchina non si sarebbe arrestata, ha invece accelerato il passo in prossimità del centro della carreggiata, andando poi ad impattare contro l'autovettura. L'allegazione non si considera condivisibile, in quanto la condotta alternativa del pedone ipotizzata dalla (...), ossia che avrebbe dovuto arrestarsi in mezzo alla carreggiata nel dubbio che il veicolo si fermasse o meno, non evidenzia una maggior prudenza del pedone, ma è una condotta che già in astratto si configura come rischiosa per lo stesso pedone, incide sulla circolazione delle altre autovetture e sull'affidamento riposto dagli altri conducenti, sorpresi dall'arresto improvviso de pedone nel mezzo della carreggiata, e di cui in concreto non risulta neppure dimostrata l'esigibilità. Anche la circostanza per cui sul lato opposto della carreggiata vi fosse una fila di macchine incolonnate non trova alcun riscontro ed è, peraltro, incompatibile con le dichiarazioni rese dall'informatrice, da cui si evince che la signora (...) al momento dell'attraversamento era visibile. Le dette circostanze, di per sé, escludono qualsivoglia rilevanza alla circostanza che il pedone non fosse sulle strisce pedonali. Tuttavia, va anche osservato che le ulteriori incongruenze rilevate dalla (...), che evidenzierebbero che la signora (...) non fosse sulle strisce pedonali al momento dell'urto non si considerano probanti. La (...) ha allegato che dallo schizzo planimetrico emerge che "veniva rilevata traccia ematica iscritta in cerchio avente diametro 0.80 mt; tale traccia era 15,10 mt oltre il termine dell'attraversamento pedonale, largo 4 mt"; - "14,50 mt oltre la traccia ematica, in corrispondenza del margine destro della carreggiata, veniva rilevato il passeggino danneggiato"; - "sulla corsia di dx, nei pressi del centro della stessa, venivano rilevati 2 grossi frammenti del gruppo ottico dx del veicolo A: il 1 in corrispondenza della traccia ematica, l'atro 0,80 mt prima". Ha poi allegato fotografie raffiguranti la presenza delle strisce pedonali sul luogo del sinistro, nonché una fotografia presa dal punto in cui si trovava verosimilmente la signora (...) (docc. 1 e 2) evidenziando che nella fotografia 1) sono raffigurate le strisce presenti al momento del sinistro contrassegnate con la lettera a) nonché le strisce poste all'altezza del residence (...), evidenziate con la lettera b), che sono state posizionate in data successiva al sinistro. Ha dunque allegato che se il primo frammento è stato accertato in corrispondenza della prima traccia ematica, ossia a 15,10 mt oltre il termine dell'attraversamento pedonale, a stretto rigore questo dovrebbe indicare che in quel punto è avvenuto l'impatto e che, pertanto, l'attraversamento è avvenuto in punto della strada in cui al momento dell'impatto non erano presenti strisce pedonali (punto b all'altezza del residence (...)). I detti elementi non si considerano idonei a scalfire l'attendibilità della dichiarazione resa dall'informatrice, che ha dichiarato che la (...) attraversava sulle strisce pedonali. La premessa per cui "il primo frammento" è stato accertato a 15,10 mt oltre il termine dell'attraversamento pedonale non è condivisibile. Non è possibile infatti inferire che si trattasse del "primo frammento", tenuto conto che dal verbale di accertamenti urgenti (pag 40 doc. 1 di parte attrice, fascicolo del P.M.) si evince che è stata accertata la presenza di un frammento precedente di 0,80 mt dalla traccia ematica, che a sua volta era a 15,10 mt dall'attraversamento: "sulla corsia di dx, nei pressi del centro della stessa, venivano rilevati 2 grossi frammenti del gruppo ottico dx del veicolo A: il 1 in corrispondenza della traccia ematica, l'atro 0,80 mt prima". Discende che non è condivisibile neppure la seconda premessa, ossia che "il primo frammento è stato accertato in corrispondenza della prima traccia ematica", essendo stato rinvenuto anche un frammento a distanza di 0,80 mt prima della traccia ematica, in un punto antecedente il punto di impatto ipotizzato dalla compagnia. La ricostruzione operata dalla compagnia sul punto, pertanto, non è idonea ad evidenziare alcun profilo evidente di incongruenza che possa dar spazio ad una CTU cinematica, che si palesa esplorativa. Conclusivamente non essendovi motivo per dubitare dell'attendibilità di quanto riferito dalla informatrice in sede di indagini preliminari ed in mancanza della prova di una condotta colposa causale concorrente del pedone, va affermata la esclusiva responsabilità del sinistro in capo al convenuto, (...) e la conseguente responsabilità del proprietario ai sensi dell'art. 2054 c.c.. 4. (...) (...): danno non patrimoniale Tanto premesso, per quanto concerne i danni non patrimoniali derivanti dalla lesione del diritto alla salute, vanno recepite le conclusioni cui è giunto il CTU, in quanto immuni da censure di carattere logico o tecnico. Il CTU, in particolare, ha accertato che (...) (...), in conseguenza del sinistro ha riportato Anatomicamente: Esiti di traumatismo cranico con ematoma extra e sotto durale dxt, focolai contusivi intraparenchimali; Sintomatologicamente: disturbi cognitivo-comportamentali, epilessia parziale somato-sintomatica. La stessa ha subito, dunque, un danno di 125 gg di invalidità totale, 90 gg. di invalidità parziale al 75% ed ulteriori 90 gg. di invalidità parziale al 50%, e ha riportato postumi permanenti sia fisici che psichici, quantificabili nel 25%. Gli attori hanno contestato la valutazione del danno permanente operata dal CTU, esponendo che il CTU nel caso in esame avrebbe dovuto valutare la condizione epilettica come di stadio 3 (danno biologico compreso tra il tra il 26-45%) e che, tenuto conto del quadro psichico obiettivato, volendolo considerare un unicum con la condizione epilettica, sarebbe stato corretto effettuare una valutazione di tale condizione come pari almeno al 35%. Il CTU ha evidenziato che per quanto riguarda il traumatismo cranico, la componente comiziale (qui riferita ad un quadro riconducibile ad assenze) rientra nella voce 2 della tabella SIMLA prodotta dal sig. CTP: da 11% (minimo) a 25% (massimo). Sussiste inoltre il danno neuropsichico da sintomatologia c.d. "frontale" con i disturbi cognitivo-comportamentali a suo luogo rilevati, tutti questi correlati causalmente alla frattura del temporale (ora consolidata) ed al traumatismo endocranico subìto. La disfunzionalità di quadro epilettico come sopra (11%) e dei disturbi cognitivo-comportamentali causalmente correlati alla frattura cranica stabilizzata ed ai postumi del traumatismo cranio-encefalico (15%) conducono ad una valutazione complessiva del 25% (calcolo scalare10: 100%-11%= 89%; 89%-15%= 75,65% (quota di validità residua del soggetto); 100%-76,65%= 24,35% (attuale valutazione di danno biologico), portata a 25% (venticinque, e cioè della salute) per la complessiva "concorrenza monocrona" 11 del quadro. Successivamente parte attrice nelle note di udienza del 20.04.2021 ha contestato la conclusione del CTU, evidenziando come il CTU nella valutazione complessiva, che deve tener conto tanto delle disfunzionalità del quadro epilettico, quanto dei disturbi cognitivo comportamentali causalmente correlati alla frattura cranica, ha determinato il grado di invalidità determinato dal disturbo epilettico nel minimo (11%), in assenza di qualunque giustificazione in merito, non tenendo conto della frequenza degli episodi di "assenza", praticamente settimanale, e delle loro conseguenze; la contestazione si traduce in una valutazione diversa da quella operata dal CTU, che ha motivato le sue conclusioni valutando gli episodi di assenza segnalati dall'attrice. L'ulteriore allegazione di parte attrice nelle note di udienza del 20.40.2021 per cui "il CTU ha segnalato (pag 27 della relazione) che la periziata "dovrà conseguire la Patente di Categoria B speciale a causa della patologia epilettica", e che, pertanto, stato doveroso, anche per gli indubbi riflessi sulla capacità lavorativa, evidenziare chiaramente se, dati i disturbi di cui la periziata soffre, tale patente sarà effettivamente conseguibile. Ha aggiunto che i soggetti epilettici possono chiedere la patente B speciale, ma non è affatto scontato che la possano ottenere. Infatti, occorre quindi non si siano manifestate crisi (anche di "assenza", c.d. "piccolo male") epilettiche per cinque anni, laddove gli episodi in cui tali crisi si verificano per la sig.ra (...) sono frequenti e plurisettimanali. In più, l'assenza di crisi per il lungo periodo di cinque anni, deve essere verificata "in assenza di terapia", laddove lo stesso CTU ha affermato (pag. 28 della relazione) che è "prevedibile nel futuro la prosecuzione della terapia antiepilettica". La prognosi circa la conseguibilità della "patente B" è pertanto assolutamente negativa", si fonda sul presupposto che il CTU abbia espresso la sua valutazione complessiva basandosi sulla certezza che l'attrice conseguirà la patente B, affermazione che non risulta dalla relazione di consulenza. Anche sul punto, pertanto, la richiesta di chiarimenti appare meramente esplorativa, non evidenziandosi vizi nel percorso logico seguito dal CTU. L'ulteriore documento che parte attrice ha chiesto di depositare - comunicazione INAIL del 25.3.2021, in cui si dà atto dell'aggravamento della menomazione riscontrato in sede di visita periodica, nonché dell'esistenza di "epilessia parziale sintomatica" (enfasi nostra) - non risulta incidere sulla valutazione compiuta dal CTU, non evidenziando un aggravamento rispetto al momento in cui il CTU ha rilevato i dati posti a fondamento della sua valutazione. Del tutto inammissibile la prova per testi in relazione alla frequenza delle crisi epilettiche dell'attrice, non potendo demandarsi a testi la valutazione di aspetti tecnici, riservati al CTU. 4.1. Sulla base di quanto accertato dal CTU, danni in esame possono essere liquidati equitativamente facendo ricorso alle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, più volte richiamate dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 12408/11) e basate su un criterio di equità ponderata, impostato sull'analisi dei precedenti giurisprudenziali ed, in particolare, delle Tabelle vigenti al momento della liquidazione (cfr. in tal senso Cass. ordinanza n. 33770/2019), tenuto conto dell'età dell'attrice al momento del sinistro (19.09.2016) pari ad anni 20. Sulla base di tali tabelle il danno da invalidità temporanea deve essere quantificato nella somma di Euro 23.512,50 Invalidità temporanea totale Euro 12.375,00 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 6.682,50 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 4.455,00 Occorre peraltro tener conto che l'attrice ha ricevuto dall'INAIL a seguito di pratica di infortunio o malattia professionale a titolo di indennità per inabilità temporanea assoluta, l'importo complessivo di Euro 2.614,00, per il periodo dal 23.09.2016 al 7.02.2017 (doc. 38 di parte attrice. Ipotizzando una liquidazione dell'invalidità temporanea assoluta al momento del pagamento dell'ultimo acconto (11.02.2017), l'invalidità temporanea assoluta sarebbe pari ad Euro 11.774,50. Al detto importo va, dunque, sottratto l'importo complessivamente ricevuto in quel momento dall'attrice dall'INAIL per la liquidazione del danno da invalidità temporanea assoluta; si ottiene alla data del 7.02.2017 un importo pari ad 9.160,50 della ITT, importo che rivalutato all'attualità corrisponde ad Euro 9.627,69 (allo stesso risultato corrisponde la rivalutazione al momento attuale delle somme già corrisposte dall'Inail). In conclusione il danno da invalidità temporanea complessivamente va rideterminato, tenuto conto dell'indennizzo INAIL, ad Euro 20.765,19: Invalidità temporanea totale Euro 9.627,69 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 6.682,50 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 4.455,00 Il danno da invalidità permanente è invece quantificato nella somma di Euro 121.012,00 espressiva della lesione anatonomo - funzionale e dei pregiudizi dinamico-relazionali (per Euro 85.824,00) e da sofferenza soggettiva (quantificato mediante incremento del punto base in complessivi Euro 35.188,00), normalmente conseguenti al genere di lesione riportate dall'attrice. 4.2. Peraltro va considerato che nel caso di specie, sono configurabili per l'attrice pregiudizi dinamico-relazionali di portata superiori alla norma, essendovi la prova di uno sconvolgimento totale delle abitudini di vita. Ed, infatti, dalle testimonianze assunte, risulta provato che l'attrice prima dell'incidente coltivasse una serie di attività volte al perseguimento di obiettivi di crescita culturale, personale e, correlativamente, di relazioni stimolanti rispetto alla sua età. Risulta infatti provato che: - l'attrice era membro attivo della comunità religiosa cristiana del paese in cui abitava, faceva parte del Gruppo Giovani della Parrocchia e partecipava assiduamente ad attività di volontariato nel supporto dei soggetti più deboli (cfr. dichiarazione del sacerdote (...) "Ricordo che ebbe un incidente, nel settembre del 2016. Prima dell'incidente, lei incontrava delle ragazze di seconda e di terza media ed aveva portato aventi un progetto di sensibilizzazione alla disabilità; aveva contattato le ragazze, e messo a disposizione la sua esperienza personale, anche mettendo insieme testi o poesie per avvicinare i ragazzi al mondo della disabilità"); - era dedita alla composizione in poesia, (come si evince anche dalla pubblicazione nel sito del Gruppo giovani della Parrocchia di Stresa di una poesia dalla stessa composta, doc. 25 di parte attrice); - era una musicista pratica nello strumento del flauto traverso come da corsi frequentati strumentali per Banda negli anni 2010 - 2011 e 2011-2012 (doc. 26 di parte attrice) e membro del Corpo Musicale fondato dagli scalpellini della città di Baveno, partecipando agli eventi organizzati ogni volta che veniva richiesto l'intervento del Corpo musicale nelle manifestazioni cittadine, come ad esempio il 150esimo anniversario Live in (...) (come si evince dall'articolo pubblicato sulla Stampa del mercoledì 18 aprile 2012 (cfr. doc. 27 di parte attrice e testimonianza di (...) "Da quando è entrata nel corpo musicale l'ho sempre accompagnata da casa alla sede e poi la riportavo a casa, perché le prove cominciano sempre alle nove di sera e finiscono alle undici, orario impegnativo e questo posso dire che è successo per un paio di anni. Lei poi si è concentrata soprattutto sulla (...), ed ho smesso di accompagnarla. Successivamente l'ho vista un paio di volte, di sicuro meno di prima, perché era impegnata so che andava a scuola. Magari non veniva la sera perché aveva una verifica il giorno dopo. Questa è una mia supposizione. Dopo l'incidente non l'ho proprio più vista"); - infine era una sportiva, membro attivo del circo velico canottieri (...) Sportiva Dilettantistica con tesseramento dal 2012 (doc. 29 di parte attrice). tutte attività che a seguito dell'incidente le sono precluse, come riferito dai testi e come risulta anche dalle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, che ha riscontrato il nesso di causalità tra i deficit cognitivi e comportamentali riferiti dall'attrice ed il sinistro. L'interruzione delle dette attività in conseguenza del sinistro evidenzia una rilevante compromissione della dimensione dinamico-relazionale dell'attrice, che non potrà più attendere alle attività che contribuivano alla realizzazione della sua persona, come accertato anche dal CTU (che ha escluso la possibilità per l'attrice di svolgere in seguito al sinistro attività diverse da quelle meramente esecutive). Pertanto, la liquidazione del danno biologico deve essere personalizzata in aumento con il riconoscimento di una percentuale che si stima di quantificare, tenuto conto anche della durata della compromissione dovuta alla giovane età dell'attrice al momento del sinistro, nella misura del 25% da calcolarsi solo sull'importo quantificato a titolo di danno biologico (Cassazione civile, sez. III, 10/11/2020, n. 25164). Nel caso di specie il danno biologico al netto dell'incremento per sofferenza soggettiva è pari ad Euro 85.350,00, sicché va riconosciuto a titolo di personalizzazione del danno l'importo ulteriore di Euro 21.337,50. Conclusivamente il danno non patrimoniale complessivamente subito dall'attrice è pari ad Euro 163.114,69 (Biologico e morale pari ad Euro 121.012,00, personalizzazione del 25% del danno biologico Euro 21.337,50, danno biologico temporaneo Euro 20.765,19). 4.3. Questa somma, liquidata all'attualità, deve essere devalutata al momento del sinistro (19.09.2016) secondo gli indici Istat e diviene quindi pari ad Euro 153.591,99. Su tale somma spettano gli interessi legali che vanno calcolati sulla somma, previamente devalutata, via via rivalutata anno per anno, secondo gli indici ISTAT, a decorrere dalla data del fatto e detraendo gli acconti versati dalla compagnia di assicurazione. Risulta dalle allegazioni del ricorso introduttivo che l'attrice ha ricevuto i seguenti da (...) i seguenti acconti: Euro 3.000,00 come da comunicazione (...) del 10.02.2017; Euro 18.020,00 come da comunicazione (...) del 13.09.2017; Euro 8.135,00 come da comunicazione (...) del 29.10.2018 e assegno n. (...) L'attrice ha poi richiamato il documento 37, che non risulta allegato al ricorso introduttivo, sicché per il calcolo si fa riferimento alle date indicate in ricorso. Ciò posto, ai fini del calcolo, sulla base dell'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte Cass. 31.10.2017 n 25817), occorre: a) rendere omogenei sia il credito che l'acconto, mediante devalutazione del credito e dell'acconto alla data dell'illecito; in forza di detta operazione: il credito risulta pari ad Euro 153.591,99 gli acconti pari ad: Euro 2.970,30; Euro 17.823,94; Euro 8.054,46. b) detrarre l'importo degli acconti da quello del credito per ricavare il credito residuo progressivo alla data dell'illecito; nel caso di specie, il credito alla data dell'illecito è pari: detratto l'acconto del 10.02.2017, devalutato al momento del sinistro (Euro 2.970,30), ad Euro 150.621,69; detratto l'acconto del 13.09.2017, devalutato al momento del sinistro (Euro 17.823,94) ad Euro 132.797,75 detratto l'acconto del 29.10.2018, devalutato al momento del sinistro (Euro 8.054,46), ad Euro 124.743,29. c) calcolare gli interessi compensativi mediante l'individuazione di un saggio scelto in via equitativa, da applicare prima sull'intero capitale devalutato (lettera a), rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto (lettera b), rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. Nel caso di specie in forza di detta operazione: - il credito complessivo alla data del sinistro risulta pari ad Euro Euro 153.591,99 ed ha prodotto interessi e rivalutazione dalla data dell'illecito sino alla data del primo acconto del 10.02.2017 per Euro 1.640,90; - il credito residuo, detratto l'acconto del 10.02.2017 devalutato al momento del sinistro, è pari ad Euro 150.621,69: gli interessi e rivalutazione su questa somma dal 10.02.2017 sino al 13.09.2017 (secondo acconto) sono pari ad Euro 239,43; - il credito residuo, detratto l'acconto del 13.09.2017 devalutato al momento del sinistro, è pari ad Euro 132.797,75; gli interessi e rivalutazione su questa somma dal 13.09.2017 sino alla data del 29.10.2018 (terzo acconto) sono pari ad Euro 2.100,45; - il credito residuo, detratto l'acconto del 29.10.2018 devalutato al momento del sinistro, è pari ad Euro 124.743,29; gli interessi e rivalutazione su questa somma dal 29.10.2018 sino alla sentenza (31.12.2021 ultimo aggiornamento ISTAT disponibile) sono pari ad Euro 5.752,79. In conclusione l'importo residuo a titolo di danno non patrimoniale comprensivo di interessi e rivalutazione al momento dell'ultimo pagamento estintivo e detratti gli acconti corrisposti dalla compagnia assicurativa è pari ad Euro 134.476,86 (124.743,29 credito residuo al netto di acconti entrambi devalutati + rivalutazione e interessi medio tempore maturati Euro 1.640,90, Euro 239,43, Euro 2.100,45, Euro 5.752,79). Al detto importo va sottratto il valore capitalizzato della rendita INAIL imputabile al danno biologico e pari all'importo di Euro 55.593,41 come documentato. Residua pertanto un credito (danno differenziale) in favore dell'attrice a titolo di danno non patrimoniale pari ad Euro 78.883,45. 5. (...): Danno patrimoniale 5.1. Spese mediche L'attrice ha elencato nell'atto introduttivo le spese vive sostenute allegando documentazione comprovante le spese quale documento 33. La (...) ha contestato in sede di comparsa di costituzione le seguenti fatture: fattura n. 131/2017 del 29.09.2017 della dott.ssa (...) per Euro 610,00; fattura dott.ssa (...) n. 33/2017 del 6.03.2017 per Euro 366,00; fattura (...) n. 2017/7197 del 10.04.2017 per Euro 160,00; fattura 18 del 2017 Dott.ssa (...) Euro 40,00; fattura (...) n. 2017/11880 del 19.06.2017 per Euro 85,70; fattura dott.ssa Onor n. 24 del 12.12.2017 per Euro 140,00; fattura dott.ssa Onor n. 28 del 17.10.2017 per Euro 560,00; fattura Prof. (...) n. 36 del 6.02.2018 per Euro 402,00; fattura prof. (...) n. 299/2017 per Euro 402,00; fattura dott.ssa (...) n. 16/2018 per Euro 100,00; fattura moda capelli n. (...) per Euro 25,00; fattura prof. (...) n. 54 del 9.06.2018 per Euro 610,00; fattura n. 182/2018 del 21.05.2018 Euro 70,00; n. 197/18 per Euro 70,00; n. 207/18 del 6-6-2018 per Euro 70,00; n. 214/18 del 14-6-2018 per Euro 70,00; n. 224/18 del 206-2018 per Euro 70,00; n. 231/18 del 28-6-2018 per Euro 70,00; n. 249/18 del 19-7-2018 per Euro 70,00; n. 266/18 del 2-8-2018 per Euro 70,00; n. 259/18 del 26-7-2018 per Euro 70,00; n. 277/18 del 9-8-2018 per Euro 70,00; n. 287/18 del 23-8-2018 per Euro 70,00; n. 297/18 del 3-9-2018 per Euro 70,00; n. 214/18 del 13-92018 per Euro 70,00; n. 352/18 del 4-10-2018 per Euro 70,00; n. 358/18 del 12-0-2018 per Euro 70,00; n. 375/18 del 26-10-2018 per Euro 140,00; 381/18 del 13.11.2018 per Euro 140,00; 440/18 del 21.12.2018 per Euro 70,00; 09/09 del 10.01.2019 per Euro 70,00; 22/19 del 18.01.2019 per Euro 70,00; n. 33/19 del 25.01.2019 per Euro 70,00; n. 66/19 del 15.02.2019 per Euro 70,00. Con riferimento a tutte le somme indicate, in particolare, ha contestato la correlazione della spesa al sinistro, evidenziando che molte delle spese richieste non sono dovute in quanto successive al periodo di invalidità temporanea stabilito dai CTP e sostenute in assenza di prescrizione medica. Rispetto a tali somme parte attrice non ne ha dimostrato la necessità in relazione ai pregiudizi riportati in seguito al sinistro. Inoltre, dalla relazione di consulenza si evince come le uniche spese necessarie siano la prosecuzione della terapia antiepilettica e le visite specialistiche connesse entrambe coperte dal Servizio Nazionale e dall'INAIL ("è prevedibile nel futuro la prosecuzione della terapia antiepilettica (erogata dal SSN) e le visite specialistiche ad essa correlate (SSN-INAIL)". Le ulteriori spese per carburante e di viaggio sono esclusivamente elencate ed il mero richiamo alla documentazione allegata non consente la ricostruzione del nesso causale con il sinistro. Sul punto, pertanto, la domanda va rigettata. 5.2. Spese legali per l'assistenza stragiudiziale L'attrice ha inoltre chiesto il risarcimento del danno per le spese sostenute per l'assistenza legale stragiudiziale per la proposizione della querela (doc. 34) e per le trattative con l'INAIL e con la compagnia assicuratrice, allegando una spesa di Euro 7.281,00 e fatture n. 128 del 21.11.2017 e n. 129 del 21.11.2017 dell'avv. Giuseppe Russo (doc. 36). Le dette spese si considerano risarcibili essendo evidenziata un'attività stragiudiziale diversa ed ulteriore rispetto alla attività stragiudiziale strettamente connessa alla presente causa, in particolare quanto alle trattative con Inail ed all'assistenza legale nella proposizione della querela. Va, dunque, riconosciuto all'attrice l'ulteriore importo di Euro 7.281,00 a titolo di risarcimento del danno emergente. Trattandosi di importo dovuto a titolo di risarcimento del danno, vanno riconosciuti anche gli interessi al tasso di interesse legale sulla somma rivalutata anno per anno dal momento del pagamento sino alla sentenza per complessivi Euro 7.760,00. 5.3. Perdita del reddito futuro: lucro cessante e perdita di chances L'attrice ha esposto di aver riportato un danno da incapacità lavorativa specifica totale (cioè del 100%) per l'attività di baby sitter (occupazione che svolgeva antecedentemente al sinistro) e pari al 40%, cioè corrispondente alla percentuale di danno biologico allegata, per ogni altro tipo di attività, tra cui quelle confacenti alle condizioni personali e ai propri studi. Ha, chiesto, dunque liquidarsi il danno patrimoniale derivante dalle conseguenze del sinistro riportate, ipotizzando: - la continuazione dell'attività di baby sitter, dovendosi avere riguardo al reddito annuo contrattuale di Euro 800,00 per 13 mensilità con coefficiente di invalidità pari al 100%, come indicato nella relazione del dott. (...) per l'attività di baby sitter; - un livello di reddito uguale a quello del padre (come suggerito, ad esempio, da Cass. 30.9.2008 n. 24331; Cass. 15.7.2008 n. 19445), con conseguente reddito annuo di Euro 17.293,00 (cfr. CUD del padre della sig.ra (...) sig. (...) prodotto in copia al doc. 32) ipotizzando una incapacità pari al 40% per qualsiasi tipo di attività; - assumendo a reddito il triplo della pensione sociale (criterio adottabile ogni volta che non sia possibile provare in modo specifico il probabile reddito futuro, cfr. Cass. 6 agosto 2007, n. 17179; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1120; Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 7531); - ipotizzando - e si tratta del risultato obiettivamente più probabile - il compimento del corso di studi già intrapreso, e successivamente l'esercizio di una attività confacente a tali studi quale quella di psicologa e prudenzialmente un reddito di Euro 36.000 annui. Ciò posto, in via preliminare va precisato che il danno da perdita di chance è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito: o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente (secondo la regola del "più probabile che non") avrebbe realizzato, ed allora le spetterà il risarcimento del lucro cessante, ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno emergente da "perdita di chance", sempre che sia dimostrata la "serietà" della possibilità di conseguire il reddito (pur "meno probabile che non") (Cassazione civile, sez. III, 13/10/2016, n. 20630). Orbene, nel caso di specie, l'attrice ha conseguito nell'anno 2015 la Maturità presso l'Istituto d'Istruzione Superiore Lorenzo Cobianchi di (...) con votazione 73/100 (doc. 23 di parte attrice), antecedentemente al sinistro (in data 08.09.2016, proprio pochi giorni prima del sinistro) si era iscritta presso l'Università Degli Studi di Milano al corso di laurea in filosofia (doc. 24), con l'obiettivo di conseguire la laurea e specializzarsi nel settore dell'educazione e dell'assistenza ai bambini. Inoltre volgeva la professione di baby-sitter ed ha allegato che tale occupazione le avrebbe consentito il mantenimento agli studi ed una prospettiva lavorativa nel settore dell'infanzia nel futuro. Orbene, deve rilevarsi come le stesse allegazioni di parte attrice depongono nel senso della esclusione della qualificazione della domanda come da risarcimento del danno da lucro cessante per la perdita di reddito derivante dall'attività di baby sitter, avendo la stessa attrice evidenziato come non sussistano elementi per stabilire quale sarebbe stata l'attività che avrebbe svolto ed avendo, pertanto, prospettato più calcoli alternativi. D'altra parte, non ricorrono elementi per ritenere che avesse già al momento del sinistro una probabilità superiore al 50% di diventare psicologa, essendosi peraltro iscritta appena all'Università di Filosofia e non a quella di Psicologia come indicato nell'atto introduttivo ed avendo allegato di volersi specializzare nel settore dell'educazione e dell'assistenza ai bambini. Tuttavia, l'attrice già al momento del fatto svolgeva attività lavorativa e ricorrono elementi per ritenere che con elevata probabilità, certamente superiore al 50%, avrebbe svolto un'attività lavorativa dalla quale avrebbe ricavato un reddito superiore rispetto a quello già percepito al momento del sinistro ed a quello che potrà conseguire dalla propria attività lavorativa pur a seguito del sinistro. Sotto il primo profilo, risulta, infatti, che la stessa coltivava una pluralità degli interessi con ottimi risultati, con conseguenti capacità relazionali, artistiche, letterarie e cognitive, comprovate sia dalla documentazione allegata, che dalle testimonianze assunte, ed aveva già avviato un'attività di formazione universitaria compatibile con lo specifico settore di interesse. Ricorrono pertanto tutti gli elementi per ritenere che con elevata probabilità avrebbe proseguito nell'attività di crescita personale e lavorativa e che, conseguentemente, avrebbe svolto un'attività che le consentisse di ricavare un reddito superiore a quello già percepito, tenuto conto anche della giovane età al momento del sinistro e della circostanza che svolgeva attività di baby sitter in concomitanza con gli studi. Quanto al parametro di riferimento, si può quindi ritenere che con elevata probabilità l'attrice avrebbe raggiunto un'indipendenza economica dignitosa, parificabile quantomeno a quella del padre. Sotto il secondo profilo, va evidenziato che l'attrice non ha perso la possibilità di svolgere mansioni di pari livello a quelle di baby sitter ma di tipo esecutivo semplice, ovvero altre mansioni di categorie inferiori, in ogni caso non contrastanti con la personalità della medesima (come rilevato dal CTU). Sicché l'attrice non perso la possibilità di ottenere un reddito pari a quello già ricavato al momento del sinistro ma, sulla base di un giudizio probabilistico, in assenza del sinistro avrebbe con elevata probabilità, superiore al 50%, svolto un'attività maggiormente remunerativa. Pertanto, ritenuto provato che l'attrice avesse prima del sinistro la elevata probabilità di conseguire un reddito superiore rispetto a quello derivante dall'attività di baby sitter e di raggiungere un'indipendenza economica quantomeno parificabile a quella del padre e rilevato che successivamente al sinistro l'attrice conserva la possibilità di svolgere attività lavorative meramente esecutive di pari o inferiore livello rispetto a quella di baby sitter, si reputa congruo liquidare il danno da lucro cessante nella differenza tra il reddito annuo percepito dal padre dell'attrice pari a complessivi Euro 17.293,00 (1.500,00 mensili circa) e quanto l'attrice può continuare a conseguire in forza di un'attività parificabile sotto il profilo reddituale a quella di baby sitter par a complessivi Euro 10.400,00 annui. Il mancato guadagno futuro dell'attrice è dunque corrispondente all'importo di Euro 6.893,00 annui. Il lucro cessante è riferibile ad un periodo che si fa decorrere, in via equitativa, dal momento della sentenza, tenuto conto della circostanza che l'attrice presumibilmente nel corso degli anni dell'Università avrebbe continuato a ricavare un reddito pari a quello già percepito come baby sitter; il termine finale si ritiene di individuarlo al momento del presumibile pensionamento all'età di 65 anni, per una durata complessiva di 39 anni. Pertanto, la perdita del reddito futuro, che l'attrice avrebbe percepito dal 2022 fino al 65 anno di età (presumibile età del pensionamento) può essere quantificata in Euro 268.827,00 corrispondenti ad Euro 6.893,00 mensili. Tale voce di danno, determinata in forma capitale, deve essere ridotta del montante di anticipazione, ossia del vantaggio economico che la parte riceve per l'anticipazione percezione di redditi continuativi che avrebbe percepito in futuro. Sul punto, deve osservarsi che il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con r.d. n. 1403 del 1922, stante il mutamento dei due parametri di calcolo, durata probabile della vita, calcolata sulle tavole di mortalità allora in vigore e tasso di redditività, ancorato al tasso legale dell'epoca (Cassazione civile, sez. III, 14/10/2015, n. 20615). Pertanto, tenuto conto dell'inapplicabilità dei coefficienti di cui al regio decreto citato-citato - può essere utilizzato, in via equitativa, un saggio di sconto del 1,5 %, tenuto conto del tasso di inflazione e del tasso di sconto applicato ad oggi nelle transazioni commerciali. Si ha così un importo di Euro 202.410,07, attualizzato al momento della pubblicazione della presente sentenza. Al detto importo va sottratto il valore capitalizzato della rendita INAIL imputabile al danno patrimoniale e pari all'importo di Euro 44.313,60. Residua pertanto un credito (danno differenziale) in favore dell'attrice a titolo di danno patrimoniale pari ad Euro 158.096,47. Su tale importo, corrispondente alla liquidazione attuale di un danno futuro, spettano solo gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo. Complessivamente va, dunque, riconosciuto all'attrice a titolo di danno patrimoniale l'importo di Euro 165.856,47 ( Euro 7.760,00 a titolo di danno emergente per spese legali ed Euro 158.096,47 a titolo di lucro cessante per la perdita di reddito futuro). 6. Danni non patrimoniali subiti dai prossimi congiunti Venendo al danno riflesso, richiesto dai congiunti, giova premettere come sia risarcibile il pregiudizio al rapporto parentale, che si correla all'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 Cost. (Cassazione civile, sez. III, 19/08/2003, n. 12124), pregiudizio che si concreta nel radicale cambiamento dello stile di vita conseguenti al decesso o alle gravi lesioni riportate dal congiunto e nel pregiudizio morale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza interna del soggetto (cfr. Cassazione civile, sez. III, 03/04/2008, n. 8546). "In tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. In tal caso, costituendo il danno morale un patema d'animo e, quindi, una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti dell'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità"). Tanto premesso, occorre effettuare una valutazione dei pregiudizi subiti dai parenti di (...) in conseguenza delle lesioni dalla medesima riportate, tenuto conto, nella liquidazione unitaria, del rapporto esistente, delle conseguenze relazionali e della sofferenza soggettiva. 6.1. (...) e (...) (genitori) Va riconosciuto ad entrambi i genitori, (...) e (...), sia il danno dinamico relazionale, dovuto all'alterazione delle relazioni padre-madre/figlia, inevitabilmente compromesse dalla pluralità di conseguenze riportate dall'attrice nello svolgimento delle attività di vita quotidiana, tra cui in particolare rilevano i disturbi cognitivo-comportamentali rilevati dal CTU e l'epilessia parziale somato-sintomatica, sia il danno morale connesso alla sofferenza per il pregiudizio subito dalla figlia ed alla preoccupazione e conseguente turbamento, del tutto plausibili, per le future necessità di assistenza della figlia e per i riflessi anche sulle necessità di tutela dell'altro figlio, Alessio (su cui infra). Pertanto, si ritiene di riconoscere a ciascun genitore un pregiudizio pari al 15% del danno complessivo da perdita del rapporto parentale, liquidato in base alle Tabelle del Tribunale di Roma, tenuto conto dell'età della vittima e del genitore al momento del sinistro della convivenza, della circostanza che vi sono altri familiari conviventi, per complessivi Euro 47.072,01 ciascuno. Su tale importo spettano inoltre gli interessi, da calcolarsi previa devalutazione al momento del sinistro, sulla somma annualmente rivalutata dalla data del sinistro alla data della sentenza (C.u. 17.02.1995 n. 1712). L'importo complessivo è pertanto pari ad Euro 50.624,26 oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo. 6.2. (...) (fratello) Orbene quanto ai pregiudizi subiti dal minore, (...), risulta provato lo sconvolgimento delle abitudini di vita. Trattasi infatti di minore convivente con la sorella, che se ne prendeva cura in quanto dalla nascita affetto da ritardo cognitivo, ritardo grave nel linguaggio e disformismi facciali lievi con forti difficoltà nell'alimentarsi, nell'addormentarsi, così come a uscire da casa all'aperto in assenza della presenza costante dei suoi famigliari. Risulta, pertanto, del tutto attendibile quanto allegato nell'atto introduttivo in ordine alla circostanza che a causa del sinistro occorso alla sorella sia venuta meno per il fratello, (...), una garanzia di supporto per il futuro, tenuto conto anche del fatto che l'attrice non potrà svolgere più attività di assistenza, come accertato dal CTU. Risulta, inoltre, attendibile, ai fini della dimostrazione del danno morale patito dal minore in conseguenza del sinistro, quanto si legge nella relazione del Consorzio Dei Servizi Sociali del Verbano a firma dalla Prof.ssa (...), secondo la quale il minore ha riportato un pregiudizio di carattere morale in conseguenza del suo forte attaccamento alla madre ed alla necessità di quest'ultima di dedicare maggior tempo alla figlia, (...), in conseguenza delle lesioni riportate al momento del sinistro (alla fine del mese di settembre 2016 quando improvvisamente Alessio ha iniziato a non aver più voglia di venire a scuola, a piangere per tutta la durata del suo orario scolastico indicando la fotografia della mamma (Alessio usa la comunicazione aumentativa alternativa) e aspettando con agitazione che venisse a prenderlo guardando attraverso la finestra dalla quale è possibile vedere chi entra nell'edificio scolastico). La complessiva compromissione può essere stimata in una percentuale del 10% del danno complessivo da perdita del rapporto parentale, come risulta dalla applicazione delle Tabelle del Tribunale di Roma. Percentuale che si considera congrua, tenuto conto della circostanza - sotto il profilo dinamico relazionale - che si reputa provato che l'attrice avrebbe intrapreso un'attività lavorativa e che, pertanto, la possibilità di assistenza materiale in favore del fratello si sarebbe in ogni caso ridotta con il tempo, nonché - sotto il profilo morale - che il pregiudizio di carattere morale per il minore nella forma più intensa ha avuto una durata limitata - essendo riferito nella detta relazione al periodo 2016-2017, ragionevolmente in coincidenza con le maggiori necessità di cura della sorella, nonché tenuto conto della permanenza della relazione di assistenza morale e affettiva. Pertanto, considerato danno complessivo da perdita del rapporto parentale, liquidato in base alle Tabelle del Tribunale di Roma tenuto conto della convivenza, della circostanza che vi sono altri familiari conviventi e non conviventi, il danno derivante dalla lesione del rapporto parentale si liquida in Euro 20.594,00 Su tale importo spettano inoltre gli interessi, da calcolarsi previa devalutazione al momento del sinistro, sulla somma annualmente rivalutata dalla data del sinistro alla data della sentenza (C.u. 17.02.1995 n. 1712). L'importo complessivo è pertanto pari ad Euro 22.148,12 oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo. 6.3. (...) (zia) Venendo al danno non patrimoniale lamentato dalla zia della vittima, (...), le allegazioni non sono idonee ad evidenziare un pregiudizio dinamico-relazionale, essendosi l'attrice limitata ad evidenziare di aver dovuto abbandonare il lavoro con un anticipo di 42 giorni rispetto a quanto previsto per assistere i nipoti. Non si ritiene, che il detto pregiudizio superi la soglia della rilevanza dei danni non patrimoniali risarcibili. Il pregiudizio morale risulta, invece, dimostrato, tenuto conto della circostanza che la zia risulta essere sulla base delle allegazioni del ricorso introduttivo, persona presente e che ha rapporti costanti con la famiglia, tanto da aver prestato assistenza al nipote, sostituendosi ai genitori nel periodo di difficoltà legato alle necessità di cura dell'attrice; tutti indici della esistenza di una relazione stabile e continuativa e della conseguente sofferenza provata in ragione del danno riportato dall'attrice. Il danno morale si stima pertanto limitato ad una percentuale del 5% rispetto al danno complessivo da perdita del rapporto parentale, liquidato in base alle Tabelle del Tribunale di Roma, tenuto conto dell'età della vittima e della zia al momento del sinistro e della circostanza che vi sono altri familiari conviventi, per complessivi Euro 8.335,65. Su tale importo spettano inoltre gli interessi, da calcolarsi previa devalutazione al momento del sinistro, sulla somma annualmente rivalutata dalla data del sinistro alla data della sentenza (C.u. 17.02.1995 n. 1712). L'importo complessivo è pertanto pari ad Euro 8.964,70 oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo. 7. Danni patrimoniali subiti dai congiunti (...) e (...) Quanto ai danni patrimoniali richiesti da (...), l'allegazione per cui era l'unico in famiglia titolare della patente di guida che poteva accompagnare la figlia per le visite e che in ragione di ciò ha cessato anticipatamente l'attività di lavoro, risulta corroborata dalla dichiarazione del datore di lavoro prodotta in atti (attestazione del datore di lavoro (...) (doc. 44) da cui si evince che non si è recato al lavoro per otto giorni, con una perdita reddituale di complessivi Euro 613,36. Quanto al danno patrimoniale richiesto da (...) in relazione al periodo in cui, a seguito del sinistro, ha dovuto prestare assistenza al nipote Alessio, l'allegazione è riscontrata dalla dichiarazione del datore di lavoro prodotta (doc. 45). L'importo richiesto a titolo di risarcimento del danno è compatibile con la retribuzione risultante dal contratto di lavoro allegato, per complessivi Euro 1.785,00. In relazione ad entrambe le posizioni le allegazioni si considerano provate, tenuto conto anche della circostanza che l'attrice ha subito interventi medici in conseguenza del sinistro in località lontane dal luogo di residenza. 8. Conclusivamente la domanda proposta da parte attrice va accolta con il riconoscimento in favore di: a. (...) dell'importo, detratti gli importi ricevuti per la invalidità temporanea dall'Inail, gli acconti ricevuti dalla (...) ed il valore capitalizzato della rendita INAIL, di Euro 78.883,45 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 165.856,47 a titolo di danno patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; b. (...) (padre) dell'importo di Euro 50.624,26 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 613,36 a titolo di danno patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; c. (...) (madre) dell'importo di Euro 50.624,26 a titolo di danno non patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; d. (...) (fratello) dell'importo di Euro 22.148,12 a titolo di danno non patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; c. (...) (zia) dell'importo di Euro 8.964,70 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 1.785,00 a titolo di danno patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano sulla base dei parametri di cui al D.M. 55/2014 tenuto conto del valore complessivo del decisum (scaglione da Euro 260.001,00 ed Euro 520.000,00) e, tenuto conto dell'attività svolta, con applicazione dei parametri medi aumentati del 60% (come richiesto nella nota spese) in ragione della difesa svolta in favore di più parti. Le spese di CTU sono poste definitivamente per 1/2 a carico di parte attrice e per 1/2 a carico dei convenuti in parti uguali. P.Q.M. 1) Accoglie la domanda proposta da parte attrice e, dichiarata l'esclusiva responsabilità di (...) nella determinazione del sinistro dedotto in giudizio, condanna (...) Assicurazioni, (...) e (...), in solido per l'intera somma, a pagare in favore di: 1. (...), detratti gli importi ricevuti per la invalidità temporanea dall'Inail, gli acconti ricevuti dalla (...) ed il valore capitalizzato della rendita INAIL, l'importo di Euro 78.883,45 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 165.856,47 a titolo di danno patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; 2. (...) l'importo di Euro 50.624,26 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 613,36 a titolo di danno patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; 3. (...) l'importo di Euro 50.624,26 a titolo di danno non patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; 4. (...) l'importo di Euro 22.148,12 a titolo di danno non patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo; 5. (...) (zia) l'importo di Euro 8.964,70 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 1.785,00 a titolo di danno patrimoniale oltre interessi dalla sentenza al soddisfo. 2) Condanna (...), (...) e (...), in solido per l'intera somma, a rimborsare a parte attrice le spese di lite liquidate in Euro 843,00 (contributo unificato) per spese ed Euro 40.635,30 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali (15%), cpa ed IVA come per legge. 3) Pone le spese di CTU definitivamente per 1/2 a carico di parte attrice e per 1/2 a carico dei convenuti in parti uguali. Così deciso in Verbania il 16 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 17 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VERBANIA Il GOP, dott.ssa Laura Novi, pronuncia la seguente SENTENZA nella controversia civile RG. n. 670/2021, promossa da (...) (codice fiscale (...)) assistita e difese dall'avv. CA.DO. - attrice contro (...) (codice fiscale (...)) - convenuto FATTO E DIRITTO Con atto ritualmente notificato, la signora (...) ha citato in giudizio il signor (...) chiedendo che fosse dichiarato, in suo favore, l'acquisto per usucapione del bene censiti al NCT del Comune di (...) (V.) identificato al Foglio (...), Mappale (...). Il convenuto, benché regolarmente citato non si è costituito neanche per l'udienza, a trattazione scritta, del 16/09/2021. Accertata, pertanto, la regolarità della notifica della citazione (avvenuta in data 26/04/2021), con ordinanza del 17/09/2021, sciogliendo la riserva assunta alla citata udienza del 16/09/2021, il signor (...) è stato dichiarato contumace. Con la stessa ordinanza è stato ammesso l'interrogatorio formale e la prova per testi chiesti dalla difesa dell'attrice e la causa è stata, poi, differita per l'espletamento di detti incombenti, all'udienza dell'11/11/2021. All'udienza di prova, il convenuto non si è presentato per rendere l'interrogatorio formale. Accertata la regolarità della notifica del provvedimento di ammissione, questo Giudice si è riservato "... in sentenza di valutare la condotta della medesima parte convenuta ai sensi dell'art. 232 c.p.c. ...", proseguendo la trattazione dell'udienza con l'escussione dei testi, come da ordinanza del 17/09/2021. Al termine della prova il difensore di parte attrice ha chiesto di poter discutere la causa e di trattenere la vertenza in decisione, dichiarato di voler rinunciare ai termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE In via pregiudiziale, va dichiarata la contumacia del signor (...). Passando, invece, al merito si deve innanzitutto premettere che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, l'articolo 232 c.p.c. non ricollega automaticamente alla mancata risposta all'interrogatorio, per quanto ingiustificata, l'effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (tra le tante, Cass. civ., Sez. III, 14 febbraio 2007, n. 3258 in Mass. Giur. It., 2007). L'art. 232 c.p.c. deve essere perciò interpretato nel senso che la mancata risposta non può equivalere ad una confessione, ma può, comunque, assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del Giudice (art. 116 cod. proc. civ.), il quale da tale condizione può trarre, infatti, elementi di convincimento in tal senso non solo dalla concomitante presenza di elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi, ma anche dalla mancata proposizione di prove in contrario (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22407 in Mass. Giur. It., 2006). L'art. 232 cod. proc. civ., in altri termini, non determina "ficta confessio" (Cass. civ., Sez. II, 20 aprile 2006, n. 9254 in Mass. Giur. It., 2006). Proprio partendo da questo assunto, questo Giudice ritiene che la ricostruzione dei fatti allegati da parte attrice non è stata in alcun modo contestata dal convenuto che ha scelto di non intervenire nel giudizio per esporre le proprie ragioni o fornire una diversa prospettazione dei fatti. Detto comportamento ha così comportato, come inevitabile conseguenza, che la vertenza è stata decisa sulla scorta delle prove fornite da parte attrice, considerato che a carico di quest'ultima gravava solo l'onere di provare il possesso continuo, esclusivo, pubblico e pacifico, da oltre vent'anni, del terreno oggetto di causa. Prova che questo Giudice ritiene essere stata fornita dall'attrice. In virtù dell'art. 1158 del cod. civ. perché, infatti, si verifichi l'usucapione: "deve trattarsi di un possesso continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico; non occorre l'elemento soggettivo della buona fede, perché il possessore può anche essere in mala fede; deve comunque trattarsi di possesso e non di detenzione; deve trattarsi di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale; non sono suscettibili di usucapione i diritti personali, e, quindi, non possono acquistarsi per usucapione i diritti inerenti alla qualità di socio di una cooperativa; occorre che il possesso si protragga. ininterrottamente per venti anni e che sia accompagnato dall'intenzione di esercitare un potere sulla cosa, sia direttamente che tramite il detentore. Il possesso, affinché si possa pervenire all'acquisto del diritto per usucapione, deve essere continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico. Non è richiesto, dunque, il requisito della buona fede come elemento soggettivo, perché il possessore può anche essere in mala fede, fermo restando che deve comunque trattarsi di possesso e non di detenzione. L'acquisto a titolo originario per usucapione determina tuttavia la compressione di un diritto costituzionalmente garantito, ovvero la proprietà, disponendo a tal specifico riguardo la Costituzione, all'art. 42 co. 2, che "La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti". Sul punto, la Suprema Corte ha rilevato che "Con riguardo ai mezzi di prova ammessi per la dimostrazione dell'avvenuta usucapione, la giurisprudenza afferma che la prova per testimoni ben può costituire lo strumento anche unico per la dimostrazione del possesso e della maturazione del termine per l'usucapione" (Cass. Civ. 19/7/99 n. 7692). Tuttavia la Cassazione, ma anche la giurisprudenza di merito, sono, negli ultimi anni, arrivate a ritenere che una testimonianza, per quanto possa essere precisa, mai potrà essere presa in considerazione dal giudice, nel caso in cui ci siano rapporti di amicizia o inimicizia con una delle parti, e questo perché dalla prescrizione acquisitiva scaturisce la compressione di uno dei diritti costituzionali, la proprietà. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che nella valutazione delle testimonianze assunte in giudizio che si rivelino antitetiche sono da prendersi con la massima cautela, se non addirittura da escludere dalla valutazione, le prove di natura orale (Tribunale di Milano, sez. IV, 23/02/2009, n. 2433).Si ritiene dunque, principalmente, che la prova debba essere resa da un soggetto estraneo per essere ritenuta apprezzabile, essendo ormai pacifico che "Il possesso pacifico ed ininterrotto per più di venti anni di un'immobile comporta per usucapione l'acquisto della proprietà a titolo originario. È necessaria la sussistenza dell'animus domini in capo al richiedente e che sia fornita adeguata prova testimoniale del suddetto possesso da parte di terzi estranei" (Tribunale Salerno sez. II 14 giugno 2010 n. 1380). Posto che pertanto si rivela necessaria una testimonianza resa da un soggetto estraneo al rapporto, è necessario anche valutare con accortezza il contenuto della dichiarazione testimoniale. Infatti, sempre i giudici di merito, ritengono che "non basterà che l'attore sostenga, dinanzi al giudice, di possedere il bene da tempo immemorabile" (Tribunale di Cassino, sentenza 823/2011). Di conseguenza, è lecito ritenere che non solo la prova debba essere offerta da soggetti estranei al rapporto, ma è anche necessario che la testimonianza sia sufficientemente completa e che indichi con certezza il termine iniziale di decorrenza dell'usucapione non essendo minimamente idoneo l'impiego di espressioni quali "da tempo immemorabile" et similia. Nella presente controversia, parte attrice, con la deposizione testimoniale resa dal signor (...) che sentito a prova diretta sulle circostanze di fatto di cui all'atto di citazione e alle note di trattazione per l'udienza del 16/09/2021 ha dimostrato la sussistenza delle condizioni, spazio temporali, utili all'accoglimento della domanda. Al riguardo, il teste ha infatti dichiarato: "Conosco (...) da tanti anni, di vista prevalentemente. Abita nel terreno sotto la mia casa. Posso confermare di aver sempre visto, da oltre vent'anni, la signora (...), il marito ed i figli occuparsi della manutenzione del terreno e delle piante che si trovano tutte all'interno dell'area che la famiglia stessa da anni ha recintato. Non ho mai sentito di contestazioni da parte di terzi. Per me tutto ciò che si trova all'interno della recinzione di cui ho sopra riferito è sempre stato di proprietà della signora (...) e famiglia che è sempre stata tutta recintata". Mostrata al teste, nel corso dell'udienza, la planimetria - doc. 2 - prodotta dall'attrice, lo stesso al riguardo ha riferito: "riconosco la mia abitazione, che è il terreno di fronte all'abitazione della (...), abitazione che come ho già detto è tutta recintata e la cura del verde presente all'interno io l'ho sempre vista seguita dalla (...) e famiglia. Tutto ciò lo colloco temporalmente ad almeno 40 anni fa, se non di più. Un tempo nell'area c'era anche la fabbrica del marito della signora (...), per cui posso dire che tutta l'area recintata all'interno all'abitazione è sicuramente nel possesso pieno, pubblico, continuo ed esclusivo della (...) e famiglia da lunghissimo tempo, come detto prima, minimo 40 anni". La testimonianza del signor (...) ha dato piena conferma dell'assunto di parte attrice, ovvero il possesso pacifico ed ininterrotto da oltre vent'anni. La deposizione del predetto teste è, poi, apparsa particolarmente ineccepibile, trattandosi di un soggetto che non era legato da vincoli di parentela con l'attrice. Deve rilevarsi, pertanto, non contestato il possesso pacifico, continuato uti domini per oltre venti anni da parte dell'attrice del terreno oggetto di causa, possesso che è stato provato sia dalla dichiarazione del teste, sia con i documenti depositati unitamente all'atto introduttivo ed anche dal comportamento omissivo tenuto dal convenuto che ha deciso di restare contumace, accettando anche di non rendere l'interrogatorio formale. Va pertanto accolta la domanda della signora (...). Sussistono giusti motivi, anche in considerazione del comportamento del convenuto, per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. 1. dichiara la contumacia del convenuto signor (...), nato a M. l'(...) ed ivi residente in via (...) 15 (codice fiscale (...)); 2. accoglie la domanda e per l'effetto dichiara l'avvenuta usucapione ex art. 1158 c.c. in favore della signora (...) - nata a V. (V.) il (...) e residente in (...) (V.), via C. 22 (codice fiscale (...)) - l'appartenenza in proprietà esclusiva del bene immobile situato nel Comune di (...) (V.), censito nel NCT al Foglio n. (...) - Mappale n. (...); 3. dichiara la presente sentenza soggetta a trascrizione nei Pubblici Registri Immobiliari tenuti presso l'Agenzia delle Entrate - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Verbania ai sensi degli artt. 2643 e 2651 c.c.; 4. ordina al competente conservatore dei registri immobiliari di provvedere alla trascrizione della presente sentenza a favore della signora (...) (codice fiscale (...)) e della pubblicità verso i terzi in modo che la proprietà del summenzionato bene immobile risulti in capo solo alla predetta signora (...) (codice fiscale (...)); 5. spese compensate. Così deciso in Verbania il 31 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VERBANIA in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Vittoria Mingione ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 1557 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018 vertente TRA (...) s.r.l. (C.F. - P.I. (...)), in persona dell'amministratore unico sig.ra Ga.Gi. (C.F. (...)), nata (...), con sede legale in Domodossola (VB), Piazza (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Bo. (C.F. (...) - Pec (...)) e presso di lui elettivamente domiciliata nello studio legale di via (...) - Domodossola (VB) - Attore - E (...), C.F. (...), nata (...), ed ivi residente in Via (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Vi., C.F. (...), e domiciliata presso il suo studio in Domodossola, Corso (...) - Convenuto/attore in riconvenzionale - Nonché (...) - Convenuto contumace - (...) - Convenuto contumace - Oggetto: divisione di beni non caduti in successione RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. in data 8.10.2018, (...) s.r.l. ha convenuto in giudizio avanti l'intestato Tribunale (...), (...) Gianpaolo e (...) chiedendo la divisione giudiziale dell'immobile in comproprietà fra le parti identificato al N.C.E.U. del Comune di Baceno (VB), frazione Croveo, foglio n. (...), costituito da un vecchio fabbricato in pessimo stato di conservazione. Fissata l'udienza del 8.01.2019, poi differita d'ufficio dapprima al 5.02.2019 e poi al 8.02.2019, a quest'ultima udienza è stata dichiarata la contumacia dei convenuti (...) Gianpaolo e (...) e la causa è stata rinviata al 7.05.2019 per la rinnovazione della notifica nei confronti della convenuta (...). Con comparsa in data 18.04.2019 si è costituita la sig.ra (...) eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento della procedura obbligatoria di mediazione; nel merito, ha proposto domanda riconvenzionale di accertamento dell'intervenuta usucapione dell'intero bene immobile in comproprietà e, per l'effetto, ha chiesto rigettarsi la domanda di divisione. All'udienza del 7.05.2019 è stato assegnato alle parti termine di quindici giorni per l'avvio del procedimento di mediazione ed è stata fissata nuova udienza ex art. 702 bis c.p.c. al 1.10.2019. Assegnata la causa alla scrivente, all'udienza del 1.10.2019, preso atto della mancata notifica ai sensi dell'art. 292 c.p.c. della domanda riconvenzionale di usucapione ai convenuti contumaci, la convenuta/attrice in riconvenzionale è stata onerata della notifica ai medesimi entro il 15.10.2019 e l'udienza è stata rinviata al 7.02.2020. A quest'ultima udienza è stata evidenziata alle parti la necessità di produrre documentazione attestante la titolarità del bene oggetto di domanda e l'assenza di trascrizioni pregiudizievoli, oltre che la conformità catastale sotto il profilo oggettivo e soggettivo e, ritenuta la necessità di una istruttoria non sommaria, è stata disposta la conversione del rito sommario in rito ordinario e sono stati concessi alle parti i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c.. L'udienza di ammissione dei mezzi istruttori del 8.05.2020 è stata poi differita al 25.09.2020, tenuto conto della sospensione delle attività processuali per l'emergenza sanitaria, disponendone la trattazione in forma scritta ed assegnando alle parti termini per il deposito di note contenenti note di udienza. Ammesse le prove testimoniali richieste dalle parti ed escussi i testi alle udienze del 22.12.2020 e del 30.04.2021, all'udienza del 9.07.2021 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata riservata in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.. Tanto premesso, la domanda di usucapione proposta dalla convenuta in via riconvenzionale ha natura pregiudiziale, traducendosi sostanzialmente nella negazione del diritto di comproprietà sul bene oggetto di domanda di divisione della ricorrente e dei convenuti contumaci. In punto di diritto, secondo l'orientamento consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, ne una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l'usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell'atto materiale, il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva. (Cassazione civile, sez. II, 09/06/2015, n. 11903). Principio quest'ultimo che determina, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, la irrilevanza: - dell'occupazione in via esclusiva dell'immobile, potendo di per sè tale condotta essere giustificata ex art. 1102 c.c., tenuto conto del fatto che trattasi di attività esercizio di una facoltà propria non solo del proprietario, ma anche del comproprietario e potendo tale inerzia essere qualificata come una situazione di condiscendenza per la quale si tollera che altri utilizzino transitoriamente o saltuariamente la cosa propria (sul punto, Cass. 5412/15; Cass. 11419/03); - dell'esecuzione di lavori di ristrutturazione e di riparazione a proprie spese sull'appartamento oggetto di controversia (per l'irrilevanza di tali condotte ai fini dell'usucapione di un bene comune si vedano Cass. 8404/19; Cass. 24214/14; Cass. 17462/09 e dell'anticipazione di spese e di eventuali imposte Cass. 24781/17, Cass. 16841/05; Cass. 13921/02; Cass. 7075/1999; Cass. 5226/2002; Cass. 7075/1999). Infine, è pacifico che l'onere di dimostrare "la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res communis" da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui", è a carico di chi invoca la usucapione (Cass. 5412/15; Cass. 6775/12; Cass. 19478/07). In punto di fatto, la convenuta ha allegato di aver utilizzato - e, prima di lei, la madre sig.ra (...) - il bene immobile identificato al N.C.E.U. del Comune di Baceno, Frazione Croveo, foglio (...), mappale n. (...), in modo pacifico e continuato per oltre quarant'anni ad eccezione di un piccola stanza, situata al piano secondo dell'immobile, che, per accordi verbali intercorsi tra le parti era utilizzata in maniera esclusiva dai signori (...) e (...). Proprio in ragione dell'uso esclusivo fatto di questa stanza da parte dei signori (...) e (...), nel 2018, decideva di acquistare da quest'ultimi la loro quota indivisa dell'immobile con rogito notarile del 18 gennaio 2018 a firma del Notaio Dott. (...), Rep. n. 3371. Ha, dunque, evidenziato che il possesso esclusivo, pacifico, pubblico e ininterrotto per quaranta anni risulta dalle seguenti circostanze: - tutti i lavori di sistemazione del tetto e di muratura erano stati fatti eseguire, commissionati e pagati, dalla madre negli anni 1986-1987, così come gli interventi idraulici eseguiti sempre nell'anno 1986; parimenti anche i successivi lavori di sistemazione del tetto, rifacimento del bagno e collegamento alla rete idrica e fognaria, erano stati commissionati e pagati dalla sig.ra (...); - nel 2017 aveva personalmente dato incarico al Geom. (...) di procedere all'accatastamento dell'immobile, sostenendone integralmente i relativi costi; - i signori (...), le cui quote aveva acquistato nel 2018, in realtà non utilizzavano il detto locale, posto che al momento della vendita dello stesso, questi ultimi non erano nemmeno più in possesso delle chiavi per accedere al medesimo, tanto che è stato necessario arrampicarsi con una scala esterna e rompere una finestra per poter accedervi, nonché rompere e sostituire la serratura della porta interna che dava accesso agli altri locali dell'immobile; - nessun altro soggetto aveva mai avuto accesso all'abitazione, come confermato dalla domanda di avvio della mediazione presentata dall'odierna attrice (nella quale specifica di essere assolutamente impossibilitata ad accedere all'immobile, in considerazione del fatto che le chiavi di accesso all'immobile sono in possesso esclusivamente di una comproprietaria) oltre che dalla documentazione prodotta dalla ricorrente (recante una serie di lettere che confermano che l'odierna attrice, e prima di lei il sig. (...), non hanno mai potuto accedere all'interno dell'immobile perché sprovvisti delle relative chiavi); ulteriore conferma si trarrebbe dalla circostanza che nella perizia redatta dal medesimo Geom. (...) in data 15 giugno 2018 ed allegata al ricorso introduttivo non viene fatto alcun riferimento scritto o fotografico, della situazione dei locali interni del medesimo; infine che nessuno oltre la convenuta avesse le chiavi dell'immobile sarebbe confermato dagli episodi del novembre del 2017, quando non fu possibile l'accesso ai locali per la verifica di agibilità del fabbricato non essendo presente la sig.ra (...); sul punto, eccependo la incapacità a testimoniare della teste (...) (per i motivi che si esporranno a breve), ha evidenziato come alcuna rilevanza abbia la circostanza che le chiavi dell'immobile sito in Baceno frazione Croveo fossero state consegnate dalla teste al momento della conclusione dell'atto di vendita delle quote alla società (...), ovvero in data 07 febbraio 2019, trattandosi di circostanza che si era verificata in data successiva alla scadenza del termine di vent'anni, previsto per legge per poter essere dichiarato l'acquisto per intervenuta usucapione in favore della sig.ra (...); - che alcuna interruzione del possesso vi mai stata, in quanto non vi era prova del ricevimento da parte sua delle richieste della ricorrente, né potendosi considerare interruttiva la missiva del 2014, in quanto intervenuta a seguito del decorso del termine ventennale, necessario all'usucapione. Orbene, alla luce dei principi giurisprudenziali citati, deve rilevarsi, in primo luogo, che la convenuta non ha allegato alcun comportamento volto ad evidenziare in modo espresso di voler esercitare un possesso esclusivo o costituente modalità di esercizio del possesso assolutamente incompatibile con l'altrui possesso. Ulteriore corollario dei principi suesposti è la irrilevanza delle circostanze relative all'utilizzazione esclusiva dell'immobile ed alla esecuzione dei lavori di ristrutturazione (e dell'attività di accatastamento) da parte della convenuta, in quanto condotte che di per sé sono neutre ai fini della distinzione tra possesso esclusivo e compossesso e, correlativamente, ai fini del superamento della presunzione di compossesso in capo ai comproprietari. In secondo luogo, risulta smentita dalla prova per testi la circostanza che la convenuta fosse l'unica persona in possesso delle chiavi di accesso all'immobile. Sul punto giova richiamare la testimonianza resa dal teste, (...), della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, il quale ha confermato che è stato effettuato un primo accesso all'immobile, reso possibile dalla signora (...), e che, successivamente, vi è stato un secondo accesso con le chiavi in possesso del (...) a seguito dell'acquisto da parte della società ricorrente delle quote di comproprietà in capo a (...) e (...) (cfr. sul punto dichiarazione resa all'udienza del 30.04.2021 "ho sentito parlare in famiglia di questo immobile, è la casa che proviene dall'eredità di Gioconda, mia nonna e dal fratello morto in guerra; noi avevamo una piccola porzione di proprietà e ricordo che in famiglia non si riusciva a trovare una soluzione per la vendita. Mi sono recato in questo immobile in occasione della perizia, quando si è ammalorato il tetto. Prima non c 'ero mai stato, non credo mio padre avesse le chiavi. Nulla posso dire in merito a chi abitasse l'immobile per il periodo antecedente il 2018. Confermo che vi erano delle trattative per l'acquisto da parte della signora (...) delle quote della (...). Nel 2017 so che mio padre non è potuto entrare in casa perché non aveva le chiavi, in una seconda occasione siamo riusciti ad entrare perché ci ha aperto la signora (...). La casa era sicuramente arredata, nella zona giorno c 'è anche una stube, mentre la parte superiore era ammalorata. Successivamente all'acquisto da parte di (...) della quota dei (...), nel 2019 riuscimmo ad accedere sempre per la verifica del tetto con le chiavi che avevamo, presumo che le abbia consegnate la (...) a mio padre, ma non ho assistito alla consegna, né posso riferire con certezza da chi siano state consegnate. La casa era nelle stesse condizioni in cui l'avevamo già vista in precedenza". ADR. Dell'Avv. (...): preciso che mia nonna si chiamava (...), noi la chiamavamo (...). ADR Dell'Avv. (...): la casa ha accesso al piano terreno con delle cantine, una scala centrale un appartamento al primo piano e quattro stanze al secondo piano e poi vi è il sottotetto. La parte ammalorata era il sottotetto ed il balcone al secondo piano). La consegna delle chiavi da (...) a (...) al momento della compravendita delle quote è circostanza, peraltro, non espressamente contestata dalla convenuta ed è confermata dai testi, (...) e (...). Sul punto, va rigettata l'eccezione di incapacità a testimoniare in relazione ad entrambi i testimoni, in quanto l'eccezione non è stata riproposta dalla convenuta al momento della precisazione delle conclusioni e, quanto alla eccezione di incapacità a testimoniare del teste (...), neppure nella comparsa conclusionale (Cassazione civile, sez. un., 23/09/2013, n. 21670: "La nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell'art. 246 cod. proc. civ., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ.; qualora detta eccezione venga respinta, l'interessato ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo"). Peraltro, pur avendo entrambi i testimoni un interesse in causa - per essere, la prima, alienante delle quote acquistate dalla ricorrente ed, il secondo, marito della rappresentante legale della società ricorrente - la dichiarazione sull'avvenuta consegna delle chiavi si considera attendibile, tenuto conto della convergenza con quanto dichiarato dal teste (...) e della mancanza di una specifica contestazione da parte della convenuta. Ciò posto, la circostanza che la comproprietaria conservasse le chiavi dell'immobile le consentiva, in qualsiasi momento - e quindi anche in precedenza - di potervi accedere, sicché si reputa irrilevante che l'accesso riferito dai testi sia stato effettuato dopo il decorso del termine ventennale (come sostenuto dalla convenuta nella comparsa conclusionale). Anche considerando tale circostanza, pertanto, non si ravvisano elementi che inducano ritenere provata l'esclusività del possesso. Inoltre, il teste (...) ha riferito che vi erano state delle trattative per l'acquisto da parte della signora (...) delle quote della (...) e la stessa convenuta nella comparsa di costituzione ha riconosciuto di aver acquistato le quote dei (...) perché di fatto utilizzavano in via esclusiva una stanza dell'immobile oggetto di domanda. In entrambi i casi il comportamento della convenuta, pur non essendo, di per sé solo, prova del riconoscimento dell'altrui diritto sul bene, assume valore equivoco in mancanza di ulteriori circostanze da cui desumere che la convenuta si considerasse proprietaria esclusiva del bene. In conclusione, la convenuta non ha allegato precisamente quando si sia verificato un comportamento tale da manifestare in modo inequivocabile la sua volontà di mantenere un possesso esclusivo e le circostanze risultanti all'esito dell'istruttoria inducono ad escludere che avesse il possesso esclusivo dell'immobile - stante la conservazione in capo ad almeno un comproprietario delle chiavi di accesso all'immobile - ed, unitamente alla equivocità dei comportamenti tenuti dalla medesima convenuta, conducono al rigetto della domanda di usucapione. Il rigetto della domanda di usucapione determina che la causa deve essere rimessa sul ruolo istruttorio, per la verifica della titolarità dei diritti sul bene, della commerciabilità e delle modalità di divisione del bene. Le spese di giudizio vanno regolamentate con la pronuncia definitiva. P.Q.M. Il Tribunale, non definitivamente pronunciando: 1. Rigetta la domanda riconvenzionale di usucapione. 2. Dispone, con separata ordinanza, in ordine all'ulteriore istruzione della controversia, previa rimessione sul ruolo istruttorio della stessa. 3. Rinvia alla sentenza definitiva ogni decisione sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Verbania il 18 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERBANIA Il Tribunale, nella persona del giudice dr.ssa Rachele Olivero, ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile NRG 854/2018 promossa da: (...) (Cf. (...)) e (...) (Cf. (...)), elettivamente domiciliati in Milano, c.so (...), presso lo studio dell'avv. Ri.Pr. (...); attori; contro (...) (Cf. (...)), elettivamente domiciliata in Verbania, Via (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Ma. (...), che la rappresenta e difende per delega in atti; (...) (Cf. (...)), elettivamente domiciliata in Verbania Via (...), presso lo studio dell'avv. Lo.Br. (...), che la rappresenta e difende per delega in atti; convenute; e contro (...) Sa (Cf. (...), P.Iva (...), elettivamente domiciliata in Verbania, Via (...), presso lo studio dell'avv. An.Ro., rappresentata e difesa dall'avv. Ri.Ca. (...); terza chiamata (da parte di (...)); (...) S.p.A. (Cf. (...)), elettivamente domiciliata in Verbania, Viale (...) n. 9, presso lo studio dell'avv. Gi.Aq. (...), che la rappresenta e difende per delega in atti; terza chiamata (da parte di (...)). Oggetto: danno cagionato da animali. MOTIVAZIONE 1. La causa ha ad oggetto la condanna delle convenute ((...) e (...)) al risarcimento dei danni subiti dagli attori ((...) e il suo compagno (...)) in conseguenza del sinistro verificatosi in data 12/08/2016, quando il cane di razza pitbull di nome (...) - di proprietà di (...), custodito presso il rifugio amatoriale "(...)" di (...) - aggrediva la volontaria (...), "azzannandola ripetutamente dapprima all'avambraccio sinistro e poi a quello destro" (cfr. cit. p. 2). Più precisamente, secondo la prospettazione attorea, la responsabilità dell'accaduto andrebbe ascritta a (...) ex art. 2052 Cc, quale proprietaria dell'animale (cfr. doc. 2 fasc. att.), nonché a (...) ex art. 2052 Cc ovvero ex art. 2043 Cc, atteso che costei - quale custode e gestore del rifugio amatoriale "(...)" - avrebbe dovuto adottare ogni cautela per evitare e prevenire le aggressioni da parte degli animali ospiti della struttura. Al contrario, il rifugio era stato costituito "senza autorizzazione e senza che venissero approntate tutte le misure necessarie alla tutela dell'incolumità pubblica, tant'è che per detto comportamento (...) è stata anche contravvenzionata dall'ASL" (cfr. cit. p. 11 e doc. 1 fasc. att.); "non disponeva né di dispositivi di protezione individuale, né di un box sanitari, né dell'assistenza di un medico veterinario comportamentalista o di altro personale specializzato" (cfr. cit. p. 13); inoltre "nessuna indicazione venne fornita ai volontari su come condurre il cane o sulle procedure di approccio o regole di comportamento da tenere con esso", nonostante le convenute fossero a conoscenza dell'aggressività di (...) (atteso che la precedente proprietaria (...) lo aveva riferito a (...) - cfr. doc. 38 fasc. att.). In quest'ottica, gli attori hanno invocato la responsabilità extracontrattuale delle convenute chiedendo: - il risarcimento dei danni (patrimoniali e non) subiti dalla vittima (...); - e il risarcimento dei danni cd. riflessi (patrimoniali e non) subiti da (...) (convivente more uxorio della vittima, dalla quale ha avuto tre figli). In particolare, (...) ha invocato le seguenti voci di danno: - danno non patrimoniale, costituito dal danno biologico (permanente e temporaneo), con riconoscimento di personalizzazione nella misura massima; - danno patrimoniale costituto dalle spese mediche sostenute ( Euro 734,70 - cfr. doc. 36 fasc. att.), oltre alle spese per la perizia medica di parte ( Euro 300,00); - ulteriore danno patrimoniale connesso alla riduzione della capacità lavorativa domestica di (...), atteso che costei "in conseguenza delle lesioni riportate ... non è più in grado di eseguire tutte le attività che richiedono l'uso contemporaneo di entrambe le mani, quali ad esempio, manipolare una scopa o uno spazzolone, sollevare pesi, alzare le tapparelle, sollevare il cesto del bucato, stendere la biancheria, cucinare, impastare, sbucciare o tagliare la frutta, pelare le verdure, svitare i tappi ect. .." (cfr. cit. p. 17). (...) ha, invece, invocato le seguenti voci di danno: - danno riflesso non patrimoniale, per il dolore provato per la sofferenza patita dalla propria compagna nonché per lo sconvolgimento delle proprie abitudini di vita, tenuto conto che egli, per più di un anno, ha accudito la propria compagna (rinunciando a tempo libero, amici, hobbies ed anche a incontri e corsi di aggiornamento professionale) e si è preso cura da solo della casa e dei tre figli della coppia, "cercando di supplire alla mancanza della mamma" (cfr. cit. p. 18); - danno patrimoniale ( Euro 899,00) costituito dalle spese di viaggio sostenute per accompagnare la compagna alle visite di controllo (cfr. doc. 40 fasc. att.). Si è costituita (...) chiedendo, preliminarmente, di essere autorizzata a chiamare in causa la propria compagnia assicurativa ((...) Spa), al fine di essere manlevata in caso di condanna. Nel merito, (...) ha confermato di essere la proprietaria del cane autore della lesione, precisando di averlo acquistato in data 26/07/2016 da (...) (la quale "non intendeva più tenerlo - sebbene gli fosse stato detto essere un cane tranquillo - in quanto vi era incompatibilità tra il nuovo cane e quello (di medesima razza) già di proprietà della Sig.ra (...)" - cfr. comp. risp. (...) p. 4, 5) e di averlo temporaneamente lasciato "nel terreno della Sig.ra (...) nel quale erano disponibili una gabbia e tutte le altre dotazioni per custodirlo" (cfr. comp. risp. (...) p. 5), ma ha negato la propria responsabilità ex art. 2052 Cc sostenendo che il sinistro si sarebbe verificato per il fatto della stessa vittima, la quale - contravvenendo alle indicazioni ricevute dalla proprietaria (che "aveva ripetutamente e categoricamente invitato le Sig.re (...), (...) e (...) ... a non tirare fuori dal box il cane (...) e a non occuparsi di lui e ciò sia tramite messaggio vocale (...) che personalmente ... anche alla presenza del Sig. (...)" - cfr. comp. risp. (...) p. 5, 6) e in spregio "anche ai più basilari principi di prudenza e lucidità" (cfr. comp. risp. (...) p. 7)-7) - "ha volontariamente e autonomamente deciso di prendere le chiavi del lucchetto poste in luogo diverso e distante dalla gabbia in cui era tenuto il cane, di aprire lo stesso sfilando la catena che teneva chiusa la gabbia (in ferro zincato, coibentata ed a maglia fine) e di tirare fuori il cane con il guinzaglio salvo poi togliere anche il collare a strozzo" (cfr. comp. risp. (...) p. 8). Sulla base di tale premessa, (...) ha chiesto ravvisarsi nel comportamento tenuto da (...) il caso fortuito escludente la propria responsabilità. Si è costituita (...) chiedendo, preliminarmente, di essere autorizzata a chiamare in causa la propria compagnia assicurativa ((...) Spa), al fine di essere manlevata in caso di condanna. Nel merito, (...) ha escluso qualsivoglia responsabilità: - negando la configurabilità, a proprio carico, della fattispecie di cui art. 2052 Cc, non essendo ella né proprietaria né utilizzatrice dell'animale, ma "semplice proprietaria del terreno in cui il cane (...) si trovava al momento dell'evento" (cfr. comp. risp. (...) p. 9); - sostenendo che, in ogni caso, la responsabilità ex art. 2052 Cc andrebbe esclusa a fronte del comportamento colposo della vittima che "ha contravvenuto al divieto imposto dalla sig. (...) ... ha addirittura preso le chiavi della gabbia che erano custodite in un apposito cassetto in luogo lontano dalla gabbia, e quindi aperto, con molta imprudenza, la gabbia chiusa a chiave con doppio lucchetto!" (cfr. comp. risp. (...) p. 10); - negando, infine, qualsivoglia responsabilità ex art. 2043 Cc, non essendo addebitabile alcun comportamento colposo. Entrambe le convenute hanno, inoltre, contestato la quantificazione dei danni richiesti da (...) e sostenuto la carenza probatoria dei danni esposti da (...). Infine, in via subordinata, entrambe le convenute hanno chiesto l'accertamento del concorso causale dell'attrice nella causazione del sinistro con conseguente riduzione della pretesa risarcitoria attorea ex art. 1227 c. 1 Cc. Autorizzate le chiamate, entrambe le compagnie assicurative si sono costituite eccependo preliminarmente l'inoperatività delle polizze invocate dalle convenute, trattandosi di contratti a copertura dei danni derivanti da fatti rientranti nell'ambito della "vita privata" (cfr. doc. 1 fasc. terza chiamata (...); doc. 1 fasc. terza chiamata (...)) e non potendo considerarsi tale il sinistro di cui è causa, essendo avvenuto all'interno del rifugio "(...)" di (...), da considerarsi come "una vera e propria struttura commerciale" (cfr. comp. cost. (...) p. 3), come confermato anche dall'Asl nel verbale di accertamento dell'illecito amministrativo del 12/08/2016 (cfr. doc. 3 fasc. terza chiamata (...)). Inoltre, l'(...) S.p.A. ha preliminarmente eccepito la nullità ex art. 164 Cpc dell'atto di chiamata per mancanza dei requisiti di cui all'art. 163 c. 3, n. 3 e 4 Cpc, nonché per omessa indicazione dei requisiti di cui al n. 7 dell'art. 163 c. 3 (in particolare, l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme dell'art. 166 Cpc nonché i relativi avvertimenti implicanti eventuali decadenze). Nel merito, la (...) Sa ha sostenuto che la responsabilità della propria assicurata ((...)) ex art. 2052 Cc andrebbe esclusa: - sul presupposto che (...) aveva affidato il proprio animale a un soggetto terzo ((...)), titolare di una struttura attrezzata per la cura e la custodia dei cani, disfandosi in tal modo della disponibilità dell'animale; - sul presupposto che, nel momento del sinistro, l'animale era nella "totale e libera disponibilità" di (...), la quale "per la sua utilità, piacere e soddisfazione accudiva l'animale", "senza possibilità di interferenze da parte del proprietario" (cfr. comp. cost. (...) p. 7) - nonché tenuto conto del comportamento colposo tenuto da (...), la quale, conscia della pericolosità dell'animale e nonostante le fosse stato vietato di avvicinarsi, "ha volutamente accettato il pericolo" (cfr. comp. cost. (...) p. 8) di occuparsene - comportamento integrante un'ipotesi di caso fortuito. Infine, la (...) ha contestato la quantificazione dei danni richiesti da (...) e sostenuto la carenza probatoria dei danni esposti da (...). L'(...) S.p.A. ha, invece, sostenuto che la responsabilità della propria assicurata ((...)) andrebbe esclusa: - non potendosi qualificare (...) quale utilizzatrice dell'animale, essendosi limitata a fornire una gabbia alla proprietaria ((...)), la quale, pertanto, ne ha conservato l'uso e la gestione, rimanendo l'unica responsabile del cane; - nonché tenuto conto della condotta di (...), "contraria agli ordini impartiti, imprevedibile ed inevitabile" (cfr. comp. cost. (...) p. 7), integrante caso fortuito. La causa è stata istruita mediante prove orali e l'espletamento di consulenza medico legale. Nel corso del giudizio, sono stati definiti i procedimenti penali a carico delle convenute, imputate per il reato di lesioni personali gravi ai danni di (...), aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 113, 40 c. 2, 590 c. 1, 2, 3 in relazione all'art. 583 c. 1 n. 1 Cp, art. 299 D.lgs 81/2008). In particolare, con riguardo a (...), il Tribunale di Verbania (cfr. Trib. Verbania n. 651/2019 - doc. 52 fasc. att., p. 16-20) ha affermato: - che "(...) ha creato e istituito ... un rifugio-pensione "amatoriale" per cani e gatti. di cui finanziava e coordinava la gestione, coadiuvata principalmente dalle amiche (...) (...) e (...)"; - che "(...) esercitava l'attività di custodia e accudimento degli animali avvalendosi, in via stabile e continuativa, di un certo numero di volontari. che prestavano la loro opera a titolo gratuito nella struttura", tra cui (...), la quale "da gennaio 2016 ... aveva iniziato a prestare la propria attività a titolo gratuito di pulizia delle gabbie e aree comuni e accudimento degli animali", prendendo direttive da (...), a cui "relazionava giornalmente sulle incombenze eseguite"; in particolare, il 12/08/2016, (...) si recò al rifugio per pulire la gabbia di (...) proprio "su indicazione dell'imputata"; - che i poteri decisionali e di gestione della struttura erano in capo a (...), "persona a cui faceva ... capo l'associazione con scopo solidaristico in forma di comitato avente ad oggetto l'attività svolta dal rifugio"; dunque (...) esercitava, di fatto, i poteri tipici del datore di lavoro, da cui discendono gli obblighi di attuazione della normativa infortunistica, a tutela di "tutti coloro che, associati o meno, operavano all'interno della struttura, prestando attività di volontariato"; - che gli obblighi di sicurezza normativamente imposti in capo a (...) non erano stati rispettati e che l'evento lesivo ha concretizzato il rischio connesso alla regola cautelare violata. Ciò premesso, il Tribunale di Verbania, riconosciuta la posizione di garanzia di (...) secondo la clausola di equivalenza di cui all'art. 299 D.lgs. 81/2008, l'ha giudicata colpevole del reato di lesioni personali gravi ai danni di (...), aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, condannandola alla pena di otto mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Rispetto a (...), invece, il Tribunale di Verbania non ha ritenuto provata la sussistenza di una posizione di garanzia ex art. 299 D.lgs. 81/2008, atteso che "la mera circostanza che la coimputata ((...)) si facesse affiancare nella gestione del rifugio amatoriale dall'amica (...) ... non è sufficiente ... a consentire di riconoscere anche in capo a (...) (...) quell'esercizio di fatto dei poteri tipici del datore di lavoro, da cui discendono gli obblighi di attuazione della normativa anti-infortunistica aventi come destinatari i volontari, nel novero dei quali rientrava (...), eziologicamente connessi alla verificazione dell'evento lesivo" (cfr. Trib. Verbania n. 652/2019 - doc. 53 fasc. att., p. 18). Ciò premesso, il Tribunale di Verbania, pur ravvisando profili di colpa generica in capo a (...) (proprietaria dell'animale) causalmente connessi alla verificazione dell'evento -"rappresentanti in primo luogo dalle negligenti e imprudenti modalità di custodia dell'animale, lasciato nel rifugio amatoriale gestito dall'amica, frequentato da numeri volontari, senza assicurarsi che nessuno si potesse avvicinare al cane mordace. oltre che concretatisi nell'inosservanza delle regole cautelari dettate dalla L.R. n. 27 del 4.11.2009 della Regione Piemonte, che obbliga i detentori di "cane ad aggressività non controllata". a sottoporre. l'animale a visita veterinaria comportamentale, mirata ad esprimere un giudizio sulla pericolosità dell'animale .." - ha escluso la responsabilità penale dell'imputata, stante l'assenza di querela da parte della persona offesa (cfr. Trib. Verbania n. 652/2019 - doc. 53 fasc. att., p. 18, 19). Con le note scritte del 25/09/2020, la convenuta (...) ha dato atto di aver proposto appello avverso la sentenza di condanna Trib. Verbania n. 651/2019 (cfr. atto di appello allegato alle note scritte conv. (...) 25/09/2020). 2. Preliminarmente deve essere vagliata l'eccezione di nullità dell'atto di chiamata in causa della (...) S.p.A. per mancanza dei requisiti di cui all'art. 163 c. 3, n. 3, 4 e 7 Cpc. 2.1. In punto di diritto va premesso che l'art. 164 Cpc: - al c. 1 stabilisce che "la citazione è nulla ... se manca l'avvertimento previsto dal n. 7 dell'art. 163" (vizio della vocatio in ius); con la precisazione che "la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al secondo comma; tuttavia, se il convenuto deduce ... la mancanza dell'avvertimento previsto dal n. 7 dell'art. 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini" (c. 3 art. 164 Cpc); - al c. 4 stabilisce che "la citazione è altresì nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3 dell'articolo 163 ovvero se manca l'esposizione dei fatti di cui al numero 4 dello stesso articolo" (vizio della editio actionis); con la precisazione che, come affermato dalla Suprema Corte, la nullità per vizio della editio actionis si produce solo quando risulti "assolutamente" incerto l'oggetto della domanda, oppure manchi l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda, il che postula una valutazione da compiersi caso per caso, tenuto conto che l'identificazione dell'oggetto e delle ragioni della domanda va operata avendo riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e nei documenti allegati (cfr. Cass. 14071/2016; Cass. 11751/2013). 2.2. Nel caso in esame, non sussiste alcuna nullità nella citazione della terza chiamata (...) Spa, atteso che: - il vizio consistente nella mancanza dell'invito a costituirsi nei termini e dell'avvertimento sulle decadenze (previsto ai sensi dell'art. 163 c. 3 n. 7 Cpc) è stato sanato dalla tempestiva costituzione in giudizio della (...) Spa, la quale ha svolto difese anche nel merito e non ha chiesto la fissazione di una nuova udienza, sicché non può dirsi sussistente alcuna lesione al diritto di difesa; - l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda di garanzia, espletata da (...) nei confronti della (...) Spa, non può dirsi assolutamente incerta, avendo peraltro consentito l'approntamento di una compiuta linea di difesa da parte della compagnia assicurativa. L'eccezione di nullità dell'atto di chiamata della (...) S.p.A. va pertanto rigettata. 3. Sull'an debeatur. Parte attrice ha chiesto di accertare la responsabilità delle convenute ai sensi dell'art. 2052 Cc e/o dell'art. 2043 Cc e di condannarle al risarcimento dei danni "in solido o in via concorrente o via alternativa" (cfr. foglio di pc att. 19/04/2021). 3.1. In punto di diritto, va premesso che, mentre l'art. 2043 Cc richiede la presenza necessaria di un fatto che sia doloso o colposo, di un danno, qualificabile come ingiusto, e del nesso di causalità fra il fatto e il danno, l'art. 2052 c.c.; secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte a cui si ritiene di aderire, configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, a carico - in via alternativa (e non concorrente) - del proprietario dell'animale ovvero di colui che "se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso", per tale dovendosi intendere colui che, col consenso del proprietario, ed anche in virtù di un rapporto di mero fatto, usa l'animale per soddisfare un interesse autonomo, anche non coincidente con quello del proprietario (cfr. Cass. 2674/2018). Trattandosi di una responsabilità a carattere obiettivo, in punto di onere della prova, spetta al danneggiato dimostrare il danno e il nesso di causa tra l'azione dell'animale e l'evento lesivo, mentre grava sul proprietario dell'animale ovvero sul soggetto che l'abbia in uso l'onere di provare il caso fortuito, inteso quale evento esterno idoneo ad assurgere a causa esclusiva del danno, interrompendo il nesso di causalità tra l'azione dell'animale e l'evento lesivo. La prova liberatoria è dunque basata sulla dimostrazione dell'esistenza del fortuito, il quale può consistere anche nel comportamento della stessa vittima, purché avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità (cfr. Cass. 10402/2016; Cass. 8042/2016). Non può, invece, attribuirsi efficacia liberatoria alla semplice prova dell'uso della normale diligenza nella custodia dell'animale o della tendenziale mansuetudine di questo. Ove il comportamento del danneggiato non comporti l'interruzione del nesso causale lo stesso può tuttavia assumere rilievo ex art. 1227, c. 1 Cc. Più precisamente, a fronte di un comportamento incauto del danneggiato, spetta al giudice stabile se il danno sia stato cagionato dall'animale o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori, attraverso una valutazione che sottende un bilanciamento fra i doveri di precauzione del proprietario e i doveri di cautela di chi entri in contatto con l'animale. 3.2. Nel caso di specie, il Tribunale ritiene che sussistano i presupposti per affermare la responsabilità aquiliana di entrambe le convenute. Pertanto, essendo il fatto dannoso imputabile a più persone, deve trovare applicazione il principio solidaristico sancito dall'art. 2055 Cc. Più precisamente, il fatto dannoso di cui è causa risulta imputabile: - a (...) ex art. 2052 Cc, quale proprietaria del cane (...) (autore dell'aggressione), non avendo costei trasferito ad altri soggetti la facoltà di far uso dell'animale e non essendovi contestazione in ordine alla sussistenza del nesso di causa tra l'azione dell'animale e l'evento lesivo (al riguardo, il consulente d'ufficio ha confermato "la dipendenza causale, in via diretta ed immediata", della menomazione subita da (...) "dall'antecedente di rilevanza giuridica di cui si è discusso e cioè dal sinistro di cui è causa" - cfr. consulenza p. 18); - e a (...) ex art. 2043 Cc, non avendo costei adottato idonee misure per prevenire le aggressioni da parte degli animali ospiti del suo rifugio, come invece avrebbe dovuto fare in qualità di gestore del rifugio amatoriale "(...)" (responsabilità colposa omissiva). Non può, invece, ritenersi applicabile a (...) la fattispecie di cui all'art. 2052 Cc, essendosi costei limitata ad ospitare presso la sua struttura amatoriale il cane (...), su richiesta e nell'interesse della proprietaria ((...)), la quale ha mantenuto la facoltà di farne uso. Come affermato dalla Suprema Corte, infatti, il confine tra "utilizzatore responsabile" ex art. 2052 Cc ed "utilizzatore non responsabile" è dato dall'autonomia della gestione dell'animale correlata al perseguimento di un interesse autonomo da parte del terzo. In quest'ottica, la Suprema Corte ha precisato che, perché la responsabilità gravi su un soggetto diverso dal proprietario, occorre che il proprietario, "giuridicamente o di fatto si sia spogliato di detta facoltà di "far uso" dell'animale, trasferendola ad un terzo. Qualora, invece, il proprietario continui a "far uso" dell'animale, sia pure tramite un terzo, e, quindi, egli abbia ingerenza nel governo dell'animale, poiché la responsabilità per danni cagionati da animali è solo espressione del principio ubi commoda, ibi et incommoda, il responsabile del danno rimane pur sempre il proprietario" (cfr. Cass. 12307/1998) Ebbene, nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato dall'(...) Sa, non può sostenersi che (...), collocando il proprio cane (...) presso il rifugio "(...)", si sia spogliata della facoltà di "far uso" dell'animale trasferendola a (...), atteso che il mero affidamento ad un terzo, per ragioni di custodia, di un animale non implica l'attribuzione al terzo stesso del diritto di usare l'animale così come potrebbe fare il proprietario. Del resto, è la stessa (...), nei propri atti difensivi, a dare atto di aver lasciato l'animale nel terreno di (...), continuando tuttavia a dare istruzioni (sia a (...) che agli altri volontari operanti nel rifugio) sulle attività da attuarsi con l'animale stesso. Né può sostenersi, contrariamente a quanto affermato dall'(...), che fosse (...) l'"utilizzatore responsabile" dell'animale, essendosi costei limitata - in qualità di volontaria operante nel rifugio "(...)" - ad accudire (...) a titolo gratuito e nell'interesse della proprietaria (...), la quale, infatti, nei propri atti difesivi, non ha mai sostenuto di aver trasferito all'attrice la gestione dell'animale (rivendicando, al contrario, la gestione esclusiva del cane e sostenendo di aver vietato all'attrice di occuparsene). Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che "la responsabilità per i danni cagionati da animali non può imputarsi a chi utilizzi l'animale per svolgere mansioni o incarichi. che gli siano stati affidati dal proprietario dell'animale medesimo, alle cui dipendenze, o nell'interesse del quale, il primo presta la sua opera" (cfr. Cass. 10189/2010). Ne deriva che solo alla proprietaria deve riferirsi l'uso dell'animale e solo lei deve essere chiamata a rispondere ex art. 2052 Cc, sulla base della dimostrazione dell'evento dannoso e della derivazione causale di esso dall'azione dell'animale, senza la necessità di indagare in ordine alla sussistenza di profili di colpa nella custodia del cane e restando irrilevanti le considerazioni allegate dalla convenuta in ordine al carattere tendenzialmente tranquillo e non aggressivo dell'animale. Rispetto alla posizione della convenuta (...), invece, occorre accertare l'intervenuta violazione di regole precauzionali (cioè la sussistenza della colpa) e, prima ancora, la configurabilità, a suo carico, di una posizione di garanzia, tale da imporre alla stessa l'obbligo di rispettare le suddette regole. Ebbene, come anticipato, il Tribunale ritiene che le risultanze di causa dimostrino adeguatamente sia l'assunzione da parte di (...) di una precisa posizione di garanzia sia la colpa della stessa. Gli obblighi di garanzia in capo a (...) discendono dalla costituzione e gestione da parte sua di una struttura amatoriale per cani e gatti che, al di là della denominazione e qualificazione giuridica, era indubbiamente finalizzata ad offrire un servizio di custodia e accudimento degli animali, mediante l'ausilio di un gruppo di volontari coordinati e diretti dalla stessa (...). In particolare, la situazione di garanzia risulta dimostrata dalle prove raccolte nell'ambito del giudizio penale a carico di (...) - delle quali la sentenza ivi pronunciata (cfr. Trib. Verbania n. 651/2019 - doc. 52 fasc. att.) costituisce documentazione e, dunque, prova atipica utilizzabile in sede civile (cfr. Cass. 840/2015) nonché dalle prove formatesi nel presente giudizio (cfr. audizioni testimoniali udienze del 19/11/2019, 14/01/2020 e 19/02/2020), da cui si evince: - che sul terreno sito in Fondotoce loc. Pianogrande, di proprietà di (...) e del marito (...), la prima aveva costituito un rifugio amatoriale per cani e gatti; in particolare, la struttura comprendeva gabbie, box e recinti per cani, oltre a un'area per i gatti e una casetta prefabbricata in legno (ove venivano custodite le pappe e le chiavi dei lucchetti delle gabbie); - che il rifugio era stato finanziato principalmente da (...) (che si occupava anche dell'acquisto della maggior parte delle pappe), la quale lo gestiva e coordinava, anche con l'aiuto delle amiche (...) e (...); - che era (...) a decidere se e quali animali accogliere nel rifugio; in particolare, nella struttura venivano custoditi i cani della stessa (...), quelli delle sue amiche e talvolta anche randagi in attesa di adozione; - che all'interno del rifugio amatoriale operava un gruppo di volontari (tra cui anche (...)), a titolo gratuito, diretti e coordinati da (...), la quale indicava le mansioni da svolgere e forniva le chiavi del cancello d'ingresso della struttura; - che la struttura era anche aperta a visitatori esterni, atteso che all'esterno della stessa era presente un cartello con indicazione di orari e il numero di cellulare delle odierne convenute, da contattare per "info e adozioni". Ebbene, avendo (...) realizzato la suddetta struttura amatoriale e avendone assunto la gestione, ella ha preso in carico il bene protetto (l'incolumità dei soggetti che venivano in contatto con gli animali presenti nel rifugio), assumendo dunque una specifica posizione di garanzia, quantomeno per fatti concludenti, essendo irrilevante - contrariamente a quanto sostenuto da (...) - la qualifica della struttura come vero e proprio "rifugio", il numero degli animali presenti e la proprietà degli stessi ed essendo stata smentita la circostanza allegata dalla convenuta, secondo cui i cani presenti nel rifugio erano accuditi solo dai rispettivi proprietari (anche perché alcuni volontari, tra cui (...), non erano proprietari di alcun animale presente nel rifugio). Quanto alla colpa, le risultanze del processo penale e del presente giudizio dimostrano (cfr. Trib. Verbania n. 651/2019 - doc. 52 fasc. att. - e audizioni testimoniali udienze del 19/11/2019, 14/01/2020 e 19/02/2020): - che all'interno del rifugio non venivano forniti ai volontari dispositivi di protezione individuale (quali museruole, tute e guanti antimorso); - che i cani venivano accolti nel rifugio, su decisione di (...), senza previa sottoposizione a visita da parte di un medico veterinario comportamentalista volta a esprimere un giudizio sulla pericolosità degli animali; - che i volontari venivano adibiti all'accudimento degli animali senza previa adeguata formazione in punto sicurezza e rischi. In particolare, con riguardo all'evento di cui causa, è stato dimostrato come il giorno del sinistro (...) fosse stata adibita all'accudimento di (...), custodito in un box non a doppio comparto (sicché non era possibile effettuare la pulizia del box senza interagire con l'animale - cfr. deposizione teste (...), verbale udienza 14/01/2020), senza fornirle dispositivi di protezione individuale, senza invitarla a procurarseli e senza adeguata formazione in ordine alle modalità di approccio con l'animale, essendosi (...) limitata a scriverle, per sms, "non farti mordere e chiudi bene la gabbia" (cfr. doc. 43 fasc. att.). Risultano, dunque, provati tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, atteso che se (...) avesse tenuto la condotta alternativa corretta (adottando presidi di sicurezza volti a prevenire/evitare le aggressioni da parte dei cani), secondo il criterio della probabilità prevalente ('più probabile che non') che governa il principio di causalità in ambito civilistico, l'evento non si sarebbe verificato. Non può, invece, ritenersi provata la tesi sostenuta dalle convenute, secondo cui l'evento dannoso sarebbe da ascrivere esclusivamente alla condotta della danneggiata (ipotesi di caso fortuito), avendo costei violato la direttiva imposta da (...) di non occuparsi del cane (...) (divieto che, secondo la prospettazione delle convenute, sarebbe stato impartito da (...) a (...) e a tutti i volontari, tra cui (...)). L'esistenza del suddetto divieto risulta, infatti, smentita: - dal tenere degli sms scambiatesi tra (...) (con il nickname "(...)") e (...) (dall'indirizzo del compagno (...)), da cui si evince che quest'ultima era solita occuparsi (anche) del cane (...); in quest'ottica, il giorno del sinistro (12/08/2016), (...), evidentemente consapevole che (...) si sarebbe occupata di (...) e conscia della pericolosità dello stesso, la invitava a stare attenta, a non farsi mordere e a chiudere bene la gabbia (cfr. doc. 43 fasc. att.); - dalla deposizione testimoniale resa da (...) (la cui abitazione si trovava vicino al rifugio di cui è causa), il quale ha dichiarato che, "nei giorni precedenti al sinistro" gli era "capitato di vedere la (...) occuparsi del cane ((...)). Mi è capitato di vedere anche un altro ragazzo occuparsene" (cfr. verbale udienza 14/01/2020); - dalla deposizione testimoniale resa da (...) (la cui abitazione è la stessa di (...)), la quale ha dichiarato di aver visto, "nei giorni prima del sinistro ... la (...) con il cane (...) che lo portava in passeggiata. In particolare, in un'occasione ero in macchina, mi sono fermata e ho chiesto alla (...) di portare altrove il cane a fare i bisogni e non sulla mia proprietà. Ricordo di aver visto che un ragazzo e un'altra signora con il cane (...) prima del sinistro. Preciso che principalmente ho visto la (...) con il cane (...), lo portava in passeggiata spesso da sola ... So che era un cane molto forte, quando la (...) lo portava in passeggiata la trascinava" (cfr. verbale udienza 14/01/2020); - dalla deposizione testimoniale resa da (...) (padre di (...), il quale avrebbe dovuto adottare (...)), il quale ha dichiarato "mi sembra che fosse stata proprio la (...) a farmi vedere il cane" (cfr. verbale udienza 14/01/2020) - circostanza confermata anche dall'sms dell'11/08/2016, con il quale (...) scriveva a (...) "oggi è venuto il papà di (...), nei prossimi giorni verrà per portarlo fuori, gli ho detto di chiamarti per gli orari. E' già venuto altre volte lo sa tenere non preoccuparti" (cfr. doc. 43 fasc. att.); - dal fatto che il cane (...), come gli altri, veniva tenuto in un box (non a doppio scomparto), la cui chiave non era custodita da (...), ma riposta nella casetta "pappe", luogo noto e accessibile a tutti i volontari. Tali elementi probatori smentiscono la tesi delle convenute (secondo cui il giorno del sinistro (...) avrebbe deciso di occuparsi di (...) del tutto arbitrariamente e imprevedibilmente, in violazione del divieto della proprietaria che fino ad allora se ne era occupata in via esclusiva), non potendosi ritenere credibili le contraddittorie testimonianze rese dai testi di (...) e (...), atteso che: - (...) (amica di (...) e volontaria presso il suo rifugio), dopo aver affermato che, in occasione di un incontro in cui "c'eravamo io, la (...), (...) e (...)", "la (...) ... ci aveva detto di non avvicinarsi alla gabbia in cui si trovava (...) ... e che del cane se ne sarebbe occupata lei e il suo compagno", ha precisato di essersi ricordata di quest'incontro (non riferito in sede penale, ove aveva affermato di non aver mai sentito personalmente la (...) dire alla (...) di non avvicinarsi a (...) - cfr. doc. 49 fasc. att. p. 13) perché "me lo ha ricordato (...) (altro volontario) con cui ho parlato poco fa" (cfr. verbale udienza 19/11/2019); - (...) (volontario presso il rifugio di cui è causa) ha affermato di aver visto (...) "al massimo 3 volte" e che "la (...) mi ha detto che non dovevo interagire con il cane (...) che era suo e del suo compagno. Mi ha detto che se ne sarebbe occupata solo lei e il suo compagno ... c'eravamo io, (...), la (...) e mi sembra anche (...)" (cfr. verbale udienza 19/11/2019), contraddicendosi rispetto a quanto riferito in sede penale, ove aveva dichiarato di aver visto (...) "forse una volta" e che non era "stato proprio detto: "non ti avvicinare", però stavamo facendo sempre familiarità con i cani, quindi essendo io un po' inesperto cioè non potevo subito entrare da un cane che non conoscevo" (cfr. doc. 49 fasc. att. p. 23, 24). - (...) (compagno di (...)) ha affermato che lui stesso e la sua compagna (...) "avevamo detto di non toccare il cane (...) perché ce ne saremmo occupati solo io e la mia compagna ... c'eravamo io, (...), (...) e la (...)" (cfr. verbale udienza 19/11/2019), contraddicendosi rispetto a quanto affermato in sede penale, ove invece aveva dichiarato che solo la sua compagna aveva dato la suddetta direttiva di non occuparsi di (...) (in particolare, alla specifica domanda del giudice "gliel'ha data la sua compagna o gliel'ha data lei?' ha risposto "l'ha data la mia compagna ... non ero presente", precisando di esserne a conoscenza "perché me l'ha detto" - cfr. doc. 50 fasc. att. p. 12); - (...), dopo aver riferito di essere proprietario di due cani custoditi nel rifugio amatoriale "(...)", di non essere un volontario e di occuparsi solo dei suoi cani (portandoli a pernottare nel rifugio per poi prenderli alle 6 del mattino e portarli in montagna con le pecore fino alle 5 del pomeriggio), ha dato atto che anche lui sarebbe stata data la direttiva di non occuparsi di (...) ("nell'occasione ... c'eravamo io, la (...), la (...), la (...) e la (...)") (cfr. verbale udienza 14/01/2020), circostanza singolare non essendo egli un volontario e peraltro priva di riscontri, atteso che nessuno degli altri testimoni ha riferito che il divieto di avvicinarsi al cane (...) fosse stato dato anche a soggetti non volontari (come (...)); - (...) (madre di (...)) si è limitata a dare atto che "la (...) e la (...) mi dissero di non avvicinarmi alla gabbia di (...)" (cfr. verbale udienza 19/02/2020), senza tuttavia nulla riferire in ordine a (...) (che ha dichiarato di non conoscere). Conseguentemente, deve escludersi che il comportamento di (...) abbia interrotto il nesso eziologico tra l'evento lesivo, l'azione dell'animale di proprietà di (...) e le omissioni colpose imputabili a (...) quale gestore del rifugio in cui era custodito l'animale. Ferma la responsabilità di (...) ex art. 2052 Cc e di (...) ex art. 2043 Cc, deve tuttavia riconoscersi un concorso di colpa della vittima ex art. 1227 c. 1 Cc, essendo innegabile il comportamento imprudente di (...), la quale - nonostante fosse a conoscenza della pericolosità dell'animale (la stessa, infatti, in sede penale ed anche nel presente processo, ha dichiarato che, la sera prima del sinistro, aveva informato (...) che il giorno seguente si sarebbe limitata a pulire il box di (...), senza portarlo in passeggiata, e questo poiché l'animale, nei giorni precedenti al sinistro, aveva dato segni di irrequietezza nonché di aggressività tentando di mordere la proprietaria, (...) e addirittura mordendo (...) alla spalla sinistra provocandole un ematoma-ematoma - cfr. cit. p. 2, doc. 3, 4, 52 fasc. att.) - ha comunque deciso di aprire da sola la gabbia di (...) per la pulizia quotidiana, senza adottare alcuna cautela (quale, ad esempio, munirsi di indumenti imbottiti). Una condotta più avveduta e accorta, infatti, avrebbe consentito a (...) quantomeno di ridurre le conseguenze dell'evento lesivo (ad esempio, gli indumenti imbottiti avrebbero potuto limitare le lesioni, mentre la presenza di un'altra persona avrebbe potuto garantire alla vittima un soccorso più tempestivo ed efficace), sicché deve ravvisarsi un concorso di colpa quantificato nella misura del 20%. 4. Sul quantum debeatur. Occorre, a questo punto, individuare le conseguenze dannose (cd. danno conseguenza) risarcibili, nel senso che occorre chiedersi quali pregiudizi (patrimoniali e non) siano causalmente riconducibili al sinistro. 4.1. Danno non patrimoniale subito da (...). Con riguardo al danno alla salute va premesso che tale danno va inteso quale "lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato" (cfr. art. 138, 139 D.lgs. 209/2005, Cod. Ass.). Ne deriva che il danno biologico risarcibile è solo quello suscettibile di accertamento medico legale, il che significa che l'accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali. Nel caso di specie, il consulente d'ufficio ha riconosciuto a (...) (cfr. consulenza p. 20,21): - un danno biologico permanente (I.P.) pari al 27-28%, tenuto conto dei postumi permanenti stabilizzati "consistenti in un deficit muscolo-tendineo e cutaneo dell'avambraccio sns, con perdita di sostanza, gravemente disestetici e fonte di deficit funzionali d'arto, associati a lesione cicatriziale cutanea avambraccio dxt solo parzialmente disestetica e disfunzionale"; - un danno biologico temporaneo (I.T.) quantificabile in termini di invalidità temporanea assoluta (del 100%) per giorni 54 (in ricovero), del 75% per giorni 45, del 50% per giorni 60 e del 25% per ulteriori 60 giorni. Tali conclusioni - rispetto alle quali solo il Ctp della (...) Sa si è discostato (quantificando i postumi permanenti nella misura del 22%) - sono pienamente condivisibili in quanto basate su un completo esame anamnestico e su criteri medico-legali immuni da errori o da vizi (mentre, come affermato dal Ctu, il riduzionismo valutativo proposto dal Ctp della (...) Sa non risulta adeguato alla menomazione subita da (...) - cfr. risp. del Ctu alle osservazioni dei Ctp p. 30). Pertanto - in base all'edizione 2021 delle Tabelle milanesi (seguendo l'insegnamento della Suprema Corte, secondo cui "se le "tabelle "applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale.. cambino nelle more tra l'introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d'appello) ha l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione" - cfr. Cass. 7272/2012) - il danno biologico permanente, considerata l'età della danneggiata al momento del verificarsi del fatto dannoso (46 anni) e la percentuale di invalidità del 27,5%, va liquidato in Euro 123.926,00, mentre il danno da invalidità temporanea, considerato l'importo di Euro 99,00 al giorno, è pari a complessivi Euro 13.142,25 (di cui Euro 5.346,00 per inabilità temporanea del 100% per 54 giorni; Euro 3.341,25 per inabilità temporanea del 75% per 45 giorni; Euro 2.970,00 per inabilità temporanea del 50% per 60 giorni; Euro 1.485,00 per inabilità temporanea del 25% per 60 giorni). La difesa attorea ha poi chiesto un incremento dei valori tabellari a titolo di personalizzazione. A questo proposito è necessario premettere che, con le note sentenze delle Sezioni Unite del novembre del 2008 (sentenze dell'11/11/2008, nn. 26972 - 26975), si è chiarito che "il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale". Da un lato, dunque, il danno non patrimoniale (nelle varie sottocategorie in cui è stato variamente suddiviso) deve essere integralmente risarcito in tutte le sue componenti, dall'altro, tuttavia, sono banditi tutti i precedenti automatismi tali da condurre ad indebite duplicazioni. Quanto all'incidenza dinamico relazionale, alla luce della definizione del danno biologico espressa agli art. 138 e 139 D.lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private) quale "lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito", si è pacificamente attribuita al danno biologico portata tendenzialmente omnicomprensiva. Inoltre, nell'elaborazione dell'Osservatorio del Tribunale di Milano che ha portato all'approvazione delle tabelle del 2009, da ultimo aggiornate nel 2021, alla luce dei principi espressi dalla Corte di Cassazione, si è proposto un adeguamento dei valori di liquidazione del danno non patrimoniale aumentando il valore del punto in modo da comprendervi la liquidazione congiunta sia del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale", comprensiva dei risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi, sia del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione, vale a dire - si legge nella relazione esplicativa delle tabelle - "la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di: c.d. danno biologico "standard", c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico, c.d. danno morale". Rispetto a tali valori è poi prevista una percentuale di aumento da utilizzare per una adeguata "personalizzazione" complessiva "laddove il caso concreto presenti la peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato". Poiché, dunque, nel valore del punto si è già tenuto conto della liquidazione unitaria dell'unico danno non patrimoniale comprensivo dei diversi pregiudizi che lo compongono (quali in precedenza etichettati come danno morale, esistenziale, alla vita di relazione ecc.) nella misura presuntivamente correlata alla menomazione accertata in relazione all'età della vittima, la maggiorazione ulteriore a titolo personalizzazione richiede l'esistenza di specifiche circostanze ulteriori idonee a differenziare il caso rispetto a quelli analoghi, provocando una sofferenza o una compromissione della vita di relazione e dell'esistenza maggiore rispetto a quelle provocate da analoghe lesioni su un'altra persona della stessa età. Nella specie, il Tribunale ritiene che vi siano due peculiarità da valorizzare: - il disagio della vittima nello svolgimento delle ordinarie attività della vita e dell'attività domestica; trattasi del cd. danno da lesione della cenestesi, cioè la compromissione della sensazione di benessere da riconoscersi sia rispetto allo svolgimento delle attività domestiche (tenuto conto che (...) è casalinga) sia rispetto alle ordinarie attività della vita, come affermato dal Ctu (cfr. consulenza p. 21, 22); - la compromissione delle attività "realizzatrici della persona umana in relazione all'espressione e realizzazione della propria personalità nel mondo esterno", rispetto alle quali il Ctu ha riconosciuto "la sussistenza di un pregiudizio capace di ostacolare concretamente e permanentemente" le suddette attività, "inducendo nel futuro la persona stessa a scelte di vita diverse e riduzionistiche rispetto a quelle che avrebbe potuto compiere senza la menomazione" (cfr. consulenza p. 22). Tali aspetti peculiari del danno non patrimoniale devono essere liquidati attraverso un appesantimento del risarcimento del danno biologico, in via di personalizzazione, che si ritiene equo riconoscere nella misura del 20% del danno biologico permanente ( Euro 24.785,20). Il danno non patrimoniale totale è dunque pari a Euro 161.853,45 ( Euro 123.926,00 per I.P. + Euro 24.785,20 per personalizzazione del 20% + Euro 13.142,25 per I.T.). Poiché la liquidazione del danno non patrimoniale è stata effettuata sulla base delle Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano secondo gli importi aggiornati (edizione 2021), il totale riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale non deve essere ulteriormente incrementato della rivalutazione, ma del solo lucro cessante per compensare la mancata disponibilità della somma alla data del sinistro, liquidato in via equitativa attraverso l'attribuzione degli interessi legali i quali, al fine di evitare l'ingiustificata locupletazione della parte creditrice (secondo i principi espressi dalla nota sentenza n. 1712 del 17/02/1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione), devono essere calcolati sul capitale devalutato alla data del sinistro e rivalutato in base agli indici Istat anno per anno dalla data dell'evento dannoso alla data della presente sentenza. Deve dunque riconoscersi a (...) una liquidazione del danno non patrimoniale pari a Euro 161.853,45 in linea capitale, che devalutati al momento del sinistro (12/08/2016) e maggiorati di interessi compensativi all'attualità ( Euro 2.072,74), portano alla somma di Euro 163.926,19. Il totale liquidato deve poi essere decurtato del 20% per il concorso a carico di (...) con un residuo dovuto pari a Euro 131.140,95.; su tale importo maturano gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. 4.2. Danno patrimoniale subito da (...). Le spese mediche sono state ritenute congrue e giustificate dal Ctu per l'intero importo esposto dall'attrice, pari a Euro 734,70 (cfr. doc. 36 fasc. att.). Le spese sostenute per la consulenza di parte ( Euro 300,00 - cfr. doc. 35 fasc. att.) vanno, invece, comprese fra le spese processuali, avendo natura di allegazioni difensive tecniche, necessarie al fine di assicurare alla parte il diritto di difesa (cfr. Cass. 9549/2009; Cass. 3716/1980). Conseguentemente verranno prese in considerazione nell'ambito della liquidazione delle spese di lite. Quanto all'ulteriore danno patrimoniale allegato da parte attrice "per la riduzione della propria capacità lavorativa domestica" (cfr. cit. p. 17), si osserva che la casalinga può subire un danno patrimoniale quando, a causa delle lesioni, è costretta o a rinunciare alla propria attività, perdendo le utilità materiali che da essa traeva, ovvero - per godere di tali utilità - a pagare una collaboratrice domestica. Al di fuori di queste ipotesi, la maggiore difficoltà nello svolgimento delle attività domestiche può costituire soltanto danno alla cenestesi lavorativa, della quale tenere conto in sede di liquidazione del danno alla salute. Ebbene, nel caso di specie, dalla relazione peritale si evince che la lesione alla salute subita da (...) non le ha precluso lo svolgimento della propria attività di casalinga, che è stata mantenuta, seppur con "un plausibile disagio alla cenestesi nelle gestualità occupazionali" (cfr. consulenza p. 21). Se ne deriva che non può riconoscersi a (...) alcun danno patrimoniale da riduzione della capacità domestica, dovendosi riconoscere la sola lesione della cenestesi lavorativa, danno non patrimoniale che è stato considerato mediante il riconoscimento della suesposta personalizzazione del danno biologico permanente. Ne deriva che la liquidazione del danno patrimoniale è pari a Euro 734,70, da decurtare del 20% per il concorso a carico di (...) con un residuo dovuto pari a Euro 587,76. Trattandosi di debito di natura risarcitoria, e dunque di valore, tale importo, deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat (così da reintegrarne il valore iniziale, compensando la successiva perdita del potere d'acquisto della moneta) e del lucro cessante, in via equitativa, attraverso l'attribuzione degli interessi legali i quali, al fine di evitare l'ingiustificata locupletazione della parte creditrice (secondo i principi espressi dalla nota sentenza n. 1712/1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione), devono essere calcolati sul capitale originario rivalutato anno per anno dal momento di ogni singolo esborso. L'importo finale ottenuto deve poi essere maggiorato, convertendosi in debito di valuta, degli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo effettivo. 4.3. Danno non patrimoniale subito da (...). (...), in qualità di compagno di vita della vittima (da cui ha avuto tre figli), ha invocato il risarcimento dei danni non patrimoniali "riflessi", derivanti dalla sofferenza morale patita e dallo sconvolgimento delle proprie abitudini di vita per più di anno. In punto di diritto, va premesso che la questione della risarcibilità danno non patrimoniale ai congiunti della vittima è stata risolta dall'intervento delle Sezioni Unite (cfr. Cass. Su 9556/2002), le quali hanno stabilito che anche i prossimi congiunti della vittima primaria di lesioni personali hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistente nel dolore e nell'afflizione provati per la sofferenza del proprio caro, precisando che non si tratta di un danno "da ribalzo", ma di un danno immediato e diretto, come tale risarcibile sia in base all'art. 40 Cp sia in base all'art. 1223 Cc, non essendo di ostacolo gli artt. 2059 Cc e 185 Cp, perché la persona danneggiata del reato non deve necessariamente coincidere con il titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice. Quanto alla prova del danno in questione, essenzialmente presuntiva, occorre in primo luogo tenere conto dell'entità delle lesioni patite dalla vittima primaria, le quali devono essere di una certa gravità, tale da poter raggiungere la soglia della meritevolezza, al di sotto della quale l'ordinamento non può apportare tutela (cfr. Cass. 10816/2004, secondo cui, "ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale, a condizione che si tratti di lesioni seriamente invalidanti, giacché lesioni minime o prive di postumi non rendono configurabile una sofferenza psicologica inquadrabile nella nozione di danno morale"). In ordine alla liquidazione occorre tenere conto: del grado di invalidità patito dalla vittima primaria, del grado parentela tra la vittima primaria e quella secondaria, del mutamento delle condizioni e della qualità della vita della vittima secondaria. Recentemente, la Suprema Corte ha ribadito che "il familiare di una persona lesa dall'altrui condotta illecita può subire un pregiudizio non patrimoniale che può assumere il duplice aspetto della sofferenza soggettiva e del conseguito mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, la cui prova può essere data anche mediante l'allegazione di fatti corrispondenti a nozioni di comune esperienza, e che deve essere integralmente risarcito, ove ricorrano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione" (cfr. Cass. 25843/2020 e, in termini analoghi, anche Cass. 28220/2019). In applicazione di tali principi di diritto, nel caso di specie, il Tribunale ritiene che debba essere riconosciuto a (...) il risarcimento del danno non patrimoniale subito quale vittima secondaria del sinistro, atteso che: - da un lato, è presumibile che un sinistro come quello in oggetto abbia suscitato impressione e commozione nel compagno della vittima; - dall'altro lato, le testimonianze assunte hanno confermato che (...), dopo l'evento lesivo subito dalla compagna, per un anno/un anno e mezzo circa, ha significativamente cambiato le proprie abitudini di vita. In particolare, (...) ha assistito la propria compagna durante il ricovero ospedaliero lontano dall'abitazione familiare (al Cto di Torino) e poi durante la riabilitazione, accompagnandola in Ospedale ad Omegna ed anche alle visite di controllo a Torino e Vercelli. Inoltre, nel medesimo periodo, egli si è occupato dei tre figli della coppia nonché delle faccende domestiche (coadiuvato solo in parte da Roberta (...), sorella di (...)), rinunciando completamente al proprio tempo libero e sottraendo tempo anche al proprio lavoro (cfr. deposizioni testimoniali di Roberta (...) e (...) Ferrari, udienza del 9/02/2021). Alla luce di tali circostanze - e tenuto conto del grado di invalidità patito dalla vittima primaria - si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale subito da (...), l'importo di Euro 16.392,62 - pari al 10% del danno non patrimoniale liquidato a (...) - da decurtare del 20% in ragione dell'accertato concorso colposo della vittima primaria, per un importo residuo di Euro 13.114,09, oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. 4.4. Danno patrimoniale subito da (...). È altresì risarcibile il danno patrimoniale invocato da (...), per le spese di viaggio e di parcheggio sostenute dallo stesso per accompagnare (...) alle visite di controllo, come documentate dagli attori (cfr. doc. 40 fasc. att.) e non specificamente contestate dalle convenute. In particolare, l'importo esposto di Euro 899,00 deve essere decurtato del 20% in ragione dell'accertato concorso colposo della vittima primaria, per un importo residuo di Euro 719,20. Trattandosi di debito di natura risarcitoria, e dunque di valore, tale importo, deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat (così da reintegrarne il valore iniziale, compensando la successiva perdita del potere d'acquisto della moneta) e del lucro cessante, in via equitativa, attraverso l'attribuzione degli interessi legali i quali, al fine di evitare l'ingiustificata locupletazione della parte creditrice (secondo i principi espressi dalla nota sentenza n. 1712/1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione), devono essere calcolati sul capitale originario rivalutato anno per anno dal momento di ogni singolo esborso. L'importo finale ottenuto deve poi essere maggiorato, convertendosi in debito di valuta, degli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo effettivo. 5. Quanto alle domande di manleva proposte dalle convenute, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inoperatività delle polizze, sollevate da entrambe le compagnie assicurative chiamate in causa, sul presupposto che il sinistro non sarebbe accaduto nell'ambito della vita privata. In particolare, la polizza "RC famiglia", contratta da (...) con la (...) Sa, "compre i danni causati a terzi dal Contraente e famigliari conviventi ... in relazione a fatti della vita privata ... esclusi i rischi inerenti ad attività professionali, commerciali o artigianali e comprende, a titolo esemplificativo, i danni causati: ... 13) proprietà di cani, anche in consegna temporanea a terzi, per conto del Contraente, purché detti terzi non svolgano per professione tale attività" (cfr. doc. 1 fasc. terza chiamata (...)). In termini simili, la polizza "multirischi dell'abitazione", contratta da (...) con l'(...) Spa, nella parte relativa alla responsabilità civile, all'art. 1.1 della Sezione 1 (Garanzia Base), stabilisce, che "la compagnia si obbliga a tenere indenne l'assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento ... di danni involontariamente cagionati a terzi, per morte, lesioni personali e danneggiamenti a cose, in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi nell'ambito della vita privata" e all'art. 1.2. precisa che "l'assicurazione R.C.T. non comprende i danni ... g) derivanti dall'esercizio di attività professionali e lavorative". Rispetto ai "danni cagionati da cani", al paragrafo 705 della Sezione 2 "Condizioni particolari" si legge che "a parziale deroga dell'art. 1.2 lettera o) della sezione Garanzia Base (che esclude la copertura per i danni derivanti dalla proprietà o custodia di cani, cavalli o altri animali non domestici e da cortile) l'assicurazione viene prestata per i danni cagionati dalla proprietà e/o custodia di cani" (cfr. doc. 1 fasc. terza chiamata (...)). Quest'ultima condizione, contrariamente a quanto sostenuto dagli attori, non può essere considerata singolarmente, dovendosi necessariamente tenere conto delle condizioni generali di cui alla Sezione 1 "Garanzia Base", ove il rischio assicurato è delimitato "nell'ambito della vita privata" (Sezione 1, art. 1.1 lett. a), limite in alcun modo derogato dal paragrafo 705 della Sezione 2, che si limita a prevedere una parziale deroga all'esclusione di cui all'art. 1.2 lett. o). Pertanto, rispetto ad entrambe le polizze, al fine di stabilirne l'operatività, occorre preliminarmente chiarire il significato delle locuzioni "vita privata" e "attività professionale". Ritiene il Tribunale che per "vita privata" debba intendersi tutto ciò che può accadere alla famiglia, dentro e fuori delle mura domestiche. Devono, pertanto, ritenersi ricompresi nell'ambito della "vita privata' tutti gli aspetti e contesti esistenziali non esulanti dalla sfera personale e familiare (oltre che domestica) dell'assicurato, senza che venga necessariamente in rilievo il luogo dove si è verificato il rischio assicurato. Come si evince dalle polizze citate, anche la proprietà e/o custodia di cani (per definizione animale domestico) costituisce una modalità di estrinsecazione della "vita privata", a meno che tale custodia sia svolta "per professione". Un'attività è professionale se è svolta in maniera stabile e non occasionale, con la precisazione che non occorre che si tratti dell'unica attività svolta dal soggetto o della sua attività principale, perché può anche trattarsi di un'attività svolta in via accessoria o marginale rispetto ad altre attività che rappresentino la principale occupazione del soggetto. Irrilevante è poi lo scopo di lucro, trattandosi del mero movente soggettivo che induce il soggetto ad esercitare la propria attività. Se ne deriva che l'assenza di tale scopo non può, di per sé solo, escludere il carattere professionale dell'attività svolta. In applicazione di tali principi, nel caso di specie, è indubbio che l'attività di custodia e accudimento di cani e gatti offerta da (...) avesse carattere professionali, essendo stata esercitata in maniera stabile e non occasionale. Ella, infatti, ha costituito un vero e proprio rifugio che, seppur amatoriale, era dotato di una propria struttura fissa (costituita da gabbie, box, recinti, area per gatti e una casetta per le pappe), aperta anche ai visitatori esterni, ed aveva altresì una propria organizzazione, facente capo alla stessa (...), la quale decideva se e quali animali accogliere e coordinava un gruppo di volontari. Inoltre, le indagini penali hanno dimostrato come (...) svolgesse una frenetica attività di acquisto e cessione di cani, presumibilmente ospitati anche solo temporaneamente presso il rifugio di cui è causa; in particolare è emerso che (...) ha registrato all'anagrafe canina ben 45 movimenti dal 5/05/2017 al giugno 2017, mentre (...) (che coadiuvava l'amica nell'ambito del rifugio) ben 27 nelle medesime date (cfr. doc. 52 e 53 fasc. att.) - circostanza confermata anche dal teste (...), seppur indicando numeri inferiori (cfr. verbale udienza 14/01/2020). Deve, pertanto, escludersi che la custodia e l'accudimento del cane (...) presso la struttura "(...)" si sia realizzata quale modalità estrinsecazione della vita privata, trattandosi di un'attività stabile, organizzata con la predisposizione delle strutture necessarie per il servizio oggetto dell'attività e con il coordinamento dei volontari operanti all'interno del rifugio. Ne deriva che non può operare la copertura assicurativa invocata da (...) (atteso che il sinistro si è verificato nell'ambito di una sua attività professionale) né quella invocata da (...) (avendo ella consegnato il proprio cane (...) presso il rifugio di (...), la quale svolgeva un'attività professionale). 6. Le spese di lite, nei rapporti tra gli attori e le convenute, vengono compensate nella misura del 20% (tenuto conto del concorso di colpa accertato a carico della vittima); il restante 80% viene posto a carico solidale delle convenute e liquidato, in base ai valori medi ex Dm. 55/2014 (scaglione da Euro 52.000,00 a Euro 260.000,00, tenuto conto di quanto concretamente riconosciuto a parte attrice, dunque in base al decisum e non al petitum), nei seguenti importi: Euro 1.944,00 per la fase di studio, Euro 1.240,00 per la fase introduttiva, Euro 4.320,00 per la fase istruttoria, Euro 3.240,00 per la fase decisionale, per un totale di Euro 10.744,00, aumentato del 20% (Euro 2.148,80) per l'assistenza legale a due soggetti (art. 4 c. 2 Dm. 55/2014), oltre a Euro 495,68 per spese documentate (80% di Cu + marca + spese di notifica + spese intimazioni testi) e Euro 240,00 per accertamenti tecnici medico legali specialistici necessari per redigere l'atto di citazione (80% della somma di Euro 300,00, esposta al doc. 35 fasc. att.), oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% (ex art. 2, c. 2 Dm 55/2014), Iva se dovuta e Cpa come per legge. Nei rapporti tra la convenuta (...) e la (...) Sa, le spese seguono la soccombenza di (...) e vengono liquidate, in base ai valori medi ex Dm. 55/2014 (scaglione da Euro 52.000,00 a Euro 260.000,00), nei seguenti importi: Euro 2.430,00 per la fase di studio, Euro 1.550,00 per la fase introduttiva, Euro 5.400,00 per la fase istruttoria, Euro 4.050,00 per la fase decisionale, per un totale di Euro 13.430,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% (ex art. 2, c. 2 Dm 55/2014), Iva se dovuta e Cpa come per legge. Nei rapporti tra la convenuta (...) e l'(...) Spa, le spese seguono la soccombenza di (...) e vengono liquidate, in base ai valori medi ex Dm. 55/2014 (scaglione da Euro 52.000,00 a Euro 260.000,00), nei seguenti importi: Euro 2.430,00 per la fase di studio, Euro 1.550,00 per la fase introduttiva, Euro 5.400,00 per la fase istruttoria, Euro 4.050,00 per la fase decisionale, per un totale di Euro 13.430,00 per compensi e Euro 6,50 per spese documentate (intimazione teste), oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% (ex art. 2, c. 2 Dm 55/2014), Iva se dovuta e Cpa come per legge. Le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come liquidate in corso di causa, vengono definitivamente poste a carico degli attori nella misura del 20% e a carico delle convenute nella misura del restante 80%. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione, deduzione, accerta che il sinistro occorso in data 12/08/2016 è ascrivibile a (...) e a (...) nella misura dell'80% e alla vittima (...) nella misura del 20%; condanna (...) e (...), in solido, a pagare a (...): - a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale: Euro 131.140,95, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo; - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale: Euro 587,76, oltre rivalutazione monetaria e interessi dal momento di ogni singolo esborso alla data della presente sentenza e oltre interessi legali dalla data della presente sentenza sino al saldo effettivo; condanna (...) e (...), in solido, a pagare a (...): - a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale: Euro 13.114,09, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo; - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale: Euro 719,20, oltre rivalutazione monetaria e interessi dal momento di ogni singolo esborso alla data della presente sentenza e oltre interessi legali dalla data della presente sentenza sino al saldo effettivo; condanna (...) e (...), in solido, a rimborsare a (...) e a (...) l'80% delle spese di lite che liquida in Euro 13.628,48 (di cui Euro 12.892,80 a titolo di compensi e Euro 735,68 a titolo di spese documentate), oltre rimborso forfettario del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; il restante 20% viene compensato tra gli attori e le convenute; condanna (...) a rimborsare alla (...) Sa le spese di lite che liquida in Euro 13.430,00, oltre rimborso forfettario del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; condanna (...) a rimborsare all'(...) S.p.A. le spese di lite che liquida in Euro 13.436,50 (di cui Euro 13.430,00 per compensi e Euro 6,50 per spese documentate), oltre rimborso forfettario del 15%, Iva se dovuta e Cpa come per legge; pone le spese di Ctu, come liquidate in corso di causa, definitivamente a carico degli attori nella misura del 20% e a carico delle convenute nella misura del restante 80%. Così deciso in Verbania il 30 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI VERBANIA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il GOP, dott.ssa Laura Novi, pronuncia la seguente SENTENZA nella controversia civile RG. n. 117/2020, promossa da (...) S.r.l. (codice fiscale (...)) assistita e difesa dall'avv. MA.MU. contro (...) S.r.l. (codice fiscale (...)) assistita e difesa dall'avv. CA.ME. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'atto di citazione ritualmente notificato, (...) s.r.l. ha chiesto a questo Tribunale di revocare il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti (decreto n. 654/2019 del 10 dicembre 2019 - RG n. 1946/2019) in quanto il credito ivi rivendicato dalla (...) s.r.l. non sussisterebbe, perlomeno nei termini chiesti da quest'ultima, ma in misura inferiore, considerato, poi, che la medesima ultima Società, agendo in via monitoria avrebbe leso gli accordi sui tempi di pagamento convenuti tra le parti. La somma ancora dovuta, ma non in un'unica soluzione, ammonterebbe, pertanto, non a quanto liquidato con il decreto (Euro 11.461,80), ma nella minore somma di Euro 8.214,00. Oltre all'accoglimento della domanda di rigetto, parte opponente ha chiesto - inaudita altera parte - la sospensione del decreto ingiuntivo opposto, per gravi motivi. Con decreto dell'08/06/2020, in ragione della situazione sanitaria in atto, è stata disposta la trattazione scritta della prima udienza del 02/07/2020, concedendo alle parti termini per il deposito di note a verbale e per eventuali repliche. (...) s.r.l. si è, poi, costituita in giudizio con atto depositato in data 01/07/2020, contestando le argomentazioni difensive svolte dall'opponente e chiedendo, previo diniego della sospensione del decreto ingiuntivo, il rigetto dell'opposizione stessa e la condanna dell'opponente per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 co 1 o 3 c.p.c.. All'esito della prima udienza la causa è stata trattenuta in riserva e, a scioglimento di detta riserva, con ordinanza emessa in pari data è stato concesso all'opponente un termine per replicare alle difese dell'opposta, tenuto conto della data di costituzione di quest'ultima, avvenuta scaduti i termini per note di cui al decreto dell'08/06/2020. Con successiva ordinanza del 14/07/2020 è stata, poi, respinta l'istanza di sospensione del decreto ingiuntivo e assegnati i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., differendo, poi, la discussione sui mezzi di prova eventualmente dedotti all'udienza del 12/11/2020. A quest'ultima udienza, tenuta sempre in forma scritta, come da decreto del 20/10/2020, a scioglimento della riserva assunta, con ordinanza dell'08/12/2020 non sono stati, poi, ammessi, come motivato nella medesima ordinanza, i mezzi di prova dedotti, peraltro solo dalla convenuta opposta, e stante l'assenza di ulteriori istanze, la causa è stata ritenuta matura per la decisione è differita, per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 06/05/2021, ove le parti hanno precisato nei termini che si riportano: Attore opponente: "(...) preliminarmente nel rito si insiste per la dichiarazione di improcedibilità del presente procedimento e della conseguente revoca del D. I. 645/2019 R.G. 1946/19, per le ragioni esposte nelle note datate 9 novembre 2020; nel merito - Voglia revocare e/o annullare, dichiarare nullo e/o inefficace il decreto ingiuntivo R.G. 1946/19, D. I. n. 654/2019 emesso il 10.12.2019, dal Tribunale di Verbania e notificato in data 03.01.12020, in quanto del tutto destituito di fondamento: - Voglia accertare e dichiarare che l'importo richiesto dovuto con D.I. non è dovuto; - Voglia accertare e dichiarare che l'opponente e l'opposto hanno stipulato un contratto che prevede il pagamento dell'importo di cui alla fattura 394/2016 datata 26.10.2016 di Euro 21.890,00 mediante versamenti periodici con importi variabili sino al saldo, come sino ad ora effettuati durante l'arco temporale di 30 mesi; - Voglia accertare e dichiarare che sino alla data del 24.12.2019 l'attore opponente ha versato Euro 13.676,00 come provato dagli estratti conto (docc. 1-23), e che pertanto a quella data l'importo ancora dovuto al convenuto opposto ammonta ad Euro 8.214,00 e non ad Euro 11.461,80 - Voglia accertare e dichiarare la somma ancora dovuta dall'opponente è dovuta nei termini di pagamento del contratto stipulato, come risultante dai pagamenti sino ad ora effettuati; - Voglia accertare e dichiarare che, in osservanza degli accordi stipulati tra le parti, la somma che verrà dal G.I. accertata come ancora dovuta non può essere pretesa per intero in un'unica soluzione né con D.I., ma che debba essere versata con pagamenti periodici di importo variabile sino al saldo; - Voglia accertare e dichiarare che l'opposto con la notifica del D.I. n. 654/19, R.G. 1946/19 all'opponente ha violato gli accordi contrattuali stipulati tra le parti ed ha violato i principi di buona fede contrattuale e di affidamento; - e, per l'effetto, dichiarare che l'opponente, in osservanza degli accordi stipulati, è tenuto a versare con pagamenti periodici di importo variabile sino al saldo l'importo ancora dovuto; - Voglia condannare ex art. 96 c.p.c. parte opposta per aver agito in giudizio e resistito con mala fede (...)"; Convenuto opposto: "(...) rigettare l'opposizione avversaria perché infondata in fatto e in diritto per i motivi svolti in narrativa del presente atto accertando che il credito di (...) s.r.l. ammonta alla somma capitale di Euro 11.462,80 e per l'effetto confermare il Decreto Ingiuntivo n. 654/2019 emesso dal Tribunale di Verbania il 10 dicembre 2019 nel procedimento iscritto al n. 1946/2019 R.G.. Tutto oltre alla condanna dell'opponente al risarcimento del danno in favore di (...) s.r.l. per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 I o III comma c.p.c., avendo l'opponente agito nel presente giudizio con evidente mala fede. Con vittoria di spese e compensi professionali del presente giudizio (...)"; e all'esito, sono stati concessi i termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di improcedibilità, da cui è, poi, fatta discendere la nullità del decreto ingiuntivo opposto, sollevata dall'opponente con riferimento all'omesso avvio del procedimento di mediazione. Quest'ultima riferisce, infatti, che sarebbe stato onere dell'opposto provvedervi, richiamando alcune decisioni assunte (in questi anni) dalla Suprema Corte al fine di comprovare che l'omessa attivazione determina, come naturale conseguenza, la declaratoria di nullità del provvedimento opposto. Sul punto, la replica della convenuta è di contrario avviso considerata la circostanza che, nel giudizio di opposizione, l'onere di attivare la procedura di mediazione sussiste quando la pretesa creditoria (azionata) possa farsi rientrare tra le materie soggette alla mediazione obbligatoria, diversamente, come nel caso in esame, nessun onere è prescrittibile. Al riguardo, la prospettazione di parte opposta appare condivisibile. Detta prospettazione è ritenuta, infatti, aderente allo stesso dettato normativo, considerato che il rapporto (appalto tra privati) sotteso al credito per cui è causa non rientra in alcuna delle materie di cui all'art. 5, comma 1-bis del D.lgs. n. 28/2010: "chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione". Nella presente causa poi si controverte sull'ammontare del debito e sull'esistenza di intese sui tempi di pagamenti, ma non sulla legittimità del credito di cui alla fattura oggetto della domanda monitoria. La sanzione della improcedibilità va riferita, pertanto, non tanto con riferimento alla domanda monitoria in sé, ma come richiamo alla "domanda giudiziale" di cui al citato D.Lgs. n. 28 e, pertanto, alle materie individuate come obbligatorie dallo stesso, tra le quali, come già precisato, non può dirsi compresa la presente causa. Né si può fare applicazione, al caso in esame, alla modifica introdotte dal comma 6ter dell'articolo 3 DL n. 6/2020 (Legge di conversione del DL 28/2020) perché successive all'instaurazione del giudizio. Ne consegue, il rigetto dell'eccezione preliminare anzidetta. Tanto premesso passando ora al merito, ritiene il giudicante che l'opposizione non sia meritevole di accoglimento. Al riguardo va, infatti, rilevato che è principio giurisprudenziale consolidato (cfr. Cass. civ. 20/01/2015 n. 826 e Cass. civ. sez. un. 30/10/2001 n. 13533) quello secondo cui il creditore che deduce l'inadempimento da parte del debitore deve dimostrare, secondo i criteri di distribuzione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., il fatto costitutivo del credito stesso, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa o di una sua parte. Conseguentemente, il primo è tenuto a fornire la prova dell'esistenza del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, mentre sul debitore, una volta provata l'esistenza del rapporto o del titolo, incombe l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento delle proprie obbligazioni. Questo principio va applicato anche in caso di opposizione a decreto ingiuntivo il cui atto introduttivo, come affermato dal Supremo Collegio (cfr. Cass. sez. un. 14/01/2014 n. 578) instaura un giudizio ordinario di cognizione, finalizzato ad accertare la fondatezza della domanda del creditore opposto (che mantiene la posizione sostanziale di attore) e, una volta raggiunta tale prova, delle eccezioni e delle difese fatte valere dall'opponente ingiunto (che assume posizione sostanziale di convenuto). In altri termini, l'opposizione vale solo ad invertire l'onere di instaurazione formale del contraddittorio, senza influire né modificare la posizione delle parti quanto ad onere di allegazione e di prova. Da tale assunto discende che il creditore - opposto deve allegare e provare il proprio credito nel giudizio principale in maniera certamente più completa ed esaustiva di quanto abbia fatto nel corso della procedura di ingiunzione, inevitabilmente soggetta ad oneri e cognizioni sommarie e ciò affinché il giudice possa accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'ingiungente opposto. Nel caso di specie, parte opposta ha ottenuto l'ingiunzione di pagamento allegando la fattura n. 394 del 26/10/2016 di Euro 21.890,00 (cfr. doc. n. 03 Fascic. Monitorio (...)), riferendo che solo per una parte non era stato ancora corrisposto il dovuto. Con specifico riferimento al decreto ingiuntivo così ottenuto, per giurisprudenza ormai consolidata, va evidenziato che "Le fatture commerciali, pur essendo prove idonee ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, hanno tale valore esclusivamente nella fase monitoria del procedimento mentre, essendo documenti formati dalla stessa parte che se ne avvale, nel giudizio di opposizione all'ingiunzione (come in ogni altro giudizio di cognizione) non integrano di per sé la piena prova del credito in esse indicato né comportano neppure l'inversione dell'onere della prova in caso di contestazione sull'an o sul quantum del credito vantato in giudizio" (cfr. da ultimo Cass. 28/05/2019 n. 14473; Cass. 02/07/2019 n. 17659; Cass. 18/04/2018 n. 9542 e Cass. 12/01/2016 n. 299). In altri termini, in materia di corrispettivo dovuto per l'appalto privato (rapporto dedotto dall'opposto e non contestato dall'opponente), laddove il committente contesti il rapporto contrattuale e l'entità del dovuto "Non costituiscono idonea prova del credito dell'appaltatore per il proprio compenso le fatture dallo stesso emesse né le risultanze della misurazione della quantità di lavori già eseguiti, emergenti dal certificato sullo stato di avanzamento degli stessi" (Cass. 19/10/2018, n. 26517; Cass. n. 11/03/2011 n. 5915 e Cass. 03/03/2009 n. 5071). Detto ciò, deve rilevarsi che, se è vero che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la fattura non costituisce fonte di prova dei fatti in essa contenuti in favore della parte che l'ha emessa, tuttavia quando tale rapporto non sia contestato (come nel presente giudizio), essa costituisce un valido elemento di prova quanto alle prestazioni eseguite. Considerato che nella presente vertenza il rapporto (appalto privato) sotteso alla fattura n. 394 del 26/10/2016 non è mai stato messo in contestazione dall'opponente, come pure non è mai stata negato il debito portato dalla stessa fattura, che risulta essere stata annotata nei libri obbligatori di entrambe le parti, la stessa fattura n. 394/2019 assurge, pertanto, in questo giudizio alla prova piena dell'esistenza del debito. Residua, ora, solo la verifica sul suo esatto ammontare. Con riferimento, infatti, alla somma oggetto del decreto opposto, parte opponente contesta il quantum ancora dovuto sostenendo di dovere una somma inferiore. Relativamente al pagamento della predetta fattura (importi versati e tempistiche) l'opposta Società ha depositato due (2) accordi (non smentiti in modo giuridicamente rilevante dall'opponente) intercorsi tra le parti nel corso dell'anno 2016. Nel primo accordo (doc. 5 Fascic. (...)) risulta che l'opponente si è impegnata a saldare tutte le pregresse fatture della (...) s.r.l. (specificate in detto documento) entro il 30/11/2016 e i lavori che l'opposta eseguirà dopo il 29/02/2016 (tra i quali anche quelli oggetto della citata fattura n. 394/2016) "entro un periodo massimo di 60 giorni dalla loro emissione". Nel successivo accordo (doc. 6 Fascic. (...)), redatto su carta de (...) s.r.l., quest'ultima riconosce il debito portato dalla fattura n. 394/2016 che s'impegna a saldare in "(...) 21 rate mensili ciascuna da Euro 1.000,0: a decorrere dalla fine del corrente mese di novembre 2016; rata finale a saldo, Euro 890,00 a fine del 22 mese", con ultima rata scadente, pertanto, il 30/09/2018. Come dichiarato e accertato con la documentazione prodotta dalla stessa (...) s.r.l., il piano di dilazione di cui sopra è stato, poi, disatteso. La debitrice Società tra il 2016 e il 2019 ha, infatti, eseguito vari pagamenti in favore dell'opposta (con la quale i rapporti professionali sono sempre proseguiti nonostante i ritardi nei pagamenti delle prestazioni rese), ma non tutti imputabili alla fattura n. 394/2016. Infatti, a differenza di quanto sostenuto, ovvero "(...) Che l'accordo fosse nei termini sopra indicati è provato proprio dai pagamenti effettuati successivamente al ricevimento della fattura datata 16.10.2016 (doc. 3 di controparte) (...) Sino alla data del 24.12.2019 l'attore opponente ha versato Euro 13.676,00, come provato dagli estratti conto allegati (docc. 1 - 23). E' quindi pacifico che l'importo ancora dovuto al convenuto opposto ammonta a Euro 8.214,00 e non ad Euro 11.461,80 (...)" (pagg. 2 e 3 Atto di citazione) detta prospettazione è stata smentita (cfr. causali dei bonifici prodotte da (...) s.r.l., doc. 1-23). Nello specifico, solo una parte dei n. 29 versamenti è risultato riferibile alla predetta fattura n. 394/2016. Esattamente solo n. 14 sono imputabili a detta fattura. I restanti n. 15 bonifici sono stati eseguiti (in acconto o a saldo) di altre fatture, quali, ad esempio, la n. 406/2016 pagamento del 15/11/2016; la n. 274/2016 del 16/11/2016; la n. 288/2018 del 7/02/2019; la n. 27E del 26 febbraio e del 05 marzo 2019e la n. 288/2018 del 12 marzo 2019 o senza specifica imputazione ad alcuna fattura, come per i pagamenti eseguiti tra il 04 aprile ed il 06 giugno 2018 e tra il 18 luglio 2019 e il 24 dicembre 2019. Alla luce di quanto sopra, risulta incontestata la prova (da parte dell'opponente) del parziale inadempimento del debito, circostanza già riferita nel ricorso per decreto ingiuntivo anche dalla stessa opposta, ma entro il limite della minore somma di Euro 8.200,00 (rispetto a quanto sostenuto nel proprio atto di opposizione), come attestano le specifiche dei versamenti datati: 1) 06 dicembre 2016 di Euro 1.000,00; 2) 01 marzo e 3) 10 marzo 2017 sempre di Euro 1.000,00 cad.; 4) 09 maggio 2017 di Euro 1.000,00; 5) 16 gennaio 2018 di Euro 400,00; 6) 21 febbraio 2018 di Euro 400,00; 7) 26 marzo 201811 di Euro 400,00; 8) 11 settembre 2018 di Euro 400,00; 9) 08 ottobre 2018 di Euro 400,00; 10) 05 novembre 2018 di Euro 400,00; 11) 06 dicembre 2018 di Euro 400,00; 12) 21 gennaio 2019 di Euro 400,00; 13) 13 maggio 2019 di Euro 600,00 e 14) 01 luglio 2019 di Euro 400,00 (doc. 1-23 Fascic. (...) s.r.l.). Quanto agli ulteriori versamenti senza causale, riportati negli estratti conti, nulla è stato dedotto o allegato dall'opponente. Pacifici sono risultati, invece, i pagamenti eseguiti da (...) s.r.l. per altre fatture, pagamenti sui quali non vi è incertezza sull'estraneità della fattura n. 394/2019, stante il contenuto specifico delle causali dei singoli bonifici. L'opponente non ha, quindi, assolto all'onere, che su di essa incombeva, in assenza di contestazione dall'an, di provare l'adempimento e l'ammontare del debito che residuava. Considerato, quindi, che parte opposta non ha rivendicato un credito maggiore, questo giudice ritiene provato il credito portato dal decreto ingiuntivo n. 654/2019, senza necessità di ulteriori approfondimenti in ordine all'esatta imputazione (stante anche l'assenza di prova sul punto) dei pagamenti acausali di cui sopra. Ne consegue l'infondatezza dell'odierna opposizione. L'opposizione è, quindi, respinta. Alla luce di quanto sopra, resta assorbita ogni altra questione. Le spese dell'opposizione devono essere poste a carico della parte soccombente e si liquidano considerando il valore medio dello scaglione di causa (compreso tra Euro 5.201,00 e Euro 26.000,00). Quanto alla domanda ex art. 96 c.p.c. la stessa è ritenuta da questo Giudice meritevole di accoglimento sotto il profilo di cui al terzo comma della disposizione medesima. Infatti, tale disposizione consente al giudice di condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata, senza la necessità di provare il danno patito dalla controparte. L'art. 96 co 3 c.p.c. prevede una forma di danno punitivo, finalizzata a scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzione de sistema giustizia e, più in particolare, la ragionevole durata del processo con lo scoraggiare le cause pretestuose, difformi, quindi, dalla struttura tipica dell'illecito civile. Presupposto indefettibile per la sua applicazione è comunque l'allegazione e la dimostrazione, anche in via indiziaria, quanto meno della colpa grave in capo alla parte soccombente nell'agire o resistere in giudizio, realizzando una condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede e tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione sostanziale anche del canone costituzionale del dovere di solidarietà. Sotto il profilo soggettivo, l'opponente non poteva ignorare la sussistenza del debito nei termini chiesti dall'opposta sia in ragione dell'evidenza che è emersa dalla documentazione dallo stesso prodotta e sia considerando l'assenza di ulteriori elementi di prova sul punto (cfr. mem. ex art. 186 co. 6 c.p.c. parte opponente) per chiarire la circostanza predetta. La domanda può dunque essere accolta e viene quantificata in misura pari al 50% delle spese legali liquidate nei termini anzidetti. P.Q.M. Il Tribunale di Verbania, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e difesa rigettata, così decide: 1. respinge, per le ragioni esposte nella parte motiva, l'opposizione e conferma il decreto ingiuntivo n. 654/2019 emesso da questo Tribunale in data 10 dicembre 2019 (RG n. 1946/2019 - REP n. 1027/2019 dell'11 dicembre 2019); 2. condanna (...) s.r.l. al pagamento in favore di (...) s.r.l. delle spese processuali che liquida in complessive Euro 4.835,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A.; 3. condanna ex art. 96, comma III, c.p.c., la medesima (...) s.r.l. al pagamento, in favore della (...) s.r.l., dell'importo di Euro 2.417,50 oltre interessi da calcolare a decorrere di deposito della presente sentenza sino al pagamento. Così deciso in Verbania l'8 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2021.

  • IL TRIBUNALE DI VERBANIA Il GOP, dott.ssa Laura Novi, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 24/06/2021, letti gli atti e i documenti, pronuncia la seguente sentenza REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI VERBANIA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO nella controversia civile RG. n. 1658/2020, promossa da (...) (codice fiscale (...)) assistita e difese dall'avv. (...) contro (...) SOCIETÀ A LIMITATA SEMPLIFICATA (codice fiscale (...) assistita e difesa dall'avv. (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto notificato il 09/10/2020, la signora (...) ha domandato la convalida dello sfratto per morosità nei confronti del (...) conduttore dei locali di sua proprietà, siti in Domodossola, Piazza (...). Al momento della notifica anzidetta, la locatrice ha, infatti, dichiarato che la morosità del conduttore ammonta ad Euro 14.689,60, per canoni scaduti da marzo a settembre 2020 oltre spese accessorie. Il conduttore - (...) si è costituito in detto procedimento per l'udienza del 03/12/2020, opponendosi allo sfratto e chiedendo la rideterminazione del canone adducendo inadempimenti a carico della locatrice stessa. Con ordinanza del 18/12/2020, il Giudice adito ha, poi, emesso ordinanza di rilascio dell'immobile e disposto la conversione del rito, stante la proposta opposizione, fissando "(...) l'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. per il 15/05/2021 (.. .)" e invitato le parti ed esperire la mediazione obbligatoria ex art. 4 D.Lgs. n. 28/2010, nel termine di 15 giorni, concedendo, poi, all'intimante "(...) termine sino al 16 aprile 2021 ed al convenuto sino al 07 maggio 2021 per il deposito di documenti e memorie contenenti integl'azioni difensive ed istruttorie (...)". Successivamente, con provvedimento del 31/03/2021, il predetto Giudice ha dichiarato la propria incompatibilità nel giudizio d'opposizione, rimettendo il fascicolo al Presidente del Tribunale per i provvedimenti del caso. Disposta l'assegnazione del procedimento a questo Giudice, l'udienza del 15/05/2021 è stata differita, per ragioni di ruolo, al 20/05/2021. Solo la difesa della locatrice ha depositato, nel presente giudizio, note integrative. Le parti in causa sono, però, comparse all'udienza del 20/05/2021, chiedendo un breve differimento, pendendo tra di loro trattative. All'udienza successiva (24/06/2021) è stato, invece, dato atto dell'esito negativo delle trattative e la difesa della locatrice ha, quindi, chiesto l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nella nota integrativa, ovvero "(...) dichiarata l'improcedibilità del presente giudizio, dare atto della stabilizzazione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza di rilascio emessa ex art. 665 c.p.c. a favore della signora (...) contro il (...) SRLS. Con compensazione delle spese". La difesa del conduttore si è opposto a verbale alle note difensive avversarie. È dirimente, nel presente procedimento, rilevare l'improcedibilità di questo giudizio d'opposizione. Infatti, se a nonna dell'art. 5 co. 1 del decreto legislativo n. 28/ 2010 (introdotto dal decreto legge n. 69/2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98/2013) è previsto che "L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale" ed anche che il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita, assegna alle parti "il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione" in ambito locatizio detto onere trova una sua regolamentazione nel successivo co. 4 lettera b), ove è specificato l'inoperatività della previsione "nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile". Nel caso in esame, come già rilevato, con il provvedimento del 18/12/2020 è stato ordinato al conduttore - ristorante il rilascio dei locali di proprietà dell'istante, disposto il mutamento del rito e assegnati 15 giorni per dare avvio alla procedura di mediazione. Entrambe le parti non hanno, però, dato avvio alla procedura di mediazione. L'onere di dare impulso alla procedura di mediazione obbligatoria sussisteva in capo ad entrambe, seppure con diversi effetti, stante l'esistenza, in favore della locatrice, di un provvedimento giurisdizionale di rilascio qual è l'ordinanza di rilascio del 18/12/2020. La declaratoria d'improcedibilità del giudizio a cognizione piena, originato dall'opposizione dell'intimato, non coinvolge, infatti, l'efficacia di detta ordinanza non impugnabile, trattandosi di un provvedimento subito idoneo a dispiegare i suoi effetti. Del resto, il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto solo ad una condizione risolutiva, che consiste nella pronuncia (all'esito del giudizio di opposizione) di una successiva sentenza di merito eventualmente negativa. La declaratoria di improcedibilità opera in rito e non nel merito della vertenza. Sulla scorta di quanto sopra esposto deve, pertanto, procedersi con la pronuncia di improcedibilità anzidetta a cui consegue solo il venire meno delle domande negative svolte dal conduttore, rispetto al diritto di rilascio già acquisito dal locatore con l'ordinanza del 18/12/2020, emessa in sede di procedimento di sfratto, trattandosi di ordinanza non impugnabile ex art. 665 c.p.c.. Tenuto conto delle conclusioni, in termini di spese, rassegnate dalla difesa della locatrice, nelle note integrative depositate per questo giudizio, in accoglimento delle stesse, compensa tra le parti le spese di lite. P.Q.M. Visti gli artt. 413 ess. 447 bis, 645,653 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa domanda ed eccezione, così provvede: 1) dichiara, per i motivi esposti nella parte motiva, improcedibile il presente giudizio di opposizione allo sfratto; 2) conferma l'ordinanza provvisoria di rilascio emessa in data 18/12/2020 all'esito del procedimento di intimazione di sfratto per morosità; 3) compensa le spese di lite tra le parti. Così deciso in Verbania il 21 luglio 2021. Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VERBANIA in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Vittoria Mingione ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 608 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019 vertente TRA (...) s.a.s., P.IVA: (...), in persona del legale rappresentante sig. (...), rappresentato e difeso dall'AVV. GIANCARLO MARCHIONI (C.F.: (...)) e presso lo stesso elettivamente domiciliato in VERBANIA, Via MONTE ZEDA 2, indirizzo di posta elettronica certificata [email protected] ATTORE E (...) S.P.A. codice fiscale/Partita iva n. (...) in persona dell'amministratore unico e legale rappresentante pro tempore sig. (...), rappresentata e difesa dell'Avv. Co.Ra., c.f. (...) e presso la stessa elettivamente domiciliata in Verbania Intra, Corso (...), indirizzo di posta elettronica certificata: (...), fax: (...) CONVENUTO/ATTORE IN RICONVENZIONALE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. L'attrice ha esposto: che esercita l'attività di pulizie appartamenti, uffici, condomini, fabbriche e grossi complessi, trattamenti parquet e pavimenti in cotto, levigatura e lucidatura marmi e pietre, a far tempo dall'anno 2009, in forza di un rapporto continuativo di somministrazione di servizi, ha effettuato le pulizie degli uffici della ditta (...) s.p.a. percependo un compenso di circa Euro 3.000,00 mensili; che a metà del mese di giugno 2018 la ditta (...) s.p.a. ha comunicato telefonicamente il suo recesso dal contratto a decorrere dalla fine dello stesso mese; che la ditta esponente ha lamentato a mezzo mail del 7 novembre e pec del 23 novembre 2018 l'immotivato recesso dal contratto effettuato con un preavviso di quindici giorni; che il recesso immotivato e con un preavviso di circa quindici giorni, stante la lunga durata del rapporto ed il cospicuo valore del contratto medesimo in rapporto anche alle dimensioni della ditta somministrante, le ha creato un notevole danno non avendo potuto reperire in così breve tempo altro analogo cliente che le consentisse di mantenere il precedente volume d'affari; che a ciò va aggiunto il danno derivante dall'ulteriore scorretto comportamento della convenuta che, d'intesa con la nuova ditta incaricata dalle medesime pulizie dei suoi uffici, ha indotto una delle proprie dipendenti, già addetta a queste pulizie, a farsi assumere da tale nuova ditta, comportando per l'attrice l'obbligo immediato di provvedere al pagamento del TFR della dipendente. Richiamato l'art. 1569 c.c. ed osservato come nel caso di specie non può essere ritenuto congruo un preavviso di recesso inferiore a tre mesi, ha chiesto condannarsi la società convenuta al risarcimento del danno quantificato in Euro 10.000,00. 2. Si è costituita la convenuta, la quale, premesso che al più il contratto potrebbe essere qualificato quale appalto di servizi, sarebbe applicabile l'art. 1671 c.c., che consente il recesso ad nutum e senza preavviso. In ogni caso, ha esposto come il contratto sia di durata mensile con rinnovo tacito come comprovato dalla periodicità della fatturazione e dal preventivo consegnato dalla società attrice e che, pertanto, alcun recesso vi era stato, ma solo una manifestazione di volontà di non avvalersi più dei servizi offerti dalla società attrice. In via subordinata, ha contestato, in ogni caso, che il recesso possa considerarsi immotivato, essendo state più volte esposte le ragioni del rifiuto di prosecuzione del rapporto. Sul punto ha narrato che: i rapporti si erano deteriorati già a partire dal 2017, e in più occasioni i rappresentanti della (...) avevano fatto rimostranze verbali personalmente al sig. (...) (oltre che ai preposti e agli addetti) in ordine al risultato delle pulizie, in particolare dei pavimenti degli uffici, risultato che era a dir poco insoddisfacente; che le operaie della ditta (...) riferivano che non erano messe in condizioni di fare un lavoro "accettabile" in quanto non disponevano dei mezzi necessari ed idonei, né quanto ad attrezzi né quanto a detersivi; che, infatti, nel mese di marzo 2018 il sig. (...) venne convocato presso la convenuta per un incontro, durante il quale veniva invitato a porre rimedio alla situazione e a riportare l'esecuzione delle pulizie ad un livello qualitativamente idoneo, dotandosi di tutti gli strumenti occorrenti e l'incontro si chiudeva con la promessa, da parte del (...), di fare una prova con una macchina "lavasciuga", anche se evidenziava subito che, non essendone già dotato, non aveva intenzione di affrontare la spesa; che, nel successivo mese di aprile 2018, alla presenza del sig. (...), si procedeva quindi ad una prova di pulizia con una lavasciuga messa a disposizione dalla ditta (...) rappresentata da certo sig. C. e ad una seconda prova con una nuova lavasciuga, più potente ed idonea alla pulizia di grandi superfici; macchina che, stante il rifiuto già espresso dal (...) ad ogni acquisto, veniva acquistata direttamente a spese della (...) e che le operaie della ditta (...) iniziavano ad usare per il lavaggio dei pavimenti; che con questa nuova lavasciuga, il risultato era addirittura peggiore di prima, in quanto restavano sul pavimento i segni del passaggio delle ruote della macchina, segni che non scomparivano neppure dopo la sostituzione da parte della ditta (...) di alcune parti della macchine con altre dichiarate più performanti; che la (...) decideva, pertanto, di cessare il rapporto con la (...) e di affidare il servizio ad una nuova impresa di pulizie; quest'ultima procedeva ad un'operazione di "azzeramento", pulizia straordinaria che, con una serie di lavaggi e risciacqui, riportava finalmente il gres al suo stato e colore originale. Ha contestato, in ogni caso, la quantificazione dei danni operata dalla società attrice. In via riconvenzionale, per il caso di accertamento di un rapporto di carattere continuativo, ha dedotto, sulla base dei motivi suesposti, l'inadempimento della società attrice ed ha chiesto dichiararsi la risoluzione del contratto con condanna della prima al risarcimento del danno per aver compromesso lo stato del pavimento degli uffici direzionali della (...) e per aver costretto la società ad acquistare una lavasciuga professionale per complessivi Euro 10.514,50. 3. Concessi i termini per il deposito delle memorie istruttorie, la causa è stata istruita mediante interrogatorio formale delle parti e testimoni. All'udienza del 27.11.2020 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata riservata in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 4. Tanto premesso, il contratto concluso tra le parti, sebbene sia diffuso ai fini della qualificazione anche il riferimento alla "somministrazione di servizi", deve essere qualificato come appalto di servizi, disciplinato dall'art. 1677 c.c., il quale prevede: "Se l'appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo e quelle relative al contratto di somministrazione". Infatti, a prescindere dalla mancanza di un documento contrattuale, la lunga durata del rapporto, il riferimento ai prezzi esposti nel preventivo depositato dalla società convenuta (doc. 7A), la cadenza mensile della fatturazione, oltre che la mancanza di qualsivoglia pattuizione dalla quale possa desumersi la fissazione di un termine mensile (come sostenuto dalla convenuta), depongono inequivocabilmente per la configurazione di un contratto di durata a prestazioni periodiche e continuative senza termine finale. Ciò posto, l'appalto di servizi è un contratto che presuppone, come l'appalto in generale, un'organizzazione di impresa, la quale pone in secondo piano la prestazione di lavoro dell'appaltatore e che ha ad oggetto la prestazione di un servizio inteso come risultato (al pari del compimento di un'opera) e non una semplice attività lavorativa. Come la somministrazione e a differenza dell'appalto, si caratterizza per essere un contratto che presuppone prestazioni periodiche o continuative: infatti, mentre (normalmente) il contratto di appalto ha ad oggetto un'opera unitaria ed il tempo è in funzione dell'esecuzione della prestazione, così qualificando il contratto come ad esecuzione prolungata, invece, quando l'appalto ha ad oggetto un'opera o un servizio ad esecuzione prolungata o periodica (fattispecie di cui all'art. 1677 c.c.), l'adempimento è frazionabile in una serie di prestazioni, ciascuna delle quali riproduce in sé tutti gli elementi di una prestazione completa, materialmente autonoma, scindibile dalle altre e suscettibile, sul piano economico-funzionale, di appagare, sia pure in parte e fino al momento della sua realizzazione, le esigenze della controparte, così assumendo, anche sotto il profilo giuridico e secondo le previsioni contrattuali, attitudine a formare oggetto di un diritto, quale bene a sé stante (Cass. n. 5434/2002). Stante l'autonomia delle singole prestazioni in ragione della periodicità e continuità della prestazione, si spiega il richiamo contenuto nell'art. 1677 c.c. alla disciplina della somministrazione, in cui la prestazione (tipicamente traslativa) è delimitata periodicamente in funzione del bisogno del somministrato ed in cui il fattore temporale è requisito essenziale del rapporto. Il richiamo contestuale dell'art. 1677 c.c. alla disciplina della somministrazione ed a quella dell'appalto pone problemi di coordinamento soprattutto in relazione al recesso. Infatti l'art. 1569 c.c. in materia di somministrazione prevede "Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione". Invece, l'art. 1671 c.c. in materia di appalto prevede che "Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno". Orbene, secondo una prima impostazione, nell'appalto di servizi a tempo indeterminato è possibile solo un recesso con preavviso ai sensi dell'art. 1569 c.c., ove il principio del libero recesso si ricollega alla mancata previsione di un termine di durata del contratto ed all'inammissibilità di vincoli in perpetuo; il recesso, in questa prospettiva, segnando la fine del rapporto, si qualifica come recesso determinativo della durata del contratto; il preavviso si giustifica, invece, per tutelare l'organizzazione del somministrante, necessariamente strutturata in ragione del contratto, che richiede l'esecuzione di prestazioni continuative e periodiche. Secondo altra tesi, invece, all'appalto di servizi si applica la disciplina dell'appalto, con la possibilità per il committente di recedere in qualsiasi momento con effetto immediato e senza motivazione in ragione del vincolo fiduciario che, connesso alla struttura imprenditoriale del servizio, è insito anche nell'appalto di servizi; chiaramente al diritto potestativo del committente/somministrato fa da contraltare l'obbligo di tenere indenne l'appaltatore/somministrante delle spese e del mancato guadagno (cfr. in tal senso Cass. 8254/1997 "nessun valido motivo consente di escludere, per l'appalto di prestazione continuativa di servizi, l'applicabilità del disposto di cui all'art. 1671 C.C."). Né il problema sembra essere stato risolto dalla pronuncia della Cassazione sent. n. 4783 del 13.7.1983, citata più volte dalla società attrice, la quale ha evidenziato come in realtà le due previsioni possono essere applicate alternativamente avendo funzioni del tutto diverse, affermando che "Nell'appalto continuativo di servizi possono trovare alternativa applicazione gli art. 1569 e 1671 c.c. giacché, regolando il primo la durata del rapporto e il secondo il recesso unilaterale del committente, essi non entrano in conflitto tra di loro, ma si pongono su piani differenti" e che "Anche nei contratti di appalto aventi ad oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi il committente può recedere in qualsiasi momento, ma è obbligato a tenere indenne la controparte dei servizi prestati fino alla data del recesso, nonché delle spese sostenute e del mancato guadagno fino al giorno in cui il rapporto avrebbe dovuto avere normale svolgimento secondo l'originaria previsione contrattuale o in base alla intervenuta rinnovazione tacita". Infatti, il richiamato principio è affermato, quanto all'applicazione dell'art. 1671 c.c., come si desume dalla massima ("... fino al giorno in cui il rapporto avrebbe dovuto avere normale svolgimento secondo l'originaria previsione contrattuale o in base alla intervenuta rinnovazione tacita...."), in fattispecie di somministrazione a tempo determinato con previsione contrattuale (normativa o secondo gli usi) di rinnovazione in mancanza di disdetta in tempo utile (Il contratto d'appalto continuativo o periodico di servizi, non disdettato in tempo utile a norma dell'art. 1569 c.c. (richiamato dal successivo art. 1677), si rinnova per il tempo previsto nel contratto stesso o dagli usi, oppure a tempo indeterminato). Analogamente si trattava di contratto a tempo determinato, con previsione di tacita rinnovazione salvo recesso nel termine di preavviso pattuito, nella fattispecie esaminata da Cassazione civile sez. II, 29/08/1997, n. 8254. Deve, invece, escludersi che in relazione all'appalto/somministrazione di servizi a tempo indeterminato possa trovare uno spazio di applicazione la disciplina del recesso dettata in materia di appalto. L'esclusione discende dal rilievo che, se è vero che anche in questo caso vi è un vincolo fiduciario con esclusione del diritto dell'appaltatore/somministrante alla prosecuzione del rapporto, è anche vero che la norma prevede quale contraltare del recesso un obbligo di indennizzo delle spese sostenute e del "mancato guadagno", che, in assenza della determinazione di un termine di durata del contratto (anche ove rinnovato in assenza di recesso entro il termine di preavviso), non sarebbe mai ipotizzabile in astratto. Sicché affermare l'applicabilità dell'art. 1671 c.c. in relazione alla somministrazione di servizi a tempo indeterminato si traduce sostanzialmente nella negazione di qualsivoglia tutela al somministrante/appaltatore esposto, da una parte, al rischio di un recesso ad nutum, senza possibilità di godere di un periodo di tempo per riorganizzare la propria attività, e con esclusione già in astratto di un indennizzo per il mancato guadagno, non essendoci alcun termine di riferimento (durata del contratto) per delimitare il mancato guadagno. Sotto altro profilo non appare neppure condivisibile la tesi esposta dalla società attrice nella memoria primo termine, per cui il recesso nella somministrazione a tempo indeterminato, da una parte, fisserebbe il termine del rapporto alla scadenza del preavviso ex art. 1569 c.c., dall'altra, ove il recesso sia esercitato senza preavviso, delimiterebbe il mancato guadagno di cui all'art. 1671 c.c. in quello riferibile al numero di mesi di preavviso necessario. E', infatti, una prospettazione che, per il caso di recesso senza preavviso nella somministrazione a tempo indeterminato, postula un'applicazione congiunta delle due norme citate che appare difficilmente ipotizzabile; inoltre, trasforma il risarcimento connesso alla violazione del termine di preavviso nell'indennizzo previsto dall'art. 1671 c.c.; infine, ipotizza un termine del rapporto non previsto, né desumibile dalle norme citate. Ciò posto, esclusa, a parere della scrivente, l'applicabilità nella somministrazione a tempo indeterminato dell'art. 1671 c.c., deve anche escludersi l'applicabilità dell'art. 1569 c.c. per il caso di recesso motivato dall'inadempimento grave dell'altra parte. Sul punto, giova evidenziare come la disciplina della somministrazione a tempo indeterminato non prevede alcuna forma di autotutela per il somministrato/committente per il caso di inadempimento del somministrante/appaltatore, disciplinando solo la risoluzione del contratto per il caso di inadempimento relativo a singole prestazioni, che sia di notevole importanza e tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti (art. 1564 c.c.). Orbene questa forma di tutela postula l'accesso all'autorità giudiziaria e l'attesa di una decisione; il committente/somministrato potrebbe, in alternativa, solo esercitare un recesso con preavviso ai sensi dell'art. 1569 c.c. ma con l'onere di servirsi della prestazione durante il periodo di preavviso pur a fronte dell'inadempimento dell'altra parte. Si tratta, pertanto, di un sistema che necessariamente presuppone l'esistenza di un correttivo, che a parere della scrivente, va ravvisato nella possibilità per il committente/somministrato, ove il recesso sia giustificato dall'inadempimento dell'altra parte, di recedere immediatamente per giusta causa dal rapporto con esclusione del diritto del somministrante/appaltatore sia al preavviso, che all'indennizzo. Ciò deve dirsi anche in considerazione del fatto che non sembra potersi escludere l'applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 1464 c.c., che consente al contraente di recedere dal contratto senza preavviso per il caso di impossibilità parziale e quando non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Sicché, analogamente, il recesso per giusta causa potrà configurarsi, in alternativa alla risoluzione giudiziale, quale forma di autotutela, oltre che per il caso di impossibilità parziale sopravvenuta, anche per il caso di inadempimento grave della controparte. Infine, l'ammissibilità del recesso per giusta causa nella somministrazione a tempo indeterminato discende dall'ulteriore considerazione per cui nel caso della somministrazione o dell'appalto con prestazioni periodiche e continuative l'eccezione di inadempimento deve poter operare, trattandosi di rapporto unitario, non solo all'interno della singola coppia di prestazioni riferibili ad uno dei periodi temporali del rapporto, ma anche nel rapporto tra prestazioni riferibili a periodi che si succedono nel tempo; pertanto, a fronte di un inadempimento riferibile al periodo precedente, l'unitarietà del rapporto consente al contraente non inadempiente di rifiutare la prestazione del periodo successivo. Rifiuto che, visto dalla prospettiva dell'appaltatore/somministrante, si traduce nel rifiuto di esecuzione della propria prestazione a fronte di un inadempimento del committente/somministrato riferibile al periodo precedente; visto dalla prospettiva del committente/somministrato, si traduce nel rifiuto di ricevere l'altrui prestazione in caso di inadempimento dell'appaltatore/somministrante riferibile al periodo antecedente. Rifiuto quest'ultimo che ove l'inadempimento sia definitivo ed insuperabile si traduce sostanzialmente in un rifiuto definitivo e, quindi, in un recesso per giusta causa. 4.1. Tanto premesso, deve rilevarsi come sulla base dell'istruttoria svolta è emerso che il recesso della convenuta sia stato esercitato in ragione dell'inadempimento grave della società attrice nella pulizia del pavimento, ragion per cui la domanda di risarcimento per la violazione del periodo di preavviso va rigettata, perché la giusta causa esclude qualsiasi diritto in capo al somministrante/appaltatore alla prosecuzione del rapporto anche limitatamente al periodo di preavviso. La società attrice ha sempre effettuato la pulizia dei pavimenti con un metodo tradizionale ("papera o mocio", cfr. dichiarazione di N.F. udienza del 10.07.2020), salvo che nel 2016 quando ha eseguito una pulizia straordinaria con una macchina mono -spazzola. A seguito di questa pulizia straordinaria, ha continuato ad effettuare la pulizia con metodo tradizionale. Persistendo il problema della pulizia del pavimento, la convenuta ha acquistato su consiglio dell'attrice una macchina lavasciuga ma la pulizia è risultata del tutto insoddisfacente. Sul punto i testi di parte convenuta hanno riferito che la pulizia dei pavimenti era insoddisfacente (cfr. testimonianza di (...) di parte convenuta) ed i testi di parte attrice hanno confermato che a partire dal 2018 erano frequenti le lamentele della convenuta in merito ai risultati della pulizia (cfr. dichiarazioni di N.F. udienza del 10.07.2020; B.A. udienza del 6.10.2020). Le testimonianze sono suffragate dalla relazione depositata in atti dalla convenuta (doc. 4), atteso che dalle foto allegate effettivamente si vedono le tracce di pneumatici lasciate dalla lavasciuga e la quantità di sporco asportata rinvenuta all'interno dell'aspira-liquidi. Risulta, infine, provato che il problema della pulizia del pavimento è stato risolto dalla convenuta mediante una pulizia straordinaria cd. "di azzeramento" cui è seguita l'utilizzazione a regime della macchina lava-asciuga, la medesima acquistata dalla società convenuta su consiglio della (...) (cfr. dichiarazione di (...)). A fronte dei citati dati nessuna delle deduzioni della società attrice vale ad escludere il proprio inadempimento, desumibile dal mancato raggiungimento del risultato promesso: la pulizia del pavimento. Giova, tuttavia, premettere, come sia del tutto irrilevante la individuazione del soggetto sul quale incombesse l'onere di acquisto della macchina lavasciuga, in quanto - pur volendosi considerare che l'appalto ha ad oggetto una prestazione di risultato anche quando consiste nel rendere un servizio - in ogni caso, il problema è stato superato dalle parti, perché la convenuta ha accettato di acquistare la lavasciuga e proseguire, nonostante il rifiuto all'acquisto della (...), il rapporto con quest'ultima. E', invece, rilevante l'inadempimento della società attrice dell'obbligo, rientrante nella prestazione di risultato, di evidenziare alla società convenuta le attività e le spese necessarie a rendere il pavimento pulito a seguito dell'acquisto della macchina lavasciuga ed, in particolare, di non aver indicato la necessità di una previa pulizia straordinaria con la macchina mono-spazzola. Risulta, infatti, che nelle circostanze in cui i dipendenti della (...) hanno utilizzato la macchina lavasciuga, questa non era stata preceduta dal passaggio con la mono-spazzola (cfr. testimonianze di D.G.B.E.). Inoltre, dalle dichiarazioni aggiunte rese nel corso dell'interrogatorio formale dal rappresentante legale della società attrice, risulta che la necessità del passaggio della mono-spazzola era stato evidenziato dalla (...) alla società convenuta solo nel 2016, ma non risulta che sia stato consigliato l'utilizzo della mono-spazzola nel 2018; sul punto, è del tutto irrilevante che la necessità del passaggio della mono-spazzola sia stata indicata da (...) ai propri dipendenti, come riferito dai testi D.G.B.E. e B.A., a fronte della mancanza di prova che la medesima indicazione era stata data alla convenuta e del rifiuto di quest'ultima di procedere alla pulizia straordinaria mediante la macchina mono-spazzola. Che la (...) non avesse indicato la necessità della pulizia straordinaria risulta altresì compatibile con il fatto che la convenuta aveva sino a quel momento seguito tutte le indicazioni della (...), acquistando persino una macchina lavasciuga, oltre che con il rilievo per cui non risultano dedotti i motivi per cui la convenuta avrebbe dovuto rifiutare di far eseguire alla (...) una pulizia straordinaria, che poi ha fatto eseguire su indicazione della nuova impresa di pulizie. Conclusivamente la imperizia della società attrice risulta provata, così come la gravità dell'inadempimento attesa la durata del medesimo (essendo provato quantomeno da marzo 2018 ossia dal momento dell'acquisto della lavasciuga da parte della convenuta), l'estensione del pavimento 1000 mq2 e la conseguente incidenza sul servizio di pulizia complessivo, ed il comportamento del rappresentante legale della società attrice successivo alle persistenti lamentele della società convenuta (cfr. dichiarazioni di (...) "Successivamente, (...) non venne più per informarsi per verificare l'andamento della situazione; noi continuammo a lamentarci con le dipendenti chiedendo di farci chiamare, provammo a telefonargli ma non si rese reperibile. Questo è successo dopo che acquistammo la lavasciuga."). Ciò posto, la domanda dell'attore va rigettata in quanto l'inadempimento grave derivante dal risultato inaccettabile della pulizia del pavimento e della violazione delle regole della perizia per non aver indicato la necessità della pulizia straordinaria, facendo venir meno qualsiasi interesse ed utilità per la convenuta alla prestazione, esclude qualsiasi diritto dell'attrice alla prosecuzione del rapporto che solo per un periodo limitato di preavviso. Anche la domanda di risarcimento del danno per il passaggio della dipendente alla nuova impresa di pulizie, va rigettata non essendo in alcun modo dimostrato il danno ed, in particolare, per quale motivo l'attrice non avrebbe dovuto "immediatamente" liquidare il TFR alla dipendente, a fronte della libera scelta di quest'ultima di recedere dal contratto di lavoro. 4.2. Il rigetto della domanda principale determina l'accoglimento della domanda riconvenzionale, dovendosi dichiarare il contratto risolto a seguito di recesso per giusta causa della società convenuta. La domanda di risarcimento del danno proposta dalla convenuta va, invece, rigettata perché infondata. L'acquisto della macchina mono spazzola non costituisce un danno, trattandosi di un bene che è nel patrimonio della convenuta ed avendo quest'ultima ammesso che la macchina viene attualmente utilizzata per la pulizia del pavimento (circostanza peraltro confermata anche dal teste (...)). Il danno consistente nella necessità di effettuare una pulizia straordinaria non è causalmente connesso con l'inadempimento che ha dato causa al recesso, essendo provato che un risultato inaccettabile solo a partire dal 2018 a seguito dell'acquisto e dell'utilizzazione della lavasciuga (testimonianze di parte attrice: N.F.P. che prima della prova del 2018 non si erano mai lamentati della pulizia; Da quando poi hanno acquistato la lavasciuga facevano pulire una volta a settimana con la lavasciuga, ma per loro il risultato non era accettabile"; (...) Abbiamo poi comprato una lavasciuga perché il (...) si rifiutava di acquistarla. Questa macchina la utilizzavano le dipendenti della (...) e il risultato era pessimo perché la lavasciuga lasciava degli aloni delle ruote. (...) "i rappresentanti della (...) non si sono mai lamentati della pulizia del pavimento, ma erano un po' delusi dalla nuova macchina") e la conseguente imperizia della società attrice consistente nel non aver indicato la necessità di una previa pulizia straordinaria, sicché, in mancanza del predetto inadempimento, la pulizia straordinaria avrebbe comunque dovuto essere effettuata dalla società convenuta. Le spese di lite, attesa la reciproca soccombenza sulle domande risarcitorie e l'accoglimento della domanda riconvenzionale, sono compensate nella misura del 50% e per il residuo sono liquidate in favore della società convenuta, in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 sulla base del valore della causa e con applicazione dei parametri medi. P.Q.M. 1. Rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta dalla società (...) s.a.s 2. Accoglie la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta e, per l'effetto, accerta che il contratto di appalto di servizi avente ad oggetto la pulizia degli uffici della ditta (...) s.p.a. si è risolto a seguito e per effetto del recesso per giusta causa della (...) S.P.A. 3. Rigetta la domanda di risarcimento del danno per inadempimento proposta dalla convenuta. 4. Compensa per il 50% le spese di lite e condanna la (...) s.a.s. alla refusione del residuo 50% in favore della convenuta, che liquida in Euro 237,00 per spese ed Euro 2.417,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15% del compenso, c.p.a. ed I.V.A. come per legge. Così deciso in Verbania il 14 aprile 2021. Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERBANIA Il Tribunale, nella persona del giudice dr.ssa Vittoria Mingione, ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile Nrg. 1482/2018 promossa da: (...), (c.f. (...)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gi.Ub. (c.f. (...)) e Gi.De. (c.f. (...)) presso i quali è elettivamente domiciliato in Arona, C.so (...), pec. (...); (...) Attore Contro (...) (c.f. (...)) rappresentato e difeso dall'Avv. Ri.Bo. (c.f. (...)) presso il quale è elettivamente domiciliato in Borgomanero, Via (...), pec: (...) Convenuto Oggetto: violazione delle distanze legali RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. L'attore, proprietario di un immobile sito nel Comune di S. censito al Catasto fabbricati al fg. (...) mapp. (...) sub. (...), (...) e (...), confinante a nord-ovest con piccoli appezzamenti di terreno su cui sorgono dei box in lamiera, adibiti a ricovero auto a servizio delle unità immobiliari abitative censite al fg. (...) mapp. (...) C.T., ha esposto che: - il convenuto, (...), ha richiesto ed ottenuto Permesso di Costruire (n. 13/2016 del 21/10/2016, rilasciato dal Comune di Stresa -Area Edilizia Privata ed Urbanistica) per lavori di "nuova costruzione", consistenti nella "sostituzione box metallici esistenti con due nuovi box per ricovero auto con struttura portante zincata a caldo con tamponamenti in pannelli intonacati e tinteggiati con tinta analoga a quella dell'edificio condominiale esistente (ocra chiaro) e portone basculante con lato esterno in "effetto legno noce scuro"" da realizzare sui terreni censiti a C.T. al fg. (...) mappali n. (...) e n. (...) di sua proprietà ed in violazione delle distanze legali; - il convenuto ha, poi, realizzato i manufatti in parziale difformità rispetto al P.d.C. rilasciato dal Comune di Stresa, in particolare, quanto al box edificato sul mapp. (...), arretrandone il fronte prospiciente la proprietà P. di 150 cm; quanto al box edificato sul mapp. (...) arretrandone il fronte prospiciente la proprietà P. di 100 cm e realizzando una porta pedonale nei lati delle due autorimesse poste verso l'immobile del P. sicché: il box sul mapp. (...) è stato realizzato ad una distanza dalle pareti finestrate del fabbricato di proprietà P. inferiore a 10 mt. in violazione dell'art. 9, comma 1, D.M. n. 1444 del 1968, che detta le distanze "minime" tra fabbricati per ciascuna zona territoriale omogenea e, trattandosi di "nuova costruzione", in violazione dell'art. 2.1 delle N.t.d.A. del (...) di Stresa (come richiamato dall'art. 2.8 "Aree a capacità insediativa invariata") che, proprio in conformità alla norma nazionale sopra citata, pur ammettendo in taluni casi la facoltà di edificazione a confine, al comma 6 prevede che "La distanza minima tra pareti finestrate di edifici antistanti non dovrà essere comunque inferiore a mt. 10,00 anche quando una sola parete sia finestrata; tale prescrizione non si applica per pareti o parti di pareti non finestrate"; il manufatto da realizzare sul mapp. (...) è stato realizzato in violazione dell'art. 2.1. delle N.d.T.A. del Comune di Stresa il quale, in applicazione dall'art. 873 c.c., prevede che: "Nelle nuove costruzioni e negli ampliamenti la distanza dai confini di proprietà deve essere di almeno mt. 5,00; nel caso di edifici di altezza superiore a mt. 10,00 di almeno la metà dell'altezza dell'edificio"; né nel caso di specie potrebbe applicarsi l'art. 1.7. delle N.t.d.A. che consente la costruzione di autorimesse, anche senza convenzioni col vicino, "a) fuori terra, anche a confine di proprietà, secondo le norme del Codice Civile per un'altezza all'intradosso delle costruzioni non superiore a mt. 2,50 (e comunque a mt. 3,00 misurata all'estradosso), in misura non superiore a mq. 30, ogni unità alloggio con esclusione del computo del volume e della superficie coperta", in quanto il manufatto, la cui altezza è pari a mt. 2,30, è stato realizzato su un terrapieno artificiale, per cui all'altezza della costruzione deve cumularsi quella del muro di contenimento preesistente di cui costituisce sopraelevazione; infine l'opera non potrebbe nemmeno essere qualificata come basso fabbricato, la cui edificazione è ammessa a confine dall'art. 2.1, 8 comma, N.t.d.A. sempre con la limitazione in altezza di mt. 2,50 all'intradosso o mt. 3,00 all'estradosso della copertura. i box, per come sono stati realizzati in difformità al P.d.C. originario, sono entrambi dotati di una porta pedonale che consente al proprietario degli stessi di accedere al retro e affacciarsi direttamente sul fondo di proprietà del signor (...) in violazione delle distanze legali. Ha dunque, concluso come da conclusioni sopra riportate. 2. Si è costituito il convenuto che, quanto al box costruito sul mappale (...), ha contestato l'applicabilità nel caso di specie dell'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1414", evidenziando come la norma trovi applicazione solo allo scopo di "prevenire il degrado igienico-sanitario dei luoghi", esigenza che nel caso di specie non sussiste, dovendosi peraltro escludere che la norma abbia carattere integrativo delle norme codicistiche sulle distanze. Quanto al box edificato sul mappale (...), ha contestato la possibilità di "cumulare" l'altezza di un terrapieno, che risale a decenni, con la costruzione della palazzina (avvenuta negli anni cinquanta del secolo scorso). Quanto alle vedute, ha contestato che "le porte pedonali di accesso" al retro "in quanto "porte" possano essere considerate "vedute" evidenziando, come, in ogni caso, si trovano ad una distanza di "un metro e mezzo" consentita dalla normativa civilistica. 3. Concessi i termini per il deposito delle memorie istruttorie, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 24.05.2019, la causa, ritenuta matura per la decisione attesa la mancanza di contestazione sulle circostanze di fatto dedotte dall'attore, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 18.10.2019, ore 10:00. All'udienza del 18.10.2019, attesa la necessità di acquisire dati certi in merito alla situazione dei luoghi, revocata l'ordinanza con cui si era disposta la precisazione delle conclusioni e la discussione orale, è stata disposta consulenza tecnica d'ufficio. Depositata la relazione di consulenza in data 14.9.2020 la causa, all'udienza del 6.11.2020 è stata riservata in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali e repliche. 4. In via preliminare deve osservarsi come ai fini del presente giudizio, sia del tutto irrilevante il rilascio del permesso di costruire dal convenuto dal Comune di Stresa - la cui legittimità è attualmente al vaglio del Tribunale Amministrativo Regionale - attesa la indipendenza della disciplina privatistica e pubblicistica in materia di distanze legali. Sul punto giova richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale: "i provvedimenti autorizzatori amministrativi non incidono nei rapporti privatistici né pregiudicano i diritti soggettivi dei terzi i quali rimangono tutelabili davanti al Giudice ordinario, senza che si renda necessaria, da parte di quest'ultimo, una delibazione incidentale della legittimità o meno di quei provvedimenti (Cass. 30/3/1985 n.2230; Cass. 28/5/2007 n.12405). a. Ciò posto, quanto al box costruito sul mappale (...), in punto di diritto, risulta applicabile l'art. 2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, il quale prevede le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite, prevedendo, in particolare: 1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; 3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12. Risultano, in particolare, soddisfatti i presupposti di applicazione della citata previsione normativa, essendo stata dal CTU: a. la natura di nuova costruzione del box b. la situazione di frontalità dei due fabbricati. Come accertato dal CTU il box in precedenza aveva una superficie di mq. 11,75 e una volumetria di mc. 27,61, invece, attualmente, ha una superficie di mq. 28,00 e una volumetria di mc. 65,80, sicché "la superficie di ogni singolo box è superiore di mq. 16,25 rispetto alla superficie del box preesistente ed il volume del nuovo box è maggiore di mc. 38,19 rispetto al volume del box preesistente". In considerazione di quanto sopra trova applicazione il principio consolidato per cui in presenza di aumenti della volumetria o cambiamenti della sagoma in altezza o in larghezza con riferimento al confine, si verte in una ipotesi di nuova costruzione, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della relativa edificazione (cfr. ex multis Cass. Sez. II civ. 11.6.2018 n. 15041 e Cass. civ. Sez. II Ord., 13/08/2018, n. 20718 "Ai fini dell'applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione devesi intendere non solo la realizzazione a fundamentis di un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l'aumento della sagoma d'ingombro, in tal guisa direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti"). Quanto al secondo aspetto, come confermato dal CTU nella risposta al punto 4 del quesito: "è stato possibile verificare, sulla base di quanto disposto dalla Corte di Cassazione, che il box realizzato sul mappale (...) di proprietà convenuta (A.) risulta antistante le pareti finestrate dell'immobile di parte attrice (P.), in quanto l'avanzamento delle facciate dei due immobili e/o uno di essi, porta al loro incontro". L'accertamento compiuto dal CTU non si espone a censure essendo stata la situazione di frontalità accertata, in conformità al quesito, attenendosi ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per cui - due fabbricati, per essere antistanti, non devono essere necessariamente paralleli, ma possono fronteggiarsi con andamento obliquo, purché "fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento" (Cass. n. 2548/1972; n. 3480/1972; n. 9649/2016); la "antistanza" va intesa come circoscritta alle porzioni di pareti che si fronteggiano in senso orizzontale (Cass. n. 4639/1997); due fabbricati non sono antistanti ove si fronteggino solo gli spigoli delle costruzioni (Cass. n. 4639/1997). Va, invece, escluso che l'applicazione della norma presupponga anche l'accertamento di una potenziale compromissione dell'aspetto igienico sanitario della proprietà confinante e/o di una variazione di luminosità o di passaggio di aria, come sostenuto dal convenuto. Trattasi, infatti, di deduzione che non può essere condivisa per i seguenti motivi: - già sotto il profilo del rapporto tra le fonti di diritto, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, la distanza minima di dieci metri tra le pareti finestrate non è derogabile dalla fonte regolamentare; trattasi, infatti, di norma integrativa della disciplina del codice civile sulle distanze, non derogabile in sede locale (Cass. n. 1556/2005; n. 19554/2009; Cass., S.U. n. 14953/2011); - correlativamente, non sussistono spazi di discrezionalità giudiziale nella valutazione della possibile compromissione del bene giuridico tutelato, essendo le deroghe alla regola della distanza minima di dieci metri espressamente previste dalla legge; d'altra parte, la disciplina sulle distanze non si esaurisce nella necessità di evitare intercapedini tra gli edifici, essendo anche finalizzata alla realizzazione di un corretto e armonico assetto del territorio (cfr. sul punto Cassazione civile sez. II, 28/09/2018, n.23543: Qualora sia accertata la violazione delle distanze tra costruzioni, nella cui categoria vanno incluse le sopraelevazioni che comportino un aumento di volumetria e le balconate a sbalzo, è preclusa al giudice ogni indagine sull'idoneità dell'intercapedine ad arrecare un pregiudizio per l'igiene e per la salubrità dell'ambiente circostante, posto che tale valutazione è rimessa alla preventiva potestà della autorità legislativa, regolamentare attuata attraverso la fonte legge o i regolamenti amministrativi governativi e i regolamenti urbanistici territoriali, finalizzati ad armonizzare l'assetto urbanistico del territorio. Di talché, compete al privato che constati una violazione dell'art. 873 c.c., integrato con la normativa tecnica di riferimento, richiedere ed ottenere la riduzione in pristino dell'assetto preesistente alla violazione); - infine, la norma trova diretta applicazione nei rapporti tra privati in quanto integrativa della disciplina codicistica, anche in mancanza di disciplina regolamentare e l'orientamento citato dal convenuto (Cass. n. 13011/2000) va interpretato nel senso che, pur essendo la norma rivolta ai Comuni, si tratta di previsione che si inserisce automaticamente nello strumento urbanistico prevalendo in caso di disposizioni regolamentari difformi (cfr. Cass. civ. Sez. II, Sent. 30.10.2018, n. 27638 "Ciò premesso, nella specie, la Corte di merito premesso che il primo Giudice aveva erroneamente fondato la decisione su di una risalente giurisprudenza (Cass. n. 13011/2000, n. 6812/2000), secondo la quale le prescrizioni dettate dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti), essendo dirette ai Comuni, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici, non sono immediatamente applicabili nei rapporti tra privati - ha correttamente richiamato la giurisprudenza più recente (Cass. n. 21899 del 2004; Cass. n. 7563 del 2006; Cass. n. 3199 del 2008), la quale ha precisato che il suddetto principio di non immediata operatività del D.M. n. 1444 del 1968, citato art. 9, nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo per il Giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare la disposizione dell'art. 9 divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico"). Peraltro, nel caso di specie, la disciplina regolamentare è conforme alla citata previsione normativa, prevedendo l'art. 2.1 delle N.t.d.A. del (...)G. di Stresa (cfr. doc. 12 di parte attrice) al comma 6 che "La distanza minima tra pareti finestrate di edifici antistanti non dovrà essere comunque inferiore a mt. 10,00 anche quando una sola parete sia finestrata; tale prescrizione non si applica per pareti o parti di pareti non finestrate". Tanto premesso, in punto di fatto, il CTU ha confermato i dati di fatto relazionati dal ctp dell'attore (doc. 3 di parte attrice) ed, in particolare, che "la distanza tra il box prefabbricato ed il filo esterno del corpo scale dell'immobile di proprietà attrice, risulta essere pari a mt. 5,86 (come da rilievo eseguito in occasione del sopralluogo). Il CTU inoltre, nella risposta alle osservazioni del CTP dell'attore, ha convenuto sulla necessità di calcolare la distanza effettiva tenendo in considerazione anche la scala in posizione avanzata rispetto alla parete finestrata. La conclusione del CTU è condivisibile. Infatti la scala esterna nel caso di specie costituisce una costruzione accessoria al fabbricato ed è pertanto soggetta all'applicazione della disciplina civilistica sulle distanze tra fabbricati (cfr.: Cassazione civile Sez. II 30/1/2007 n.1966 "Invero, nel calcolo della distanza minima fra costruzioni posta dall'art.873 codice civile o da norme regolamentari di esso integrative (come nel caso di specie) deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato come la scala esterna in muratura anche scoperta, se ed in quanto presenta connotati di consistenza e stabilità; Cass. 1966/2007, 17390/2004, 4372/2002 "Nel calcolo della distanza minima fra costruzioni, posta dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative, deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato (nella specie, scala esterna in muratura), qualora queste, presentando connotati di consistenza e stabilità, abbiano natura di opera edilizia"). Discende che nel caso di specie risulta corretta la conclusione del CTU che ha calcolato la distanza tra il filo esterno del corpo scala della costruzione di parte attrice sino al box realizzato dal convenuto. L'accertamento della violazione delle distanze legali determina che il convenuto è condannato all'arretramento della costruzione, sulla base del principio del minimo mezzo e delle conclusioni cui è giunto il CTU in sede di repliche alle osservazioni di parte attrice. Pertanto, il convenuto è condannato all'arretramento del fronte del box prefabbricato costruito sul mappale (...) e prospiciente l'edificio di proprietà attrice, di mt. 4,14, con la precisazione che l'arretramento dovrà avvenire dalla posizione in cui si trova il box e non dalla linea di confine. b. Quanto al box edificato sul mappale (...), anche in questo caso, come accertato dal consulente tecnico d'ufficio, si tratta di nuova costruzione, avendo il convenuto realizzato un aumento della volumetria rispetto alla precedente costruzione. Sul punto si richiamano i punti della CTU già citati in relazione al mappale (...), avendo i due box dimensioni analoghe. Il manufatto, previsto nel permesso di costruire con altezza, per la parte prospiciente la proprietà del ricorrente, pari a circa mt. 2,21 (cfr. disegno allegato alla tavola 1 della richiesta di P.d.C - doc. 7 di parte attrice), è stato realizzato in sostituzione di un preesistente box metallico di dimensioni più contenute e, nelle previsioni iniziali, avrebbe esteso la sua superficie fino al confine della proprietà verso quella del ricorrente. In fase di edificazione l'autorimessa è stata, anche in questo caso, realizzata in difformità dall'originario titolo abilitativo e con l'arretramento del manufatto rispetto al confine di mt. 1,50, altezza del tetto sul lato verso la proprietà (...) di mt. 2,30 e con l'apertura di una porta pedonale su detto lato (doc. 7 e foto 11 a e b di parte attrice). Ciò posto, nel caso di specie trova applicazione l'art. 2.1. delle N.d.T.A. del Comune di Stresa (doc. 12 di parte attrice), che prevedono "Nelle nuove costruzioni e negli ampliamenti la distanza dai confini di proprietà deve essere di almeno mt. 5,00; nel caso di edifici di altezza superiore a mt. 10,00 di almeno la metà dell'altezza dell'edificio". La norma, prevedendo una distanza tra le costruzioni (implicita nella imposizione di una distanza minima dal confine), è norma integrativa dell'art. 873 c.c. il quale, nel prevedere che "Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri, consente ai regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore. Giova, infatti, osservare come la natura integrativa delle previsioni regolamentari sulle distanze va riconosciuta all'intera disciplina predisposta da tali fonti e, conseguentemente, anche a quelle disposizioni che, nello stabilire una maggiore distanza tra edifici, prescrivano, contestualmente, particolari modalità circa la misurazione della distanza medesima, assumendo come termine di riferimento eventualmente il confine, o disponendo che, in ogni caso, debba sussistere un determinato distacco rispetto al confine stesso, conseguendone che le diverse (e più gravi) limitazioni così dettate, risultando pur sempre funzionali al rispetto delle distanze tra costruzioni, vanno considerate anch'esse integrative di quelle stabilite dal codice civile e la loro inosservanza legittima il proprietario frontista non soltanto all'azione di risarcimento del danno, ma anche a quella di riduzione in pristino (Cassazione civile sez. II, 23/03/2001, n. 4267). Si è infatti affermato che le norme dei regolamenti edilizi, che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinato distacco tra le costruzioni e il confine, sono volte non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell'assetto urbanistico, così che, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino (cfr. sul punto Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, (ud. 28/03/2018, dep. 11/09/2018), n. 22054). Il box edificato sul mappale (...) è stato realizzato ad una distanza di 1,50 m. dal confine e, pertanto, in violazione della distanza minima di cinque metri dal confine stabilito nell'art. 1.7. delle N.t.d.A. Deve altresì escludersi che il manufatto possa essere realizzato al confine come previsto dal permesso di costruire. Anche sul punto la domanda dell'attore è fondata e deve essere accolta. La norma, art. 1.7. delle N.t.d.A. consente la costruzione di autorimesse, anche senza convenzioni col vicino, "a) fuori terra, anche a confine di proprietà, secondo le norme del Codice Civile per un'altezza all'intradosso delle costruzioni non superiore a mt. 2,50 (e comunque a mt. 3,00 misurata all'estradosso), in misura non superiore a mq. 30, ogni unità alloggio con esclusione del computo del volume e della superficie coperta". Come accertato dal CTU nella risposta al punto 7) del quesito "l'analisi dello stato dei luoghi e nello specifico della porzione di terreno su cui insiste il fabbricato condominiale di cui al mappale 175, nonché i box prefabbricati di proprietà convenuta, ha dimostrato che l'immobile condominiale e i box sono stati realizzati su di un terrapieno artificiale, contenuto dal muro di contenimento esistente, realizzato verso viale (...) e verso la proprietà attrice. Il CTU, ha quindi confermato che "l'altezza all'estradosso del box prefabbricato identificato al mappale (...), di proprietà convenuta, è pari a: - altezza media del box prefabbricato: mt. (2,50+2,21)/2 = mt. 2,35 - altezza fronte del muro di contenimento: mt. 2,60 - altezza totale all'estradosso: mt. 2,35+2,60= mt. 4,95". Gli esiti dell'accertamento peritale vanno recepiti, dovendosi l'altezza della nuova autorimessa cumulare con quella del muro di contenimento preesistente. Quest'ultimo deve infatti qualificarsi a tutti gli effetti come muro di fabbrica, per cui la costruzione che insiste sul medesimo costituisce sopraelevazione. Il muro infatti è stato realizzato per contenere il terrapieno artificiale "che risale a decenni con la costruzione della palazzina (avvenuta negli anni cinquanta del secolo scorso)" modificando l'andamento naturale del terreno, come verificato dal CTP di parte attrice nella relazione asseverata in atti allegata (doc. 3 - tavole prospettiche schematica 3D) e dal CTU, che nella risposta alle osservazioni di parte convenuta, pur in mancanza di documentazione, ha rilevato la natura artificiale del terrapieno sulla base di elementi univoci. In particolare, il CTU ha osservato che il fabbricato condominiale in oggetto, è dotato di un piano interrato destinato a locali accessori, quali cantine, e pertanto è evidente che il piano d'imposta delle fondazioni dell'edificio sia ad una quota più bassa di almeno metri 3,00 rispetto alla quota di campagna della corte condominiale e quindi non è corretto affermare, come il consulente fa, che l'immobile condominiale sia appoggiato su di un semplice terrapieno. Data la conformazione del terreno, è infatti ipotizzabile e realistico pensare che prima sia stato realizzato il piano interrato del fabbricato condominiale, contestualmente alla costruzione dei muri di sostegno verso la proprietà attrice e successivamente è stato creato il terrapieno. Trova, dunque, applicazione il principio in forza del quale "In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna - originariamente livellato sul confine tra due fondi - sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato "ex novo" dall'opera dell'uomo, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni" (Cass. civ. Sez. II, 24-06-2003, n. 9998); "Le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino. Ne consegue che, qualora lo strumento urbanistico locale, successivamente intervenuto, abbia sancito l'obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine ovvero tra le costruzioni, tale nuova disciplina vincola il preveniente che rimane tenuto, se vuole sopraelevare, alla osservanza della diversa distanza stabilita, senza alcuna facoltà di allineamento (in verticale) alla originaria preesistente costruzione, a meno che la normativa regolamentare non preveda una espressa eccezione in proposito" (Cass. civ. Sez. II Ord., 10/05/2018, n. 11320). Irrilevante altresì fatto che preesistesse in loco fabbricato costruito a distanza di circa mt. 4 dal confine, in quanto l'autorimessa realizzata, costituendo una nuova edificazione, soggiace alle norme vigenti al momento della sua realizzazione (sul punto si richiama la giurisprudenza già citata in relazione al box sul mappale 280). L'altezza complessiva all'estradosso, in quanto superiore ai tre metri previsti dalla norma citata per effetto della realizzazione del box sul terrapieno artificiale, determina la esclusione della possibilità per il convenuto di costruzione al confine, La violazione della distanza legale e la impossibilità di costruzione al confine determinano che il convenuto è tenuto all'arretramento del box edificato sul mappale (...) alla distanza di cinque metri dal confine ovvero a mt 3,75 dall'attuale posizione. Atteso l'accoglimento della domanda attorea in merito alla violazione delle distanze legali tra i fabbricati, risultano assorbite le ulteriori doglianze relative alla violazione anche della disciplina sulle distanze delle vedute. c. La domanda di risarcimento del danno proposta dall'attore deve essere accolta, essendo il pregiudizio alle facoltà di godimento insito nella abusiva imposizione di una servitù (cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 31/08/2018, n. 21501 "In tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo l'effetto, certo e indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà"). In punto di liquidazione, la Suprema Corte ha chiarito che in tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell'opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme non rispettate e non del valore di mercato dell'immobile, diminuito per effetto della detta violazione, poiché tale pregiudizio è suscettibile di eliminazione (Cass., Sez. 2, 4.6.2018, n. 14294). Trattandosi di danno consistente nella compromissione delle facoltà di godimento, ai fini della liquidazione, che necessariamente deve avvenire in via equitativa, ex art. 2056 c.c., si considerano l'entità della compromissione e la relativa durata. Pertanto, tenuto conto della durata limitata durata dell'abuso e della specifica conformazione dei luoghi, si stima equo liquidare tale danno nella misura di Euro 1.000,00, già comprensiva di rivalutazione all'attualità e correlativi interessi medio tempore maturati. Su tale somma, spettano gli interessi nella misura legale con decorrenza dalla pubblicazione della presente sentenza, che segna il momento della conversione del debito di valore in debito di valuta. 5. Le spese legali comprese quelle di CTU, CTP e di quelle di mediazione seguono la soccombenza e sono poste a carico del convenuto. Le spese di mediazione sono liquidate, comprensive di accessori, sulla base dei parametri minimi per le controversie di valore indeterminabile di complessità media, attesa la limitata attività di assistenza svolta, limitatamente alla fase dell'attivazione e della negoziazione. Le spese di CTP, come documentate, si considerano ripetibili e congrue atteso il contributo fornito dal CTP dell'attore all'accertamento delle dedotte violazioni delle distanze legali. Le spese di CTU sono a carico del convenuto come già liquidate in corso di causa. Le spese di lite si liquidano sulla base del D.M. n. 55 del 2014 per le controversie di valore indeterminabile di complessità media con applicazione dei parametri medi ridotti del 30% attesa la mancanza di contestazione sulla situazione di fatto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. Accoglie la domanda proposta da (...) nei confronti di (...) e, per l'effetto, condanna quest'ultimo: all'arretramento del box prefabbricato realizzato sul terreno censito al C.T. del Comune di S. al fg. (...) mappale n. (...), prospiciente l'edificio di proprietà attrice, di mt. 4,14, con la precisazione che l'arretramento dovrà avvenire dalla posizione in cui si trova il box e non dalla linea di confine; all'arretramento del box prefabbricato realizzato sul terreno censito al C.T. del Comune di S. al fg. (...) mappale n. (...), prospiciente l'edificio di proprietà attrice, di mt. 3,75 con la precisazione che l'arretramento dovrà avvenire dalla posizione in cui si trova il box e non dalla linea di confine. 2. Condanna (...) al risarcimento del danno in favore di (...) che liquida in Euro 1.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla pubblicazione della presente sentenza al soddisfo. 3. Condanna il convenuto a rimborsare all'attore le spese di lite, che si liquidano in Euro. 3.287,24 per spese vive (Euro. 1.609,00 per la fase della mediazione, Euro 1.122,00 per le spese di CTP, Euro 11,24 spese di notifica, Euro 518,00 contributo unificato, Euro 27,00 marca da bollo) ed Euro 7.240,10 per compensi, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, c.p.a. ed IVA come per legge. 4. Pone a definitivo carico del convenuto le spese di CTU già liquidate in corso di causa. Così deciso in Verbania il 25 marzo 2021. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VERBANIA in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Vittoria Mingione ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 1244 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018, vertente TRA (...) (CF. (...)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Al.Za e Ra.Ul. ed elettivamente domiciliato in Verbania, Corso (...) (pec: (...); (...)) ATTORE E (...) s.r.l. (Partita I.V.A.: (...)), in persona del suo Amministratore Unico, legale rappresentante pro tempore, (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Fr. ed elettivamente domiciliata in Verbania, Corso (...), (pec: (...)) CONVENUTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE a. L'attore, ha esposto di aver acquistato dal convenuto, alienante e costruttore, l'immobile sito in M. Via (...), sito al secondo piano del Condominio "(...)" ha esposto che l'immobile presenta gravi vizi di costruzione come descritti nella perizia di parte, consistenti in: a) infiltrazioni nelle camere da letto; b) vizi del cancelletto in ferro antintrusione; c) infiltrazioni di acqua sul muro della camera da letto e formazione di muffe; d) infiltrazioni nel ripostiglio e sul terrazzo verso lago; e) difetti diffusi e difformità edilizie di aver più volte contestato i suddetti vizi al convenuto, che poneva in essere interventi non risolutivi; di aver inviato formale contestazione dei vizi in data 3.11.2017; di non aver ottenuto alcun riscontro né alla detta contestazione formale, né all'invito alla negoziazione assistita. Tanto premesso, qualificando i suddetti vizi come difetti strutturali dell'immobile ai sensi dell'art. 1669 c.c., ha chiesto condannarsi il convenuto alla eliminazione dei vizi indicati, o per il caso di indisponibilità del convenuto, al risarcimento del danno corrispondente al valore degli interventi necessari alla eliminazione dei vizi. b. Si è costituito il convenuto, il quale ha contestato che i vizi indicati nell'atto di citazione possano essere considerati difetti strutturali dell'immobile ai sensi dell'art. 1669 c.c., dovendosi invece qualificare come vizi della cosa venduta attratti alla disciplina dell'art. 1490 c.c. Ha, dunque, eccepito la decadenza e la prescrizione dell'acquirente dall'azione di garanzia, avendo l'attore acquistato il bene con atto stipulato in data 12.10.2015 con consegna differita al 30.04.2016 ed inviato diffida solo in data 3.11.2017. Nel merito, ha contestato che il cancelletto antintrusione ed il box doccia rientrassero nell'oggetto della compravendita; ha contestato l'esistenza di vizi nei serramenti ed ha evidenziato come le planimetrie catastali fossero presenti già al momento della stipula dell'atto. Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto della domanda. c. All'udienza del 14.12.2018 sono stati concessi i termini istruttori. Con la memoria primo termine l'attore ha contestato l'eccezione di decadenza e prescrizione, esponendo come l'immobile al momento della consegna in data 30.04.2016 non fosse ultimato. Ha, inoltre, evidenziato come in data 5.10.2015, ossia in epoca di poco antecedente la conclusione del contratto, avvenuta in data 12.10.2015, le parti avessero sottoscritto un elenco delle opere da ultimare entro la data di consegna e del mobilio descritto, cosicché all'originaria obbligazione se ne era affiancata un'altra di natura ibrida, sganciata dai termini di prescrizione e decadenza anche ove i vizi denunciati fossero da considerarsi redibitori. Inoltre, tra le parti era intercorsa continua corrispondenza sino al 9.06.2017 in relazione all'arredamento, inferriata da apporre alla finestra della camera da letto, cabina doccia, protezione di sicurezza, pannello della porta del bagno, tenda a rullo e le infiltrazioni nell'appartamento e, pertanto, i vizi erano stati tempestivamente denunciati. Ha esposto come il cancelletto in ferro antintrusione ed il cristallo del box doccia rientrasse nella compravendita, come comprovato dalle comunicazioni intercorse tra le parti. Ha, inoltre, esposto come solo all'esito della relazione di parte abbia acquisito consapevolezza quali-quantitativa del fenomeno infiltrativo e che la conformità catastale dell'immobile rientri nella responsabilità dell'alienante venditore. Nella memoria secondo termine ha depositato l'elenco degli arredi e delle opere da ultimare sottoscritto dalle parti. La convenuta, in replica, nella memoria secondo termine ha contestato l'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale in quanto svolta dall'attore solo nella memoria primo termine e la violazione del contraddittorio quanto alla documentazione posta a fondamento della medesima domanda; nella memoria terzo termine ha contestato, a seguito della produzione di parte attrice documento recante la condivisione delle opere da eseguire, come al momento della consegna erano stati eseguiti: a) stuccatura /verniciatura fessurazioni della parete sinistra del porticato - terrazzo sul lago; b) l'inserimento motore impianto aspirazione polveri; c) inferriata h. 200 cm. da posizionare sopra l'esistente in corrispondenza dell'ascensore lato destro; d) automazione serranda garage; e) installazione n. 2 rubinetti per acqua sul terrazzo fronte lago e n. 1 sul terrazzo a monte. Quanto al box doccia ad angolo nel bagno piccolo, ha esposto come COGEMI avesse solo assunto l'impegno di verificare "se possibile montare un cristallo" ma non di fornirlo e montarlo; invece, l'inferriata al finestrone della camera da letto non fu eseguita solo per scelta dell'attore perché gli sembrava "di essere in una prigione" e lo stesso attore aveva poi deciso di realizzarla a distanza di oltre un anno, con scelta di progetto e materiali autonomamente assunta. L'attore nella memoria terzo termine ha dedotto di non aver modificato la domanda deducendo un nuovo contratto, ma di aver semplicemente replicato all'eccezione di prescrizione e decadenza precisando la domanda originariamente svolta. d. A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 2.05.2019, è stata disposta CTU limitatamente ai fenomeni infiltrativi denunciati dall'attore ai punti b) e c) dell'atto di citazione e la causa è stata rinviata all'udienza del 24.09.2019 per l'esame della CTU. A seguito di deposito della relazione peritale, è stato concesso un rinvio per bonario componimento all'udienza del 20.12.2019. A quest'ultima udienza, rilevato il fallimento delle trattative, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13.03.2020, e con decreto fuori udienza, a causa dell'emergenza epidemiologica in corso, all'udienza del 28.04.2020 e del 22.05.2020. A quest'ultima udienza, che si è svolta mediante trattazione scritta, come disposto con decreto del 23.04.2020, la causa è stata riservata in decisione con la concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. e. In via preliminare, in punto di qualificazione delle domande proposte dall'attore, si osserva come per giurisprudenza costante "i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente una parte dell'opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell'opera medesima, come ad esempio si verifica nel caso di infiltrazioni di acqua e di umidità per difetto di copertura dell'edificio (Cass. n. 21351/2005); inoltre, configurano gravi difetti dell'edificio a norma dell'art. 1669 anche le carenze costruttive dell'opera - da intendere anche come singola unità abitativa - che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l'abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d'arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, etc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l'abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati (Cass. n. 8140/2004). Giova, peraltro, evidenziare come anche in quest'ultima pronuncia, ove si è riconosciuta la riconducibilità dei vizi richiedenti anche opere di manutenzione ordinaria, si fa comunque riferimento a vizi che incidono sulla complessiva fruibilità del bene (nel caso della pronuncia citata si trattava del distacco della quasi totalità della pavimentazione dell'immobile, tanto da incidere sulla funzionalità ed abitabilità dell'appartamento). Il principio è stato affermato anche dalle Sezioni Unite, per cui "In tema di contratto d'appalto, l'art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo" Cassazione civile sez. un., 27/03/2017, n. 7756). Anche in relazione ai difetti di impermeabilizzazione, pertanto, occorre fare riferimento al principio per cui deve trattarsi di vizi che incidano sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile nella sua globalità. Nel caso di specie, alla luce dei principi sopra esposti, va esclusa la riconducibilità dei difetti denunciati ai punti a), b) ed e) dell'atto di citazione (finestre prive di battuta sul pavimento nella camera da letto con un costo di intervento di riparazione stimato dal ctp in Euro 1.000,00; cancelletto in ferro posizionato ad una altezza inferiore per un costo stimato di Euro 1.260,00; gocciolamento finestra del tetto, con un costo stimato dal CTU pari ad Euro 100,00; posa del silicone nei piantoni della copertura del corridoio con un costo stimato di Euro 400,00; posa di uno staccagoccia aggiuntivo in rame per un costo stimato pari ad Euro 180,00; verniciatura con una sola mano delle ringhiere; tegola rotta; torrino in cotto rotto; difetti nel posizionamento del profilo di congiunzione dei serramenti delle camere da letto), oltre che le difformità catastali elencate in citazione, dal novero dei difetti di costruzione di cui all'art. 1669 c.c. I vizi denunziati dall'attore sopraindicati sono riconducibili oltre che per estensione, anche per entità, a vizi nelle rifiniture, che non compromettono in modo grave l'abitabilità del bene. Quanto, invece, alle difformità catastali, si tratta di vizi ascrivibili agli oneri che incidono, limitandolo, sul godimento del bene, rientranti nella garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. Tanto premesso, va esclusa la tempestiva denuncia dei vizi negli otto giorni successivi alla scoperta. A fronte della eccezione di decadenza sollevata dal convenuto, l'attore ha ripercorso tutte le comunicazioni intercorse tra le parti, ma dalle medesime non si evince alcunché circa il momento in cui l'attore è venuto a conoscenza dei vizi specificamente dedotti in citazione pur essendo stato immesso nel possesso del bene già nell'aprile del 2016, né ha specificamente dedotto nell'ambito di quali comunicazioni, tra quelle prodotte, siano stati denunciati i singoli difetti denunciati in citazione. Peraltro, dalla lettura delle citate comunicazioni si evince, quanto ai vizi dedotti nel punto a) dell'atto di citazione - in particolare quanto alle infiltrazioni nelle camere da letto per vizi dei serramenti - che il vizio era conosciuto dall'attore già in epoca antecedente alla redazione della perizia di parte, atteso che nella mail del 13.08.2016 si legge "nella camera da letto scorre l'acqua attraverso la porta quando piove. Questo è successo diverse volte quando siamo stati a Meina". Da ciò si desume come l'attore era già a conoscenza del vizio prima della redazione della consulenza di parte, e che anche la comunicazione del 13.08.2016 non è stata tempestiva, trattandosi di difetto già conosciuto in precedenza nelle occasioni in cui si era recato nell'immobile. Quanto ai vizi indicati nella lettera d), va disattesa la deduzione dell'attore per cui in assenza di completamento dell'immobile l'attore non avrebbe potuto avvedersene o che, in assenza della relazione del consulente di parte non avrebbe potuto rendersi conto della relativa consistenza quali- quantitativa. L'attore era, infatti, già entrato nel possesso del bene e, come risultante dalle plurime comunicazioni intercorse con la convenuta, ha effettuato numerose richieste di intervento per ulteriori e diverse lavorazioni, ragion per cui aveva la possibilità di contestare tempestivamente anche gli ulteriori vizi, per cui ha conferito incarico al CTP. Infatti, si tratta di vizi che erano riconoscibili anche in assenza di relazione del consulente di parte, trattandosi di problemi connessi al gocciolamento dell'acqua, o comunque visibili e non occulti (verniciatura delle ringhiere). Quanto ai primi, dalle comunicazioni intercorse tra le parti non vi è alcun riferimento ai suddetti vizi conoscibili, perché manifestatisi in occasione delle piogge, atteso quanto dedotto dal CTP circa il gocciolamento, che dunque poteva essere denunciato dall'attore anche in epoca antecedente quando si è recato nell'immobile, come avvenuto per le infiltrazioni nelle pareti; quanto ai secondi, si tratta di vizi visibili, trattandosi di difetti di verniciatura. Diverso il discorso in relazione alla dedotta omessa realizzazione del cancelletto antintrusione (lett. b) e del cristallo doccia (lett. e) da parte della convenuta. Quanto al primo, l'attore nella citazione ha dedotto non l'omessa installazione del cancelletto antintrusione, ma un vizio nel relativo montaggio. La convenuta nella comparsa di costituzione ha dedotto che il cancelletto antiintrusione non fu realizzato da (...), non era previsto né presente all'atto della compravendita (ottobre 2015), né all'atto della consegna (aprile 2016). Ha, altresì, dedotto come l'elemento contestato fu fatto realizzare e posare dall'attore, che nel luglio 2016 trasmise all'amministratore pro tempore richiesta di installazione con allegato progetto. Quest'ultima deduzione trova riscontro nei documenti depositati da parte convenuta (doc.ti 1, 2 e 3). Dalle comunicazioni prodotte dall'attore, invece, emerge come la convenuta avesse realizzato un cancelletto antintrusione, ma non emerge in alcun modo che il cancelletto presente nel suo immobile fosse stato montato dalla convenuta. A fronte delle specifiche contestazioni della convenuta, va, dunque, escluso che il vizio del cancelletto, posizionato ad una altezza inferiore, dedotto dall'attore possa essere imputato alla convenuta, non risultando provato che abbia proceduto alla relativa installazione. Quanto, infine, al vetro doccia, a fronte della contestazione di parte convenuta circa la esclusione del box doccia dalla fornitura, l'attrice nella memoria primo termine ha prodotto mail dalle quali parte attrice deduce che la convenuta si sia impegnata alla realizzazione del box doccia in data antecedente alla stipula del rogito, avendo le parti sottoscritto un documento dal quale risultavano le opere ancora da eseguire, del 5.10.2015 (doc. 6 di parte attrice). Successivamente, dalle comunicazioni intercorse tra le parti risulta che la convenuta ha comunicato l'impossibilità di realizzazione su misura con mail del 23.09.2016. Nella memoria primo termine l'attore ha esposto che l'obbligazione di garanzia si sarebbe trasformata in forza della citata scrittura in un'obbligazione autonoma e diversa da quella di garanzia. Ciò premesso si osserva come dal documento 6 depositato da parte attrice, non emerge alcun impegno della convenuta a realizzare il cristallo doccia, emergendo solo l'impegno a verificarne la fattibilità. Inoltre, come correttamente rilevato da parte convenuta, il documento costituisce un patto connesso alla compravendita dell'immobile avente ad oggetto la fornitura e posa in opera di mobilio e di elementi di arredo. L'allegazione si traduce nella proposizione di una domanda nuova inammissibile nella memoria primo termine. Come affermato dalle Sezioni Unite sent. 15/06/2015, n.12310, "La modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali; ne consegue l'ammissibilità della modifica, nella memoria prevista dall'art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo". Nella citata sentenza si legge come "con la modificazione della domanda iniziale l'attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio". Successivamente le Sezioni Unite (Cass., SU, n. 22404 del 2018), intervenute nuovamente sul punto hanno esteso la possibilità di modifica della domanda anche all'ipotesi di domanda proposta in via subordinata e/o alternativa e non in via sostitutiva alla domanda proposta negli atti introduttivi. Alla luce della condivisibile lettura operatane da Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, n.18546, si può, dunque, ritenere che: "la domanda "complanare" ex art. 183 c.p.c., comma 1, n. 6, non necessariamente dovrà sostituirsi alla domanda originaria, ma potrà ad essa cumularsi (quale domanda principale o in via vicaria)"; "ciò che rende ammissibile la introduzione in giudizio di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall'udienza ex art. 183 c.p.c., e che, quindi, consente di distinguere la domanda che tale diritto deduce da quella riconvenzionale di cui si occupa il comma 5 del medesimo articolo (cd. reconventio reconventionis), è il carattere della teleologica "complanarità": il diritto così introdotto in giudizio deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere dopo tutto alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, dell'utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale e dunque risultare incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio". Nel caso di specie, pur volendosi ritenere ammissibile la proposizione della domanda di risarcimento fondata su un titolo contrattuale in via subordinata alla domanda proposta di risarcimento fondata sul titolo extra-contrattuale, perché attinente al medesimo bene della vita dedotto in citazione, l'attore ha allegato, per il caso in cui i vizi dovessero ricondotti a quelli redibitori, una promessa di eliminazione dei vizi con termine di prescrizione decennale, allegando un fatto in precedenza non dedotto. Pertanto, non si è avuta alcuna modifica della domanda originariamente proposta, ma l'allegazione di un fatto nuovo, prima non sottoposto al contraddittorio, ossia la redazione congiunta di un documento contenente l'elenco delle opere da eseguire, fatto diverso e ulteriore rispetto a quelli dedotti nel ricorso introduttivo - vizi di costruzione nell'immobile - fondato su un titolo - inteso come documento contrattuale - diverso. Ciò non si traduce in una mera riqualificazione della domanda già proposta e/o diversa interpretazione della vicenda sostanziale già dedotta, ma una domanda nuova diversa ed ulteriore in quanto connessa ad una vicenda del tutto diversa da quella dedotta nell'atto introduttivo. Pertanto, la domanda nuova svolta dall'attore nella memoria primo termine e ribadita nelle memorie conclusionali è inammissibile, in quanto proposta oltre l'udienza di prima comparizione e trattazione, in cui a pena di decadenza devono essere proposte le domande che sono conseguenza delle eccezioni proposte dal convenuto. f. Vanno invece ricondotti alla garanzia ex art. 1669 c.c., azionabile anche nei confronti dell'alienante costruttore (Cass. 7634/2006; 4622/2002), i vizi relativi alle infiltrazioni di cui alle lettere c e d della citazione (infiltrazioni sul muro della camera da letto; infiltrazioni nel ripostiglio e sul terrazzo verso lago). Sul punto, giova richiamare il principio per cui le infiltrazioni di acqua, in quanto incidono sulla salubrità degli ambienti e sulla vivibilità sono senz'altro attratte ai fenomeni inquadrabili nei vizi di costruzione di cui all'art. 1669 c.c. (cfr. In tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 c.c. non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente una parte dell'opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell'opera medesima, come ad esempio si verifica nel caso di infiltrazioni di acqua e di umidità per difetto di copertura dell'edificio. Cassazione civile sez. II, 04/11/2005, n.21351). Così qualificata la domanda, va rigettata l'eccezione di decadenza e prescrizione formulata dal convenuto, atteso che risulta la tempestiva denuncia dei vizi e la domanda è stata proposta nel termine annuale decorrente dalla denuncia. In particolare, la denunzia è stata fatta entro l'anno dalla scoperta, avendo l'attore denunciato le infiltrazioni tempestivamente in data 9.06.2017; quanto alla prescrizione, la responsabilità dell'alienante costruttore, in questo caso, è soggetta al termine di prescrizione annuale dal momento della denuncia ai sensi dell'art. 1669 c.c. e, considerando l'interruzione della prescrizione con lettera di messa in mora del 3.11.2017, l'azione è stata proposta tempestivamente con atto di citazione notificato in data 1.08.2018. Nel merito la domanda è fondata e merita accoglimento. Come accertato dal CTU, sussistono le infiltrazioni nella camera da letto, essendovi un degrado della finitura superficiale interna alla camera, in corrispondenza della zona di intersezione tra muro rivolto vero il corridoio esterno di ingresso, coperto da pensilina e muro verso terrazzo a monte ( Fotografia 9 e Fotografia 10)."; la causa delle infiltrazioni è riconducibile alla regimazione delle acque meteroriche: "La causa scatenante è la regimazione delle acque meteoriche. Ove si è manifestato il degrado è una zona al disopra del quale insiste una particolare convergenza dei compluvi"; "all'origine del danno non è la qualità, l'esecuzione della posa, la determinazione delle sezioni ma i criteri di progetto del sistema di regimazione delle acque meteoriche che hanno determinato il posizionamento dei punti di raccolta e allontanamento delle acque. La Fotografia 15 dimostra che di fatto ci sia stata una infiltrazione di acqua meteorica al di sotto del manto di copertura in tegole con successivo riversamento entro la muratura e sua rovina verso la camera. Si nota che il tessuto non tessuto color rosa al disotto delle tegole ( strato di tenuta all'aria) in corrispondenza del tubo di scarico convogliante le acque meteoriche provenienti dalla copertura in vetro, risulta dilavato. Nelle zone limitrofe invece, lo stesso tessuto risulta coperto da pulviscolo, come normale che sia (vedere Fotografia 16) . L'acqua meteorica una volta raggiunto tale strato non è più convogliabile attraverso i normali criteri ed è causa di danno verso ciò che ne giace al di sotto e che non è resistente alla stessa. Il lamentato distacco degli zoccolini in pietra è causato dai riversamenti di acqua meteorica sulle pareti. Evidenti segni di riversamenti, verso il corridoio di ingresso comune agli appartamenti limitrofi, sono dimostrati dal degrado della finitura superficiale rilevabile dalla Fotografia 17 e dalla Fotografia 18. Le fasce alternate verticali a diversa gradazione del colore rappresentano l'azione dell'acqua nella fase di riversamento in parete. La rivelazione strumentale ha permesso di determinare la presenza di acqua sulla superficie della stessa parete nel lato rivolto verso il terrazzo di proprietà della parte attrice. La presenza di acqua è stata rilevata non solo alla base ma anche in prossimità della copertura". Il CTU ha inoltre accertato che "la situazione di fatto lamentata ha cominciato a manifestarsi dal termine della costruzione a partire dai primi fenomeni piovosi". Quanto alle infiltrazioni nel ripostiglio e sul terrazzo verso lago, il CTU ha accertato che "Sulla finitura superficiale interna del ripostiglio è presente una zona in stato di leggero degrado della tinteggiatura. La superficie risulta comunque asciutta (vedere Fotografia 19). Il falso puntone in legno limitrofo presenta evidenze di imbibizione pregresse di acqua. Sul terrazzo verso lago non si rilevano fenomeni di degrado della superficie di pavimento". Quanto a questo ultimo, tuttavia, il CTU ha escluso errori progettuali e di esecuzione per l'ipotesi di fenomeni piovosi ordinari, evidenziando come "Nelle normali condizioni, prevedibili in fase progettuale, il sistema di allontanamento delle acque meteoriche, come realizzato, garantisce il normale deflusso. Le verifiche riguardo i dimensionamenti delle lattonerie, fondati sulla noma UNI 12056-3 e sulla letteratura disponibile in materia, hanno confermato la correttezza delle scelte progettuali. Estrapolando un dato dai calcoli eseguiti, a titolo esemplificativo, si evince che il pluviale diametro 100 mm convogliante le acque meteoriche dalla copertura verso terra, è in grado di regimare le acque provenienti da una superficie di raccolta pari a 261,25 m2. Rispetto ai 68 m2 attribuibili alle superfici di raccolta delle falde dell'immobile di proprietà di parte attrice e del vicino si evince che la verifica è positiva. In casi di eventi metereologici di particolare forma ed intensità, l'acqua può disassociarsi dai percorsi normalmente previsti e riversarsi sulle strutture sottostati non resistenti al fenomeno, ed ha pertanto ravvisato la causa del danno a periodi di forte intensità piovosa. Sul punto vanno disattese le deduzioni di parte convenuta in merito alla contraddittorietà delle conclusioni del CTU. Deve, infatti, rilevarsi come nella stessa relazione di consulenza si evidenzia come "La causa del danno, come per le infiltrazioni lamentate alla lettera c) dell'atto di citazione, è la regimazione delle acque meteoriche con particolare riferimento ai periodi di forte intensità piovosa", cosicché pur escludendo un errore di progettazione e/o di esecuzione in relazione a fenomeni piovosi ordinari, il CTU ha escluso che il sistema di regimazione sia idoneo in caso di eventi eccezionali. In merito alle opere necessarie alla eliminazione dei vizi e liquidazione del danno il CTU ha indicato in relazione ai vizi di cui alla lett. c) dell'atto di citazione la realizzazione di un nuovo pluviale di raccolta e scarico acque meteoriche provenienti dalla copertura in vetro del corridoio di ingresso esterno, da porsi in prossimità del volume emergente del vano ascensore, convogliando le acque piovane nel canale perimetrale di coronamento del terrazzo del piano secondo di proprietà di parte attrice, mentre, per la situazione di fatto lamentata alla lettera d), ha concordato con quanto riportato nella relazione tecnica del C.T.P. di parte attrice riguardo la realizzazione di un troppo pieno nella scossalina di testa del canale di raccolta tenuto conto che tale intervento si configura come migliorativo delle condizioni in essere rispetto ad eventi eccezionali. Il valore delle opere da eseguire è stato quantificato dal CTU in Euro 1.261,10. Non sussistono elementi che inducano a discostarsi dalla valutazione operata dal CTU, cosicché la società convenuta va condannata al pagamento in favore di parte attrice dell'importo di euro Euro 1.261,10 corrispondente al valore delle opere necessarie alla eliminazione dei difetti nelle opere di regimazione delle acque. Considerando che la domanda di risarcimento del danno proposta dall'attore è una domanda di risarcimento in forma specifica, volta ad ottenere - in assenza di volontaria rimessione in pristino - in forma monetaria il valore corrispondente ai lavori da eseguirsi per la eliminazione dei vizi, al suddetto importo va aggiunta l'IVA pari al 22% per complessivi Euro 277,44. Al suddetto importo complessivo - pari ad Euro 1.538,54- vanno, altresì, aggiunti gli interessi legali dal momento della sentenza al soddisfo. Va esclusa, invece, la rivalutazione richiesta dall'attore, atteso che il valore delle opere è stato determinato dal CTU all'attualità ed, a seguito di liquidazione giudiziale del danno, il credito risarcitorio non è più credito di valore, ma credito di valuta non passibile di ulteriore rivalutazione in base al principio nominalistico (art. 1277 c.c.). Le spese di lite, comprese quelle di CTU, seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte convenuta. Le stesse si liquidano, sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, sulla base del valore del decisum e dell'attività svolta, con applicazione dei parametri medi, ridotti del 40 per cento, atteso il valore della causa vicino al minimo dello scaglione di riferimento e con ripetibilità del contributo unificato nei limiti del valore del risarcimento riconosciuto. P.Q.M. Il Tribunale di Verbania, definitivamente pronunciando così provvede: 1. Accoglie parzialmente la domanda e, per l'effetto, condanna (...) s.r.l. al pagamento a titolo di risarcimento del danno in favore di (...) dell'importo di Euro 1.538,54 oltre interessi dalla sentenza al soddisfo. 2. Condanna (...) s.r.l. alla rifusione in favore di (...) che si liquidano in Euro 125,00 per spese vive (contributo unificato Euro 98,00 e marca da bollo Euro 27,00) ed Euro 1.500,00 per compensi oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, c.p.a. ed I.V.A. come per legge. 3. Condanna la (...) s.r.l. alla rifusione in favore di (...) di quanto da quest'ultimo eventualmente versato per le spese di consulenza. Così deciso in Verbania il 30 ottobre 2020. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2020.

  • Sentenza n. 28/2016 pubbl. il 16/03/2016 RG n. 20/2015 TRIBUNALE ORDINARIO DI VERBANIA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Verbania, nella persona della dott.ssa Giorgia Busoli, in funzione di Giudice del Lavoro, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 20 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell'anno 2015 Sezione Lavoro e vertente tra: XXXXXXXXXXX, ricorrente, rappresentata e difesa dagli avv.ti XXXXXXXXXXXXXX e XXXXXXXXXXXXXXXX, in persona del legale rappresentante pro tempore, resistente, rappresentato e difeso dall'XXXXXXXXXXXXXX. FATTO Con ricorso ai sensi dell'art. 1, comma 48, L. 92/2012, depositato in data 19.01.2015, XXXXXXXXXXX ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Verbania, in funzione di Giudice del Lavoro, XXXXXXXXXXX, in persona del legale rappresentante pro tempore, al fine di sentir accogliere le seguenti conclusioni: "In via principale: dichiarare la nullità e/o annullare il licenziamento dedotto in giudizio in quanto privo di giustificato motivo soggettivo e/o per violazione della procedura di cui all'articolo 55 bis del D.Lgs. 165/2001 e/o dell'art. 7 della L. 300/1970 e conseguentemente dichiarare tenuto e condannare il XXXXXXXXXXXXX convenuto in persona come sopra a reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro ed a risarcirla del danno patito in misura di un'indennità rapportata alle retribuzioni globali di fatto perdute dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva reintegrazione, non inferiore nel minimo a cinque mensilità, oltre alla rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c. ed agli interessi legali dal dovuto al saldo, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. In via di subordine: accertare che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo addotto dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro dedotto in giudizio; annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro della ricorrente ed al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorato degli interessi nella misura legale. In via subordinata: accertare che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo addotto dal datore di lavoro; dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti. In via di estremo subordine: dichiarare inefficace il licenziamento per violazione della procedura di cui all'articolo 55 bis del D.Lgs. 165/2001 e/o dell'art. 7 della L. 300/1970; dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione la gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Con il favore delle spese e di onorari di giudizio. Con sentenza immediatamente esecutiva". In particolare, la ricorrente ha esposto: - di aver lavorato alle dipendenze del XXXXXXXXXX convenuto dapprima con contratto a tempo determinato e poi, a far data dal 1.2.2003, a tempo indeterminato, con profilo professionale di XXXXXXXXXXXXXX ed inquadramento dapprima nella categoria B3, successivamente nella categoria B4 ed infine nella categoria B5 del CCNL del Comparto Regioni Autonomie Locali (doc. 3,4,5,6,7). - di essersi occupata, in qualità di XXXXXXXXXXX, di assistenza domiciliare a favore di persone bisognose di aiuto nell'ambito dell'igiene personale, ambientale e di relazione; - di aver ricevuto, in data 19.3.2014, comunicazione con cui il XXXXXXXXX informava la ricorrente di aver ricevuto, in data 6.3.2014, il certificato del Casellario Giudiziale attestante l'iscrizione a carico della stessa di una sentenza di patteggiamento per il reato di appropriazione indebita, richiedendole copia della documentazione inerente il procedimento penale "al fine di poter valutare gli accadimenti che l'hanno generato, le circostanze attenuanti e la ricaduta sul rapporto di lavoro in essere con il XXXXXXXXXX"; - di aver riscontrato la richiesta dell'Ente con propria nota del 23.4.2014 (doc. 10); - di aver ricevuto, in data 29.4.2014, una contestazione disciplinare fondata sulla predetta sentenza di patteggiamento, con contestuale convocazione della ricorrente per il giorno 26.6.2014 per essere sentita a sua difesa; - di aver infine ricevuto, in data 30.6.2014 (doc. 13), comunicazione avente ad oggetto la conclusione del procedimento disciplinare e l'irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai sensi dell'art. 3, comma 7, lett. h) del CCNL del Comparto Regioni Autonomie Locali. Tanto premesso, a sostegno dell'impugnazione del licenziamento, la ricorrente ha dedotto: a) la nullità del procedimento disciplinare per violazione del termine di 40 giorni previsto dall'articolo 55 bis, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001 per la contestazione dell'addebito; b) l'illegittimità nel merito del licenziamento irrogato, evidenziando la differenza intercorrente tra "condanna" e "sentenza di patteggiamento" e contestando l'illiceità penale dei fatti, non attribuibili alla stessa o comunque aventi carattere meramente colposo; c) in ogni caso, il difetto proporzionalità del provvedimento disciplinare irrogatole, stante l'insussistenza del requisito della "specifica gravità" del reato ascrittole, non potendo lo stesso configurare alcuna lesione del rapporto fiduciario della parte datoriale nei propri confronti. Con memoria del 18.6.2015, si è costituito in giudizio il XXXXXXXXXXXX, in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, contestando quanto ex adverso dedotto perché infondato in fatto ed in diritto e chiedendo il rigetto del ricorso. Disposta la conversione del rito alla luce della ritenuta inapplicabilità del c.d. rito Fornero al pubblico impiego privatizzato e ritenuto di non dover svolgere attività istruttoria, la causa, previa concessione di un termine intermedio per il deposito di note finali, all'odierna udienza è stata discussa e decisa con sentenza di cui si è data pubblica lettura. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento alla luce dei seguenti motivi. Occorre in primo luogo osservare, quanto all'asserita inosservanza del termine previsto dall'art. 55 bis del D.Lgs. 165/2001 per la contestazione dell'addebito al dipendente, che, ai sensi della medesima disposizione, il dies a quo del termine coincide con la "notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari ..." ovvero con "la data in cui l'ufficio ha acquisito notizia dell'infrazione". Nel caso di specie, parte datoriale ha dimostrato di essere venuta a conoscenza dei fatti solo con la ricezione da parte del Tribunale di Verbania, in data 29.04.2014, di copia della sentenza di patteggiamento pronunciata a carico della dipendente, attesa l'illeggibilità della copia ricevuta dalla stessa ricorrente in data 23.4.2014 (doc. 10 fascicolo XXXXXXXX e doc 5 fascicolo XXXXXXXX). Il fatto che il datore di lavoro avesse avuto, fin dal 6.3.2014, conoscenza dell'iscrizione della sentenza di patteggiamento, avendo ricevuto il certificato del casellario giudiziale, non appare rilevante, atteso che tale notizia non integrava ex se gli estremi di una violazione disciplinare, a tale fine essendo necessario conoscere il contenuto della sentenza onde valutare la "specifica gravità" dei fatti oggetto del provvedimento, richiesta dal contratto collettivo al fine dell'irrogazione del licenziamento. A tal proposito, peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di osservare che il principio di tempestività riguarda il momento di "conoscenza" e non quello di mera "notizia" che il datore di lavoro abbia avuto di un fatto potenzialmente foriero di sanzione disciplinare, destinata a divenire "conoscenza" solo dopo i dovuti riscontri istruttori. Di conseguenza, "il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito deve essere inteso in senso relativo. E infatti, esso risulta in concreto compatibile anche con un intervallo di tempo più o meno lungo, allorché l'accertamento e la valutazione dei fatti sia laborioso e richieda uno spazio temporale maggiore" (Cass. n. 21203 del 17.9.2013). Alla luce di tali considerazioni, deve dunque ritenersi tempestiva la comunicazione datata 3.6.2014, con cui il XXXXXXX, ai sensi dell'art. 55 bis, commi 2 e 4 dlgs. 165/2001, ha contestato i fatti alla ricorrente provvedendo a convocarla per essere sentita a sua difesa in data 26.6.2014. Parimenti tempestivo, infine, deve ritenersi il provvedimento con cui l'Ente ha comunicato alla ricorrente la conclusione del procedimento, intervenuto in data 30.6.2014 con l'irrogazione del licenziamento. Passando dunque all'esame nel merito della legittimità del licenziamento ivi impugnato, il Tribunale osserva quanto segue. Con sentenza del Tribunale di Verbania del 30.11.2012, divenuta irrevocabile, è stata applicata ex art. 444 c.p.p. la pena di mesi 8 di reclusione all'odierna ricorrente, imputata per il reato di cui agli artt. 81, 646 e 61 n. 11 c.p., poiché "nella sua qualità di ex amministratrice dell'XXXXXXXX, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con più azioni ed artifizi, si appropriava indebitamente della somma di Euro 69.922,11 di proprietà del predetto istituto scolastico; in XXXXXXXX dall'1.01.2008 al 11.01.2010". Tanto premesso, occorre osservare che l'art. 3, comma 7, lett. h) del CCNL del Comparto Regioni Autonomie Locali, prevede che sia irrogata la sanzione del licenziamento disciplinare in caso di "condanna passata in giudicato per un delitto che, commesso fuori dal servizio e non attinente in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta la prosecuzione per la sua specifica gravità". A tale riguardo, giova osservare che le disposizioni dei contratti collettivi che prevedono la possibilità per il datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro, nell'ipotesi di condanna passata in giudicato per una condotta estranea all'attività lavorativa, quando i fatti costituenti reato assumano rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario, pongono due ordini di problemi, tra loro connessi: il primo concerne la possibilità di possibilità di equiparare la sentenza di patteggiamento di cui all'art. 444 c.p.p. alla "sentenza di condanna"; il secondo attiene alla valenza probatoria della sentenza di patteggiamento nel successivo giudizio civile di impugnazione del licenziamento, considerato che l'articolo 445 c.p.p. stabilisce espressamente che tale sentenza "non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi", non essendo quindi idonea ad esplicare l'efficacia di giudicato tipica della sentenza penale di condanna ai sensi dell'articolo 654 c.p.p.. Sul tema, si sono nel tempo succeduti in giurisprudenza diversi orientamenti. In particolare un primo indirizzo, più risalente, ha risolto entrambe le questioni negando alla radice la rilevanza della sentenza di patteggiamento (cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. Lav., 2 aprile 1996 n. 303, la quale nega la possibilità di equiparare la sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna, osservando "la sentenza pronunciata a norma dell'art. 444 c.p.p. non è una vera e propria sentenza di condanna, essendo a questa equiparata solo a determinati fini, e, ai sensi dell'ultima parte del comma 1 dell'art. 445 c.p.p., non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Ne consegue pertanto che, dovendosi escludere che siffatta sentenza possa acquisire autorità di giudicato, la stessa non può rilevare ai fini della definizione di un processo civile avente ad oggetto la legittimità di un licenziamento fondato esclusivamente su una disposizione del contratto collettivo che consente la risoluzione del rapporto di lavoro nell'ipotesi di condanna a pena detentiva comminata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato, per azione commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro"). Tale orientamento non riconosce efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento: in particolare, Cass. Civ., Sez. Lav., 16 aprile 2003 n. 6047, afferma chiaramente che "non può farsi discendere dalla sentenza di cui all'art. 444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell'imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile". Peraltro, negli ultimi anni tale indirizzo è stato ampiamente superato da un orientamento che di fatto giunge ad un sostanziale capovolgimento delle posizione iniziale, risolvendo in senso affermativo la questione relativa alla possibilità di considerare la sentenza di patteggiamento quale sentenza di condanna ai fini dell'applicazione della normativa contrattuale sui licenziamenti, ritenendo l'equiparazione possibile sulla base della circostanza che l' "accordo" sottostante il patteggiamento implica una rinuncia dell'imputato a contestare la propria responsabilità. Tale orientamento, al quale il Giudice ritiene di dover aderire, è stato confermato da numerose pronunce della Corte di Cassazione, la quale, richiamando precedenti di giurisprudenza sia di legittimità che costituzionale ha avuto modo di osservare che "ove una disposizione del contratto collettivo faccia riferimento alla sentenza penale di condanna passata in giudicato come fatto idoneo a consentire il licenziamento senza preavviso, il giudice di merito può, nell'interpretare la volontà delle parti collettive espressa nella clausola contrattuale, ritenere che gli agenti contrattuali, nell'usare l'espressione "sentenza di condanna", si siano ispirati al comune sentire che a questa associa la sentenza cd. "di patteggiamento" ex art. 444 c.p.p., atteso che in tal caso l'imputato non nega la propria responsabilità, ma esonera l'accusa dall'onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena" (Cass. Civ. Sez. Lav. sentenza n. 3912/2013). Sulla stessa scia, la giurisprudenza di legittimità attualmente reputa che, pur non potendo attribuirsi alla sentenza di patteggiamento efficacia di cosa giudicata, ostandovi l'articolo 445 c.p.p., nondimeno essa ha un'incontestabile valenza probatoria nel processo civile, così da poter persino costituire l'unica fonte del convincimento del giudice. In particolare, la sentenza n. 2168/2013 della Suprema Corte, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, afferma che "la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione". Le pronunce indicate, peraltro, si soffermano sulla rilevanza delle condotte extra-lavorative ai fini della motivazione del licenziamento: in particolare, Cass. n. 3912/2013 ha ribadito che "I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei perciò all'esecuzione della prestazione lavorativa, se, in genere, sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro nel corretto espletamento del rapporto, in relazione alle modalità concrete del fatto e ad ogni altra circostanza rilevante in relazione alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso". Nondimeno, prosegue la stessa pronuncia, ciò "non esonera dall'ulteriore indagine della idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il lavoratore, in particolare nel caso in cui, come quello di specie, il licenziamento sia intimato con riguardo ad una previsione collettiva, che fa sì riferimento alla "condanna passata in giudicato", ma condiziona comunque l'irrogazione della massima sanzione alla circostanza che "i fatti costituenti reato possano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario, nell'ipotesi in cui la loro gravità in relazione alla natura del rapporto, alle mansioni, al grado di affidamento sia tale di far ritenere il lavoratore professionalmente inidoneo alla prosecuzione del rapporto". Nel caso di specie, non vi è dubbio che i fatti ascritti alla ricorrente siano connotati da quella "specifica gravità" richiesta dalla norma contrattuale ai fini dell'irrogazione del licenziamento disciplinare, assumendo altresì particolare rilievo con riguardo alla lesione del rapporto fiduciario intercorrente con il XXXXXXXXXX resistente. Dall'esame della documentazione versata in atti (docc. 9 - 10 - 11 fascicolo XXXXXXXXX), si evince infatti che la signora XXXXXXXX ha rivestito per più anni l'incarico di consigliere dell'XXXXXXXXXX disponendo in tale veste di notevoli somme di denaro per provvedere al pagamento, tramite uno studio commerciale, degli emolumenti fiscali e contributivi dovuti dall'ente rappresentato. Orbene, dagli accertamenti effettuati nell'ambito del procedimento penale, è emerso che la signora XXXXXXX si sarebbe appropriata indebitamente, attraverso più azioni commesse nel corso di due anni, della somma complessiva di Euro 69.922,11, di appartenenza del predetto XXXXX, al fine di trarne un profitto personale. In particolare, parte resistente ha evidenziato come, tra la documentazione contenuta nel fascicolo, assuma particolare rilievo la copia dell'assegno bancario n. XXXXXXXXXX dell'importo di Euro 9.000,00, firmato dalla XXXXXXX e relativo al conto corrente dell'XXXXXX presso la Banca XXXXXXX, versato in favore della Concessionaria XXXXXXXXX), per l'acquisto di un'autovettura XXXXXXXXXX, successivamente intestata al coniuge della ricorrente. Orbene, non vi è dubbio che tali fatti, sfociati in una sentenza di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 c.p.p., equiparabile, nei termini sopra indicati, alla "sentenza di condanna" cui il contratto collettivo ricollega la sanzione disciplinare del licenziamento, siano dotati di una gravità e di una specificità tali da far ritenere l'inidoneità della lavoratrice allo svolgimento delle proprie mansioni di assistente sanitaria domiciliare. A tale riguardo, occorre evidenziare che nell'ambito dei compiti svolti dalla ricorrente l'elemento fiduciario assume una rilevanza fondamentale, lavorando le assistenti sanitarie domiciliari a stretto contatto con un'utenza "debole", composta prevalentemente da persone anziane, a favore delle quali le predette svolgono operazioni spesso implicanti il maneggio di denaro altrui in piena autonomia (ad esempio per la spesa alimentare, l'acquisto di medicinali, il pagamento delle bollette, ecc.). Inoltre, le operatrici domiciliari prestano abitualmente la propria attività lavorativa all'interno delle abitazioni delle persone assistite, talvolta senza la contestuale presenza di parenti o familiari, non essendo pertanto soggetto ad un alcun controllo (in merito alle mansioni concretamente svolte dalla ricorrente, cfr. doc. 17 fascicolo XXXXXXXX.). Alla luce della particolare "delicatezza" di tali mansioni, non può non ritenersi che le condotte ascritte all'odierna ricorrente siano connotate da gravità specifica, tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario intercorrente con la parte datoriale. Deve pertanto affermarsi la legittimità del provvedimento di licenziamento adottato dal XXXXXXXX resistente; conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza, come di norma, e vengono liquidate, ai sensi del D.M. 55/2014, come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Verbania, in funzione di Giudice del Lavoro, letto l'art. 429 c.p.c., definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe indicato, ogni ulteriore istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta il ricorso; - condanna parte ricorrente alla refusione in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida ex DM 55/2014 in Euro 3.513,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Verbania, il 16 marzo 2016. Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VERBANIA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maria Cristina Persico ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 722/201 promossa da: (...) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Fr.Fa., Ma.Da. e Ro.Br. presso lo studio del quale ultimo è elettivamente domiciliata in (...), giusta procura in atti; ATTRICE contro BA.NA. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliata in (...) giusta procura generale alle liti per atto notaio in data 30.10.2007 rep. 151274 racc. 33010; CONVENUTA (...) rappresentati e difesi avv.ti Fr.Fa., Ma.Da. e Ro.Br. presso lo studio del quale ultimo è elettivamente domiciliata in giusta procura in atti; TERZI CHIAMATI RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La società (...) ha impugnato le operazioni finanziarie in derivati operate con l'intermediazione dell'istituto di credito convenuto esponendo: nel corso dell'anno 2000 era stata contattata dai funzionari della Banca con la quale aveva intrattenuto rapporti bancari sin dal 1950 e le era stata rappresentata la convenienza di simili operazioni che, senza rischi, avrebbero consentito di proteggere le esposizioni debitorie dalle future fluttuazioni dei tassi di interesse. In data 9.11.2000, senza la previa sottoscrizione di contratti o accordi quadro, erano state stipulate tre distinte operazioni; la prima denominata (...), la seconda denominata (...), entrambe con scadenza 1.12.2005, per effetto della quale ultima erano stati addebitati differenziali negativi per Euro 35.606,51, la terza denominata (...), con la medesima scadenza all'1.12.005 e per la quale erano stati addebitati differenziali negativi pari ad Euro 82.619,37; solo successivamente alla conclusione -9.11.2000 - e alla esecuzione -1.12.000 - delle operazioni di investimento indicate erano stati sottoscritti i "postumi" contratti quadro, il 26.1.2001, e prima della loro scadenza fissata all'1.12.005 erano state estinte in via anticipata per essere "ristrutturate" nella successiva operazione, proposta come rimodulazione delle precedenti, al fine di pareggiane le ingenti perdite, ammontanti ad oltre 110 mila Euro; era stata sottoscritta, pertanto, l'operazione denominata (...) in relazione alla quale le erano stati addebitati differenziali negativi per Euro 146.035,09 e, come per le precedenti, non era stato sottoscritto alcun contratto quadro; quest'ultima operazione era giunta alla naturale scadenza dell'11.8.2009 con una perdita pari ad Euro 264.260,97; in data 29.4.2004 era stato sottoscritto una nuovo investimento denominato (...) che, nonostante l'andamento positivo e la produzione di differenziali positivi, pari a circa 15.000,00 Euro a titolo di mark to market, era stata sostituita dall'ultima operazione in strumenti derivati denominata (...) del 17.11.2006 cui era seguito, seppure riportante pari data, il contratto quadro per operazioni su strumenti finanziari derivati, in esecuzione della quale era stati addebitati differenziali negativi per Euro 251.057,32, con una perdita complessiva alla data della sua naturale estinzione al 21.11.2011 di Euro 233.206,22, detratti i differenziali positivi per Euro 17.851,00. Ha assunto che la seconda e la terza operazione finanziaria con la relativa modulazione avevano determinato perdite per complessivi Euro 264.260,97, l'ultima, autonoma dalle precedenti, una perdita ulteriore pari ad Euro 233.206,22; esse erano state sottoscritte ed eseguite senza, la previa sottoscrizione di contratti - quadro, in ogni caso con una finalità eminentemente speculativa diversa da quella attesa volta alla copertura della fluttuazione dei tassi di interesse. Ha contestato all'istituto di credito plurime violazioni denunciando la carenza della documentazione contrattuale predisposta dall'istituto di credito e sottoposta al cliente, la nullità per violazione dell'art. 23 TUF per difetto di forma scritta in relazione alle operazioni (...), (...), (...), rimodulazione contrattuale delle prime tre precedenti la cui nullità travolgeva anche la successiva; la nullità ex art. 30 TUF per la mancata indicazione della facoltà di recesso, l'assenza di corretta informazione in ordine alla negoziazione su mercati non regolamentati e la conseguente variazione quotidiana del loro valore, il valore negativo dello swap già alla data della loro stipula; l'assenza di causa ove rivelatisi inidonei alla funzione di copertura con natura eminentemente speculativa. Ha, pertanto, chiesto la declaratoria di nullità dei contratti quadro e delle operazioni finanziarie esecutive che ne erano scaturite; l'annullamento degli stessi ai sensi degli artt. 1394 e 1395 c.c. per conflitto di interessi, ovvero ai sensi del'art. 1427 c.c. per errore essenziale sulla natura ed oggetto della prestazione. In via alternativa, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni cagionati dalla violazione delle norme invocate integranti responsabilità precontrattuale e contrattuale; danno da parametrarsi agli importi indicati per differenziali negativi, spese ed interessi passivi relativi a c/c sul quale le operazioni indicate erano state regolate, importi di costi o commissioni occulte, l'ammontare delle somme non percepite per l'operazione (...), quello conseguente alle occasioni di investimento non coltivate, alla violazione dell'art. 119 TUB, oltre al danno non patrimoniale alla sfera di operatività imprenditoriale. Costituitasi la convenuta ha concluso per il rigetto delle domande azionate e chiesto, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice in solido con i fideiussori (...) dei quali ha chiesto essere autorizzata alla chiamata in causa, del saldo passivo di conto corrente n. (...) all'8.11.2012, ad Euro 297.145,18. Ha eccepito, in primo luogo, la prescrizione dell'azione spiegata assumendo che alle nullità denunciate, ove integranti ipotesi di nullità relativa, si applicava, al pari dell'azione di annullabilità, la prescrizione quinquennale di cui all'art. 1442 c.c.; ragione per la quale, essendo state, le operazioni impugnate, poste in essere il 9.11.2000, 7.8.2003, 17.11.2006, era spirato il termine quinquennale, interrotto solo dalla notifica della citazione del 25.9.2012. Nel merito, ha assunto la conformità del proprio operato alla disciplina normativa e regolamentare vigente in materia di negoziazione di strumenti finanziari derivati, le cui operazioni erano state autonomamente e consapevolmente autorizzate dalla cliente, edotta che esse avrebbero comportato il pagamento o l'incasso di differenziali in relazione all'andamento del mercato, con conseguenti oneri in caso di estinzione anticipata dell'operazione. Ha, altresì, aggiunto che eventuali inadempienze non avrebbero potuto compromettere la validità delle operazioni in strumenti finanziari poste in essere, in ogni caso da escludersi, quanto alla inesatta informazione fornita, smentita dalla pacifica esperienza in materia societaria facente capo all'attrice e ai suoi amministratori, con evidente maggiore incidenza attesa la dichiarazione autoreferenziale di operatore qualificato. Ha, altresì, posto in evidenza la conformità dei contratti alle disposizioni del TUF e del reg. CONSOB avendo, la (...) alla data della stipula, un indebitamento programmato verso il sistema per un importo corrispondente a quello del nozionale di copertura (...), laddove solo le successive imprevedibili dinamiche della curva dei tassi di interesse variabili Euribor avevano prodotto differenziali negativi per la cliente, con conseguente addebito automatico in conto corrente degli importi relativi in assenza di copertura, senza un effettivo esborso da parte del cliente. Costituitisi i terzi chiamati si sono riportati, quanto ai contratti in derivati, all'esposizione dell'attrice (...) eccependo la inammissibilità/infondatezza della domanda svolta nei propri confronti quali fideiussori. Hanno assunto che la lettera datata 28.7.1995 "di rinnovo/estensione della precedente fideiussione ... prestata con lettera del 24.8.1983" e quella successiva del 23.5.2007 "di semplice estensione della precedente fideiussione .prestata con lettera in data 28.7.1995" necessitavano dell'allegazione dell'originario titolo fideiussorio, la cui produzione era necessaria al fine di verificarne validità ed efficacia, travolgendo, in mancanza, le successive estensioni. Eccepivano, altresì, la invalidità della garanzia ai sensi dell'art. 1939 c.c., stante la nullità/annullabilità delle operazioni di interest rate swap concluse dall'obbligata in via principale; la insussistenza, in ogni caso, di qualsivoglia debito, atteso che il saldo passivo del conto corrente, epurato degli addebiti causati dall'esecuzione delle operazioni in derivati sarebbe risultato attivo. Ebbene, dalla documentazione versata in atti emerge che: - il 9.11.2000 (...) sottoscriveva "contratto di (...)" denominato "(...)" con decorrenza iniziale dal 1.12.2000, scadenza al 9.12.2005 e tasso soglia al 5,50%, su importo di riferimento pari ad Euro 2.970.278,00 (cfr. doc. 1 fasc. parte attrice); - in pari data, il 9.11.2000, sottoscriveva "contratto di (...)" denominato "(...)" con decorrenza iniziale dal 1.12.2000, scadenza all'1.12.2005 e tasso soglia al 6,50%, su importo di riferimento pari ad Euro 2.970.278,00 (cfr. doc. 2 fasc. parte att.); - lo stesso 9.11.2000 sottoscriveva "contratto di Floor" denominato "(...)" con decorrenza iniziale dall'1.12.2000, scadenza finale al 9.12.2005, tasso di esercizio al 4,95%, su importo di riferimento pari ad Euro 2.970.278; - il 26.1.2001 sottoscriveva n. 3 distinti contratti "per operazioni su strumenti finanziari derivati" disciplinanti le operazioni di "Interest Rate Swap" concluse il 9.11.2000 e quella di "Interest Rate Floor" alle condizioni indicate all'allegato A" con i quali "PREMESSO CHE il Cliente è titolare di posizioni creditorie o debitorie che generano interessi calcolati di volta in volta ad un tasso di interesse variabile o fisso; il Cliente ha interesse a cautelarsi rispetto al rischio di interesse sulle suddette posizioni tramite il perfezionamento di operazioni analoghe a quelle del Contratto, allo scopo di meglio correlare le posizioni medesime con la propria situazione creditoria e debitoria globale per una equilibrata gestione della propria tesoreria, oppure di bilanciare posizioni debitorie e creditorie generate da operazioni analoghe a quella prevista nel contratto ..." (cfr. doc. 4, 5, 6 fasc. parte attrice); - il 7.8.2003 sottoscriveva "contratto di (...)" denominato "(...)" con decorrenza iniziale 11.8.2003, scadenza 11.8.2009, tasso soglia Euribor tre mesi (con un minimo dell'1,60% ed un massimo del 5,50%), con importo di riferimento pari ad Euro 4.000.000,00 (cfr. doc. 7); - il 29.4.2004 sottoscriveva "contratto di (...)" denominato "(...)", con decorrenza iniziale dall'11.5.2004, scadenza finale all'11.5.2009, tasso soglia al 3,25% (con Euribor tre mesi maggiore o uguale al 4,95%), con importo di riferimento apri ad Euro 4.000.000,00 (cfr. doc. 8); - il 17.11.2006 sottoscriveva "contratto quadro per operazioni su strumenti finanziari derivati" (cfr. doc. 9 fasc. parte attrice) e in pari data (...) denominato "(...)", con decorrenza iniziale 21.11.2006, scadenza finale al 21.11.2011, tasso soglia al 3,75% (con Euribor sei mesi inferiore al 4,60%), con importo di riferimento pari ad Euro 4.000.000,00 (cfr. doc. 10). L'istituto di credito convenuto ha, preliminarmente eccepito, la prescrizione "degli assunti diritti" per decorso dei termini di legge in ragione della ritenuta applicabilità della previsione di cui all'art. 1442 c.c. alla categoria delle nullità cd. relative, assimilabili, quanto al regime applicabile, all'azione di annullabilità. Ha, pertanto, chiesto dichiararsi "l'improcedibilità del presente giudizio o, in ogni caso, il rigetto delle domande proposte" risultando, la stipula delle operazioni in strumenti finanziari contestate, al 9.11.2000, 7.8.2003, 17.11.2006. Va, in primo, luogo rilevato che l'operazione ermeneutica tesa ad assoggettare alla sanzione della nullità il regime delineato dal legislatore per la diversa categoria della annullabilità non merita di essere condivisa. Pur nella espressa deducibilità da parte del solo contraente debole - a differenza della nullità cd. assoluta azionabile anche da parte dello stesso contraente predisponente quale, nella specie, l'istituto di credito - trattasi di ipotesi - quale quella contemplata dall'art. 23 TUF - la cui violazione è sanzionata dal legislatore con la nullità, categoria assoggettata al relativo regime, in difetto, come nel caso della legittimazione relativa, di espressa previsione contraria. L'interpretazione fornita appare aderente ai principi espressi dalla Suprema Corte, in due recenti pronunce a sezioni unite n. 26242 e n. 26243 dell'anno 2014, ove, nell'ambito della problematica afferente la rilevabilità officiosa della nullità, ha affermato l'applicabilità del regime di cui all'art. 1421 c.c. ove ritenuto "essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti - quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l'unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall'orbita della tutela", ribadendo che "...la riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità - lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico - consente di riaffermare a più forte ragione l'esigenza di conferire al rilievo d'ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell'organizzazione sociale". Ritenuto, pertanto, la nullità relativa riconducibile al più ampio genus della nullità, trova applicazione la regola di cui all'art. 1422 c.c. della imprescrittibilità dell'azione di nullità, salvi gli effetti della prescrizione delle azioni di ripetizione. Ciò premesso, nella specie, pur individuando il dies a quo - come proposto dalla convenuta - nella data di sottoscrizione delle singole operazioni di investimento, il decorso del termine è stato in ogni caso interrotto dalla missiva di messa in mora datata 14.9.2010, ricevuta dalla convenuta il 23.9.2010 (cfr. Doc. 12 fasc. parte attrice), risalendo le prime tre operazioni di investimento al 9.11.2000 (Cass. Sez. 3, 19.6.2008, n. 16612). Nell'ambito delle plurime violazioni contestate assumono rilievo assorbente quelle di cui in appresso, il cui effetto, travolgente le operazioni di investimento impugnate nella loro stessa validità, importa l'assorbimento delle ulteriori doglianze pure lamentate. Va, ulteriormente, rilevato che la presente indagine viene condotta alla luce dei dati documentali richiamati, oltre che dell'indagine tecnica compiuta mediante l'ausilio del consulente tecnico d'ufficio incaricato le cui risultanze meritano integrale condivisione, tenuto conto, da un lato, della pregnanza delle argomentazioni svolte, dall'altro, dell'assenza di motivati rilievi critici (cfr. elaborato peritale a firma del dott. Ca. depositato il 14.7.2014). Ebbene, come già sopra indicato le prime tre operazioni di investimento venivano operate dall'attrice, in data 9.11.2000 (cfr. doc. 1, 2, 3 citati) allorché solo il successivo 26.1.2001 la medesima procedeva alla sottoscrizione di tre distinti contratti - quadro (cfr. doc. 4, 5, 6 già indicati) volti proprio alla disciplina della prestazione dei servizi di investimento. Ciò importa la violazione del reg. CONSOB 11522/98 che impone agli intermediari autorizzati di fornire i propri servizi esclusivamente sulla base di un apposito contratto scritto, prodromico ai successivi ordini di investimento. L'art. 23 TUF prevede, poi, la forma scritta a pena di nullità, importando, necessariamente, la previsione della forma scritta ad substantiam, che la stipula del contratto - quadro rappresenti il necessario presupposto per la validità dei singoli ordini di investimento. E' stato, in particolare, affermato che opinare diversamente, ipotizzando la possibilità di dare corso a singole operazioni di investimento senza la previa stipula per iscritto del contratto quadro comporterebbe che la sanzione sarebbe priva di effetto, dovendo necessariamente concludersi per la nullità del singolo contratto di investimento per contrarietà a norma imperativa (Tribunale Modena 27.4.2010; Tribunale Firenze 9.5.2011). Le conclusioni rassegnate non sono state poste in discussione dall'istituto di credito che si è limitato a difendersi affermando la correttezza del proprio operato. Al riguardo va rilevato che la sottoscrizione del successivo contratto quadro non può sanare o convalidare un contratto nullo, sia esso contratto - quadro, sia esso ordine di investimento in swap. In particolare, la nullità dell'operazione negoziale di investimento deriva dal difetto di un presupposto previsto dalla legge; presupposto che non può essere considerato come un requisito meramente formale quanto rispondente alle esigenze di garanzia dell'investitore mediante la indicazione dei servizi forniti e delle loro caratteristiche, del periodo di validità e delle modalità di rinnovo del contratto, delle modalità attraverso cui l'investitore può impartire ordini e istruzioni ecc. ... Ciò importa che la nullità dell'ordine di investimento non dipende da un difetto di forma, ma dalla violazione di norme imperative, la cui ratio non può dirsi soddisfatta allorché il contratto quadro sopravvenga all'ordine di investimento (cfr. Tribunale Torino, 5.7.2013). Ciò posto quanto alle prime tre operazioni del novembre 2000, in data 7.8.2003 i derivati indicati venivano estinti anticipatamente e si procedeva ad un nuovo ordine di investimento, pacificamente, volto alla "rimodulazione" delle precedenti tre operazioni. Per tale ordine di investimento - (...) (doc. 7), sulla scorta della documentazione acquisita dal nominato CTU il successivo 18.4.2014, può affermarsi che si sia proceduto alla stipula del "contratto per operazioni su strumenti finanziari derivati interest rate swap" ove - come analiticamente, riportato da tecnico incaricato - era precisato che il cliente fosse titolare di situazioni debitorie e creditorie. Pur, tuttavia, nella presenza del contratto quadro sottoscritto contestualmente all'ordine, va escluso avere assolto, l'istituto di credito all'onere, su di sé incombente, del rispetto dell'investimento operato, come testualmente, ivi riportato, di cautelarsi rispetto al rischio di oscillazione dei tassi interesse. Va, in primo luogo, osservata la carenza di allegazioni puntuali da parte della Banca che si è limitata ad asserire che "la (...) al momento della originaria sottoscrizione delle operazioni finanziarie oggi contestate aveva un indebitamento programmato verso il sistema per un importo corrispondente a quello del nozionale del derivato di copertura (...)". L'ausiliario incaricato, nel corso del giudizio, poi, ha, in particolare, evidenziato che non era risultato in alcun modo ricostruibile la necessità di assicurarsi alle date di regolamento del derivato da un rischio di rialzo dei tassi di interesse limitatamente al caso in cui il parametro fosse salito oltre il limite del 5,50%, facendo propendere per una finalità non di copertura dell'operazione. Previa scomposizione dell'operazione ha, invero, concluso nel senso che con la nuova operazione si è assicurata un guadagno in caso di rialzo dei tassi di riferimento oltre il 5,50%, calcolato su un nozionale di 4 mln di Euro, assumendo contestualmente il rischio di un calo del tasso di riferimento dell'operazione al di sotto dell'1,60% con inserimento nella struttura complessiva dello strumento finanziario di una knoch-in option "quest'ultima per sua natura avente caratteristiche speculative". Quanto, inoltre, alla sesta operazione - (...) (doc. 10), il nominato CTU ha accertato che, previa estinzione di quella negoziata il 29.4.2004 ed in costanza della quarta (...), era stato stipulato un nuovo strumento finanziario, avente anch'esso caratteristiche di derivato con all'interno componenti opzionali, la cui dichiarata finalità di copertura - cfr. contratto quadro in pari data - non era stata riscontrata in alcuno dei documenti versati in atti. Ha, in particolare, rilevato che per entrambi i derivati in essere contemporaneamente dal 17.11.2006, "avrebbe dovuto avere due diversi indebitamemti entrambi bullet con scadenza a distanza di circa due anni l'uno dall'altro per nozionali 8 mln di Euro e con una struttura dei tassi e di date di regolamento completamente differenti. Tale ipotesi, di per sé poco aderente alla prassi bancaria dell'attività svolta dalla (...) S.r.l. - finanziamenti bullet a media e/o lunga scadenza sono infatti tipici di investimenti inquadrabili nell'ambito del project financing o di progetti immobiliari di sviluppo ... - non trovava alcun riscontro nella documentazione in atti". Le considerazioni indicate importano che l'accertata assenza della dichiarata finalità di copertura, l'assenza di qualsivoglia documentazione attestante l'interesse del cliente sotteso alla quantificazione del nozionale nei limiti convenuti ne comporta la nullità per difetto di causa, ai sensi dell'art. 1418, comma 2, c.c. (cfr. Tribunale di Monza 14.6.2012; Tribunale Ravenna, 8.7.2013; Tribunale di Salerno, 2.5.2013). Ne discende che va dichiarata la nullità, ai sensi dell'art. 1418, comma 2, c.c., delle operazioni di investimento impugnate (...) 175629 datata 7.8.2003 e di quella (...) del 17.11.2006, di cui il primo pacifica rinegoziazione delle prime tre operazioni, il cui squilibrio aleatorio ne aveva imposto la rimodulazione al fine di recuperare le perdite create dai precedenti contratti. Irrilevante, alla luce delle conclusioni rassegnate, la riferita dichiarazione autoreferenziale di operatore qualificato, valevole, al più, in punto verifica dell'adempimento agli obblighi informativi imposti all'intermediario finanziario. Va, solo, al riguardo ribadito, per completezza motivazionale, oltre che a' fine della verifica del rispetto degli obblighi incombenti sull'intermediario quanto all'investimento in (...), che come è noto l'art. 21 T.U.F. disciplina con rigore la condotta dell'intermediario finanziario, imponendogli dettagliati doveri di diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati. Si è, pertanto, condivisibilmente affermato che l'art. 21 TUF dispone che nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati debbano comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio gli interessi dei clienti e per l'integrità dei mercati; l'interesse del cliente deve, quindi, sempre costituire il punto di riferimento dell'attività professionale espletata dall'intermediario finanziario e ciò anche quando il cliente abbia sottoscritto la dichiarazione autoreferenziale di operatore qualificato prevista dall'articolo 31 del reg. Consob. I doveri di diligenza, correttezza, trasparenza e di informazione prescritti dall'articolo 21 del TUF nell'interesse dei clienti e della integrità dei mercati impongono all'intermediario il dovere di proporre strumenti finanziari adeguati alle esigenze che il cliente abbia opportunamente manifestato e ciò anche nell'ipotesi in cui questi abbia sottoscritto la dichiarazione di operatore qualificato prevista dall'articolo 31 del reg. Consob. In proposito, è stato precisato che la nozione di "adeguatezza" alle esigenze del cliente dello strumento proposto discende direttamente dagli obblighi prescritti dal citato articolo 21 del TUF e differisce dalla valutazione di adeguatezza dell'investimento rispetto al profilo di rischio dell'investitore prevista dall'art. 29 del reg. Consob. In virtù del collegamento negoziale esistente tra più contratti in derivati finanziari ove i successivi costituiscono la rinegoziazione dei precedenti, si deve ritenere che l'inadempimento dell'intermediario ai doveri prescritti dall'articolo 21 del TUF si ripercuota sull'intero rapporto intercorso con il cliente. E' ben vero, quindi, che l'art. 13 reg. Consob 2 luglio 1991 n. 5387 esclude l'applicabilità di alcune norme di protezione (di cui all'art. 6 l. n. 1 del 1991) nei confronti di determinati operatori qualificati, tra i quali "ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari espressamente dichiarata per iscritto nel contratto", non contrasta con la legge, atteso che, pur mancando un'espressa previsione della possibilità di tale esclusione, la disposizione risponde ad esigenze di tutela differenziata degli investitori, presenti nell'intero sistema della stessa legge, e che hanno trovato espressa conferma nella legislazione successiva. Tuttavia, l'autocertificazione di essere operatore qualificato ai sensi dell'art. 31 reg. Consob, con tutta la diminuzione di garanzie che ne deriva, deve costituire il frutto di una serie di informazioni che la banca deve ricevere dal cliente e fornire allo stesso perché questi possa rendere una dichiarazione informata e quindi quanto più possibile aderente alla realtà. Pertanto, l'intermediario deve avvertire il cliente sul significato della dichiarazione, sulle conseguenze che ne derivano, nonché sulla tipologia e caratteristiche dello strumento finanziario in modo che quest'ultimo sia in grado di capire se e in quale misura le proprie competenze ed esperienze sussistano effettivamente. Correlativamente, il cliente dovrà indicare all'intermediario di quali esperienze e competenze dispone, in modo che l'intermediario stesso, che é soggetto professionalmente esperto, possa comprendere se la dichiarazione ricevuta rispecchi effettivamente, in relazione al caso concreto, la realtà. E' stato, in particolare, precisato, tale dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 31 reg. Consob da parte del legale rappresentante di una società non può essere autoreferenziale ma deve essere attestativa di esperienze che devono poi, da parte della banca, essere ragionevolmente valutate al fine di accertare che tali esperienze siano effettivamente in grado di far comprendere alla società la natura dei contratti che si vanno a stipulare. Ebbene, nel caso di specie l'istituto di credito non si è offerto di fornire alcuna prova idonea (i capitoli di prova sul punto articolati - cap. 2, 3, 4, 6, 7 - si palesano essere inammissibili per estrema genericità e indeterminatezza), essendo emerso, esclusivamente, che é impresa esercente attività alberghiera la cui esperienza in materia di prodotti finanziari di tal fatta é stata limitata a quelli impugnati. Va, poi, considerato quanto dovesse essere specifica l'esperienza del settore per poter essere considerata tale, in considerazione della peculiarità e complessità degli strumenti derivati proposti. E' evidente del resto, che l'essersi la società affidata ai funzionari dell'istituto di credito con la prospettiva dichiarata dell'utilizzo dei contratti di swap come soluzione alla fluttuazione dei tassi cui la società era esposta conforta la inesperienza del relativo legale rappresentante alla luce delle inequivocabili considerazioni del CTU, il quale, come si é ricordato, ne ha sottolineato l'assenza di tale funzione. Ciò cale anche quanto alla quinta operazione di investimento impugnata con la quale (...) ha, invece, assicurato BN. da un eventuale rialzo dei tassi oltre i 4,95%, oltre ad avere venduto alla BANCA un'ulteriore opzione digitale tipicamente speculativa. Il CTU, ha, invero, anche aggiunto che insistendo il derivato su un nozionale uguale a quello di cui al punto 4 - di cui risultava avere anche analoga data di regolamento dei flussi - di fatto con tale operazione é stato anche annullato anche il cap con strike al 5.50% venduto "innalzando in tal modo il livello di speculazione insito nella combinazione dei due prodotti con conseguenze particolarmente negative sui flussi prospettici della combinazione tra i due derivati". Ne discende che merita accoglimento la domanda restitutoria azionata la cui quantificazione va operata alla luce delle risultanze della CTU - ai cui conteggi integralmente si rimanda (cfr. all. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7) - alla cui stregua il totale netto differenziali posti a carico della (...) (somma degli addebiti e degli accrediti complessivi) in relazione alla stipula dei derivati di cui alle operazioni n. 1, 2, 3, 4 e 5 - ritenute fra loro collegate - ammontano complessivamente a Euro 206.298,27 (cfr. allegati n. 1, 2 e 3), cui occorre aggiungere gli oneri per interessi addebitati fino al 31/12/2013, sulla base della stima dei tassi medi - in difetto di contratto di conto corrente (pure richiesto ex art. 119 TUB sin dal 23.9.2010 - cfr. doc. 12 citato) l'importo è pari ad Euro 287.531,81. Il totale netto, infine, dei differenziali posti a carico della (...) (somma degli addebiti e degli accrediti complessivi) in relazione alla stipula dei derivati di cui all'operazione n. 6, da considerarsi per sua natura a sé stante, ammontano complessivamente a Euro 233.206,22, per complessivi Euro 253.805,33, considerando gli oneri per interessi addebitati fino al 31/12/2013. Ba.Na. va, pertanto, condannata alla corresponsione a (...) della somma complessiva di Euro 541.337,14, oltre interessi al tasso legale dal 25.9.2012 - data di notifica della citazione - al soddisfo. Non compete il maggior danno non essendo staio allegato alcunché in merito al fatto che il possesso delle somme indicate avrebbe potuto contribuire alla copertura dei tassi debitori. La Banca convenuta ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna della convenuta, oltre che dei fideiussori in solido, al pagamento della somma di Euro 297.145,18 quale saldo passivo, alla data dell'8.11.2012, del conto corrente 2323 intrattenuto dalla (...) con la filiale di Arona. Unico documento allegalo è la certificazione ai sensi dell'art. 50 TUB, attestante alla data del 30.9.2012 il saldo predetto. Non è stato dedotto, tuttavia, né è stata fornita alcuna prova della risoluzione del rapporto di conto corrente indicato, condizione imprescindibile per l'accertamento di una situazione debitoria della correntista (...) e per la richiesta pronuncia di condanna. La Suprema Corte di Cassazione, con la nota pronuncia Sezioni Unite n. 24418/2010, alle cui compiute argomentazioni integralmente si rimanda, previa disamina della natura del contratto di conto corrente, ha individuato il momento a partire dal quale ipotizzare una situazione debitoria - al di là delle diverse ipotesi di pagamenti con funzione solutoria - in quello successivo alla chiusura del conto. Che tale circostanza, nel caso che occupa, si sia verificata non è stato in alcun modo allegato dalla convenuta, che non ha né dedotto di essere receduta dal rapporto né ha versato in atti la documentazione inerente la risoluzione unilaterale dello stesso, da ritenersi in corso alla data della proposizione della domanda riconvenzionale di condanna, oltre che durante lo svolgimento del giudizio. Ciò appare corroborato dalla circostanza che il nominato CTU ha proceduto, nell'ambito dell'indagine demandatagli, alla determinazione degli oneri conseguenti agli addebiti passivi derivanti dalle operazioni in swap sino al 31.12.2013 e l'istituto di credito non ha eccepito alcunché individuando il diverso dies ad quem del calcolo, coincidente con la chiusura del rapporto e la conseguente esclusione di protrazione di addebiti per interessi passivi. Ciò esime dalla verifica della validità/efficacia delle lettere di fideiussione azionate in giudizio attesa la insussistenza, allo stato, di una posizione debitoria di (...) di cui al contratto di conto corrente per la quale verificare la posizione degli asseriti garanti. Le spese di lite, ivi comprese quelle di CTU come liquidate in via provvisoria in corso di causa, seguono la soccombenza della convenuta nei riguardi dell'attrice e dei terzi chiamati e si liquidano come da dispositivo ai sensi del DM 10.3.2014, n. 55, tenuto conto della natura della controversia e dell'attività esercitata. Va solo, al riguardo, posto in evidenza che le spese per la consulenza tecnica di parte, avente natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, primo comma, cod. proc. civ., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass. Sez. 2, 31.3.2013, n. 84; Cass. Sez. 1, 25.3.2003, n. 4357). Delle stesse, pertanto, unitamente a quelle resesi necessarie per dare corso alla procedura di mediazione se ne terrà conto in sede di liquidazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara la nullità, ai sensi dell'art. 21 TUF, dei contratti di (...) del 9.11.2000 denominati "(...)" e "(...)", del "contratto di Floor" denominato "(...)" in pari data e, ai sensi dell'art. 1418, comma 2, c.c. del contratto (...) del 7.8.2003 e (...) del 29.4.2004 per l'effetto - condanna BA.NA. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t., a versare a (...), in persona del legale rappresentante p.t., la somma complessiva di Euro 541.337,14, oltre interessi al tasso legale dal 25.9.2012 al soddisfo; - rigetta la domanda riconvenzionale azionata da BA.NA. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t. nei riguardi della convenuta e dei terzi chiamati; - condanna la convenuta BA.NA. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione a (...) in persona del legale rappresentante p.t., delle spese di lite liquidate in Euro 8.501,78 per spese (di Euro 564,00 per anticipazioni, Euro 6.710,00 per CTP ed Euro 1.222,78 per il tentativo obbligatorio di mediazione) Euro 21.387,00 per competenze, oltre rimborso forfetario del 15%, IVA e CPA come per legge; - condanna la convenuta BA.NA. in persona del rappresentante p.t., alla rifusione ai terzi chiamati (...) delle spese di lite liquidate in Euro 13.430,00 per competenze, oltre rimborso forfetario del 15%, IVA e CPA come per legge; - pone a definitivo carico della convenuta BA.NA. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t., le spese di CTU come liquidate in via provvisoria in corso di causa. Così deciso in Verbania il 23 luglio 2015. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2015.

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