Sentenze recenti Tribunale Verona

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA Sezione Prima Civile Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Antonella Guerra Presidente dott. Silvia Rizzuto Giudice dott. Marco Nappi Quintiliano Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5618/2017 avente ad oggetto: Divorzio contenzioso - Scioglimento matrimonio promossa da: CAIO (C. F. ...), rappresentato e assistito dall'avv. S. N. come da mandato difensivo in atti; RICORRENTE contro MEVIA (C. F. ...), rappresentata e assistita dall'avv. M. C. come da mandato difensivo in atti; RESISTENTE con l'intervento ex lege del Pubblico Ministero in persona del Procuratore della Repubblica. All'udienza del 5.10.2022, le parti hanno precisato le rispettive conclusioni, conclusioni da ritenersi qui integralmente riportate. Conclusioni del PM: "nulla si oppone". CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE EX ART 132 CPC Con ricorso CAIO chiedeva la pronuncia di scioglimento del matrimonio contratto con MEVIA. Si costituiva in giudizio la parte convenuta, la quale non si opponeva alla pronuncia di scioglimento del matrimonio, mentre chiedeva il riconoscimento di un assegno divorzile. Sentite le parti ed esperito senza esito il tentativo di conciliazione, il Presidente disponeva la prosecuzione del giudizio, adottando i provvedimenti provvisori. Emessa la pronuncia di separazione personale, le parti, dopo alcuni rinvii d'udienza, davano atto di aver raggiunto un accordo, che prevedeva il riconoscimento in favore della resistente di un assegno divorzile da corrisponde in una unica soluzione. La resistente dichiarava, successivamente, non di poter aderire più a tale accordo, allegando una circostanza sopravvenuta legata a una malattia neurologica che l'aveva colpita e che aveva determinato la nomina in suo favore di un amministratore di sostegno. Quindi, la causa veniva assegnata in decisione all'udienza del 5.10.2022, con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Orbene, deve essere esaminata in questa sede unicamente la domanda con cui la resistente ha chiesto il riconoscimento di un assegno divorzile in suo favore. Al riguardo, deve rilevarsi la non fondatezza delle argomentazioni spese dal ricorrente al fine di sottolineare il carattere definitivo dell'accordo sopra citato. Invero, tale accordo, ex art. 5, comma 8, legge divorzile, soggiace al vaglio di equità del Tribunale. Tale vaglio, nel caso di specie, è evidentemente inciso da una circostanza sopravvenuta, rappresentata dalla grave malattia neurologica diagnosticata alla resistente e dall'accertamento di una condizione di invalidità in capo alla stessa del 100% (v. i documenti dimessi dalla resistente in data 4.2.2022). Inoltre, l'amministratore di sostegno della resistente ha esposto i costi di cura e assistenza cui deve far fronte la beneficiaria, evidenziando che quest'ultima percepisce una pensione di invalidità pari, secondo quanto documentato in atti, alla somma mensile di circa Euro 650,00. Dunque, l'accordo in questione non può dirsi equo per quanto appena detto e alla luce del fatto che lo stesso era stato stipulato allorquando la resistente era ancora in possesso di una capacità reddituale, che aveva precedentemente messo a frutto attraverso una attività di gestione di b e b, oggi cessata. Ciò detto, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile in favore della resistente. Partendo dalla situazione patrimoniale del ricorrente, va rilevato, preliminarmente, come quest'ultimo, già nell'ambito dell'udienza presidenziale, abbia dichiarato di possedere redditi non compatibili con il tenore delle spese sullo stesso gravanti (v. verbale dell'udienza del 3.11.2017). Inoltre, il ricorrente medesimo, come accertato anche nella sentenza di separazione a seguito di una apposita C.T.U., risulta aver ceduto le quote di una società a un prezzo "prima facie irrisorio" (v. doc. 1 depositato dal ricorrente). Egli risulta altresì aver ceduto, successivamente, le quote di altre due società, omettendo di riferire le ragioni di tali cessioni e di indicare il prezzo incassato. Ancora, il ricorrente ha dichiarato di essere disoccupato anche se, dal doc. 5 da lui prodotto, si evince che lo stesso ha rassegnato volontariamente le dimissioni; risulta tutt'ora ricoprire la carica di amministratore di due società (v. visura camerale depositata dalla resistente il 3.3.2020); detiene la quota dell'1% del capitale di una di tali società, la cui restante partecipazione è detenuta dal figlio; tale ultima società, benché asseritamente inattiva non risulta posta in liquidazione né soggetta ad una procedura concorsuale; il ricorrente ha poi ceduto alla sorella la quota di un immobile ereditato, non precisando l'entità del prezzo ricevuto. La resistente, invece, come già detto, percepisce una pensione di circa Euro 650,00 mensili e deve sostenere rilevanti spese di assistenza (v. doc. 29). Dunque, tenuto conto della capacità reddituale posseduta dal ricorrente, che ha dato atto di sostenere in passato rilevanti costi mensili (v. nuovamente quanto riportato nella citata di sentenza di separazione) e che ha dato luogo a una immotivata dismissione del suo patrimonio, nonché della evidente condizione di non autosufficienza economica della resistente e di incapacità lavorativa, ritiene il Collegio che appaia equo porre in capo a CAIO l'obbligo di corrispondere a MEVIA, entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di Euro 500,00 a titolo di assegno divorzile, somma soggetta alla rivalutazione annuale ISTAT. Le spese di lite, stante la natura necessaria del giudizio quanto alla domanda sullo status e la soccombenza del ricorrente in ordine all'ulteriore domanda formulata dalla resistente, devono essere compensate nella misura della metà, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento della residua metà di dette spese in favore della resistente; spese liquidate come da dispositivo, secondo i criteri di cui al D.M. 55/14, avuto riguardo al valore della lite (indeterminabile-complessità bassa) e ai relativi parametri medi. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone: 1) pone in capo a CAIO l'obbligo di corrispondere a MEVIA, entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di Euro 500,00 a titolo di assegno divorzile, somma soggetta alla rivalutazione annuale ISTAT; 2) compensa le spese di lite nella misura della metà, condannando CAIO al pagamento in favore di MEVIA della residua metà di detta spese, che liquida in Euro 3.808,00 per compenso di avvocato, oltre al rimb. forf. delle spese generali al 15%, a I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Verona nella Camera di Consiglio del 4 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VERONA Terza Sezione Civile in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott. Fabio D'Amore, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 5351 del ruolo generale per gli affari contenziosi civili dell'anno 2020, promossa da: (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) in forza di procura allegata telematicamente all'atto di citazione; attrice opponente contro (...), dall'avv. (...) in forza di procura allegata telematicamente alla comparsa di costituzione e risposta; convenuta opposta In punto: opposizione a decreto ingiuntivo in materia di contratto bancari; Conclusioni delle parti: come a verbale dell'odierna udienza, in atti; MOTIVI DELLA DECISIONE Premesso che la presente sentenza viene redatta senza "la concisa esposizione dello svolgimento del processo" e con motivazione consistente nella "succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi", così come previsto dagli artt. 132, comma 4, c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c. nel testo introdotto dagli artt. 45, comma 17, e 52, comma 5, della legge 18 giugno 2009 n. 69; considerato che per consolidata giurisprudenza, nel motivare concisamente la sentenza ai sensi delle norme citate, il giudice non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le tesi prospettate e le prove prodotte o acquisite dalle parti, ben potendosi limitare ad esporre in maniera concisa gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla (Cass. 17145/2006); richiamata la pronuncia della Suprema Corte (Cass. S.U. 642/2015), secondo la quale nel processo civile non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata, dovendosi anche escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti; richiamato il contenuto dell'atto di citazione e della comparsa di costituzione e risposta, nonché quello delle ulteriori memorie depositate dalle parti e ritenuta la causa matura per la decisione senza la necessità di compiere attività istruttoria, il giudice osserva quanto segue. Ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1538/2020, emesso dal Tribunale di Verona il 24.5.2020, con il quale era stato ad essa ingiunto di pagare, nella qualità di coobbligata in solido con (...) la somma di euro 41.488,00 oltre interessi di mora e spese della procedura monitoria in forza del contratto di finanziamento n. (...) stipulato con (...) S.p.a. il 23.10.2013. In particolare, l'attrice opponente: - ha disconosciuto la conformità della copia del contratto di finanziamento al relativo originale; - ha eccepito la nullità del contratto per carenza e/o illegittimità della causa in quanto stipulato non per finanziare il richiedente ma per estinguere preesistenti debiti dello stesso verso la banca creditrice; - ha eccepito la nullità del contratto per difetto di forma in mancanza dell'accettazione scritta della banca creditrice; - ha contestato l'idoneità del contratto a costituire fideiussore essa opponente, non potendosi ricavare un obbligo di garanzia dalla mera sottoscrizione apposta su un modulo in qualità di "coniuge/convivente"; - ha eccepito la mancanza della specifica autorizzazione dei cui all'art. 1956 c.c. per avere la banca concesso ad (...) un ulteriore finanziamento pur essendo consapevole del deterioramento delle condizioni economiche dello stesso; - ha contestato l'idoneità della documentazione prodotta a fornirne la prova del quantum debeatur; - ha eccepito l'annullabilità del contratto per dolo o, in subordine, per errore, affermando di essere stata indotta alla sua sottoscrizione con artifici e raggiri, essendo stata convocata da (...) solo in merito ad un proprio finanziamento contratto per l'acquisto di un'autovettura. si è costituita in giudizio contestando la fondatezza dell'opposizione e chiedendone il rigetto. L'opposizione è infondata e va respinta per i seguenti motivi. 1. L'opponente non ha disconosciuto le sottoscrizioni ad essa riferibili apposte sul contratto di finanziamento di cui è causa ma si è limitata a disconoscere ai sensi dell'art. 2719 c.c., la conformità della copia del contratto prodotta (doc 13 del fascicolo monitorio) al relativo originale. Il disconoscimento di conformità, come formulato, è tuttavia inammissibile. In proposito va richiamata quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale - a differenza del disconoscimento di scrittura privata ex artt. 214 e 215 c.p.c., nel quale la parte può limitarsi all'allegazione di non riconoscere come propria la sottoscrizione apposta in calce al documento - il disconoscimento della conformità della copia all'originale non può avvenire in termini generici ma è necessario che il dichiarante specifichi i motivi del disconoscimento, indicando in quali punti la copia costituisce un "falso" (Cass. 14804/2014), cioè sia stata materialmente contraffatta nel suo originario contenuto, o, più semplicemente, non corrisponde integralmente all'originale non prodotto, e sia in grado di offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che la scrittura presentava nella versione originale del documento (Cass. 21842/2015). In termini ancor più incisivi la Suprema Corte ha affermato al riguardo che la "contestazione della conformità all'originale d'un documento prodotto in copia, insomma, è validamente compiuta ai sensi dell'art. 2719 c.c. quando si indichi espressamente in cosa la copia differisca dall'originale, ovvero quando si neghi l'esistenza stessa d'un originale. Limitarsi a dichiarare di "contestare" un documento senza nemmeno indicare cosa ci sia da contestare è un artificio che può trovar spazio nei manuali di retorica, non negli atti d'un processo, e chi lo adotta non potrà che imputare a sé medesimo le conseguenze derivanti dalla imperfetta contestazione" (Cass. 7775/2014). Il disconoscimento effettuato dall'odierna opponente va pertanto ritenuto inefficace in quanto formulato in termini generici e, come tale, inidoneo a far sorgere in capo alla società convenuta opposta, l'onere di depositare l'originale del contratto. 2. Nel merito, l'opponente sostiene, in primo luogo, la nullità del contratto di finanziamento per carenza e/o illegittimità della causa poiché lo stesso sarebbe stato stipulato non per finanziare il richiedente ma per estinguere preesistenti debiti dello stesso verso la banca creditrice. L'eccezione è infondata. Data ormai per acquisita la nozione di causa in termini di causa in concreto, sembra francamente difficile dubitare dell'esistenza di una causa o della liceità della stessa nel caso in cui le parti abbiano deciso di destinare la somma mutuata allo scopo di estinguere debiti precedentemente contratti dal mutuatario verso la stessa banca mutuante. Attraverso un'operazione del genere, infatti, le parti perseguono inequivocabilmente finalità novative assolutamente lecite attraverso la sostituzione di un debito, solitamente scaduto, con un nuovo debito, normalmente dilazionato, a condizioni diverse ed assistito da garanzie reali o personali. Anche la prevalente giurisprudenza di legittimità ha affermato che: - il cosiddetto "mutuo solutorio", stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo - in quanto non contrario né alla legge, né all'ordine pubblico - e non può essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente oppure quale "pactum de non petendo" in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché l'accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente ad integrare la "datio rei" giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l'estinzione del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta negativa. (Cass. 23149/2022); - il mutuo solutorio non è nullo, perché "il ripianamento della passività costituisce in definitiva una possibile modalità di impiego dell'importo mutuato" (Cass. 37654/2021); - deve ritenersi "superato il precedente indirizzo" secondo cui il mutuo solutorio è un contratto simulato oppure illecito; "il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo degli artt. 182-bis e 182-quater della legge fall." (Cass. 4964/2021). 3. L'opponente sostiene, altresì, la nullità del contratto di finanziamento per difetto di forma scritta per la mancanza della sottoscrizione della banca creditrice. Anche tale eccezione è infondata. Come è noto, infatti, la Suprema Corte, con riferimento all'eccepita invalidità del contratto di intermediazione finanziaria privo di sottoscrizione dell'intermediario, ha affermato il principio - sicuramente valido anche per i contratti bancari, attesa l'identità di ratio delle previsioni in materia di forma scritta contenute nel T.U.F. e nel T.U.B. - che il requisito della forma scritta a pena di nullità va inteso non in senso strutturale ma funzionale, avendo riguardo alla finalità di protezione della norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, e non anche quella dell'intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass. S.U. 898/2018). E così, nel caso di specie, nessun dubbio può sussistere in ordine alla validità del contratto di finanziamento di cui è causa dal momento che: il contratto reca le sottoscrizioni del richiedente il finanziamento, (...) e della garante, dall'attestazione sottoscritta dal richiedente risulta che lo stesso ha ricevuto copia completa della richiesta di finanziamento, completa in ogni sua parte; il rapporto ha avuto concreta esecuzione, non essendo contestata l'erogazione della somma finanziata (in relazione alla quale l'opponente si è limitata a contestare il fatto che sarebbe stata utilizzata per l'estinzione di debiti preesistenti). 4. Il motivo di opposizione relativo alla pretesa idoneità del contratto a costituire fideiussore l'odierna opponente è invece smentito dal chiaro tenore dell'art. 14 delle condizioni generali di contratto, rubricato "Garanzia fideiussoria prestata dal Coniuge/Convivente firmatario" ed oggetto di specifica approvazione per iscritto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. (ai sensi del quale "Nel caso in cui anche il coniuge/convivente del cliente sottoscriva la presente richiesta, tesa a soddisfare bisogni di famiglia, lo stesso presta a favore di (...) garanzia fideiussoria per l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dal contratto. Il coniuge/convivente si costituisce, dunque, garante fino all'estinzione del debito, del pagamento della somma indicata nelle "condizioni economiche" alla voce "importo totale dovuto dal cliente", oltre a quanto dovuto sulla base del presente contratto, con particolare riferimento alle clausole relative a "decadenza dal beneficio del termine" e "variazione delle condizioni economiche". La garanzia di estende, altresì, alle obbligazioni risultanti da eventuali proroghe o novazioni. Il coniuge/convivente garante dispensa, inoltre, Findomestic dall'osservanza del termine di sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale di cui all'articolo 1957 del codice civile") e dalle sottoscrizioni apposte da (...) nell'apposito spazio in corrispondenza della dicitura "Firma del Garante (Coniuge/Convivente)". 5. L'opponente sostiene, inoltre, che il comportamento della banca sarebbe stato contrario ai doveri di buona fede e correttezza: i) per non averla informata del finanziamento del 23.10.2013, né dei finanziamenti anteriori, nè delle successive vicende, non avendo mai ricevuto alcuna notizia in merito all'andamento dei rapporti tra la creditrice e (...); ii) per non aver richiesto la specifica autorizzazione prevista dall'art. 1956 c.c.; iii) per aver concesso a (...) un ulteriore finanziamento, pur essendo consapevole del deterioramento delle condizioni economiche dello stesso. La convenuta (...) ha eccepito al riguardo il proprio difetto di legittimazione passiva per il fatto che ad essa cessionaria non potrebbero essere imputate violazioni eventualmente ascrivibili alla banca cedente. Al riguardo va osservato che, pur in assenza di una specifica disciplina in tema di eccezioni opponibili al cessionario, deve osservarsi come, per effetto della cessione, il cessionario subentri, anche senza il consenso del debitore ceduto, nel diritto di credito e nella medesima posizione del cedente. Ne discende che la cessione, in quanto res inter alios acta, non può determinare una modifica peggiorativa dell'originaria posizione del debitore ceduto, che pertanto potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni relative al rapporto dedotto in giudizio che poteva opporre al creditore originario prima della notificazione della cessione. Nel merito, le eccezioni opponibili alla cessionaria sono tuttavia infondate. In particolare, l'affermazione che non sarebbe stata informata dell'operazione e dei pregressi debiti del coniuge (...) è smentita dal chiaro tenore del contratto da essa sottoscritto, nel quale è peraltro espressamente indicato che lo stesso è stato richiesto per la ristrutturazione di credito in bonis, e dalla sottoscrizione dalla stessa apposta in calce alla richiesta, rivolta alla banca dal richiedente il finanziamento, (...) di trattenere la somma di euro 44.206,70 per l'estinzione di finanziamenti pregressi, ivi specificamente indicati. Anche il riferimento alla mancanza della specifica autorizzazione di cui all'art. 1956 c.c., per aver la banca concesso ad (...) un ulteriore finanziamento nella consapevolezza del deterioramento delle condizioni economiche dello stesso, non è pertinente. In proposito è sufficiente osservare che la disposizione di cui all'art. 1956 c.c. si riferisce alla diversa fattispecie (rispetto a quella in esame) della fideiussione per un'obbligazione futura, come pacifico nella stessa giurisprudenza di legittimità, secondo la quale "nella fideiussione per obbligazione futura l'onere del creditore, previsto dall'art 1956 c.c., di richiedere l'autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l'autorizzazione, all'adempimento di un'obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa" (Cass. 12456/1997). Di qui l'inapplicabilità della disposizione richiamata alla fattispecie in esame, non venendo in rilievo una fideiussione per obbligazione futura ma una fideiussione relativa ad un debito sorto contestualmente alla sottoscrizione della fideiussione. Quanto invece all'asserita concessione di altri finanziamenti in favore di (...) nonostante il deterioramento delle condizioni economiche dello stesso, va osservato che l'abusiva concessione del credito in favore di un soggetto in condizioni di difficoltà economico finanziaria, ove effettivamente ravvisabile, non sarebbe comunque causa di nullità del contratto di finanziamento ma potrebbe al più costituire esclusivamente ad un illecito, fonte di responsabilità per il soggetto finanziatore nei confronti del soggetto finanziato, che tuttavia l'odierna opponente non è legittimata a far valere in quanto priva di legittimazione. 6. La contestazione relativa alla pretesa inidoneità della documentazione prodotta a fornire la prova del quantum debeatur è invece generica ed inammissibile. È noto, infatti, che in base al principio di persistenza del diritto (per il quale si veda Cass. S.U. 13533/2001) il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, il risarcimento del danno o l'adempimento, deve provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, potendosi limitare alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo della altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. In particolare, nel caso credito fondato su un contratto di finanziamento il creditore ha l'onere di fornire prova scritta del contratto completo delle condizioni economiche applicabili al rapporto, trattandosi di contratto che ai sensi dell'art. 117 T.U.B. richiede la forma scritta a pena di nullità, nonché dell'erogazione della somma finanziata, trattandosi di contratto consensuale nel quale (a differenza del mutuo) la consegna della somma finanziata attiene alle obbligazioni a carico del finanziatore. E così nella specie il credito della convenuta opposta risulta adeguatamente provato dalla produzione in giudizio di copia del contratto di finanziamento (doc 3 del fascicolo monitorio) e dell'atto di cessione del credito (doc. 4 del fascicolo monitorio) in considerazione della mancata contestazione da parte dell'opponente dell'erogazione della somma oggetto del finanziamento (in relazione alla quale, come si è detto, l'opponente si è limitata a contestare il fatto che sarebbe stata utilizzata per l'estinzione di debiti preesistenti). A fronte della prova fornita dalla convenuta opposta, grava sull'opponente l'onere di allegare e fornire la prova dell'avvenuto adempimento ovvero di altre circostanze estintive, modificative o impeditive del diritto di credito fatto valere in giudizio. Ciò nondimeno, pur a fronte di un estratto conto analitico (doc. 7 del fascicolo monitorio), dal quale è possibile evincere le singole scadenze, le rate pagate e gli altri addebiti effettuati dalla banca creditrice, e dunque tutte le poste che hanno contribuito a formare il credito azionato in via monitoria, l'opponente si è limitata ad una generica contestazione del quantum debeatur che pertanto non vale ad inficiare la debenza della somma di cui è stato ingiunto il pagamento. 7. Anche l'eccezione di annullabilità del contratto per dolo o errore appare palesemente destituita di fondamento. Quanto in particolare agli artifici o raggiri asseritamente adoperati dalla banca, che per quanto affermato in atto di citazione avrebbe convocato l'odierna opponente solo in merito ad un proprio finanziamento contratto per l'acquisto di un'autovettura, deve osservarsi che il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati abbiano inciso sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà, ed abbiano determinato la volontà a contrarre del deceptus, nel senso che senza di essi non avrebbe prestato il proprio consenso. Inoltre, artifici e raggiri devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze del caso concreto al fine di stabilire se fossero idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, non essendo meritevole di tutela giuridica l'affidamento fondato sulla negligenza. In particolare, il dolus malus, quale vizio del consenso, può essere ravvisato solo se il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza ed il deceptus vada quindi esente da negligenza o colpevole ignoranza. Ciò posto, va osservato come, già sulla base della prospettazione di parte opponente, la condotta ascritta alla banca non sarebbe idonea, a fronte del chiaro contenuto della documentazione contrattuale sottoscritta dall'odierna opponente, ad indurre in errore una persona di normale diligenza sull'oggetto del contratto e sugli obblighi da esso derivanti, con la conseguenza che la fattispecie non potrebbe essere comunque ricondotta all'ipotesi di errore determinante causato da artifici e raggiri. Analogamente, posto che l'errore che cade sugli elementi del contratto, determinando una divergenza tra il significato oggettivo del negozio ed il significato ad esso attribuito dalla parte, è motivo di annullabilità del contratto solo se essenziale e riconoscibile, va osservato come dalla documentazione sottoscritta dall'odierna opponente risultino chiaramente la natura e l'oggetto del contratto e l'assunzione da parte della stessa di un obbligo di garanzia rispetto al debito contratto del coniuge, con la conseguenza che, per un verso, appare del tutto inverosimile che l'opponente possa essere caduta in errore sull'oggetto del contratto mentre, per altro verso, sarebbe comunque da escludere riconoscibilità dello stesso da parte della banca. 8. In conseguenza di quanto precede l'opposizione va respinta e l'opponente va condannata, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., a rifondere alla società convenuta opposta le spese processuali, con i compensi liquidati ai sensi del d.m. 55/2014 - in base alla natura e al valore della controversia, all'attività prestata, al numero, all'importanza e alla complessità delle questioni trattate - in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori come per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, ogni contraria domanda, eccezione, istanza e ragione disattese, così provvede: a) respinge l'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 1538/2020, emesso dal Tribunale di Verona il 24.5.2020; b) condanna (...) a rifondere a (...) le spese processuali, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali 15 per cento, c.p.a. ed IVA (se dovuta) come per legge. Così deciso in Verona il 15 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ORDINARIO DI VERONA TERZA SEZIONE CIVILE Il G.I. dott.ssa Camilla Fin Ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 9421/2019 promossa da: (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a (...) studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende come da procura allegata all'atto di citazione; PARTE AITRICE contro (...) allegata alla comparsa di costituzione e risposta; PARTE CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE Ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr. Cass. 3636/07; Cass. Sez. Lav. 8053 del 22/5/12 e Cass. 11199 del 4/7/12) ed evidenziato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare Concisamente' la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni allevate dalle parti, potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni - di fatto e di diritto che risultano "... rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata (Cass. n. 17145/06); richiamata adesivamente Cass. SS.UU. 16 gennaio 2015, n. 642, secondo la quale nel processo civile - ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 1 D.Lgs. n. 546 del 1992 - non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contento di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata, dovendosi anche escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti; richiamata la nota 13/10/16 prot. n. 5093/1.2.1/3 del Presidente della Corte d'Appello di Venezia, che rimanda al provvedimento 14/9/16 del primo Presidente della Corte di Cassazione sulla motivazione sintetica dei provvedimenti civili; richiamato per relationem il contenuto dell'atto di citazione, con cui (...) (d'ora innanzi, (...)), ha chiesto: A) in via principale che venga dichiarata la risoluzione per grave inadempimento della convenuta e/o la nullità e/o l'annullamento del contratto di swap su tassi stipulato in data 31.7.2012 (docc. 4 e 5 attorei) e, per l'effetto, che (...) venga condannata a pagare a parte attrice, anche a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 826.207,39 o la diversa somma ritenuta di giustizia, dalla medesima corrisposta dalla sottoscrizione del contratto di swap alla data di redazione della perizia (...) in via subordinata, che (...) venga condannata a pagare a parte attrice la somma di Euro 153.170,00 o la diversa somma ritenuta di giustizia, corrispondente alle commissioni implicite contenute nel contatto di swap; richiamato per relationem il contenuto della comparsa di risposta, con la quale (...) ha integralmente contestato gli assunti attorei e chiesto: A) nel merito, in via principale, il rigetto di tutte le domande attoree; B) in via subordinata, nel caso di accoglimento delle domande attoree, che (...) venga condannata a versare a (...) qualsivoglia importo ricevuto per effetto e in connessione del contratto sub iudice, oltre ad interessi legali, frutti civili e rivalutazione monetaria; dato atto che, in sede di precisazione delle conclusioni, parte attrice ha modificato il quantum delle somme richieste in ripetizione e/o a titolo risarcitorio, sulla base dell'assunto per cui, in corso di causa, la medesima ha continuato a dare esecuzione al contratto di swap, effettuando regolarmente i pagamenti semestrali dei differenziali, e ciò ha determinato una modifica in aumento del petitum originario; dato atto, altresì, che la causa è stata istruita mediante c.t.u. demandata al Prof. (...) e che in data 21.4.2022 sono state precisate le conclusioni; si osserva: Va innanzitutto rilevato che le deduzioni di parte attrice circa la sua erronea profilatura quale cliente professionale (doc. 6 attoreo) non possono essere condivise. Il sistema delineato dalla direttiva MIFID, nel confermare una graduazione delle regole da applicare in funzione della natura nell'investitore, individua tre diverse categorie di clientela: (i) le controparti qualificate, definite dall'art. 6, comma 2-quater, lett. d), D.Lgs. n. 58/ 1998; (ii) i clienti professionali, come definiti dall'art. 6, commi 2-quinquies e 2-sexies, D.Lgs. n. 58/ 1998; (iii) i clienti al dettaglio, rappresentati da tutti gli investitori che non rientrano nelle prime due categorie. Tra i clienti professionali si distinguono due ulteriori categorie: i clienti professionali di diritto e quelli considerati tali su richiesta (cfr. Reg. Consob n. 16190/2007, Allegato 3). Le procedure di classificazione della clientela sono, quindi, ora condotte dagli intermediari sulla base di parametri determinati, la cui sussistenza deve essere riscontrata in concreto dagli stessi intermediari. Ciò posto, come condivisibilmente rilevato dall'istituto convenuto, il summenzionato Allegato 3 qualifica quali clienti professionali "le imprese di grandi dimensioni che presentano a livello di singola società, almeno due dei seguenti requisiti dimensionali: totale di bilancio: 20.000.000 EUR, fatturato netto: 40.000.000 EUR, fondi propri.: 2.000.000 EUR". Nel caso di specie, è stato provato in giudizio che (...) al 31.12.2011, possedeva congiuntamente il primo e il terzo di tali requisiti (cfr. doc. 4 di parte convenuta), sicché la profilatura eseguita dalla banca deve ritenersi corretta. Tanto precisato, va ritenuta fondata applicando, per la decisione della controversia, il principio della ragione più liquida (Cass. 9309/2020; Cass. 20555/2020) - la domanda di accertamento della nullità del contratto per indeterminatezza dell'oggetto. Tra le censure mosse da (...) derivato pattuito in data 31.7.2012 vi è, infatti, quella di nullità del contratto per indeterminatezza dell'oggetto; parte attrice ha, a questo proposito, evidenziato: a) che nel testo contrattuale (docc. 4 e 5) è stata omessa la specifica indicazione dei criteri di calcolo del mark to market; b) che, al contrario, è necessaria l'esplicitazione della formula matematica cui le parti intendono fare riferimento in costanza di contratto per procedere all'attualmente dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente; c) che, lì dove manchi la predeterminazione di tale formula, il valore resterebbe quantificabile unilateralmente dall'istituto di credito in termini differenti, a seconda del criterio di calcolo prescelto dall'intermediario; d) che, alla luce di tali considerazioni, rappresentando il mark to market una componente dell'oggetto del contratto, lo swap sarebbe nullo per indeterminatezza di quest'ultimo. (...) si è difesa rilevando a) che il criterio di calcolo non sarebbe indeterminato, dovendosi ricorrere, secondo quanto previsto in contratto, a modelli matematici universalmente accettati e riconosciuti; b) che la formula matematica di calcolo del mark to market non rientra nel contenuto minimo del contratto di intermediazione, alla luce dell'art. 37 del Regolamento Intermediari, né rappresenta l'oggetto del negozio; e) che, in ogni caso, la banca ha comunicato mensilmente a (...) l'ammontare del valore del mark to market. Tanto precisato, va rilevato che l'art. 2 dell'accordo quadro concluso dalle parti definisce il mark to market come "valore attuale delle prestazioni dovute dalle Parti a partire dalla data di Valutazione fino alla Scadenza Finale del Contratto, calcolato con riferimento alle condizioni di mercato alla Data di Valutazione in base a modelli matematici (c.d. modelli di pricing) utilizzati comunemente dagli intermediari professionali. In particolare, i modelli di pricing applicati ai Contratti sono quelli utilizzati dall'agente per il calcolo". Tale previsione - ad avviso di questo Giudice - non soddisfa i criteri di determinatezza/determinabilità dell'oggetto sanciti dall'art. 1346 c.c., alla luce dell'orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza 8770/2020, nonché dalla giurisprudenza a questa successiva (cfr. Cass. 21830/2021; Cass. 24654/2022). Giova, infatti, rammentare brevemente come le Sezioni Unite abbiano avuto modo di precisare che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai .fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pan al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto o un terzo estraneo all'operazione sarebbe disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall'intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo. Ebbene, se è vero che - come è stato osservato in dottrina - il mark to market non può essere pattuito in modo determinato, trattandosi di un valore destinato necessariamente a mutare a seconda del momento del suo calcolo, nondimeno, affinché possa sostenersi che esso sia quanto meno determinabile, è necessario che sia esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all'attualizzazione dei flussi finanziari futuri, attendibili in forza della situazione esistente. Ciò si rende necessario, in particolare, in quanto detta operazione può essere condotta facendo ricorso a plurime formule matematiche, tutte equivalenti sotto il profilo della loro correttezza scientifica, ma tali da poter portare a risultati anche notevolmente differenti fra di loro. Qualora, dunque, non venga specificato il criterio di calcolo da adottarsi per procedere all'attualizzazione del valore prognostico, tale valore è inevitabilmente destinato ad essere unilateralmente quantificato da parte dell'intermediario, sulla base della formula dallo stesso di volta in volta prescelta. Tanto precisato, e venendo al caso in esame, il riferimento, fatto dalla clausola poc'anzi richiamata, a modelli matematici (c.d. modelli di pricing) "utilizzati comunemente dagli intermediari professionali" non è in grado porre il cliente - seppur professionale - nella condizione di comprendere (ed accettare consapevolmente), fin da subito, la specifica alea (razionale) del derivato. Tale assunto è confermato pure dalla c.t.u. espletata in corso di causa, la quale, al punto 4.2, ha stabilito che "Al fine della determinazione del fair value di un derivato e più in generale di uno strumento finanziario sono utilizzabili fondamentalmente quattro tipologie di approcci, che si caratterizzano per un diverso grado di attendibilità, complessità e oggettività" e, dopo averli sinteticamente descritti, ha precisato che "la valutazione di un derivato IRS con una struttura semplice (plain vanilla) viene più spesso effettuata, muovendo da un approccio market consistent, con un metodo integrale/analitico, ma potrebbe in linea generale essere svolta anche con un metodo diretto/sintetico (deducendo il valore dalle quotazioni di mercato degli strumenti finanziari comparabili, cioè il valore noto dell'IRS par per le scadenze quotate)". Tali considerazioni, nella misura in cui danno atto dell'esistenza di almeno due diverse possibili tecniche di valutazione comunemente utilizzate dagli intermediari professionali di un derivato plain vanilla (qual è quello negoziato nel caso esaminato) avvalorano ulteriormente l'assunto secondo cui la formula stabilita nel contratto quadro non consentita di ritenere che la pattuizione relativa al mark to market avesse un contenuto determinabile al momento del suo perfezionamento. Vale la pena, poi, osservare come non abbia alcun rilievo l'impegno assunto dall'intermediario, ai sensi dell'art. 5.2 dell'accordo quadro, di comunicare, a richiesta del cliente, la componente dei costi e oneri di cui al comma 1 del medesimo articolo: dalla lettura complessiva della disposizione, si ricava in modo evidente che la medesima si riferisce alle componenti del mark to market riconducibili alla copertura del rischio di mercato e alla remunerazione spettante alla Banca che offre il derivato. Ciò posto, non si reputa condivisibile la difesa di (...), secondo cui il mark to market non rappresenterebbe l'oggetto del contratto. In senso contrario, pare sufficiente richiamare l'orientamento giurisprudenziale ormal largamente maggioritario (e avallato dalla pronuncia delle Sezioni Unite 8770/2020), secondo cui la stima del valore effettivo del contratto a una certa data (appunto il mark to market) rientra nell'oggetto del derivato (cfr. ex multiis, Cass. 21830/21; App. Torino 391/2022; App. Venezia 3113/2021). Tale conclusione non può che condividersi, solo che si consideri che il requisito della determinatezza o della determinabilità dell'oggetto dell'obbligazione risponde alla fondamentale necessità che le parti conoscano (o possano conoscere ex ante) l'impegno assunto, e che tale esigenza non può che essere pregiudicata dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, benché in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti (cfr., similmente, Cass. n. 24790 del 2017). Del tutto irrilevante si palesa, infine, la circostanza, pure valorizzata dalla convenuta, secondo la quale sarebbe stato reso noto mensilmente a (...) l'ammontare del valore del mark to market. È, infatti, chiaro che la comunicazione del valore in sede di esecuzione del contratto non può certo sanare l'assenza di accordo sull'indicato valore (negli specifici termini di cui si è detto in precedenza), inficiante la fase della stipulazione del contratto. Al di là della mancata indicazione specifica dei criteri di calcolo del mark to market, va altresì evidenziato come (...) non abbia fornito a (...) alcuna indicazione circa le prospettive dei tassi nel periodo in cui il contratto derivato avrebbe esplicato i suoi effetti, né risulta avere espressamente indicato alla società investitrice lo squilibrio o squilibrio iniziale del rapporto, che, come rilevato dal prof. (...), nel caso di specie è risultato pari ad Euro 177.922,00 in negativo per la società attrice (cfr. c.t.u. p. 39), né quali fossero, nell'ambito di tale costo implicito, le commissioni e i margini di intermediazione realizzati dalla banca (cfr. c.t.u. p. 41). Circostanze, queste, che portano ulteriormente a ritenere non sufficientemente determinato l'oggetto del contratto. All'accertata nullità del contratto di swap consegue l'accoglimento della domanda di condanna della banca al pagamento della somma corrisposta da (...) a titolo di flussi differenziali indebitamente corrisposti, pari, alla data in cui sono state precisate le conclusioni, ad Euro 1.118.334 (cfr. docc. 2139 di parte attrice). Non essendo emersa la mala fede di (...) gli interessi vanno calcolati dalla data della domanda per l'importo di Euro 826.207,39 già a quel tempo versato, e dalla data dei singoli pagamenti per gli importi corrisposti in corso di causa. Non può, invece, essere accolta la domanda, svolta da (...) in via subordinata all'accoglimento delle domande attoree, di condanna della società attrice al versamento, in proprio favore, degli importi ricevuti per effetto del contratto sub iudice, non essendovi evidenza di pagamenti effettuati dalla convenuta, in favore di (...) in esecuzione dell'interest rate swap oggetto di causa. Le spese seguono la soccombenza e sono regolate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/14, per tutte le fasi del giudizio, tenuto conto del valore della controversia e dell'attività svolta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo, ogni diversa domanda ed eccezione respinta, così provvede: Dichiara la nullità, per indeterminatezza dell'oggetto, del contratto di interest rate swap stipulato da (...) e (...) in data 31.7.2012; Per l'effetto, condanna (...) a versare a parte attrice: la somma di Euro 826.207,39 oltre gli interessi legali dalla data della domanda sino al saldo effettivo; la somma di Euro 49.840,97 oltre agli interessi legali dal 30.6.2020 sino al saldo effettivo; la somma di Euro 45.692,54 oltre agli interessi legali dal 31.12.2020 sino al saldo effettivo; la somma di Euro 45.823,07 oltre agli interessi legali dal 30.6.2021 sino al saldo effettivo; la somma di Euro 42.109,81 oltre agli interessi legali dal 31.12.2021 sino al saldo effettivo; Condanna parte convenuta altresì a rimborsare a parte attrice le spese di lite, che si liquidano in Euro 27.900,00 per compensi e Euro 1.713,00 per spese, oltre rimborso forfettario 15% ex art. 14 T.F., IVA e CPA come per legge; Pone definitivamente a carico di parte convenuta i costi dell'espletata c.t.u.. Così deciso in Verona il 7 novembre 2022. Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA sezione I civile Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Antonella Guerra Presidente dott. Francesco Bartolotti Giudice dott. Marco Nappi Quintiliano Giudice rel./est. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 9496/2019 R.G. e promossa da: (...) (C. F.), rappresentato e difeso dall'avvocato (...) come da mandato difensivo in atti; contro (...) (C. F.), rappresentata e difesa dagli avv.ti xx. zz. come da mandato difensivo in atti; RESISTENTE con l'intervento ex lege del PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona Avente a oggetto: divorzio contenzioso - cessazione effetti civili del matrimonio. CONCLUSIONI All'udienza del 3.11.2021, le parti hanno rassegnato le seguenti conclusioni. Parte ricorrente: "la S.V. Ill.ma Voglia dichiarare che dopo il divorzio le parti osserveranno le seguenti condizioni: 1. i ricorrenti vivranno separati, con l'obbligo di reciproco rispetto, fissando la propria residenza ove ritenuto opportuno; 2. il figlio (...), resterà affidato ad entrambi i genitori che seguiteranno ad esercitare la responsabilità genitoriale in modo condiviso e avrà collocazione prevalente presso il domicilio materno; 3. in ragione della collocazione prevalente del figlio (...) presso la madre, e dell'interesse del minore a risiedere nell'ambiente domestico, la casa familiare sita in Borgo Roma, di proprietà esclusiva del ricorrente, resterà assegnata alla signora (...) la quale seguiterà ad abitarla sino al raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio convivente. Il diritto al godimento della casa familiare verrà meno nel caso che l'assegnataria non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o contragga nuovo matrimonio. 4. Il signor (...) avrà il diritto-dovere di tenere con sé il figlio (...) secondo il seguente schema: - week-end alternati dal sabato dopo la scuola sino al lunedì mattina quando lo riaccompagnerà a scuola; - un pomeriggio con pernottamento alla settimana (indicativamente il giovedì) dall'uscita della scuola sino al giorno successivo; - il lunedì successivo al weekend trascorso con la madre dall'uscita della scuola sino al giorno successivo; - il padre terrà il figlio con sé per un periodo continuativo di 7 giorni durante le vacanze Natalizie (dal 23 al 30 dicembre e dal 31 dicembre al 6 gennaio), alternando di anno in anno il Natale ed il Capodanno; la metà delle vacanze pasquali alternando di anno in anno la Pasqua ed il lunedì dell'Angelo; la metà delle vacanze di carnevale; l'alternanza delle vacanze religiose e nazionali, con pernotto nella giornata antecedente; 15 giorni anche non consecutivi durante le vacanze estive; 5. Quale contributo per il mantenimento del figlio Martino, il ricorrente verserà alla madre la somma di Euro 375,00 mensili entro il giorno 5 di ogni mese con bonifico bancario alle coordinate Iban della signora (...). La somma sarà rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT. 6. Saranno a carico dei genitori in misura del 50% ciascuno, senza necessità di previo accordo e con obbligo di rimborso entro 20 giorni a fronte della semplice esibizione del documento attestante la spesa da parte del genitore che l'ha anticipata per intero, le seguenti spese straordinarie: - spese mediche: tutte quelle per visite mediche, esami, trattamenti e cure, anche odontoiatriche, debitamente prescritte da un medico ed erogate in ambito pubblico con pagamento di ticket (e quindi non interamente coperte dal SSN); quelle (sempre su prescrizione medica) per accertamenti, trattamenti e cure non erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale, ma solo in ambito privato; quelle per esami, accertamenti e cure in ambito privato urgenti ed indifferibili, non eroga-bili in ambito pubblico in tempi rapidi (sempre su prescrizione medica); - spese scolastiche: tasse di iscrizione (ivi comprese eventuali assicurazioni obbligatorie richieste dall'istituto) alla scuola media e superiore pubblica e, dopo la maturità, ad università pubblica; acquisto dei libri di testo scolastici ed universitari; corredo scolastico di inizio anno; spese per la partecipazione alla gita scolastica senza pernottamento organizzata dalla scuola; spese per il tra-sporto da e per la sede di studi (anche universitaria) con mezzo pubblico; spese per tempo prolungato, pre-scuola, per centro ricreativo estivo e gruppo estivo; spese per le lezioni di scuola guida fino ad un massimo di 1000,00 Euro (pratica e teoria); 7. tutte le altre spese di natura straordinaria (a titolo meramente esemplificativo: spese per tempo prolungato, pre-scuola, per centro ricreativo estivo e gruppo estivo, se uno dei genitori non lavora; per cure - anche dentistiche, ortodontiche e oculistiche erogate in ambito privato e non indifferibili ed urgenti; per cure termali e fisioterapiche; per cure e farmaci non convenzionali; per tasse scolastiche ed universitarie imposte da istituti privati; per corsi di specializzazione; per gite scolastiche con pernottamento; per corsi di recupero e lezioni private; per alloggio presso la sede universitaria; per la baby sitter; per l'acquisto di computer o telefono cellulare; per l'acquisto di motorino od autovettura; per viaggi e vacanze; per corsi di istruzione, attività sportive, ricreative e ludiche e pertinenti attrezzature, etc.) saranno parimenti suddivise al 50% tra i genitori secondo le modalità e tempistiche sopra precisate, ma solamente se previamente concordate tra i medesimi. A tal fine il genitore che propone la spesa dovrà inviare all'altro genitore richiesta scritta di adesione in cui sia specificata la tipologia della spesa ed il suo esatto ammontare. L'altro genitore dovrà fornire risposta, sempre per iscritto, entro 20 giorni dalla ricezione della richiesta. In mancanza di risposta entro il suddetto termine la spesa si intenderà autorizzata e dovrà quindi essere divisa tra i genitori nella misura e secondo le modalità sopra specificate. In caso di diniego di consenso alla spesa, invece, la stessa rimarrà totalmente a carico del genitore che l'abbia comunque sostenuta. Il diniego dovrà in ogni caso essere giustificato. 8. Respinte tutte le richieste della parte ricorrente in ordine all'assegno divorzile, non sussistendone i presupposti. In ogni caso: con vittoria di spese ed onorari di giudizio." Parte convenuta: "Nel merito 1. Affidarsi il figlio minore (...) ad entrambi i genitori, i quali eserciteranno la responsabilità genitoriale in modo condiviso, riservando la gestione ordinaria a ciascun genitore quando il minore è presso di lui e con domiciliazione del minore medesimo presso l'abitazione materna. 2. Disporsi che il padre abbia diritto-dovere di vedere con sé il figlio (...) secondo il seguente calendario di massima, fatti salvi diversi accordi che verranno assunti direttamente con il figlio, in considerazione dell'età dello stesso e dei suoi impegni scolastici ed extrascolastici. a fine settimana alternati, dal sabato mattina al lunedì mattina; un pomeriggio infrasettimanale con pernottamento; metà delle vacanze natalizie, alternando di anno in anno il periodo dall'inizio delle vacanze al 30 dicembre e dal 30 dicembre fino alla sera precedente la ripresa delle lezioni scolastiche; metà delle vacanze pasquali, alternando di anno in anno il periodo dall'inizio fino alla metà delle vacanze e dalla metà delle vacanze fino alla sera precedente la ripresa delle lezioni scolastiche; metà delle vacanze di carnevale; alternativamente le altre festività religiose o nazionali, con pernottamento la sera precedente; due settimane anche non consecutive durante il periodo delle vacanze estive da concordarsi entro il mese di maggio di ciascun anno. 3. Disporsi l'assegnazione dell'abitazione familiare, di proprietà esclusiva del ricorrente, con gli arredi e corredi ivi presenti, con riserva di integrare i dati catastali, a (...), che l'abiterà unitamente al figlio (...). 4. Disporsi che (...) corrisponda a Virginia, a titolo di contributo per il mantenimento del figlio (...), la somma di Euro 800,00 mensili, somma da versarsi in via anticipata, entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dal mese di febbraio 2020 e da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat a far data da febbraio 2021. 5. Disporsi che (...) rimborsi, nella misura del 50%, le seguenti voci di spesa accessoria che la madre sosterrà per il figlio (...), come identificate nel protocollo siglato dal Tribunale di Verona il 3 dicembre 2018 e precisamente: I) spese mediche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: visite mediche specialistiche del Servizio sanitario nazionale prescritte dal medico curante; cure dentistiche presso strutture sanitarie pubbliche; ticket per trattamenti sanitari erogati dal S.S.N. e per medicinali prescritti dal medico curante; II) spese mediche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: cure dentistiche, ortodontiche e oculistiche; cure termali e fisioterapiche; trattamenti sanitari specialistici in libera professione e interventi chirurgici; III) spese scolastiche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: tasse scolastiche sino alle scuole di secondo grado richieste da istituti pubblici; libri di testo, eventualmente anche usati, e materiale di corredo scolastico di inizio anno; gite scolastiche senza pernottamento; costi per il trasporto pubblico; IV) spese scolastiche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: tasse scolastiche richieste da istituti privati e per corsi universitari; costi relativi a corsi di specializzazione; gite scolastiche con pernottamento; corsi di recupero e lezioni private; V) spese extrascolastiche, che non richiedono un preventivo accordo: costi per l'abilitazione alla guida di autoveicoli nei limiti massimi di Euro 1.000,00 da ripartirsi equamente; l'acquisto di strumenti informatici e relativa connessione ad internet domestica qualora detto strumento sia necessario per lo svolgimento delle attività didattiche, ovvero connesso al programma di studio differenziato (BES). VI) spese extrascolastiche, che richiedono un preventivo accordo: tempo prolungato; centro ricreativo estivo; attività sportive e pertinenti ad abbigliamento e attrezzatura; spese per babysitter; viaggi e vacanze senza i genitori. Disporsi che quando i genitori debbano concordare le spese di cui al capoverso II, IV e VI (spese con accordo) quello dei due che ritenga necessaria, od utile, la spesa comunichi la propria proposta all'altro; questi, nel caso in cui non sia d'accordo con la spesa o con l'attività dovrà esprimere in forma scritta entro 10 giorni dalla richiesta un motivato dissenso al sostenimento della stessa; il silenzio sarà inteso come consenso alla richiesta. Disporsi che in caso di rifiuto immotivato, e/o contrario all'interesse del minore, la spesa andrà comunque divisa secondo le quote concordate tra i genitori o decise dal giudice e nel caso di spese medico sanitarie, che non necessitano di essere previamente concordate perché urgenti, permanga il rispetto della reciproca tempestiva informazione. 6. Disporsi che (...) corrisponda a (...), a titolo di assegno divorzile, la somma di Euro 300,00 mensili, somma da versarsi in via anticipata, entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dal mese di febbraio 2020 e da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat a far data da febbraio 2021. In via istruttoria: Insiste per il rigetto delle prove formulate dalla difesa avversaria sia nella memoria integrativa che nelle memorie ex art. 183, comma VI, n. 2) e 3) c.p.c., per le ragioni esposte in atti. Insiste per l'accoglimento delle istanze istruttorie contenute nelle memorie ex art. 183, comma VI, n. 2) e 3) c.p.c. depositate per Virginia per le ragioni esposte in atti, nell'istanza di modifica dell'ordinanza del 5 marzo 2021, nonché per l'audizione chiesta all'udienza del giorno 21 aprile 2021. In ogni caso Condannarsi il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della resistente maggiorate del 30% ex art. 4 comma1-bis D.M. 55/2014." In data 3.11.2021, il Pubblico Ministero ha così concluso: "visto, nulla si oppone". RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Richiamato, in punto di fatto, quanto già esposto nella sentenza non definitiva, con cui è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato tra le parti, occorre in questa sede esaminare le ulteriori domande formulate da queste ultime. Preliminarmente, deve essere ribadita la valutazione di inammissibilità delle istanze istruttorie reiterate da parte resistente in sede di precisazione delle conclusioni, per le motivazioni di cui all'ordinanza del 3.5.2021 (da ritenersi qui integralmente richiamata per relationem). Orbene, nulla deve disporsi in relazione all'affidamento del figlio delle parti (...), nato il 29.12.2003, in quanto quest'ultimo ha raggiunto la maggiore età successivamente all'assegnazione della presente causa in decisione. In merito, deve unicamente prendersi atto del suo pacifico e attuale collocamento prevalente presso l'abitazione della madre nonché della sua condizione di non autosufficienza economica. In relazione alle domande di carattere economico, devono quindi essere considerate le situazioni reddituali e patrimoniali delle parti. Dunque, il ricorrente ha documentato la percezione di un reddito mensile netto che varia tra la somma di circa Euro 2.500,00 e la somma massima di circa Euro 3.500,00. (cfr. buste paga ed estratti di conto corrente in atti). Egli ha però precisato che una parte di tali somme è legata ai rimborsi chilometrici percepiti (rimborsi evincibili dalla disamina delle suddette buste paga). Al riguardo, va tuttavia rilevato che il ricorrente non ha depositato le dichiarazioni dei redditi successive rispetto a quelle dimesse nell'ambito del ricorso introduttivo, anche al fine di chiarire l'esatto ammontare di tali rimborsi chilometrici e il loro trattamento fiscale (l'ultima certificazione unica in atti, risalente all'anno di imposta del 2018, riporta comunque un reddito mensile netto di circa Euro 3.000,00). Il ricorrente medesimo, inoltre, corrisponde la somma mensile di Euro 540,00, relativa al mutuo accesso per l'acquisto dell'ex casa coniugale di sua proprietà, nonché l'ulteriore somma annuale di Euro 6.600,00, per la locazione della sua attuale abitazione. La resistente, dal suo canto, ha affermato di aver lavorato all'epoca della separazione, in regime di part-time, di aver percepito uno stipendio mensile netto di circa Euro 1.300,00 e di aver dovuto poi abbandonare tale attività, nel corso del 2015, a seguito del trasferimento della sede della relativa azienda a Roma e della necessità di dover essere maggiormente presente nella vita del figlio, anche in considerazione del turbamento a quest'ultimo causato dalla vicenda separativa dei genitori. Ella ha quindi evidenziato di essersi dedicata alla danza, dando atto di ricevere una relativa retribuzione legata alle effettive ore di insegnamento svolte. La stessa ha altresì affermato di aver dovuto alienare un suo immobile di proprietà, a fronte della mutevolezza e dell'entità dei suddetti redditi, nonché di aver destinato parte della somma residuata a seguito dell'estinzione del relativo mutuo (somma pari a circa Euro 80.000,00) per far fronte alle esigenze di vita del suddetto figlio. In merito, devono altresì essere vagliate le risultanze dell'attività istruttoria svolta a seguito dell'ammissione delle richieste di prova orale articolate da parte ricorrente. Invero, i testi escussi hanno fornito affermazioni rilevanti ai fini della dimostrazione di una relazione more uxorio intessuta dalla resistente, come allegata dal ricorrente medesimo in atti. Nello specifico, il teste (...), vicino di casa della resistente per un certo periodo, ha affermato di aver visto il sig. (...), nel corso dell'anno 2018, frequentare con assiduità l'abitazione della resistente medesima. Il teste (...) ha a sua volta affermato di aver conosciuto il sig. (...) nel corso dell'anno 2017 e che la resistente gli aveva presentato quest'ultimo, affermando di aver iniziato da poco a frequentarlo. Il successivo teste (...) ha confermato poi la relazione investigativa da lui resa in relazione al periodo dal 17 ottobre 2020 al 1° novembre 2020 (quindi in periodo di poco successivo rispetto alla pronuncia di divorzio emessa in corso di causa), confermando di aver visto il suddetto sig. (...) frequentare stabilmente, in tale lasso di tempo, sia la resistente che l'abitazione di quest'ultima (fermandosi diverse notti a dormire presso tale dimora). Egli ha poi rilevato che la relazione sentimentale in oggetto era evincibile anche dalla disamina dei profili del social network "Instagram" posseduti dalla resistente e dal sig. (...) (visualizzabili liberamente poiché privi di restrizioni). Anche il padre della resistente ha poi menzionato la relazione in essere tra la figlia e il sig. (...), evidenziando tuttavia l'assenza di una convivenza tra gli stessi. Con riguardo alla citata testimonianza del sig. (...), ritiene il Collegio che non debba poi darsi corso alla richiesta formulata dalla resistente di trasmettere gli atti alla Procura in relazione al paventato reato di falsa testimonianza. Invero, non sono emersi elementi che depongano per la configurazione di un simile reato, alla luce delle risposte dettagliate e tra loro concordanti rese dal teste, risposte che hanno confermato integralmente il contenuto della relazione investigativa resa dallo stesso (contenuto in alcun modo contestato dalla difesa della resistente sotto il profilo della falsità). Quanto all'ulteriore deduzione relativa all'avvenuta trasmissione al teste dei capitoli di prova prima della sua escussione, si richiama quanto già osservato nella citata ordinanza del 3.5.2021. Ciò detto, ritiene il Collegio che le plurime e convergenti dichiarazioni rese dai suddetti testi, valutate unitamente al riscontro documentale rappresentato dalla suddetta relazione investigativa e dall'annessa documentazione video e fotografica, documentazione relativa a un periodo temporale non limitato poiché risalente dall'anno 2017, conducano a ritenere provata l'avvenuta costituzione tra tali soggetti, da diverso tempo e, per quel che qui interessa, anche in epoca successiva alla pronuncia di divorzio, di uno stabile nucleo familiare e di una relazione more uxorio. Sul punto, non assume rilievo la difesa della resistente, tesa a evidenziare l'assenza di una stabile convivenza tra quest'ultima e il suddetto sig. (...) (alla luce delle dichiarazioni testimoniali rese dai suoi genitori), dovendosi rilevare che, dalla citata relazione investigativa, è emersa anche la circostanza della coabitazione attuata dai suddetti soggetti, unitamente alla circostanza della condivisione tra gli stessi di gran parte delle giornate oggetto di investigazione. In ogni caso, la costituzione di un nuovo nucleo familiare non è esclusa per il solo fatto che i due partners abbiano liberamente deciso di non instaurare una stabile convivenza - circostanza che del resto ben può avvenire anche per le coppie coniugate - dovendosi qui attribuire rilievo ai plurimi elementi sopra evidenziati, che configurano una relazione stabile e duratura intessuta tra la resistente e il sig. (...), fondata su di un progetto di vita in comune. Ciò detto, va dunque richiamata la pronuncia a SS.UU. della Corte di legittimità (sentenza del 05/11/2021, n. 32198). In tale sentenza, la Corte di Cassazione ha in primo luogo rilevato la non condivisibilità dell'orientamento giurisprudenziale che sosteneva l'automatica caducazione dell'assegno divorzile in presenza di una relazione more uxorio, nonché la non piena assimilabilità di tale rapporto a quello discendente dal matrimonio, evidenziando la necessità di seguire una impostazione che tenesse conto della duplice funzione, assistenziale e compensativa, propria dell'assegno in oggetto, come delineata dal precedente arresto della Cassazione a Sezioni Unite. La Corte di legittimità, quindi, ha ritenuto che la prova di una stabile convivenza more uxorio fosse idonea a far venir meno il diritto alla componente assistenziale dell'assegno per cui è causa ma non anche il diritto alla diversa e relativa componente compensativa. Nello specifico, la Cassazione ha precisato che il diritto all'assegno "potrà essere modulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purché al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, nell'accezione sopra riportata, si sommi, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale". In tal caso, fermo restando l'onere della prova dell'esistenza della convivenza in capo al soggetto onerato, graverà sul soggetto beneficiario dell'assegno la prova della "sussistenza del prerequisito fattuale della mancanza di mezzi adeguati nell'accezione sopra indicata". Il medesimo soggetto beneficiario, pertanto, "dovrà dimostrare che l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale dei coniugi dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare". Tali ultime circostanze, secondo la pronuncia in esame, devono, infine, essere valutate unitamente alla durata del matrimonio, all'età del soggetto richiedente l'assegno e alle caratteristiche del mondo del lavoro; Orbene, nel caso di specie, ritiene il Collegio che non possa configurarsi una funzione compensativa propria dell'assegno divorzile in esame, alla luce di quanto pacificamente (cfr. art. 115 c.p.c.) emerso in corso di causa. Invero, risulta che la resistente ha lavorato in costanza di matrimonio, in regime "part-time", fino all'anno 2015, percependo una retribuzione mensile netta di circa Euro 1.300,00 e ha cessato detta attività lavorativa in data successiva rispetto alla separazione, a seguito del trasferimento della sede della sua azienda. In merito, la medesima resistente ha dichiarato di non aver potuto proseguire detta attività e di aver iniziato successivamente una nuova esperienza lavorativa nel settore della danza, senza tuttavia allegare quale fosse stato il sacrificio delle sue aspettative di lavoro derivante dalle scelte compiute in costanza di matrimonio. All'opposto, va osservato che, dall'unica documentazione bancaria dimessa dalla resistente, risulta che quest'ultima ha ottenuto nel corso degli anni precedenti al deposito della sua memoria di costituzione un incremento delle somme investite in titoli azionari (patrimonio pari a circa Euro 60.000,00) e di quelle depositate nel suo conto corrente, dimostrando quindi di aver maturato, successivamente alla cessazione della precedente attività lavorativa, una capacità reddituale sostanzialmente analoga a quella posseduta in costanza di matrimonio, fatta eccezione per il decremento reddituale subito in corso di causa e legato alle note conseguenze dell'emergenza sanitaria legata alla diffusione del virus SARS-CoV-2. In ogni caso, va osservato che non sono state specificamente contestate le tempestive allegazioni rese in merito dal ricorrente (né sono state formulate in merito richieste istruttorie), circa la decisione di licenziarsi spontaneamente assunta dalla resistente per poter valutare diversi progetti imprenditoriali poi successivamente intrapresi. Per tali considerazioni e dunque per la non imputabilità della pur esistente differenza tra le condizioni reddituali proprie delle parti alle scelte compiute da queste ultime in costanza di matrimonio, ritiene il Collegio che non possa essere accolta la domanda con cui la resistente ha chiesto il riconoscimento di un assegno divorzile in suo favore. In relazione invece alla domanda relativa alla previsione di un contributo al mantenimento del figlio delle parti, preso atto della situazione reddituale e patrimoniale del ricorrente e di quella da ultimo documentata dalla resistente (sebbene la stessa nulla abbia prodotto successivamente all'anno 2020) e considerate le presumibili esigenze di vita del suddetto figlio, ritiene il Collegio che debba essere confermato l'assegno di mantenimento previsto in via provvisoria a carico del ricorrente medesimo, pari all'importo mensile di Euro 800,00, somma da versarsi entro il giorno 5 di ogni mese e soggetta alla rivalutazione annuale ISTAT. Va parimenti confermato nonché l'obbligo per il ricorrente di contribuire, nella misura del 50%, alle relative spese straordinarie, per le quali si richiama quanto previsto dal Protocollo di famiglia di questo Tribunale del 3.12.2018. Conseguentemente, deve essere confermata l'assegnazione in favore della resistente dell'ex casa coniugale, sita in Borgo Roma. Le spese di lite, tenuto conto dell'esito del giudizio e della soccombenza reciproca delle parti, devono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: pone a carico di (...) l'obbligo di corrispondere in favore di Virginia, entro il giorno 5 di ogni mese, la somma mensile di Euro 800,00, quale contributo al mantenimento ordinario del figlio, somma da versarsi entro il giorno 5 di ogni mese e soggetta alla rivalutazione annuale ISTAT, nonché l'obbligo di contribuire, nella misura del 50%, alle relative spese straordinarie, per le quali si richiama quanto previsto dal Protocollo di famiglia di questo Tribunale del 3.12.2018; assegna alla sig.ra (...) l'ex casa coniugale, sita in Borgo Roma; rigetta la domanda con cui (...) ha chiesto il riconoscimento di un assegno divorzile, revocando conseguentemente l'assegno di mantenimento previsto in suo favore e posto a carico di (...) nell'ambito dell'udienza presidenziale; compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Verona, nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Verona nella persona del Giudice Unico dott. Maurizio MARTORO, all'esito della Camera di consiglio, pronuncia la seguente ORDINANZA ex art. 702 ter c.p.c. nella causa promossa da: (...), nato il (...) e residente in (...) in viale (...) con l'avv. Ni.Me. di Forlì; ricorrente contro: (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in (...) codice fiscale e numero di iscrizione al Registro delle Imprese di Napoli (...), Società partecipante al Gruppo IVA con Partita IVA (...) con l'avv. (...) di Napoli; resistente iscritta al (...)/21 R.G. Richiamato, in fatto, il contenuto narrativo del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato ritualmente alla convenuta; richiamato, il contenuto della comparsa di costituzione e risposta depositata in atti; osservato che il ricorrente aveva chiesto in via principale, nel merito di accertare e dichiarare che il T.E.G. indicato ai fini antiusura nel contratto di finanziamento allegato al fascicolo di Parte ricorrente sub doc. 1), stipulato dal Signor (...) il 25 giugno 2009 con (...) S.p.A. (oggi (...) S.p.A.) e censito nei registri della Resistente al n. (...) è stato erroneamente calcolato al netto dei costi assicurativi, in via consequenziale, nel merito: accertare e dichiarare che Il T.E.G. doveva essere calcolato includendovi i costi assicurativi globali, o quantomeno i costi assicurativi a copertura della perdita d'impiego a causa di fallimento, licenziamento e comunque di eventi diversi dal decesso, in via consequenziale, nel merito: accertare e dichiarare che il TEG ricalcolato ad inclusione degli oneri assicurativi, e già anche soltanto delle assicurazioni "Rischio Impiego", è superiore al tasso soglia del 13,455%, ratione temporis vigente nel trimestre di stipula del contratto denunciato come pure al 13,815% vigente nel trimestre di notifica del contratto, in via consequenziale, nel merito: per tutti i motivi esposti e trattati in narrativa, accertare, ai sensi della legge n. 108/1996, che il contratto stipulato dal Ricorrente con (...) S.p.A. (oggi (...) S.p.A.) è usurario, dichiarare la nullità ex art. 1815, comma 2, cod. civ. delle clausole sui costi assicurativi, commissioni ed interessi contenute nel contratto e dunque dichiarare la non debenza di costo alcuno, in via consequenziale, nel merito: condannare (...) S.p.A. (già (...)), a restituire al Ricorrente i costi e gli interessi versati in esecuzione del contratto, al netto degli oneri fiscali, e dunque, in definitiva, condannare (...) alla restituzione al Ricorrente della somma di Euro 11.562,32, oltre ad interessi dalla domanda giudiziale al saldo, con vittoria di spese e compensi professionali, da distrarsi in favore del Procuratore Antistatario ex articolo 93. Rilevato che la resistente, costituendosi ritualmente, chiedeva respingersi le domande attoree perché infondate in fatto e in diritto e nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande di parte ricorrente e di accertamento della nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi, condannare la (...) S.p.A. alla restituzione solo degli interessi incassati pari ad Euro 6.467.37. A tutela della posizione "debole" del cliente/debitore è stata emanata la L. 27 del 2012 (di conversione del D.L. n. 1 del 2012) che, all'art. 28, imponeva, alle banche che condizionavano l'erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo alla stipula di una polizza vita, l'obbligo di sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi loro non riconducibili. La norma prevedeva altresì che il cliente potesse scegliere polizze diverse sul mercato. Tale disposizione è stata parzialmente novellata dalla L. 124 del 2017. L'articolo riformato attribuisce adesso una maggiore facoltà di scelta al cliente, cestinando l'onere per l'Istituto erogatore di sottoporre i suddetti preventivi e contestualmente prevedendo l'obbligo di accettare la polizza scelta dal cliente, senza però modificare le condizioni contrattuali del finanziamento. Tale impostazione favorisce, come anticipato, la libertà e l'autonomia contrattuale del cliente e allo stesso tempo mira a garantire il principio della libera concorrenza nel settore. La citata disposizione, nella formulazione attuale, prevede inoltre, nel caso di sottoscrizione di una polizza presentata dalla banca in abbinamento ad un finanziamento, il riconoscimento del diritto di recesso al cliente entro 60 giorni dalla stipula. E' interessante evidenziare che in caso di recesso dalla polizza resta valido ed efficace il contratto di finanziamento sottostante, e, qualora l'esistenza di una polizza a supporto permanga comunque elemento necessario, viene conferita la possibilità al cliente di presentarne altra in sostituzione autonomamente reperita e stipulata, recante i contenuti minimi corrispondenti a quelli richiesti dall'Autorità regolatrice. La L. 124 del 2017 ha infine introdotto il comma 3-bis all'articolo 28 L. 27/2012, che prescrive puntuali obblighi informativi a favore del cliente: gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente del finanziamento in merito alla provvigione percepita e all'ammontare della provvigione loro corrisposta dalla compagnia assicurativa. Le polizze assicurative a protezione del credito costituiscono indubbiamente una spesa aggiuntiva per il soggetto finanziato. Il Testo Unico Bancario, relativamente al credito al consumo ed al credito immobiliare (artt. 121 e 120 quinquies), stabilisce che i costi relativi ai servizi accessori connessi con il contratto di credito (compresi i premi assicurativi), qualora costituiscano conditio sine qua non per l'ottenimento del credito, devono essere inclusi nel costo totale. Pertanto nulla quaestio nell'ipotesi in cui la stipula della polizza sia obbligatoria. Tuttavia, la mera qualificazione in contratto come facoltativa non è sufficiente a escluderne il computo nel TAEG. Tale impostazione è stata avvalorata dal Collegio di coordinamento dell'Arbitro Bancario Finanziario, che considera connessa la polizza assicurativa al contratto di finanziamento alla presenza congiunta di alcuni indici presuntivi: la polizza deve avere chiara funzione di copertura del credito, il collegamento fra polizza e finanziamento deve presentare una connessione genetica e funzionale, il capitale o l'indennizzo devono essere parametrati al debito residuo di cui beneficiario è il solo cliente. Il Collegio fornisce inoltre, criteri di merito, in tema di onere della prova, ai quali l'intermediario si può affidare al fine di superare tale presunzione di interdipendenza. La tematica del costo complessivo del credito nelle polizze connesse ai finanziamenti si intreccia al profilo deil'usurarietà dei tassi applicati. L'Arbitro bancario Finanziario a più riprese ha evidenziato che il tasso di interesse applicato deve essere calcolato considerando anche gli oneri assicurativi associati al finanziamento, talvolta cristallizzando meramente il principio, in altri casi, constatato nella fattispecie il superamento del tasso soglia a seguito di nuovo conteggio, tacciando di nullità la clausola determinativa degli interessi (evidentemente sovra soglia). L'orientamento è stato ripreso e puntualizzato dalla Corte di Cassazione. Il Giudice di legittimità ha espressamente confermato che il costo della polizza assicurativa accessoria al finanziamento rientra nel concetto di "spesa" indicato dall'art. 644 c.p. ai fini della determinazione del tasso usurario, derivandone la nullità del contratto in caso di superamento. Partendo dal presupposto che la polizza viene sostanzialmente imposta dall'intermediario, assumendo quindi la natura obbligatoria, richiesta al solo fine di pervenire alla stipulazione del contratto principale e con addebito del relativo costo al cliente, i Supremi Giudici, nel calcolare il tasso di interesse applicato, prendono in considerazione dunque ogni costo associato al credito. Chiave di volta del decisimi è da individuare nella normativa di rango primario; l'art. 1815 cod. civ. e l'art. 644 c.p., come ridisegnati dalla L. 108/1996, stabiliscono che "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. In sostanza il tema verte sulla vexata quaestio relativa a quali voci debbano essere considerate nel calcolare il tasso di interesse applicato, al fine di determinarne o meno l'usurarietà. L'inciso "...a qualunque titolo.." tenderebbe a supportare dunque, in maniera plausibile, l'interpretazione onnicomprensiva del concetto di interessi. Il Giudice deve accertare, a parere della Corte, il costo complessivo ed effettivo del finanziamento (TEG) nella singola operazione creditizia sulla base di quanto indicato dall'art. 644 c.p., non essendo del tutto congruo dunque il riferimento al TEGM, indice di costi aggregati eterogeneo, rispondente peraltro a funzione (riproduzione dell'andamento dei tassi medi di mercato) e fonte giuridica (normativa di rango secondario) di diversa portata. Anche il Collegio di Coordinamento dell'Arbitro bancario è tornato ad esprimersi sulla questione con una pronuncia attraverso la quale, oltre a mutuare l'orientamento espresso dagli Ermellini, sviluppa un ragionamento condivisibile in merito alle ripercussioni sanzionatorie. Nei motivi della decisione si legge infatti che "oltre all'usura pecuniaria è disciplinata l'usura reale per cui può aversi usura non solo in caso di interessi eccessivi ma anche nell'ipotesi di vantaggi diversi", con la conseguenza che la clausola incriminata verrebbe affetta da nullità come previsto dal secondo comma dell'art. 1815 cod. civ. (ipotesi di nullità parziale ex art. 1419, secondo comma cod. civ.; in sostanza viene colpita la singola clausola considerata iniqua senza travolgere l'intero contratto in omaggio al principio del favor debitoris). Ciò al fine di evitare, stante la inscindibile relazione fra la disposizione civilistica e la norma penale, il rischio di una facile elusione di quest'ultima da parte degli intermediari, attraverso l'abbassamento degli interessi da un lato con contestuale attribuzione di maggiore consistenza di altri oneri dall'altro. In definitiva il Collegio conclude sancendo che "una volta verificato il superamento del tasso soglia rilevante ai fini dell'usura genetica, restano colpiti non solo gli interessi propriamente intesi, ma tutti gli oneri e le spese inclusi nel calcolo del TEG, compresi i premi assicurativi, escluse imposte e tasse, che, pertanto, debbono essere restituiti al mutuatario". La pronuncia peraltro richiama espressamente, a supporto della tesi negazionista in tema di usura sopravvenuta, la L. 24 del 2001 - Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura - che all'art. 1 recita: "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento". La nullità della clausola sugli interessi usurari determina il diritto del mutuatario alla ripetizione di quelli illegittimamente versati. L'azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. degli interessi usurari si prescrive in dieci anni. La disposizione in commento (art. 1815, comma 2, c.c.) è generalmente ritenuto trovi applicazione a tutte le forme di finanziamento (e non solo al mutuo cui espressamente si riferisce). La Cassazione ha evidenziato che l'art. 1815, comma 2, cod. civ., nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi, ove questi siano usurari, intende per clausola la singola disposizione pattizia che contempli interessi eccedenti il tasso soglia, indipendentemente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell'entità degli interessi dovuti in forza del contratto. La sanzione dell'art. 1815, comma 2, cod. civ., dunque, non può che colpire la singola pattuizione che programmi la corresponsione di interessi usurari, non investendo le ulteriori disposizioni che, anche all'interno della medesima clausola, prevedano l'applicazione di interessi che usurari non siano (Cass. n. 21470/2017). La Giurisprudenza di cui sopra, trova ulteriore conferma in una recente ordinanza della Cass. Civ. n. 3025/2022, in tema di contratto di finanziamento mediante la cessione del quinto dello stipendio, che ha precisato che ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo devono essere conteggiate anche i costi di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall'art. 644, comma 4, c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito. La sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra i costi di assicurazione e l'erogazione del mutuo. Alla luce di quanto sopra, tutte le clausole del finanziamento erogato al ricorrente erano state esplicitamente approvate dallo stesso, fatta eccezione per i costi dell'assicurazione obbligatoria sostenuti dal sig. (...) che hanno determinato il superamento del tasso soglia, determinando, quindi, la nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi da corrispondere, da ciò al ricorrente vanno restituiti gli interessi corrisposti, per complessivi Euro 6.467,37. Ritenuta, in definitiva, la parziale fondatezza della domanda, alla quale segue la condanna di (...) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione al ricorrente della somma di Euro 6.467,37 per la restituzione degli interessi corrisposti in applicazione di una clausola affetta da nullità per il superamento del tasso soglia ed alla rifusione delle spese processuali liquidate direttamente al procuratore antistatario, in misura ridotta, tenuto conto del parziale accoglimento della domanda, come in dispositivo. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa respinta, accoglie parzialmente la domanda; condanna la (...) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione al sig. (...) della somma di Euro 6.467,37; condanna la resistente alla rifusione delle spese di lite liquidate, in misura ridotta per i motivi su esposti, in Euro (...) in oltre accessori, anticipazioni ed IVA se dovuta, da corrispondersi direttamente al procuratore antistatario. Così deciso in Verona il 20 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2022.

  • Tribunale di Verona SEZIONE PENALE - DIBATTIMENTO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale in composizione collegiale composto da: dott. Pier Paolo Latini - Presidente e relatore dott.ssa Alessia Silvi - Giudice dott.ssa Sabrina Miceli - Giudice all'udienza dei 10.3.22 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) elettivamente domiciliato in Verona, Via (...), presso lo studio dell'Avv. Ma.Ba. del Foro di Verona - difeso di fiducia dall'Avv. BA.Ma. del Foro di Verona, con studio in Verona, Via (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 12.1.22 il GUP aveva disposto il rinvio a giudizio dell'imputato per il reato indicato in epigrafe. All'udienza dei 10.3.22 il Tribunale, verificata la regolarità delle notifiche, rilevata la presenza dell'elezione di domicilio e della nomina del difensore di fiducia, nonché l'inesistenza di cause di legittimo impedimento a comparire, ha dichiarato ('assenza dell'imputato ex artt. 420-bis ss. c.p.p. Ha, quindi, dichiarato aperto il dibattimento e ha dato lettura del capo di imputazione. Con il consenso del difensore imputato è stato acquisito, ai sensi dell'art. 493, comma 3, c.p.p., l'intero fascicolo del pubblico ministero. Inoltre, il difensore dell'imputato ha prodotto la sentenza n. 869/19 dei Tribunale di Verona, relativa a fatti asseritamente connessi. Il Tribunale, pertanto, ha dichiarato chiusa l'istruttoria e ha invitato le parti alla discussione. Le parti hanno quindi esposto le loro conclusioni e sulla base di queste è stata pronunciata la presente sentenza con lettura del dispositivo in udienza e con riserva dei motivi ex art. 544 comma 3 c.p.p. per il carico del ruolo. MOTIVAZIONI In esito all'istruttoria dibattimentale deve pronunciarsi sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p., perché il fatto non costituisce reato. In punto di fatto va premesso che la documentazione acquisita in dibattimento (relazione di p.g. del 3.2.2020, c.n.r. della Guardia di Finanza di Villafranca di Verona del 13.7.11, e relazione ex art. 33 L. F., redatta dal curatore fallimentare Avv. An.Pe.), consente di ritenere acquisita la prova delle seguenti circostanze: -) il 23.10.14 la (...) è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Verona; -) la contabilità della società, nel periodo di operatività, era tenuta da (...); -) le scritture contabili non sono state rinvenute dopo la dichiarazione di fallimento; -) la relativa distruzione od occultamento è imputabile agli amministratori di fatto; -) l'imputato è stato Presidente del Consiglio di Amministrazione della società fallita, quanto meno dal 2009, fino alla dichiarazione di fallimento; -) ha assunto questo ruolo, dietro la promessa di un corrispettivo mensile di Euro 1000, però pagato una sola volta; -) non ha partecipato né assistito ad atti gestori della società; -) non ha sottoscritto documenti riferibili alla società; -) non ha frequentato la sede sociale; -) non ha preso visione delle scritture contabili al momento dell'assunzione della carica formale; -) non risulta aver avuto contatti diretti con gli amministratori di fatto dopo l'assunzione della carica. Ciò posto, e dato per acquisita la prova dei ruolo meramente formale assunto dall'imputato nella società, va accertata l'imputabilità allo stesso del reato di bancarotta fraudolenta documentale previsto dalla prima parte dell'art. 216 comma 1 n. 2 LF sotto forma di reato omissivo improprio (art. 40 comma 2 c.p.), come contestato nel capo di imputazione. Al riguardo, va premesso in termini generali che: -) è ormai pacifico nell'elaborazione giurisprudenziale che l'assunzione solo formale della carica gestoria non comporta l'automatica esenzione dell'amministratore per i reati previsti dagli artt. 216 e ss LF, semplicemente perché, in base al diritto societario, l'assunzione della carica, anche solo formale, rende in ogni caso l'amministratore destinatario degli obblighi relativi alla conservazione del patrimonio sociale e alla tenuta delle scritture contabili, ricavabili dagli artt. 2380 bis, 2392, 2394 e 2214 e ss. c.c. "v., da ultimo, Cass. 2.12.21 n. 44666); -) questo assunto comporta che l'amministratore solo formale debba sempre rispondere, quanto meno a titolo di colpa, dell'omessa, irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili ai sensi dell'art. 217 comma 2 LF, anche se queste condotte siano materialmente poste in essere dagli amministratori di fatto o dai professionisti delegati; -) lo stesso assunto comporta poi che l'amministratore solo formale, che non partecipi in alcun modo alla gestione della società, possa comunque rispondere delle condotte dolose previste dagli artt. 216, 218 e ss LF poste in essere dagli amministratori di fatto, in forza del disposto di cui all'art. 40, comma 2, c.p. e degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale e di tenuta delle scritture contabili su richiamate; -) ovviamente, ai fini della configurabilità di un reato omissivo improprio in relazione alle fattispecie dolose di bancarotta, non è sufficiente la violazione degli obblighi su indicati, ma è necessaria la dimostrazione effettiva e concreta della consapevolezza da parte dell'amministratore formale delle condotte illecite degli amministratori di fatto o dell'intenzione di porle in essere; -) più precisamente, non è necessario che l'amministratore formale sia a conoscenza o abbia previsto queste condotte nel dettaglio, ma è sufficiente che sia a conoscenza o abbia previsto gli obiettivi che gli amministratori di fatto intendano perseguire (in questo senso va inteso il riferimento alla "rappresentazione della significativa possibilità" di perseguimento di quegli obiettivi illeciti, contenuto in alcune sentenze, come la già richiamata Cass. 2.12.21 n. 44666); -) questa consapevolezza può anche tradursi in una forma di dolo eventuale, ma, a tal fine, è necessario che nella fattispecie siano presenti segnali perspicui e peculiari dell'evento illecito, caratterizzati da un elevato grado di anormalità e che quei segnali siano stati colti nel loro compiuto significato descrittivo da parte dell'amministratore (in questi termini, e più in generale, sul dolo eventuale nel reato omissivo improprio, v. Cass. 23.5.13 n. 36399); -) è evidente che in questa prospettiva anche il semplice fatto di assumere una carica solo formale rappresenti un segnale di anomalia e quindi un indizio della configurabilità del dolo richiesto per la sussistenza dei reato menzionato, ma, isolatamente considerato, è privo del requisito della gravità al fine di dimostrare la consapevolezza o l'accettazione del rischio delle singole condotte illecite che gli amministratori di fatto intendano porre in essere; -) per corroborare il giudizio presuntivo, è quindi necessario che l'assunzione della carica solo formale sta accompagnata dal circostanze contestuali (quali, ad esempio, la conoscenza e la frequentazione degli amministratori di fatto o la precedente accettazione di altri incarichi formali per loro conto) o successive (quali, ad esempio, la frequentazione della sede sociale, la sottoscrizione di documenti per conto degli amministratori di fatto, la ricezione di comunicazioni di terzi, il rifiuto di fornire informazioni o di consentire l'accesso presso la sede da parte degli amministratori di fatto); -) naturalmente il grado di significatività degli elementi di anomalia in grado di dimostrare la colpevolezza dell'amministratore di fatto è ancor più intenso per le fattispecie a dolo specifico; -) così, nel caso della bancarotta fraudolenta documentate prevista dall'art. 216 comma 1 n. 2 prima parte LF, è necessario che gli elementi di anomalia che si accompagnano all'assunzione solo formale della carica, siano idonei a dimostrare non solo la consapevolezza dello stato delle scritture contabili, ma anche il fine specifico perseguito dagli amministratori di fatto in termini ingiusto profitto o pregiudizio per i creditori. Alla luce di questa premessa di diritto, le risultanze probatorie su evidenziate non possono ritenersi sufficienti a dimostrare la consapevolezza dell'imputato della condotta degli amministratori indicata nel capo di imputazione, ovvero la distruzione o l'occultamento delle scritture contabili da parte degli amministratori di fatto, con il fine specifico di conseguire un ingiusto profitto o di arrecare danno ai creditori. Ed infatti, l'unico segnale di anomalia che ha accompagnato l'assunzione solo formale della carica da parte dell'imputato consiste nella mancata percezione del compenso promesso a questo fine, ma non è sufficiente dimostrare la rappresentazione nell'imputato della significativa possibilità della specifica condotta illecita contestata. L'insufficienza delta prova dell'elemento soggettivo giustifica quindi l'assoluzione perché il fatto contestato non costituisce reato. P.Q.M. Visto l'art. 530, comma 2, c.p.p., assolve (...)perché il fatto non costituisce reato. Visto l'art. 544 c.p.p., riserva il deposito dei motivi in 30 giorni. Così deciso in Verona il 10 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. F. Chiavegatti: ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di I Grado iscritta al n. 7444/2016 r.g. promossa da, MA.AN., C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. Ri.Ru. (C.F. (...)); ATTRICE Contro MA.LU. (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. St.Sa.; CONVENUTO Contro FALLIMENTO La. S.a.s. in persona del legale rappresentante Curatore pro-tempore Dott.ssa Si.Pa., con il patrocinio dell'avv. Vi.Ca. (C.F. (...)); TERZA CHIAMATA In punto a: "Servitù - risarcimento danni". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ai sensi della novella L. 69/2009, in vigore dal 4.7.2009, applicabile ai procedimenti in corso relativamente al nuovo disposto dell'art. 118 disp. att., ci si limita a richiamare gli atti di causa. MOTIVI DELLA DECISIONE (art. 118 disp. Att. C.p.c. rif. L. 69/2009) - osservato che il novellato art. 132 c.p.c. esonera oramai dall'esposizione del tradizionale "svolgimento del processo", essendo sufficiente, ai fini dell'apparato giustificativo della decisione, "la concisa esposizione della ragioni di fatto e di diritto della decisione"; - ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, Cass. 3636/07), la cui ammissibilità - così come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta - risulta oramai definitivamente codificata dall'art. 16 del D.Lgs. 5/03, recettivo degli orientamenti giurisprudenziali ricordati; - osservato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare "concisamente" la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni - di fatto e di diritto - "rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata; - che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come "omesse" (per l'effetto dell'error in procedendo), ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante; - richiamata adesivamente Cass. SS.UU. 16 gennaio 2015, n. 642, secondo la quale nel processo civile - ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 1 D.Lgs. n. 546 del 1992 - non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata, dovendosi anche escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti; - richiamato il principio della ragione più liquida - il quale consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare di cui all'art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, siccome costituzionalizzata dall'art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre (cfr ex multis Cass. civ. Sez. Unite, 08-05-2014, n. 9936, Cass. civ. Sez. lavoro, 19-08-2016, n. 17214, Cass. 28.5.14 n. 12002); osserva - dato atto di come il presente giudizio, introdotto con atto di citazione ritualmente notificato al convenuto in data 15.7.2016, abbia ad oggetto: a) la domanda di accertamento dell'illiceità dell'allargamento della strada interpoderale, insistente sul fg. (...) del n. C.T. di Sant'Anna di Alfaedo, eseguito da LU.MA. e, di conseguenza, la condanna di questi, in via principale, al ripristino dello stato dei luoghi come originariamente autorizzato dal Comune di Sant'Anna d'Alfaedo, nonché al pagamento, ex art. 614 bis c.p.c., in caso di ritardata esecuzione dell'ordine di ripristino di Euro 5.000,00 per ogni anno di ritardo o la diversa somma ritenuta di giustizia, ed, in via subordinata, la condanna al risarcimento del danno conseguente all'esecuzione delle opere, pari al costo necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino così come calcolato dal CTU; b) la domanda di accertamento della sussistenza dei requisiti ex art. 1032, 1061 e 1158 c.c. e di acquisto per usucapione, da parte della signora MA.AN. e per effetto dell'utilizzo continuato utraventennale, del diritto di servitù di passo carraio e pedonale lungo la capezzagna che collega la proprietà dell'attrice di cui ai mappali (...), ai mappali (...) ed insistente sulla proprietà del convenuto ai mappali (...), con ordine al convenuto di rimuovere ogni ostacolo ovvero consegnare la copia delle chiavi per l'apertura di eventuali sbarre; c) la domanda di trascrizione dell'emananda sentenza presso i registri immobiliari di Verona; - dato atto di come il convenuto, costituitisi ritualmente in data 2.11.2016, abbia chiesto: a. In via preliminare, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., il differimento della prima udienza per consentire la chiamata in causa del Fallimento La. s.a.s. quale effettivo responsabile della condotta di danno lamentata dall'attrice; b. in via principale, di dichiarare inammissibili le domande attore sub A), essendovi già stato un giudicato tra le medesime parti sulla questione relativa all'allargamento della strada, come da sentenza n. 2189/2011 del Tribunale di Verona; in ogni caso di rigettare le domande tutte di parte attrice in quanto infondate in fatto e diritto; c. in via subordinata, di accertare e dichiarare che i lavori di allargamento della strada che insiste sui fondi attori mappali n. (...) sono stati eseguiti all'inizio del mese di luglio 2009, in via autonoma e arbitraria, dalla terza chiamata in causa LA. S.A.S. (ora fallita), e per l'effetto, manlevare il convenuto Ma.Lu. da ogni domanda proposta dall'attrice e ciò a carico della terza chiamata, in persona del suo curatore fallimentare; - dato atto di come con comparsa di costituzione e risposta del 15.2.2017, si sia costituita la terza chiamata, FALLIMENTO LA. S.A.S., con la quale richiedeva: a. in via pregiudiziale, di accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva in capo al Fallimento La. s.a.s per le ragioni di cui in comparsa e per l'effetto dichiararne l'estromissione dal giudizio; b. in via principale, il rigetto delle domande tutte formulate, sia da parte attrice, che da parte convenuta, in quanto carenti dei presupposti fattuali e giuridici per il loro accoglimento; in particolare il rigetto della richiesta di manleva del convenuto, sottolineato il proprio status di società fallita e la totale estraneità ai fatti. confermate in questa sede le ordinanze del 9.3.2017 e del 5.4.2019, nonché l'ordinanza istruttoria del 12.10.2017 qui da intendersi integralmente richiamate per tutti i motivi in esse indicati; dato atto di come l'istruttoria del presente giudizio si sia articolata nella produzione documentale da parte di tutti i soggetti processuali, nell'assunzione delle prove orali (per interpello e per testi) e nello svolgimento di CTU da parte dell'ing. PI.AN. depositata in data 6/6/2018, con integrazione del 28.10.18 e 25.4.19, quali elaborati da intendersi richiamati per relationem in quanto immuni da vizi di logicità e congruità; ritenuto come sulla base degli atti, dei documenti prodotti e dalle prove assunte risultino altresì in fatto le seguenti circostanze: 1. MA.AN. è proprietaria dei terreni contraddistinti al Fg. (...) di Sant'Anna d'Alfaedo (doc. 1, fasc. attrice); 2. MA.LU. è a sua volta proprietario dei vicini terreni contraddistinti al Fg. (...) CT di Sant'Anna d'Alfaedo (doc. 2, fasc. attrice); 3. MA.LU. verso la fine degli anni 70 destinava parte del fondo di sua proprietà alla coltivazione a cava e ad oggi risulta proprietario di due cave adiacenti, una denominata "(...)", data in concessione alla ditta LA. S.A.S. con contratto del 5.12.2008 per la durata di cinque anni (doc. 10 fasc. convenuto), e l'altra "(...)", in utilizzo prima dello stesso Ma.Lu. e dal 2009 del figlio Ma.Ni. (circostanza non contestata); 4. il convenuto, avendo la necessità di raggiungere il proprio fondo con mezzi d'opera di grandi dimensioni (quali escavatori e camion), nel 2007 richiedeva il consenso all'attrice, per l'allargamento della strada esistente sul Fg. (...), di proprietà di questa e sulla quale il convenuto godeva di servitù di passo (circostanza non contesta); 5. l'attrice acconsentiva a tale richiesta a condizione che venissero acquisite tutte le autorizzazioni amministrative necessarie (circostanza non contestata) e a tal fine sottoscriveva in data 7.2.2007 il progetto di allargamento predisposto dall'ing. Fl.La. (doc. 3, fasc. convenuto), poi approvato dal Comune di Sant'Anna d'Alfaedo con permesso di costruire n. 8/2007 (doc. 4, fasc. convenuto); 6. i lavori di allargamento iniziavano nel 2007 e venivano commissionati da MA.LU. alla ditta La. s.a.s. Di.Gi. (cfr. comunicazione di inizio lavori doc. 31, fasc. convenuto e testimonianza direttore lavori, Fl.La., verbale udienza 17.5.2019); 7. nel luglio 2009, tuttavia, venivano eseguiti sbancamenti e allargamenti maggiori rispetto a quanto autorizzato dal Comune (circostanza non contestata); 8. in data 3.7.2009, la stessa MA.AN. inviava nota al Comune di Sant'Anna dove segnalava che nei terreni di sua proprietà, in data 1.7.2009, venivano eseguiti lavori di ampliamento dei tornanti della strada interpoderale in difformità dal permesso di Costruire n. 8/2007 da parte della ditta La. s.a.s. di (...) (doc. 11, fasc. convenuto); 9. lo stesso giorno anche il Direttore dei lavori del Permesso a Costruire n. 8/2007 inviava nota al Comune con cui segnalava che "era stato informato" che alcuni operai della ditta LA. S.A.S. avevano eseguito dei lavori di allargamento sulla strada interpoderale in maniera autonoma e di propria iniziativa senza alcuna autorizzazione dello stesso Direttore (cfr. ordinanza sospensione lavori, doc. 11 convenuto). 10. MA.LU. con nota del 6.7.2009 indirizzata al Comune, a MA.AN. ed alla LA. S.A.S., denunciava l'esecuzione di lavori di allargamento della strada da parte della ditta La., avvenuti in piena autonomia, arbitrariamente e di cui lo stesso Ma. non era a coscienza (doc. 3, fasc. convenuto); 11. la ditta LA. S.A.S., con lettera del 23.11.2010, proponeva alle parti un progetto di messa in sicurezza della strada, nonché una dichiarazione che esonerasse la sig.ra Ma.An. da ogni responsabilità in merito allo stato dei luoghi e la corresponsione, a favore dell'attrice, di un indennizzo di Euro 2.000,00; specificando tuttavia che ciò non significava in nessun modo assunzione di responsabilità o riconoscimento di dovere alcuno, ma che si trattava solamente di un tentativo di composizione bonaria della controversia, salvo, in ogni caso, la riserva di agire nei confronti del sig. Ma.Lu. (doc. 33, fasc. convenuto); 12. in ogni caso, tanto Ma.Lu., quanto la La. s.a.s dichiaravano la propria estraneità ai fatti, cioè l'allargamento del luglio 2009 (doc 3 e 33, fasc. convenuto); 13. la ditta LA. S.A.S. contestava inoltre la effettiva presenza del sig. Ma.Lu. durante i lavori di allargamento della strada tra il giugno luglio 2009; 14. risulta provato agli atti che questi fosse effettivamente presente durante l'esecuzione dei lavori e, da un lato, riferiva d'essere il proprietario della suddetta strada, dall'altro, impartiva anche indicazioni e direttive ai lavoratori stessi (cfr. prova per testi, OLIOSI STEFANO, verbale d'udienza 17.5.2019 sulla cui attendibilità delle relative dichiarazioni non è dato dubitare non essendo emersi elementi al giudizio al riguardo); 15. il Comune di Sant'Anna d'Alfaedo, con ordinanza n. 15/2009 del 7.7.2009, sospendeva i lavori per opere eseguite in difformità dal permesso di costruire (doc. 11, fasc. convenuto) e con successiva ordinanza n. 16/2011 del 20 ottobre 2011 ordinava a Ma.An. a Ma.Lu., in qualità di contestatari del permesso, e alla ditta La. s.a.s., in qualità di ditta esecutrice dei lavori, il ripristino dei luoghi (doc. 5, fasc. attrice; doc. 3, fasc. convenuto); 16. l'ordinanza comunale n. 16/2011 veniva impugnata davanti al TAR Veneto sia dall'attrice, Ma.An. (doc. 6, fasc. attrice), sia dal convenuto Ma.Lu. (doc. 7, fasc. convenuto), con distinti ricorsi volti all'annullamento della stessa; 17. l'attrice è inoltre proprietaria del fondo agricolo costituito dai mappali Fg. (...) (doc. 1, fasc. attrice), per raggiungere il quale, secondo la prospettazione di questa, lei ed i suoi incaricati dal 1978 hanno percorso la strada agreste pedonale e carraia insistente sulle proprietà del convenuto al fg. (...) CT di Sant'Anna D'Alfaedo (planimetria doc. 7, percorso in rosa; doc. 8; carta tecnica in rosa doc. 21, tavola PRG in giallo doc. 21; tavola 1 PATI in giallo doc. 23; in rosso doc. 37; foto doc. 8-17-18-19-20 fasc. attrice) in quanto, essendo i fondi dell'attrice interclusi, non avrebbero altrimenti altra via d'accesso alla strada pubblica; 18. secondo la prospettazione di parte attrice, nel 2007, MA.LU., posizionava due sbarre in prossimità dei mappali n. 185-194, consentendo esclusivamente il transito pedonale e così interrompendo il libero accesso dell'attrice e suoi affini (prova per testi Emiliano Ma., cap. 10, verbale 29.3.2019). 19. dopo il 2003/2004 il suddetto percorso (raffigurato nella planimetria in rosa doc. 7 e nelle foto 8, 17, 18, 19, 20 e nella CARTA TECNICA REGIONALE in rosa doc. 21, nella tavola del PRG di Sant'Anna d'Alfaedo in giallo doc. 22 e sempre in giallo nella tavola 1 del PATI di Sant'Anna d'Alfaedo doc. 23 e in rosso nella foto aerea doc. 37, fasc. attrice) veniva modificato divenendo quello evidenziato in rosa e verde e nel doc. 11 in rosso e sempre in rosso nel doc. 24, fasc. attrice (cfr. prova per testi, Emiliano Ma., cap. 17, verbale 29.3.2019); 20. all'esito della CTU espletata risulta circostanza acquisita agli atti che, a seguito delle escavazioni eseguite e non autorizzate, il ripristino dello stato dei luoghi non è materialmente e amministrativamente possibile, ma che, in ogni caso, risulta necessario eseguire un intervento di messa in sicurezza della strada (a protezione e contenimento delle scarpate, al fine di evitare la caduta di massi, fenomeni di erosione superficiale, di ribaltamento, di toppling ecc); (cfr. CTU, depositata in data 6/6/2018, pp. 7, 8-13; ed integrazione depositata in data 4/7/2018 pp. 8-13). Alle superiori premesse in fatto ne segue in diritto: 1) Relativamente alla prima domanda di parte attrice, cioè all'accertamento dell'illiceità dello sbancamento della strada interpoderale insistente sui mappali n. (...) CT di Sant'Anna d'Alfaedo (doc. 1, fasc. attrice) eseguito nel 2009 e conseguente condanna al risarcimento del danno provocato alla proprietà, va innanzitutto operata un distinzione tra il rapporto intercorrente tra attrice e il convenuto/ditta La. e il diverso rapporto intercorrente tra il convenuto e la suddetta ditta. Il rapporto intercorrente tra il convenuto e la terza chiamata, sebbene entrambi i soggetti neghino qualunque legame giuridico, è qualificabile in termini di contratto d'appalto (art. 1655 c.c.). L'appalto è infatti il contratto con cui il Ma. aveva commissionato i lavori di allargamento nel 2007 (circostanza non contestata), lavori che, di fatto, sono proseguiti con sbancamenti ulteriori e non consentiti nel 2009. In tema di contratto d'appalto si deve ricordare, in primo luogo, come esso sia un contratto ad esecuzione prolungata nonché a forma libera, non essendo necessaria la forma scritta né ad substantiam né ad probationem; in secondo luogo che, sebbene esso sia in genere caratterizzato dall'assoluta autonomia dell'appaltatore, dominus nell'organizzazione e regolare svolgimento del lavoro, è possibile che le parti riservino al committente il potere di ingerirsi nella direzione dei lavori (cass. n. 1154/2002). In tal caso, però, non viene comunque meno il requisito dell'autonomia, assistendo semplicemente ad una compressione della stessa, con la conseguenza che l'appaltatore sarà comunque tenuto ad attenersi alle regole dell'arte (cass. n. 3932/2008), dovendo segnalare eventualmente la contrarietà a tali regole delle prescrizioni impartitegli (cass. n. 8813/2003; Cass. 28812 2013). A diversa conclusione si deve, invece, prevenire solo laddove l'appaltatore perdendo ogni autonomia (cass. n. 4364/2008; Cass. 22/09/2011, n. 19369; Cass. 08/06/2015, n. 11798; Cass. 28/01/2015, n. 1611; Cass. 17/06/2013, n. 15093; Cass. 21/05/2012), sia ridotto a nudus minister, dovendo eseguire la prestazione sotto la diretta e penetrante direzione del committente (c.d. appalto a regia). Circostanza che tuttavia, come si dirà infra nel testo, la terza chiamata non è riuscita a provare nel caso di specie. La vicenda de quo, nei confronti dell'attrice, è invece sussumibile all'interno dello schema della responsabilità acquiliana ex art. 2043 c.c., secondo cui qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. Gli elementi costitutivi dell'illecito civile sono: il fatto, il danno ingiusto, il dolo e la colpa, il nesso causale tra il fatto e il danno. Nel presente caso il fatto materiale (l'illecito allargamento), il danno ingiusto, il nesso causale nonché l'intenzionalità della condotta5 non sono contestati dalle parti resistenti nel presente giudizio (in ogni caso risultano provati in atti); in particolare, il sig. Ma.Lu. si limita a contestare come egli sia completamente estraneo alla vicenda, in quanto tali lavori non consentiti sarebbero stati eseguiti in piena autonomia e a sua insaputa dalla ditta La. s.a.s la quale, secondo il convento, aveva interesse all'allargamento per arrivare più comodamente alla cava denominata "(...)" datale in concessione (dal 2008 al 2013) dallo stesso convenuto. Allo stesso modo, nemmeno la La. non nega l'accaduto, escludendo, tuttavia, la propria responsabilità, dapprima, affermando la completa estraneità, quindi contestando che l'esecuzione dei lavori era stata ordinata e supervisionata dallo stesso Ma., unico ad avere interesse nell'allargamento. Ciò che è contestato è la riferibilità del fatto che ha cagionato il danno ad uno o più soggetti: il sig. Ma.Lu. e/o la ditta La. s.a.s. Sul punto, sebbene sia il convenuto sia la terza chiamata affermino la loro estraneità ai fatti, risulta provato che, da un lato, i lavori di allargamento del 2009 sono stati materialmente eseguiti dalla ditta La. s.a.s. (già appaltatrice dei lavori del 2007, cfr. Punto 6 in fatto), in quanto tale circostanza viene espressamente confermata da un dipendente della La. che, nel periodo considerato (luglio 2009), guidava un camion della suddetta ditta, riferendo inoltre come le direttive dei lavori venivano impartire da "qualcuno della ditta" (prova per testi, Te.Gi., dipendente della La. dal 2005 al 2010, cap. 2-4, verbale d'udienza 5.3.2019). Dall'altro, contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto, risulta provato come il sig. Ma.Lu. fosse effettivamente a conoscenza dei lavori in quanto, oltre ad averli commissionati, presente fisicamente durante lo svolgimento degli stessi; tale circostanza viene riferita da un dipendente della ditta autotrasporti Be., che ha confermato di aver partecipato ai lavori di sbancamento (pur non essendo dipendente della La.) e talvolta di aver preso direttive e indicazioni proprio dallo stesso convenuto, che si presentava come proprietario del terreno (prova per testi, Ol.St., cap. 4-5-7, verbale d'udienza 24.10.2019). In senso contrario, il convenuto non è riuscito a provare l'attribuibilità esclusiva del fatto dannoso alla società, seppur materiale esecutrice dei lavori; allo stesso modo, la società terza chiamata, pur provando la presenza in loco del convenuto, ha mancato di provare la completa dipendenza dagli ordini del convenuto stesso (cioè la sua degradazione a nudus minister) e la sua non rimproverabilità a titolo di dolo o colpa. Difatti, tanto il convenuto, quale committente dei lavori del 2007, quanto la società terza chiamata, quale ditta incaricata dei lavori, erano a conoscenza del progetto di allargamento approvato dal Comune e del permesso di costruire e dunque dei limiti in cui l'allargamento doveva rientrare. Tutto ciò con la precisazione che, secondo la giurisprudenza, "in materia di appalto, rientra tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, di cui costituisce parte integrante (...)sicché permane in sede esecutiva l'obbligo dell'appaltatore di segnalare al committente le inesattezze delle informazioni risultanti dalla relazione geologica, al fine di promuovere le modifiche progettuali necessarie per la buona riuscita dell'opera" (Cass. civ. Sez. I, n. 28812 del 31/12/2013). Va poi sottolineato come entrambi i soggetti, convenuto e terza chiamata, avessero interesse all'allargamento della strada, in modo tale da permettere un transito più agevole ai mezzi pesanti diretti alle due cave, una in concessione alla ditta La. e una lavorata direttamente dal Ma.. Tutto ciò considerato, il danno è da considerarsi imputabile, sia al sig. Ma.Lu., sia alla ditta La. di Be.Gi. e C, sicché entrambi sono da considerarsi responsabili solidalmente per l'intero nei confronti del danneggiato in applicazione dell'art. 2055 c.c.. Ai fini della responsabilità solidale ciò che rileva è che il medesimo danno sia imputabile a vari responsabili, anche se a diverso titolo (cfr. cass. 10 ottobre 2008, n. 25016); a tal fine occorre che serie causali logicamente autonome abbiano tutte necessariamente contribuito a produrre l'evento, dal quale occorre muovere per determinare il danno patrimoniale. Nel caso di specie tanto il Ma., tanto la ditta terza chiamata hanno contribuito con proprie azioni (direttive e ordini impartiti agli operai) e omissioni, alla verificazione dell'evento. Ai fini dell'affermazione della responsabilità solidale non occorre, invece, che le azioni concorrenti rientrino in un piano unitario. Il nostro codice non richiede infatti un "agire comune", sussistendo responsabilità solidale pur se ciascuno dei responsabili abbia agito autonomamente o abbia ignorato l'agire altrui (cass. 4 marzo 1993, n. 2605; cass. 9 novembre 2006, n. 23918). La ditta La. di Be.Gi., tuttavia, dopo la verificazione dell'evento dannoso (nel 2009) e prima della instaurazione del presente giudizio (2016) è stata dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Verona. Sulla base di tale circostanza, il Fallimento della suddetta società, eccepisce inammissibilità della domanda di manleva avanzata dal convenuto nei suoi confronti per violazione degli artt. 52 e 93 L. Fall. Tale eccezione va accolta. L'art. 52, unitamente all'art. 24 L. Fall., esprimono il c.d. principio della esclusività dell'accertamento del passivo7, che sta a significare che qualsiasi pretesa che si concretizzi nella richiesta di pagamento di una somma di denaro o di restituzione di un bene acquisito alla massa che si voglia far valere verso il fallimento deve essere accertata mediante lo speciale procedimento di accertamento di cui agli artt. 93 ss. L. fall. (e, nel caso questo sia già chiuso e dichiarato esecutivo, mediante la dichiarazione tardiva ai sensi dell'art. 101 l. f.); sicché, la richiesta di ammissione è l'unico modo di proporre la domanda giudiziale nei confronti della massa e non già una forma meramente facoltativa che si trovi in concorso elettivo con domande dello stesso contenuto in sede contenziosa ordinaria. Questo principio trova la sua fonte proprio nel secondo comma dell'art. 52, per il quale "ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell'articolo 111, primo comma, n. 1, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V8, salvo diverse disposizioni della legge". L'accertamento di un credito nei confronti del fallimento è quindi devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l'inammissibilità o l'improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione "litis ingressus impedientes" (Cass. sez. III, 04 Ottobre 2018, n. 24156). La giurisprudenza precisa poi che per "azioni derivanti dal fallimento', della cui conoscenza è competente il giudice del fallimento ai sensi dell'art. 24 L. Fall., devono intendersi "quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna" (Cass. civ. n. 17279/2010); ne consegue che "rientrano nella competenza inderogabile del foro fallimentare la richiesta di compensazione volta all'accertamento di un maggior credito nei confronti del fallito da insinuare al passivo, le azioni revocatorie fallimentari ordinarie, le azioni intese a far valere diritti verso il fallito, le azioni di annullamento seguite da domande di restituzione e quelle volte ad accertare la simulazione" (Cass. civ. n. 7510/2002). Ciò significa che per le domande di pagamento di somme di danaro nei confronti del fallimento si verifica la vis attractiva del foro fallimentare (Cass. 19248/2007; Cass. 3129/2003; Cass. 7075/2002; Cass. 13580/1999; Cass. 8708/1999; Cass. 5567/1998; Cass. 4146/1997). Tale norma introduce un rito speciale per l'accertamento dei crediti della massa fallimentare e, più in generale per le azioni proposte da terzi contro il fallimento. E', quindi, ritenuta espressiva di una regola di rito che impone l'esclusività del procedimento di accertamento del passivo. Tutto ciò premesso se, da un lato, a fronte dell'accertamento della responsabilità concorrente della medesima società nella determinazione del danno all'attrice avvenuto incidenter tantum e per i soli motivi di cui all'ordinanza interlocutoria del 12.10.2017, deve essere ritenuta infondata l'eccezione svolta sul punto dal convenuto, dall'altro, va dichiarata inammissibile la domanda di manleva proposta dal medesimo, in forza delle norme appena considerate e dell'orientamento giurisprudenziale in materia, nei confronti della società La. s.a.s di Be.Gi. oggi fallita. La domanda dell'attrice volta alla condanna del convenuto al risarcimento dei danni non soffre, invece, le sorti della domanda di manleva del convenuto nei confronti del Fallimento, e va quindi considerata del tutto ammissibile. L'attrice infatti non ha mai esteso le proprie pretese verso il fallimento, richiedendo il risarcimento del danno nei confronti del solo convenuto. Alla luce di ciò vale il principio giurisprudenziale secondo cui "in tema di obbligazioni solidali, l'applicazione della regola secondo la quale la domanda rivolta contro alcuno soltanto dei condebitori in solido può essere proposta/proseguita in sede di cognizione ordinaria, malgrado il sopravvenuto fallimento di altro condebitore (per il carattere meramente facoltativo del litisconsorzio e perché l'azione ha con il fallimento un rapporto di mera occasionalità), presuppone che, contro quell'altro soggetto, non sia proposta alcuna domanda diretta a ottenere un titolo per partecipare al concorso" (cfr. Cass. 24 febbraio 2011, n. 4464; Cass. 3 dicembre 2009, n. 2540312). La domanda di parte attrice volta alla condanna del sig. Ma. al risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimo allargamento della strada interpoderale di cui ai mappali (...) CT Sant'Anna d'Alfaedo non può, dunque, che essere accolta; in particolare, il danno risarcibile è identificato nelle somme necessarie per l'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza della suddetta strada così come quantificato dal CTU. Dalla CTU espletata è infatti emerso che il ripristino dello stato dei luoghi (cioè allo stato consentito dal comune di Sant'Anna d'Alfaedo con permesso di costruire n. 8/2007), richiesto in via principale dall'attrice, non risulta più possibile, e che, a causa dell'illecito allargamento, si rendono necessari lavori di messa in sicurezza dalla strada per un costo parti a 83.193,58 Euro (comprensivo di spese di progettazione, autorizzazioni, IVA e C.N.P.A.I.A.) (per dettagli si veda CTU ing. An.Pi., depositata in data 6/6/2018, pp.7-13; ed integrazione depositata in data 4/7/2018 pp. 8-13). 2) Passando alla seconda pretesa formulata dalla sig.ra Ma.An. nei confronti del convenuto, cioè l'accertamento dell'acquisto per usucapione da parte della stessa attrice, per effetto dell'utilizzo continuato ultraventennale, del diritto di servitù di passo carraio e pedonale lungo la capezzagna che collega la proprietà di questa di cui ai mappali (...) insistente sulla proprietà del convenuto di cui ai mappali (...), si osserva quanto segue. In premessa, le norme di cui agli artt. 1031, 1061 e 1158 c.c., consentono il riconoscimento dell'usucapione della servitù in virtù del possesso continuato di tale diritto reale per vent'anni e solamente qualora apparente, ovvero solo qualora l'asservimento di un fondo a favore di un altro fondo, durante il periodo di esercizio ventennale del passaggio, sia stato reso manifesto dalla presenza di opere visibili e permanenti destinate all'esercizio. Per la giurisprudenza l'apparenza della servitù postula l'esistenza oggettiva di una situazione di fatto che riveli di per sé l'assoggettamento di un fondo ad un altro, per la presenza di opere inequivocabilmente strumentali all'esercizio di essa (Cass., n. 8736/2001; Cass. n. 2650/1993; Cass. n. 3695/1989) e tali da manifestare, per la loro struttura e funzionalità, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente (Cass. n. 1043/2001; Cass. n. 9371/1992; Cass. n. 7640/1990). Pertanto, la parte che intende ottenere l'accertamento dell'acquisto per usucapione di una servitù di passaggio, come nel caso di specie, ha l'onere di allegare e dimostrare non solo (A) il possesso ad usucapionem del diritto di servitù, ma anche (B) l'esistenza di tale situazione oggettiva di fatto che riveli di per sé l'assoggettamento di un fondo ad un altro (tra le tante, Cass. 18.10.91 n. 1120, Cass. 23.11.87 n. 8640, Cass. 27.5.81 n. 3479, Cass. 7.7.78 n. 3408, Cass. 15.6.76 n. 2226). B) esaminando per esigenze di esposizione il secondo dei requisiti sopra enunciati, va innanzitutto rilevato come la giurisprudenza, ai fini della prova dell'apparenza, ritenga non sufficiente la mera esistenza di una strada o di un percorso (anche creato naturalmente attraverso il calpestio degli utenti13) all'uopo idonei, "essendo viceversa essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù (Cass. 3389/2009 Cass. 7004/2017; Cass. 25355/2017). Nel caso di specie, il convenuto nega l'esistenza del percorso14 in quanto, secondo la sua prospettazione, non esisterebbero opere visibili e permanenti riconducibili all'asserito passaggio (documentazione fotografica, doc. 4 e 5, fasc. convenuto). Specificatamente, il convenuto contesta che il tracciato percorribile, consistente in una stradina di ghiaia, giungesse fino ai terreni dell'attrice, interrompendosi, al contrario, dove è ubicata la stalla di proprietà del convenuto stesso (interpello convenuto, cap. 17 verbale udienza 22.9.2019). Tuttavia, dalle foto panoramiche prodotte in giudizio (in particolare doc. 11, doc. 24, doc. 27, fasc. attrice) si rinviene come in realtà il fondo dell'attrice sia effettivamente raggiungibile dalla strada pubblica attraverso i terreni del convenuto, percorrendo la capezzagna che giunge fino alla stalla e poi continuando per un tratto di prato15 (prova per testi, Lu.Sp., cap. 13, verbale d'udienza 5.3.2019), e come non risultino altri sentieri percorribili. In particolare, l'istruttoria orale espletata in giudizio (testimonianza di Lu.Sp., cap. 14, verbale 5.3.2019) nonché le prove documentali prodotte (doc. 27, fasc. attrice), hanno attestato la non percorribilità delle strade ritenute dal convenuto alternative a quella transitante nel suo fondo17, in quanto disastrate e ricoperte di vegetazione; trattasi del sentier dei Carbonari e strada del Fr.. Sotto tale profilo va ritenuto assolto l'onere dalla prova circa la specifica destinazione del percorso insistente sui mappali (...) di proprietà del convenuto, all'esercizio della servitù a favore del fondo dell'attrice. A riprova dell'assoggettamento del fondo del convenuto a quello dell'attrice, quest'ultima sottolinea come il percorso in questione è un "tracciato storico" espressamente riportato nel Piano Regolatore Generale comunale (doc. 22, fasc. attrice) nella Carta Tecnica regionale (doc. 21, fasc. attrice). A) Con riferimento al requisito il possesso ad usucapionem del diritto di servitù, il codice richiede il possesso pacifico, palese, continuato, non interrotto per la durata di vent'anni (artt. 1158 e 1163 c.c.). Il possesso è escluso se gli atti sono compiuti con l'altrui tolleranza (art. 1144 c.c.); se un bene è, infatti, utilizzato da un soggetto diverso dal proprietario per tolleranza o accondiscendenza di costui, l'utilizzatore non si trova in una situazione di "possesso" ma di semplice "detenzione", cosicché non può maturare l'usucapione. La "detenzione" è la situazione in cui si trova chi utilizza il bene altrui comportandosi non come se fosse il legittimo titolare, ma riconoscendo il diritto altrui e, quindi, ammettendo di averne la disponibilità solo in forza di un rapporto (contrattuale o di fatto) con il titolare medesimo. Nel caso di specie, viene contestato dal convenuto proprio tale necessario requisito in quanto il sig. Ma. nega che sui fondi di sua proprietà l'attrice avesse da sempre libero transito, affermando che al contrario l'accesso al fondo veniva di volta in volta autorizzato dal proprietario (doc. 24, fasc. convenuto). Sul punto, l'istruttoria orale espletata in giudizio, pur avendo confermato che dagli anni 80 fino agli anni 2002-2003 i famigliari dell'attrice hanno attraversato il fondo del convenuto utilizzando il percorso in color rosa di cui al documento 7 (fasc. attrice, prova per testi, Mo.Cl., genero dell'attrice, cap. 10, verbale 29.3.2019), ha fatto anche emergere l'esistenza di un accordo verbale tra il sig. Ma. e il figlio dell'attrice in base al quale il primo consentisse al secondo di passare in quella strada (v. prova per testi, Em.Ma., cap. 12, verbale 29.3.2019). Tale circostanza di per sé esclude che nel caso de quo risulti integrato il requisito del "possesso", dovendosi parlare piuttosto di semplice detenzione. Si noti poi che le parti oltre ad essere legate da un rapporto di vicinato, essendo proprietari di fondi limitrofi, sono anche parenti (specificatamente cugini), propensi nel corso degli anni a scambi di favori reciproci; tale circostanza va presa in considerazione dal momento che secondo la giurisprudenza la "tolleranza" si verifica, nella maggior parte dei casi, quando vi sono particolari rapporti tra il proprietario e l'utilizzatore: è l'ipotesi del rapporto di amicizia, parentela, vicinato; e che "un esteso e duraturo potere di fatto sulla cosa non si presume acquisito per tolleranza del proprietario, salvo che sussista un rapporto di stretta parentela (nei casi di vincoli di stretta parentela è plausibile il mantenimento di un atteggiamento tollerante anche per un lungo arco di tempo) (cass. 27 aprile 2006, n. 9661; cass. 18 giugno 2001, n. 8194). Tutto ciò considerato, non essendo integrati tutti i requisiti richiesti dalla legge, in particolare il requisito del possesso, la domanda di parte attrice volta all'accertamento dell'acquisto per usucapione del diritto di servitù di passo carraio e pedonale lungo la capezzagna che collega la proprietà di questa di cui ai mappali (...) ai mappali (...) insistente sulla proprietà del convenuto di cui ai mappali (...), non può essere accolta. Da ultimo, circa la domanda di parte convenuta di dichiarare inammissibili le domande attoree di accertamento dell'illegittimità degli sbancamenti e conseguente risarcimento del danno, per l'esistenza di un precedente giudicato tra le medesime parti sulla medesima questione (relativa all'allargamento della strada), come da sentenza n. 2189/2011 del Tribunale di Verona, basti richiamare in questa sede quanto già affermato nell'ordinanza interlocutoria del 9.3.2017, di rigetto dell'eccezione medesima per i motivi ivi articolati. Quanto alle spese di lite, alla reciproca soccombenza, seguono i presupposti, per compensare le delle spese di lite nel rapporto processuale tra attrice e convenuto; con riferimento al rapporto processuale tra convenuto e terza chiamata, alla declaratoria di inammissibilità della domanda di manleva, segue la condanna del convenuto alla refusione delle relative spese liquidate come in dispositivo ex DM 55/14; Le spese di CTU, funzionale all'accoglimento della prima domanda attorea, nei rapporti interni seguono la soccombenza della parte convenuta sul punto e devono pertanto integralmente porsi a carico di MA.LU.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nella causa R.G. n. 7444/2016 ogni diversa istanza, difesa ed eccezione disattesa o assorbita, 1. Dichiara tenuto e condanna il convenuto, MA.LU., al pagamento in favore dell'attrice, MA.AN., della somma di Euro 83.193,58; oltre rivalutazione dalla data del fatto illecito (luglio 2009) alla data della sentenza, ed oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; 2. Dichiara l'inammissibilità della domanda di manleva formulata dal convenuto, MA.LU., nei confronti della terza chiamata, LA. S.A.S. di BE.GI. e C.; 3. Dichiara compensate le spese di lite tra parte attrice e parte convenuta; 4. Condanna il convenuto a rimborsare alla parte terza chiamata le spese di lite, che si liquidano, in Euro 26,00 per esborsi ed in Euro 11.000 per compensi difensivi ex DM 55/14 (di cui Euro 2400 per fase di studio, Euro 1600 per fase introduttiva, Euro 4000 per fase di istruttoria e trattazione, ed Euro 4000 per fase decisoria); oltre rimborso spese generali al 15%; oltre IVA, CPA ove dovute come per legge; 5. Pone le spese di CTU definitivamente a carico di parte convenuta nei soli rapporti interni. Così deciso in Verona il 9 aprile 2021. Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA TERZA SEZIONE CIVILE Il G.I. DR. EUGENIA TOMMASI DI VIGNANO Ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 4459/2019 promossa da: (...), elettivamente domiciliata in VERONA VIA (...) presso lo studio dell'Avv. PA.FE. che la rappresenta e difende come da mandato in calce all'atto di citazione in opposizione; PARTE OPPONENTE contro (...) S.p.A. (quale procuratrice di (...)) in forza di procura Notaio (...) di Milano, elettivamente domiciliata in VERONA presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso monitorio n. 2005/2019 R.G. Ing.; PARTE OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE Ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr. Cass. 3636/07; Cass. Sez. Lav. 8053 del 22/5/12 e Cass. 11199 del 4/7/12) ed evidenziato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare "concisamente" la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni - di fatto e di diritto - che risultano "...rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata (Cass. n. 17145/06; Cass. Sez. 3, n. 22801 del 28/10/09; Cass. Sez. 2, n. 5241 del 04/03/11); richiamata adesivamente Cass. SS.UU. 16 gennaio 2015, n. 642, secondo la quale nel processo civile - ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 1 D.Lgs. n. 546 del 1992 - non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata, dovendosi anche escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti (cfr. anche, nel medesimo senso, Cass. ord. 22562 del 07/11/2016; Cass. n. 9334 del 08/05/2015); richiamata la nota 13/10/16 prot. n. 5093/1.2.1/3 del Presidente della Corte d'Appello di Venezia, che rimanda al provvedimento 14/9/16 del primo Presidente della Corte di Cassazione sulla motivazione sintetica dei provvedimenti civili; richiamato per relationem il contenuto dell'atto di citazione in opposizione di (...); richiamato per relationem il contenuto della comparsa di risposta di (...) S.p.A., quale procuratrice di (...) S.p.A.; ritenuta la fondatezza dell'opposizione, che merita accoglimento per quanto di ragione; osservato; che, come emerge dalle complessive allegazioni del ricorso monitorio, la banca ricorrente ha azionato il credito di Euro 340.000,00 portato da cambiale agraria (emessa in favore della (...) S.p.A. - poi confluita in (...) S.p.A. - dalla debitrice principale (...), successivamente posta in LCA) con firma per avallo dell'opponente Azienda (...); che la firma apposta dall'avallante ad una cambiale dà luogo esclusivamente ad una obbligazione cartolare, in quanto la promessa di pagamento insita nella sottoscrizione della cambiale sussiste esclusivamente nei rapporti tra emittente e prenditore o tra girante e suo immediato giratario (cfr. Cass. n. 22186 del 20/10/2014; Cass. n. 8971 del 11/09/1997; Cass. n. 4925 del 28/05/1996); che, pertanto, la ricorrente ha fatto valere in via monitoria l'obbligazione cartolare dell'avallante che, poiché la cambiale agraria è equiparata ad ogni effetto di legge alla cambiale ordinaria (cfr. l'art. 43, 4 comma, T.U.B.), l'azione cambiaria di cui alla cambiale de qua (emessa il 12/08/10, rinnovata il 12/02/11 e scaduta il 12/08/11, cfr. doc.ti 2 e 3 di parte opponente) è prescritta per il decorso di tre anni dalla scadenza del titolo (cfr. art. 94,1 comma, R.D. n. 1669/1933, applicabile anche all'avallante ai sensi dell'art. 37, 1 comma, stesso testo, secondo il quale l'avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l'avallo è stato dato); che la banca opposta non può agire nei confronti dell'opponente avallante con l'azione causale, esperibile solo nei confronti del debitore principale; che, infatti, anche nella cambiale agraria, come in quella ordinaria, il debito dell'avallante accede a quello cambiario garantito, non a quello causale sottostante, sicché è da escludere che l'avallante sia tenuto agli stessi obblighi cui è soggetto il debitore principale in base al contratto garantito dal titolo (cfr. Cass. n. 22546 del 20/10/06; Cass. n. 4349 del 16/05/97; Cass. n. 4925 del 28/05/1996), in quanto la promessa di pagamento insita nella sottoscrizione della cambiale sussiste esclusivamente nei rapporti tra emittente e prenditore o fra girante ed il suo immediato giratario, onde solo nell'ambito di tali rapporti opera l'inversione dell'onere della prova di cui all'art. 1988 cod. civ., non già tra avallante e avallato (cfr. Cass. n. 22186 del 20/10/2014, sopra cit.); che, nei rapporti tra avallante e avallato, ove quest'ultimo agisca sulla base del solo rapporto causale sottostante deve dimostrare che l'avallante si è obbligato anche in qualità di fideiussore a mezzo di un'esplicita dichiarazione di volontà ai sensi dell'art. 1937 cod. civ. (cfr. Cass. n. 8971 del 11/09/97); che, nel caso di specie, non è stata allegata da parte opposta sul piano assertivo né risulta prodotta in causa l'assunzione di garanzia fideiussoria ex art. 1937 cod. civ. da parte di Azienda (...) in relazione al prestito agrario oggetto di cambiale, sicché è precluso l'esercizio verso l'opponente dell'azione causale; che l'atto notarile di vincolo di destinazione ex art. 2645 ter cod. civ. sui beni immobili di (...) (cfr. doc. 9 di parte opponente) non fa assumere a quest'ultima alcun obbligo di garanzia verso debiti di (...) tenuto conto della diversa funzione "segregativa" del vincolo destinatorio di cui alla detta norma, che sottrae i beni che ne sono oggetto alle vicende che coinvolgono il loro proprietario, senza imporre a quest'ultimo alcun obbligo di garantire il debito altrui; che l'atto di vincolo nemmeno costituisce riconoscimento del debito portato dalla cambiale agraria, essendo questa menzionata nell'elenco allegato all'atto medesimo per essere uno dei crediti verso (...) in funzione dei quali il vincolo è stato imposto e mancando nell'atto stesso, finalizzato ad imprimere destinazione separata a certi beni, la manifestazione della volontà del sottoscrittore di obbligarsi al pagamento; osservato, quindi, che può dirsi accertata la prescrizione dell'azione cartolare fondata sulla cambiale e l'inammissibilità dell'azione causale verso l'avallante non fideiussore; ritenuto che i rilievi che precedono siano sufficienti all'accoglimento dell'opposizione e alla revoca del decreto ingiuntivo opposto; osservato che le spese di opposizione seguono la soccombenza e sono regolate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/14, tenuto conto del valore della controversia e dell'attività svolta (fasi di studio, introduttiva e istruttoria al 100%, no fase decisoria per il ricorso al modulo della discussione orale, sia pure con rinuncia alla lettura contestuale della sentenza). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo, ogni diversa domanda ed eccezione respinta, così provvede: in accoglimento dell'opposizione, revoca il decreto ingiuntivo opposto. Condanna (...), quale procuratrice di (...) SPA, a rimborsare all'opponente AZIENDA (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro (...) compensi e Euro (...) per spese, oltre rimborso forfettario 15% ex art. 14 T.F., IVA e CPA come per legge. Così deciso in Verona il 26 novembre 2020. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VERONA SEZIONE SECONDA in persona del Dottor Luigi Pagliuca in funzione di giudice unico ha pronunciato li seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 11038 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2015 e vertente tra Condominio "(...)" (cod. fisc. (...)) con l'avv. La.Pi. - attore - e Fa. S.r.l. in liquidazione (C.F. (...)) con l'avv. Matteo Zanotelli - convenuta - e La.Le. (C.F. (...)) con gli avv.ti Fi.Bo. e St.Za. - convenuto - Quegli assicuratori dei Ll. che hanno assunto il rischio del certificato n. (...) (P.iva. (...)) con l'avv. An.Ti. - terzi chiamati - MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Premessa Nel periodo 2003 - 2006 Fa. S.r.l. aveva proceduto alla ristrutturazione di un complesso immobiliare sito in Negrar (cfr docc. 2 - 5, 7, 8 di Fa. srl), provvedendo poi ad alienare i singoli appartamenti con autorimesse (doc. 6 di Fa. srl). Direttore dei lavori era stato nominato l'ing. La.. Tra i vari proprietari è stato quindi costituito il Condominio "(...)", odierno attore. Il Condominio ha citato in giudizio Fa. S.r.l. e il La. sostenendo che a partire dal 2008 avevano iniziato a verificarsi infiltrazioni di acqua nel seminterrato adibito a garages, infiltrazioni via via estesesi ed aggravatesi, con coinvolgimento anche di parte del tetto; che le suddette problematiche erano state denunciate alla Fa. srl, la quale aveva riconosciuto il difetto e, con scrittura in data 16.12.10, si era anche impegnata a porvi rimedio eseguendo i necessari lavori di ripristino; che, tuttavia, non era stato posto rimedio alle infiltrazioni, che erano tuttora sussistenti; che prima del giudizio era stato disposto, nei confronti di Fa. srl, procedimento per ATP, all'esito del quale era emersa anche la corresponsabilità del direttore dei lavori La. per omessa adeguata vigilanza sui lavori. Su queste premesse il Condominio ha quindi richiesto, ai sensi dell'art. 1669 c.c. o dell'art. 2043 c.c. (titoli così precisati con la prima memoria ex art. 183, c. 6 n. 1 cpc), la condanna di Fa. S.r.l. e del La., in solido, al pagamento della somma di Euro 49.999,95 + iva, corrispondente ai costi degli interventi di ripristino, come quantificati dal CTU in sede di ATP. Fa. S.r.l. ritualmente costituitasi in giudizio, ha eccepito in via preliminare la decadenza del Condominio dalla garanzia ex art. 1669 cc, nonché la prescrizione delle azioni ex adverso proposte; ha contestato la possibilità di configurare una responsabilità ex art. 1669 c.c. nei suoi confronti, essendo stati appaltati alla ditta Co. S.r.l. i lavori di ristrutturazione, sicché difetterebbe in capo alla convenuta la qualità di costruttrice; ha eccepito il difetto di legittimazione del Condominio ad agire e ad avanzare pretese risarcitorie in relazione alle parti affette da vizi di proprietà di singoli condomini; ha contestato, comunque, ogni responsabilità in ordine alle infiltrazioni denunciate da parte attrice. Su queste premesse la convenuta ha quindi richiesto il rigetto delle domande attoree. L'ing. La. in via preliminare/pregiudiziale ha formulato eccezioni analoghe a quelle di Fa. srl; ha affermato che la garanzia ex art. 1669 c.c. non sarebbe configurabile in caso di lavori di mera ristrutturazione; ha comunque negato, nel merito, ogni responsabilità in ordine alle infiltrazioni rilevate. Su tali premesse anche il convenuto ha quindi chiesto il rigetto della domanda attorea. Il La. ha poi richiesto ed ottenuto la chiamata in causa dei Ll., nei cui confronti ha proposto domanda di garanzia e manleva per il caso di soccombenza, domanda fondata sul contratto di assicurazione contro il rischio professionale stipulata con detti assicuratori. I Ll. hanno eccepito in primo luogo l'inoperatività della copertura assicurativa ai sensi dell'art. 1892 cc, sostenendo che il La., all'atto della stipula della polizza, non aveva informato l'assicurazione del verificarsi del sinistro per cui è causa, a lui già in precedenza noto e dal quale avrebbe potuto derivare una sua responsabilità verso il Condominio, avendo egli assunto il ruolo di direttore dei lavori. I Ll. hanno poi formulato eccezioni pregiudiziali analoghe a quelle proposte dagli altri convenuti ed hanno comunque evidenziato che la copertura assicurativa avrebbe potuto operare solo entro i limiti e con detrazione della franchigia previsti in polizza. Sia Fa. srl, sia i Ll. hanno poi richiesto, per il caso di accoglimento della domanda risarcitoria nei confronti dei convenuti, che fossero accertate le percentuali di corresponsabilità del La. e di Fa. srl, nei rapporti interni tra coobbligati solidali. I Ll., inoltre, per il caso di accoglimento della domanda di manleva e di pagamento a favore del La. di un indennizzo per importo superiore alla quota di corresponsabilità accertata a carico del direttore dei lavori, hanno chiesto la condanna di Fa. srl, ai sensi dell'art. 2055, c. 2 cc, al rimborso in via di regresso dell'importo corrisposto all'assicurato in misura eccedente la quota di sua responsabilità. Prima del presente giudizio si è svolto tra il Condominio e Fa. S.r.l. procedimento per ATP (n. 2539/14 rg), con successiva acquisizione della relazione di CTU agli atti di causa. Nel presente giudizio è stato disposto supplemento di CTU, anche al fine di verificare il profilo attinente all'allegata corresponsabilità del direttore dei lavori La., nel pieno contraddittorio con lo stesso. 2) Domanda attorea - Eccezioni di decadenza e prescrizione Ciò premesso vanno in via preliminare vagliate le eccezioni di decadenza e prescrizione formulate dai convenuti Fa. S.r.l. e La., nonché dai terzi chiamati Ll.. Quanto alla domanda risarcitoria formulata dal Condominio attore verso Fa. S.r.l. e fondata sul disposto dell'art. 1669 c.c. deve in primo luogo ritenersi che la stessa sia proponibile nei confronti della convenuta. Infatti, premesso che detto tipo di responsabilità sussiste anche nel caso in cui i gravi vizi costruttivi (quali sono, indubbiamente, quelli ricorrenti nella fattispecie: cfr Cass. 24230/18, Cass. 27315/17, Cass. 7756/17, Cass. 21351/05) si verifichino in relazione ad interventi di semplice ristrutturazione (cfr Cass. SU 7756/17), va senz'altro attribuita a Fa. S.r.l. la qualità di venditrice/costruttrice dell'immobile per cui è causa. Infatti, pur essendo vero che i lavori erano stati inizialmente appaltati da Fa. S.r.l. a Co. S.r.l. (doc. 1 di Fa.), risulta documentalmente (cfr doc. 3 di Fa. srl) che, in un secondo momento, Co. S.r.l. aveva rinunciato a proseguirli e della loro realizzazione si era presa carico direttamente proprio la Fa. srl, la quale aveva quindi acquisito il ruolo di costruttrice, con il conseguente onere di completare le opere a regola d'arte e conseguente insorgenza direttamente a suo carico della responsabilità ex art. 1669 c.c.. Peraltro, poiché Fa. S.r.l. è una impresa edile e nella fattispecie aveva anche nominato un proprio direttore dei lavori (il convenuto ing. La.), deve presumersi che, anche durante il periodo di esecuzione dei lavori da parte di Co. srl, la convenuta avesse conservato un potere di direttiva e di controllo sulla appaltatrice (con conseguente possibilità per parte attrice/ acquirente di esperire l'azione ex art. 1669 c.c. nei confronti della convenuta/venditrice cfr Cass.777/20, Cass. 18891/17), incombendo su Fa. S.r.l. l'onere di comprovare il contrario, così da superare detta presunzione (cfr Cass. 9370/13, Cass. 467/14). E detta prova contraria, nel caso di specie, non è stata fornita. Quanto alla decadenza dalla garanzia in esame, è noto che il termine annuale per la denuncia dei gravi difetti della costruzione decorre dal momento in cui l'interessato abbia acquisito un adeguato grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti, della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera e della responsabilità per gli stessi in capo al soggetto verso cui la domanda viene proposta (cfr Cass. 3040/15). Spesso l'interessato acquisisce detta conoscenza solo all'esito di specifici accertamenti tecnici, ma non può certo escludersi che detta conoscenza oggettiva e soggettiva possa essere in concreto acquisita già in momento precedente. Si tratta, infatti, di verifica da operare in concreto, caso per caso, sicché il termine decorrerà immediatamente, ancora prima degli accertamenti tecnici disposti in momento successivo, nel caso in cui si tratti di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità, che nelle sue possibili origini e imputabilità ad un determinato soggetto (cfr Cass. 9966/14, Cass. 27693/19). Nel caso di specie va evidenziato che, per stessa ammissione di parte attrice, le problematiche di infiltrazione avevano iniziato a manifestarsi nel 2008, tanto è vero che se ne dà atto nel verbale dell'assemblea condominiale del 11.9.2008 (sub. doc. 2 di parte attrice). Peraltro, come risulta dai verbali delle successive assemblee condominiali del 19.2.09 e del 28.9.10 (sempre sub. doc. 2 di parte attrice) le suddette problematiche di infiltrazione si erano sempre più aggravate, giungendo ad interessare più parti del locale seminterrato e, da ultimo, anche parti del tetto dello stabile. Come risulta chiaramente dal verbale dell'assemblea del 28.9.10, quantomeno a quella data il Condominio aveva già acquisito piena contezza della problematiche di infiltrazione successivamente oggetto di indagine in sede di ATP e quindi oggetto della presente causa, nonché della imputabilità della responsabilità alla ditta Fa. srl, tanto è vero che il verbale termina con la delibera di conferimento di incarico ad un legale affinché sollecitasse la Fa. S.r.l. ad eseguire i lavori di ripristino necessari, con riserva di deliberare anche l'azione giudiziaria nei confronti della convenuta. Deve perciò ritenersi che già alla data del 28.9.10 (e quindi ben prima della predisposizione della perizia di parte dell'arch. Izzo in data 28.8.13: sub. doc. 2 di parte attrice) il Condominio avesse acquisito piena contezza della sussistenza ed entità dei difetti, nonché della loro imputabilità alla Fa. srl. Dal 28.9.10, quindi, aveva iniziato a decorrere il termine annuale per la denuncia dei vizi, termine che era stato poi senz'altro tempestivamente interrotto, atteso che risulta documentalmente provato (doc. 6 dei Ll.) che nel corso di un incontro presso l'amministratore in data 16.12.10 i soci della Fa. srl, anche a nome di quest'ultima, avevano riconosciuto la sussistenza di tutte le problematiche oggetto del presente giudizio ed avevano anche assunto l'impegno di porvi rimedio. E nell'occasione era stato addirittura stilato un elenco dei lavori di ripristino che Fa. S.r.l. avrebbe dovuto eseguire. Dal 16.12.10, quindi, aveva iniziato a decorrere il termine di prescrizione annuale di cui all'art. 1669, c. 2 c.c. per la proposizione della domanda risarcitoria. Detto termine, però, non risulta essere stato tempestivamente interrotto né stragiudizialmente (invero la prima richiesta successiva a mezzo di lettera del legale risale al 21.1.13: cfr missiva sub. doc. 2 di parte attrice), né giudizialmente (invero l'introduzione dell'ATP ante causam risale all'anno 2014). Il diritto al risarcimento del danno ex art. 1669 cc, quindi, si è senz'altro prescritto. Non può invece ritenersi prescritto il diritto al risarcimento del danno verso Fa. S.r.l. fondato da parte attrice sul disposto dell'art. 2043 c.c.. In primo luogo va evidenziato che, come chiarito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. 2284/14), questo diverso titolo di responsabilità può senz'altro essere azionato in tutti i casi in cui, in concreto, non sussistano le condizioni per l'applicazione del disposto dell'art. 1669 cc, ipotesi che ricorre nella fattispecie, atteso che come sopra evidenziato la relativa azione si è ormai prescritta. Va poi precisato che, nel caso di illecito istantaneo con effetti permanenti (quale è quello per cui è causa, laddove la condotta colposa è integrata dalla edificazione difettosa terminata nel 2006 e l'evento dannoso dal verificarsi in momento successivo dei fenomeni di infiltrazione progressivamente aggravatisi e tuttora sussistenti) il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. inizia a decorrere con la prima manifestazione del danno (cfr. Cass. 3314/20, Cass. 9318/18, Cass. SU 23763/11). Nel caso di specie, quindi, viene in rilievo il primo momento in cui le infiltrazioni per cui è causa si erano verificate, evento che risale al 2008 e, in particolare, alla data del 11.9.08 in cui erano stati denunciati e discussi in assemblea condominiale i primi fenomeni di infiltrazione. Ebbene il termine quinquennale di prescrizione decorrente dal 11.9.08 risulta in questo caso tempestivamente interrotto più volte, dapprima per effetto del riconoscimento con lo scritto in data 16.12.10 da parte di Fa. S.r.l. del diritto del Condominio alla esecuzione di opere di ripristino (che implica riconoscimento del diritto al risarcimento del Condominio e, quindi, interruzione della prescrizione ai sensi dell'art. 2944 cc), quindi per effetto della missiva del legale del Condominio del 21.1.13 e successivamente per effetto della presentazione dell'ATP nel 2014 e della proposizione del presente giudizio nel 2015. Per quanto attiene alla domanda risarcitoria nei confronti dell'ing. La., va in primo luogo evidenziato che, avendo egli rivestito il ruolo di direttore dei lavori per cui è causa, parte attrice aveva senz'altro titolo a far valere la responsabilità ex art. 1669 c.c. anche nei suoi confronti (cfr. Cass. 17874/13, Cass. 3406/06, Cass. 13158/02). Ciò premesso, deve in questo caso escludersi che il diritto al risarcimento del danno ex art. 1669 c.c. si sia prescritto. Invero, pur dovendosi ritenere (per quanto sopra osservato) che la piena conoscenza oggettiva dei vizi di costruzione e del correlativo danno sia stata acquisita dal Condominio attore al più tardi in data 28.9.10, va ricordato che il termine per la denuncia inizia a decorrere solamente a partire dal momento in cui il danneggiato abbia acquisito anche la conoscenza soggettiva della imputabilità del danno al soggetto nei cui confronti viene poi formulata la pretesa risarcitoria. Ebbene nel caso di specie detta conoscenza soggettiva nel 2010 poteva ritenersi sussistente esclusivamente nei confronti della Fa. S.r.l. e non anche nei confronti del direttore dei lavori ing. La., atteso che in quel momento nessun profilo di colpa inerente al suo operato, in rapporto eziologico con i vizi rilevati, era ancora emerso. Neppure la perizia di parte dell'arch. Izzo del 28.8.2013 (sub. doc. 2 di parte attrice) aveva evidenziato profili di responsabilità in capo al direttore dei lavori, sicché neppur in quel momento il Condominio aveva acquisito la conoscenza soggettiva necessaria affinché potesse decorrere il termine annuale per la denuncia nei confronti del La.. E'invece solo con il deposito della relazione di consulenza in sede di ATP in data 8.1.15 che, per la prima volta, vengono evidenziati dal CTU profili di responsabilità anche in capo al direttore dei lavori La.. Ed è quindi da questo momento che aveva iniziato a decorrere il termine annuale per la denuncia. Denuncia che era poi tempestivamente intervenuta con la notifica in data 14.10.15 dell'atto introduttivo del presente giudizio, nel quale erano state evidenziate (e quindi denunciate) al La. le condotte colpose a lui attribuite (e scoperte da parte attrice solo con il deposito dell'ATP), atto di citazione che aveva altresì comportato l'interruzione permanente del termine di prescrizione annuale. La domanda risarcitoria nei confronti di Fa. S.r.l. fondata sul disposto dell'art. 2043 c.c. e quella nei confronti dell'ing. La. fondata sul disposto dell'art. 1669 cc, quindi, non si sono prescritte e possono essere perciò valutate nel merito. 3) Domanda attorea - valutazione nel merito Venendo a trattare il merito della domanda risarcitoria va evidenziato che all'esito dell'ATP ante causam, nel contraddittorio con Fa. srl, nonché del supplemento di CTU disposto nel presente giudizio, nel contraddittorio con tutte le parti, il consulente nominato ha accertato la sussistenza delle seguenti problematiche, presenti nel complesso immobiliare per cui è causa e che trovano oggettivo riscontro nelle fotografie allegate (dalle quali si evince, peraltro, che le problematiche che seguono sono tuttora sussistenti): a) infiltrazione di acqua dal soffitto del piano interrato (cortile lato ovest ed est) e dalle pareti del piano interrato (cortile lato est); b) ingresso di acqua da una tubazione a soffitto posta all'interno del garage di proprietà del Sig. Sp.Ca. meglio identificata catastalmente con il sub. 25; c) infiltrazioni in copertura delle abitazioni identificate catastalmente con i sub. 16, 27 e 38. Sussistono quindi indubbiamente i difetti che parte attrice ha lamentato nell'atto introduttivo del presente giudizio. Quanto alle cause, alle responsabilità, ai costi di ripristino ed alla proprietà delle parti di immobili a cui si riferiscono i singoli difetti e danneggiamenti il CTU ha evidenziato quanto segue: - quanto alle infiltrazioni di cui al punto a), le stesse attengono a parti di immobile di proprietà condominiale (soffitto e pareti del piano interrato) e sono riconducibili a difettosa realizzazione dell'impermeabilizzazione, in quanto 1) in prossimità delle pareti verticali la guaina, seppur posata, non è stata realizzata come prescritto dalla corretta tecnica di costruzione, ossia con risvolti che superassero (di almeno 15 cm) o che scendessero (di almeno 10 cm) rispetto all'estradosso dell'ultimo elemento a vista, sicché in alcuni punti l'acqua, a seguito delle precipitazioni, si è insinuata sotto la guaina, provocando le gravi infiltrazioni oggettivamente riscontrate; 2) in prossimità dei giardini della abitazioni non sono state realizzate idonee vasche compartimentate; 3) i muretti di rialzo in prossimità delle bocche di areazioni dei garages sono stati realizzati con altezza troppo esigua, sicché in occasione delle precipitazioni si determina percolamento di acqua sulle pareti verticali dei vani di areazione, con conseguente danneggiamento, ben visibile nelle foto in atti; 4) sulle murature in cemento armato del piano interrato non sono stati correttamente eseguiti i getti di ripresa del calcestruzzo, con conseguente verificazione di infiltrazioni sulle pareti. Il CTU ha compiutamente indicato gli interventi necessari per porre rimedio alle infiltrazioni di cui al punto a) e ne ha quantificato il costo in Euro 43.700,00 + iva, senza che sul punto siano state mosse contestazioni dalle parti. Il CTU ha inoltre dato atto che, prima dell'ATP, il condominio aveva dovuto sostenere con urgenza delle spese per la sistemazione dei controsoffitti danneggiati dalle infiltrazioni, in ragione della necessità di rinnovare il certificato di prevenzione incendi. Circostanza, peraltro, che trova riscontro anche nella missiva inviata dal legale di parte attrice in data 21.1.13 (nella quale si dava atto anche della necessità di eseguire il suddetto intervento e si preannunciava che, nel caso in cui non avesse provveduto Fa. srl, l'opera sarebbe stata eseguita dal Condominio con addebito del costo alla convenuta), nonché dell'amministratore condominiale del 5.3.13 (nella quale si comunicava l'esecuzione dell'intervento e veniva chiesto il rimborso a Fa. srl). L'intervento in questione si era reso evidentemente necessario in conseguenza delle infiltrazioni in esame e il CTU nulla ha osservato e censurato in relazione al costo sostenuto dal Condomino - pari ad Euro 4.899,95 + iva -, sicché detto costo può ritenersi senz'altro congruo. Tra costi già sostenuti e costi da sostenere per rimediare alle infiltrazioni in esame ed ai conseguenti danneggiamenti, quindi, il pregiudizio economico per il Condominio è complessivamente pari ad Euro 48.589,95, oltre iva di legge. Trattandosi, in tutti i casi sopra evidenziati, di difetti costruttivi, non vi è dubbio che, come ritenuto dal CTU, la relativa responsabilità debba essere ascritta in primo luogo alla costruttrice Fa. srl. Va poi condivisa anche la conclusione del CTU, che imputa i difetti di cui sopra a responsabilità anche del direttore dei lavori La., limitatamente a quelli di cui ai punti 1, 2 e 3. Invero gli errori nel posizionamento delle guaine (senza risvolti delle dimensioni minime sopra evidenziate), la mancata realizzazione di idonee vasche compartimentate per ogni singolo giardino e la realizzazione dei muretti di rialzo con altezza troppo esigua, avrebbero potuto essere agevolmente rilevati - e quindi corretti (impartendo idonee prescrizioni) - dal direttore dei lavori, se avesse vigilato sui lavori con la necessaria diligenza, che è evidentemente risultata carente. L'errore relativo alla lavorazione sub. 4), invece, non era oggettivamente rilevabile dal direttore dei lavori, sicché dello stesso il La. non può ritenersi responsabile. Quanto alle percentuali di responsabilità, il CTU ha stimato quella dell'impresa in misura pari al 75% e quella del direttore dei lavori in misura pari al 15%. Anche questa conclusione va condivisa. Invero è indubbio che i vizi di cui sopra vadano ascritti in misura nettamente preponderante ad errori nella esecuzione dell'opera, peraltro relativi a modalità costruttive usualmente utilizzate nella pratica e che, quindi, un'impresa di costruzioni dovrebbe ben conoscere ed attuare (sicché gli errori commessi sono senza dubbio gravi). E il difetto di diligenza nel controllo ascrivibile al direttore dei lavori, considerato anche che non si può pretendere dallo stesso una presenza quotidiana e costante presso il cantiere (pari a quella della appaltatrice), non può certo rilevare causalmente al pari della grave condotta colposa imputabile all'appaltatore, sicché la stima delle responsabilità operata dal CTU appare senz'altro condivisibile e può essere fatta propria anche dal giudicante. Quanto all'infiltrazione di cui al punto b), relativa al garage (mappale sub. 25) di proprietà esclusiva del condomino sig. Sp., la stessa è stata ritenuta dal CTU imputabile in via esclusiva a responsabilità di Fa. srl, senza corresponsabilità del direttore dei lavori, conclusione che, anche perché non contestata dalle parti, può essere senz'altro condivisa dal giudicante. I costi di ripristino sono stati in questo caso stimati dal CTU in Euro 400,00 + iva. Quanto, infine, alle infiltrazioni di cui ai punto c), relative a parti di copertura di un corpo di fabbrica staccato dal corpo principale e quindi di proprietà esclusiva dei condomini proprietari delle abitazioni sottostanti (e non del Condominio), le stesse sono state ritenute dal CTU imputabili in via esclusiva a responsabilità di Fa. srl, senza corresponsabilità del direttore dei lavori, conclusione che, anche perché non contestata dalle parti, può essere anche in questo caso condivisa dal giudicante. I costi di ripristino sono stati in questo caso stimati dal CTU in Euro 1.000,00 + iva. Come appena evidenziato solo i vizi di cui al punto sub. a) si riferiscono a parti di proprietà condominiale, mentre quelli di cui ai punti b) e c) riguardano parti di proprietà esclusiva di singoli condomini. I convenuti e la terza chiamata hanno pertanto eccepito che il Condominio attore non sarebbe legittimato ad agire in relazione ai vizi inerenti alle suddette parti di proprietà esclusiva di alcuni condomini. L'eccezione deve essere disattesa. Invero, secondo condivisibile indirizzo giurisprudenziale "l'art. 1130 n. 4 cod. civ., che attribuisce all'amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l'amministratore ha il potere - dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. Pertanto rientra nel novero degli atti conservativi di cui al citato art. 1130 n. 4 cod. civ. l'azione di cui all'art. 1669 cod. civ. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l'intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l'amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto" (Cass. 5613/96, Cass. 12231/02, Cass. 2436/18). Nel caso di specie la causa delle infiltrazioni verificatesi sia nelle parti condominiali e sia nelle parti di proprietà esclusiva è senza dubbio comune e consiste nella complessiva scorretta esecuzione degli interventi di impermeabilizzazione da parte di Fa. S.r.l. (con il concorso, per difetto di adeguata vigilanza, da parte del direttore dei lavori nei limiti sopra specificati). E il Condominio ha in questa sede agito proprio al fine di ottenere, mediante la condanna al pagamento di un importo corrispondente ai costi degli interventi di ripristino, la provvista necessaria per poter porre rimedio alla suddetta causa comune delle infiltrazioni. Il Condominio non ha invece agito per richiedere il risarcimento dei danni che, in conseguenza delle infiltrazioni, si sono verificate all'interno delle singole proprietà esclusive, ipotesi nella quale - effettivamente - in assenza di potere rappresentativo processuale legittimamente attribuito dai singoli condomini, sarebbe risultato carente di legittimazione attiva (cfr Cass. 22656/10, Cass. 3846/20). Pertanto, nei limiti in cui la domanda è stata concretamente proposta, sussiste senz'altro la legittimazione del Condomino attore a richiedere ed ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento del danno corrispondente ai costi di ripristino per porre rimedio alle infiltrazioni, quindi anche in relazione alle infiltrazioni verificatesi in parti di proprietà esclusiva (sopra indicate sub. B e C). Ciò precisato, quindi, va accolta la domanda del Condominio attore di condanna sia di Fa. srl, sia del direttore dei lavori La. al pagamento della complessiva somma di Euro 48.599,95 - arrotondabile ad Euro 48.600,00 - oltre iva, corrispondente ai costi già sostenuti (4.899,95 + iva) e da sostenere (euro 43.700,00 + iva) per porre rimedio alle problematiche di infiltrazioni di cui al punto a). Il tutto maggiorato di interessi legali dalla domanda giudiziale (14.10.15) sino al saldo. Condanna che, ai sensi dell'art. 2055 cc, va emessa in solido e per l'intero nei confronti di entrambi i convenuti, non rilevando rispetto a parte attrice/creditrice la percentuale di corresponsabilità nei rapporti interni tra i condebitori solidali. Come da richiesta del La. e dei Ll. va poi accertato e dichiarato che, nei rapporti interni tra coobbligati solidali e limitatamente ai vizi sub. a) per Euro 48.600,00 + iva, la responsabilità va ripartita nella misura del 75% a carico di Fa. S.r.l. e del 15% del La.. Quanto alle problematiche di cui ai punti b) e c) invece la condanna va emessa solo a carico dell'unica responsabile Fa. srl, per l'importo di Euro 1.400,00, oltre iva di legge. Il tutto maggiorato anche in questo caso di interessi legali dalla domanda giudiziale (14.10.15) sino al saldo. 4) Domanda di garanzia e manleva del La. Venendo quindi a trattare la domanda di garanzia e manleva assicurativa proposta dal La., va disattesa l'eccezione di inoperatività della copertura assicurativa sollevata dal Ll., ai sensi dell'art. 1892 c.c.. Sostengono infatti i terzi chiamati che il La., nel momento in cui in data 30.5.14 aveva stipulato l'assicurazione, aveva sottaciuto i fatti per cui è causa, dai quali avrebbe potuto derivare una responsabilità a suo carico, suscettibile di indennizzo. La prova di detta pregressa conoscenza deriverebbe in particolare dal fatto che anche il La. avesse sottoscritto la scrittura privata datata 16.12.10, con la quale Fa. S.r.l. aveva riconosciuto la sussistenza dei difetti e si era impegnata ad eliminarli, mediante esecuzione dei lavori di cui all'elenco allegato allo scritto. In proposito va evidenziato che sino al momento della citazione nessun addebito di responsabilità o richiesta risarcitoria era mai stata avanzata dal Condominio nei confronti del La., il quale non era stato nemmeno chiamato a partecipare all'ATP. Come sopra evidenziato, infatti, solo a seguito dell'ATP erano emerse responsabilità a carico del direttore dei lavori e, conseguentemente, il Condominio ha poi proposto il giudizio anche nei confronti del La.. Va poi evidenziato che con lo scritto del 16.12.10 Fa. S.r.l. aveva espressamente riconosciuto la propria responsabilità per i vizi, tanto ad essersi impegnata a porvi rimedio. Ciò premesso va evidenziato che perché possa operare la causa di annullamento del contratto di cui all'art. 1892 c.c. (che, ove proposta in via di eccezione come nella fattispecie, consente all'assicurazione di rifiutare la corresponsione dell'indennizzo all'assicurato) è necessario non solo che il contraente abbia sottaciuto fatti rilevanti ai fini della valutazione del rischio assicurativo, ma anche che ciò sia avvenuto con condotta caratterizzata da dolo o colpa grave. Ebbene nel caso di specie, anche a voler ammettere che il La. sarebbe stato tenuto a riferire all'assicurazione il verificarsi dei fatti per cui è causa (atteso che dagli stessi, astrattamente, avrebbero potuto derivare responsabilità a carico al convenuto, in relazione alla sua qualità di direttore dei lavori), nel contesto di cui sopra (nel quale nessuna censura era mai stata mossa al suo operato ma, anzi, l'appaltatore si era già assunto ogni responsabilità e conseguente obbligo di ripristino) deve escludersi che l'assicurato potesse concretamente rappresentarsi il rischio di divenire destinatario di richieste risarcitorie del Condominio e, quindi, deve escludersi che l'omessa dichiarazione di cui sopra sia conseguita a condotta gravemente colposa e men che meno dolosa. Non ricorrono poi ulteriori profili di inoperatività della garanzia assicurativa, stipulata secondo la formula claims made, atteso che: a) la polizza aveva efficacia retroattiva temporalmente illimitata, sicché anche i fatti conseguenti alla condotta colposa per cui è causa erano suscettibili di indennizzo; b) la prima richiesta di risarcimento danni da parte del Condominio e la successiva denuncia del sinistro all'assicurazione erano intervenuti durante la vigenza della polizza assicurativa; c) il massimale di Euro 1.500.000,00 è ampiamente capiente. Peraltro la copertura riguardava proprio la responsabilità professionale verso terzi per capitale, interessi e spese, in conseguenza di condotte colpose, anche gravi, tenute dal La. nello svolgimento della sua attività professionale. Pertanto, in accoglimento della domanda di manleva assicurativa, i Ll. vanno condannati a rimborsare al La. quanto questi, in esecuzione della presente sentenza, corrisponderà al Condominio attore per capitale, interessi e spese, al netto solo della franchigia contrattuale fissa di Euro 10.000,00, che dovrà rimanere a carico dell'assicurato. E ciò anche nel caso in cui il La., in forza dell'obbligo solidale ex art. 2055 cc, fosse richiesto da parte del Condominio attore del pagamento dell'intero importo del risarcimento come sopra quantificato ovvero di quota comunque superiore a quella del 15% che, nei soli rapporti interni tra coobbligati solidali, dovrebbe invece su di lui gravare (essendo il residuo 75% di pertinenza di Fa. srl). Infatti la polizza non prevede la limitazione dell'obbligo di indennizzo alla sola quota di corresponsabilità gravante sull'assicurato. 5) Domanda di regresso dei Ll.. Peraltro, nel caso in cui il La. fosse chiamato a corrispondere al Condominio un importo superiore alla quota del 15%, per la parte pagata in eccesso lo stesso, ai sensi dell'art. 2055, c. 2 cc, avrebbe titolo ad ottenere, in via di regresso, il rimborso dal coobbligato Fa. srl. E nel caso in cui l'importo pagato in eccesso dovesse essere indennizzato dai Ll. al La., ai sensi dell'art. 1916 c.c. i terzi chiamati si surrogherebbero nella pretesa di regresso ex art. 2055, c. 2 c.c. dell'assicurato verso il coobbligato Fa. srl. Per quest'ultima evenienza i Ll. hanno chiesto che sia emessa già in questa sede pronuncia di condanna (evidentemente condizionata) di Fa. S.r.l. al pagamento del rimborso in via di regresso. La pretesa può essere accolta, atteso che detta domanda di regresso può essere ammissibilmente proposta (cfr Cass. 12691/08) da un condebitore solidale verso l'altro, ancor prima di procedere al pagamento a favore del comune creditore per importo eccedente rispetto alla propria quota interna di responsabilità, fermo restando che Fa. S.r.l. sarà tenuta a corrispondere il rimborso ai Ll. solo una volta che, per un verso il La. abbia eseguito il pagamento a favore del Condominio in eccesso rispetto alla quota del 15% e, per altro verso, i terzi chiamati, a loro volta, abbiano corrisposto l'indennizzo al La. anche per l'importo eccedente la suddetta quota (trattasi, invero, di pronuncia di condanna condizionata, laddove la condizione è costituita dal pagamento da parte del coobbligato a favore del creditore principale per quota superiore a quella corrispondente alla propria responsabilità nei rapporti interni tra coobbligati, nonché dal successivo rimborso da parte dell'assicurazione a favore del coobbligato assicurato, nei cui diritti di regresso verso l'altro coobbligato la assicurazione si surroga: cfr Cass. 3300/77, Cass. 297/94, Cass. 2680/98). 6) Spese di lite Quanto al rapporto processuale tra il Condominio e i convenuti, le spese del giudizio di merito debbono seguire la soccombenza di questi ultimi e vanno poste per il 50% a carico di Fa. S.r.l. e per il 50% a carico del La.. Dette spese si liquidano per l'intero nell'importo di Euro 8.040,00, di cui Euro 786,00 per spese (contributo unificato e marca) ed Euro 7.254,00 per compenso professionale, oltre spese generali 15%, oltre cpa ed iva se dovuta. Quanto alle spese legali sostenute da parte attrice nel procedimento per ATP, al quale ha partecipato solo la convenuta Fa. srl, le stesse vanno poste ad integrale carico di quest'ultima e vanno liquidate come indicato nel dispositivo. E sempre a carico di Fa. S.r.l. vanno poste anche le spese della consulenza svolta in sede di ATP, nella misura liquidata con decreto in data 20.1.15. Quanto al rapporto processuale tra il La. e i Ll. relativo alla pretesa di manleva (rapporto rispetto al quale non può evidentemente operare la clausola contrattuale che escludeva il diritto dell'assicurato al rimborso di spese legali, in assenza di autorizzazione scritta dell'assicurazione), le spese di lite seguono la soccombenza di questi ultimi e vanno liquidate nella misura indicata nel dispositivo. Le spese della CTU svolta nel presente giudizio, come liquidate con decreto in data 5.6.19, vanno invece poste per intero a carico del Ll.. P.Q.M. Il Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) accerta e dichiara che i vizi e difetti indicati sub. a) nella parte motiva sono imputabili nella misura del 75% a responsabilità di Fa. S.r.l. in liquidazione e nella misura del 15% a responsabilità di La.Le.; 2) per l'effetto condanna Fa. S.r.l. in liquidazione e La.Le., per i titoli di responsabilità indicati nella parte motiva ed in solido tra loro, al pagamento a favore del Condominio "(...)" della somma di Euro 48.600,00, oltre iva ed oltre interessi legali dal 15.10.15 al saldo; 3) accerta e dichiara che i vizi e difetti indicati sub. b) e c) nella parte motiva sono imputabili a responsabilità esclusiva di Fa. S.r.l. in liquidazione; 4) per l'effetto, condanna Fa. S.r.l. al pagamento a favore del Condominio "(...)" della somma di Euro 1.400,00, oltre iva ed oltre interessi legali dal 15.10.15 al saldo; 5) condanna i Ll. a rimborsare a La.Le. quanto questi, in esecuzione della presente sentenza, corrisponderà al Condominio "(...)" per capitale, interessi e spese legali, al netto solo della franchigia di Euro 10.000,00 a carico dell'assicurato; 6) per il caso in cui La.Le. dovesse corrispondere al Condominio "(...)" la somma per capitale ed interessi indicata al punto sub. 2 per importo superiore al 15% e, a loro volta, i Ll., in ottemperanza all'obbligo di manleva di cui al punto sub. 5, dovessero corrispondere al La. l'indennizzo assicurativo per importo eccedente la suddetta quota, condanna Fa. S.r.l. in liquidazione, a rimborsare ai Ll., ai sensi degli artt. 2055, c. 2 e 1916 cc, tutto quanto da questi ultimi pagato al La. per capitale ed interessi in misura eccedente il 15% dell'importo per capitale ed interessi indicato al punto sub. 2; 7) condanna Fa. S.r.l. in liquidazione al pagamento a favore del Condominio "(...)" della somma di Euro 4.684,00, di cui Euro 1.774,00 per spese (contributo unificato, marca e spese di CTP) ed Euro 2.910,00 per compenso professionale, oltre spese generali 15%, cpa ed iva se dovuta a titolo di integrale rimborso delle spese di lite relative al procedimento per ATP ante causam; 8) condanna Fa. S.r.l. in liquidazione al pagamento a favore del Condomino "(...)" della somma di Euro 4.020,00, oltre spese generali 15%, cpa ed iva se dovuta, a titolo di rimborso del 50% delle spese di lite del presente giudizio; 9) condanna La.Le. al pagamento a favore del Condomino "(...)" della somma di Euro 4.020,00, oltre spese generali, cpa ed iva se dovuta, a titolo di rimborso del 50% delle spese di lite del presente giudizio; 10) condanna i Ll. al pagamento a favore di La.Le. della somma di Euro 8.013,00, di cui Euro 759,00 per spese (contributo unificato) ed Euro 7.254,00 per compenso professionale, oltre spese generali 15%, cpa ed iva se dovuta, a titolo di integrale rimborso delle spese di lite del presente giudizio; 11) pone le spese della consulenza svolta in sede di ATP ante causam, come liquidate co decreto in data 20.1.15, ad integrale carico di Fa. S.r.l. in liquidazione; 12) pone le spese della CTU svolta nel presente giudizio, come liquidate con decreto i data 5.6.19, ad integrale carico dei Ll.. Così deciso in Verona il 6 aprile 2020. Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado di opposizione a decreto ingiuntivo, iscritta al n. r.g. (...)/2018 e promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...) con domicilio eletto presso il loro studio di Verona, OPPONENTE contro (...) con il patrocinio dell'avv. RO.MA., con domicilio eletto presso il suo studio, in VICOLO (...), 37123 VERONA OPPOSTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il novellato art. 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo ed è legittima la motivazione c.d. per relationem (cfr., per tutte, Cass. 3636/07); inoltre, per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare "concisamente" la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni - di fatto e di diritto - "rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata. Il procedimento ha per oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo n. (...)/2018 r. ing. del 22.10.2018, emesso dal Tribunale di Verona (n. (...)/2018 r.g.) contro (...) ed in favore di (...) cessionaria del credito. In via monitoria (...) quale cessionaria del credito (in specie quale conferitaria del ramo di azienda relativo all'attività di acquisto e gestione portafogli di crediti deteriorati della prima cessionaria, (...) ha fatto valere il credito vantato nei confronti di (...) in forza del contratto di conto corrente (...) e del contratto di mutuo chirografario n. (...) stipulati tra il (...) delle correlate fideiussioni (doc. 2 e 6 monitorio). L'ingiunto ha svolto opposizione, evidenziando, oltre che la mancanza di prova del credito: - la carenza di legittimazione passiva in capo a (...) ed il beneficio della preventiva escussione della società (...) ex art. 2304 c.c.; - la nullità del contratto di fideiussione omnibus, di cui al doc. 2 del ricorso monitorio, in quanto conforme al modello Abi 2003, che, come da provvedimento della Banca d'Italia 55 del 2 maggio 2005, è stato censurato, quanto alle clausole 2, 6 e 8, per violazione alle norme anticoncorrenziali (legge 287/1990). Ha altresì formulato istanza di autorizzazione alla chiamata in causa dei terzi (...) e (...) che non è stata accolta. L'opposta, invece, ribadisce il fondamento del proprio credito: - il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale, ex art. 2304 c.c., non impedisce che il creditore agisca, comunque, nei confronti del socio per conseguire un titolo giudiziale nei suoi confronti; - in ogni caso il decreto è stato conseguito nei confronti di (...) anche nella sua veste di garante; - l'opponente non ha dato dimostrazione che la fideiussione omnibus sia effettivamente viziata da nullità, non avendo provato la conformità con lo schema ABI censurato, né l'uniformità della sua applicazione; - in ogni caso, l'eventuale nullità dell'accordo "a valle" potrebbe essere fatto valere solo dal fideiussore "consumatore", estraneo all'attività del debitore principale, fattispecie che nel caso in esame non ricorre, visto che l'opponente è uno dei soci della (...); - non è comunque configurabile la nullità dei contratti "a valle", quale conseguenza derivata dalla nullità dell'intesa anticoncorrenziale "a monte", ma, al più, sono ravvisabili solo conseguenze di tipo risarcitorio; - il credito è dimostrato in via documentale. Con ordinanza 10 giugno 2019 è stata accolta l'istanza ex art. 648 c.p.c. Parte opponente non ha depositato alcuna memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. L'opposta ha invece depositato la memoria n. 2 ex art. 183 co. 6 c.p.c., nonché copia degli estratti conto relativi al conto corrente dalla sua apertura (4/9/2006) alla sua revoca (13/1/2015). Si anticipa sin d'ora che la causa viene decisa secondo il principio della ragione più liquida. OSSERVA 1) Eccezione di carenza di legittimazione passiva. Rispetto a quanto rilevato nell'ordinanza ex art. 648 c.p.c., va dato atto che il ricorso monitorio allega la stipula dei contratti bancari (conto corrente e finanziamento) direttamente da parte di (...), oltre che quale fideiussore (si veda il primo periodo della narrazione). E' tuttavia chiaro, secondo l'interpretazione condotta in base ai criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., che il titolo posto a base del ricorso è la fideiussione, stanti sia l'incompatibilità del ruolo di debitore principale (la società) e, contestualmente, di fideiussore di sé stesso, sia il contenuto dei documenti contrattuali prodotti, da cui si desume che i rapporti garantiti (conto corrente e finanziamento) sono stati conclusi con (...). Di contro, come ammesso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7139/2018; Cass. 26012/2007; Cass. 4528/2014), è pienamente ammissibile la fideiussione resa, in favore della società di persone, dal socio illimitatamente responsabile. La fideiussione, in quanto costituente un titolo di responsabilità diverso, rende non applicabile - nei confronti del fideiussore - il beneficio di escussione. Ad abundantiam, sul piano sostanziale ed in un'ottica di economia processuale - a prescindere dalle sorti del decreto opposto - va rilevato che l'opposta nel giudizio di opposizione ha precisato di agire nei confronti di (...) "anche" nella sua veste di fideiussore, si che, nella sostanza, quand'anche tale precisazione non fosse stata contenuta già nel ricorso monitorio (cosa che, come detto, non è), vi sarebbe stata comunque stata rituale domanda di condanna al pagamento della stessa somma. 2) Prova del credito. L'opponente non formula eccezioni specifiche in ordine all'importo fatto oggetto di ricorso monitorio, derivante dal rapporto di conto corrente (...) e dal contratto di mutuo chirografario n. (...). Il creditore ha fornito in via documentale idonea dimostrazione del proprio credito, secondo i principi espressi da Cass. SS.UU. n. 13533 del 30/10/2001. In tal senso depongono i contratti e le fideiussioni, depositati quali documenti 2 e 6 del fascicolo monitorio, oltre che le comunicazioni di recesso, e, con particolare riguardo al conto corrente, gli estratti conto integrali dalla sua apertura al suo passaggio a sofferenza (doc. da 3 a 6 di parte opposta), atti a dimostrare il flusso dei rapporti di dare/avere e, quindi, il saldo finale. 3) In ordine all'eccepita nullità della fideiussione. L'eccezione di nullità della fideiussione va respinta. Per comodità si riporta quanto già rilevato sul punto nell'ordinanza del 10 giugno 2019: "quanto alle contestazioni inerenti alla fideiussione omnibus, a fronte dello schema ABI del 2003, oggetto di censura da parte della Banca d'Italia con provvedimento del 2005, la fideiussione dedotta in giudizio è stipulata nell'ottobre del 2008, a conferma di precedente fideiussione del dicembre 2006, ed è successivamente oggetto di modifiche quanto ad importo garantito (si veda il documento 2 del fascicolo monitorio); non è pertanto evidente la riproduzione negli accordi negoziali dello schema ABI 2003, sostituiti già nel 2005 con altro schema diffuso tra gli operatori bancari (doc. 2 parte opposta)". Manca, in specie, la specifica allegazione di quali clausole negoziali si ritengono frutto delle intese anticoncorrenziali censurate e riprodotte nello schema ABI del 2003, non meglio indicate in atti, oltre che la dimostrazione, a fronte di quanto documentato dall'opposta, ossia dell'emanazione di successivo schema ABI proprio a seguito del provvedimento della Banca d'Italia 55/2005, che effettivamente la fideiussione de qua sia recettiva di tali intese lesive della concorrenza. In altri termini non si ritiene che il provvedimento della Banca d'Italia comporti, di per sé, che le clausole inserite successivamente nelle fideiussioni prestate in favore delle banche, conformi a quelle censurate, siano in quanto tali invalide. Tale conclusione presuppone la prova effettiva che, a partire dal maggio 2005, le fideiussioni predisposte dalla stragrande maggioranza degli Istituti di credito continuassero a prevederle, senza eccezioni, sulla base di una rinnovata intesa anticoncorrenziale. In ogni caso, quand'anche si volesse riconoscere l'invalidità delle clausole conformi a quelle, di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI del 2003, non è configurabile la nullità dell'intera garanzia, bensì delle sole clausole censurate, con la conseguente applicazione, in sostituzione, delle norme codicistiche in tema di fideiussione, ex art. 1419 c.c. Infatti è da ritenersi che ambo i contraenti (fideiussore e garantito) sarebbero addivenuti comunque alla garanzia, se consapevoli della nullità delle clausole. Per la banca, infatti, è comunque preferibile disporre di una fideiussione ordinaria, anziché rimanere priva di garanzia. Di contro il garante avrebbe prestato la garanzia, posto che le condizioni codicistiche gli sono più favorevoli rispetto agli accordi negoziali qui contestati. Nulla è peraltro dedotto in caso di nullità parziale e della sua eventuale incidenza sul rapporto. Va quindi rigettata l'eccezione di nullità della/e fideiussione/i. Quanto complessivamente esposto comporta il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo. 4) Spese di lite. Le spese di lite seguono la soccombenza, ravvisabile in capo all'opponente. Esse sono liquidate come in dispositivo, secondo i parametri vigenti (DM 55/2014), sulla base del valore della controversia, nei valori medi per le fasi di studio ed introduttiva, nei minimi per l'attività di trattazione/istruttoria e per la fase decisionale, stante la limitata attività svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa ovvero assorbita, così dispone: - Rigetta l'opposizione e, di conseguenza, - Conferma il decreto ingiuntivo n. (...)/2018 r. ing. del (...), emesso dal Tribunale di Verona (n. (...) r.g.) contro ed in favore (...), dichiarato esecutivo in corso di causa; - Condanna l'opponente (...) a rifondere all'opposta (...) le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro (...). Così deciso in Verona il 20 dicembre 2019. Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. E. d'Amico - Presidente est. dott. S. Abbate - Giudice dott. V. Manfroni - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA NON DEFINITIVA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 12780/2015 promossa da: (...) ((...) (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.MI. del Foro di Verona, ivi elettivamente domiciliata. ATTRICE contro (...) ((...) (...)), con il patrocinio dell'avv. D'A.RO. del Foro di Verona, ivi elettivamente domiciliata CONVENUTA (...) ((...) (...)) CONVENUTA CONTUMACE IN FATTO E IN DIRITTO Chiede l'attrice (...) la divisione delle masse ereditarie relitte dai defunti (...) e (...), suoi genitori, rispettivamente deceduti il 4.5.1999 ed il 28.7.2008, con la conseguente attribuzione delle relative quote di proprietà a ciascuno delle coeredi odierne convenute. A tali eredità erano state chiamate l'altra sua sorella (...) e (...), figlia della defunta (...) e di un suo precedente coniuge. In via subordinata, la medesima attrice chiede: 1. ove si dovesse ritenere nullo per indeterminatezza il testamento di (...), di attribuire le suddette quote secondo una diversa ripartizione; 2. di collazionare le donazioni effettuate da (...) a (...) e (...); 3. di accertare, dedotti i debiti, l'esatta composizione del patrimonio relitto da (...), onde predisporre un progetto divisionale tra lei stessa, (...) e (...); 4. di accertare l'esatta composizione del patrimonio relitto da (...), onde predisporre un progetto divisionale tra lei stessa e (...). In quanto non più riproposta in sede di conclusioni, deve ritenersi implicitamente rinunciata la domanda di riunione del presente giudizio a quello n. 7385/2002 RG, instaurato tra le medesime, odierne parti, onde procedere alla divisione della massa ereditaria di (...). Costituitasi (...) nella contumacia di (...), la prima chiede il rigetto della richiesta riunione con la causa n. 7385/2002 RG e la divisione della sola massa ereditaria proveniente da (...), con l'attribuzione dei beni corrispondenti alle rispettive quote ((...) aveva già rinunciato all'eccezione svolta ex D.Lgs. n. 28 del 2010 nella propria memoria del 3.11.2016). Premesso che non si può comunque disporre la riunione con la causa di cui sopra, per esser stata la stessa definita con sentenza del 22.2.2017 (con cui si dichiarava l'inammissibilità delle domande per sopravvenute carenza di interesse ad agire, non avendo le parti versato le spese necessarie per le vendite delegate al Notaio), va ricordato il consolidato orientamento per il quale, in presenza di beni provenienti da diversi titoli e costituenti quindi autonome masse, occorre procedere alla predisposizione di autonomi progetti di divisione in relazione ad ognuna della masse coinvolte, essendo dato riunificare le masse solo in presenza di un consenso espresso in forma scritta e da parte di tutti i condividenti. Si vedano infatti Cass. Civ. nn. 5798/1992, 17576/2016 e, in motivazione, 726/2018: nel caso di divisioni di beni in godimento comune proveniente da titoli diversi e, perciò, appartenenti a distinte comunioni, è possibile procedere ad una sola divisione, piuttosto che a tante divisioni per quante sono le masse, solo se tutte le parti vi consentano con un atto che, risolvendosi nel conferimento delle singole comunioni in una comunione unica, non può risultare da manifestazione tacita di volontà o dal mero comportamento negativo di chi non si oppone alla domanda giudiziale di divisione unica di tutti i beni delle diverse masse, ma deve materializzarsi in un negozio specifico che, se ha per oggetto beni immobili, deve rivestire la forma scritta ad substantiam, perché rientrante tra quelli previsti dall'art. 1350 c.c. (conseguentemente, in mancanza di un siffatto negozio, il comportamento tenuto dalla parte che non si è opposta alla domanda di divisione unica nel giudizio di primo grado non impedirebbe a quest'ultima di proporre appello per denunciare la sentenza che ha accolto tale domanda). Va ancora premesso che, in mancanza del suddetto, prescritto consenso, è riconosciuto al giudice il potere di approvare un progetto di divisione unitario solo nell'ipotesi in cui gli eredi vantino quote identiche rispetto a ciascuna massa, atteso che, in questi casi, il risultato resta identico a prescindere dal metodo di divisione utilizzato (v. Cass. n. 17576/2016 cit.): così non è all'evidenza nel caso di specie. Orbene, nella vicenda processuale in esame, nonostante i ripetuti tentativi, non si è riusciti ad ottenere il consenso della contumace (...) (v. udienze dal 14.2.17 al 14.12.17), ma in ogni caso parte convenuta ha chiesto, sia pure in via subordinata, di accertare l'esatta composizione dei patrimoni relitti da (...) e (...) al fine di procedere alla loro divisione. Deriva da ciò, per quanto sopra premesso in diritto, che si potrà procedere alle singole divisioni di beni appartenenti a distinte comunioni: tante divisioni per quante sono le masse. Si dovrà pertanto rimettere la causa in istruttoria per valutare i beni facenti parte del compendio ereditario relitto da (...), essendosi la (condivisibile e incontestata dalle parti) CTU del 22.10.2018 incentrata sul compendio ereditario relitto da (...) (in risposta alle domande come sopra svolte dall'attrice in via subordinata sub (...)) e dovendosi comunque procedere ai frazionamenti catastali indicati dal CTU (v. pagg. 10 e 12), come da separata, contestuale ordinanza. A tal proposito, occorre ricordare che nella causa n. 7385/2002 RG veniva emessa la sentenza non definitiva n. 1812/2013 del 29-31.7.2013 (v. doc. 5 della memoria attorea del 2.12.2016 - qui da ritenersi recettiziamente riportato - con cui il Giudice accertava la composizione del relictum di (...) e le quote ereditarie spettanti all'ancora vivente coniuge (...), nonchè alle tre figlie odierne parti; accertava la natura di negozio misto con donazione della compravendita del 20.11.1992, condannando (...) a conferire alla massa la somma di Euro 36.513,50; accertava il debito di (...) verso la massa in Euro 10.677,45, da imputare alla di lei quota; respingeva ogni ulteriore domanda e disponeva con separata ordinanza per lo scioglimento della comunione. Orbene, in assenza di impugnazione della predetta sentenza (passata quindi in giudicato il 23.6.2017), si devono ritenere acclarate e definite una volta per tutte le statuizioni in essa contenute, così potendosi limitare l'odierno accertamento del CTU alla valutazione aggiornata dei beni immobili relitti nella massa ereditaria di (...) (necessaria, alla luce dell'ormai risalente valutazione di tali beni: 5.9.2007) ed alla formazione delle quote ereditarie, tenendosi conto delle statuizioni di cui sopra (alla luce della sentenza definitiva di cui sopra si devono quindi ritenere superate le domande come sopra svolte dall'attrice in via subordinata sub 2 e 3). Per completezza, occorre esaminare le istanze istruttorie delle parti. Le istanze di prove orali attoree (v. memoria del 30.11.16) sono inammissibili e/o inconducenti: non contestati e inconducenti i capp. 1, 2, 10, 12, 14, 16; da provare documentalmente i capp. 3, 4, 9, 11, 12 e 15; generici i capp. 13, 15, 17, 18, 19 e 20; formulati in modo da far esprimere al teste un giudizio i capp. 5, 6, 7, 8, 17. L'istanza attorea ex art. 210 c.p.c. è inaccoglibile, posto che nulla si dice circa il fatto che i documenti richiesti contengano la prova del fatto controverso e che essi siano materialmente esistenti, così assumendo tale richiesta un carattere inammissibilmente esplorativo. Anche le istanze di prove orali di (...) (v. memoria del 5.12.16) sono inammissibili e/o inconducenti: v. capp. 1 - 4. Infondata è poi la domanda di nullità del testamento olografo di (...), in cui quest'ultimo dichiara solo di lasciare "la quota disponibile a mia figlia M., nella cui quota di eredità" deve esser "compreso il fabbricato di via (...)" (v. doc. 1 di parte convenuta). Fermo restando che le cause di nullità di cui all'art. 606 c.c. sono tassative e tra esse non è prevista la mancanza del "requisito della chiarezza" (v. conclusioni di citazione), in ogni caso non è contestato che l'immobile di Via (...) sia oggi, dopo la morte dell'usufruttuario (...), in piena proprietà di (...), quale nuda proprietaria (v. comparsa di risposta, pagg. 5 e 6). Ciò premesso, in base alla mera interpretazione letterale della scheda testamentaria ed alla palese ratio della volontà del testatore, appare comunque evidente la volontà del de cuius di lasciare a ciascuna delle due figlie la relativa quota di riserva, a cui aggiungere per (...) la disponibile (altrimenti quest'ultima dovrebbe avere diritto alla sola quota indisponibile e (...) diritto a due quote di riserva, ma ciò è assurdo e priverebbe di fatto il testamento di una sua fisiologica efficacia). Spese al definitivo. P.Q.M. Il Tribunale, non definitivamente pronunciando, così dispone: 1. accerta il compendio ereditario relitto da (...), così come individuato a pag. 4 della CTU del 22.10.18 sub "Compendio 2"; 2. accerta che le quote spettanti sui suddetti beni in comunione ereditaria a (...) (previa corresponsione da parte della stessa di Euro 977,64 alla sorella (...) come conguaglio) sono pari a 2/3 dei 12/18, per un valore di Euro 119.772,35; 3. previo scioglimento della comunione ereditaria, assegna quindi a (...) i seguenti beni: unità abitativa censita al Catasto Fabbricati del Comune di Verona, Foglio (...), Mappale (...), Sub. (...), completo di cantina, condizionando tale assegnazione alla corresponsione da parte della stessa di Euro 977,64 alla sorella (...) come conguaglio; 4. accerta che le quote spettanti sui suddetti beni in comunione ereditaria a (...) sono pari ad 1/3 dei 12/18 dell'intero Compendio 2, per un valore di Euro 59.886,18, una volta contestualmente ricevuto il conguaglio di Euro 977,64 dalla sorella; 5. previo scioglimento della comunione ereditaria, assegna quindi a (...) i seguenti beni: a) unità immobiliare censita al Catasto Fabbricati del Comune di Verona, Foglio (...), Mappale (...), Sub. (...) con l'aggiunta del ripostiglio e del soggiorno del sub. 2 adiacenti il negozio per un valore complessivo di Euro 45.885,26; b) porzione di terreno di cui al Catasto Terreni del Comune di Verona, Foglio (...), Mappale (...), per una superficie di 128,94 mq e del valore di Euro 13.023,28; 6. respinge la domanda di nullità del testamento di (...), come proposta da (...); 7. respinge tutte le istanze istruttorie articolate ed offerte dalle parti; 8. dispone la prosecuzione del giudizio, come da separata, contestuale ordinanza; 9. spese al definitivo. Così deciso in Verona il 24 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice Luigi Edoardo Fiorani ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 12587/2012 R.G. promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Gi.Fo.; ATTORE contro (...) (C.F. (...)) e (...) S.P.A. (P. IVA (...)), ora (...) S.P.A., in persona del l.r.p.t., rappresentati e difesi dall'avv. Pa.To.; CONVENUTI (...) SPA (C.F.: (...)), in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Vi.Ge. e Gi.Po.; TERZO CHIAMATO (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dagli avv.ti Ca.De. e Vi.Ca.; TERZI CHIAMATI In punto a: lesione personale CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione del 17 novembre 2012, (...) conveniva in giudizio (...) e (...) per ottenere il risarcimento di tutti i danni dallo stesso subiti in un sinistro stradale avvenuto in data 15 febbraio 2011 in L. di S. (V.). Si costituivano in giudizio i due convenuti, rilevando in primis che l'attore aveva già percepito la somma di Euro 56.500,00 (sotto forma di risarcimento erogato, quanto ad Euro 1.500,00, da (...) e, quanto al resto, dalla Compagnia assicurativa convenuta) e sostenendo, in ogni caso, che il sinistro era accaduto per responsabilità dell'attore - il cui veicolo aveva invaso la semistrada di pertinenza del veicolo di parte convenuta - e comunque eccependo che una parte delle conseguenze dannose alla persona evidenziate dall'attore erano da imputarsi non all'incidente stradale, ma all'intervento di artoprotesi su di lui eseguito, a seguito dell'incidente, presso l'(...) Spa di (...), che provvedevano a chiamare in causa. Si costituiva, quindi, la struttura sanitaria, negando la fondatezza degli addebiti alla stessa mossa da parte convenuta e chiedendo a sua volta la chiamata in causa dei dottori (...) e (...), i quali, costituitisi, negavano ogni responsabilità, contestando le deduzioni avversarie. La causa veniva istruita mediante prove testimoniali e mediante la disposizione di C.T.U. medico legale sulla persona dell'attore. All'udienza del 16 novembre 2017 le parti precisavano le conclusioni, e la causa veniva trattenuta in decisione, con termini alle parti per lo scambio di comparse conclusionali e memorie di replica. La domanda attorea è fondata e merita accoglimento nei termini che seguono. Ancorché i testimoni escussi abbiano fornito diverse versioni della dinamica del sinistro, i rilievi eseguiti dagli operanti nell'immediatezza dei fatti, mostrano la presenza di detriti vetrosi nella carreggiata percorsa dall'autovettura condotta da parte attrice, precisamente nello spazio immediatamente antistante al paraurti anteriore della (...) (ivi contrassegnata come veicolo "b"). Ciò corrobora l'assunto di (...), secondo cui la (...) condotta dall'attore percorreva la propria corsia, e veniva colpita, sul paraurti anteriore sinistro, dalla (...) condotta dal convenuto. La diversa versione proposta da (...) e della (...), secondo cui i due veicoli non sarebbero venuti a collisione iniziale alla distanza di 0,30 metri dal ciglio della strada (dove sono stati trovati i detriti), ma, piuttosto, al centro della carreggiata e, a seguito di questa collisione iniziale, si sarebbero urtati nuovamente fino a giacere nella posizione di quiete in cui sono state rilevati dai verbalizzanti, non merita condivisione proprio perché non è in grado di fornire una giustificazione razionalmente credibile della presenza dei detriti vetrosi nel luogo dove i verbalizzanti hanno dichiarato che i detti detriti si trovavano (dichiarazione la quale risulta provvista della particolare efficacia probatoria prevista dall'art. 2700 c.c., posto che il rapporto redatto dagli agenti intervenuti sul posto dopo un incidente stradale costituisce atto pubblico in ordine ai fatti accertati visivamente circa la fase statica quale risultava al momento del loro intervento: tra le tante, Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2013, n. 13195). Peraltro, ove pure non si volesse dare rilievo all'intuitiva considerazione per cui, se lo scontro fosse avvenuto nella corsia di pertinenza della (...) condotta dal (...), ovvero al centro della carreggiata, lì si sarebbero dovuti trovare i detriti vetrosi, e non nella corsia del (...), vi sono altri elementi che non inducono a concludere, quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro, in conformità alla ricostruzione proposta dai convenuti. Infatti, a smentire l'ipotesi di un doppio urto fra le autovetture, concorre innanzitutto la deposizione del teste (...), il quale - trovandosi nell'autovettura condotta dal (...) al momento del sinistro - ha riferito, nel corso della sua escussione come testimone, di non ricordare due urti, ma, appunto, uno solo. Anche le dichiarazioni rese da (...) nell'immediatezza del sinistro (uniche che possono prendersi in considerazione in questa sede, posto che la (...), all'udienza del 26 novembre 2015, ha dichiarato di non ricordare nulla del sinistro - al quale ha assistito in quanto alla guida della macchina che seguiva quella dell'attore - rendendo pertanto dichiarazioni dal contenuto vago e di carattere congetturale) non consentono di capire perché i detriti vetrosi si sono trovati nella corsia del (...): anche a voler ritenere che i frammenti in questione si siano distaccati dalla vettura del (...) in esito al secondo urto, non è chiaro perché il primo ipotetico urto - avvenuto, nella versione della C., nella corsia del (...) - non abbia causato il distacco di alcun frammento e non abbia quindi lasciato traccia alcuna. La surriferita dinamica consente di escludere ogni profilo di responsabilità in capo all'attore nella causazione del sinistro (anche sotto il profilo dell'eventuale operatività della presunzione di cui all'art. 2054 c.c.) - posto che non vi sono elementi per sostenere che (...) abbia violato a sua volta norme di diligenza, prudenza o perizia alla guida del veicolo - e di addossare esclusivamente in capo al (...) - nei confronti del quale è stata anche accertata la guida in stato di ebbrezza al momento dell'incidente - la detta responsabilità. Posto quanto precede in punto di an del sinistro, occorre passare alla determinazione del quantum del richiesto risarcimento. A questo proposito, la difesa di parte convenuta ha sostenuto che parte delle conseguenze dannose prodottesi in conseguenza dell'incidente sarebbero da addossare a un'errata somministrazione delle cure da parte dei medici che ebbero in cura il (...). Sulla questione, i consulenti tecnici nominati nel presente giudizio, dottori (...) e (...), hanno concluso nei seguenti termini: "il nesso di causalità materiale tra queste lesioni "Trauma all'emisoma sinistro con frattura pertrocanterica e distacco del grande trocantere del femore sinistro, inizialmente stabilizzato con placche e viti + stabilizzazione della frattura femorale, mediante accesso laterale, con chiodo Vr-Nail con doppia vite cefalica ma evoluta in necrosi del polo supero - esterno della testa femorale e trattato mediante intervento di protesizzazione dell'anca nel corso della quale si è verificata la lesione neurologica dello SPE. Frattura all'origine la branca pubica sinistra a coinvolgere la spina ischiatica ed il profilo acetabolare anteriormente. Dubbia frattura della branca ischiatica dx." ed il sinistro deve essere ritenuto provato essendo le lesioni compatibili con l'evento ed essendo altresì intervenuto l'accertamento di recentezza delle medesime da parte dei Sanitari del Pronto Soccorso di Bussolengo (Verona). Anche la successiva necrosi della testa femorale con sostituzione protesica vanno poste in rapporto causale certo con il sinistro. Per quanto riguarda la complicanza neurologica, costituita dalla lesione accidentale dello SPE, si tratta di una complicanza prevedibile e non evitabile del reintervento, che rappresenta cura adeguata, e non deriva da condotte negligenti, imprudenti o imperite dei Sanitari". Il C.T.P. di parte convenuta, dott. Li., ha contestato siffatte conclusioni, osservando che i consulenti dell'ufficio, sulla scorta di un mero giudizio probabilistico, per di più in assenza di più chiare indicazioni della cartella clinica (la quale, secondo il dott. Li., avrebbe dovuto dare atto della situazione del (...), quanto meno per giustificare le manovre di tensione - trazione che avrebbero potuto produrre - come, secondo i CC.TT.UU. hanno prodotto - lo stiramento del nervo) avrebbero errato nell'escludere la responsabilità dei medici dell'I.S.A. Ad avviso del dott. Li., il determinismo produttivo della lesione neurologica patita dal (...) potrebbe ricollegarsi a spiegazioni etiopatogenetiche ricorrenti nella prassi (compressione del divaricatore, sofferenza ischemica, trazione durante la manovra di lussazione dell'anca, ematoma), in presenza delle quali, di regola, sarebbe accertata la responsabilità dei medici. Sul punto, i CC.TT.UU. hanno replicato facendo leva, tra l'altro, sul fatto che le ipotesi alternative elencate dal dott. Li. non trovano riscontro nella documentazione disponibile, rimarcando, sotto questo profilo, un aspetto determinante: anche ammesso che la prassi veda riconoscere la responsabilità dei medici per le ragioni evidenziate dal dott. Li., nessuna indicazione è stata offerta in merito al possibile riscontro di dette diverse cause rispetto al caso di specie. Al contrario, i consulenti tecnici hanno spiegato il ragionamento seguito (cfr. pag. 16 della perizia: "si è ritenuto che la lesione da trazione del nervo per il suo inglobamento nella massa cicatriziale al momento della asportazione dei mezzi di sintesi, per contiguità anatomica, difficoltà tecnica e probabilità sia la causa più nettamente probabile della sofferenza neurologica"), senza che - a parte una generica contestazione sul metodo seguito, ancorato a ragionamenti probabilistici - il C.T.P. dei convenuti abbia individuato valide ragioni per non ritenere credibile e applicabile al caso in esame l'ipotesi ricostruttiva formulata dai dottori (...) e (...). In sostanza, posto che i CC.TT.UU. hanno concluso nel senso che la condotta dei medici non è stata imperita, negligente o imprudente, e considerato che non è stata nemmeno allegata la possibilità di un evento imprevedibile che abbia interrotto il nesso di causalità fra il sinistro e le lesioni complessivamente patite dall'attore, è da escludere che una parte delle conseguenze dannose del sinistro possano essere fatte sopportare, concorrendo alla quantificazione del risarcimento, in capo all'(...) e ai medici che ivi hanno operato. Chiarito quanto precede, occorre a questo punto procedere alla quantificazione del danno subito dall'attore. A questo proposito, i CC.TT.UU. hanno concluso nei seguenti termini (conclusioni da ritenersi convincenti, anche alla luce del fatto che non sono state oggetto di persuasive contestazioni): "tenuto conto delle lesioni riportate dal sig. (...) e dell'iter clinico documentato e attendibile, può essere equo riconoscere in 170 giorni il periodo di danno biologico temporaneo totale, in 80 giorni quello parziale al 75% a cui possono essere aggiunti 90 gg. di parziale al 50%" e, sul piano della valutazione globale dell'invalidità permanente, una riduzione della preesistente integrità psico - fisica pari al 35%. Rispetto al caso in esame, conviene innanzitutto osservare che deve farsi applicazione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408), vigente al momento della decisione (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2016, n. 25485), e dunque nella versione recentemente rivista e risalente al marzo 2018, facendo riferimento, nella liquidazione del danno biologico permanente, all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2017, n. 3121). Ciò posto, occorre rammentare che le dette tabelle individuano il valore del punto già aumentato di una percentuale ponderata (inserendo nel valore di liquidazione medio anche la componente di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza soggettiva), pari, per le invalidità pari o superiori a 35% (come quella riportata da (...)) al 50%, per un valore del punto pari quindi, ad Euro 7.136,55. Quantificato nei termini che precedono il punto, è onere dell'attore provare la ricorrenza di elementi ulteriori che giustifichino un ulteriore aumento, posto che in presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari, in quanto le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513). In sostanza, poiché in tema di risarcimento del danno, le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione all'integrità psico - fisica, elaborate successivamente all'esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte la componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di "danno morale" (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2014, n. 5243), è onere dell'attore provare l'esistenza di un pregiudizio ulteriore. Orbene, nel caso di specie, la difesa di (...), al fine di giustificare un ulteriore aumento del 10% del risarcimento richiesto, a titolo di danno morale, si è limitata a un generico riferimento a indicibili sofferenze patite per effetto del sinistro; riferimento non idoneo, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, a giustificare un ulteriore aumento del riconosciuto risarcimento, posto che risultano solo allegate, ma non provate particolari condizioni soggettive dell'attore, in termini di sofferenza fisio - psichica o turbamenti intimi, differenti rispetto a quelle medie conseguenti a lesioni analoghe. Ne deriva, pertanto una quantificazione del danno da invalidità temporanea pari ad Euro 26.950,00 (ottenuto applicando, per le sopra esposte ragioni, il punto base di Euro 98,00 e non di Euro 120,00, come viceversa richiesto dall'attore) e da invalidità permanente pari ad Euro 158.610,00, per un totale di Euro 185.560,00. Quanto osservato finora vale per il danno non patrimoniale. Sul piano del danno patrimoniale si osserva quanto segue. Quanto al risarcimento delle spese derivate dalla distruzione dell'auto, le stesse sono state coperte integralmente dall'Assicurazione del danneggiato, poco dopo la verificazione del sinistro (in data 22 marzo 2011, e dunque a poco più di un mese dall'incidente, risalente al 15 febbraio 2011), in ragione della somma di Euro 1.500,00: detta somma, ritenuta congrua dalla stessa parte attrice, va scomputata dalla complessiva quantificazione del risarcimento, anche ai fini della determinazione degli interessi. Quanto, ancora, alle spese mediche, occorre ribadire, sulla scorta di recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8693), che, in tema di danno alla persona, correttamente il giudice del merito esclude il rimborso di terapie private, cui il danneggiato si sia sottoposto, qualora il danneggiato medesimo non dia la prova che queste fossero necessarie per la sua patologia, per non essere terapie analogamente efficaci erogabili dal servizio sanitario nazionale (se, infatti, il danneggiato ritiene di utilizzare strutture private per ragioni personali, non può essergli riconosciuto alcun indennizzo a fronte di esborsi per cure che avrebbe potuto ottenere gratuitamente). In applicazione di detto principio, vanno scomputate dalla somma complessiva quantificata da parte attrice a titolo di rimborso di spese mediche, le somme che non sono state erogate al servizio sanitario nazionale (cfr. doc. 6/2, 6/3, 6/4, 6/21 e 6/22), quelle delle quali non è stato provato l'esborso (doc. 6/1), quelle che sono state duplicate (6/13, 6/14, 6/17), nonché quelle per medicinali o presidi medici dei quali non è stato specificato il nome, né la necessità dell'acquisto in esito al sinistro, ovvero la congruità del prezzo (6/6, 6/7, 6/8, 6/9, 6/10, 6/15, 6/16, 6/20): il residuo, comprensivo delle spese per occhiali (di cui al doc. 6/11, da ritenere plausibilmente necessitate dal sinistro) risulta, già rivalutato all'attualità, pari ad Euro 317,17. Non dimostrate sono rimaste, invece, le spese: I) di Euro 5.000,00 per il conseguimento di una patente speciale e per l'acquisto di una nuova autovettura; II) di assistenza e di trasporto (essendo la loro quantificazione rimasta affidata a due generiche dichiarazioni, a firma, rispettivamente, di (...) e di (...), dalle quali non si ricava nessun elemento per valutarne la congruità e la necessità, nonché i criteri di quantificazione) e III) per il vestiario indossato dall'attore al momento del sinistro (non essendo stato specificato il criterio in base al quale la quantificazione, seppure in via equitativa, sia stata proposta in un ammontare pari ad Euro 300,00). Il danno complessivamente patito dall'attore, già rivalutato all'attualità, ammonta dunque ad Euro 185.877,17 (185.560,00 + 317,17), al cui risarcimento devono essere condannati, in solido, gli odierni convenuti. Da tale importo (e salvo quanto si è già osservato con riguardo agli Euro 1.500,00 versati per il risarcimento dei danni arrecati al veicolo), tuttavia, occorre detrarre, relativamente alla sorte capitale, la somma di Euro 55.000,00, già corrisposta dalla compagnia assicuratrice convenuta nel presente giudizio, da rivalutarsi in ragione delle seguenti modalità: dalla data del 7 novembre 2011 (doc. 9 di parte attrice: primo acconto di Euro 10.000,00, rivalutato all'attualità in Euro 10.500,00), del 4 maggio 2012 (doc. 10 di parte attrice: secondo acconto di Euro 10.000,00 rivalutato all'attualità in Euro 10.310,00) e dal 12 novembre 2012 (doc. 26 di parte attrice: terzo acconto di Euro 35.000,00 rivalutato all'attualità in Euro 35.910,00), per un totale di Euro 56.720,00. I convenuti in solido vanno pertanto condannati al pagamento, in favore dell'attore, dell'ammontare di Euro 129.157,17 (185.877,17 - 56.720,00). Sulla stessa somma, trattandosi di risarcimento del danno e, dunque, di debito di valore, sono riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione. Per la quantificazione dei detti interessi occorre richiamare una recente pronuncia di legittimità (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2017, n. 9950), che ha analiticamente esposto i criteri da seguire. In applicazione di detta pronuncia, le cui conclusioni devono essere attagliate alle peculiarità del caso di specie (dove gli acconti sono stati tre), si giunge alla conclusione per cui la liquidazione del danno da ritardato adempimento d'una obbligazione di valore (qual è quella di risarcimento del danno), nel caso in cui il debitore abbia pagato una parte del debito prima della liquidazione definitiva, deve avvenire: (a) devalutando gli acconti e il credito alla data dell'illecito; (b) detraendo gli acconti dal credito; (c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito (15 febbraio 2001) al pagamento del primo acconto (7 novembre 2011); sulla somma che residua dopo la detrazione del primo acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal pagamento del primo acconto fino al pagamento del secondo acconto (4 maggio 2012); sulla somma che residua dopo la detrazione del secondo acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal pagamento del secondo acconto fino al pagamento del terzo acconto (12 novembre 2012), sulla somma che residua dopo la detrazione del terzo acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal pagamento del terzo acconto fino alla liquidazione definitiva. Per il criterio di determinazione equitativa del saggio, si ritiene opportuno richiamare, in assenza di elementi che inducano a un diverso avviso, il saggio legale vigente nei singoli periodi sopra presi a riferimento. Dalla sentenza al soddisfo decorreranno, poi, gli interessi di mora in misura legale. Quanto alle spese, le stesse seguono la soccombenza e sono poste a carico dei convenuti in solido tra loro, tanto nei confronti dell'attore, tanto nei confronti dei terzi chiamati in causa (non profilandosi profili di arbitrarietà nella chiamata in causa dei dottori (...) e (...) da parte dell'(...)A. spa: Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2004, n. 6514). Le dette spese sono quantificate in applicazione del D.M. n. 55 del 2014, avendo riguardo alle note spese depositate da parte attrice, nonché dai terzi chiamati in giudizio. A carico dei convenuti vanno altresì poste le spese di C.T.U., liquidate nell'ammontare corrispondente al fondo spese disposto all'atto del giuramento, in assenza di ulteriori richieste di liquidazione agli atti. P.Q.M. Il Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede: - dichiara che l'incidente per cui è causa si è verificato per responsabilità esclusiva di (...); - condanna (...) e (...) s.p.a., in solido tra loro, al pagamento dell'ammontare di Euro 129.157,17 all'attualità, oltre interessi come in motivazione, in favore di (...); - rigetta le domande spiegate da (...) e (...) s.p.a. nei confronti dell'(...), in persona del l.r.p.t.; - condanna (...) e (...) s.p.a., in solido tra loro, a rifondere a (...) le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 13.430,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge, ed in Euro 750,00 per esborsi; - condanna (...) e (...) s.p.a., in solido tra loro, a rifondere all'(...) s.p.a., in persona del l.r.p.t., le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5.635,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge, ed in Euro 450,00 per esborsi; - condanna (...) e (...) s.p.a., in solido tra loro, a rifondere a (...) e a (...) le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 9.354,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge; - pone definitivamente a carico dei convenuti in solido le spese di C.T.U. Così deciso in Verona il 29 maggio 2018. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VERONA Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, dr. Angelo FRANCO, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di Ruolo Generale 262/2015 avente ad oggetto "azione revocatoria artt. 66 l.f. 2901 c.c." TRA FALLIMENTO del sig. (...) (c.f. (...)) fallito in proprio quale socio accomandatario illimitatamente responsabile della Fallita "(...) (p.iva (...)) in persona del curatore dr. (...) con l'avv. Te.Va. (c.f. (...)) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Verona, via (...) - attore - CONTRO (...) (c.f. (...)), (...) (c.f. (...)) con l'avv. Le.Li. (c.f. (...)) con studio in Legnago P.tta (...) e (...) (contumace) - convenuti - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex articolo 702 bis c.p.c., depositato il 15.1.2015, il Fallimento del sig. (...) ha formulato le seguenti conclusioni: 1) accertare e dichiarare ex articoli 66 L.F. e 2901 c.c. l'inefficacia nei confronti della massa dei creditori del fallimento degli atti di disposizione immobiliare di cui ai rogiti per notar (...) dei seguenti contratti: a) donazione immobiliare del 29.6.2010, stipulata tra (...), (...) e (...), rep. (...) e racc. (...) (trascrizione del 5.7.2010 ai nn. 26588 RG e 16207 RP; b) costituzione di fondo patrimoniale del (...) di rep. (...) e racc. (...) (trascritto il 14.11.2011 ai nn. 42569 RG e 26883 RP) con il quale i donatari, (...) e (...), hanno costituito un fondo patrimoniale a favore di (...) e (...) per la rispettiva quota della metà; 2) dichiarare il diritto del fallimento ad agire in executivis sui beni oggetto degli atti dispositivi revocandi; 3) rifusione delle spese di lite. Con comparsa di Cost. del 7 maggio 2015 si sono costituiti (...) e (...) i quali hanno chiesto il rigetto delle domande di parte attrice con rifusione delle spese di lite. All'udienza del 21.5.2015, è stata dichiarata la contumacia di (...) ed è stato disposto il mutamento del rito. All'udienza del 18.6.2015, sono stati concessi i termini di cui all'articolo 183, c. 6, c.p.c. e all'udienza del 5.11.2015 il precedente Giudice ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni al 2.2.2017. Dopo alcuni rinvii concessi al fine di un'eventuale componimento bonario della lite, il precedente Giudice ha fissato all'8.2.2018 la nuova udienza di precisazione delle conclusioni. All'udienza dell'8.2.2018 dinanzi al sottoscritto, subentrato nelle more nella titolarità del giudizio, le parti hanno precisato le proprie conclusioni. Nello specifico, parte attrice ha insistito per l'accoglimento delle proprie domande come da foglio depositato telematicamente; l'avv. (...), invece, per conto dei suoi assistiti ha espressamente dichiarato: "I convenuti non si oppongono all'accoglimento delle domande di parte attrice e chiedono la compensazione delle spese di causa" (cfr. verbale dell'8.2.2018). L'avv. (...), dal suo canto, si è opposto alla richiesta di compensazione delle spese di lite "essendo interesse del Fallimento ottenere un credito anche solo per spese legali nei confronti della signora M. per poterlo opporre in compensazione in ipotesi di soccombenza nel giudizio n. 2182/2016 RG". Con lo scambio delle memorie conclusionali e di replica, la difesa dei convenuti costituiti ha confermato di non opporsi all'accoglimento delle domande attoree insistendo, però, per la compensazione delle spese di lite, cosa a cui si è opposta la difesa attorea. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Sulla domanda di revocazione dell'atto di donazione del 29.6.2010 e dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale del 4.11.2011 La domanda è fondata e merita accoglimento. Scopo dell'azione revocatoria è la tutela del creditore nei confronti degli atti con i quali il debitore, a fronte della prospettiva dell'esecuzione forzata, tenta fraudolentemente di impedire o rendere più difficile la soddisfazione del credito, sottraendo i propri beni alla garanzia patrimoniale prevista dall'articolo 2740 c.c. Non a caso, l'azione revocatoria (o actio pauliana) è disciplinata nel capo V del libro VI del codice civile, capo denominato, appunto, "Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale". Nello specifico, si tratta di un rimedio essenzialmente conservativo che consente al creditore di restaurare la consistenza della massa patrimoniale, su cui poter procedere con l'aggressione esecutiva, a fronte di alienazioni pregiudizievoli o anche solo di atti di disposizione che rendano più difficoltosa l'azione esecutiva. Congrua conseguenza di questo principio è la necessità per l'attore di individuare il credito che gli assegna la posizione di creditore, indicandone la fattispecie costitutiva a pena di nullità della domanda ai sensi dell'articolo 164 c.p.c. per vizio dell'edictio actionis (cfr. C. 16/10396). L'azione revocatoria non mira a far ritornare il bene nel patrimonio del debitore in quanto è del tutto priva di finalità ed effetti restitutori; infatti, l'atto di disposizione revocato conserva sempre la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all'acquirente (cfr. C. 15/16973). Si può, invece, validamente affermare che l'azione in commento tende a produrre nei confronti del creditore agente, in virtù di una sentenza costitutiva, un'inefficacia sopravvenuta e doppiamente relativa dell'atto dispositivo che ne è oggetto e, dunque, l'inidoneità di questo a sottrarre il bene all'azione esecutiva del creditore stesso. Il risultato dell'azione revocatoria è, pertanto, descritto in termini di inefficacia parziale e relativa; parziale perché la revoca non impedisce l'acquisto del diritto in capo all'avente causa, relativa perché giova solamente al creditore che l'ha esercitata (C. 11/3676). Nel caso di revocatoria fallimentare ex articolo 66 R.D. n. 267 del 1942, l'azione tutela le ragioni della massa dei creditori del fallito e non già del singolo attore; la relatività della tutela è, dunque, più ampia. L'azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore secondo il combinato disposto degli articoli 66 R.D. n. 267 del 1942 e 2901 e ss. c.c. si distingue, infatti, da quella intrapresa dal creditore verso il debitore perché tutela indistintamente gli interessi di tutti i creditori del fallito. Presupposti dell'azione sono la sussistenza del credito, l'eventus damni, il consilium fraudis e la partecipatio fraudis. Sulla sussistenza del credito Quanto al primo elemento, si osserva che legittimato attivo è il solo creditore (anche se il suo credito è sottoposto a condizione o termine, cfr. art. 2901 c.c.) che sia tale al momento della proposizione della domanda; il credito è presupposto indefettibile dell'azione. Nel caso portato all'attenzione dello scrivente, tale elemento è senz'ombra di dubbio sussistente; infatti, il patrimonio del fallito (...) (socio accomandatario illimitatamente responsabile della società (...) s.a.s.), nel momento in cui lo stesso ha stipulato il contratto di donazione del 29.6.2010 a favore della moglie (...) e del figlio (...), era già gravato da debiti per complessivi Euro 113.953,53 come comprovato dal prospetto a firma del curatore con allegato stato passivo esecutivo (cfr. docc. 9 - 9/bis) e le istanze di insinuazione al passivo (docc. 10 - 19 e subb.). In questo senso, si può affermare che l'atto dispositivo è successivo al sorgere del credito. Tale circostanza è di gran lunga sufficiente a provare l'esistenza del primo requisito richiesto dalle norme; si tralascia, pertanto, in quanto superata ed assorbita, ogni altra analisi circa la sussistenza di ulteriori crediti sorti successivamente all'atto di disposizione, come, peraltro, prospettato da parte attrice. Sull'eventus damni Quanto all'eventus damni, si osserva che l'atto di donazione del 29.6.2010 ha indubbiamente arrecato pregiudizio alle ragioni dei creditori; il pregiudizio si è concretizzato nel momento stesso in cui l'atto, di per sé idoneo a diminuire la garanzia patrimoniale, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, è stato posto in essere. È evidente, pertanto, che la liberalità di cui se ne chiede la revocatoria ha privato il ceto creditorio del fallito della garanzia patrimoniale prevista dall'articolo 2740 c.c. La giurisprudenza ritiene, infatti, "sussistente il requisito dell'eventus damni nel caso di trasferimento a titolo gratuito, mediante donazione (come nella specie), della proprietà del bene del debitore ai figli dello stesso, che abbia determinato, se non una insolvibilità assoluta del debitore, quantomeno la diminuzione del proprio patrimonio, rendendo in tal maniera incerta e difficoltosa l'esazione del credito" (cfr. Tribunale di Nocera Inferiore, 28.5.2012). La Cassazione ha avuto, inoltre, modo di affermare che "a fondamento dell'azione, è richiesto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito e che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una variazione qualitativa di esso" (cfr. Cass. 1896/2012), sicché deve certamente ritenersi che la donazione del 29.6.2010, stipulata successivamente al sorgere del credito di Euro 113.953,53 ha di gran lunga diminuito, anche per l'assenza della controprestazione in danaro di un corrispettivo, la garanzia patrimoniale su cui poteva fare affidamento il ceto creditorio. Pacifico è, inoltre, che il successivo atto stipulato il 4.11.2011 con cui i donatari (...) e (...), per far fronte ai bisogni della famiglia (...) - (...), hanno costituito sui beni oggetto della donazione un fondo patrimoniale, abbia aggravato la posizione dei creditori. Nella specie, si è trattata di una vera e propria escalation pregiudizievole delle ragioni dei creditori: ad un originario atto dispositivo, già di per sé, lesivo, se ne è aggiunto un altro ancor più pregiudizievole per le ragioni creditorie. Sussiste, per le ragioni testé enucleate anche il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria, nella forma di eventus damni, sia per la donazione del 29.6.2010 sia per la costituzione del fondo patrimoniale del 4.11.2011. Sul consilium fraudis Perché l'atto possa essere revocato, occorre che il comportamento del debitore sia caratterizzato, sotto il profilo soggettivo, da un intendo fraudatorio. Perché possa aversi frode, non è necessaria la specifica conoscenza del pregiudizio concreto che l'atto arreca alle ragioni del creditore essendo sufficiente l'effettiva consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento che investa genericamente la riduzione della consistenza patrimoniale, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Di tale consapevolezza, la prova potrà essere ben fornita anche mediante presunzioni (cfr. C. 14/27546). Il consilium fraudis si atteggia diversamente a seconda che l'atto dispositivo sia antecedente o successivo al sorgere del credito. Quanto, al profilo temporale utile per collocare l'atto dispositivo prima o dopo il sorgere del credito, si osserva che il requisito dell'anteriorità deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso è sorto e non a quello successivo in cui il credito venga accertato (cfr. C. 05/2748). Nel caso portato all'attenzione del giudicante, parte del credito (Euro 113.953,53) è sorta precedentemente al primo atto dispositivo avvenuto il 29.6.2010 (cfr. doc. 9). Pertanto, essendo il credito antecedente all'atto di disposizione, la valutazione dell'elemento soggettivo deve essere limitata alla verifica che "il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore". La Cassazione, in merito, ha avuto modo di affermare che "in tema di revocazione ordinaria, nel caso in cui il debitore disponga del suo patrimonio mediante vendita contestuale di una pluralità di beni, devono ritenersi in re ipsa l'esistenza e la consapevolezza (sua e dei terzi acquirenti) del pregiudizio patrimoniale che tali atti arrecano alle ragioni del creditore, ai fini dell'esercizio da parte di quest'ultimo dell'azione pauliana" (cfr. Cass. 18034/2013) sicché, nella specie, essendo stato donato al figlio la nuda proprietà di un compendio immobiliare e alla moglie l'usufrutto sullo stesso, è ragionevole ritenere "in re ipsa" in capo al debitore la conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore (art. 2740 c.c.). Sulla partecipatio fraudis Dal momento che la revocatoria si esercita contro atti di disposizione, è necessario tener presente la posizione del terzo o dei terzi interessati all'atto stesso. La legge ritiene, infatti, che a fronte dell'interesse dei creditori all'esatto adempimento, le esigenze di certezza del traffico giuridico e la tutela della buona fede impongano che la posizione dei terzi trovi protezione là dove il loro acquisto sia stato a titolo oneroso e, anche in questo caso, laddove i terzi stessi non siano stati compartecipi dell'intento fraudolento del debitore. Laddove, invece, il loro acquisito sia avvenuto a titolo gratuito (com'è nella fattispecie) è del tutto irrilevante lo stato soggettivo dei terzi aventi causa; non si impone, pertanto, nessuno scrutinio circa lo stato soggettivo dei donatari (...) e (...). Particolare discorso deve, invece, farsi per il contumace (...) che ha acquistato dai donatari (aventi causa dal donante) diritti soggettivi in seguito alla costituzione del fondo patrimoniale avvenuta il 4.11.2011. Nel caso concreto trova applicazione l'ultimo capoverso dell'articolo 2901 c.c. a mente del quale "l'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione". Stante la natura gratuita della costituzione del fondo patrimoniale, nulla si oppone alla revocatoria dell'atto di costituzione in quanto la contumace (...) non può vantare alcun diritto. Corrobora gli assunti or ora enucleati, la Corte di Appello di Roma che ha avuto modo di affermare come "l'atto di costituzione del fondo patrimoniale inquadrabile tra gli atti a titolo gratuito... non sussistendo alcuna controprestazione a favore dei costituenti, è soggetto all'azione revocatoria ordinaria" (Corte Appello Roma 22.7.1996). Deve, infine, aggiungersi che nell'udienza di precisazione delle conclusioni, le parti convenute costituite non si sono opposte all'accoglimento delle domande di parte attrice; da questo si desume l'implicito riconoscimento della fondatezza del diritto azionato dalla controparte, circostanza, questa, che corrobora le conclusioni del giudicante sopra riportate ed assorbe l'esame di ogni eventuale eccezione di capienza del patrimonio stante la rinuncia alle stesse in seguito all'implicita rinuncia alla proprie pretese processuali in ordine alla domanda di parte attrice. 2. Sulle spese del giudizio La regolamentazione delle spese di lite è disciplinata dagli articoli 91 e ss. c.p.c. con disposizioni caratterizzate dalla cogenza propria delle norme procedurali. Aldilà delle motivazioni che spingono parte attrice a chiedere la condanna dei convenuti alla refusione delle spese di lite - motivazioni su cui lo scrivente non esprime alcun giudizio data la loro completa irrilevanza - è dirimente osservare che sul punto il Giudice deve, comunque, verificare la soccombenza delle parti e l'eventuale sussistenza di ragioni che comportino la compensazione. L'articolo 91 c.p.c. prevede che "Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte..." Presupposto della condanna alle spese è, dunque, la soccombenza. Quanto, invece, alla possibilità di compensazione, l'articolo 92 c.p.c. (peraltro oggetto di una recente pronuncia di parziale incostituzionalità del 19.4.2018) limita i casi di compensazione alla soccombenza reciproca, ovvero al caso di assoluta novità delle questioni trattate o al mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Con la pronuncia della Corte Costituzionale del 19.4.2018, lo spettro dei casi di compensazione è stato esteso anche ad altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni rispetto a quelle citate dal legislatore, ossia a ragioni "gravi ed eccezionali" comunque "analoghe" a quelle citate e, dunque, simili a quelle della soccombenza reciproca, dell'assoluta novità delle questioni trattate e del mutamento della giurisprudenza. In altri, termini, la pronuncia di incostituzionalità non ha aperto la stura ad un ampio potere discrezionale del giudice in merito alla condanna alle spese, essendosi soltanto limitata a prevedere altre gravi eccezionali ragioni analoghe a quelle previste dall'articolo 92 c.p.c. Fatte queste premesse, nel caso di specie, si riscontra soccombenza; infatti, sebbene i convenuti non si siano opposti all'accoglimento della domanda attorea, questo non significa che gli stessi non debbano essere ritenuti soccombenti. Le parti, infatti, soccombono nel momento in cui, qualunque siano le motivazioni della decisione, vengono accolte le domande delle controparti, domande che sul piano processuale e sostanziale sono formalmente contrapposte. Né può predicarsi l'assenza della soccombenza in virtù di un'asserita coincidenza delle domande che, nella specie, non esiste - la causa petendi, infatti, è differente e la differenza non viene annullata in ragione della mancata opposizione conclusiva - né si può parlare di coincidenza delle posizioni processuali, essendo la posizione del convenuto sempre e comunque formalmente contrapposta a quella dell'attore. Non convince, inoltre, la tesi dei convenuti nella parte in cui viene citata la sentenza della Cassazione n. 19979/2008 in virtù della quale nella specie, non risolvendo il giudice "contrapposte pretese", questi non avrebbe possibilità di disporre sulle spese (cfr. memoria conclusionale p. 2). A parere di chi scrive, la contrapposizione delle pretese a cui fa riferimento la sentenza ha carattere formale e, nel presente giudizio, aldilà dell'adesione di parte convenuta, la contrapposizione formale resta; l'interesse dell'attore alla revoca degli atti dispositivi postula, infatti, il necessario accoglimento delle proprie domande attraverso la necessaria contrapposizione processuale e sostanziale con i convenuti, contrapposizione che non è venuta meno in seguito alla mancata opposizione di questi ultimi all'accoglimento delle domande attrici. Non vi è, inoltre, spazio per compensare le spese come, invece, potrebbe accadere nel caso di cessazione della materia del contendere; infatti, nel presente giudizio, non può parlarsi di cessazione della materia del contendere, in quanto l'interesse dell'attore ad ottenere una pronuncia revocatoria degli atti dispositivi necessita di una pronuncia giurisprudenziale che ne dichiari l'inefficacia. Va, inoltre, precisato che i convenuti, nella comparsa di costituzione, si sono comunque opposti all'accoglimento delle domande avversarie e che la non opposizione è stata formulata in sede di precisazione delle conclusioni; non vi è, pertanto, motivo per valorizzare la mancata opposizione effettuata all'esito dell'istruttoria. Si osserva, infine, che la parte attrice per tutelare le proprie ragioni ha dovuto, comunque, intraprendere un giudizio, sostenere delle spese e difendersi nel processo, e che solo all'esito di questo è riuscita ad ottenere la tutela dei propri diritti soggettivi. Non si vede, quindi, nessuna ragione per cui la stessa parte dovrebbe essere privata della possibilità di ottenere la rifusione delle spese di lite, anche alla luce del fatto che l'accoglimento della domanda, come motivato nella prima parte della presente sentenza, è incentrata sulla riscontrata sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione revocatoria. Non paiono, poi, sussistere i motivi di cui all'articolo 92 c.p.c. per disporre la compensazione: non vi è, infatti, soccombenza reciproca, né assoluta novità delle questioni trattate o mutamento della giurisprudenza. Non sussistono, inoltre, le "gravi eccezionali ed analoghe ragioni" riconducibili ai motivi previsti dal legislatore per la compensazione. La gravità ed eccezionalità (che nella specie, comunque, non si ravvisa) devono essere, comunque, riferite all'assoluta novità delle questioni, al mutamento della giurisprudenza o alla soccombenza reciproca. Non si scorge, nel caso posto all'attenzione dello scrivente, alcuno dei presupposti testé citati. Per queste ragioni, le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate, stante la semplicità delle questioni trattate, secondo i valori minimi dello scaglione di riferimento, tranne che per la fase istruttoria per la quale viene operata un'ulteriore riduzione della metà, in ragione del fatto che tale fase si è limitata alla sola produzione delle memorie di cui all'articolo 183, c. 6, c.p.c. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciandosi sulle domande introdotte con ricorso ex articolo 702 bis c.p.c., da Fallimento (...) fallito in proprio quale socio accomandatario della fallita società (...) in persona del curatore dr. (...) contro (...), (...), (...) (contumace) all'esito del mutamento del rito disposto all'udienza del 21.5.2015, ogni contraria istanza o eccezione disattesa, così provvede: - accoglie la domanda e per l'effetto dichiara, ex articoli 66 L.F. e 2901 c.c., l'inefficacia nei confronti della massa dei creditori del Fallimento (...) degli atti ai rogiti del notaio (...) di a) donazione immobiliare del (...) di rep. (...) e racc. (...) (trascritto il 5.7.2010 ai nn. 26588 RG e 16207 RP stipulata tra (...)A. e (...) e (...), b) costituzione di fondo patrimoniale (...) di rep. (...) e racc. (...) (trascritto il 14.11.2011 ai nn. 42569 RG e 26883 RP con il quale i donatari, (...) e (...), hanno costituito un fondo patrimoniale a favore di (...) e (...) per la rispettiva quota della metà; - dichiara che il Fallimento (...)A., in persona del curatore dr. (...), ha diritto si soddisfarsi esecutivamente sugli immobili oggetto degli atti dispositivi di cui al punto precedente; - ordina a cura e spese della parte interessata la trascrizione della presente sentenza presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Verona; - condanna i convenuti (...), (...) e (...) (benché contumace), in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali sostenute dall'attore Fallimento (...) che liquida in Euro 885,92 per spese ed Euro 4.825 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge. Così deciso in Verona il 26 maggio 2018. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice Marco Nappi Quintiliano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 6260/2010 R.G. promossa da: (...) (C.F.: (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. An.Sa., presso lo studio del quale, sito in Verona, alla Via (...), è elettivamente domiciliato ATTORE Contro (...) SPA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e assistito dall'avv. Lu.Fi., presso il cui studio, sito in Roma, alla Via (...), è elettivamente domiciliato CONVENUTO e (...) (C.F.: (...)), in persona del titolare della ditta (...), con il patrocinio dell'avv. Br.Gu., presso il cui studio, sito in Verona, alla Via (...), è elettivamente domiciliata TERZO CHIAMATO IN CAUSA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Va premesso che la presente sentenza viene redatta nella forma semplificata prevista dall'art. 132 c.p.c., come novellato dall'art. 45 comma 17 della L. n. 69 del 2009, per cui, con riguardo alle domande ed eccezioni formulate dalle parti, al fatto e allo svolgimento del processo, al di fuori di quanto di seguito esposto, si fa rinvio al contenuto degli atti di causa e dei verbali d'udienza. Con atto di citazione ritualmente notificato, parte attrice esponeva di aver stipulato un contratto di assicurazione relativo all'autovettura targata (...), di proprietà della società (...); riferiva che il sig. (...), funzionario della suddetta società, in data 18.4.2000, si era recato con la moglie presso l'Hotel convenuto al fine di soggiornarvi e aveva altresì provveduto a consegnare le chiavi della sua autovettura al personale dell'albergo per ottenerne la custodia. Aggiungeva che in data 19.4.2000, il sig. (...), dopo aver reclamato la restituzione dell'autovettura, aveva appurato che quest'ultima era stata asportata dal garage, ove era stata ricoverata, da una persona presentatasi falsamente a nome dell'albergo, recandosi quindi in Questura per sporgere la denuncia del furto subito. Riferiva, ancora, di aver provveduto a corrispondere alla società proprietaria dell'autovettura, in conseguenza della suddetta denuncia di furto, la somma di Euro 80.528,47. Per tali motivi, chiedeva, agendo in surroga ai sensi dell'art. 1916 c.c., che l'Hotel convenuto venisse condannato a rimborsarle quanto pagato in conseguenza del suddetto evento di danno. Con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva in giudizio la società (...) S.p.A., la quale contestava le avverse pretese e procedeva a chiamare in causa la ditta (...) al fine di far valere l'esclusiva responsabilità di quest'ultima nella causazione dell'evento di furto. In particolare, contestava la valida instaurazione di un rapporto di deposito con l'attrice e conseguentemente escludeva qualunque sua responsabilità in ordine al suddetto evento di danno, eccependo altresì la prescrizione del diritto azionato in giudizio. Si costituiva in giudizio altresì la terza chiamata in causa, la quale contestava, parimenti, l'avversa domanda, eccependo ugualmente la prescrizione del diritto fatto valere nei suoi confronti e dall'attrice e dalla società convenuta. Effettuata l'attività istruttoria, la causa veniva assegnata in decisione con i termini di 30 giorni per il deposito di comparse conclusionali e termine di ulteriori 20 giorni per repliche. La domanda attrice è fondata per le considerazioni che di seguito si espongono. Preliminarmente, occorre rilevare che è priva di rilievo, in quanto formulata del tutto genericamente e sfornita di qualunque sostegno probatorio, l'eccezione relativa al difetto di legittimazione della compagnia assicurativa a richiedere il risarcimento, eccezione semmai attinente, più correttamente, al diverso profilo della prova, nel merito, della qualità di assicuratore ricoperta dall'attore e del relativo rapporto assicurativo sottostante. Nel caso in esame, invero, risulta documentato il contratto assicurativo stipulato tra la compagnia attrice e la società proprietaria della relativa autovettura e debitamente sottoscritto (ricomprendente anche i danni da furto come si evince dal relativo documento; cfr. documento n. 5 del fascicolo di parte attrice). Inammissibile oltre che generica è altresì l'eccezione attinente alla disponibilità del relativo diritto di stipula del contratto in questione, integrando tale eccezione una ipotesi eventuale di inefficacia del contratto che non può essere validamente sollevata dal terzo estraneo al rapporto assicurativo in esame. (cfr. Cassazione civile, sez. III, 12/09/2013, n. 20901 e Cassazione civile, sez. I, 03/07/1991, n. 7300). Parimenti, deve rilevarsi l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione formulata tempestivamente e dalla convenuta e dalla terza chiamata in causa con riguardo al diritto azionato in giudizio dall'attrice, non potendosi ritenersi applicabile al caso di specie il termine di prescrizione quinquennale invocato. L'istituto della surroga, richiamato dall'attrice a fondamento della sua pretesa, invero, realizza, secondo la prevalente e condivisibile impostazione dottrinale e giurisprudenziale, una successione a titolo particolare nel lato attivo del rapporto obbligatorio, vale a dire nella posizione del creditore. Applicando tale impostazione al caso di specie, deriva che all'azione di surrogazione ex art. 1916 c.c. si applica il medesimo termine prescrizionale previsto per l'originario diritto del soggetto surrogato, termine decorrente dal giorno in cui si è verificato il fatto e non dal giorno dell'avvenuto pagamento (cfr. Cassazione civile, sez. III, 29/10/2002, n. 15243). Orbene, nel caso in esame, dagli atti di causa è emerso pacificamente che il sig. (...) aveva rivestito, all'epoca dei fatti, la qualità di funzionario della società risultata a sua volta proprietaria dell'autovettura oggetto della vicenda (cfr. quanto dichiarato a pag. 1 dell'atto di citazione, non oggetto di contestazione). Pertanto, questo Giudice ritiene che, sulla base del rapporto di immedesimazione organica, debba predicarsi l'estendibilità degli effetti del relativo contratto di albergo e di deposito (di cui si dirà in prosieguo) stipulato dal sig. (...) con la società convenuta anche alla società proprietaria dell'autovettura (ex art. 1411 c.c.) e conseguentemente l'applicabilità, rispetto alla posizione giuridica della società assicurata (e dunque rispetto alla posizione della società attrice surrogante), dell'ordinario termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. Così ricostruito il termine prescrizionale, va osservato che neppure fondata è l'eccezione di prescrizione del termine decennale azionata dall'Hotel convenuto, dal momento che l'attrice risulta aver validamente posto in essere un atto interruttivo della prescrizione sia in data 4.8.200 sia, da ultimo, in data 1.3.2001 (cfr. documento n. 11 del fascicolo di parte attrice). Da quanto esposto, emerge in maniera evidente il mancato decorso del termine in esame, considerando la data dell'atto di introduzione del presente giudizio che risulta essere stato iscritto a ruolo in data 4.6.2010. Ciò premesso in punto di prescrizione, va rilevata la fondatezza della domanda risarcitoria formulata dalla compagnia assicurativa attrice nei confronti dell'Hotel convenuto. Da quanto emerso dall'istruttoria e dagli atti di causa, risulta, invero, l'avvenuta configurazione di un rapporto contrattuale di deposito, ai sensi dell'art. 1766 e ss. c.c. tra il sig. (...) e il suddetto Hotel (cfr., in merito, l'art. 1785 quinquies c.c. con riguardo alla non applicabilità delle norme speciali sul deposito alberghiero in caso di autoveicoli). Orbene, nel caso di specie, è stato accertato, anche sulla base delle plurime deposizioni testimoniali raccolte in udienza, che il sig. F. aveva consegnato le chiavi della sua autovettura al personale dell'albergo al fine precipuo di ottenerne la custodia e che era stato reso edotto circa la necessità che tale ricovero sarebbe avvenuto, materialmente, presso una struttura esterna all'Hotel (nello specifico, presso l'autorimessa chiamata in causa). Ebbene, questa condotta è tale da aver evidentemente generato un valido atto di assunzione dell'obbligo di custodia dell'autovettura medesima da parte dell'Hotel, obbligo sia pur attuato mediante la stipula di un nuovo e diverso contratto di deposito con l'(...). In particolare, con riguardo a tale ultima situazione, appare configurabile l'ipotesi codicistica del c.d. sub deposito di cui all'art. 1770 c.c., integrata dall'avvenuta consegna della res deposita (con il consenso del depositante) da parte dell'originario soggetto depositario in favore di un soggetto terzo, con il quale risulta essersi costituito, in via derivata, un nuovo rapporto di deposito. Sulla base di tale ricostruzione, deve quindi analizzarsi distintamente la posizione dell'hotel convenuto, sulla base dell'originario contratto di deposito, e successivamente il rapporto tra quest'ultimo e l'autorimessa chiamata in causa, dipanatosi nell'ambito del diverso contratto di sub deposito sopra richiamato. Tornando al caso in esame e analizzando il primo segmento della vicenda, è stato accertato, attraverso l'attività istruttoria, che l'autovettura in questione era stata rubata da persona presentatasi falsamente a nome dell'albergo presso l'(...), previa esibizione del tagliando contenente il numero della targa dell'autovettura. Nello specifico, si è appurato che tra l'Hotel convenuto e la suddetta autorimessa si era configurato un rapporto contrattuale mediante cui l'Hotel procedeva a ricoverare le autovetture consegnate dai clienti presso la struttura dell'autorimessa, osservando particolari modalità per la consegna e la restituzione delle autovetture medesime e servendosi, in particolare, del rilascio di un tagliando da esibire poi all'atto della restituzione delle suddette autovetture (cfr. le plurime deposizioni rese sul punto dai testimoni all'udienza del 4.6.2013 e del 24.9.2013, tutte concordanti tra loro). Ebbene, risulta evidente, nel caso di specie, la negligenza posta in essere dal personale della suddetta autorimessa, negligenza insita nel non aver provveduto a compiere i necessari accertamenti in ordine all'identità della persona presentatasi a nome dell'albergo e autrice del furto nonché nel non aver apprestato modalità di custodia idonee a prevenire un simile evento di danno. Così come risulta nitidamente la derivabilità eziologica dell'evento di danno dalla suddetta condotta negligente. Ad abundantiam, va evidenziato che nessuno dei soggetti convenuti in giudizio ha comunque allegato elementi di imprevedibilità e di inesigibilità di una diversa condotta, considerati dalla costante giurisprudenza come gli unici presupposti per poter escludere la responsabilità del depositario in caso di furto (cfr. Cassazione civile sez. III 07 ottobre 2010 n. 20809). Ne deriva quindi l'imputabilità della responsabilità per il danno derivato dalla vicenda in esame innanzitutto all'Hotel convenuto, chiamato a rispondere, ex artt. 1766 e ss. c.c., della mancata restituzione dell'autovettura in sua custodia e, nel caso specifico, della condotta colposa posta in essere dal subdepositario. Ne discende altresì la responsabilità dell'(...) nei confronti dell'Hotel sulla base del contratto di subdeposito sopra analizzato. In relazione a tale ultimo aspetto, deve osservarsi l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'autorimessa convenuta. Invero, venendo in rilievo una ipotesi di responsabilità contrattuale (ex art. 1770 c.c.), non può ritenersi decorso il relativo termine di prescrizionale decennale (ex art. 2946 c.c.) in quanto, come affermato anche dal suddetto terzo chiamato in causa (cfr. pag. 10 della sua comparsa di costituzione e risposta), l'Hotel convenuto risulta aver inviato all'autorimessa un primo atto di messa in mora in data 21.4.2000 (cfr. doc. n. 2 del fascicolo della convenuta) e un successivo atto interruttivo della prescrizione in data 10.2.2010 (cfr. doc. n. 5 del suddetto fascicolo). Ne deriva quindi il mancato decorso del termine prescrizionale sopra ricostruito. Pertanto, da quanto detto sopra in punto di imputabilità della responsabilità per l'evento di danno in questione, deriva altresì la fondatezza della domanda di manleva spiegata dall'Hotel nei confronti dell'(...), sebbene tale domanda vada correttamente riqualificata come azione risarcitoria per inadempimento al contratto di deposito stipulato tra l'Hotel convenuto e l'autorimessa (cfr., in ordine al potere giudiziale di riqualificazione della domanda, Cass. Civ. Sez. Un. 21/02/2000, n. 27). Con riguardo a tale segmento della vicenda fattuale, come detto sopra, l'evento in esame è infatti imputabile alla evidente negligenza posta in essere dall'autorimessa e al suo mancato adempimento dell'obbligo di custodia su di lei gravante in virtù del relativo contratto di deposito configuratosi. Analizzando il quantum della richiesta azionata dall'attrice, va rilevato che le parti convenute hanno contestato genericamente le modalità di determinazione dell'indennizzo erogato dalla compagnia assicurativa; quest'ultima, dal suo canto, ha documentato le modalità di computo del suddetto indennizzo (cfr. documento n. 9 del fascicolo di parte attrice) e la sostanziale rispondenza di tale operazione alle prescrizioni contenute nel sottostante contratto assicurativo. Né i soggetti convenuti hanno sollevato, al riguardo, concrete contestazioni sulle modalità di computo del valore dell'autovettura in questione e sul dato relativo all'avvenuto pagamento della somma di Euro 80.528,27 da parte della società attrice. Sulla base di tali considerazioni, dunque, l'Hotel convenuto va condannato a risarcire all'attrice la somma di Euro 80.528,27, nonché a corrispondere su tale somma gli interessi nella misura legale dalla data della domanda e fino al saldo effettivo. Va altresì disposta la condanna dell'(...) al risarcimento, in favore della società (...) s.p.a., della somma di Euro 80.528,27, nonché alla corresponsione su tale somma degli interessi nella misura legale dalla data della domanda e fino al saldo effettivo Le spese di lite seguono la soccombenza della società (...) s.p.a. rispetto all'attrice e si liquidano, come da dispositivo, a suo carico ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto e degli importi tabellarmente previsti per ciascuna fase di giudizio effettivamente svolta (fase di studio, introduttiva, istruttoria e fase decisoria), con riferimento al valore della causa e all'entità e alla qualità dell'attività difensiva svolta. Alla luce della soccombenza dell'(...) nei confronti della società (...) s.p.a., la prima va condannata al pagamento, in favore di quest'ultima, delle relative spese processuali, computate secondo i criteri sopra esposti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa che reca numero 6260/2010 R.G.; ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: accoglie la domanda risarcitoria formulata dall'attrice e, per l'effetto, condanna (...) s.p.a. al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 80.528,27 a titolo di risarcimento danni, oltre al pagamento degli interessi legali su tale somma dalla data della domanda e fino all'effettiva corresponsione; accoglie la domanda risarcitoria formulata da (...) s.p.a. e, per l'effetto, condanna (...) al pagamento, in favore di (...) s.p.a., della somma di Euro 80.528,27 a titolo di risarcimento danni, oltre al pagamento degli interessi legali su tale somma dalla data della domanda e fino all'effettiva corresponsione; condanna (...) s.p.a. al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite che liquida in Euro 9.800,00 per compensi e in Euro 500 per spese, oltre al rimborso forfetario per spese generali nella misura di legge, I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati come per legge; condanna (...) al pagamento, in favore di (...) s.p.a., delle spese di lite che liquida in Euro 9.800,00 per compensi e in Euro 500 per spese, oltre al rimborso forfetario per spese generali nella misura di legge, I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati come per legge. Così deciso in Verona il 9 aprile 2018. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VERONA SEZIONE LAVORO Il Giudice, dott. Alessandro Gasparini, all'udienza del giorno ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo e contestuale motivazione, la seguente SENTENZA nella causa di lavoro n. 3141/2015 RCL avente ad oggetto: dirigenza/mancato rinnovo incarico/risarcimento danni promossa con ricorso depositato il 14/12/2015 da (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SA.MA., elettivamente domiciliato in VIA (...) VERONA presso il difensore avv. SA.MA. Contro AZIENDA (...) (C.F. (...)), oggi AZIENDA (...), con il patrocinio dell'avv. BA.ST., elettivamente domiciliato in VIA (...) VERONA presso il difensore avv. BA.ST. MOTIVI DELLA DECISIONE Il dott. (...) chiedeva all'adito Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro l'accertamento del diritto dello stesso alla valutazione dell'incarico di dirigente responsabile dell'Unità Operativa Complessa Laboratorio di Analisi ai fini della proroga e del rinnovo del predetto incarico che illegittimamente l'amministrazione datrice di lavoro non aveva effettuato attribuendo ad altro dipendente, meno titolato, tali mansioni, e conseguentemente la condanna dell'azienda ospedaliera al risarcimento del danno pari alle differenze retributive maturate, nel periodo gennaio - giugno 2014, tra la retribuzione effettivamente percepita e quella spettante al soggetto a cui era stato affidato per il predetto periodo, senza alcuna procedura selettiva, l'incarico di responsabile del Laboratorio Analisi, oltre all'ulteriore risarcimento pari alle differenze retributive tra la retribuzione percepita e quella spettante al soggetto a cui era stato conferito, all'esito di selezione, con decorrenza 1.11.2014, il predetto incarico di responsabilità per la durata di cinque anni, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo, nonché alla regolarizzazione contributiva conseguente, con vittoria di spese di lite. Esponeva in particolare di essere stato dal 2003 sino a tutto il 2013 direttore dell'Unità Operativa Complessa Laboratori di Analisi cliniche e Microbiologia degli ospedali afferenti alla (...), da ultimo con contratto stipulato in data 8.10.2008 con decorrenza dall'1.10.2008 con durata quinquennale. Con nota del 11.12.2013 prot. (...) la direzione generale dell'azienda convenuta comunicava che a decorrere dal 1.1.2014 le funzioni di direzione svolte dal ricorrente cessavano e che contestualmente gli sarebbe stato conferito incarico di natura professionale ex art. 27, comma 1, lett. c) CCNL 8 giugno 2000. Con successiva nota del 31.12.2013 prot. (...) veniva comunicato al ricorrente che con Delib. n. 561 del 30 dicembre 2013 era stata disposta la disattivazione dell'U.O. Complessa di Laboratorio Analisi dal 1.1.2014, con contestuale cessazione delle funzioni di direzione del servizio svolto in regime di proroga e che con medesima decorrenza veniva conferito, come anticipato, incarico ex art. 27, lett. c). Con la predetta nota veniva disposto che la responsabilità del Laboratorio Analisi fosse attribuita ad altro soggetto, nelle more dell'attivazione dell'Unità Operativa Semplice Dipartimentale. Tale incarico veniva in effetti conferito alla dott.ssa (...), biologa, in precedenza collaboratrice del ricorrente nel medesimo laboratorio. In sostanza il ricorrente affermava che l'attività del laboratorio era proseguita come in precedenza, solamente sotto la direzione di altro soggetto, scelto senza alcuna procedura comparativa. In ragione della situazione venutasi a creare il ricorrente si vedeva costretto a trasferirsi presso altra azienda ((...)), con semplice incarico professionale, con scadenza al 30.6.2017. Successivamente veniva istituita l'Unità Operativa Semplice Dipartimentale, individuando, illegittimamente e comunque in violazione dei principi di correttezza e buona fede, come responsabile della medesima, a seguito di procedura comparativa, la predetta dott.ssa (...). Il ricorrente lamentava quindi la mancata effettuazione da parte del competente Collegio Tecnico della valutazione prevista dall'art. 15 D.Lgs. n. 502 del 1992 al termine dell'incarico, la quale, ove avesse avuto esito positivo, avrebbe comportato, ad avviso del ricorrente, l'obbligo di rinnovo dell'incarico di Direttore del U.O.C. di Laboratorio Analisi. Si costituiva l'azienda ospedaliera chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto. In particolare rilevava di avere dato attuazione alla deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 975 del 18.6.2013 con cui venivano approvate le linee guida per la predisposizione del nuovo atto aziendale, nonché in attuazione della deliberazione n. 68/Cr del 18.6.2013 e n. 2122 del 19.11.2013 con cui erano state approvate le nuove schede di dotazione ospedaliera, contenenti l'indicazione delle articolazioni di ciascuna azienda sanitaria. In tale contesto era stato previsto che l'"Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi" (U.O.C. Laboratorio Analisi) fosse conservata ad esaurimento, prevedendone la trasformazione in "Unità Semplice" alla prima scadenza del relativo incarico dirigenziale. L'azienda sosteneva dunque che legittimamente il direttore generale con Det. n. 263 del 2 luglio 2013 non aveva prorogato l'incarico di direttore del dipartimento in capo al ricorrente. Con Det. n. 561 del 30 dicembre 2013 in attuazione delle nuove schede di dotazione ospedaliera il direttore generale aveva infatti disposto la disattivazione dell'U.O.C. di Laboratorio Analisi, la cessazione delle funzioni di direzione del ricorrente e l'attribuzione alla dr.ssa (...), biologo dirigente, dell'incarico di responsabile dell'Unità Operativa Semplice di Laboratorio Analisi, con attribuzione al ricorrente di incarico ex art. 27, lett. c) del CCNL. Rilevava peraltro che nell'ambio del ricorso presentato dinnanzi al TAR Veneto avverso la Det. n. 263 del 2 luglio 2013, era stata respinta l'istanza cautelare (ordinanza n. 611/2013), così come il Tribunale di Verona, aveva rigettato la domanda cautelare avverso gli effetti della predetta determinazione con ordinanza del 10.5.2014 (per carenza di periculum in mora, stante il carattere meramente patrimoniale dei danni conseguenti alla denunciata condotta). Il processo, interamente istruito da altri giudici, si è svolto all' udienza del 12.5.2016, all'esito della quale veniva ammessa la prova testimoniale assunta all'udienze del 23.11.2016 e del 22.3.2017. Successivamente la causa veniva rinviata con termine per note all'odierna udienza, per la discussione e la decisione. Nel merito si osserva quanto segue. Il ricorrente contesta in primis la mancata effettuazione da parte del competente Collegio Tecnico della valutazione prevista al termine dell'incarico, la quale, ove avesse avuto esito positivo, avrebbe comportato, secondo il ricorrente, l'obbligo di rinnovo dell'incarico di Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi. Tale conclusione non è condivisibile. L'art. 15, comma 5, del D.Lgs. n. 502 del 1992 dispone che "i dirigenti medici e sanitari sono sottoposti a una verifica annuale correlata alla retribuzione di risultato, secondo le modalita' definite dalle regioni, le quali tengono conto anche dei principi del titolo II del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, e successive modificazioni, nonche' a una valutazione al termine dell'incarico, attinente alle attivita' professionali, ai risultati raggiunti e al livello di partecipazione ai programmi di formazione continua, effettuata dal Collegio tecnico, nominato dal direttore generale e presieduto dal direttore di dipartimento, con le modalita' definite dalla contrattazione nazionale. Gli strumenti per la verifica annuale dei dirigenti medici e sanitari con incarico di responsabile di struttura semplice, di direzione di struttura complessa e dei direttori di dipartimento rilevano la quantita' e la qualita' delle prestazioni sanitarie erogate in relazione agli obiettivi assistenziali assegnati, concordati preventivamente in sede di discussione di budget, in base alle risorse professionali, tecnologiche e finanziarie messe a disposizione, registrano gli indici di soddisfazione degli utenti e provvedono alla valutazione delle strategie adottate per il con-tenimento dei costi tramite l'uso appropriato delle risorse. Degli esiti positivi di tali verifiche si tiene conto nella valutazione professionale allo scadere dell'incarico. L'esito positivo della valutazione professionale determina la conferma nell'incarico o il conferimento di altro incarico di pari rilievo, senza nuovi o maggiori oneri per l'azienda, fermo restando quanto previsto dall' articolo 9, comma 32, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122". A propria volta, l'art. 9, comma 32, del D.L. n. 78 del 2010 prevede che "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001 che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Non si applicano le eventuali disposizioni normative e contrattuali piu' favorevoli; a decorrere dalla medesima data e' abrogato l'art. 19, comma 1 ter, secondo periodo, del D.Lgs. n. 165 del 2001. Resta fermo che, nelle ipotesi di cui al presente comma, al dirigente viene conferito un incarico di livello generale o di livello non generale, a seconda, rispettivamente, che il dirigente appartenga alla prima o alla seconda fascia". L'art. 19, comma 1 ter, del D.Lgs. n. 165 del 2001, abrogato dal D.L. n. 78 del 2010, prevedeva che: "l'Amministrazione che, in dipendenza dei processi di riorganizzazione ovvero alla scadenza, in assenza di una valutazione negativa, non intende confermare l'incarico conferito al dirigente, e' tenuta a darne idonea e motivata comunicazione al dirigente stesso con un preavviso congruo, prospettando i posti disponibili per un nuovo incarico". L'abrogazione di tale disposizione conferma il fatto che, anche in assenza di valutazione negativa, l'Amministrazione è assolutamente libera di non rinnovare l'incarico alla sua scadenza, non essendo neppure tenuta a motivare ed esporre le ragioni di tale scelta. Pertanto, l'assunto secondo cui in presenza di una valutazione positiva sarebbe obbligatorio il rinnovo dell'incarico di Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi appare infondato. A tale proposito deve essere richiamato quanto disposto dall'art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001, il quale, in relazione ai dirigenti pubblici in regime privatizzato, prevede che "al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile". Il provvedimento assunto dall'(...) appare, a maggior ragione, giustificato ove si consideri che il rinnovo era del tutto impossibile, in quanto l'incarico di Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi è stato soppresso dalle nuove schede di dotazione ospedaliera, con decorrenza dalla scadenza (30.9.2013) del precedente incarico conferito al dr. C. con il contratto individuale di lavoro. La giurisprudenza di legittimità ha chiaramente affermato che: "In tema di dirigenza medica, non è configurabile un diritto soggettivo a conservare un determinato incarico dirigenziale, risolvendosi il controllo giudiziale circa il mancato rinnovo dell'incarico in un'indagine sul rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonché sull'osservanza delle regole di correttezza e buona fede (Cass., Sez. L, Sentenza n. 5025 del 02/03/2009; in senso analogo Cass. civ., sez. lav., 22.12.2004, n. 23760). Con riguardo alla procedura di conferimento degli incarichi dirigenziali all'interno delle Aziende sanitarie, è stato affermato che: "quale atto di natura negoziale, tale scelta potrà infatti essere sindacata dal giudice ordinario unicamente sotto il profilo della osservanza delle regole di correttezza e buona fede (Cass. S.U. n. 1252/04, cit.), che non si traduce necessariamente in un obbligo di motivazione, ma qualifica la rilevanza dell'eventuale motivo illecito determinante o consente di censurare l'atto di devianza abnorme rispetto ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost." (Cass. civ., sez. lav., 31.7.2009, n. 17852). In senso analogo, è stato deciso che "si tratta di un incarico fiduciario connotato dal fatto che la Pubblica Amministrazione - e per essa il direttore generale - agisce con i poteri del datore di lavoro privato sicché essa deve rispettare i criteri del bando e quelli legali, ma non è tenuta a motivare la propria scelta fiduciaria. In proposito questa Corte (Cass., sez. un., 12 novembre 2007, n. 23480) ha affermato, proprio in relazione al conferimento dell'incarico di dirigente di (OMISSIS) livello del ruolo sanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, che è demandato alla Commissione suddetta soltanto il compito di predisporre un elenco di candidati idonei (senza attribuzione di punteggi e senza formazione di graduatoria) da sottoporre al direttore generale, il quale conferisce l'incarico con scelta di carattere fiduciario affidata alla propria responsabilità manageriale. Ciò non toglie che la scelta del direttore generale debba essere ispirata al criterio del buon andamento della pubblica amministrazione; però, nel contesto del lavoro pubblico contrattualizzato ed assoggettato al disciplina privatistica, il dipendente non può addurre tale criterio come obbligazione sussidiaria e strumentale rispetto alle obbligazioni che in generale sorgono per effetto dell'instaurazione di un rapporto di lavoro. Viceversa opera l'ordinario apparato di tutela del lavoro che, tra l'altro, vieta pratiche discriminatorie, sicché il dirigente al quale sia stato preferito altro candidato può dolersi, in ipotesi, del carattere discriminatorio della scelta del direttore generale o, ancora più in generale, della violazione del canone di corretta e buona fede che presidia ogni rapporto obbligatorio contrattuale (ex artt. 1175 e 1375 c.c.); doglianze che nella specie il ricorrente non ha mosso nel giudizio di merito" (Cass. civ., sez. Un., 6.3.2009, n. 5457; in senso conforme Cass. civ., sez. lav., 12.11.2007, n. 23480; Cass. civ., sez. lav., 3.11.2006, n. 23549). Nel caso di specie, non sono ravvisabili (né sono stati allegati) alcun trattamento discriminatorio od alcuna abnormità delle modalità di scelta tali da configurare violazione degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuale, le quali richiedono vizi di rilevantissima gravità (quali la valutazione di titoli falsi od il conferimento dell'incarico ad un soggetto privo dei requisiti per l'accesso alla funzione dirigenziale). Sotto questo profilo non appare sufficiente e determinante il solo fatto che tale conferimento di incarico sia avvenuto in via provvisoria a favore di soggetto diverso dal ricorrente senza l'attivazione di una "procedura" comparativa, nemmeno prevista per tali ipotesi. L'art. 15, comma 7 quater, del D.Lgs. n. 502 del 1992 richiede infatti a differenza di quanto previsto dall'art. 15, comma 7 bis del medesimo D.Lgs. n. 502 del 1992, l'attribuzione dell'incarico da parte del direttore generale su proposta del direttore della struttura complessa di afferenza o del direttore di dipartimento. Nel caso di specie risulta che in sede (non più provvisoria) di conferimento dell'incarico una procedura comparativa è stata tenuta ed il ricorrente non vi ha partecipato, essendosi nel frattempo trasferito presso un'altra (...). Il Direttore Generale dell'(...), nell'ambito della sua discrezionalità ed in considerazione della natura fiduciaria della scelta, ha legittimamente ritenuto di attribuire al dr. (...) un incarico di natura professionale ex art. 27, comma 1, lett. c), del C.C.N.L. 8 giugno 2000, nella valorizzazione economica massima prevista dalla contrattazione collettiva, conferendo contestualmente alla dr.ssa (...) la responsabilità provvisoria dell'Unità Operativa (non più complessa ma) Semplice di Laboratorio Analisi in corso di attivazione (incarico di cui alla lettera b del medesimo art. 27 del C.C.N.L. 8 giugno 2000). Da questo punto di vista non appare condivisibile peraltro nemmeno la doglianza secondo cui la responsabilità del reparto (la cui struttura nell'ambito della riorganizzazione dell'azienda è stata modificata) sarebbe stata attribuita ad una dirigente in passato sottoposta gerarchicamente al dr. C., la quale sarebbe divenuta a lui sovraordinata. Infatti, in base al citato C.C.N.L., "la definizione della tipologia degli incarichi di cui alle lettere b) e c) è una mera elencazione che non configura rapporti di sovra o sotto ordinazione degli incarichi, la quale discende esclusivamente dall'assetto organizzativo aziendale e dalla graduazione delle funzioni". L'incarico attribuito al dr. C. non potrebbe considerarsi subordinato a quello conferito alla dr.ssa (...), ma equiordinato, non avendo sotto questo profilo alcuna rilevanza le valutazioni espresse dai testimoni nel corso del giudizio, che peraltro condurrebbero ad un giudizio in concreto di mansioni formalmente equivalenti, preclusa ex lege al giudice in materia di dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Peraltro, ai dirigenti della P.A., per espressa disposizione di legge (art. 19 D.Lgs. n. 165 del 2001), non è applicabile il concetto di demansionamento ed è possibile l'attribuzione, al termine del loro incarico, di un diverso incarico anche di valore economico inferiore, in base alla scelta discrezionale del Direttore Generale, che non è neppure tenuto ad esplicitare alcuna motivazione a sostegno della scelta operata, in quanto rientrante nella sua responsabilità manageriale. A tale proposito, non può poi affermarsi che la nuova Unità Operativa Semplice abbia continuato ad operare in modo identico alla precedente Unità Operativa Complessa. Tale asserzione infatti non può basarsi su un semplice dato fattuale (i testimoni hanno riferito che di fatto, nell'immediatezza, l'attività svolta nel laboratorio era la stessa): il responsabile dell'Unità Operativa Semplice non ha le responsabilità previste a carico esclusivamente del Direttore di Unità Operativa Complessa dal paragrafo 5.3 dall'Atto Aziendale approvato in data 21.10.2014 (realizzazione degli obiettivi di budget; creazione di protocolli operativi, sviluppo e crescita professionale delle risorse assegnate; etc...). Peraltro nel corso dell'istruttoria è anche emerso che i cambiamenti nel corso dell'anno 2014 (quindi successivamente alla cessazione delle funzioni del ricorrente) dovevano avvenire in maniera graduale consentendo al Laboratorio Analisi degli ospedali cittadini di attrezzarsi per gestire un aumento del lavoro derivante dall'attribuzione agli stessi di casistiche di elevata complessità (v. verbale del 22.3.2017). Peraltro, occorre sottolineare che la Giunta regionale, con deliberazione n. 2122 del 19.11.2013, ha qualificato l'(...) come "Presidio ospedaliero di rete su due sedi": nell'ambito della riorganizzazione sanitaria regionale, infatti, il sistema è stato articolato in spoke (ospedali di rete i quali devono garantire l'attività di urgenza e di media e bassa complessità) ed in hub (ospedali di riferimento provinciale che erogano anche prestazioni di elevata complessità). Nell'ambito di tale riorganizzazione (volta ad accentrare in un unico ospedale a livello provinciale le prestazioni di elevata complessità), l'Unità di Laboratorio Analisi dell'(...) è stata trasformata in Unità Operativa Semplice, non più tenuta ad erogare prestazioni di alta complessità. In attuazione di tali previsioni è stato, dunque, stipulato un Accordo fra l'(...), l'(...) e l'(...), istituendo un Dipartimento interaziendale funzionale per il coordinamento delle attività di laboratorio analisi. Anche da tali dati documentali risulta il mutamento delle funzioni del laboratorio di analisi nell'ambito della riorganizzazione aziendale. Il ricorrente lamenta inoltre che la soppressione dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi e del conseguente incarico di suo direttore sarebbe avvenuta in contrasto con il modulo procedimentale previsto dalla deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 2122 del 19.11.2013. Secondo l'interpretazione del ricorrente, tale deliberazione non sarebbe immediatamente efficace, ma necessiterebbe di essere attuata nelle singole (...) mediante l'approvazione da parte del Direttore Generale del nuovo Piano Aziendale, al quale solo potrebbe conseguire la modifica dell'articolazione organizzativa e della dotazione ospedaliera. La deliberazione del Direttore Generale n. 561/2013 sarebbe, dunque, illegittima per aver disposto l'adeguamento alle schede di dotazione ospedaliera di cui alla deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 2122/2013 senza il rispetto della procedura prevista per l'approvazione del Piano Aziendale. Tale assunto non appare condivisibile. Secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale: "a seguito della cd. "privatizzazione" del lavoro pubblico, alla stregua delle norme ora raccolte nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, attuata mediante la contrattualizzazione della fonte dei rapporti di lavoro e l'adozione di misure organizzative (escluse solo quelle espressamente riservate agli atti di diritto pubblico) e gestionali con atti di diritto privato (art. 5, comma 2, del d.lgs. cit.), deve ritenersi che la conformità a legge del comportamento dell'amministrazione - negli atti e procedimenti di diritto privato posti in essere ai fini della costituzione, gestione e organizzazione dei rapporti di lavoro finalizzati al perseguimento di scopi istituzionali - deve essere valutata esclusivamente secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, in conformità a una precisa scelta del legislatore (nel senso dell'adozione di moduli privatistici dell'azione amministrativa) che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. (vedi Corte cost. n. 275 del 2001, n. 11 del 2002). Ne discende che, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi e, in particolare. le disposizioni dettate per i provvedimenti e gli atti amministrativi dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (Cass. 2 aprile 2004, n. 6570; 19 marzo 2004, n. 5565; 28 luglio 2003, n. 11589; 16 maggio 2003, n. 7704). Questo stesso principio è stato applicato dalla giurisprudenza della Corte anche agli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali - con riguardo alla disciplina contenuta nell'art. 19 D.Lgs. n. 165 del 2001, sia nel testo originario, sia in quello modificato dall'art. 3 della L. n. 145 del 2002 - cui si è riconosciuta natura di determinazione assunta dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, esulandosi dall'ambito delle procedure concorsuali riservate al diritto pubblico (Cass. 20 marzo 2004, n. 5659), con la conseguenza di ricondurre le situazioni giuridiche dei dipendenti con qualifica dirigenziale di fronte al potere di conferimento al novero dei cd. interessi legittimi di diritto privato, ascrivibili pur sempre alla categoria dei diritti di cui all'art. 2907 c.c. (cfr. Cass., sez. un., 1 ottobre 2003, n. 14625; Cass. 21 maggio 2004, n. 9747). Tale principio rende manifesta l'infondatezza di tutte le censure del ricorso che, nell'articolazione dei diversi motivi, assumono a presupposto l'applicabilità di regole e principi propri degli atti amministrativi e dell'azione di diritto pubblico dell'amministrazione, sia nel denunciare violazioni di legge, sia nel prospettare vizi di indagine, dovendo farsi applicazione della regola di giudizio secondo cui la conformità a legge del comportamento dell'amministrazione deve valutarsi secondo gli stessi parametri che valgono per i privati datori di lavoro" (Cass. civ., sez. lav., 22.12.2004, n. 23760; Cass. civ., sez. lav., 30.9.2009, n. 20979). Ne consegue che, poiché la soppressione dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi costituisce un atto dovuto, è del tutto irrilevante se essa sia avvenuta o meno nel rispetto delle modalità procedurali previste dalla Regione. Infatti, trattandosi di atto di diritto privato, non può trovare applicazione, come affermato dalla giurisprudenza citata, il vizio di violazione procedimentale proprio degli atti amministrativi, né è ravvisabile alcuna violazione del principio della buona fede e correttezza, in quanto la soppressione dell'incarico costituiva, in ogni caso, un atto dovuto. Deve essere infine rilevato che la trasformazione dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi in Unità Operativa Semplice è avvenuta direttamente ad opera della deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 2122 del 19.11.2013, con la quale è stato deciso: "1. di approvare gli indirizzi e i criteri, così come descritti nell'Allegato A quale parte integrante ed essenziale del presente atto, che costituiscono lo schema di riferimento per: - l'assetto territoriale che ciascuna Azienda (...) dovrà implementare nel proprio ambito di riferimento, anche coerentemente a quanto previsto nel Provv. n. 975 del 18 giugno 2013 ad oggetto "Organizzazione delle Aziende (...) e ospedaliere. Linee guida per la predisposizione del nuovo atto aziendale, per l'organizzazione del Dipartimento di prevenzione e per l'organizzazione del Distretto socio sanitario (D.Lgs. n. 502 del 1992 art.3, comma 1/bis e art. 7/bis, comma 1 e successive modifiche e integrazioni - L.R. n. 23 del 2012)"; - l'organizzazione delle reti ospedaliere e del modello organizzativo di integrazione tra Ospedale e Territorio; 2. di recepire le variazioni ed integrazioni alle schede di dotazione delle rete ospedaliera approvate dalla Quinta Commissione consiliare con il parere n. 386 espresso nella seduta del 26.9.2013, così come riportate nell'Allegato B, parte integrante del presente atto, con le specificazioni indicate in premessa; 3. di approvare, per le motivazioni e secondo le modalità espresse in premessa, le schede di dotazione ospedaliera, sia delle strutture pubbliche sia degli erogatori privati accreditati, di cui all'Allegato C del presente atto quale parte integrante ed essenziale dello stesso, che individuano la qualifica di ciascun ospedale all'interno della rete ed adeguano la dotazione, di cui alla L.R. n. 39 del 1993, alle disposizioni previste dalla L.R. n. 23 del 2012 e s.m.i.; (...) 11. di disporre che, al fine di dare attuazione agli indirizzi previsti dal presente provvedimento, i Direttori Generali delle Aziende (...), dell'Azienda (...), dell'Azienda (...) e dell'IRCCS "Istituto Oncologico Veneto" formulino un proprio Piano aziendale, indicando per ciascuno degli anni del biennio di riferimento (2014-2015) gli obiettivi e le azioni da porre in essere per l'adeguamento della dotazione assistenziale, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio. Nello specifico i Piani delle Aziende (...) dovranno prevedere l'adeguamento della dotazione ospedaliera, ivi compresa quella degli erogatori ospedalieri privati accreditati, e territoriale coerentemente con quanto di seguito disposto: - l'attivazione dei posti letto per l'assistenza territoriale deve essere contestuale alla riduzione dei posti letto ospedalieri; - l'esplicitazione dei modelli organizzativi a garanzia della copertura assistenziale nell'arco delle 24 ore, per 7 giorni su 7 (integrazione con la Medicina di Gruppo Integrata o contiguità con reparti ospedalieri); 12. di disporre che i piani aziendali, di cui al punto 11., dovranno essere trasmessi alla Giunta Regionale, per il visto di congruità di cui all'art. 6, comma 3, della L.R. n. 56 del 1994 ed all'art. 39 della L.R. n. 55 del 1994, entro 90 giorni dalla data di pubblicazione della presente deliberazione". La deliberazione della Giunta Regionale ha approvato al punto 1. gli "indirizzi" di cui all'Allegato A, i quali, per la loro attuazione, necessitano dell'elaborazione del Piano Aziendale da parte di ciascuna (...). Viceversa, ai punti 2. e 3., sono state approvate le schede di dotazione ospedaliera di cui agli allegati B e C, le quali sono immediatamente efficaci (viene, infatti, disposto che esse "adeguano la dotazione, di cui alla L.R. n. 39 del 1993, alle disposizioni previste dalla L.R. n. 23 del 2012 e s.m.i."), in quanto esse non dettano semplicemente criteri ed indirizzi da attuare, ma contengono disposizioni immediatamente applicabili e vincolanti (numero dei posti letto, qualificazione e dislocazione dei reparti, ecc. ..). Peraltro, anche a voler aderire alla tesi del ricorrente secondo cui le schede di dotazione ospedaliera non sarebbero immediatamente efficaci, la mancata proroga dell'incarico di Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi risulterebbe ugualmente giustificata in considerazione della ristrutturazione aziendale in atto e dell'imminente approvazione del nuovo Piano Aziendale, tenuto a recepire la soppressione dell'Unità Operativa Complessa di Laboratorio Analisi già disposta con Deliberazione della Giunta regionale n. 2122/2013. In ragione delle suesposte considerazioni, che assorbono ogni ulteriore motivo di ricorso, la domanda di parte ricorrente non può essere accolta. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in ragione della natura e del valore della causa (indeterminato, riferibile allo scaglione fino a 26.000,00) nonché dell'attività difensiva svolta (fase di studio, fase introduttiva, fase di trattazione, fase decisionale), in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Tribunale di Verona in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria e diversa domanda ed eccezione respinta 1) rigetta il ricorso; 2) condanna il ricorrente al rimborso delle spese di lite in favore della resistente che liquida in Euro 5.131,00 per compensi professionali, oltre al 15% dei compensi per spese forfetarie oltre IVA e CPA come per legge. Così deciso in Verona il 6 febbraio 2018. Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2018.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.