Sentenze recenti Tribunale Vibo Valentia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA SEZIONE CIVILE Il Tribunale , in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario di Tribunale, Avv. Loredana Surace, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. R.G. 2288/2012, avente ad oggetto: Risarcimento danni Promossada: (...) - (...) -, e (...) - (...) -, entrambi rappresentati e difesi dall'Avv. Gi.Pu. ed elettivamente domiciliati presso e nello studio dello stesso in Vibo Valentia alla via (...), giusta procura a margine dell'atto di citazione, - ATTORI - Contro : AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VIBO VALENTIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Al. ed elettivamente domiciliata presso e nello studio dello stesso in Vibo Valentia alla via (...), in virtù di procura in calce alla copia notificata dell'atto di citazione, giusta deliberazione del Commissario Straordinario, con i poteri della Giunta Provinciale n. 91 del 13 marzo 2013, - CONVENUTA - IN FATTO ED IN DIRITTO 1. - Con atto di citazione notificato in data 4 gennaio 2013 i signori (...) e (...) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Vibo Valentia, l'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro tempore, per ivi sentirlo condannare, previo accertamento della responsabilità dello stesso nella causazione del sinistro per cui è causa - verificatosi sulla Strada Provinciale Porto Salvo - Vibo Valentia, direzione Vibo Valentia, in prossimità dell'abitato di Triparni, in data 20 aprile 2004, a motivo della presenza di terriccio e materiale vario sulla sede stradale, dovuto a lavori di risistemazione della scarpata adiacente al margine della strada -, al risarcimento di tutti i danni arrecati e quantificati in Euro 10.000,00 per danni materiali subiti dall'autovettura Volkswagen Golf targata (...) di proprietà di (...) e condotta da (...), ed Euro 100.000,00 per danni alla persona da quest'ultimo subiti, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria al soddisfo, e con condanna alle spese di giudizio. 1.1. - L'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi in giudizio con comparsa dell'8 aprile 2013, chiedeva, in via preliminare, accogliersi l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2947 codice civile; nel merito, chiedeva rigettarsi la domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto, con vittoria delle spese dio giudizio, ed in subordine, ridursi notevolmente il quantum richiesto. Con compensazione delle spese e competenze di giudizio. 1.2. - La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale, prove testimoniali (teste (...) e (...), entrambi escussi all'udienza del 31 ottobre 2014 e teste (...) escusso all'udienza del 16 settembre 2016 ), e Consulenza medico - legale affidata al dott. (...), specialista in medicina legale e delle assicurazioni, ed infine, sulle conclusioni rassegnate dalle parti costituite, la causa, dopo numerosi rinvii, veniva trattenuta in decisione dall'odierno Giudicante all'udienza del 25 novembre 2022 con concessione dei termini di legge. 2. - In via preliminare, deve respingersi l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni ex art. 2947 comma 1 codice civile, sollevata dalla convenuta, poiché il diritto al risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito, si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato, e poiché sono state inviate all'indirizzo della Compagnia Assicuratrice lettere raccomandate A/R in data 18 giugno 2004 (ricevuta il 21 giugno 2004) ed in data 12 giugno 2009 (ricevuta il 15 giugno 2009), i termini prescrizionali risultano essere stati interrotti. 3. - Nel merito, la domanda promossa dai coniugi (...) e (...), e'fondata e merita accoglimento, per quanto di seguito esposto. 3.1. - In ordine alla domanda spiegata nei confronti dell'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, ricorrono preliminarmente le condizioni di legittimazione di tale Ente, poiché, essendosi verificato l'accaduto sulla strada provinciale di collegamento Porto Salvo - Vibo Valentia, direzione Vibo Valentia, sull'Ente proprietario gravano gli obblighi di manutenzione e di segnalazione di eventuali pericoli presenti sulle strade destinate al traffico veicolare. 3.2. - Per quel che concerne, poi, le modalità di verificazione del sinistro, secondo quanto prospettato nell'atto introduttivo del presente giudizio, l'incidente occorso a (...) sarebbe stato causato dalla presenza, sulla sede stradale e sulla propria corsia di percorrenza, di terriccio e materiale vario, non segnalato, dovuto a lavori, non ancora terminati, di sistemazione della scarpata adiacente al margine stradale. 3.3.- La presenza del terriccio è stata rilevata dalle Autorità intervenute sui luoghi oggetto di causa, poiché, nel verbale redatto dai Vigili del Fuoco di Vibo Valentia (rapporto n. 19418 del 20.04.2004, allegato al fascicolo attoreo), si legge che l'auto condotta dall'attore " .. a causa della ghiaia portata sul manto stradale dalle piogge copiose che nel mentre si abbattevano sulla zona, sbandava ... ed impattava... su un muro di cemento armato, distruggendo la parte anteriore della vettura" 3.4. - Dalle dichiarazioni rese dai testi escussi, testimoni oculari del sinistro occorso all'attore, poiché entrambi percorrevano la stessa strada, direzione Vibo Valentia, è emerso che il conducente ha perso il controllo dell'autovettura, che è sbandata, andando ad impattare contro il muretto di protezione posto sul lato destro della carreggiata, poiché, a causa dei lavori, non segnalati, di sistemazione della scarpata, vi era la presenza, sulla sede stradale, di terriccio, detriti, fango ed altro materiale; concordemente, poi, hanno dichiarato che all'epoca non era presente alcun segnale che indicasse i limiti di velocità o l'obbligo di rallentare in presenza del centro abitato. Il conducente l'autovettura incidentata ha riportato lesioni personali, che hanno reso necessario l'immediato trasporto presso il Pronto Soccorso della locale struttura ospedaliera (teste (...)) 4. - Acquisiti processualmente i fatti, le dichiarazioni rese dai testi, - non smentite da altre contrarie emergenze processuali -, corroborate dagli altri mezzi di prova documentali, possono considerarsi sufficienti per affermare che la responsabilità dell'accaduto sia riferibile all'Ente proprietario e gestore dell'area, non essendo stato dimostrato dall'Amministrazione convenuta il caso fortuito, quindi la presenza di eventuali fattori esterni sopravvenuti , imprevedibili , inevitabili anche con l'ordinaria diligenza, ed esimenti la responsabilità dell'Ente convenuto. ( Cass. n. 2459/09) Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito, è configurabile una responsabilità per colpa presunta ex art. 2051 c.c. in capo alla Pubblica Amministrazione, per i danni subiti dagli utenti, a causa dell'insufficiente o omessa manutenzione e custodia delle strade o degli spazi destinati al transito, di proprietà della stessa. Il dovere di custodia, in particolare, si concretizza nell'attività di vigilanza di colui che abbia sulle cose oggetto di custodia, un potere diretto e non occasionale - c.d. potere di governo - , e che in virtù di tale potere debba agire e provvedere affinché la cosa non arrechi pregiudizio a terzi: ciò si traduce in un preciso obbligo giuridico. 4.1. - In termini processuali, la responsabilità ex art. 2051 c.c. della Pubblica Amministrazione, per i danni arrecati a terzi, a causa dell'omesso controllo sulle modalità di uso e conservazione delle cose oggetto di custodia, applicabile anche in relazione ai beni demaniali destinati all'uso pubblico, implica una posizione più favorevole per il danneggiato, in quanto sarà sufficiente, allo stesso, dimostrare l'esistenza del danno e del nesso causale intercorrente con il bene oggetto di custodia , mentre sarà a carico dell'Ente proprietario dimostrare che la situazione di pericolo sia imputabile a terzi o al caso fortuito, e che sia tale da escludere il nesso eziologico di determinazione del danno. (Cass. Civ. Sez. III 13 gennaio 2015 n. 295 e Cass. Civ. Sez. IV - 3, ordinanza 5 settembre 2016 n. 17625); 4.2. - Nel caso di che trattasi, la presenza di terriccio, detriti e fango su un tratto di strada di competenza dell'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia per lavori in corso di esecuzione, senza che fossero state adottate tutte le misure tecniche e le precauzioni atte ad evitare il prodursi della situazione di pericolo, e l'assenza di cartelli che segnalassero i lavori in corso, rappresentano di per se il nesso causale tra il danno patito dagli attori e la cattiva manutenzione, ovvero la cattiva custodia e sorveglianza sul bene, che il proprietario della strada avrebbe dovuto esercitare, essendo in ogni caso responsabile per i danni arrecati a cose e persone, ai sensi dell'art. 2051 c.c. (Cass. Civ., 19.02.2013, n. 4039); 5.- Sulla base di tali valutazioni, provato il nesso eziologico esistente tra la cosa in custodia ed il danno cagionato agli attori, non vi e'ragione di respingere la domanda di risarcimento promossa dai danneggiati nei confronti dell'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia. 6. - In merito alla richiesta di risarcimento del danno subito dall'autovettura Volkswagen Golf gli attori hanno dimostrato, producendo in giudizio un preventivo rilasciato in data 13 maggio 2004 dalla "(...)", con sede in V. M. alla via A. V., che il danno subito dall'auto di proprietà della signora (...) è pari ad Euro 9.418,86 (oltre IVA) e che la riparazione, tuttavia, era da considerarsi antieconomica, come ribadito anche dal teste escusso, (...), che ha provveduto personalmente a quantificare i danni riscontati sull'auto incidentata, elaborando il preventivo allegato, se pur recante il timbro del titolare dell'autocarrozzeria, dopo averla trasportata con l'utilizzo di un carro attrezzi, presso l'autofficina nella quale lavorava. 6.1. - Detto preventivo può essere considerato una prova sufficiente ai fini della quantificazione dei danni subiti dall'autovettura condotta da (...), poiché, oltre ad essere stato confermato dal teste escusso, è comprensivo del listino prezzi, aggiornato al 2 gennaio 2013, relativo ai pezzi di ricambio del veicolo e contiene anche l'indicazione delle ore necessarie ad effettuare ogni singolo intervento sulle parti da sostituire (Cass. Civ., sentenza n. 26693/2013) 6.2. - Deve, pertanto, riconoscersi che la signora (...), proprietaria dell'autovettura Volkswagen Golf , ha diritto alla corresponsione dell'importo di Euro 9.418,86 come da preventivo, per i danni subiti dal mezzo condotto da (...), oltre interessi legali maturati su detto importo dal verificarsi del sinistro al soddisfo. 7. - Infine, per quel che concerne il danno alla salute, l'accertamento e la quantificazione dello stesso è stato affidato al dott. (...), il quale, dopo aver accertato il nesso di causalità tra le lesioni subite e l'evento di danno, considerando le prime riconducibili al secondo, perché compatibili con la dinamica del sinistro, ha rilevato l'esistenza di postumi invalidanti, residuando, nell'attore, esiti algo - disfunzionali della caviglia destra, valutati nella misura del 6% sotto il profilo del danno biologico, mentre ha determinato in giorni 57 l'inabilità temporanea assoluta ed in giorni 70 l'inabilità temporanea parziale al 50%. Ha riconosciuto congrue le spese sostenute, pari ad Euro 781,81. 7.1. - In ordine all'esatta determinazione dell'entità del risarcimento, che deve essere disposta con riferimento al momento di precisazione del quantum debeatur, si è ritenuto corretto applicare le tabelle del Tribunale di Milano, e non le quantificazioni del danno contenute nell'art. 139 del Codice delle assicurazioni private , non applicabili ratione materia, poiché tale articolo si riferisce espressamente ai danni derivanti dalla circolazione dei veicoli ( Cass. Civ. Sez III, 7 giugno 2011 n. 12408): peraltro, le tabelle del Tribunale di Milano sono state consacrate dalla Cassazione Civile , con la sentenza n. 12408/2011, come le più idonee ad assicurare equità tra i parametri di valutazione esistenti presso i vari Tribunali, a salvaguardia del più generale principio di uguaglianza e di uniformità di giudizio. " La liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico - fisica, presuppone l'adozione, da parte di tutti i giudici di merito, di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del Codice delle Assicurazioni Private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e natanti ), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto" ( Cass. 12408/2011). 7.2. - Il calcolo effettuato sulla base della tabella milanese, deve essere così determinato: - quanto ad Euro 9.108,00 per danno non patrimoniale (punto danno non patrimoniale Euro 2.060,38 decurtato in base all'età) a cui deve applicarsi la personalizzazione massima nella misura del 50% del danno biologico, e quindi pari ad Euro 15.231,00 - quanto ad Euro 5.643,00 per I.T.T. ( punto base I.T.T. Euro 99,00) - quanto ad Euro 3.465,00 per I.T.P. Per un totale di Euro 24.339,00 oltre Euro 781,81 per spese sostenute 7.3. - Si è ritenuto di dover applicare la personalizzazione massima del danno biologico, poiché il Perito ha valutato il trauma patito dall'attore di sensibile entità, sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista medico - legale, riscontrando, nell'infortunato, una limitazione di circa un terzo nella flessoestensione, a destra, del movimento dell'articolazione tibiotarsica, ed, all'esame obiettivo, una modica zoppia nella deambulazione a passo rapido ed un appoggio difficoltoso del piede destro (Perizia medico - legale depositata in data 24 ottobre 2015) L'entità del trauma subito e la prova, riscontrata all'esame obiettivo, come rilevato dal Consulente, che il danno abbia potuto causare una sofferenza psico - fisica, in considerazione dell'importanza delle lesioni, del periodo di ospedalizzazione e dei trattamenti riabilitativi che si sono protratti per mesi, nonché dell'età dell'infortunato (venticinquenne all'epoca del verificarsi dei fatti di causa), rappresentano quelle "circostanze peculiari al caso concreto, che valgono a superare le conseguenze ordinarie già compensate dalla liquidazione forfettizzata tabellare ... e che sono tali da giustificare una personalizzazione in aumento del risarcimento richiesto" (Cass. Civ., sentenza n. 14364 del 27 maggio 2019) 8. - Sul danno liquidato in moneta attuale, e comprendente sia il capitale dovuto a titolo di risarcimento, sia la rivalutazione di tale somma, calcolata dalla data del sinistro fino a quella della pubblicazione della sentenza, dovranno essere liquidati anche gli interessi legali, - rappresentando gli stessi il mancato godimento delle utilità che il bene stesso avrebbe potuto offrire, se fosse stato immediatamente risarcito con una somma di denaro equivalente - , con riferimento alla data di verificazione del sinistro e fino alla data di pubblicazione della sentenza; 8.1. - Dalla data di pubblicazione della sentenza, invece, convertendosi il credito complessivo in valuta, sono dovuti gli interessi legali sull'intera somma sino al soddisfo. 9. - Le spese processuali seguono la soccombenza ed in applicazione dei parametri forensi in materia civile sulla base del D.M. n. 55 del 2014 e ss., tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta dalle parti, le stesse devono essere liquidate, nei valori medi, e secondo lo scaglione considerato, in favore degli attori, in solido, come in dispositivo, oltre rimborso forfettario come per legge, IVA e C.P.A.. 10. - Le spese della consulenza medico - legale devono essere poste a carico di tutte le parti coinvolte,in solido, essendo lo stesso un ausiliario del giudice (Cass. Civ., ordinanza del 20 ottobre 2021 n. 29127). P.Q.M. Il Tribunale di Vibo Valentia, in persona del Giudice Onorario, Avv. Loredana Surace, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) e (...) nei confronti dell'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro tempore, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: a) Dichiara che l'Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro tempore, e'responsabile della causazione del sinistro per cui e'causa, per quanto indicato in parte motiva; b) Per l'effetto, condanna l'Amministrazione convenuta per le causali di cui in parte motiva, al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 9.418,86 per i danni subiti al proprio automezzo oltre interessi legali al soddisfo ed Euro 25.120,81 in favore di (...) per danni alla persona dallo stesso subiti, oltre interessi legali al soddisfo ; c) Condanna, altresì, l'Ente convenuto al pagamento delle spese processuali, in favore delle parti, in solido, nella misura di Euro 668,00 per spese ed Euro 7.616,00 per compensi oltre rimborso forfettario come per legge, IVA e C.P.A.; d) Pone le spese della C.T.U. a carico di tutte le parti in solido. Così deciso in Vibo Valentia il 18 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA Sezione Civile Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario di Tribunale, Dott.ssa Annamaria Fortuna, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. R.G. 1792/2015 avente ad oggetto: altri rapporti condominiali promossa da: (...), nato a (...) 26.10,1948 i residenti in (...) (...) e dall'Avv. (...) rappresentati e difesi dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso e nello studio degli stessi in (VV) alla via (...) in virtu' di procura in calce dell'atto di citazione, - ATTORE - Contro: (...) e residente a Nicotera via (...) rappresentato e difeso dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Nicotera via (...), - CONVENUTO - All'udienza del 5.12.2022 le parti precisavano a verbale le proprie conclusioni, da aversi qui per integralmente riportate e trascritte, e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Con atto di citazione ,del 30.11.2015 (...) ,proprietario dell'unità immobiliare sita in Rombiolo ed identificata in catasto al foglio (...) particella (...)-sub 4-2 ,conveniva in giudizio il signor (...) proprietario dell'unità immobiliare identificata al foglio (...) part 1361 sub 1-3 ubicata all'interno della stessa struttura in via (...), per sentirlo condannare alla rifusione della quota parte delle spese sostenute per i lavori di manutenzione straordinaria ed di manutenzione straordinaria e urgente, effettuati sull'immobile di proprietà comune alle parti in causa. Si costituiva il signor (...) il quale contestava la carenza dei presupposti affinché' l'attore effettuasse i lavori sulla parte di proprietà esclusiva per assenza del titolo autorizzativo, inoltre contestava la sussistenza dell'asserita urgenza per la realizzazione dei lavori stessi. In subordine il convenuto contestava il quantum domandato sia in ragione della maggiore proprietà dell'attore che per la detrazione fiscale di cui il medesimo attore ha beneficiato. La causa veniva istruita a mezzo prove documentali e CTU e all'udienza del 5.12.2022 veniva trattenuta in decisione con i termini 190 cpc Motivi della decisione La domanda è inammissibile e va rigettata Costituisce circostanza pacifica che il fabbricato oggetto degli interventi edilizi è di proprietà comune alle parti in causa, tra l'altro fratelli, siamo quindi in presenza del c.d. Condominio minimo. In costanza del condominio minimo è necessaria la presenza e la partecipazione di entrambi i condomini all'assemblea e soprattutto la decisione in caso di manutenzione straordinaria deve essere presa all'unanimità In caso di decisione contrastante o in caso di presenza di un solo condominio alla decisione è necessario adire l'autorità giudiziaria affinché quest'ultima si sostituisca alla volontà delle parti nella decisione. La normativa sul punto è chiara nel subordinare la legittimità dell'intervento del singolo condominio al carattere dell'urgenza escludendola in tutti quei casi in cui i tempi di esecuzione dell'opera siano compatibili con l'obbligo di chiedere la preventiva autorizzazione e la prova dell'urgenza per pacifica giurisprudenza da parte dell'attore deve essere rigorosa. La Cassazione ricorda che le spese condominiali urgenti vanno individuati in modo molto restrittivo essendo solo quelle eseguite in presenza di una situazione tale da non consentire neppure la minima dilazione necessaria per consentire al condominio di deliberarli o per ottenere l'autorizzazione dell'amministratore. Infatti nella fattispecie non opera la disposizione dettata in tema di comunione in generale dell'art. 1110 c.c. secondo cui il rimborso delle spese per la conservazione e 'subordinato solamente alla trascuratezza degli altri comproprietari perché', mentre nella comunione i beni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento possono decidere personalmente alla loro conservazione, nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggiore rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. L'accertamento dell'urgenza, come tutti gli accertamenti dei fatti di causa, compete al giudice di merito e nel caso di specie l'urgenza è smentita non solo dai documenti depositati in atti ma anche dalla documentazione fotografica allegata alla relazione del CTU nessuna urgenza è ravvisabile pertanto in assenza di effettiva urgenza, il signor (...) per i lavori eseguiti non può pretendere di essere rimborsato. Le spese di lite seguono la soccombenza. Le spese della CTU sono poste a carico di parte attrice PQM Il Tribunale di Vibo Valentia in composizione monocratica definitivamente pronunciando sulla causa civile n 1792/2015 RG così provvede: Rigetta tutte le domande spiegate da (...) nei confronti di (...) Condanna l'attore al pagamento delle spese di lite a favore di (...) che liquida in complessive euro 2.430 oltre spese iva e cap. come per legge. Pone le spese di CTU come liquidate in corso di causa a carico di parte attrice. Così deciso in Vibo Valentia il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA SEZIONE ORDINARIA In persona del giudice unico, d.ssa Gaia Calafiore, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 275 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2014, posta in decisione all'udienza del 4 ottobre 2022 e vertente TRA (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall' avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Vibo Valentia, alla via (...), giusta procura in calce all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo; opponente E (...) s.p.a (già (...) Soc. Coop.va e già (...) s.p.a., (PIVA (...)), in persona del legale rappresentante p.t, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Vibo Valentia, alla via (...), come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta opposta Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo; CONCLUSIONI All'udienza del 4.10.2022, tenutasi secondo le modalità di cui all'art. 221, co.4, l. 77/2020, i difensori delle parti concludevano come da verbale in atti. FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione (...), in qualità di garante, ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 478/1023 del Tribunale di Vibo Valentia che l'ha condannata al pagamento dell'importo di Euro 83.3939,70, in favore della (...) S.p.a., in forza del contratto di affidamento n. 5127906, stipulato in data 31.08.2007 con la F.lli (...) s.r.l. A tal fine ha eccepito, in via preliminare, l'improcedibilità della domanda per mancata attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria; nel merito ha dedotto l'illegittima capitalizzazione degli interessi e la nullità della relativa clausola, la mancata prova del credito vantato dall'opposta nei confronti del debitore principale, l'estinzione della fideiussione ex art. 1955 c.c., la liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c. e la violazione dell'obbligo di buona fede contrattuale. 2. Si è costituita in giudizio la (...), contestando in fatto e in diritto l'avversa domanda. In particolare ha dedotto l'inopponibilità delle eccezioni sollevate dall'opponente, in ragione della natura di contratto autonomo della garanzia sottoscritta dallo stesso. 3. Accolta l'istanza di provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, assegnati i termini per il tentativo di mediazione ai sensi dell'art.5, comma 1 bis, del D.Lgs.28 del 2010, la causa era rinviata all'udienza del 16.12.2014, in cui il Giudice in precedenza titolare del ruolo, dato atto della mancata attivazione del procedimento di mediazione e della richiesta di entrambe le parti di rinvio per la precisazione delle conclusioni, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 21.09.2015, rigettata la richiesta di concessione dei termini ex art. 183, co. VI c.p.c., formulata dall'opponente poiché tardiva, la causa era ulteriormente rinviata per la precisazione delle conclusioni. Divenuto assegnatario del fascicolo con provvedimento del Presidente del Tribunale n. 3039 del 24.11.2020, questo giudice all'esito dell'udienza del 4.10.2022, tenutasi secondo le modalità di cui all'art. 221, co. 4, l. 77/2020 ha trattenuto la causa in decisione assegnando alle parti i termini ex art 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Nelle comparse conclusionali, parte opponente ha insistito in via preliminare per l'eccepita improcedibilità della domanda e nel merito si è riportata a tutto quanto già dedotto nell'atto di citazione. L'opposta ha ribadito tutto le deduzioni svolte nella comparsa di costituzione, contestando la richiesta di improcedibilità della domanda avanzata dall'opponente, atteso che il contratto oggetto di causa non rientrerebbe tra i "contratti bancari" per i quali è previsto l'obbligo di mediazione. 4. Ebbene, l eccezione di improcedibilita della domanda per omessa attivazione del procedimento di mediazione ai sensi dell'art.5, comma 1 bis, del D.Lgs.28 del 2010 è infondata. Invero, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità "In tema di mediazione obbligatoria, le controversie relative ai contratti di fideiussione stipulati in favore del cliente di una banca sono escluse dall'ambito applicativo dell'art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, poiché tale norma prevede l'esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per le liti riguardanti i contratti bancari e finanziari, rinviando alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel T.U.B. (D.Lgs. n. 385/1993) e alla contrattualistica relativa agli strumenti finanziari disciplinata dal T.U.F. (D.Lgs. n. 58/1998), senza comprendere la fideiussione, che non costituisce un contratto bancario tipico (cfr. Cassazione civile n.31209/2022). In senso analogo si è espressa anche la giurisprudenza di merito secondo cui la fideiussione, anche se stipulata con una banca, non è propriamente riconducibile ad un contratto bancario ai sensi del testo unico bancario. Invero, per controversia in materia di contratti bancari deve intendersi quella che verta su uno dei contratti tipicamente bancari e non anche quella che possa qualificarsi in tali termini per la sola qualità soggettiva di una delle parti (come nel caso della fideiussione) (cfr. Trib. Milano, sent. n. 5253 del 13.06.2022; Trib. Verona ord. del 22.10.2020). Si ritiene, inoltre, che l'opposto indirizzo sviluppatosi tra la giurisprudenza di merito - seppur non condivisibile - non possa comunque trovare applicazione al caso di specie, in cui, come vedremo il contratto stipulato tra le parti è qualificabile come contratto autonomo di garanzia. Secondo tale orientamento giurisprudenziale, infatti, l'obbligo di mediazione troverebbe applicazione anche nel caso di giudizio promosso dal fideiussore, in ragione della natura accessoria di tale garanzia rispetto all'obbligazione principale per cui sarebbe discriminatorio applicare una regolare processuale differente a seconda che ad agire sia il debitore principale o il garante (cfr. Trib. Nocera Inferiore, sent. n. 419 del 28.03.2019). Ebbene, l'obbligatorietà della mediazione secondo l'indirizzo da ultimo citato non potrebbe giustificarsi in un contratto autonomo di garanzia, in cui manca l'accessorietà dell'obbligazione di garanzia rispetto a quella principale. 5. Nel merito l'opposizione è infondata per i motivi di seguito esposti. Come emerge dalla documentazione in atti e neppure specificatamente contestato dall'opponente, la sig. (...) ha sottoscritto un contratto di fideiussione in cui si prevede: a) la dispensa del creditore dall'onere di agire entro i termini di cui all'art. 1957 c.c. (art. 6); b) l'obbligo dei fideiussori di pagare immediatamente alla Banca a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione al debitore principale (art. 7); c) la deroga all'art. 1939 c.c. (art. 8) con conseguente validità della fideiussione anche in caso di dichiarazione di invalidità parziale o totale dell'obbligazione principale; d) la rinuncia ad opporre al creditore le eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore in deroga all'art. 1945 c.c. (art. 9); e) la rinuncia ad esercitare il diritto di regresso o di surroga nei confronti del debitore principale, in deroga agli artt. 1949 e 1950 c.c. (art. 10). Ebbene, l'inserimento in un contratto di fideiussione di clausole del tenore di quelle richiamate è idonea a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, n. 3947/2010; n. 4717/2019). Al riguardo la Corte di Cassazione afferma: "A differenza del contratto di fideiussione, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale altrui, tutelando l'interesse all'esatto adempimento della relativa prestazione, il contratto autonomo di garanzia (cosiddetto "Garantievertrag") ha la funzione di tenere indenne, mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, avendo come causa concreta quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla detta mancata esecuzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva reputato gli indicatori formali - quale la denominazione "di appendice" delle relative pattuizioni - non idonei a contrastare il carattere di autonomia della garanzia prestata, direttamente desumibile dalla clausola "a prima richiesta e senza eccezioni") (cfr. Cassazione n. 30181/2018). Il garante, quindi, cui sia richiesto il pagamento può eccepire esclusivamente la natura fraudolenta o abusiva della richiesta di escussione, con onere di provare l'avvenuto adempimento da parte del debitore (cfr. Cassazione n. 29215/08; n. 31956/2018; n. 16345/2018). Secondo costante orientamento giurisprudenziale, infatti, l'exceptio doli generalis seu praesentis, da intendersi come limite funzionale all'operatività della garanzia autonoma, rappresentato dall'abuso del diritto da parte del beneficiario, che si verifica qualora la richiesta appaia fraudolenta e con esclusione della buona fede del beneficiario, richiede, come presupposto di fondatezza dell'eccezione stessa, che sia evidente, certo e incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell'obbligazione principale o per altra causa, ovvero l'inesistenza del rapporto garantito (cfr. Cassazione n.917/1999, n. 3964/1999, n. 10864/1999, n. 5997/2006, n. 26262/2007, n. 10652/2008, n. 5526/2012, n. 15216/2012). Peraltro, "l'abusività della richiesta di garanzia ai fini dell'accoglimento dell'"exceptio doli" deve risultare "prima facie" o comunque da una prova c.d. liquida, cioè di pronta soluzione che il garante è tenuto a fornire mentre non possono essere addotte a suo fondamento circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di eccezione di merito opponibile dal debitore garantito al creditore beneficiario della garanzia, in ragione dell'inopponibilità da parte del garante di eccezioni di merito proprie del rapporto principale." (cfr. Cassazione n. 30509/2019). Ebbene, nel caso di specie, le eccezioni sollevate dall'opponente non risultano fondate atteso che non solo non è provato ma, al contrario, sembrerebbe pacifico che l'adempimento da parte del debitore o del garante non vi sia stato, non potendosi, pertanto, ravvisare nella richiesta della Banca all'opponente garante, alcuna richiesta fraudolenta. Peraltro, quanto alla dedotta estinzione della fideiussione per fatto del creditore ex art. 1955 c.c. è noto che affinché si verifichi la liberazione del fideiussore occorre che il creditore abbia, con il suo comportamento, causato al garante un pregiudizio giuridico e non soltanto economico, vale a dire la perdita del diritto di surrogazione ex art. 1949 o di regresso ex art. 1950 (cfr. Cassazione n. 21833/2017; n. 2301/2004) e non una maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore (cfr. Cassazione n. 4175/2020; n. 9634/2003; n. 4444/2002; n. 3161/1997). Il fatto del creditore, rilevante ai sensi dell'art. 1955, deve consistere, pertanto, in un fatto quanto meno colposo o comunque illecito (cfr. Cassazione n. 4175/2020; n. 21833/2017) che abbia sottratto al fideiussore concrete possibilità esistenti nella sfera del creditore al tempo della garanzia, che gli avrebbero consentito l'attuazione dell'obbligazione garantita. Ebbene, nel caso di specie, si ritiene insussistente tale tipo di pregiudizio, peraltro neppure allegato dall'opponente che, al contrario, si è limitata a dedurre la mancata richiesta di preventiva autorizzazione (ex art.1956 c.c.) ai fideiussori a fronte dell'aggravamento delle condizioni economiche della società - debitrice principale -e la possibile maggiore difficoltà nell'esercizio di tale diritto di surroga che, in ogni caso, come detto, non è di per sé sufficiente ai fini della sua liberazione. Senza contare, peraltro, che l'opponente, con la sottoscrizione della garanzia ha espressamente rinunciato ad esercitare il diritto di regresso o di surroga nei confronti del debitore principale, in deroga agli artt. 1949 e 1950 c.c. (art. 10). Quanto invece alla dedotta estinzione della garanzia ai sensi dell'art. 1956 c.c., la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che vi possono essere dei casi, come quello in esame, in cui la richiesta di autorizzazione ex art. 1956 c.c. non è necessaria poiché può essere ritenuta implicitamente o tacitamente concessa dal fideiussore nei casi in cui, ad esempio, questi abbia perfetta conoscenza della situazione patrimoniale del debitore garantito (cfr. tra tutte Cassazione n. 4112/2016). Ebbene, nel caso di specie, l'opponente in qualità di garante e socio della società F.lli (...) s.r.l. era perfettamente al corrente della situazione economica del debitore e dell'aggravamento di tale situazione potendo, quindi, intervenire al fine di impedire eventi pregiudizievoli sia a sé che alla società, proprio in forza dei diritti spettanti ai soci di una società di capitali tra cui vi è quello di informarsi dell'attività sociale, mediante l'ispezione dei libri sociali (arg. ex art. 2422 c.c.) e l'esame dello stato patrimoniale (arg. ex art. 2424 c.c.) (cfr. anche Cassazione n. 8486/1995). In disparte la natura dei rapporti esistenti tra il garante e il debitore, preme comunque rilevare che l'opponente, in forza dell'art. 5 del contratto di garanzia sottoscritto con la Banca, era comunque obbligato a tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e, in particolare di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la Banca. Anche in forza di tale clausola, pertanto, può ragionevolmente presumersi che lo stesso fosse a conoscenza delle condizioni patrimoniali del debitore principale e sarebbe potuto intervenire. Pertanto, la qualifica di socio della società debitrice, al corrente dell'aggravata condizione economica e l'obbligo dallo stesso assunto con la stipula del contratto di garanzia, consentono di ritenere acquisito, seppur implicitamente, il consenso del garante e, pertanto, di escludere l'estinzione della garanzia ex art. 1956 c.c. Per tutto quanto sopra esposto, l'opposizione promossa da (...) è infondata e deve essere rigettata. 6. Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo ex D.M. 55/2014, così come modificato dal D.M. 147/2022 - applicabile al caso di specie, atteso che la liquidazione delle spese processuali interviene in un momento successivo alla sua entrata in vigore - tenuto conto del valore della causa e delle attività espletate, delle questioni fattuali e giuridiche affrontate e dell'ammissione al gratuito patrocinio di parte opponente. P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni diversa domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata: - Respinge l'opposizione al decreto ingiuntivo n. 478/2013, R.g.n. 1940/2013 emesso dal Tribunale di Vibo Valentia in data 10-12.12.2013, da intendersi definitivamente esecutivo; - Condanna il patrocinato (...) al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa abbiente (...) s.p.a (già (...) Soc. Coop.va e già (...) s.p.a.) nella misura di Euro 14.000,00 per compensi, oltre il 15% a titolo di spese generali, IVA e CPA come per legge; Si comunichi. Vibo Valentia, 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona del giudice istruttore dott.ssa Loredana Surace, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 917/2018 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, vertente tra (...) (c.f.: (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Fa.Mi., presso il cui studio in Messina alla via (...) è elettivamente domiciliato; attore contro A.I.I. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Va.Ca. e Ag.Ia., presso il cui studio in Roma alla via (...), è elettivamente domiciliata; convenuta nonché (...) S.p.A. (già (...) S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.Pr., presso il cui studio in Roma alla via (...) è elettivamente domiciliata, avente ad oggetto: azione di adempimento di contratto di assicurazione. IN FATTO ED IN DIRITTO 1. - (...) ha adito l'intestato Tribunale esponendo: - di essere assicurato con la (...) S.p.A. (ora (...) S.p.A.) per il rischio di furto della propria autovettura Fiat Panda targata (...); - di aver subìto il furto di tale veicolo, in data 11 maggio 2017 in Vibo Valentia alla via (...), incrocio via (...); - di avere inoltrato regolare denuncia presso la locale stazione dei Carabinieri, e di aver richiesto il pagamento dell'indennizzo alla Compagnia assicuratrice, per il tramite della convenuta agenzia di broker (...) s.r.l.; - che non era pervenuta alcuna proposta satisfattiva da parte dei convenuti. L'attore ha quindi chiesto che le convenute fossero condannate al pagamento della somma di Euro 13.957,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, o di quella differente somma che sarà ritenuta di giustizia, quale "risarcimento" per i danni materiali subiti a causa del furto della propria autovettura. Con vittoria delle spese di giudizio. 1.1. - (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, si è opposta alla domanda con memoria del 10 luglio 2018, rilevando: - l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria: - l'insussistenza del diritto al risarcimento del danno per la somma richiesta, prevedendo, il contratto assicurativo, una indennità con massimale pari ad Euro 12.000,00 e non potendo, la somma da indennizzare, essere superiore al valore del veicolo alla data del furto; - che il valore del veicolo alla data del furto, era pari ad Euro 8.400,00 e che tale somma è stata determinata in base alle quotazioni della rivista "(...)", dovendosi applicare anche lo "scoperto" e la franchigia previsti in polizza, pari al 10% del valore determinato. La compagnia convenuta ha pertanto chiesto, in via principale, e previa dichiarazione di improcedibilità della domanda, il rigetto della domanda attorea, e l'accertamento che, a termini di legge e di contratto, l'indennizzo a cui ha diritto l'assicurato è pari ad Euro 7.560,00. Con vittoria di spese di giudizio. 1.2. - Con memoria del 14 aprile 2022 si è costituita in giudizio la società (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, eccependo, in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva con conseguente richiesta di estromissione dal giudizio. In subordine, chiede rigettarsi le domande proposte perché infondate, ed in via ulteriormente subordinata chiede limitarsi la richiesta di indennizzo ad un importo non superiore ad Euro 7.560,00. 1.3. - La causa è stata istruita mediante produzione documentale, ed, avendo i procuratori delle parti, precisato le proprie conclusioni come da verbale in atti, la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 21 ottobre 2022. 2.- In via preliminare deve accogliersi l'eccezione di difetto di legittimazione passiva della società (...) S.r.l., poiché il contratto di assicurazione è intercorso tra l'attore e la C.(...) S.p.A., avendo, peraltro, la stessa, formulato ed inviato all'indirizzo dell'assicurato l'atto di transazione e quietanza, non firmato per accettazione dal B., ed essendo stata inviata alla medesima Compagnia assicuratrice, da parte della società di intermediazione (...) S.r.l., tutta la documentazione necessaria per la corretta gestione del sinistro: ciò rende evidente la diversa funzione ed il differente ruolo dei soggetti convenuti nel presente giudizio. 2.1. - Il broker assicurativo svolge, infatti, una funzione di intermediazione tra i propri clienti - ai quali propone la copertura assicurativa meglio corrispondente alle loro esigenze -, e le compagnie di assicurazioni - alle quali non è legato da alcun vincolo di esclusiva - , rimanendo, perciò, estraneo al rapporto contrattuale che si andrà a formalizzare. In ragione di ciò, attesa l'estraneità del broker assicurativo nella gestione del sinistro denunciato dall'attore, dovrà essere dichiarato, in accoglimento dell'eccezione formulata dal convenuto, il suo difetto di legittimazione passiva che, come rilevato in diverse occasioni dalla Suprema Corte (ex multis Cass. Civ. n. 2951/2016), può essere fatto valere in ogni stato e grado del giudizio e rilevato anche d'ufficio dal giudice. 3. - Ciò posto, tra le odierne parti in causa si controverte esclusivamente sulla misura dell'indennizzo dovuto all'attore in conseguenza dell'avverarsi dell'evento (furto del proprio veicolo), il cui rischio era stato assicurato presso la Compagnia di assicurazioni convenuta. 3.1. - Esaminando la documentazione depositata in giudizio dall'attore, si evince che lo stesso aveva sottoscritto con (...) S.p.A. (ora A. A. S.p.A.) una polizza assicurativa attraverso l'intermediazione del broker assicurativo (...) S.r.l. In base al certificato di assicurazione depositato, il valore assicurato in caso di furto era di Euro 12.000,00 con uno scoperto del 10%. L' art.17 delle condizioni generali di assicurazione prevede che " in caso di sinistro che causi la perdita totale del veicolo, l'indennizzo sarà determinato sulla base del valore commerciale dello stesso,desumibile dalla pubblicazione "(...)" con riferimento al mese in cui è accaduto il sinistro". L'articolo 1.4 della sezione 1 - garanzia incendio e furto - prevede che " in caso di sinistro totale o parziale la Società corrisponde all'Assicurato l'indennizzo con deduzione del danno indennizzabile del 10%". 3.2. - Ebbene, in base alle predette condizioni di polizza, le parti avevano pattuito che il valore commerciale del veicolo sarebbe stato determinato con riferimento alle quotazioni della rivista specializzata "(...)" al momento del sinistro. L'importo preso in considerazione da (...) S.p.A. (Euro 8.400,00), allora, costituisce l'unico parametro approvato dai contraenti, corrispondendo alla "quotazione usato", fornita dalla predetta rivista, del veicolo Fiat Panda di proprietà di (...), a prescindere dalle condizioni in cui il veicolo si trovasse al momento dell'evento indennizzabile. La somma di Euro 12.000,00 indicato nel certificato di assicurazione, invece, costituisce il "massimale di polizza", cioè il valore massimo liquidabile dalla compagnia di assicurazioni al lordo dello "scoperto" e della franchigia. L'indennizzo può pertanto essere inferiore al massimale. 3.3. -In definitiva, (...) ha diritto ad un indennizzo pari ad Euro 7.560,00 (Euro 8.400,00, somma inferiore al "valore commerciale" detratto il 10% pari allo scoperto contrattuale). 4. - Come ben evidenziato dalla difesa dell'attore, l'indennizzo per il furto di un bene di proprietà dell'assicurato, anche se convenzionalmente determinato, assolve alla funzione di riparare il contraente dal pregiudizio subìto a causa dell'evento assicurato e, quindi, costituisce debito di valore, per la cui determinazione occorre tener conto della svalutazione monetaria dal giorno del sinistro a quello della liquidazione (cfr. Cass. Civ. n. 20901/2013, Cass. Civ. n. 10488/2009). In ragione di ciò, sulla somma determinata, dovrà calcolarsi la rivalutazione monetaria dalla data del sinistro al soddisfo. 4.1. - Sul capitale rivalutato dovranno corrispondersi anche gli interessi legali al soddisfo. 5. - Quanto alle spese di lite, sebbene la somma accertata quale dovuta nel giudizio iscritto al numero 917/2018 R.G. corrisponda all'importo offerto dalla Compagnia assicuratrice, deve tuttavia evidenziarsi che: - nonostante la Compagnia assicuratrice abbia preliminarmente eccepito l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione, tuttavia alcun riscontro è stato dato, da parte della società convenuta, all'invito a partecipare alla negoziazione assistita, comunicato con raccomandata del 26 novembre 2018; - la società (...) S.r.l. si è costituita solo con memoria del 14 aprile 2022, essendo stata fissata l'udienza del 15 aprile 2022 per la precisazione delle conclusioni; - l'attore ha chiesto che le convenute fossero condannate al pagamento della somma richiesta in atto di citazione, o di quella differente somma che sarà ritenuta di giustizia, quale "risarcimento" per i danni materiali subiti a causa del furto della propria autovettura. Per le ragioni sopra rappresentate, deve disporsi la compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti in causa. P.Q.M. Il Tribunale di Vibo Valentia, Sezione civile, in persona del giudice unico dott.ssa Loredana Surace, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) contro (...) S.p.A. e (...) s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, ogni contraria istanza disattesa, 1. Dichiara il difetto di legittimazione passiva della società (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; 2. accoglie la domanda per quanto di ragione e per l'effetto condanna la convenuta Compagnia assicuratrice al pagamento in favore dell'attore, della somma di Euro 7.560,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali su tale somma dalla data del furto al soddisfo; 3. compensa tra le parti le spese di lite, per quanto sopra rappresentato. Così deciso in Vibo Valentia il 10 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Vibo Valentia riunito in Camera di Consiglio mediante applicativo Teams nelle persone dei magistrati Dr.ssa Gabriella Lupoli - Presidente (rel./est.) Dr.ssa Gaia Calafiore - Giudice Dr. Ssa Claudia De Santi - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al RGC 1493/209 riservata in decisione all'udienza cartolare del 28.6.2022 avente ad oggetto : divorzio TRA (...), nato a Z. (V.) il (...) ed ivi res.te ((...)) rappresentato, difeso ed elett.te dom.to in Tropea alla Via (...) presso lo studio dell'avv. Vi.Ep. - giusta procura in atti - ricorrente E (...), nata a S. Z. (B.) il (...) ((...)) - rappresentata, difesa ed elett.te dom.ta in Soriano Calabro presso lo studio dell'avv. Ad.Du. - giusta procura in atti resistente NONCHE' (...) - sede- Interventore ex lege SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 17.10.2019 il ricorrente - premesso di aver contratto nel 2006 matrimonio civile; che dall'unione nascevano i figli (...) (cl. (...)) e (...) (cl. (...)) tuttora minorenni; di essere separati con addebito a carico di (...), giusta sentenza di separazione n. 608/2017 pubblicata in data 08.08.2017 R.G. n. 825/2014; che il Tribunale di Vibo Valentia, con sentenza n. 126/2019 pubblicata in data 05.02.2019 R.G. n. 1902/2014, accoglieva la domanda di disconoscimento della paternità di (...) e (...) avanzata dal ricorrente - chiedeva pertanto dichiararsi lo scioglimento del matrimonio contratto con la resistente; revocarsi i provvedimenti assunti in sede di separazione dei coniugi con riferimento ai minori per effetto dell'intervenuto disconoscimento della paternità; revocarsi l'assegnazione della casa coniugale alla moglie. Si costituiva la resistente, la quale aderiva alla domanda principale, chiedendo tuttavia il riconoscimento dell'assegno divorzile in suo favore oltre alla restituzione di beni personali. All'udienza presidenziale del 18.2.2020, esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, il ricorrente insisteva nella richiesta di revoca del contributo di mantenimento in favore dei minori, per effetto della predetta sentenza di disconoscimento, non insistendo per la revoca di quelli inerenti l'affido; la resistente, con riferimento alle proprie domande economiche, dichiarava di aver lavorato sino al 2018 e di percepire il reddito di cittadinanza. All'esito, il Presidente emetteva ordinanza interinale con la quale revocava l'affidamento condiviso nonché l'obbligo del ricorrente di contribuire al mantenimento per i figli della (...); rigettava la richiesta di assegno di mantenimento formulata dalla resistente e confermava per il resto le condizioni separative, indi rimetteva le parti dinanzi al G.I. Le parti depositavano le rispettive memorie integrative; veniva rilevata l'improponibilità della domanda restitutoria (ord. 27.4.2021), concessi alle parti i termini ex art. 183 co 6 c.p.c.; ritenuta l'inammissibilità e irrilevanza dei mezzi istruttori formulati dalla resistente (ord. 8.12.2021) indi ritenuta la causa matura per la decisone, all'udienza cartolare del 28.6.2022, sulle conclusioni delle parti, era riservata per la decisione collegiale con termini. Il PM concludeva in data 7.7.2022 MOTIVI DELLA DECISIONE In rito Preliminarmente, va ribadita l'improponibilità in questa sede delle domande restitutorie (di beni personali) avanzate dalla resistente poiché esulano dalla materia relativa al giudizio di divorzio attesa la specificità del rito. Come è noto, l'art. 40 cod. proc. civ. consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione (artt. 31, 32, 34, 35 e 36), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente e caratterizzate da riti diversi: conseguentemente, è esclusa la possibilità del "simultaneus processus" tra l'azione di divorzio (o separazione) e quella avente ad oggetto, tra l'altro, la restituzione di beni mobili, divisioni di beni, risarcimenti ... essendo queste autonome e distinta dalla prima e soggette al rito ordinario (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 11828 del 21/05/2009; Sez. 1, Sentenza n. 26158 del 06/12/2006) "L'art. 40 cod. proc. civ., nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990, consente il cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione c.d. "per subordinazione" o "forte" (artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.), stabilendo che le stesse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, devono essere trattate secondo il rito ordinario - salva l'applicazione del rito speciale, qualora una di esse riguardi una controversia di lavoro o previdenziale - e quindi esclude la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell'art. 33 o dell'art. 103 cod. proc. civ., e soggette a riti diversi (cfr. Cass. Sez I n. 18870 del 8.9.2014 ;; n. 20638 del 2004)" Nella specie, la connessione tra le domande a contenuto patrimoniale e quelle restitutorie avanzate dalle parti e quella di divorzio non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di connessione qualificata, conseguendone che le due domande non potevano essere proposte nel medesimo giudizio. Nel merito 1) Sulla domanda di divorzio Tanto premesso, ritiene il Collegio che la domanda principale vada accolta, essendosi perfezionata l'ipotesi di cui all'art. 3 n. 2 lett. b) della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificata dall' art. 1 L. 6 maggio 2015, n. 55; essendo invero decorsi i termini di legge nel procedimento avente ad oggetto la separazione personale dei coniugi, conclusosi con sentenza dell'intestato Tribunale n. 608/2017 del 8.8.2017 resa nel procedimento n. 825/2014 (in atti) e tenuto conto che dalla data in cui i coniugi furono autorizzati a vivere separatamente è perdurata la separazione, la quale, in mancanza di eccezione, deve presumersi ininterrotta. Deve tuttavia rilevarsi l'inammissibilità delle domande, eccezioni e richieste avanzate dal ricorrente nel presente giudizio di divorzio in punto di addebito, attesa l'inesistenza, nel nostro sistema giuridico, dell'istituto del "divorzio con addebito", non prevedendo l'art. 3 della L. n. 898 del 1970 alcuna causa qualificata di scioglimento del matrimonio, diversamente da quanto espressamente previsto nel caso di separazione personale dei coniugi dall'art. 151 c.c.. 2) Sulla regolamentazione dei rapporti con i figli e l'assegnazione della casa coniugale Stante l'intervenuto disconoscimento giudiziale della paternità dei minori (...) e (...) con sentenza n. 126/2019 dell'intestato Tribunale, deve confermarsi la revoca dell'affido condiviso e dell'assegno di mantenimento posto a carico del (...) ed in favore dei minori. Conseguentemente, in assenza di figli della coppia, e in assenza di contestazione al riguardo, va revocata l'assegnazione della casa coniugale, peraltro, di esclusiva proprietà del ricorrente e rimasta nella sua disponibilità dal 2014, per come anche ammesso dalla resistente. Su tali premesse, analogamente nulla va disposto in ordine alla regolamentazione dei rapporti con i minori. 3) Sulle richieste economiche In ordine agli aspetti accessori, va osservato che la resistente ha domandato la "revisione dell'assegno di separazione" fondando detta richiesta sul maggior tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ritiene il Collegio che la domanda sia inammissibile in questa sede, postulando l'introduzione di un autonomo giudizio ex art. 710 c.p.c. oltreché infondata, posto che con la sentenza di separazione personale dei coniugi in atti l'intestato Tribunale non ha riconosciuto il diritto della P. di percepire il contributo di mantenimento (stante la mancata dimostrazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e le risultanze in atti di una posizione reddituale superiore di quella del (...) nonché di capacità lavorativa propria, cfr. sentenza in atti). Inoltre, anche a voler qualificare la domanda quale richiesta di riconoscimento di assegno divorzile, ritiene il Collegio che essa sia parimenti infondata. Come noto, difatti, le SS.UU. n. 18287/2018 hanno assegnato nuove finalità all'assegno di divorzio, disancorandolo dal "tenore di vita goduto in costanza di matrimonio" e richiedendo maggior rigore nell'accertamento dei fatti posti alla base del divario economico tra gli ex coniugi: "il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge - cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5 co 6 della L. n. 898 del 1970 - richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto". La pronuncia introduce dunque la natura composita dell'assegno divorzile, ribadendo la natura assistenziale affiancandovi tuttavia due ulteriori criteri ovvero quello perequativo e compensativo coerentemente ai principi costituzionali di dignità e solidarietà postconiugale che non possono vanificarsi al momento dello scioglimento del matrimonio soprattutto se di lunga durata. In tale ottica si muove il ragionamento di legittimità che pone particolare attenzione a quei casi in cui il coniuge opera delle scelte, traducibili il più delle volte in rinunce, per consentire all'altro un maggiore sviluppo in ambito economico e lavorativo, venendosi a determinare una situazione di squilibrio economico quale diretta conseguenza proprio delle scelte di vita compiute concordemente in costanza di matrimonio i cui effetti non possono ricadere unicamente sul coniuge 'rinunciatario', spiegandosi ed esaurendosi solo durante il matrimonio e dunque dissolversi dopo lo scioglimento del vincolo per essere sacrificati sull'altare dell'autoresponsabilizzazione, dell'autosufficienza ed indipendenza del coniuge (Cass 11504/17), dovendosi in sostanza riconoscere l'ultrattività delle ricadute di tali scelte anche dopo lo scioglimento senza che ciò voglia significare ancorarle al tenore di vita goduto durante il matrimonio ma valorizzando la funzione compensativa perequativa del sacrificio sostenuto nel corso della vita matrimoniale dal coniuge richiedente ciò imponendo alle parti di provare un certo andamento del menàge coniugale onde fornire al giudice elementi su cui fondare il riconoscimento e la quantificazione dell'assegno divorzile. Tanto premesso, osserva il Collegio, che non essendo poste a sostegno delle rispettive pretese, né dimostrate, scelte rinunciatarie operate in costanza di matrimonio, quel che viene in rilievo è esclusivamente la funzione assistenziale dell'invocato contributo. Il fondamento dell'attribuzione dell'assegno divorzile nella sua componente assistenziale non è, dunque, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all'epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l'assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della "indipendenza o autosufficienza economica" di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre, con i propri mezzi, un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa (Cass. sez. I, 9.8.2021 n. 22499) mentre, nella pari misura componente compensativa/perequativa, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e all'eventuale sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due" (Cass. Sez. I, 30 .11. 2021, n. 37571). In altri termini, deve sussistere l'incolpevole mancanza di autosufficienza economica dell'avente diritto, poiché non costituiscono elementi decisivi per l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno divorzile, lo squilibrio economico tra le parti ed anche il superiore livello reddituale del coniuge destinatario della domanda ....i parametri su cui fondare l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio sono pertanto l'incolpevole non autosufficienza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale (Ord. Cass. 24934 del 7.10.2019). La resistente non ha fornito alcuna prova in ordine alla particolare contribuzione data alla conduzione del ménage familiare né tantomeno in ordine alla incolpevole autosufficienza economica; anzi, tanto in sede di comparizione personale quanto in sede di conclusionali ha espressamente dichiarato di percepire il reddito di cittadinanza e dall'aggiornamento della certificazione reddituale si evince la percezione di redditi da lavoro dipendente (cfr CU 2020-2022), circostanza dalla quale, unitamente alla giovane età (36 anni) si può ragionevolmente inferire la concreta capacità lavorativa della (...) e il raggiungimento di un adeguato livello di indipendenza economica, conseguendone il rigetto della relativa domanda. Sulle spese di lite. L'adesione alla domanda principale, il ridimensionamento della materia del contendere e la pronuncia anche in rito, giustificano l'integrale compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Vibo Valentia pronunciando nella controversia civile come innanzi proposta tra le parti, così provvede: A) pronuncia lo scioglimento del matrimonio civile contratto in Zambrone (VV) il 4.5.2006 da (...) e (...) -smg- B) revoca l'affido condiviso dei minori (...) e (...) nonché l'obbligo di contribuire al loro mantenimento posto a carico del G.; C) revoca, per l'effetto, l'assegnazione della casa coniugale alla resistente; D) rigetta la domanda di contribuzione economica formulata dalla resistente; E) ordina che la presente sentenza sia trasmessa a cura della cancelleria in copia autentica all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Zambrone (VV) (R.A.M. anno 2006, parte I, atto n. 1) per la trascrizione, le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui agli artt. 134 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, 49 lett. g) e 69 lett. f) D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Ord. Stato Civile) in conformità dell'art. 10 L. 1 dicembre 1970, n. 898 e s.m.i ( ex L. 6 marzo 1987, n. 74); F) dichiara improponibili le restanti domande F) spese compensate Così deciso in Vibo Valentia C.C. mediante Teams del 30 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA SEZIONE ORDINARIA In persona del giudice unico, d.ssa Gaia Calafiore, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 46 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2016, posta in decisione all'udienza del 28.06.2022 e vertente TRA (...) (C.F. (...) ), rappresentato e difeso dall'Avv. Ad.Du. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in Soriano Calabro (VV) alla via (...), giusta procura a margine dell'atto di citazione; attore E (...), in qualità di erede di (...), residente in V., 296, W. (S.); convenuta-contumace E (...), in qualità di erede di (...), residente in V., 296, W. (S.); convenuta-contumace Oggetto: esecuzione dell'obbligo di conclusione del contratto ex art. 2932 c.c. FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione del 14.01.2016, (...) ha convenuto in giudizio (...) e (...) (in qualità di erede di (...)) al fine di ottenere la condanna all'esecuzione dell'obbligo di stipulazione del contratto definitivo di compravendita dell'immobile sito in J. (V.), Località A.. L'attore ha dedotto di avere stipulato con (...) e (...), in data 20.01.1989, una scrittura privata di compravendita di un immobile, composto da un appartamento sito al primo piano, un magazzino sito al pian terreno e la metà del terreno asservita al fabbricato, al prezzo concordato di £ 80.000,000 (pari ad Euro 41.316,55); che la stipula del contratto definitivo era condizionata al saldo del pagamento pattuito; che, nonostante il pagamento del saldo e i ripetuti solleciti, il de cuius non era mai addivenuto alla stipula del contratto definitivo. 2. Nonostante la regolarità della notifica, le convenute (...) e (...) non si sono costituite e ne è stata dichiarata la contumacia rispettivamente in data 27.06.2016 e in data 21.02.2017. 3. Omessa ogni attività istruttoria, all'udienza del 21.02.2017, il giudice in precedenza titolare del ruolo ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni. Divenuta assegnataria con provvedimento del Presidente del Tribunale n. 3039 del 24.11.2020, questo giudice all'esito dell'udienza del 28.06.2022, tenutasi secondo le modalità di cui all'art. 221, co. 4, L. n. 77 del 2020, ha trattenuto la causa in decisione assegnando alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 4. Con il deposito della comparsa conclusionale, parte attrice, nel riportarsi a tutto quanto dedotto nell'atto introduttivo, ha precisato le proprie conclusioni. 5. La domanda di parte attrice è infondata e va rigettata per i motivi di seguito esposti. Dall'unica documentazione prodotta (copia della scrittura privata) emerge che l'attore ha sottoscritto, in data 20.01.1989, con (...) e (...) una scrittura privata mediante la quale questi ultimi "vendono, cedono e trasferiscono in libera e pari proprietà" al Sig. (...) metà dell'immobile ivi indicato; che il prezzo pattuito per la "cessione e vendita" dell'immobile è di Lire 80.000.000; che mediante tale atto (...) e (...) "vendono oggi stesso al sig. (...), acquirente, immettendolo nel pieno possesso e godimento del bene"; che l'"atto pubblico sarà stipulato di fronte al notaio di fiducia dell'acquirente dopo il saldo del pagamento pattuito" (cfr. all. 1). Ciò premesso in fatto, è bene in via preliminare interpretare la scrittura privata sottoscritta dalle parti, atteso che l'attore ha agito in via giudiziale al fine di ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. che presuppone un contratto preliminare o più in generale un obbligo a contrarre rimasto inadempiuto. Come è noto, infatti, la norma in parola prevede che "se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso". Il provvedimento giudiziale, dunque, sostituisce la manifestazione di volontà mancante, ma dovuta, di una delle parti contraenti, in favore della parte adempiente. Sicché la natura costitutiva di tale provvedimento implica un obbligo a contrarre rimasto inattuato a differenza della sentenza dichiarativa che presuppone, all'opposto, che un contratto si sia già perfezionato, avendo valore meramente ricognitivo di un effetto traslativo già prodottosi. Al fine, dunque, di individuare il carattere preliminare o definitivo di un contratto di vendita "occorre ricercare l'effettiva volontà dei contraenti per accertare se essa sia stata rivolta direttamente al trasferimento della proprietà ovvero a dare vita ad un rapporto obbligatorio che impegna ad una ulteriore manifestazione di volontà che opera l'effetto traslativo, tenendo presente che al predetto fine non sono decisive, anche se non irrilevanti, le espressioni letterali usate dalle parti, ne' la previsione della riproduzione in atto pubblico della scrittura privata che può essere stata considerata in funzione della trascrizione e non del trasferimento, e neppure, d'altra parte, la stessa tradizione del bene e il pagamento del prezzo, quando vi sia ragione di ritenere che con essi non si esauriscano le rispettive controprestazioni, ma si realizzi soltanto l'esecuzione anticipata di una futura vendita. Il suddetto accertamento, pur vertendo su una quaestio facti, è censurabile in sede di legittimità, soltanto se non adeguatamente motivato o non ispirato a corretti criteri di ermeneutica contrattuale." (cfr. Cassazione n. 5962/1988). Ebbene, per ricercare la comune intenzione dei contraenti nella stipula di un contratto, ai sensi degli art. 1362 e ss c.c. il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e dalle espressioni utilizzate, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va poi verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al rispettivo coordinamento a norma dell'art. 1363 c.c. dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (Cfr. Cassazione n. 18180/2007). Pertanto, "qualora il giudice del merito abbia ritenuto che il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti riveli con chiarezza e univocità la loro volontà comune, così che non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l'intento effettivo dei contraenti, l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente compiuta, dovendosi far ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando i criteri principali (significato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti, collegamento logico tra le varie clausole) siano insufficienti alla identificazione della comune intenzione stessa" (cfr. Cassazione n. 26690/2006). Tale conclusione si impone tanto più nei contratti per i quali è prevista la forma scritta "ad substantiam", per i quali la ricerca della comune intenzione delle parti, utilizzabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve essere compiuta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto (Cfr. Cassazione n. 512/2018; n. 14444/2006). Ebbene, nel caso di specie, alla luce del contenuto complessivo della scrittura privata del 20.01.1989, si ritiene che l'intenzione comune delle parti sia stata quella di trasferire immediatamente la proprietà del bene e non di dar vita a un rapporto obbligatorio mediante il quale le parti si impegnavano a una successiva ed ulteriore manifestazione di volontà con cui trasferire la proprietà del bene. Che tale fosse la volontà perseguita dalle parti, con la stipula della scrittura privata in oggetto, emerge in maniera univoca dal tenore complessivo di tale atto nel quale, come visto, le parti hanno dichiarato testualmente "vendono, cedono e trasferiscono in libera e pari proprietà". Inoltre, in diversi punti della scrittura privata il richiamo è alla vendita e non a un preliminare di vendita (in cui, peraltro, il promittente e il promissario si impegnano a vendere e ad acquistare e non a "vendere e cedere" come nel caso di specie) ove si precisa che il prezzo pattuito per la "cessione e vendita" dell'immobile è di L. 80.000.000; che mediante tale atto (...) e (...) "vendono oggi stesso al sig. (...)". Neppure può deporre in senso contrario, la pattuizione relativa all'impegno a comparire davanti a un notaio per la formazione dell'atto pubblico, atteso che il carattere preliminare o definitivo di una vendita dipende dalla circostanza che le parti abbiano inteso soltanto obbligarsi all'alienazione e all'acquisto futuri del bene oppure dare luogo, senz'altro, alla trasmissione della proprietà" (cfr. Cassazione n. 13827/2000) e che, in ogni caso, tale pattuizione in un contratto definitivo, ha come unica finalità la riproduzione nella forma dell'atto pubblico di un negozio ad effetti reali già perfezionatosi. In conclusione, dunque, si ritiene che dalla scrittura privata in atti emerge la comune intenzione delle parti di dar luogo a un trasferimento immediato della proprietà piuttosto che a un obbligo ad alienare o ad acquistare futuri beni. Pertanto la tutela ex art. 2932 c.c. non è invocabile atteso che, come detto, la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. implica un obbligo di contrarre rimasto inattuato. Al contrario, nel caso di perfezionamento di un contratto definitivo con effetti reali, in cui la stipula di un successivo atto pubblico, come nel caso di specie, ha come unica finalità la riproduzione di un contratto già perfezionatosi, il rimedio, in caso di mancata esecuzione, non è una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (non occorrendo una sostituzione di manifestazione di volontà che vi è già stata) bensì una sentenza di mero accertamento che, supplendo alla documentazione mancante, soddisfi l'interesse della parte alla documentazione in forma pubblica del negozio (cfr. Cassazione n. 26136/2022). Per i motivi sopra esposti, la domanda di parte attrice deve essere rigettata. Nulla va disposto in merito alle spese di lite non essendosi le parti convenute costituite e non avendo svolto attività difensiva alcuna. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa: - Rigetta la domanda; - Nulla dispone sulle spese di lite. Così deciso in Vibo Valentia 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Loredana Surace, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 446/2015 R.G.A.C. avente ad oggetto risarcimento danni, vertente tra (...), in qualità di rappresentante legale esercente la potestà genitoriale sul minore (...), rappresentati e difesi dagli Avv.ti Ka.Lo. e Al.Gi., presso il cui studio in Vibo Valentia alla via (...) (località Moderata Durant) sono elettivamente domiciliati, - attori - CONTRO (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall' Avv. Pa.Pa., presso il cui studio in Vibo Marina alla via (...), è elettivamente domiciliata, - convenuta- E (...) residente in V. V. alla via M. M. n. 6 - convenuto contumace - IN FATTO ED IN DIRITTO 1. - Con atto di citazione in riassunzione depositato in data 26 marzo 2015 - a seguito di dichiarazione di incompetenza per valore del Giudice di Pace di Vibo Valentia nel procedimento iscritto al numero 1466/14 R.G.A.C. - (...), nella sua qualità di rappresentante legale esercente la potestà genitoriale sul figlio minore (...), adiva il Tribunale di Vibo Valentia al fine di ottenere il risarcimento dei danni alla persona, da quest'ultimo subiti in occasione di un sinistro occorsogli in Vibo Valentia il 18 settembre 2013, mentre si trovava, quale terzo trasportato, sul motociclo YAMAHA X MAX 250 targato (...), assicurato (...) S.p.a., di proprietà di (...) e condotta dal coniuge (...). L'istante ha affermato che, a seguito di una frenata sull'asfalto scivoloso, il minore veniva sbalzato dalla moto e, finendo a terra, subiva lesioni che rendevano necessario l'immediato trasporto presso il Pronto Soccorso dell' Ospedale di Vibo Valentia, ove veniva riscontrata "Frattura a legno verde metafisi distale del radio sin. Cervicalgia post - traumatica, contusioni escoriate multiple (emivolto dx, spalla e gomito dx)" 1.1. - Con comparsa del 15 luglio 2015 si costituiva in giudizio la (...) S.p.A., la quale chiedeva rigettarsi la domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto e poiché affatto dimostrata. In subordine, chiedeva ridursi l'eventuale accertando risarcimento, riconducendolo al giusto ed all'equo. Vinte, o almeno integralmente compensate le spese di lite. 1.2. - La causa è stata istruita a mezzo interrogatorio formale deferito dagli attori al conducente il motociclo, (...), e prova per testi ( teste (...) escusso all'udienza del 14 giugno 2016), mentre l'accertamento della natura e dell'entità delle lesioni subite dal minore è stato deferito al dott. (...), nominato Consulente medico - legale nella causa iscritta al numero 446/2015 R.G.A.C., con provvedimento depositato in data 2 settembre 2016. 1.3. - All'udienza del 30 settembre 2022, precisate a verbale le rispettive conclusioni, la causa è stata trattenuta a sentenza senza concessione dei termini di legge, avendo le parti, già in precedenza, depositato note conclusionali. 2. - Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia di (...), ritualmente evocato in giudizio e non costituitosi. 3. - Sempre in via preliminare, deve rilevarsi che è pacifico, tra le parti, che la (...) S.p.A. è la Compagnia che assicurava, al momento del sinistro lamentato da (...), nella sua qualità, il motociclo di proprietà della stessa per la responsabilità civile, con polizza numero (...) con scadenza 13 luglio 2014. Gli odierni attori hanno, pertanto, agito ai sensi dell'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005, a mente del quale "salva l'ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge, a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro". In base al chiaro dettato normativo, il terzo trasportato, danneggiato in un sinistro stradale, il quale voglia ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla Compagnia assicuratrice del veicolo su cui viaggiava, non è tenuto a provare le modalità del sinistro stesso, ma esclusivamente di aver subìto un danno per un illecito da circolazione in occasione del trasporto (a qualsiasi titolo, v. art. 122 c. II del D.Lgs. n. 209 del 2005) sul veicolo e, quindi, che tale illecito si è verificato (cfr. Cass. Civ. n. 16181/2015, secondo cui "il terzo trasportato per essere risarcito dall'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro deve fornire la prova di aver subito un danno a seguito del sinistro, ma non delle modalità dell'incidente al fine di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti"). 3.1. - Nel caso de quo, è stata fornita la prova del verificarsi del sinistro, attraverso le dichiarazioni tanto del conducente il motociclo, (...), che del teste escusso, che ha assistito all'incidente occorso al minore, e, sebbene la deposizione di quest'ultimo sia stata lacunosa quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro, avendo, lo stesso, dichiarato di non aver visto quale fosse la causa dell'incidente, tuttavia, considerato il limitato onere probatorio discendente dall'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005, (...), nella sua qualità, non era tenuta né ad allegare, né a provare la responsabilità in capo a (...), ma doveva solo dimostrare che un sinistro si era comunque verificato e che il minore aveva riportato un danno a causa dell'incidente. Tale onere probatorio è stato assolto, poiché il teste escusso all'udienza del 14 giugno 2016 ha dichiarato a) di avere assistito ai fatti, poiché si trovava dietro al motociclo; b) di aver visto la moto che scivolava sull'asfalto; c) di aver prestato il primo soccorso al minore. Tanto basta per ritenere la compagnia che assicurava il veicolo condotto da (...), responsabile ai sensi dell'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 per i danni occorsi al minore (...). 3.2. - Pur non applicandosi l'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 nei confronti di (...), anche costui deve ritenersi corresponsabile del sinistro (v. art. 2055 c.c.). 4. - In ordine al quantum debeatur, la consulenza tecnica d'ufficio a firma del dott. (...), dalle cui conclusioni l'odierno giudicante ritiene di non doversi discostare, ha accertato l'esistenza del nesso di causalità tra le lesioni diagnosticate il giorno dell'incidente a danno del minore e la compatibilità delle stesse anche con l'utilizzo del casco. Il Consulente ha accertato postumi permanenti a carico del minore nella misura del 3 - 4%, 30 giorni di invalidità assoluta, 30 giorni di invalidità parziale al 50%, 30 giorni di invalidità parziale al 25% , oltre alle spese documentate ritenute congrue. In merito ai parametri di liquidazione, vengono applicate le tabelle relative alla liquidazione del danno per lesioni micropermanenti di cui all'art. 139 del Codice delle Assicurazioni e successivi aggiornamenti, e pertanto, a titolo di risarcimento del danno per la lesione permanente all'integrità psico - fisica, nella misura del 4%, in relazione all'età dell'infortunato, che al momento del verificarsi del sinistro aveva 11 anni, deve essere liquidata la somma di Euro 4.506,40; Euro 1.523,70 per inabilità temporanea assoluta per 30 giorni; Euro 761,85 per inabilità temporanea parziale al 50% per 30 giorni; Euro 380,92 per inabilità temporanea parziale al 25% per 58 giorni; Euro 3.462,67(di cui Euro 462,67 per spese mediche documentate ed Euro 3.000,00 come da certificazione del dott. (...) del 3 marzo 2016, che ha previsto una lievitazione del costo del trattamento ortodontico che, precedentemente all'intervento, era stato quantificato in Euro 4.000,00) Per un totale di Euro 10.635,54 per le lesioni personali subite. 5. - La Suprema Corte ha stabilito che "il danno morale per le micropermanenti non può escludersi dal novero delle lesioni meritevoli di tutela risarcitoria, e per poterlo valutare e personalizzare si deve tener conto delle lesioni subite in concreto, in conformità all'orientamento che afferma l'autonomia ontologica del danno morale e la necessità di un suo separato ed ulteriore accertamento" (Cass. Civ. n. 17209/2015) In caso di micropermanenti, ai fini della liquidazione del danno morale, in aggiunta al danno biologico, il danneggiato deve, tuttavia, allegare tutte le circostanze utili per dimostrare che la lesione patita abbia determinato una sofferenza o un turbamento, e la prova delle stesse può essere fornita anche mediante lo strumento delle presunzioni. Nel caso in esame, tale prova può dirsi raggiunta, poiché la minore età dell'infortunato e la certificazione medica allegata al fascicolo di parte, da cui risulta che, a seguito delle lesioni subite, (...) ha sofferto di cefalea, cervicalgia, oltre che di disturbi del ritmo sonno (certificato dell' 8 novembre 2013 e del 14 gennaio 2014 a firma dott.ssa P.M.) sono sufficienti per dimostrare lo stato di sofferenza, non solo fisico, patito dal minore, ed in ragione di ciò, deve essere liquidato anche il danno morale nella misura del 33,33 % del danno biologico (pari ad Euro 7.172,87) per un totale di Euro 9.563,58 (totale danno biologico + danno morale) In definitiva, la somma complessiva da liquidare in favore degli attori è pari ad Euro 13.026,25 6. - Sul danno liquidato in moneta attuale, e comprendente sia il capitale dovuto a titolo di risarcimento, sia la rivalutazione di tale somma, dovranno essere liquidati anche gli interessi legali - rappresentando gli stessi il mancato godimento delle utilita' che il bene stesso avrebbe potuto offrire, se fosse stato immediatamente risarcito con una somma di denaro equivalente -, con riferimento alla data di verificazione del sinistro e fino alla data di pubblicazione della sentenza. Dalla data di pubblicazione della sentenza, invece, convertendosi il credito complessivo in credito di valuta, sono dovuti gli interessi legali sull' intera somma, sino al soddisfo (Cass. Civ. n. 1712/1995). 6. - Le spese della C.T.U. devono definitivamente porsi a carico della parte soccombente nel presente giudizio, a modifica del decreto di liquidazione del compenso del C.T.U. emesso in corso di causa. 7. - In definitiva, in accoglimento della domanda attorea, la (...) S.p.A. e (...) devono essere condannati in solido al pagamento in favore di (...), in qualità di legale rappresentante ed esercente la potestà genitoriale sul minore (...), delle somme così come determinate ai superiori punti. 8. - Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in favore di (...), in qualità, con distrazione in favore dei provcuratori costituiti ex art. 93 c.p.c., ed a carico solidale di (...) S.p.A. e (...), come in dispositivo, in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 nel loro valore medio, sulla base del valore del decisum, applicando l'aumento del 30% per presenza di più parti aventi stessa posizione processuale ex art. 4 comma 2 D.M. n. 55 del 2014, e compensando tale aumento con la contestuale riduzione del 30% in ragione della circostanza che gli attori hanno promosso un giudizio innanzi al Giudice di Pace di Vibo Valentia, dichiaratosi incompetente, e che la convenuta (...) ha preliminarmente eccepito, nel giudizio iscritto al numero 1466/2014 R.G.A.C., l'incompetenza per valore del giudice originariamente adito, in favore del Tribunale di Vibo Valentia. P.Q.M. Il Tribunale di Vibo Valentia, Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Loredana Surace, definitivamente pronunciando sulla domanda proposto da (...), in qualità di rappresentante legale esercente la potestà genitoriale sul minore (...), nei confronti di (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, e (...), ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) dichiara la contumacia di (...); 2) accoglie la domanda attorea, per quanto sopra motivato, e, per l'effetto, condanna la (...) s.p.A. e (...), in solido tra loro, al pagamento in favore di (...), nella sua qualità, di Euro 13.026,25 oltre interessi legali dalla data del verificarsi del sinistro al soddisfo oltre interessi legali al soddisfo, sulla predetta somma; 3) condanna i convenuti, in solido, al pagamento delle spese legali, in favore di parte attrice e con distrazione in favore dei procuratori costituiti ex art. 93 c.p.c., liquidate in Euro. 264,00 per esborsi, Euro 5.077,00 per onorari (già compensati nella misura del 30%, per quanto sopra motivato), oltre rimborso forfettario sul totale imponibile, c.p.a. ed i.v.a. come per legge; 4) pone definitivamente le spese della C.T.U. a carico di parte soccombente. Così deciso in Vibo Valentia il 29 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA SEZIONE ORDINARIA In persona del giudice unico, d.ssa Gaia Calafiore, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 370 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2017, posta in decisione all'udienza del 07.06.2022 e vertente TRA (...) (C.F. (...) ) e (...) (C.F.(...)), in qualità di genitori del minore (...), nato a V. V. il (...) rappresentati e difesi dall'avv.to Di.An. ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo, in Vibo Valentia via (...) come da procura in atti; attori E (...) (P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv.to GI.AN. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultima, in Vibo Valentia, via (...) giusta procura in calce alla comparsa di costituzione; convenuta Oggetto: risarcimento del danno da privazione della facoltà di esercitare una scelta consapevole se effettuare o meno un aborto terapeutico. FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione (...) e (...) hanno convenuto in giudizio l'(...) al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell'omessa rilevazione da parte della struttura ospedaliera, in sede di ecografia morfologica eseguita al quinto mese di gravidanza (in data 30.12.2013), della malformazione del nascituro, nato in data (...) "con una malformazione alla mano destra e piede torto congenito sinistro". Hanno dedotto, a tal fine, che qualora la sig. (...) fosse stata tempestivamente e correttamente informata avrebbe sicuramente interrotto la gravidanza. 2. Si è costituita in giudizio l'(...), contestando in fatto e in diritto la domanda degli attori, poiché non sufficientemente provata. In particolare, ha dedotto la corretta esecuzione dell'esame diagnostico da parte del medico specialista, osservando che da tale esame non risultano sempre visibili tutte le possibili malformazioni del feto e che l'omessa consegna delle riproduzioni fotografiche - per quanto fatto non provato dall'attore - non dimostra l'errore diagnostico del medico. Ha, inoltre, ritenuto non provata la volontà di parte attrice, ove correttamente informata, di interrompere la gravidanza, e in ogni caso, l'insussistenza dei presupposti ex art. 4, L. n. 194 del 1978. Infine ha ritenuto altresì non provato il quantum debeatur. 3. Assegnati i termini ex art. 183, co. VI c.p.c. e respinte le istanze istruttorie, la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni dal Giudice in precedenza titolare del ruolo. Questo Giudice, divenuta assegnataria del fascicolo con provvedimento del Presidente del Tribunale n. 3039 del 24.11.2020, all'udienza del 07.06.2022 tenutasi con le modalità di cui all'art. 221, co. 4, L. n. 77 del 2020 ha trattenuto la causa in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di memorie conclusionali e replica. 4. Gli attori non hanno depositato comparse conclusionali e memorie di replica, pertanto, si intendono riproposte le medesime eccezioni e difese sollevate nei precedenti atti e scritti difensivi. Nella comparsa conclusionale, parte convenuta ha precisato tutto quanto dedotto nella comparsa di costituzione e in via preliminare ha insistito per la nullità del procedimento, atteso che gli attori non si sono costituiti nel termine di cui all'art. 165 c.p.c.. 5. Tale eccezione preliminare non merita accoglimento, atteso che trattasi di eccezione che può essere fatta valere solo in prima udienza e che, quindi, risulta già superata dal Provv. del 30 maggio 2017 con cui il Giudice, in precedenza titolare del ruolo, ha accolto solo l'eccezione sollevata dalla convenuta di nullità della citazione per mancato rispetto dei termini ex art. 163 bis c.p.c. Ad ogni modo, deve essere rigettata atteso che i vizi della costituzione dell'attore non determinano la nullità del procedimento in tutti quei casi in cui l'iscrizione a ruolo abbia comunque raggiunto il suo scopo, assicurando la possibilità, alle altre parti, di attuare concretamente le proprie difese - come nel caso di specie. La parte che rileva tale vizio, inoltre, è tenuta a precisare il pregiudizio che tale vizio abbia concretamente arrecato all'esercizio delle proprie difese. Precisazione che, nel caso di specie, il convenuto non ha fatto. 6. Si ribadisce, inoltre, l'inammissibilità delle richieste istruttorie formulate dagli attori nelle memorie ex art. 183, co. VI c.p.c. (rigettate dal giudice allora titolare del ruolo con ordinanza del 20.07.2018), atteso che la prova testi è stata formulata senza la specifica indicazione delle persone da interrogare ex art. 244 c.p.c. e la richiesta di CTU, in mancanza di specifiche allegazioni come si dirà più avanti, è esplorativa. 7. Nel merito la domanda avanzata dagli attori deve essere rigettata per i motivi di seguito esposti. 7.1. In primo luogo occorre precisare che il diritto del quale gli attori chiedono tutela, in questa sede, è il diritto al risarcimento del danno da privazione della facoltà di esercitare una scelta consapevole se effettuare o meno un aborto terapeutico. Quanto ai soggetti legittimati ad agire per ottenere la tutela di cui trattasi, come è noto, la giurisprudenza di legittimità, ha esteso l'area della responsabilità contrattuale - normalmente limitata alle parti - anche a favore di terzi che entrano in contatto con la prestazione contrattuale, tanto che si è parlato di contratti con effetti protettivi nei confronti di terzi. Proprio in materia di responsabilità medica la Corte di Cassazione ha chiarito che "il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento della struttura sanitaria all'obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti "protetti" e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli" (cfr. Cassazione n. 2675/2018). Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da parte convenuta, l'azione in parola è stata correttamente promossa anche dal sig. (...), padre del piccolo (...). 7.2 Nel merito, è bene esaminare dapprima la domanda con cui gli attori hanno chiesto accertarsi la responsabilità della struttura sanitaria per l'errore del medico che, nell'eseguire l'esame ecografico, ha omesso di rilevare la presenza della malformazione. A tal proposito, si ricorda che la normativa applicabile al caso di specie è la L. n. 189 del 2012 (legge B.), vigente all'epoca della commissione dei fatti di cui è causa e considerato che la L. n. 24 del 2017 (legge Gelli-Bianco), in assenza di una disposizione transitoria, non è applicabile retroattivamente (cfr. tra tutte Cassazione n. 28994/2019). Come è noto, l'orientamento prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza ha ritenuto che tra il paziente e la struttura sanitaria (sia essa parte del S.S.N. o un'impresa privata non convenzionata) si stipula un contratto atipico di spedalità che ha ad oggetto sia la prestazione sanitaria del medico che prestazioni accessorie e secondarie. La struttura ospedaliera, pertanto, è chiamata a rispondere ex art. 1218 c.c. dell'inadempimento riferibile direttamente alla struttura e/o dell'operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa (ex art. 1228 c.c.). La natura contrattuale del rapporto in parola si riflette sul riparto dell'onere della prova che impone al paziente - danneggiato di fornire la prova del contratto, del danno subito e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari che dovrà, invece, essere oggetto di mera allegazione, purché in termini specifici (cfr. tra tutte Sezioni Unite 135333/2001); mentre la struttura ospedaliera è tenuta a dimostrare che la prestazione professionale del personale medico sia stata eseguita in modo diligente, secondo i canoni richiesti dalla legge (cfr. Cassazione n.975 del 2009). Nel caso di specie, gli attori non hanno soddisfatto tale onere probatorio, atteso che si sono limitati a dedurre genericamente l'errore diagnostico del medico semplicemente "per non avere lo stesso indicato l'apparecchio utilizzato per l'esame diagnostico e per non aver consegnato le riproduzioni repertate". Al contrario, la struttura ospedaliera ha dimostrato la corretta esecuzione della prestazione professionale da parte del medico, specificando che mediante l'esecuzione dell'esame ecografico morfologico alcune malformazioni (tra cui quella rilevata nel caso di specie) non sono visibili e che l'omessa consegna dei fotogrammi così come l'omessa indicazione dello strumento utilizzato, nell'esecuzione della prestazione, non è né indice dell'inesatta esecuzione della prestazione né causa di un presunto errore diagnostico. Si rileva, peraltro, che è nozione di comune esperienza che il referto medico, rilasciato all'esito di un esame diagnostico, è l'unico documento che contiene la descrizione e l'interpretazione delle immagini rilevate durante l'esame. È tale documento, quindi, che dovrebbe indicare l'esistenza di eventuali malformazioni. 7.3 Gli attori, inoltre, non hanno allegato né provato che, ove correttamente informati della malformazione del figlio, avrebbero sicuramente interrotto la gravidanza. In via preliminare, è bene ricordare che la L. n. 194 del 1978, recante norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, prevede all'art. 4 che, entro i primi novanta giorni di gestazione la donna può interrompere la gravidanza se "accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito". Decorso il termine di cui sopra, l'art. 6 consente l'interruzione volontaria della gravidanza "a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna". Dal combinato disposto delle norme citate, la stessa giurisprudenza di legittimità ha rilevato che mentre entro i primi novanta giorni l'interruzione della gravidanza può essere ammessa quando, anche in ragione di "previsioni di anomalie o malformazioni del concepito" la prosecuzione della gravidanza o il parto comportino un "serio pericolo" per la "salute fisica o psichica" della gestante (ex art. 4); dopo i primi novanta giorni essa può essere eccezionalmente consentita solo in presenza delle condizioni indicate dall'art. 6. Ciò in quanto l'interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (dopo i 90 giorni). Sicché le eventuali malformazioni o anomalie del feto non rilevano in sé per sé considerate ma solo nei termini in cui possono cagionare il danno alla salute della gestante medesima (cfr. Cassazione n. 653/2021; Cassazione n. 9251/2017; Cassazione n. 14488/2004) L'ordinamento, infatti, non ammette il c.d. aborto eugenetico ossia l'interruzione della gravidanza che prescinde dal serio o dal grave pericolo per la vita o la salute fisica o psichica della donna (cfr. tra tutte Cassazione, Sezioni Unite, già cit.). Ebbene, nel caso di specie, è pacifico che si versi in un'ipotesi di cui all'art. 6, in quanto, al momento dell'esecuzione dell'esame diagnostico di cui si discute, la sig.ra C.M. era al quinto mese di gravidanza e quindi il termine di novanta giorni indicati dall'art. 4 era oramai decorso. È necessario, dunque, in via preliminare verificare la sussistenza dei presupposti di legge per esercitare il diritto all'aborto e secondo la Corte di Cassazione "è onere della parte attrice allegare e dimostrare la sussistenza delle condizioni legittimanti l'interruzione della gravidanza, ai sensi dell'art. 6, lett. b, L. n. 194 del 1978, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica. L'accertamento in fatto delle condizioni in parola è riservato al giudice di merito e rimane insindacabile in sede di legittimità, sempreché il giudizio si sia compiuto nel rispetto dei parametri normativi di riferimento (cfr. Cassazione n. 13881/2020). In altri termini, l'accertamento dei presupposti di legge (ossia la rilevanza delle malformazioni, il grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre, la volontà espressa o presunta di abortire) è valutazione necessaria che deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base delle circostanze allegate e provate da colui che agisce in giudizio. Nel caso di specie, tale onere probatorio non è stato sufficientemente soddisfatto da parte degli attori che, neppure hanno dedotto o allegato l'esistenza di un grave pregiudizio fisico o psichico della Sig. (...) - e di riflesso del coniuge - a causa della malformazione del figlio. Come già rilevato, gli attori si sono limitati a dedurre la sussistenza di una responsabilità dell'(...) per non aver ricevuto i fotogrammi allegati al referto e per non essergli stato indicato lo strumento utilizzato per eseguire l'esame, senza, tuttavia, aver dimostrato nessun dei presupposti di legge sopra citati. Né sul punto può soddisfare tale onere probatorio, la richiesta avanzata dagli attori di consulenza tecnica d'ufficio (correttamente rigettata dal giudice in precedenza titolare del ruolo) attesa la natura esplorativa a fronte di una carenza, anche semplicemente assertiva, da parte degli odierni attori. Inoltre, preme altresì rilevare che in base alla scarna documentazione depositata in atti, deve escludersi che la malformazione riscontrata - malformazione alla mano destra e piede torto congenito sinistro (malformazione che, fortunatamente, può essere corretta) - integri la ricorrenza del presupposto (rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro) normativamente previsto ai fini della configurabilità del requisito del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna che legittimano eccezionalmente l'interruzione della gravidanza decorsi i primi novanta giorni. Si ritiene, dunque, che nel caso di specie l'interruzione della gravidanza non avrebbe potuto essere lecitamente praticata in quanto non era ravvisabile in concreto un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Data l'insussistenza in astratto di un diritto all'aborto di cui gli attori hanno lamentato la lesione, di conseguenza non sono neppure configurabili i lamentati danni derivanti dal mancato esercizio del preteso diritto all'aborto in concreto, come detto, insussistente. In ogni caso, anche l'allegazione dei presunti danni subiti è completamente carente, atteso che gli attori non hanno neppure allegato che la sofferenza derivata dall'apprendere la malformazione del figlio, solo al momento del parto, è stata maggiore di quella che avrebbero subito se lo avessero saputo al momento dell'esecuzione della ecografia morfologica, o che, se fossero stati tempestivamente informati, essi si sarebbero, ad esempio, sottoposti a specifiche terapie di sostegno o che tali terapie siano state intraprese per superare l'eventuale trauma subito. Per i motivi sopra esposti la domanda avanzata dagli attori deve essere rigettata. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, così come modificato dal D.M. n. 147 del 2022 - applicabile al caso di specie, atteso che la liquidazione delle spese processuali interviene in un momento successivo alla sua entrata in vigore - tenuto conto del valore della causa e delle attività espletate, delle questioni fattuali e giuridiche affrontate. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa: - Rigetta la domanda formulata dagli attori; - Condanna (...) e (...) al pagamento delle spese in favore della (...), in persona del legale rappresentante p.t., nella misura di Euro 14.000,00 per compensi, oltre il 15% a titolo di spese generali IVA e CPA come per legge. Così deciso in Vibo Valentia 31 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA - SEZIONE ORDINARIA CIVILE - nella persona del GIUDICE MONOCRATICO dott.ssa GERMANA RADICE, ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al numero 1037/2013 del Ruolo Generale Affari Contenziosi (R. G. A. C.) dell'anno 2013 avente ad oggetto: "Altri contratti atipici" e promossa DA (...) (C.F.: (...)), (...) (C.F: (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Gi.Pa.; -ATTORI- CONTRO (...) (C.F.: (...)), in proprio e nella qualità di legale rappresentante della (...) S.N.C., rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Or.; -CONVENUTO- NONCHE' CONTRO (...) (C.F.: (...)), proprio e nella qualità di socia della (...) S.N.C., rappresentata e difesa dall'avv. Fr.Or.; -CONVENUTA- MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 15.11.1985, la sig.ra (...), conveniva dinanzi all'intestato Tribunale, il sig. (...) in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società (...) Snc per sentire dichiarare l'inadempimento contrattuale di quest'ultimo del contratto preliminare di vendita stipulato in data 18.02.1984, avente ad oggetto il trasferimento di alcuni beni mobili e immobili per il prezzo di £ 300.000.000, oltre accollo di mutuo verso il (...). Parte attrice concludeva, pertanto, rassegnando le seguenti conclusioni: "accertare e dichiarare l'inadempimento di (...) in proprio ed in qualità di legale rappresentante della (...) SNC, in merito all'obbligo di concludere il contratto definitivo di preliminare di vendita del 18.2.1984; e per l'effetto condannare i sigg.ri (...) e (...), in solido, al risarcimento dei danni da inadempimento quantificati in Euro 100.000,00 di vecchie (...), ed oggi in Euro 51.650,00 con interessi e rivalutazione dal dovuto sino al soddisfo; - emettere sentenza costituiva ex art. 2932 c.c. dell'obbligo di concludere il detto contratto preliminare del 18.2.1984 (...)." Si costituiva in giudizio il sig. (...), anche nella qualità in epigrafe indicata, che sollevava eccezioni preliminari di l'inammissibilità, l'improponibilità, l'improcedibilità della domanda. Nel il convenuto contempo avanzava richiesta di autorizzazione alla chiamata in giudizio del sig. (...) proponeva, altresì, domanda riconvenzionale volta all'accertamento della natura simulata del contratto preliminare di compravendita azionato in giudizio. In ogni caso, il convenuto in riconvenzionale chiedeva il rigetto nel merito della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto. Autorizzata dal Giudice la chiamata in causa del terzo, si costituiva il Sig. (...) che contestava la domanda avanzata nei suoi confronti ed eccepiva, in ogni caso, la propria carenza di legittimazione chiedendo l'estromissione dal giudizio. Istruito il giudizio, all'udienza del 22.02.10 le parti rassegnavano le rispettive conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Con ordinanza del 17.5.2010 la causa era rimessa sul ruolo istruttorio per l'integrazione del contraddittorio nei confronti di (...), ritenuta dal g.i. in precedenza titolare del ruolo litisconsorte necessario pretermesso. Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio (...) con comparsa di costituzione e risposta del 3.6.2010, in cui eccepiva in via preliminare la nullità della notifica dell'atto di citazione di chiamata in giudizio, la prescrizione del diritto ex adverso vantato e comunque l'infondatezza della domanda. Con ordinanza dell'11.1.2011, il Tribunale, ritenuta fondata l'eccezione sollevata dalla convenuta Z., considerata l'omessa regolare integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte nei termini perentori assegnati dal Giudice, dichiarava l'estinzione del giudizio. Il procuratore di parte attrice divenuto poi procuratore anche del terzo chiamato in causa ((...)), proponeva appello avverso l'ordinanza di estinzione. La Corte di Appello con sentenza n. 385 del 2013 del 27.02.2013 revocava l'ordinanza di estinzione emessa dal giudice monocratico e rimetteva le parti dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia per la prosecuzione del giudizio erroneamente dichiarato estinto. Con comparsa del 29.5.2013 per la riassunzione del procedimento illegittimamente dichiarato estinto, si costituivano innanzi al Tribunale (procedimento che ha preso il n.r.g. 1037/2013) (...) e (...) che evocavano in giudizio innanzi al Tribunale di Vibo Valentia, (...) e (...), in proprio e nelle rispettive qualità, insistendo nell'accoglimento delle conclusioni per come rassegnate con l'originario atto di citazione. Si costituiva nel giudizio riassunto (...) in proprio e nella qualità indicata in epigrafe, con comparsa del 25.10.2013 in cui ribadiva le eccezioni preliminari già sollevate nell'originaria comparsa di costituzione, in ogni caso ribadiva l'eccezione di prescrizione del diritto ex adverso vantato e comunque l'infondatezza nel merito della pretesa avanzata. Si costituiva altresì nel giudizio riassunto con comparsa del 25.10.2013 (...), in proprio e nella qualità indicata in epigrafe, che insisteva per il rigetto della domanda proposta in quanto infondata in fatto ed in diritto. Dopo una serie di rinvii (dovuti al carico di ruolo e all'assenza del giudice titolare), all'udienza del 24.3.2022, precisate le conclusioni, la causa è stata nuovamente assunta in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. In limine deve circoscriversi l'oggetto del presente giudizio di rinvio che trae origine dalla sentenza della Corte di Appello n. 385 del 2013 del 27.02.2013 di revoca dell'ordinanza di estinzione erroneamente emessa dal Tribunale in data 11.1.2011 nel procedimento originariamente iscritto a ruolo con il nr. 670/1985. Si verte, pertanto, in una ipotesi di rimessione innanzi al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c.. Ed infatti, secondo il disposto dell'art. 354 c.p.c., comma 2, il giudice d'appello rimette la causa al primo giudice anche nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sull'estinzione del processo a norma e nelle forme dell'art. 308 c.p.c.. Quest'ultima norma prevede al comma 2 che il Collegio, in sede di reclamo proposto ai sensi dell'art. 178 c.p.c., avverso l'ordinanza d'estinzione assunta dal giudice istruttore, provvede con sentenza se respinge il reclamo e con ordinanza non impugnabile se l'accoglie. Dal testo dell'art. 178, comma 2 c.p.c. si desume che è soggetta a reclamo l'ordinanza del giudice istruttore purché non operi come giudice monocratico. In quest'ultimo caso, il provvedimento definisce il giudizio e siccome determina la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale attinente al processo (art. 279 c.p.c., comma 2, n. 2), ha natura di sentenza, quale che sia la forma adottata. Secondo esegesi che si condivide e s'intende ora ribadire (cfr. Cass. n. 2151 del 1992, Cass. n. 15253 del 2003, Cass. n. 14592 del 2007, Cass. n. 18242 del 2008), esclusa l'esperibilità del reclamo ai sensi dell'art. 308 c.p.c., la parte che si ritiene pregiudicata da detto ultimo provvedimento può impugnarlo con gli ordinari mezzi d'impugnazione (Cass. 27 giugno 2007 n. 14592; 17 maggio 2007 n. 11434; 18 gennaio 2005 n. 950; 28 aprile 2004 n. 8092), e, nell'alveo di tale procedimento, è ammessa a formulare l'istanza di rimessione al primo giudice. Sempre in via preliminare va dato atto che non risulta agli atti il fascicolo di parte attrice depositato nel giudizio recante r.g. 670/1985, risultando prodotto il solo fascicolo di parte istante relativo alla prosecuzione del giudizio (procedimento cui è stato assegnato il presente numero di ruolo, r.g. 1037/2013). In tal senso va ribadito che è onere della parte - ai sensi degli artt .72 e 74 delle disp. att. al c.p.c. - depositare in giudizio il proprio fascicolo con gli atti e i documenti di causa che pretende siano utilizzati come fonte di prova, ne consegue che, in caso di mancato deposito del fascicolo stesso, il Giudice non può rimettere la causa sul ruolo, per il relativo adempimento, ma deve pronunciare nel merito sulla base delle già acquisite risultanze istruttorie e degli atti riscontrabili nel fascicolo dell'altra parte e in quello d'ufficio. Il codice di rito, inoltre, non prevede alcuna norma che autorizzerebbe e o comunque legittimerebbe il Giudice ad obbligare una parte a ridepositare la documentazione prodotta in precedenza e poi ritirata. Da ciò ne consegue ancora che maturato il termine del deposito della comparsa conclusionale - di cui all'art. 190 c.p.c.- il Giudice è obbligato a pronunciarsi nel merito essendo comunque precluso, alle parti, in questa fase processuale, il deposito dei fascicoli precedentemente ritirati. Anche la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che essendo il processo civile un processo ad iniziativa di parte, qualora il fascicolo di parte sia stato ritirato (ex art. 169 c.p.c. e art. 77 disp. att. c.c.) e successivamente non più depositato, il giudice può decidere sulla base dei soli atti a sua disposizione, essendo tenuto a disporre la ricerca dei documenti mancanti o la ricostruzione dell'intero fascicolo di parte solo nel diverso caso in cui l'omissione dipenda da una condotta - involontaria - della parte (cfr. Cass. Civ. Sent. n. 21938/2006, n. 18237/2008, n. 11352/2010, n. 3055/2013). Orbene, nella fattispecie in esame la produzione di parte attrice depositata nel procedimento r.g. n. 670/1985 risulta ritirata in data 22.2.2011 (come da attestazione di Cancelleria presente sulla copertina del fascicolo d'ufficio) e mai più restituita o riprodotta in copia conforme. Come detto, infatti, il procuratore degli istanti nel costituirsi con comparsa in riassunzione ai sensi degli artt. 354 e 308 c.p.c. (giudizio cui veniva attribuito il presente numero di ruolo) si limitava a depositare la comparsa in riassunzione del 29.5.2013, copia della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 385/2013 e copia dell'ordinanza del Tribunale del 11.1.2011 (cfr. indice della comparsa in riassunzione), omettendo invece di ridepositare il fascicolo di parte, ritirato nel procedimento recante r.g. n. 670/1985. Il Tribunale, dunque, non può che decidere la controversia allo stato degli atti per come sopra specificato. Devono in primo luogo delibarsi le alle eccezioni preliminari sollevate da (...) nella comparsa di costituzione. Invero tutte le eccezioni di nullità della notifica dell'atto di citazione sono infondate e comunque sanate dalla costituzione in giudizio della originaria litisconsorte pretermessa. Giova brevemente ribadire sotto tale profilo che l'atto di citazione è l'atto introduttivo del giudizio di cognizione e la vocatio in ius è atto di attivazione del contraddittorio che persegue lo scopo di mettere il convenuto in condizione di esercitare correttamente le proprie difese. All'atto della costituzione parte convenuta, non solo non è risultata danneggiata dalla doppia rinnovazione della citazione, ma al contrario ha potuto svolgere perfettamente le sue difese, proponendo eccezioni e chiedendo l'istruzione probatoria, ragion per cui non si è mai pervenuti ad una situazione processuale compromessa. Ugualmente deve dirsi per l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dell'oggetto e dei fatti narrati, essa è infondata atteso che l'atto introduttivo del giudizio contiene tutti gli elementi, ex art. 163 c.p.c., idonei ad individuare i fatti rilevanti nonché il contenuto delle pretese fatte valere in giudizio, ponendo, pertanto, la controparte nella condizione di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese. Infondata è altresì l'eccezione di prescrizione pure sollevata dalla convenuta (...). Com'è noto, infatti, nelle obbligazioni solidali, l'atto con il quale il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido (come avvenuto nella specie) produce effetto anche nei confronti degli altri condebitori (art. 1310 c. 1 c.c.). E' bene evidente, dunque, che la proposizione della domanda introduttiva dell'originario giudizio ha esplicato effetto interruttivo della prescrizione anche nei confronti della (...) con il che l'eccezione non può che essere rigettata. Venendo, dunque, alla disamina della "res controversa", come innanzi anticipato parte attrice ha agito per in giudizio per far dichiarare l'inadempimento, in solido tra loro, dei sigg.ri (...) e (...), in proprio ed in qualità rispettivamente di amministratore unico e legale rappresentante della (...) SNC, in merito all'obbligo di concludere il contratto preliminare di vendita di alcuni beni mobili e immobili conclusa in data 18.2.1984. Gli attori hanno altresì richiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni da inadempimento quantificati in Euro 100.000,00 di vecchie L., ed oggi in Euro 51.650,00 con interessi e rivalutazione dal dovuto sino al soddisfo, nonché di emettere sentenza costituiva ex art. 2932 c.c. dell'obbligo di concludere il detto contratto preliminare del 18.2.1984. Dal canto suo il convenuto (...), in proprio e nella qualità indicata, ha proposto domanda riconvenzionale di simulazione della scrittura privata azionata. La domanda proposta dagli attori va rigettata per mancanza di prova, con assorbimento della domanda riconvenzionale pure proposta da parte convenuta e ciò per le ragioni che si vanno ad esplicare. Occorre ricordare che nelle azioni di adempimento il creditore deve provare la fonte (legale o negoziale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi ad allegare l'altrui inadempimento. Spetta poi al debitore provare gli eventuali fatti estintivi dell'altrui pretesa. Difatti, secondo i noti principi in tema di riparto dell'onere probatorio nelle azioni contrattuali di adempimento, di risarcimento danni da inadempimento e di risoluzione (art. 1453 c.c.), incombe al creditore esclusivamente di dimostrare il titolo e la scadenza delle obbligazioni che assume inadempiute, e di allegare il fatto d'inadempimento, incombendo poi al debitore convenuto di allegare e dimostrare dei fatti impeditivi, modificativi od estintivi idonei a paralizzare la domanda di controparte (così per tutte, da ultimo Cass. n.15659.2011: "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento; conf. Cass. n. 3373.2010; Cass. n. 9351.2007; Cass. n. 1743.2007; Cass. n. 20073.2004). Orbene, nella fattispecie in esame, non può ritenersi conseguita la prova della fonte negoziale del diritto di credito rivendicato dall'opposta, non risultando agli atti (né di parte attrice, né invero dei convenuti) il contratto preliminare di compravendita del 18.2.1984 azionato in giudizio. Né può valere, nella fattispecie in esame, il principio di non contestazione di cui all'art. 115, primo comma, c.p.c. (recentemente riformato con L. n. 69 del 2009) che non può sopperire alla mancata produzione di contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad substantiam. Ed infatti il principio di non contestazione di cui al riformato art. 115, I comma, c.p.c. (per il quale "Salvi i casi previsti dalle legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione...i fatti non specificatamente contestati dalla parti...") non può trovare applicazione nei sopra richiamati casi di diritti indisponibili, di contratti la cui forma scritta è prevista ad substantiam, e nei casi di processo contumaciale. Pertanto, nella fattispecie de qua, il principio di non contestazione, trattandosi di contratto per cui è prevista ad substantiam la forma scritta, non può sopperire alla mancata produzione documentale. Dalle considerazioni finora sviluppate, discende, pertanto ed in applicazione del cd. criterio della "ragione più liquida" atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, la domanda può essere respinta sulla base di una questione assorbente pur se logicamente subordinata, senza che sia necessaria esaminare previamente tutte le altre secondo l'ordine previsto dall'art. 276 cod. proc. civ., essendo ciò suggerito dal principio di economia processuale e da esigenze di celerità anche costituzionalmente protette (cfr., in tal senso, Tribunale di Piacenza, 28 ottobre 2010, n. 713; Tribunale di Piacenza, 19 febbraio 2011, n. 154; Cass. civ., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2007, n. 21266; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356; Tribunale di Reggio Emilia, 29 novembre 2012, n. 2029; Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, 12 gennaio 2011; Tribunale di Torino, 21 novembre 2010, n. 6709; Corte d'Appello di Firenze, 7 ottobre 2003; Tribunale di Lucca, 8 febbraio 2001), il rigetto delle domande giudiziali proposte dagli attori. Invero, la sentenza, quale atto giuridico tipico, non ha il compito di ricostruire compiutamente la vicenda che è oggetto del giudizio in tutti i suoi aspetti giuridici, ma solo quello di accertare se ricorrano le condizioni per concedere la tutela richiesta dall'attore. Ne deriva che la decisione può fondarsi sopra una ragione il cui esame presupporrebbe logicamente, se fosse invece richiesta una compiuta valutazione dal punto di vista del diritto sostanziale, la previa considerazione di altri aspetti del fatto stesso. La domanda riconvenzionale di simulazione del contratto preliminare per come proposta dal convenuto (...), in proprio e nella qualità indicata in epigrafe, non può che essere dichiarata assorbita. Venendo alle spese di lite, considerato il tenore della odierna pronuncia, il lungo e complesso iter processuale, stimasi equa e giusta la integrale compensazione delle spese di lite ex art. 92 comma 2 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Vibo Valentia, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sull'appello promosso come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: 1) RIGETTA le domande di parte attrice; 2) DICHIARA assorbita la domanda riconvenzionale di parte convenuta (...); 3) COMPENSA ex art. 92 c.p.c. le spese tra le parti. Così deciso in Vibo Valentia il 14 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA - SEZIONE ORDINARIA CIVILE - riunito in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati: 1) dott.ssa GIUSEPPINA PASSARELLI - PRESIDENTE 2) dott.ssa GERMANA RADICE - GIUDICE ESTENSORE 3) dott.ssa MARIACHIARA SANNINO - GIUDICE ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al numero 1726/2011 del Ruolo Generale Affari Contenziosi (R. G. A. C.) dell'anno 2011, rimessa al Collegio, per la decisione, all'udienza del 4.11.2021, previa concessione, in favore dei difensori delle parti, dei termini previsti dall'art. 190 cod. proc. civ., ai fini del deposito in Cancelleria di comparse conclusionali e di memorie di replica, avente ad oggetto: "Cause di impugnazione dei testamenti -impugnazione di testamento olografo per falsità - divisione di benicaduti in successione" e promossa DA (...) (C.F. (...)) in qualità di erede di (...) e (...) (C.F. (...)), rappresentante e difese dall'avv. An.Pl. di Tocco ed elettivamente domiciliate presso il suo studio sito in Catanzaro (CZ), alla Piazza (...); - ATTRICI - CONTRO (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Ce. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Vibo Valentia (VV), alla Via (...); - CONVENUTA - NONCHÉ (...), (...) E (...), (...), identificati come in atti; - CONVENUTI CONTUMACI - MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione gli attori originari (...), cui è subentrata quale erede universale (...), e (...), adivano, innanzi al Tribunale di Vibo Valentia, (...), (...), (...), (...) e (...) al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: "accertare e dichiarare la nullità del testamento olografo solo apparentemente redatto da (...), pubblicato in data 27.4.2009 dal notar (...) (?) e, conseguentemente procedere alla apertura della successione legittima e alla divisione dei beni in successione, previa predisposizione di un progetto di divisione degli stessi." In particolare, a sostegno delle predette conclusioni e quanto alle ragioni di fatto e di diritto a sostegno delle domande proposte, gli attori hanno precisato che: a) che in data 25.2.2009 decedeva in Catanzaro, (...), nato a P. (V.) il (...), lasciando eredi: (...), il figlio (...), i figli del fratello (...) deceduto in data 8.9.2009, (...) e (...), (...) deceduto in data 31.12.2016 e cui subentrava quale erede testamentaria universale (...); (...), e il figlio della sorella, (...), deceduta da oltre trent'anni, (...); b) che, in data 27 aprile 2009, è stata pubblicato, mediante rogito per Notaio dott.ssa (...), n. rep. (...) Racc. (...), scheda testamentaria olografa del 15.2.1995 del "de cuius" (...) con la quale quest'ultimo ha disposto delle sue proprietà; c) che il testamento deve intendersi nullo poiché non autografo; d) che, dunque, la ripartizione del patrimonio del "de cuius" tra gli eredi deve avvenire nelle forme proprie della successione legittima ai sensi dell'art. 570 c.c..; e) che, pertanto, è interesse degli attori giungere ad un'incontrovertibile decisione sulla validità o meno del suddetto testamento e sulla (conseguente) ripartizione "pro quota" dell'asse ereditario, sia mobiliare che immobiliare. Si costituiva in giudizio con deposito della comparsa di costituzione e risposta, (...) che contestava le ragioni sollevate dagli attori in ordine alla autenticità della scheda testamentaria olografa del "de cuius" e chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda proposta. Instaurato il contraddittorio il giudizio veniva più volte rinviato per la rinnovazione della notifica dell'atto di citazione nei confronti di (...), nonché per l'espletamento della consulenza grafolofica. Trattenuta la causa in decisione all'udienza del 2.7.2019, la stessa veniva rimessa sul ruolo con ordinanza dell'11.11.2019 attesa la nullità della notifica dell'atto di citazione nei confronti di (...) per come eseguita presso il domicilio fiscale dello stesso. Disposta la rinnovazione della notifica dell'atto di citazione, all'udienza del 13.10.2020, il procuratore di parte attrice esibiva originale della notifica all'estero effettuata nei confronti di (...) come da provvedimento del Tribunale del 4.11.2019 e, atteso il mancato rispetto dei termini a comparire per causa non imputabile al notificante, chiedeva fosse concesso nuovamente termine per notificare. Il Tribunale, con provvedimento emesso nel corso della medesima udienza, rilevata la nullità della notifica dell'atto di citazione per mancato rispetto dei termini a comparire e considerata prospettabile una causa non imputabile al notificante, rimetteva in termini parte attrice disponendo la rinnovazione della notifica dell'atto di citazione nei confronti di (...) entro il termine perentorio del 15 aprile 2020. All'udienza del 7 settembre 2021, verificata la regolarità del contraddittorio, la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 4.11.2021, svoltasi mediante trattazione scritta, previa rimessione al Collegio per la decisione, la causa è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. In via assorbente ed in rito, deve essere dichiarata l'estinzione del presente procedimento e ciò per le ragioni che si espongono. Il Collegio ritiene, infatti, melius re perpensa, che debba essere rilevata e dichiarata d'ufficio la nullità della notifica all'estero dell'atto di citazione nei confronti di (...), litisconsorte necessario nel presente procedimento (nel giudizio di impugnazione di un testamento olografo per nullità, stante l'unitarietà del rapporto dedotto in giudizio, sussiste litisconsorzio necessario ei confronti di tutti gli eredi legittimi, atteso che l'eventuale accoglimento della domanda porterebbe alla dichiarazione di invalidità del testamento ed alla conseguente apertura della successione legittima (cfr. Corte cassazione, sezione II, sentenza 7 marzo 2016 n. 4452). Ad avviso del Tribunale la notifica dell'atto di citazione eseguita dagli attori in data 3.12.2020 non pare idonea a garantire l'effettività dell'avvenuta conoscenza della notifica medesima da parte del convenuto, non costituitosi in giudizio. Gli istanti hanno posto in essere il procedimento notificatorio tramite l'Autorità Centrale prevista dal Regolamento CE n. 1393/2007 essendo lo S. residente a L. nel R. U.. Quale documentazione comprovante l'avvenuta notifica parte attrice ha prodotto in giudizio esclusivamente il cd. "Certificate of service" (letteralmente "Attestazione di notifica"). Orbene dagli elementi informativi riportati nel c.d. "certificato" ex art. 10 del Regolamento Comunitario n. 1393/2007, depositato in atti dalle attrici e relativo all'espletamento delle effettuate formalità della notifica, si rinviene unicamente al punto 12.2.2 che è stato seguito un particolare metodo di notifica prevendo l'immissione in cassetta postale del convenuto e che questo metodo comporta una valida notifica in base alle regole di cui alla parte 6.3 (1) (c) del codice di procedura civile inglese. Tuttavia, come correttamente rilevato da parte convenuta, tale metodo di notifica, prevede esclusivamente il deposito dell'atto presso un indirizzo approvato in base alle successive regole di cui ai punti 6.7, 6.8, 6.9 e 6.10 delle predette rules, che da un attenta lettura non riguardano il caso di specie prevendo esclusivamente il caso di notifica all'avvocato che agisce per conto della parte cui deve essere notificato o comunicato l'atto oppure i casi in cui la parte ha in precedenza specificato un indirizzo per la notificazione o comunicazione o il caso in cui non l'abbia specificato. Inoltre, va qui poi ricordato che nel Regno Unito la figura della "compiuta giacenza processuale" è regolata diversamente rispetto all'Italia. Secondo la normativa locale, infatti, qualora non sia possibile notificare un atto personalmente al notificando, si deve presentare istanza al Tribunale competente, che può autorizzare la notifica dell'atto all'ultimo indirizzo noto del destinatario. Nel modulo standard di avvenuta notifica previsto dal regolamento CEE nr. 1393/2007 peraltro non è indicato il perché non si è proceduto con la notificazione e comunicazione personale. Ciò, per di più non ricorrendo, nella specie, né l'ipotesi di "rifiuto", né quella di "impossibile o mancata consegna". Ulteriore incertezza, sulla validità del procedimento notificatorio, attiene alla mancata e/o comunque non leggibile, apposizione del "timbro" dell'Ufficio dell'organo ricevente e/o in alternativa della sottoscrizione autografa da parte del funzionario compilatore, quali requisiti formali di validità e completezza dell'atto notificatorio. Il Tribunale ritiene, dunque, alla luce degli argomenti esposti, , che la notifica effettuata all'estero nei confronti di (...) sia nulla, siccome effettuata in violazione dell'art. 142, comma 2, cod. proc. civ. e, più in particolare, per non essere state rispettate le formalità di notifica imposte dal regolamento comunitario 1393/2007, per le notificazioni che devono effettuarsi nell'ambito di Stati membri dell'UE, e in particolare nel caso di specie nel Regno Unito (quale luogo di residenza del predetto convenuto). Da ciò discende, quale ulteriore conseguenza, l'impossibilità di proseguire il presente giudizio e la inevitabile declaratoria di estinzione dello stesso. Ed, infatti è noto che nel caso in cui, dopo la concessione di un termine per rinnovare una notificazione (nel caso di specie peraltro concesso più di una volta nel corso del giudizio e con l'avvicendarsi di diversi giudici), anche la notificazione effettuata in rinnovazione risulti nulla, non è possibile concedere un secondo termine per un'ulteriore rinnovazione, giacché la natura perentoria del termine assegnato per il rinnovo della notificazione, ai sensi dell'art. 291 c.p.c., comma 1, non consente che, per il compimento della medesima attività - cioè per il compimento di una notificazione valida - possa essere assegnato un nuovo termine; l'art. 153 c.p.c., infatti, vieta la proroga dei termini perentori, salvo che si prospettino i presupposti per la rimessione in termini contemplati dal comma 2 dello stesso art. 153 c.p.c. (Cass. 20255/18). Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte sopra, atteso che non è possibile concedere un nuovo termine per rinnovare la notifica in quanto, diversamente opinando, verrebbe aggirato il termine perentorio già concesso ex art. 291 c.p.c.., va ordinata la cancellazione della causa dal ruolo ed il giudizio deve essere dichiarato estinto, ex artt. 291-307 comma 3 c.p.c.. Sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese di lite, le spese per la CTU espletata sono invece poste definitivamente a carico di parte attrice. P.Q.M. IL TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA definitivamente pronunziando nella controversia civile come innanzi promossa, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: - IN VIA PRELIMINARE revoca la dichiarazione di contumacia di (...); - DICHIARA l'estinzione del giudizio; - COMPENSA le spese di lite; - PONE le spese di CTU definitivamente a carico di parte attrice. Così deciso in Vibo Valentia il 18 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Vibo Valentia, Sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice, Dr.ssa Giuseppina Passarelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 104 del 2013 R.G.A.C., TRA (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'Avv.to Na.Do., in virtù di procura alle liti a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio legale, sito in Vibo Valentia, alla via (...) - Attrice - NEI CONFRONTI DELLA AZIENDA AGRICOLA SOCIETÀ (...) (P. IVA (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv.to Ca.Fe. Messina, in virtù di procura alle liti in calce all'atto di comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata presso il suo legale, sito in Vibo Marina, via (...), Palazzo Valotta, - Convenuta- E (...) ed altri (C.F. non in atti), nella qualità di eredi di (...) -Convenuti contumaci- OGGETTO: azione di usucapione avente ad oggetto bene immobile ai sensi dell'art. 1158 c.c.. MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Parte attorea, con apposito atto di citazione, ha dedotto: a) che, l'Azienda Agricola Società (...) aveva intrapreso una procedura di rilascio del fondo nei confronti degli eredi di (...), in virtù della sentenza n. 654 del 2006 del Tribunale di Vibo Valentia, Sez. Specializzata Agraria, con la quale (...) era stato condannato al rilascio del fondo, sito in S.(...) identificato in catasto al foglio n. (...), particella n. (...) (ha 0,55,60 circa), particella n. (...) (ha 0,55,60 circa) e particella n. (...) (ha 0, 69.60); b) che, con ricorso del 10/10/2011, proponeva opposizione di terzo nella procedura esecutiva n. 132/2010 pendente dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia; c) che, parte del suddetto fondo fin dal 1979 è nell'esclusivo possesso di (...), che l'ha sempre coltivato, utilizzato in maniera ininterrotta, pubblica e pacifica esercitando tutti i diritti di proprietaria e prima di lei i suoi genitori, (...) e (...); d) che, la parte di fondo identificata in catasto con la particella (...) (are 8,32), con la particella (...) (are 55,24), con la particella (...) (are 42,57), con la particella n. 476(are 30,09) e con la particella n. (...) (mq 40), è recintata con un muretto in calcestruzzo di circa 80 cm e sovrastante recinzione metallica di m. 1,50; e) che, nel 1981 realizzava una costruzione, per la quale il 23/09/1986 presentava regolare richiesta di concessione in sanatoria effettuando i relativi versamenti; f) che, trasformava il fondo per cui è causa da seminativo in uliveto con l'impianto di circa 400 piante; g) che, la costruzione è dotata di acqua potabile con regolare allaccio alla rete comunale a suo nome ed i locali vengono utilizzati per custodire il raccolto di altri fondi destinato alla vendita e al fabbisogno familiare, oltre ad attrezzature agricole; h) che, l'esecutore procedente non ha e non può avanzare alcun diritto o pretesa sul suo terreno e, pertanto, la sentenza non può avere alcun effetto nei suoi confronti in quanto terza; i) che, l'usucapione costituisce un titolo originario dell'acquisto della proprietà con effetti retroattivi, pertanto, annulla qualsiasi efficacia degli atti formali e della sentenza in forza dei quali si intende procedere all'esecuzione; l) che, in via subordinata, l'istante ha diritto all'indennità per le migliorie eseguite sul fondo; m) che, in attesa di definizione del procedimento di cognizione di usucapione, il Giudice dell'esecuzione respingeva la richiesta di sospensione; n) che, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., chi non ha un valido titolo di proprietà sul bene oggetto dell'esecuzione può legittimamente opporsi per far valere il suo diritto di maturata usucapione ventennale. Sulla scorta di tali assunti, parte attorea ha chiesto di dichiarare e riconoscere di aver usucapito l'immobile per cui è causa, in virtù dell'esercizio del possesso pubblico, pacifico ed ininterrotto da oltre un ventennio, esercitando tutti i diritti e le facoltà del proprietario. Pertanto, essa ha chiesto di ordinare al Conservatore dei Registri Immobiliari la trascrizione della emananda sentenza ed ai competenti uffici di eseguire le relative volturazioni. In via subordinata, di dichiarare il diritto all'indennità per i miglioramenti eseguiti, con condanna al pagamento di accessori e interessi dal dovuto al soddisfo, con diritto alla detenzione del fondo fino all'effettivo pagamento dell'indennità. Il tutto con vittoria di spese e competenze di lite. 2. Si è costituita ritualmente in giudizio la convenuta Azienda Agricola Società (...), in persona del legale rappresentante p.t., la quale ha eccepito: a) che, l'azione giudiziaria nasce dall'esecuzione della sentenza n. 654 del 18/10/2006 emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, Sezione Specializzata Agraria, all'esito del ricorso presentato dall'Azienda Agricola nei confronti di (...), il quale deteneva in fitto un fondo, sito in S.(...), identificato al catasto al foglio n. (...), particelle nn. (...), (...), (...), (...); b) che, (...) è intervenuta nel processo esecutivo, sostenendo di possedere parte del fondo intestato all'Azienda Agricola, precisamente le particelle nn. (...), (...), (...), (...), (...) di cui al foglio n. (...); c) che, si tratta di particelle derivate, più precisamente la particella n. (...) dalla frazione della particella n. (...); la particella n. (...) dalla n. 413 e, a sua volta, dalla n. 389 e, a sua volta, dalla n. (...); la particella n. (...) dalla n. (...); la particella n. (...) dalla n. (...) e la particella n. (...) dalla n. (...), tutte detenute da (...), per le quali l'Azienda Agricola ha sempre esercitato diritti di proprietà; d) che, con la sentenza n. 654 del 18/10/2006, ha ottenuto il rilascio del fondo affittato a (...), esercitando, pertanto, i conseguenti diritti di proprietà; e) che, dal verbale di riconsegna del fondo, datato 14/10/2002, viene riconosciuto il possesso del terreno oggetto di causa da parte di (...), mentre la proprietà come spettante all'Azienda Agricola, per cui lo stesso terreno, alla data di relazione del verbale di riconsegna del fondo rustico, non poteva essere in possesso di (...). Sulla base di tali assunti, la parte convenuta ha chiesto il rigetto di tutte le richieste perché infondate in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese e competenze di lite da distrarsi ex art. 93 c.p.c. 3. La causa è stata istruita a mezzo di produzione documentale e prove testimoniali. All'udienza dell'11 Aprile 2014, il Giudicante concedeva termini ex art. 183, c. 6, c.p.c. e rinviava per l'ammissione dei mezzi di prova articolati. All'udienza successiva, rilevata la regolarità della notifica nei confronti di (...) ed altri, ritualmente citati e non comparsi, ne dichiarava la contumacia. Altresì, il Giudicante, alla luce del fatto che parte attorea aveva dedotto di aver introdotto il presente giudizio a seguito di ordinanza resa dal Giudice dell'Esecuzione ai sensi dell'art. 619 c.p.c., rilevava la necessità di acquisire il fascicolo della prima fase del giudizio, nonché copia della Consulenza tecnica di ufficio presente all'interno del procedimento n. 132/2010 R.G.E., prima di decidere in ordine ai mezzi di prova. Alla successiva udienza, a scioglimento di riserva, il Giudicante, preso atto dell'acquisizione del fascicolo della procedura esecutiva n. 132/2010 R.G.E., ancora pendente, e rilevata la necessità di restituire il fascicolo per la prosecuzione del giudizio, disponeva l'ammissione della prova per testi richiesta da parte attorea e la restituzione alla Cancelleria delle esecuzioni del fascicolo n. 132/2010 R.G.E., previa estrazione di copia del ricorso proposto da (...) e della consulenza tecnica di ufficio, nonché del verbale di rilascio del fondo, riservando all'esito della prova orale ogni decisione sulla consulenza tecnica d'ufficio. In seguito, all'esito dell'udienza del 12 Maggio 2017, il Giudicante, ritenuto superfluo ai fini causa l'ulteriore approfondimento di natura tecnica, rigettava la richiesta di CTU. Conclusasi l'attività istruttoria, all'udienza del 2 Dicembre 2021, svoltasi con trattazione scritta, le parti hanno precisato le loro conclusioni in forma cartolare e la causa è stata trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., per lo scambio di comparse conclusionali e di memorie di replica. 3.1. In comparsa conclusionale, parte attorea ha evidenziato che le dichiarazioni rese dei testi sono attendibili, chiare, coerenti per come è possibile riscontrare dalla documentazione prodotta e costituiscono prova certa dell'intervenuto acquisto per usucapione. Essa ha evidenziato che la realizzazione della costruzione e la relativa richiesta di concessione edilizia in sanatoria, la recinzione, l'impianto dell'uliveto, rappresentano condotte tipiche del proprietario e non già del detentore, ossia attività corrispondenti all'esercizio di proprietà. Parte attorea ha evidenziato che la situazione catastale non può costituire atto interruttivo e non ha rilevanza sul possesso di fatto e uti dominus necessario per usucapire, mentre il frazionamento conferma l'infondatezza dell'assunto avversario, perché la parte frazionata non era più di proprietà di parte convenuta. Inoltre, essa ha rilevato che con il verbale di riconsegna del fondo, sarebbero state restituite le particelle nn. (...), (...), (...), (...) che sono diverse da quelle per le quali si chiede che venga dichiarata l'usucapione. Parte attorea ha, poi, evidenziato l'inammissibilità dei documenti prodotti da parte convenuta, più precisamente la consulenza tecnica di ufficio che avrebbe individuato le particelle oggetto del contratto di affitto, il verbale di rilascio e il contratto di affitto, dopo la precisazione delle conclusioni e pertanto, ben oltre i termini di cui all'art. 183, c. 6 c.p.c., per cui detti documenti devono essere stralciati dal fascicolo e ritenuti inutilizzabili. Essa ha ribadito che il fondo di parte attorea recintato di 13.657,00 mq., con fabbricato, coltivato ad uliveto non ha nessuna correlazione e nessun riferimento con il fondo di cui la sentenza ha disposto il rilascio, difatti l'estensione delle particelle non coincide con quella indicata nella sentenza. Per tali motivi, essa ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate e, in via subordinata, ha chiesto l'ammissione della Consulenza tecnica d'ufficio al fine di determinare l'indennizzo per i miglioramenti e la trasformazione del fondo e che la causa venga rimessa in istruttoria, con condanna alle spese, anche per la fase di opposizione dinanzi al G.E. e di reclamo. Con la memoria di replica, l'attrice ha ribadito che la sentenza n. 5654 del 2006 non ha identificato il fondo condotto da (...) e l'ordinanza di correzione della stessa ha stabilito che il (...) doveva rilasciare il terreno identificato catastalmente al foglio (...), particella (...) (ha 0.55,60), particella (...) (ha 0,31,55), particella (...) (h 4.20,60), particella (...) (ha 6,54,30, di cui in affitto ha 0,69,60), con una superficie complessiva di 11 ettari. Il dispositivo della sentenza è contraddittorio, non eseguibile e in contrasto con il contratto di affitto di cui si chiedeva la risoluzione e non consente l'individuazione del fondo. Difatti, il fondo in affitto aveva un'estensione di 4 tomolate ossia 7000 mq. circa, ma è stato disposto il rilascio di un'estensione di 11 ettari, di cui in affitto ha 0,69,60. Le particelle in possesso della (...) sono diverse e distinte. Parte attorea, poi, ha rilevato la necessità che questo Giudicante si astenga dal presente giudizio in quanto ha già deciso il giudizio n. 1294/2016, svoltosi tra le stesse parti, in cui gli eredi R. e la (...) avevano proposto opposizione agli atti esecutivi avverso l'immissione in possesso a favore dell'Azienda Agricola. 3.2. In comparsa conclusionale, parte convenuta si è riportata alle difese ed eccezioni già ampiamente esposte nei precedenti atti e scritti difensivi ed ha evidenziato che parte attorea, affermando di essere nel possesso e proprietaria per usucapione, si è opposta all'esecuzione della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, Sezione Specializzata Agraria, n. 654/2006 con la quale (...) è stato condannato al rilascio dei terreni identificati. Parte convenuta ha ribadito che le particelle di cui è causa derivano dal frazionamento di quelle detenute da (...). Essa ha, inoltre, evidenziato che altra prova per cui la (...) non aveva il possesso è data dal verbale con cui (...) ha consegnato al Comune le particelle (...), (...), (...), per la realizzazione di una strada, verbale in cui verrebbe riconosciuta la proprietà dell'Azienda Agricola. Inoltre, la Consulenza tecnica d'ufficio acquisita avrebbe individuato il terreno condotto in fitto da (...) e con verbale dell'Ufficiale Giudiziario l'Azienda Agricola è stata immessa nel possesso del terreno, che attualmente è stato concesso in affitto ad altra persona. Per tali motivi, parte convenuta ha insistito nell'accoglimento delle conclusioni già rassegnate. Nella successiva memoria di replica, la parte convenuta ha ribadito le precedenti difese ed eccezioni, insistendo per il loro accoglimento. 4. Fatta questa premessa, la domanda proposta risulta infondata e, come tale, non può essere accolta per le ragioni di seguito esposte. 4.1. Occorre, preliminarmente rilevare, che con riguardo all'invito all'astensione formulata da parte attorea nella memoria di replica, nei confronti di questo Giudice, ai sensi dell'art. 51, c. 2, c.p.c. per il fatto di aver deciso altro giudizio pendente tra le stesse parti, è onere della parte esercitare il potere di ricusazione nei termini e nelle forme di cui all'art. 52 c.p.c., qualora tale potere non sia fatto valere entro il termine di cui all'art. 52 c.p.c., la parte non ha mezzi processuali per eccepire il difetto di capacità del Giudice che deriverebbe dalla presunta incompatibilità, salvo che questi non abbia nella causa un interesse diretto (cfr. Cass. Civ., sent. n. 3272 del 2001 e n. 1668 del 1998). Preme, poi, evidenziare che non ricorre un'ipotesi di astensione nelle ipotesi in cui il Giudice abbia avuto conoscenza come Magistrato di una causa diversa che verta su oggetto analogo, che comporti la risoluzione di una medesima problematica e che ha condotto alla formulazione di un dato indirizzo pretorio (cfr. Cass. Civ., sent. 4024 del 2006 e n. 2593 del 2015). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non ricorre un'ipotesi di astensione ove il Giudice abbia già giudicato una controversia analoga o anche identica, giacché tale situazione non è di ostacolo ad una valutazione imparziale della lite, attesa l'assenza nel nostro ordinamento del principio di vincolatività del precedente e considerata, invece, la sussistenza della possibilità di un riesame della questione sotto altri profili e secondo nuove ragioni prospettate dalle parti (cfr. Cass. Civ., sent. n. 3994 del 1978). 4.2. Venendo al merito della controversia, giova considerare che il presente giudizio si incardina nell'alveo applicativo dell'art. 1158 c.c. avente ad oggetto l'usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari. L'usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà mediante il possesso continuativo ventennale del bene immobile. La legge richiede che tale possesso debba caratterizzarsi per il fatto di essere pacifico e pubblico, non occorrendo tuttavia che sia in buona fede. Il possessore può ben essere a conoscenza dell'esistenza del diritto di proprietà altrui sul bene. Quindi, oltre al disinteresse del titolare, è necessario anche un comportamento attivo di un terzo volto a trarre dal bene in questione tutte le utilità che solo il proprietario avrebbe diritto a ottenere. Gli elementi fondamentali dell'usucapione sono costituiti dal possesso per oltre venti anni del bene altrui; dall'utilizzo di tale bene con esercizio dei poteri che solo un proprietario potrebbe vantare e dalla mancata rivendicazione del proprio bene da parte del proprietario. A tal fine non basta una lettera di diffida, ma è necessario l'avvio di un procedimento volto ad ottenere la restituzione dell'immobile (è sufficiente anche la semplice notifica dell'atto di citazione). Se manca anche uno solo di questi tre elementi, non si può avere usucapione. In generale, per provare l'usucapione del bene possono essere utilizzati tutti i mezzi di prova messi a disposizione dall'ordinamento. Colui che invoca l'intervenuto acquisto per usucapione ha l'obbligo di fornire la prova rigorosa di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, allegando e dimostrando il momento e le modalità di acquisto del possesso, non essendo sufficiente a tal fine la generica dichiarazione di aver posseduto per oltre vent'anni (cfr. Trib. Castrovillari, 04/03/2020, n. 253). La Suprema Corte, con ordinanza n. 6688 del 7 marzo 2019, ha stabilito che: "Ai fini dell'usucapione è necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa da parte dell'interessato attraverso un'attività contrastante e incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione, non essendo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti o tollerati dal proprietario, perché comportanti solo l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa". Colui che agisce in giudizio per ottenere una pronuncia che riconosca l'acquisto della proprietà di un bene per intervenuta usucapione, è obbligato a fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, dunque, non soltanto del corpus, ma anche dell'animus, per tutto lo statutum tempus. La prova in ordine al maturare dell'usucapione è complessa e deve essere notevolmente concordante nei suoi esiti al punto da non lasciare spazio e perplessità sulla veridicità delle circostanze asserite, sulla concludenza e sufficienza delle medesime a dimostrare un costante comportamento corrispondente all'esercizio del diritto vantato e, in particolare, a fornire la prova degli specifici atti compiuti, idonei a rivelare in modo non equivoco il concreto possesso esercitato ininterrottamente sul bene. Giova, poi, considerare che la continuità del possesso va posta proprio in relazione con la destinazione del bene che ne forma oggetto (cfr. Cass. Civ., sentt. n. 9238 del 2000; n. 3081 del 1998). La continuità del possesso ad usucapionem si ravvisa ogniqualvolta il possessore esplichi costantemente la signoria di fatto sul bene, e lo manifesti con atti di possesso conformi alla qualità e destinazione della cosa. Ciò anche in ragione del fatto che la sentenza con cui viene pronunciato l'acquisto per usucapione del diritto di proprietà ha sì natura dichiarativa e non costitutiva, ma ciò non esclude che la stessa abbia una funzione di accertamento giudiziale del fatto acquisitivo del diritto in tutti i suoi elementi strutturali che devono formare oggetto di apposito scrutinio e di adeguata istruttoria, non operando tale forma di prescrizione acquisitiva di un diritto reale immobiliare in modo automatico. Ciò anche in ragione della successiva trascrizione della sentenza nei pubblici registri immobiliari. 4.2. Ciò posto, occorre considerare che parte attorea ha riferito di aver esercitato sul terreno un possesso ultraventennale pacifico ed indisturbato, mediante lo svolgimento sul terreno oggetto di causa di lavori manutenzione ordinaria e straordinaria, in particolare, ha fatto riferimento alla messa in dimora di 400 piante di ulivo, trasformando il fondo da seminativo in uliveto, di aver realizzato una costruzione, provveduto alla sua recinzione e alla richiesta a proprio nome di allaccio all'acquedotto comunale. Per la configurabilità del possesso ad usucapionem, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo ed ininterrotto, diretto inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa per tutto il tempo previsto dalla legge un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria in contrapposizione all'inerzia del titolare del diritto (cfr. Cass. Civ., sent. n. 20670 del 2010; n. 8158 del 2012 e n. 2044 del 2015). Giova considerare che in tali tipi di giudizio l'attore è onerato della prova del decorso di tale periodo, mentre il Giudice deve accertare l'effettivo protrarsi del possesso per il prescritto ventennio in quanto condizione per l'accoglimento della domanda a prescindere dalla contumacia o meno della parte convenuta. Di tal guisa, ove il protrarsi del possesso per il necessario periodo non risulti univocamente accertato all'esito dell'istruttoria compiuta, il Giudice non può esimersi dal rilevare ex actis il difetto di una condizione di accoglibilità della domanda (cfr. Cass. Civ., sent. n. 5487 del 2004). Infatti, il maturare della prescrizione acquisitiva riposa sul requisito intrinseco dell'univocità del possesso e sulla completa inerzia del proprietario, dunque, sulla natura continua ed ininterrotta dello stesso, accompagnata dall'intenzione, resa palese a tutti, di esercitare sul bene una signoria di fatto apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, onde rilevare l'intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo, non lasciando margini a dubbi o incertezze. Orbene, nel caso di specie, non si ravvisa dalla documentazione prodotta ed acquisita il sussistere dei presupposti giuridici per l'accoglimento della domanda. In particolare, non ricorre un atteggiamento inerte del proprietario, infatti, l'Azienda Agricola Società (...) con sentenza n. 654 del 18 Ottobre 2006, emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, Sez. Specializzata Agraria, l'Azienda Agricola Società (...) aveva ottenuto il rilascio del fondo, sito in San Gregorio d'Ippona identificato in catasto al foglio n. (...), particella n. (...) (ha 0,55,60 circa), particella n. (...) (ha 0,55,60 circa) e particella n. (...) (ha 0, 69.60), affittato al (...). Nel corso del presente giudizio, acquisito il fascicolo n. 132/2010 R.G.E., veniva estratta copia della Consulenza tecnica d'ufficio, disposta al fine di individuare il terreno da rilasciare in esecuzione della sentenza n. 654 del 2006 del Tribunale di Vibo Valentia, dalla quale si evince che oggetto di rilascio erano le particelle (...), (...), (...),(...),(...), del foglio (...), del Comune di San Gregorio d'Ippona derivate dalle particelle nn. (...), (...), (...), (...). Ne consegue che le particelle per cui è causa sono le stesse per cui è intervenuta la sopracitata sentenza nella quale veniva disposto il rilascio del fondo in favore del proprietario. Nella successiva integrazione della relazione peritale, il CTU ha precisato che le particelle del fondo coincidono con i dati catastali riportati nella sentenza n. 654 del 18 Ottobre 2006, sicché l'area recintata con muretto e rete metallica deve ritenersi di proprietà di (...), precisando in una successiva integrazione che non coincidevano per estensione poiché le particelle indicate in sentenza avevano una estensione di Ha 11,00,00, mentre quella recintata era di 13.657,00. Sul punto, la deduzione di parte attorea circa il maturare dell'usucapione in quella data, per come emerge dall'esito dell'attività istruttoria, risulta priva di pregio. Gli esiti della prova testimoniale non sono sufficienti a ritenere dimostrato un possesso utile ad usucapire il bene, poiché quanto dichiarato dai testi deve essere posto vis à vis con la documentazione in atti, a nulla rilevando la prova della presunzione del possesso intermedio di cui all'art. 1142 c.c. che soccorre il giudice nella ricostruzione della fattispecie acquisitiva, ma non solleva l'attore dall'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio. Mancano in atti anche le prove dell'attività di manutenzione ordinaria svolta su tali beni, di cui non è stato fornito neppure un riscontro fotografico al fine di valutarne la corrispondenza con quanto dichiarato dai testi escussi. Orbene, gli esiti della prova testimoniale espletata non consentono di ritenere dimostrato il sussistere del possesso utile ad usucapire in capo all'attrice. Parimenti non sufficientemente provata risulta essere la domanda sotto il profilo degli ulteriori elementi fattuali forniti dai testi di parte attorea, quale requisito integrante la dimostrazione del potere di fatto sulla cosa contesa. La giurisprudenza di legittimità non ha mancato di chiarire che nel caso in cui i testimoni si esprimano genericamente in ordine al possesso ad usucapionem senza indicare in modo specifico e concreto che la condotta è avvenuta attraverso l'esercizio ininterrotto di un potere di fatto corrispondente ad un diritto di proprietà pieno ed esclusivo, la relativa domanda non può trovare accoglimento (cfr. Cass. Civ., sent. n. 15145 del 2004). La circostanza dedotta da parte attorea di aver coltivato il terreno e di aver eseguito dei lavori sullo stesso non dimostra con certezza l'animus possidendi ai fini dell'usucapione, non comportando di per sé una situazione oggettivamente incompatibile con la proprietà altrui (cfr. Cass. Civ., sent. n. 9325 del 2011). L'attività di coltivazione del fondo cui fanno riferimento i testimoni, è utile a fini istruttori, ma non si presenta sufficiente ai fini della prova della sussistenza del possesso utile ad usucapire. La Corte di Cassazione ha chiarito, infatti, che: "Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus (cfr. Cass. Civ., sent. n. 17376 del 2018). Parimenti, con riguardo alla costruzione realizzata sul fondo, giova considerare che all'udienza del 1 Luglio 2016, il teste (...) ha dichiarato di non sapere chi abbia materialmente realizzato il fabbricato e di presumere soltanto che sia stato realizzato dalla (...). A sua volta, il teste (...), alla stessa udienza, ha dichiarato che il fabbricato è stato realizzato tra il 1981 e 1982 su incarico della (...) ed ha affermato che lo stesso si presume venga utilizzato come ricovero per i mezzi e le attrezzature agricole. Sul punto, il narrato testimoniale non risulta esaustivo, anche in ragione del fatto che non sono stati forniti riscontri sulla Ditta o su chi, in linea generale, abbia eseguito i lavori e sul relativo costo. Non è stato fornito neppure un riscontro fotografico di tale costruzione al fine di verificarne la dimensione, l'ubicazione sul fondo e la modalità di utilizzo. La domanda di condono allegata al fascicolo di parte attorea con prot. n. (...) del 29 Marzo 1986, a firma di (...), non consente di risalire al fondo sul quale è stato realizzato il fabbricato in proprio, parimenti all'attestazione sull'allaccio dell'acqua potabile sin dal 23 Giugno 1983, rilasciata dal Comune di San Gregorio d'Ippona il 1 Marzo 2004, non valgono di per sé a dimostrare l'esistenza di un possesso utile ad usucapire. Inoltre, dal verbale di rilascio dell'immobile del 18 Febbraio 2010, depositato in Cancelleria il 23 Febbraio 2010, R.D., marito di (...), ha dichiarato che la moglie è detentrice di alcune particelle oggetto di causa, la quale gestisce i terreni come se fosse la proprietaria dal 1979, mentre il (...) ha dichiarato di essere venuto a conoscenza della detenzione del bene da parte della (...) solo nel giorno del rilascio, dal momento che agli inizi il terreno era stato affidato con regolare contratto a (...). Siffatta prospettazione delinea una situazione di detenzione del bene in capo all'attrice e non di possesso. La detenzione, sia essa qualificata che non qualificata, sottende l'esercizio di un potere di fatto sul bene che non corrisponde all'esercizio della proprietà o di un altro diritto reale minore di godimento, ma di un diritto personale di godimento che trova fondamento in rapporti di natura obbligatoria sia titolati che non. Sul punto, occorre considerare che l'art. 1141 c.c. detta una disciplina specifica in materia di mutamento della detenzione in possesso. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: "L'interversione della detenzione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso" (cfr. Cass. Civ., sent. n. 17376 del 2018). Circostanze queste ultime confermate dalla documentazione versata in atti dalla parte convenuta, da cui è possibile trarre l'esercizio da parte del proprietario delle facoltà sottese al diritto dominicale sul bene. Tali elementi elidono il ricorrere di un possesso continuo ed ininterrotto sul bene dal parte dell'attrice e depongono per la non univocità del quadro probatorio fornito, dal quale non è possibile desumere con certezza se si sia al cospetto di una detenzione o di un possesso, non essendo stata fornita la prova della relativa interversione, non rilevando mere volizioni interne né quanto emerso dalla prova testimoniale. Per tali motivi, pur volendo ipotizzare una situazione di detenzione non qualificata del bene, l'acquisto a titolo originario dello stesso sottende una interversione della detenzione in possesso che è smentita dal compendio probatorio in atti, non potendo fungere da unico elemento di prova di un presunto potere di fatto sulla cosa, la coltivazione del fondo o l'esecuzione di lavori, i quali non dimostrano con certezza l'animus possidendi ai fini dell'usucapione, non comportando una situazione di per sé oggettivamente incompatibile con la proprietà altrui, per come emerso nella vicenda pendente. Parimenti non provata risulta essere la domanda sotto il profilo dell'indennizzo per le migliorie eseguite sul fondo, non risultando versata in atti documentazione comprovante le spese sostenute a fronte delle singole attività svolte, non potendo intervenire in tali casi il potere di liquidazione in via equitativa del Giudice che non si sostituisce all'onere di allegazione e prova gravante sulla parte che ne chiede la liquidazione. Sulla scorta delle argomentazioni che precedono le domande proposte dall'attore non possono trovare accoglimento e devono essere rigettate. 5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (come mod. dal D.M. n. 37 del 2018), nella somma complessiva di Euro 4.835,00, di cui Euro 875,00 per la fase di studio, Euro 740,00 per quella introduttiva, Euro 1.600,00 per quella istruttoria ed Euro 1.620,00 per quella decisionale, con la precisazione che in base al valore della controversia è stato applicato lo scaglione per le controversie di valore compreso tra gli Euro 5.200,00 e gli Euro 26.000,00, nei valori medi e con distrazione in favore del procuratore costituito che ne ha fatto richiesta ex art. 93 c.p.c. Le spese di lite sono liquidate in favore della sola Azienda Agricola Società (...) Nulla si dispone sulle spese nei confronti delle altre parti convenute rimaste contumaci. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, nel giudizio pendente tra le parti di cui in epigrafe, così provvede: - rigetta le domande proposte da parte attorea; - condanna parte attorea a rifondere in favore della parte convenuta costituita, le spese del presente giudizio che si liquidano, come in parte motiva, in complessivi Euro 4.835,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali al 15 per cento, Iva e Cpa, come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito ex art. 93 c.p.c.; - nulla sulle spese tra l'attrice e le altre parti convenute rimaste contumaci. Così deciso in Vibo Valentia il 20 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Vibo Valentia, sezione civile, in persona del G.M., Dott.ssa Mariachiara Sannino, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1384/2014 del R.G.A.C., avente ad oggetto "Altri contratti atipici", pendente TRA (...), C.F. (...) , rappresentata e difesa dagli avvocati Fr.Ba. e Gi.Ca. ed elettivamente domiciliata presso il loro studio, sito in Roma, alla via (...), giusta procura in atti; ATTORE E (...) S.R.L., C.F. (...), rappresentato e difeso dall'avv. En.Al. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in Cerignola (FG), alla Via Assisi, 26, giusta procura in atti; CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E MOTIVI DELLA DECISIONE Si premette che, alla luce della L. 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore in data 4.7.09, si procederà ad una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, in attuazione alla novella dell'art. 132 n. 4 c.p.c.. Con atto di citazione ritualmente notificato, la signora (...) adiva innanzi all'intestato Tribunale la società (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al fine di sentire accertare e dichiarare l'inadempimento contrattuale della società convenuta per il mancato svolgimento dello stage di tre settimane lavorative da svolgersi nelle sedi indicate dagli Istituti Bancari convenzionati oltre al danno patrimoniale e non patrimoniale patito dall'attrice, e per l'effetto sentire condannare la convenuta al pagamento della di Euro 4.900,00, quale rimborso della somma corrisposta dalla signora (...) per la partecipazione al master ed Euro 5.000,00 a titolo di risarcimento danni non patrimoniali. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 24 dicembre 2014, si costituiva in giudizio (...) S.r.l., chiedendo il rigetto della domanda poiché infondata in fatto e in diritto nonché la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Integrato il contraddittorio, concessi i termini di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c., rigettate le istanze istruttorie, la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni. In data 24 novembre 2020 il presente fascicolo era assegnato alla scrivente; all'udienza del 1 febbraio 2022 la causa era trattenuta in decisione previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Così ragguagliate le vicende processuali, la domanda attorea deve essere parzialmente accolta nei termini che seguono. Per come anticipato, parte attrice agisce al fine di sentir accertare la responsabilità della convenuta per inadempimento delle prestazioni contrattuali assunte a seguito della sottoscrizione del contratto, avvenuta in data 20 febbraio 2013, ed avente ad oggetto un Master per operatore bancario comprensivo di stage. In particolare, il contratto prevedeva per gli iscritti, nei casi di acquisto del master con stage, la possibilità di sostenere un colloquio di selezione/conoscitivo presso istituti bancari convenzionati o da convenzionarsi, con la finalità di essere accolti in stage presso gli istituti aderenti, successivamente alla fase delle lezioni ovvero entro 12 mesi dal termine delle stesse. Ciò che quindi viene contestato come inadempimento da parte dell'odierna attrice è il mancato assolvimento dell'obbligazione riguardante lo svolgimento dello stage a seguito delle lezioni, per come assunto in sede di stipula del contratto richiamato. Nel dettaglio, l'attrice deduceva che il siffatto inadempimento avrebbe impedito di ottenere un'occupazione in ambito bancario, non avendo l'attrice acquisito l'esperienza professionale che lo svolgimento dello stage avrebbe potuto concederle. Altresì, sosteneva di aver rinunciato alla possibilità di svolgere un master con la società (...) S.r.l., "convinta delle condizioni contrattuali della società convenuta". Pertanto, la responsabilità di cui si chiede l'accertamento è stata correttamente qualificata dall'attrice come responsabilità da inadempimento contrattuale, nella specie di quanto determinato contrattualmente in capo alla convenuta, circa lo svolgimento dello stage e dal quale sarebbe derivato il paventato danno in capo all'odierna attrice. Occorre premettere che, per quanto attiene al profilo della prova dell'inadempimento di un'obbligazione, costituisce ormai principio consolidato che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per l'adempimento o per il risarcimento del danno, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, impeditivo e modificativo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. S.U. n. 13533/01). Sul punto, se sull'attrice ricade unicamente l'onere di allegazione dell'inadempimento della convenuta, su quest'ultima ricade l'onere di prova afferente all'effettivo adempimento agli obblighi contrattualmente sanciti. Ebbene, nel caso di specie, il mancato svolgimento dello stage di cui al contratto non è stato contestato dall'odierna convenuta. Deve evidenziarsi come, al punto n.1) delle condizioni contrattuali, la convenuta si impegnava "a far sostenere all'allievo un colloquio di selezione/conoscitivo presso istituti bancari convenzionati o da convenzionarsi, con la finalità di essere accolto in stage". Come evincibile dalla documentazione versata in atti, in concreto lo stage successivo alle lezioni frontali non si è svolto. Ed infatti, con comunicazione a mezzo email del 11 giugno 2014, l'Istituto comunicava all'attrice la mancata disponibilità di aziende per lo svolgimento dello stage. Riferiva, altresì, che per tale ragione avrebbe provveduto alla restituzione della somma versata per lo stage pari ad Euro 500,00, previa comunicazione delle coordinate bancarie sulle quali effettuare il pagamento. Dalla documentazione allegata emerge, altresì, come l'istituto si fosse adoperato al fine di cercare gli istituti bancari presso i quali eseguire i colloqui e quindi, lo stage agli iscritti, non ricevendo tuttavia alcun riscontro. Ad ogni modo, il dettato contrattuale prevedeva, sempre al punto 1) la restituzione della somma di Euro 500,00 in caso di mancato svolgimento dello stage. Pertanto, a parere della scrivente, l'inadempimento contrattuale deve essere qualificato come parziale, afferente unicamente il mancato svolgimento dello stage, così come previsto dal contratto. Conseguentemente, deve essere disposta la restituzione in favore dell'attrice della somma di Euro 500,00, prevista quale costo aggiuntivo in caso di scelta del master comprensivo di stage e dunque corrispondente al costo afferente lo svolgimento dello stage opzionato. Acclarato pertanto l'inadempimento solo parziale della convenuta, in merito al mancato svolgimento dello stage, lo stesso, come anticipato, non può dirsi con riferimento all'obbligazione assunta dalla convenuta circa lo svolgimento delle lezioni frontali oggetto del contratto. Per l'effetto, non può essere accolta la domanda laddove si richiede la restituzione della complessiva somma versata al momento della conclusione del contratto. Emergono, infatti, alla luce di quanto chiarito, elementi di criticità rispetto all'accoglimento della stessa, e dunque rispetto alla richiesta di rimborso dell'intero importo versato per l'iscrizione al corso pari ad Euro 4.400,00 (decurtato del costo aggiuntivo per lo stage). Dal compendio probatorio, si evince, come anticipato, che il corso, e dunque le lezioni frontali del master, venivano espletate e seguite regolarmente con pieno soddisfacimento dell'attrice, per come indicato nella scheda denominata "feedback fine corso" sottoscritta dalla stessa e allegata dalla convenuta. Conseguentemente, a fronte di un accertato inadempimento parziale relativo al mancato svolgimento dello stage, vi è prova di un altrettanto adempimento parziale delle obbligazioni assunte, dal quale consegue che la principale domanda di ripetizione delle somme versate debba essere accolta solo limitatamente alla somma di Euro 500,00 pari al corrispettivo versato per lo stage. Quanto alla ulteriore richiesta di risarcimento dei danni patiti, per come formulata dall'attrice deve evidenziarsi che, per quanto in ipotesi di accertamento della responsabilità contrattuale nei contratti corrispettivi, oltre a richiedere l'esatto adempimento ovvero la risoluzione del contratto possa essere richiesto anche il risarcimento dei danni diretti e indiretti, ciò non implica che l'accertamento dei danni possa ritenersi in re ipsa. Nel caso di specie, pertanto, la domanda di risarcimento del danno deve essere rigettata per carenza dei presupposti che la sorreggono. Occorre premettere che, in specie, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che "nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa; l'art. 1218 c.c., solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento; (...) tale onere va assolto dimostrando,con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del danneggiante è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno; se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata" (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017). E' infatti pacifico in giurisprudenza che per il sorgere del diritto al ristoro dei danni ed alla reintegrazione patrimoniale, in tema di responsabilità civile da inadempimento di contratto, non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato e la sua entità (cfr. Cass., 5 marzo 1973 n. 608). Ciò posto, ferma la distribuzione dell'onere della prova per come ricostruita poc'anzi, sull'attore gravava dunque un onere di allegazione specifica della condotta inadempitiva del convenuto oltre all'onere di provare la sussistenza di un nesso eziologico tra l'inadempimento dedotto ed il danno paventato, ricadendo invece sull'asserito danneggiante l'onere di provare l'esatto adempimento delle prestazioni cui il medesimo era tenuto. Nel caso di specie, oltre a doversi sottolineare come sia in concreto emerso l'inadempimento della convenuta circoscritto al solo svolgimento dello stage, essendo stato pacificamente riconosciuto dallo stesso Istituto, deve necessariamente evidenziarsi come l'onere della prova incombente sull'attrice in tema di risarcimento dei danni non appaia correttamente assolto. In particolare, deduceva parte attrice che il mancato svolgimento del colloquio conoscitivo e, quindi dello stage lavorativo, per il quale veniva pagata l'ulteriore somma di Euro 500,00 (rispetto al costo del solo master pari ad Euro 4.400,00) avesse causato un danno non patrimoniale, quantificato in Euro 5.000,00, senza tuttavia fornire elementi utili al fine di qualificare e quantificare il presunto danno subito ma soprattutto il nesso di causalità tra la condotta e l'evento. Ed infatti, l'attrice sosteneva unicamente che, a causa del mancato svolgimento dello stage, la stessa era esclusa nei vari colloqui di lavoro in ambito bancario per non aver acquisito alcuna esperienza lavorativa, anche tramite stage, oltre ad aver rinunciato alla possibilità di svolgere un master con la società (...) S.r.l., convenzionata con un primario istituto bancario, e per il quale aveva già corrisposto la prima rata di Euro 571,72 "poiché convinta delle condizioni contrattuali della società convenuta". Tuttavia, non forniva alcun riscontro fattuale idoneo a dimostrare il danno subito né come lo stesso sia riconducibile alla condotta inadempiente della convenuta. Al contrario, è bene sottolineare in primo luogo che a seguito della rinuncia all'iscrizione del master con la (...) S.r.l. per come emerge dalla documentazione allegata dalla stessa attrice, la società emetteva una nota credito per la restituzione della somma versata in sede di iscrizione, reintegrando così l'attrice dall'esborso economico. In secondo luogo, l'iscrizione al corso con la (...) S.r.l. risale al 08 ottobre 2012, mentre la scelta del master offerto dall'odierna società convenuta avveniva in data 20 febbraio 2013. Ancora, la nota credito con cui la società (...) s.r.l. disponeva la restituzione della rata già pagata è datata 31 ottobre 2012, data, quindi, anteriore rispetto all'iscrizione al master offerto dalla convenuta. Tali aspetti, unitamente alla documentazione allegata, conducono ad un giudizio di insussistenza di sufficienti elementi volti a sostenere che la rinuncia al corso sia stata dettata dalle aspettative riposte sul master da svolgersi con la convenuta. Pertanto, per le ragioni richiamate, la domanda risarcitoria deve ritenersi infondata, e quindi da rigettare, per carenza dei presupposti. Quanto poi alla richiesta formulata da parte convenuta circa il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., la stessa non può essere accolta, stante il parziale accoglimento della domanda attorea. Per tutto quanto sopra rilevato, ne consegue il parziale accoglimento della domanda attorea in merito alla restituzione della sola somma di euro 500,00, con rigetto di tutte le ulteriori domande proposte. Ciò posto, la reciproca soccombenza delle parti, in specie il parziale accoglimento della domanda attorea e il rigetto della condanna ex art. 96 c.p.c. formulata da parte convenuta, consentono di compensare interamente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Vibo Valentia, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: - in parziale accoglimento della domanda attorea, accerta il parziale inadempimento contrattuale della convenuta (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore; - per l'effetto, condanna la convenuta (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla restituzione della complessiva somma di Euro 500,00 in favore dell'attrice (...), oltre interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione del presente provvedimento e sino al soddisfo; - Rigetta le ulteriori domande; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Vibo Valentia il 30 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA Il Giudice designato Dr.ssa Susanna Cirianni, in funzione di Giudice del lavoro, all'udienza odierna tenuta secondo le modalità della trattazione scritta di cui all'art. 83 D.L. dell'08 marzo 2020 e art.16 D.L. n. 228 del 2021, ha pronunciato ai sensi dell'art. 429 c.p.c.., la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 963/2016 TRA (...) difeso dall'avv. PA.MA. RICORRENTE CONTRO INPS, AER, rappresentati e difesi, rispettivamente, il primo dagli Avv. Va.Gr. ed Et.Tr., la seconda dagli avv.ti An.Fa. e Di.Ge. RESISTENTI SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ritualmente notificato, parte ricorrente in epigrafe indicata, proponeva opposizione averso gli estratti a ruolo rilasciati dall'(...) SpA, Agente della Riscossione della Provincia di Vibo Valentia, dai quali è emerso un ruolo per cartella di pagamento n.(...). Deduceva l'intervenuta decadenza ai sensi dell'art. 25 del D.Lgs. n. 46 del 1999 e la prescrizione della pretesa contributiva per decorso del termine quinquennale di cui all'art. 3 L. n. 33 del 1995. Tanto premesso chiedeva l'annullamento della cartella opposta, con vittoria delle spese di lite. In subordine chiedeva la dichiarazione della prescrizione. Regolarmente instauratosi il contraddittorio si costituivano l'INPS e l'AER che, nelle more del giudizio, depositava estratto a ruolo aggiornato dal quale risulta che le cartelle sottese all'ipoteca sono state annullate ai sensi del D.L. n. 119 del 2018 e chiedeva che venisse dichiarata cessata la materia del contendere. All'udienza odierna, questo Giudice, pronunciava sentenza con contestuale motivazione In via preliminare deve essere valutato l'interesse ad agire del ricorrente. Sul punto la Corte di Cassazione Sez.6 con ordinanza del 04.05.2017 n. 10809 si è definitivamente pronunciata stabilendo che "alla luce della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte SU n. 19704 del 02/10/2015 secondo cui "Il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale - a causa dell'invalidità della relativa notifica - sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda lapossibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione Con la nota sentenza a Sezioni Unite n. 19704/15, la Suprema Corte, aveva specificato che, "stante la natura "recettizia" degli atti amministrativi (ed in particolare quelli esattivi, quali ad esempio le cartelle di pagamento dell'Agente della Riscossione), "il contribuente può impugnare la cartella di pagamento" (e non anche l'estratto di ruolo in senso stretto) "della quale - a causa dell'invalidità della relativa notifica - sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione". Ebbene, il diritto di difesa (art.24. Cost.) "Non può essere compromesso, ritardato, ? difficile o gravoso", dunque è insito in detto scenario soggettivo del contribuente la sussistenza del proprio interesse ad agire (art. 100 c.p.c.)ad invocare l'intervento del giudice per l'accertamento circa l'inesistenza del debito tributario per vizio insanabile di notifica. Sul punto in discussione, la S.C. ha nuovamente chiarito (cfr. sentenza n.6887/16) che "grava sull'esattore l'onere di provare la regolare notificazione delle cartelle di pagamento ..., tale onere doveva essere assolto mediante produzione in giudizio della "relata" di notificazione ... essendo esclusa la possibilità di ricorrere a documenti equipollenti", come ad esempio "archivi informatici". Proprio una successiva sentenza della Suprema Corte (n. 15309/17, depositata in data 20 giugno 2017) rispetto alla decisione in esame ha chiarito il ruolo e la funzione che esplica il più volte richiamato estratto di ruolo: i giudici hanno osservato che tale documento si configura come una riproduzione fedele ed integrale degli elementi essenziali contenuti nella cartella di pagamento. Di conseguenza esso è valido ai fini probatori, esclusivamente per verificare la natura tributaria o meno del credito e la conseguente giurisdizione del giudice adito. A riguardo, nell'estratto di ruolo si evince l'effettivo ammontare della pretesa creditoria della Pubblica Amministrazione; è opportuno osservare che detta analisi inerisce esclusivamente gli aspetti formali dell'estratto di ruolo (tipologia del credito, ente titolare del credito) e non certamente quelli sostanziali, quali, ad esempio, la corretta notifica delle cartelle esattoriali, nel rispetto della disciplina vigente (art. 26, D.P.R. n. 602 del 1973 - art. 60, D.P.R. n. 600 del 1973). Nel caso che ci interessa il ricorrente non eccepisce la mancata o l'illegittimità della notifica della cartella di pagamento n. .(...) che peraltro risulta ritualmente notificata; risulta altresì pacifico che l'istante non ha impugnato la suindicata cartelle nel termine di 40 giorni. Conseguentemente non è più possibile esaminare alcuna questione relativa all'eventuale estinzione per prescrizione del credito vantato dall'Inps al momento della notifica della stessa. In sostanza, dunque, non è più ammissibile, in quanto tardiva, la domanda volta ad ottenere l'accertamento negativo di debito contributivo alla data di notifica della cartella esattoriale in esame. Per i motivi avanti esposti non sussiste l'interesse ad agire ex art.100 c.p.c. Stante la natura della causa e la quasi totale inattività istruttoria si ritiene equo compensare integralmente le spese del giudizio P.Q.M. Il giudice del Lavoro, got. Dott.ssa Susanna Cirianni, definitivamente pronunciando così provvede: Dichiara inammissibile la domanda per carenza di interesse ad agire Compensa le spese di lite Così deciso in Vibo Valentia il 19 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA Il Giudice designato Dr.ssa Susanna Cirianni, in funzione di Giudice del lavoro, all'udienza odierna tenuta secondo le modalità della trattazione scritta di cui all'art. 83 D.L. dell'08 marzo 2020 e art.16 D.L. n. 228 del 2021, ha pronunciato ai sensi dell'art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1965/2015 TRA (...) difeso dall'avv. MA.FR. RICORRENTE CONTRO INPS, AER, rappresentati e difesi, rispettivamente, dagli Avv. Va.Gr. ed Et.Tr., Ma.De. RESISTENTI SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ritualmente notificato, parte ricorrente proponeva opposizione avverso l'Intimazione di pagamento n. (...), notificata il 15 luglio 2014, con riferimento alla cartella di pagamento n. (...) dell'importo di Euro 454.267,07, con anno di riferimento 1996. In particolare, parte ricorrente deduce: l'illegittimità per intervenuta prescrizione dei crediti portati nelle cartelle suddette. Sul punto è necessario dare conto delle argomentazioni giuridiche in forza delle quali si ritiene che il termine di prescrizione, maturato successivamente alla notifica della cartella, non sia decennale, come eccepito dal Concessionario di riscossione. Ed invero, secondo l'orientamento condiviso dal Tribunale (nella consapevolezza dell'esistenza di orientamenti contrastanti sul punto e dell'opinabilità delle conclusioni rassegnate) l'intervenuta notifica delle cartelle non può determinare il mutamento del regime di prescrizione del credito iscritto al ruolo assoggettandolo ad un termine di prescrizione decennale. Pertanto, secondo l'assunto che si condivide, la cartella esattoriale non opposta - che, anche se irrevocabile, non è equiparabile a un titolo giudiziale - è inidonea a determinare la decennalità della prescrizione ai sensi dell'art. 2953 c.c. (cd. actio iudicati). In punto di fatto, anche se non mancano pronunzie in senso contrario, appare condivisibile la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'ingiunzione fiscale, in quanta espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in sè le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato: la decorrenza del termine per l'opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall'impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell'art. 2953 cod. civ. ai fini della prescrizione (Cass. n. 12263 del 25/05/2007). Più di recente, le Sez. Un., con sentenza n. 25790 del 10/12/2009 hanno ribadito che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 cod. civ., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta "actio iudicati", mentre se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario. D'altro canto, il principio di differenziazione tra l'accertamento conseguente ad una sentenza passata in giudicato rispetto a quello derivante dalla omessa impugnazione del provvedimento amministrativo impositivo è ribadito costantemente dalla Giurisprudenza di legittimità in tema di termini di decadenza per l'iscrizione a ruolo. Secondo la Suprema Corte il credito del contribuente accertato nella sentenza che definisce l''impugnazione dell'atto impositivo soggiace al termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2953 c.c. Ciò in quanto il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l'atto (che, essendo stato tempestivamente impugnato, non è mai divenuto definitivo) e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità. Ne deriva che la riscossione del credito erariale accertato dalla sentenza non soggiace al termine di decadenza di cui all'art. 17 (ora trasfuso nell'art. 25) del D.P.R. n. 602 del 1973, giacché tale termine concerne la messa in esecuzione dell'atto amministrativo e presidia la esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l'interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all'iniziativa unilaterale dell'ufficio. La riscossione delle somme conseguenti al passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito il giudizio non è, dunque, soggetta a decadenza alcuna, ma unicamente alla prescrizione (ex multis Cass., n. 21623/2011). Questo indirizzo interpretativo invero altro non fa (a fronte della disposizione normativa sopra richiamata che impone i termini di decadenza per l'iscrizione a ruolo degli accertamenti "divenuti definitivi" senza alcuna differenziazione di sorte) che evidenziare le differenze ontologiche tra un accertamento divenuto definitivo per omessa impugnazione, rispetto ad un accertamento divenuto definitivo a seguito di un processo concluso con sentenza passata in giudicato. II legislatore, infatti, nello stabilire i termini di decadenza per l'iscrizione a ruolo ha fatto riferimento solo agli accertamenti divenuti definitivi (e come noto gli accertamenti possono essere definitivi: o per omessa impugnazione nei termini, o a seguito di sentenza passata in giudicato). A fronte della disposizione legislativa la giurisprudenza ha sempre ritenuto che la definitività, conseguente al passaggio in giudicato della sentenza, acquisisca una autorevolezza maggiore tale da non essere soggetta al termine decadenziale per l'iscrizione a ruolo, a cui sono soggetti diversamente solo gli accertamenti divenuti definitivi per omessa impugnazione. Se ciò è vero, la stessa differenziazione va fatta per il termine di prescrizione maturato dopo la notifica della cartella non opposta, atteso che la definitività è data dall'omessa impugnazione e non dall'accertamento giurisdizionale. A ciò si aggiunge la recentissima sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Uniti n. 23397/2016 del 17/11/2016 che ha definitivamente stabilito " la scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della L. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che dal 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. n. 122 del 2010);2) è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti - comunque denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo". Orbene tornando al caso in esame, si ritiene che il termine di prescrizione sia quello quinquennale e di conseguenza il credito è prescritto, atteso che tra la notifica della cartella (11.7.2001) e la notifica dell'intimazione di pagamento (15.7.2014) è stato depositato un solo atto interruttivo risalente al 2002, che pur interrompendo la prescrizione, supera il quinquennio, così come sopra specificato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico dell'(...) spa, nonché distratte ex art. 93 c.p.c., determinate come da dispositivo, rispetto al valore minimo previsto dallo scaglione di riferimento e con riferimento alle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, tenuto conto dei criteri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, emanato ai sensi dell'art.213, comma 6 della L. 31 dicembre 2012, n. 247 che si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore (03.04.2014). P.Q.M. Il giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede: Accoglie l'opposizione Dichiara estinti per prescrizione tutti i crediti portati nelle cartelle oggetto di cui in parte motiva; Condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi euro2.204,00 per compensi d'avvocato oltre accessori di legge da distrarsi ex art.93 c.p.c.. Così deciso in Vibo Valentia il 14 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Vibo Valentia, Sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, Dr.ssa Giuseppina Passarelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in grado di appello, iscritta al n. 1567 del 2011 R.G.A.C., pendente, TRA P. S.R.L. (C.F. P.I. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ol.Du., Ma.In. e Vi.Ca., in virtù di procura a margine dell'atto di citazione in appello ed elettivamente domiciliata presso il loro Studio, sito in Vibo Valentia (VV), in Viale (...), - Appellante - NEI CONFRONTI DI (...) (C.F. (...)), in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Ditta M., rappresentato e difeso dall'Avv. Mi.Mi., in virtù di procura a margine dell'atto di comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata presso il Suo Studio, sito in Ricadi, alla Via (...), - Appellato - OGGETTO: appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Vibo Valentia n. 74 del 2011, emessa il 21 Febbraio 2011 e depositata in data 23 Febbraio 2011, nell'ambito del procedimento iscritto al n. 846 del 2007. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con apposito atto di appello, la (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., ha dedotto: a) che, la sentenza gravata è viziata nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto che le parti abbiano stipulato due contratti invece che uno, motivando il proprio convincimento sulla duplicità dei preventivi; b) che, il Giudice di prime cure non ha tenuto in considerazione le dichiarazioni dei testi escussi nella parte in cui affermano che è stato fatto un solo preventivo; b) che, le obbligazioni assunte dal prestatore di opera devono considerarsi di risultato con la conseguenza che il contratto doveva ritenersi risolto in virtù dell'inadempimento; c) che, il ritardo nell'adempimento rileva sia ai fini della risoluzione che a quello della riduzione del prezzo; d) che, dalle dichiarazioni rese dai testi escussi e dallo stesso (...) risulta che quest'ultimo ha consegnato solo una parte di quanto concordato; e) che, il Giudice di prime cure ha omesso di pronunciarsi sulla subordinata domanda di detrazione della somma, in considerazione dell'importo versato pari ad Euro 960,00. Sulla scorta di tali assunti, la parte appellante ha chiesto l'accoglimento dell'appello, con conseguente riforma integrale della sentenza gravata, previa revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, che sia dichiarata la risoluzione del contratto e la parte appellata sia condannata alla restituzione della somma ricevuta o, in subordine, ridurre il corrispettivo alla somma percepita di Euro 960,00, con condanna della controparte al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. 2. Si è costituito in giudizio (...), il quale ha eccepito: a) che, la (...) S.r.l. ha stipulato con la Ditta (...) due contratti distinti, aventi ad oggetto uno l'ideazione e la progettazione di un CD multimediale e l'altro l'acquisto di porta-schede fustellati; b) che, i due contratti sono distinti e ciò si evince in quanto le due prestazioni hanno ad oggetto due diversi preventivi, uno sottoscritto il 15 Maggio 2005 avente ad oggetto l'ideazione e la realizzazione di un CD multimediale interattivo, l'altro in data 16 Maggio 2005 riguardante l'acquisto di duemila porta-schede fustellati; c) che, nel caso de quo la consegna di porta-schede non può costituire un contratto d'opera, ma la fornitura di una serie di beni che di fatto sono stati venduti dalla parte appellata alla (...) S.r.l.; d) che, parte appellata ha fornito i beni oggetto di vendita e dopo averli venduti non ha ricevuto comunicazione in ordine ai vizi della cosa venduta; e) che, l'acconto versato, stante l'esistenza di due crediti per due diverse prestazioni, è da imputarsi al debito più oneroso scaturente dalla consegna del CD-rom. Sulla scorta di tali assunti, la parte appellata ha chiesto il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza gravata in ogni sua parte, con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio. 3. La causa è stata istruita solo a mezzo di produzione documentale. A seguito dell'acquisizione del fascicolo di primo grado e dopo una serie di rinvii disposti dai diversi Giudici che si sono avvicendati nella titolarità del ruolo, tra cui la Scrivente, all'udienza del 24 Settembre 2021, con trattazione scritta in ossequio alle fonti normative emergenziali applicabili ratione temporis, all'esito di apposito provvedimento di rimessione della causa su ruolo, è comparsa solo la parte appellante che ha precisato le proprie conclusioni in forma cartolare e questo Giudicante ha trattenuto la causa in decisione, concedendo i termini di cui all'art. 190 c.p.c., per lo scambio di comparse conclusionali e di memorie di replica. 3.1. La parte appellante in comparsa conclusionale si è riportata alle difese ed eccezioni già ampiamente esposte nei precedenti atti e scritti difensivi ed ha evidenziato che il Giudice di primo grado non ha tenuto conto, nella motivazione della sentenza, degli esiti dell'attività istruttoria di primo grado. Pertanto, ha chiesto la riforma integrale della sentenza gravata, con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio. Non è stata depositata alcuna memoria di replica. 3.2. La parte appellata non ha depositato alcune comparsa conclusionale o memoria di replica e, pertanto, si intendono ribadite le medesime eccezioni e conclusioni riportate nei precedenti atti e scritti difensivi. 4. Tanto premesso, l'appello così come formulato è in parte fondato e, come tale, è suscettivo di accoglimento per le ragioni che seguono. 4.1. Ciò posto e venendo al merito della controversia, giova considerare quanto segue. Da un esame degli atti difensivi delle parti è emerso che la (...) S.r.l. ha conferito incarico alla Ditta (...), sottoscrivendo un preventivo nel mese di Maggio 2005 per la realizzazione di 2.000 portaschede per il prezzo di Euro 1.700,00, oltre Iva. Nella prospettazione dei fatti di causa, risulta che la parte opponente ha commissionato alla Ditta opposta due distinte attività, ossia l'ideazione e la realizzazione della brochure multimediale in CD-Rom e l'ideazione e la realizzazione e stampa di 2.000 porta schede con apposito scomparto per CD-Rom. Ed, infatti, la parte appellata, per come è emerso dall'istruttoria, ha azionato per i due preventivi distinti procedimenti monitori. Più precisamente, il giudizio di opposizione, avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, avente ad oggetto l'ideazione e la realizzazione della brochure multimediale, mediante creazione di CD-Rom, è stato definito con sentenza n. 476 del 2020, per come sostenuto dalla parte opponente. Preme evidenziare che in atti risulta allegato solo il preventivo di realizzazione e di ideazione di un CD-Rom interattivo datato 29 Aprile 2004, per un totale di Euro 4.000,00, oltre Iva, mentre non è dato, invece, riscontrare il secondo preventivo sottoscritto in data 16 Maggio 2005, avente ad oggetto un progetto di stampa di 2.000 porta schede fustellate, per un importo di Euro 1.700,00, oltre Iva, di cui si fa espressa menzione nel ricorso monitorio che ha condotto all'emanazione del decreto ingiuntivo n. 83 del 2007, sotto la rubrica dell'allegato n. 1. Nello stesso ricorso si fa riferimento anche alla fattura n. (...) dell'8 Agosto 2005, non risultante nella documentazione di causa. Giova precisare che lo scrutinio del Giudice viene condotto allo stato degli atti e limitando il sindacato ai motivi di gravame, tenuto conto della sentenza appellata, la quale è stata pronunciata dal Giudice di Pace avuto riguardo solo all'adempimento della prestazione inerente alla ideazione e alla realizzazione di 2.000 porta schede fustellate da parte della Ditta individuale (...). Sempre nel corpo del ricorso per decreto ingiuntivo emerge che con fax del 4 Novembre 2005, la (...) ha lamentato la mancata consegna del prodotto e anomalie di ritardo. Tali documenti, però, non risultano attualmente allegati ai fascicoli di causa e della relativa fase monitoria. Preme evidenziare che l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un giudizio a cognizione ordinaria in cui il Giudice non deve accertare se l'ingiunzione sia stata emessa legittimamente, cioè in termini conformi ai presupposti di ammissibilità della procedura speciale, ma verificare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione. Di tal guisa, il giudizio di opposizione ha ad oggetto l'intera situazione giuridica controversa, sicché è al momento della decisione che occorre verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione e dei presupposti di fatto e di diritto per l'accoglimento delle condizioni di condanna del debitore. Pertanto, la riscontrata insussistenza, anche parziale, di tali presupposti, pur non escludendo il debito originario, comporta l'impossibilità di confermare la condanna nell'importo indicato nel decreto ingiuntivo che va integralmente revocato (cfr. Cass. Civ., sent. 21840 del 2013 e n. 21432 del 2011). In particolare, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, in applicazione dei principi fissati in tema di inadempimento contrattuale a norma dell'art. 1218 c.c., deve reputarsi incombente sul preteso creditore l'onere di provare il rapporto e la mancata esecuzione della prestazione convenuta. Infatti, il Giudicante ha l'obbligo di pronunciarsi sul merito della domanda sulla base delle prove offerte dal creditore, non potendo decidere la controversia alla luce del solo materiale probatorio prodotto al momento della richiesta di ingiunzione. Orbene, il Giudice di primo grado ha tenuto conto di tali criteri di riparto dell'onere della prova, ma è giunto ad escludere la sussistenza di un unico contratto, reputando che il nesso di complementarietà tra i due negozi non esclude che i lavori commissionati siano diversi, tanto da condurre lo stesso Giudicante a rigettare la richiesta di riunione dei due procedimenti. Il Giudice di prime cure ha argomentato il rigetto dell'opposizione sulla scorta dell'assunto secondo cui la consegna in ritardo del materiale pattuito non assume rilievo a fronte della non contestazione immediata del ritardo nella consegna del materiale e della mancata previsione di un termine essenziale per lo svolgimento dell'attività e per gli adempimenti successivi. Occorre precisare a riguardo che l'esclusione di un unico fenomeno contrattuale, non preclude la possibile configurazione di un collegamento negoziale, il quale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma costituisce un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, anche quando il collegamento determini un vincolo di reciproca dipendenza tra i contratti, ciascuno di essi si caratterizza in funzione di una propria causa e conserva una distinta individualità giuridica. La conseguenza è che, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi "simul stabunt, simul cadent". Ciò comporta che se un contratto è nullo, la nullità si riflette sulla permanenza del vincolo negoziale relativamente agli altri contratti. Ma, non è vero l'inverso. Se un contratto è nullo il collegamento negoziale con altri contratti non nulli non comporta la validità dell'intero complesso dei contratti collegati (cfr. Cass. Civ.Sez. II, 9.10.2014 n. 21350). Orbene, la mancanza in atti del preventivo avente ad oggetto la realizzazione di 2.000 schede fustellate non consente di valutare il contenuto dell'accordo raggiunto dalle parti, la sua eventuale connessione con la prestazione oggetto dell'altro preventivo concernente l'ideazione della brochure multimediale e, dunque, il titolo posto alla base della pretesa azionata in monitorio dall'odierna opposta, cui ancorare il sindacato sull'inesattezza dell'adempimento sotto il profilo quali-quantitativo e temporale. Infatti, a fronte dell'eccezione sollevata dall'opponente, in ordine al dedotto incompleto adempimento della prestazione da parte dell'opposta sotto il profilo temporale, questa è tenuta a provare l'avvenuto adempimento della prestazione dovuta, che non risulta essere stata fornita nel giudizio di opposizione. Siffatta carenza documentale si riverbera sulla sequenza di atti negoziali richiamata dalla stessa parte opposta nella propria comparsa costitutiva e data dal preventivo di acquisto del 16 Maggio 2005, avente ad oggetto 2.000 portaschede fustellati e il preventivo del 15 Giugno 2005, avente ad oggetto l'ideazione e la realizzazione di un CD multimediale interattivo. Preme evidenziare che, in tema di inadempimento contrattuale, rimangono fermi i criteri di riparto dell'onere della prova elaborati dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, secondo cui: "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrarel'avvenuto, esatto adempimento" (cfr. Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 13533 del 2001). La mancanza in atti del titolo posto alla base della pretesa creditoria azionata dall'opposta e richiamato nel ricorso per ingiunzione, non consente di ritenere assolto l'onere della prova gravante sul creditore, anche se la sua esistenza non è contestata dall'opponente, seppur nella difforme prospettiva dell'unicità del contratto stipulato dalle parti, che ne delinea un difforme quadro di correlazione delle rispettive posizioni di credito-debito e dei connessi profili di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni ivi dedotte. Infatti, tale carenza documentale non consente di valutare il contenuto delle obbligazioni e la relativa scadenza, non essendo stata fornita alcuna ulteriore prova atta a corroborare la fondatezza della pretesa a fronte delle precipue eccezioni sollevate dalla parte opponente e riscontrabili dal narrato testimoniale risultante all'esito del giudizio di primo grado. Sul punto, il decisum di primo grado non può essere confermato nel relativo percorso argomentativo e motivazionale. Di tal guisa, il quadro probatorio risulta affetto da lacunosità che elidono la fondatezza della pretesa creditoria azionata dalla parte opposta e non consentono, allo stato, di delibare in termini positivi neppure sulla domanda riconvenzionale articolata dalla parte opponente, dal momento che si è al cospetto di un contratto sinallagmatico, cui ancorare una valutazione comparativa del contenuto delle singole prestazioni, allo stato preclusa, per mancanza in atti del titolo. La sopra richiamata carenza documentale osta, infatti, alla valutazione degli eventuali profili di collegamento negoziale cui ancorare le deduzioni avversarie in tema di natura essenziale del termine e di adempimento parziale dell'obbligazione, con conseguente venir meno dei presupposti di accoglimento della domanda di risoluzione del contratto e, in subordine, di riduzione del prezzo. Sulla scorta di tali assunti ricostruttivi, l'appello deve essere accolto in parte qua e la sentenza di primo grado deve essere integralmente riformata, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto e rigetto delle domande riconvenzionali proposte dalla parte opponente. Non è suscettiva di accoglimento la domanda riconvenzionale azionata dalla parte opponente, non risultando a tal fine sufficienti gli esiti della prova testimoniale espletata in primo grado, attesi i suoi limiti sul piano probatorio alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 2721 e ss. c.c. 5. In merito alla regolamentazione delle spese di lite, questo Giudice ritiene sussistenti i presupposti per procedere alla loro compensazione ai sensi dell'art. 92, c. 2, c.p.c., stante la situazione di parziale soccombenza reciproca. Non trova, invece, applicazione quanto previsto dalla L. n. 228 del 2012, il cui art. 1, c. 17 ha modificato il D.P.R. n. 115 del 2012, (Testo unico in materia di spese di giustizia) inserendo all'art. 13, dopo il comma 1-ter, il c. 1-quater, secondo cui: "Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del c. 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". Ciò in ragione del fatto che il presente giudizio di appello è stato incardinato in data anteriore all'entrata in vigore della predetta novella legislativa. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, nel giudizio in grado di appello pendente tra (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., nei confronti (...), così provvede: - accoglie l'appello e, per l'effetto, riforma la sentenza del Giudice di Pace di Vibo Valentia n. 74 del 2011, emessa il 21 Febbraio 2011 e depositata in data 23 Febbraio 2011, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo n. 83 del 2007, emesso dal medesimo Giudicante; - compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Vibo Valentia il 6 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2022.

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