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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VICENZA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Vicenza, Prima Sezione civile, dott. Melania Schirru, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. del R.G. 11099/2014, iniziata con atto di citazione notificato in data 04.12.2014 da Ba.Gi. (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. Li.Ba. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Via (...) - 35030 Cervarese S.C. (PD) contro Sm. S.r.l. - ora So. S.R.L. (P.IVA (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Me. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Via (...) - 35100 Padova nonché contro Ri. S.n.c. di Fr.Gi. - ora Ri. S.A.S. DI Fr.Gi. (P. Iva (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Ba. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Via (...) - 35129 Padova avente per oggetto: Contratti e Obbligazioni Varie MOTIVI E IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Premesso che la presente sentenza viene redatta con "la concisa esposizione dello svolgimento del processo" e con motivazione consistente nella "succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi", così come previsto dagli artt. 132, co. 4, c.p.c. e 118, co. 1, disp. att. c.p.c.; considerato che per consolidata giurisprudenza, nel motivare concisamente la sentenza ai sensi delle norme citate, il Giudice non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le tesi prospettate e le prove prodotte o acquisite dalle parti, ben potendosi limitare ad esporre in maniera concisa gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla (Cass. civ. 17145/2006); richiamata la pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ. SS.UU. 642/2015) secondo la quale nel processo civile non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata, dovendosi anche escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di Rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del Giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti; richiamato il contenuto assertivo dell'atto di citazione e della comparsa di costituzione e risposta, nonché quello delle ulteriori memorie depositate dalle parti il Giudice osserva quanto segue Con atto di citazione ritualmente notificato, il signor Ba.Gi. conveniva in giudizio So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), Fe. S.r.l. e Ri. S.a.s. di Fr.Gi. (già Ri. S.n.c.), per sentirle condannare, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni dal medesimo patiti in conseguenza della asserita mancata esecuzione a regola d'arte delle opere d'installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto della propria abitazione, quantificando il presunto danno patito in Euro 10.409,04 (per opere di ripristino), oltre ad Euro 6.519,61 (per spese di A.T.P.) ed a Euro 3.000.00, per danno non patrimoniale. Si costituiva in giudizio la So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), dando atto preliminarmente dell'intervenuta cancellazione dal Registro delle Imprese della Fe. S.r.l. ed escludendo, nel merito, la propria responsabilità. In ogni caso, So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) chiedeva la condanna di Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) al risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale. Si costituiva in giudizio anche la Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.), eccependo in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva, atteso che, a proprio dire, non sarebbe intercorso alcun rapporto tra l'attore e la stessa, essendo, semmai, intercorso un contratto di appalto tra la So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) e la Fe. S.r.l. e un contratto di subappalto tra quest'ultima e la Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.). Deduceva, inoltre, che, alla stessa, non erano mai stati formalmente contestati vizi e difetti dell'opera, con conseguente decadenza dalla garanzia e prescrizione dell'azione. Faceva rilevare, di non essere stata coinvolta nel pregresso procedimento di A.T.P. instaurato tra le parti, con conseguente inopponibilità a suo caro degli esiti di questo. Infine, nel merito, Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) deduceva di essersi limitata ad eseguire le direttive imposte dall'attore e dalla So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), circa la specifica modalità di posizionamento dei pannelli sul tetto, con conseguente esenzione di responsabilità a proprio carico. Nelle more del giudizio, preso atto della intervenuta cancellazione della Fe. S.r.l. dal registro delle Imprese, la causa veniva interrotta con Provv. dell'11 aprile 2017 e, successivamente riassunta, nei soli confronti di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) e di Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.). Con comparsa di costituzione nel giudizio riassunto, So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) ribadiva le eccezioni e difese precedentemente svolte e chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa dei soci e liquidatori della Fe. S.r.l. Si costituiva nel giudizio riassunto anche la Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) richiamando le eccezioni e domande già svolte. All'udienza del 07.12.2017, il Giudice rigettava la citata istanza di chiamata in causa, non sussistendone i presupposti di legge e concedeva i termini ex art. 183 c. 6 c.p.c. Il processo proseguiva con l'escussione delle prove testimoniali e con l'esperimento di una consulenza tecnica sfociata nel deposito, in data 20.03.2019, dell'elaborato peritale da parte del C.T.U. Ing. Luca Ad.. Infine, all'udienza del 10.10.2023, la sottoscritta, in qualità di nuovo Giudice assegnatario, preso atto delle precisazioni delle conclusioni rassegnate dalle parti, assegnava alle stesse i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, trattenendo la causa in decisione. Con riferimento ai fatti oggetto di causa, risulta agli atti che, in data 23.12.2011, il sig. Ba.Gi. sottoscriveva con la So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), regolare contratto per la fornitura e l'installazione di un impianto di pannelli fotovoltaici "chiavi in mano" presso la propria abitazione in C. (V.) - via Fe. n. 66, per l'importo di Euro 25.300,00. L'attore deduceva che, al momento della sottoscrizione del predetto contratto, aveva versato l'acconto di Euro 5.000,00 in favore di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), mentre per la somma residua somma di Euro 20.300,00 otteneva un finanziamento dalla (...). Nel mese di maggio 2012 venivano consegnati presso l'abitazione attorea i pannelli solari fotovoltaici per la cui installazione veniva incaricata, da So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), la ditta Fe. S.r.l. (facente capo al medesimo legale rappresentante di R., ovvero il sig. F.G.) la quale, a sua volta, si avvaleva di Ri. S.a.s. di F.G. (già Ri. S.n.c.) per l'esecuzione dell'installazione (circostanza confermata dai testi D.S. e M.). I pannelli fotovoltaici venivano posizionati sopra le tegole del tetto dell'abitazione, secondo la tipologia di installazione di tipo retrofit. In data 11.05.2012 Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) rilasciava dichiarazione di conformità dell'impianto a regola d'arte, allegando il progetto d'impianto e le relative planimetrie. A dire del sig. Ba., al termine della messa in opera, emergeva un innalzamento dell'impianto, rispetto alla copertura, pari a 15 cm., che lasciava intravedere dal fronte casa tutte le strutture interne ed i cavi di collegamento. L'attore deduceva, inoltre, l'avvenuto riconoscimento da parte di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) dell'antiesteticità e dell'omessa rifinitura dell'opera, denunciando, altresì, che nel mese di febbraio 2013 si verificava il cedimento della struttura portante i pannelli solari fotovoltaici, come sopra descritti, con rottura/schiacciamento dei coppi esistenti. Il Ba., quindi, promuoveva procedimento di accertamento tecnico preventivo n. 2706/13 R.G. nei confronti della società So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.). Il procedimento di ATP era esteso alla società Fe. S.r.l., quale società subappaltatrice, ed al P.I. sig. C.A., tecnico responsabile per l'impiantistica. Nell'ambito del dedotto giudizio di A.T.P., il C.T.U., Ing. Lorenzo Faggionato, depositava la propria relazione, nella quale dava atto dei vizi lamentati precisando che "i vizi rilevati, evidenziati in foto, mettono in risalto lo sfilamento del vitone di collegamento rispetto all'angolare d'appoggio e conseguente cedimento con abbassamento ed avvallamento del manto di coppi sottostante...le cause di tali vizi dipendono dalla errata scelta di tipologia d'appoggio dei pannelli in riferimento alla sottostante tipologia costruttiva esistente come sopra descritto. La tipologia costruttiva preesistente richiedeva un diverso sistema di appoggio perché l'angolare di collegamento pannello-montante poggia direttamente sul coppo comprimendo quest'ultimo nella parte superiore e conseguente rischio di deformazione eccessiva con logoramento e rottura finale. Inoltre, considerato che: i coppi in loco sono datati (vecchi) ...la superficie non continua con coppi singolarmente accostati comporta la tendenza allo scivolamento ...con conseguenti disconnessioni e tensioni tangenziali anomale...ciò premesso si ribadisce che la tipologia adottata non è idonea all'uso preposto". In un secondo tempo, il sig. Ba. dava impulso all'odierna azione di merito per ottenere il risarcimento dell'asserito danno per il ripristino dell'impianto tecnologico acquistato, promuovendo l'azione nei confronti della venditrice So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), della subappaltatriceF. S.r.l. e della Ri. S.n.c. (già Ri. S.a.s.), società esecutrice dell'opera in subappalto, chiedendo l'accertamento della responsabilità di entrambe queste ultime, ai sensi dell'art. 1669 c.c. ovvero ai sensi dell'art. 2043 c.c. Tanto premesso, al fine di comprendere quale sia la disciplina applicabile alla fattispecie in esame occorre osservare, preliminarmente, che l'art. 1669 c.c. trova applicazione in presenza di gravi difetti dell'opera e, secondo giurisprudenza e dottrina ormai consolidate, prevede una responsabilità di natura extracontrattuale. In tale ipotesi, l'azione può essere proposta dal committente o dai suoi aventi causa, non solo nei confronti dell'appaltatore ma anche nei confronti di tutti quei soggetti (appaltatore, subappaltatore, venditore-costruttore, direttore dei lavori, progettista) che abbiano partecipato alla realizzazione dell'opera e abbiano concorso, con le proprie azioni od omissioni, alla causazione del danno. Sul punto, occorre osservare che, la Corte di Cassazione ha offerto utili criteri che possono guidare l'interprete nel distinguere il vizio grave da quello non grave. In particolare, la S.C. ha ritenuto che rientrino nella nozione di gravi difetti non solo quei vizi costruttivi che incidono in maniera profonda sugli elementi strutturali essenziali dell'opera ma, anche, quelli che siano tali da pregiudicare gravemente il godimento del bene. Anche di recente la Corte di Cassazione ha ribadito che: "i gravi vizi e difetti di cui parla l'art. 1669 c.c. sono vizi costruttivi che incidono sul normale godimento della cosa o ne impediscano l'utilità e/o il normale godimento, nonché la sua funzione economica. In sostanza si tratta di carenze costruttive che possono riguardare anche elementi secondari e/o accessori dell'immobile, che tuttavia comportano un apprezzabile danno alla funzione economica dello stesso e che possono essere eliminati anche con sole opere di riparazione, rinnovamento o sostituzione (Cass., n. 187/2020). Quanto al riparto dell'onere probatorio, spetta alla parte che lamenta il vizio l'obbligo di dimostrarne l'entità e le sue conseguenze sul godimento del bene, non potendosi limitare ad allegarne la sola esistenza. Tanto premesso, si ritiene che l'attore abbia fornito adeguata prova circa la gravità dei difetti che menomano i beni di sua proprietà. Il materiale probatorio raccolto nel presente giudizio ha dato fondamento alle doglianze attoree dimostrando l'esistenza e la gravità dei difetti. In ordine alla natura dei difetti riscontrati, risultano condivisibili tanto le risultanze cui è pervenuto l'Ing. Fa.Lo., consulente nel procedimento per ATP - la cui perizia, acquisita nel presente giudizio, costituisce prova liberamente valutabile dal giudice -, quanto le conclusioni rassegnate dall'Ing. Lu.Ad., C.T.U. del presente giudizio di merito, poiché entrambe frutto dell'applicazione di criteri tecnici esenti da censure e congruamente motivate. Nello specifico, entrambe le due CC.TT.UU. hanno evidenziato la totale mancanza del rispetto della regola d'arte nella costruzione dell'impianto: "i vizi rilevati, evidenziati in foto, mettono in risalto lo sfilamento del vitone di collegamento rispetto all'angolare d'appoggio e conseguente cedimento con abbassamento ed avvallamento del manto di coppi sottostante...le cause di tali vizi dipendono dalla errata scelta di tipologia d'appoggio dei pannelli in riferimento alla sottostante tipologia costruttiva esistente come sopra descritto" (cfr. - relazione Ing. L.Fa.); "R. ha eseguito il lavoro avendo chiara coscienza di eseguirlo in contrasto con la regola d'arte, riducendo in questo modo il costo sui materiali e il tempo di messa in opera" (cfr. relazione Ing. L.Ad. 20.03.19). Ne consegue che le considerazioni tecniche che precedono inducono a ricondurre i vizi lamentati entro la nozione di "grave difetto". Tale inquadramento consente a parte attrice di accedere alla tutela di cui all'art. 1669 c.c., con conseguente legittimazione ad agire rispetto a tutti i soggetti protagonisti della realizzazione dell'impianto di cui è causa. Occorre osservare, inoltre, che il sig. Ba.Gi. ha denunciato i vizi nel rispetto del termine decadenziale di cui all'art. 1669, comma 1 c.c.. Ed invero, in data 11.05.2012 Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) rilasciava dichiarazione di conformità dell'impianto a regola d'arte. Successivamente, il sig. Ba. denunciava prontamente (come emerge sia dai documenti che dalle testimonianze) i vizi riscontrati a So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), che a sua volta li denunciava al sig. Fe. (legale rappresentante sia di Fe. che di R.), invitandolo ad eseguire urgentemente un sopralluogo presso l'immobile del sig. B.. In seguito alla citata denuncia, le comunicazioni con richiesta di sopralluogo ed intervento inviate da So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), inviate a mezzo posta elettronica in data 18.02.2013 e 27.02.2013, erano indirizzate anche a Ri. - all'indirizzo [email protected] (sub doc. (...) e (...)) -, la quale veniva, quindi, portata a conoscenza delle problematiche lamentate dall'acquirente. Risulta documentato, inoltre, che So. S.r.l. ( già Sm.) con Fe. S.r.l. eseguivano, in data 28.02.2013, con il sig. F.G., un sopralluogo presso l'abitazione attorea, circostanza confermata sia da parte attrice, sia da Fe. con comunicazione del 07.03.2013, (sub doc. (...) all. 08 fascicolo convenuta Sm. S.r.l.), in riscontro alla comunicazione di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l..) del 06.03.2013 di diffida, (sub doc. (...) all. 07 fascicolo convenuta Sm. S.r.l.), riconoscendo la problematica ed impegnandosi ad effettuare un intervento risolutivo, senza però dare seguito all'intento nonostante un successivo sollecito del 12.03.2013 (sub doc. (...) all. 09 fascicolo Sm. S.r.l.). Tanto premesso, appurata la presenza di gravi difetti e il rispetto dei termini di decadenza va ora verificata la responsabilità ai sensi dell'art.1669 c.c. tanto rispetto alla società So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), quanto con riferimento alla società Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) Sul punto appaiono condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. Ing. Ad., il quale accertava che "l'unica esecutrice dei lavori è Ri. sas", la quale aveva eseguito il lavoro "avendo chiara coscienza di eseguirlo in contrasto con la regola d'arte". Peraltro, la stessa Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.), assumendosene la responsabilità, in data 10.05.12, rilasciava dichiarazione di conformità dell'impianto a regola d'arte. La responsabilità per gravi difetti è, altresì imputabile a So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), in considerazione dell'autonomia tecnica e organizzativa di cui godeva nell'esecuzione dell'opera. Ed invero, la stessa So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), in qualità di appaltatrice è gravata da una presunzione relativa di responsabilità in ragione degli specifici obblighi assunti contrattualmente e che era suo onere adempiere e superare. Il contratto intervenuto tra l'attore e S., prevedeva espressamente: " premesso che l'acquirente desidera installare un impianto fotovoltaico ... So. svolge attività di consulenza nel settore energetico e in genere fotovoltaico in particolare si è dichiarata disponibile a svolgere ogni attività necessaria alla realizzazione e messa in funzione dell'impianto con la formula chiavi in mano, con gestione a proprio rischio e con propria organizzazione di mezzi, essendo in possesso dei necessari requisiti organizzativi, tecnici e di affidabilità, anche in relazione alle dimensioni della sua impresa, ai capitali disponibili, alle macchine ed attrezzature necessarie ed alla competenza a progettare, realizzare e mettere in funzione l'impianto". Ne consegue che dalla documentazione in atti risulta provata la responsabilità di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) la quale, peraltro, non ha fornito in corso di causa adeguata prova liberatoria. Sul punto occorre ulteriormente osservare che la responsabilità dei soggetti coinvolti nell'attività di installazione del citato impianto fotovoltaico è stata correttamente delineata dal C.T.U., ing. Ad. il quale, se da un lato conferma che "l'unica responsabile delle cause dei vizi, difetti e danni lamentati da parte attrice è Ri. sas", dall'altro lato specifica che la nomina da parte di Sm. S.r.l. di un responsabile di sicurezza e sorveglianza avrebbe permesso di accorgersi che "Ri. non stava eseguendo dei lavori a regola d'arte". D'altra parte, la clausola 7 del citato contratto, intercorso tra le parti, prevedeva espressamente: "S. provvederà alla direzione lavori e alla sorveglianza del cantiere nominando un responsabile della sicurezza". Tanto premesso ne consegue che anche l'ulteriore domanda proposta dalla convenuta So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) nei confronti di Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.), di risarcimento danno ai sensi dell'art. 2043 c.c. non può trovare accoglimento. Sul punto occorre osservare che nell'ipotesi di esperimento dell'azione disciplinata dall'art. 2043 c.c. non opera il regime speciale di presunzione di responsabilità. Spetta, dunque, a colui che agisce provare tutti gli elementi richiesti dall'art. 2043 e, in particolare, la colpa del costruttore (cfr. Cass. Civile sentenza n. 8520 del 12 aprile 2006). Nel caso di specie, l'attribuzione della responsabilità alla sola Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) appare poco convincente, e ciò alla luce delle negligenze perpetrate da So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) nell'esecuzione dell'incarico affidato dall'attore; alla stessa So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), infatti, va attribuita la scelta della tipologia d'installazione. Occorre, inoltre, osservare che il geom. C., che So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) assumeva essere stato il direttore dei lavori, è rimasto del tutto estraneo alla presente controversia ed alle responsabilità allo stesso asseritamente ascritte, per come risulta dagli esiti dell'istruttoria svolta. Nel corso del giudizio, infatti, è stato appurato che lo stesso geom. C., pur essendosi occupato di un piccolo ampliamento di una parte della casa attorea e di alcune sue modifiche interne, non si è mai occupato della progettazione né della Direzione dei Lavori dell'impianto fotovoltaico per cui si controverte, non avendone alcun titolo, né essendogli stato conferito incarico alcuno in tal senso (vd. testimonianza resa da S.R. a verbale di udienza del 07.02.2022 e doc. 4 di parte convenuta Sm. S.r.l.). Risultano, pertanto, non provate le asserzioni di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) secondo cui la progettazione e direzione dei lavori dell'impianto sarebbe stata affidata dall'attore al geom. C., atteso che, come emerso dagli atti di causa, tali attività sono state contrattualmente assunte ed eseguite da So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), la quale (come ammesso dal suo legale rappresentante pro tempore in sede di interpello, nonché dai testi escussi D.S. e M.) si è occupata integralmente di tali aspetti. Ed invero, con l'avvenuta sottoscrizione del contratto, So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.) si era assunta contrattualmente ogni onere e incombente inerente alla progettazione, conferendo all'uopo incarico al geom. C. per l'implementazione dell'impianto (vd. doc. 3 ALL. 1 fascicolo convenuta Sm. S.r.l.). Ne consegue che, nel caso di specie, sussiste la responsabilità solidale delle odierne convenute. Per insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, infatti, ai sensi dell'art. 2055 co. 1 c.c., va riconosciuta la responsabilità in solido dei soggetti tutti quanti responsabili, pur secondo gradi differenti in ragione di differenti contributi causali del danno della fattispecie extracontrattuale ex art. 1669 c.c. invocata (cfr. Cass. Civ. sez. III, 24.05.2023, n.14378): in tema di appalto, la responsabilità dell'appaltatore e del progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso a determinare il danno subito dal committente, è improntata al vincolo della solidarietà, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2055, comma 1, e 1292 c.c., dovendo il giudice procedere all'accertamento e ripartizione delle rispettive quote di responsabilità solo a fronte di specifica domanda in tal senso, facendo ricorso al criterio sussidiario della parità delle colpe - di cui all'art. 2055, comma 3, c.c. - nel caso in cui, per l'impossibilità di provare le diverse entità degli apporti causali, residui una situazione di dubbio oggettivo e reale (in tal senso Cass. Civ. Sez. 2, Ordinanza n. 29218 del 06.12.2017); il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. Accertata la responsabilità ai sensi dell'art. 1669 c.c. in capo ad entrambe le società convenute, va ora definito il quantum debeatur. Sul punto, occorre osservare che il danno patito dall'attore può ritenersi integralmente ristorabile attraverso il riconoscimento delle sole somme necessarie per provvedere alle opere di ripristino dell'immobile. A tal proposito, la C.T.U. redatta dall'Ing. Luca Ad., attraverso un percorso argomentativo immune da vizi, ha individuato come rimedio ottimale per eliminare definitivamente i vizi lamentati, l'esecuzione delle seguenti opere: 1. scollegare elettricamente ed asportare tutti i pannelli fotovoltaici, n. 25, insieme alla struttura ed alle viti di sostegno; 2. eliminare tutte le tegole forate per il passaggio delle viti ed eventuali altre tegole rotte; 3. asportare il manto di copertura in coppi sottostante i pannelli fotovoltaici; 4. posa in opera di nuova guaina impermeabilizzante, al di sopra di quella forata dalle viti di sostegno ora asportate; 5. posa coppi in precedenza asportati con fornitura di nuovi in sostituzione di quelli forati e/o rotti; 6. foratura coppi e travi in legno in corrispondenza dei punti di ancoraggio della struttura portante dei pannelli fotovoltaici; 7. fornitura di viti e staffe e loro messa in opera con le caratteristiche e le modalità indicate nel disegno allegato; 8. montaggio dei profili reggi pannelli fotovoltaici; 9. montaggio dei pannelli fotovoltaici con ripristino dei relativi collegamenti elettrici; 10. collaudo elettrico. In base ai conteggi effettuati, il C.T.U. ha quantificato per tali opere una spesa pari ad Euro 11.384,00 Iva inclusa. Tale somma dovrà essere risarcita in favore dell'attore Ba. dalle società convenute So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), e Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) in solido. Si tratta, peraltro, dell'unica richiesta risarcitoria che ha trovato piena dimostrazione nel presente giudizio, non essendo stata provata in alcun modo, né con allegazione documentale, né tramite prova orale, né per presunzione, la sussistenza del preteso danno non patrimoniale. Le spese sostenute nel procedimento per ATP vanno poste ad esclusivo carico di So. S.r.l. (già Sm. S.r.l.), posto che Ri. S.a.s. (già Ri. S.n.c.) non è stata citata nel predetto giudizio. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, in base al valore della causa. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza definitivamente pronunziando sulla causa come in narrativa, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1) in accoglimento della domanda attorea, condanna Ri. S.A.S. DI Fr.Gi. (P.IVA (...)) e So. S.R.L. (P.IVA (...)), in solido tra loro, al pagamento, in favore Ba.Gi. (C.F. (...)) della complessiva somma capitale di 11.834.00 oltre agli interessi in misura legale dalla domanda (04.12.2014) al saldo; 2) condanna So. S.r.l. (P.IVA (...)) al pagamento in favore Ba.Gi. (C.F. (...)) delle spese del procedimento di ATP n. 2706/20131 RG, pari a Euro 6.519,61 omnicomprensive; 3) condanna le convenute Ri. S.A.S. DI Fr.Gi. (P.IVA (...)) e So. S.R.L. (P.IVA (...)), in solido tra loro, alla rifusione integrale delle spese di lite per la presente causa di merito in favore dell'attore Ba.Gi. (C.F. (...)), quantificate in Euro 5.077,00 oltre rimborso spese generali in misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege. Così deciso in Vicenza l'11 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Vittoria Cuogo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4010/2020 promossa da Fr.Cr. (Cr.Fr. (...)), El. (P.I. (...)), con il patrocinio dell'avv. ZA.SA. e dell'avv.to GI.CA. ATTORI contro Ur.Na., contumace Zu. PLC (P.I. (...)), con il patrocinio dell'avv. FI.NU. e dell'avv.to CA.GI. CONVENUTI Oggetto: responsabilità civile - azione ex art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione ritualmente notificato Fr.Cr., in proprio nonché quale legale rappresentante dell'impresa individuale "El.", conveniva in giudizio Na.Ur. e Zu. P.L.C. (d'ora in avanti, per questioni di brevità, anche solo "Z.") - rispettivamente proprietaria dell'autovettura Opel Corsa, targata (...), e compagnia assicuratrice del mezzo - chiedendone la condanna al ristoro dei danni tutti patiti in conseguenza del sinistro del 30.3.2018 verificatosi ad ore 7.50 circa in Isola V. quando, mentre percorreva Via S. F. in direzione Via S. M. alla guida del proprio velocipede, modello Ultimate-MTB, veniva investito dall'autovettura di proprietà e condotta nel frangente da Na.Ur. la quale, immettendosi dalla laterale destra di Via B., nonostante il segnale di "stop", si immetteva omettendo di prestare la prescritta precedenza al velocipede. Rappresentava, in fatto, che in esito al sinistro veniva trasportato presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Vicenza, ove veniva ricoverato a seguito di diagnosi di "trauma cranico non commotivo con ferita lacero-contusa in regione temporo-parietale destra, contusione alle ATM, lesione dell'incisivo centrale superiore destro, distorsione del rachide cervicale, frattura della VIII, IX, e X costa di destra, contusione al gomito destro", cui seguivano cicli di fisioterapia e di riabilitazione motoria. Richiamato il contenuto della relazione medico-legale a firma del dott. F.F., chiedeva liquidazione del danno non patrimoniale alla salute secondo le dette risultanze, con personalizzazione ex art. 139, comma 3, D.Lgs. n. 209 del 2005 per la ripercussione su specifici aspetti personali e relazionali, nonché per danno morale; chiedeva, poi, il ristoro del danno patrimoniale, sub specie di danno emergente, connesso alla necessità di farsi sostituire, per il periodo da aprile a luglio 2018, da altra ditta (nello specifico "L.I.E.) nello svolgimento degli incarichi lavorativi precedentemente assunti presso i cantieri di J. in Via L., di T. in Via Rag. S. e di V., Via C. n. 46, per un esborso di complessivi Euro 12.460,00. Chiedeva, altresì, il rimborso delle spese mediche e per visite specialistiche per la somma complessiva di Euro 1.915,50, oltre alle spese per consulenza medico legale, pari ad Euro 488,00. L'attore dava, poi, atto di aver ricevuto da INAIL la somma di Euro 600,81 a titolo di indennità per inabilità temporanea assoluta e di Euro 4.322,74 quale indennizzo in capitale per il danno biologico subito, in tale sede quantificato nella misura del 6%. Dava ulteriormente atto che Z., all'esito degli accertamenti del medico fiduciario della compagnia medesima - liquidava a titolo di risarcimento del danno alla persona (parametrato sulla base di un danno biologico temporaneo parziale al 75% per 20 giorni, al 50% per 20 giorni, al 25% per ulteriori 20 giorni, nonché un'invalidità permanente pari al 6% e spese mediche quantificate in Euro 1.262,65) la complessiva somma di Euro 5.143,00, trattenuta quale mero acconto sul maggior dovuto poiché ritenuta non congrua né satisfattiva del danno patito. Fr.Cr. introduceva, quindi, il giudizio in epigrafe indicato chiedendo accertare il diritto all'integrale risarcimento dei danni conseguenti dal sinistro occorsogli in data 30.3.2018 e, per l'effetto, condannare in solido le parti convenute al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, nella misura ritenuta di giustizia, già detratti gli acconti ricevuti, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del sinistro al saldo effettivo. Chiedeva, inoltre, condannarsi in solido le convenute al risarcimento in favore di El. del danno emergente dalla medesima patito, nella somma ritenuta di giustizia. Con vittoria di compensi e di spese di giudizio, comprese quelle relative al procedimento di negoziazione assistita. 2. Con comparsa di risposta tempestivamente depositata si costituiva in giudizio Zu. PLC ritenendo pienamente satisfattivo e congruo quanto già corrisposto in favore dell'attore nella fase stragiudiziale. La Compagnia assicuratrice convenuta contestava, nello specifico, le diverse voci di danno come richieste e prospettate dall'attore, sottolineando da un lato l'assenza di valore probatorio alcuno della perizia medico-legale di parte e contestando, d'altro lato, l'eccessivo ed indimostrato incremento percentuale del punto corrispondente al danno biologico asseritamente subito dall'attore, rispetto a quanto stimato dalla medesima compagnia e dall'INAIL. Contestava, inoltre, la fondatezza della richiesta risarcitoria sia del danno patrimoniale da inabilità lavorativa, ritenuto del tutto arbitrario e non provato, sia del danno da lucro cessante subito dalla ditta individuale El., rappresentando, sul punto, che all'esito di indagine espletata dai fiduciari della compagnia assicurativa era emerso che nell'anno interessato dal sinistro (2018) la ditta avesse raddoppiato il proprio reddito imponibile rispetto a quanto ottenuto nel corso dell'anno 2017, non potendosi, quindi, desumere alcuna deminutio presuntivamente subita dall'impresa individuale facente capo al danneggiato. Concludeva chiedendo il rigetto della domanda attorea, con statuizione in ordine alla congruità della somma già versata in suo favore in via stragiudiziale; in subordine, chiedeva determinarsi l'esatto importo di quanto eventualmente dovuto all'attore, nei limiti delle risultanze dell'espletanda istruttoria, con detrazione della complessiva somma di Euro 10.066,55 già incassata. Con vittoria di spese e compensi di lite. 3. Alla prima udienza, tenutasi in data 24.11.2020, il G.I., verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, dichiarava la contumacia di Ur.Na., assegnava alle parti i richiesti termini ex art. 183, co. 6, c.p.c. e rinviava per l'ulteriore trattazione all'udienza del 27.5.2021. La causa veniva istruita mediante assunzione di prova orale e CTU medico-legale, indi rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 6.7.2023, poi differita d'ufficio al 9.11.2023. In tale udienza, tenutasi con le modalità di cui all'art. 127ter c.p.c., le parti precisavano le conclusioni come da rispettive note depositate telematicamente e il G.I. tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c. 4. Integralmente decorsi i termini per il deposito degli scritti difensivi conclusivi, si rileva che il presente giudizio attiene alla sola valutazione del quantum del ristoro spettante a Fr.Cr. per i danni patiti in conseguenza del sinistro stradale che lo vedeva coinvolto in data 30.3.2018 presso Isola Vicentina, quando a bordo della propria bicicletta veniva investito dal veicolo condotto da Na.Ur. che ometteva di prestare la dovuta precedenza in suo favore: del resto, il fatto storico come allegato dall'attore non è stato contestato dalla compagnia convenuta, cosicchè deve ritenersi non bisognoso di prova, quanto alla verificazione in sé e per sè, in applicazione del disposto di cui all'art. 115 c.p.c. Ad ogni modo, si rileva comunque che nella relazione di sinistro in atti sub doc. 1 attoreo viene riportata la dichiarazione raccolta dall'agente verbalizzante, intervenuto a circa dieci minuti dal sinistro, proveniente dalla conducente Na.Ur. che in merito all'accaduto riferiva "non l'ho visto nella ripartenza". Tanto basta per configurare la responsabilità esclusiva dell'automobilista nella causazione del sinistro che ha coinvolto l'attore. Ciò posto, rispetto alla determinazione del quantum dei lamentati danni, si osserva in diritto che, a seguito delle pronunce n. 8827 e 8828 del 31.5.2003 della Corte di Cassazione e n. 233/2003 della Corte Costituzionale è stato operato un nuovo inquadramento sistematico delle varie figure di danno risarcibile. In particolare, ad un sistema risarcitorio triangolare incentrato sulle figure del danno biologico (risarcibile ex artt. 2043 cc. e 32 Cost), del danno morale c.d. soggettivo (risarcibile ex artt. 2059 c.c. ed art. 185 c.p.) e del danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c.), è stato sostituito un inquadramento di tipo bipolare che, in modo maggiormente aderente all'effettiva natura dei pregiudizi da risarcire, individua unicamente le due categorie del danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c. nelle due componenti del danno emergente e del lucro cessante) e del danno non patrimoniale (risarcibile ex art. 2059 c.c. costituzionalmente reinterpretato e, quindi, senza limitazioni), comprendendosi in questo ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona e quindi sia il danno morale c.d. soggettivo, sia il danno biologico, sia infine il danno conseguente alla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. Quanto al danno non patrimoniale, ritiene questo Giudice opportuno richiamare i principi da ritenersi consolidati ormai a partire da Cass. civ, SS.UU., n. 26972/2008, in particolare quello della "necessaria integralità del risarcimento, con la conseguente necessità di evitare gli effetti delle duplicazioni risarcitorie in merito a voci di danno che, in via meramente descrittiva, sono menzionate in diverso modo, ma i cui indici di sofferenza, tuttavia, non rappresentano altro che i medesimi componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ed unitariamente risarcito" (ribadito di recente da Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 9320 del 08/05/2015); e ancora, quello sugli interessi risarcibili: "Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice". Con precipuo riferimento alla lesione dei diritti alla salute e all'integrità fisica - valori la cui copertura costituzionale è indiscussa - il danno, seppur unitariamente liquidato, deve costituire ristoro di ogni pregiudizio subito dalla persona considerata non in chiave statica (lesione del bene giuridico salute inteso come integrità fisica), bensì dinamico-relazionale (lesione del bene giuridico salute inteso come benessere), valorizzandosi cioè il profilo - attinente al danno c.d. conseguenza - del pregiudizio continuativamente risentito dalla persona nei diversi momenti e contesti in cui trova esplicazione la sua personalità, secondo un giudizio standardizzato (c.d. tipicità sociale delle attività precluse o compresse, e delle relative implicazioni psicofisiche secondo l'id quod plerumque accidit) e ciò nondimeno adeguato alla specificità del caso concreto. Il danno non patrimoniale non potrà essere configurato come in re ipsa, dovendo sempre essere oggetto di prova anche a mezzo presunzioni, e la liquidazione sarà calibrata in funzione di un'attenta personalizzazione al fine di conseguire il risultato della riparazione integrale, seppur evitando di incorrere in duplicazioni non consentite. Particolare attenzione e rigore dovranno quindi essere usati per evitare di incorrere in automatismi risarcitori, in aderenza dell'insegnamento della Suprema Corte. Sul punto, quanto al danno morale, si richiama Cass. civ., n. 2461/2020 secondo cui "il danno morale, ossia la sofferenza soggettiva, non avente fondamento medico legale, sfugge per definizione ad una valutazione aprioristica, ma deve essere allegato e provato nella sua concreta, multiforme e variabile fenomenologia che nessuna ragione logica, oltre che nessun fondamento positivo, consente di rapportare in termini standardizzati alla gravità della lesione integrità psico-fisica". Con riferimento, invece, alla personalizzazione, si veda Cass. civ., n. 23778/2014 laddove ha precisato che "il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo 'tenuto conto della gravità delle lesioni'" (Cass. 23778/2014). 5. Tanto premesso a livello generale, si richiamano gli esiti della consulenza tecnica d'ufficio svolta, rispetto ai quali non vi è ragione di dissentire in quanto resa alla stregua dei migliori criteri della scienza medica all'esito di approfondita analisi della documentazione in atti ed anamnesi patologica dell'attore, con motivazione adeguata ed esente da profili incoerenti e/o contraddittori. Il CTU incaricato, dott. Flavio Alessio, ha accertato che Fr.Cr., in esito al sinistro per cui è causa, riportava un "politraumatismo cranio-facciale e toraco-vertebro-artuale, con ferite lacero contuse al cuoio capelluto e sopracciglio dx, distorsione cervicale, contusione al gomito sx e frattura della 8-9 e 10 costa dx" (cfr. relazione peritale pag. VI), escludendo il nesso eziologico della lamentata lesione dentaria (11), pur compatibile con il trauma facciale, per tardività della relativa diagnosi - intervenuta quasi due mesi dopo il sinistro. Dopo prime cure, seguiva adeguato riposo domiciliare, utilizzo di collare, seguito da congrua rieducazione funzionale, oltre a successivi controlli ambulatoriali. Il consulente ha, quindi, così determinato il danno biologico subito dall'attore: - danno biologico temporaneo con invalidità temporanea parziale (ITP) al 75% per 25 giorni, al 50% per 35 giorni e al 25% per 30 giorni; - danno biologico permanente nella misura del 7%; Ai fini della valutazione della componente del danno morale, il CTU stimava in medio-lieve per tutto il periodo la sofferenza morale temporanea, lieve la sofferenza morale permanente. La liquidazione del danno non patrimoniale, trattandosi di ipotesi di sinistro stradale con lesioni micropermanenti, avviene in via equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., con riferimento ai criteri ex art. 139 D.Lgs. n. 209 del 2005, come da ultimo aggiornati, il tutto in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale che nega alcun automatismo tra lesione dell'integrità fisica e sussistenza della componente "morale" del danno, che va pur sempre allegata e provata, anche per presunzioni. Tenuto conto degli esiti della svolta CTU, il danno non patrimoniale subito dall'attore (di anni quarantacinque all'epoca del sinistro) si determina quindi in Euro 2.397,50 per pregiudizio biologico temporaneo, ed Euro 10.311,74 per danno biologico permanente. Merita, poi, il riconoscimento di somma ulteriore a titolo di danno morale e personalizzazione attraverso il meccanismo dell'appesantimento del punto: l'art. 139, co. 3, cod. ass. private consente, infatti, l'aumento della somma riconosciuta al danneggiato per la lesione dell'integrità fisica, sino al 20%, nel caso in cui la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti della vita relazionale documentati ed accertati, ovvero laddove abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità. IL CTU, seppur stimando lieve il grado di sofferenza nei postumi, metteva al contempo in luce l'incidenza negativa delle lesioni riportate dall'attore rispetto all'attività lavorativa di elettricista da egli esercitata, nello specifico con riferimento "ad un'attività lavorativa che, nella fattispecie, comporta dal punto di vista fisico, artuale e posturale, come quella di un artigiano elettricista, costante e prolungato impegno quotidiano" (cfr. relazione CTU pag. VIII). Tanto corrisponde al c.d. danno da lesione della cenestesi lavorativa, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa che, pur non incidendo sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell'esistenza dell'individuo - che va quindi liquidata onnicomprensivamente come danno (non patrimoniale) alla salute mediante l'appesantimento del punto. Tenuto conto di tali elementi, si giustifica un appesantimento del punto nella misura del 10% (calcolato sulla sola invalidità permanente), nella misura di Euro 1.031,17. Ne consegue che il danno non patrimoniale per danno biologico permanente è pari ad Euro 11.342,91. Ne consegue che la somma complessivamente liquidata per danno non patrimoniale ammonta ad Euro 13.740,41. 6. Quanto al danno patrimoniale (nella componente del danno emergente), va riconosciuto il ristoro delle spese mediche documentate sostenute dall'attore, riconosciute congrue dal CTU, per la complessiva somma di Euro 1.721,50, di cui Euro 654,00 per FKT, Euro 410,00 per visite specialistiche, Euro 102,00 per esame RMN, Euro 67,50 per farmaci e collare ed Euro 488,00 per perizia medico-legale di parte. Parte attrice ha, poi, diritto al ristoro delle spese sostenute per il proprio consulente tecnico di parte, documentate in Euro 1.220,00, oltre al rimborso integrale delle spese di CTU, come liquidate, e quindi per l'ulteriore somma di Euro 1.220,00. Fr.Cr. ha, infine, diritto al ristoro degli esborsi sostenuti per "farsi sostituire" presso i cantieri rispetto ai quali sarebbe stato impegnato nei mesi immediatamente conseguenti al sinistro, nei termini che seguono. Il CTU ha stimato in giorni 25 il periodo di inabilità lavorativa specifica totale, ossia dal giorno del sinistro (30.3.2018) sino al 23.4.2018: ne consegue che il costo sostenuto dal F. per farsi sostituire, nel mese di aprile 2018, da P.L., titolare della ditta individuale L.I. elettrici e industriali, presso il cantiere in J., Via L. presso C.V. Immobiliare, è in nesso di causa con il sinistro e va ristorato posto che egli non avrebbe potuto operare personalmente in detti cantieri adempiendo i rapporti negoziali in essere. Va quindi riconosciuto il ristoro della somma di Euro 3.400,00, il cui esborso risulta documentato sub doc. 12 e corrisponde a relativa ft. 7 del 30.4.2018 emessa da L. nei confronti della ditta individuale attorea. Nel corso dell'istruttoria orale svolta, è poi emerso che la ditta L. sostituiva il F. anche per i successivi mesi di maggio 2018, giugno e luglio 2018, rispettivamente presso i cantieri di M.B. in T., Via R. S., e presso Immobiliare C. più in Valdagno: tanto è stato riferito sia dallo stesso L., che dal figlio dell'attore, F.J., anch'egli impiegato nell'attività facente capo al padre. Entrambi i testi riferivano che l'attore riprendeva lo svolgimento dell'attività, operativa in cantiere e in ufficio per contabilità, all'incirca ad agosto 2018. Se, dunque, è provata l'assenza dal lavoro dell'attore anche da maggio a luglio 2018 (integralmente) compreso, nondimeno il ristoro degli esborsi sostenuti per il pagamento dell'impresa "sostituta" può essere riconosciuto solo, ed ulteriormente, per il mese di maggio 2018, ossi in concomitanza delle lavorazioni eseguite presso il cantiere di M.B.: la ragione di tale limitazione risiede nel fatto che il medico legale limitava le conseguenze invalidanti in capo all'attore, dal punto di vista lavorativo, ad ulteriori n. 35 giorni (ossia all'incirca per n. 1 ulteriore mese). Ne consegue il diritto attoreo al ristoro della somma di Euro 2.620,00, di cui alla fattura n. (...) del 31.5.2018 di L., debitamente pagata dal F. (cfr. doc. 13 attoreo). Non ha luogo, al contrario, ristoro delle somme ulteriormente corrisposte dal F. alla L. per attività prestata nei mesi di giugno e luglio 2018 in difetto di alcuna valutazione medico legale di inabilità lavorativa per detto periodo di tempo, tale da escludere il nesso di causa tra fatto e danno/esborso. Va, quindi, ristorata la complessiva somma di Euro 6.020,00 a titolo di danno patrimoniale emergente. Quanto sinora esposto esclude la doverosità della liquidazione del danno corrispondente ad ogni giorno di inabilità lavorativa specifica atteso che, di fatto, il F. si è fatto sostituire nello svolgimento della medesima e, quindi, non ha perduto alcuna occasione di guadagno né è stato inciso negativamente rispetto alle commesse ed agli obblighi contrattuali previamente assunti (secondo le allegazioni attoree, e quindi per i detti mesi immediatamente successivi al sinistro). Eì noto che a seguito di un sinistro stradale che abbia comportato per il danneggiato un periodo più o meno lungo di degenza, ai fini della relativa richiesta risarcitoria l'esistenza di un periodo di incapacità lavorativa non rappresenta motivo sufficiente per il riconoscimento del danno da lucro cessante, posto che il fondamento della pretesa è rappresentato non dalla perdita totale o parziale della capacità lavorativa, ma dalla conseguente ed effettiva diminuzione del guadagno correlata all'inabilità. Diversamente ragionando si realizzerebbe, nel caso di specie, una indebita locupletazione del danno in quanto sarebbe liquidata all'attore sia una somma per non aver potuto lavorare - e quindi per il guadagno perduto - nei mesi immediatamente successivi al sinistro presso i cantieri oggetto di commesse, sia una somma per i costi sostenuti per farsi sostituire nella prestazione della attività lavorativa presso i medesimi cantieri. Se, infatti, l'impresa individuale del F. ha "eseguito" l'attività lavorativa presso i cantieri di Jesolo e Torrebelvicino - tramite L. - allora avrà anche incassato il relativo corrispettivo dal committente, che all'evidenza rappresenta il guadagno verosimilmente già trattenuto. La restituzione dell'esborso sostenuto per il pagamento dei compensi nei confronti di L. rimette, quindi, l'attore nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse stato vittima di sinistro, conseguendone che nulla è ulteriormente dovuto in suo favore. In definitiva, il danno liquidabile in favore di Fr.Cr. quale ristoro integralmente satisfattivo del pregiudizio patito in esito al sinistro del 30.3.2018 ammonta, quanto al danno non patrimoniale, ad Euro 13.740,41 e, quanto al danno patrimoniale, ad Euro 10.181,50. E quindi complessivamente per Euro 23.921,91. Da tale somma va, ora, decurtato quanto già incamerato dall'attore per il ristoro delle medesime voci di danno, sia da INAIL, ossia Euro 4.923,55, sia da Zu. PLC in data 17.4.2019, ossia Euro 5.143,00, tenendosi conto della data di tale ultimo acconto, come segue. La complessiva somma di Euro 23.921,41 va devalutata alla data del sinistro del 30.3.2018 (risultando pari a Euro 20.393,36) ed applicata rivalutazione e interessi (ex Cass. civ. S.U. n. 1712/1995) sino al mese di aprile 2019, data di corresponsione dell'acconto (complessivamente considerato) risultando pari alla somma di Euro 20.671,75. Da tale somma va decurtato l'acconto di Euro 10.066,55, residuando la minor somma di Euro 10.605,20. Tale somma va ulteriormente rivalutata con interessi legali anno per anno, dall'aprile del 2019 sino al gennaio 2024 (unico dato attualmente disponibile), risultando definitivamente dovuta in favore dell'attore la residua somma di Euro 13.166,03. Su tale somma sono poi dovuti interessi di legge dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo effettivo. 7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo secondo i parametri tabellari medi dello scaglione di riferimento, compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00, tenuto conto che in caso di accoglimento della domanda attorea il valore della causa va determinato in applicazione del c.d. criterio del c.d. decisum (ex multis Cass. civ. 22462/2019 e Cass. civ. 197/2020: "il valore della controversia, al fine del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, va fissato in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato all'opera professionale effettivamente prestata sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto dalla parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio), tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo parziale della domanda, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione (criterio del decisum), salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel qual caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del disputatum, ove riconosca la fondatezza dell'intera domanda"). Le spese di CTU vanno definitivamente poste a carico di parte convenuta, tenuta a ristorare l'attore anche delle spese sostenute per il CTP - di cui si è già tenuto conto nella liquidazione come operata. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, 1) dichiara tenuta e condanna Zu. PLC a pagare, ex art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005, in favore di Fr.Cr., a titolo di ristoro del danno, patrimoniale e non patrimoniale, lui occorso in conseguenza del sinistro del 30.3.2018 verificatosi presso Isola Vicentina, la somma di Euro 13.166,03, oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo effettivo; 2) condanna Zu. PLC a rifondere in favore di Fr.Cr. le spese di lite, che si liquidano in Euro 643,19 per anticipazioni, ed Euro 5.518,00 per compenso professionale (di cui Euro 919,00 per la fase di studio della controversia, Euro 777,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 1.680,00 per la fase istruttoria/di trattazione, Euro 1.701,00 per la fase decisionale, oltre ad Euro 441,00 per la fase di attivazione della procedura di negoziazione assistita), oltre al 15% per spese generali ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. come per legge; Con distrazione in favore del procuratore attoreo, dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c. Così deciso in Vicenza l'11 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE DI VICENZA Il Tribunale di Vicenza, Seconda Sezione Civile, composto dai magistrati: Dott.ssa Elena SOLLAZZO - Presidente Dott.ssa Biancamaria BIONDO - Giudice Relatore Dott. Gabriele CONTI - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 6358 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2023, promossa con ricorso ex art. 473 bis 12 c.p.c. da Li.An. nata a T. l'(...) e residente a P. R. (V.) in via Q. G. Dalla C. 28 (CF: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Fa. con studio in Bassano del Grappa (VI), Via (...), giusta procura allegata al ricorso nei confronti di PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza. In punto: rettificazione dell'attribuzione di sesso ai sensi della L. n. 164 del 1982 FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 473 bis 12 c.p.c. in data 24.12.2023 Li.An. esponeva: - che non era coniugata, né aveva figli; - che, sin dall'età infantile, aveva avvertito di possedere una identità di genere maschile, contrapposta al proprio sesso biologico e che tale discrepanza era stata fonte di gravi sofferenze e disagi; -che la presa di coscienza in ordine alla difformità delle proprie caratteristiche psichiche rispetto a quelle biologiche, l'aveva indotta ad intraprendere il percorso di cambio di genere; - che, infatti, nell'anno 2019 si era rivolta alla dott.ssa L.B., psicologo e psicoterapeuta, presso la quale iniziava un percorso terapeutico di sostegno alla transizione FtM (da femmina a maschio) sottoponendosi a test psico - diagnostici; -che, successivamente, sotto controllo specialistico endocrinologico, da parte del dott. E.I. aveva intrapreso una terapia ormonale sostitutiva; - che sia lo psicologo che l'endocrinologo, nonché il centro di Salute Mentale dell'azienda U. n. 8 B. avevano confermato nei suoi confronti la diagnosi di transessualità, l'assenza di patologie psichiatriche e la necessità, per il suo benessere, di proseguire e completare il percorso di transizione da donna a uomo attraverso tutti i trattamenti indicati allo scopo; - che era determinata a proseguire la terapia ormonale ed il trattamento mascolinizzante già in atto. Tutto ciò premesso, parte ricorrente chiedeva di essere autorizzata a completare il percorso di transizione da donna a uomo attraverso i trattamenti necessari ad adeguare i propri caratteri sessuali da femminili a maschili; chiedeva altresì che il Tribunale, contestualmente, disponesse la rettifica del sesso anagrafico da femminile a maschile, attribuendole il prenome "N.". La domanda è meritevole di accoglimento. Posto che la L. n. 164 del 1982 che detta "norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso", attribuisce preminente rilevanza al cosiddetto sesso psicologico e comportamentale, va accordata l'autorizzazione al trattamento medico chirurgico previsto dall'art. 3 della legge medesima (oggi articolo 31 D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150), allorché il soggetto che lo richiede, pur presentando caratteristiche genetiche, anatomiche e sessuali del proprio sesso anagrafico, abbia manifestato sin dalla tenera età, una naturale tendenza a comportarsi con se stesso e nella vita di relazione, come appartenente all'altro sesso. Ritiene infatti il Collegio che la transessualità irreversibile - intesa come situazione in cui un soggetto, pur presentando caratteristiche cromosomiche ed anatomiche di un certo sesso, avverte tuttavia di appartenere al sesso opposto - legittima la persona interessata a chiedere l'autorizzazione per l'adeguamento anatomico del proprio corpo alla personalità psico - sessuale effettiva. Tale interpretazione risulta avvalorata dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte Costituzionale. Afferma, in tale sede, la Corte: "Nel transessuale (..) l'esigenza fondamentale da soddisfare è quella di far coincidere il soma con la psiche ed a questo effetto, di norma, è indispensabile il ricorso all'operazione chirurgica. (...) Ciò che conta (..) è che l'intervento chirurgico e la conseguente rettificazione anagrafica riescono nella grande maggioranza dei casi a ricomporre l'equilibrio tra soma e psiche". La Corte, dopo aver affermato che il legislatore ha accolto una concezione di identità sessuale che non conferisce più esclusivo rilievo agli organi sessuali, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale, e che il transessuale, più che compiere una scelta, obbedisce al suo vero istinto, aggiunge: "...il legislatore ha preso atto di una simile situazione, nei termini prospettati dalla scienza medica, per dettare le norme idonee, quando necessario, a garantire gli accertamenti del caso ovvero a consentire l'intervento chirurgico risolutore e dare, quindi, corso alla conseguente rettificazione anagrafica del sesso". Esaminando, quindi, la domanda di rettificazione ed attribuzione di sesso, devono essere valutati due distinti aspetti: quello delle condizioni psico-sessuali del richiedente e quello della necessità degli interventi medici richiesti ai fini dell'adeguamento dei caratteri sessuali. Dalla documentazione dimessa in atti risulta che Li.An. si è sottoposta ad approfonditi esami medici e psicologici dai quali è emersa la diagnosi di disforia di genere, la necessità che l'interessata prosegua e completi il percorso di transizione da donna a uomo, eventualmente anche attraverso i necessari interventi chirurgici, la correttezza della terapia ormonale in atto. Nel corso del giudizio è stato inoltre assunto il libero interrogatorio della parte ricorrente che ha insistito per l'accoglimento della domanda, dichiarandosi consapevole delle conseguenze irreversibili della transizione che chiede di essere autorizzata ad effettuare. Non risultano dagli atti, a carico dell'interessata, patologie psichiatriche o alterazioni della sfera cognitiva, ideativa ed affettiva, tali da menomare o interferire con le capacità critiche, di giudizio e di scelta. Alla luce di quanto emerge dalla documentazione medica e dalle dichiarazioni rese dall'interessata in sede di interrogatorio, ritiene il Collegio che debba essere autorizzato il trattamento richiesto e che sia superfluo, in considerazione della completezza delle indagini effettuate e della durata del periodo di osservazione compiuto, procedere all'espletamento di apposita CTU. Va altresì riconosciuta, come richiesto, la rettificazione dell'atto di nascita e di ogni altro atto dello stato civile. Invero recenti pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale hanno chiarito che l'intervento chirurgico volto alla modificazione dei caratteri sessuali primari dell'individuo non è da ritenersi prodromico e dunque necessario, rispetto alla modificazione degli atti anagrafici. In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15138/2015, ha stabilito che alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell'art. 1 L. n. 164 del 1982, nonché del successivo articolo 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31 comma 4 del D.Lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile, deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale. Ancora più recentemente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221/2015 ha così stabilito: Il ricorso alla modificazione dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza tra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione -come prospettato dal rimettente - , ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico. Da ultimo, sempre la Corte Costituzionale, con sentenza n.180/2017, ha ribadito la non obbligatorietà dell'intervento chirurgico al fine dell'acquisizione di una nuova identità di genere, dichiarando: "non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, L. 14 aprile 1982, n. 164, censurato, per violazione degli artt. 2, 3, 32 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alla intervenuta modificazione dei caratteri sessuali della persona istante. Infatti, è possibile un'interpretazione della disposizione censurata compatibile con i valori costituzionali di libertà e dignità della persona umana. Essa è stata individuata e valorizzata sia dalla giurisprudenza di legittimità, sia da quella costituzionale, le quali hanno riconosciuto che l'acquisizione di una nuova identità di genere possa essere il risultato di un processo individuale che non postula la necessità di un intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale siano oggetto di accertamento anche tecnico in sede giudiziale. In particolare, la sentenza n. 221 del 2015 ha riconosciuto che la disposizione censurata costituisce l'approdo di un'evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento del diritto all'identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost. e art. 8 CEDU) (sentt. nn. 161 del 1985, 221 del 2015)". Va pertanto accolta la domanda di rettificazione dell'atto di nascita e di ogni altro atto dello stato civile, avanzata da parte attrice, a prescindere dalla effettuazione degli interventi chirurgici, che Li.An. ha comunque dichiarato di voler affrontare. Anche la correlata domanda di variazione del prenome deve essere accolta. Pur in assenza di una apposita previsione normativa nel corpus della legge che disciplina la rettificazione dell'attribuzione di sesso, deve ritenersi che ciò sia ammissibile in quanto normale conseguenza della nuova assegnazione, attesa l'importanza che il nome ha nella individuazione e qualificazione del soggetto come appartenente all'uno piuttosto che all'altro sesso, e che ciò possa operarsi con la sentenza di rettificazione. Ciò è imposto, oltre che da ragioni logiche, anche da ragioni di carattere sistematico, ossia di non far permanere nell'unico atto di stato civile elementi che possano dar luogo ad un'equivoca e contraddittoria interpretazione del carattere sessuale della persona, come appunto un nome sicuramente femminile in soggetto maschile. La rettificazione dell'atto di stato civile a seguito della riassegnazione del sesso deve consentire una completa ridefinizione dei dati anagrafici del soggetto conseguenti a quella modificazione e non limitarsi alla sola nuova attribuzione del carattere, pena, oltre alla già ricordata contraddittorietà dell'atto, una valenza di possibilità discriminatoria o denigratoria del soggetto, sicuramente contraria alla legge del 1982. Un argomento letterale di conferma di tale interpretazione è offerto dalla menzione, nell'art. 5 della legge, al fatto che le attestazioni di stato civile debbono recare la sola indicazione del nuovo sesso e nome, con ciò facendo chiaramente intendere della possibilità di variazione di questo legata alla nuova attribuzione senza che si debba chiedere l'avvio di nuove procedure sicché, data l'assenza di indicazioni di potestà spettanti ad altri organi, tutti i nuovi dati debbano essere disposti dal Giudice che procede. In definitiva, deve disporsi che a Li.An. venga attribuito non solo il nuovo sesso, ma anche il nuovo prenome, dallo stesso indicato, di Ni., con le conseguenti variazioni. Nulla va disposto riguardo alle spese di lite, mancando ogni ragione di soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando, così provvede: a) autorizza Li.An., nata a T. l'(...), ad effettuare i trattamenti medici ed eventualmente chirurgici di adeguamento dei propri caratteri sessuali da donna a uomo; b) attribuisce a Li.An., nata T. l'(...), il sesso maschile, nonché il prenome di "Ni." e, per l'effetto, ordina all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Piovene Rocchette di rettificare lo stesso, nel senso che, laddove è indicato il sesso femminile sia letto e inteso "sesso maschile" e che laddove è indicato il nome "An." sia letto e inteso "Ni."; c) dispone che in ogni atto dello stato civile alla parte ricorrente sia assegnato il prenome "Ni."; e) nulla per le spese. Così deciso in Vicenza il 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VICENZA - Sezione Penale in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Claudia Molinaro alla pubblica udienza del 12/12/2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA (art. 544 3 comma c.p.p.) nel procedimento a carico di: Ch.Ro. nato a S. il (...) residente a T. in via B. al n. 4 domicilio dichiarato libero - già presente con difensore di fiducia avv. Gi.Pr. del foro di Vicenza Imputato 1) del reato previsto dall'articolo 186 comma 2 lettera b) e comma 2 sexies del Codice della strada perché guidava l'autovettura BMW targata (...)in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche (con accertamento di un valore corrispondente ad un tasso alcolemico di 1,38 grammi per litro); reato aggravato perché commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7; in F.V. e S. il 6 marzo 2019; 2) del reato previsto dall'articolo 336 del Codice penale perché usava minaccia e violenza al brigadiere To.Da. e all'appuntato Lo.Si. per costringerli ad omettere l'accertamento del reato appena commesso (guida in stato di ebbrezza); in particolare il Ch., inseguito e raggiunto dai Carabinieri, dopo essersi rifiutato di sottoporsi ai previsti controlli del proprio tasso alcoolemico, diceva ai militari che avrebbe chiamato Da., il comandante dei Carabinieri di Thiene" e, mentre il Lo. scendeva dall'autovettura di servizio, spingeva con forza la portiera (come per richiuderla), tanto da cagionare al militare una lesione personale guarita in più di 40 giorni; in S. il 6 marzo 2019; 3) del reato previsto dagli articoli 582, 583, 585 e 576 numero 5 bis) del Codice penale perché cagionava all'appuntato dei Carabinieri Lo.Si. una lesione personale ( distorsione e distrazione del collo, contusione della faccia, del cuoio capelluto e del collo escluso l'occhio, contusione della regione della spalla"), spingendo con forza (come per richiuderla) la portiera dell' autovettura di servizio da cui il L. stava scendendo; reato aggravato perché dal fatto derivava una malattia o comunque un incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; reato inoltre aggravato perché commesso contro un agente di polizia giudiziaria nell' atto dell'adempimento delle funzioni;' in Sarcedo il 6 marzo 2019; MOTIVAZIONE 1. Svolgimento del processo. Con decreto che dispone il giudizio del 13.1.2021, Ch.Ro. veniva rinviato a giudizio avanti il Tribunale di Vicenza per rispondere dei reati di cui all'art. 186, co. 2 lett. b) e co. 2-sexies D.Lgs. n. 285 del 1992 (capo 1), e agli artt. 336 (capo 2) e 582,583, 585 e 576 n. 5-bis c.p. (capo 3), contestati come commessi in F.V. e S. il 6 marzo 2019. All'udienza del 26.3.2021, verificata la regolarità della notifica disposta nei suoi confronti e la sua mancata comparizione, l'imputato veniva dichiarato assente, e il Tribunale ammetteva le prove richieste dalle parti. Visto il Provv. di variazione tabellare n. 131 del 2021, con cui veniva ridotto il numero di udienze monocratiche del giudice assegnatario del procedimento, il Tribunale rinviava l'udienza del 4.2.2022 al 14.10.2022, stante la necessità di trattare in quella data procedimenti di carattere prioritario. L'udienza del 14.10.2022 veniva a sua volta rinviata, atteso l'esonero del giudice titolare dalla celebrazione delle udienze monocratiche, disposto con Provv. del Presidente di Sezione dell'l settembre 2022. All'udienza del 9.5.2023 non comparivano i testimoni del Pubblico Ministero e il Tribunale ne autorizzava la citazione per l'udienza del 19.9.2023, quando venivano assunte le testimonianze dei testi di P.G. Lo.Si. e To.Da.. Alla successiva udienza del 28.11.2023 si procedeva all'esame dell'imputato, e all'escussione dei testi della difesa Ma.St. e Ch.Pa.. All'udienza del 12.12.2023 la difesa rinunciava all'audizione del proprio teste Mi.Ma.. Il Tribunale, nulla opponendo le altre parti, ne revocava l'ammissione e, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, invitava le parti a discutere. All'esito della camera di consiglio, veniva data lettura dell'allegato dispositivo. 2. Ricostruzione dei fatti. L'istruttoria dibattimentale ha consentito di ricostruire i fatti come di seguito esposti. 2.1 Alle ore 22:30 circa del 6.3.2019, durante un servizio perlustrativo nella zona industriale di F.V., la volante dell'aliquota radiomobile dei Carabinieri della Compagnia di Thiene, con a bordo il Vice Brig. To.Da. e l'App. Lo.Si., veniva superata da un SUV di grossa cilindrata, di marca BMW, che procedeva a velocità elevata (cfr. deposizioni testi Lo.Si. e To.Da., verbale udienza 19.9.2023, p. 4 s. e 23). Ritenendo che si potesse trattare di un furto di automobile, gli agenti si mettevano all'inseguimento del veicolo, azionando i lampeggianti e le sirene di istituto per far sì che il conducente si accorgesse della pattuglia e arrestasse la marcia. Anche una volante dei Carabinieri della Stazione di Breganze notava il passaggio a velocità elevata dell'autovettura inseguita dalla pattuglia dei Carabinieri di Thiene e si metteva all'inseguimento del SUV, con l'intento di fornire supporto ai colleghi della radiomobile di Thiene (cfr. deposizione teste L., verbale udienza 19.9.2023, p. 6; deposizione teste M., verbale udienza 28.11.2023, p. 10). Il conducente del SUV, una BMW nera targata (...), proseguiva la corsa per altri 2-3 chilometri, fino a Via M. Ch. a S., dove, giunto davanti ad uno stabile, scendeva dall'auto. Mentre era intento ad entrare nell'edificio, veniva raggiunto dagli agenti della radiomobile che gli chiedevano di esibire la patente di guida e il documento di identità, identificando tal modo il soggetto fermato nell'odierno imputato, Ch.Ro. (cfr. deposizioni testi Lo.Si. e To.Da., verbale udienza 19.9.2023, p. 5 e 24). Nel corso dell'identificazione, inoltre, gli operanti notavano che l'imputato presentava i tipici segni di alterazione da sostanze alcoliche: aveva difficoltà nell'articolare frasi e movimenti, emanava un odore di alcol e continuava ad assumere un contegno aggressivo nei loro confronti, al punto che gli stessi decidevano di procedere alla somministrazione dell'A. (cfr. deposizioni testi Lo.Si. e To.Da., verbale udienza 19.9.2023, p. 6, 20 e 24). I testi di P.G. ricordavano di aver fornito a Ch. gli avvisi di legge e, in particolare, di averlo avvertito, nell'immediatezza e, in ogni caso, prima di invitarlo a sottoporsi al test precursore, della facoltà di farsi assistere da un difensore o da altra persona di fiducia (cfr. deposizione teste L. ud. 19.9.2023, pp. 9 e 20; deposizione teste T. ud. 19.9.2023, pp. 24 e 26; deposizione teste M., verbale udienza 28.11.2023, p. 16). C. insisteva per non essere sottoposto all'A. e chiedeva agli agenti di procedere alla contestazione del solo superamento del limite di velocità. Riferiva di temere le conseguenze che una contestazione di guida in stato di ebbrezza avrebbe potuto avere su di lui e la sua azienda, in quanto noto imprenditore della zona, con un centinaio di persone alle sue dipendenze (cfr. deposizione teste L., verbale udienza 19.9.2023, p. 8). Vedendo che gli operanti non assecondavano la sua richiesta, Ch. tentava di intimorirli, affermando di conoscere molto bene il loro superiore, il C.D.R. della Compagnia dei Carabinieri di Thiene, e prospettando loro che lo avrebbe chiamato. Gli agenti notavano che Ch. utilizzava il cellulare per effettuare delle chiamate che rimanevano senza risposta (cfr. deposizioni testi L. e T., verbale udienza 19.9.2023, p. 8 e p. 25). L'imputato contattava il fratello, Ch.Pa., che sopraggiungeva poco dopo e insieme chiedevano ripetutamente agli operanti di non sottoporre ad A. l'odierno imputato, che continuava a tergiversare, alternando momenti in cui diceva che avrebbe fatto il test a momenti in cui si rifiutava (cfr. deposizione teste M., verbale udienza 28.11.2023, p. 11). Ad un certo punto l'imputato sembrava essersi convinto a procedere agli accertamenti e gli operanti gli facevano eseguire il pretest, che, tuttavia, non dava esito valido, perché l'imputato non soffiava correttamente nello strumento di rilevazione. Gli operanti, allora, gli chiedevano un'ultima volta se intendesse effettivamente sottoporsi all'accertamento e, dopo un suo esplicito rifiuto, salivano sulla volante per redigere il verbale di rifiuto di accertamenti (cfr. deposizioni testi L. to e T., verbale udienza 19.9.2023, p. 12 e 26). A quel punto, mentre gli agenti erano intenti a compilare i documenti, Ch.Ro. si avvicinava di nuovo alla volante e iniziava a battere dei colpi sul finestrino del guidatore e ad urlare, per richiamare l'attenzione degli agenti (cfr. deposizione teste L., verbale udienza 19.9.2023, p. 10). L. apriva lo sportello per sentire le richieste dell'imputato, che, allontanandosi verso il retro della volante, con un gesto di stizza, gli diceva "vai in mona" e dava un colpo alla portiera blindata della vettura. Richiudendosi, lo sportello colpiva la spalla sinistra dell'agente, al quale successivamente venivano diagnosticate dal personale medico del Pronto Soccorso le seguenti lesioni: "distorsione e distrazione del collo, contusione della faccia, del cuoio capelluto e del collo escluso l'occhio, e contusione della spalla" con una prognosi di guarigione di 10 giorni. Sul momento L. accusava il colpo ma proseguiva con le attività del proprio ufficio, sorretto dall'adrenalina e dalla concitazione degli eventi (cfr. deposizione testi L. e T., verbale udienza 19.9.2023, p. 10, 20 e 28; referto del Pronto Soccorso dell'Ospedale Alto Vicentino del 7.3.2019, ff. 4 ss. fascicolo del dibattimento). Dopo aver inferto il colpo a L., Ch. acconsentiva a sottoporsi all'A., da cui risultava un tasso alcolemico di 1,38 g/l, all'esito sia della prima prova (eseguita alle 23:54) che della seconda (condotta a distanza di 15 minuti dalla prima) (cfr. verbale di accertamenti tecnici, f. 3 fascicolo del dibattimento). Successivamente all'accaduto, Ch.Ro. trasmetteva una lettera di scuse al Comando dei Carabinieri e risarciva il danno cagionato all'App. L., che rimetteva la querela sporta. L'odierno imputato successivamente accettava la remissione (cfr. verbali di remissione della querela del 2.2.2021 e di accettazione della remissione del 4.3.2021, prodotti dal Pubblico Ministero all'udienza del 26.3.2021). L. si era dovuto assentare dal lavoro per tre mesi (cfr. deposizione teste L., verbale udienza 19.9.2023, p. 21). 2.2 In sede di esame, Ch.Ro. riferiva che la sera del 6 marzo 2019 era stato a cena con i fratelli e alcuni amici in un ristorante vicino a casa. Rientrando a velocità elevata a bordo della propria automobile, non si era avveduto delle volanti che lo seguivano, se non una volta giunto presso la propria abitazione. Riconosceva di aver insistito a lungo per non essere sottoposto all'A., a causa le ripercussioni che avrebbe avuto sulla propria attività lavorativa e sulla propria immagine. Solo molto tempo dopo essere stato identificato, gli agenti lo avrebbero avvisato che, in caso di rifiuto, avrebbe subito la conseguenza del ritiro della patente e allora si sarebbe convinto a sottoporsi al test alcolimetrico. Nessuno, invece, lo avrebbe avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore al compimento dell'atto di indagine. Quindi, avrebbe bussato alla portiera del lato dell'autovettura, ove sedeva L., che l'aveva aperta. Lui aveva comunicato la propria decisione di sottoporsi all'A. e aveva richiuso lo sportello dell'auto di servizio, senza percepire alcun colpo violento contro l'agente. Negava, infine, di aver mai alzato la voce con i Carabinieri e tanto meno di averli minacciati. Aveva fatto sì riferimento al Ch.Ro., in quanto proprio conoscente da cui voleva avere un consiglio sulla condotta da tenere (cfr. esame imputato, verbale udienza 28.11.2023, p. 4 ss.). Il teste Ch.Pa., fratello dell'imputato, sentito alla medesima udienza, confermava la versione dei fatti dell'imputato dal momento del suo arrivo presso l'abitazione del fratello (cfr. deposizione teste Ch.Pa., verbale udienza 28.11.2023, p. 16 ss.). 3. Valutazione delle prove e qualificazione giuridica dei fatti: responsabilità dell'imputato per i reati di cui ai capi di imputazione. Dal compendio probatorio costituito dalle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso dell'istruttoria dibattimentale e dalle prove documentali, cosi come richiamate al 2, deve ritenersi provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità di Ch.Ro. per i reati allo stesso ascritti. 3.1. Con riferimento al reato contravvenzionale di cui al capo 1) di imputazione, la prova della sussistenza del fatto e della responsabilità dell'imputato si fonda anzitutto sui rilievi degli operanti, che, in sede di esame, riferivano di aver percepito sull'imputato segnali sintomatici dell'alterazione psico - fisica determinata dall'assunzione di sostanze alcoliche (difficoltà nella formulazione di frasi e nel coordinamento dei movimenti, contegno agitato con momenti di aggressività nei confronti degli agenti, odore di alcol), la cui chiara valenza indiziaria è concordemente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis Cass. Pen., sez. 4, sent. n. 35933 del 24.4.2019 Ud. (dep. 9.8.2019) Rv. 276674 - 01). I rilievi degli operanti di P.G., inoltre, hanno trovato pieno riscontro negli esiti degli accertamenti tecnici, effettuati a circa un'ora di distanza dall'inizio dei fatti. Entrambe le prove, eseguite con etilometro mod. A. mat. 7110 M., hanno rilevato un tasso alcolemico pari 1,38 g/l (cfr. verbale di accertamenti tecnici, f. 3 fascicolo del dibattimento), e per la prevalente giurisprudenza di legittimità, "l'esito positivo dell'A. costituisce prova dello stato di ebbrezza - stante l'affidabilità di tale strumento ... - essendo pertanto onere della difesa dell'imputato fornire la prova contraria a detto accertamento" (cfr. da ultimo Cass. Pen., sez. 4, sent. n. 46841 del 17.12.2021 Ud. (dep. 22.12.2021) Rv. 282659 -01). Sul punto si osserva che i rilievi mossi dalla difesa concernenti il lasso di tempo intercorso tra il momento in cui Ch.Ro. è stato fermato e quello in cui lo stesso è stato sottoposto all'A. non valgono a revocare in dubbio la validità dell'esito delle prove. Tra i due momenti vi è stato un intervallo di circa un'ora a causa dell'atteggiamento dilatorio e oppositivo manifestato dall'imputato. Per altro, per costante giurisprudenza di legittimità "il decorso di un intervallo temporale tra la condotta di guida incriminata e l'esecuzione del test alcolimetrico è inevitabile e non incide sulla validità del rilevamento alcolemico" (cfr. Cass. Pen., sez. 4, sent. 13999 dell'11.3.2014 Ud. (dep. 25.3.2014) Rv. 259694-01). 3.1.2. Non vi sono dubbi sull'attribuibilità del fatto all'imputato, che si desume, in particolare, dalle dichiarazioni rese da tutti i testi di P.G., che lo avevano seguito in auto fino al momento in cui ha arrestato la corsa, vedendolo scendere dal veicolo dal lato del conducente. Tale circostanza non è mai stata negata nemmeno dallo stesso imputato, né nell'immediatezza del fatto, né nel corso del proprio esame. 3.1.3. Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, sulla base dei valori del tasso alcolemico rilevati, unitamente ai segni di alterazione derivante dall'assunzione di sostanze alcoliche percepita dagli operanti, deve ritenersi che la stessa sia stata correttamente formulata ai sensi della lettera b) di cui all'art. 186 del Codice della Strada. 3.1.4. La sussistenza della circostanza aggravante di cui al co. 2-sexies C.d.S. emerge per tabulas dagli orari indicati sui tagliandi della prova etilometrica, che indicano le ore 23:54 e 00:10, e che confermano le ricostruzioni dei fatti eseguite in udienza dai testi T. e L. (cfr. verbale di udienza del 19.9.2023, pp. 4, 15, 23 e 30). 3.1.5. La condotta di Ch.Ro. non può ritenersi di particolare tenuità ai sensi dell'art. 131 bis c.p., difettando l'indice-criterio dell'esiguità dell'offesa, avuto riguardo al tasso alcolemico riscontrato, ampiamente superiore rispetto alla soglia di punibilità dello 0,8 g/1 e alla pericolosità della condotta di guida in stato di ebbrezza, posta in essere in orario notturno, nonché al contegno tenuto quella stessa sera dall'imputato nei confronti degli operanti. Per tutti i motivi sopra esposti la condotta ascritta all'imputato al capo 1) si inscrive correttamente nella fattispecie di cui all'art. 186, co. 2, lett. b) e 2-sexies C.d.S., di cui l'imputato senz'altro risponde. 3.2. Sulla base delle risultanze istruttorie si ritiene accertata la responsabilità dell'imputato anche con riferimento al reato di cui all'art. 336 c.p., contestato al capo 2) di imputazione, ma con riferimento esclusivo alla condotta di minaccia posto che, da quanto emerso nel corso dell'istruttoria, le lesioni personali cagionate all'App. L. non sono state il risultato di violenza posta in essere per costringere quest'ultimo ad omettere gli accertamenti, bensì la conseguenza di un gesto di stizza, a seguito del quale decideva di sottoporsi all'A. (cfr. deposizione teste M., verbale udienza 28.11.2023, p. 15). 3.2.1. Ciò premesso, sotto il profilo dell'elemento oggettivo della fattispecie di cui all'art. 336 c.p., è emerso che l'imputato, fermato dalle Forze dell'Ordine poiché percorreva la pubblica via a velocità molto elevata, presentava i tipici sintomi dell'alterazione da sostanze alcoliche e, per tale motivo, gli agenti decidevano di sottoporlo all'A.. A questo punto, però, l'imputato iniziava ad insistere affinchè gli operanti procedessero alla sola contestazione per eccesso di velocità senza fare gli ulteriori accertamenti per il tasso alcolemico. Come riferito dai testi di P.G. e confermato dallo stesso Ch.Ro., in un primo momento, questi chiedeva agli agenti di "chiudere un occhio" e di non sottoporlo ad A. perché aveva paura delle ricadute sulla sua immagine di imprenditore e per la sua famiglia, poi, vedendo che gli operanti intendevano comunque procedere all'A., Ch.Ro. diceva loro di conoscere D.R., ossia il Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Thiene, nonché loro Capitano, e minacciava di chiamarlo per metterlo al corrente di quello che stava accadendo, cosa che effettivamente faceva, senza ottenere risposta. La condotta di Ch., pertanto, deve ritenersi correttamente qualificata nel delitto di cui all'art. 336 c.p., considerato il momento in cui la stessa è stata attuata, ovvero prima che gli operanti procedessero all'accertamento e per farli desistere dal compimento dello stesso. Con riferimento specifico alla minaccia, nel corso del loro esame testimoniale, sia il Vice Brig. T. che l'App. L. hanno riferito che Ch. millantava di conoscere il loro Capitano e che lo avrebbe chiamato per intimorirli e fare così in modo che loro non effettuassero l'A. (cfr. deposizione teste T., "ci ha detto che lui chiama D., che era il Comandante della Compagnia, per informarlo di quanto probabilmente stavano facendo i suoi militari" e ancora "millantando di conoscere il Ch.Ro. probabilmente voleva intimorirci in modo tale che non effettuassimo il nostro...", ud. 19.9.2023, p. 25). Dal canto suo, invece, l'imputato ha negato che nel rendere nota agli operanti la sua amicizia con il loro Capitano vi fosse l'intento di minacciarli, prospettando la possibilità che gli stessi potessero incorrere in qualche conseguenza negativa a causa del proprio operato. Ch., infatti, ha spiegato che la sua idea era quella di "provare a sentire il Comandante che cosa mi consiglia" (cfr. esame imputato, ud. 28.11.2023, p. 8). La versione dell'imputato, tuttavia, non trova riscontri, se non nelle dichiarazioni del fratello, da ritenersi scarsamente credibili sia in ragione dell'interesse del prossimo congiunto nell'esito del presente procedimento, che dell'avversità e dello scherno manifestati nei confronti della persona offesa, quando, nel corso della deposizione, il teste attribuiva all' "amico" R.D., comandante dei Carabinieri di Thiene, il commento: "Sì, avete trovato un rompi balle" (cfr. deposizione teste Ch.Pa., verbale udienza 28.11.2023, p. 19). Inoltre la ricostruzione dei fatti dell'imputato è smentita dalle dichiarazioni rese non solo dai Carabinieri di Thiene, ma anche dal teste, Ma.St., Appuntato presso la Stazione dei Carabinieri di Breganze, presente per tutta la durata dell'episodio di cui a processo. M., pur escludendo che l'imputato abbia indirizzato agli operanti delle minacce esplicite, ha confermato come lo stesso abbia esclamato più volte con tono aggressivo che lui e il fratello avrebbero chiamato "D., il Comandante dei Carabinieri" e che, con tale prospettazione, i due intendevano "se mi fate il test io chiamo D.... D. chi? Il Comandante dei Carabinieri" (cfr. deposizione teste M., ud. 28.11.2023, p. 12). Pur essendo delle minacce implicite quelle proferite da Ch. all'indirizzo degli agenti, si noti che, per costante giurisprudenza di legittimità, ribadita anche da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, per l'integrazione del delitto di minaccia a pubblico ufficiale, "non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale" (cfr. da ultimo Cass. Pen., sez. 6, sent. n. 2104 del 16.12.2021 Ud. (dep. 18.1.2022) Rv. 282666-01). Inoltre, sempre ai fini dell'integrazione della condotta materiale del delitto di minaccia a pubblico ufficiale, non è necessario che questa abbia effettivamente indotto il pubblico ufficiale a commettere un atto contrario ai propri doveri ovvero ad ometterne uno dell'ufficio, dal momento che la fattispecie criminosa si considera consumata nel momento in cui vengono pronunciate le minacce, indipendentemente dal raggiungimento dello scopo prefissosi dal reo (cfr. Cass. Pen., sez. 6, sent. n. 10005 del 22/05/1985 Ud. (dep. 29/10/1985) Rv. 170895 - 01). 3.2.2. A prescindere dal timore effettivamente suscitato negli agenti, non vi sono dubbi sul fatto che la condotta minatoria del l'imputa to fosse diretta a far omettere agli operanti l'accertamento del suo tasso alcolemico o la contestazione del rifiuto di sottoporsi ad accertamenti, e che gli contestassero soltanto l'eccesso di velocità. Lo stesso imputato riconosceva di aver insistito a lungo, sebbene soltanto con modalità pacifiche, di non essere sottoposto all'A. (cfr. esame imputato, verbale udienza 28.11.2023, p. 5). Pertanto, considerata la chiara intenzione di Ch. di indurre gli operanti ad omettere gli accertamenti del suo tasso alcolemico, deve ritenersi sussistente anche il dolo specifico richiesto ai fini dell'integrazione della fattispecie delittuosa di cui trattasi. 3.2.3. Per i motivi finora esposti e risultando integrati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa di cui all'art. 336 c.p., l'imputato deve essere riconosciuto responsabile del reato allo stesso contestato al capo 2) di imputazione, limitatamente alla condotta di minaccia, non ravvisandosi la direzione della condotta violenta, di seguito esaminata, ad impedire il compimento di un atto dell'ufficio. Dall'istruttoria dibattimentale e, in particolare, dalle dichiarazioni rese dal testimone M., è emerso che Ch. richiudeva violentemente lo sportello dell'autovettura blindata contro L. in un gesto di stizza, dopo aver tentato di attirare l'attenzione degli operanti per sottoporsi ad A.. Tali circostanze impongono di escludere che la condotta violenta fosse finalizzata a costringere L. e T. a fare od omettere un atto dell'ufficio, dovendosi ritenere piuttosto che l'imputato abbia agito mosso da alterazione e rabbia per la situazione a lui sfavorevole, tanto che, subito dopo l'evento, lo stesso si sottoponeva all'A., consentendo lo svolgimento degli accertamenti previsti dalla legge. Nondimeno la condotta violenta integra il reato di cui al capo di imputazione 3), come di seguito esaminata. 3.3. Risulta accertata la responsabilità dell'imputato anche in relazione al fatto di reato di cui agli artt. 582, 583, 585 in relazione all'art. 576 n. 5-bis c.p. di cui al capo 3) di imputazione. A sostegno del giudizio di colpevolezza depongono le dichiarazioni della persona offesa, Lo.Si., e le prove documentali, consistenti nei referti medici in atti. 3.3.1 . Si rammenta che il teste L. ricordava che, mentre lui e il collega T. erano dentro l'autovettura d'istituto per compilare i verbali di rifiuto di accertamenti, Ch.Ro. si è avvicinato al lato del guidatore, dove sedeva L., e aveva iniziato a battere sul finestrino per richiamare l'attenzione degli operanti. L. allora aveva aperto la portiera per sentire cosa volesse l'imputato, il quale aveva richiuso con un colpo alla portiera inveendo contro di lui con le parole "vai in mona". La portiera blindata aveva colpito la spalla sinistra di L., che dopo aver concluso le operazioni si receva al Pronto Soccorso poiché lamentava un dolore all'arto, a cui era stato precedentemente operato. La persona offesa, inoltre, riferiva che, a seguito della lesione alla spalla, era stato costretto a restare a casa dal lavoro per un periodo di circa tre mesi. 3.3.2 Per consolidata giurisprudenza, le dichiarazioni della persona offesa non sono soggette alle regole di valutazione della prova di cui all'art. 192, co. 3 c.p.p., potendo pertanto fondare il giudizio di responsabilità dell'imputato anche in assenza di riscontri esterni, purché superino un vaglio di credibilità soggettiva e attendibilità intrinseca più rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni degli altri testimoni (cfr. ex multis Cass. Pen., sez. 5, sent. n. 12920 del 13.2.2020 Ud. (dep. 24.4.2020) Rv. 279070-01). Solo qualora la persona offesa si sia costituita parte civile sarebbe opportuno procedere anche all'individuazione di elementi che costituiscano un riscontro esterno alle sue dichiarazioni, non essendo comunque necessario che questi investano l'intera narrazione o che si risolvano in autonome prove del fatto (cfr. da ultimo Cass. Pen., sez. 5, sent. 21135 del 26.3.2019 Ud. (dep. 15.05.2019) Rv. 275312-01). Nel caso de quo, la testimonianza di L. regge senz'altro il vaglio di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. Non vi sono infatti motivi che facciano dubitare della credibilità soggettiva di L.T.S., Appuntato dei Carabinieri, in capo al quale non è emerso alcun interesse antagonista a quello dell'imputato, né di natura economica, dal momento che non si è costituito parte civile, né di carattere personale, visto che fino al momento dei fatti non aveva mai conosciuto l'imputato e che, dopo essere stato risarcito del danno subito, ha rimesso la querela sporta nei confronti di quest'ultimo, remissione che è stata successivamente accettata da Ch., come emerge dal verbale di accettazione di remissione di querela del 4.3.2021 (cfr. verbali di remissione di querela del 2.2.2021 e di successiva accettazione, prodotti all'udienza del 26.3.2021). Sotto il profilo dell'attendibilità intrinseca della deposizione, la persona offesa ha descritto i fatti in maniera precisa e coerente, e tale ricostruzione è risultata perfettamente coincidente con quella fornita anche dal collega To.Da. e dal teste della difesa Ma.St.. 3.3.3. Le lesioni subite da Lo.Si. a causa dell'azione dell'odierno imputato, infine, sono confermate anche dai referti medici in atti, e, in particolare, dal verbale di pronto soccorso del 7.3.2019, dal quale risulta la diagnosi di "distorsione e distrazione del collo, contusione della faccia, del cuoio capelluto e del collo escluso l'occhio, e contusione della regione della spalla" con prognosi di 10 giorni, alla quale hanno fatto seguito certificati del chirurgo ortopedico dott. R. del 14.3.2019, del 28.3.2019 e del 10.4.2019, che hanno prolungato la prognosi di ulteriori 2 mesi, fino al certificato di completa guarigione dell'8.5.2019 (cfr. certificati a firma del dott. Ch.Ro., specialista in ortopedia, di cui ai ff. 13 ss. del fascicolo del dibattimento). Con riferimento alla valenza probatoria dei referti medici, si consideri che recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di valutazione della prova del reato di lesioni personali, può certamente essere valorizzato un certificato medico frutto di un accertamento diretto sulla persona offesa che conforti le dichiarazioni da questa rese (cfr. da ultimo Cass. Pen., sez. 5, sent. 15254 del 28.10.2021 Ud. (dep. 20.4.2022) Rv. 282975-01). Tale requisito ricorre senza dubbio nel caso di specie, posto che i referti medici in atti, lungi dall'apparire delle mere riproduzioni del narrato della persona offesa, contengono compiute descrizioni sulle condizioni fisiche e aggiornamenti del quadro clinico di quest'ultima alle quali è possibile pervenire solo a seguito di esami diretti sul paziente. Per contro, quanto affermato dall'imputato e dal fratello P., in ordine alle modalità inoffensive del gesto di chiusura della porta blindata, non trova alcun riscontro. Inoltre le lesioni occorse e refertate in Pronto Soccorso, a cui la persona offesa faceva accesso alle 4:56 del mattino, poche ore dopo i fatti, non trovano alcuna plausibile causa alternativa rispetto all'aggressione subita (cfr. referto di Pronto Soccorso, f. 4 fascicolo del dibattimento). 3.3.4. Gli elementi di prova esposti consentono, pertanto, di ritenere accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il reato di lesioni personali gravi e aggravate dall'essere state commesse contro un ufficiale nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio. 3.3.5 . L'elemento oggettivo del reato è senz'altro integrato, in quanto la spinta della portiera blindata della volante contro Lo.Si., che in quel preciso istante stava scendendo dall'autovettura di servizio su richiamo dell'imputato, arrecava a quest'ultimo i seguenti esiti lesivi "distorsione e distrazione del collo, contusione della faccia, del cuoio capelluto e del collo (...) contusione della regione della spalla" sinistra. Tali eventi, comprese le contusioni, sono tutti qualificabili come malattia del corpo, per tale dovendo intendersi qualsiasi alterazione delle normali funzioni fisiologiche dell'organismo, bisognosa di un processo terapeutico e specifiche cure mediche (Cass. pen., Sez. 2 -, Sentenza n. 22534 del 21/02/2019 Ud. (dep. 23/05/2019) Rv. 275422-01). La durata della malattia, certificata fino all'8.5.2019 e quindi superiore a 40 giorni, così come risulta dalla documentazione medica sopra esaminata, consente di qualificare le lesioni descritte come gravi ai sensi dell'art. 583 c.p. Sotto il profilo causale, ai sensi dell'art. 41, comma 1 c.p. non rileva la pregressa patologia alla spalla, per la quale la persona offesa era già stata operata, trattandosi al più di causa concorrente a determinare l'evento, così come sviluppatosi a seguito della condotta dell'imputato, in termini di accentuato dolore e limitazione nel movimento dell'abduzione attiva della stessa (cfr. certificati a firma del dott. Ch.Ro., specialista in ortopedia, ff. 13 ss. del fascicolo del dibattimento). 3.3.6 In relazione all'elemento soggettivo del reato le modalità del fatto consentono di ritenere sussistenti la consapevolezza e volontà dell'imputato di ledere l'agente di P.G., quanto meno nell'intensità propria del dolo eventuale. La rappresentazione dell'evento lesivo, come possibile conseguenza della propria condotta, si evince dalla dinamica del fatto e, in particolare, dal richiamo dell'attenzione della persona offesa con urla e colpi allo sportello dell'autovettura di servizio, seguito dalla chiusura violenta della portiera blindata, non appena L. l'aveva aperta per scendere e dare ascolto all'imputato che, alterato, inveiva anche contro di lui, prima di allontanarsi. C.C. non si limitava ad insultare L., per non essere stato immediatamente ascoltato, ma, senza alcun'altra ragione, richiudeva comunque con forza lo sportello, in tal modo aderendo alla possibile verificazione di lesioni ai danni della parte del corpo dell'agente esposta all'urto di un oggetto tanto pesante quale una portiera blindata. Tale dinamica, dunque, da un lato impone di escludere che la condotta violenta fosse finalizzata all'omissione, da parte del pubblico ufficiale, di un atto dell'ufficio e, così, la sua rilevanza ai sensi dell'art. 336 c.p., in quanto è risultato che la stessa fosse determinata da un gesto di stizza e impazienza nei confronti degli operanti. Dall'altro, tuttavia, è indicativa dell'atteggiamento psicologico proprio del reato di lesioni, da ritenersi provato quanto meno nel grado di intensità del dolo indiretto. 3.3.7 Ricorre, infine, la circostanza aggravante di cui agli artt. 585-576 n. 5-bis c.p. La condotta che determinava le lesioni refertate in Pronto Soccorso nell'immediatezza dei fatti veniva posta in essere ai danni di un agente di polizia giudiziaria contestualmente allo svolgimento delle sue funzioni di accertamento del reato di rifiuto di sottoporsi all'A.. Ch.Ro., quindi, risponde di tutti i reati a lui ascritti, con la precisazione che il delitto di cui al capo 2) risulta integrato dalla sola condotta di minaccia allo stesso contestata. 4. Trattamento sanzionatorio 4.1 Preliminarmente va riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati accertati, tutti avvinti dal medesimo disegno criminoso, stante la contestualità delle condotte, la direzione delle medesime contro gli operanti di P.G., con riferimento ai reati di cui ai capi b) e c), e l'essere state le stesse occasionate dai controlli necessari all'accertamento dello stato di ebbrezza dell'imputato alla guida della propria autovettura. Considerate le aggravanti ad effetto speciale di cui agli artt. 583 e 585-576 n. 5 bis c.p. contestate al capo di imputazione 3) e il giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., di cui si dirà oltre, più grave è il delitto di cui al capo 2) di imputazione in ragione dei limiti edittali più elevati. 4.2 Non può essere riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. Per costante giurisprudenza, infatti, "ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa" (cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 51192 del 13/11/2019 Ud. (dep.19/12/2019) Rv. 278368 - 02, che, nella motivazione ha chiarito come l'attenuante, di natura soggettiva, trovando la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale). Nel caso di specie, non è stato allegato l'ammontare dell'intervenuto risarcimento, né provato il quantum del danno patito e, pertanto, non è valutabile da parte del giudice l'integralità del ristoro e il pieno ravvedimento da parte dell'imputato, a prescindere dalla dichiarazione della persona offesa di essere stata integralmente soddisfatta. 4.3 Le condotte riparatorie, comunque riconosciute da L., sono senz'altro valorizzabili, unitamente alle scuse manifestate dall'imputato, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in giudizio di prevalenza con le aggravanti contestate al capo di imputazione 3), con conseguente individuazione del reato più grave in quello di cui all'art. 336 c.p. contestato al capo 2). 4.4 Venendo alla determinazione della pena base per il reato di cui all'art. 336 c.p. (capo 2), si stima congrua la pena di anni 1 di reclusione, superiore al minimo edittale in ragione della gravità della condotta, consistita nel minacciare gli agenti di P.G. di contattare il loro superiore, posta in essere a seguito della commissione della contravvenzione di guida in stato di ebbrezza di cui al capo 1) e al fine di evitarne l'accertamento, con una dilatazione dei tempi necessari al compimento degli atti d'ufficio di oltre un'ora. In ragione del riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., la pena così determinata va ridotta a mesi 8 di reclusione. Per il reato satellite di cui al capo 1) la pena può essere aumentata di 1 mese di reclusione, avuto riguardo al tasso alcolemico rilevato, di molto superiore alla soglia di 0.8 g/l e alla circostanza aggravante della commissione del fatto in orario notturno, non bilanciabile con le circostanze attenuanti generiche ai sensi dell'art. 186, comma 2 septies C.d.S. In relazione al delitto di cui al capo 3), va operato un ulteriore aumento, che si stima congruo di 3 mesi di reclusione, tenuto conto della prevalenza delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. sulle circostanze aggravanti contestate, e avuto riguardo alle modalità della condotta (dapprima insistenti colpi allo sportello per interloquire con L., quindi chiusura violenta dello sportello medesimo contro l'agente in uscita dall'autovettura e accompagnata da un insulto rivolto allo stesso) e all'entità del danno dallo stesso subito, consistito in una malattia della durata di circa tre mesi. La pena finale, al netto della riduzione per le circostanze attenuanti generiche e considerati gli aumenti per la continuazione, è di anni 1 di reclusione. 4.5 Ai sensi dell'art. 535 c.p.p. alla condanna consegue il pagamento delle spese processuali. 4.6 Visti gli artt. 163 e 164 c.p., può essere concessa la sospensione condizionale della pena, beneficio di cui l'imputato non risulta aver già goduto in precedenza e compatibile con l'entità della pena irrogata. Inoltre, avuto riguardo alle condotte riparatorie e alla manifestazione di scuse rivolte alla persona offesa, può essere sciolta positivamente la prognosi di astensione dalla commissione di future condotte criminose. 4.7 In ragione dell'accertamento della responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 186, comma 2 lett. b) C.d.S. deve essere applicata nei confronti di Ch.Ro. la sanzione amministrativa della sospensione della patente, che si ritiene possa essere contenuta nella durata minima di mesi 6, avuto riguardo al comportamento successivo tenuto dall'imputato e all'assenza di precedenti penali specifici. Visto l'art. 544, comma 3 c.p.p. il termine per il deposito della motivazione è indicato in giorni 90, in ragione del numero di imputazioni e di questioni giuridiche trattate, nonché del carico del ruolo e delle concomitanti scadenze. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara Ch.Ro. responsabile dei reati a lui ascritti, in relazione a quello di cui al capo 2) di imputazione limitatamente alla condotta di minaccia, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., prevalenti sulle circostanze aggravanti contestate al capo 3), e ritenuta la continuazione, più grave il delitto di cui al capo 2), lo condanna alla pena di anni 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 163 c.p. concede a Ch.Ro. il beneficio della sospensione condizionale della pena. Visto l'art. 186, comma 2 lett. b) C.d.S. dispone nei confronti di Ch.Ro. la sospensione della patente di guida per la durata di mesi 6. Visto l'art. 544, comma 3 c.p.p. indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Vicenza il 12 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VICENZA I SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica ex art. 50 ter c.p.c., nella persona del Giudice dott. Davide Ciutto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 101/2022 promossa da: Gi.On. (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. Mo.Vi. e dall'avv. Ch.Ma. ATTORE contro Si.Me. (C.F. (...)) CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: Risoluzione del contratto per inadempimento. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione Gi.On. conveniva in giudizio l'arch. Si.Me., esponendo: di aver sottoscritto, in data 4.09.2018, un contratto per la "ristrutturazione con demolizione e ricostruzione" di un immobile sito in S. (V.), via C. n. 31 (di cui l'attore acquisiva la proprietà con atto notarile del 2.10.2018), con il quale parte convenuta assumeva l'obbligo di predisporre lo studio di fattibilità architettonica e di redigere tutte le pratiche e i documenti necessari per l'esecuzione dell'opera, dettagliate nell'allegato "A" del contratto, tra cui anche quelle per usufruire delle agevolazioni fiscali spettanti; che attraverso il suddetto intervento di ristrutturazione, parte attrice intendeva usufruire del c.d. sisma bonus, previsto dall'art. 16, comma 1-quater, del D.L. n. 63 del 2013, consistente in una detrazione fiscale sull'Irpef pari all'80% delle spese sostenute per le opere determinanti il passaggio a due classi di rischio sismico inferiori, fino ad un ammontare complessivo di Euro 96.000,00, da ripartire in cinque quote annuali di pari importo; di aver chiesto all'arch. Me., terminati i lavori di ristrutturazione nel mese di marzo 2020, di consegnargli copia della perizia di asseverazione del rischio antisismico inviata al Comune di Schio; che solo dopo numerosi solleciti, in data 16.11.2020, l'arch. Me. inoltrava copia di un'e-mail del 5.02.2019, indirizzata al Comune di Schio, che sembrava attestare il deposito della suddetta documentazione; che nel modello 730 per l'anno 2019 parte attrice richiedeva, quindi, la detrazione fiscale di Euro 15.360,00, corrispondente alla prima delle cinque quote annuali di detrazione del "sisma bonus"; di aver effettuato, poi, un accesso agli atti del Comune di Schio, all'esito del quale era emerso che in realtà l'arch. Me. non aveva mai depositato l'asseverazione necessaria per usufruire del suddetto beneficio fiscale; di aver conseguentemente evidenziato l'omesso deposito all'arch. Me., il quale con e-mail del 21.09.2021 implicitamente ammetteva la mancata presentazione della pratica; che da tale omissione derivava la perdita definitiva della possibilità di richiedere la detrazione fiscale, posto che la normativa, così come interpretata anche dalla Circolare n. 19/E dell'8.07.2020 dell'Agenzia delle Entrate, esclude la possibilità di presentare un'asseverazione tardiva; che pertanto, a causa di tale inadempimento parte attrice poteva usufruire solo dell'agevolazione disciplinata dall'art. 16 bis del D.P.R. n. 917 del 1986 (c.d. bonus ristrutturazioni), che prevede una minor detrazione fiscale nella misura del 50 % delle spese sostenute per le opere di ristrutturazione, fino ad un ammontare complessivo di Euro 96.000,00, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo (anziché in cinque). Parte attrice deduceva, poi, che l'arch. Me. risultava inadempiente anche all'ulteriore obbligo contrattuale di ottenere il rilascio dell'agibilità dell'immobile. Ciò in quanto: in seguito alla presentazione da parte del convenuto della relativa pratica, in data 21.07.2020 il Comune di Schio riscontrava degli errori, e notificava, un'ordinanza "di conformazione, di non prosecuzione dell'attività e di pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria", invitandolo a regolarizzare la posizione entro il termine di trenta giorni; l'arch. Me. non provvedeva, però, ad ottemperare all'invito entro il termine, e solo in seguito ad ulteriori solleciti da parte del legale di parte attrice, presentava in data 22.02.2021 una seconda SCIA in sanatoria; che anche in relazione alla suddetta pratica il Comune di Schio intimava nuovamente il divieto di prosecuzione dell'attività, riscontrando ulteriori ragioni ostative; in data 18.10.2021 parte attrice diffidava, quindi, l'arch. Me. a presentare la documentazione necessaria ad ottenere il certificato di abitabilità nel termine di trenta giorni, dichiarando che in difetto il contratto avrebbe dovuto ritenersi risolto per inadempimento, e anche la suddetta pec rimaneva priva di riscontro. Per tali ragioni, in tale sede, parte attrice domandava accertarsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento del convenuto, con condanna di questo alla restituzione della somma di Euro 19.031,92, quale corrispettivo versato a titolo di compenso. Domandava, altresì, la sua condanna al risarcimento dei danni patrimoniali subiti, così quantificati: Euro 28.800,00 pari alla somma di cui parte attrice aveva perso il diritto alla detrazione fiscale; Euro 1.191,02 per sanzioni amministrative e interessi versati all'Agenzia delle Entrate per aver richiesto una maggior detrazione fiscale per l'anno d'imposta 2019 pur in assenza dei relativi presupposti; Euro 2.664,48, pari al compenso versato allo studio di commercialista incaricato della consulenza in merito al corretto recupero delle detrazioni fiscali e per la redazione della dichiarazione dei redditi integrativa per l'anno 2019; Euro 24.000,00 pari alle cinque ultime rate del "bonus ristrutturazione" di cui parte attrice non potrà beneficiare, atteso che a partire dal sesto anno il sig. On. avrà maturato i requisiti pensionistici e risulterà così fiscalmente incapiente, o in subordine il danno da ritardo prodotto dalla fruizione della detrazione fiscale in un arco temporale di dieci anni anziché di cinque; Euro 516,00 per sanzione amministrativa da versare per la presentazione di SCIA in sanatoria per ottenere l'agibilità; Euro 1.560,00 per assistenza legale stragiudiziale. 2. All'udienza di prima comparizione e trattazione della causa, verificata la regolarità della notifica, lo scrivente Giudice dichiarava la contumacia di parte convenuta, e concedeva i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. per il deposito delle memorie istruttorie. La causa veniva quindi istruita attraverso l'esperimento di una consulenza tecnica, e all'esito del deposito dell'elaborato peritale, veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. 3. Tanto premesso, l'attore ha evidenziano due diversi inadempimenti ascrivibili al professionista incaricato: l'omessa presentazione al Comune di Schio dell'asseverazione per il conseguimento della detrazione fiscale del "sisma-bonus", e il mancato ottenimento dell'agibilità dell'immobile. 4. In merito al primo profilo occorre premettere, per un suo opportuno inquadramento, che l'art. 16, comma 1-bis, del D.L. n. 63 del 4 giugno 2013, convertito dalla L. n. 90 del 2013 (nella versione ratione temporis vigente) prevede che "Per gli interventi di cui all'articolo 16-bis, comma 1, lettera i), del testo unico di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ovvero relativi all'adozione di misure antisismiche ... su edifici ubicati nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2) di cui all'On.P.C.M. n. 3274 del 20 marzo 2003, pubblicata nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2003, riferite a costruzioni adibite ad abitazione e ad attività produttive, spetta una detrazione lorda nella misura del 50 per cento, fino ad un ammontare complessivo delle stesse spese non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare per ciascun anno" e il comma 1-quater aggiunge che "Ove dall'intervento derivi il passaggio a due classi di rischio inferiori, la detrazione spetta nella misura dell'80 per cento". Tale detrazione fiscale è subordinata all'efficacia dell'intervento di riduzione del rischio sismico che deve essere asseverata dal professionista incaricato; in particolare, secondo le linee guida per la classificazione di rischio sismico delle costruzioni e sulle modalità per l'attestazione, il professionista deve certificare la classe di rischio dell'edificio precedente l'intervento e quella conseguibile a seguito dell'esecuzione dell'intervento progettato, mediante sua allegazione alla SCIA o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico dell'edilizia competente (cfr. art. 3 del D.M. del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti n. 58 del 28 febbraio 2017, che prevede anche che il direttore dei lavori e il collaudatore statico, se nominato per legge, dopo l'ultimazione dei lavori e del collaudo, debba attestare la conformità degli interventi eseguiti al progetto depositato; doc. 2). 4.1. Nel caso di specie, l'assunzione di tale obbligo da parte del convenuto risulta provato dal titolo contrattuale allegato dall'attore (doc. 1), ove emerge che l'arch. Me. avesse ricevuto incarico, in qualità di progettista e direttore dei lavori (v. voci 3-8, 12 dell'allegato "A"), di curare l'esecuzione dell'intera opera, compresa la presentazione di tutte le correlate pratiche amministrative, tra cui "la domanda di agevolazioni fiscali" (v. voce 30). 4.2. Gli ulteriori documenti agli atti di causa confermano, poi, non solo l'assunzione di tale obbligazione, ma evidenziano anche l'esistenza del suesposto inadempimento contrattuale. Infatti, l'arch. Me., a fronte degli svariati solleciti di invio della documentazione attestante la presentazione al Comune di Schio della perizia di asseverazione (cfr. doc. 3 e 4), dapprima, in data 16.11.2020, ha simulato di aver adempiuto, inoltrando al commercialista di parte attrice un'e-mail, datata 5.02.2019, contenente tra gli allegati anche l'"asseverazione classe di rischio sismico", asserendo essere quella spedita via pec al Comune di Schio per la richiesta di rilascio del permesso di costruire (doc. 4 e 5). Senonché tale e-mail è risultata artefatta, in quanto dall'accesso agli atti del Comune di Schio, effettuato da parte attrice, tra la documentazione effettivamente ricevuta e protocollata dall'Ufficio Tecnico non vi è alcuna traccia di tale asseverazione (cfr. doc. 9, 20 e 21, contenenti la richiesta di accesso rivolta al Comune e la pec di risposta contenente l'allegazione dei documenti acclusi alla domanda di rilascio del permesso di costruire). Tale omissione ha trovato, poi, definitiva conferma nell'elaborato peritale del Ctu incaricato, che in seguito ad un ulteriore accesso agli atti del Comune di Schio, ed in particolare alla pratica edilizia presentata dall'arch. Me. per il rilascio del titolo abilitativo, ha riscontrato la medesima carenza (cfr. pp. 4 e 5). Tale condotta inadempiente, risultata tanto più grave in quanto connotata da un atteggiamento doloso del convenuto, ed è stata riconosciuta stragiudizialmente anche dalla stessa parte, che con e-mail del 21.09.2021, in riferimento alla mancata presentazione dell'asseverazione, scrive al legale di parte attrice: "Se per i Sigg. On. e F. non è un enorme problema, nel caso il documento non fosse presente, sto verificando la strada per una comunicazione tardiva" (doc. 8). Risulta provato, quindi, che tale omissione costituisce inadempimento imputabile a parte convenuta, a fronte del quale quest'ultima, rimasta contumace, non ha dato, né invero offerto, la prova liberatoria ex art. 1218 c.c. 5. Del pari, risulta per tabulas l'assunzione da parte del convenuto del compito di curare il rilascio del certificato di agibilità dell'immobile (cfr. la voce 17 "fine lavori e la pratica agibilità" dell'allegato "A" del contratto; doc. 1). 5.1. Anche in questo caso, come si evince agevolmente dall'esame della documentazione, il mancato rilascio del certificato di agibilità è conseguenza di errori ed omissioni compiute dall'arch. Me. che per ben tre volte non ha ottemperato correttamente alle richieste di integrazioni trasmesse dal Comune di Schio con le ordinanze "di conformazione e di non prosecuzione dell'attività", rispettivamente protocollate in data 10.01.2020, 15.07.2020 e 23.02.2021. In particolare, emerge che: con la prima ordinanza è stata intimata la non prosecuzione dell'attività in quanto alla SCIA non erano stati allegati i diritti di segreteria, il collaudo, l'aggiornamento catastale e la conformità degli impintati (cfr. p. 6 dell'elaborato peritale); la seconda SCIA è risultata difforme in quanto riportante una data di fine lavori incongrua, ancora carente del pagamento dei diritti di segreteria e perché presentata oltre il termine previsto dalla normativa di settore (doc. 11); anche la terza SCIA in sanatoria, oltretutto presentata solo in data 22.02.2021 e quindi a distanza di più di sette mesi rispetto alla precedente, è risultata incompleta, tra le altre cose, per mancato pagamento dei diritti di segreteria e della sanzione amministrativa (quest'ultima riconducibile agli errori compiuti da parte dell'architetto nella presentazione della pratica; cfr. doc. 15). 5.2. Il mancato ottenimento della dichiarazione di abitabilità/agibilità risulta, pertanto, ascrivibile alla condotta negligente di parte convenuta, che seppur ancora (dopo le svariate diffide ricevute) avesse offerto rassicurazioni circa il proprio impegno di portare a compimento la pratica con oneri "quali diritti di segreteria, sanzioni o altro" completamente a proprio carico (cfr. e-mail del 9.01.2021, doc. 14), non ha poi di fatto mai provveduto a presentare le integrazioni richieste dal Comune di Schio, facendo decadere i termini di efficacia della domanda (ad analoghe conclusioni giunge anche il Ctu incaricato, cfr. pp. 6-7). In ogni caso, con comunicazione pec del 18.10.2021, parte attrice aveva intimato, ai sensi dell'art. 1454 c.c., l'adempimento all'arch. Me. nel termine di 30 giorni dalla notifica, con l'espressa avvertenza che persistendo l'inadempimento circa il mancato ottenimento dell'agibilità al decorso del termine, il contratto doveva intendersi risolto di diritto. Alla diffida non è seguito alcun riscontro, né il conseguimento del certificato di agibilità. 6. Accertata, quindi, la gravità dei suddetti inadempimenti contrattuali - posto che "anche ai fini dell'accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell'inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l'inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall'art. 1455 c.c." (v. Cass. n. 7463/2020) - la domanda di parte attrice di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1454 c.c. risulta fondata. Dalla pronuncia di risoluzione del contratto, discende la fondatezza della domanda di restituzione della somma versata dall'attore a titolo di corrispettivo, pari ad Euro 19.031,92, di cui è stato provato l'effettivo pagamento mediante deposito dei bonifici bancari (cfr. doc. 18), oltre interessi di legge dal 18.11.2021 alla domanda al saggio ex art. 1284, comma 1, c.c. e dalla domanda al saldo al saggio ex art. 1284, comma 4, c.c.; 7. Sotto il profilo dei danni chiesti in conseguenza dell'inadempimento, va rammentato che "In materia di contratto d'opera intellettuale, nel caso in cui risulti provato l'inadempimento del professionista per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente, qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che senza quell'omissione il risultato sarebbe stato conseguito" (ex multis Cass. n. 11548/13). In applicazione di tale principio di diritto, vanno liquidate le seguenti voci di danno. a) Risulta fondata la domanda risarcitoria per mancata fruizione della detrazione fiscale del "sisma bonus", posto che parte attrice ha dimostrato il possesso dei requisiti che gli avrebbero garantito l'accesso al beneficio di cui discute. Da un lato, infatti, non è messo in dubbio, e risulta confermato anche dalla perizia del c.t.u. (cfr. p. 7 della consulenza) che l'intervento edilizio sull'unità immobiliare aveva determinato il passaggio a due classi di rischio sismico inferiore (con possibilità, quindi, di accedere alla detrazione nella maggior misura percentuale del 80%, ai sensi dell'art. 16, comma 1-quater, del D.L. n. 63 del 2013); dall'altro - posto che il contribuente può detrarre annualmente la quota spettante nei limiti dell'imposta dovuta per l'anno in questione, sicché il beneficio consiste nella opportunità di effettuare un minor versamento rispetto al dovuto, e non nella possibilità di accumulare crediti d'imposta nei confronti del Fisco per gli anni a venire - parte attrice, attraverso il deposito della propria dichiarazione dei redditi 2019, ha offerto sufficienti elementi di prova per poter presumere l'effettiva capienza dell'imposta lorda per i cinque anni di spettanza dell'agevolazione (cfr. doc. 6). Parimenti corretta è la quantificazione del danno, consistente nell'importo del beneficio fiscale perduto, e pari alla differenza tra la detrazione fiscale complessiva per "sisma bonus" a cui parte attrice avrebbe avuto diritto di godere nelle dichiarazioni dei redditi del 2019, 2020, 2021, 2022 e 2023 (80% di 96.000), e la minor detrazione fiscale complessivamente spettante in forza dell'agevolazione fiscale sugli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'art. 16 bis, comma 1 lett. i), del D.P.R. n. 917 del 1986 (50 % di 96.000; cfr. per l'aliquota dell'agevolazione anche art. 11 del D.L. n. 83 del 2011 e successive proroghe), ovvero Euro 28.800,00 (76.80000 - 48.000,00). b) Sono altresì dovute, a titolo di risarcimento del danno le spese sopportate da parte attrice a titolo di sanzioni ed interessi irrogate dall'Agenzia delle Entrate per aver richiesto indebitamente, nella dichiarazione dei redditi per l'anno 2019, la maggior detrazione fiscale per "sisma bonus", di cui è documentato il pagamento per complessivi Euro 1.191,62 (cfr. doc. 23); ciò in quanto risulta evidente che siano state le false informazioni circa il deposito della perizia di asseverazione, rese da parte dell'arch. Me. con e-mail del 16.11.2020 (cfr. doc. 4), che hanno tratto in inganno parte attrice, facendole erroneamente credere di poter usufruire dell'agevolazione fiscale in parola. c) Per analoghe ragioni parte convenuta è tenuta a rimborsare anche le spese sostenute dall'attore per l'attività di consulenza fiscale prestata dallo S.H., necessaria per accertare le irregolarità e procedere alle necessarie integrazioni della dichiarazione dei redditi 2019, documentate in Euro 2.664,48 (cfr. doc. 28 e 29, nonché la trasmissione della dichiarazione dei redditi integrativa, doc. 22). A tale complessivo importo, pari ad Euro 32.656,10 (28.800+1.191,62+2.664,48), va aggiunta la rivalutazione monetaria, a partire equitativamente dal 29.11.2021 (data nella quale l'attore ha presentato la dichiarazione dei redditi integrativa), secondo l'indice ISTAT FOI, e interessi compensativi al tasso legale ex art. 1284, comma 1, c.c. sulla somma devalutata al 29.11.2021 e poi rivalutata annualmente per complessivi Euro 39.237,27. d) Quanto all'ulteriore richiesta risarcitoria, fondata sul pregiudizio causato dal maggior arco temporale (dieci anni anziché cinque) per poter usufruire della detrazione fiscale del "bonus ristrutturazione", si rileva quanto segue. Parte attrice quantifica tale danno in Euro 24.000,00 (ovvero in misura pari alla perdita delle ultime cinque quote di detrazione per "bonus ristrutturazioni"), senza tuttavia fornire adeguata prova né dell'effettivo maturare a partire dal 2024 dei requisiti pensionistici, né della circostanza che il trattamento fiscale pensionistico darà luogo alla dedotta incapienza fiscale, e quindi all'impossibilità di continuare ad applicare la detrazione fiscale (viene allegato, infatti, solo un prospetto del calcolo delle ritenute che risulta redatto unilateralmente dall'attore, cfr. doc. 27). Né il danno prodotto dal ritardato conseguimento della detrazione fiscale può essere risarcito secondo il criterio proposto dal C.T.U. nominato, che, premessa la possibilità da parte dell'attore di optare per la cessione del proprio credito d'imposta per le cinque rate residue non fruite, ha quantificato tale pregiudizio nel costo medio di tale operazione pari ad Euro 4.800,00 (cfr. pp. 7-8 dell'elaborato peritale). Non pare, difatti, che ricorrano i presupposti per cui parte attrice possa accedere alla cessione del credito fiscale: l'art. 121 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (convertito dalla L. n. 77 del 2020), consentiva, in luogo della detrazione fiscale diretta in sede di dichiarazione dei redditi, di optare per la cessione dell'intero proprio credito fiscale, o anche solo delle rate residue non fruite, per tutti quegli interventi di recupero del patrimonio edilizio le cui spese siano state effettuate negli anni 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024. Nel caso di specie, i lavori di ristrutturazione sono stati sicuramente realizzati antecedentemente al 2020 (posto che il 23.12.2019 l'arch. Me. aveva inviato la prima pratica di fine lavori e la richiesta di agibilità), e parte attrice non ha nemmeno documentato, mediante deposito delle relative contabili, che i pagamenti delle spese per tali interventi siano stati effettuati dopo il 2019, sicché si deve concludere che la fruizione della cessione del credito gli è preclusa. Il pregiudizio dato dalla mancata tempestiva disponibilità di una somma di denaro può essere liquidato ex art. 1226 c.c. nella complessiva somma di Euro 2.000,00, sul presupposto che la mancata disponibilità del danaro da parte del creditore costituisce obiettivamente un danno risarcibile. e) Deve, infine, essere accordato a parte attrice il ristoro della somma di Euro 516,00 a titolo di sanzione amministrativa al cui versamento è stata condizionata la regolarizzazione della pratica di fine lavori e l'ottenimento della richiesta di agibilità (cfr. ordinanza prot. nr. (...) del 23/02/2021, doc. 15). Al riguardo, infatti, risulta provato che l'irrogazione di tale sanzione è diretta conseguenza degli errori commessi da parte del convenuto nella presentazione della pratica edilizia. Né osta al riconoscimento di tale danno il fatto che parte attrice non abbia ancora provveduto a presentare la sanatoria edilizia e, quindi, al pagamento della suddetta sanzione, in quanto l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. 10072/2010; Cass. n. 1637/2000) riconosce la ristorabilità del danno futuro di cui si possa ritenere, secondo un criterio di normalità, verosimilmente certa la verificazione, quale naturale sviluppo del fatto acclarato (ovvero, nel caso di specie, la persistenza del provvedimento sanzionatorio condicio sine qua non per l'ottenimento del certificato di abitabilità). Su tale voce non sono dovuti sino ad oggi gli interessi e la rivalutazione trattandosi di danno futuro, non ancora verificatosi. f) Non sono dovute, invece, le spese che parte attrice dovrà sostenere per incaricare un nuovo tecnico per la presentazione della predetta pratica per l'ottenimento dell'agibilità, che il c.t.u. nominato aveva liquidato in Euro 2.537,60 (sulla base di un preventivo di spesa allegato agli atti; cfr. doc. 26), non solo perché, in ossequio al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, parte attrice non ha chiesto espresso ristoro di tale importo, ma vieppiù in ragione del fatto - pena un indebito arricchimento della danneggiata - che si tratta di un costo, quello necessario per la presentazione della pratica relativa all'agibilità, che parte attrice avrebbe comunque dovuto sostenere. g) Va infine esclusa la richiesta a titolo di spese stragiudiziali, documentate nella misura di Euro 1.560,00 (cfr. doc. 24 e 25), in quanto non si reputa che la redazione di alcune diffide per indurre l'arch. Me. ad adempiere integri i presupposti a cui l'art. 20 del D.M. n. 55 del 2014 presenti caratteri di autonomia rispetto alla successiva attività giudiziale (Cass. 15814/2008). 7.1. In definitiva, il pregiudizio complessivo patito dall'attore a titolo di danno ammonta dunque ad Euro 41.753,27 (= 39.237,27+2.000,00+516,00), oltre interessi legali al saggio ex art. 1284, comma 4, c.c. dalla pronuncia sino al saldo effettivo. 8. In applicazione del principio della soccombenza, le spese di lite vanno poste a carico della parte convenuta, e vanno liquidate a favore di parte attrice, come in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, modificato dal D.M. n. 147 del 2022, in base allo scaglione di riferimento in relazione al decisum (da Euro 52.001 ad Euro 260.000), con applicazione dei valori medi per la fase introduttiva e per la fase di studio, e dei valori minimi per la fase istruttoria, in considerazione del fatto che a fronte della mancata costituzione del convenuto tale attività è risultata limitata all'espletamento della C.T.U. su cui non sono state presentate comunque osservazioni, e decisionale, limitatasi alla redazione della comparsa conclusionale che replica gli stessi argomenti difensivi già contenuti nell'atto di citazione. 8.1. Le spese occorse per l'espletamento della C.T.U., così come individuate nel provvedimento di liquidazione in atti, seguono lo stesso principio della soccombenza, e sono poste a carico della convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, nella suindicata composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 101/2022 R.G., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: accerta la risoluzione del contratto di prestazione d'opera professionale concluso tra le parti in data 4.09.2018 per grave inadempimento di parte convenuta; condanna l'arch. Si.Me. alla restituzione in favore di Gi.On. della somma di Euro 19.031,92, oltre interessi dal 18.11.2021 alla domanda al saggio ex art. 1284, comma 1, c.c. e dalla domanda al saldo al saggio ex art. 1284, comma 4, c.c.; condanna l'arch. Si.Me. al pagamento in favore di Gi.On. di Euro 41.753,27 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi al saggio ex art. 1284, comma 4, c.c. dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo; pone le spese di C.T.U. interamente a carico dell'arch. Si.Me. come liquidate con decreto del 13.04.2023, per un totale di Euro 3.470,98 oltre ad accessori di legge per compenso, ed Euro 24,96 per indennità di viaggio, condannando la stessa a rifondere all'attore quanto eventualmente da questi versato in corso di causa a titolo di compenso C.T.U.; condanna l'arch. Si.Me. alla rifusione, in favore di Gi.On. delle spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 9.142,00, oltre a rimborso spese generali, CPA e IVA ex lege. Così deciso in Vicenza il 7 marzo 2024. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VICENZA Il Giudice Istruttore in funzione di Giudice monocratico, Dott. Massimiliano De Giovanni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta a ruolo al numero 7129/2020 del Ruolo Generale avente ad oggetto: Azione ex art. 2051 c.c., oppure ex art. 2043 c.c. promossa da: Lo.Ma. (...) con l'avv. Do.Fo., CONTRO Ce. S.N.C. di S.P.A. (P.Iva: (...)) con gli avv. Gi.Ba. e Sa.Gi. Se.Pi. ((...)) Se.Ba. ((...)) Ad.Fa. (...) (contumaci) MOTIVI DELLA DECISIONE Gli Antefatti e le vicende processuali - Introducendo la presente causa, Lo.Ma. ha esposto: che il 4 gennaio del 2020 si era recato presso il comprensorio sportivo-ricettivo sito in G. (V.), e precisamente nella località C., celebre per lo sci da fondo, e che aveva parcheggiato la sua auto nell'apposita area di parcheggio; che era sceso dall'autoveicolo, e che stava dirigendosi a piedi verso la struttura ricettiva del comprensorio (il "Rifugio-Malga Campomulo"), sita dal lato opposto del parcheggio rispetto alla strada, quando, scivolando, cadde a terra, riportando consistenti lesioni personali. Aggiungeva il Lo. che la caduta era stata causata da una lastra di ghiaccio che ricopriva parte del manto stradale, e della quale tuttavia, a suo dire, era "pressoché impossibile accorgersi" posto che la stessa "non era immediatamente visibile ad occhio nudo, né risultava prevedibile in ragione delle generali condizioni meteo e dello stato dei luoghi". Invocando dunque l'art. 2051 c.c., e, in subordine, l'art. 2043 c.c., citava in giudizio la società che gestisce il rifugio e l'area di parcheggio, nonché, trattandosi di una SNC, anche i soci di quella, per sentir accogliere le conclusioni riportate in epigrafe. I soci della SNC restavano contumaci, mentre la società si costituiva, domandando il rigetto delle domande dell'attore. La causa è stata istruita mediante prove orali, ed è oggi giunta in decisione. LA DECISIONE In via preliminare, si devono svolgere alcune considerazioni intorno alla prova testimoniale, che è stata espletata, o di cui è stato chiesto l'espletamento, nel presente giudizio. Quanto alla parte attrice, una parte dei capitoli di prova erano dedicati alla ricostruzione del sinistro, e un'altra parte alle conseguenze fisiche e personali dell'infortunio; rispetto ai primi, ve ne erano alcuni che rappresentavano circostanze non contestate, e per questo non ammesse (in buona sintesi, la narrazione che è stata riportata anche nel precedente paragrafo di questa sentenza) ed altri, pure non ammessi, per i quali si stanno per esporre le ragioni della non ammissione. Si tratta dei seguenti capitoli: 7) rispetto al fatto che nell'area parcheggio erano assenti cartelli e/o indicazioni e/ o altre segnalazioni di avvertimento e/o pericolo per la presenza di ghiaccio o terreno scivoloso, o non erano visibili "trattamenti del fondo stradale con spargimento di sale o ghiaino"; 8) rispetto al fatto che alle ore 12 il cielo era sereno, la temperatura era superiore agli zero gradi celsius e la neve risultava visibilmente inferiore rispetto al medesimo periodo degli anni precedenti, 9) rispetto al fatto che quel giorno la struttura sportivo-ricettiva presentava affluenza di persone minore rispetto al medesimo periodo degli anni precedenti; 10) rispetto al fatto che il Lo. indossava calzature idonee a camminare in una località di montagna vestendo, in particolare, scarponi da trekking. Quanto alla parte convenuta costituita, sono stati ammessi i seguenti capitoli: 2) rispetto al fatto che (anche) quel giorno, prima dell'arrivo degli avventori, il Ce. fece pulire il piazzale e le aree di parcheggio delle autovetture e fece spargere il sale e il ghiaino; 3) rispetto al fatto che il comprensorio e le aree di parcheggio sono state visitate da migliaia di turisti e da centinaia di autovetture; 4) rispetto al fatto che il momento di maggiore afflusso e di maggior transito del 4 gennaio 2020 è avvenuto nell'orario compreso tra le 12,00 e le 14,00; 5) rispetto al fatto che quel giorno il parcheggio e le zone limitrofe furono occupate dalla presenza di automobili e persone per tutto l'arco della giornata. Ebbene, in relazione a tali capitoli ammessi, sono stati sentiti i testi C. e S.S. (nipote di S.P., legale rappresentante della snc) e, solo sul capitolo 2, S.S., titolare di una ditta individuale (S.S.) che si occupa di spargimento di sale e ghiaino nelle località di montagna. Tutti tali testi hanno dato per vere le circostanze sulle quali sono stati sentiti; d'altro canto, per la precisione e la concordanza di tali dichiarazioni, la testimonianza resa, a prova contraria, dal teste S., di parte attrice, non vale a smentire quelle circostanze. Si può, dunque, dare per provato che, quel giorno 4/1/2020, nell'area di parcheggio del Rifugio Campomulo: il piazzale era stato pulito ed era stato sparso sale e ghiaino, come di consueto, a cura di una ditta specializzata (ad inizio della giornata, prima dell'arrivo di clienti ed avventori); e molti furono i turisti a frequentare, con le loro auto, il ristorante e la struttura, per tutto l'arco della giornata (di modo che si può dire che il parcheggio fu sempre pieno o vicino ad essere pieno), e con afflusso particolarmente forte nelle ore del pranzo. Ora, in punto di diritto, è insegnamento oramai consolidato nella giurisprudenza che si è occupata dell'applicazione dell'art. 2051 c.c. (insegnamento cui si intende aderire) quello per cui "l'insidia che sia stradale o non è uno stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Affinché possa parlarsi di insidia implicante responsabilità custodiale, sono necessari due elementi, costituiti, quanto al profilo oggettivo dalla non visibilità del pericolo, e quanto al profilo soggettivo, dalla sua non prevedibilità, quest'ultima da valutarsi secondo le regole ordinarie in tema di diligenza" (cfr. fra le altre Tribunale di Lanciano, 27/10/2020, n. 274). Ciò significa che condizione per pretendere un risarcimento di danni ex art. 2051 c.c. è la esistenza contemporanea sia dell'elemento oggettivo della invisibilità dell'insidia, sia dell'elemento soggettivo della sua imprevedibilità, bastando l'assenza di uno dei due elementi per doversi sancire il rigetto della domanda. L'analisi del presente caso, invero, porta a ritenere come assente il requisito soggettivo della imprevedibilità dell'insidia costituita dalla lastra di ghiaccio, così che, a parere del Giudicante, ogni altro esame può arrestarsi, non essendovi le condizioni per l'accoglimento della domanda. Ed in effetti, vuoi perché provati dall'istruttoria, vuoi perché rientrano nel "notorio", i seguenti elementi possono fare da "base" per il presente ragionamento: -il comprensorio di Campomulo si trova sull'Altopiano di Asiago ad un'altezza di 1530 m. s.l.m.; -trattandosi di una rinomata località per lo sci da fondo, essa è frequentata nei mesi invernali da migliaia di sportivi / turisti / visitatori, e soprattutto nel fine settimana ed ancor di più durante le vacanze natalizie, quando scuole ed uffici sono generalmente chiusi; -il giorno 4 gennaio 2020 era, per l'appunto, un sabato, ed era nel bel mezzo delle vacanze natalizie; -in adempimento ai propri doveri di custodia del parcheggio, il Ce. fece pulire l'area di sosta delle vetture da una ditta specializzata, spalando la neve e cospargendo l'area di sale e ghiaino, e ciò naturalmente a inizio giornata, quando il parcheggio è essenzialmente libero e sgombro; -in un giorno di gennaio, in montagna ed a quasi 1600 m di altezza, è del tutto normale che vi possa essere ghiaccio e neve; per dire meglio: la presenza di neve abbondante, consistente e permanente è una delle ragioni principali per cui si frequenta una siffatta località (lo scopo principale di quasi tutti gli avventori è praticare lo sci di fondo); d'altra parte, è del tutto intuitivo che in certe condizioni (ad esempio in zone all'ombra) si formi anche del ghiaccio; -è pure normale che, dopo la spalatura e la pulizia del primo mattino, il passare delle ore e soprattutto la continua movimentazione delle auto, così come lo spostamento o il trasporto di quantità più o meno grandi di neve, in virtù del camminare delle persone oppure dell'azione degli pneumatici delle auto in movimento, modificano lo stato dei luoghi, facendo perdere, in buona misura, l'effetto delle pulizie di inizio giornata; -nell'immaginabile andirivieni di auto, e di persone, è impensabile che il custode pulisca in continuazione l'area, poiché l'operazione, oltre ad essere oggettivamente impossibile, finirebbe con il creare molti più rischi all'incolumità delle persone di quanti contribuirebbe a scongiurare. Insomma, in una stazione sciistica, in pieno inverno, si trovano ovunque ghiaccio e neve, la cui presenza, dunque, è assolutamente prevedibile, per chi vi si reca volontariamente, proprio allo scopo di fruire dei servizi e degli sport che quella situazione altimetrica consente di offrire. Si deve ora motivare per quale ragione non sono stati ammessi i capitoli di parte attrice, prima citati (capitoli dal 7 al 10). Il n. 7) si riferiva al fatto che nell'area parcheggio erano assenti cartelli e/o indicazioni e/ o altre segnalazioni di avvertimento e/o pericolo per la presenza di ghiaccio o terreno scivoloso, ed al fatto che non erano visibili "trattamenti del fondo stradale con spargimento di sale o ghiaino". Ma questa seconda parte della domanda è stata già "soddisfatta" mediante la risposta che ha dato il titolare della ditta appositamente delegata a quel tipo di attività; quanto alla prima parte della domanda, invece, si tratta di un dato che pare davvero irrilevante, in quanto non vi è certo bisogno di cartelli, in gennaio, in montagna, presso una località sciistica, e a quasi 1.600 m. di altezza, per comprendere l'esistenza di un rischio di trovare la strada ghiacciata. Similmente, appariva non concludente il cap. 8, rispetto al fatto che alle ore 12 il cielo era sereno, la temperatura superiore agli zero gradi celsius e la neve visibilmente inferiore rispetto al medesimo periodo degli anni precedenti, e lo stesso il cap. 9, rispetto al fatto che quel giorno la struttura sportivo-ricettiva presentava affluenza di persone minore rispetto al medesimo periodo degli anni precedenti: entrambe le circostanze risultano irrilevanti in confronto alla prevedibilità del rischio di ghiaccio nelle circostanze di tempo e luogo qui in commento. Il cap. 10, rispetto al fatto che il Lo. indossava calzature idonee a camminare in una località di montagna vestendo, in particolare, scarponi da trekking, nulla aggiungerebbe alla tesi di parte attrice, se non la consapevolezza, in capo al Lo. stesso, che recarsi in gennaio, in una località sciistica di montagna, a 1.600 m. di altezza, gli richiedeva un abbigliamento idoneo ad assicurare la protezione della sua incolumità fisica, anche da scivoloni sul ghiaccio. Il quadro globalmente esposto fa ritenere, quindi, sotto il profilo soggettivo, la prevedibilità della presenza di possibili lastre di ghiaccio nel manto stradale, presenza non certo ascrivibile alla negligenza della società convenuta, che infatti aveva provveduto, quella mattina stessa, a fare tutto quanto in suo potere per neutralizzare, in modo ragionevole, il rischio. Ed è proprio tale assorbente colpa della vittima, integrante il caso fortuito, che costituisce il limite alla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c.. Si legga al proposito quanto fu deciso da Appello L'Aquila, 15/01/2020, n. 75: "in tema di responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia, spetta al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, mentre il custode, al fine di sottrarsi a tale responsabilità, deve provare il caso fortuito, rappresentato da un evento imprevedibile ed inevitabile, che può identificarsi anche nella stessa condotta del danneggiato. Ebbene, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata mediante l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto e l'evento dannoso. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che la caduta del danneggiato, provocata dalla presenza di ghiaccio sotto la coltre di neve in prossimità della porta di ingresso di un ristorante, potesse essere evitata dal medesimo soggetto tenendo un comportamento ordinariamente cauto in considerazione nel periodo invernale delle intense nevicate e delle temperature particolarmente rigide." Quanto poi alla domanda subordinata ex art. 2043 c.c., va osservato come non si possa ravvisare un comportamento colposo (né certamente doloso) in capo alla società convenuta, la quale ha adottato le necessarie misure di prevenzione, tali per cui non è configurabile siffatta responsabilità. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. 1. Rigetta le domande di parte attrice 2. Condanna l'attore alla rifusione in favore della SNC convenuta delle spese di lite che liquida in Euro 919 per fase di studio della controversia, Euro 777 per fase introduttiva del giudizio, Euro 1680, per fase istruttoria e 1.701 per fase decisoria, oltre rimborso spese 15%, CPA 4%, IVA se dovuta. Così deciso in Vicenza il 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale di Vicenza, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica in persona del Giudice dr.ssa Elisa Zambelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio civile di I grado iscritto al n. R.G. 4052/2020 promosso da: Re.Ch. (C.F. (...)), Lo.Ch. (C.F. (...)) e Ar.Ch. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. MI.GI. ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Bassano del Grappa, via (...) ATTRICI contro Du.Ci. (C.F. (...)) e Fl.Ca. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. CA.RI. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Thiene, via (...) CONVENUTI Io.Mi. (C.F. (...)) CONVENUTA CONTUMACE Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch. convenivano in giudizio Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi.. Il giudizio così promosso veniva iscritto in data 08.07.2020 al n. R.G. 4052/2020. 1.1. Veniva dedotto in atto di citazione: - che in data 30.10.2017 le attrici avevano concluso con i convenuti un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto taluni immobili di cui esse erano comproprietarie in Comune di V., località V., ivi censiti al Foglio (...) del Catasto Fabbricati - Sezione Valstagna con i mappali n. (...) sub. (...) e sub. (...), n. (...) sub. (...) e n. (...); al Foglio (...) del Catasto Terreni - Sezione Valstagna con i mappali n. (...) e n. (...); al Foglio (...) del Catasto Terreni - Sezione Valstagna con il mappale n. 95 (doc. 1 attrici); - che, in particolare, i convenuti si erano obbligati ad acquistare gli immobili predetti (compendianti un'abitazione sita in V., località V., alla via L. n. 36, con relativi terreni e pertinenze) al prezzo di Euro 240.000,00, entro "il termine perentorio del 31.12.2018" (doc. 1 attrici); - che sulla scorta di quanto pattuito in contratto (sub "possesso") i promissari acquirenti avevano conseguito immediatamente "la materiale detenzione a mero titolo precario degli immobili oggetto della promessa" (doc. 1 attrici); - che i promissari acquirenti avevano tuttavia "sempre omesso di convocare al rogito" le attrici e di corrispondere loro il prezzo pattuito, omettendo per altro anche il versamento di una qualsivoglia somma a titolo di acconto e non dando seguito ai numerosi solleciti che esse avevano inoltrato, da ultimo anche per il tramite del proprio Legale, per ottenere il rilascio dei beni (atto di citazione, pag. 3, con rinvio al doc. 3); - che, per altro, le attrici avevano pure "dovuto anticipare il pagamento di Euro 3.115,41 per le spese delle utenze per energia elettrica e gas collegate" ai beni oggetto del contratto preliminare - e ciò "in favore dei promissari acquirenti" che, occupando i beni, ne avevano "beneficiato direttamente e in via esclusiva", senza nulla rifondere alle attrici (atto di citazione, pag. 4). 1.2. Tanto premesso, le attrici chiedevano la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei promissari acquirenti e la loro condanna al rilascio dei beni e al pagamento di una indennità di occupazione computata a far data dal 30.10.2017 e sino al rilascio, al contempo chiedendo la loro condanna al risarcimento "di tutti i danni subiti a causa del loro inadempimento" e alla restituzione dell'importo di Euro 3.115,41 (atto di citazione, pag. 6). 2. Du.Ci. si costituiva in giudizio con il patrocinio dell'Avv. P.D. e dell'Avv. L.D.. 2.1. In comparsa di costituzione veniva dedotto: - che Du.Ci. aveva fatto ingresso nell'immobile per cui è causa soltanto nel mese di luglio del 2018; - che le parti si conoscevano già da epoca precedente alla stipula del contratto preliminare e che, anche in ragione della "massima fiducia riposta dal signor Ci. nei confronti delle signore Ch.", i promissari acquirenti erano giunti alla conclusione del contratto preliminare "senza mai aver visionato prima l'immobile al suo interno" (comparsa, pag. 3); - che i convenuti, una volta conseguita la "materiale detenzione dell'immobile", avevano scoperto "il pessimo stato in cui versava il fabbricato al suo interno" (comparsa, pag. 3); - che il fabbricato versava in uno stato di "assoluto ... abbandono", che era stato "sottaciuto" dalle promittenti venditrici (anche facendo leva sulla "scarsa cultura e conoscenza della lingua italiana" dei promissari acquirenti) e che aveva reso necessari "ingenti lavori di ristrutturazione e riparazione" e, in particolare, il rifacimento dei serramenti "interni ed esterni", il "rivestimento protettivo delle murature", il "rivestimento del bagno e della cucina con sostituzione di mattonelle", la "sostituzione delle scale interne" - con esborso di complessivi Euro 45.000,00 (comparsa, pagg. 3 e 4); - che tutta la documentazione relativa alle predette opere era nel possesso di Io.Mi., che era tuttavia ricoverata "in ospedale in Romania in quanto risultata affetta dal virus SAES-Covid19" (comparsa, pag. 4); - che, da par sua, Du.Ci. non aveva avuto modo di raggiungere la M., per recuperare la predetta documentazione, in ragione delle "misure di contingentamento dell'emergenza sanitaria mondiale" (comparsa, pag. 4); - che la necessità di eseguire i lavori di manutenzione era stata a più riprese rappresentata alle promittenti venditrici le quali, pur avendo preso atto della "notevole rilevanza delle migliorie apportate dai convenuti", avevano sempre rifiutato di "rinegoziare il prezzo del contratto preliminare" o di "riconoscere il valore delle opere eseguite" (comparsa, pag. 4); - che le promittenti venditrici erano dunque incorse in un grave inadempimento, essedo venute meno all'obbligo di "garantire che l'immobile compravenduto fosse immune da vizi" tali da renderlo inidoneo all'uso cui era destinato o da diminuirne in modo apprezzabile il valore (comparsa, pag. 4); - che i promissari acquirenti non avevano dunque corrisposto il prezzo avvalendosi dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.; - che, anzi, Du.Ci. si vedeva "costretto ad agire in separata sede con un'azione autonoma al fine di ottenere la condanna delle ... attrici al pagamento delle somme sborsate" per l'esecuzione dei lavori di manutenzione (comparsa, pag. 5). 2.2. Tanto premesso, il convenuto eccepiva l'improcedibilità del giudizio per mancata promozione del procedimento di negoziazione assistita e chiedeva nel merito il rigetto della domanda di risoluzione spiegata dalle attrici, nonché il rigetto delle avversarie domande di condanna al pagamento dell'indennità di occupazione e al risarcimento del danno. 3. All'udienza di prima comparizione del 19.01.2021 il Giudice dichiarava la contumacia di Io.Mi. e disponeva per contro la rinnovazione della notificazione nei confronti di Fl.Ca. che, alla successiva udienza del 22.06.2021, veniva da par sua dichiarata contumace. 3.1. Sempre all'udienza del 22.06.2021 il Legale di Du.Ci. dichiarava di rinunciare al mandato. Seguiva, dunque, il rinvio del giudizio alle udienze del 14.09.2021 e del 19.10.2021, fissate per consentire al convenuto di munirsi di nuovo difensore. 3.2. All'udienza del 19.10.2021, presente il nuovo difensore del convenuto Avv. A.A., che si costituiva in giudizio anche per la convenuta Fl.Ca., venivano assegnati termini di legge per il deposito delle memorie ex art. 183, co. 6 c.p.c. Pendenti i termini predetti, la difesa dei convenuti Ci. e Ca. veniva assunta da un nuovo difensore che, alla successiva udienza del 15.02.2022, insisteva, al pari delle attrici, per l'ammissione delle proprie istanze istruttorie. 3.3. Con ordinanza del 19.05.2022 veniva ammessa la prova per interpello e per testimoni richiesta dalle attrici. La prova veniva assunta nel corso della successiva udienza del 30.06.2022 e, all'esito, il Giudice disponeva procedersi a consulenza tecnica d'ufficio per l'accertamento del c.d. valore locativo degli immobili, all'uopo nominando CTU il geom. Giuseppe Dalla Via che depositava la relazione peritale in data 15.01.2023. 3.4. Alla successiva udienza del 24.01.2023 la causa veniva infine rinviata per la precisazione delle conclusioni. 3.5. All'udienza del 18.07.2023, all'uopo fissata, le parti precisavano quindi le conclusioni. Le attrici riproponevano le proprie istanze istruttorie e concludevano come segue: "NEL MERITO IN VIA PRINCIPALE Previo accertamento dei fatti esposti in narrativa e rigetto di ogni contraria istanza e/o domanda e/o eccezione e/o conclusione: 1) Accertarsi e dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare di compravendita datato 30/10/2017 per grave inadempimento dei sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi. e, conseguentemente, condannare gli stessi convenuti al rilascio immediato dei beni immobili oggetto del medesimo contratto preliminare di compravendita, come specificati in narrativa, liberi e sgomberi da persone e/o cose, anche interposte; 2) condannarsi i sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido tra loro, al pagamento dell'indennità di occupazione e/o alla corresponsione dei relativi frutti civili in favore delle sig.re Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch., dal 30/10/2017 e fino alla data di effettivo rilascio dei beni immobili di cui trattasi, della somma da calcolarsi prudenzialmente in Euro. 600,00 mensili, o della diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa e/o che sarà ritenuta di Giustizia, anche in via equitativa, oltre agli interessi previsti per legge ed alla rivalutazione monetaria dal dovuto fino al saldo effettivo; 3) condannarsi i sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido tra loro, al pagamento in favore delle sig.re Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch. della somma da calcolarsi prudenzialmente in Euro 25.000,00, o della diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa e/o che sarà ritenuta di Giustizia, anche in via equitativa, a titolo di risarcimento del danno subito, oltre agli interessi previsti per legge ed alla rivalutazione monetaria dal dovuto fino al saldo effettivo; IN VIA SUBORDINATA Previo accertamento dei fatti esposti in narrativa e rigetto di ogni contraria istanza e/o domanda e/o eccezione e/o conclusione: 1) accertarsi e dichiararsi nullo e/o annullabile e/o invalido e/o inefficace il contratto preliminare di compravendita datato 30/10/2017 e, conseguentemente, condannare i sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi. al rilascio immediato dei beni immobili ut supra liberi e sgomberi da persone e/o cose, anche interposte; 2) condannarsi i sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido tra loro, al pagamento dell'indennità di occupazione e/o alla corresponsione dei relativi frutti civili in favore delle sig.re Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch., dal 30/10/2017 e fino alla data di effettivo rilascio dei beni immobili per cui è causa, della somma da calcolarsi prudenzialmente in Euro. 600,00 mensili, o della diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa e/o che sarà ritenuta di Giustizia, anche in via equitativa, oltre agli interessi previsti per legge ed alla rivalutazione monetaria dal dovuto fino al saldo effettivo; 3) condannarsi i sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido tra loro, al pagamento in favore delle sig.re Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch. della somma da calcolarsi prudenzialmente in Euro 25.000,00, o della diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa e/o che sarà ritenuta di Giustizia, anche in via equitativa, a titolo di risarcimento del danno, oltre agli interessi previsti per legge ed alla rivalutazione monetaria dal dovuto fino al saldo effettivo; IN OGNI CASO 4) condannarsi i sig.ri Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido tra loro, al pagamento in favore delle sig.re Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch. della somma di Euro.3.115,41 o della diversa somma, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa e/o che sarà ritenuta di Giustizia, anche in via equitativa, a titolo di rifusione delle spese sostenute dalle stesse a servizio degli immobili per cui è causa, oltre agli interessi previsti per legge ed alla rivalutazione monetaria dal dovuto fino al saldo effettivo; 5) spese e compensi professionali integralmente rifusi; 6) condannarsi il sig. Du.Ci. e la sig.ra Fl.Ca. al risarcimento in favore delle sig.re Re.Ch., Lo.Ch. e Ar.Ch. del danno ex art. 96 c.p.c. da liquidarsi in via equitativa. I convenuti Du.Ci. e Fl.Ca., riproposte le proprie istanze istruttorie, concludevano come segue: "1) - in via pregiudiziale: dichiarare l'improcedibilità delle domande avanzate dalle attrici a fronte del mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita di cui agli artt. 2 ss D.L. n. 132 del 2014, convertita con L. n. 162 del 2014, per le ragioni esposte in narrativa; 2) - nel merito: rigettarsi integralmente le domande formulate dalle attrici in quanto infondate in fatto ed in diritto, per le ragioni esposte in narrativa; 3) - in ogni caso: con rifusione integrale di spese e competenze di causa". La causa veniva infine trattenuta in decisione, con assegnazione di termini alle parti per il deposito degli scritti difensivi conclusivi. 4. Va innanzitutto dichiarata la inutilizzabilità ai fini della decisione dei documenti tutti che Du.Ci. ha fatto pervenire nel corso del giudizio mediante raccomandate indirizzate a questo Tribunale, trattandosi di documenti irritualmente depositati - per altro anche dopo la rimessione della causa in decisione, con iniziative dalle quali lo stesso difensore del convenuto in comparsa conclusionale ha dichiarato di dissociarsi, definendole "estemporanee e non convenzionali", "non concordate né condivise" (comparsa conclusionale, pag. 1). 5. Sempre in via preliminare, va disattesa l'eccezione di improcedibilità, nella quale i convenuti hanno insistito in sede di precisazione delle conclusioni. Posto, in effetti, che il procedimento di negoziazione assistita è stato promosso dalle attrici, com'è confermato dalla documentazione che esse hanno depositato in data 21.06.2021, in ogni caso il presente giudizio non risulta sottoposto alla condizione di procedibilità di cui all'art. 3 del D.L. n. 132 del 2014, avendo esso avuto ad oggetto, ab origine, domande di valore indeterminato (le domande di risoluzione del contratto preliminare e di condanna al rilascio dei beni) e una ulteriore domanda di condanna (al pagamento dell'indennità di occupazione e al risarcimento del danno) essa stessa di valore indeterminato. 6. Venendo al merito, le domande attoree vanno accolte, per le ragioni e nei termini che seguono. 6.1. Risulta per tabulas che le attrici, nella veste di promittenti venditrici, e i convenuti, nella veste di promissari acquirenti, in data 30.10.2017 hanno concluso il contratto preliminare di compravendita di cui al doc. 1 attoreo, mediante il quale i convenuti si sono impegnati ad acquistare i beni immobili qui indicati in premesse, verso pagamento del prezzo di Euro 240.000,00 ed entro il termine perentorio del 31.12.2018. 6.2. Secondo quanto pattuito in contratto, i promissari acquirenti hanno immediatamente conseguito la detenzione degli immobili (testualmente, "a mero titolo precario": così nel contratto, nel paragrafo dedicato al "possesso"). E malgrado il convenuto Ci. abbia dichiarato, in comparsa di costituzione, di aver fatto ingresso nell'immobile di via L. n. 36 soltanto nel luglio del 2018, le risultanze di causa provano che i convenuti si sono invero trasferiti a vivere nell'immobile immediatamente dopo la stipula del contratto preliminare. La predetta circostanza, in effetti, è stata confermata sia dal convenuto Du.Ci. che, in sede di interpello, nel corso dell'udienza del 30.06.2022, ha confermato il capitolo di prova n. 5 di cui alla seconda memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c. delle attrici; sia dai testi Po.Pi. (che ha dichiarato quanto segue: "Non so esattamente se fosse il 30 ottobre 2017, ma sono certo che sono arrivati verso la fine di ottobre o i primi di novembre del 2017, poco prima dell'inizio dell'inverno, insomma. Ci. e la signora Ca. da allora hanno abitato stabilmente nella casa, dove vivono nel corso di tutto l'anno, salvo uno o due mesi all'anno in cui in genere il Ci. si assenta. Voglio precisare però che nei periodi in cui il signor Ci. è assente, c'è sempre qualcuno in casa. Anche attualmente il signor Ci. e la signora Ca. abitano nella casa di via L. n. 36 e posso dire che nella casa arrivano frequentemente altre persone, che si fermano per qualche giorno e poi se ne vanno, che arrivano la sera e poi ripartono la mattina dopo e così via") e R.D. (che, da par sua, ha dichiarato quanto segue: "ricordo benissimo che già il 31 ottobre 2017 io sono passato davanti alla casa perché stavo andando al cimitero che si trova lì vicino e ho visto il signor Ca. e la signora C. che portavano in casa le loro cose. In sostanza, stavano traslocando nella casa di via L. n. 36. Da allora, hanno sempre abitato nella casa e vi abitano tutt'ora"). 6.3. Ciò detto, pacificamente i convenuti non sono mai addivenuti alla stipula del contratto definitivo di compravendita, né al pagamento del prezzo relativo. Tanto trova conferma proprio nell'esistenza del presente giudizio, nel quale i convenuti, per altro, non hanno allegato (né offerto di provare) di aver voluto concludere il contratto definitivo di compravendita. I convenuti, dunque, non hanno allegato (né offerto di provare) di aver voluto concludere il contratto definitivo di compravendita, di aver all'uopo convocato le attrici innanzi al Notaio entro il termine previsto nel contratto preliminare (o anche successivamente), di aver offerto loro il pagamento del prezzo. Ben diversamente, i convenuti hanno espressamente dedotto di aver rifiutato la stipula del contratto definitivo ed il pagamento del prezzo pattuito, assumendo che il proprio rifiuto sarebbe stato giustificato a mente dell'art. 1460 c.c. e dunque legittimo, in ragione dei gravi vizi da cui sarebbe risultato affetto l'immobile da compravendere. L'argomento non può cogliere nel segno, per una pluralità di concorrenti ragioni. 6.4. Difetta, innanzitutto, l'allegazione stessa (e, a fortiori, la prova) dei vizi di cui si dovrebbe qui fare questione. In comparsa di costituzione, il convenuto Ci. si è limitato ad allegare che il fabbricato per cui è causa versava "in pessimo stato", senza in alcun modo circostanziare la propria generica allegazione (la quale va dunque ritenuta tam quam non esset ai fini della decisione) e versando in atti le fotografie di cui ai docc. 3/9, che risultano esse stesse irrilevanti ai fini della decisione. Posto, in effetti, che si tratta di fotografie prive di data certa e di per sé inidonee ad attestare "il pessimo stato" di cui il convenuto è andato genericamente discorrendo, in ogni caso le attrici le hanno contestate ai sensi dell'art. 2712 c.c., con contestazione tempestivamente formulata nel corso dell'udienza di prima comparizione del 19.10.2021, tenutasi dopo la rinnovazione della notificazione di cui s'è dato conto in premesse e dopo i rinvii disposti per permettere all'unico convenuto all'epoca costituito di munirsi di un nuovo difensore. Sarebbe stato dunque onere dei convenuti supportare la (eventuale) efficacia probatoria delle fotografie con ulteriori offerte di prova, volte a dare contezza concreta dei vizi in tesi inficianti l'immobile per cui è causa. Simili offerte di prova non si rinvengono tuttavia negli scritti difensivi dei convenuti, che quanto al preteso "pessimo stato dell'immobile" non hanno né precisato le proprie allegazioni nella prima memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c. (invero non depositata), né formulato istanze istruttorie nella seconda memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c.. 6.5. Non v'è d'altro canto alcuna prova degli interventi di manutenzione in tesi eseguiti dai convenuti, né degli esborsi che, sempre in tesi, essi avrebbero a tal riguardo sostenuto. In comparsa di costituzione, in effetti, il convenuto Ci. ha preannunciato che avrebbe prodotto le pezze giustificative degli interventi eseguiti. Tale produzione non è mai avvenuta, tuttavia, avendo i convenuti prodotto il solo documento n. 10, che deve dirsi del tutto privo di rilevanza probatoria, facendo esso in tesi riferimento ad una scala della quale nulla è dato qui conoscere. Poiché nessun ulteriore mezzo di prova è stato offerto dai convenuti nella seconda memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c. a sostegno della propria allegazione in punto di interventi manutentivi, anche tale allegazione deve dirsi priva del benché minimo oggettivo riscontro. 6.6. I vizi che, secondo la prospettazione dei convenuti, dovrebbero giustificare ai sensi dell'art. 1460 c.c. la loro decisione di non addivenire alla stipula del contratto definitivo non sono stati dunque né allegati, né provati dai convenuti medesimi: e tanto basta per concludere che la loro decisione di non addivenire alla stipula del definitivo deve essere riguardata non quale legittima reazione ad un inadempimento delle promittenti venditrici, ma quale inadempimento grave di essi promissari acquirenti. 6.7. Non va per altro omesso di rilevare che nel contratto preliminare le parti hanno dichiarato che "gli immobili" venivano "promessi in vendita nella situazione di fatto e di diritto in cui si trovano, ben nota e conosciuta alla parte promissaria acquirente" (così nel contratto preliminare, sub "precisazioni immobiliari": doc. 1 attrici). Trova pertanto testuale smentita l'asserzione del convenuto Ci. che, in comparsa di costituzione, ha dedotto che il contratto preliminare sarebbe stato sottoscritto senza alcuna visita preliminare presso il fabbricato - salvo poi dedurre, nella seconda memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c., di aver effettuato un sopralluogo prima della stipula del contratto preliminare e, in comparsa conclusionale, di essersi recato presso l'immobile "un paio di volte". L'immobile per cui è causa è stato dunque dedotto in contratto dalle parti nello stato di fatto in cui esso si trovava all'epoca della conclusione del preliminare e che i convenuti avevano avuto modo di verificare prima della sottoscrizione del preliminare medesimo. Va allora confermato che, secondo pacifico approdo interpretativo, "in caso di preliminare di compravendita di un appartamento, con consegna dello stesso prima della stipula dell'atto definitivo e correlativo inizio del pagamento rateale del prezzo da parte del prossimario acquirente, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita quest'ultimo - senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 1495 c. c. per la denuncia dei vizi della cosa venduta - ad opporre la exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita altresì a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del venditore, ovvero la condanna di quest'ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa" (Cass. civ. n. 6143/1988). Fermo il principio, deve tuttavia rilevarsi che la predetta facoltà del promissario acquirente (di avvalersi dell'eccezione di inadempimento e di pretendere la risoluzione del contratto preliminare o la eliminazione dei vizi) non può predicarsi in relazione a condizioni dell'immobile che egli abbia avuto modo di percepire prima della stipulazione del contratto preliminare e la cui sussistenza egli abbia poi sostanzialmente accettato, impegnandosi ad acquistare l'immobile nel stato di fatto in cui esso si trova ed espressamente qualificando tale stato di fatto, in contratto preliminare, come noto e conosciuto. In un simile scenario, in effetti, deve ritenersi che il promissario acquirente possa esclusivamente avvalersi nei confronti del promittente venditore, laddove ne sussistano i presupposti tutti, non dell'azione di risoluzione o di esatto adempimento, ma del rimedio dell'annullamento (per errore) del contratto preliminare. I convenuti, per dimostrare la legittimità della propria (asserita) eccezione di inadempimento, avrebbero allora dovuto provare non solo l'esistenza di vizi tali da rendere il fabbricato inidoneo all'uso suo proprio, ma anche di non aver potuto oggettivamente percepire i vizi medesimi in occasione dei sopralluoghi effettuati presso l'immobile prima della stipula del contratto preliminare. Tale prova, all'evidenza, non è stata fornita. Del resto, i convenuti hanno genericamente allegato di aver dovuto procedere "al rifacimento dei serramenti interni ed esterni", alla sostituzione delle piastrelle di rivestimento della cucina e del bagno, alla "sostituzione delle scale interne" (comparsa di costituzione Du.Ci., pag. 4): e, a tal riguardo, ribadito che non v'è prova alcuna dell'effettiva esecuzione di tali interventi, va rilevato che lo stato dei serramenti, dei rivestimenti e delle scale interne deve essersi evidentemente appalesato ai convenuti nel corso delle visite effettuate prima della stipula del contratto preliminare. 6.8. Non solo. A mente del predetto principio giurisprudenziale, la scoperta di vizi gravi dell'immobile, dopo la firma del contratto preliminare, abilita il promissario acquirente (anche qui, laddove ne sussistano i presupposti tutti) a fare ricorso alle "rituali azioni previste, in via generale, in materia di inadempimento contrattuale", cioè a dire la risoluzione del contratto o l'esatto adempimento, sub specie di eliminazione dei vizi e difetti (Tribunale di Monza, 26.11.2007). Ne discende che il promissario acquirente che venga immesso nella detenzione del bene subito dopo la stipula del contratto preliminare e che così scopra l'esistenza di vizi e difetti che egli non aveva avuto modo di percepire in precedenza può o agire per la risoluzione del contratto preliminare o agire per l'esatto suo adempimento - non potendo egli per contro non fare nulla e permanere, ciò nonostante e ad libitum, nella detenzione dell'immobile. 6.9. Ebbene, nel caso di specie i convenuti si sono trasferiti ad abitare presso l'immobile per cui è causa sin dall'ottobre/novembre del 2017 e, pur avendo in tesi immediatamente scoperto la sussistenza di asseriti vizi e difetti gravi, non hanno agito verso le promittenti venditrici per l'annullamento del contratto preliminare, adducendo se del caso di essere addivenuti alla sua conclusione per errore; non hanno agito per la sua risoluzione; non hanno nemmeno agito per l'eliminazione dei pretesi vizi e difetti. Ben diversamente, essi hanno continuativamente vissuto entro l'immobile, pur non avendolo acquistato e pur non avendone pagato il prezzo. Tale situazione, per altro, è proseguita anche nel corso del presente giudizio, ove i convenuti non hanno chiesto né l'esecuzione del contratto, se del caso invocando l'art. 2932 c.c., né la sua risoluzione, né la condanna delle attrici alla eliminazione dei pretesi vizi, limitandosi ad asserire che avrebbero promosso "in separata sede" una "autonoma azione" per veder condannate le attrici al "pagamento delle somme sborsate a fronte delle ingenti opere e lavori eseguiti presso l'immobile" (comparsa di costituzione Du.Ci., pag. 5). E va rilevato che una simile impostazione difensiva non fa altro che confermare che i convenuti hanno fatto leva sull'esistenza di pretesi e indimostrati vizi per procrastinare sine die la situazione di godimento precario dell'immobile instauratasi sin dal 2017. 6.10. Sulla scorta di tutto quanto rilevato sin qui, l'eccezione di inadempimento spiegata dai convenuti ai sensi dell'art. 1460 c.c. va rigettata. Non essendovi prova del fatto che la mancata stipula del contratto definitivo sia stata cagionata da un inadempimento delle attrici promittenti venditrici, essa va dunque de plano addebitata ai convenuti promissari acquirenti, che si sono ingiustificatamente e reiteratamente sottratti all'adempimento dell'obbligo assunto mediante la stipula del contratto preliminare, così serbando un contegno gravemente inadempiente. 6.11. Il contratto preliminare va dunque dichiarato risolto, per inadempimento dei promissari acquirenti Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi.. 6.12. Per effetto della risoluzione del contratto preliminare, la detenzione degli immobili per cui è causa da parte dei convenuti non è più sorretta da alcun titolo. Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi. vanno dunque condannati a rilasciare immediatamente gli immobili come di seguito catastalmente identificati, lasciandoli liberi da persone e cose, anche interposte: - Comune di V. - V., Catasto Fabbricati, Foglio (...), mappali n. (...), sub. (...); n. (...), sub. (...); n. (...), sub. (...); n. (...); - Comune di V. - V., Catasto Terreni, Foglio (...), mappale n. (...) e n. (...); - Comune di V. - V., Catasto Terreni, Foglio (...), mappale n. (...). 7. Le attrici hanno chiesto la condanna dei convenuti al pagamento di una indennità di occupazione, computata a far data dal 30.10.2017. 7.1. La domanda merita accoglimento. 7.2. In ragione degli effetti retroattivi della dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare, il godimento degli immobili per cui è causa da parte dei convenuti deve dirsi non assistito, ab origine, da alcun titolo. Posto, dunque, che l'occupazione dei beni da parte dei convenuti deve dirsi sine titulo, va fatto qui rinvio al consolidato principio per il quale "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta" (Cass. civ. Sez. Un. n. 33645/2022). Noto che il danno da occupazione non è in re ipsa, non potendo esso coincidere con la mera occupazione di per sé considerata, insegna la giurisprudenza di legittimità che "la perdita subita" in ragione dell'occupazione "attiene al godimento, diretto o indiretto mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri"; che "l'allegazione che l'attore faccia della concreta possibilità di godimento perduta può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito", il quale "ha l'onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento; che soltanto "in presenza di una specifica contestazione sorge per l'attore l'onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici" (Cass. civ. Sez. Un. n. 33645/2022 cit.). 7.3. Ebbene, il danno lamentato dalle attrici deve dirsi provato nel giudizio in esame, ove risulta che le sorelle Ch. nel 2017 hanno deciso di alienare gli immobili per cui è causa e che esse, siglato il contratto preliminare per cui è causa, hanno concesso ai convenuti il godimento degli immobili medesimi in vista della stipula del contratto definitivo, che avrebbe dovuto intervenire entro la fine dell'anno successivo. E' fin troppo agevole rilevare, dunque, che la concessione degli immobili in godimento è stata funzionale al loro (prossimo) trasferimento - e da tanto è dato inferire che le attrici, se non avessero concluso il contratto preliminare con i convenuti, avrebbero proseguito nel proprio tentativo di venderli o, quanto meno, di locarli, essendo esse manifestamente intenzionate a "monetizzare" il compendio immobiliare di cui erano comproprietarie. I convenuti, del resto, hanno solo genericamente contestato la pretesa attorea, limitandosi ad asserire che le attrici avrebbero dovuto "provare il fatto che, in difetto di occupazione, avrebbero messo a frutto il medesimo immobile oggetto del contratto preliminare" (comparsa di costituzione Ci., pag. 7): contestazione, questa, del tutto generica e per ciò stesso irrilevante, vieppiù se esaminata nello specifico scenario dei fatti di causa, ove ad asserire che un godimento indiretto del bene non avrebbe potuto essere esercitato dalle attrici sono coloro che hanno occupato per anni il bene medesimo, così facendo fallire, a danno delle attrici, la possibilità di porre il bene sul mercato. 7.4. I convenuti vanno dunque condannati, in solido, a risarcire il danno risentito dalle attrici in ragione dell'occupazione degli immobili di loro proprietà: danno che, come noto, "può essere valutato equitativamente ai sensi dell'art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell'ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa" (così, ancora, Cass. civ. Sez, Un. n. 33645/2022 cit.). E tale danno deve essere qui liquidato dal momento in cui ha avuto inizio il godimento degli attori (novembre 2017) e sino al momento della restituzione dei beni (Cass. civ. n. 19403/2016). 7.5. Il CTU ha quantificato in Euro 551,00 mensili il valore locativo dei beni. I convenuti, in solido, vanno dunque condannati a corrispondere alle attrici, esse stesse in solido, l'importo di Euro 39.672,00 (da intendersi in via equitativa come già comprensivo di rivalutazione monetaria e interessi calcolati sino alla data attuale e che si ottiene moltiplicando l'importo mensile di Euro 551,00 per 72 mensilità, da novembre 2017 ad ottobre 2023), nonché un ulteriore importo mensile pari ad Euro 551,00 per ciascuna mensilità a partire dal novembre del 2023, sino al rilascio degli immobili oggetto di causa. 8. Le attrici hanno chiesto la condanna dei convenuti al pagamento dell'ulteriore importo di Euro 25.000,00, a titolo di risarcimento del danno subito in ragione del loro inadempimento. La domanda, che non identifica il danno di cui pretende il ristoro e che non è stata supportata da alcuna allegazione ed offerta di prova, va rigettata. 9. Le attrici hanno infine chiesto la condanna dei convenuti alla rifusione dell'importo di Euro 3.115,41, che esse hanno allegato di aver corrisposto per il pagamento delle utenze degli immobili per cui è causa in via di mera anticipazione, senza poi ottenere dai convenuti il relativo rimborso. 9.1. I convenuti non hanno in alcun modo contestato la domanda attorea, che va dunque accolta. Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, vanno dunque condannanti a corrispondere a Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., in solido, l'importo di Euro 3.092,91 (a tale importo assommando gli esborsi documentati nei docc. 4 e 5 attorei), oltre ad interessi legali calcolati dalla data della promozione del presente giudizio al saldo. 10. La regolamentazione delle spese di lite segue la soccombenza. Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, vanno dunque condannati a rifondere a Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., in solido, le spese del presente giudizio che, in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 (e, segnatamente, facendo applicazione dei compensi medi in esso previsti per la fase di studio, introduttiva, istruttoria e di decisione, in giudizi di valore indeterminabile e di bassa complessità), vanno liquidate in Euro 545,00 per esborsi ed in Euro 7.616,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. 10.1. Le spese di consulenza tecnica, come liquidate con decreto del 28.01.2023, vanno definitivamente poste a carico dei convenuti. Poiché tali spese, in corso di causa, sono state sostenute dalle attrici che hanno corrisposto al CTU l'importo di Euro 889,15 (doc. 9 attrici), Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, vanno condannati a corrispondere alle attrici, esse pure in solido, l'importo di Euro 889,15, nonché l'importo di Euro 315,00 corrisposto dalle attrici al loro CTP geom. Katuscia Signori (doc. 10 attrici). 10.2. La manifesta infondatezza delle difese dei convenuti, infine, non costituisce presupposto sufficiente per la loro condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. R.G. 4052/2020: 1) dichiara la risoluzione, per inadempimento di Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., del contratto preliminare di compravendita concluso in data 30.10.2017 da Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., quali promittenti venditrici, e Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., quali promissari acquirenti; per l'effetto, 2) condanna Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi. a rilasciare immediatamente gli immobili oggetto del contratto preliminare di cui al punto che precede, come di seguito catastalmente identificati, lasciandoli liberi da persone e cose, anche interposte: - Comune di V. - V., Catasto Fabbricati, Foglio (...), mappali n. (...), sub. (...); n. (...), sub. (...); n. (...), sub. (...); n. (...); - Comune di V. - V., Catasto Terreni, Foglio (...), mappali n. (...) e n. (...); - Comune di V. - V., Catasto Terreni, Foglio (...), mappale n. (...); 3) condanna Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, a corrispondere a Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., in solido, l'importo di Euro 39.672,00, nonché un ulteriore importo mensile pari ad Euro 551,00 per ciascuna mensilità a partire da novembre del 2023 e sino al rilascio degli immobili di cui al punto che precede; 4) condanna Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, a corrispondere a Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., in solido, l'importo di Euro 3.092,91, oltre ad interessi legali calcolati dalla data della promozione del presente giudizio al saldo; 5) condanna Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, a rifondere a Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., in solido, le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 545,00 per esborsi ed in Euro 7.616,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge; 6) pone le spese di consulenza tecnica definitivamente a carico dei convenuti, in solido; per l'effetto, 7) condanna Du.Ci., Fl.Ca. e Io.Mi., in solido, a corrispondere a Lo.Ch., Ar.Ch. e Re.Ch., in solido, l'importo di Euro 889,15 e l'importo di Euro 315,00. Così deciso in Vicenza il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VICENZA - Sezione Penale in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Claudia Molinaro alla pubblica udienza del 14/04/2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA (art. 544 3 comma c.p.p.) nel procedimento a carico di: Gr.Af. nato in A. il (...) residente a M.V. in via D.M. al n. 6 domicilio dichiarato libero - presente con difensore di fiducia avv. El.Pe. del foro di Vicenza Imputato del reato di cui: all'art. 385 c.p. perché, in stato di detenzione domiciliare presso la sua abitazione in virtù del Provv. del Tribunale di Sorveglianza di Verona del 4 aprile 2019 Provv. n. 1933 del 2019 SIUS e Provv. n. 596 del 2019, non veniva trovato durante il controllo del 18.3.2020. In Montebello Vicentino il 18.3.2020 Con recidiva infraquinquennale MOTIVAZIONE 1. Svolgimento del processo. Con decreto di citazione del 24.5.2022 Gr.Af. veniva tratto a giudizio avanti il Tribunale di Vicenza per rispondere del delitto di cui all'art. 385 c.p., descritto nel capo di imputazione. Verificata la regolarità della notifica disposta nei suoi confronti e rilevata la sua mancata comparizione, all'udienza del 25.11.2022 veniva dichiarata l'assenza dell'imputato e il procedimento veniva rinviato per verificare la sussistenza del consenso delle parti all'acquisizione degli atti. All'udienza del 28.2.2023 il Tribunale dichiarava l'apertura del dibattimento e le parti prestavano il consenso all'acquisizione degli atti di indagine di cui al fascicolo del Pubblico Ministero. Veniva dimessa istanza di legittimo impedimento del difensore per la precedente udienza, non unita tuttavia al fascicolo per il dibattimento. Il Tribunale riconosceva la sussistenza del legittimo impedimento e la concessione del rinvio all'udienza in corso a prescrizione sospesa come per legge. Le parti discutevano all'udienza del 14.4.2023, rassegnando le conclusioni riportate in epigrafe, e, all'esito della camera di consiglio, il Tribunale dava lettura dell'allegato dispositivo, dopodiché, ai sensi dell'art. 545-bis c.p., dava avviso alle parti circa la sussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva comminata con quella dei lavori di pubblica utilità sostitutivi, preventivamente richiesta dall'imputato a mezzo del proprio difensore e procuratore speciale in sede di discussione. Le successive udienze del 13.6.2023 e del 19.9.2023, calendarizzate per la decisione sulla sostituzione della pena detentiva venivano rinviate su richiesta della difesa, attesa la necessità di reperire un nuovo ente presso il quale consentire all'imputato di svolgere i lavori di pubblica utilità compatibilmente con le esigenze lavorative dello stesso. Infine, all'udienza del 12.12.2023, il Tribunale pronunciava il dispositivo integrato con la sostituzione della pena detentiva con quella dei lavori di pubblica utilità. 2. Ricostruzione dei fatti. Con ordinanza del 4.4.2019 il Magistrato di Sorveglianza di Verona disponeva in favore dell'odierno imputato, Gr.Af., l'esecuzione presso il proprio domicilio della pena detentiva determinata con il provvedimento di cumulo delle pene emesso in data 30.11.2018 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza. Nello specifico, la suddetta ordinanza prescriveva a G. l'obbligo di risiedere presso la propria abitazione sita in M. V. (V.), via S. della M. n. 6, e il divieto di allontanarsene se non per i motivi espressamente indicati e previo avviso all'autorità di controllo. L'imputato veniva, inoltre, autorizzato a recarsi al lavoro presso l'impresa edile di DEHARI Agron con sede in A. (V.), via F. n. 7, concordando preventivamente con i Carabinieri di M.V. il calendario dell'attività lavorativa (cfr. l'ordinanza di esecuzione presso il domicilio della pena detentiva, emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Verona il 4.4.2029). Tuttavia, durante un controllo eseguito dalla pattuglia dei Carabinieri del Comando di M.V. in data 18.3.2020 alle ore 22:50 circa presso l'abitazione di G.,lo stesso non rispondeva al campanello, né alle chiamate effettuate degli operanti sulla sua utenza telefonica. Il giorno successivo, alle ore 7:50 del mattino, gli operanti telefonavano nuovamente all'imputato, che, interrogato su dove si trovasse la sera prima, riferiva di essere stato a casa, ma di non aver aperto la porta e risposto alle chiamate in quanto si era addormentato profondamente, e che quella mattina si trovava a lavoro (cfr. c.n.r. trasmessa dai Carabinieri della Stazione di M.V. in data 19.3.2020. Gli agenti, pertanto, eseguivano un nuovo controllo presso la zona indicata da G., situata in Via A. n. 25/a ad A. (V.), dove trovavano lo stesso effettivamente intento a lavorare. In quel frangente, l'imputato si scusava con i militari per non aver risposto la sera prima, e ribadiva che ciò era dovuto al fatto di essersi addormentato profondamente a causa della stanchezza (cfr. nonché dall'atto di formale ammonimento ad una pronta risposta ai controlli sottoscritto dall'imputato in data 14.5.2019). 3. Valutazione delle prove e qualificazione giuridica del fatto: accertamento della responsabilità dell'imputato per il reato allo stesso ascritto. Dalla lettura degli atti di indagine, integralmente utilizzabili in quanto acquisiti con il consenso delle parti, è possibile affermare la responsabilità dell'imputato in ordine al reato di evasione previsto dal comma 3 dell'art. 385 c.p., al di là di ogni ragionevole dubbio. A fondamento del giudizio di colpevolezza si pongono, in particolare, la comunicazione della notizia di reato trasmessa dai Carabinieri della Stazione di M.V. in data 19.3.2020, l'ordinanza di esecuzione presso il domicilio della pena detentiva emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Verona il 4.4.2029, nonché dall'atto di formale ammonimento ad una pronta risposta ai controlli sottoscritto dall'imputato in data 14.5.2019. 3.1. Nello specifico, l'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza che concedeva a G. la possibilità di espiare la pena detentiva alla quale era stato condannato con precedenti provvedimenti (cfr. casellario giudiziale aggiornato di Gr.Af.) presso la propria abitazione anziché in carcere, stabiliva il divieto per lo stesso di allontanarsi dal domicilio indicato, se non per esigenze sanitarie, per il soddisfacimento di indispensabili esigenze di vita, e per recarsi al lavoro, sempre previo avviso e accordo con l'autorità di controllo (cfr. ordinanza n. 596/2019 del Magistrato di Sorveglianza di Verona). Di conseguenza, integra la condotta materiale del reato in questione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza la prescritta autorizzazione, e in assenza di qualsivoglia causa di giustificazione, a nulla rilevando la durata o la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che hanno determinato la condotta del soggetto agente (ex multis, cfr. con specifico riferimento all'esecuzione domiciliare delle pene Cass. Pen., sez. 4, sent. n. 16182 del 13.12.2018 Ud. (dep. 15.4.2019) Rv. 275579-01; con riferimento in generale all'evasione dal luogo di detenzione domiciliare, cfr. Cass. Pen., sez. 6, sent. n. 28118 del 9.6.2015 Ud. (dep. 2.7.2015) Rv. 263977-01). Non vale ad escludere la materialità del reato la giustificazione fornita dall'odierno imputato che, interrogato su dove si trovasse al momento del controllo del 18.3.2020, riferiva di non aver risposto al campanello e al telefono poiché si era addormentato profondamente (cfr. c.n.r. del 19.3.2020 redatta dai Carabinieri della Stazione di M.V.), posto che la ratio della fattispecie incriminatrice è quella di far sì che la persona sottoposta alla misura degli arresti o della detenzione domiciliare resti nel luogo indicato anche al fine di consentire all'autorità ad esso deputata di procedere ai controlli sul rispetto della misura (cfr. Cass. Pen., sez. 6, sent. n. 6394 del 27.4.1998 Ud. (dep. 1.6.1998) Rv. 210912-01), e che la stessa Corte di Cassazione con una recente sentenza ha espressamente stabilito che - come nel caso de quo - "l'allontanamento dell'imputato dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione può essere legittimamente desunto dalla sua mancata risposta al suono del citofono, attivato dalla P.G. nel corso di un controllo notturno per un rilevante lasso temporale, nonché con modalità insistenti e tali da richiamare l'attenzione" (cfr. Cass. Pen., sez. 6, sent. n. 1071 del 8.1.2016 Ud. (dep. 13.1.2016) Rv. 267726-01). 3.2. L'asserito stato di profondo addormentamento e, pertanto, di incoscienza di G. al momento del controllo non fa venire meno nemmeno la sussistenza dell'elemento soggettivo, in quanto il dolo generico del reato di evasione di cui all'art. 385, co. 3 c.p. risulta senza dubbio integrato dalla consapevolezza di violare il divieto di lasciare il luogo di espiazione della pena senza averne dato preventivo avviso e aver ottenuto la prescritta autorizzazione, dal momento che l'imputato era pienamente a conoscenza del fatto che il non rispondere e farsi vedere ai controlli sarebbe stato equiparato all'allontanamento dal luogo di detenzione, così come dimostrato dalla sottoscrizione dello stesso imputato del provvedimento di ammonimento del 14.5.2019 contenente l'invito ad un pronta risposta ai controlli per evitare la sospensione del misura in atto con nuovo ingresso in carcere. 3.3. Pertanto, per i motivi sopra esposti e sussistendo tutti gli elementi costitutivi della fattispecie in esame, si impone una pronuncia di condanna dell'imputato in ordine al reato allo stesso ascritto. 4. Trattamento sanzionatorio. Preliminarmente, deve essere esclusa la recidiva contestata all'imputato, posto che il reato oggetto dell'odierna incolpazione, non solo ha natura diversa rispetto al delitto per cui è stata pronunciata sentenza di condanna del 14.9.2015, irrevocabile il 3.11.2015, ma trattasi altresì di un fatto dalla minor carica offensiva e di ridotto allarme sociale, che, pertanto, non appare sintomatico di una perdurante proclività a delinquere di G., né di una sua aumentata pericolosità. Sotto il profilo della determinazione della pena applicabile per il reato di evasione contestato, la modesta offensività dell'azione criminosa, nonché il contegno tenuto dall'imputato successivamente al fatto, quando si faceva trovare sul posto di lavoro, come come precedentemente concordato con gli agenti di P.G., consentono di contenere la misura della pena base entro il minimo edittale di 1 anno di reclusione. Atteso, inoltre, il corretto atteggiamento processuale di G. - così come mediato dal proprio difensore -, che ha acconsentito all'acquisizione integrale degli atti di indagine, permettendo in tal modo di contenere la durata dell'istruttoria dibattimentale e di giungere più rapidamente alla definizione del procedimento, e tenuto conto, altresì, del regolare stile di vita condotto dallo stesso imputato, appaiono concedibili le circostanze attenuanti generiche, con conseguente riduzione della pena a mesi 8 di reclusione. Ai sensi dell'art. 535 c.p.p., all'accertamento della penale responsabilità dell'imputato consegue altresì la sua condanna al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 164, co. 4 c.p. non può essere concessa la sospensione condizionale della pena, avendone l'imputato beneficiato già due volte. Visti gli artt. 545-bis c.p.p. e 58 L. n. 689 del 1981, la pena detentiva irrogata può essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo di cui all'art. 56-bis della legge da ultimo richiamata. Quanto ai presupposti formali richiesti per la sostituzione delle pene detentive brevi, si osserva anzitutto che la pena de qua non è condizionalmente sospesa, che il quantum della stessa è contenuto nei limiti stabiliti agli artt. 20-bis c.p. e 53 L. n. 689 del 1981, che questa è, in ogni caso inferiore a quattro anni, e che non sussistono le condizioni ostative di cui all'art. 69 L. n. 689 del 1981. Per quanto attiene al merito della scelta circa il tipo di pena sostitutiva, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 58 del provvedimento legislativo sopra indicato, pur essendo la pena irrogata compatibile - quantomeno sotto il profilo quantitativo - con la pena pecuniaria sostitutiva, l'imputato aveva preventivamente presentato istanza di sostituzione della pena detentiva con quella dei lavori di pubblica utilità in caso di condanna, consenso che veniva nuovamente prestato a seguito della pronuncia della sentenza di condanna. Nondimeno, si reputa in ogni caso corretta l'applicazione della pena sostitutiva richiesta, sia in un'ottica rieducativa e di prevenzione del rischio di recidivanza da parte dell'imputato, sia in quanto misura implicante un minore sacrificio della libertà personale rispetto a quello derivante dalla semilibertà sostitutiva e dalla detenzione domiciliare sostitutiva, che, al contrario, appaiono sproporzionate rispetto alla gravità del fatto e alla condotta tenuta dall'imputato nell'immediatezza del fatto, il quale fin da subito ha dimostrato resipiscenza per l'accaduto e si è poi attenuto alle prescrizioni contenute nell'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, facendosi trovare sul posto di lavoro all'orario previsto e concordato con l'autorità di controllo. Pertanto, la pena detentiva deve essere sostituita con la pena del lavoro di pubblica utilità di pari durata (mesi 8), pari a giorni 240 e, quindi, ad ore 480 di lavori di pubblica utilità, da svolgersi presso l'Associazione M. L'irrogazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità comporta, ai sensi dell'art. 63 L. n. 689 del 1981, che l'imputato, dopo l'avvenuta ricezione della sentenza irrevocabile con cui è stata disposta la sostituzione della pena, prenda tempestivamente contatto con l'U.E.P.E. competente in relazione al luogo di residenza, che lo prenderà in carico. In ogni caso, dovrà mantenere costantemente i contatti con l'U.E.P.E. secondo i tempi e i modi dallo stesso indicatigli. L'applicazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità comporta, ai sensi dell'art. 56 ter L. n. 689 del 1981: 1) il divieto di detenere e portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia; 2) il divieto di frequentare abitualmente, senza giustificato motivo, pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza, a misure di prevenzione o comunque persone che espongano concretamente il condannato al rischio di commissione di altri reati, salvo si tratti di familiari o di altre persone conviventi stabilmente; 3) l'obbligo di permanere nell'ambito territoriale, di regola regionale, stabilito nel provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva; 4) il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente; 5) l'obbligo di conservare, di portare con sé e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia il provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'art. 64. Ai sensi dell'art. 66 L. n. 689 del 1981, la mancata esecuzione della pena sostitutiva, ovvero la violazione grave e reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti, ne comporta la revoca con conversione della parte residua nella pena detentiva sostituita, ovvero nella semilibertà o detenzione domiciliare sostitutive. Visto l'art. 544 c.p.p., in ragione del carico del ruolo monocratico, il deposito dei motivi della decisione è stato riservato al novantesimo giorno. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara Gr.Af. responsabile del reato a lui ascritto e, esclusa la contestata recidiva e riconosciute le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., condanna l'imputato alla pena di mesi 8 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 544 c.p.p. indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione Visti gli art. 545 bis c.p.p. e 53 ss., 56 bis L. n. 689 del 1981 ad integrazione del dispositivo di condanna alla pena di mesi 8 di reclusione, di cui è stata data pubblica lettura all'udienza del 14.4.2023 sostituisce la pena detentiva sopra indicata con la pena del lavoro di pubblica utilità per mesi 8, pari a giorni 240 e, quindi, ad ore 480 di lavori di pubblica utilità, da svolgersi presso l'Associazione M. e per l'effetto dispone che il condannato svolga detto lavoro secondo gli orari e le modalità già concordate dalle parti con dichiarazione di disponibilità dell'ente già acquisita agli atti (con mansioni di pulizia, guardiania e facchinaggio, per un minimo di 6 e un massimo di 15 ore settimanali) visto l'art. 56 ter L. n. 689 del 1981 impone a Gr.Af. le seguenti prescrizioni: 1. dovrà rimanere nell'ambito territoriale della Regione Veneto; 2. non potrà detenere o portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia; 3. non potrà frequentare abitualmente, senza giustificato motivo, pregiudicati, persone sottoposte a misure di sicurezza o di prevenzione o comunque persone che la espongano concretamente al rischio di commissione di reati, salvo si tratti di familiari o altre persone stabilmente conviventi; 4. dovrà portare sempre con sé copia del provvedimeli to che esegue la pena sostitutiva con eventuali modifiche e un documento di identificazione e comunque dichiarare alle FFOO con cui venisse in contatto per qualsiasi motivo il proprio stato di condannato alla pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità; dispone il ritiro del passaporto e la sospensione di validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente; avverte il condannato al lavoro di pubblica utilità sostitutivo che, in caso di violazioni di legge o di violazioni gravi e reiterate degli obblighi e delle prescrizioni, la pena sostitutiva potrà essere revocata con conversione del residuo nella pena detentiva sostituita ovvero nella semilibertà o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Le FFOO e l'U.E.P.E. segnaleranno immediatamente al giudice che ha applicato il lavoro di pubblica utilità ogni eventuale inadempimento agli obblighi o violazione delle prescrizioni. Incarica l'U. e le F.F.O.O. territorialmente competenti per la verifica dell'esecuzione e dei controlli. Manda alla cancelleria per la comunicazione della presente sentenza all'U. e all'ente presso cui l'imputato dovrà svolgere il lavoro. Così deciso in Vicenza il 12 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VICENZA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Francesca Grassi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4462/2019 promossa da: Rp. S.R.L. UNIPERSONALE (P.IVA (...)), con il patrocinio dell'avv. BE.TE. e dell'avv. CO.MA., elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori ATTORE contro Co. S.R.L. (P.IVA (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.GI., elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore avv. MA.GI. CONVENUTO Oggetto: compravendita di cose mobili - opposizione a decreto ingiuntivo n. 1395/2019 del 3.5.2019 del Tribunale di Vicenza. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Lo svolgimento del processo è omesso ai sensi dell'art. 132 c.p.c. come novellato dalla L. n. 69 del 2009. Va premesso che la causa è stata assegnata a questo giudice con provvedimento del Presidente del Tribunale prot. n. (...) del 21.9.2021. Ciò posto, va sinteticamente evidenziato quanto segue in punto di fatto. Con atto di citazione ritualmente notificato in data 21.6.2019, Rp. s.r.l. Unipersonale (di seguito, in breve, anche solo "Rp.") spiegava opposizione al decreto ingiuntivo n. 1395/2019, già provvisoriamente esecutivo, emesso in data 3.5.2019 dal Tribunale di Vicenza con il quale le veniva ingiunto il pagamento di Euro 36.497,63 oltre interessi, spese della procedura ed accessori, a favore di Co. s.r.l. (di seguito, in breve, anche solo "Nu.") a titolo di corrispettivo per la fornitura di alcune partite di pellame industriale, del tipo color bianco e color biscotto, oggetto delle emesse fatture n. (...) del 25.01.2019, n. (...) del 18.03.2019, n. (...) del 25.03.2019 e n. (...) del 29.03.2019. Preliminarmente, l'attrice opponente chiedeva inaudita altera parte la sospensione ex art. 649 c.p.c. della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, nonché chiedeva di revocarlo o comunque di dichiararlo inefficace per non essere la somma ingiunta dovuta. Sempre nel merito, Rp. chiedeva, in effetti, di accertare e dichiarare la risoluzione dei contratti di fornitura di pellame per cui è causa, in ragione dei difetti riscontrati sulla merce acquistata da Nu.. Con vittoria di spese e compensi di causa. In fatto ed in diritto, Rp. esponeva di aver acquistato dalla società opposta due partite di pellame da vitello ad uso industriale per fodera di colore bianco e di colore biscotto da rivendere poi al cliente finale, nonché proprio committente, Fa. S.p.A. di C.M., dedita all'attività di produzione di calzature in pelle, in conformità agli standard di qualità e caratteristiche da quest'ultima appositamente richiesto. R. riceveva così da Nu. la campionatura del pellame di colore bianco, oggetto della fattura n. (...) del 25.1.2019 di Euro 1.808,33, regolarmente pagata. La riscontrata conformità del campione agli standard di qualità del cliente finale portava l'attrice opponente a confermare alla convenuta opposta l'ordine e fornitura dell'intera partita color bianco. Medio tempore, l'attrice aveva ricevuto anche la campionatura relativa alla partita di pellame color biscotto, oggetto della fattura n. (...) del 18.3.2019 di Euro 1.825,50, altresì regolarmente onorata. Seguiva in data 26.3.2019 la consegna presso il magazzino di Fa. s.r.l. in A. (V.) dell'intera partita di pellame color bianco da parte di Nu., con contestuale emissione della fattura n. (...) del 25.3.2019, di importo pari ad Euro 17.171,05. L'opponente esaminava in loco immediatamente la merce, riscontrando tuttavia la presenza di un grave vizio o difetto di soffiatura, a fronte del quale il cliente finale Fa. S.p.A. rifiutava l'acquisto. L'esistenza di tali vizi veniva confermata anche dal perito di parte dott. L., ragione per la quale Rp. procedeva a denunciarne formalmente l'esistenza a Nu. sia verbalmente che per iscritto in data 2.4.2019. Ciononostante, la convenuta opposta provvedeva ad emettere la fattura n. (...) del 29.3.2019 di Euro 17.501,08 relativa alla seconda partita di pellame, mai consegnata, di color biscotto: a fronte della mancata consegna della merce, nessuna somma doveva reputarsi dovuta alla società convenuta. Sulla base di tali premesse, Rp. contestava, quindi, l'esistenza del credito avversario, nonché la valenza probatoria dei documenti dimessi in sede monitoria da Nu. dati dalla fattura n. (...) del 6.3.2019 concernente la sola campionatura della fornitura color biscotto, comunque già onorata, e dal contratto di fornitura sottoscritto in data 7.3.2019, riguardante sempre la merce oggetto di campionatura e non la partita di merce poi fornita, comunque recante data antecedente all'effettiva consegna del pellame e per ciò solo inidoneo a costituire qualsivoglia riconoscimento di debito. L'attrice opponente allegava, altresì, che nonostante la tempestiva denuncia dei vizi relativi alla prima partita di pelle e la contestuale intimazione dell'opposta al ritiro della medesima, C. non aveva dato riscontro alcuno, azionando, per contro, in sede monitoria le fatture oggetto del presente giudizio. Con comparsa di risposta depositata in data 12.12.2019, si costituiva in giudizio Nu. eccependo innanzitutto la prescrizione e la decadenza della garanzia vizi dedotta dalla società opponente e chiedendo così il rigetto della opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, ribadendo espressamente la richiesta di condannare Rp. al pagamento della somma di Euro 36.497,63 oltre interessi, rivalutazione ed eventuale maggior danno. Con vittoria di spese e compensi di causa. In fatto ed in diritto, la convenuta opposta contestava la fondatezza delle deduzioni avversarie, negando la sussistenza dei vizi in relazione alle partite di pelle consegnate, dichiarando di non essere mai stata notiziata riguardo alla destinazione finale della fornitura presso il cliente finale. Nu. contestava, poi, la valenza probatoria delle perizie di parte dimesse in giudizio da Rp. evidenziando, di contro, l'inadempimento di quest'ultima all'obbligo di corrispondere il pagamento del prezzo - in particolare, della prima metà delle somme di entrambe le fatture n. (...) del 25.3.2019 e n. (...) del 29.3.2019 - da ben prima il giorno 2.4.2019, ovverossia da ben prima che venisse contestata la presenza di vizi e difetti sulla prima fornitura di pellame (color bianco). Con riguardo, invece, alla seconda partita di merce (color biscotto), Nu. ribadiva l'inadempimento di Rp. al pagamento del prezzo, pur non avendo avanzato contestazione di vizi. Sul punto, chiedeva, pertanto, l'emissione di ordinanza ingiunzione ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c. in relazione alla somma di Euro 17.501,08, oltre interessi moratori e spese legali. La opposizione è fondata. Va preliminarmente precisato che il diritto di credito pari ad Euro 36.497,63 (in somma capitale) per cui Nu. ha agito in via monitoria riguarda l'asserito mancato pagamento da parte di Rp. delle seguenti tre fatture: (i) n. (...) del 18.3.2019, relativa alla fornitura di campionatura di pelle color biscotto (cfr. doc. 4 Nu.), (ii) n. (...) del 25.3.2019, relativa alla fornitura di pelle color bianco (cfr. doc. 5 Nu.) e (iii) n. (...) del 29.3.2019, relativa alla fornitura di pelle color biscotto (cfr. doc. 6 Nu.). Tuttavia, la fattura n. (...) del 18.3.2019 di Euro 1.808,33 è stata pagata da Rp. in data 30.4.2019 (cfr. doc. 2 R.) mentre la fattura n. (...) del 29.3.2019 di Euro 17.501,08 è stata oggetto di una nota di accredito da parte di Nu. in favore di Rp. in corso di causa, con conseguente rinuncia alle relative pretese di credito (cfr. doc. 10 R.). In relazione ad entrambe le forniture va allora dichiarata cessata la materia del contendere, per essere in concreto venuta meno la ragione di contrasto tra le parti. Il thema decidendum va dunque rimodulato in relazione al solo diritto di credito vantato in via monitoria da Nu. relativamente al corrispettivo della fattura n. (...) del 25.3.2019 di Euro 17.171,05, asseritamente dovuto a fronte della fornitura della (prima) partita di pellame color bianco, effettivamente consegnata in data 26.3.2019 come da ddt n. 358 (cfr. doc. 3 R.). Rispetto a detto rapporto contrattuale, Rp. domanda tuttavia la risoluzione contrattuale in via riconvenzionale, per essere presente sulla merce vizi redibitori ex art. 1490 c.c. (del tipo soffiatura) tali da renderla inidonea all'uso cui è destinata, e dunque non più commerciabile, segnatamente non rivendibile all'acquirente e cliente finale Fa. S.p.A. per la produzione di calzature in pellame. La domanda è fondata e va accolta. Anzitutto, va respinta la eccezione di decadenza e prescrizione sollevata dalla convenuta opposta, posto che è stato provato documentalmente che la fornitura di pellame color bianco di cui si controverte è stata consegnata in data 26.3.2019 (cfr. doc. 3 R.) e che la denuncia vizi risale al 2.4.2019 (cfr. doc. 5 R.). Il termine di otto giorni posto a pena di decadenza per la garanzia vizi ex art. 1495 c.c. è stato dunque ossequiato. L'azione nemmeno si è prescritta, atteso che tra la consegna della merce in questione (in data 26.3.2019) e la notifica dell'atto di citazione in opposizione (in data 21.6.2019) è intercorso un periodo di tempo inferiore all'anno. Ciò posto, nel caso di specie la sussistenza dei vizi redibitori censurati è risultata provata in corso di causa. In primo luogo, va precisato che il richiamo operato da Nu. alla disciplina della vendita su campione (art. 1522 c.c.) è inconferente perché esso fa specifico riferimento ai casi in cui viene dedotta la mancanza di qualità della merce (art. 1497 c.c.) rispetto al campione esaminato mentre nel caso di specie il vizio di soffiatura contestato concerne la fase di produzione e fabbricazione della merce stessa, dunque ricade nell'ambito definitorio del vizio redibitorio di cui all'art. 1490 c.c. (cfr. Tribunale Pistoia sez. I, 03/10/2023, n.755: "I c.d. 'vizi redibitori' sono quelli che legittimano l'azione ex art. 1490 e seg. c.c. e si identificano non solo in quelli che comportano una diminuzione apprezzabile del valore della cosa, ma anche in quelli tali da rendere la cosa inidonea all'uso cui è destinata. In altri termini se la cosa presenta imperfezioni concernenti il processo di produzione, oppure di fabbricazione e di formazione che la rendono inidonea all'uso al quale è destinata, opera la garanzia, salvo se il vizio è facilmente riconoscibile"). Risulta poi anche irrilevante la dichiarazione firmata per accettazione da Rp. versata in atti da Nu. avente ad oggetto la conferma di vendita (e acquisto) della merce, e con espressa rinuncia all'azione di garanzia, dopo l'esame del campione consegnato color bianco (cfr. doc. 1 Nu.), atteso che - a tutto voler concedere - detta dichiarazione riguardava espressamente la fornitura relativa alla sola campionatura color bianco di cui alla fattura n. (...) del 25.1.2019, fattura che tuttavia è stata debitamente saldata e non è oggetto di questo giudizio. Da tutto quanto precede, ne discende che il rimedio contrattuale dell'azione redibitoria invocato dall'acquirente Rp. (art. 1492 c.c.), siccome per l'appunto legato alla sussistenza dei vizi sulla cosa compravenduta, a differenza dell'ordinario rimedio della risoluzione contrattuale per inadempimento di non scarsa importanza (art. 1453 c.c.), prescinde dall'accertamento dell'imputabilità e colpa dell'alienante Nu. nella causazione dei vizi e prescinde dall'accertamento della volontà dei contraenti, evidentemente anche con riferimento alla destinazione finale della cosa compravenduta, perché è rimedio posto a solo presidio e conservazione dell'equilibrio sinallagmatico del contratto (cfr. Cassazione civile sez. II, 16/12/2019, n.33149: "Mentre la garanzia per vizi di cui all'art. 1490 c.c. ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore, l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente; inoltre, poiché nell'ipotesi di cui all'art. 1497 c.c. assume rilievo decisivo il ruolo della volontà negoziale, l'indagine che il giudice deve compiere al riguardo ha necessariamente ad oggetto un elemento fattuale diverso ed estraneo rispetto alla fattispecie relativa alla presenza di un vizio o difetto che rendono la cosa venduta inidonea all'uso al quale è "normalmente" destinata"). Tanto premesso, va allora evidenziato che nel caso di specie la consulenza tecnica d'ufficio realizzata dal perito C.B. ha accertato la sussistenza del vizio della soffiatura sul pellame color bianco oggetto della fattura n. (...) del 25.3.2019, come lamentato dall'attrice opponente, rassegnando conclusioni che vanno correttamente interpretate e considerate come segue. L'ausiliario ha indubbiamente e positivamente riscontrato la presenza del vizio in questione sulla fornitura di cui sopra, benché solo in parte della stessa (quota parte del 36% del totale), circostanza quest'ultima tuttavia ininfluente al fine del decidere, dovendosi intendere la fornitura come unica al fine di individuare l'oggetto del rapporto contrattuale di cui alla fattura n. (...) citata, con la conseguenza che la domanda di risoluzione del contratto proposta da Rp. ex art. 1492 c.c. va riferita all'intera prestazione dedotta (di consegna di tutta la merce di cui alla fattura n. (...)) e non solo a parte di essa (cfr. relazione peritale B., p. 11: "...Sul pellame visionato si ritiene di indicare la presenza di difetto da "soffiatura""). Sulla scorta della considerazione che immediatamente precede, va allora deciso se, nel caso di specie, il vizio accertato era tale da rendere la merce inidonea all'uso cui era destinata, a prescindere dalla volontà negoziale delle parti formatasi o meno in tal senso, per le ragioni già esposte. Deve darsi risposta affermativa. Il consulente tecnico d'ufficio, in effetti, evidenzia che il pellame oggetto della indicata fornitura, siccome affetta dal vizio di soffiatura, presenta la possibilità di scarto, vale a dire di inutilizzabilità assoluta, ovverossia per qualsivoglia uso o destinazione, in concreto, fino al 40% (cfr. relazione peritale B., p. 11 e ss.: "...Questo sicuramento non comporta l'impossibilità di utilizzo in toto del pellame ma un maggior scarto in fase di lavorazione. Scarto che si ritiene possa variare tra il 20% ed il 40% della pelle "difettosa""). Non solo. Sebbene quanto precede basti per ciò solo a ritenere accertato che la fornitura sia allora inidonea a qualsivoglia utilizzo cui in astratto poteva ritenersi destinata, va evidenziato che anche la destinazione che in concreto tale pelle avrebbe avuto, ovverossia segnatamente per la produzione di calzature (nello specifico, presso Fa. S.p.A.), è altresì risultata compromessa dal quadro probatorio di causa. Va dato rilievo, in tal senso, alla testimonianza assunta di A.C., responsabile del controllo qualità di Fa. S.p.A., attendibile e credibile in ragione delle mansioni ricoperte, il quale ha dichiarato di aver personalmente visionato le pelli di cui alla fattura n. (...) presso il deposito di Fa. s.r.l. e di averne constatato - in buona sostanza - una loro obiettiva inadeguatezza, alla luce della presenza dello specifico vizio della soffiatura, per la produzione industriale di calzature (cfr. verbale d'udienza del 14.4.2021, testimone A.C.: "11) Vero che lei riscontrava difformità tra il lotto di pellame "color bianco" consegnato da Co. con d.d.t. 358 del 26/03/2019 e la campionatura fornita con d.d.t. 42 del 14/01/2019? Si confermo. Ho effettuato il controllo qualità presso la sede di F., per conto dell'azienda Fa. spa, ho poi evidenziato a Rp. Letahers il problema. Mi è stato riferito da D.G. responsabile di Rp. che il pellame proveniva da Co.. 12) Vero che le difformità di cui al punto precedente consistevano in una differenza di colore e di stampa (cfr doc. 6 fascicolo Rp.)? No, la difformità consisteva in una "soffiatura" che era presente in tutte le scelte di pellame, si tratta di un vizio ingestibile per le calzature"). La circostanza risulta confortata anche a livello documentale dalla missiva versata in atti con cui Rp. documenta che il particolare vizio riscontrato avrebbe reso obiettivamente inidonee le pelli all'assemblaggio delle scarpe prodotte da Fa. S.p.A., ragione per la quale quest'ultima si è opposta all'acquisto (cfr. doc. 4 R.). L'azione redibitoria spiegata in via riconvenzionale è allora fondata e va accolta e il contratto di fornitura merci (pelli color bianco) relativo alla fattura n. (...) del 25.3.2019 va dichiarato risolto. Ne consegue la integrale revoca del decreto ingiuntivo opposto n. 1395/2019 del 3.5.2019. Le spese di lite vanno compensate per un terzo, atteso che la convenuta opposta ha comunque provveduto - ancorché in corso di causa - ad emettere la nota di accredito relativa alla fattura n. (...) del 29.3.2019 relativa a somma pari ad oltre Euro 17.000,00, con ciò sostanzialmente rimodulando di sua sponte alla pretesa creditoria (e alle ragioni di contrasto) per quasi l'intera metà della materia del contendere (considerato l'importo portato dal decreto ingiuntivo opposto). La restante parte (di 2/3) va invece posta a carico della convenuta opposta, in virtù del principio della soccombenza, secondo parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, scaglione delle cause pari al valore del decreto ingiuntivo opposto, con importi medi per tutte le fasi, non sussistendo in concreto ragioni per discostarsene. Anche le spese di c.t.u. vanno allora definitivamente poste a carico di Nu.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa che reca numero 4462/2019, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. ACCOGLIE la spiegata opposizione di Rp. s.r.l. Unipersonale per le ragioni di cui in motivazione. 2. DICHIARA la cessata materia del contendere relativamente al diritto di credito azionato in via monitoria da Co. s.r.l. nei confronti di Rp. s.r.l. Unipersonale relativamente alle fatture nn. (...) del 18.3.2019 e (...) del 29.3.2019. 3. DICHIARA la risoluzione ex art. 1492 c.c. del contratto di fornitura di pelli color bianco oggetto della fattura n. (...) del 25.3.2019 concluso tra Rp. s.r.l. Unipersonale e Co. s.r.l.. 4. REVOCA il decreto ingiuntivo n. 1395/2019 emesso dal Tribunale di Vicenza in data 3.5.2019. 5. CONDANNA Co. s.r.l. al pagamento di 2/3 delle spese di lite in favore di Rp. s.r.l. Unipersonale, che qui di seguito vengono quantificate per l'intero: Euro 7.616,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali ed Euro 286,00 per anticipazioni. Infine, Iva e Cassa professionale come per legge. 6. DICHIARA la compensazione delle spese di lite tra le parti per la restante quota parte di 1/3 della somma quantificata per intero al punto che immediatamente precede. 7. PONE in via definitiva le spese della consulenza tecnica d'ufficio a carico di Co. s.r.l.. 8. SI PUBBLICHI. Così deciso in Vicenza il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Vicenza il giudice dott.ssa Stefania Caparello ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 5368/2021 tra le parti: ATTORE Mo. SRL, cf (...) - difesa: avv. BE.AN., cf (...) - domicilio: presso il difensore CONVENUTO Gc. SRL, cf (...) - difesa: avv. ZA.PA., cf (...) - domicilio: presso il difensore OGGETTO: Vendita di cose mobili FATTO E PROCESSO Con atto di citazione ritualmente depositato, Mo. S.r.l. - sul presupposto per cui in data 23.07.2021 le era stato notificato a mezzo p.e.c. il decreto ingiuntivo n. 1616/21 emesso dal Tribunale di Vicenza in data 21.07.2021, R.G. n. 3945/21, per la somma capitale di Euro 10.225,22; che il Decreto Ingiuntivo in questione origine dalla fattura emessa e non pagata n. (...) del 6 febbraio 2020, relativa a due forniture di frumento effettuate da Gc. srl a favore di parte opponente; che, in data 18.12.2018, le parti avevano concluso il contratto di compravendita n. 425 tramite il mediatore/broker Ce.Se. di Si.Ma. avente ad oggetto la compravendita di 480 tonnellate di grano tenero al prezzo concordato di Euro 201,00 per ton., da effettuarsi a consegne ripartite "in ragione di 60 TM per quindicina da settembre 2019 a dicembre 2019"; che tale contratto non era stato correttamente adempiuto dalla venditrice Gc. srl, la quale aveva effettuato l'ultima consegna in esecuzione a tale contratto solo in data 3.2.2020 e, quindi, con notevole ritardo rispetto al pattuito mese di dicembre 2019; che in data 1.10.2019 le parti avevano concluso altro contratto, n. 5277, tramite il mediatore/broker A.C. srl avente ad oggetto la compravendita di 660,00 Tonnellate di grano tenero al minor prezzo concordato di Euro 190,00 per ton, con consegne ripartite e segnatamente "60 TM nel mese di gennaio e 120 TM mese da febbraio a giugno 2020"; che la società Gc. srl era rimasta inadempiente alle obbligazioni così assunte; che l'unica consegna effettuata in esecuzione del secondo contratto era avvenuta in data 03.02.2020, e quindi in ritardo e per una quantità inferiore a quella prevista in contratto, ovverosia 24,20 tonnellate anziché le 60 pattuite; che Mo. srl aveva denunciato a Gc. srl l'inadempimento, una prima volta in data 27.2.2020, quando, contestualmente aveva, altresì, rilevato l'erronea contabilizzazione dei prezzi di cui alla fattura n. 202 del 6.2.2020 e la non debenza della relativa somma, a cui era seguita l'emissione di una nota di credito da parte della Gc. per Euro 276,85, e successivamente in data 25.03.2020 - ha instaurato l'odierno giudizio di opposizione chiedendo, la revoca del Decreto Ingiuntivo opposto e, in via riconvenzionale, accertato l'inadempimento di G., dichiararsi la risoluzione del contratto e condannare l'opposta al risarcimento dei danni quantificati in Euro 12.300,00. Si è costituita Gc. srl, contestando tutto quanto ex adverso dedotto ed in particolare la qualificazione dei contratti conclusi, trattandosi, a suo dire, di somministrazione anziché compravendite a consegne ripartite; ha chiesto accertarsi la debenza di quanto richiesto in sede monitoria, per non essere la stessa incorsa in alcun inadempimento dal momento che la sospensione della fornitura era legittimamente intervenuta a fronte dell'altrui inadempimento ex art. 1460 c.c.; ha chiesto altresì, in via subordinata lo stralcio della domanda riconvenzionale in quanto avrebbe dovuto essere devoluta in arbitrato, secondo clausola compromissoria contenuta nel contratto n. 5277 del 01.10.2019. All'esito dell'udienza del 09.02.2022 il G.I., sciogliendo la riserva assunta, ha rigettato la richiesta di p.e. del Decreto opposto e concesso i termini di cui alle memorie 183, sesto comma c.p.c. Con Provv. del 19 maggio 2022 la causa è stata riassegnata all'odierno giudicante, il quale - sentiti i testimoni ammessi - ha trattenuto la causa in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente vanno disattese le istanze istruttorie rinnovate dalle parti nel foglio di precisazione delle conclusioni dovendosi intendere la causa sufficientemente istruita. Ancora in rito, va disattesa la richiesta di parte opposta in merito alla separazione della domanda riconvenzionale svolta da parte opponente in quanto la stessa sarebbe di competenza del Collegio Arbitrale, posto che la clausola compromissoria deve avere forma scritta ed essere specificatamente approvata con la sottoscrizione di entrambe le parti (cfr. Corte Appello Venezia 1289/2023), circostanza che nel caso di specie non sussiste. Né è possibile provare per testi la sussistenza di un accordo sul punto. Nel merito, l'opposizione è fondata per quanto di ragione e in tale misura può essere accolta. Come noto, l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, che si atteggia quale attore da un punto di vista sostanziale. Ne consegue che la regola di ripartizione dell'onere della prova, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2967 c.c., si atteggia in modo tale per cui la prova del fatto costitutivo del credito incombe sul creditore opposto che fa valere un diritto in giudizio ed ha quindi il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa mentre il debitore opponente da parte sua dovrà fornire la prova degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto del credito (cfr. ex multiis, Cassazione civile, sez. I, 31 maggio 2007, n. 12765; Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005 n. 24815; Cassazione civile, sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2421). Ora G., attore in senso sostanziale, ha prodotto le le lettere di vettura che attestano l'avvenuta consegna di un certo quantitativo di merce in data 03.02.2020. Mo. ha, invece, allegato due modelli contrattuali n. 425 del 18.12.2018 e n. 5277 del 01.01.2019, predisposti da un intermediario ed entrambi mancanti di sottoscrizione tanto del venditore che dell'acquirente. È fuori di dubbio, tuttavia, che i termini contrattuali di cui ai documenti sopra richiamati con i numeri 425 e 5277 ritraggano gli accordi intercorsi tra le parti, posto che pacificamente le stesse discutono della debenza del prezzo ivi pattuito e dei termini di consegna ivi indicati. D'altra parte, lo scambio di email prodotto da parte opponente (doc. 4) richiama appunto i contratti di cui sopra (si veda mail del 27.02.2020 inviata da A.R. per Gc. in cui si legge: "effettivamente la fattura in questione è totalmente (ed erroneamente) appoggiata sul ctto 425 quindi se per voi va bene il seguente ritiro data 03.02.2020 ton. 24.20 cmr no. RVK030 lo spostiamo sul contratto 5277"). Ciò premesso, la fattispecie che viene in esame va quindi inquadrata nell'ambito del contratto di compravendita con consegna di merce ripartita nel tempo. Si esclude, infatti, la possibilità di attagliare la fattispecie al diverso contratto di somministrazione, nel quale le varie prestazioni sono sì concepite nel rapporto in funzione organica, ricollegate cioè le une alle altre come sviluppo di un rapporto unitario, ma non al punto da doversi considerare come momenti esecutivi di una prestazione unica, come tale originariamente individuata e globalmente dedotta in contratto; ed infatti le prestazioni, dovendosi adattare quantitativamente ed anche qualitativamente, ai bisogni del somministrato, restano nella loro entità generalmente indefinite e relativamente autonome. Diversamente nella vendita a consegne ripartite l'oggettivazione è unica, prestabilita, e, soltanto l'esecuzione è ripartita, sia pure a periodi fissi. Ciò premesso, come noto, in materia contrattuale, viene in rilievo il principio giurisprudenziale per cui: "il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa" (Sez Un. N. 13533/2001), "ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui come nella specie il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando in tal caso invertiti i ruoli delle parti in lite poiché il debitore eccipiente può limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento e il creditore agente è tenuto a dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione" (Cass. n. 23272/2022). Parte attrice lamenta l'inadempimento di Gc. srl, la quale non solo avrebbe consegnato l'ultima partita di grano relativa al contratto 425 in ritardo, ma con riferimento al contratto 5277 avrebbe consegnato solo un quantitativo minimo. Sul punto, parte convenuta eccepisce di non aver adempiuto al contratto, atteso il mancato pagamento della fattura (...) azionata in sede di d.i. qui impugnato. Ora, nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito (Cass. civ. n. 13627/2017). Ed ancora, qualora una delle parti adduca a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto del rapporto di causalità e proporzionalità esistente tra le prestazioni inadempiute e della incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (Cass. n. 12978/2002). Ciò posto, per quanto riguarda il primo contratto intercorso tra le parti, n. 425 del 2019, questo prevedeva la consegna di 480 tonnellate di cereali mediante 8 consegne di 60 tonnellate l'una ogni 15 giorni, da settembre a dicembre 2019 al costo di Euro210,00 per tonnellata. Parte opponente, con il proprio atto introduttivo, ha eccepito unicamente il ritardo dell'ultima consegna prevista per dicembre 2019, avvenuta il 3 febbraio 2020. Già sotto questo punto di vista non pare potersi assumere il grave inadempimento di G., tenuto conto che l'ultima consegna è stata svolta con un solo mese di ritardo e che nello scambio di email prodotto dalla stessa parte opponente, non vi è traccia di eccezioni in tal senso. Sempre con riguardo a tale consegna, non è invece esaminabile l'eccezione svolta da parte opponente circa il fatto che Gc. avrebbe consegnato solo 23,80 tm anziché 60 essendo stata tale contestazione svolta per la prima volta solo in comparsa conclusionale e quindi tardivamente. D'altra parte i testi escussi hanno dedotto che l'ultima consegna relativa al contratto 425 è stata fatta il 3/2/2020 e solo genericamente hanno affermato che sarebbe stato consegnato un quantitativo inferiore rispetto a quanto dovuto. Relativamente, pertanto a questo primo contratto, l'eccezione di inadempimento sollevata da parte opponente non è accoglibile e, quindi, il quantum richiesto da Gc. è dovuto. Venendo poi al secondo contratto, nel documento prodotto si prevedeva la consegna di 660 tonnellate di grano ripartite in 6 consegne di 120 tonnellate ciascuna, da gennaio a giugno 2020 al prezzo concordato di Euro 190,00 per tonnellata. In esecuzione a tale contratto, è stata eseguita da parte di Gc. un'unica consegna in data 03.02.2020 di 24,20 tonnellate a fronte della quale è stata emessa la fattura in questione. Mo. reagisce all'avversa pretesa creditoria eccependo l'intervenuto inadempimento di Gc. per aver consegnato solo una parte del quantitativo pattuito e, peraltro, in ritardo. In realtà, sempre dallo scambio di email di cui sopra si evince chiaramente che Gc. ha chiesto a più riprese il pagamento della fattura (...) del 6/2/2020 e che Mo. con email del 14/1/2021 ha risposto di non voler pagare in quanto non sarebbero state consegnate le restanti 635,80 tonnellate. Come è agevole notare, la mancata consegna delle 635,80 tonnellate da parte Gc. srl costituisce legittima reazione al mancato pagamento da parte di Mo. della fattura per cui oggi è causa e che era scaduta da ben 10 mesi. D'altra parte, è principio costante quello per cui "Nella vendita a consegne ripartite, ed ove la prestazione sia economicamente scindibile, l'eccezione d'inadempimento, ex art. 1460 c.c., può paralizzare la richiesta della controprestazione relativa alla parte della prestazione non eseguita, ma non quella riguardante la porzione di prestazione già eseguita, che non sia stata restituita né offerta in restituzione." (Cassazione civile sez. II, 11/04/2017, n.9311). Ciò premesso, con riguardo alla domanda riconvenzionale di danni svolta da parte opponente, tenuto conto che la stessa non è accoglibile posto che il contratto deve intendersi risolto per inadempimento di Mo., resta fermo il fatto che la stessa risulta altresì destituita di fondamento attesa la mancanza di nesso di causa tra l'interruzione della fornitura e il maggior costo corrisposto per i nuovi approvvigionamenti. Ed, infatti, basta notare che il prezzo dei contratti siglati con gli altri fornitore risulta superiore a quello dei contratti per cui è causa ma è relativo a quantità di molto inferiori e pertanto non vi è alcuna possibilità di raffronto tra le compravendite in questione e quella con Gc. srl. Il Decreto Ingiuntivo andrà, pertanto, confermato nel minor importo di Euro9.757,07, per la somma capitale, cui vanno aggiunte le spese per l'estratto autentico notarile (Euro191,30). Totale dovuto: 9.948,37. Non sono dovute le spese stragiudiziali, in quanto non provate nella loro entità e comunque ampiamente assorbite dalla liquidazione di cui sotto. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate, a carico di parte opponente, nella misura di cui in dispositivo, sulla base del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, come da ultimo modificato, tenuto conto della natura della controversia e della sua complessità, con riferimento al valore della causa, parametro minimo per le fasi studio, introduttiva istruttoria e decisionale. Va disattesa la richiesta di condanna ex art. 96 cpc svolta da Gc. srl in quanto l'opposizione è stata in parte accolta. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: ACCOGLIE per quanto di ragione l'opposizione e per l'effetto REVOCA il d.i. 1616/2021 emesso da questo Tribunale il 21/7/2021; CONDANNA Mo. Srl a corrispondere a Gc. Srl Euro9948,37, oltre interessi di legge dalla domanda al saldo; CONDANNA Mo. Srl a corrispondere a Gc. Srl le spese di lite che si quantificano in Euro 2.540,00 oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge. RIGETTA la domanda di condanna ex art. 96 svolta dall'opposta avverso l'opponente. Così deciso in Vicenza il 3 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VICENZA SEZIONE SECONDA CIVILE in composizione monocratica in persona del Dott. Ludovico Rossi ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al N. 2845 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, riservata in decisione con provvedimento del 26 ottobre 2023 all'esito di udienza di p.c. sostituita ex art. 127 ter c.p.c., vertente tra: Ma.Ri. (C.F. (...)) e Ti.Ri. (C.F. (...)), anche quali eredi di Fr.Fa. (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'Avv. An.To. (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Malo (VI), Via (...), in virtù di procure allegate all'atto di citazione e alle note del 24.10.2023 - attori - contro Vi. S.p.a. (P. I. (...)), in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Fe.Da. (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Cadoneghe (PD), Piazzale (...), giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta -convenuta - e El.Sb. (C.F. (...)) e Gi.Se. (C.F. (...)) - convenuti, contumaci - OGGETTO: risarcimento danno da morte/perdita parentale RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, Fr.Fa., Ma. e Ti.Ri. convenivano Vi., El.Sb. e Gi.Se.. Premettendo di essere rispettivamente madre, figlio e sorella di Fa.Ri., deducevano che: - il 18.11.2018 alle 22.40 ca. Fa.Ri., nato a Vi. il (...), dopo aver trascorso la serata a casa della madre in C.V. (V.), via Z., 22, si metteva alla guida della propria Fiat Uno per rientrare a casa sua, sempre in C., via P., 22, dove abitava col figlio; - si immetteva quindi in via Z., giungendo all'intersezione con via B., ove si fermava allo stop per qualche secondo e, dopo aver verificato che non vi fossero altri veicoli, iniziava ad immettersi in via B. con direzione C.V.; quando era ormai immesso in via B., sopraggiungeva da dietro e a notevole velocità El.Sb., alla guida della BMW serie 1, tg. (...) di proprietà di Gi.Se., assicurata con Vi.; - stante la forte velocità (oltre 130 km/h, nonostante il limite fosse di 70 km/h, segnalato con cartello verticale - pure erano presenti altri cartelli per "strada deformata - 700 metri", "curva pericolosa a sinistra", "intersezione a T da sinistra" e "preavviso di semaforo verticale") Sb. non riusciva a fermare la marcia e tamponava la Fiat Uno nello spigolo posteriore destro: l'auto di Ri. veniva sbalzata sulla destra, fuoriuscendo dalla sede stradale e schiantandosi contro il tombinamento del tratto di scolo, all'altezza dei civici 127/a e b; Ri. decedeva, lasciando tra l'altro orfano il figlio Ma., allora ventenne, che aveva già perso la madre il 6.3.2000; il veicolo di Sb. trovava posizione di quiete a ca. 66 metri dal punto d'urto; - intervenivano i carabinieri Fa. e Da. che eseguivano i rilievi, anche fotografici, e automedica; il personale sanitario constatava il decesso del R.; a seguito dei rilievi, gli agenti sanzionavano lo Sb. per la violazione (i) dell'art. 149, co. 1 e 6 C.d.S, perché "non manteneva una distanza di sicurezza tale da evitare la collisione con il veicolo che lo precedeva ... tale da garantire in ogni caso l'arresto tempestivo ed evitare la collisione con altro veicolo" (ii) dell'art. 141, co. 3 e 8 perché "ometteva di regolare adeguatamente la velocità in un tratto di strada a visibilità limitata perché in ore notturne, in un tratto di strada curva ed in prossimità di intersezione semaforica ...", (iii) dell'art. 149, co. 1 e 5 C.d.S. poiché "non manteneva una distanza di sicurezza rispetto al veicolo che lo precedeva ... tale da garantire in ogni caso l'arresto tempestivo e ad evitare la collisione ...", (iv)per la violazione dell'art. 186, co. 2, C.d.S., in quanto "alla guida di veicolo a motore in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), rimaneva coinvolto nell'incidente stradale ..." circostanza questa emersa a seguito di ulteriori controlli sullo Sb., che riportava un tasso di alcolemia di 1,60 g/L e, nelle urine, un tasso di alcolemia di 1,70 g/L; - a carico di Sb. veniva quindi iscritto il procedimento penale n.r.g.n.r. 7599/2018, nel corso del quale la P.G. acquisiva anche le immagini video del sistema di sicurezza del C.Z., con sede in via B., 131/a, nell'arco orario 22.20/22.40, che ritraevano la Fiat di Ri. fermarsi allo STOP per poi ripartire e impegnare l'incrocio, in un momento in cui dal video non si vedeva altro veicolo proveniente da destra o sinistra; dal video poteva vedersi sopraggiungere la BMW, quando la Fiat aveva già impegnato via B., BMW che tentava senza buon esito di frenare; la dinamica del sinistro veniva poi confermata dal CT del PM, Ing. Sartori, che concludeva che il sinistro fosse da attribuire alla negligente condotta del sig. El.Sb. che circolava in uno stato psico-fisico alterato ad una velocità media di 139 km/h rispetto ad un limite imposto di 70 km/h, mentre nessuna colpa poteva essere attribuita al Ri., che a causa sia della conformazione curvilinea della strada, sia dell'ingombro verticale della recinzione di una proprietà privata (civico 134), non poteva avvistare il veicolo condotto da Sb.; - la dinamica veniva confermata anche dal CT attoreo, Ing. Pe., che peraltro precisava che alla data del sinistro era fortemente probabile l'appannamento del vetro parabolico posto all'incrocio, stante le condizioni meteo, e che, come il CT di parte, confermava fosse irrilevante nella causa della morte del Ri. il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza; - a seguito della morte di Fa.Ri. gli attori subivano un notevole turbamento nelle abitudini di vita e sconvolgimento delle esistenze, essendo il defunto una figura di riferimento: in particolare per Ma., che aveva perso la madre a ca. 2 anni, il padre era l'unico genitore con cui svolgeva tutte le attività familiari, ludiche e di svago, coltivando la passione per la motocicletta e svolgendo gite fuori porta, eseguendo lavori boschivi e di campagna; - anche la Fa. e Ti.Ri. rimasero sconvolte dalla morte di Fa. con cui il legame si era intensificato a seguito della morte della moglie, in particolare: (i) la Fa. aveva contribuito al menage familiare di figlio e nipote, costruendo un rapporto caratterizzato dalla condivisione quotidiana di numerosi aspetti, aiutando Fa. nella cura del figlio e nelle faccende domestiche, ancor più intensamente dopo la morte del marito della Fa., nel 2014: alla data del sinistro Fa. faceva visita alla madre con cadenza giornaliera, andandoci a giocare a carte molto spesso la sera e accompagnandola spesso fuori a cena e a pranzo; (ii) la sorella T. aveva un legame molto forte col fratello, con cui si frequentava almeno ogni due settimane e su cui faceva affidamento per piccoli lavori e giardinaggio; il rapporto si era molto intensificato quando T. fu assistita dal fratello, durante la convalescenza di sei mesi a seguito di patologia tumorale; - quanto a Ma., la perdita del padre aveva avuto pure delle conseguenze economiche: all'epoca della morte di Fa., Ma. stava ancora studiando e viveva col padre che si occupava di tutte le esigenze economiche della famiglia, grazie allo stipendio da impiegato percepito da Impresa V.V. S.r.l., per un netto mensile di Euro 1.671,88 per 14 mensilità che nella misura del 60% circa veniva interamente destinato al sostentamento familiare e al mantenimento del figlio; Ri. percepiva inoltre un reddito pensionistico per un totale annuo di ca. Euro 5.646,13 e ulteriore reddito lordo annuo di ca. Euro 9.000,00 derivante dalla locazione di un immobile di proprietà. Col suo stipendio Fa. riusciva a sostenere sé e il figlio, destinando a risparmio o svaghi le somme extra e facendosi interamente carico delle utenze domestiche e di riscaldamento, della spesa alimentare, spese per l'automobile e carburante, vestiario, spese mediche, testi scolastici, manutenzione della casa, tributi etc, provvedendo all'integrale sostentamento del figlio adolescente che era desideroso, dopo la scuola, di intraprendere gli studi universitari. Alla morte del padre Ma. si trovò a perdere la tranquillità economica, abbandonando il proprio stile di vita e l'idea di proseguire gli studi: originariamente, infatti, dopo aver completato l'istituto alberghiero Almerico da Schio, avrebbe voluto iscriversi ad un corso universitario in scienza dell'alimentazione, progetto abortito, posto che Ma. dopo la morte del padre intraprese un corso per giardiniere, per poi avviare ad inizio 2020 un'attività di manutentore del verde che ad ogni modo non lo aveva reso autonomo economicamente, avendo raggiunto un fatturato di soli Euro 5.578,00 per l'anno 2020 (mentre nel 2019 l'unico reddito era quello della locazione, peraltro risolta nel frattempo); - gli attori inviavano quindi una prima richiesta risarcitoria a Vi. con raccomandata del 22.11.2018, cui seguiva l'apertura del sinistro; concluse le indagini preliminari, seguiva il 27.9.2019 altra richiesta: Vi., ravvisando una quota di responsabilità del suo assicurato del 50% ulteriormente ridotta del 20% per il mancato utilizzo delle cinture da parte del Ri., offriva Euro 90.000,00 in favore di Ma., Euro 72.000,00 della Fa. ed Euro 12.000,00 di Ti.Ri., importi trattenuti dagli attori come acconto; seguiva l'invito alla stipula di negoziazione, disattesa dalla Compagnia e cui non rispondevano gli altri convenuti. In punto di diritto gli attori deducevano l'esclusiva responsabilità dello Sb. nella causazione del sinistro. Chiedevano quindi il risarcimento del danno (A) non patrimoniale, per perdita del rapporto parentale, quantificato sulla base delle tabelle milanesi allora vigenti nell'importo di Euro 336.500,00 per Ma., di Euro 336.500,00 per la Fa. e di Euro 146.120,00 per Ti.Ri. (somme lorde, da cui defalcarsi gli acconti); (B) patrimoniale, per il solo Ma.Ri. e in particolare del danno emergente (fino alla liquidazione giudiziale) e del lucro cessante (per il periodo successivo): ciò sull'assunto per cui per la morte del padre (che con il suo stipendio contribuiva a tutte le spese domestiche) l'attore si sarebbe trovato privato dell'utilità economica di cui beneficiava e di cui avrebbe continuato a beneficiare, in assenza del sinistro, per i successivi 10 anni, ipotizzandosi che Ma.Ri. avrebbe potuto raggiungere l'indipendenza economica all'età di 30 anni. Stimato il contributo di Fa.Ri. alle esigenze del figlio nella misura del 60% del proprio reddito da lavoro dipendente (in ragione delle spese documentate), per Euro 14.494,64 annui, l'attore stimava in Euro 35.028,52 il danno patrimoniale emergente al momento dell'introduzione della domanda ed in Euro 144.946,40 il lucro cessante (inteso come danno patrimoniale fino ai 30 anni del M.). Gli attori chiedevano altresì il ristoro delle spese funerarie e delle spese di consulenza, in favore di Ma.Ri.. Concludevano chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento dei predetti importi e alle spese, anche ex art. 96 c.p.c., stante l'ingiustificato diniego a partecipare alla negoziazione. 2. La prima udienza, indicata in citazione per il 29.9.2021, veniva differita ex art. 168 bis, co. 5 c.p.c. al 15.3.2022. Si costituiva Vi., con comparsa depositata il 10.3.2022; pur ammettendo che Sb. viaggiasse, in stato alcolico, a velocità eccedente il limite, deduceva la corresponsabilità di Fa.Ri. nella causazione del sinistro, in particolare (i) per le modalità con cui si sarebbe immesso in via B., nel senso che (a) non avrebbe concesso la precedenza allo Sb., verosimilmente per aver omesso di guardare nello specchio parabolico presente all'incrocio (pur conoscendo lo stato dei luoghi, trattandosi di incrocio posto al termine della strada ove abitava la madre e sapendo dunque che la visibilità dell'incrocio a destra - da dove cioè proveniva Sb. - era limitata da una curva, per cui si rendeva necessario guardare nello specchio); (b) anche a voler prescindere dallo specchio, Ri. avrebbe potuto avvedersi guardando a destra dell'avvicinarsi della BMW dello Sb., dotata di fari allo xeno molto luminosi di notte; (c) al momento dell'impatto Ri. stava ancora completando la svolta; (ii) per l'omesso uso delle cinture da parte di Ri., sbalzato fuori dal finestrino posteriore destro per effetto del sinistro: la Compagnia osservava che la circostanza avrebbe dovuto essere valorizzata ex art. 1227, co. 1 c.c. Sul quantum, in merito al danno non patrimoniale deduceva fosse onere degli attori provare sussistenza ed intensità del legame parentale. Quanto al patrimoniale, premesso che si sarebbe dovuto comunque scomputare quanto percepito dall'attore a titolo di pensione di reversibilità, di eredità paterna e di TFR del padre, osservava doversi tenere conto del reddito netto percepito da Fa.Ri. (scomputando tuttavia la quota che il defunto destinava a sé stesso: l'assicurazione contestava che la quota individuata dall'attore fosse sproporzionata) e che l'attore avrebbe verosimilmente raggiunto l'autosufficienza prima dei 30 anni. Vi. deduceva che nulla spettasse per il canone di locazione (che Ma. avrebbe comunque potuto percepire) e per le spese funerarie, non pagate dall'attore; contestava poi la voce per la spesa della perizia di parte. Osservando che fosse giustificata la scelta di non partecipare alla negoziazione, concludeva come in epigrafe. Pervenuto il giudizio allo scrivente Magistrato, all'udienza del 15.3.2022 veniva dichiarata la contumacia dei convenuti Sb. e S.; la causa veniva istruita con prove orali (estese, nel corso del procedimento, ad alcuni capitoli originariamente non ammessi, in ragione dell'intervenuta pubblicazione delle nuove tabelle del Tribunale di Milano); veniva altresì disposta CTU cinematica, nominandosi a tal fine l'Ing. Di Leva e si ordinava ex art. 213 c.p.c. all'INPS di chiarire a quanto ammontassero le somme erogate ed erogande a Ma.Ri.. L'Istituto depositava nota in data 21.9.2022, chiarendo che l'attore non aveva fatto domanda di pensione di reversibilità a seguito della morte del padre e che non gli erano stati riconosciuti importi a seguito del sinistro. Il 26.10.2022 il CTU prestava giuramento e venivano escussi i testi C. e C.; l'8.2.2023 venivano escussi i testi P. e il 28.3.2023 le signore Ma. e C.; a detta udienza, essendo stata nelle more depositata la relazione di CTU, il difensore di parte convenuta chiedeva chiamarsi a chiarimenti il CTU: per l'adempimento veniva fissata l'udienza del 2.5.2023, anche alla presenza dei CTP di parte. Resi i chiarimenti, a quest'ultima udienza la causa veniva rinviata per p.c. al 25.10.2023, sostituita ex art. 127 ter c.p.c. Nelle proprie note, gli attori davano atto del decesso, avvenuto il 18.9.2023, della Fa., cui erano succeduti, giusto testamento olografo, gli altri due attori, che si costituivano anche per la de cuius. Con Provv. del 26 ottobre 2023 la causa veniva trattenuta in decisione, con termini di legge per conclusionali e repliche. 3. Preliminarmente, è opportuno identificare e qualificare (ex artt. 112 e 113 c.p.c.) le domande. Gli attori hanno agito iure proprio per il ristoro del danno patrimoniale e non derivante dalla morte di Fa.Ri., in ragione dell'incidente stradale che ha visto coinvolto la vettura di questi e quella condotta dallo Sb.. Gli attori hanno quindi esercitato l'azione ex art. 2054 c.c. verso il responsabile civile (S. quale conducente, la Sb. quale proprietaria del mezzo) e l'azione verso l'assicuratore del responsabile civile, ex artt. 144-148 cod. ass. sicché era onere degli attori dimostrare l'esatta dinamica del sinistro, per superare la presunzione ex art. 2054, co. 2 c.c. 4. Per ricostruire la dinamica del sinistro in cui è morto Fa.Ri., gli attori hanno depositato la documentazione (fotografie, planimetrie, relazione di incidente stradale e rilievi) prodotta successivamente all'incidente (cfr. docc. 4-8.1 e 11-13), la perizia del CT del Pm, Ing. Sartori e del consulente di parte, Ing. Pe. (cfr. docc. 14-15). In corso di causa gli attori hanno anche depositato i file video dello stabilimento posto dinnanzi alla strada, acquisiti nel corso del procedimento penale. A fronte dei rilievi del CT di Vi., che ha contestato le conclusioni del CT del PM (che aveva sostanzialmente concluso per l'esclusiva responsabilità dello Sb., salvo la possibilità di ipotizzare una violazione dell'artt. 145, co. 1 e 5 e 154, co. 1 c.d.s. del defunto, cfr. doc. 14 attori, pag. 30), è stata quindi disposta CTU cinematica, volta a ricostruire la dinamica del sinistro, tenendo conto dei possibili profili di concorso del Ri. evidenziati dalla Compagnia (omessa precedenza allo S./mancato utilizzo delle cinture di sicurezza). Quanto a luogo e tempo del sinistro, ci si può riportare alla descrizione svolta dal CTU e alle fotografie riportate nell'elaborato (cfr. pagg. 4-8). L'incidente si è verificato il 18.11.2018 alle ore 22.35 ca., in Camisano Vicentino (Vi) in corrispondenza dell'intersezione tra via B. (strada provinciale con diritto di precedenza) e via Z. (strada laterale nel senso di marcia che si immette in via B.), intersezione a raso di tipo a "t" in corrispondenza della quale via B. presenta una carreggiata a due corsie, una per ogni senso di marcia; vi è segnaletica orizzontale continua di margine e linea di mezzeria che diventa discontinua in corrispondenza degli accessi alle proprietà private presenti lungo la strada e delle varie intersezioni. La BMW guidata da Sb. percorreva via B., con direzione P. Sul B.; il luogo del sinistro è preceduto a ca. 200 metri da una curva sinistrorsa ad ampio raggio. Via Z. (da dove proveniva R.) confluisce obliquamente sul lato sinistro di via B. ed è regolata da segnaletica orizzontale e verticale di stop; quaranta metri prima dell'incrocio, su via B., c'è il passo carraio dell'impresa Z., le cui tre telecamere hanno ripreso il sinistro. Sulla banchina erbosa destra di via B., dinnanzi a via Z., è installato uno specchio parabolico per facilitare e migliorare l'avvistamento dei veicoli sopravvenienti dalla curva sinistrorsa di via B. ai veicoli provenienti da via Z.. All'incrocio è presente un semaforo, spento la sera del sinistro. Seguendo il senso di marcia della BMW, su via Z. sono presenti i seguenti cartelli verticali: "limite di velocità 70 km/h", "strada deformata - 700 metri", "curva pericolosa a sinistra", "intersezione a t da sinistra" e "preavviso di semaforo verticale". In base ai rilievi svolti dagli operanti, la sera del sinistro l'illuminazione era sufficiente, il meteo sereno, l'asfalto asciutto; pacifico che Sb. presentasse un tasso alcolemico pari a 1,60 G/L. Presso i luoghi del sinistro erano presenti le vetture di Ri. e dello Sb., seguita da un'auto guidata da B.D.P., escusso a s.i.t. dagli agenti, il quale ha dichiarato che la vettura del Ri. avrebbe omesso di dare la precedenza alla BMW (cfr. relazione CTU, pag. 9): le dichiarazioni di costui sono tuttavia inattendibili, essendo emerso dall'esame dei video che egli non seguiva immediatamente la BMW (come dichiarato dal teste) ma era distanziato di ca. un minuto e mezzo dal mezzo dello Sb., sicché non poteva avere diretta percezione delle manovre del Ri. (cfr. relazione CTU, pag. 21, e doc. 14 attori, relazione CT Pm, Pag. 21) Il CTU ha poi descritto le condizioni delle vetture all'esito del sinistro e le posizioni di quiete: per la BMW, in corrispondenza della corsia di marcia opposta rispetto a quella percorsa, a 70 metri dal presunto punto d'urto, inclinata di ca. 40 gradi rispetto all'asse stradale a ridosso della parte finale del muro delimitante la proprietà confinante con la strada; per la Fiat, il muro destro della tombinatura di scolo al civico 127 sulla destra di via B. (cfr. pagg. 9-14). Il CTU ha quindi proceduto alla ricostruzione cinematica del sinistro, sulla base dei rilievi eseguiti dalle autorità, di un sopralluogo eseguito il 18.11.2022 nel contraddittorio con i CTP e delle riprese video. Tra i rilievi, oltre ai punti di quiete delle vetture su esposti, il CTU ha considerato la posizione del corpo esamine del Ri. (rinvenuto sul passo carraio di accesso al civico 127/B, con gli arti inferiori in prossimità dello scendente del veicolo) e il presunto punto d'urto, posto all'interno dell'intersezione al centro della corsia di via B. con direzione P. sul B.C.V., e il rilievo T, una traccia gommosa ad avviso del CTU prodotta durante il movimento post-urto della BMW, avente origine in prossimità del margine sinistro di via B., all'altezza del civico 126/128 e sviluppatasi per circa 42 metri fino alla posizione di quiete del veicolo (cfr. relazione, pag. 15). Ricostruito il cono visivo delle telecamere, il CTU ha riportato le sequenze più significative (cfr. pagg. 16 -21), illustrando le tempistiche che era possibile ricavarne e ha osservato che "dalle tempistiche sopra indicate emerge che il sig. Ri. ... si arrestava in corrispondenza della linea di stop presente su via Z. in immissione su via B. e, dopo aver atteso un tempo pari a circa 1.4 secondi senza che transitassero altri veicoli in tale lasso di tempo, iniziava la manovra di svolta a sinistra in direzione Camisano Vicentino." (cfr. pag. 21). Il CTU ha quindi chiarito che "l'impatto si concretizzava alla confluenza delle rispettive traiettorie, tra la parte centro-destra del frontale della bmw e la parte centro-destra del retrotreno della fiat uno. Tale punto di impatto, a parere di questo ctu, in relazione alla sua posizione trasversale rispetto alla carreggiata, è da localizzare all'interno della corsia di via B. avente direzione P. sul B. - C.V., in prossimità del rilievo z correttamente identificato dalle autorità come "presunto punto d'urto". Tuttavia, in relazione invece alla sua posizione longitudinale, a valle della ricostruzione effettuata, come indicato anche dal ct di parte convenuta nel corso delle operazioni peritali, tale punto d'urto va individuato in una posizione che è a monte rispetto a rilievo z di una distanza indicativa di circa 2 metri. Negli istanti immediatamente successivi al primo contatto, la bmw proseguiva la propria marcia in deviazione sinistrorsa, trovando la quiete all'interno della banchina erbosa posta oltre il margine sinistro di via brenta, dopo aver percorso complessivamente circa 70 metri. la fiat uno subiva invece una rototraslazione oraria di circa 270 percorrendo circa 20 metri prima di impattare violentemente contro il muro destro rappresentato dalla tombinatura del canale di scolo presente oltre il margine destro della carreggiata, ove trovava quindi la quiete. ... (cfr. relazione, pagg. 21-22). Il CTU ha quindi rappresentato graficamente l'impatto delle vetture, concludendo che lo scontro è avvenuto tra la parte anteriore destra della BMW e lo spigolo posteriore destro della Fiat, dunque in una fase in cui questa stava completando la manovra di immissione. Individuato più esattamente il punto d'urto e alla luce della posizione di quiete delle vetture e dell'esame dei video, il CTU ha stimato la velocità di arrivo all'urto dei veicoli in 22 km/h per la Fiat dello Sb. e 134 km/h medi per la BMW (con una approssimazione, data dal basso numero di fotogrammi dei video disponibili), accertando che la vettura dello Sb. arrivò all'impatto dopo aver esercitato una frenata della durata di 0,8 secondi (cfr. relazione, pagg. 22-24). Ricostruita dinamica del sinistro e velocità delle vetture, il CTU ha analizzato le condizioni di visibilità reciproca tra i mezzi coinvolti, in ragione egli spazi percorsi negli istanti precedenti l'impatto. Il CTU ha quindi concluso che al momento della ripartenza del Ri. dallo stop la BMW anticipasse di ca. 140 metri la zona d'urto sicché per i due conducenti non vi era possibilità di reciproco avvistamento da momento che non erano in diretta visibilità ottica. Il CTU ha poi dato atto delle prove svolte con i CTP, per verificare la visibilità sia all'intersezione, sia nel punto corrispondente allo stop. Escluso che volgendo lo sguardo a destra si potesse avvistare la BMW, il CTU ha osservato che "utilizzando lo specchio parabolico presente in loco la distanza di avvistamento arrivava a circa 160 metri. Pertanto, stante ciò, dall'intersezione a T sarebbe stato tecnicamente possibile l'avvistamento indiretto della vettura BMW grazie all'uso dello specchio parabolico attraverso il fascio luminoso proveniente dai proiettori del mezzo" (cfr. relazione CTU, pagg. 25-26). Il CTU formula tale conclusione in forma ipotetica, osservando che pur essendo lo specchio risultato appannato la sera delle operazioni peritali (18.11.2022, quindi stesso giorno e orario del sinistro, a distanza di quattro anni; il CTU, ha dato infatti atto che alle 22.30 delle operazioni vi era nebbia, ma che, riprese le operazioni alle 23 vi era piena visibilità e lo specchio risultava appannato, cfr. relazione CTU, pag. 4) non sarebbe possibile ricostruire con certezza le condizioni dello specchio la sera del sinistro (e dunque se lo stesso fosse appannato oppure no, posto che l'appannamento "ne avrebbe certamente compromesso in modo significativo l'utilità, riducendo così la distanza di avvistamento" (cfr. relazione CTU, pag. 26). Sulla base di questo assunto (ossia, che lo specchio non fosse appannato), il CTU ha formulato due ipotesi: a) Ri., giunto all'intersezione in questione provenendo da via Z., controllava visivamente la propria destra, senza fare uso dello specchio parabolico presente in loco e, non avvistando alcun mezzo, iniziava la manovra di immissione con svolta a sinistra; b. Ri. controllava effettivamente lo specchio e, pur vedendo la luce emessa dai proiettori della BMW in lontananza (a circa 140 metri), iniziava comunque la manovra di immissione con svolta a sinistra dal momento che non percepiva che la BMW stesse marciando ad una velocità pressoché doppia rispetto al limite vigente sul tratto di strada in questione. Sulla base di queste ipotesi, il CTU ha quindi ricostruito quando i due conducenti hanno avuto contezza della reciproca condizione di pericolo: per Sb., quando le vetture si vennero trovare a 111 m di distanza, ca. 2,9 secondi prima dell'urto, ma iniziava a frenare a 0,8 secondi prima dello scontro, procedendo passivamente per 2.1 secondi prima di azionare i freni; ciò, ad avviso dell'Ing. Di Leva, in ragione dello stato alcolico del convenuto. Per Ri. il CTU ha osservato che il solo specchio avrebbe potuto fornire informazioni in merito alla visibilità ma non alla velocità di marcia, sicché l'Ing. Di Leva ha osservato che il Ri. avrebbe potuto rendersi conto dell'immediata condizione di pericolo solo nel momento in cui vi fosse stata visibilità diretta tra i due conducenti (cfr. pag. 27). Il CTU ha quindi stimato la velocità prudenziale che avrebbe consentito a Sb. di evitare il sinistro (consentendogli una decelerazione in tempo utile), pari a 107 km/h (quindi superiore di 30 km/h al limite, ma inferiore di ca. 30 alla velocità effettivamente tenuta dal convenuto) (cfr. pag. 28). L'Ing. Di Leva ha poi osservato altresì, sulla base della posizione del corpo del Ri. e della riproduzione della sua fuoriuscita dal finestrino posteriore destra, che Ri. non fosse cinturato al momento della collisione (cfr. relazione CTU, pag. 34). Il CTU ha quindi analizzato la sussistenza o meno delle violazioni ipoteticamente contestabili al Ri. (artt. 145, co. 1 e 5 c.d.s. e 154 co. 1 c.d.s.); ritenuta, a suo avviso, l'insussistenza di violazioni al c.d.s. rilevanti sotto il profilo causale, il CTU ha concluso che "nel momento in cui il sig. Ri. ripartiva dalla segnaletica orizzontale di stop di via Z., la bmw anticipava di circa 140 metri la successiva zona d'urto. In tale circostanza, i due protagonisti non si erano in visibilità ottica diretta e, dunque, non potevano avvistarsi reciprocamente in via diretta. Ciò a causa sia della conformazione curvilinea della strada sia dell'ingombro verticale offerto dai civici presenti lungo la parte sinistra di via B. nel tratto in questione ..." e che "relativamente alla evitabilità del sinistro i calcoli hanno dimostrato che l'impatto non si sarebbe verificato qualora il sig. Sb. avesse tenuto una velocità entro il limite vigente in loco di 70 km/h ed avesse attuato un'azione frenante al termine del proprio intervallo psico-tecnico di reazione" (cfr. relazione di CTU, pagg. 49-50); in merito all'evitabilità del sinistro da parte della vittima e in particolare alla possibilità per Ri. di avvedersi dell'arrivo della vettura (cfr. quesito n. 3), il CTU ha quindi osservato che "riguardo tale aspetto del quesito peritale questo ctu a valle dell'attività svolta ritiene che ipotizzando il fatto di utilizzare lo specchio parabolico, fosse possibile percepire che, a notevole distanza (intendendo con ciò il riferimento ad una distanza certamente superiore ai 111 metri), ci fosse una vettura in avvicinamento dalla propria destra ma certamente non fosse possibile avere contezza della velocità a cui la stessa stava procedendo. stante ciò si ritiene plausibile pensare che sia possibile iniziare la manovra di immissione con svolta a sinistra. Inoltre, in relazione alla possibilità, una volta superato lo stop, di avvistare direttamente la vettura in arrivo e, quindi, di interrompere la manovra; ebbene, tenendo conto delle concrete modalità in cui è avvenuto il sinistro e supponendo di far compiere al sig. Ri. le manovre richieste dal c.d.s. come descritte a pag. 36 e seguenti della presente relazione, a meditato parere di questo ctu si ritiene che lo stesso non potesse essere in grado di interrompere detta manovra in virtù dell'analisi dei tempi a disposizione che vedono tale possibilità concretizzarsi realmente solo dopo un tempo pari a quello trascorso per giungere al punto d'urto e cioé circa 3.7 secondi" (cfr. pagg. 50-51). Tali conclusioni non sono state modificate dal CTU alla luce delle osservazioni delle parti, neppure dopo che l'Ing. Di Leva è stato chiamato a chiarimenti, su richiesta della difesa convenuta. Questo Giudice condivide le conclusioni del CTU, nel senso che non possa essere mosso alcun rimprovero al Ri. e che dunque non possa esserne ipotizzato alcun apporto, sotto il profilo causale, nel sinistro, seppur per ragioni in parte diverse da quelle rappresentate dal CTU. 4.1. Si concorda anzitutto con la ricostruzione del CTU in merito al rispetto da parte del Ri. del segnale di stop, alla velocità delle vetture al momento dell'impatto, alle modalità dell'impatto tra le due vetture. Tali aspetti non hanno formato oggetto di sostanziali rilievi da parte attrice. 4.1.1. Il CTP della convenuta ha invece contestato in parte la ricostruzione delle modalità dell'impatto, rilevando che in base alla posizione della traccia gommosa rilevata sull'asfalto, dal CTP riconducibile non allo pneumatico anteriore sinistro, ma destro della BMW, lo scontro tra le vetture sarebbe avvenuto più esattamente tra parte anteriore centro destra della BMW e posteriore centrale della Fiat, non spigolo destro (cfr. osservazioni CTP, pagg. 4-10; in particolare per la diversa ricostruzione dell'urto rispetto a quella a pag. 22 della CTU, cfr. pag. 7 delle osservazioni). A sostegno di tale ricostruzione il CTP Dinon riporta anche un fotogramma delle telecamere: tutto ciò porterebbe a dire che il punto di impatto (già arretrato dal CTU rispetto a quello stimato dagli operanti) potrebbe risultare ancora più retrostante, con conseguente differente ricostruzione sulla determinazione dei relativi tempi cinematici. Tali rilievi non sono condivisibili. Anzitutto, nelle osservazioni il CTP non ha meglio chiarito quale sarebbe l'effetto pratico di arretrare ulteriormente il punto d'impatto. L'argomento è stato sviluppato all'udienza del 2.5.2023, in cui il CTP ha chiarito che arretrando ulteriormente il punto d'impatto di altri due metri poterebbe dirsi che "R. abbia impiegato un tempo inferiore di 2 decimi di secondo per affrontare la manovra, con la conseguenza" che non avrebbe a maggior ragione tenuto una condotta prudente; in ultima analisi, comportando la ricostruzione del CTP una variazione delle tempistiche di appena due decimi di secondo, le considerazioni dell'Ing. Dinon parrebbero comunque non rilevanti nella valutazione globale del sinistro. I rilievi non sono comunque condivisibili, per le ragioni esposte dal CTU nella risposta alle osservazioni (cfr. pagg. 8-9), allegata alla relazione di CTU e ribadite all'udienza del 2.5.2023, vale a dire (i) il frammento d'immagine evidenziato dal CTP non è concludente per determinare l'esatta posizione delle vetture al momento dell'impatto; (ii) dalle stesse immagini emerge che dopo l'impatto la BMW non tenne un moto rettilineo, cosa che avrebbe dovuto fare dando per valida la diversa ricostruzione del CTP Dinon; (iii) la ricostruzione del CTU, per cui l'impatto è avvenuto con lo spigolo posteriore destro della Fiat, è compatibile con i danni riportati dalla Fiat; (iv) le tracce gommose riscontrate sono maggiormente compatibili con la ricostruzione del CTU, posto che diversamente si sarebbe dovuta riscontrare una sovrapposizione tra tracce gommose. 4.1.2. Il CTP della convenuta formula poi una ipotesi, su cui basa molti dei rilievi in punto visibilità tra vetture, vale a dire che Ri. si sia fermato allo stop al margine della linea orizzontale di stop verso via Z. e non verso via B. (posizione dal CTP indicata come non ottimale, nel senso che Ri. per avere una migliore visuale avrebbe dovuto portarsi 1,2/1,5 metri in avanti - quindi esattamente sulla linea, cfr. osservazioni pag. 12 e figura n. 11). Sulla base di questo assunto (vale a dire che al momento della ripartenza Ri. fosse 1,2/1,5 metri indietro) e considerata la velocità delle vetture (su cui invece il CTP concorda con l'Ing. Di Leva), il CTP in punto avvistabilità tra le vetture osserva che quando il Ri. stava oltrepassando col muso la linea di margine, tra i due veicoli vi era una distanza relativa di ca. 80 metri (cfr. osservazioni, pag. 14), sicché in quel momento Ri. avrebbe potuto (e dovuto) guardare alla propria destra, il che gli avrebbe consentito di vedere la BMW ed anche di fermare la Fiat, evitando l'impatto (cfr. osservazioni, pagg. 15-16). Anche tali osservazioni non sono condivisibili. Come rilevato dal CTU, sono confutate dal video (cfr. doc. 47 attoreo) in cui al fotogramma delle ore 21.53.13 (l'orario risulta anticipato rispetto a quello effettivo del sinistro perché le telecamere dell'impresa Z. non erano sincronizzate) si può vedere l'auto del Ri. fermarsi in posizione avanzata (e dunque quella ritenuta ottimale dal CTP). Peraltro, come correttamente rilevato dal CTU, deve più che ragionevolmente ritenersi che Ri., che ben conosceva la strada (ove viveva la madre), consapevole del ridotto cono visivo in ragione della curva di via B., si sia fermato allo stop nella posizione quanto più avanzata possibile, per avere piena visibilità sulla destra. Dall'erroneità della ricostruzione del CTP sulla posizione di fermata della Fiat deriva, a cascata, l'incongruenza di buona parte della ricostruzione del CTP di Vi. (basata, almeno in parte, sull'assunto che la vettura di Ri. fosse in una posizione meno avanzata rispetto a quanto ricostruito dal CTU: e in tal senso deve ritenersi infondato l'ulteriore assunto della convenuta per cui Ri. potesse avere una visione diretta - e quindi, anche senza avvalersi dello specchio parabolico - dei fari della BMW, nel momento in cui si trovava sullo stop, cfr. osservazioni, pagg. 18-20; considerazioni queste richiamate dalla difesa della convenuta in conclusionale, pagg. 6-7). 4.2. Essendo condivisibile la ricostruzione del CTU sulla posizione e velocità dei veicoli al momento dell'urto e negli istanti che lo hanno preceduto, sulla scorta dell'analisi dell'Ing. Di Leva può dunque darsi per assodato che (i) Ri. si sia fermato allo stop; (ii) Sb. marciasse a ca. 134 km/h, a una velocità pari quindi quasi al doppio del limite sul tratto di strada (70 km/h), peraltro in un tratto che presentava una curva con visuale cieca, non a caso ampiamente segnalata. In questo contesto, la difesa di Vi. afferma che la corresponsabilità del Ri. potrebbe derivare da una sua negligenza, non avendo questi verificato, guardando a destra e nello specchio parabolico, che vi fossero vetture provenienti da via B.. Va sul punto anzitutto osservato che a specifica domanda del difensore della convenuta, il CTU, all'udienza del 2.5.2023, ha chiarito che nell'intervallo di tempo in cui Ri. risulta essere rimasto fermo allo stop (1,4 secondi; dato pacifico, emergente dai video) la vittima aveva tempo sufficiente per guardare alla sua destra e nello specchio. Come già chiarito, tuttavia, in quel momento, stante la velocità dello Sb., dalla visione diretta a destra Ri. non avrebbe comunque potuto accorgersi dell'arrivo della BMW, posto che non avrebbe neanche potuto cogliere la luce dei fari sulla curva. 4.2.1. Ciò chiarito, CTU prima e parti poi (e in particolare convenuta) si sono concentrati sull'asserito rilievo della condotta del Ri., sull'assunto che egli o non abbia guardato nello specchio o che, pur avendo guardato, vi abbia visto riflesse le luci dell'auto dello Sb. e nonostante questo abbia deciso di proseguire la marcia. In merito il CTU ha rilevato (e il punto non ha formato oggetto di osservazioni) che il tempo in cui Ri. era fermo allo stop gli avrebbe consentito - anche - di guardare nello specchio. La difesa attorea ha sin dall'atto introduttivo dedotto che la notte del sinistro lo specchio fosse appannato, il che avrebbe impedito, pur guardando nello specchio parabolico, di intravedere sulla curva le luci della BMW. Vi. ha contestato tale ricostruzione, osservando, da ultimo in conclusionale (cfr. pagg. 3-4) che non vi sarebbe prova che lo specchio fosse appannato e che anche se così fosse stato Ri. avrebbe dovuto immettersi con maggior prudenza; la difesa convenuta osserva peraltro che, anche se appannato, lo specchio consentisse di vedere le luci provenienti dalla destra, come sarebbe emerso nel corso delle operazioni peritali (pag. 4). Va in effetti osservato che CTU e CTP si sono recati sul luogo del sinistro, in data coincidente con quella del sinistro (18 novembre 2022). In tale occasione lo specchio era appannato; il CTU osservando che ciò non implicasse "certamente" che, al momento del sinistro lo specchio fosse effettivamente appannato (cfr. relazione di CTU, pag. 26), ha svolto quindi tutta una serie di considerazioni, sull'assunto ipotetico che Ri. non avesse guardato nello specchio o guardando e vedendovi la luce della BMW abbia deciso comunque di affrontare l'incrocio, non potendosi rappresentare l'esatta velocità dell'auto del convenuto. Non si condivide appieno tale passaggio della CTU. L'Ing. Di Leva parte dall'assunto, come visto, che nel giudizio debbano essere acquisiti dati certi (o prossimi alla certezza). Tali considerazioni, senz'altro valide nel giudizio penale (e ciò, probabilmente, ha indotto il CT del PM a suggerire all'inquirente di vagliare anche il possibile rilievo di condotte imprudenti del R.) non lo sono nel presente giudizio, in cui l'onere probatorio è sottoposto al diverso criterio del "più probabile che non". In questo contesto, va osservato che dalla documentazione fotografica della notte del sinistro non è dato comprendere quali fossero le esatte condizioni dello specchio (l'unica foto che lo ritrae, cfr. doc. 8.1. attoreo, pag. 5 del file, non consente di dirlo esattamente). Tuttavia, alla luce delle verifiche svolte dal CTU (che ha svolto l'accesso sui luoghi di causa in una serata dalle condizioni assolutamente similari a quelle in cui si è svolto il sinistro) e considerato che in quel periodo dell'anno i luoghi di causa sono normalmente soggetti a forte umidità (circostanza questa pure documentata dal CTP di parte attorea, nella relazione ante causam, cfr. doc. 15, pagg. 17 ss. e riportata nelle osservazioni alla CTU, pag. 4, per cui in base ai dati storici l'umidità il giorno del sinistro era pari al 90% con una escursione di 10 gradi tra giorno e notte), può per l'appunto ritenersi più che probabile che lo specchio fosse appannato o comunque non garantisse la piena visibilità. Non vale a smentire tale conclusione l'osservazione svolta in memoria di replica da Vi. (cfr. pag. 3) per cui il fatto che lo specchio fosse appannato dovrebbe essere escluso dalla circostanza che le telecamere hanno ben ripreso il sinistro (non essendo dunque appannate): le lenti delle telecamere hanno infatti una consistenza diversa dal materiale dello specchio, sicché la circostanza che non fossero appannate non esclude che invece lo specchio lo fosse. Ciò chiarito, se le condizioni dello specchio erano quelle esaminate dall'Ing. Di Leva, diversamente da quanto sostenuto da Vi. in conclusionale, si deve escludere che Fa.Ri. potesse avvedersi tramite esso delle luci della BMW: nella fotografia dello specchio, ritratto nella posizione da cui avrebbe potuto guardarlo il Ri. e prima che i tecnici provassero ad eliminare l'appannamento (cfr. relazione CTU, pag. 6, fig. 5) lo specchio non consentiva affatto di ampliare il cono visivo: lo specchio riflette una luce arancione, verosimilmente dei fari di illuminazione pubblica posti lungo la strada (pacificamente di quel colore, cfr. doc. 8.1. ma anche le fotografie allegate alla relazione di CTU), quindi deve più che ragionevolmente escludersi che osservando nello specchio Ri. potesse vedere le luci della BMW sopravveniente, peraltro non direttamente, ma come riflesso sugli edifici e asfalto posti al termine della curva. Né si può affermare che, stante l'appannamento dello specchio, Ri. avrebbe dovuto immettersi con maggior prudenza: prima di guardare nello specchio, la vittima aveva più che verosimilmente già guardato alla sua destra, non vedendo alcunché - ciò per la velocità d'approccio dello Sb.. In ultima analisi, ritiene questo Giudice che Ri. abbia posto in essere tutti gli accorgimenti del caso per immettersi in via B.: si è fermato allo stop, ha guardato sia a sinistra che a destra, dando anche uno sguardo nello specchio - più che probabilmente appannato, il che gli impedì di cogliere i fari della BMW sulla curva - e, avendo riscontrato che la strada era libera, ha iniziato ad immettersi, non potendosi rappresentare l'arrivo del convenuto (che, non a caso, stava marciando ad una velocità quasi pari al doppio del consentito, in un punto peraltro in cui vi era una curva). Unico responsabile del sinistro è dunque lo Sb.. 4.2.2. È quindi per mera ipotesi che si può osservare che le conclusioni non cambiano anche laddove dovesse aderirsi - ma così non è - alla diversa ricostruzione, per cui Ri. guardò nello specchio, vide le luci della BMW ma decise comunque di affrontare l'incrocio. Va osservato che non è anzitutto dato comprendere quando Ri. avrebbe potuto avvedersi delle luci nello specchio: in base alla prospettiva del CTP convenuto ciò sarebbe potuto accadere quando Ri. aveva già iniziato la manovra di immissione e quindi dopo che avrebbe già dovuto guardare nello specchio. La posizione del CTU è invece più sfumata, ritenendo l'Ing. Di Leva che Ri. avrebbe potuto intravedere il fascio di luci nello specchio al momento della ripartenza. Se così fosse e in adesione alla prospettazione del CTU, la condotta di Ri. non potrebbe comunque dirsi in alcun modo imprudente. Va sul punto osservato che la circostanza che il CT del PM abbia ipotizzato la violazione, da parte del Ri., dell'artt. 145, co. 1 e 5 o 154 co. 1 c.d.s. in sé per sé non rileva, posto che "In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, ai fini dell'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti, idonea a determinare il superamento della presunzione ex art. 2054, comma 2, c.c., non è sufficiente la prova relativa all'avvenuta infrazione al codice della strada essendo, altresì, necessaria la dimostrazione della sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento integrante detta violazione e l'evento dannoso, posto che la presunzione in parola opera sul piano della causalità, sicché la violazione amministrativa deve aver avuto un'incidenza causale per aver rilievo in termini di responsabilità civile." (Cass. Sez. III, ord. n. 8311 del 23/3/2023; cfr. in tal senso, Cass. n. 19115/2020). Le disposizioni di cui il CT del PM ha ipotizzato la violazione introducono delle fattispecie aperte, posto che la "massima prudenza" di cui all'art. 145, co. 1 va chiaramente vagliata caso per caso, a seconda delle condizioni della strada; analogo discorso per la necessità di chi voglia immettersi di "assicurarsi di potere effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada ..." (art. 154, co. 1, lett. a). Ciò chiarito, di per sé sicuramente non è ravvisabile la violazione dell'art. 145, co. 5 c.d.s, posto che Ri. si fermò allo stop. Si deve poi ritenere che, anche laddove Ri. avesse potuto vedere il fascio di luce dell'auto nello specchio, la sua condotta non potrebbe dirsi imprudente. Va considerato, come correttamente evidenziato dal CTU, che l'asserita percezione del fascio di luce non avrebbe comunque consentito al Ri. di ricostruire la velocità della vettura proveniente dalla curva; anzi, in tal caso era più verosimile prospettarsi che l'auto emettente il fascio di luce stesse rispettando il limite di velocità o, che pur violandolo, l'auto in arrivo, stante la distanza tra curva e intersezione fosse comunque in grado di adottare ogni misura di sicurezza (il CTU ha infatti chiarito che a parità di condizioni e dunque con i tempi di frenata riscontrati, Sb. avrebbe potuto evitare il sinistro marciando anche fino a 104 km/h, quindi di oltre 30 km/h sopra al limite, cfr. CTU, pag. 28). In altri termini, anche a voler ipotizzare che Ri. vide il fascio di luce, non poteva ragionevolmente supporre che l'auto che lo emetteva, che peraltro doveva percorrere una curva, stesse marciando ad una velocità superiore di oltre 60 km/h al consentito. La scelta della vittima di affrontare l'incrocio dovrebbe dunque dirsi sufficientemente prudente, ex art. 145, co. 1 c.d.s. e in linea con l'art. 154, co. 1 lett. a) non potendo Ri. prospettare di creare pericolo alla vettura interveniente. In questo contesto, dunque, anche a voler ritenere che Ri. potesse avvedersi del fascio di luce grazie allo specchio parabolico (cosa che, come su chiarito, deve comunque escludersi) non può ravvisarsi una condotta di guida imprudente o pericolosa da parte della vittima ed in ogni caso incidente eziologicamente sul sinistro. 4.3. Per le ragioni su esposte, deve dunque concludersi che il sinistro sia esclusivamente riconducibile alla condotta dello Sb. per (i) aver marciato ad oltre 60 km/h sopra al limite, peraltro in un tratto di strada curvo, con poca visibilità (problematiche segnalate ampiamente dalla cartellonistica veriticale); (ii) sotto l'effetto di sostanze alcoliche, il che ha anche contribuito, per le ragioni meglio chiarite dal CTU, a ritardare la frenata, con un ritardo di 2.1 secondi rispetto all'intervallo psicotecnico di reazione (è appena il caso di evidenziare che laddove Sb. avesse frenato in tempo, l'urto avrebbe o potuto essere evitato o comunque si sarebbe verificato verosimilmente con modalità diverse da quelle che hanno condotto alla morte di R.). 4.4. Vi. ha eccepito che Ri. non indossasse le cinture di sicurezza, deducendo che la circostanza rileverebbe ex art. 1227, co. 1 c.c. (nel senso che il mancato utilizzo delle cinture potrebbe rilevare ai sensi di tale disposizione e non dell'interruzione del nesso di causa cfr. Cass. Sez. III, ord. n. 11095 del 10/6/2020; Cass. Sez. III, ord. n. 8443 del 27/3/2019). È stato dunque chiesto al CTU di verificare se la vittima indossasse le cinture di sicurezza e se il loro utilizzo avrebbe potuto impedire o meno il decesso. Il CTU, con argomentazione pienamente condivisibile, ha escluso che Ri. indossasse la cintura (sia per la posizione in cui la cintura fu ritrovata, sia per le modalità in cui il corpo della vittima fuoriuscì dalla vettura, cfr. relazione, pagg. 33-34). L'Ing. Di Leva ha però poi concluso che anche ove Ri. fosse stato cinturato, l'elevatissima intensità dell'impatto (data in particolare dalla velocità della vettura dello S.) avrebbe comunque comportato delle fortissime decelerazioni degli organi interni della vittima, ciò perché "... mentre le parti rigide del corpo (le ossa) si fermano improvvisamente, gli altri organi, a causa della loro inerzia, continuano a muoversi ancora per un po' all'interno del corpo nella stessa direzione, venendo schiacciati verso la superficie di impatto. Questi movimenti o compressioni interne sono i fenomeni che, nel caso del cervello, ad esempio, possono portare ad un trauma cranico molto più grave rispetto a eventuali ferite o fratture ..." (cfr. relazione CTU, pag. 45). Il CTU ha quindi osservato che in "considerazione del livello di accelerazioni rilevate come sopra e del relativo tempo di esposizione (nell'ordine di circa 0.05 secondi per picco legati prima all'impatto tra le vetture e poi a quello successivo avvenuto contro la tombinatura del canale di scolo) è possibile stimare che ci si attesta su valori prossimi all'area individuata quale esposizione che può causare lesioni gravi" (cfr. relazione CTU, pag. 46). Il CTU ha poi osservato che "dall'analisi delle immagini raffiguranti lo spazio interno della fiat uno che si è venuto a ridurre in maniera significativa a causa degli urti subiti ed, in particolare, focalizzando l'attenzione sul posto di guida che sarebbe stato quello occupato dal sig. Ri. nell'ipotesi in cui fosse stato cinturato a meditato parere di questo ctu è possibile ritenere con ogni probabilità che l'incolumità del conducente sarebbe stata comunque compromessa dalle medesime lamiere del veicolo ...". Il CTU ha quindi concluso che "sulla scorta di quanto sopra riportato, tenuto conto delle accelerazioni sviluppate nel sinistro e delle condizioni del mezzo a valle dell'impatto occorso a meditato parere di questo ctu si ritiene che, sebbene nel caso in cui il conducente della fiat uno fosse stato cinturato al momento dell'impatto ciò non avrebbe ragionevolmente causato l'espulsione lo stesso all'esterno del veicolo tale condizione tuttavia però non sarebbe stata in grado di garantire la sua incolumità giacché l'impatto avrebbe causato comunque delle gravi lesioni a quest'ultimo, potenzialmente anche mortali" (cfr. relazione CTU, pag. 47). Si condividono pienamente le conclusioni dell'Ing. Di Leva; la difesa di Vi. in merito si è limitata ad osservare, sulla scorta delle osservazioni del CTP, che il mancato utilizzo della cintura di sicurezza è stato certamente propedeutico alle lesioni risultate poi mortali per il Ri., posto che egli colpì violentemente le parti interne dell'abitacolo del veicolo durante la sua rotazione (cfr. conclusionale, pag. 8). Tali rilievi non colgono il punto. È pacifico che Ri. sia deceduto per gli urti subiti durante la rotazione del mezzo, connessi al mancato utilizzo delle cinture (e, purtroppo, le fotografie allegate alla relazione di incidente, cfr. doc. 8.1. attoreo, lo dimostrano). In questa sede va tuttavia osservato che, in base alle conclusioni del CTU, anche se avesse indossato le cinture, Ri. avrebbe subito lesioni gravissime, potenzialmente mortali (questo vuoi per l'accelerazione/decelerazione cui sarebbero comunque stati soggetti gli organi, in particolare il cervello, con conseguente rischio di traumi/lesioni interne; vuoi perché le lamiere e i frammenti del parabrezza avrebbero comunque più che probabilmente impattato in ogni caso sul corpo del conducente - e a dimostrazione di ciò, basti guardare le fotografie a pagg. 47-48 della relazione di CTU). Non si può dire con assoluta certezza o con un margine prossimo alla certezza che Ri. non sarebbe deceduto se non avesse indossato le cinture; può però dirsi che è altamente probabile che sarebbe morto lo stesso e tanto basta in base ai criteri applicabili nel presente giudizio. È appena il caso di evidenziare che il diverso grado di certezza che distingue il giudizio civile da quello penale consente di superare l'ulteriore eccezione della difesa di Vi., secondo cui allo Sb., nel secondo grado del processo penale sarebbe stata applicata la circostanza attenuante di cui all'art. 589, bis co. 7 c.p. (cfr. doc. 4 convenuta). Al di là della circostanza che Vi. ha prodotto il solo dispositivo della sentenza d'appello, sicché non è possibile comprendere quale sia stato il ragionamento per il riconoscimento dell'attenuante, può verosimilmente ritenersi che essa sia stata riconosciuta in ragione del diverso criterio di valutazione delle prove operante in sede penale, per cui l'asserito concorso colposo della vittima nel dubbio, vada valutato pro reo. Peraltro detto precedente non avrebbe alcun rilievo nel valutare il preteso concorso colposo del Ri., posto che "Nei rapporti tra giudizio penale e civile, l'efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651 c.p.p., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l'accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima" (Cass. Sez. III, sent. n. 1665 del 29/1/2016). 4.5. In conclusione, deve ritenersi che il sinistro sia riconducibile esclusivamente alla condotta dello S.; anche la morte di Fa.Ri. è unicamente riconducibile al convenuto, essendo stato dimostrato che anche l'utilizzo delle cinture non avrebbe potuto, con un sufficiente grado di probabilità, evitare il decesso. 5. Tanto premesso in punto an, si possono esaminare le richieste risarcitorie, partendo da quelle concernenti il danno non patrimoniale da perdita del legame parentale. 5.1. Quanto alla quantificazione del danno, gli attori, in citazione, hanno fatto riferimento alle tabelle previste dal Tribunale di Milano, nella versione del 2021. Dette tabelle - integranti in ultima analisi uno strumento d'ausilio nella liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. - non sono state ritenute idonee dalla più recente giurisprudenza di legittimità, non consentendo una sufficiente valutazione delle circostanze del caso concreto: "In tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella." (Cass. Sez. III, sent. n. 10579 del 21/4/2021; in senso conforme, cfr. Cass. Sez. III, ord. n. 26300 del 29/9/2021). Nel giugno del 2022 il Tribunale di Milano, per ovviare alle censure della S.C. ha quindi adottato delle nuove tabelle per liquidare tale tipologia di danno, ispirandosi alle tabelle romane. Al momento non constano precedenti di legittimità che si siano pronunciati in casi in cui si è fatta diretta applicazione di dette tabelle. La S.C., nel definire distinti procedimenti, ha tuttavia avuto modo di chiarire che le nuove tabelle, per come strutturate, sono un valido criterio per la liquidazione del tipo di danno: "Le tabelle di Milano pubblicate nel giugno del 2022 costituiscono idoneo criterio per la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto fondate su un sistema "a punto variabile" (il cui valore base è stato ricavato muovendo da quelli previsti dalla precedente formulazione "a forbice") che prevede l'attribuzione dei punti in funzione dei cinque parametri corrispondenti all'età della vittima primaria e secondaria, alla convivenza tra le stesse, alla sopravvivenza di altri congiunti e alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta, ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di discostarsene procedendo a una valutazione equitativa "pura", purché sorretta da adeguata motivazione." (Cass. Sez. III, ord. n. 37009 del 16/12/2022). Ciò chiarito, si farà applicazione delle tabelle milanesi del 2022 di cui, coerentemente all'evoluzione giurisprudenziale, gli attori hanno chiesto l'applicazione in conclusionale: esse, in linea con le indicazioni degli ermellini, sono strutturate secondo un sistema a punti, il cui valore base (diverso per il caso di perdita di genitore/figlio/coniuge o assimilati e per quella di fratelli/nipoti) è stato determinato sulla base dei precedenti valori a forbice. Viene prevista la possibilità di attribuire fino a un massimo di 118 (per genitore/figlio/coniuge o assimilati) e 116 punti (per fratelli/nipoti), ciò sulla scorta di cinque parametri (a) età della vittima primaria; (b) età della vittima secondaria; (c) convivenza o meno tra i due; (d) sopravvivenza di altri congiunti (e) qualità/intensità della relazione affettiva perduta, i primi quattro di natura oggettiva (quindi dimostrabili anche tramite presunzioni semplici), il quinto di natura soggettiva (presupponendo dunque una prova più specifica dell'intensità del legame parentale: in particolare, quali elementi da valorizzare le tabelle indicano (i) l'intensità delle frequentazioni o contatti; (ii) la condivisione di festività, ricorrenze; (iii) la condivisione di attività lavorativa, hobby o sport; (iv) l'assistenza sanitaria/domestica; (v) l'agonia, penosità, particolare durata della vittima primaria e il suo impatto sulla vittima secondaria); detti parametri consentono in maniera adeguata di risarcire sia gli aspetti dinamico relazionali, sia la sofferenza interiore, integranti il danno da perdita parentale, purché gli stessi siano congruamente allegati e provati. 5.1.1. Ciò premesso, iniziando l'esame dalla posizione di Ma.Ri. (nato il (...), 20 anni al momento della morte del padre), in ragione dell'età di Fa.Ri. al momento della morte (49 anni, essendo nato il (...), deceduto il 18.11.2018), per il parametro (a) vanno riconosciuti 20 punti, per il parametro (b) 26; i due pacificamente - ma la circostanza è stata dimostrata anche in sede di prove orali - erano conviventi, sicché per il parametro (c) vanno riconosciuti 16 punti; per il parametro (d) poiché Ma. era figlio unico, già orfano della madre e non sussistevano dunque altri congiunti del nucleo primario in vita (non rilevando, in tal senso, la presenza della nonna e della zia), vanno riconosciuti 16 punti. Quanto al parametro sub. e) le prove orali (in particolare i testi Ma., collega, poi compagna e quindi amica di Fa.Ri. e S.C., amica di Ma. già dal 2016, escusse il 28.3.2023) hanno confermato la sussistenza di un intensissimo rapporto tra padre e Figlio, anche legato al fatto che Fa. era l'unico genitore del figlio dopo la morte della madre, mancata nel 2000. La teste Ma. ha ad esempio confermato che Fa. era molto attivo nella vita educativa e scolastica del figlio, andava ai colloqui degli insegnanti ed era un modello per il figlio, che si iscrisse al liceo alberghiero seguendo l'esempio del padre. La teste ha confermato che padre e figlio consumavano insieme i pasti e coltivavano insieme varie passioni, come la motocicletta e le passeggiate in montagna, oltre che alle attività di giardinaggio e boschive (sfalcio e taglio delle piante). La presenza del padre nella vita scolastica di Ma. è stata confermata anche dalla C., che ha altresì confermato che il padre preparava per lo più tutti i pasti del figlio, che i due trascorrevano le vacanze e coltivavano varie passioni insieme (la motocicletta, ma anche il giardinaggio e le attività boschive, intesa come potatura e taglio delle piante). Stante l'intensissimo rapporto tra padre e figlio, devono dunque essere riconosciuti 30 punti, il massimo previsto dalle tabelle meneghine. Moltiplicando i 108 punti riconosciuti (20 + 26 + 16 + 16+ 30) per il valore del punto previsto dalla tabella per la perdita di genitore, figlio, coniuge e figure assimilate (Euro 3.365,00), a ristoro del danno non patrimoniale da perdita parentale a Ma.Ri. dovranno essere riconosciuti Euro 363.420,00 (sussistono nel caso di specie le circostanze eccezionali per superare il totale monetario di Euro 336.500,00, indicato come limite ordinario dalle tabelle, cfr. pag. 8 delle stesse, in ragione dell'intensissimo rapporto parentale tra padre e figlio e dal fatto che questi era già orfano di madre dall'età di due anni). 5.1.2. Quanto alla posizione della Fa. (nata il 24.9.1946, 72 anni al momento della morte del figlio), in ragione dell'età di Fa.Ri. al momento della morte, per il parametro (a) vanno riconosciuti 20 punti, per il parametro (b) 12. I due pacificamente non erano conviventi, né abitavano nello stesso stabile o in abitazioni confinanti sicché diversamente da quanto sostenuto in conclusionale dagli attori (che hanno chiesto riconoscersi 8 punti, essendo emerso che Fa. frequentava intensamente la casa della madre, cfr. pag. 23) per il parametro c) non si riconosce alcun punto; per il parametro (d) poiché al momento della morte del figlio, nel nucleo familiare primario della Fa. residuava la sola figlia Ti.Ri., vanno riconosciuti 14 punti. Quanto al parametro sub. e) le prove orali (in particolare le testi C. e C., vicine e amica e abituali frequentatrici, specialmente la seconda, dell'abitazione della Fa., sentite il 26.10.2022) hanno confermato la sussistenza di un intenso legame tra madre e figlio, connesso al fatto che la Fa. fu molto presente per aiutare il figlio nella cura del nipote Ma., in particolare dalla morte della madre di quest'ultimo, occorsa nel 2000. Dalle testimonianze è quindi emerso che la Fa. e Fa.Ri. avessero una frequentazione pressoché giornaliera (non a caso, il defunto stava tornando dall'abitazione della madre, la notte dell'incidente), da cui può desumersi anche che festeggiassero sempre le festività insieme. La teste Ma. ha poi confermato che figlio e nipote fossero soliti trascorrere le vacanze estive con la madre, passando due settimane in montagna (B.1.7). Le testi C. e C. hanno poi confermato che, dalla morte del marito, la Fa. veniva assistita dal figlio in molte incombenze quotidiane, accompagnandola alle visite mediche, in banca etc. Anche se le testi (in particolare la C.) hanno osservato che la madre era autosufficiente e non è emersa la condivisione di hobby/passioni condivisi (salvo il gioco delle carte), può dirsi dimostrato che il legame tra la Fa. e il figlio fosse molto intenso. Stante l'intenso rapporto tra madre e figlio, ma considerato che la Fa. poteva comunque contare (anche per le faccende quotidiane) anche sulla figlia devono dunque essere riconosciuti 25 punti, Moltiplicando i 71 punti riconosciuti (20 + 12 + 14+ 25) per il valore del punto previsto dalla tabella per la perdita di genitore, figlio, coniuge e figure assimilate (Euro 3.365,00), a ristoro del danno non patrimoniale da perdita parentale a Ma.Ri. dovranno essere riconosciuti Euro 238.915,00. 5.1.3. Quanto alla posizione di Ti.Ri. (nata il 5.1.1973, 45 anni al momento della morte del fratello), in ragione dell'età di Fa.Ri. al momento della morte e applicandosi la diversa tabella per la liquidazione del danno da perdita di fratello/nipote, per il parametro (a) vanno riconosciuti 14 punti, per il parametro (b) 14. I due pacificamente non erano conviventi, né abitavano nello stesso stabile o in abitazioni confinanti sicché per il parametro c) non si riconosce alcun punto; per il parametro (d) poiché al momento della morte del figlio, nel nucleo familiare primario della Fa. residuava la sola madre, vanno riconosciuti 14 punti. Quanto al parametro sub. e) le prove orali (in particolare le testi P. e T., vicina - la prima - e amiche dell'attrice e specialmente la seconda anche frequentatrice dell'abitazione della Fa., sentite l'8.2.2023) hanno confermato la sussistenza di un legame stabile tra i fratelli: si vedevano e frequentavano in media una volta ogni quindici giorni, di solito a casa della madre ma talvolta anche di T.; la P., che da vicina aveva un contatto più frequente con la Ri., ha confermato che Ri. ogni tanto, di solito quando la sorella era fuori per vacanze e viaggi, era solito dare una mano alla sorella per lavori di giardinaggio. La sola P. ha confermato che Fa.Ri. fu molto vicino alla sorella, nella convalescenza per una malattia tumorale. In ragione di questo legame stabile e delle frequentazioni costanti e bisettimanali (da cui può desumersi altresì che i fratelli trascorressero, insieme alla madre, le feste insieme), del limitato apporto del fratello alle faccende domestiche della sorella, in assenza di dimostrazione di condivisione di vacanze, hobby etc ma valutata la particolare vicinanza morale del fratello in occasione della malattia, pare congruo riconoscere 15 punti. Moltiplicando i 57 punti riconosciuti (14 + 14 + 14+ 15) per il valore del punto previsto dalla tabella per la perdita di fratello/nipote (Euro 1.461,20), a ristoro del danno non patrimoniale da perdita parentale a Ma.Ri. dovranno essere riconosciuti Euro 83.288,40. 5.2. Sono stati richiesti anche gli interessi e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data del fatto. Quanto alla domanda diretta all'applicazione della rivalutazione, l'obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisce debito di valore da liquidarsi tenendo conto dell'esigenza di reintegrare il patrimonio del creditore di una somma che equivalga al danno suo tempo subito. In merito alla quantificazione degli interessi, la questione deve essere valutata alla luce dell'orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza, a Sezioni Unite, n. 1712 del 17.2.1995. Il reclamato danno da ritardo, va, pertanto, determinato equitativamente ex art. 2056 co. 1 c.c., secondo il richiamato insegnamento della S.C., col metodo seguente: - a base di calcolo va assunta non la somma sopra liquidata (cioè espressa in moneta attuale), ma una somma calcolata sulla sorte capitale svalutata all'epoca in cui è sorto il credito e via via rivalutata anno per anno, il tutto secondo gli indici Istat; - su tale importo va applicato, in assenza di elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo della somma, il tasso di interesse pari al rendimento medio degli interessi legali per il periodo di indisponibilità della somma; - il periodo di temporanea indisponibilità della somma liquidata a titolo di risarcimento va computato sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito fino alla liquidazione definitiva. Nel caso di specie occorre poi tenere conto della circostanza che la Compagnia ha pacificamente corrisposto a Ma.Ri. Euro 90.000,00 il 19.12.2019 (cfr. doc. 35 attori), a Fr.Fa. Euro 72.000,00 il 7.4.2020 (cfr. doc. 36), a Ti.Ri. Euro 12.000,00 il 7.4.2020 (cfr. doc. 37), somme pacificamente trattenute dagli attori quali acconti e che dovranno essere dunque decurtate da quanto dovuto. Gli acconti andranno scomputati considerato il fatto che il creditore: I) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora ha perduto la possibilità di investire e far fruttare il denaro dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che gli avrebbe garantito l'investimento dell'intero capitale dovutogli; II) solo dopo il pagamento dell'acconto, e per effetto di quest'ultimo, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall'investimento dell'intero capitale dovutogli; dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua. Conseguentemente, come chiarito dalla suprema Corte, "La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva." (Cass. Sez. III, ord. n. 16027 del 18/5/2022; in senso conforme Cass. Sez. III, Sent. n. 9950 del 20/04/2017; Cass. Sez. III, Sent. n. 6347 del 19/03/2014). 5.2.1. Tanto premesso, la somma oggi liquidata a Ma.Ri. a ristoro del danno non patrimoniale, per Euro 363.420,00, devalutata all'epoca del sinistro - 18.11.2018- è pari ad Euro 311.413,88. L'acconto di Euro 90.000,00 (versato il 19.12.2019) devalutato all'epoca del sinistro ammonta ad Euro 89.730,81. L'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 221.683,07 (Euro 311.413,88-89.730,81). Gli interessi maturati sull'intero capitale (Euro 311.413,88), rivalutato fino all'acconto sono pari ad Euro 2.522,41. Detratto l'acconto e computando la rivalutazione e gli interessi sul capitale al netto della detrazione dell'acconto (Euro 221.683,07), la somma di capitale rivalutato anno per anno e interessi maturati sul capitale via via rivalutato, a far data dal 19.12.2019, è pari a oggi a complessivi Euro 275.381,90, a cui vanno aggiunti gli Euro 2.552,41 di interessi maturati prima dell'acconto: la somma spettante all'attrice, comprensiva di rivalutazione, interessi e al netto dell'acconto è quindi oggi pari ad Euro 277.934,31 (Euro 275.381,90 + 2.552,41). Per quanto attiene, poi, al periodo intercorrente tra la data della presente sentenza e la data dell'effettivo pagamento, su detta somma dovranno essere corrisposti, per effetto della pronuncia di liquidazione che attribuisce al "quantum" dovuto natura di debito di valuta, in applicazione dell'art. 1282 c.c. gli interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c. 5.2.2. La somma oggi liquidata alla Fa., per Euro 238.915,00, devalutata al sinistro è pari ad Euro 204.725,79. L'acconto di Euro 72.000,00 (versato il 7.4.2020) devalutato all'epoca del sinistro è pari a Euro 71.784,65. L'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 132.941,14 (Euro 204.725,79-71.784,65). Gli interessi maturati sull'intero capitale (Euro 204.725,79), rivalutato fino all'acconto sono pari ad Euro 1.739,83. Detratto l'acconto e computando la rivalutazione e gli interessi sul capitale al netto della detrazione dell'acconto (Euro 132.941,14), la somma di capitale rivalutato anno per anno e interessi maturati sul capitale via via rivalutato, a far data dal 7.4.2020, è pari a oggi a complessivi Euro 165.099,60, a cui vanno aggiunti gli Euro 1.739,83 di interessi maturati prima dell'acconto: la somma spettante all'attrice, comprensiva di rivalutazione, interessi e al netto dell'acconto è quindi oggi pari ad Euro 166.839,43 (Euro 165.099,60 + 1.739,83), oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo. Detto importo, essendo la Fa. deceduta in corso di causa, dovrà essere corrisposto agli altri attori, costituitisi anche come eredi universali della defunta (cfr. testamento allegato a note ex art. 127 ter c.p.c. per l'udienza di p.c.). 5.2.3. La somma oggi liquidata a Ti.Ri., per Euro 83.288,40, devalutata all'epoca del sinistro è pari ad Euro 71.369,67. L'acconto di Euro 12.000,00 (versato il 7.4.2020) devalutato all'epoca del sinistro ammonta ad Euro 11.964,11. L'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 59.405,56 (Euro 71.369,67-11.964,11). Gli interessi maturati sull'intero capitale (Euro 71.369,67), rivalutato fino all'acconto sono pari ad Euro 606,53. Detratto l'acconto e computando la rivalutazione e gli interessi sul capitale al netto della detrazione dell'acconto (Euro 59.405,56), la somma di capitale rivalutato anno per anno e interessi maturati sul capitale via via rivalutato, a far data dal 7.4.2020, è pari a oggi a complessivi Euro 73.775,77, a cui vanno aggiunti gli Euro 606,53 di interessi maturati prima dell'acconto: la somma spettante all'attrice, comprensiva di rivalutazione, interessi e al netto dell'acconto è quindi oggi pari ad Euro 74.382,30 (Euro 73.775,77 + 606,53), oltre interessi legali dalla sentenza sino al soddisfo. 6. Si può quindi procedere all'esame delle richieste di ristoro del danno patrimoniale. 6.1. Ma.Ri. ha richiesto il ristoro della perdita del contributo economico garantito dal padre, pari a 14.494,64, cioè il 60% dello stipendio anno netto (Euro23.406,32) del genitore, sull'assunto che il padre destinasse per l'appunto tale percentuale al mantenimento del figlio (cfr. citazione, pagg. 24-27), somma da riconoscersi quale danno emergente, fino alla data di deposito della presente sentenza e, previa capitalizzazione per le annualità future, fino al 2030 compreso. Ciò sull'assunto che Ma., che verosimilmente avrebbe seguito un percorso universitario, avrebbe raggiunto l'indipendenza economica a tale età, mentre, a seguito della morte del padre, avrebbe invece seguito un corso specializzante da giardiniere nel 2019, per poi avviare la sua attività nel 2020 (cfr. pag. 17), che tuttavia al momento dell'atto introduttivo gli garantiva un fatturato di soli Euro 5.578,00, insufficiente al proprio mantenimento, tanto che aveva dovuto attingere ai canoni di locazione dell'immobile che il padre locava e che il defunto destinava a risparmio (cfr. pag. 25). L'attore chiedeva quindi il riconoscimento di Euro 140.495,64 (14.494,64 x 10), somma che teneva conto sia della sottostima del reddito del defunto (che verosimilmente avrebbe subito degli aumenti), sia del fatto che si sarebbe dovuto tenere conto del graduale aumento di reddito di Ma., pur dovendosi tenere in considerazione anche il fatto per cui Fa.Ri. "avrebbe continuato ad offrire supporto economico all'unico figlio Ma. anche successivamente" al raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio (cfr. pag. 26). La richiesta risarcitoria è solo in parte meritevole di accoglimento. In generale, si può osservare che il danno derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all'attività lavorativa della vittima è un danno patrimoniale e assume natura di danno emergente con riguardo al periodo intercorrente tra data del decesso e liquidazione giudiziale, mentre si configura come danno futuro e quindi lucro cessante con riguardo al periodo successivo alla sentenza (Cass. Sez. III, sent. n. 10321 del 30/4/2018). Nella liquidazione del danno deve porsi a base il reddito netto della vittima che deve essere da un lato aumentato per gli incrementi reddituali che la vittima avrebbe subito se fosse rimasta in vita e dall'altro, diminuito per tenere conto delle spese per la produzione del reddito prudentemente stimabili, del prelievo fiscale e della percentuale che la vittima avrebbe comunque destinato a sè (Cass. Sez. III, sent. n. 10853 del 28/6/2012; Cass. Sez. VI, ord. n.6619 del 16/3/2018). Trattasi di voce di danno che, sotto taluni profili (il menzionato aumento/diminuzione) deve essere liquidata necessariamente in forma equitativa, posto che si va a stimare un danno indimostrabile nel suo esatto ammontare (dipendendo da fattori impossibili da determinare con certezza: quali scatti avrebbe avuto il defunto; in che esatta misura avrebbe destinato il suo reddito ai familiari superstiti o a spese personali, etc.). Altro tema che rileva nel caso di specie è fino a quando debba essere garantito il ristoro, pro futuro, di tale voce di danno. Certa giurisprudenza ritiene che esso debba essere risarcito fino al momento in cui il parente della vittima acquisisca l'indipendenza economica; altra (richiamata non espressamente da parte attrice nell'atto introduttivo) ha affermato che "Il fatto che i figli di persona deceduta in seguito ad un fatto illecito siano maggiorenni ed economicamente indipendenti non esclude la configurabilità, e la conseguente risarcibilità, del danno patrimoniale da essi subito per effetto del venir meno delle provvidenze aggiuntive che il genitore destinava loro, posto che la sufficienza dei redditi del figlio esclude l'obbligo giuridico del genitore di incrementarli, ma non il beneficio di un sostegno durevole, prolungato e spontaneo, sicché la perdita conseguente si risolve in un danno patrimoniale, corrispondente al minor reddito per chi ne sia stato beneficato" (Cass. Sez. III, sent. n. 24802 del 8/10/2008; cfr. in tal senso Cass. Sez. III, Ord. n. 21402 del 6/7/2022.). Il principio espresso da questi ultimi precedenti va chiarito in questo senso: il raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del parente della vittima, che lo sostentava, non preclude di riconoscimento, anche per le annualità successive al raggiungimento dell'indipendenza economica, del risarcimento di una somma che si può ragionevolmente ipotizzare, sulla base di elementi acquisiti all'istruttoria, che il defunto avrebbe spontaneamente riconosciuto (e. quindi, indipendentemente dagli obblighi di mantenimento che gli avrebbero fatto carico ex art. 147 c.c.). Anche tale somma potrà, se del caso, essere riconosciuta in via equitativa e non potrà coincidere, esattamente, con la quota di reddito che il genitore destinava al figlio, quando questi non era indipendente da un punto di vista economico, a meno che non si dimostri, anche presuntivamente, che il genitore avrebbe riconosciuto esattamente lo stesso importo. 6.1.1. Tanto chiarito, per la quantificazione del danno non assumerà alcun rilievo il reddito che Fa.Ri. percepiva dalla locazione di un immobile di proprietà (come pure eccepito dalla Compagnia), trattandosi di voce di reddito non eziologicamente impattata dalla morte del defunto. Deve invece essere posto alla base il reddito netto della vittima al momento del sinistro (cfr. docc. 17, 18, 19 e 23), pari, nell'anno della morte, per come anche indicato dall'attore, ad Euro 23.406,00 (cfr. pag. 23). L'assunto per cui il 60% di queste somme venisse destinato al figlio non è condivisibile. In via equitativa può anzitutto considerarsi che la somma avrebbe dovuto essere aumentata del 10% (per eventuali scatti che il defunto avrebbe ricevuto), ma anche diminuita della stessa percentuale in ragione del prelievo fiscale (anche per gli immobili di cui il Ri. era titolare) e per ipotetiche spese straordinarie del padre, che nella normalità occorrono. Ciò chiarito, anche alla luce della documentazione prodotta dall'attore, a riprova delle spese ordinariamente sostenute dal padre (cfr. docc. 25-28), che evidenzia che Fa.Ri. sosteneva per lo più spese ripartite a metà col figlio, pare congruo ipotizzare che la percentuale di reddito netto destinata al figlio ammontasse al 50% della somma su indicata, per Euro 11.703,00 annui (somma via via da ricapitalizzarsi, per la parte liquidabile come danno emergente). 6.1.2. Non può essere poi accolta la richiesta dell'attore di riconoscere sic et simpliciter detto importo, fino al 2030, sull'assunto che Ma. avrebbe seguito un percorso universitario e che il padre si sarebbe fatto carico del mantenimento fino alla sua indipendenza (stimabile a tale data, dovendosi tenere conto del periodo necessario a portare a termine il percorso di studio e per iniziare a produrre reddito). Dall'istruttoria orale non può dirsi dimostrato che l'attore si sarebbe iscritto all'università, anzi può ritenersi provato che anche a prescindere dalla morte del padre, egli avrebbe comunque scelto il percorso lavorativo effettivamente seguito (titolare di una impresa di giardinaggio). Ed infatti, la teste C. ha confermato (cap. B..1.2 e C1-9) che al momento della morte del padre Ma., 20 enne, aveva già terminato la scuola (l'incidente risale a novembre 2018; l'attore ha terminato il liceo a giugno 2018). La teste ha confermato che nell'anno 2018 Ma.Ri. non si era iscritto ad alcun corso "perché voleva essere certo della scelta" ... "si era ripromesso di ripensarci per l'anno venturo" e che aveva manifestato un vago interesse ad iscriversi ad un corso universitario in scienza dell'alimentazione "durante la scuola aveva manifestato un interesse per la materia, aveva dei libri a casa quindi diceva "se proprio devo specializzarmi, potrei farlo in questa materia" .... In realtà, per come è dato comprendere dalle dichiarazioni della C. e dell'altra teste, Ma., tale opzione era una remota possibilità, non rispondente ad un effettivo interesse dell'attore (la teste Ma. ha riferito ad es. che Ma. si iscrisse al liceo alberghiero seguendo la passione del padre, ma che dopo l'iscrizione perse l'entusiasmo ed ebbe delle difficoltà, cap. B.1.2.). È impossibile determinare con esattezza cosa il figlio avrebbe effettivamente fatto se non fosse occorsa la morte del padre. Dal complesso delle dichiarazioni raccolte e dal percorso scolastico dell'attore, per come ricostruito, può però ritenersi più che probabile che in ogni caso l'attore non si sarebbe iscritto al corso in scienze dell'alimentazione o non lo avrebbe comunque coltivato (a quanto è dato capire, tale opzione era più che altro indotta dal percorso di studi scolastico-alberghieri dell'attore, che tuttavia non era realmente appassionato alla materia). È quindi verosimile che, anche se il padre non fosse mancato, il figlio si sarebbe dedicato all'attività poi effettivamente svolta (impresa di giardinaggio) attività peraltro che pare comunque ricollegata ad una delle passioni coltivate insieme al padre. 6.1.3. Tanto chiarito, in corso di causa l'attore ha prodotto una serie di fatture emesse nell'anno 2020 (cfr. doc. 30) e 2021 (cfr. doc. 55) per dimostrare che i redditi percepiti non sarebbero comunque risultati sufficienti e che avrebbe dovuto comunque godere del contributo del padre. In conclusionale Vi. ha dedotta che i ricavi per il 2021 (non potendosi detrarre i costi, non provati da parte attrice), sarebbero pari ad Euro 23.406,00 somma superiore a quanto il figlio avrebbe percepito come contributo dal padre e comunque indicativa di un progressivo aumento dei redditi di Ma.Ri. (che nel 2020 dall'attività aveva prodotto ricavi per Euro 5.578,00). I rilievi sono solo in parte condivisibili: il fatto che parte attrice non abbia documentato i costi non consente di ritenere che il reddito netto del Ri. coincida con i menzionati ricavi. In via equitativa, si può ritenere che i redditi netti percepiti da Ma.Ri. corrispondano a ca. il 30% dei ricavi (considerando le imposte e i costi), per Euro 7.021,80, comunque inferiori di ca. 4.700,00 all'importo garantitogli dal padre. 6.1.4. Alla luce di quanto precede, a titolo di danno emergente pare congruo riconoscere a Ma.Ri. per il 2019 Euro 11.703,00, oltre rivalutazione e interessi sulla somma rivalutata dall'1.1.2020 fino all'attualità, per Euro 14.483,25. Per il 2020 ancora Euro 14.483,25 (pari alla quota di reddito netta destinata dal padre al figlio, per Euro 11.703,00 rivalutato e maggiorato di interessi all'1.1.2021, oltre interessi e rivalutazione successiva da riconoscersi per l'intero; ciò poiché anche se il padre fosse stato in vita, poiché comunque il figlio avrebbe avviato l'attività nel 2020 e i ricavi percepii in quell'anno furono estremamente ridotti, il padre avrebbe verosimilmente comunque contribuito per l'intero). Per il 2021 Euro 5.254,65 12.276,45 (Euro 11.703 rivalutato e comprensivo di interessi all'1.1.2022) - 7.021,80, oltre interessi e rivalutazione dall'1.1.2022 all'attualità, per Euro 6.483,64. L'attore non ha prodotto documentazione successiva al 2021, per documentare le sue attuali condizioni reddituali; può tuttavia stimarsi, sulla base della documentazione già acquisita, che per il 2022 il reddito netto di Ma.Ri., per come su ricostruito, sia comunque aumentato del 30%, in ragione dell'aumento di esperienza lavorativa dell'attore e che tale aumento sia occorso anche per l'anno successivo. Per il 2022 vanno riconosciuti Euro 4.353,52 13.481,86 (Euro 11.703 rivalutato all'1.1.2023) - 9.128,34 (Euro 7.021,80 + 30%, cioè 2.106,54), oltre interessi e rivalutazione dall'1.1.2023 all'attualità, per Euro 4.616,49. Per il 2023 vanno riconosciuti Euro 2.364,01 13.598,89 (Euro 11.703 rivalutato all'1.1.2024) - 11.234,88 (Euro 7.021,80 + 30% x 2, cioè 4.213,08), oltre interessi e rivalutazione maturati alla data della presente sentenza, per complessivi Euro 2.364,05. Utilizzando tali proporzioni, per il 2024 e per le annate successive, si può dunque stimare che l'attore avrebbe comunque raggiunto l'indipendenza economica. In ragione dello strettissimo legame tra padre e figlio e del fatto che Ma. era figlio unico, può stimarsi che il padre avrebbe comunque elargito delle ulteriori somme, non strettamente collegate alle esigenze di mantenimento, anche negli anni successivi. Pare quindi congruo stimare in via puramente equitativa tali contributi in Euro 2.800,00 l'anno, per altri 5 anni - dal 2024 al 2028 compreso, fino dunque al trentesimo anno d'età dell'attore - (importo quantificato sulla base della paghetta settimanale di Euro 50,00 che Ma., per come anche confermato dalle testi Ma. e C., percepiva alla morte del padre, già riequilibrato in considerazione del verosimile aumento dell'importo per scatti stipendiali del padre e della percentuale di sconto da applicare, trattandosi di riconoscimento di capitale futuro e della possibilità che il padre avrebbe potuto dover sostenere, con l'avanzare dell'età, delle spese extra per sé stesso, per ragioni voluttuarie e non), per complessivi Euro 14.000,00. A ristoro del danno patrimoniale per perdita delle contribuzioni paterne a Ma.Ri. dovranno quindi essere riconosciuti Euro 56.430,68 (14.483,25 + 14.483,25 + 6.483,64 + 4.616,49 + 2.364,05. + 14.000,00), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. 6.2. Vi. ha eccepito che al risarcimento dovrebbero essere detratti eventuali emolumenti pensionistici riconosciuti all'attore per effetto della morte del padre, il TFR e l'eredità (cfr. pagg. 9-10). Dall'istruttoria svolta non è emerso che l'attore abbia percepito pensioni o indennità di sorta per la morte del padre; è provato che Ma.Ri. abbia percepito Euro39.000,00 per TFR. I rilievi della convenuta sono infondati. La richiesta va vagliata alla luce dei precedenti espressi dalle S.U. in punto compensatio lucri cum damno (in particolare, si vedano Cass. SU, n. 12564, 12565, 12566, 12567 del 22/5/2018). Con dette pronunce le S.U. hanno chiarito (con riferimento a diverse fattispecie di importi percepibili da una vittima di un sinistro) i presupposti per l'operare della compensatio. In questo contesto, la Suprema Corte ha ricordato che la compensatio si fonda sul principio, desumibile dall'art. 1223 c.c., secondo cui il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell'interesse leso o condurre ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato: nel valutare gli effetti pregiudizievoli si deve dunque tenere conto, applicando il criterio della causalità giuridica, anche degli eventuali vantaggi collegati all'illecito. Partendo da tale assunto, le S.U. hanno escluso che rilevi ogni vantaggio, indiretto o mediato, percepito dal danneggiato, osservando che le conseguenze vantaggiose, come quelle dannose, possono computarsi solo finché rientrino nella serie causale dell'illecito, da determinarsi secondo un criterio adeguato di causalità, sicché il beneficio non è computabile in detrazione allorché trovi altrove la sua fonte e nell'illecito solo un coefficiente causale, con l'ulteriore considerazione che la "determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito: sicché in tanto le prestazioni del terzo incidono sul danno in quanto siano erogate in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato. La prospettiva non è quindi quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria." (cfr. S.U. 12565, pag. 23). In questo contesto, le SU hanno escluso che debba essere scomputato dal risarcimento il valore capitale della pensione di reversibilità (Cass. S.U. n. 12564 del 22/5/2018), ma anche di quanto percepito a titolo di eredità (cfr. parte motiva dei precedenti, cfr. punto 3.6. di Cass. SU n. 12564 del 22/5/2018), posto che l'eventuale percezione di denaro o altra utilità quale erede non è causalmente giustificata per la rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito. Pur non avendo le SU affrontato il tema del TFR, i principi espressi consentono di escludere che detti importi debbano essere portati in detrazione, posto che il riconoscimento del TFR è piuttosto riconducibile alla cessazione del rapporto di lavoro, solo occasionalmente ricollegata alla morte del lavoratore in conseguenza dell'illecito (in altri termini, il TFR sarebbe spettato a Ma.Ri. anche laddove il padre fosse deceduto per motivi diversi e non è invece causalmente giustificato per la rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito): tale conclusione è del resto stata espressa da condivisibile precedente di legittimità, ante SU (Cass. Sez. III, sent. n. 4950 del 2/3/2010). 6.3. A titolo di ristoro del danno patrimoniale, Ma.Ri. ha poi richiesto il rimborso delle spese funerarie e di ulteriori esborsi, quantificati in conclusionale in complessivi Euro 9.517,74 per spese vive già anticipate, di cui Euro 3.790,00 (sub all. 32 fascicolo attoreo) servizi funebri, Euro 3.120,00 per spese peritali ( sub all. 46 fascicolo attoreo), Euro 2.030,08 (sub all .2 note scritte del 23/10/2023) per ulteriori spese peritali, ed Euro 327,56 spese diritti di copia ( sub all. 48 fascicolo attoreo), Euro 250,10 spese attività duplicazione ( sub all. 49 fascicolo attoreo)" (cfr. pag. 30-31). Come eccepito da Vi., nulla potrà essere riconosciuto per le spese funebri, posto che per stessa ammissione dell'attore e per come emerge dal documento allegato (cfr. doc. 32) le stesse furono pagate dal datore di lavoro di Fa.Ri.. Deve invece essere riconosciuto il ristoro delle spese peritali ante causam (per Euro 3.120,00, pari ad Euro 3.825,10 con rivalutazione e interessi dal maggio 2021, data di versamento delle somme, all'attualità). Quanto alle ulteriori spese, afferendo ad attività difensiva, le si esamineranno nella liquidazione delle spese di lite. 7. In conclusione, agli attori, a risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte di Fa.Ri., devono essere riconosciuti, a ristoro del danno subito e per le causali su indicate: (i) a Ma.Ri. Euro 338.190,09 (277.934,31 + 56.430,68 + 3.825,10); (ii) a Ti.Ri. 74.382,30; (iii) a Ma. e Ti.Ri., quali eredi di Fr.Fa., della somma di Euro 166.839,43, somme tutte già al netto degli acconti corrisposti, rivalutate e comprensive di interessi già maturati. 8. Le spese seguono la soccombenza e vengono così liquidate sulla base della L. n. 27 del 2012 e articoli 1-11 D.M. n. 55 del 2014 in base ai valori previsti per lo scaglione di riferimento - individuato in considerazione della somma concretamente riconosciuta a tutti gli attori, in quello tra Euro 520.000,00 ed Euro 1.000.000,00, aumentato di un incremento percentuale del 10% ex art. 6, D.M. n. 55 del 2014 (la norma consente l'aumento discrezionale fino al 30% dei compensi previsti - cfr. in tal senso Cass. Sez. III, ord. n. 31347 del 24/10/2022 -; si ritiene di applicare l'aumento nella misura del 10% posto che la somma riconosciuta eccede di soli 50.000,00 Euro il valore dello scaglione inferiore) - applicati ai medi e, precisamente: Euro 3.898,40 per la fase di studio della controversia (Euro 3.544,00 + 10%), Euro 2.571,80 per la fase introduttiva del giudizio (2.338,00 + 10%) Euro 11.452,10 per la fase istruttoria (Euro 10.411,00 + 10%) ed Euro 6.780,40 per la fase decisionale (Euro 6.164,00 + 10%), per complessivi Euro 24.702,70. Come da richiesta in nota spese, detto importo deve essere aumentato del 10% per l'assistenza per più soggetti (stante la sostanziale coincidenza delle posizioni degli attori, divergenti solo in relazione alle tipologie di danno richieste), per Euro 2.470,27. Non sussistono i presupposti per l'applicazione di un ulteriore aumento ex art. 4, co. 1 D.M. n. 55 del 2014 o per l'applicazione dell'ulteriore aumento ex art. 4, co. 8 D.M. n. 55 del 2014 per manifesta fondatezza, pure richiesto, posto che l'esatta liquidazione del danno ha fatto seguito a risoluzioni di questioni assai controverse e dibattibili, sia in punto an, sia in punto quantum. A ristoro dei compensi spetteranno dunque Euro 27.172,97 (24.702,70 + 2.470,27), oltre accessori di legge. Agli attori dovranno essere altresì rimborsati gli esborsi, per Euro 3.390,66: (Euro 1.713,00 per contributo unificato e marca; Euro 327,56 per diritti di copia, doc. 48 attoreo; Euro 250,10 per duplicazione CD in procura. Gli attori hanno richiesto anche Euro 2.030,08, a ristoro delle spese documentate di CTP in corso di causa; si ricorda che "Le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, primo comma, cod. proc. civ., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue." - Cass. Sez. II, sent. n. 84 del 3/1/2013-. Le spese per il CTP sono eccessive, specie se parametrate ai compensi liquidati al CTU - in complesso, Euro 1.155,00 oltre accessori - e in considerazione del concreto apporto del CTP in sede di operazioni peritali. Per tale voce viene quindi riconosciuto il minor importo di Euro 1.100,00, accessori compresi). Le spese della consulenza tecnica d'ufficio vanno poste definitivamente a carico dei convenuti. 9. Non sussistono i presupposti per disporre la condanna ex art. 96 c.p.c. di Vi. e dei convenuti contumaci, per non aver aderito all'invito alla partecipazione alla negoziazione assistita. Il rifiuto era stato motivato (cfr. doc. 42 attori) in ragione della distanza tra le richieste attoree e quanto era disposta a riconoscere Vi., distanza comprensibile e giustificabile in ragione delle controverse questioni in punto an e quantum affrontate nel presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: (i) in parziale accoglimento delle domande attoree: (a) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al pagamento in favore di Ma.Ri. della somma di Euro 338.190,09, per le causali indicate in narrativa, somma già rivalutata e da cui è già stato detratto l'acconto corrisposto, oltre interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c., dalla sentenza sino al soddisfo; (b) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al pagamento in favore di Ti.Ri. della somma di Euro 74.382,30, per le causali indicate in narrativa, somma già rivalutata e da cui è già stato detratto l'acconto corrisposto, oltre interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c., dalla sentenza sino al soddisfo; (c) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al pagamento in favore di Ma.Ri. e Ti.Ri., quali eredi di Fr.Fa., della somma di Euro 166.839,43 per le causali indicate in narrativa, somma già rivalutata e da cui è già stato detratto l'acconto corrisposto, oltre interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c., dalla sentenza sino al soddisfo; (ii) rigetta per il resto le domande svolte da parte attrice verso i convenuti; (iii) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al rimborso delle spese di lite in favore di Ma. e Ti.Ri., liquidate in Euro 27.172,97 per compensi ed Euro 3.390,66 per esborsi, oltre accessori sui compensi; (iv) pone definitivamente a carico dei convenuti le spese della consulenza tecnica d'ufficio. (v) rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., formulata dagli attori Così deciso in Vicenza il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VICENZA - Sezione Penale in composizione monocratica nella persona della Dott.ssa Silvia Rossaro all'udienza in camera di consiglio del 15/12/2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA (artt. 442 - 544 3 comma c.p.p.) nel procedimento a carico di: Ak.Kh. nato in M. il (...) - CUI (...) - domiciliato a R. (V.) in via G. n. 17 Libero - assente Con difensore di fiducia avv. Gi.Ca. del Foro di Verona Ak.Ac. nato in M. il (...) Detenuto PAC - presente con difensore di fiducia avv. Si.Be. del Foro di Verona Imputati delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 110 c.p. e 73, comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990, perché, fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, cedevano a P.S. quattro dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di grammi 0,39, 0,48, 0,54 e 0,67 al prezzo complessivo di Euro 200,00; in particolare, mentre Ak.Kh., trovandosi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per altra causa, prendeva accordi telefonici con la P., Ak.Ac. effettuava materialmente il trasporto e la consegna dello stupefacente. In Gambellara, il 18.4.2020 Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale ex art. 99 c.p. per entrambi L'imputato chiede procedersi con il rito abbreviato. Il Giudice ammette il rito. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Svolgimento del processo Gli odierni imputati sono stati tratti a giudizio, innanzi al Tribunale, in composizione monocratica, con decreto ex art. 550 cod. pen.p. del 27.10.22 per rispondere in concorso tra loro del reato ascritto nell'imputazione riportata in epigrafe. Alla prima udienza del 9.5.23 veniva disposto un rinvio per legittimo impedimento del difensore dell'imputato Ak.Kh., che veniva preliminarmente dichiarato assente. Alla successiva udienza del 10.10.23 veniva nuovamente disposto un rinvio per legittimo impedimento del difensore di Ak.Kh.. All'udienza del 30.11.23, su richiesta del Pubblico Ministero, veniva disposta la correzione del nome del coimputato, detenuto per altra causa, A. "A.", in precedenza indicato per errore in "A.". I difensori richiedevano ammettersi giudizio abbreviato, purtuttavia il Tribunale rilevava l'irregolarità o mancanza dell'originale delle rispettive procure speciali e rinviava per la relativa regolarizzazione. All'odierna udienza venivano preliminarmente dimesse le procure speciali rilasciate ai difensori per la richiesta del giudizio abbreviato. Quindi, su richieste dei difensori e procuratori speciali, su cui il Pubblico Ministero si rimetteva, il Tribunale ammetteva il rito, acquisiva il fascicolo del Pubblico Ministero stesso ed invitava le parti a discutere. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti nei termini compendiati in epigrafe, il processo ha trovato definizione con la pronunzia resa in dispositivo, pubblicato mediante lettura in udienza. È stato indicato in giorni novanta il termine per il deposito dei motivi, in ragione del sovrapporsi di concomitanti scadenze e del complessivo carico del ruolo. 2. Sussistenza del reato in contestazione La responsabilità penale degli imputati è chiaramente emersa da quanto contenuto nel fascicolo del dibattimento (atti irripetibili) per come integrato dall'acquisizione del fascicolo del Pubblico Ministero, per effetto dell'ammissione e celebrazione del giudizio abbreviato. L'attività di indagine è originata da una perquisizione personale - nell'ambito di attività di controllo del territorio - nei confronti di P.S., eseguita il 18.4.2020 dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Valdagno, all'esito della quale la ragazza spontaneamente consegnava quattro confezioni contenenti sostanza pulviscolare di colore bianco. I reperti sottoposti a sequestro e, quindi, su disposizione del Tribunale - come da dispositivo - a confisca obbligatoria, in particolare, sono consistiti in: a) un involucro in cellophane trasparente, termosaldato, contenente della sostanza stupefacente in polvere cristallina di colore bianco di grammi 0,41; b) un involucro in cellophane e plastica trasparente, termosaldato, contenente della sostanza stupefacente in polvere cristallina di colore bianco di grammi 0,50; c) un involucro in cellophane trasparente, termosaldato, contenente della sostanza stupefacente in polvere cristallina di colore bianco di grammi 0,56; d) un involucro in cellophane trasparente, termosaldato, contenente della sostanza stupefacente in polvere cristallina di colore bianco di grammi 0,69. L'accertamento eseguito dapprima tramite narcotest, quindi, come disposto dal Pubblico Ministero procedente, ad opera del LASS del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Verona, ha permesso di verificare la natura della sostanza psicotropa, campionata, analizzata e pesata, risultata essere del tipo cocaina. L'escussione a sommarie informazioni testimoniali del 18.04.2020 di P.S. consentiva di appurare che la medesima aveva acquistato tale stupefacente da un giovane di origine marocchina a cui aveva corrisposto la somma complessiva di Euro 200,00. La P. aggiungeva che quel giorno aveva contattato il suo abituale fornitore all'utenza (...) e di aver ricevuto da lui indicazioni sul luogo e sull'orario di consegna. Il 30.04.2020 la P., mediante individuazione fotografica effettuata presso la Stazione Carabinieri di San Bonifacio, riconosceva con assoluta certezza Ak.Kh. quale suo abituale fornitore (da lei contattato telefonicamente il 18.04.2020) ed il di lui fratello, Ak.Ac., come la persona con la quale perfezionava la compravendita suddetta per Euro 200,00, su indicazione del proprio abituale fornitore. Nei confronti di P.S. si è separatamente proceduto alla contestazione ai sensi dell'art. 75, D.P.R. n. 309 del 1990. All'udienza odierna del 15.12.23 Ak.Ac. rilasciava spontanee dichiarazioni, mediante le quali negava gli addebiti, affermando di non aver mai ceduto sostanza stupefacente a P.S., che era un'amica di suo fratello. Ebbene, l'imputato non è risultato credibile non avendo fornito alcun dato fattuale su cui fondare un giudizio di non colpevolezza, a fronte dei plurimi elementi che ne consentono invece di affermare oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità (come sopra detto, cfr. verbali di perquisizione e sequestro, narcotest e accertamenti irripetibili sulla sostanza, riconoscimenti fotografici e verbale di s.i.t. della PANATO, della cui credibilità oggettiva e soggettiva non vi è motivo di dubitare). Così accertati i fatti per come emersi dagli atti di indagine e ricostruiti nell'annotazione preliminare di PG acquisita, si rileva che risulta integrato il delitto ex art. 73, comma V, D.P.R. n. 309 del 1990. Invero, è emerso come, in concorso tra loro e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, Ak.Kh. e Ak.Ac. abbiano ceduto a P.S. quattro dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (del peso netto risultato pari a 0,39 0,48 0,54 e 0,67 grammi), contenuta in involucri in cellophane e plastica trasparente, termosaldati, al prezzo complessivo di Euro 200,00. In particolare, in data 18.4.2020, mentre Ak.Kh. - all'epoca sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per altra causa - prendeva accordi telefonici con P.S., Ak.Ac. materialmente effettuava il trasporto e la consegna dello stupefacente, ricevendone il prezzo concordato dalla P. medesima. Gli episodi di cessione in contestazione in favore di P.S. possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione alla luce del medesimo contesto spazio-temporale in cui sono stati commessi, ravvisandosi un disegno criminoso comune ex art. 81 cpv cod. pen. ai più reati commessi dai coimputati in concorso tra loro, deliberati, nelle loro linee essenziali, almeno contestualmente alla commissione del primo di essi. Correttamente, infine, i fatti sono stati qualificati e condotti nell'alveo del V comma dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, alla luce della modalità della condotta e dei parametri qualitativi-quantitativi individuati dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., n. 45061/22). 3. Sulla non applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen. In linea teorica, il fatto di lieve entità ex comma 5 art. 73 TU 309/90 è sussumibile entro il campo precettivo dell'art. 131 bis cod. pen., essendo il massimo edittale della pena, nel "caso lieve", di "soli" quattro anni di reclusione. Anche sotto il profilo semantico, i lemmi "lieve entità" ex comma 5 art. 73 TU 309/90 richiamano da vicino quelli di "particolare tenuità" ex art. 131 bis cod. pen. D'altra parte, in giurisprudenza, molti precedenti, dal 2015 ad oggi, hanno asserito la non-antinomicità delle due norme, poiché il comma 5 art. 73 TU 309/90 utilizza i cinque parametri dei mezzi, modalità, circostanze, quantità e qualità, mentre l'art. 131 bis cod. pen. si focalizza su modalità della condotta, grado di colpevolezza ex art. 133 cod. pen., entità del danno o del pericolo e carattere non abituale della condotta. Quindi, i riguardi sono ben distinti. La Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia sez. pen. III, 28 maggio 2019, n. 36447, si è dichiarata favorevole alla simultanea applicazione tanto del comma 5 art. 73 TU 309/90 quanto dell'art. 131 bis cod. pen., giacché "il dato quantitativo della sostanza stupefacente se è lieve, già considerato per la qualificazione del reato ai sensi del comma 5 art. 73 TU 309/ 90, può essere considerato anche ai fini dell'applicazione della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis cod. pen., atteso che costituisce principio consolidato che il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine ad influire su diversi aspetti della sua valutazione, ben potendo senza creare antinomie un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini, senza che ciò comporti la lesione del principio del ne bis in idem". Tuttavia, la distinzione tra le due norme può provocare l'applicabilità del comma 5 art. 73 TU 309/90, ancorché non dell'art. 131 bis cod. pen. Sul tema, con la pronuncia sez. pen. IV, 15 luglio 2016, n. 48758 (confermata successivamente da Cass., sez. pen. III, 16 aprile 2021, n. 18155), si afferma che " la fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre, ai fini della concedibilità della prima, il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione, nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l'entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere non abituale della condotta". Si noti che i due summenzionati precedenti del 2016 e del 2021 non sono tra loro in contrasto, in tanto in quanto i riguardi sono distinti, poiché i parametri di valutazione sono diversi. In conclusione, questo Tribunale ritiene che, anche alla luce della recente trasformazione dell'attenuante speciale originariamente prevista dal comma 5 art. 73 TU 309/90 in ipotesi di reato autonomo, come tale dotato di una specifica cornice edittale, astrattamente possa trovare applicazione in relazione a tale fattispecie autonoma di reato la causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen., destinata ad incidere sull'ordinario trattamento punitivo riservato anche alle condotte di cui al comma 5 art. 73 TU 309/90, sicché, in tal caso, non si verificherebbe, come paventato dall'opposto indirizzo interpretativo, alcun cumulo di benefici sanzionatori tra di loro concorrenti. Tuttavia, va rimarcato che lo spacciatore non può beneficiare dell'art. 131 bis cod. pen. quando il suo comportamento può dirsi abituale. De jure condito, ex comma 4 art. 131 bis cod. pen. "il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate". Ciò premesso, quindi, il reo di spaccio potrebbe ben beneficiare dell'art. 131 bis cod. pen., purtuttavia nella fattispecie concreta in questa sede esaminata questo Tribunale ritiene di escluderne l'applicabilità. Ed invero Ak.Kh. e A., soggetti privi di una occupazione lavorativa o di entrate regolari, paiono trarre il loro abituale sostentamento dalle attività illecite di cui è costellato il loro casellario giudiziale. Vieppiù. Non solo le condotte riportate nel capo di imputazione oggetto del presente procedimento sono plurime e reiterate, ma: P.S., sentita a sommarie informazioni testimoniali, ha riferito che Ak.Kh. è il suo spacciatore di fiducia e che acquista settimanalmente da lui sostanza de tipo cocaina del valore di circa Euro 140,00. Tanto basta per ritenere che vi siano condotte reiterate ed abituali di spaccio, che quindi dal punto di vista soggettivo esse ostino alla possibilità di applicare Part. 131 bis cod. pen., invocato dalle difese. 4. Trattamento sanzionatorio Reputa preliminarmente il Tribunale che, in assenza di elementi suscettibili di positiva valutazione (apprezzata, per contro, la reiterazione delle condotte criminose), non possano riconoscersi le circostanze attenuanti generiche, idonea apparendo la cornice edittale prevista dal Legislatore all'irrogazione di una pena proporzionata alla gravità dei fatti. Ciò sembra sufficiente a negare il beneficio in commento, non essendovi, peraltro, neppure un obbligo per il Giudice di giustificare, sotto ogni possibile profilo, raffermata insussistenza dei presupposti del diritto alla concessione e, piuttosto, imponendosi la necessità di motivare la positiva meritevolezza, mai scontata in sé né presunta, del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. Cosi Cass. pen., sez. IV, 27 febbraio 2015, n. 8906, secondo la quale "la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l'adeguatezza della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese, comunque, come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, né l'applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento dell'esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento". Si veda, negli stessi termini, Cass. pen., sez. IV, 16 marzo 2018, n. 11224). La recidiva contestata va, invece, applicata essendo il fatto contestato indice di maggiore pericolosità sociale degli imputati, già gravati di numerosi precedenti (cfr. nn. 1-7 del casellario di Ak.Kh. e nn. 1-2 del casellario di Ak.Ac.). Al mero dato oggettivo della reiterazione degli illeciti, si accompagna difatti una valutazione negativa della maggiore colpevolezza e della personalità dei prevenuti, che non dimostrano alcuna resipiscenza, quanto ad Ak.Kh., poiché condannato in via definitiva per molteplici reati commessi dal 2012 ad oggi, dimostrando indifferenza anche rispetto all'espiazione di alcune delle condanne riportate, quanto ad Ak.Ac. poiché già gravato di un precedente per maltrattamenti e di un furto commesso nel 2018, in relazione al quale ha fruito dell'archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. Non è quindi accoglibile l'istanza formulata dalla difesa nelle rassegnate conclusioni in ordine alla disapplicazione della recidiva. Pertanto, tenuto conto dei criteri ex artt. 132 e 133 cod. pen., si stima equa la pena base, corrispondente al minimo edittale in relazione alla previsione di cui all'art. 73, comma V, D.P.R. n. 309 del 1990, di mesi 6 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, aumentata di due terzi per effetto della contestata recidiva ex art. 99 co. 4 II ipotesi alla pena di mesi 10 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, ulteriormente aumentata in virtù della continuazione interna al capo di imputazione riconosciuta di 20 giorni ed Euro 133,33, per ognuno degli altri 3 episodi in contestazione, alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa, ridotta per il rito alla pena finale di mesi 8 di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa. Gli imputati non hanno diritto a benefici di legge, quali la sospensione condizionale della pena ex art. 163 cod. pen. e la non menzione nel casellario ex art. 175 cod. pen. La condanna alle spese processuali consegue ope legis. Inoltre, il Tribunale ha ritenute ai sensi dell'art. 168 cod. pen., sussistendone i presupposti di legge, di procedere alla revoca la sospensione condizionale della pena concessa ad Ak.Ac. con la sentenza del GUP presso il Tribunale di Verona del 28.3.2019 (nr. 2 del casellario presente in atti). A norma degli artt. 240 cod. pen. e 73, comma 7 bis, e 85 bis D.P.R. n. 309 del 1990, vi sono poi i presupposti per ordinare la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. Il Tribunale ha valutato, infine, di non rendere agli imputati gli avvisi ex art. 545 bis cod. proc. pen., in quanto vi è il fondato timore di ritenere che le sanzioni sostitutive ove comminate, anche attraverso le più stringenti ed opportune prescrizioni, non assicurerebbero la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, anche contro la persona e il patrimonio, in considerazione della personalità dei prevenuti e dei loro precedenti (cfr. casellari in atti). P.Q.M. Visti gli artt. 442, 533 e 535 cod. proc. pen., dichiara Ak.Kh. (CUI (...)) e Ak.Ac. (CUI (...)) colpevoli del reato a loro ascritto e, riconosciuto il vincolo della continuazione, applicata la recidiva contestata ed operata la riduzione per il rito, li condanna alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 168 cod. pen., revoca la sospensione condizionale della pena concessa ad Ak.Ac. con la sentenza del GUP presso il Tribunale di Verona del 28.3.2019 (n. 2 del casellario). Visti gli artt. 240 cod. pen. e 73, comma 7 bis, e 85 bis D.P.R. n. 309 del 1990, Ordina la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. Visto l'art. 544, comma 3, cod. proc. pen., Indica in giorni 90 il termine per il deposito dei motivi. Così deciso in Vicenza il 15 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VICENZA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Francesca Grassi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 540/2021 promossa da: Vi.Pi. (c.f. (...)), con il patrocinio dell'avv. RU.RU. e dell'avv. PA.MA., elettivamente domiciliato presso lo studio dei difensori ATTORE contro Sa.Ro. (c.f. (...)), An.Se. (c.f. (...)), entrambi con il patrocinio del difensore avv. BO.GI., elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore avv. BO.GI. CONVENUTI Oggetto: costituzione di servitù di passaggio e condanna di riduzione in pristino. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Lo svolgimento del processo è omesso ai sensi dell'art. 132 c.p.c. come novellato dalla L. n. 69 del 2009. Va premesso che la causa è stata assegnata definitivamente a questo giudice con provvedimento del Presidente del Tribunale prot. n. (...) del 30.11.2021. Ciò posto, va sinteticamente evidenziato quanto segue in punto di fatto. Con atto di citazione ritualmente notificato del 21.1.2021, Vi.Pi. (di seguito, per brevità, anche solo "Pi.Ca.") conveniva in giudizio Sa.Ro. (di seguito, per brevità, anche solo "Ro.") e An.Se. (di seguito, per brevità, anche solo "Se."), chiedendo fosse accertata l'esistenza della servitù di passaggio, come graficamente rappresentata (in colore verde) nella perizia di parte versata in atti a firma del geom. Ma.Me., a carico dei fondi di proprietà dei convenuti, censiti al catasto terreni del Comune di M., Sezione di Vallonara, foglio (...), mappali nn. (...), (...) e (...) (ex mappale n. (...)) e a favore dei fondi di sua proprietà, censiti al catasto terreni del medesimo Comune, foglio (...), mappali nn. (...) e (...) sub. (...). In subordine, l'attore chiedeva l'accertamento dell'intervenuto acquisto per usucapione della predetta servitù ovvero, in via di ulteriore subordine, la costituzione della medesima in via coattiva ai sensi degli artt. 1051 e 1052 c.c., con condanna, in ogni caso, dei convenuti alla cessazione di ogni turbativa recata all'esercizio del proprio diritto reale di passaggio, nonché alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni conseguentemente patiti, da determinarsi all'esito dell'istruttoria svolta, eventualmente anche in via equitativa. Con ordine al Signor Conservatore competente di eseguire le trascrizioni di legge. Oltre alla vittoria di onorari e spese di giudizio. In fatto e in diritto, l'attore rappresentava di essere divenuto proprietario esclusivo, in forza di successione del padre F.C., del compendio immobiliare sito in M., frazione V.S.F., alla via C. di Se. n. 25, catastalmente censito al foglio (...), mappali n. (...) (derivante dalla fusione tra gli ex mappali (...) e (...)) e n. (...) sub. (...), costituito da una porzione destinata alla residenza, sita al piano terra, con accesso dal fronte del fabbricato attraverso una corte comune e da un'ampia porzione situata al piano primo, originariamente destinata a fienile e accessibile unicamente dal retro dell'immobile, nonché da una soffitta al piano secondo. L'attore rappresentava poi che, al fine raggiungere dalla via pubblica la porzione retrostante del fabbricato, veniva da sempre utilizzato un passaggio pedonale che, partendo da via C. di S., si sviluppava attraverso i fondi di cui ai mappali nn. (...), (...) e (...) di proprietà degli odierni convenuti. Esponeva, in effetti, l'attore che detto passaggio, descritto nella perizia redatta dal geom. M., risultava indispensabile per l'accesso ed il recesso dalla porzione di immobile adibita a fienile e che, in quanto tale, esisteva da tempo immemorabile e da sempre veniva utilizzato per riporre in esso (il fienile) il materiale agricolo, nonché per eseguirvi i necessari interventi di manutenzione. L'attore, tuttavia, precisava che dall'anno 2000 il tratto iniziale del passaggio pedonale in questione, pur insistendo sempre sul mappale n. (...) (ex mappale n. (...)), subiva una modifica rispetto al tracciato originario, conseguente ai lavori effettuati dai convenuti di ampliamento della loro abitazione. In detta occasione, riferiva l'attore, i convenuti avevano contemporaneamente iniziato ad impedire al proprio dante causa (il padre F.C.) l'esercizio del passaggio de quo, attraverso l'apposizione sul mappale n. (...) (ora n. (...)), in corrispondenza dell'accesso, di una catenella e di un cartello di divieto di accesso. Seguiva avanti all'Ufficio del Giudice di Pace di Bassano del Grappa una procedura di conciliazione promossa da F.C. nei confronti dei convenuti conclusasi con la sottoscrizione di un verbale di conciliazione, trascritto in data 20.7.2001, per mezzo del quale veniva costituita una servitù volontaria di passaggio pedonale sul mappale (ex) n. (...), a favore del mappale n. (...) (attualmente accorpato al mappale n. (...)). L'atto tuttavia riguardava espressamente il solo mappale ex n. (...) in corrispondenza del quale veniva frapposto il divieto dei convenuti, dovendosi però intendere in via interpretativa esteso anche ai fondi serventi costituiti dai mappali nn. (...) e (...) (dei convenuti) non potendosi altrimenti esercitare compiutamente il passaggio dal fondo dominante alla pubblica via. L'attore dava, tuttavia, atto di come i convenuti successivamente (in epoca recente) avessero nuovamente posto in essere ulteriori condotte atte ad impedire l'esercizio del proprio diritto, depositando materiale (pietrame e materiale edile) a ridosso della parte retrostante l'immobile dell'attore e di come fossero, infine, risultati inutili tutti i tentativi volti al componimento stragiudiziale della vertenza, ivi compreso l'esperimento della procedura di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010. Con comparsa di risposta depositata in data 29.4.2021 si costituivano in giudizio Ro. e Se. dichiarando di non aver mai negato all'attore il diritto di passaggio per cui è causa, e di non opporsi, pertanto, alla domanda attorea tesa all'accertamento dell'esistenza della servitù di passaggio pedonale, come descritta in atti, a carico dei mappali di loro proprietà. I convenuti chiedevano, tuttavia, il rigetto dell'avversaria domanda di condanna al risarcimento dei danni asseritamente patiti, poiché ritenuta del tutto infondata, sia in fatto che in diritto, oltreché priva di adeguato riscontro probatorio. Rappresentavano, in effetti, di non aver mai posto in esser alcun atto di turbativa all'esercizio del diritto di passaggio in discorso, nonché evidenziavano di aver mantenuto un atteggiamento collaborativo sin dall'instaurazione del procedimento di mediazione avvenuto nel 2018, in occasione del quale riferivano di aver subito manifestato la propria disponibilità ad agevolare il passaggio, eventualmente togliendo il materiale ingombrante presente. I convenuti evidenziavano di aver rinnovato all'attore detta disponibilità anche a seguito della notifica dell'atto di citazione. Ciononostante, la controversia proseguiva. Ai fini della refusione delle spese di lite, i convenuti precisavano che la loro costituzione in giudizio era dipesa unicamente dal comportamento di Pi.Ca., il quale non avrebbe riscontrato i tentativi da loro esperiti in via stragiudiziale per chiudere in via amichevole la vertenza. Con vittoria di onorari e spese di lite. Va premesso che in corso di causa l'attore ha espressamente rinunciato alla domanda di condanna al risarcimento del danno, a beneficio dei convenuti che nulla hanno opposto, con la conseguenza che sul punto dovrà ritenersi cessata la materia del contendere, venendo meno l'interesse in concreto della parte richiedente - per sua stessa determinazione - ad ottenere il relativo provvedimento giurisdizionale. Parimenti va deciso in relazione alla domanda dispiegata volta ad ottenere la condanna alla riduzione in pristino dei luoghi di causa, al fine di ottenere la rimozione dei manufatti o materiali ostruenti la servitù di passaggio oggetto di causa. In effetti, tali manufatti ed ostacoli sono stati definitivamente rimossi nel dicembre 2021, come documentato dall'attore in seno alla seconda memoria istruttoria (cfr. docc. 14 e 15 attore, memoria n. II ex art. 183 c.p.c. di Pi.Ca., p. 1-2: "...Infine, negli ultimi giorni del dicembre 2021 - in prossimità della scadenza del termine di deposito della seconda memoria ex artt. 183, comma 6 c.p.c. - anche i "piastrelloni" sono stati rimossi (doc. 14), e successivamente il terreno su cui in precedenza insisteva il materiale di riporto risulta essere stato spianato (doc. 15)"). Non sussistendo più alcun ostacolo all'esercizio della servitù di cui si controverte, anche sul punto va dichiarato il sopravvenuto difetto d'interesse d'agire da parte di Pi.Ca. e, quindi, la cessata materia del contendere. Veniamo, infine, alla dispiegata domanda di accertamento della esistenza della servitù di passaggio pedonale (art. 1079 c.c.) a favore dei fondi (attorei) dominanti nn. (...) e (...) sub (...), foglio (...), catasto terreni del Comune di M. e a carico dei fondi (dei convenuti) serventi nn. (...), (...) e (...), foglio (...), catasto terreni del Comune di M. (cfr. doc. 4 attore). L'interesse ad agire di Pi.Ca. a tal riguardo invece sussiste, dovendosi rinvenire l'obiettiva utilità che l'accertamento richiesto comporterebbe per parte attrice, siccome volto ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto di passaggio lungo il percorso indicato in atti, per il tramite dell'attraversamento dei fondi dei convenuti (cfr. Cass. civ. Sez. II, 27/08/2002, n. 12548: "L'interesse ad agire in giudizio trascende il piano della mera prospettazione soggettiva dell'agente, dovendo, per converso, assurgere ad una consistenza giuridicamente oggettiva, tale da rinvenire la sua caratterizzazione nella necessità di una decisione del giudice che non si limiti ad un'affermazione di puro principio, di massima o accademica, ma che sia invece idonea ad accertare, costituire, modificare o estinguere una situazione giuridica direttamente ed effettivamente incidente sulla sfera patrimoniale dell'agente"; Tribunale Bologna, 01/10/2003: "La sussistenza dell'interesse ad agire viene verificata astrattamente con la valutazione dell'obiettivo finale e cioè del bene della vita cui tende il richiedente, a prescindere dalle allegazione ed argomentazioni, fondate o meno, poste come presupposto della domanda giudiziale: l'interesse ad agire è indipendente dalle tesi che si sostengono e sussiste nel caso in cui accogliendo l'istanza derivi per l'istante il conseguimento di un vantaggio"). Vi è sul punto adesione da parte dei convenuti, che rassegnano in merito conclusioni conformi. Debbono allora svolgersi le seguenti considerazioni. La servitù di passaggio in discorso è stata debitamente descritta agli atti di causa, per il tramite della relazione del geom. Ma.Me. del 24.7.2019 che ha dato atto dell'esistenza di un passaggio pedonale che "...inizia tramite un accesso dall'attuale Mappale n. (...) lungo il confine con il Mappale n. (...) e si estende con una curva verso destra sempre sulla Particella n. (...) fino a raggiungere ed oltrepassare il Mappale n. (...) per proseguire sulla Particella n. (...) e terminare in occasione della proprietà del Sig. P." (cfr. doc. 4 attore, p. 4). La descrizione è stata supportata da riproduzioni fotografiche (non contestate) e dalla realizzazione di un chiaro tracciato di colore verde in corrispondenza del percorso della servitù in questione, tracciato cui Ro. e Se. dichiarano espressamente di aderire. D'altro canto, al fine di accogliere la domanda attorea ex art. 1079 c.c., va rilevato che la prospettazione in punto di fatto dell'attore - in relazione all'esistenza ed esercizio, da lungo tempo, della servitù di transito oggetto di causa - è risultata pienamente confortata sia dai documenti versati in atti (cfr. doc. 5 attore) sia dalle prove testimoniali assunte (cfr. verbale d'udienza del 21.10.2022). La domanda è allora fondata e va accolta. Da ultimo, la regolamentazione delle spese di lite. Le parti controvertono in relazione alla debenza delle spese processuali, cui parte attrice chiede di aggiungere la condanna per lite temeraria dell'avversario processuale. Sul punto, sussistono i presupposti per provvedere nel senso della compensazione integrale, sulla scorta delle seguenti osservazioni. Da un canto, i convenuti hanno da subito pienamente aderito alle domande attoree in punto di accertamento dell'esistenza della servitù di passaggio, nonché hanno provveduto a rimuovere - benché in corso di causa - il materiale ostruente il passaggio; d'altro canto, l'attore ha inizialmente spiegato - tra l'altro - domanda di condanna al risarcimento del danno che poi ha successivamente rinunciato, ragione per la quale anche su tale profilo è stata dichiarata la cessata materia del contendere. Non si ravvedono, di conseguenza, nemmeno ragioni per provvedere nel senso indicato da parte attrice in relazione alla condanna dei convenuti per lite temeraria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa che reca numero 540/2021, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. ACCERTA e DICHIARA l'esistenza della servitù di passaggio pedonale insistente sul tracciato di colore verde riportato a pag. 2 della perizia redatta dal geom. Ma.Me. versata in atti (doc. 4 attore) a favore dei mappali nn. (...) e (...) sub (...), foglio (...), catasto terreni del Comune di M., Sezione Vallonara, di proprietà di Vi.Pi. ed a carico dei mappali nn. (...), (...) e (...), foglio (...), catasto terreni del Comune di M., Sezione Vallonara, di proprietà di Sa.Ro. e An.Se.. 2. ORDINA al Signor Conservatore territorialmente competente di effettuare le trascrizioni di legge, con esonero da responsabilità. 3. DICHIARA cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di condanna di rimessione in pristino e di risarcimento del danno proposte da Vi.Pi. nei confronti di Sa.Ro. e An.Se.. 4. DICHIARA la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. 5. SI PUBBLICHI. Così deciso in Vicenza il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VICENZA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale di Vicenza, Sezione Prima Civile, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. FRANCESCO LAMAGNA, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta a ruolo in data 28.03.2018 al n. 2206/2018 R.G., promossa con atto di citazione notificato in data 04.04.2018 DA To.Gi. (C.F. (...)), nato a C. (V.) il (...) e residente in V., Via Contrada P. n. 34, e da To.To. (C.F. (...)), nato a C. (V.) il (...) e residente in S. B. (V.), Via K. n. 40, rappresentati e difesi, per mandato depositato nel fascicolo telematico in allegato all'atto di citazione di data 21.03.2018, dall'avv. Gu.Fa. (C.F. (...)) del foro di Verona e dall'avv. As.Fr. (C.F. (...)) del Foro di Vicenza, presso il cui studio, sito in Vicenza, Contrà (...), hanno eletto domicilio, i quali Difensori hanno dichiarato di voler ricevere le comunicazioni di Cancelleria ai seguenti recapiti fax n. (...) e PEC (...); - ATTORI - CONTRO Ba.Ro. (C.F. (...)), residente in M. V. (V.), Via M. n. 36, rappresentata e difesa, per mandato depositato nel fascicolo telematico in allegato alla comparsa di costituzione e risposta di data 03.09.2018, dagli avv.ti Lu.Si. (C.F. (...)) e Se.Be. (C.F. (...)) del Foro di Vicenza, presso lo studio dei quali, sito in Vicenza, Contrà (...), ha eletto domicilio, i quali Difensori hanno dichiarato di voler ricevere le comunicazioni di Cancelleria ai seguenti recapiti PEC (...) e (...); - CONVENUTA - In punto: causa in materia di rapporti societari RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE EX ART. 132 C.P.C. NELLA FORMULAZIONE INTRODOTTA DALLA L. 18 GIUGNO 2009, N. 69 Al fine di un opportuno inquadramento dell'oggetto del presente giudizio è necessario premettere che, con l'atto di citazione notificato in data 04.04.2018, i sig.ri To.Gi. e To.To. esponevano in fatto che: - con atto del (...) a rogito del notaio dott. Mi.Co. veniva costituita tra i sig.ri To.Gi. e Br.To. la "Sa. s.a.s.", avente sede in A. e ad oggetto "l'attività di elaborazione meccanografica di dati tecnici e statistici richiesti nel settore termotecnico per l'edilizia in genere, nonché la consulenza in campo ecologico" (V. Doc. n. 1 attoreo), nell'ambito della quale il sig. To.Gi. assumeva la qualità di socio accomandatario ed il sig. Br.To. quella di accomandante; - successivamente, in data (...), sempre avanti al notaio C., il sig. To.Gi. cedeva interamente la propria quota di compartecipazione alla società del valore nominale di L. 500.000 alla signora Ba.Ro., mentre il sig. Br.To. cedeva a quest'ultima una parte soltanto della propria quota societaria per un valore nominale di L. 500.000, con la conseguenza che la quota societaria di Br.To. risultava pari all'80% (L. 4.000.000) e quella della signora Ba.Ro. pari al 20% (L. 1.000.000); - al contempo, con il medesimo atto notarile, si apportavano modifiche al contratto sociale, tra cui il necessario cambio della denominazione sociale in "Sa. s.a.s." (d'ora in avanti anche solo "Sa."), stante l'assunzione da parte della B. della qualità di socia accomandataria in luogo del sig. To.Gi., mentre il sig. Br.To. restava socio accomandante con quota pari appunto all'80% del capitale sociale; - successivamente, nel corso del 2008, il sig. Br.To. subiva un'emorragia cerebrale con lunga degenza di ricovero sanitario per circa un anno e quasi totale impedimento al lavoro e con una conseguente forte limitazione della propria sfera d'azione che lo portava a concordare con la sig.ra B., con scrittura privata denominata "Patto di ripartizione degli utili valido ai fini fiscali" del 02.12.2011 registrata all'Agenzia delle Entrate in data 12.12.2011 (V. Doc. n. 3 attoreo), una percentuale di ripartizione degli utili diversa da quella corrispondente alle rispettive quote, in modo che gli ultimi utili derivanti dall'attività d'impresa da lì in avanti si sarebbero ripartiti appunto nella misura del 60% in favore del sig. Br.To. e del 40% in favore della sig.ra B.; - in data 23.11.20213 il sig. Br.To. decedeva in Chiampo e si apriva così la successione legittima in favore dei suoi fratelli, odierni attori, sig.ri To.Gi. e To.To.; - nei mesi successivi questi ultimi si rivolgevano a varie riprese, formalmente ed informalmente, alla sig.ra B. in qualità di socia accomandataria ed anche al dott. E.D.G. in qualità di commercialista della S., al fine di esercitare i diritti ed i poteri ad essi spettanti quali eredi legittimi del sig. Br.To. e, dunque, quali soci accomandanti della medesima società; - tali richieste rimanevano ignorate e, in data 03.10.2014, la sig.ra B. nella sua qualità di socia accomandataria procedeva unilateralmente e senza avviso allo scioglimento della società per mancata ricostituzione della pluralità dei soci, dichiarandone lo stato di liquidazione ed assumendo contestualmente l'incarico di liquidatore; - in particolare, nell'atto di "Constatazione di scioglimento di società in accomandita da semplici con messa in liquidazione" a rogito del notaio C. veniva dedotto che la società si era sciolta "fin dal 23 (ventitre) maggio 2014 (duemilaquattordici)" a causa della "mancata ricostituzione nei termini di sei mesi della pluralità dei soci e del venir meno di una delle categorie dei soci" (V. Doc. n. 8 attoreo); - in seguito, in data 22.12.2014, la sig.ra B., ancora senza darne comunicazione ad essi attori, procedeva a richiedere la cancellazione della S. dal Registro delle Imprese che avveniva poi il 20.01.2015; - frattanto, i sig.ri T., tramite il proprio legale di fiducia, con comunicazione del 10.12.2014, rinnovano la richiesta di documentazione ed in particolare del bilancio d'esercizio della società al 31.12.2013 (V. Doc. n 10 attoreo) e la sig.ra B., anch'essa tramite il proprio procuratore legale, inviava il solo atto costitutivo e statuto della società, peraltro senza nulla contestare in ordine alla qualità di soci accomandanti rivestita dai sig.ri T. (V. Doc. n 11 attoreo); - seguivano ulteriori solleciti da parte degli attori e l'unica documentazione datata al 31.12.2013 agli stessi inviata, sotto il titolo "Bilancio 2013", conteneva in realtà solo l'indicazione di ricavi e costi e precisava il valore di Euro 27.699,68 come reddito netto della società (V. Doc. n. 21 attoreo); - agli attori veniva inoltre consegnato da parte del dott. D.G. un prospetto contenente l'inventario dei beni della S. al 31.12.2013 da cui risultava l'esistenza di beni societari ammortizzabili della cui sorte non era data alcuna ulteriore traccia in seguito (V. Doc. n. 15 attoreo); - in data 31.03.2015 venivano altresì trasmessi ai sig.ri T. due assegni circolari di Euro 697,04 ciascuno a titolo di "liquidazione della quota della predetta s.a.s. intestata al sig. Br.To. all'atto dell'apertura della successione del medesimo" (V. Doc. n. 16A attoreo); - i sig.ri T. apprendevano poi che la sig.ra B., sotto la ditta "Sa.", continuava ad esercitare la medesima attività della società cancellata, nella stessa zona ed utilizzando gli stessi clienti, appunto, della S.; - con comunicazione del 22.05.2015 (V. Doc. n. 19 attoreo), gli odierni attori contestavano alla sig.ra B. di aver tenuto dei comportamenti illeciti in relazione alla società e le comunicavano che, a seguito di stima da parte del dott. D.B., il valore dell'azienda era stato quantificato in Euro 36.000,00, di cui Euro 30.500,00 per il solo avviamento; - seguiva in data 30.06.2016 un'ulteriore comunicazione all'odierna convenuta (V. Doc. n. 20 attoreo) con cui i sig.ri T. formalizzavano le proprie richieste di pagamento e cioè Euro 21.600,00 quale valore dell'azienda S., Euro 4.342,00 quale residuo del reddito netto 2013, Euro 1.064,65 a titolo di residuo canoni di locazione, per un totale complessivo di Euro 25.612,57 a cui doveva aggiungersi la somma corrispondente alla quota del 60% del reddito netto del 2014; - la suddetta richiesta di pagamento non riceveva riscontro positivo da parte della sig.ra B. e così in data 04.01.2017 gli attori le notificavano atto formale di costituzione in mora e contestuale invito alla stipulazione di una negoziazione assistita (V. Doc. n. 23 attoreo), che tuttavia non dava esito positivo. In diritto, gli attori deducevano la loro qualità di soci accomandanti di S. in quanto eredi legittimi del defunto sig. Br.To., rilevando come essi fossero subentrati automaticamente a quest'ultimo nella sua posizione di socio accomandante della società. Al riguardo invocavano l'applicazione dell'art. 2322 c.c. il cui primo comma stabiliva chiaramente - a detta attorea - che la quota di partecipazione del socio accomandante era trasmissibile per causa di morte, con ciò introducendo un'eccezione rispetto alla disciplina generale di cui all'art. 2284 c.c. secondo cui, in caso di morte di uno dei soci nella società di persone, gli altri soci dovevano liquidare la quota agli eredi, a meno che non preferissero sciogliere la società, ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentissero. Al contrario, nella società in accomandita semplice la quota di partecipazione del socio accomandante si trasmetteva mortis causa agli eredi automaticamente senza bisogno di una manifestazione di volontà, e ciò in ragione dell'attenuata rilevanza dell'elemento personale che caratterizza la partecipazione capitalistica del socio accomandante, il tutto come recepito dalla giurisprudenza di legittimità nella pronuncia n. 12906 del 18.12.1995. La stessa Suprema Corte aveva ribadito il principio di trasmissibilità mortis causa della qualità di socio accomandante in una più recente pronuncia citata da parte attorea, e cioè la n. 21803 dell'11.10.2006, alla quale è seguita la pronuncia n. 24476 del 21.11.2011 secondo cui "sono i soci accomandanti a subentrare de iure nelle posizioni dei loro rispettivi danti causa ex art. 2322 c.c.". Sulla scorta di tali premesse gli attori deducevano la conseguente insussistenza di alcuna causa di scioglimento della S. e la relativa illiceità ed arbitrarietà del comportamento della socia accomandataria odierna convenuta sig.ra Ba.Ro. e procedevano a quantificare il danno da loro subito in relazione alla quota sociale ai medesimi spettante che conteggiavano in Euro 4.342,00 per reddito netto dovuto in relazione all'esercizio 2013, in quella somma da determinarsi nel corso del giudizio in relazione all'esercizio 2014, in Euro 28.932,00 a titolo di risarcimento per i danni subiti a causa dell'illecito scioglimento e cancellazione della società, nonché in Euro 910,85 per canoni di locazione dei due locali di proprietà del de cuius a suo tempo concessi in locazione ad uso ufficio alla S. rimasti impagati. Con comparsa di costituzione e risposta del 03.09.2018 si costituiva ritualmente in giudizio la sig.ra Ba.Ro., deducendo sostanzialmente che i sig.ri G.G. e To.To. non le avevano mai comunicato né dimostrato la loro qualità di eredi del de cuius se non dopo il decorso del termine semestrale di cui all'art. 2323, co. I, c.c. e che in ogni caso la disposizione dell'art. 2322 c.c. invocata da parte attorea non prevedeva affatto la trasmissibilità automatica delle quote dei soci accomandanti deceduti agli eredi. In tesi di parte convenuta affinché fosse trasmessa non solo la quota di partecipazione ma anche la qualità di socio accomandante sarebbe dovuta intervenire una modifica dell'atto sociale che nel caso di specie non era invece avvenuta. La medesima convenuta richiamava la giurisprudenza menzionata dagli attori ed in particolare la pronuncia da parte della Corte di Cassazione n. 12906 del 18.12.1995, evidenziando tuttavia che in tale caso la Suprema Corte si era occupata di una particolare clausola ossia quella di continuazione automatica che, qualora contenuta nello statuto di una società in accomandita semplice, avrebbe permesso la trasmissione automatica della qualità di socio all'erede dell'accomandante senza la necessità di alcuna richiesta da parte di costui e dunque in deroga all'art. 2322, primo comma, c.c. Sosteneva, inoltre, che, in assenza di tale clausola, la quale mancava nello statuto di S., occorreva dunque un'espressa manifestazione di volontà degli eredi per il loro subentro nella qualità di soci accomandanti che i sig.ri T. fino al luglio 2014 non avevano mai espresso. Gli attori, dunque, non erano mai divenuti soci della S. ma conservavano il diritto alla liquidazione della quota del socio defunto ai sensi dell'art. 2284 c.c. alla quale la sig.ra B. aveva proceduto, versando loro l'importo di Euro 1.394,08 corrispondente alla partecipazione sociale del socio deceduto. Quest'ultima deduceva, altresì, che l'attività della società si esauriva nella consulenza in materia di gestione dei rifiuti realmente da lei sola eseguita e che pertanto in altri termini la S. poteva definirsi società priva di azienda il cui avviamento non esisteva e non era neppure teoricamente concepibile. Respingeva, infine, ogni richiesta relativa alla corresponsione dei canoni di locazione arretrati, evidenziando di aver già corrisposto quanto riteneva ancora dovuto ai locatori, e cioè Euro 764,62, successivamente alla notifica dell'atto di citazione. Concludeva chiedendo il rigetto di tutte le domande formulate dagli attori, nonché l'ammissione della prova per testi dedotta. Alla prima udienza di comparizione tenutasi il 25.09.2018 il Giudice concedeva i termini ex art. 183, comma sesto, c.p.c. richiesti concordemente dalle parti e rinviava all'udienza del 30.05.2019 per l'adozione dei provvedimenti istruttori. Veniva quindi dato corso all'istruttoria orale e dunque sentiti i testi alle udienze del 05.12.2019 e 28.01.2021, mentre all'udienza del 22.09.2021 si procedeva all'interpello formale della convenuta. Il Giudice disponeva, poi, C.T.U. tecnica contabile, nominando quale Consulente dell'Ufficio la dott.ssa Sa.Ce. di Vicenza, la quale, all'esito dell'indagine tecnica, procedeva a depositare la propria relazione in data 31.10.2022. Chiamata all'udienza di precisazione delle conclusioni il 12.10.2023, la causa veniva quindi riservata per la decisione, sulle conclusioni delle parti in epigrafe trascritte, previa concessione alle stesse dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Così riepilogate, nei loro termini essenziali, le prospettazioni e difese delle parti, più diffusamente compendiate nei rispettivi scritti difensivi, deve rilevarsi come le domande proposte dagli attori appaiano per la più parte fondate e debbano essere accolte per quanto di ragione. La presente controversia verte essenzialmente sulla questione della trasmissibilità o meno, iure successionis, della qualità di socio accomandante. La disciplina codicistica è rinvenibile al Capo IV del Titolo V dedicato alla società in accomandita semplice e precisamente all'art. 2322 c.c., rubricato "Trasferimento della quota", che testualmente dispone: "La quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, la quota può essere ceduta, con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale". Contrariamente a quanto affermato dalla convenuta, la norma di riferimento nel caso di specie non può essere l'art. 2284 c.c. che disciplina l'evento della morte del socio nella società semplice, bensì - appunto - il citato art. 2322 c.c. con particolare attenzione al suo primo comma. La giurisprudenza di legittimità che si è dedicata alla tematica si condensa nelle tre pronunce correttamente evidenziate da parte degli attori, e cioè Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 12906 del 18.12.1995; Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 21803 del 11.10.2006 e Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza n. 24476 del 21.11.2011. La più risalente e consolidata delle tre, ossia la n. 12906/1995 ha - come si suol dire - battuto una strada che non è stata modificata dalla giurisprudenza successiva, la quale anzi ne ha fatto un precedente condivisibile. Il ragionamento della Corte parte dall'esame dell'art. 2284 c.c. ("Come è noto, in relazione alla norma dell'art. 2284 c.c., che disciplina in linea generale, con riferimento alla società a base personale le modificazioni soggettive del rapporto sociale conseguenti alla morte di uno dei soci, si prevede che "salva diversa disposizione dell'atto sociale", i soci superstiti devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscono sciogliere la società, ovvero di continuarla con gli eredi stessi, i quali vi acconsentano". Si discute se, fra le diverse convenzioni rimesse all'autonomia privata, possa essere validamente pattuita una clausola di continuazione automatica, che comporta la continuazione del rapporto sociale con gli eredi del socio defunto, a prescindere da qualsiasi manifestazione di volontà di questi ultimi. I fautori della tesi della validità della clausola sottolineano come la volontà unanime dei soci - che può consentire la trasmissibilità mortis causa della quota sociale - è quella che si manifesta nella clausola contrattuale stessa; e che l'erede non è costretto ad assumere responsabilità illimitata contro la sua volontà, avendo egli sempre la scelta se accettare o meno l'eredità. Per contro si rivela che l'ingresso in società quale socio illimitatamente responsabile non può mai avvenire contro la volontà dell'erede, e che l'alternativa della mancata accettazione dell'eredità finisce per considerare l'adesione alla società come una condizione per l'acquisto dell'eredità, che il de cuius può imporre solo con atti di ultima volontà, di per se revocabili unilateralmente") per poi di netto distaccarsene onde favorire l'analisi del particolare caso - qual è quello della fattispecie concreta - della società in accomandita semplice e con essa dell'art. 2322 c.c. Testualmente: "Per quanto, invece, concerne la società in accomandita semplice, vige la diversa regola, posta dall'art. 2322 che, con riferimento alla posizione del socio accomandante, espressamente prevede che la sua "quota di partecipazione ... è trasmissibile per causa di morte". L'attribuzione della quota sociale, secondo il significato proprio di tali parole, non si esaurisce nella mera attribuzione del suo valore patrimoniale (nel qual caso la norma sarebbe inutiliter data, corrispondendo tale effetto, all'applicazione delle norme generali sulla successione mortis causa) ma comporta automaticità nell'acquisto dello "status socii". La morte del socio si configura, così, come un evento al quale la società è "indifferente", in considerazione della attenuata rilevanza dell'elemento personale, propria della partecipazione "capitalistica" (e della conseguente mancanza di acquisto di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali) del socio accomandante". Tale principio di diritto è ripreso nell'ambito della pronuncia n. 21803/2006 ("a norma dell'art. 2322, comma 1, c.c. soltanto la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte, con la conseguenza che ha gli eredi del socio accomandatario si applica il disposto dell'art. 2284 c.c.") e ancor più vividamente nella sentenza successiva n. 24476/2011 ove è stato disposto che: "Invero, l'omessa citazione in appello degli eredi del socio accomandatario non può ritenersi costituire nella fattispecie una causa di nullità della sentenza, dal momento che non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società e gli eredi del socio accomandatario; in effetti, questi ultimi hanno solo diritto alla liquidazione della quota, salvo diverso accordo con gli altri soci, non comportando la morte del socio accomandatario lo scioglimento o l'estinzione della società, ma soltanto la trasmissione o la liquidazione della quota, quale conseguenza dello scioglimento del rapporto tra il singolo socio e la società, mentre sono i soci accomandanti a subentrare "de iure" nelle posizioni dei loro rispettivi danti causa ex art. 2322 c.c.". Tanto premesso, e con l'ulteriore precisazione che risulta pacifica in causa - anche, da ultimo, dalle affermazioni della convenuta nella sua comparsa conclusionale - la qualità di eredi legittimi del sig. Br.To. in capo agli attori, deve ritenersi automaticamente acquisito da parte degli stessi lo status di soci accomandanti della Sa. s.a.s. alla morte del de cuius avvenuta in data 23.11.2013. Atteso che la convenuta ha posto in liquidazione la società in data 03.10.2014 assumendone la carica di liquidatrice e che poi la società è stata cancellata in data 20.01.2015, il primo quesito che si è posto alla Consulente dell'Ufficio, dott.ssa Sa.Ce., nominata in data 22.09.2021, è stato quello di determinare "Il valore della società S. s.a.s. e delle relative quote facenti capo ai soci accomandanti G.G. e To.To., tenendo conto del valore del patrimonio della società e del valore di avviamento al 31.12.2013". La C.T.U., esaminati i documenti agli atti di causa, nonché le osservazioni pervenute dalle parti alle quali ha fornito puntuale riscontro, ha concluso che: "Il valore della società S. s.a.s., tenendo conto del valore del patrimonio della società e del valore di avviamento al 31.12.2013 era pari ad Euro 18.126,34" e che "Il valore della quota in capo ai signori To.To. e To.Gi. ammontava - alla data del 31.12.2013 - ad Euro 14.501,07 corrispondente all'80% del valore dell'azienda". Al suddetto importo va sottratta la complessiva somma di Euro 1.394,08 già corrisposta dalla convenuta agli attori "a titolo di liquidazione della quota della predetta s.a.s. intestata al sig. Br.To. all'atto dell'apertura della successione del medesimo" per il tramite di due assegni circolari dell'importo di Euro 697,04 ciascuno allegati alla comunicazione a mezzo raccomandata a.r. del 31.03.2015 (V. Doc. n. 16A attoreo). Pertanto, la sig.ra B. va condannata al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 13.106,99 corrispondente all'80% (che era la quota sociale di proprietà del de cuius) del valore dell'azienda, detratto quanto la stessa aveva già corrisposto in precedenza al medesimo titolo. Il secondo quesito posto alla C.T.U. era quello di determinare "L'utile effettivamente maturato dalla S. s.a.s. per gli anni 2014-2015, tenendo conto della documentazione oggetto della sottostante richiesta di ordine di esibizione e di quanto ivi riferito riguardo la possibilità di "traslazione" dei redditi della società S. s.a.s. in quelli della ditta individuale Sa." e la risposta fornita è stata la seguente: "L'utile effettivamente maturato dalla S. s.a.s. per gli anni 2014-2015, tenendo conto della documentazione oggetto dell'ordine di esibizione e di quanto ivi riferito riguardo la possibilità di "traslazione" dei redditi della società S. s.a.s. in quelli della ditta individuale Sa. ammontava: - ad Euro 9.971,87, con una differenza di Euro 2.259,87 rispetto all'utile formalmente conseguito, per l'anno 2014; - ad Euro 11.498,83 per l'anno 2015". Posto che con scrittura privata denominata "Patto di ripartizione degli utili valido ai fini fiscali" del 02.12.2011, registrata all'Agenzia delle Entrate in data 12.12.2011 (V. Doc. n. 3 attoreo) - pacificamente riconosciuta da entrambe le parti in causa - il sig. Br.To. e la sig.ra B. definivano una percentuale di ripartizione degli utili diversa da quella corrispondente alle rispettive quote, accordandosi affinché da lì innanzi gli stessi si sarebbero ripartiti nella misura del 60% in favore del primo e del 40% in favore della seconda, va ritenuta di spettanza attorea la limitata percentuale del 60% degli importi calcolati all'esito dell'indagine peritale a titolo di utili della S. per gli anni 2014 e 2015. La convenuta deve quindi essere condannata al pagamento in favore degli attori anche della complessiva somma di Euro 12.882,41, di cui Euro 5.983,12 pari al 60% dell'utile conseguito dalla società nell'anno 2014 ed Euro 6.899,29 pari al 60% dell'utile conseguito dalla società nell'anno 2015. L'agire attoreo deve quindi ritenersi sostanzialmente fondato nell'an, divergendo la valutazione di questo Giudice in punto quantum: le quantificazione offerte dalla difesa attorea non possono infatti essere prese in considerazione, atteso il loro fondarsi sui conteggi svolti dal Consulente tecnico di parte, dott. Pa.Sg., puntualmente confutati da quello dell'Ufficio, dott.ssa Sa.Ce.. Le ulteriori richieste risarcitorie formulate dagli attori devono ritenersi assorbite dalle voci di danno già liquidate supra a titolo di valore della quota di partecipazione all'azienda poi sciolta e cancellata e di utili conseguiti. Deve inoltre rigettarsi la domanda attorea relativa ai canoni di locazione asseritamente ancora arretrati in considerazione del fatto che la convenuta ha già provveduto al pagamento di ogni debito residuo con bonifico bancario del 03.09.2018 (V. Doc. n. 14 convenuta) che la difesa attorea ha più volte provveduto a riconoscere negli atti di causa. Va infine disattesa la richiesta svolta in via istruttoria da parte degli attori, i quali avrebbero voluto ordinata ancora una volta alla convenuta la produzione della dichiarazione fiscale presentata all'Agenzia delle Entrate dal legale rappresentante di S. e dunque della sig.ra B. per gli anni 2013 e 2014 in quanto la stessa Consulente dell'Ufficio dott.ssa Ceriotti l'ha reputata non necessaria e "nemmeno utile ai fini del presente lavoro" (V. pag. 37 C.T.U.). Quanto alle spese processuali, in applicazione del principio della soccombenza, si dispone che vadano poste a carico della convenuta e liquidate in favore degli attori come da dispositivo, mediante la previsione di un importo forfettario a titolo di compenso per l'attività professionale svolta, calcolato sulla base dei parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, come modificato dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37, avendo riguardo al decisum (Euro 25.989,40) - compreso nello scaglione di riferimento da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00 - e con il compenso calcolato ai valori medi per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e di trattazione, nonché decisoria. Le spese della C.T.U., come già liquidate in atti, vanno definitivamente poste a carico della parte convenuta risultata soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa come sopra promossa, ogni diversa domanda, eccezione ed istanza disattesa o assorbita, così provvede: 1) accertato e dichiarato che, a far data dal 23.11.2013, To.Gi. e To.To., quali eredi di Br.To., hanno acquistato mortis causa ex art. 2322 c.c. lo status di soci accomandanti di Sa. s.a.s., succedendo ex aequo nella quota della medesima società di cui era titolare il de cuius, condanna la convenuta Ba.Ro. a pagare agli attori la complessiva somma di Euro 25.989,40 per le causali indicate in parte motiva, da maggiorarsi degli interessi legali dalla domanda giudiziale al soddisfo; 2) rigetta ogni altra domanda ed eccezione proposta in giudizio dalle parti; 3) condanna la convenuta alla rifusione in favore degli attori delle spese e competenze del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.380,00, di cui Euro 545,00 per esborsi in senso stretto ed Euro 4.835,00 per compenso professionale, oltre al rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; 4) pone definitivamente a carico della convenuta le spese della C.T.U., come già liquidate in atti. Così deciso in Vicenza il 19 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VICENZA Sezione I In composizione monocratica, in persona della Dott.ssa Aglaia Gandolfo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa da: Cr.Cr. (C.F.: (...)) e Ma.La. (C.F.: (...)), elettivamente domiciliati presso l'indirizzo p.e.c. dell'Avv. UG.OS. del Foro di Padova, che li rappresenta e difende giusta mandato allegato all'atto di citazione Attori opponenti contro U. S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore (P.IVA: (...)), elettivamente domiciliata in Verona, Vicolo (...), presso e nello studio dell'Avv. FE.GI. del Foro di Verona, che la rappresenta e difende giusta mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta Convenuta Al. S.R.L. (P.IVA: (...)), per il tramite della mandataria speciale Pr. S.P.A. (P.IVA: (...)), ulteriormente per il tramite, a seguito della costituzione di nuovo difensore, della procuratrice speciale Pr. S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore (P.IVA: (...)), società elettivamente domiciliata in Catania, Via (...), presso e nello studio dell'Avv. GU.GR. del Foro di Catania, che la rappresenta e difende giusta mandato allegato all'atto di comparsa e costituzione di nuovo difensore depositato il 06.10.2023, in sostituzione dell'Avv. ME.GI. del Foro di Verona e a seguito della rinuncia di quest'ultimo al mandato con atto depositato il 12.10.2023 Terza intervenuta Avente ad oggetto: Contratti bancari MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, Cr.Cr. e Ma.La. interponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 944/2022 del 19.5.2022 con cui il Tribunale di Vicenza aveva loro ingiunto il pagamento, rispettivamente quale debitore principale e quale fideiussore, di Euro 48.111,39 di cui Euro 13.189,31 a titolo di saldo del finanziamento n. (...) ed Euro 31.922,08 a titolo di saldo del finanziamento n. (...). Gli opponenti esponevano: che Cr.Cr., quale titolare di una ditta di allevamento di pollame, aveva aperto un fido di cassa di Euro 15.000,00 con cambiale agraria di Euro 50.000,00 presso Un. S.p.A., la quale nel 2016 aveva scontato la cambiale fino a raggiungere uno sconfinamento di Euro 65.000,00 e aveva chiesto il rilascio di una fideiussione di Euro 94.000,00 anche in ragione degli elevati interessi extrafido; che nel 2017, malgrado il mancato rientro dallo sconfinamento, Un. S.p.A. aveva concesso il finanziamento n. 7887462 di Euro 41.353,60 assistito da garanzia consortile di ISMEA - Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare erogata quale misura di sostegno a seguito dei danni economici causati agli allevatori dall'influenza aviaria; che nel 2018 Cr.Cr. aveva contratto con il B.T.V. il mutuo ipotecario n. (...) di Euro 1.250.000,00 per realizzare due impianti per la produzione di energia elettrica, di cui uno fotovoltaico e uno a biomasse; che nonostante la forte esposizione debitoria Un. S.p.A., in data 4.10.2018 gli aveva concesso l'ulteriore finanziamento n. (...) di Euro 42.256,00; che nel febbraio 2020 Cr.Cr. aveva interrotto la propria attività a causa dell'epidemia di Covid-19 e le banche avevano sospeso il pagamento dei ratei; che nel dicembre 2020 aveva affittato a tale G. Società Agricola s.r.l. la propria azienda, la quale tuttavia veniva sequestrata a causa di un'infezione di aviaria; che in mancanza del versamento del canone di affitto, aveva quindi omesso di pagare sul finanziamento n. (...) una sola rata di Euro 5.447,77 in scadenza al 13.3.2022 e sul finanziamento n. (...) tre rate di Euro 746,21 cadauna rispettivamente in scadenza al 4.1.2022, al 4.2.2022 e al 4.3.2022; che in data 21.3.2022 Un. S.p.A. aveva quindi comunicato la risoluzione dei rapporti ex art. 1456 c.c.; che tuttavia la Banca suddetta si era resa responsabile di una concessione abusiva di credito; che la fideiussione omnibus era inefficace ex art. 1955 c.c., ex art. 1956 c.c. ed ex art. 1957 c.c. perchè il maggior credito al debitore garantito deve essere erogato, per quanto senza l'autorizzazione del garante, comunque secondo buona fede; che comunque la fideiussione in questione era stata concessa, oltre che per l'apertura di credito, per le obbligazioni future solo nei limiti dell'importo residuo, come da comunicazione inoltrata alla Banca; che quest'ultima ha tenuto un comportamento contrario al canone della buona fede anche per aver risolto i contratti senza preavviso e per aver depositato ricorso monitorio solo venti giorni dopo; che infine la fideiussione era nulla anche per conformità al modello ABI sanzionato dalla B.I.. Gli opponenti chiedevano quindi, previo accertamento incidentale della predetta nullità negoziale, che il decreto ingiuntivo opposto venisse revocato. Costituitasi in giudizio, Un. S.p.A. esponeva: che con contratto 1.6.2022 il credito monitoriamente azionato era stato ceduto ad Al. s.r.l.; che l'azione di recupero era stata intrapresa perché i debitori avevano alienato tutti i loro beni immobili, riservandosi sugli stessi il solo diritto di abitazione; che tale condotta rivelava la malafede piuttosto degli opponenti e realizzava il presupposto dell'art. 1186 c.c.; che l'ammontare del credito non era stato contestato; che la concessione abusiva del credito non poteva essere eccepita dal debitore destinatario del credito medesimo; che le eccezioni ex art. 1955 c.c., ex art. 1956 c.c. ed ex art. 1957 c.c. non erano proponibili, essendo le fideiussioni piuttosto contratti autonomi di garanzia; che le fideiussioni omnibus non ammettono alcuna progressione nell'individuazione dei rapporti garantiti; che sull'eccezione di nullità della fideiussione è competente solo la sezione specializzata per le imprese presso il Tribunale di Venezia; che comunque gli opponenti non hanno documentato l'asserita nullità in questione e non hanno interesse ad eccepirla nel caso di specie. Un. S.p.A. chiedeva quindi il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Intervenuta in giudizio per il tramite della mandataria Pr. s.r.l., Al. s.r.l. eccepiva in via pregiudiziale la nullità per indeterminatezza dell'atto di citazione e l'improponibilità dell'eccezione inerente alla concessione abusiva del credito, comunque infondata anche nel merito. La società intervenuta, inoltre, rilevava l'infondatezza dell'eccezione ex art. 1957 c.c., in quanto il termine di 36 mesi contrattualmente previsto dalla revoca dei rapporti per azionare il credito era stato rispettato, nonché l'infondatezza dell'eccezione ex art. 1956 c.c. in quanto il garante aveva assunto l'obbligo di tenersi informato circa le condizioni e gli impegni economici del debitore garantito, così dispensando la Banca da ogni onere di comunicazione circa l'erogazione di nuovi finanziamenti. Al. s.r.l. ribadiva poi: che la fideiussione omnibus era stata rilasciata indifferentemente per tutti i rapporti bancari del debitore garantito; che ai sensi della clausola 2.8 contenuta in entrambi i contratti di finanziamento la Banca poteva dichiarare la decadenza dal beneficio del termine non appena riscontrati i presupposti di cui all'art. 1186 c.c. e poteva risolvere i contratti medesimi ex art. 1456 c.c. in caso di mancato pagamento anche solo di una rata, senza obbligo di preavviso; che per l'accertamento della nullità della fideiussione era competente la sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Venezia e che comunque la relativa eccezione non poteva essere sollevata nel caso di specie in quanto la suddetta fideiussione si configurava piuttosto quale contratto autonomo di garanzia; che in ogni caso la violazione contestata in parte qua dagli opponenti avrebbe comportato una mera tutela risarcitoria. La società intervenuta chiedeva quindi, previa dichiarazione di nullità dell'atto di citazione, che venisse dichiarata l'inammissibilità delle domande attoree o che comunque venisse rigettata l'opposizione, con conseguente conferma del provvedimento monitorio. All'udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa, il Giudice rigettava l'eccezione di nullità dell'atto di citazione formulata dalla società intervenuta e concedeva, ai sensi e per gli effetti dell'art. 648 c.p.c., la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto. All'esito dello scambio delle memorie ex art. 183 c.p.c. e preso atto del subentro del nuovo difensore di Al. s.r.l. per rinuncia al mandato di quello inizialmente costituitosi in giudizio, veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni, le quali venivano rassegnate come in epigrafe, e la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica di cui all'art. 190 c.p.c. ratione temporis vigente. Tanto premesso, va in primo luogo esaminata l'eccezione pregiudiziale di difetto di competenza del Tribunale adito, per poi valutare il merito della domanda di accertamento della concessione abusiva di credito contestata alla Banca convenuta e successivamente vagliare le censure afferenti alla validità ed efficacia della fideiussione in atti. Con riguardo al primo profilo, occorre evidenziare che la questione della nullità, totale o parziale, della fideiussione per violazione del divieto di intese concorrenziali ex L. n. 297 del 1990 si atteggia quale eccezione meramente incidentale, in quanto volta a far accertare senza efficacia di giudicato l'invalidità negoziale dedotta da parte opponente al fine di paralizzare la pretesa creditoria ex adverso avanzata. Risulta infondata quindi l'eccezione di incompetenza dell'adito Tribunale in favore della Sezione Specializzata in materia di imprese del Tribunale di Venezia. Sempre in via pregiudiziale, si osserva che per la prima volta in sede di comparsa di risposta Un. S.p.A. ha eccepito in termini specifici l'inammissibilità dell'opposizione avversaria in quanto proposta nei propri confronti, sebbene medio tempore, a seguito dell'emissione del decreto ingiuntivo, il credito monitoriamente azionato fosse stato ceduto ad Al. s.r.l., con adempimento di tutte le formalità pubblicitarie imposte dalla legge. Trattasi di eccezione, oltre che tardiva, parimenti infondata, in quanto è noto che ai sensi dell'art. 111 c.p.c., in caso di trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, il processo prosegue tra le parti originarie. Ed è parimenti noto che a seguito del deposito di un ricorso monitorio e dell'emissione del correlato decreto ingiuntivo, l'opposizione incardinata avverso quest'ultimo rappresenta la prosecuzione di un giudizio da intendersi in termini di unitarietà, risultando quindi applicabile il principio di continuità espresso dal citato art. 111 c.p.c. Passando ad esaminare il merito della controversia secondo l'ordine di argomenti sopra esposto, viene evocato il tema giurisprudenziale della c.d. concessione abusiva del credito, che consiste in un'operazione o in una serie di operazioni di finanziamento (in senso lato) aventi quale effetto quello di ritardare l'emersione del dissesto finanziario di una società, e quindi la sua sottoposizione alle opportune procedure concorsuali, in danno dei creditori dell'impresa. L'accento viene con cognizione posto dalla giurisprudenza sulla posizione del ceto creditorio, invece che su quella della società eccessivamente finanziata. Sebbene infatti taluni suggeriscano una portata plurioffensiva della concessione abusiva del credito, in tesi potenzialmente dannosa non solo per i creditori che rischiano di rimanere insoddisfatti, ma anche per lo stesso soggetto finanziato che rischia di non poter più far fronte ai propri debiti, si ritiene invero che le due posizioni siano significativamente differenti. Da un lato, il danno nei confronti dei creditori è evidente: in questi si ingenera un legittimo, ma vano, affidamento in ordine alla solvibilità dell'impresa medesima cui l'istituto bancario continua a erogare credito, fino a quando non vengono invece prosciugate tutte le risorse economiche della stessa e non vengono così frustrate in toto le aspettative dei creditori di vedere soddisfatte le rispettive pretese creditorie. Dall'altro lato, nei confronti della società, la concessione di credito, anche in misura ingente, costituisce un evento neutro, perché da coniugare necessariamente con la gestione imprenditoriale delle risorse finanziarie erogate. Detto altrimenti, il danno individuato nella ritardata emersione dell'irreversibile insolvenza non ha quale causa immediata e diretta l'erogazione o il mantenimento delle linee di credito, quanto piuttosto le iniziative di gestione delle stesse da parte degli organi interni del soggetto finanziato. Il credito viene concesso per consentire all'impresa di riassestarsi e recuperare la produzione di utili, in teoria con possibilità di successo tanto maggiori quanto più ingenti sono le risorse finanziarie messe a disposizione. Anzi, il finanziamento rappresenta pur sempre il principale strumento di cui un'impresa può sperare di avvalersi per superare uno stato di crisi (tanto che tendenzialmente tutti i piani e gli accordi di ristrutturazione del debito aziendale presuppongono il mantenimento delle linee di credito già accordate). È semmai la mala gestio degli amministratori, salvo eventuali eventi eccezionali comunque non imputabili ai finanziatori, a vanificare le opportunità di investimento e di ripresa offerte da una rinnovata disponibilità di risorse economiche. Da queste considerazioni discende che non può configurarsi una responsabilità della Banca per concessione abusiva del credito nei confronti del soggetto finanziato, ma solo nei confronti dei terzi creditori di detto soggetto, poiché solo rispetto a questi può dirsi che l'erogazione imprudente di finanza ha creato un affidamento incolpevole circa la stabilità economica del debitore, aventi quale effetto quello di pregiudicare le possibilità di soddisfazione dei rispettivi crediti. In altri termini, l'illecito non si identifica con l'erogazione di finanza in sé, né con il mero differimento del palesarsi dei sintomi della decozione, ma si identifica piuttosto con l'aver suscitato nel mercato un'errata percezione della realtà patrimoniale del soggetto beneficiario del credito, tale da condurre i terzi a contrattare o a continuare a contrattare con un soggetto che già verte in una condizione di difficoltà economica, pur celata e sotterranea (c.d. responsabilità da danno informativo, fondata sul principio di neminem laedere e quindi sull'art. 2043 c.c.). Legittimati ad esperire l'azione risarcitoria sarebbero quindi solo i terzi creditori e non, con riferimento al caso di specie, l'odierno opponente Cr.Cr., il quale dunque non può invocare la soluti retentio di cui all'art. 2035 c.c. né contestare in parte qua una violazione da parte di Un. S.p.A. dell'obbligo di buona fede di cui all'art. 1175 c.c. Nella categoria dei creditori cui viene accordata la tutela risarcitoria in questione non rientrano inoltre i garanti, quale è nella fattispecie l'altra parte opponente, Ma.La.. Se infatti la ratio di tale tutela è quella di preservare l'affidamento riposto dai terzi nella solvibilità di un soggetto che continua ad apparire meritevole di ricevere risorse bancarie, è evidente che i fideiussori non maturano un analogo diritto risarcitorio, in quanto non partecipano del medesimo affidamento. Al contrario, essendo stata prestata nel caso di specie una garanzia omnibus, il continuo credito bancario sortisce l'effetto di aumentare proporzionalmente l'esposizione solidale dei garanti nei confronti della Banca stessa, non ingenerando nei loro confronti alcuna parvenza di falsa sicurezza, ma potendo al limite anche fungere da segnale di allarme qualora il debito subisca un incremento eccessivo. Con riferimento all'ipotesi, pure prospettabile, per la quale il fideiussore potrebbe non avere contezza della progressiva ingravescenza della situazione debitoria del soggetto garantito, è d'altronde e per contro accordata la tutela specifica di cui all'art. 1956 c.c., da ritenersi di applicazione speciale rispetto alla tutela risarcitoria accordata dalla giurisprudenza in riferimento alla fattispecie della concessione abusiva del credito, nonché di applicazione più ampia e garantista in quanto appunto prescindente dalle valutazioni concernenti il merito creditizio (dunque, il fideiussore risulta legittimato ad esperire un'azione ex art. 1956 c.c., ma non a contestare la fattispecie della concessione abusiva di credito al soggetto garantito). La disposizione testè menzionata, infatti, libera il garante dalla propria obbligazione quando il creditore abbia fatto credito al debitore principale successivamente alla prestazione della garanzia e senza l'autorizzazione del fideiussore. È questa la norma che tutela l'unico e peculiare affidamento riconoscibile in capo al garante, il quale confida, ancor prima che nella stabilità economica del soggetto garantito, nella tendenziale costanza quantitativa del debito garantito. Vanno quindi esaminate le eccezioni proposte in atto di citazione per ottenere la liberazione del fideiussore (anche, ma non solo, ai sensi dell'art. 1956 c.c.). La Banca convenuta e la società intervenuta ne contestano la proponibilità sostenendo che la fideiussione prestata da Ma.La. sarebbe in realtà da qualificare alla stregua di un contratto autonomo di garanzia, in quanto la clausola 6 della relativa scrittura negoziale impone al fideiussore "di pagare immediatamente alla Banca, a semplice richiesta scritta, quanto dovutole per capitale, interessi, spese tasse e ogni altro accessorio" (doc. 7 Banca). Ogniqualvolta ricorrono le diciture "immediatamente" e "a semplice richiesta scritta", e così nel caso di specie, si ripropone la questione della riconducibilità del negozio alla tipologia codicistica della fideiussione piuttosto che alla figura atipica del c.d. contratto autonomo di garanzia. I più recenti approdi dell'acceso dibattito che ha interessato la giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità negli ultimi decenni sembrano attestarsi sulla convinzione che in realtà queste formule e locuzioni non siano in sé dirimenti per distinguere l'una tipologia contrattuale dall'altra, dovendosi primariamente indagare sulla reale volontà delle parti. Qualora emerga dal tenore complessivo del rapporto tra di esse intercorrente che le stesse hanno voluto configurare le obbligazioni del garante in termini di dipendenza rispetto a quelle che il debitore principale detiene nei confronti del proprio creditore, dovrà ravvisarsi una fideiussione, appunto accessoria, al rapporto fondamentale sotteso, oggetto della garanzia, secondo quanto scandito dalle pertinenti disposizioni codicistiche; qualora invece emerga che l'intento dei contraenti era quello di rafforzare la posizione creditoria non solo con l'affiancamento di un ulteriore soggetto obbligato, ma altresì con la possibilità di pretendere l'adempimento da parte di quest'ultimo a prescindere dalle vicende relative al rapporto fondamentale, dovrà ravvisarsi allora un contratto autonomo di garanzia. In questo senso ha statuito la Corte di Cassazione con le sentenze n. 16825/2016, n. 5044/2009 e n. 4661/2007, quest'ultima con ampia e condivisibile motivazione. La clausola "a prima richiesta" o "a semplice richiesta scritta" comporta solitamente l'impegno del garante a pagare non appena il creditore gliene faccia richiesta a seguito dell'inadempimento del debitore principale, con la facoltà poi di richiedere indietro la ripetizione di quanto indebitamente percepito: trattasi della c.d. pattuizione solve et repete disciplinata dall'art. 1462 c.c., che non comporta ipso iure la riqualificazione di un'obbligazione accessoria in obbligazione astratta, ma senz'altro ha come effetto dirimente quello di attenuare l'accessorietà dell'obbligazione, per così dire, secondaria. Le tre figure che così si delineano possono essere disposte secondo un ordine di progressiva attenuazione delle eccezioni che il garante può opporre al creditore in caso di richiesta di adempimento da parte di quest'ultimo. A un estremo si colloca il contratto autonomo di garanzia, nell'ambito del quale il garante, come noto, può opporre solo la c.d. exceptio doli generalis, evitando il pagamento solo quando la pretesa creditoria integri un abuso fraudolento del diritto, mentre all'estremo opposto si colloca la fideiussione tipica, ove il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che allo stesso potrebbe opporre anche il debitore principale. In posizione intermedia si colloca invece la fideiussione con clausola solve et repete, ove il fideiussore può opporre al creditore le sole eccezioni attinenti all'esistenza e alla validità del credito, in deroga all'art. 1945 c.c. e in coerenza con quanto dispone l'art. 1462 c.c., nonché le eccezioni inerenti a una specifica inoperatività della fideiussione medesima per cause indipendenti dal contratto sotteso da cui è scaturito il credito garantito (quali quelle ex art. 1955 c.c., ex art. 1956 c.c. ed ex art. 1957 c.c.): le eccezioni che il fideiussore che si è obbligato con la clausola solve et repete non può opporre al creditore, a differenza del fideiussore ordinario, sono dunque, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelle attinenti alla rimessione totale o parziale del debito (ex art. 1239 c.c.), alla compensazione con un controcredito (ex art. 1247 c.c.), all'estinzione per confusione (ex art. 1255 c.c.), ad altri fatti impeditivi o modificativi derivanti dai rapporti personali tra i soggetti coinvolti (ex art. 1297 c.c.). Nella presente fattispecie ricorre senz'altro quest'ultima figura, dovendosi concludere, per quanto di rilievo, che le eccezioni sollevate dagli odierni opponenti sono senz'altro proponibili Passando ad esaminarne partitamente la fondatezza, ritiene in primo luogo il giudicante che non meriti accoglimento l'eccezione secondo la quale la fideiussione omnibus prestata da Ma.La. avrebbe riguardato in primo luogo il rapporto principale di apertura di credito da parte del debitore garantito Cr.Cr., e solo per la quota residua poteva coprire le poste debitorie scaturenti da ulteriori e diversi contratti bancari (quali nella fattispecie i due finanziamento monitoriamente azionati). Sia la tipologia negoziale sia il tenore letterale della fideiussione dedotta in atti escludono infatti che si possa operare una graduazione tra le obbligazioni assunte nei confronti Un. S.p.A. per effetto di "operazioni bancarie di qualunque natura", non essendo applicabile alcun criterio di preferenza nella soddisfazione delle suddette obbligazioni da parte del garante (nemmeno attinente, ad esempio, alla data di stipulazione dei contratti bancari o al loro contenuto pattizio). In secondo luogo, appare infondata nel caso di specie l'eccezione proposta dagli opponenti ai sensi dell'art. 1955 c.c., in quanto l'erogazione di credito in misura asseritamente superiore alle effettive capacità economiche del debitore principale non rende impossibile la surrogazione del fideiussore nel diritto di regresso da esercitare nei confronti del debitore principale. L'impossibilità sottesa dalla ratio della norma va infatti intesa in senso giuridico (causata ad esempio dalla stipulazione di un accordo transattivo tra il creditore e il debitore principale) e non economico (nei termini quindi della difficoltà in concreto di ottenere un pagamento per incapienza patrimoniale del debitore principale). In terzo luogo, va disattesa l'eccezione di estinzione della fideiussione sollevata dagli opponenti ai sensi dell'art. 1956 c.c., secondo cui colui che presta garanzia anche per obbligazioni future è liberato se il creditore ha erogato credito al soggetto garantito senza l'autorizzazione del fideiussore e pur conoscendo che le condizioni patrimoniali del debitore erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Difatti, sussiste pur sempre l'obbligo della Banca di tenere condotte contrattuali coerenti con il canone della buona fede, anche in considerazione degli interessi del fideiussore e anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo, in deroga all'art. 1956 c.c. citato, abbia assunto l'obbligo di tenersi personalmente informato circa lo svolgimento dei rapporti tra il debitore garantito e la Banca medesima (come ex clausola 4 della fideiussione in atti): tuttavia, rimane onere del fideiussore che solleva l'eccezione in esame dimostrare l'eventuale malafede del creditore, ossia la circostanza per la quale lo stesso avrebbe erogato ulteriore credito pur conoscendo il critico aggravarsi delle condizioni economiche del debitore. E nel caso di specie, gli opponenti non offrono tale prova, non potendosi desumere il suddetto stato soggettivo dai documenti bancari e contabili in atti, e al contrario avendo gli stessi opponenti affermato che i finanziamenti erano in regolare ammortamento e che quindi il soggetto finanziato disponeva delle risorse economiche, nonostante il forte indebitamento bancario, per far fronte alle nuove obbligazioni assunte nei confronti di Un. S.p.A. Ancora, risulta infondata l'eccezione proposta dagli opponenti ai sensi dell'art. 1957 c.c., secondo cui il fideiussore deve intendersi liberato dall'obbligazione di garanzia se il creditore non rivendica il proprio diritto nei confronti del debitore principale entro i sei mesi successivi alla scadenza della relativa obbligazione. Tale disposizione normativa è infatti considerata dalla costante giurisprudenza di legittimità pacificamente derogabile dall'autonomia negoziale delle parti. E nel caso di specie la clausola 5 della fideiussione sottoscritta da Ma.La. (doc. 7 Banca), in espressa deroga all'art. 1957 c.c., estende il predetto termine fino a 36 mesi. Termine che Un. S.p.A. ha all'evidenza rispettato, in quanto dalla stessa ricostruzione attorea si evince che la Banca opposta ha revocato i rapporti di finanziamento in data 21.3.2022, ha depositato il relativo ricorso monitorio in data 27.4.2022 e ha ottenuto il decreto ingiuntivo in questa sede impugnato in data 19.5.2022. Invero, a diversa conclusione sul punto non si giungerebbe nemmeno se si considerasse nulla la suddetta clausola 5, come suggerito dagli opponenti: dalla tempistica sopra riportata emerge infatti che è stato rispettato anche il termine semestrale che si applicherebbe in caso di ripristino in vigore del disposto codicistico dell'art. 1957 c.c. La suddetta eccezione di nullità non potrebbe comunque essere in ogni caso accolta. La stessa viene formulata sulla scorta dell'ipotesi della redazione della fideiussione in atti in adesione al modello ABI sanzionato dalla B.I. per violazione della normativa anticoncorrenziale. Tuttavia: 1) gli opponenti non producono né il menzionato modello ABI né il provvedimento sanzionatorio dell'autorità garante, per cui sono carenti i minimi elementi probatori per poter apprezzare la censura in questione; 2) come rilevato dalla Banca opposta, la clausola 5 nemmeno è sovrapponibile a quella che sarebbe stata oggetto del cartello anticoncorrenziale menzionato in atto di citazione; 3) gli opponenti non hanno in ogni caso alcun interesse a vedere accertata la dedotta nullità, nemmeno incidentalmente ex art. 34 c.p.c., in quanto alcuna delle clausole che potrebbero in tesi essere dichiarate nulle assume un effettivo e concreto rilievo applicativo nel caso di specie (in primis, è già stato sottolineato che l'art. 1957 c.c. è stato pienamente rispettato, per cui alcun effetto potrebbe sortire l'eventuale dichiarazione di nullità della clausola pattuita in deroga alla suddetta disposizione normativa). Da ultimo, gli opponenti contestano la malafede della Banca opposta in quanto la stessa avrebbe dichiarato la risoluzione dei contratti senza alcun preavviso e avrebbe agito giudizialmente per il recupero del credito senza stabilire con le controparti alcun contatto o trattativa. Tale doglianza non può avere seguito alcuno, in quanto alcun obbligo di preavviso era previsto né a livello normativo né a livello contrattuale, e anzi nei contratti di finanziamento era pattuita la facoltà della Banca di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 1456 c.c. a seguito del mancato pagamento anche solo di una rata prevista dal piano di ammortamento. Inoltre, Un. S.p.A. ha affermato che la necessità di rientrare repentinamente dall'esposizione debitoria complessiva era suggerita dalla condotta delle stesse controparti, le quali avevano compiuto plurimi e importanti atti di dismissione del proprio patrimonio immobiliare, rilevanti ai sensi dell'art. 1186 c.c. e legittimanti quindi un'immediata loro decadenza dal beneficio del termine: a fronte delle predette allegazioni, alcuna specifica e tempestiva contestazione è stata opposta dagli odierni attori, determinandosi così in parte qua gli effetti di cui all'art. 115 c.p.c. Ad ogni modo, alla contestazione di malafede formulata in atto di citazione dagli opponenti non ha mai fatto seguito alcuna richiesta di risarcimento del danno che sarebbe stato loro cagionato in conseguenza della censurata condotta dell'istituto di credito. Per tutte le ragioni suesposte, l'opposizione va rigettata e va confermato il decreto ingiuntivo opposto. Le domande svolte in via subordinata tanto dalla Banca opposta quanto dalla società intervenuta in giudizio vanno invece dichiarate assorbite dall'accoglimento delle conclusioni dalle stesse formulate in via principale. In forza del principio della soccombenza, le spese di lite vanno poste a carico di Cr.Cr. e Ma.La., in favore sia di Un. S.p.A. sia di Al. s.r.l. (quest'ultima per il tramite della procuratrice speciale che agisce in causa in base a quanto emerge dagli atti allegati alla costituzione del nuovo difensore in data 6.10.2023), unitariamente tra loro in quanto la costituzione nel presente giudizio delle due società dipende da una cessione del credito monitorio in corso di causa concordato tra le stesse e che non può riverberarsi ai danni degli opponenti, imponendo loro una duplicazione delle spese del processo. Dette spese vanno così liquidate, come in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, modificato dal D.M. n. 147 del 2022, in base allo scaglione di riferimento per il valore della causa (da Euro 26.000 a Euro 52.000) con la riduzione ai minimi tariffari per la fase di trattazione della controversia, stante il deposito delle sole memorie ex art. 183 c.p.c. senza espletamento di ulteriore attività istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinta ogni ulteriore domanda, istanza ed eccezione, così provvede: 1. rigetta l'opposizione proposta da Cr.Cr. e da Ma.La. e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 944/2022 emesso dal tribunale di Vicenza in data 19.5.2022, così dichiarandolo definitivamente esecutivo; 2. condanna Cr.Cr. e Ma.La., in solido tra loro, a rifondere in favore unitariamente di Un. S.p.A. e di Pr. S.p.A., quale mandataria di C.P.S. S.p.A., a sua volta quale mandataria di Al. s.r.l., le spese di lite, liquidate in Euro 6.713,00 per compenso, oltre 15% per spese generali e oltre i.v.a. e c.p.a., come dovute per legge. Così deciso in Vicenza il 25 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

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