Sentenze recenti Tribunale Viterbo

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 864 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuto in decisione all'udienza del 22 giugno 2022 tra CONDOMINIO (...) (c.f. (...)), in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore (...) S.r.l.s., con sede in Roma Via (...), in persona del suo A.U. e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (...) ed elettivamente presso il suo in Roma, Via (...), giusta procura alle liti rilasciata in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data 14.9.2022 attrice contro (...) S.r.l. (c.f. e p.Iva (...)) in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in forza di delega allegata alla comparsa di costituzione e risposta dagli Avv.ti (...) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio di quest'ultimo in Viterbo, Via (...) convenuta Conclusioni delle parti: come in atti a verbale dell'udienza del 22 giugno 2022 celebrata a trattazione scritta da intendersi qui riportate e trascritte Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...), in persona dell'amministratore pro tempore, conveniva in giudizio (...) S.r.l., società costruttrice della medesima (...) sito in Monterosi (VT) via (...) s.n.c. deducendo: che parte convenuta era ancora condomina con il più alto numero di millesimi in quanto proprietaria di numerose unità immobiliari; che (...) era disciplinata dal regolamento approvato all'unanimità nel corso dell'assemblea tenutasi il 24 febbraio 2012 redatto a seguito della transazione intervenuta tra la convenuta e gli altri comunisti all'esito di giudizio promosso da un cospicuo numero di questi dinnanzi al Tribunale di Roma, R.G. n. 36211/2009 nei confronti della medesima (...) S.r.l. e della (...) S.p.A. al fine anche di sentir accertare la nullità, inesistenza ed inefficacia del precedente regolamento predisposto dalla società costruttrice; che il predetto nuovo regolamento, dopo l'approvazione, era stato trascritto presso i RR.II. così acquisendo natura contrattuale; che nell'accordo transattivo prima, e nella trasfusione dello stesso nel nuovo regolamento della (...) poi, erano stati previsti una serie di obblighi a carico della (...) S.r.l. a favore della (...) e di ciascuno dei singoli partecipanti alla stessa, nello specifico previsti all'art. 5, lett. D); che nulla di quanto previsto nell'art. 5 lett. D) era stato realizzato dalla convenuta a nulla valsi i solleciti e le richieste reiterate negli anni. Ciò premesso parte attrice concludeva chiedendo che parte convenuta venisse condannata ad adempiere agli obblighi assunti, quale società costruttrice e venditrice del (...), nei confronti della (...) e di ciascuno dei singoli partecipanti alla stessa indicati all'art. 5 , lettera D) del regolamento e in particolare che il Tribunale adito disponesse che (...) S.r.l. fosse condannata "1) a realizzare, a sue cura e spese e in tempi ragionevoli la recinzione e la completa chiusura delle aree e dei fondi proprie della (...) nel (...), delimitando, con appo-sita recinzione continua e chiusa il perimetro dei comparti già edificati "B" e "C" ed eventuali altri, i parcheggi e le zone a verde per i residenti, nonché la "strada Comunale Valle di Santa Maria" nel tratto interno all'area del Comprensorio, in modo da creare nel Comprensorio una prima isola residenziale; 2) a predisporre, a realizzare ed ad attivare in tempi ragionevoli e previo rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, completamente a sue cura e spese, sulla Strada di Valle di Santa Maria nel punto del suo tratto al confine a monte del Comprensorio, come indicato con la lettera "K" ed evidenziato in colore celeste nella planimetria allegata sub "A": 2a) un accesso pedonale e carrabile all'isola della (...), chiuso con un cancello in ferro zincato verniciato e, all'interno del Comprensorio, con un sistema di sbarramento ad aste mobili in prossimità della portineria come appresso, entrambi assistiti nelle manovre da congegni elettromeccanici azionabili dalla portineria e dai residenti con telecomando e con videocitofono dalle; loro unità abitative; 2b) una attigua postazione di portineria e guardina, della grandezza di almeno mq. 35 e dotata di servizi igienici, aria condizionata e WC, costruita in cemento armato e muratura, munita di monitor e videoterminali collegati alle telecamere e ai sensori di videosorveglianza del Comprensorio ; 2c) un servizio di portineria, guardiania e vigilanza con presidio fisso combinato con guardie particolari giurate armate di notte ed operatori non armati di giorno, ubicato nella detta postazione di portineria e guardina all'ingresso del Comprensorio, servizio operativo tutti i giorni dell'anno 24 ore su 24 ed insopprimibile, affidato a primario istituto di vigilanza e così articolato: - piantonamento fisso armato, con orario 21.00 - 6.00 per 365 giorni all'anno, effettuato con particolare guardia giurata, con a disposizione autovettura di servizio da utilizzare in caso di emergenze; - piantonamento fisso non armato, con orario 21.00 - 6.00 per 365 giorni all'anno, effettuato con operatore regolarmente inquadrato secondo il vigente CCNL di categoria (multi servizi) con a disposizione autovettura di servizio da utilizzare in caso di emergenze', con vittoria delle spese di lite. Si costituiva in giudizio (...) S.r.l. eccependo l'improcedibilità della domanda attesa l'assenza del preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, trattandosi parte attrice, in realtà, di un supercondominio; deduceva, altresì, che analogo giudizio, pendente in fase istruttoria dinnanzi al Tribunale di Roma, R.G. n. 26173/2017, era stato già proposto da numerosi condomini e, considerata l'identità delle cause, chiedeva disporsi la sospensione ex art. 295 c.p.c. dell'odierno giudizio in attesa della definizione di quello richiamato. Nel merito deduceva l'infondatezza delle domande attoree in fatto e in diritto rilevando che le obbligazioni assunte da (...) S.r.l. con l'atto di transazione e trasfuse nel Regolamento consistevano, essenzialmente, nella realizzazione di un campo da golf a 27 buche, nella realizzazione di un campo pratica, in interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinaria all'interno di tutte le singole proprietà private nonché negli interventi descritti nell'avversario atto di citazione e che dette obbligazioni erano state già tutte e prontamente realizzate, come del resto evincibile dalla consulenza tecnica d'ufficio già svolta nel procedimento pendente innanzi al Tribunale di Roma. Con riferimento particolare alla portineria deduceva di aver provveduto a far installare una postazione provvisoria munita di collegamento citofonico con tutte le unità immobiliari nonché un impianto di video sorveglianza mentre la (...) aveva deliberato, proprio su indicazione della S.r.l. (...), di dar corso a un servizio di vigilanza organizzato anche con ronda notturna, evidenziando che, in ogni caso, nel Regolamento della (...) non era indicato un termine preciso, del resto ivi indicato con l'espressione "in tempi ragionevoli" considerato che il tutto era legato alla sdemanializzazione della Strada comunale Valle di Santa Maria e al rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per la realizzazione delle opere. Ciò premesso, ritenendo le domande proposte inammissibili, non essendo stata ex adverso proposta alcuna fissazione del termine ex art. 1183 c.c. e non avendo ancora provveduto gli organi amministrativi competenti a procedere alla necessaria sdemanializzazione della Strada comunale pretendendo, anzi, l'immediata riapertura della via al pubblico transito a fronte dell'avvenuta realizzazione di un sistema di sbarramento da parte della (...) S.r.l. - disposizione alla quale la società non aveva potuto che adeguarsi, risultando invero all'attualità l'impianto di sbarramento installato ma non posto in funzione -, e considerato che, anche con riferimento alle previste caratteristiche della portineria, in mancanza di detta sdemanializzazione, questa non poteva realizzarsi non potendo detta portineria insistere su aree del Comune di Monterosi - ciò precludendo allo stato qualunque richiesta di autorizzazione a ciò finalizzata -, concludeva chiedendo che il Tribunale adito, atteso che alcun inadempimento poteva ascriversi alla convenuta essendo state già puntualmente eseguite tutte le opere che non necessitavano di specifici provvedimenti amministrativi allo stato non emessi non per fatto o colpa imputabile alla società convenuta, previa sospensione ex art. 295 c.p.c. dell'odierno giudizio in attesa della definizione di quello pendente dinanzi al Tribunale di Roma (R.G. 26173/2017), rigettasse "per improcedibilità, inammissibilità e infondatezza nel merito le domande tutte ex adverso proposte con l'atto di citazione fatto notificare in data 27/3/2019; con vittoria di spese, competenze ed onorari del procedimento'. Ritenendo insussistente il necessario rapporto di pregiudizialità giuridica/dipendenza tra l'odierna causa e quella pendente innanzi al Tribunale di Roma, in quanto quest'ultimo giudizio volto all'accertamento della responsabilità ex art. 1669 c.c. del costruttore-venditore (...) S.r.l. e quello odierno alla condanna della medesima società ad obblighi di fare rispetto a quelli assunti nel Regolamento di (...), non veniva disposta la sospensione ex art. 295 c.p.c. e venivano invece assegnati i termini a parte attrice per la presentazione della domanda di mediazione. Successivamente, rigettata l'istanza di improcedibilità avanzata da parte convenuta quanto al corretto espletamento della procedura di mediazione e concessi i richiesti termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa ritenuta l'inammissibilità delle prove orali articolate da parte convenuta, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e, all'udienza del 22 giugno 2022, celebrata a trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. L'eccezione avanzata da parte convenuta di improcedibilità della domanda attorea per tardiva attivazione del procedimento di mediazione rispetto al termine assegnato dal giudice è infondata e deve essere pertanto rigettata. Invero, come già osservato nel corso del giudizio, pur essendo stata promossa la procedura per impulso di parte attrice in data 21.11.2019, e dunque ben oltre il termine di 15 giorni decorrente dal 13.9.2019 concesso con ordinanza del 12.9.2019 - termine decorrente dalla comunicazione del provvedimento, avvenuta, appunto, in data 13.9.2019 -, questa risulta conclusasi entro il termine massimo stabilito dalla legge per l'esperimento. In particolare, con riferimento alla valutazione delle conseguenze relative al mancato rispetto del termine di 15 giorni stabilito dal giudice per l'introduzione del procedimento di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n.28/2010 e s.m.i., si ritiene di aderire, nell'ampio dibattito sorto tra i giudici di merito, all'indirizzo giurisprudenziale a tenore del quale il termine in questione, attesa la mancanza di espressa previsione legislativa, non può ritenersi perentorio, considerando detta soluzione maggiormente in linea con i principi volti a garantire un'effettiva tutela giurisdizionale dei diritti delle parti evitando che preclusioni e/o impedimenti non espressamente previste dalla legge possano minare una siffatta tutela, dovendosi invece, nel caso come quello in esame, ritenersi osservata la condizione di procedibilità in ragione della circostanza che la domanda di mediazione è stata avanzata e si è conclusa entro il termine di cui all'art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (il quale fissa in tre mesi il periodo massimo di durata del procedimento di mediazione), termine questo da ritenersi, invece, perentorio (cfr. Corte d'Appello di Milano, Sez. I, sentenza del 2806-2017) e, nel caso di specie risultato rispettato essendosi il procedimento concluso entro il tempo massimo previsto, vale a dire - nell'ipotesi di cui è causa -, entro tre mesi decorrenti dalla scadenza di quello fissato dal giudice, dunque entro tre mesi dal 28.9.20219 (13.9.2019 + 15 giorni) con procedimento, infatti, concluso con verbale negativo in data 19.12.2019. Ciò posto la domanda di parte attrice è infondata e non può trovare accoglimento. Invero, le doglianze attoree in ordine al mancato rispetto degli obblighi assunti dalla convenuta nel Regolamento della (...) approvato dall'assemblea in data 24.12.2012, come specificamente indicati nell'atto di citazione, non hanno trovato conforto probatorio atteso che parte convenuta ha in parte dimostrato per tabulas l'assolvimento degli stessi e in parte rappresentato, senza che dette circostanze venissero smentite, che la non completa o non esatta esecuzione di alcuni obblighi non è dipesa da suo fatto o colpa. Nello specifico, mediante il deposito della relazione finale di cui alla consulenza tecnica d'ufficio svoltasi nel giudizio, R.G. n. 26173/2017, (in particolare relativa al comparto C della (...), risultando, dall'esame della documentazione messa a disposizione, edificati i comparti B e C), e della cui bontà quanto alle conclusioni e agli accertamenti ivi compiuti, risalenti al maggio 2019, non vi è motivo di dubitare (cfr. all n. 3 fascicolo parte convenuta), è emerso che le recinzioni previste risultano completate così come l'accesso pedonale e carrabile, così come il collegamento citofonico nelle unità immobiliari e l'impianto di videosorveglianza (come documentato anche fotograficamente), nonché risulta predisposto un servizio di vigilanza nell'interno del comparto, organizzato anche con servizio di ronda notturna (cfr. all nn. 6 e 7 fascicolo parte convenuta). Con riferimento poi specificamente alla chiusura della strada di Valle di S. Maria "con un cancello di ferro zincato verniciato e con un sistema di sbarramento..." e all'attigua 2 portineria, la circostanza che tali interventi, in parte già realizzati con una portineria con postazione provvisoria e mediante la realizzazione di un sistema di sbarramento la cui evoluzione in struttura fissa o attivazione del funzionamento dipendono dalle autorizzazioni amministrative legate alla sdemanializzazione della strada comunale indicata, non sono state contestate da controparte che non ha neanche provveduto al deposito delle memorie istruttorie richieste. Inoltre, le asserzioni di parte convenuta hanno trovato conferma documentale tenuto conto del deposito in atti della diffida inviata dal Comune di Monterosi per la riapertura della strada in questione e contestuale rimozione di tutti gli impedimenti all'accesso, avendo invero affermato (...) S.r.l. di essersi dovuta adeguare a tale disposizione lasciando l'impianto di sbarramento realizzato installato e tuttavia non in funzione e ciò per non contravvenire a quanto stabilito dall'amministrazione comunale. Né parte attrice, al fine di adempiere all'onere di specifica contestazione a fronte delle difese supportate da idonea documentazione di parte convenuta, ha contestato che l'assenza di tali autorizzazioni debba ascriversi a inefficienza o inadempimento della parte convenuta o che la portineria, con le caratteristiche previste nel Regolamento di (...) doveva essere realizzata in una posizione non interferente con la sdemanializzazione della strada e senza le necessarie autorizzazioni amministrative o che non veritiera è stata l'allegazione della predisposizione di una postazione provvisoria. Alla luce di quanto sopra complessivamente valutato la domanda di parte attrice non può che essere rigettata. Le spese di lite, liquidate in base al D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. con riferimento ai valori dello scaglione indeterminato di modesta complessità e in prossimità dei minimi di scaglione per la semplicità delle questioni trattate e la ridotta attività compiuta, seguono la soccombenza e devono pertanto porsi a cario di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta la domanda di parte attrice; - condanna parte attrice alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, liquidandole in complessivi Euro 3.900,00, oltre spese generali forfettarie al 15%, Iva e cpa come per legge. Così deciso in Viterbo, 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il TRIBUNALE DI VITERBO SEZIONE CIVILE in persona del GIUDICE - dott. (...), ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile n. RG (...) promossa da: (...) con l'avv. Ma.FI. del foro di Spoleto; ATTORE contro (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. (...) CONVENUTA Avente per oggetto: nullità/indebito. MOTIVI DELLA DECISIONE Ai fini della succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione si osserva quanto segue. Le domande dell'attore si fondano sul mutuo ipotecario del 12/07/2006 (notaio dott. (...)) concesso per Euro 70.000,00 al tasso nominale del 5%, previo iniziale pre-ammortamento e salva "opzione" per il tasso variabile. Egli ha dedotto la nullità del contratto sotto il duplice profilo: a) della pattuizione di interessi oltre la soglia di cui alla legge 108/1996; b) della indeterminatezza delle condizioni economiche, stante l'erronea indicazione dell'ISC. Il perito ha accertato la conformità alla soglia di periodo del 7,950%, sia dei tassi corrispettivi che di quelli moratori. L'attore non ha contestato tali risultanze, anzi espressamente rinunciando all'"eccezione" di nullità sul punto (v. precisazione delle conclusioni). È invece persistente la contesa sull'indeterminatezza delle "condizioni economiche". Richiamando la perizia stragiudiziale in atti, l'attore ha invocato la sostituzione al tasso legale ex art. 117 TUB, deducendo che l'ISC effettivamente applicato è pari al 5,39% ed è pertanto maggiore di quello del 5,27% dichiarato nel contratto. La circostanza trova parziale ed apparente conferma nell'accertamento peritale, laddove l'ISC/TAEG viene individuato nella misura del 5,31%. In particolare, richiamando l'art. 2, II comma del DM 8/7/1992 (con riferimento alle "altre spese contemplate nel contratto"), il CTU ha incluso nel computo anche l'imposta sostitutiva (v, relazione peritale - dott. (...). Tale ricostruzione è però contestata dalla banca, che osserva come l'inclusione dell'imposta sostitutiva sia stata espressamente prevista soltanto nelle disposizioni (del 2009) successive alla stipula del contratto. Assorbente, peraltro, appare il rilievo per cui, come ritenuto dalla più recente giurisprudenza (v. da ultimo Trib. Napoli, 12/2/2021), ormai largamente maggioritaria, l'eventuale difformità nell'ISC è di per sé insuscettibile di determinare la nullità contrattuale. La fattispecie, infatti, non è infatti riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 117 TUB che riguarda, singolarmente, gli interessi e le condizioni praticate; l'ISC, per contro, non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Soltanto nelle difese conclusive, totalmente difformi dal contenuto delle precedenti memorie processuali, l'attore ha poi invocato la disciplina generale dei-consumatore, di derivazione comunitaria. Tali difese presuppongono l'indagine sulla qualità di consumatore del mutuante, che non è stata oggetto di previa allegazione. Si nota, peraltro, che la sanzione di nullità, per la violazione dell'obbligo informativo del consumatore sul costo complessivo del finanziamento, è stata introdotta soltanto con l'art. 125 bis TUB che, a tacer d'altro, risulta comunque inapplicabile ratione temporis; sotto altro profilo, inoltre, appare evidente che la marginalità delle scostamento - pari allo 0,04% soltanto - non può ritenersi idonea all'alterazione della capacità del consumatore di valutare la portata dell'impegno finanziario. L'indeterminatezza delle condizioni contrattuali, dapprima riferita soltanto alla "erronea indicazione del ISC/TAEG", è stata dall'attore estesa alla mancanza del piano di ammortamento e, comunque, del valore della singola rata, che non risulta indicata nel contratto. In proposito va rammentata la rilevabilità officiosa della causa di nullità diversa da quella aggetto di allegazione, essendo la domanda di nullità "pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio" (v. Cass. 154 08/2016); la pronuncia di nullità, d'altro canto, postula unicamente che i fatti posti a suo fondamento appartengano già al giudizio (risultando dalle allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti: Cass. S.U. 26242/2014) e che su di essa si sia formato il contraddittorio (v. Cass. 26495/2019). La banca ha negato l'incompletezza della pattuizione, tuttavìa limitandosi a richiamare la documentazione già in atti per sostenere che "le parti hanno concordato un tasso di interesse in misura fissa ed hanno allegato al contratto un piano di ammortamento con l'indicazione analitica del numero delle rate, della scadenza di ogni singola rata, dell'importo di ogni singola rata, della composizione della singola rata suddivisa per quota capitale e quota interessi, del debito residuo dopo il pagamento di ogni singola rata e dell'indicazione, in calce al predetto documento, del costo complessivo dell'operazione, suddiviso per capitale, interessi e spese" (v. da ultimo - memoria di replica). Tuttavia, come già evidenziato dal perito - in replica alle osservazioni del ctp della convenuta - "(...) la copia del contratto di mutuo depositato dalla Banca, che compare come terzo allegato alla comparsa di costituzione e risposta, datato 26/07/2006 (Allegato 8) pochi giorni dopo la stipula, non contiene il piano di ammortamento: gli unici documenti allegati sono la lettera del 03/07/2006 indicante la volontà delle parti di stipulate il finanziamento ipotecario alla data del 12/07/2006 (Allegato "A" del mutuo) nonché il Documento di Sintesi (Allegato "B" del mutuo). Si aggiunga che come di tutta evidenza, il contratto di mutuo (tanto nella copia prodotta dall'Attore che dalla Banca convenuta) NON indica il regime di capitalizzazione degli interessi passivi (semplice o composta)". Dall'esame della documentazione in atti, risulta quindi la mancanza del piano di ammortamento, che è stato redatto solo nel corso del rapporto. Secondo le verifiche effettuate dal CTU, il contratto in sé non contiene parametri univoci per la determinazione delle modalità di restituzione del capitale, essendo possibile differenti computi (v. raffronto tabella 1 e tabella 6): i criteri determinativi del tasso di interesse effettivo, attinenti al regime finanziario ed ai tempi di riscossione degli interessi, non sono stati estrinsecati (nell'atto notarile - o comunque nella documentazione ad esso allegata). Pur risultando priva di fondamento l'elisione integrale degli interessi - tuttora invocata dall'attore su differenti presupposti - va quindi rilevata la nullità parziale del contratto, in relazione alla clausola determinativa dell'interesse corrispettivo ex artt. 1346 e 1418, II comma c.c. (cfr. Cass.16907/2019). Inoltre, secondo quanto evidenziato dal perito, anche in replica alle osservazioni di parte, "il calcolo degli interessi passivi applicato dalla banca è in regime di capitalizzazione composta": in assenza di pattuizione contrattuale, quindi, si configura la violazione dell'art. 1283 c.c.. In conclusione - non essendo di alcun interesse l'astratto dibattito sull'ammortamento ed alla francese, nel riferimento al caso di specie - il debito del va rideterminato mediante applicazione del tasso ex art. 117, VII comma TUB ed in regime di capitalizzazione semplice. La domanda di indebito, non di meno, può trovare accoglimento nei limiti di quanto è stato corrisposto alla data del 5/7/2017, di introduzione del giudizio. È infatti inammissibile la richiesta di ripetizione dei pagamenti effettuati in corso di causa: tale domanda, proponibile in separato giudizio, non si risolve nel semplice ampliamento quantitativo dell'originario petitum ma presuppone l'accertamento dell'entità dei pagamenti successivi, quali fatti certamente nuovi rispetto a quelli introdotti con la citazione (e, comunque, con la memoria ex art. 183, VI comma n. 1 c.p.c.). In base alla tabella n. 6 della relazione peritale, l'importo ripetibile alla data del 30/6/2017 risulta pari ad Euro 16.582,93, su cui competono gli interessi legali dalla domanda sino al saldo. Le spese sono liquidate secondo i parametri di cui al DM 55/2014 e sono parzialmente compensate - nei termini di cui al dispositivo - tenuto conto: a) del rigetto della domanda di nullità dell'intero contratto; b) dell'infondatezza di entrambi i profili di nullità originariamente dedotti dall'attore. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accerta la nullità della clausola determinativa degli interessi nonché l'illegittimità della capitalizzazione degli interessi in relazione al mutuo stipulato in data 12/4/2006 e, per l'effetto, condanna (...) alla restituzione in favore di (...) della somma di Euro 16.582,93, oltre interessi legali dalla domanda sino al saldo; - compensa parzialmente le spese legali, condannando (...) alla refusione della metà delle spese di lite in favore di (...) quale quota che, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, liquida in Euro 272,50 per esborsi ed Euro 2.417,50 per compensi, oltre accessori; - pone a carico di (...) le spese di CTU, come liquidate in corso di causa. Così deciso in Viterbo il 5 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 3787 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, trattenuto in decisione all'udienza del 25 settembre 2019 promosso da CONDOMINIO VIALE (...) (VITERBO) - Residence (...), in persona dell'amministratore pro tempore (c.f./p.iva (...)), PA.GU. (c.f. (...)), RI.MA. (c.f. (...)), NO.SI. (c.f. (...)), MA.LA. (c.f. (...)) e RI.MI. (c.f. (...)), tutti elettivamente domiciliati in Viterbo, Piazza (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Sa., il quale li rappresenta e difende, giusta delega posta a margine dell'atto di citazione attori contro SOCIETÀ RE. S.r.l. in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. St.Pe. che la rappresenta e difende, anche disgiuntamente, unitamente all'avv. An.Be., giusta delega a margine della memoria ex art. 183 co. 6 n. 3 c.p.c. convenuta e contro SOC. Gi. S.n.c. terza chiamata in causa contumace Oggetto: responsabilità ex art. 1669 c.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, il Condominio di Viale (...) 135/D, Viterbo, nonché i condomini Pa.Gu., Ri.Ma., No.Si., Ma.La. e Ri.Mi. convenivano in giudizio la società Re. S.r.l. al fine di sentirla condannare, ex art. 1669 c.c., al pagamento delle somme necessarie per l'eliminazione dei difetti costruttivi riscontrati in sede di atp, nella misura risultante dal medesimo accertamento o nella misura differente risultante in corso di causa, nonché delle somme necessarie per l'eliminazione dei fenomeni di infiltrazione d'acqua verificatisi nell'unità immobiliare di proprietà di Pa.Gu., in un tempo successivo al deposito dell'atp, e per il suo ripristino, nonché delle somme necessarie per la messa in sicurezza dell'area e del fabbricato in stato di fatiscenza insistenti all'interno del comprensorio condominiale, per mettere in regola l'impianto ascensore, per l'ottenimento dei certificati di abitabilità, tutte somme da quantificarsi in corso di giudizio mediante consulenza tecnica d'ufficio. A sostegno della domanda parte attrice rappresentava: che in data 9.7.2012 le parti attrici avevano promosso atp nei confronti società Re. S.r.l. allo scopo di verificare, nel contraddittorio delle parti, la sussistenza di numerosi vizi e difetti costruttivi emersi successivamente agli acquisti, effettuati dagli istanti fra il 2006 e il 2009, delle unità immobiliari ubicate presso il Residence (...) in Viterbo, Viale (...) 135/D, realizzate dalla predetta società; che quest'ultima, costituitasi in giudizio, aveva chiesto e ottenuto l'estensione del contraddittorio nei confronti della ditta Gi. S.n.c., in quanto diretta esecutrice dei lavori della palazzina, costituitasi anch'essa regolarmente; che all'udienza del 28.11.2012 veniva nominato quale ctu il geom. Re.Bu.; che, a seguito del deposito dell'elaborato tecnico da parte del ctu, si erano verificati nuovi episodi di infiltrazioni d'acqua all'interno dell'unità immobiliare di proprietà di Pa.Gu.; che all'interno della lottizzazione insisteva un'area abbandonata, accessibile a chiunque, con all'interno un fabbricato in stato di degrado tale da arrecare un pregiudizio estetico nonché costituire fonte di pericolo per i fruitori della stessa; che l'impianto ascensore risultava mal funzionante e soggetto a episodi di allagamento; che le predette unità immobiliari erano prive di certificati di abitabilità; che, infine, i tentativi esperiti al fine di dirimere bonariamente la controversia non avevano avuto esito positivo. Si costituiva in giudizio la Società Re. S.r.l., rappresentando: che l'assenza di opere di recinzione, illuminazione, tappetino di usura e arredi nella zona esterna al condominio, nonché del battiscopa e del tappetino di usura nelle zone comuni della lottizzazione, era conseguenza della mancanza di autorizzazioni necessarie per il completamento delle opere di urbanizzazione; che la casa abbandonata insistente sull'area di lottizzazione non era pericolante ed era inaccessibile; che possibile causa dell'allagamento dell'ascensore era la costruzione all'interno del garage del Ma. di un bagno abusivo le cui acque di scarico erano state convogliate nella fognatura della palazzina, passante davanti al medesimo ascensore; concludeva, pertanto, chiedendo in via preliminare l'autorizzazione della chiamata in causa del terzo, Soc. Gi. S.n.c., con differimento dell'udienza, per essere manlevata dalla eventuali conseguenze pregiudizievoli della domanda avanzata da parte attrice e nel merito, in via principale, il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata in fatto e in diritto, e, in subordine, nell'ipotesi di accoglimento anche parziale della domanda attrice, chiedeva che parte convenuta fosse garantita e sollevata dalla società Gi. s.n.c., in forza di contratto di appalto intervenuto tra le parti. Autorizzata la chiamata in causa del terzo, all'udienza fissata il Giudice ne dichiarava la contumacia e concedeva i termini di cui all'art. 183 c.p.c. Successivamente disponeva consulenza tecnica d'ufficio nominando a tal fine il geom. Re.Bu.; all'esito dell'espletata ctu, e dopo una serie di rinvii dovuti alla pendenza di trattative tra le parti e al mancato rinvenimento del fascicolo di causa, l'ausiliario del giudice veniva convocato chiarimenti con conferimento di incarico integrativo. A seguito dell'integrazione della consulenza, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e rinviata per la precisazione delle conclusioni dando atto dell'esito negativo delle trattative pendenti tra le parti; all'udienza del 25 settembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. La domanda proposta dagli attori è parzialmente fondata e merita dunque accoglimento nei limiti di seguito indicati, dando altresì atto che dagli atti di vendita depositati risulta che la società convenuta è anche stata costruttrice degli immobili in oggetto da ciò richiamando parte attrice l'applicabilità al caso di specie della disciplina prevista dall'art. 1669 c.c. Invero, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, se la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente, con la conseguenza che quest'ultimo non acquista la qualità di committente nei confronti del primo e che l'acquirente non può esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione, di natura contrattuale, esclusivamente al committente nel contratto d'appalto, tuttavia, per quanto riguarda l'azione ex art. 1669 c.c., essendo questa di natura extracontrattuale, la stessa è operante non solo a carico dell'appaltatore ed a favore del committente, ma anche a carico del costruttore ed a favore dell'acquirente (cfr. Cass. n. 26574/2017). L'art. 1669 c.c., infatti, "benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto è diretto alla tutela dell'esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata. Conseguentemente, l'azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l'immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest'ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti, i quali possono fruire del termine annuale di decadenza" (cfr. Cass. n. 12304/1993; nello stesso senso e anche con riferimento alla legittimazione attiva dell'amministratore del condominio quanto alle parti comuni dell'immobile cfr. Cass. n. 3146/1998). Risulta, dunque, evidente che, nella fattispecie in esame sussistono, per alcune delle contestazioni mosse da parte attrice, i presupposti per l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 1669 c.c., trattandosi di edificio destinato ad uso abitazione e per sua natura caratterizzato dalla stabilità e durevolezza nel tempo. Sulla base del disposto normativo dell'art. 1669 c.c., inoltre, la responsabilità aggravata prevista dalla norma trova applicazione in presenza di alcuni necessari requisiti. In primo luogo, si richiede che l'evento dannoso sia stato causato da vizio del suolo o da difetto della costruzione. Ebbene, proprio la fattispecie del difetto della costruzione trova luogo nella presente controversia, considerato che la giurisprudenza ha chiarito che non si deve trattare di una semplice difformità rispetto alle pattuizioni negoziali, ma di veri e propri vizi, cioè di discordanze dalle regole dell'arte tra le quali si annoverano sia le deficienze costruttive vere e proprie, vale a dire quelle che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei o non a regola d'arte, che le carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali. Oltre alle cause dei danni, la norma elenca, poi, gli effetti della condotta colpevole del costruttore, precisando che la responsabilità ricorre in tre distinte ipotesi "rovina in tutto o in parte ovvero evidente pericolo di rovina o gravi difetti", risultando l'ultima ipotesi indicata quella di maggior problematica individuazione atteso che, secondo una prima rigorosa interpretazione, i difetti possono considerarsi come "gravi" quando siano tali da pregiudicare la possibilità di quella lunga durata che dovrebbe essere propria della costruzione stessa e che, diversamente, la giurisprudenza più recente ha ampliato la nozione di "gravi" difetti, facendovi rientrare tutte quelle situazioni che, pur non mettendo in pericolo la stabilità totale o parziale dell'edificio, compromettono l'abitabilità ed il godimento del bene evidenziando che "in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 cod. civ. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che (...) incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazione d'acqua e umidità nelle murature" (cfr. Cass. n. 84/2013; nello stesso senso cfr. Cass. n. 21351/2005 per il difetto di copertura dell'edificio). Ebbene, all'esito della consulenza disposta in sede di atp svoltosi tra le stesse parti dell'odierno giudizio, così come all'esito della ctu disposta nell'ambito di questo giudizio, sono stati e evidenziati difetti, vizi e danni conseguenza dell'esecuzione o della mancata completa esecuzione dei lavori riferibili alla convenuta. In particolare, le doglianze avanzate in sede di atp sono state accertate dal consulenze all'uopo incaricato, il quale compiendo i dovuti accertamento con metodologia scevra da vizi ha potuto accertare la sussistenza delle contestazioni mosse quantificando altresì i costi necessari ad ovviarli con particolare riferimento alla presenza di efflorescenze, distacchi di intonaco, crepe, distacco dei frontalini dei balconi, irregolarità dell'impianto delle acque meteoriche, infiltrazioni di acqua e distacco di intonaco nelle camere di singole proprietà immobiliari, funzionamento dell'impianto di illuminazione, riconducendo quanto riscontrato ad una non perfetta realizzazione delle opere a regola d'arte ad eccezione delle doglianze relative alla conservazione del marciapiede perimetrale il cui stato era dovuto all'uso e alla tipologia del materiale, e computando, altresì, gli importi necessari per ovviare a tutte le problematiche accertate in relazione all'esecuzione dei lavori riconducibili alla convenuta nella complessiva somma di Euro 35.932,44 da cui detrarre Euro 200,00 per gli interventi relativi alla conservazione del marciapiede e dunque per Euro 35.732,44 (cfr. elaborato depositato in sede di atp). Successivamente all'incarico conferito nell'ambito di questo giudizio, comprensivo anche della verifica della permanenza dei vizi e danni riscontrati in sede di atp con individuazione di quelli eliminati medio tempore per attività della medesima convenuta, il medesimo ctu incaricato ha potuto constatare la permanenza dei vizi e danni già riscontrati in precedenza nel procedimento R.G. n. 1611/2012 ad eccezione degli interventi da svolgere nell'immobile di proprietà Mi., unità immobiliare censita al sub 17, con riferimento alla quale è stato dato atto della realizzazione degli interventi suggeriti in sede di atp con riferimento al quesito 3 come ivi formulato e dunque dell'eliminazione delle problematiche specificamente riscontrate nella predetta abitazione, con conseguente riduzione degli importi complessivi già computati di ulteriori Euro 1.384,73 e, pertanto, con somma residua pari a Euro 34.347,71. Altresì, con riferimento all'unità immobiliare di proprietà della sig.ra Gu., all'esito della consulenza svolta sono state accertate, con fenomeni successivi a quelli riscontrati in sede di atp, manifestazioni di infiltrazioni della muratura in corrispondenza dell'accesso sui balconi dell'appartamento in questione causate dal non corretto deflusso verso l'esterno delle acque, inconveniente dovuto alla presenza di due pendenze diverse quanto alla pavimentazione del terrazzo risultando non corretta la pendenza del pavimento a ridosso della porta-finestra di accesso al balcone probabilmente per la corrispondenza con un pilastro in cemento armato che ha quindi obbligato la ditta costruttrice alla realizzazione delle due differenti pendenze con stanziamento delle acque meteoritiche a ridosso dell'abitazione e conseguenti infiltrazioni a ridosso dell'appartamento della sig.ra Gu.. L'ausiliario del giudice ha dunque individuato gli interventi da compiere per ovviare alla problematica - vale a dire rimozione delle pendenze oggi presenti e provvedendo al loro rifacimento realizzando un'unica pendenza idonea al deflusso delle acque - quantificandone i costi nell'importo complessivo di Euro 2.648,14, giungendo dunque all'importo complessivo, tenendo conto di quanto sopra detto con riferimento al computo in sede di atp detratti gli interventi già svolti nell'appartamento di proprietà Mi., di Euro 36.995,85. Ciò posto, quanto invece alle contestazioni relative al vano ascensore, relativamente al quale il ctu, pur non riscontrando all'attualità fenomeni di allagamento ha in ogni caso accertato l'effettiva verificazione degli stessi - atteso i segni evidenti di umidità per un'altezza di circa 10 centimetri dovuti allo stanziamento di acqua -, occorre evidenziare che non è stato riscontrato il nesso eziologico tra l'attività di esecuzione lavori riferibili alla convenuta e i disagi e vizi rinvenuti. Invero l'ausiliario del giudice nel rispondere al quesito b) di cui all'incarico conferito in data 1.6.2016, ha evidenziato, diversamente da quanto risultato per il quesito di cui sopra di cui alla lettera a), che non risultano vizi costruttivi cui ricondurre le cause del fenomeno infiltrativo lamentato, dovendosi invece rinvenirsi le cause di questo, con alta probabilità, nella presenza di una vecchia lega il cui sversamento determinerebbe l'allagamento all'interno del vano ascensore. Detta situazione, che sicuramente si riverbera negativamente sulla sicurezza e sulla funzionalità dell'impianto con necessità primaria di ovviare alla problematica problema, i cui costi sono stati ad ogni modo computati dal ctu in Euro 2.552,97, non appaiono pertanto attribuibili all'attività costruttiva della società convenuta alla quale, dunque, non possono ricollegarsi le conseguenze dannose e i relativi oneri per l'eliminazione della problematicità riscontrata. Quanto alle ulteriori domande attoree, relative nello specifico alla regolarità degli immobili compravenduti ai fini del rilascio del certificato di abitabilità/agibilità, si osserva che la richiesta avanzata esula dal thema decidendum fissato dalla stessa parte attrice e individuato nella responsabilità di cui all'art. 1669 c.c. avendo la stessa ad ogni modo, e al di là della qualificazione giuridica delle richieste avanzate che il giudice può sempre correttamente riqualificare, dedotto una responsabilità in capo alla convenuta, fonte di obbligo per quest'ultima di risarcire i danni causati, legata alla necessità di ovviare ai gravi difetti costruttivi che, pur senza influire sulla stabilità dell'edificio, pregiudicano o menomano in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità del medesimo, temi che in alcun modo possono ritenersi attinenti a quello della ottenibilità dei certificati in parola legata invece alla regolarità amministrativa degli immobili. La questione che attinente al rilascio, o alla possibilità, o meno di rilascio del certificato di abitabilità attiene, infatti, ad altro profilo relativo agli obblighi della convenuta nella qualità di venditrice e rispetto al titolo contrattuale per il rapporto venuto in essere tra le diverse parti, attrice, da un lato, e società convenuta, dall'altro. Se, pertanto, i quesiti, anche nell'ottica conciliativa in più occasioni prospettata dalle parti, sono stati posti al ctu al fine di verificare la regolarità degli immobili compravenduti, gli interventi le attività e i costi necessari per il conseguimento delle predette certificazioni (di cui al punto C del quesito predisposto con ordinanza del 1 aprile 2016, come poi integrato successivamente con i chiarimenti richiesti all'ausiliario del giudice in particolare con ordinanza del 17.1.2018), con costi quantificati in complessivi Euro 10.661,43 (Euro 10.268,97 + Euro 392,46), tuttavia l'esito di detta attività peritale non può avere alcuna utilizzabilità ai fini della decisione della causa, neanche con riferimento alla richiesta, tra l'altro avanzata tardivamente - in quanto formulata successivamente allo spirare dei termini di cui all'art. 183, comma 1, n. 1 c.p.c. -, di quantificazione del minor valore degli appartamenti, in particolare della sig.ra Gu., con riferimento alle violazioni eventualmente riscontrate quanto alla corrispondenza del progetto rispetto all'accatastamento e allo stato effettivo dei luoghi e ciò a prescindere dalla ulteriore circostanza che il medesimo ctu, chiamato comunque a rispondere al quesito con la finalità conciliativa già illustrata, ha potuto accertare, quanto all'appartamento di proprietà Si., che le difformità riscontrate tra lo stato dei luoghi e la documentazione prelevata presso gli uffici comunali e all'Agenzia delle Entrate è da attribuirsi alle opere realizzate dall'attuale proprietario, e dunque non dalla società convenuta, e che, invece, con riferimento ai rispettivi appartamento degli altri tre singoli proprietari, non è stato possibile accertare se le discrasie, pur presenti, sono state dovute a opere riferibili alla società Re. S.r.l. o agli interventi compiuti dai singoli proprietari. Con riferimento inoltre alle opere di urbanizzazione, il cui completamento il ctu ha ritenuto necessario per l'ottenimento del certificato di abitabilità/agibilità delle unità immobiliari e che lo stesso ausiliario, trascorso il tempo dall'epoca di svolgimento dell'accertamento tecnico preventivo, ha potuto constatare parzialmente realizzate - pur mancando ancora il completamento di opere complementari e accessorie come quantificate con le precisazioni che si dirà - parimenti deve osservarsi che non possono ritenersi incidenti sulla funzionalità e godimento degli stessi immobili nell'accezione, anche da ultimo ampliata dalla giurisprudenza, di cui all'art. 1669 c.c. (a tal proposito è sufficiente pensare alle voci relative alle panchine da posizionare o alla realizzazione della staccionata rustica), con conseguente esclusione della sua riferibilità alla convenuta sempre rispetto alla domanda avanzata e dedotta da parte attrice. In particolare, oltre alle opere sopra richiamate e comprese nel computo di cui alla relazione integrativa del 29.6.2018 (panchine e staccionata rustica), che ad ogni modo andrebbero escluse dal novero di quelle "risarcibili" in quanto in realtà incomplete rispetto a quanto prospettato nella richiesta protocollata al Comune di Viterbo in data 18.2.2012, si osserva che l'ausiliario del giudice ha anche accertato che all'esecuzione materiale delle opere di urbanizzazione la società convenuta ha potuto provvedere solo a decorrere dalla data del 7.6.2016, vale a dire, all'esito del rilascio del Permesso di Costruire n. P072715 del 14 agosto 2015, e dunque solo in corso di causa, con impossibilità di imputare alla convenuta la mancata esecuzione di dette opere al momento della proposizione della domanda di parte attrice. Dato atto, pertanto, che per tali opere, sia di urbanizzazione primaria che secondaria, non può essere mosso in questo giudizio alcun rimprovero alla società convenuta nonché considerato che dal secondo computo metrico stimato dal ctu, con elaborato depositato del 29.6.2018, e pari a complessivi Euro 32.503,10, si evince che alcune di questi interventi, in particolare quelli relativi al "conglomerato bituminoso" di cui al codice B.01.05.14.a, per l'importo di Euro 4.368,00, e quelli relativi a "ferro tondo, piatto o angolare" di cui al codice A.17.02.01.b, per l'importi di Euro 1.550,00, oggi con importo residuo - essendo in parte stati compiuti gli interventi - pari a Euro 310,00, deve concludersi allora nel senso che devono essere decurtati dal computo metrico di cui all'atp R.G. n. 1611/2012 per le ragioni sopra richiamate (vale a dire la mancanza, all'epoca, del necessario permesso di costruire per poterle realizzare) le somme occorrenti per l'eliminazione dei gravi vizi e difetti riscontrati nelle opere riferibili a parte convenuta per come lamentate da parte attrice, per un importo complessivo pari dunque a Euro 31.077,85 ( Euro 36.995,85 - ( Euro 4.368,00 + 1.550,00)); conseguentemente sono queste ultime le somme che parte convenuta, Società Re. S.r.l., deve essere condannata a corrispondere a parte attrice, ad ognuno per quanto di propria spettanza rispetto ai singoli interventi da realizzare nelle parti comuni del condominio e nei singoli immobili in rispettiva proprietà delle parti attrici, a titolo di risarcimento dei danni ex art. 1669 c.c. Alla luce di tutto quanto sopra le altre domande avanzate da parte attrice non possono invece trovare accoglimento, dando ad ogni modo atto della volontà conciliativa e del clima di collaborazione che il consulente ha in più occasioni riscontrato da entrambe le parti anche con riferimento al completamento delle opere di urbanizzazione e al compimento delle attività e degli adempimenti necessari al conseguimento delle certificazioni amministrative. Occorre da ultimo valutare la domanda di manleva avanzata da parte convenuta nei confronti della società terza chiamata contumace, Gi. S.n.c. Ebbene, considerato che come già evidenziato, la norma di cui all'art. 1669, prevedendo un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale sancita per ragioni e finalità di interesse generale, deve ritenersi applicabile, nonostante la sedes materiae, non soltanto ai rapporti tra committente e appaltatore, ma anche a quelli tra l'acquirente ed il costruttore - venditore (pur in mancanza, tra essi, di un formale negozio di appalto), con la conseguenza che il predetto costruttore non può ritenersi sollevato dalla responsabilità verso l'acquirente qualora l'opera sia stata eseguita (in tutto o in parte), su suo incarico, da un terzo, è anche vero che il venditore-costruttore può agire in via di regresso nei confronti di quest'ultimo terzo, nel caso di specie Gi. S.n.c., ove lo ritenga responsabile, nei propri confronti, della rovina dell'edificio o del difetto della costruzione (cfr. Cass. n. 8109/1997). Nel caso di specie la domanda avanzata dalla convenuta nei confronti della società terza chiamata in causa deve accogliersi considerato che parte convenuta ha dato prova dell'esistenza del contratto di appalto intervenuto tra le parti per la costruzione degli immobili oggetto di causa (cfr. documento 4 fascicolo atp depositato quale all.. 2 fascicolo parte convenuta) e dunque dell'attribuibilità dei difetti e vizi delle opere alla esecuzione della Gi. S.n.c. Le spese di lite seguono la soccombenza e devono dunque, tenuto conto dell'esito del giudizio, porsi a carico di parte convenuta e in favore di parte attrice quanto a quelle sostenute in sede di atp comprensive anche della liquidazione del ctu in quella sede, e, invece, compensarsi nella misura di un mezzo tra le due parti (parte attrice e parte convenuta) quelle relative all'odierno giudizio ponendosi la residua parte di un mezzo, liquidata come in dispositivo, oltre alla metà delle spese di ctp per come documentate, a carico di Re. S.r.l. e in favore di parte attrice; le spese di lite sostenute da parte convenuta devono invece porsi a carico di parte terza chiamata contumace soccombente. Le spese di ctu dell'odierno giudizio, liquidate già con separato decreto, devono invece porsi a carico delle parti in solido tra loro attesa l'utilità dello svolgimento della consulenza per entrambe le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) in parziale accoglimento della domanda attorea condanna parte convenuta, Re. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, al pagamento in favore di parte attrice della somma complessiva di Euro 31.077,85 ex art. 1669 c.c., da ripartirsi come in motivazione tra i diversi soggetti di cui alla parte attrice, rigettando ogni altra domanda; b) condanna Gi. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, a tenere indenne parte convenuta delle somme cui la stessa è stata condannata a corrispondere a parte attrice a titolo di risarcimento ex art. 1669 c.c. di cui alla lettera a); c) condanna parte convenuta Re. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore alla refusione delle spese di lite relative al giudizio di accertamento tecnico preventivo, R.G. n. 1611/2012, (oltre spese di ctu svolta in quella sede come già liquidate con separato decreto e spese di ctp come documentate e queste ultime pari a Euro 600,67), liquidate in complessivi Euro 2.400,00 per compensi, comprensivi di maggiorazione ex art. 4 comma 2 D.M. n. 55/2014, oltre 458,00 per spese esenti, oltre rimborso spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; d) compensa nella misura di un mezzo le spese di lite dell'odierno giudizio tra parte attrice e parte convenuta; e) condanna parte convenuta, Re. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, alla rifusione in favore di parte attrice, della residua parte di un mezzo delle spese di lite dell'odierno giudizio, liquidando quest'ultima frazione in complessivi Euro 3.250,00 per compensi, comprensivi di maggiorazione ex art. 4 comma 2 D.M. n. 55/2014, oltre alla metà delle spese esenti pari a Euro 229,00, e alla metà delle spese documentate di ctp pari a Euro 641,28, oltre rimborso spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; f) condanna Gi. S.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore alla rifusione in favore di Re. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese di lite dell'odierno giudizio liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; g) pone definitivamente le spese di ctu dell'odierno giudizio, già liquidate con separato decreto, a carico delle parti in solido tra loro. Così deciso in Viterbo il 14 marzo 2020. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 2824 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, trattenuto in decisione all'udienza del 13 febbraio 2019 tra il Sindaco di Vetralla, nella qualità di amministratore di sostegno di (...) (c.f. (...)) elettivamente domiciliato in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Pi. come da procura a margine dell'atto di citazione attore contro (...) (c.f. (...)) elettivamente domiciliato in Ronciglione, via (...), presso lo studio dell'avv. Da.No. il quale lo rappresenta e difende in virtù di delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta convenuto oggetto: annullamento contratto ex art. 428 c.c. Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato il Sindaco di Vetralla, nella qualità di amministratore di sostegno di (...), conveniva in giudizio (...) al fine di sentir accertare e dichiarare l'annullamento del contratto a causa mista di mantenimento/compravendita immobiliare intercorso tra (...), padre defunto dell'amministrato, e (...) sottoscritto in data 6.5.2010 per atto pubblico Notaio (...) repertorio n. (...) e racc. n. (...) registrato in data 4 giugno 2010, per incapacità di intendere e di volere di (...) al momento del compimento del negozio e, per l'effetto, sentir condannare (...) alla restituzione del bene immobile oggetto del contratto, nonché al risarcimento del danno in favore di (...), da quantificarsi in Euro 450,00 mensili (quale equivalente del canone di locazione dei beni oggetto del contratto), oltre interessi di legge, dalla morte di (...) fino all'effettivo rilascio dell'immobile. Si costituiva in giudizio (...) contestando ed impugnando tutto quanto ex adverso dedotto in quanto infondato in fatto e in diritto e, eccependo in via preliminare l'invalidità della procura rilasciata all'amministratore di sostegno, concludeva in via principale chiedendo il rigetto della domanda attorea non sussistendo i presupposti di legge per il suo accoglimento e in via subordinata e riconvenzionale, nel denegato caso di accoglimento, chiedeva che parte attrice fosse condannata al rimborso di tutte le spese sostenute da parte convenuta in esecuzione degli obblighi contrattuali dell'impugnato accordo così come di quelle sostenute per il miglioramento del fondo oggetto del contratto nonché il rimborso delle spese sostenute per la esequie e la tumulazione del sig. (...). Concessi i termini per le memorie istruttorie, il precedente giudice assegnatario della causa ammetteva le prove orali che venivano svolte con l'escussione dei testi delle parti sui capitoli ammessi. La causa veniva successivamente assegnata all'odierno giudice il quale, ritenuta la causa sufficientemente istruita e matura per la decisione, la rinviava per la precisazione delle conclusioni e, infine, la tratteneva in decisione all'udienza del 13 febbraio 2019 concedendo alle parti i richiesti termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. La domanda di parte attrice è fondata nei limiti di cui di seguito chiariti e deve essere pertanto accolta. Rilevata la validità della procura alle liti conferita, nel merito si osserva che, come noto, ai sensi del primo comma dell'art. 428, c.c. gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o, come nel caso di specie, dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore; inoltre, a sensi del secondo comma della medesima disposizione l'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente. Ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ai sensi dell'art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente (cfr. Cass. n. 856/2007; Cass. n. 12532/2011). Invero, quanto alla dimostrazione della capacità di intendere e di volere del contraente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di statuire che lo stato di incapacità di intendere e di volere del soggetto che abbia stipulato un contratto, del quale si chiede l'annullamento ai sensi dell'articolo 428 c.c., è una condizione personale dell'individuo, che solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provata in modo diretto, mentre il più delle volte va accertata in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità, con la precisazione che l'indagine relativa alla sussistenza dello stato di incapacità del soggetto che abbia stipulato il contratto e alla malafede di colui che ha contratto con l'incapace di intendere e di volere si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità ove congruamente e logicamente motivato (cfr. Cass. civ. 2 novembre 2004, n. 21050). Altresì relativamente alla sussistenza del requisito della malafede, intesa nel suo significato soggettivo psicologico di consapevolezza o addirittura di conoscenza dell'altrui condizione d'incapacità nella controparte, occorre evidenziare che se l'atto stipulato è un contratto, l'annullamento presuppone la malafede dell'altro contraente che abbia profittato di tale condizione considerando che ai fini dell'annullamento del contratto concluso dall'incapace, non è quindi richiesta - a differenza di quanto richiesto dal comma primo del medesimo articolo in relazione agli atti unilaterali - l'esistenza di un grave pregiudizio per l'incapace, bensì la sola malafede dell'altro contraente (cfr. Cass. n. 4677/2009; Cass. n. 17583/2007). Né il termine malafede può intendersi quale inganno della controparte, atteso che le particolarità della fattispecie presa in considerazione dall'art. 428 c.c. e le esigenze di tutela che ne scaturiscono privano quest'ultimo elemento del carattere della essenzialità. L'affidamento del terzo infatti costituisce la ragione, ma anche il limite, per far prevalere, attraverso l'annullamento del contratto, l'interesse di quest'ultimo sulla protezione dell'incapace, che appare altrimenti prioritaria. Una volta accertato che il terzo era consapevole dello stato di incapacità del contraente, non vi è motivo per l'ordinamento di non consentire l'annullamento del contratto, a prescindere dal fatto che il terzo si sia o meno avvantaggiato ovvero pensasse o meno di avvantaggiarsi (cfr. Cass. n. 21050/2004). Conseguentemente la malafede può risultare anche dal fatto che era palese l'irragionevole pregiudizio che il contratto comportava a carico dell'incapace, e può risultare anche da altre circostanze (come, ad es., i segni esteriori dello squilibrio mentale del soggetto) non rappresentando dunque il grave pregiudizio un requisito necessario per l'annullamento del contratto, ma solo uno dei possibili criteri con cui pervenire alla prova della malafede. Tali essendo le coordinate in cui la fattispecie in esame deve essere sussunta, le complessive risultanze dell'istruttoria condotta hanno consentito di accertare la sussistenza dei requisiti richiesti per la disposizione di cui all'art. 428 c.c. ai fini dell'annullamento del contratto dedotto in giudizio dovendosi, infatti, ritenere che (...) al momento della conclusione del contratto in parola si trovava in una condizione di incapacità di intendere e di volere e, in particolare, in uno stato di menomazione delle sue facoltà intellettive e volitive. Depongono in tal senso non soltanto le relazioni degli assistenti sociali che si sono e si occupano di (...) nelle quali viene dato atto delle forti inadeguatezze del de cuius a prendersi cura del figlio, già affetto da problematiche e orfano di madre dal 1997, tanto da aver inserito l'attore maggiorenne presso una RSD avendo la trascuratezza e limitatezza del padre determinato l'aggravamento della disabilità psichica e fisica, avendo riscontrato la dott.ssa (...), anche in data 22.10.2012, che "emerge il profilo patologico del sig. (...), caratterizzato da personalità fragile con accentuati caratteri di dipendenza, la limitata capacità cognitiva e estrema povertà culturale connessa ad analfabetismo che lo rendevano facilmente manipolabile e suggestionabile, del tutto inadeguato nel ruolo genitoriale" (cfr. in particolare doc. n. 25 fascicolo parte attrice), ma soprattutto le risultanze della perizia medico-legale, espletata in epoca di poco antecedente alla stipulazione del contratto impugnato, nell'ambito del procedimento penale per circonvenzione di incapace nel quale (...) era persona offesa per fatti risalenti al 2008 e all'esito della quale il medico psichiatra chiamato a svolgere la consulenza ha concluso rilevando che (...) "presenta povertà ideativa, riduzione delle capacità intellettive che lo pongono al limite del deficit" e che in modo evidente "appare ipobulico e con grave deficit della capacità di iniziativa. Vive ai margini della società in una condizione di volontario e sostanziale isolamento...(...) presenta una condizione mentale all'epoca dei fatti ed oggi che lo fanno rientrare nelle condizioni previste dall'art. 493 c.p. E' anche a dire che le sue condizioni socio-culturali ai gradi più bassi, lo rendono particolarmente vulnerabile nell'atto decisionale. Tali sue condizioni sono rilevabili anche da persone comuni" Cfr. doc. n. 19 fascicolo parte attrice). Dalla disamina della consulenza psichiatrica depositata presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale nel corso del 2010, a firma del dottor (...) e disposta nell'ambito del procedimento penale introdotto a seguito della denuncia proposta dal medesimo attore, con la coadiuvazione proprio del convenuto, nei confronti di due imputate per aver le stesse, abusando della condizione di infermità psichica del (...) indotto quest'ultimo, tra l'altro, a sottoscrivere finanziamenti facendosi consegnare loro la maggior parte delle somme finanziate, si evince chiaramente come quest'ultimo, al momento della stipulazione del contratto oggi impugnato, versasse in condizioni psichiche tali da non renderlo capace di intendere e di volere. Inoltre, occorre considerare che la contestazione della parte convenuta, sin dalla comparsa di costituzione e risposta, è stata espressa con formule generiche ed è stata prospettata in termini del tutto negativi: in altri termini, il convenuto ha contestato che l'incapacità di intendere e di volere dell'attore potesse essere desunta dagli elementi rappresentati da parte attrice e in particolare dalla perizia resa nel corso delle indagini penali e che vi fosse un rapporto amicale tra le parti tale da giustificare il negozio posto in essere, senza tuttavia affermare la condizione, in termini postivi, che il padre dell'attore al momento della conclusione del contratto si fosse trovato nel pieno possesso delle sue capacità. Oltre a ciò si evidenzia che in maniera palese è emersa la dipendenza del de cuius dal convenuto in termini di possibilità da parte di questo di suggestionarlo rispetto alle scelte proprio per l'incapacità del (...) a prendere decisioni autonome e consapevoli, come del resto documentato nelle relazioni degli assistenti sociali e dei professionisti della (...) che si sono occupati del nucleo familiare (...) in relazione alle vicissitudini dell'attore sottoposto poi ad amministrazione di sostegno. Né lo stato di incapacità di intendere e di volere del de cuius così come riscontrato può ritenersi validamente contestato da parte convenuta sulla considerazione che la capacità di intendere e volere del (...) fosse stata già valutata dal Notaio al momento della stipula del contratto, dovendo aderire all'orientamento pacifico della Cassazione sul punto secondo cui "l'atto pubblico redatto dal notaio fa fede fino a querela di falso relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, ma tale efficacia probatoria non si estende anche ai giudizi valutativi che lo stesso abbia eventualmente svolto, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte di uno dei contraenti, della capacità di intendere e di volere" (cfr. Cass. n. 9649/2006; Cass. n. 3787/2012). Considerato che le risultanze dell'indicato elaborato peritale svolto in sede penale devono ritenersi particolarmente attendibili sia perché risalenti al 2010 (ovvero al periodo di poco precedente al momento di compimento dell'atto negoziale) e dunque ricavate all'esito della visita svolta dal medico e di un esame diretto del paziente e sia in quanto coerenti sotto il profilo logico tecnico e congruamente argomentate e tenuto inoltre conto che, come già osservato, ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente e che "la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto" (cfr. Cass. n. 13659/2017; nonché cfr. Cass. n. 10825/2016), deve concludersi nel senso dell'accoglimento della domanda attorea così come avanzata. Nel caso di specie invero deve ritenersi sussistente anche l'ulteriore requisito della malafede del contraente convenuto tenuto conto che lo stesso lo ha non solo accompagnato per presentare la denuncia-querela contro le due signore di cui al procedimento penale citato, ma ha anche sottoscritto per lo stesso tale querela atteso l'analfabetismo del (...) ed era inoltre pienamente consapevole dello stato di incapacità di quest'ultimo avendone seguito tutte le vicende. Oltre a ciò si rileva anche in ragione delle condizioni di salute pregresse del (...) appare evidente la forte sproporzione delle controprestazioni valutate nel negozio posto in essere nel quale, fermo l'assenza di pagamento di un prezzo per i beni ceduti, la contropartita andava individuata in un'assistenza morale ed economica la cui prova, peraltro, non è stata fornita, considerato che le spese documentate da parte convenuta sono relative a costi per tributi e tasse ovvero utenze sostanzialmente avvenute in epoca successiva al decesso del (...) e dunque inerenti a un periodo nel quale il (...), divenuto proprietario del 3/4 del bene e potendone usufruire in via esclusiva atteso lo stato del figlio del de cuius accolto presso una struttura residenziale, hanno in realtà contribuito ad incrementare la personale posizione del convenuto senza alcun vantaggio per l'altro contraente ormai deceduto. Il pregiudizio dunque subito dal (...) deve pertanto essere considerato quale sintomo rivelatore della malafede del (...), pienamente consapevole del quadro psicopatologico che aveva afflitto il padre dell'attore al tempo del contratto. Alla luce dunque del chiaro quadro probatorio complessivamente delineatosi devono ritenersi sussistenti tutti i presupposti richiesti dall'art. 428, c.c., per annullare il contratto per cui è causa, per l'incapacità di intendere e di volere di (...) al momento della conclusione dell'atto pubblico Notaio (...) del 6.5.2010, repertorio n. (...) e racc. n. (...) registrato in data 4 giugno 2010. Deve invece essere rigettata la richiesta di condanna di parte convenuta al risarcimento dei danni quantificati in Euro 450,00 quale canone mensile di locazione dell'immobile oggetto del contratto oggi annullato non essendo esperita dalla parte istante alcuna iniziativa istruttoria tesa a dimostrare specificamente la disposizione in locazione dell'immobile in parola con percezione dei canoni da parte del solo (...) anche per la quota parte di un quarto di pertinenze di (...) quale erede del defunto. Quanto alla domanda di restituzione del bene immobile oggetto del contratto annullato se ne rileva la inammissibilità considerato che parte attrice era titolare, sia pure pro quota, dell'immobile oggetto di controversia e pertanto ogni questione sulla legittimità del godimento sul bene non costituisce oggetto dell'odierno giudizio. Parimenti da rigettarsi la domanda avanzata in via subordinata e riconvenzionale da parte convenuta atteso che le spese documentate risultano in relazione a beni posti nella sua stessa disponibilità e di cui ha avuto la concreta, appunto, disponibilità in via esclusiva almeno dal decesso del sig. (...) risalente al 24.12.2012. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste, pertanto, a carico del convenuto e in favore dello Stato ai sensi dell'art. 133 Testo Unico Spese di Giustizia con dimidiazione soltanto in sede di successiva liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - in accoglimento della domanda di parte attrice annulla il contratto intervenuto tra (...) e (...) in data 6.5.2010 per atto pubblico Notaio (...) repertorio nr (...) e racc. n. (...) registrato in data 4 giugno 2010; - rigetta ogni altra domanda; - condanna (...) al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, oltre rimborso forfetario spese al 15%, iva e cpa, in favore dello Stato ai sensi dell'art. 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 attesa l'ammissione dell'attore al patrocinio a spese dello Stato, provvedendo alla loro dimidiazione ai sensi dell'art. 130 del medesimo d.P.R. soltanto in sede di successivo decreto di liquidazione delle spese in favore del difensore della parte ammessa. Così deciso in Viterbo il 26 agosto 2019. Depositata in Cancelleria il 27 agosto 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott. Eugenio Maria Turco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al R.G.n 677/2016 avente ad oggetto risarcimento danni e pendente TRA (...) ((...)) CON L'AVV. AN.PE. ((...)) dal quale è rappresentato e difeso come da procura in atti ATTORE E (...) S.P.A. - FONDO (...) con l'Avv. Gu.MO. dal quale è rappresentata e difesa come da mandato in atti CONVENUTA Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (...) ha citato in giudizio la (...) S.p.A., Fondo (...), al fine di ottenere una sentenza di condanna in suo favore e nei confronti della società convenuta in ragione dei danni subiti - che venivano quantificati in complessivi Euro 79.718,50 - a seguito di un incidente stradale a lui occorso in data 26.4.2014. In merito al dedotto incidente rappresentava che la colpa di tale sinistro era da addebitare in via esclusiva al conducente di un mezzo, rimasto poi ignoto, il quale spostandosi sulla occorsa corsia di marcia per evitare un gruppo di ciclisti, aveva costretto il conducente di una Fiat 500 che precedeva il motoveicolo da lui condotto a frenare in maniera improvvisa. A causa di ciò il Magnani non riuscendo ad evitare l'impatto a causa di tale imprevista ed improvvisa manovra, per evitare l'impatto urtando il veicolo che lo precedeva aveva subito danni alla persona ed al suo motoveicolo. Costituendosi in giudizio parte convenuta ha preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione passiva della (...) non essendo emersa, con certezza, prova che il fatto fosse stato causato da un conducente non identificato. Nel merito si riteneva sussistente un concorso di colpa da parte dello stesso attore nella determinazione causale del fatto. Dopo l'assunzione delle prove testimoniali ammesse e di CTU la causa veniva trattenuta in decisone. Ritiene questo giudice che la domanda sia fondata seppur con i limiti che saranno a breve illustrati in sentenza. In merito alla dinamica dei fatti è stato chiaramente accertato che l'incidente per cui è causa era stato causato - in via prevalente, ma non esclusiva - da un conducente di un veicolo che era rimasto poi sconosciuto. In merito a tale dato - necessario a legittimare la presenza della società convenuta - è stata acquisita rigorosa prova sia attraverso le testimonianze assunte, e di cui a breve si dirà, che attraverso prova documentale. Tali dati istruttori, in maniera inequivoca hanno infatti dimostrato che il principale responsabile del sinistro in esame fosse da individuare nel conducente di una veicolo, rimasto ignoto, che quel giorno, aveva invaso la sua opposta corsia di marcia che poi non si era fermato nonostante l'accaduto. Con riguardo alla dinamica del fatto di assoluto rilievo risulta la testimonianza resa all'udienza del 23.2.17 dal teste (...), testimone diretta dei fatti. Quest'ultima ha appunto riferito che il giorno dell'incidente, mentre si trovava a bordo della sua auto (una fiat 500) sulla Via C., all'improvviso un veicolo che procedeva nell'opposto suo senso di marcia, al fine di superare un gruppo di ciclisti aveva invaso la sua corsia di marcia. Nella indicata circostanza, ha specificato, poi, il teste "ho frenato e decelerato ed il motociclista (...) per evitare di tamponarmi ha tentato di superarmi sulla destra. Confermo che il (...) mi ha superato a destra perché a sinistra c'era il veicolo" E' poi emerso che poco prima del luogo ove era avvenuto il fatto (per i veicoli che procedevano nella direzione del (...)) v'era un leggero dosso. Tale ricostruzione dei fatti - già riferita dalla teste nella immediatezza del fatto agli operatori di PG (cfr Modulo di rilevazione incidente stradale dei Carabinieri intervenuti) certamente dimostra che la conducente del veicolo Fiat 500 aveva frenato in maniera improvvisa e repentina nell'indicata circostanza. La stessa testimonianza, però, non appare in linea con quanto indicato dalla difesa di parte attrice che aveva sostenuto che "il (...).. avvistava infatti il veicolo Fiat 500 che aveva appena trovato riparo sul lato destro della corsia arrestando totalmente la marcia...la cui conducente si era arrestata atterrita dallo spavento sul ciglio destro della strada". Al contrario, come visto, la Fiat 500 non si era posizionata sul lato destro della carreggiata, ma era rimasta nella sua stessa corsia. Ora, dall'istruttoria è emerso, come dato certamente sicuro, che il (...) a sua volta era stato costretto a frenare improvvisamente per evitare l'impatto con la fiat 500 ed a tentare di superare a destra tale veicolo per evitare l'impatto e che il fatto era certamente avvenuto a causa di una condotta gravemente colposa dell'ignoto conducente che proveniva dalla parte opposta. Ammessa la responsabilità dell'ignoto conducente, tale dato, però, non esclude il fatto che una disamina dell'evento debba essere in ogni caso compiuta al fine di verificare se sia stata o meno superata la presunzione di cui all'art. 2054 c.c. ("..in tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, il giudice che abbia in concreto accertato la colpa di uno dei conducenti non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell'altro dall'art. 2054 c.c., comma 2, ma è tenuto ad accertare in concreto se questo ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida irreprensibile" Cass. n. 21228/2016). Orbene, proprio alla luce dei dati istruttori finora esaminati, se da un lato appare evidente la responsabilità del conducente poi rimasto ignoto, dall'altro lato la condotta di guida del (...) non può essere di certo ritenuta "irreprensibile". Ciò considerando come, sia il rispetto di una distanza dal veicolo che lo precedeva e, soprattutto, la tenuta di una velocità di guida adeguata alle condizioni di luogo (la presenza di un dosso poco prima del fatto), avrebbe certamente limitato gli effetti dannosi dell'evento e comunque permesso una meno rovinosa manovra d'emergenza. Tutto ciò anche approfittando dello spazio, seppur limitato, che era rimasto a destra della destra della fiat 500 che tale veicolo che precedeva l'istante era rimasto sulla sua carreggiata e non si era spostata a sinistra come aveva invece indicato l'istante. Tali determinazioni inducono, pertanto, questo giudice a ritenere che nella determinazione dell'evento debba essere ammessa un, seppur lieve, concorso di colpa dell'istante che può essere quantificato nel 15%. In merito alla quantificazione dei danni gli esisti della CTU danno conto di lesioni del danneggiato prodotte a causa dell'urto subito nell'incidente stradale. In particolare di "una frattura composta del corpo-collo astragalo sinistro con interessamento dell'articolazione sotto-astragalica, frattura del cuboide e del 5 metatarso sinistro" (cfr. p. 4, CTU). Con riguardo alle percentuali di invalidità è stata accertata una invalidità permanente del (...) del 10%, mentre con riguardo alla invalidità temporanea la stessa è stata indicata nel 100% per 30 giorni, del 75%: per 20 gironi, del 50%: per 30 giorni e del 25%: per 30 giorni. Ora seguendo le tabelle del Tribunale di Milano per il danno biologico, considerando l'età del (...) al momento del fatto (56 anni) le percentuali di invalidità permanente e temporanea, il danno biologico può essere così liquidato: per invalidità permanente Euro 20.252,00 per invalidità temporanea Euro 6.615,00 somme poi da ridurre in ragione del concorso di colpa. In merito alla richiesta di danno morale, in ragione dell'utilizzo delle tabelle milanesi, la Cassazione aderendo ad una concezione unitaria del danno non patrimoniale ( Cass. civ. n. 26972/2008) ha stabilito che le tabelle milanesi non hanno cancellato il danno morale, bensì hanno provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale da lesione permanente all'integrità fisica, il cd. danno biologico, e del danno derivante dalle lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva, ossia il danno morale. Pertanto tali tabelle, pur mantenendo la distinzione concettuale tra le due specie di danno, hanno provveduto alla "liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale, determinando il valore finale del punto utile al calcolo del danno (ex multis, Cass. civ., n. 5243/2014)". Può quindi ammettersi una liquidazione complessiva di danno non patrimoniale provvedendo ad una liquidazione congiunta in applicazione delle tabelle milanesi. Sempre nell'ipotesi di danno morale che esprime, in ogni caso, una nozione di danno sostanzialmente differente rispetto a quello biologico, oltre alla liquidazione che viene operata utilizzando il sistema tabellare, la stessa liquidazione operata sulla base della tabella può essere aumentata attraverso un ulteriore indice di cd "personalizzazione". Ciò sempre che siano dedotte e provate ".. circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età e condizioni di salute. " (Cass. Civ. sez. III, ord. 30.10.2018, n. 27482). Ebbene di tali ulteriori circostanze non si è data prova alcuna. Pertanto un aumento determinato in ragione della voce personalizzazione non può essere accolto. Possono poi essere liquidate sia le spese mediche sostenute dall'attore (Euro 1.974,44) le quali risultano legate in maniera evidente - in considerazione del periodo e del tipo di interventi - al trauma per il sinistro in esame; sia i danni patrimoniali al motoveicolo provati dal verbale d'intervento dei Carabinieri intervenuti, dal preventivo e dalle foto in atti depositati per un ammontare pari ad Euro 1.905,53. Parte attrice ha chiesto, poi, una dichiarazione di condanna in merito alle spese cd legali stragiudiziali. Orbene in merito a tale domanda appare doveroso menzionare un recente indirizzo giurisprudenziale (Cass.III, 14.2.2019 n. 4306) secondo il quale "in tema di risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, (..) sono comunque dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore, dovendosi altrimenti ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l'art. 24 Cost., e perciò da disapplicare, ove volta ad impedire del tutto la risarcibilità del danno consistito nell'erogazione di spese legali effettivamente necessarie" (Cass. civ., sez. 3°, n. 11154/2015; Cass. civ., sez. 3°, n. 3266/2016; Cass. 6422/2017). Tuttavia, il Collegio ha altresì riconosciuto la possibilità di erogare dette spese attraverso la "fase studio" della tabella delle spese giudiziali, rifacendosi ad una decisone del 2006, la n. 2275. In tal modo si era lasciato aperto il dibattito se le indicate spese dovessero essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o di spese giudiziali. Sul punto le Sezioni unite (SSUU Civ. del 10.07.2017 n. 16990) hanno ritenuto che dette spese - nel solo caso di danno da circolazione stradale - debbano rientrare nella nozione di danno emergente (da non liquidare, quindi, come spese giudiziali)1 trattandosi di un "qualcosa di intrinsecamente diverso rispetto alle spese legali vere e proprie". Ha aggiunto la Corte che in ogni caso il giudice è tenuto a valutare se il danno doveva essere liquidato nella fase amichevole, piuttosto che nel processo secondo una valutazione da compiersi "ex ante cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio" Ora, in merito alla liquidazione del citato danno, trattandosi appunto di danno emergente, proprio considerando i principi delle SSUU la prova di tale danno resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie regole processuali. Non possono, quindi, seguirsi i criteri indicati da parte istante che ha fatto riferimento alle sole tabelle forensi (che, come detto, attengono alla liquidazione delle spese del processo dell'attività stragiudiziale alla quale non sia seguita l'attività processuale), né dirsi assolto tale onere probatorio attraverso il deposito di una proposta di fattura (di Euro 8.000). Alla luce di tanto le uniche allegazioni prodotte riguardano le spese sostenute per le richieste inoltrate alla società assicuratrice, spese che ammontano a circa 100,00 euro. Nessun altra prova è stata fornita. In conclusione, sulla base delle indicate tabelle e della documentazione depositata le somme da liquidare risultano cosi quantificate: danno biologico Euro 20.252,00 per invalidità permanente ed Euro 6.615,00 per invalidità temporanea; spese mediche Euro 1.974,44; danni patrimoniale Euro 1,950,53 danno stragiudiziale Euro 100,00. Complessivamente Euro 30.891,97 da detrarre la somma di Euro 4.633,79 per il concorso colposo, così complessivamente Euro 26.257,21 da riconoscere in favore del (...) per tutte le voci di danno. L'esito della causa ed un riconoscimento di un seppur lieve concorso di colpa esclude in maniera una statuizione ai sensi dell'art. art. 96 c.p.c. e comporta, in ogni caso, una condanna, per parte convenuta, al pagamento delle spese processuali tenendo in considerazione tutti i dati finora espressi può essere determinata in Euro 6.166,00 (valore causa da 26.001 a 52.000 con liquidazione di valori medi Euro 7.254,00 con riduzione fino del 15%). P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo così provvede: 1) dichiara la responsabilità del conducente di un veicolo non identificato nella causazione del sinistro avvenuto a Vetralla il data 26/04/2014 ai danni di (...) e per l'effetto, ritenuto atteso il concorso di parte istante nella misura indicata in sentenza, condanna le (...) S.p.A., quale impresa designata alla gestione del Fondo di (...), al risarcimento dei danni quantificati complessivamente in Euro 26.257,21 secondo le singole voci di danno indicate in sentenza, oltre interessi dalla data del sinistro sino al soddisfo. 2) condanna parte convenuta al pagamento delle spese del processo che si liquidano in complessivi Euro 6.166,00 oltre oneri di legge, somma da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Così deciso in Viterbo il 10 luglio 2019. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VITERBO in composizione monocratica in persona della dott.ssa Marianna Barlati ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 170 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2012, vertente tra: (...) SRL (P. I. (...)) elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. El.Pa. che la rappresenta e difende unitamente giusta procura a margine a margine all'atto di citazione; - attrice- E CONDOMINIO DI VIALE (...) elettivamente domiciliato in Bracciano, via (...), presso lo studio dell'avv. An.De. che lo rappresenta e difende unitamente giusta procura allegata all'atto di costituzione di nuovo difensore; - convenuto - OGGETTO: pagamento compenso straordinario e rimborso di anticipazioni all'amministratore di condominio. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE La srl (...) ha tratto in giudizio il Condominio sito in (...), viale (...), per sentirlo condannare al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 8.923,34, quale somma dovuta, a titolo di compensi maturati per l'attività di gestione ed amministrazione svolta fino al 28/11/2018, nonché a titolo di anticipazioni sostenute, in nome e per conto del condominio convenuto per lavori indifferibili ed urgenti. L'entità del credito vantato dall'attrice, risulterebbe provata per tabulas, dalla differenza contabile tra l'importo delle fatture relative alla gestione condominiale per gli anni 2007-2008 (sia ordinaria che straordinaria) e le ricevute di pagamento relative alle quote condominiali via via versate dai condomini nelle rispettive annualità 2007 e 2008 i cui rendiconti consuntivi sarebbero stati regolarmente. Il condominio convenuto si è costituito ed ha eccepito, nel merito, l'insussistenza del credito vantato dall'attrice assumendo, anzitutto, che l'assemblea condominiale non aveva mai deliberato, in favore dell'amministrazione, alcun compenso straordinario né tantomeno autorizzato l'esecuzione di lavori straordinari, mai comunicati all'assemblea; rilevava in particolare che l'assemblea aveva si approvato i rendiconti consuntivi relativi agli anni 2007 e 2008, ma dagli stessi erano state escluse alcune voci e precisamente: 1- commissione lavori straordinari Euro 1.800,00; 2-fattura n. (...) emessa dalla (...) per Euro 936,00; 3- lavori straordinari ed urgenti per Euro 6.468,00 (5.880,00 + IVA) per un totale complessivo di Euro 9.204,00; la predetta somma andava quindi decurtata dai suindicati rendiconti. Il processo, istruito mediante produzione documentale e prove testimoniali, veniva interrotto a seguito dell'intervenuto decesso del procuratore costituito di parte convenuta e, riassunto da parte attrice. La causa veniva quindi trattenuta in decisione all'udienza del 17 maggio 2018 con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie in replica. La domanda è infondata e deve essere rigettata. Al rapporto amministratore-condominio, si applicano le norme sul mandato; per l'attività di amministratore non esistono tariffari di riferimento e dunque la determinazione del compenso è rimessa all'accordo tra le parti ( cfr art. 1709 c.c.) Questo significa che all'atto dell'accettazione dell'incarico o del suo rinnovo, l'amministratore nel formulare la propria offerta economica, se vuole vedersi riconosciuto uno specifico compenso per l'attività fiscale che dovrà svolgere a seguito di lavori straordinari deliberati allora deve inserire questa voce nell'elenco dettagliato del compenso per l'attività che andrà a svolgere, compenso che deve essere chiaramente approvato dall'assemblea; qualora non lo facesse, l'attività fiscale dovrà essere considerata ricompresa nella voce compenso generale. Nella fattispecie, dall'esame dell'offerta economica presentata dall'attrice al momento dell'assunzione dell'incarico di amministratore, approvata in sede d'assemblea del 4/10/2004 ( doc. 7 di cui all'atto di citazione) e ribadita in sede d'assemblea del 12/1/2005 (fissata sempre per la nomina dell'amministratore), si evince chiaramente che, per la gestione ordinaria annuale, era stato pattuito tra le parti un compenso a forfait mentre "per quanto non espressamente indicato nella presente, si fa riferimento alla Professionale Geometri approvata dal Consiglio Nazionale con Delib. del 05 giugno 1990 art. dal 118 al 124/2%). Non v'è dubbio che possa essere corrisposto all'amministratore un compenso straordinario per i lavori deliberati in sede d'assemblea tuttavia detto compenso deve essere espressamente e specificamente indicato in sede di approvazione del bilancio preventivo relativo ai lavori straordinari. Ritiene infatti questo giudicante che, l'attività straordinaria, proprio perché tale, non sia preventivabile, non essendo possibile, come nel caso dei lavori straordinari, stabilire la complessità, la laboriosità, l'urgenza dei lavori da svolgere sui quali poi, misurare il compenso dell'amministratore, e che quindi l'assemblea, di fronte alla necessità di dar corso alle opere straordinarie, edotta ed informata dell'attività e dei lavori da svolgere può autonomamente stabilire e concordare, nella massima trasparenza, il compenso dovuto all'amministratore e ciò anche qualora il compenso e le singole voci per l'attività straordinaria non siano indicate nell'offerta economica approvata dall'assemblea. Il principio a cui fare riferimento è evidentemente quello di evitare che il condominio non sia debitamente edotto, al momento del conferimento dell'incarico all'amministratore del prevedibile ammontare delle somme dovute e ciò proprio al fine di contrastare la prassi, diffusa soprattutto in passato tra gli amministratori di condominio, di inserire, nel consuntivo, una volta raggiunto l'accordo compenso extra non espressamente pattuito. Nella fattispecie emerge che l'assemblea ha approvato la generica offerta economica iniziale, ma l'attrice non ha fornito prova che l'assemblea fosse effettivamente edotta di dover riconoscere all'amministratore, un compenso ulteriore per un'eventuale attività straordinaria da espeltare; infatti non solo l'assemblea non ha mai approvato specificamente, in relazione ai deliberati lavori straordinari pari ad Euro 72.029,56 (IVA inclusa), alcun compenso straordinario da corrispondere all'amministratore, ma, in sede d'approvazione dei rendiconti consuntivi 2007-2008 ( assemblea 3/4/2007), ha espressamente decurtato tale voce, come del pari ha decurtato la voce relativa ai diritti di vacazione per viaggi a Civita Castellana pari ad Euro 936,00, in relazione alla quale, in termini di diritto, valgono le medesime considerazioni. Quanto ai lavori indifferibili ed urgenti eseguiti dall'amministratore, in assenza di delibera, occorre fare riferimento alla norma di cui all'art. 1135 c.c. La Suprema Corte al riguardo ha stabilito che "l'amministratore di condominio non ha- salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 c.c. in tema di lavori urgenti-un generale potere di spesa, in quanto spetta all'assemblea condominiale, il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l'opportunità delle spese sostenute dall'amministratore; ne consegue che, in assenza di una delibera dell'assemblea, l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l'amministratore ed i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell'art. 1720 c.c., secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario, deve essere coordinato con quelli in materia di condominio, secondo i quali il credito dell'amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo dell'assemblea (Cassazione civile, sez.II, 20/872014 n. 18084). A prescindere dal fatto che l'attrice non ha fornito prova di aver effettivamente sborsato le somme pari ad Euro 6.468,00 di cui chiede il rimborso, sta di fatto che la stessa non ha provato nè l' urgenza né l'indifferibilità dei lavori eseguiti, ( a nulla rileva sul piano probatorio la richiesta di esecuzione dei lavori sottoscritta da alcuni condomini docc. 7 e 8 del fascicolo di parte attrice) né tantomeno che della loro esecuzione ne sia stata data comunicazione all'assemblea nella prima riunione utile. In conclusione la domanda deve essere rigettata Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo applicando i minimi di ogni fase, in considerazione del valore della causa e della semplicità delle questioni giuridiche trattate. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dallo (...) srl nei confronti del Condominio di (...), viale degli E. 14-36 ogni diversa istanza eccezione, deduzione, disattesa così provvede: - rigetta la domanda proposta dalla srl (...) nei confronti del condominio di (...), viale degli E. 14-36; - condanna la srl (...) a rifondere al condominio di (...), viale degli E. 14-36 le spese di lite liquidate, in Euro 2.800,00 per compensi oltre accessori come per legge. Così deciso in Viterbo il 3 luglio 2019. Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 3806 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2015, trattenuto in decisione all'udienza del 28 novembre 2018 tra (...), nata in S. L. il (...), e (...), nato in S. L. il (...), elettivamente domiciliati in Roma, via (...), presso lo studio dell'avv. Ro.Du., la quale li rappresenta e difende giusta delega a margine dell'atto di citazione attori contro (...) - (...), (c.f. e p.iva (...)) in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata presso UOC Affari Legali della (...), via (...), rappresentata e difesa dall'avv. El.Bo. giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta convenuta nonché contro (...) di Viterbo, in persona del rappresentante legale Oggetto: responsabilità medica Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra (...) e il sig. (...) convenivano in giudizio l'(...) di Viterbo e la (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, al fine di sentire accertare e dichiarare la responsabilità dei sanitari operanti all'interno della struttura ospedaliera della (...) in occasione di due interventi chirurgici del 16.8.2010, condannando i convenuti al risarcimento di tutti i danni patiti dagli attori asseritamente pari a Euro 479.430,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria in favore della signora a titolo di danno biologico, Euro 15.609,00 per riduzione della capacità lavorativa della stessa, ed Euro 100.000,00 per il danno patrimoniale riflesso del sig. (...) conseguente alla perdita del suo lavoro, con vittoria delle spese di lite da distrarsi in favore del procuratore delle parti dichiaratosi antistatario. A sostegno della domanda avanzata gli attori deducevano: che in data 16.8.2010 la sig.ra (...) si ricoverava in day hospital per sottoporsi ad un'interruzione di gravidanza eseguita lo stesso giorno per raschiamento dell'utero; che conclusosi l'intervento di IVG alle ore 10.00, alle ore 13.30 la paziente veniva trasferita di urgenza all'UOC di ginecologia e ostetricia e, a seguito di riscontri ecografici, sottoposta nel pomeriggio ad intervento laparotomico in cui venivano segnalate "numerose aderenze" e "piccola lesione di continuo di circa 1 cm a livello parete posteriore dell'utero"; che il 22.8.2010, durante la degenze postoperatoria di riparazione della perforazione uterina, in seguito a sintomatologia dolorosa, veniva sottoposta ad una successiva laparotomia esplorativa urgente per peritonite acuta con occlusione intestinale provvedendosi alla "resezione del tratto interessato dalla perforazione di circa 10 cm" e dimessa successivamente in data 9.9.2010. Rappresentando come successivamente all'intervento di interruzione volontaria di gravidanza la donna avesse subito una perforazione uterina e che a seguito degli errori medici subiti, consistiti nell'assenza di esplorazione pelvi al momento dell'intervento volto alla riparazione dell'utero - trascurando dunque l'evidenza di un danno intestinale - la vita di questa avesse subito uno stravolgimento totale dovendo altresì sopportare forti dolori, tanto che il marito era stato costretto a rimanere con lei in casa trascurando il lavoro e subendo dunque il licenziamento in data 1.2.2011, ed evidenziando inoltre come in data 23.11. 2013 la medesima signora era stata costretta ad un'ulteriore interruzione di gravidanza, questa volta a causa del persistere dello stato doloroso e delle complicazioni del precedente errore medico, concludeva chiedendo l'accoglimento delle proprie domande volte ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della negligenza, imprudenza e imperizia in cui i sanitari dell'ospedale (...) erano incorsi nell'esecuzione degli interventi del 16.8.2010. Costituitasi in giudizio la (...) contestava quanto dedotto dagli attori chiedendo il rigetto delle avverse domande perché infondate in fatto e in diritto anche nel quantum; in subordine chiedeva che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, il risarcimento fosse liquidato in base a quanto effettivamente accertato nel corso del giudizio tenendo conto che la medesima Ausl aveva formulato offerta di Euro 33.974,68 non accettata da controparte. Rigettata la richiesta attorea di emissione di ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. risultando le somme richieste contestate da controparte, la causa veniva istruita documentalmente e disponendo ctu medico-legale avendo ritenuto le prove orali articolate da parte attrice inammissibili. All'esito della consulenza tecnica d'ufficio, disposta l'integrazione nonché chiarimenti della stessa, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e trattenuta in decisone all'udienza del 18.11.2018 concedendo alle parti i richiesti termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. La domanda può trovare accoglimento nei limiti di seguito indicati. Deve peraltro osservarsi che, nel caso di specie, la recente riforma attuata dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie", entrata in vigore l'1 aprile 2017, tra l'altro non applicabile verificandosi diversamente una lesione ingiustificata del legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico, non assume ad ogni modo rilievo essendo stata promossa la domanda solo nei confronti della struttura sanitaria facente capo alla (...) per la quale rimane invariata la natura contrattuale della responsabilità e dovendosi la fattispecie - perfezionatesi prima dell'entrata in vigore della legge c.d. Gelli - essere regolata dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale. Ciò posto e dando atto che in ragione della rappresentanza legale della (...) quanto alla struttura ospedaliera (...), unico deve ritenersi il soggetto convenuto, si osserva che i principi che ratione temporis governano l'accertamento della responsabilità nell'ambito di un rapporto professionale medico, sono quelli derivanti dal rapporto contrattuale (o "da contatto") che si instaura anche di mero fatto con l'affidamento del paziente alle cure della struttura sanitaria, dando luogo ad un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che può ben essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico dell'ente, accanto a quelli di tipo latu sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico adeguato alle prestazioni da fornire, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze. La responsabilità dell'ente nei confronti del paziente, nella sua natura così individuata, può dunque conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento delle prestazioni medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, anche non dipendente, quale suo ausiliario necessario. Ne consegue che l'onere probatorio è ripartito tra le parti nel senso che chi invoca la responsabilità della struttura sanitaria è onerato dalla prova dell'esistenza del rapporto professionale, o contratto, e dell'allegazione dell'inadempimento in ragione della specifica prestazione dedotta, mentre sulla struttura grava l'onere di provare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che il mancato perseguimento del risultato sia stato determinato da un evento imprevedibile e imprevisto (cfr. Cass. n. 10297/04; Cass. 8826/2007; Cass. n. 13953/2007). In virtù della natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, costituisce quindi onere della stessa provare la correttezza dell'operato del proprio personale sanitario secondo gli imposti criteri di diligenza e perizia, con la conseguenza che, ove sussista incertezza sull'operato, l'inadempimento deve essere accertato in base alla regola dell'onere probatorio; ricade, invece, a carico del paziente l'onere della prova del nesso causale, con i criteri della probabilità logica, generalmente fornita per presunzioni e mediante prova di fatti secondari. Nella prospettiva dell'accertamento, dunque, la casualità civile è retta dalle medesime regole che presiedono alla verifica del nesso di causalità nel giudizio penale atteso che ciò che muta è lo standard probatorio necessario per l'affermazione della responsabilità; ed invero, mentre nel campo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", stante la diversità dei valori in discussione e l'equivalenza delle posizioni delle parti contendenti nel processo civile (cfr. Cass. S.U. n. 580/2008; Cass. n. 21619 del 2007). Sul fronte della colpa, la responsabilità medica postula la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività sanitaria, tra i quali quello della diligenza, che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività, essendo tenuto il medico alla diligenza del debitore qualificato prevista dall'art. 1176, secondo comma, c.c. e, dunque, al rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica. Tali essendo le coordinate normative ed interpretative sulla base delle quali va ricercata la soluzione del caso in esame, la posizione processuale delle parti deve essere valutata secondo quanto di seguito precisato. Ebbene, risulta provato sulla base degli atti la sussistenza del rapporto di prestazione professionale medica presso la struttura ospedaliera (...) di Viterbo, riferibile all'Azienda sanitaria locale di Viterbo. Parimenti adempiuto l'onere della specifica allegazione della natura dell'inadempimento contestato da parte attrice che risulta, se non totalmente quanto alle conseguenze lamentate, ad ogni modo confermato quanto alla sussistenza dello stesso da parte del ctu. Invero il consulente tecnico d'ufficio ha accertato l'asserita imprudenza ed imperizia dei sanitari della struttura (...) facente capo alla (...). Dall'esame della C.T.U. medico-legale è emerso, invero, che recatasi l'attrice presso la struttura ospedaliera per un'interruzione volontaria di gravidanza "Durante la fase di estrazione del prodotto del concepimento l'operatore provoca la perforazione del fondo dell'utero. Tale dato è di per se grave in quanto non dovrebbe accadere che in corso di un banale intervento chirurgico di IVG si provochi la perforazione dell'organo uterino. La revisione della cavità uterina è un atto operatorio semplice che a volte fanno anche gli specializzanti al fine di acquisire la manualità chirurgica. Nel caso in esame non esistevano o sono sopravvenute difficoltà tali da richiede una specifica competenza tecnica. Qualsiasi specialista in ostetricia e ginecologia deve saper eseguire una banale revisione della cavità dell'utero per IVG. Nel caso in cui l'operatore che ha eseguito lo svuotamento dell'utero si fosse trovato in difficoltà avrebbe dovuto avvertire il collega più esperto al fine di evitare che venisse perforato l'utero con danno alle anse intestinali. Alla luce di quanto sopra risulta censurabile il comportamento del sanitario che ha eseguito lo svuotamento della cavità uterina per imprudenza"; altresì il medesimo ctu ha parimenti riscontrato che il comportamento dei sanitari che hanno operato la paziente in pari data, nel pomeriggio, al fine di suturare l'utero perforato "è stato superficiale in quanto non hanno effettuato un accurato esame delle anse intestinali e pertanto non hanno evidenziato la perforazione dell'intestino tenue. Questa superficialità da parte degli operatori ha costretto la paziente a sottoporsi ad ulteriore atto operatorio di resezione del tenue effettuato in data 22/08/2010 ad altra equipe operatoria. ... I chirurghi che sono intervenuti nel secondo atto operatorio" ai quali il ctu ha evidenziato di non poter muovere alcun addebito "hanno dovuto tamponare l'errore di diagnosi da parte dei sanitari che hanno operato la paziente in data 16/08/2010 in quanto non sono stati in grado di diagnosticare la presenza di una perforazione dell'intestino tenue pur in presenza di sintomatologia idonea alla diagnosi oltre che in presenza di perforazione dell'utero che molto spesso comporta anche la perforazione dell'intestino e/o di altri organi". L'ausiliario del Giudice ha pertanto concluso censurando l'intervento di interruzione volontaria della gravidanza, in quanto ha procurato la perforazione dell'utero e dell'ansa di intestino tenue della paziente successivamente operato e ricanalizzato, nonché censurato l'intervento chirurgico effettuato nella medesima data e volto alla riparazione della perforazione dell'utero in quanto in maniera superficiale il personale sanitario dell'(...) non ha ispezionato l'intestino perforato costringendo in tal modo la paziente ad effettuare un ulteriore atto operatorio di resezione dell'intestino tenue e successiva ricanalizzazione con errore di diagnosi che ha, dunque, comportato l'instaurarsi di una peritonite con conseguente peggioramento della sindrome aderenziale pelvica che è stata oggetto di ulteriore atto operatorio in data 23.11.2013 da parte dei sanitari dell'ospedale di Terni (cfr. elaborato peritale depositato in data 28.11.2017). Se dunque la consulenza espletata ha consentito di accertare che la diagnosi di stato gravidico è stata fatta in maniera completa ai fini della IVG, ha parimenti consentito di accertare che l'atto operatorio di svuotamento della cavità uterina, che non richiedeva una specifica competenza professionale in quanto di semplice esecuzione, è stato eseguito in maniera imperita ed imprudente provocando le lesioni sia a carico dell'utero sia a carico dell'intestino tenue resecato per circa otto cm, con lesioni iatrogene in diretto nesso di causalità con la perforazione dell'utero e consistenti in 1) indebolimento permanente del corpo dell'utero; 2) indebolimento dell'organo della digestione per alterazione della peristalsi intestinale; 3) indebolimento della parete addominale per laparotomia; 4) danno estetico della parete addominale post chirurgico; 5) impossibilità ad espletare un parto per le vie naturali a causa dei postumi della perforazione dell'utero e della laparotomia post intervento chirurgico di riparazione delle anse intestinali e la sindrome adenziale da peritonite. Le conclusioni cui è pervenuto l'ausiliario del Giudice, cui si ritiene di aderire in quanto immuni da vizi e da eccezioni di incoerenza o illogicità anche con riferimento alle risposte alle osservazioni mosse, consentono di ritenere la fondatezza della domanda; pertanto, alla luce degli elementi conoscitivi desumibili dalla istruttoria espletata, può attribuirsi in capo alla struttura sanitaria ospedaliera, e per essa alla (...) convenuta, la responsabilità per i danni cagionati, dovendosi considerare accertato il nesso causale tra la condotta del suo personale medico e i danni lamentati dall'attrice, nonché la colpa in ordine alle condotte poste in essere. Rilevato, dunque, che sussistono i presupposti per il risarcimento del danno, ricadendo la fattispecie de quo nell'ipotesi di negligenza, imperizia e imprudenza del personale sanitario, occorre procedere alla quantificazione del danno subito da parte attrice. Con riferimento al pregiudizio non patrimoniale, la Corte di Cassazione, nella sentenza sopra citata, ha precisato che lo stesso si identifica "con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di divisione in sottocategorie" e che, solo a fini descrittivi, nel caso di lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) determinata da fatto illecito, si parla di danno biologico, figura che ha, peraltro, ricevuto un espresso riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private, che ne hanno dato una definizione suscettibile di generale applicazione. Ciò posto, ai fini dell'individuazione della consistenza della lesione, appaiono dirimenti le argomentazione racchiuse nell'elaborato peritale; si ritiene invero di condividere le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico nella relazione depositata così come integrata dai chiarimenti successivamente versati in atti, in particolare con riferimento al danno estetico il quale, già valutato quale voce ai fini della ponderazione del danno biologico, è stato nella sua incidenza specificato nella relazione integrativa depositata in data 15.3.2018 nella quale è stato "inquadrato nella seconda classe che considera il danno da lieve a moderato che va dal 6 al 10% secondo le tabelle di legge" con ritenuta opportunità di valutazione personalizzata in ragione della giovane età della paziente, e ciò in quanto le argomentazioni complessivamente riportate appaiono tratte a seguito dei più opportuni accertamenti e di una accurata disamina dei fatti. Quanto al pregiudizio effettivamente sofferto, a fronte delle deduzioni dell'attrice e della documentazione in atti dalla stessa allegata (verbali di pronto soccorso e referti medici), all'esito degli accertamenti, il C.T.U. ha riconosciuto che la sig.ra (...), quali conseguenze dell'operato dei sanitari dell'(...), ha riportato un danno biologico permanente pari al 16-17%, all'interno del quale è già valutato un danno estetico inquadrato nella seconda classe che considera il danno da lieve a moderato che va dal 6 al 10% secondo le tabelle di legge, oltre ad un'inabilità temporanea totale al 100% di giorni 30 e un'abilità temporale parziale al 50% per ulteriori 30 giorni. Si ritiene, pertanto, di riconoscere all'attrice un danno biologico accertato in sede peritale pari al 17%, nonché un periodo di inabilità temporanea totale al 100% per giorni 30 (trenta) e una parziale al 50% per ulteriori giorni 30 (trenta). Ciò detto, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale del quale l'attrice invoca il ristoro, occorre tenere conto delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (Cass. 5243/2014 e 12408/2011) da applicarsi in caso di lesioni macropermanenti atteso che le conclusioni cui è pervenuto il ctu, condivise da questo giudice, hanno superato la stima del danno biologico entro il 9% previsto per l'applicazione delle tabelle in materia di lesioni micropermaneti previste dalle tabelle di cui all'art. 139 del codice delle assicurazioni, così come stabilito all'art. 3, comma 3 del D.L. n. 158 del 2012 e s.m.i.). Quanto poi alla scelta di tener conto di dette tabelle elaborate dal Tribunale di Milano si evidenzia che la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che "Si è recentemente posto altresì in rilievo che l'equità assolve invero (anche) alla fondamentale funzione di "garantire l'intima coerenza dell'ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale", con eliminazione delle "disparità di trattamento" e delle "ingiustizie", a tale stregua venendo ad assumere il significato di "adeguatezza" e di "proporzione". Essendo dunque l'equità il contrario dell'arbitrio, la liquidazione equitativa è insindacabile in sede di legittimità a condizione che risulti congruamente motivata, dovendo pertanto di essa "darsi una giustificazione razionale a posteriori". Preso atto che le tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3 Cost., comma 2, questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla circolazione. Tali parametri sono allora da prendersi necessariamente a riferimento ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella, di ammontare come nella specie inferiore, cui il giudice di merito sia diversamente pervenuto. Incongrua è a tale stregua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si perviene mediante l'adozione dei parametri esibiti dalla c.d. tabelle di Milano. A fortiori in considerazione della circostanza che, diversamente da quelle in uso presso altri tribunali, le "Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico - fisica" del Tribunale di Milano sono state recentemente rielaborate all'esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, prendendo in considerazione anche il profilo del danno non patrimoniale consistente nella perdita del rapporto parentale, e sono state aggiornate il 23/3/2011, in riferimento alle variazioni del costo della vita accertata dall'ISTAT nel periodo 1/1/2009 - 1/1/2011" (cfr. ex multis Cass. n. 14402/2011 nonché successiva giurisprudenza di legittimità). La Suprema Corte ritiene dunque che le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano risultano essere quelle in grado di garantire un criterio generale per una valutazione che, con l'apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. personalizzazione del ristoro, consenta di pervenire alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell'effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione - nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti - sul territorio nazionale (cfr. Cass. n. 10263/2015; Cass. n. 14402/2011; Cass., n. 15760/2006), in quanto in grado di rappresentare un valido criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass. n. 12408/2011). Le summenzionate tabelle sono state, inoltre, redatte nel pieno rispetto dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2008, con le quali è stata riconosciuto carattere monolitico alla figura del danno non patrimoniale. In ossequio a tale principio, l'Osservatorio ha rilevato l'esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute, proponendo quindi la liquidazione congiunta: - del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico - legale", sia nei suoi risvolti anatomo - funzionali e relazionali medi ovvero peculiari; - del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore o sofferenza soggettiva, in via di presunzione con riferimento ad un dato tipo di lesione. In sintesi, in base alle suesposte indicazioni, occorre procedere alla liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico "standard" e di danno morale. Quanto poi alla cosiddetta "personalizzazione" del danno biologico, l'Osservatorio ha elaborato delle percentuali di aumento dei valori monetari medi onde consentire una adeguata personalizzazione della liquidazione ove il caso concreto presenti peculiarità che devono essere allegate e provate dal soggetto il quale invoca il risarcimento del danno. Pertanto, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica, il pregiudizio non patrimoniale patito dalla sig.ra (...), valutato al momento della condotta lesiva posta in essere nel 2010, e dunque allorquando l'attrice aveva 32 anni, deve essere quantificato in complessivi Euro 55.954,00 (vale a dire invalidità permanente al 17%). Quanto poi alla cosiddetta "personalizzazione" del danno biologico, nel caso che ci occupa, si ritiene che la stessa possa essere accordata in particolare con riferimento alla componente del danno estetico riportato risultando alterata la fisiologica cosmesi dell'addome e considerata che l'alterazione in sé rileva non solo in ragione della giovane età della paziente ma anche della localizzazione delle cicatrici. Detta personalizzazione, tenuto conto della sua rilevanza rispetto ad una delle componenti valutate per la ponderazione del complessivo danno biologico permanente, si ritiene di valutarsi, in una percentuale pari al 10% del danno permanente complessivo sopra individuato (cfr. Cass. n. 23778/2014) e dunque nella complessiva somma di Euro 5.595,40 con un danno permanente dunque pari alla somma di Euro 61.549,40 (= Euro 55.954,00 + 10% Euro 5.595,40). Con riferimento all'invalidità temporanea parziale appare equo adottare come base di calcolo la somma di Euro 110,00. Ciò posto, il danno da invalidità temporanea deve essere liquidato come segue: gg. 30 x Euro 110,00 = Euro 3.300,00 (invalidità temporanea totale) gg. 30 x Euro 55,00 = Euro 1.650,00 (invalidità temporanea parziale al 50%), per un totale quanto all'invalidità temporanea di Euro 4.950,00. Sommando i due importi liquidati a titolo di danno non patrimoniale "permanente" e "temporaneo", si perviene alla somma complessiva, già rivalutata in applicazione delle tabelle 2018, di Euro 66.499,40. Nessuna spesa medica è stata documentata e, pertanto, può essere riconosciuta. In definitiva, dunque, parte convenuta (...) deve essere condannata al pagamento in favore dell'attrice della somma complessiva di Euro 66.499,40. Alla somma così liquidata in conto capitale, già al valore attuale, deve essere, inoltre, aggiunto, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, un ulteriore importo per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. Quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre applicare il criterio elaborato nella sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite 17.2.1995 n. 1712. In applicazione di tale criterio, al fine del calcolo degli interessi, la somma capitale come sopra determinata deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza alla data dell'illecito (16.8.2010), e sulla somma così ottenuta, progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ISTAT fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c. La domanda attorea di risarcimento del danno relativa invece alla perdita della capacità lavorativa specifica non può, diversamente, essere accolta atteso che non è stato dimostrato in concreto un effettivo danno, mancando del tutto documentazione, quale, ad esempio, quella relativa ai redditi, per l'aspetto dell'incidenza effettiva dell'evento, sotto il profilo patrimoniale, su di una attività lavorativa svolta dall'attrice, che tra l'altro ha dedotto di non svolgerla al momento dell'intervento, o su un'attività futura, atteso che lo stesso ctu ha accertato non sussistente detto danno e tenuto in considerazione che il predetto danno alla capacità lavorativa generica, quale danno alla potenziale attitudine all'attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttive di reddito, com'è appunto nel caso di specie, è risarcito invece come danno biologico, nel quale sono compresi tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato, con la conseguenza che l'anzidetta voce di danno non può formare oggetto di autonomo risarcimento (Cass. civ., Sez. III, 22/06/2001, n. 8599; Cass. civ., Sez. III, 24/05/2001, n. 7084; Cass. civ., Sez. III, 15/12/2000, n. 15859; Cass. civ., Sez. III, 12/09/2000, n. 12022). Né è stato riscontrato danno alla attività riproduttiva in capo all'attrice la quale, successivamente all'evento, è invero rimasta nuovamente in stato interessante. Parimenti non può trovare accoglimento la domanda volta al riconoscimento dei danni patrimoniali in capo al sig. (...) quale riflesso della condizione vissuta dalla sig.ra (...) per aver lo stesso perso il lavoro; è assente invero prova circa la riconducibilità del licenziamento comunicato all'attore all'evento subito dalla moglie risultando, anzi, dalla medesima lettera di licenziamento che i motivi di tale provvedimento sono stati i "costanti e immotivati ritardi" nell'arco del mese di gennaio 2011 (la sig.ra (...) era stata dimessa dall'ospedale (...) in data 9.9.2010) che hanno indotto il datore di lavoro, considerato che gli stessi ammontavano a 103 minuti mensili, a ritenere in capo al proprio lavoratore una "mancanza di professionalità e carenza relativa alla mansione a Lei assegnata come da lettere di richiamo......". Né l'assenza della prova del nesso causale tra il licenziamento e gli interventi medici subiti dall'attrice poteva essere colmato dalle generiche prove orali articolate da parte attrice sul punto. In ragione della parziale soccombenza di parte attrice in ordine al quantum risarcitorio richiesto e alle altre domande avanzate, le spese di lite devono compensarsi nella misura di due terzi ponendo la residua parte di un terzo, liquidata in base al decisum, a carico della parte convenuta soccombente e da distrarsi in favore del procuratore di parte attrice, avv. Roberta Duò, dichiaratasi antistataria. Vengono poste a carico di parte convenuta le spese liquidate come da separato decreto per la CTU. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) accoglie la domanda di parte attrice nei limiti di cui in motivazione e per l'effetto condanna parte convenuta l'Azienda (...), in persona del Direttore Generale p.t. rappresentante legale anche della struttura ospedaliera l'(...) di Viterbo, al pagamento nei confronti di (...), della somma di Euro 66.499,40, oltre ad interessi compensativi nei limiti di cui in motivazione ed interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; b) rigetta quanto al resto le domande di parte attrice; c) compensa le spese di lite tra le parti in ragione di due terzi; d) condanna parte convenuta alla refusione della spese legali del presente giudizio in favore di parte attrice con riferimento alla residua frazione di un terzo, liquidando tale frazione complessivamente in Euro 3.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali forfettarie al 15%, IVA e c.p.a. come per legge, somma da distrarsi in favore del procuratore di parte attrice, avv. Ro.Du., dichiaratasi antistataria; e) pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese di C.T.U. liquidate con separato decreto. Così deciso in Viterbo il 16 giugno 2019. Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 2724 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, trattenuto in decisione all'udienza del 5 dicembre 2018 tra (...) (c.f. (...)) quale genitore esercente la responsabilità genitoriale su (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Viterbo, via Cardarelli n. 6, presso lo studio dell'avv. Massimo Boni, il quale la rappresenta e difende giusta delega allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data 30.3.2016 attrice contro (...) - (...), (c.f. e p.iva (...)) in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata presso UOC Affari Legali della (...), via E. F. n. 15, rappresentata e difesa dall'avv. Elaine Bolognini giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta convenuta nonché contro Dott. (...), (c.f. (...)), elettivamente domiciliato in Viterbo, Via Santa Maria SS. Liberatrice n. 17, presso lo studio dell'avv. Anna Maria Ranucci, la quale lo rappresenta e difende in virtù di delega a margine della comparsa di costituzione e risposta con chiamata in causa di terzo convenuto nonché contro Dott. (...), (c.f. (...)), elettivamente domiciliato in Viterbo, Via (...), presso lo studio dell'avv. Al.Fe., il quale lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta con chiamata in causa di terzo convenuto e nei confronti di (...) LIMITED, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza (...), presso lo studio dell'avv. An.Ri., la quale la rappresenta e difende giusta procura alle liti in calce alla citazione di chiamata in causa di terzo passiva terza chiamata in causa e nei confronti di (...) S.p.A., in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...) presso lo studio dell'avv. Fernando Valeri il quale la rappresenta e difende, congiuntamente e disgiuntamente agli avv.ti Gi.Ba. e Si.Fe. giusta procura alle liti a margine della comparsa di costituzione e risposta terza chiamata in causa Oggetto: responsabilità medica RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra (...), nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore (...), conveniva in giudizio il dott. (...), il dott. (...) e la (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, al fine di sentirne accertata e dichiarata la responsabilità, ciascuno per il proprio titolo, per le lesioni subite dalla minore a seguito dell'omessa diagnosi e sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e quantificati all'esito di ctu. A sostegno della domanda avanzata parte attrice deduceva: che in data 22.8.2011 la minore, a seguito di caduta dall'altalena, veniva portata dalla madre presso l'unità operativa di Pronto Soccorso presso l'Ospedale (...) di Viterbo per i necessari accertamenti e che l'esame radiologico ivi disposto aveva avuto quale referto "negativo per fratture"; che successivamente, in data 2.9.2011 presso il Presidio Ospedaliero, Ambulatorio Ortopedico - Traumatologico del medesimo ospedale, altro medico che visionava la radiografia effettuata diagnosticava invece "frattura dell'eminenza intercondiloidea ginocchio sin"; che in ragione dei forti dolori accusati dalla minore seguivano altri controlli anche presso altre strutture ospedaliere e che solo in data 13.9.2011, presso l'Ospedale pediatrico (...) di Roma veniva eseguita la gessatura del ginocchio sinistro; che a distanza da sei mesi dall'evento a seguito di ulteriore controllo specialistico, veniva riscontrato il recupero del movimento con lieve ipotono de quadricipite sinistro atteso che la bambina (all'epoca di soli 4 anni) non aveva potuto camminare autonomamente e aveva utilizzato prevalentemente un passeggino trovandosi anche nell'impossibilità di frequentare la scuola fino al 14.2.2012; che inviata richiesta risarcitoria, la (...) offriva Euro 1.239,60 per il danno sofferto; che, tuttavia, non ritenendo congrua l'offerta, questa veniva rifiutata e introdotto il presente giudizio. Costituitasi in giudizio la (...) questa contestava quanto dedotto dagli attori chiedendo il rigetto delle avverse domande; in subordine, ritenuto che alla minore non fossero residuati postumi, chiedeva di limitare la liquidazione del risarcimento esclusivamente al maggior danno in termini di invalidità temporanea quantificabili in giorni 12, tenuto conto che la A. aveva offerto la cifra di Euro 1.239, 60. Si costituiva in giudizio altresì il dott. (...) avversando le pretese attoree in quanto infondate e chiedendo in ogni caso la chiamata in causa della propria compagnia di assicurazione; (...) Limited al fine di essere manlevato e garantito da ogni eventuale obbligo risarcitorio. Si costituiva altresì il dott. (...) concludendo per il rigetto della domanda attorea e chiedendo parimenti di essere autorizzato alla chiamata in causa della propria assicurazione, (...) Compagnia di Assicurazioni S.p.A. al fine di essere manlevato e garantito da ogni eventuale obbligo risarcitorio. Differita l'udienza per consentire le chiamate in cause delle terze società di assicurazione, costituitasi in giudizio (...) Limited invocava, tra le altre contestazioni, anche l'inoperatività della polizza di cui chiedeva l'accertamento in via preliminare e, nel merito, il rigetto della domanda di garanzia così come di quella attorea. Si costituiva altresì l'(...) S.p.A. chiamata in causa dal dott. (...), eccependo parimenti l'inoperatività della polizza e chiedendo il rigetto della domanda attorea. Concessi i richiesti termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. veniva disposta consulenza medico legale sulla minore e all'esito la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e assunta in decisione, successivamente a rinvii disposti per consentire la definizione di cause di più risalente iscrizione, all'udienza del 5 dicembre 2018. 2. Occorre preliminarmente rammentare che i principi che governano l'accertamento della responsabilità nell'ambito di un rapporto professionale medico sono quelli derivanti dal rapporto contrattuale (o "da contatto") che si instaura anche di mero fatto con l'affidamento del paziente alle cure del medico ovvero della struttura sanitaria, trattandosi di responsabilità dell'ente ospedaliero nei confronti del paziente per i danni ad esso arrecati a seguito di una non diligente ed imprudente esecuzione della prestazione. In particolare, è consolidato l'orientamento giurisprudenziale che qualifica la responsabilità della struttura sanitaria come responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., sul presupposto che l'accettazione del paziente in ospedale ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale comporta la conclusione di spedalità e di assistenza sanitaria che comprende prestazioni primarie di carattere medico sanitario ma anche prestazioni accessorie. Quanto alla responsabilità dei medici, nonostante i dubbi interpretativi registratisi sia in dottrina che in giurisprudenza, costituisce anche in questo caso orientamento prevalente quello per cui la responsabilità del singolo medico abbia natura contrattuale e trovi la propria fonte nel c.d. contatto sociale qualificato. Deve peraltro osservarsi come non possa trovare applicazione, nel caso di specie, la recente riforma attuata dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie", entrata in vigore l'1 aprile 2017, verificandosi diversamente una lesione ingiustificata del legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico. Pertanto, la presente fattispecie perfezionatesi prima dell'entrata in vigore della legge c.d. Gelli, deve essere regolata dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale, con la conseguenza che trova applicazione la regola della responsabilità contrattuale del medico fondata sulla teoria del contatto sociale. In virtù della natura contrattuale della responsabilità del medico e della struttura sanitaria, costituisce quindi onere del personale sanitario provare la correttezza del proprio operato secondo gli imposti criteri di diligenza e perizia, con la conseguenza che, ove sussista incertezza sull'operato, l'inadempimento deve essere accertato in base alla regola dell'onere probatorio; ricade, invece, a carico del paziente l'onere della prova del nesso causale, con i criteri della probabilità logica, generalmente fornita per presunzioni e mediante prova di fatti secondari. Ciò posto, nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica grava sull'attore l'onere di allegare e provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno e il nesso causale, mentre ha unicamente l'onere di allegare - ma non provare - la colpa del personale sanitario, invece onerato della prova che l'eventuale danno riscontrato è dipeso da causa a sé non ascrivibile (cfr. Cass. n. 10297/04; Cass. 8826/2007; Cass. n. 13953/2007). Nella prospettiva dell'accertamento, dunque, la casualità civile è retta dalle medesime regole che presiedono alla verifica del nesso di causalità nel giudizio penale atteso che ciò che muta è lo standard probatorio necessario per l'affermazione della responsabilità; ed invero, mentre nel campo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", stante la diversità dei valori in discussione e l'equivalenza delle posizioni delle parti contendenti nel processo civile (cfr. Cass. S.U. n. 580/2008; Cass. n. 21619 del 2007). Sul fronte della colpa, la responsabilità del medico postula la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività sanitaria, tra i quali quello della diligenza, che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività, essendo tenuto il medico alla diligenza del debitore qualificato prevista dall'art. 1176, secondo comma, c.c. e, dunque, al rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica. Tali essendo le coordinate normative ed interpretative sulla base delle quali va ricercata la soluzione del caso in esame, la posizione processuale delle parti deve essere valutata secondo quanto di seguito precisato. In particolare dando atto che il presente giudizio è stato promosso ritenendo la sussistenza di danni maggiori, e dunque con l'aspettativa di un risarcimento danni di ammontare superiore rispetto alla somma offerta in via stragiudiziale con la nota prot. n. (...) del 29.10.2012, pari a Euro 1.239,60, da parte della (...) al fine di evitare il contenzioso giudiziale. Ciò posto l'elaborato depositato dal ctu nominato ha consentito di accertare che nell'infortunio occorso alla minore in data 22.8.2011, quest'ultima ha riportato una "frattura delle spine tibiali del ginocchio sinistro" e che, effettivamente, tale diagnosi non è stata correttamente fatta presso il (...) dell'Ospedale (...) di Viterbo nella stessa giornata del trauma, venendo invece successivamente rilevata e precisata solo a seguito di ulteriori esami radiografici eseguiti il 2.09.2011. E' stato inoltre accertato che successivamente la bambina è stata trattata correttamente da un punto di vista terapeutico, con la conseguenza che dal trauma e, in particolare, dall'omessa corretta diagnosi effettuata al (...) dello stesso, non sono derivate lesioni permanenti. Pertanto, pur accertato che la formulazione della diagnosi effettuata presso l'Ospedale (...) non è stata corretta - circostanza che il ctu ha ritenuto di poter spiegare tanto con l'incompletezza delle indagini strumentali, vale a dire con un disguido avvenuto tra l'esecuzione dell'esame radiografico, effettuato con due apparecchi radiologici in tempi successivi, e la trasmissione computerizzata al desk del radiologo Dott. (...) che emetteva referto sulla base della visione di un solo radiogramma e pertanto senza avere il quadro completo dell'indagine strumentale con conseguente erroneo riscontro diagnostico da parte del Dott. (...), medico di (...), che in presenza di referto radiologico di "assenza di fratture" dimetteva la piccola paziente senza procedere ad ulteriori accertamenti e terapie specifiche -, il medesimo ctu ha tuttavia evidenziato come l'errore diagnostico non ha comportato, ai fini biologici, alcun danno, ma solo un prolungamento del tempo della guarigione dovuto al fatto che la piccola paziente per 12 giorni - il tempo intercorso per la corretta diagnosi - non è stata tutelata. Ha dunque ravvisato la responsabilità in capo ai sanitari della struttura, tanto quanto al dott. (...) che al dott. (...), dovuta ad imperizia e consistente, per il primo, nel rilascio di una diagnosi errata dovuta alla valutazione parziale dei radiogrammi o alla superficiale interpretazione e, per il secondo, per non aver provveduto ad instaurare una terapia farmacologica adeguata pur in presenza di un referto radiologico negativo con esame obiettivo "edema dolente ginocchio sinistro", e, soprattutto, non rinviando la paziente a controllo ambulatoriale nei giorni successivi. Ha dunque concluso ritenendo che tale imperizia abbia determinato a carico della minore un periodo di inabilità temporanea assoluta di giorni 12 (dodici), e un periodo di inabilità temporanea parziale al 50% di giorni 20 (venti), escludendo il riscontro di esiti di natura permanente. Ebbene, le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, tra l'altro non avversata da alcuna osservazione delle parti, sono pienamente condivisibili, atteso che la relazione si presenta priva di vizi logici e di metodo, nonché completa sia negli accertamenti tecnici eseguiti e nell'esame documentale, sia nelle considerazioni finali. Le conclusioni cui è pervenuto l'ausiliare del Giudice consentono pertanto di ritenere la fondatezza della domanda potendo attribuirsi in capo ai dott.ri (...) e (...), in misura del 50% ciascuno, e alla (...), atteso che l'azienda pubblica risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall'inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l'ospedale si avvale come nel caso di specie (cfr. Cass. n. 1620/2012), la responsabilità per il maggior danno cagionato alla piccola paziente, dovendosi considerare accertato il nesso causale tra la condotta tenuta dal personale medico della (...) e il periodo di inabilità temporanea assoluta sopportato dalla bambina per non essere stata tutelata nell'arco temporale di 12 giorni così come la seguente inabilità temporanea parziale al 50% di ulteriori 20 giorni. Quanto alla quantificazione del danno non patrimoniale su base medico legale si ritiene non possano essere applicati i parametri previste nelle tabelle di cui all'art. 139 del codice delle assicurazioni previste per le lesioni micropermanenti, così come stabilito all'art. 3, comma 3 del D.L. n. 158 del 2012 e s.m.i., ritenendo invece che al caso di specie siano applicabili le tabelle del Tribunale di Milano; la norma della c.d. legge Balduzzi che ha previsto l'applicabilità dell'art. 139 codice assicurazioni è invero sopravvenuta rispetto all'evento. Secondo i noti principi il principio dell'irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso, ciò comportando invece che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi completamente dal collegamento con il fatto che li ha generati in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. (Cass. SU Sentenza n. 2926 del 12/12/1967; e, ex multis, Cass. Sez.1, Sentenza n. 16620 del 03/07/2013, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2126 del 31/01/2006). ciò posto e considerato che la norma introdotta dalla cd. Legge Balduzzi non disciplina direttamente la fattispecie generatrice del diritto azionato, limitandosi ad imporre un determinato parametro speciale di liquidazione dei danni non patrimoniali risarcibili, in un ambito che, in precedenza, risultava disciplinato solamente dalle norme, di carattere generale, degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c., deve ritenersi che, nel caso di specie, tutte le conseguenze dannose del fatto generatore del diritto al risarcimento si siano prodotte, e siano perciò terminate, prima dell'entrata in vigore della norma in questione. Si tratta, in altri termini, di un rapporto giuridico esaurito, proprio per la mancanza di danno biologico permanente, essendo la guarigione intervenuta ben prima della proposizione della presente causa. Devono, pertanto, applicarsi i parametri equitativi elaborati nell'ambito delle cd. Tabelle del Tribunale di Milano, che assicurano, salvi i settori nei quali vi è una speciale normazione, una tendenziale uniformità di valori a livello nazionale (Cfr. Cass. n. 28290 del 2011 e Cass. n. 12408 del 2011). Ebbene il valore dell'inabilità temporanea assoluta, pro die, è da ritenersi compreso tra un minimo di Euro 98,00 ed un massimo di Euro 147,00 secondo le Tabelle aggiornate al 2018 Nel caso di specie non vi è ragione per discostarsi dal parametro minimo ritenendo dunque di adottare quale valore di base quello di Euro 98,00. Pertanto, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica, il pregiudizio non patrimoniale patito dalla minore deve essere quantificato in Euro 1.176,00 quanto all'invalidità temporanea totale (Euro 98,00 x 12), e in Euro 980,00 quanto all'invalidità temporanea parziale (Euro 98,00 x 20 al 50%) per complessivi Euro 2.156,00 al fine di garantire l'integrale ristoro del pregiudizio patito. Non deve precedersi alla rivalutazione monetaria, essendo la somma complessiva dovuta per il danno non patrimoniale già rivalutata mediante l'applicazione di tabelle attualizzate. A titolo di lucro cessante, vanno invece riconosciuti gli interessi legali sulla somma liquidata, devalutata all'epoca dell'erronea diagnosi (22.8.2011) e rivalutata anno per anno secondo l'indice Istat (FOI) sino alla data di deposito della presente pronuncia. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c. In conclusione il dott. (...), il dott. (...) e la (...) devono essere condannate, in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore dell'attrice pari alla somma di Euro 2.156,00 oltre interessi compensativi nei limiti di cui in motivazione ed interessi legali dalla data di pubblicazione dalla sentenza al saldo. In relazione alla domanda di garanzia svolte dai medici convenuti nei confronti delle diverse compagnie si osserva quanto segue. Quanto alla posizione tra il dott. (...) e la (...) Limited si osserva che il medesimo medico ha dato atto dell'inoperatività della polizza laddove la stessa non venga invocata per colpa grave o con sentenza definitiva della Corte dei Conti da parte dell'Autorità Giudiziaria, tuttavia evidenziando come al momento della ricezione dell'atto di citazione il dott. (...) a fini cautelativi ha ritenuto di chiamare in causa il proprio istituto assicuratore, non potendo sapere se gli sarebbe stata o meno riconosciuta una colpa grave; dato atto di quanto riconosciuto dalla parte in ordine all'inoperatività della polizza, osservato che l'esito del giudizio non ha accertato una colpa grave in capo al medico assicurato, considerato, tuttavia, che l'accertamento dei fatti di causa e delle eventuali responsabilità si è svolta nel corso del giudizio di cui in via preventiva non poteva aversi contezza, si ritiene che la chiamata in causa operata in limine litis possa ritenersi legittima. Parimenti a dirsi quanto alla posizione del dott. (...) nei confronti dell'(...) atteso che nella polizza invocata è indicato che gli assicuratori si obbligano a tenere indenni gli assicurati esclusivamente in conseguenza di eventi addebitabili al medico per colpa grave o che laddove lo stesso sia stato dichiarato responsabile con sentenza definitiva della Corte dei Conti da parte dell'Autorità Giudiziaria, con conseguente inoperatività della polizza per il caso di specie; tuttavia anche in questa ipotesi occorre evidenziare come al momento della ricezione dell'atto di citazione il dott. (...) ha ritenuto di chiamare in causa il proprio istituto assicuratore, non potendo sapere se gli sarebbe stata o meno riconosciuta una responsabilità per colpa grave; osservato che l'esito del giudizio non ha accertato una colpa grave in capo al medico assicurato, considerato, tuttavia, che l'accertamento dei fatti di causa e delle eventuali responsabilità si è svolta nel corso del giudizio di cui in via preventiva non poteva aversi contezza, si ritiene che la richiesta di chiamata in causa sia stata avanzata legittimamente. Alla luce del complessivo esito della lite, visto l'importo liquidato a titolo risarcitorio, vista l'entità dell'offerta già pervenuta da parte della Asl e non accettata dalla parte attrice che avrebbe, laddove accolta, consentito di soddisfare in gran parte le pretese risarcitorie così come poi accertate nel corso del giudizio, considerata la responsabilità dei sanitari della struttura ospedaliera e per questi della (...), considerato altresì l'esito dei rapporti tra i professionisti e le rispettive assicurazioni, si ritiene sussistano le ragioni per disporre una compensazione delle spese del giudizio tra tutte le parti. Le spese della consulenza tecnica, dato atto che il ctu non ha avanzato richiesta di ulteriore liquidazione dei compensi oltre all'acconto disposto in sede di conferimento di incarico, rimangono a carico delle parti, attore e tre convenuti, in solido. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) accoglie la domanda di parte attrice nei limiti di cui in motivazione e per l'effetto condanna l'Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo, in persona del Direttore Generale p.t., il dott. (...) e il dott. (...), al pagamento nei confronti di (...), nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore (...), della somma di Euro 2.156,00, oltre ad interessi compensativi nei limiti di cui in motivazione ed interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; b) rigetta la domanda di garanzia avanzata dal dott. (...) nei confronti di (...) limited; c) rigetta la domanda di garanzia avanzata dal dott. (...) nei confronti di (...) Compagnia di Assicurazioni S.p.A. d) compensa le spese di lite tra le parti nei reciproci rapporti; e) pone definitivamente le spese di ctu a carico delle parti, attore e tre convenuti, in solido. Così deciso in Viterbo il 17 giugno 2019. Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 4030 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, trattenuto in decisione all'udienza del 24 ottobre 2018 tra (...), C.F. (...), nato il (...) a (...) nel (...), elettivamente domiciliato in Viterbo, viale (...), presso lo studio dell'avv. Co.Co. il quale lo rappresenta e difende giusta delega a margine dell'atto di citazione attore contro (...), C.F. (...), nato il (...) a (...), elettivamente domiciliata in Viterbo, via I. Garbini n.51, presso lo studio dell'avv. Em.Ma. il quale lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta convenuto Oggetto: deposito Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato il sig. (...) conveniva in giudizio il sig. (...) al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni per la perdita ed il mancato utilizzo dell'imbarcazione marca (...) modello (...), matricola (...), quantificati rispettivamente in Euro 9.000,00 ed Euro 5.250,00. Chiedeva altresì la condanna di controparte al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato in Euro 8.000,00. A fondamento delle proprie domande esponeva che dal 2003 era solito lasciare ogni mese di settembre la propria imbarcazione in deposito presso il rimessaggio del sig. (...) (inizialmente presso Strada (...) e, negli ultimi anni, sul terreno sito in (...), Strada dei (...)) ove quest'ultimo provvedeva a custodirla e manutenerla fino all'inizio della stagione estiva. Ebbene, in data 29.4.2013 parte attrice esponeva di essere stato informato per telefono del furto dell'imbarcazione, del motore sopra montato e degli oggetti in essa contenuti. Dopo tale evento i sig.ri (...) e (...) si presentavano presso la stazione dei Carabinieri di Marta per denunciare l'accaduto: il sig. (...) denunciava il furto del carrello sul quale era stata posizionata la barca in questione. Si costituiva in giudizio controparte che deduceva la carenza di legittimazione passiva, la sua assoluta estraneità dai fatti di causa nonché l'infondatezza in fatto ed in diritto. Il Giudice concedeva i termini di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c. e successivamente istruiva la causa mediante l'escussione dei testi ammessi. All'udienza del 24 ottobre 2018 il Giudice, nuovo assegnatario della causa all'esito del trasferimento ad altre funzioni del precedente magistrato titolare, tratteneva la causa in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. La domanda di parte attrice è fondata nei limiti di seguito indicati. Invero, all'esito della prova per testi nonché in ragione delle risultanze documentali può considerarsi accertato il rapporto intercorso tra le parti caratterizzato sia dalla natura del contratto d'opera che della natura del contratto di deposito. In particolare il teste di parte attrice, (...), compagna non convivente dell'attore, ha riferito che "alla fine di ogni estate prendevamo appuntamento e lo (...) portava l'imbarcazione al rimessaggio" e che anche nel settembre 2012 lo (...) prese in consegna l'imbarcazione in possesso dell'attore e la condusse presso il rimessaggio così come risulta confermata la circostanza che nel mese di maggio di ogni anno l'attore si recava al rimessaggio e concordava con lo (...) i lavori di manutenzione nonché la messa in acqua per l'estate (cfr. verbale udienza 11.11.2015); le stesse circostanze venivano confermate dal teste (...) che, pur dichiarando di non averne conoscenza diretta, affermava di esserne consapevole per averne parlato con il (...) condividendo con lui la passione per la barca (cfr. verbale udienza del 11.11.2015). La circostanza poi della sussistenza del rapporto diretto tra l'attore e l'odierno convenuto e della natura dello stesso, non involgente alcuna società di cui il medesimo (...) ha provato di essere il rappresentante legale e con la quale quest'ultimo ha allegato essere intercorsi il rapporto per la manutenzione della barca e, a mero titolo di cortesia, di ricovero del natante oggetto di furto, è avvalorata anche dalle copie di assegni bancari emessi da (...) in favore di (...), rispettivamente in data 26.9.2007, 24.7.2008, 29.8.2009, 26.7.2010, 20.10.2010, 12.9.2011, 13.10.2012, di importi oscillanti dai Euro 350,00 agli Euro 500,00, depositati in atti. Tale produzione documentale, infatti, oltre a confermare le allegazioni dell'attore in ordine agli effettivi rapporti intercorsi, attesa la compatibilità dei periodi di emissione, con cadenza annuale, e delle somme ivi previste, potendosi individuare un rapporto pluriennale nell'ambito del quale alla cifra per il rimessaggio venivano evidentemente applicate anche ulteriori somme per le attività di manutenzione, consente altresì di ritenere infondata l'eccezione di parte convenuta di carenza di legittimazione passiva essendo provato il rapporto diretto tra le parti e non rinvenendosi in alcun atto o documento prova del rapporto tra l'attore e la società (...) S.r.l. invocata dal convenuto. Oltre a ciò si osserva che quanto sostenuto da (...) al fine di esonerarsi dalla responsabilità legata al contratto di deposito, sia pure misto anche alla prestazione d'opera, è rimasto privo di riscontro probatorio sia quanto alle allegazioni documentali a conforto di un rapporto intercorso con altri soggetti, sia quanto ai riscontri testimoniali, non risultando citati, all'udienza all'uopo fissata, i testi di parte convenuta per l'escussione sui capitoli ammessi, con conseguente decadenza dalla prova testimoniale. Inoltre, parte convenuta non ha argomentato alcuna deduzione in ordine al deposito delle copie degli assegni bancari emessi in suo favore, nulla deducendo neanche quanto ad una possibile causa alternativa dei pagamenti ricevuti. Parimenti prive di pregio le contestazioni relative all'assenza in capo all'attore della titolarità del diritto a richiedere la restituzione del bene, ovvero la restituzione dell'equivalente pecuniario della cosa depositata per non essere il richiedente il proprietario del bene stesso, attesa la consolidata giurisprudenza in ordine al dettato dell'art. 1777 c.c. in base alla quale "Nel contratto di deposito, soggetto attivo dell'obbligazione di restituzione è il depositante, non potendo il depositario esigere la prova della proprietà della cosa depositata; egli, pertanto, è anche soggetto attivo dell'obbligazione sostitutiva di restituzione dell'equivalente pecuniario della cosa depositata, che grava sul depositario in caso di perdita a lui imputabile, non potendo il depositario esimersi dall'adempiere eccependo la mancanza del titolo di proprietà in capo al depositante" (cfr. Cass. n. 6048/2010). Considerati gli obblighi gravanti sul depositario riconducibili alla sua prestazione, consistenti nell'uso della diligenza del buon padre di famiglia e nell'accollo dell'onere della prova che l'evento dannoso eventualmente cagionato alla cosa non è a lui imputabile - obblighi che non vengono meno neanche nel caso di contratto misto e atipico di rimessaggio di un natante in cui la parte si impegna a riparare e manutenere la cosa ed a custodirla verso corrispettivo fino alla consegna (cfr. Cass. n. 22803/2009), come risulta essere nel caso di specie -, e dato atto che non risulta contestato che la barca è stata oggetto di furto all'interno del terreno sito in (...), Strada dei (...), nell'aprile del 2013, e rilevato infine che parte convenuta non ha né allegato né provato - come sarebbe stato uso onere - l'inevitabilità dell'evento, nonostante l'uso della diligenza del buon padre di famiglia, della sottrazione dell'imbarcazione da parte di terzi avendo, anzi, affermato che l'area in cui l'imbarcazione era custodita era recintata ma "assolutamente sprovvista di presidi idonei allo scopo" vigilanza e custodia, deve accogliersi la domanda di parte attrice volta ad ottenere, quale obbligazione sostitutiva di restituzione, l'equivalente pecuniario del bene, essendo imputabile a parte convenuta la perdita del predetto natante e ciò in quanto "In caso di perdita della cosa depositata in seguito a furto, il depositario non si libera della responsabilità "ex recepto" provando di avere usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 cod. civ., e cioè di avere disposto un adeguato servizio di vigilanza, ma deve provare a mente dell'art. 1218 cod. civ. che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile" (cfr. Cass. n. 5736/2009; Cass. n. 6242/1993) e nel caso di specie parte convenuta risulta carente sotto ambedue i profili. Quanto alla quantificazione del danno si ritiene di accogliere le richieste attoree con riferimento al danno patrimoniale volto a rimettere il depositante nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se la restituzione in natura fosse stata eseguita, vale a dire il valore del natante, definito in buono stato di conservazione, comprensivo di motore, così come stimabile dalla documentazione in atti, che si ritiene di porre a fondamento delle determinazioni odierne in ragione della verosimiglianza dei valori di mercato nonché considerate le contestazioni generiche avanzate sul punto da parte convenuta. Si ritiene, pertanto, di individuare tale valore nella somma complessiva di Euro 8.000,00 ritenuto congrua per tutto quanto sopra, oltre rivalutazione monetaria e interessi compensativi dalla domanda alla decisione definitiva trattandosi di debito di valore. Devono invece rigettarsi le altre domande risarcitorie avanzate da parte attrice tanto a titolo di danni patrimoniali per il mancato utilizzo, già per il solo fatto di non aver dato dell'esborso economico sostenuto in concreto, tanto a titolo di danni non patrimoniali. Con riferimento al risarcimento di quest'ultima voce di danno deve invero precisarsi come, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, consacrato nelle sentenze a Sezioni Unite dell'11.11.2008 n. 26972-26975, il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c. L'art. 2059 c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile che si ricavano dall'art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione non giustificata di interessi meritevoli di tutela. L'art. 2059 c.c. è dunque norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela. Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente a reato; altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali; al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, conseguentemente, al di fuori delle ipotesi tipizzate, deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Ebbene, nel caso di specie non vi sono elementi per poter ritenere provata né una condotta penalmente rilevante, né la lesione di valori costituzionalmente tutelati, per come sopra specificato, e pertanto la relativa domanda di risarcimento di danno non patrimoniale non merita accoglimento non essendo stata rinvenuta una lesione, giuridicamente apprezzabile, diversa dal mero disagio, oltre a dover anche evidenziare che detti danni non risultano neanche provati da parte attrice. Le spese di lite, liquidate in dispositivo in base al decisum, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) accoglie la domanda di parte attrice nei limiti di cui in parte motiva e per l'effetto condanna (...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 8.000,00 oltre rivalutazione e interessi compensativi dalla domanda alla sentenza e con interessi corrispettivi sulla somma così ottenuta decorrenti dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; b) condanna (...) alla refusione delle spese di lite in favore di parte attrice liquidate in complessivi Euro 3.014,00, di cui Euro 2.800,00 per compensi e Euro 214,00 per spese esenti, oltre spese forfetarie generali al 15%, iva e cpa come per legge. Così deciso in Viterbo il 23 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale ordinario di Viterbo Il Giudice, Dr.ssa Maria Carmela Magarò, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 1342 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2012 e rimessa in decisione all'udienza del 15.01.19, vertente TRA (...), elettivamente domiciliato in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'Avv. Se.Bu., che lo rappresenta e difende in virtù di delega in atti, unitamente e disgiuntamente agli avv. Pa.Pa. e Al.Ma. PARTE OPPONENTE E (...), elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'Avv. An.Ma., che la rappresenta e difende in virtù di delega in atti, unitamente e disgiuntamente all'avv. Ma.Me. e all'avv. Pa.Ag. PARTE OPPOSTA OGGETTO: opposizione a precetto RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Omesso lo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132 c.p.c., si ripercorrono succintamente le domande e le eccezioni proposte, prima di procedere alla stesura della motivazione. Con atto di citazione notificato il 14.04.2015 (...) citava in giudizio (...) proponendo opposizione avverso l'atto di precetto notificatogli il 31.03.2015, con il quale la stessa chiedeva il pagamento della somma di Euro 122.918,06 quale importo dovuto dal S. a titolo di mantenimento del figlio (...), così come stabilito dal decreto n. 789/2015 del Tribunale per i Minorenni di Milano, calcolato a far data dalla domanda e detratte le somme dallo stesso già corrisposte (400 euro mensili). Rilevava l'opponente che il decreto indicato, nel condannarlo al pagamento di Euro 3.000,00 mensili a titolo di mantenimento del figlio (...), non aveva stabilito una decorrenza dalla data della domanda, per cui l'importo doveva ritenersi dovuto a partire dalla relativa pronuncia. Deduceva altresì che il decreto, oggetto di impugnazione innanzi alla Corte di Appello di Milano, indicava un importo a suo carico da ritenersi incongruo alla luce della situazione economica delle parti e in particolare delle differenze retributive nel periodo intercorrente tra la domanda e la pronuncia. Tanto premesso chiedeva la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo nonché accertarsi che nulla era dovuto alla Signora S. e dichiararsi il precetto inefficace. Si costituiva in giudizio C.S. deducendo di aver nel frattempo proceduto a notificare un pignoramento presso il datore di lavoro del S. per il recupero della somma dovuta; che la Corte di Appello di Milano aveva già respinto l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo; al decreto del Tribunale dei Minorenni doveva applicarsi la disciplina generale di cui all'art. 445 c.c. quanto alla decorrenza, non essendo diversamente specificato nel provvedimento; le ragioni poste a fondamento della quantificazione dell'assegno di mantenimento in Euro 3.000,00 mensili erano, oltre alla differente capacità reddituale dei genitori, anche la necessità di un trattamento per (...) non inferiore a quello riservato agli altri figli del S., anche tenendo conto dei problemi di salute del minore. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda avanzata dall'opponente e in via subordinata la condanna dello stesso, in via riconvenzionale, a corrispondergli la somma di Euro 122.978,06 a titolo di assegno di mantenimento del figlio da giugno 2011 fino alla data di pronuncia del decreto n. 789/2015, oltre al pagamento delle spese liquidate. Con ordinanza del 22.07.2015 il Giudice istruttore rigettava la richiesta di sospensione del titolo. Instaurato il contraddittorio, venivano precisate le conclusioni, quindi la causa veniva rimessa in decisione. L'opposizione deve essere respinta. Preliminarmente si rileva che "l'opposizione a precetto, con la quale si contesta alla parte istante il diritto di procedere ad esecuzione forzata quando questa non è ancora iniziata, rientra, come tutte le cause di opposizione al processo esecutivo, tra i procedimenti ai quali non si applica, neppure con riguardo ai termini relativi ai giudizi di impugnazione, la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, ai sensi degli artt. 3 della L. 7 ottobre 1969, n. 742 e 92 dell'ordinamento giudiziario. (Cass. Civ. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22484 del 22/10/2014) Deve pertanto essere stralciato quanto depositato da parte opposta tardivamente con la memoria del 20.10.2015, non potendo essere utilizzato ai fini della decisione. In punto di diritto deve precisarsi che per costante giurisprudenza, così come previsto dall'art. 445 c.c., "in materia di assegno di mantenimento per i figli, la relativa domanda proposta da uno dei genitori nei confronti dell'altro, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da quella della sentenza." (Sez. 1, Sentenza n. 10119 del 02/05/2006). Nel caso di specie non può ritenersi valga a derogare a tale principio l'espressione di rito utilizzata dal Tribunale dei Minorenni "da corrispondersi entro il giorno 5 di ogni mese", essendo la stessa chiaramente diretta a regolare la ordinata corresponsione di quanto dovuto pro futuro, senza escludere la decorrenza del provvedimento dal momento della domanda, come previsto per legge. Quanto alle deduzioni dell'opponente relativamente alle maggiori o minori differenze reddituali nei vari periodi individuati nelle more del giudizio innanzi al Tribunale dei Minorenni, si precisa che tutto quanto attiene agli eventuali fatti estintivi del credito antecedenti la formazione del titolo giudiziale è deducibile soltanto nel relativo giudizio, ovvero nel giudizio di impugnazione e pertanto coperto dal titolo in sede di opposizione a precetto. Deve altresì chiarirsi che le contestazioni avanzate dall'opponente in relazione ai criteri di quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio utilizzati dal Tribunale dei Minorenni costituiscono censure che non possono essere sollevate nel presente giudizio, dovendo formare oggetto esclusivamente dei motivi di appello avverso il decreto, che qui viene in rilievo in quanto posto a fondamento del precetto. Nel giudizio di opposizione all'esecuzione, l'indagine del Giudice è infatti limitata all'accertamento dell'esistenza e validità del titolo esecutivo e delle eventuali cause che ne abbiano successivamente determinato l'inefficacia o l'invalidità. Orbene il decreto del Tribunale dei Minorenni n. 789/2015 è stato reclamato innanzi alla Corte d'Appello di Milano, la quale, con decreto n. 2786/2015 del 29.10.15, successivamente all'intimazione del precetto opposto, ha parzialmente riformato il provvedimento impugnato determinando in Euro 1.500 mensili l'assegno di mantenimento per il figlio a carico del S. per le mensilità da luglio 2012 a giugno 2014, confermando per il restante periodo ( giugno 2011 - giugno 2012 e da luglio 2014 in poi) l'assegno di Euro 3.000 mensili. Successivamente il S. presentava ricorso alla Corte di Cassazione lamentando l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Suprema Corte rigettava il ricorso con ordinanza 1258/2017, ritenendo che la Corte d'Appello avesse avuto "piena considerazione del reddito percepito da entrambe le parti, della variabilità di esso, dell'entità elevata delle spese necessarie alla cura e alla crescita di (...) in considerazione delle sue condizioni di salute e dell'elevato tenore di vita goduto nel corso della convivenza dei suoi genitori, che egli ha diritto a mantenere tendenzialmente costante anche dopo la loro separazione." Deve pertanto rilevarsi che quanto statuito dalla Corte d'Appello di Milano in merito alla determinazione dell'assegno di mantenimento per i periodi sopra indicati è ormai passato in giudicato e costituisce titolo per agire nei confronti del S. (Cass. Civ. Sez. III, Sent. N. 6072/2012). Peraltro, con riferimento all'eventuale riduzione dell'assegno di mantenimento la giurisprudenza ha precisato che il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, in regime di separazione, comporta che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi d'irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione (Cass. Sez. 1, sent. n. 28987 del 10/12/2008; Sez. 6 - 1,ord. n.13609 del 04/07/2016; Sez. 6 - 1,ord. n. 25166 del 24/10/2017). Ne discende che troveranno applicazione le statuizioni contenute nel decreto della Corte d'appello, che prevedono la riduzione dell'assegno di mantenimento anche per alcuni periodi pregressi. Nel procedimento di opposizione a pignoramento presso terzi rg.e. n. 475/15 la creditrice, tenendo conto di tale statuizione, precisava il credito nella minor somma di Euro 85.700 per il periodo giugno 2011-febbraio 2015. A tale somma dovranno essere aggiunte le spese liquidate nel giudizio di primo grado pari ad Euro 3000, nonché le spese relative all'atto di precetto di complessivi Euro 895,92, per un totale complessivo di Euro 89.595,92. Pertanto il decreto precetto dovrà essere dichiarato efficace per tale minore importo, oltre agli interessi successivi a scalare, dalle singole scadenze al saldo. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza, con la precisazione che le medesime vengono liquidate secondo i parametri individuati con D.M. n. 55 del 2014, tenendo conto del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e della complessità delle questioni trattate, con esclusione dei compensi per la fase istruttoria che non ha avuto luogo. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Rigetta l'opposizione e conferma l'efficacia del precetto opposto limitatamente alla somma di Euro 89.595,92 oltre agli interessi successivi a scalare, dalle singole scadenze al saldo; - Condanna parte opponente a rifondere alla parte opposta le spese del presente giudizio, che liquida nella somma di Euro 8.000,00, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Viterbo il 23 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott.ssa Fiorella Scarpato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 10012/2011 del R.G.A.C., avente ad oggetto FORNITURA, pendente TRA (...) S.R.L., IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T., (p. iva (...)), elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Si.Se., dal quale è rappresentata e difesa come da mandato a margine dell'atto di citazione OPPONENTE E (...) A.S., IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T., elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Ri.Po., dalla quale è rappresentata e difesa, unitamente all'avv. Pi.Ro. del foro di Bolzano, come da mandato a margine del ricorso ex art. 633 c.p.c. OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto n. 234/2010 il Tribunale di Viterbo - sezione distaccata di Civita Castellana in data 15.10.2010 ingiungeva alla (...) s.r.l. di pagare in favore della (...) a.s. la somma di Euro 28.816,71, oltre interessi moratori e spese a titoli di corrispettivo per la fornitura di carta alimentare. Avverso tale titolo proponeva opposizione la (...) s.r.l. allegando: la nullità della procura ad litem in ragione dell'illeggibilità della sottoscrizione del soggetto che l'aveva conferita in rappresentanza della società; la carenza di legittimazione attiva della (...) a.s. avendo essa opponente intrattenuto rapporti con altra società straniera e precisamente la (...) a.s.; la presenza di vizi nella merce fornita che essa opponente avrebbe dovuto utilizzare per realizzare in collaborazione con il gruppo (...) involucri per il confezionamento dell'intera produzione di pane, pizza, dolci e prodotti da forno surgelati a marchio "(...)" e "(...)" rappresentandone la fornitrice esclusiva; il fallimento del progetto a causa dei vizi della carta fornita dalla società opposta che si e rivelata inadeguata e non conforme all'uso per il quale era stata acquistata rilasciando a seguito della cottura con gli alimenti in essa contenuti evidentissime macchie di colore scuro con conseguenti potenziali interazioni organolettiche con i cibi; l'interruzione del progetto con il gruppo (...) a causa di tali vizi con conseguente enorme danno. Chiedeva pertanto, previo accertamento dell'inadempimento della (...) a.s., la nullità del decreto ingiuntivo, nonché la condanna della controparte al risarcimento del danno rappresentato dalla perdita dell'affare commerciale di notevoli proporzioni con il Gruppo (...), e quindi quale perdita di chance. Nella resistenza della (...) la causa istruita a mezzo interrogatorio formale e prova per testi, anche in forma delegata sia al Tribunale di Lodi che presso la Repubblica Ceca, veniva quindi riservata in decisione all'udienza dell'11 luglio 2018 con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. In via preliminare va rigettata l'eccezione di nullità della procura per illeggibilità della firma del relativo sottoscrittore. Sebbene come correttamente rilevato dalla società opponente la firma apposta a margine del ricorso non sia leggibile tuttavia dal documento n. 7 allegato dalla (...) s.a. e cioè dall'estratto del registro commerciale esistente presso il tribunale di Hradrec Kraoleve emerge inequivocabilmente il nome del presidente del consiglio di amministrazione e peraltro è specificamente previsto che lo stesso è autorizzato a rappresentare la società in modo autonomo potendovi in alternativa i due membri del consiglio soltanto insieme, e nella concreta fattispecie la firma apposta è unica. Sotto tale profilo invero la giurisprudenza ha ormai da tempo chiarito con orientamento granitico che la mera illeggibilità della firma non è sufficiente per determinare la nullità della procura laddove sia possibile verificare attraverso il controllo nel registro delle imprese l'idoneità del titolare della carica sociale e i suoi poteri (Cass. n. 16581/2005) e comunque nel caso in cui il titolare sia identificabile tramite i documenti di causa (Cass. n. 7179/2015), come avvenuto nella concreta fattispecie in cui è stato depositato l'estratto del registro delle imprese ceche. Ma altrettanto infondata è l'eccezione di carenza di legittimazione attiva della (...) s.a. pur sempre sollevata dalla (...) s.r.l. Quest'ultima lamenta di aver avuto rapporti commerciali con altra società straniera e precisamente con la (...) a.s., risultando questa unica intestataria delle fatture poi azionate con il ricorso per decreto ingiuntivo e che l'opposta pur affermando l'intervenuta scissione non avrebbe tuttavia fornito prova di tale vicenda societaria. Sempre dall'estratto del registro commerciale presente presso il tribunale di Hradrec Kraoleve e depositato al documento n. 7 dalla (...) s.a. emerge in maniera inequivocabile che la società (...) si è scissa dando vita a tre diverse società di cui una è costituita proprio dalla odierna opposta. E di tale vicenda successoria si dà atto altresì nell'estratto del registro commerciale inerente alla (...), che risulta iscritta soltanto a decorrere dall'1 maggio 2008, ove si attesta che la stessa è nata a seguito della scissione della società (...). Ancora nella dichiarazione collettiva della (...) e (...) si dà atto che il credito vantato dalla prima nei confronti della odierna opponente viene ad essere ceduto alla società (...) a.s. Peraltro che della vicenda successoria la (...) fosse informata già prima dell'introduzione del presente giudizio emerge chiaramente dalla lettera del 24.2.2009 e dalla integrale corrispondenza che vi è stata tra le due parti in causa e che dimostra come l'opponente fosse consapevole dell'avvenuta successione. Né la (...) nelle memorie ex art. 183, coma VI, c.p.c. ha contestato in maniera specifica l'avvenuta scissione e/o la sua opponibilità ad essa opponente limitandosi a ribadire il difetto di legittimazione attiva della (...) s.a. in base alle stesse ragioni addotte nell'atto di citazione. Per altro verso a fronte della avvenuta cessione quanto meno del credito e pertanto della successione nel lato attivo del rapporto con conseguente definitiva individuazione del creditore l'eccezione risulta essere meramente dilatoria. Nel merito l'opposizione è infondata. Sicuramente priva di rilievo alcuno è l'eccezione di insufficienza della fattura, quale documento fiscale di formazione unilaterale, a costituire prova del credito. Premesso che la stessa è invero elemento sufficiente all'emissione del decreto ingiuntivo nella concreta fattispecie la (...), pur rivestendo la qualità di convenuto sostanziale non ha mai negato specificamente di aver stipulato un contratto di compravendita con la controparte ovvero di aver ricevuto la merce, bensì ha lamentato la non conformità della stessa con ciò implicitamente riconoscendo di averla ricevuta sulla base peraltro di ordini dalla stessa inviati con la conseguenza che l'eccezione sul punto è priva di pregio. Ciò posto la vicenda merita una breve ricostruzione. Tra le parti in causa intercorrevano ben tre forniture. Precisamente con un primo ordine di prova la (...) richiedeva carta per alimenti avente determinate caratteristiche e precisamente che il prodotto fosse resistente alle alte temperature per l'importo di Euro 1.386,39 come da fattura del 26 luglio 2005. A seguito della verifica positiva del materiale per l'utilizzo che si sarebbe dovuto fare con il Gruppo (...) nell'aprile del 2006 la Polciarta effettuava due distinti ordinativi per un totale di Euro 18.951,36 a fronte dei quali venivano emesse due fatture, rispettivamente il 7.4.2006 e il 15.6.2006 che venivano anche esse regolarmente pagate. Infine nel mese di ottobre del 2006 veniva consegnato in tre momenti temporali diversi la medesima tipologia di materiale come da fattura n. (...) del 6 ottobre 2006 di Euro 15.704,64 (integralmente pagata), fattura n. (...) del 14 settembre 2006 per Euro 12.292,14 e fattura n. (...) del 14 novembre 2006 per Euro 16.524,57 entrambe oggetto del presente giudizio. Secondo la prospettazione della (...) la stessa nel corso dell'anno 2004 veniva contatta dal Gruppo (...) di Terni al fine di verificare congiuntamente la possibilità di immettere sul mercato un nuovo tipo di prodotto e precisamente un incarto idoneo al confezionamento, surgelamento, trasporto e stoccaggio di alimenti in tutte le condizioni di uso, ivi compresa l'utilizzabilità in forno e per la cottura dei cibi. In base agli accordi intercorsi qualora le prove della confezione avessero dato esito positivo il gruppo (...) avrebbe riconosciuto alla (...) s.r.l. l'esclusiva nella produzione dei predetti incarti divenendo così fornitrice unica del gruppo (...) di involucri per il confezionamento dell'intera produzione di pane, pizza, dolci e prodotti da forno surgelati a marchio (...) e (..). Proprio in ragione di tale collaborazione commerciale la società opponente aveva richiesto una prima fornitura a titolo di campione alla (...) snc in qualità di rappresentante per l'Italia della odierna opposta, quella del giugno 2005 cui seguivano i due ordinativi di giungo 2006 e di ottobre/novembre 2006. Sempre secondo quanto affermato dalla (...) tuttavia la carta fornita sarebbe stata viziata in quanto non conforme all'uso cui era destinata, in quanto mentre quella ricevuta quale campione non si era modificata durante le prove di congelamento e successiva cottura al forno, invece, successivamente era emerso che la stessa sottoposta a trattamento di cottura unitamente agli alimenti in essa contenuti presentava evidentissime macchi di colore scuro con conseguenti potenziali interazioni organolettiche con i cibi e/o eventuali cessioni di sostanze tossiche rendendo così impossibile la commercializzazione degli alimenti. Ebbene premesso che effettivamente dalle dichiarazioni rese dal sig. (...), dipendente del gruppo (...), nel periodo oggetto di causa, è emerso che vi erano dei problemi e precisamente che "la prima fornitura di prova aveva ad oggetto carta anonima e come ho già detto andava bene, la seconda fornitura, quella effettiva per poter mettere il prodotto in commercio, aveva la carta stampata e come ho appena detto ha subito cominciato a crearci dei problemi", tuttavia, si ritiene che la (...) sia decaduta dalla garanzia per vizi in ragione della tardività della denuncia tempestivamente dedotta dalla società opposta. L'art. 1495 c.c. prevede infatti rigidi termini di decadenza e prescrizione per l'esercizio delle cd. azioni edilizie stabilendo la decadenza del compratore nell'ipotesi di omessa denunzia entro il termine perentorio di otto giorni dalla scoperta. Sotto tale profilo non bisogna tuttavia confondere due aspetti: quello della prova dell'esistenza di una denuncia, a prescindere dalla sua forma, e quello ben diverso della sua tempestività. La comunicazione di cui all'art. 1495 c.c. non richiede speciali formalità potendo essere effettuata con qualsiasi mezzo idoneo di trasmissione, quale può essere anche il telefono (Cfr. Cass. n. 5142/2003) né, per essere rituale, secondo la giurisprudenza, richiede indicazioni puntuali circa la natura e la causa dei vizi, essendo sufficiente una generica iniziale individuazione che valga a mettere sull'avviso il venditore (Cfr. Cass. n. 9184/2004). Tuttavia pur non dovendo essere analitica deve comunque presentare il requisito della univocità e, quindi, riferirsi, sia pure sinteticamente e genericamente, ad un vizio, non essendo pertanto sufficiente la manifestazione di dubbi e perplessità sulla idoneità della merce. Peraltro a fronte dell'eccezione di tardività di tale comunicazione sollevata dal venditore sarà onere probatorio dell'acquirente provare di aver denunciato tempestivamente i vizi della cosa venduta, e cioè entro il brevissimo termine di otto giorni dalla loro scoperta (Cfr. Cass. n. 1031/2000). Nella fattispecie oggetto del presente giudizio il sig. S. (sentito presso il Tribunale di Lodi) quale rappresentante Italiano della società opposta ha affermato che all'epoca aveva ricevuto delle foto dei sacchetti che presentavano delle macchie e che le aveva prontamente girate alla (...) s.a., senza tuttavia nulla riferire in ordine alla tempistica; né di diverso tenore sono state le dichiarazioni rese da (...) socia del primo teste della società che fungeva da rappresentante italiana della (...) la quale ha soltanto collocato temporalmente la denuncia a fine 2007 e in seguito alla grossa fornitura dello stesso anno. In mancanza allora di una collocazione temporale precisa e considerata la brevità del termine di soli otto giorni previsto dall'ar.t 1495 c.c. la denuncia di cui sopra non può che considerarsi inesorabilmente tardiva. Ma in realtà la denuncia sarebbe ugualmente tardiva anche laddove si volesse per ipotesi ritenere che la stessa sia pervenuta alla venditrice dopo otto giorni dalla scoperta avvenuta a novembre del 2007. Ed invero premesso che come dichiarato sai dai riferimenti italiani della (...) s.a. che dagli stessi sig. (...) e (...), sentiti a mezzo rogatoria comunitaria, oggetto delle tre forniture è sempre stata la medesima tipologia di carta con le stesse caratteristiche e qualità e, tuttavia, come evidenziato dalla (...), nella mail del 21 maggio 2007 (doc. 22 parte opponente) indirizzata alla (...) l'incaricato del gruppo (...) testualmente affermava che "come puoi notare il problema delle macchie scure sull'incarto persiste". Se allora già a maggio del 2007 la (...) aveva contezza del vizio resta davvero priva di plausibile ragione la scelta della opponente di acquistare ancora a novembre dello stesso anno e senza essere sicura di aver risolto le problematiche già ampiamente manifestatesi, una fornitura della stessa tipologia di carta per il notevole importo di oltre Euro 30.000, salvo poi a denunziare soltanto in relazione a quest'ultima vizi già esistenti e per di più già riscontrati a seguito della seconda fornitura. In realtà tale mail può far presumibilmente ritenere che il vizio dalla stessa evidenziato fosse imputato dalle stesse parti coinvolte nell'affare, e cioè la (...) e il Gruppo (...), non già alle caratteristiche intrinseche della carta bensì verosimilmente ad un successivo processo di lavorazione della stessa riferibile alla (...) con la conseguenza che anche laddove la denuncia si volesse considerare tempestiva in realtà può escludersi la sua riferibilità alla (...) s.a. Né per altro verso nella concreta fattispecie si può ritenere sussistente un riconoscimento del vizio da parte del venditore che ai sensi dell'art. 1495, comma II, c.c. sanerebbe la denuncia tardivamente effettuata. Il riconoscimento di cui alla norma consiste in una dichiarazione di scienza relativa alla sussistenza di un fatto produttivo di conseguenze giuridiche negative per il dichiarante (Cfr. Cass. n. 4893/2003). La giurisprudenza a tal proposito ha chiarito che non vi è un riconoscimento rilevante ex art. 1495 c.c. quando il venditore pur ammettendo l'esistenza del vizio, la imputi a comportamento del compratore o di terzi, ovvero a caso fortuito, successivi alla vendita o alla consegna (Cfr. Cass. n. 8226/1990). Il riconoscimento che è tale anche quando il venditore ammetta che la cosa presenta caratteristiche che non solo la rendano ma che la possano rendere inidonea all'uso cui è destinata non richiede forme determinate ma tuttavia deve essere univoca e convincente. Nel caso di specie dalle dichiarazioni rese dal sig. M., diretto di produzione della (...) s.a., presso il Tribunale distrettuale di Trtnov (quale autorità richiesta della prova) tra la seconda e la terza fornitura è decorso circa un anno senza che la (...) avesse mai denunciato alcunché. Per altro verso non può qualificarsi quale riconoscimento giuridicamente rilevante la circostanza che la società opposta a seguito del reclamo, come dichiarato dal teste (...), forniva un campione di carta con maggiore resistenza ai grassi, senza più ricevere alcuna risposta. Ed invero la fornitura non già della medesima tipologia di carta (presuntivamente priva di difetti) bensì di altra tipologia a fronte peraltro della circostanza chiarita dal teste che pima del reclamo essa opposta non conosceva l'uso della carta, avendo soltanto ricevuto un ordine ben preciso ed a priori individuato, non può rappresentare un riconoscimento del vizio in quanto la società venditrice non ha provveduto a sostituire il sostanzioso ordine, composto di diverse tonnellate di carta, bensì ha fornito alla opponente un campione di una carta diversa ritendo che questa altra carta, prodotta con modalità diverse e avente quindi caratteristiche diverse, fosse più idonea allo scopo di cui aveva contezza solo in sede di reclamo. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 come in dispositivo senza tener conto soltanto delle somme impiegate dalla società opposta per la traduzione giurata del verbale di testimonianza resa in Repubblica Ceca trattandosi di attività svolta d'ufficio dalla cancelleria e pertanto inutile ai fine del giudizio così come le spese sostenute dai testi residenti in Repubblica Ceca in quanto soltanto a seguito di sollecitazione da parte di questa autorità giudiziaria la (...) richiedeva l'audizione presso il loro stato di residenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: A) rigetta l'opposizione proposta dalla (...) s.r.l. e pertanto dichiara la definitiva esecutività del decreto ingiuntivo n. 234/2010 emesso dal Tribunale di Viterbo- sezione distaccata di Civita Castellana il 15.10.2010; B) condanna l'opponente alla refusione delle spese di lite che liquida nella misura complessiva di Euro 6.300 per compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Viterbo il 20 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 859 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2011, trattenuto in decisione all'udienza del 27 giugno 2018 tra (...), (c.f (...)) quale erede di (...) deceduto, elettivamente domiciliata in Canepina via (...), presso lo studio dell'avv. (...) il quale la rappresenta e difende giusta procura in atti attore contro (...) elettivamente domiciliato in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Ce.Ga. quale lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla citazione passiva convenuto nonché nei confronti di (...) e (...) elettivamente domiciliati in Viterbo, Viale (...), presso lo studio dell'avv. Al.Ze. la quale li rappresenta e difende giusta delega allegata alla comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20.3.2018 Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) premetteva: di essere intestatario a tempo indeterminato di alcuni terreni siti in (...), tenuta comunale San Savino, soggetti ad uso civico del Comune di Marta, dell'estensione di circa 68 ettari e con ivi insistenti fabbricati rurali; di essersi obbligato a venderli, una volta affrancati, al sig. (...) mediante scrittura del 19.9.2005 nella quale il prezzo veniva concordato in Euro 1.291.000,00 e veniva altresì stabilito che la stipula del contratto definitivo sarebbe stata rinviata al completamento della pratica di legittimazione o affrancazione dei terreni gravati dall'uso civico; che essendo stato il promissario acquirente immesso immediatamente nel possesso dei terreni de quibus era stato contestualmente redatto tra le parti un contratto di affitto di azienda per la durata di 4 anni e con canone di Euro 45.000,00; che, successivamente, in data 31.8.2006, le parti avevano convenuto che qualora non fosse stato possibile stipulare il definitivo per la vendita di terreni e fosse stato necessario altro contratto di affitto, il canone per il nuovo affitto sarebbe stato assorbito nella somma di Euro 75.000,00 versata nell'occasione dal (...); che con successiva scrittura privata del 24.7.2007, sostitutiva in toto delle precedenti, l'attore aveva ceduto i predetti terreni al convenuto per il prezzo di Euro 1.291.000,00 dandosi atto tra le parti, all'interno della richiamata scrittura, che il prezzo fino a quel momento versato dal (...) era pari a Euro 263.000,00 e stabilendo che all'affrancazione avrebbe provveduto il medesimo acquirente (...); che successivamente il convenuto provvedeva a versare altre somme per il complessivo importo di Euro 624.421,00 senza tuttavia provvedere all'affrancazione. Tutto ciò premesso parte attrice chiedeva, in via principale, che venisse dichiarata la nullità del contratto in quanto avente ad oggetto beni gravati da uso civico nonché in quanto carenti dell'allegata certificazione di destinazione urbanistica chiedendo altresì che venisse dichiarato non ripetibile quanto già corrisposto dal (...) in acconto sul prezzo in ragione dell'uso dei beni medio tempore avuto; in via subordinata chiedeva che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento di parte convenuta, non avendo questo provveduto tempestivamente alle pratiche di affrancazione dei fondi né versato le somme previste nel contratto, e chiedeva, infine, il risarcimento dei danni arrecati ai fondi e agli immobili in conseguenza del mutamento dello stato dei luoghi. Si costituiva in giudizio (...) chiedendo il rigetto della domanda attorea evidenziando come la mancata affrancazione era stata determinata dalla mancata consegna dei documenti necessari da parte del (...); contestava altresì il diritto alla restituzione dei terreni invocata dall'attore così come la sussistenza dei danni in capo all'azienda agricola, ai capannoni e alle piante situate sui terreni e chiedeva la restituzione delle somme versate. Su richiesta delle parti la causa veniva trattenuta in decisione limitatamente alla questione relativa alla validità del contratto e alle sue conseguenze. Veniva dunque emessa, dal precedente Giudice assegnatario della causa, sentenza non definitiva di dichiarazione di nullità del contratto di vendita del 24.7.2007 intervenuto tra (...) e (...) - atteso che i beni immobili gravati da usi civici non possono essere oggetto di cessione prima della loro affrancazione secondo il disposto degli artt. 11, 12 e 21 della L. n. 1766 del 1927 - con condanna del convenuto alla riconsegna dei terreni oggetto del contratto in favore dell'attore e condanna altresì dell'attore alla restituzione al convenuto della somma di Euro 624.421,00 oltre interessi dalla domanda al saldo; la causa veniva dunque rimessa sul ruolo istruttorio al fine di consentire la valutazione delle somme da versare da parte del convenuto in favore dell'attore a titolo di indennità per l'occupazione dei fondi nonché per l'eventuale risarcimento dei danni in conseguenza dell'utilizzazione dei beni oggetto del contratto di compravendita dichiarato nullo. Veniva dunque disposta consulenza tecnica d'ufficio con le finalità sopra indicate. Medio tempore avverso la sentenza veniva proposto gravame; la Corte d'appello di Roma, sospesa l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, all'esito del giudizio, rigettata l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata per la prima volta in quella sede, nonché quella di difetto di legittimazione attiva del (...) a richiedere la restituzione dei terreni oggetto del contratto dichiarato nullo, sul rilevo sia della sussistenza dell'interesse ex art. 1421 c.c. nonché di quello ad assicurare il ripristino della situazione di fatto anteriore, ciò non pregiudicando le pretese delle parti nei confronti dell'ente titolare del demanio civico, confermava la sentenza di primo grado ad eccezione dell'importo dovuto dal (...) in favore del (...) individuato nella minor somma di Euro 578.061,00 decurtando invero dall'originario importo cui era stato condannato alla restituzione in primo grado, la somma di Euro 46.360,00 concordata tra le parti per la cessione delle attrezzature agricole non oggetto della dichiarazione di nullità. veniva altresì aperto subprocedimento per la trattazione del sequestro conservativo richiesto dal convenuto in corso di causa. Rigettata la richiesta di sospensione del giudizio avanzata in ragione della pendenza dell'impugnazione della sentenza non definitiva innanzi alla Corte di Cassazione, non essendo stati ravvistati i presupposti di cui all'art. 295 c.p.c., la causa venia rinviata per il prosieguo della trattazione dall'odierno giudice, nuovo assegnatario della causa in virtù del provvedimento presidenziale di ridistribuzione delle cause del ruolo di altro magistrato destinato ad altre funzioni. Veniva dunque dato atto della prosecuzione del giudizio ex art. 302 c.p.c., all'esito del decesso del (...) avvenuto in data 20.1.2017, da parte della sig.ra (...), vedova del de cuius; rilevata l'esistenza di altri chiamati all'eredità dell'attore, figli nati dal primo matrimonio, veniva disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi. Costituitisi in giudizio gli stessi rappresentavano di non aver mai accettato l'eredità del proprio padre e di avervi, successivamente alla citazione pervenuta, formalmente rinunciato e chiedevano di essere estromessi dal giudizio. La causa, dando atto che le altre parti nulla opponevano all'estromissione richiesta, essendo esaurita l'istruttoria, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 27 giugno 2018 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. Ciò posto occorre preliminarmente darsi atto che il Tribunale in composizione monocratica con sentenza non definitiva ha dichiarato di nullità del contratto di vendita del 24.7.2007 intervenuto tra (...) e (...) condannando il convenuto alla riconsegna dei terreni oggetto del contratto in favore dell'attore e condannando altresì l'attore alla restituzione al convenuto della somma di Euro 624.421,00 oltre interessi dalla domanda al saldo; detta sentenza, oggetto di gravame, è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Roma, ferma nel resto, condannando (...) alla restituzione in favore di (...) della minor somma di Euro 578.061,00 oltre interessi dalla domanda al saldo; il ricorso in cassazione proposto dal (...) avverso la sentenza di appello è stato rigettato. Giova osservare, al riguardo, che la sentenza non definitiva è idonea ad espletare effetti vincolanti nei confronti del giudice che l'ha emessa, al quale è fatto divieto di discostarsi dall'accertamento in essa contenuto all'atto della pronuncia in sede di sentenza definitiva sui temi decisori dipendenti dall'accertamento medesimo. Le questioni decise con sentenza non definitiva, anche solo implicitamente, siccome costituenti il presupposto logico necessario di quelle espressamente affrontate, non possono essere pertanto decise diversamente all'atto della pronuncia della sentenza definitiva; in caso contrario la sentenza sarebbe infatti affetta dal vizio di violazione del giudicato interno. Ciò posto, occorre in primo luogo dichiarare la carenza di legittimazione di (...) e di (...), dando atto che l'integrazione del contraddittorio disposto nei loro confronti è stato in ogni caso effettuato correttamente. Invero, come noto, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa legitimatio ad causam si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 cod. civ.) non al semplice chiamato all'eredità, bensì (in via esclusiva) all'erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per l'acquisto di tale qualità, nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius, occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione (cfr. Cass. n. 13751/2006). Tuttavia è stato parimenti precisato che la parte che procede alla riassunzione ha l'onere di individuare i chiamati all'eredità rispetto ai quali sussistono, in tesi se non dispone di precisi riscontri documentali, le condizioni legittimanti l'accettazione dell'eredità. I chiamati all'eredità, per il solo fatto di aver ricevuto ed accettato la predetta notifica, non assumono la qualità di erede, ma hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di "legitimatio ad causam", così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la predetta riassunzione. In particolare è stato evidenziato che la legittimazione può essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta - o conoscibile con l'ordinaria diligenza - alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc). La funzione dell'istituto è, infatti, quella di proseguire il giudizio, mettendo i controinteressati in condizione di venire a conoscenza della lite e di svolgervi le proprie difese, ivi inclusa quella avente ad oggetto l'eventuale sopravvenuta carenza della loro legittimazione o del loro interesse a contraddire. Allorché, pertanto, il venir meno del titolo non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell'atto, la riassunzione è da ritenere regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta allo stato degli atti (cfr. cass. n. 21227/2014). In tal caso, viene a gravare sui convenuti in riassunzione l'onere di dimostrare il contrario e, se del caso, di chiarire la loro posizione in tempo utile. Ciò vale in particolar modo nei casi come quello in esame, in cui la causa debba essere riassunta nei confronti degli eredi della parte defunta, ed il venir meno della qualità di erede dipenda da una libera scelta dell'interessato, qual è la rinuncia all'eredità, non ancora esternata alla data della notificazione dell'atto di riassunzione (cfr. Cass. n. 21287/2011). Ebbene nell'ipotesi di specie, all'esito della disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soggetti eredi del de cuius ad onere della parte più diligente da parte del giudice, la sig.ra (...), quale erede del defunto (...), ha provveduto a notificare in data 21.11.2017 ai figli del primo matrimonio di quest'ultimo, atto di citazione; dall'esame della documentazione in atti si evince che (...) e (...) hanno rinunciato all'eredità in data 29.1.2018 e, pertanto, in data successiva alla notificazione dell'atto. Conseguentemente regolare e valida è l'integrazione del contraddittorio nei loro confronti; tuttavia gli stessi hanno prontamente eccepito che il titolo a succedere era venuto a mancare per l'intervenuta rinuncia con effetti retroattivi visto l'art. 521 c.p.c. Deve dunque dichiararsi che il titolo a succedere degli stessi è venuto meno con conseguente difetto di legittimatio ad causam in capo a (...) e (...). Destituite di fondamento, al contrario, le doglianze in ordine alla carenza di legittimazione in capo a (...), erede legittima del de cuius, tra l'altro unica erede a seguito dell'intervenuta rinuncia da parte dei figli del primo matrimonio del (...), e ciò visto il disposto di cui all'art. 110 c.p.c. La stessa, conseguentemente, è ben legittimata a subentrare nella posizione processuale del defunto e dunque a veder realizzati gli esisti del giudizio, parzialmente definito con la sentenza non definitiva emessa nel 2012, così come quelli dell'odierna statuizione. Né le sue personali qualità, coltivatrice, imprenditrice agricola o meno, in possesso o meno dei beni, così come il momento dell'unione matrimoniale con il de cuius, successiva al contratto dichiarato nullo, possono incidere sulla sua legittimazione in quanto derivante validamente dal subentro, nella qualità, nella posizione processuale del de cuius, atteso che la disposta restituzione dei terreni ad uso civico "mira esclusivamente ad assicurare il ripristino della situazione di fatto anteriore" (cfr. Cass. S.U. n. 10732/2003; Cass. n. 1940/2004; Cass. n. 8489/2005) e cioè a garantire il ripristino della situazione di fatto precedente al rapporto privatistico avente ad oggetto il trasferimento, dichiarato nullo, del predetto bene, ovvero a determinare la situazione in conformità alle conseguenze della statuizione emanata. Né tale ripristino può pregiudicare le pretese delle parti o nei confronti delle parti da parte dell'ente titolare del demanio civico che, non essendo parte necessaria del presente giudizio, potrà provvedere a regolare le vicende del terreno in questione rispetto alla propria specifica posizione come e se lo riterrà opportuno, evenienze che alcun riflesso, se non indiretto e comunque non oggetto di valutazione in questa sede, possono avere sulla posizione delle parti nell'odierno giudizio. Ciò posto, quanto all'ammontare delle somme da versare da parte del convenuto (...) a titolo di occupazione dei fondi, tra l'atro pacificamente ancora in atto, e alla domanda di risarcimento dei danni dovuto all'utilizzazione dei beni oggetto del contratto dichiarato nullo, si ritiene di condividere le conclusioni rassegnate dal ctu nella relazione depositata in data 11 dicembre 2013 in risposta al quesito di cui all'ordinanza del 24.9.2012, così come modificato con ordinanza 2.5.2013, in quanto appaiono tratte a seguito dei più opportuni accertamenti e di una accurata disamina e si presentano condotte con corretti criteri e con iter logico coerente. Il consulente invero, con l'ausilio anche di dottore agronomo e forestale della provincia di Viterbo, ha provveduto, una volta identificati immobili e terreni rilevandone le caratteristiche morfologiche e pedo-agronomiche, a determinarne il valore locatizio da utilizzare quale indennità dell'occupazione senza titolo perpetrata dal convenuto e stimandola, tanto per i terreni che per i fabbricati, in complessivi Euro 34.129,62 annui (di cui Euro 29.329,62 per i terreni e fabbricati asserviti al fondo, e Euro 4.800,00 per il fabbricato adibito ad uso abitativo). Tale somma, confermata all'esito delle osservazioni delle parti con controdeduzioni analitiche specifiche e condivisibili, deve dunque considerarsi il quantum annuo cui fare riferimento per il risarcimento del pregiudizio subito dalla perdita di disponibilità del bene in quanto individuato rapportandolo al c.d. canone (o reddito) locatizio teorico ritraibile per beni della stessa tipologia e consistenza. Nella fattispecie, è anche pacifico che parte convenuta è entrata nel possesso dei beni in data 19.9.2005 e che all'attualità i beni non sono stati ancora restituiti e che, pertanto, la predetta annualità di indennità di occupazione deve essere corrisposta dal settembre 2005 all'attualità. L'importo annuale così individuato può ben essere preso a parametro del dovuto annualmente; in tal senso invero non colgono nel segno le doglianze di parte convenuta in ordine alla liquidazione da parte del ctu con valutazione rispetto ai prezzi correnti alla data di deposito dell'elaborato peritale e ciò sia tenendo conto che parte convenuta nulla ha dedotto a sostegno della tesi di un significativo discostamento nel tempo del valore individuato dal ctu e sia considerando che l'occupazione si è protratta anche anni successivamente al deposito della perizia e che, pertanto, l'eventuale e presumibile minor somma dovuta per gli anni passati si compenserebbe comunque con quella presumibilmente maggiore per i periodi successivi al dicembre 2013. All'importo annuale così determinato in conto capitale deve essere, inoltre, aggiunto, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, un ulteriore importo, per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. Quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre applicare il criterio elaborato nella sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite 17.2.1995 n. 1712 da applicarsi anno per anno sul canone annuale di Euro 34.129,62. In applicazione di tale criterio, al fine del calcolo degli interessi la somma capitale annuale, come sopra determinata, deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza alla data dell'occupazione abusiva anno per anno, e sulla somma così ottenuta, ciascuna progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ISTAT fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Vale a dire: importo canone devalutato al settembre 2005 Euro 28.656,27, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2005) all'attualità Euro 40.560,04 di cui dovuti 4 mesi e pari a Euro 10.140,01; importo canone devalutato al gennaio 2006 Euro 28.777,08, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2006) all'attualità Euro 39.329,14; importo canone devalutato al gennaio 2007 Euro 29.220,57, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2007) all'attualità Euro 38.177,96; importo canone devalutato al gennaio 2008 Euro 30.043,68, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2008) all'attualità Euro 37.558,44; importo canone devalutato al gennaio 2009 Euro 30.500,11, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2009) all'attualità Euro 36.870,06; importo canone devalutato al gennaio 2010 Euro 30.914,51, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2010) all'attualità Euro 36.353,65; importo canone devalutato al gennaio 2011 Euro 30.572,27, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2011) all'attualità Euro 34.491,06; importo canone devalutato al gennaio 2012 Euro 32.597,54, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2012) all'attualità Euro 34.988,45; importo canone del 2013 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2013) all'attualità Euro 35.565,47; importo canone del 2014 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 35.259,02; importo canone del 2015 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 35.088,37; importo canone del 2016 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 34.882,58; importo canone del 2017 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 34.574,33; importo canone del 2018 Euro 34.129,62. All'esito di detto computo la somma complessivamente dovuta a titolo di indennizzo per l'occupazione è pari a Euro 477.408,16. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c. Non può invece trovare accoglimento l'ulteriore domanda risarcitoria avanzata da parte attrice considerato che dagli accertamenti del ctu non sono risultati sussistere danni ai beni, fabbricati e terreni, né in tal senso è stata ritenuta, all'esito dei sopralluoghi, la realizzazione della nuova via di accesso. Parimenti destituite di fondamento le contestazioni di parte convenuta in ordine non solo al parametro di riferimento dell'indennità annuale, sulla quale già il precedente giudice ha provveduto ritenendo non necessario chiamare a chiarimenti il ctu per aver lo stesso già risposto alle osservazioni dedotte dai rispettivi consulenti di parte, ma anche la richiesta di computare nei rispettivi rapporti dare avere le somme percepite dal (...) a titolo di Pac per l'importo di Euro 53.507,59 oltre interessi. Invero l'elemento è stato tardivamente introdotto nell'ambito del giudizio, solo all'udienza del 26.3.2014, pur trattandosi di somme riferite ad anni anche precedenti all'introduzione dell'odierno giudizio. Quanto alla richiesta compensazione tra le somme dovute reciprocamente dalle parti la stessa viene rimessa a queste ultime trovando l'una somma titolo nella sentenza non definitiva emessa da questo tribunale nel 2012, così come parzialmente riformata dalla corte d'appello di Roma con sentenza confermata in sede di ricorso per Cassazione. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza e devono compensarsi, visto l'esito complessivo della lite, nella misura dei 1/5 e porsi i residui 4/5 a carico di parte convenuta, con distrazione degli stessi in favore dei procuratori di parte attrice dichiaratisi antistatari e per le rispettive fasi del giudizio svolte atteso l'avvicendamento nella difesa della parte attrice all'esito del decesso di (...) e della costituzione in giudizio della di lui erede con altro difensore. Le spese di lite dei sig.ri (...) e di (...) devono invece compensarsi tra le parti attesa la dichiarazione di carenza di legittimazione ad causam in ragione dell'intervenuta rinuncia all'eredità del de cuius (...) successivamente all'evocazione in giudizio. Le spese di ctu, attesa l'utilità degli accertamenti per entrambe le parti; (...)-(...) e (...) devono invece porsi a carico delle parti in solido tra loro, con riparto interno dei rapporti al 50%. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando e dato atto della sentenza non definitiva n. 695/2012 già pronunciata, parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza 1796/2014 con rigetto del gravame proposto innanzi alla Corte di Cassazione, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - dichiara il difetto di legittimazione di (...) e di (...); - rigetta l'eccezione di difetto di legittimazione di (...); - condanna parte convenuta (...) al pagamento a titolo di indennità di occupazione in favore della parte attrice della somma di Euro 477.408,16, oltre interessi dalla sentenza al saldo; - rigetta ogni altra domanda; - compensa le spese di liti di (...) e di (...); - compensa le spese dell'intero giudizio tra parte attrice, (...), erede di (...), e (...), nella misura di 1/5; - pone la residua parte dei 4/5 a carico di parte convenuta (...) liquidando tale ultima frazione nella complessiva somma di Euro 42.000,00, di cui Euro 985 a titolo di spese esenti e Euro 41.015,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15%, iva e cpa come per legge, di cui Euro 34.015,00 oltre accessori, da distrarsi in favore del procuratore costituito S.B. e Euro 7.000,00 oltre accessori, da distrarsi in favore del procuratore costituito (...); - pone le spese di ctu, già liquidate con separato decreto a carico delle parti in solido con riparto nei rapporti interni al 50%. Così deciso in Viterbo il 12 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott.ssa Fiorella Scarpato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 10186/2012 del R.G.A.C., avente ad oggetto USUCAPIONE, pendente TRA (...), nata ad V. il (...), elettivamente domiciliata in Vasanello, via (...), presso lo studio dell'avv. Ro.Pu., dal quale è rappresentata e difesa come da procura speciale a margine dell'atto di citazione ATTORE E (...), residente in V. via (...) (CF. (...)) CONVENUTO CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF. (...)) CONVENUTA CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF: (...)) CONVENUTA CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF: (...)) CONVENUTO CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF: (...)) CONVENUTO CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF: (...)) CONVENUTI CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF:(...)) CONVENUTA CONTUMACE (...), residente in V. (...) (CF:(...))) CONVENUTA CONTUMACE (...), residente in R. via (...) (CF: (...)) CONVENUTA CONTUMACE (...), residente in V. via (...) (CF: (...))) CONVENUTA CONTUMACE (...), residente in R. via (...) (CF: (...)) CONVENUTA CONTUMACE MOTIVI DELLA DECISIONE La sig.ra (...) adiva il Tribunale di Viterbo chiedendo che fosse accertato il suo acquisto per usucapione del terreno agricolo sito in V. loc. C. e identificato in catasto al foglio n. (...), particella n. (...), classe seminativo (...) di are 25,70, reddito dominicale Euro 10,62, reddito agrario Euro 6,64. Alla prima udienza fissata il giudice, verificata la regolarità delle notifiche, dichiarava la contumacia dei convenuti. Espletata la prova testimoniale e acquisita la documentazione inerente all'immobile, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni, nella cui occasione l'attore concludeva restringendo la sua domanda all'usucapione del solo diritto di enfiteusi. All'udienza del 24 ottobre 2018, il giudice tratteneva la causa in decisione senza la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. cui l'attore rinunciava. Nel merito la domanda è fondata. Dai documenti depositati dall'attore emerge che il terreno oggetto di causa è intestato a (...) concedente per 1/5, (...) concedente per 1/5, (...) concedente per 2/5, (...) concedente per 1/5, nonché come enfiteuti ai sig.ri (...), (...), (...), (...), (...) e (...). Dall'atto notorio sottoscritto dalla sig.ra (...) emerge che (...) è deceduto lasciando quali eredi (...), (...) e (...) (tutti regolarmente citati), mentre da quello sottoscritto dal sig. (...) che (...) è deceduto lasciando quali eredi (...) e (...) (entrambi citati), e che (...) è deceduto lasciando quale erede (...); risulta infine che la sig.ra (...) è deceduta lasciando quale erede (...), con la conseguenza che risultano ritualmente citati tutti coloro che appaiono essere titolari di un diritto sia pure pro quota sull'immobile oggetto di causa. L'usucapione, disciplinata dall'art. 1158 c.c., è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale, a titolo originario, che si perfeziona attraverso il possesso del bene per il tempo indicato dalla legge. Fondamento dell'usucapione è dunque il possesso, cioè una situazione di fatto che si sostanzia nell'esercizio ininterrotto delle facoltà proprie del diritto reale da parte di un soggetto che concretamente si sostituisce al titolare effettivo del diritto. L'acquisto del diritto reale, di cui il possessore esercita le relative facoltà, non deve necessariamente essere accompagnato dall'animus usucapendi, cioè dall'intenzione di pervenire all'acquisto del diritto, essendo sufficiente l'animus rem sibi habendi, cioè dalla volontà di possedere la cosa per sé e non per altri. Contestualmente al possesso è poi necessario che vi sia il mancato esercizio del diritto da parte del suo titolare. Nel caso di specie dalle dichiarazioni dei testi, (...) e (...) è emerso che l'attrice è nel pieno, continuato, pacifico ed esclusivo possesso di tale terreno, da oltre 20 anni. Dalla documentazione prodotta emerge inoltre che i convenuti contumaci (...) e (...) hanno riconosciuto la sua piena ed esclusiva disponibilità ultraventennale del terreno. Tuttavia quanto detto non può che consentire l'usucapione del solo diritto di enfiteusi - come richiesto dall'attrice con le conclusioni- potendo la (...) usucapire lo stesso ma non certo l'intera proprietà. Ed invero nel caso di diritto in re aliena ai sensi dell'art. 1164 c.c. ai fini dell'usucapione è necessario il mutamento del titolo del possesso per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta contro il diritto del proprietario. L'opposizione si concretizza in una dichiarazione, anche non formale, rivolta al controinteressato e rimuove l'ostacolo all'acquisto del possesso costituito dalla detenzione, mentre la causa proveniente dal terzo è costituita da un titolo di qualunque genere (anche un contratto invalido) purché idoneo a fondare il possesso. Inoltre l'interversio possessionis non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, dovendo invece estrinsecarsi in una manifestazione esteriore dalla quale sia consentito desumere che il detentore ha cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno ed ha iniziato ad esercitarlo nomine proprio. La manifestazione esteriore deve essere tale da palesare inequivocabilmente l'intenzione di sostituire al precedente animus detinendi il nuovo animus sibiabendi ed essere specificamente rivolta contro il possessore, in guisa che questi sia posto in condizione di rendersi conto dell'avvenuto mutamento; pertanto la stessa deve tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere della concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte del possessore stesso. Tra tali atti, ove non accompagnati da altra manifestazione dotata degli indicati connotati della opposizione, non possono ricomprendersi né quelli che si traducono in una inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in tal caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale, né quelli che si traducono in meri atti di esercizio del possesso, verificandosi così una mera ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass. n. 5854/2006). Ne consegue che l'omesso pagamento del canone per qualsiasi tempo protratto non giova a mutare il titolo del possesso neppure nel singolare caso in cui sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva (cfr. Cass. n. 4231/1976, Cass. n. 323/1973). Alla luce di ciò il "possesso" della (...) non può che essersi estrinsecato attraverso le sole facoltà e poteri propri dell'enfiteuta non risultando un atto di interversione del possesso con la conseguenza che è solo di tale diritto che può essere accertato il relativo acquisto per usucapione. In ragione della contumacia dei convenuti e della loro sostanziale non opposizione è giusto compensare le spese tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale: A) accoglie la domanda e pertanto dichiara l'usucapione per l'intero del diritto di enfiteusi in favore di (...), (nata ad (...) il (...)) sul terreno agricolo sito in V. loc. C. e identificato in catasto al foglio n. (...), particella n. (...), classe seminativo (...); B) ordina al Conservatore dei RR. II. competente di procedere alla trascrizione delle presente sentenza con esonero da ogni responsabilità; C) compensa le spese di lite. Così deciso in Viterbo il 6 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VITERBO PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Federico Bonato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3572/2015 promossa da: (...) S.R.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ER.LE. e dell'avv. BA.RI. ((...)) VIA (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) ROMA presso il difensore avv. ER.LE. ATTORE/I contro COMUNE DI GRAFFIGNANO IN (...) SINDACO P.T. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BO.MA. e dell'avv. , elettivamente domiciliato in VIA (...) 01100 VITERBO presso il difensore avv. BO.MA. COMUNE DI GRAFFIGNANO (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BO.MA. e dell'avv. , elettivamente domiciliato in VIA (...) VITERBO presso il difensore avv. BO.MA. CONVENUTO/I SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 17.11.15 la srl (...) conveniva innanzi a questo Tribunale il Comune di Graffignano per ottenere l'accertamento del grave inadempimento del convenuto, la dichiarazione di risoluzione del contratto di appalto del 9.12.2010 e quindi la condanna al risarcimento dei danni quantificati in Euro 882.150,86. Parte attrice esponeva che il Comune di Graffignano con Delib. n. 87 del 9 settembre 2010 aveva approvato il progetto esecutivo per la realizzazione di una palestra, con importo a base di gara pari ad Euro 689.078,55; che si era aggiudicata la gara; che l'appalto era stato affidato con Det. n. 556 del 2010 per l'importo di Euro 643.488,58; che il contratto di appalto era stato sottoscritto il 29.12.2010; che l'art. 3 del contratto aveva fissato la data di inizio lavori entro e non oltre 10 giorni dalla sottoscrizione; che i lavori erano stati consegnati l'11.2.2011; che le opere non erano iniziate per esclusiva colpa e responsabilità del Comune convenuto quale stazione appaltante; che le opere non erano iniziate mancando l'autorizzazione sismica a costruire e per l'errata individuazione dell'area occupata dalla piscina; che il Comune non aveva consentito di iniziare i lavori anche se non aveva formalizzato il recesso o la risoluzione contrattuale; che inizialmente era stata individuata un'area insufficiente ad accogliere la piscina; che l'Amministrazione convenuta aveva dovuto quindi acquisire un altro sito idoneo ed adeguare la progettazione alla variazione; che solo il 7.4.2012 il convenuto aveva comunicato il nuovo posizionamento della costruzione; che i lavori erano stati consegnati un anno prima e le opere non erano iniziate; che l'1.6.2012 era stato redatto il verbale di consegna dei punti fissi di allineamento e quota; che il Comune aveva sospeso l'esecuzione delle opere due volte, il 5.5.2011 ed il 13.6.2012 senza darne comunicazione all'appaltatore; che lo stesso convenuto non aveva fatto eseguire gli approfondimenti geognostici; che il 25.3.2013 aveva diffidato l'Ente locale mettendolo in mora e formulando riserve ai sensi dell'art. 31 D.M. n. 145 del 2000 per Euro 544.957,80; che in particolare aveva chiesto di risolvere i problemi ostativi alla esecuzione dei lavori, regolarizzare l'appalto adeguando i termini e contabilizzare la riserva; che il convenuto non aveva collaborato contestando solo il 15.6.2013 la mancanza della progettazione strutturale; che il 21.6.2013 aveva trasmesso detto progetto elaborato dopo la trasmissione da parte del Comune del verbale del nuovo allineamento e delle quote di progetto; che per detto incombente aveva dovuto far effettuare a proprie spese le indagini geologiche mai fornite dalla Stazione Appaltante; che il Comune con nota del 24.6.2013 aveva formalizzato la necessità di una perizia di variante derivante dal nuovo allineamento manifestando il perdurare dell'interesse a realizzare l'opera; che dunque a tale data il convenuto non aveva ancora predisposto la necessaria documentazione tecnica derivante della variazione; che il Comune il 13.6.12 aveva sospeso le opere dopo aver comunicato il 7.4.12 di voler rapidamente riprendere l'attività edilizia comunque entro il mese di aprile 2012; che tale sospensione era asseritamente finalizzata al completamento delle pratiche di autorizzazione sismica Regione Lazio; che l'autorizzazione era stata già trasmessa con nota 1.8.2011 dopo l'aggiudicazione dell'appalto con la variante d'opera già autorizzata dalla stazione appaltante; che invece il 15.6.2013 il Comune aveva chiesto la documentazione tecnica relativa alla rielaborazione del progetto strutturale; che dunque lo stesso convenuto aveva inizialmente chiesto alla Regione Lazio l'autorizzazione sismica sulla base della progettazione errata trasmettendo i relativi elaborati tecnici il 18.7.2011; che a tale data, oltre un anno dall'aggiudicazione dell'appalto, era stata già proposta la variazione tecnica progettuale proposta dall'appaltatore; che dunque il Comune non aveva tenuto conto di tale variazione; che la prima autorizzazione sismica era stata richiesta sulla base di progetti non idonei; che inoltre l'opera era stata diversamente posizionata; che il Comune il 24.6.13 aveva riconosciuto di non avere acquisito la perizia di variante derivante dal nuovo posizionamento pur essendo trascorsi tre anni dall'aggiudicazione; che l'autorizzazione sismica idonea era stata rilasciata l'1.4.2014 avendo il Comune presentato la relativa richiesta il 4.10.2013; che al termine del l'iter progettuale il Comune non aveva acconsentito all'esecuzione dei lavori; che il 6.11.13 era stata tenuta la Conferenza di Servizi per acquisire i pareri sulla modifica progettuale; che da tale data i lavori erano eseguibili; che l'1.4.2014 la Regione aveva diffidato il Comune; che la stazione appaltante era risultata inadempiente omettendo di collaborare per l'esecuzione del contratto di appalto, avendo individuato erroneamente il sito per la piscina ed avendo addossato all'appaltatore oneri progettuali; che il contratto sottoscritto non aveva previsto la progettazione tra gli oneri della ditta appaltatrice; che il Comune aveva tenuto un comportamento contraddittorio, ostacolando l'esecuzione delle opere; che i lavori non erano ripresi nonostante la riunione del 6.11.13 della Conferenza dei Servizi coinvolti per gli atti di assenso; che la lunga inattività del cantiere si era protratta oltre i limiti contrattuali per l'inerzia dell'Ente Locale; che oltre alla risoluzione del contratto aveva interesse ad ottenere il risarcimento dei danni subiti; che la sospensione si era protratta illegittimamente facendo aumentare il rischio d'impresa; che l'amministrazione appaltante era risultata inadempiente a causa delle carenze progettuali e della indisponibilità delle aree giustificando la risoluzione del contratto; che il Comune non aveva mai contestato ritardi o altri inadempimenti; che il convenuto aveva illegittimamente chiesto alcuni elaborati progettuali; che per tale motivo aveva fatto affidamento in merito alle esecuzione del contratto; che aveva investito nella progettazione per la realizzazione delle opere; che inoltre si era impegnato con i fornitori dei materiali del cantiere; che aveva diritto al risarcimento del lucro cessante e del danno emergente; che con la diffida del 25.03.2013 aveva formulato riserva nei confronti del Comune di Graffignano per Euro 882.150,86; che aveva subito un danno emergente costituito dal pagamento dei lavori eseguiti e dalle spese sostenute per dar esecuzione al contratto oltre al lucro cessante; che il risarcimento doveva comprendere le spese generali di cui all'art.34 del D.P.R. n. 554 del 1999, tra il 13% ed il 15% dell'importo contrattuale oltre al 10% per l'utile d'impresa a titolo di lucro cessante; che inoltre aveva sostenuto i costi per la protrazione del vincolo per le attrezzature ed il personale destinate alla realizzazione delle opere; che inoltre aveva dovuto sostenere le spese per il prolungamento della garanzie finanziarie; che il cantiere si era protratto per 1.721 giorni, dalla consegna dei lavori dell'11.2.2011 alla domanda del 20.10.2015 cagionando un danno di Euro 842.980,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi e che aveva anticipato spese per Euro 39.170,86. Si costituiva il Comune di Graffignano esponendo che il 9.92010 la Giunta Comunale di Graffignano con delibera n. 87 aveva approvato il progetto esecutivo per la realizzazione della palestra in Sipicciano per l'importo di Euro 1.034.856,93; che la Regione Lazio il 5.5.2011, con nota n. 144117 aveva espresso parere favorevole sul progetto esecutivo dei lavori; che con Provv. n. 444 del 10 settembre 2010 era stata indetta la relativa gara; che con verbale del 3.12.2010 la srl (...) era stata dichiarata provvisoriamente affidataria per l'importo di Euro 643.488,58; che il 9.12.2010 la realizzazione dei lavori era stata definitivamente affidata alla stessa società; che il contratto era stato sottoscritto il 29.12. 2010 per l'importo netto di Euro 643.488,50, Iva esclusa; che la offerta della srl (...) aveva previsto modifiche essenziali al progetto come originariamente approvato, architettoniche e strutturali; che la srl (...) aveva proposto di realizzare l'opera utilizzando componenti in cemento armato precompresso prefabbricato al posto della prevista realizzazione di una struttura in conglomerato cementizio gettato in opera; che erano risultate variate anche le fondazioni; che per la realizzazione di tali modifiche l'impresa attrice si era assunta l'onere della nuova progettazione esecutiva da coordinare con il progetto originario, senza oneri aggiuntivi per l'amministrazione locale; che il progetto originario era stato modificato dalla varianti proposte; che per tale motivo la Regione Lazio aveva richiesto un nuovo parere al Genio Civile di Viterbo come previsto dall'art. 4 L.R. 31 gennaio 2002, n. 5; che parte attrice aveva chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento della stazione appaltante senza aver mai eseguito neanche in parte l' opera appaltata; che in risposta alla diffida della srl (...) aveva chiesto con nota del 15.6.2013 la rielaborazione della progettazione strutturale come da sempre previsto e non ancora eseguito; che i ritardi erano stati causati dalla società attrice; che anche in relazione al diverso posizionamento del fabbricato la srl (...) non aveva proceduto alla verifica congiunta all'Amministrazione Comunale del permanere delle condizioni che consentono l'immediata esecuzione dei lavori come previsto dall'art. 106, comma terzo, del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207; che la mancata verifica era imputabile anche all'appaltatore; che il Comune di Graffignano non era responsabile di alcun tipo di inadempimento; che la srl (...) non aveva realizzato nessun adempimento contrattuale; che il danno era stato quantificato utilizzando impropriamente la previsione dell'art. 34 D.P.R. n. 554 del 1999 essendo prevista l'utilizzazione prioritaria come criterio di quantificazione del computo metrico estimativo effettuato sui lavori effettivamente eseguiti; che il criterio di cui all'art. 34 era sussidiariamente previsto per le sole voci mancanti; che non erano state realizzate lavorazioni effettive e che non erano sussistenti i pregiudizi derivanti dalle asserite spese per personale, materiali e garanzie finanziarie. Istruita la causa come in atti, la stessa passava in decisione all'udienza dell'1.6.17 sulle conclusioni rassegnate dalle parti come da verbale. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda in esame è stata proposta dalla srl (...) ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto di appalto del 9.12.2010 per il grave inadempimento del Comune di Graffignano e quindi la condanna del convenuto al risarcimento dei danni quantificati in Euro 882.150,86. La domanda di parte attrice è accolta in quanto parzialmente fondata, come di seguito illustrato, essendo sul punto condivisibili le motivazioni e le argomentazioni logiche e giuridiche di parte attrice, da intendere integralmente richiamate e trascritte, fondate su argomenti e norme correttamente individuate ed applicate (vedi Cassazione 642/15 e 22562/16). Utilizzabili per la decisione le conclusioni cui perviene la ctu, da intendere richiamate e trascritte, in quanto coerentemente motivate e fondate su criteri tecnici correttamente applicati. In particolare deve dichiararsi la risoluzione del contratto di appalto del 9.12.2010, registrato l'11.01.2011, rep. (...), essendo stato accertato il grave inadempimento posto in essere dalla committente, valutato con riferimento all'interesse che la parte adempiente avrebbe avuto all'esecuzione del contratto (Cass. 4022/18). Il Comune non ha infatti mai risolto il contratto sino alla delibera del luglio 2016, omissione indice della insussistenza di alcuna grave violazione in capo alla appaltatrice idonea a compromettere la regolarità dei lavori né alcun ingiustificato ritardo nell'esecuzione degli interventi e/o dei lavori accertati, in quanto altrimenti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 8 del medesimo contratto di appalto, il Direttore Lavori avrebbe dovuto contestare alla ditta gli inadempimenti e valersi della clausola risolutiva contrattualmente prevista. Infatti, in tema di appalti, la stazione appaltante può procedere alla risoluzione in danno del contratto di appalto ex art.1453 e 1455 cc tutte le volte che, rispettivamente, l'appaltatore incorra in gravi irregolarità e ritardo nell'esecuzione dei lavori, ovvero si renda colpevole di grave negligenza e contravvenga agli obblighi ed alle condizioni contrattuali sottoscritte cosicché la prosecuzione dei lavori non sia tale da assicurare il loro completamento nei termini prefissati. Per quanto riguarda il progetto, ed il problema dell'area, si applica alla fattispecie l'art. 47 D.P.R. n. 554 del 21 dicembre 1999, secondo cui spetta al responsabile del procedimento, prima dell'approvazione definitiva del progetto ed in contraddittorio con i progettisti, procedere alla verifica della conformità del progetto esecutivo alla normativa vigente ed al documento preliminare alla progettazione e nell'ipotesi di appalto integrato alla verifica del progetto definitivo. A mente del medesimo articolo la validazione deve riguardare tra l'altro la completezza della documentazione relativa agli intervenuti accertamenti di fattibilità tecnica, amministrativa ed economica dell'intervento; l'esistenza delle indagini, geologiche, geotecniche e, ove necessario, archeologiche nell'area di intervento e la congruenza dei risultati di tali indagini con le scelte progettuali; la completezza, adeguatezza e chiarezza degli elaborati progettuali, grafici, descrittivi e tecnico-economici, previsti dal regolamento, l'acquisizione di tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge, necessario ad assicurare l'immediata cantierabilità del progetto. L'art. 71 dello stesso decreto 554,prevede inoltre che l'avvio delle procedura di scelta del contraente presuppone l'acquisizione da parte del responsabile del procedimento dell'attestazione del direttore dei lavori in merito a) alla accessibilità delle aree ...; b) alla assenza di impedimenti sopravvenuti; c) alla conseguente realizzabilità del progetto anche in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo ed a quanto altro occorre per l'esecuzione dei lavori. Nel caso di specie, è stato invece verificato dal CTU che il progetto esecutivo allegato alla D.G.C. n.87/2010 non tiene conto delle prescrizioni date dalla Regione Lazio, Area difesa del suolo, con nota prot. (...) del 30.8.2010 dove si riscontra che il posizionamento dell'edificio da adibire a palestra ricade in parte nell'area definita "fascia di non idoneità alla edificazione", mentre sarebbe stato precipuo onere della stazione appaltante tenere conto del parere espresso dalla Regione Lazio che, come detto, aveva espresso un parere favorevole condizionato alla redazione di una nuova perizia geologica integrativa e alla traslazione della costruzione vista la presenza di una fascia di non idoneità alla edificazione. Il Direttore Lavori, inoltre, in forza del su richiamato art.71 del D.P.R. n. 54 del 1999 avrebbe dovuto evidenziare sia l'esistenza di un parere favorevole condizionato espresso dalla Regione Lazio, così come lo stesso non risulta che abbia mai redatto né rilasciato la dichiarazione, né sia stata mai altrimenti acquisita dal Responsabile del procedimento, la attestazione di cui al suddetto art. 71, comma 1. In ciò si concretizza un grave inadempimento posto in essere dal Comune di Graffignano che viene meno ad proprio ed esclusivo onere non contestabile all'appaltatore, perché specificatamente previsto in capo alla stazione appaltante, ed alle varie figure professionali alla stessa riferibili alle quali compete di predisporre correttamente l'area di costruzione e comunque adeguarsi alle prescrizioni imposte dalla Regione Lazio prima ancora dell'approvazione del progetto esecutivo. In questo senso appare irrilevante quanto dedotto dalla difesa dell'ente, secondo cui la modifica del progetto esecutivo originario imposto dalle varianti proposte dalla (...), in fase di gara, avrebbero necessitato il rilascio di un nuovo parere da parte della Regione Lazio, e ciò perché il Comune, qualora avesse temuto di non poter ottemperare in ragione di ciò ai propri obblighi, non avrebbe dovuto aggiudicare la gara alla (...) o sottoscrivere il contratto di appalto con la stessa o ancora redigere certificato di inizio lavori del 18.4.11 (vedi giornale dei lavori). La nuova area necessitava di apposita indagine geognostica, come richiesto dalla Regione Lazio al Comune, senza la quale non poteva essere redatto il progetto esecutivo dei lavori da parte dell'appaltatore, non conoscendosi le caratteristiche del nuovo terreno. Dalla documentazione in atti è stato possibile verificare che, in data 22 settembre 2010, il Comune di Graffignano ha richiesto alla Regione Lazio, Area Genio Civile di Viterbo, l'autorizzazione sismica, rilasciata in ritardo in data 01 agosto 2011 e relativa al progetto posto a base di gara con scadenza il 25 novembre 2010, perché l'amministrazione comunale ha ottemperato alla richiesta di integrazione della documentazione formulata dal genio civile soltanto in data 18 luglio 2011. La relazione geologica integrativa, presente in atti, è stata, atipicamente, commissionata e pagata dalla ditta (...) essendo, invece, precipuo onere della Stazione Appaltante l'acquisizione della stessa da parte della Regione Lazio. E', quindi, certo che il Comune di Graffignano abbia violato la normativa prevista dal D.P.R. n. 554 del 1999 secondo cui lo stesso avrebbe dovuto avere la disponibilità dell'area, l'autorizzazione sismica, il parere favorevole sul progetto esecutivo rilasciato dalla Regione Lazio, oneri che spettano in via esclusiva alla stazione appaltante e che rappresentano difformità procedurali che hanno determinato l'impossibilità per l'aggiudicataria di realizzare l'opera oggetto di gara. L'inadempimento è stato pertanto posto in essere dal Comune e la circostanza viene vieppiù confermata dal documento prodotto in causa, delibera di Giunta n.37 del 07.07.2016, anche dalla parte convenuta, dove è il comune stesso a dichiarare di voler risolvere il contratto inter partes in quanto la gara era stata indetta senza gli estremi della validazione del progetto esecutivo,senza i pareri sul progetto, senza la compatibilità urbanistica, senza la disponibilità dell'area. In considerazione di quanto sopra, in ragione del costante orientamento giurisprudenziale (Cass. 491/1971; Cass. 5112/1998; Cass. 12235/2003; Cass. 9795/2005) secondo cui tra le obbligazioni che scaturiscono, come effetti naturali, dal contratto di appalto vi è quella del committente di assicurare all'appaltatore, fin dall'inizio del rapporto, e per tutta la durata di questo, la possibilità giuridica e concreta di eseguire il lavoro affidatogli. Sicché l'inadempienza a tale obbligo, cui non può non corrispondere il diritto dell'appaltatore alla relativa osservanza, è ben suscettibile di assumere valenza ai sensi dell'art. 1453 c.c.. ed è ciò che appunto si è verificato nella presente fattispecie, laddove è evidente come il contratto non ha potuto avere esecuzione proprio perché l'amministrazione committente è risultata inadempiente alla propria obbligazione di assicurare all'appaltatore la possibilità giuridica e concreta di realizzare il lavoro affidatogli. Accertato, quindi il grave inadempimento della Stazione Appaltante che giustifica la domanda di risoluzione contrattuale, in considerazione dell'interesse di rilevante entità che è stato leso, e la condanna a risarcire alla parte attrice i danni costituiti dalle spese affrontate dall'imprenditore e dal mancato guadagno che sarebbe derivato dall'esecuzione dell'opera. In merito a ciò, basti rilevare che anche secondo un recente arresto giurisprudenziale, che peraltro segue un orientamento consolidato, una volta risolto il contratto, non vengono più in rilievo le inadempienze delle parti rispetto agli obblighi nascenti dal contratto ormai non più esistente, ma il danno emergente ed il lucro cessante dovuti all'inadempimento della stazione appaltante devono essere dedotti e dimostrati secondo le regole ordinarie, senza che sia possibile trasformare automaticamente in poste risarcitorie le inadempienze dedotte con le riserve (Cass. 22277/2016 e Cass. 2806/2018). A tale principio si è correttamente adeguato il CTU che ha quantificato il danno subito dalla società appaltatrice applicando criteri determinati ex lege che lo stesso ha avuto cura di indicare. Il mancato guadagno consistente nell'impossibilità per la ditta di conseguire l'utile di impresa è stato quantificato in Euro 58.498,96 corrispondente al 10% dell'importo netto dei lavori, a cui devono aggiungersi le spese sostenute per approntare e mantenere il cantiere, impegnando personale e mezzi. Così come va riconosciuto l'importo di Euro 168.905,06, per le spese generali. Le stesse sono indicate in ctu nella somma di Euro 152,85 giornaliere per il periodo del contratto (470 giorni) ed in Euro 76,43 giornaliere per il periodo successivo a quello contrattuale (1740-470). Le stesse meritano di essere riconosciute perché in parte documentate giuste fatture richiamate a pag. 27 della perizia in atti ed in parte perché, seppur non riscontrate con documentazione puntuale, comunque correttamente stimate ai sensi dell'art. 34 del D.P.R. n. 554 del 1999. Non può invece essere riconosciuto l'importo che il CTU quantifica quale spesa per attrezzature e personale, trattandosi, come lo stesso dà atto, di una voce soltanto potenziale, non essendo emersa prova puntuale di quale sia stata la presenza in cantiere dei mezzi e della manodopera collegata. Altrettanto deve dirsi in merito alle spese per le garanzie fideiussiorie, dato stimato soltanto in via astratta, in assenza di prova. Poiché il Comune convenuto ha comunicato il 7.4.12 la nuova ubicazione del sito (doc. 6 parte attrice), le opere potevano essere iniziate da tale data, quindi un anno dopo la stipula del contratto e la consegna dell'area (aprile 2011). L'appaltatore non avendo potuto iniziare i lavori ha subito un danno quantificato per il tempo contrattuale (Euro 152,85 per 470 giorni) in Euro 71.839,50 e per il periodo successivo a quello contrattuale (Euro76,43 per 1270 giorni) in Euro 97.066,10, per complessivi Euro 168.905,06 a cui deve aggiungersi il lucro cessante per un totale di Euro 227.404,56, oltre rivalutazione ed interessi. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: 1) accoglie la domanda di parte attrice e dichiara risolto il contratto di appalto del 09 dicembre 2010, registrato l'11.01.2011, per inadempimento della stazione appaltante, condanna la parte convenuta Comune di Graffignano al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 227.404,56, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; 2) Condanna il Comune di Graffignano al pagamento delle spese legali del presente procedimento ce si liquidano in Euro 13.000,00, oltre accessori di legge; e pone a suo definitivo carico le spese della CTU. Così deciso in Viterbo il 4 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VITERBO PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Federico Bonato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3197/2016 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MI.GI. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) 01100 VITERBO ITALIA presso il difensore avv. MI.GI. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. e dell'avv. DINARELLI GIUSEPPE ((...)) VIA (...) 01100 VITERBO, elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con precetto notificato il 28/09/2016, il signor (...) ha intimato alla signora (...) il pagamento della complessiva somma di Euro 16.458,20, così determinato, con sentenza (notificata unitamente all'atto di precetto opposto) N. 5198/2014, pubblicata il 20/08/2014, dalla Corte di Appello di Roma, Quarta Sezione Civile, all'esito del procedimento N. 5105/2009 R.G., proposto dalla signora (...) avverso la sentenza N. 496/2009, emessa dal Tribunale di Viterbo. A fronte della diffida di pagamento proveniente dal procuratore del signor C., Avv. Massimo Bo., il quale con missiva del 29/10/2014, rivolta al difensore della odierna opponente, chiedeva la corresponsione diretta a se medesimo delle spese liquidate in sentenza. A fronte delle ulteriori richieste, avanzate con comunicazioni del 04/11/2014 e del 12/11/2014, la signora (...) (attraverso il proprio difensore) provvedeva a rimettere la somma sopra indicata con assegno circolare direttamente intestato all'Avv. Ma.Bo. Il signor C., attraverso altro difensore, avanzava richiesta di pagamento delle spettanze al medesimo riconosciute con la citata sentenza della Corte di Appello (N. 5198/2014). Il difensore di parte opponente, inviava tempestivamente al (nuovo) procuratore che, per conto del signor C., aveva reiterato la richiesta di pagamento, l'intero carteggio (cfr. docc. 3 e 4, fascicolo parte opponente) attestante l'avvenuta definizione secondo le modalità descritte. Con atto di precetto notificato il 28/09/2016, il signor (...) ha intimato alla signora (...) di pagare la complessiva somma di Euro 16.548,20, in relazione alla sentenza N. 5198/2014, emessa della Corte di Appello di Roma, Quarta Sezione, notificata in uno con l'atto di precetto. Con atto di citazione notificato il 07/10/2016, la signora (...) ha opposto l'atto di precetto, con contestuale istanza di sospensione della esecutività del titolo. La opponente ha altresì richiesto il riconoscimento dell'indole temeraria dell'avversa azione esecutiva, con richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c., ovvero di tenerne conto in sede di condanna alle spese di lite del giudizio di opposizione. In sostanza, l'atto oppositivo della signora (...) si sostanzia nell'analisi dei poteri riconosciuti al procuratore nominato dal signor (...) nell'ambito del giudizio di appello N. 5105/2009 R.G., assegnato alla Corte di Appello, Quarta Sezione Civile, definito con sentenza N 5198/2014 R.G. Stando alla tesi della opponente, sia il mandato che la procura, sottoscritti unitamente dal signor (...) a margine della comparsa di risposta, datata il 04/01/2010, in favore dell'Avv. Ma.Bo., riconoscerebbero in capo al legale nominato di "riscuotere e di rilasciare quietanza ai sensi dell'art. 1188 c.c.". A tal uopo, la opponente fa espresso richiamo ad alcuni arresti della Corte di Cassazione che riconoscono il pieno diritto del procuratore "ad litem", ove specificamente autorizzato, a riscuotere somme "dovute al proprio cliente ed a liberare il debitore" ("ex plurimis", Cass. Civile, Sez. lav., n. 14349/2010 e Cass. Civ. n. 8927/1998). Con comparsa depositata il 01/02/2017, il signor C. ha contestato fermamente che la procura e il mandato conferiti (nel giudizio di appello N. 5198/2014) all'Avv. Ma.Bi. consentissero a quest'ultimo di riscuotere somme, a nome proprio seppur nell'interesse dell'assistito (C.A.G.), provenienti dalla controparte. Parte opposta ha aggiunto che solo attraverso uno specifico potere espressamente riconosciuto a se medesimo, ex art. 93 c.p.c., quale procurate antistatario, avrebbe consentito all'Avv. Bo. di pretendere - e riscuotere - in proprio il creditore riconosciuto in sentenza in favore del proprio assistito. Per l'effetto, la difesa del signor C. ha chiesto il rigetto della opposizione promossa dalla signora (...), in particolare ritenendo infondata la tesi avversaria riguardo alla figura di adiectus solutionis causa che secondo la tesi di parte opponente l'Avv. Bo. avrebbe rivestito, a mente dell'1188 c.c., nell'interesse del proprio cliente in relazione al credito scaturito dalla più volte citata sentenza emessa dalla Corte di Appello. All'udienza del 16 Novembre 2016 è stata trattata la questione preliminare della sospensiva. Assunta la riserva, questo giudice con ordinanza del 05/12/2016 ha accolto la richiesta di sospensione del titolo esecutivo apparendo sussistente il fumus della prova circa la valenza liberatoria del pagamento, a mezzo assegno circolare, peraltro non contestato da parte opposta in ordine alla sussistenza (del titolo) ed all'avvenuta consegna all'Avv. Bo., in favore del procuratore nominato dal signor C. nel procedimento N. 5105/2009 Proposto il reclamo, ex art. 669 terdecies c.p.c., il Collegio ha confermato l'ordinanza emessa il 05/12/2016, evidenziando come dalla procura conferita dal signor C. all'Avv. Massimo Bo. risulti incontrovertibilmente il potere in capo al legale "..di riscuotere e di rilasciare quietanza ai sensi dell'art. 1188 c.c. ...". Per l'effetto, il Collegio ha condiviso quanto ritenuto da questo giudice in ordine alla individuazione, nell'ambito del procedimento di appello N. 5105/2009, dell'Avv. Ma.Bo. quale figura indicataria, cioè, legittimata dal signor C., a riscuotere direttamente (seppur nell'interesse del cliente) la somme dalla controparte giudiziale. A ben vedere, seguendo i riscontri documentali, con una prima mail del 29 ottobre 2014, rivolta al procuratore della signora (...), l'Avv. Bo. avanzava richiesta di ricevere direttamente in suo favore le somme statuite in sentenza (N. 5198/2014), trattandosi esclusivamente di spese di lite. Seguivano poi la mail del 4 novembre 2014 ove veniva nuovamente richiesto il pagamento "direttamente" a favore dell'Avv. Bo. "ovviamente con piena liberazione ed estinzione del debito, trattandosi appunto di spese processuali rispetto alle quali nulla ho ricevuto dal mio assistito" e quella del 12 novembre 2014 in cui il professionista diffidava nuovamente il pagamento. In tal senso appare condivisibile, e si riporta di seguito il passaggio motivazione del Collegio riguardo alla capacità liberatoria del pagamento effettuato dalla signora (...), per il tramite del proprio procuratore, in favore dell'Avv. Bo.: "...Peraltro a fronte del calcolo delle spese effettuato dall'Avv. Bo. e depositato dalla reclamata per un importo di Euro 16.004,85 e che come espressamente ivi affermato riguarda la sentenza della Corte di Appello di Roma nel procedimento n.r.g. 5105 del 2009, la sig.ra (...) emetteva assegno per un importo di Euro 16.004,85 di cui è stata prodotta la copia quietanzata dall'Avv. Bo. in data 1 dicembre 2014. Tale pagamento rappresenta allora un fatto estintivo assolutamente idoneo a paralizzare l'azione esecutiva intrapresa dal C. non potendo avere alcun rilievo né la circostanza che l'Avv. Bo. non fosse procuratore antistatario in quanto il versamento dell'importo nelle sue mani è stato effettuato non ai sensi dell'art. 93 c.p.c. bensì dell'art. 1188 c.c., né il fatto che per altre controversie pendenti tra le parti il pagamento delle spese legali era sempre stato effettuato direttamente al C. e ciò in quanto da un lato il reclamante non ha prodotto alcuna idonea documentazione in tal senso e dall'altro in quanto tale "prassi" di certo non esclude la legittimità della riscossione dell'Avv. Bo. alla luce del potere allo stesso conferito. Infine del tutto irrilevante è la circostanza allegata dal C. circa la mancata prova da parte della sig.ra (...) dell'effettivo addebito sul suo conto corrente dell'importo di cui all'assegno. A fronte infatti della quietanza rilasciata dall'Avv. Bo. in cale alla copia dell'assegno dell'eventuale mancato accredito della somma il (...) non potrà che dolersene o comunque farlo valere esclusivamente nell'ambito del suo rapporto con il difensore che del tutto incautamente avrebbe rilasciato una quietanza senza essersi prima accertato dell'effettivo accredito della somma.....". E' bene chiarire come parte opposta non abbia mai espressamente, oltre che concretamente attraverso una mirata indicazione dei motivi, disconosciuto il deposito in copia dell'assegno e della quietanza, con i quali la signora (...) e l'Avv. Bo. avrebbero, rispettivamente, dato seguito alle determinazioni della Corte d'Appello e quietanzato il relativo pagamento estintivo del credito. In tal senso, si concorda con le deduzioni evidenziate da parte opponente che, nel non accettare alcuna "mutatio libelli" introdotta dall'opposto, ha chiarito quali siano i presupposti, ex art. 214 c.p.c. e 2709 c.c.. per un valido ("recte" rilevante) non riconoscimento di un documento depositato in copia. Allo stesso modo, non si reputa di alcun pregio il rilievo di parte opposta, circa la non decisività dell'assegno di pagamento, più volte citato, in quanto depositato solo in copia e limitatamente alla parte anteriore. Anche in tal caso, si condividono le argomentazioni svolte dall'opponente, "in primis" con riferimento alla pertinenza del richiamo giurisprudenziale della difesa C. (Cass. Civ. 9895/2008) che non sancisce certo l'irrilevanza probatoria di un tale documento in copia. Ad ogni modo, in primo luogo, non è mai stato contestato il buon fine del titolo, dunque, che l'Avv. Bo. non lo abbia incassato. Pertanto, tale questione non è conferente, visto che del titolo non era beneficiario il C. bensì un terzo, ritualmente munito del potere di riscuotere direttamente, ex art. 1188 c.c. Nel prosieguo del giudizio, entrambe le parti hanno sottoposto al vaglio del Tribunale una moltitudine di giurisprudenza di legittimità, ma il dato ineluttabile risiede nelle considerazioni di seguito illustrate. Al riguardo, occorre muovere dalla constatazione che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il "procuratore ad litem, se specificamente autorizzato, è legittimato a riscuotere le somme dovute al proprio cliente ed a liberare il debitore" (Cass. Sez. 3, sent. 24 aprile 1971, n. 1199, Rv. 351351-01; Cass. Sez. 3, sent. 9 settembre 1998, n. 8927, Rv. 518729-01). Più precisamente, la legittimazione a riscuotere un credito può provenire da un contratto di mandato con rappresentanza, comunque, attraverso un procura "ad hoc", che istituisce un soggetto quale destinatario diretto alla riscossione di un credito un soggetto. Ciò nondimeno, in alternativa, l'art. 1188 c.c., comma 1, consente ad un soggetto estraneo all'originario rapporto obbligatorio di ricevere la prestazione, quale mero indicatario del pagamento. Ciò in quanto, da un lato, la titolarità di un diritto non ne implica la necessaria gestione da parte del titolare stesso, il quale ben può affidarla ad altri, dall'altro, "il fatto che la legge distingua tra rappresentante e soggetto (espressamente o tacitamente) indicato dal creditore implica, poi, che la designazione del secondo (denominato anche adiectus solutionis causa) avviene al di fuori di un rapporto di rappresentanza in senso tecnico, come si ricava logicamente dal fatto che le due categorie di soggetti sono indicate distintamente" (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 23 giugno 1997, n. 5579, Rv. 505372-01). Ne deriva, dunque, che a prescindere dall'esistenza di un (espresso) potere di riscuotere la prestazione conseguente alla sua posizione di procuratore ad litem, l'Avv. Bo. poteva porsi come indicatario di pagamento e, in tale veste, riscuotere direttamente le somme riconosciute in capo al suo assistito, signor (...), dalla sentenza della Corte di Appello di Roma N. 5105/2014 (in questo senso, Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 22/12/2017) 25-09-2018, n. 22544). Nella vicenda esaminata da questo giudice, risulta "per tabulas" che nella procura "ad litem", posta a margine della comparsa di costituzione nel giudizio N. 5105/2014 R.G. App., vergata da C.A.G., era stata espressamente attribuita al legale, Avv. Bo., la facoltà di rilasciare quietanza in relazione (evidentemente) al pagamento effettuato dal terzo nella eventuale sua soccombenza in quel giudizio e di tale facoltà il debitore, e per esso il suo difensore, non solo era stato reso edotto attraverso la lettura dell'atto ma, a seguito della soccombenza, gli era stato espressamente richiesto il pagamento dal procuratore avversario. Tale autorizzazione sottende, necessariamente, quella a riceversi somme per suo conto (Corte d'Appello L'Aquila, Sent. 12/04/2018 - nella causa civile di appello iscritta al n. 1123/2017). Per cui. L'Av. Bo. era nella specie autorizzato a riscuotere somme per conto del suo cliente. Non si dubita, del resto, contrariamente a quanto invocato da parte opposta, che il procuratore "ad litem", ove specificamente autorizzato, è legittimato a riscuotere somme dovute al proprio cliente ed a liberare il debitore (Cass. 9 settembre 1998, n. 8927). Ovviamente, nella ipotesi in cui il difensore accetti in pagamento degli assegni, e proceda poi a riscuoterli a suo proprio nome e non ne versi poi l'importo al cliente, resta fermo l'effetto liberatorio del debitore conseguente all'avvenuto incasso degli stessi, non potendosi fare carico al debitore del comportamento di chi era stato autorizzato dal creditore ed era stato perciò scelto da questi quale suo ausiliario (cfr. Cass. Civ. Sez. III, (ud. 27/03/2008) 22-04-2008, n. 10368). Con la conseguenza che, a mente dell'art. 1189 c.c., il pagamento ha liberato il debitore, e il signor C. dovrà, eventualmente, chiedere la restituzione della somma all'Avv. Bo.. Da ciò consegue l'accoglimento della opposizione al precetto spiegata dalla signora (...)S. e, altresì, l'accoglimento della domanda di condanna alla responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. per aver la parte opposta notificato un atto di precetto sulla base di un diritto inesistente ed agendo senza la normale prudenza e per aver poi resistito in giudizio con colpa grave, ossia continuando a sostenere la sussistenza del credito, asseritamente proveniente dalla sentenza (N. 5198/2014) notificata unitamente all'atto di precetto opposto, nonostante la produzione ad opera di parte opponente, ancor prima della notifica dell'atto di precetto, della documentazione comprovante l'avvenuta estinzione dell'obbligazione nei termini ribaditi in sede di opposizione. Per i suesposti motivi si condanna (...) al pagamento della somma di Euro 1.500,00 a titolo di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. a favore di parte opponente. Le spese del presente grado seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa e assorbita, così dispone: accoglie l'opposizione spiegata da (...) al precetto alla medesima notificato il 28/09/2016. Per l'effetto, condanna (...), a titolo di risarcimento, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., al pagamento in favore della opponente della somma di Euro 1.500,00. Condanna, infine, (...) al pagamento in favore delle spese di lite di parte opponente liquidate, tenendo conto anche della fase incidentale del reclamo ex art. 669 terdescies c.p.c., in Euro 6.000,00, oltre accessori come per legge. Così deciso in Viterbo il 29 gennaio 2019. Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2019.

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