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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6777 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ge.Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, costituiti in giudizio; Ricorso avverso il silenzio inadempimento della Prefettura di Roma sull’istanza di emersione dal lavoro irregolare ex art. 103, co. 1, D.L. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo Roma; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 il dott. Giovanni Mercone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Premesso che il ricorrente ha introdotto il giudizio avverso il silenzio serbato dallo Sportello Unico Immigrazione della Prefettura di Roma sull’istanza di emersione dal lavoro irregolare ex art. 103, co. 1, D.L. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020, presentata in proprio favore da -OMISSIS- in data 21.9.2020; Vista la documentazione con la quale il Ministero dell’Interno ha rappresentato con atto depositato il 9.2.2024 che il predetto SUI ha rilasciato il modello 209, indispensabile per la successiva richiesta del permesso di soggiorno; Rilevato che all’udienza in camera di consiglio del 13.2.2024 la parte ricorrente ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere; Ritenuto di dover accogliere la richiesta di parte; Ritenuto di dover compensare le spese del presente giudizio a fronte delle difficoltà oggettive della P.A. nella gestione delle numerose pratiche di emersione; Ritenuto, infine, che appare, però, equo, alla luce di una valutazione complessiva della vicenda, disporre la rifusione del contributo unificato; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara cessata la materia del contendere. Spese compensate ad eccezione dell’obbligo di restituzione del contributo unificato ex art. 13, co. 6-bis.1 D.P.R. n. 115/2002. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente ed il datore di lavoro. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Francesco Arzillo - Presidente Giovanni Mercone, Referendario, Estensore Silvia Simone, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Giovanni Mercone Francesco Arzillo IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VITERBO Il Giudice, Dr.ssa Maria Carmela Magarò, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 1097 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2020 e rimessa in decisione all'udienza del 17.11.2023, senza la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., vertente tra De.Ag., elettivamente domiciliata in Viterbo, Via (...), presso lo studio dell'avv. An.Ga., che la rappresenta e difende giusta procura in atti ATTRICE contro Ge.It. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via (...) e in Viterbo, Via (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Na., che la rappresenta e difende giusta procura in atti CONVENUTA OGGETTO: lesione personale. IN FATTO E IN DIRITTO Omesso lo svolgimento del processo, ai sensi del nuovo testo dell'art. 132, comma 2 nr. 4 c.p.c. introdotto dall'art. 45, comma 17 L. n. 69 del 2009, appare opportuno ripercorrere succintamente le domande e le eccezioni proposte, prima di procedere alla stesura della motivazione. Con atto di citazione ritualmente notificato, De.Ag. esponeva che in data 23.05.2018, alle ore 13:00 circa, si trovava a bordo dell'autovettura FIAT MAREA targata (...), indossando la cintura di sicurezza, condotta da Fo.Al., di proprietà di Fo.Se. ed assicurata presso la Ge.It. S.p.A., che stava procedendo in direzione Viterbo - Roma lungo la S.P. Cimina, quando, all'altezza del civico n. 19/A, il conducente perdeva il controllo del veicolo che usciva dalla strada andando a colpire con violenza un albero per poi arrestarsi su di un terrapieno. A causa dell'impatto, il conducente decedeva mentre lei riportava lesioni talmente gravi da richiedere l'immediato ricovero presso il Reparto di Rianimazione e terapia intensiva dell'Ospedale "Il Gemelli", nonché la sottoposizione, successivamente alle dimissioni, a numerosi interventi e controlli. A seguito della richiesta di risarcimento danni formulata alla Ge.It. S.p.A. e della visita eseguita dal medico fiduciario, la Compagnia assicurativa formulava l'offerto di Euro 386.200,00, al netto della provvisionale di Euro 50.000,00 corrisposta nell'aprile 2019. Tanto esposto in fatto, in punto di diritto l'attrice riteneva incongrua la somma liquidata dalla Ge.It. S.p.A.. Invero, l'attrice osservava anzitutto che il medico fiduciario della Compagnia aveva sottostimato il danno biologico patito in conseguenza del sinistro, stabilito nella misura del 45%, mentre l'inabilità temporanea assoluta era determinata in soli dieci giorni, nonostante la copiosa documentazione a disposizione e non teneva in considerazione la personalizzazione del danno, nonché le spese sostenute e quelle da sostenere. Infatti, il ctp riteneva che il danno psico-fisico fosse stimabile al 60/65%, con una inabilità temporanea assoluta al 100% per 90 giorni e una invalidità temporanea parziale al 75% per 90 giorni. In particolare, il consulente di parte dichiarava che a seguito del sinistro la De. aveva riportato una sindrome algo - disfunzionale cranio facciale; delle crisi cefalalgiche ricorrenti, secondarie a trauma cranico commotivo; una sindrome algo - disfunzionale del torace, secondaria alla frattura del corpo sternale; una sindrome algo - disfunzionale del rachide cervicale con secondaria sofferenza neurogena, strumentalmente accertata; un pregiudizio estetico alle regioni del volto, del collo e del tronco; una sindrome algo - disfunzionale del rachide dorsale, secondaria ad artrodesi D4 - D8; un danno odontoiatrico e secondario; pregiudizio estetico e compromissione della funzione masticatoria; un disturbo dell'adattamento con aspetti emozionali misti di grado moderato - grave; sindrome ansioso - depressiva in misura non inferiore al 15%. In secondo luogo, dovrebbe considerarsi anche il danno da perdita di chance lavorativa, in quanto veniva riconosciuta invalida al 75% in ragione dello stato psico-fisico conseguente al sinistro, verificatosi quando frequentava con profitto l'ultimo anno dell'Istituto Magistrale "S. Rosa" di Viterbo, ove conseguiva il diploma. Risultavano quindi compromesse le sue capacità di guadagno. Pertanto, il danno non patrimoniale risarcibile, calcolato alla luce delle Tabelle Milanesi dell'anno 2018, ammonterebbe ad Euro 582.850,00 ovvero ad Euro 658.303,00 a titolo di danno biologico, a seconda venga quantificato, rispettivamente, nella misura del 60% o del 65%, e in considerazione dell'età di 19 anni al momento del sinistro, ad un importo compreso tra Euro 145.712,50 ed Euro 164.575,75, a titolo di personalizzazione pari al 25%, ad Euro 19.293,75, a titolo di inabilità temporanea assoluta e parziale per 90 giorni, per un importo complessivo da un minimo di Euro 747.856,25 ad un massimo di Euro 842.172,50. Il danno da perdita di chance lavorativa, invece, dovrebbe essere quantificato in Euro 70.000,00, dovendosi prendere in considerazione il triplo della pensione sociale, in quanto, anche se disoccupata, si era dedicata proficuamente agli studi. Quanto al danno patrimoniale, riteneva di quantificarlo in complessi Euro 45.556,00, di Euro 5.556,00 per spese mediche, ed Euro 40.000,00 poiché a seguito del sinistro dovrà sottoporsi ogni 15 anni, in cinque occasioni in considerazione dell'aspettativa di vita media di 88 anni, ad interventi odontoiatrici del costo di Euro 8.000,00 ciascuno. Complessivamente, pertanto, avrebbe diritto alla corresponsione di un importo compreso tra Euro 863.412,25 ed Euro 957.728,50. Tuttavia, dovendosi detrarre la somma percepita dalla Compagnia assicurativa, l'importo dovrà essere compreso tra Euro 427.212,25 ed Euro 521.528,50. Tanto premesso, l'attrice così concludeva: "Voglia l'Ill.mo Giudice adìto, ogni contraria istanza disattesa, per le ragioni esposte in domanda, condannare la Ge.It. S.p.A. all'ulteriore risarcimento in favore della attrice di una somma compresa tra Euro 417.212,25 ed Euro 511.528,50 o di altra maggiore o minore che verrà ritenuta equa all'esito della causa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari". Si costituiva in giudizio la Ge.It. S.p.A., contestando il quantum del risarcimento chiesto dall'attrice. In particolare, rilevava che il proprio medico fiduciario riconosceva alla De. un'invalidità permanente del 45%, un'inabilità temporanea assoluta di 10 giorni, una temporanea parziale al 75% di 60 giorni e una temporanea parziale al 50% pure di 60 giorni, quantificava le spese mediche occorse e occorrende in Euro 23.050,00 e determinava in Euro 50.000,00 la somma dovuta a titolo di personalizzazione del danno, per complessivi Euro 436.200,00 che poi corrispondeva alla D.. Riteneva, pertanto, congrua la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno. Per converso, riteneva infondata la richiesta di liquidazione del danno da perdita di chance lavorativa, in quanto l'attrice non svolge alcuna attività lavorativa, non ha proseguito gli studi per conseguire il titolo abilitativo e non ha fornito elementi dai quali desumere che in futuro avrebbe reperito un'occupazione cui tuttavia non potrebbe più aspirare a causa del sinistro. Non risultano inoltre allegati elementi tali da consentire la personalizzazione del danno. Tanto premesso, la Ge.It. S.p.A. chiedeva dichiararsi la congruità del risarcimento erogato dalla Compagnia, pari ad Euro 436.200,00, respingendo qualsiasi altra richiesta, in quanto non dovuta né tantomeno provata. In subordine, detrarre la somma versata alla De. a titolo di offerta. Concessi i termini ex art. 183 c. 6 c.p.c., espletata CTU per valutare l'entità dei danni patiti dalla De. e precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione senza la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Preliminarmente, l'azione esperita da De.Ag., terzo trasportato sul veicolo FIAT MAREA targato (...), deve essere qualificata come azione ex art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005. Invero la Suprema Corte ha precisato che la speciale azione di cui all'art. 141 cod. ass. in favore del terzo trasportato è aggiuntiva rispetto alle altre azioni previste dall'ordinamento e mira ad assicurare al danneggiato una tutela rafforzata, consentendogli di agire nei confronti dell'assicuratore del vettore e di ottenere il risarcimento del danno a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, fatta salva la sola ipotesi di sinistro causato da caso fortuito. La tutela rafforzata così riconosciuta presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli, pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi, e si realizza mediante l'anticipazione del risarcimento da parte dell'assicuratore del vettore e la possibilità di successiva rivalsa di quest'ultimo nei confronti dell'impresa assicuratrice del responsabile civile. Ne discende che nell'ipotesi in cui nel sinistro sia stato coinvolto un unico veicolo, l'azione diretta che compete al trasportato danneggiato è esclusivamente quella prevista dall'art. 144 c.ass., da esercitarsi nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile (Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 35318/2022). Pertanto sarà necessario l'accertamento della responsabilità del conducente. Venendo al merito, è pacifico tra le parti che il veicolo FIAT MAREA targato (...), condotto da Fo.Al., di proprietà del sig. Fo.Se., assicurato presso la Ge.It. S.p.A. e a bordo del quale si trovava l'attrice quale terzo trasportato, sbandava improvvisamente fuoriuscendo dalla strada e provocandole dei danni risarcibili, dei quali la convenuta non ha posto in discussione il nesso di causalità con il sinistro occorso (salvo in relazione alle spese mediche sostenute e sostenende). Parimenti pacifico tra le parti è il pagamento eseguito dalla Ge.It. S.p.A. in favore della De. dell'importo complessivo di Euro 436.200,00 a titolo di risarcimento dei danni dalla medesima patiti. Dal verbale della polizia stradale in atti emerge che il sinistro si verificava a seguito della perdita di controllo del mezzo, ove l'attrice viaggiava quale trasportata, da parte del conducente Fo.Al.. Invero dall'esame delle tracce di scarrocciamento del veicolo e dalle dichiarazioni della testimone oculare risultava che, subito dopo l'attraversamento di un'ampia curva involgente a destra, il veicolo, che procedeva a velocità non moderata, con uno pneumatico usurato, con asfalto bagnato per la recente pioggia, dopo uno svirgolamento prima a destra poi a sinistra, sbandava fuori dalla sede stradale e, dopo aver divelto la segnaletica stradale provvisoria ivi esistente, collideva violentemente nella parte anteriore con il tronco di una quercia e con il tettuccio con un ramo della stessa. La controversia, pertanto, si incentra sulla natura dei danni risarcibili a seguito del sinistro per cui è causa, nonché sul quantum debeatur, non essendo state sollevate eccezioni in ordine al concorso di colpa della danneggiata e, in particolare all'uso delle cinture di sicurezza (sulla necessità dell'eccezione di parte cfr. Cass. Sez. 3, sent. n.4954 del 2.3.07; sez. 3, sent. n. 24432 del 19.11.09). E' d'uopo ricordare che per quanto attiene alla quantificazione del danno alla persona, alle luce delle note e molteplici sentenze della Corte di Cassazione, si è avuto espresso riconoscimento di un sistema di risarcimento del danno alla persona bipolare, ossia di danno patrimoniale e non patrimoniale. Quest'ultimo comprende il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione del diritto della persona alla salute consistente in una menomazione della integrità dell'organismo umano nella sua struttura psicofisica), il danno morale come tradizionalmente inteso (inteso come sofferenza morale, non necessariamente transeunte, turbamento dello stato d'animo del danneggiato), nonché tutti quei pregiudizi diversi e ulteriori (danno esistenziale, danno alla vita di relazione e danno estetico), purché risultino conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ovvero di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (Cass., SS.UU., sent. n. 26972/2008); con la precisazione, da un lato, che deve essere liquidato tutto il danno, non lasciando privi di risarcimento profili di esso (a prescindere dalla qualificazione data dall'istante), e, dall'altro, che deve esserne evitata la duplicazione che urta contro la natura e la funzione puramente risarcitoria della responsabilità aquiliana (cfr. Cass., Sez. III, n. 22884 del 30.10.2007). Infatti, l'unitarietà del diritto al risarcimento comporta che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Pertanto, laddove nell'atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal "petitum" le voci non menzionate (Cass., Sez. III, sent. n. 17879 del 31/08/2011). Ebbene, risulta dalla documentazione in atti che a seguito del sinistro in oggetto l'attrice ha subito un danno biologico (né che il medesimo danno sia causalmente riconducibile al sinistro per cui è causa), da intendersi quale lesione temporanea e/o permanente all'integrità psico-fisica della persona (ricompresa nel diritto alla salute ex artt. 2 e 32 Cost.), suscettibile di accertamento medico-legale, che prescinde da eventuali ripercussioni sulla capacità del danneggiato di produrre reddito (artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209 del 2005). Tale profilo di danno, così come il suo collegamento eziologico con il sinistro per cui è causa, del resto, risulta anche dalla CTU. Infatti, il CTU rilevava che l'attrice aveva riportato a causa del sinistro le seguenti lesioni: fracasso del massiccio facciale di tipo Le Fort I caratterizzato da fratture multiple a carico del processo zigomatico dell'osso frontale sinistro, della parete laterale dell'orbita sinistra, dell'arco zigomatico bilateralmente, delle ossa nasali, del processo nasale del mascellare bilateralmente, del setto nasale, dei seni mascellari con emoseno bilaterale, della lamina papiracea dell'etmoide sinistro (parete mediale dell'orbita sinistra) con materiale ematico nelle cellette etmoidali, della parete inferiore dell'orbita sinistra; frattura della parete anteriore del seno sfenoidale e di entrambi i processi pterigoidei dell'osso sfenoide, frattura del processo alveolare dell'osso mascellare sn in sede paramediana con avulsione degli elementi dentari 2.1 e 2.2; frattura completa del corpo della mandibola in sede paramediana con avulsione di 3.3 e del ramo destro della mandibola (tra 4.4 e 4.5) con capi fratturativi diastasati; frattura margine coronale dell'elemento 1.1;frattura coronale dell'elemento 2.6; frattura dell'angolo coronale dell'elemento 3.2; deficit volumetrico orizzontale e verticale della cresta ossea mascellare zona 2.1 2.2; deficit dei tessuti molli zona 2.1-2.2, mobilità di grado 1 degli incisivi sup ed inf residui; frattura da scoppio, tipo "burst", del soma di D6 con minima retropulsione del muro posteriore e frammento intracanalare anteriore sinistro con estensione della rima di frattura alla pars intra articularis a sinistra e imbibizione dei tessuti molli perivertebrali a sinistra; frattura del corpo sternale con falda di versamento a densità ematica nel mediastino anteriore e consolidazione del parenchima polmonare dei segmenti basali posteriore e mediale del LID; trauma distorsivo del rachide cervicale perdita della fisiologica lordosi e lieve tendenza all'inversione cifotica fulcro in C3-C4 con piccola protrusione discale posteriore mediana, alterazioni disidratative dei dischi intersomatici C4-C5 e C5-C6 con lieve sporgenza mediana e paramediana destra del disco C5-C6 con sofferenza neurogena cronica a carico delle radici C5-C6 bilateralmente (pagg. 17 e 18 della CTU). A fronte del riscontro di tali plurime lesioni riportate dall'attrice, il CTU riteneva di determinare la misura percentuale del danno biologico nel 55%, per quanto concerne l'inabilità permanente, alla luce della lettura specialistica di riferimento residuando postumi caratterizzati da importante quadro cicatriziale interessante sia il volto della giovane che ulteriori zone corporee (collo, spalla destra, emitorace sinistro, dorso) solo parzialmente coperte da vestiario, e pertanto visibili ad osservatore sin dalla distanza di conversazione, tali da determinare un quadro menomativo ascrivibile a "danno estetico"; postumi di natura fisica, di natura strettamente anatomico-funzionale, caratterizzata dagli esiti del quadro plurifratturativo del massiccio facciale, oggetto di duplice intervento chirurgico maxillo-facciale del 25 maggio 2018 e successivo del 13 marzo 2019, consistente in una sindrome algodisfunzionale interessante anche la funzionalità masticatoria e sindrome soggettiva del traumatizzato cranico; una limitazione funzionale dei movimenti del tronco secondaria in conseguenza della frattura da scoppio della vertebra D6 trattata con artrodesi D4-D8 in persistenza dei mezzi di sintesi; una sindrome algica secondaria a causa della frattura del corpo sternale; una sindrome algica con limitazione funzionale dei movimenti del rachide cervicale con sofferenza neurogena; postumi permanenti di natura psichica, ben correlabili al sinistro per cui è causa, nella forma di disturbo dell'adattamento con coesistenza di sindrome ansioso-depressiva, cui è seguito percorso di psicodiagnosi. Per quanto riguarda l'inabilità temporanea, invece, il CTU riteneva di quantificare l'inabilità assoluta in 50 giorni e in 90 giorni la parziale, al 75%. Alle conclusioni cui è pervenuto sul punto il CTU, il CT di parte attrice ha presentato osservazioni, ritenendo incongrua la quantificazione dell'inabilità permanente nella misura del 55% e ritenendo più corretto determinarla nella misura del 62%, in considerazione delle singole voci che la compongono e che il CTU non avrebbe valutato isolatamente come invece avrebbe dovuto fare. Quanto all'inabilità temporanea assoluta, il CT di parte attrice riteneva che dovesse essere quantificata in 90 giorni, così come quella parziale al 75%. A fronte di tali critiche, il CTU ha ritenuto di non discostarsi dalle conclusioni raggiunte nella bozza peritale, in quanto il CT di parte attrice prendeva in considerazione singoli profili che però sono più correttamente da ricomprendersi all'interno di una unica voce di danno, come la "sindrome algo disfunzionale cranio-facciale" e le "crisi cefaliche ricorrenti, secondarie a trauma cranio commotivo", incidendo sullo stesso distretto corporeo e determinando una unica e/o similare manifestazione clinica e sintomatologica; ovvero come il pregiudizio estetico al volto ed al collo, da un lato, e il pregiudizio estetico secondario al danno odontoiatrico, dall'altro, mentre di tratta di danni provocati allo stesso apparato funzionale. Parimenti, il CT di parte convenuta ha presentato delle osservazioni, condividendo le conclusioni raggiunte dal CTU in riferimento all'inabilità temporanea, ma sostenendo, da un lato, che il CTU avesse disatteso il quesito n. 5, in quanto indicava la misura percentuale del danno biologico nel 55%, dall'altro, l'eccessività della quantificazione del danno biologico permanente, in particolare in relazione alla componente psichica, prendendo tra l'altro in considerazione il danno estetico. Infatti, il CTU avrebbe errato nel considerare la relazione clinica psichiatrica in atti per giungere a ritenere esistente un "disturbo dell'adattamento con aspetti emozionali misti di grado moderato/grave, in preesistenza di stati depressivi e ansiosi", poiché dalla perizia stragiudiziale emergerebbe un "disturbo dell'adattamento cronico di grado medio con ansia ed umore depresso misti" e se il CTU si fosse avvalso dell'ausilio di uno specialista in psichiatria, avrebbe quantificato il pregiudizio psichico in misura inferiore al 50%. Il CTU rispondeva a tali critiche, osservando, anzitutto, di aver rispettato il contenuto del quesito, in quanto non riportava la misura percentuale delle menomazioni fisiognomiche della De. (pag. 35 CTU). In secondo luogo, riteneva di aver compiutamente risposto al quesito relativo al complessivo pregiudizio all'integrità psico-fisica della De., ricomprendendovi anche il danno estetico. Circa la quantificazione della componente psichica del danno biologico permanente nella misura del 55%, il CTU rilevava la superfluità di un eventuale audizione di un esperto in psichiatria in ragione del deposito della relazione a partire dalla quale ha maturato il proprio convincimento circa la quantificazione del danno biologico permanente. Questo giudice ritiene di condividere la quantificazione cui è pervenuto il CTU in relazione al danno biologico, nelle sue componenti dell'invalidità permanente (determinata nella misura del 55%) e all'invalidità temporanea (determinata, l'assoluta, in 50 giorni, e quella parziale al 75%, nella misura di 90 giorni), ove il consulente ricomprendeva anche il c.d. "danno estetico". Infatti, quest'ultima voce di danno concorre, in linea generale, alla quantificazione del danno biologico, mentre soltanto in casi eccezionali (nei quali il danno concreto risulti più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età) potrebbe essere considerata (tanto per i suoi riflessi non patrimoniali, quanto per le ricadute patrimoniali) isolatamente e separatamente dal danno biologico medesimo (Cass., sezione III civile, ordinanza 12 marzo 2021 n. 7126; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14246 del 08/07/2020; Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13/10/2016; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013; Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16/05/2013; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008; Sez. 3, Sentenza n. 7492 del 27/03/2007). Accanto al danno biologico deve essere risarcito il danno morale, inteso come sofferenza e turbamento d'animo derivante dal sinistro, desumibile presuntivamente ala luce dei postumi accertati. Al riguardo deve tenersi in considerazione il forte trauma emotivo e psichico subito dall'attrice che non riusciva nemmeno a ricordare la dinamica del sinistro, l'avvenuto decesso del fidanzato seduto sul sedile accanto, gli evidenti esiti cicatriziali con i risvolti psicologici, soprattutto in considerazione dell'età della danneggiata al momento del sinistro, l'impossibilità di terminare regolarmente l'anno scolastico, essendo il sinistro avvenuto nel mese di maggio, l'impossibilità di godere del periodo di vacanze e il disagio nell'utilizzo dell'abbigliamento estivo, la evidente difficoltà nella pratica di sports e nella dimensione sociale e relazionale. Quanto alla richiesta di personalizzazione del danno avanzata dall'attrice, è d'uopo ricordare che l'incremento del risarcimento del danno non patrimoniale a tale titolo presuppone che i danni patiti, per le circostanze di tempo e di luogo, nonché in considerazione dell'età del danneggiato, esulino dall'id quod plerumque accidit, per collocarsi nell'area della abnormità rispetto agli sviluppi normalmente riconducibili ad un fatto lesivo (Cass., Sez. III, Sentenza n. 28988 del 11/11/2019), come del resto si evince dal tenore letterale dell'art. 138, comma 3, D.Lgs. n. 209 del 2005, ove vi è il riferimento ai riflessi negativi della menomazione accertata in relazione a specifici aspetti dinamico-relazionali del danneggiato, nonché dal tenore letterale dell'art. 139, comma 3, D.Lgs. n. 209 del 2005 (ispirato alla medesima logica), ove vi è il riferimento ad una "sofferenza psico-fisica di particolare intensità". Ebbene, nel caso di specie l'attrice non ha dedotto fatti dai quali ricavare la particolarità dei pregiudizi dalla medesima patiti rispetto a quelli che normalmente, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e in considerazione dell'età del danneggiato, quest'ultimo potrebbe patire a seguito di un sinistro analogo a quello per cui è causa. Del resto, l'attrice non ha indicato quali sarebbero i pregiudizi "normali" che, secondo l'id quod plerumque accidit, derivano da sinistri come quello che ha dato luogo al presente giudizio, sicché non risulta possibile raffrontare i danni patiti dalla De. rispetto a quelli che avrebbe subito un altro danneggiato con la sua stessa età e nelle medesime circostanze di tempo e di luogo. Invero i postumi cicatriziale e i risvolti in termini psichici ed emotivi sono stati già valutati nell'abito del danno biologico, per cui non è possibile una successiva rivalutazione ai fini della personalizzazione. Non sono state indicate attività che l'attrice non potrebbe più svolgere né un mutamento delle sue condizioni e abitudini di vita. Alla luce di quanto considerato in precedenza, si ritiene di determinare l'importo dovuto dalla convenuta all'attrice a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale in complessivi Euro 512.927,00 (Euro 341.952,00 per danno biologico permanente, Euro 11.750,00 per inabilità temporanea di cui Euro 5000,00 per ITT, ed Euro 6750,00 per ITP, oltre all'incremento del 50% del punto di invalidità per il danno morale), poiché tale valutazione risulta conforme alle tabelle in vigore presso il Tribunale di Milano che tengono conto sia della lesione in termini standardizzabili del danno non patrimoniale conseguente a lesione permanente dell'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, sia nei suoi risvolti anatomico-funzionali che in quelli relazionali sia del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore, sofferenza soggettiva. Invero la Suprema Corte ha precisato che ove risulti configurabile il danno morale, ai fini della liquidazione, occorre applicare integralmente e unicamente i valori tabellari, in quanto gli stessi contemplano entrambi i profili di danno, e senza riconoscere ulteriori importi, altrimenti incorrendosi in una duplicazione risarcitoria (Cass. Sez. 3 - , sent. n. 5119 del 17/02/2023; Sez. 3 - ord. n. 19922 del 12/07/2023). Da tale somma deve essere detratto quanto corrisposto dalla compagnia assicurativa prima del giudizio pari a complessivi 436.200,00 al 24.3.2020, rivalutati alla data odierna in Euro 506.864,40, per un residuo di Euro 6062,6 (512.927,00-506.864,4). Venendo al danno patrimoniale, quanto all'incidenza dei postumi permanenti sulla capacità lavorativa specifica della De. occorre, anzitutto, ricordare che tale profilo di danno deve essere tenuto distinto dal danno arrecato alla capacità lavorativa generica del danneggiato (Cass. 12 giugno 2015, n. 12211), in quanto a partire da quest'ultimo può essere valutato il danno da perdita di chance lavorative, danno patrimoniale attuale in proiezione futura, non riconducibile al danno biologico. Inoltre, tanto il danno da perdita di capacità lavorativa specifica, quanto il danno da perdita di chance lavorative sono risarcibili anche in favore del danneggiato che, al momento del sinistro, non svolgeva attività lavorativa (Cass., ord. n. 26850/2017; Cass., sent. n. 25571/2011). In proposito, il CTU, rilevato che la De. risulta essere studentessa al II anno di corso di Laurea in Scienze dell'Educazione, riteneva tuttavia possibile riconoscere una oggettiva maggiore difficoltà della stessa nella capacità attentiva di studio, nonché nelle capacità di rapporto interpersonale della ragazza (entrambe caratteristiche fondamentali dello studente), così da poter individuare una riduzione della capacità specifica lavorativa (nel caso in esame, capacità specifica di studente) indicativamente valutabile nella misura del 15-20% (pag. 20 CTU). Ora, alla luce dell'insegnamento del giudice di legittimità, da cui non vi sono ragioni per discostarsi, per liquidare il danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell'infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, occorre stabilire (in forza del rinvio operato dall'art. 2056 c.c. all'art. 1226 c.c.): in primo luogo, se possa ritenersi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale; in secondo luogo, se i postumi residuati all'infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale della vittima (Cass., ord. n. 9682/2020). Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, è da valutare su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività o presumibilmente la svolgerà; tuttavia, l'aggravio in concreto nello svolgimento dell'attività già svolta o in procinto di essere svolta deve essere dedotto e provato dal danneggiato (Cass. Sez. 3, sent. n. 2644 del 05/02/2013). Peraltro la Suprema Corte ha evidenziato che l'accertata esistenza d'un danno alla salute patito da uno studente, anche se di non lieve entità (nella specie, determinata dal c.t.u. nella misura del 37 per cento della complessiva validità dell'individuo), non è di per sé sufficiente per ritenere necessariamente esistente un conseguente danno da riduzione della capacità di guadagno, a meno che il danneggiato non provi, sulla base di elementi concreti, o che a causa della lesione sia stato costretto a ritardare il compimento dei suoi studi e di conseguenza l'ingresso nel mondo del lavoro, ovvero una verosimile riduzione dei suoi redditi futuri (Cass. Sez. 3, sent. n. 16541 del 28/09/2012) Il CT di parte convenuta presentava osservazioni sul punto, rilevando in particolare che la De. non svolge alcuna attività lavorativa, ma non contestava la quantificazione eseguita in merito dal CTU nella misura compresa tra il 15% e il 20%. Quest'ultimo replicava osservando la genericità delle osservazioni del CT di parte convenuta. In effetti, le critiche mosse dal CT di parte convenuta alle conclusioni cui perveniva il CTU della bozza della relazione peritale risultano generiche e non valgono a destituire di fondamento l'operato del CTU medesimo. Deve tenersi in considerazione altresì la circostanza che dalla documentazione in atti emerge che l'attrice ha presentato ricorso per la revisione e il riconoscimento dell'assegno di invalidità. Nel corso del giudizio veniva espletata CTU e il consulente riconosceva un grado di invalidità pari al 75%. La De. ha prodotto certificato di diploma conseguito nell'anno successivo al sinistro, ma non ha provato una riduzione della media dei suoi voti, né l'iscrizione a studi superiori, nei quali poteva risentire della difficoltà di concentrazione evidenziata dal CTU né ha allegato o provato di aver cercato delle occupazioni lavorative, ma di non essere riuscita a causa delle sue condizioni. Tuttavia, alla luce della documentazione medica in atti, delle valutazioni del CTU nominato nel presente giudizio e di quello nominato nel processo per il riconoscimento dell'invalidità, deve riconoscersi un danno alla capacità lavorativa dell'attrice, sia in termini di capacità lavorativa generica che specifica, per l'idoneità alla prosecuzione degli studi e quindi al conseguimento di un titolo che possa consentire lo svolgimento di un lavoro meglio retribuito. Per altro verso, tuttavia, deve considerarsi che l'attrice percepisce una pensione di invalidità (essendo riconosciuta l'invalidità nel giudizio per il relativo accertamento). Sul punto la Suprema Corte ha evidenziato la necessità di tener conto delle somme comunque percepite, stabilendo che "dall'ammontare del risarcimento deve essere detratto il valore capitale della pensione sociale erogata dall'INPS, attese la funzione indennitaria assolta da tale emolumento e la possibilità per l'ente previdenziale di agire in surrogazione nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore, non assumendo rilievo che l'INPS abbia o meno esercitato la surroga (Cass.,Sez. 3, ord. n. 13540 del 17/05/2023), trattandosi, invero, di poste comunque finalizzate al ristoro della lesione del medesimo bene della vita, vale a dire, la capacità di produrre reddito (Cass. Sez. 3 , sent. n. 18050 del 05/07/2019). Alla luce di tali considerazioni si ritiene che il lucro cessante debba essere quantificando capitalizzando l'importo pari alla pensione sociale attualmente prevista e non al triplo della stessa, operando poi la riduzione in considerazione della percentuale riconosciuta dal CTU che, in mancanza di prove o allegazioni specifiche, deve essere stabilita nella minore fra le misure indicate, ossia nel 15%. La pensione sociale è stabilita, per il 2023 in Euro 503,27, pari a Euro 6.039,24 annui. La capitalizzazione dovrà essere calcolata utilizzando la seguente formula matematica, stante il superamento dell'utilizzo delle tabelle di capitalizzazione INAIL stabilite con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 (Cass. civ., 4 febbraio 2020 n. 2463) coefficiente = reddito annuo*1 - (1+ tasso di interesse) elevato a -meno anni tasso di interesse Quanto al tasso si ritiene preferibile fare riferimento piuttosto che al tasso di interesse legale, al tasso di rendimento BOT a 30 anni, che, avendo una lunga durata, consente di pervenire ad un risultato più adotto al calcolo del lungo periodo. Tale tasso, secondo gli strumenti notori, è attualmente pari al 4,5%. Quanto all'età deve farsi riferimento all'età pensionabile, pari a 65 anni da cui va sottratta l'età della danneggiata al momento del sinistro, anni 19, per cui il valore da prendere in considerazione è 46. Cofficiente= 6.039,24*(1-(1+4,5%) °-46)/4,5%=116.487,1 A tale importo dovrà essere applicata la percentuale riconosciuta dal CTU del 15%, per cui si perviene alla somma di Euro 17.473,07. Quanto alle spese resesi necessarie a causa del sinistro, il CTU affermava che le spese sostenute dalla De., riferite a visite di controllo specialistiche e generiche, ad attività fisioterapica, ad attività odontoiatrica, ad acquisizione di documentazione medica, ed altro, per circa Euro 5.189,64, risultano da documenti che recano codice fiscale riconducibile alla De., mentre in altri attestati di spesa è riportato un codice fiscale diverso da quello della De. ovvero non vi sarebbe indicato beneficiante. Da tale importo deve essere sottratta la somma di Euro 300,00 di cui alla fattura n. (...), che il CTU, accogliendo le osservazioni del CTU di parte convenuta, riconosceva non essere riconducibile ai postumi del sinistro, nonché la somma di Euro 103,55 di cui allo scontrino n. 33363 del 10.06.2018, per un acquisto effettuato presso il centro commerciale "UNIEURO, per un residuo di Euro 4785,45. Invero devono essere condivise le valutazioni del CTU in ordine alla riconducibilià e pertinenze delle spese per refertazione, ritiro della cartella , certificazioni medico-legali, di cui l'attrice ha diritto alla refusione in quanto congrue. Quanto alle spese future occorrende, risulta condivisibile quanto sostenuto dal CTU, in mancanza di un'adeguata e motivata critica sul punto ad opera del consulente di parte attrice. Con riferimento alle spese prevedibilmente da affrontarsi, il CTU riteneva di determinarne l'importo in complessivi Euro 32.000,00 per la componente odontoiatrica, in ragione della necessità di un totale di quattro interventi di implantoprotesica da ripetersi con cadenza circa quindicinale per tutta la vita dell'attrice (pag. 28 della CTU). Da tale importo deve essere sottratta la somma di Euro 11.600,00 già liquidata dalla compagnia assicuratrice il 24.3.2020, rivalutata alla data di deposito della CTU in Euro 13.363,20, per un residuo di Euro 18.636,8. Ne discende che il danno patrimoniale subito dall'attrice, comprensivo delle spese attualmente sostenute (danno emergente) e le future occorrende in conseguenza del sinistro per cui è causa, nonché del lucro cessante per danno alla capacità lavorativa ammonta a complessivi Euro 40.895,32 (18.636,8+ 4785,45+ 17.473,07.). Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo, ex art. 1282 c.c. In favore dell'attrice non possono essere riconosciuti gli interessi "compensativi" in quanto la stessa non ha allegato e provato un nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa della mancata, tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento. Sicché deve ritenersi che la somma rivalutata (cioè liquidata in moneta attuale) ricomprenda il danno causato dal ritardato pagamento dell'equivalente monetario (cfr. in proposito Cass. sez. 3 sent. 24 ottobre 2007 n. 22347, 25 agosto 2003 n. 12452, 28 luglio 2005 n.15823, 12 febbraio 2008 n.3268, 12 febbraio 2010 n. 3355). Le spese seguono la soccombenza sostanziale e sono liquidate come in dispositivo secondo i parametri individuati con D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (aggiornato al D.M. n. 147 del 2022), ricadendo la fase conclusiva dell'attività professionale dell'avvocato in un momento successivo all'entrata in vigore del citato decreto (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 12.10.2012 n. 17405), con la precisazione che trattandosi di causa avente ad oggetto il pagamento di somme, verrà applicato il criterio del decisum anziché quello del disputatum (art.5 D.M. n. 55 del 2014, Cass. S.U. civili n.1911/63 e n.19014/07), con riduzione dei compensi per la fase istruttoria di 1/3 essendosi proceduto unicamente a CTU e in considerazione dell'attività processuale effettivamente svolta dalle parti. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta a R.G. n. 1097/2020, e vertente tra le parti di cui in epigrafe, così provvede: - Condanna Ge.It. S.p.A. a pagare a De.Ag., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza del sinistro per cui è causa, detratto quanto già versato prima del giudizio, la somma di Euro 6062,6 e, a titolo di danno patrimoniale, la somma di Euro 40.895,32, tutto oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo; - Condanna Ge.It. S.p.A. alla refusione in favore di De.Ag. delle spese processuali, che liquida nella somma complessiva di Euro 71241,00, di cui Euro 1241,00 per spese, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Viterbo il 18 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 3442 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuta in decisione all'udienza del 3 maggio 2023, promosso da CONDOMINIO (...), sito in Viterbo, (c.f. (...)) in persona dell'Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Civita castellana, via (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Sa. il quale lo rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo opponente contro STUDIO GN.GE.CO. S.r.l., (c.f../P.Iva (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore Ma.Gn., elettivamente domiciliato in Viterbo, Piazza (...), presso lo studio dall'avv. Ma.Sa. il quale lo rappresenta e difende giusta delega allegata al decreto ingiuntivo opposto opposto Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo n. 1104/2019 del 25.10.2029, R.G. n. 2752/2019 Conclusioni: come da verbale dell'udienza del 3 maggio 2023 richiamando le rispettive conclusioni rassegnate, in particolare per parte opponente "insiste nell'ammissione delle istanze istruttorie tutte articolate nella memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. nella parte in cui esse sono funzionali all'accoglimento delle conclusioni, come di seguito integrate e rassegnate: "Piaccia all'Ill.mo Giudice del Tribunale adito, contrariis reiectis, per i motivi esposti in premessa, previa conferma della già disposta sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto: Nel merito, in accoglimento della presente opposizione, revocare, porre nel nulla, nonché dichiarare privo di ogni effetto il decreto ingiuntivo n. 1104/2019 (R.G. n. 2752/2019 Repert. n. 2043/2019), emesso dal Tribunale di Viterbo il 25 ottobre 2019 dal Giudice Dott. F. Scavo Lombardo, in quanto ingiustamente ed illegittimamente concesso per i motivi di cui in narrativa dichiarando, in ogni caso, che nulla è dovuto dal Condominio (...) e, per l'effetto, revocarlo e considerarlo come mai emesso e dato, per i motivi tutti dedotti". Con ogni provvedimento di legge ed ogni pronunzia per l'esecuzione. Condannare l'opposta alla refusione delle spese della CTU. Con vittoria di spese e compensi di lite, oltre le spese forfettarie 15%, iva e cpa come per legge"; per parte opposta richiamando le conclusioni rassegnate nella comparsa di costituzione e risposta: " Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis rejectis, accertata la piena validità ed efficacia del decreto ingiuntivo opposto per i motivi esposti in narrativa, previa conferma della provvisoria esecuzione ovvero previa emissione dell'ordinanza di cui all'art. 648 c.p.c. di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, respingere l'avversa opposizione perché infondata in fatto e diritto e non provata, e, per l'effetto, confermare in ogni sua parte il D.I. opposto. In subordine, nella denegata ipotesi di revoca del D.I. opposto, Voglia l'Ill.mo Tribunale adito condannare il CONDOMINIO (...), via (...) a Viterbo, cf (...), in persona dell'Amministratore p.t., al pagamento della somma di Euro.63.775,05, oltre interessi dal dì del dovuto al saldo, ovvero dell'eventuale diversa somma, maggiore o minore, che, anche a seguito dell'espletamento di CTU contabile, risulterà dovuta. Con vittoria di spese e compensi professionali". Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, Condominio (...) avversava il provvedimento monitorio n. 1104/2019 del 25.10.2029, R.G. n. 2752/2019, emesso immediatamente esecutivo dal Tribunale di Viterbo in favore di Studio Gn.Ge.Co. S.r.l., ex amministratore del Condominio sino al 13.10.2013, e contenente l'ingiunzione di pagamento della somma di Euro 63.775,05, oltre interessi e spese della procedura, richiesti a titolo di asseriti crediti risultanti da verbale di passaggio di consegne per anticipazioni dell'amministratore uscente effettuate per conto del Condominio e per fatture dello stesso che non avevano trovato liquidità per essere corrisposte. A fondamento della opposizione spiegata il Condominio opponente, contestando in fatto e in diritto la prospettazione di parte opposta, deduceva che al ricorso per decreto ingiuntivo non era stata allegata alcuna fattura né scrittura autentica e che alcun documento era stato mai deliberato dal condominio nei termini e nei modi dedotti da controparte e che per ottenere il rimborso richiesto a nulla valeva quanto riportato nel verbale di passaggio di consegne, dalla giurisprudenza unanimemente ritenuto inidoneo a confortare probatoriamente le richieste avanzate; contestando il valore probatorio della documentazione posta a fondamento della domanda monitoria, evidenziando come il Condominio avesse eseguito i pagamenti per i compensi dell'opposto ove corrispondentemente emessa fattura, avendo invero eseguito ulteriori pagamenti dopo il passaggio di consegne per Euro 10.000,00, sempre a titolo di compensi di gestione, per i quali l'opposto non aveva rilasciato relativa fattura, nonché evidenziando che la presunta autorizzazione all'Amministratore di anticipare le somme nel caso di mancanza di liquidità e carenza di cassa di cui al verbale di assemblea del 10.5.2012 in realtà non era stata mai discussa a detta assemblea - come evincibile dalla bozza in formato word inviata di detto verbale di assemblea da completare solo con i nomi di battesimo, ove tale autorizzazione non risultava -, concludeva chiedendo, previa richiesta di sospensione ex art. 649 c.p.c. dell'efficacia del decreto ingiuntivo opposto, la revoca dello stesso nulla dovendo l'opponente a parte opposta, con vittoria di spese di giudizio. Si costituiva in giudizio Studio Gn.Ge.Co. S.r.l. contestando l'opposizione spiegata in quanto infondata in fatto e in diritto evidenziando, in particolare, come le somme vantante con il ricorso monitorio fossero unicamente quelle anticipate personalmente in favore del Condominio quale amministratore dello stesso, come evincibile dalle voci dei bilanci analiticamente redatti e approvati, nonché rilevando che parte opponente non aveva dato prova del pagamento del saldo per le causali di cui al ricorso monitorio e che alcun pagamento della somma di Euro 10.000,00 risultava in realtà corrisposto; contestando inoltre la dedotta falsità del verbale assembleare del 10.5.2012, per l'asserita aggiunta allo stesso dell'autorizzazione all'Amministratore dell'epoca ad anticipare anche con sue risorse le somme necessarie per garantire la continuità di gestione del Condominio, potendosi bene evincere dall'analisi del documento che questo risultava essere stato redatto riga per riga, senza interruzioni o aggiunte successive, dattiloscritto, stampato e poi sottoscritto dal Presidente e dal Segretario, concludeva chiedendo, previa conferma della provvisoria esecutività concessa, ovvero, in subordine, concedendola ex art. 648 c.p.c., il rigetto dell'opposizione promossa, e comunque la condanna del Condominio (...) al pagamento in favore di parte opposta della somma di Euro 63.775,05, oltre interessi dal dì del dovuto al saldo, ovvero dell'eventuale diversa somma, maggiore o minore, che, anche a seguito dell'espletamento di CTU contabile, risulterà dovuta, con vittoria delle spese di lite. Disposta la sospensione dell'immediata efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto e concessi i richiesti termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., all'esito veniva disposta consulenza tecnica d'ufficio contabile al fine di verificare la sussistenza e consistenza del credito vantato da parte opposta nei rapporti dare/avere tra le parti, rigettando le prove orali articolate da parte opponente e non disponendo l'ordine di esibizione richiesto da parte opposta. Successivamente al deposito dell'elaborato peritale la causa veniva rinvita per la precisazione delle conclusioni e trattenuta in decisione all'udienza del 3 maggio 2023 con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. avendo ritenuto le risposte date dal ctu esaurienti anche con riferimento alle osservazioni alla bozza dei rispettivi consulenti tecnici di parte e la causa sufficientemente istruita e matura per la decisione senza necessità di chiarimenti o integrazioni alla ctu e confermando quanto già valutato in ordine alle altre istanze istruttorie avanzate dalle parti. 2. L'opposizione è fondata nei limiti di seguito indicati. Come è noto, l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione nel quale il giudice è investito del potere - dovere di pronunciare sull'accertamento della pretesa creditoria fatta valere con la richiesta di ingiunzione da parte opposta (che ha posizione sostanziale di attore) e sulle eccezioni e difese fatte valere dall'opponente (che assume posizione sostanziale di convenuto) e ciò tenendo conto della distribuzione degli oneri probatori, con la conseguenza che il creditore che agisce per l'adempimento, o per censurare l'inadempimento della controparte e per la risoluzione del contratto, con consequenziale richiesta di risarcimento del danno, deve solo provare la fonte (negoziale o legale) del suo titolo, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento di controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova di un fatto estintivo dell'altrui pretesa o dell'impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Ebbene, tenuto conto che, come già rilevato in corso di causa, prova del credito vantato da parte opposta non può rinvenirsi nell'indicazione contenuta nel verbale di passaggio di consegne con il nuovo amministratore in quanto, oltre a considerare che l'indicazione della debenza è inserita nell'ambito dell'elenco dei documenti consegnati (doc. n. 4 e relativa esplicazione, del verbale di consegna del 31.10.2013), quest'ultimo laddove, come nel caso di specie, non autorizzato dai partecipanti alla comunione "non ha il potere di approvare incassi e spese condominiali risultanti da prospetti sintetici consegnatigli dal precedente amministratore e, pertanto, l'accettazione di tali documenti non costituisce prova idonea del debito nei confronti di quest'ultimo da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando, invece, all'assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore" (cfr. Cass. n. 8498/2012) in quanto l'accettazione, da parte del nuovo amministratore, della documentazione condominiale consegnatagli dal precedente così come un pagamento parziale, a titolo di acconto di una maggiore somma, "non costituiscono prove idonee del debito nei confronti di quest'ultimo da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando pur sempre all'assemblea di approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell' amministratore", con la conseguenza che la sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione, apposta dal nuovo amministratore, "non integra una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata" (cfr. Cass. n. 5062/2020), si osserva che la pretesa al rimborso per anticipazioni dell'amministratore, asseritamente intervenute in costanza e in adempimento del mandato, così come la richiesta dei suoi compensi nella misura indicata come anche precisata in corso di giudizio, non hanno trovato riscontro probatorio nella quantificazione di cui alla domanda monitoria. Invero, in particolare quanto al riconoscimento delle pretese per rimborso anticipazioni, si rileva che questo postula la loro necessaria inerenza all'attività demandata all'amministratore e il conseguente dovere del Condominio, mandante, giusta previsione dell'art. 1719 c.c., di rendere disponibili al proprio mandatario, amministratore, i mezzi necessari per l'esecuzione dell'incarico. Tuttavia, quand'anche il rendiconto - soggetto al principio di cassa - evidenzi un disavanzo tra le entrate e le uscite, l'approvazione dello stesso non consente di ritenere dimostrato, neanche in via di prova deduttiva, che la differenza sia stata versata dall'amministratore con denaro proprio ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l'importo corrispondente, essendo onere dell'amministratore allegare, giusto il principio dell'art. 2697 c.c., la prova di aver anticipato, in favore del Condominio, personalmente le somme di cui chiede il rimborso. Ebbene, nel caso di specie deve rilevarsi che detta prova non è stata offerta nella quantificazione originariamente vantata da parte opposta. Partendo dal dato fattuale non contestato, vale a dire che risultano rendiconti approvati per le annualità consuntivo 1.8.2009-31.7.2010, consuntivo 1.8.201031.7.2011 e preventivo di spesa 1.8.2011-31.7.2012 e che l'ulteriore rendiconto a disposizione si riferisce all'annualità 1.8.2012 fino a chiusura (14.10.2013) per il quale non è intervenuta un'approvazione totale, riservandosi l'assemblea quanto ai compensi per l'amministratore e alle spese anticipate, deve evidenziarsi che affinché l'opponente possa essere considerata debitrice delle somme vantate dall'opposto occorre un atto di volizione da parte dell'assemblea su un oggetto specifico posto all'esame dell'organo collegiale (cfr. Cass 10153/2011), che nel caso di specie non risulta sussistere per tutto quanto già rilevato in ordine al verbale di passaggio di consegne del 31.10.2013 e vista l'assenza di approvazione specifica dell'esposizione debitoria nei confronti dell'amministratore da parte dell'assemblea condominiale, dovendosi conseguentemente valutare se parte opposta abbia o meno allegato la prova di aver anticipato, in favore del Condominio, personalmente le somme di cui chiede il rimborso consentendo di verificare l'effettivo esborso sostenuto e se sussista dunque il titolo della pretesa creditoria. Deve al riguardo osservarsi che la ricostruzione dei rapporti dare/avere eseguita dal ctu (cfr. elaborato peritale depositato in data 24.10.2022) mediante la ricostruzione dei documenti di spesa e di pagamento è stata sul punto dirimente. Invero, condotta l'indagine con metodo corretto sulla base dei documenti giustificativi, avendo dato atto dell'assenza dello stato patrimoniale, della situazione di cassa e della relazione dell'amministratore che, pur non dovuti ratione temporis, avrebbero comunque offerto una utilità rilevante all'analisi condotta, lo stesso ausiliare del giudice ha effettuato, come richiesto, il riscontro tra le voci di spesa e il relativo documento di pagamento in modo da determinare il soggetto operante e l'oggetto del pagamento, evidenziando che a fronte della mole di documenti depositati da parte opposta (cfr. doc. n. 8 fascicolo parte opposta) dall'agosto 2010 all'agosto 2013, pochissima è stata la documentazione a prova del pagamento, dovendosi condividere il metodo in ragione del quale le mere annotazioni a penna unilaterale non potevano considerarsi come elementi certi di prova, eccezion fatta per quelle nelle quali vi era un ulteriore riferimento ad un assegno o a un bonifico allegato e, dunque, concludendo complessivamente per un debenza a tale titolo dovuta da parte dell'opponente pari alla minor somma di Euro 4.947,59. Né a diverso avviso potevano condurre le osservazioni alla ctu in ordine alla mancata inclusione, nelle somme dovute, di quelle relative ad asseriti pagamenti effettuati in contanti e al riferimento ad assegni emessi su determinati conti correnti riferibili all'opposta, atteso che la prova della riferibilità di detti conti all'opposta, così come il deposito delle matrici degli stessi da parte di questa, doveva essere offerta nei termini all'uopo concessi nell'ambito delle regole processuali civili, considerato che in contestazione tra le parti era sin da subito proprio la riferibilità dei pagamenti a detta parte opposta e che, ad ogni modo, il ctu ha altresì dato atto che alcuna documentazione ulteriore nel corso dello svolgimento delle operazioni peritali - ferma sempre l'eventuale previa autorizzazione all'acquisizione da parte di questo giudice -, è stata offerta da parte opposta. Con riferimento poi alle somme relative ai compensi maturati dall'amministratore per l'attività prestata, parimenti si ritiene di condividere le conclusioni cui è giunto l'ausiliare del giudice in primo luogo evidenziando che l'esclusione delle somme relative all'esercizio anno 2009/2010 non è conseguenza della presunzione della già avvenuta corresponsione, ma della domanda per come avanzata già in sede monitoria, ove alcun riferimento viene fatto dalla parte ingiungente, oggi opposta, a detta annualità, avendo la stessa limitato la domanda promossa, già nell'originaria quantificazione, all'attività relativa alla gestione dall'1.8.2010 e per gli anni a seguire fino all'avvicendamento con il nuovo amministratore e dunque, correttamente il ctu ha accertato il credito maturato a tale titolo, e ancora non corrisposto, nella somma complessiva di Euro 8.180,00 avendo verificato che per la complessiva somma dovuta, pari a Euro 18.120,00, Euro 10.880,00 risultavano già corrisposti in base alla documentazione di pagamento depositata. Né a diversa conclusione poteva giungersi in forza delle doglianze di parte opponente quanto all'inadempimento asserito da parte dell'opposto in relazione all'esercizio dall'1 agosto 2012 al 31 luglio 2013, inadempimento che parte opponente avrebbe dovuto allegare e provare in maniera compiuta in ragione del riparto degli oneri probatorie e ferma e in disparte la circostanza che ben potrà parte opponente richiedere l'emissione delle fatture relative al pagamento delle prestazioni professionali in ordine ai compensi riconosciuti. Alla luce di quanto sopra deve dunque riconoscersi complessivamente la pretesa creditoria vantata da parte opposta nei confronti del Condominio opponente per la minor somma complessiva di Euro 13.127,59, oltre interessi dalla domanda monitoria al saldo, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo e condanna della parte opponente al pagamento della predetta minor somma così come accertata. Le spese di lite, liquidate in base al D.M. 55 del 2014 e s.m.i., visto l'esito complessivo della controversia che ha visto la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'opponente al pagamento di una somma pari a circa un quinto di quella originaria (Euro 13.127,59 a fronte degli originari Euro 63.775,05) devono compensarsi nella misura dei quattro quinti tra le parti, ponendo la residua frazione di un quinto in favore di parte opposta (cfr. Cass. n. 17854/2020) avendo anche valutato in tale statuizione la circostanza della venuta meno delle spese di lite per la procedura di ingiunzione (cfr. Cass. n. 24482/2022). Le spese di ctu, già liquidate con separato decreto, devono invece porsi definitivamente a carico delle parti in solido tra loro, attesa l'utilità per entrambe dell'espletamento dell'incarico, e con riparto nei rapporti interni al 50%. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - accoglie parzialmente l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 1104/2019 emesso dal Tribunale di Viterbo in data 25.10.2029, R.G. n. 2752/2019; - condanna il Condominio (...), sito in Viterbo, in persona dell'Amministratore pro tempore, al pagamento in favore di Studio Gn.Ge.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, della somma di Euro 13.127,59, oltre interessi dalla domanda monitoria al saldo; - compensa le spese di lite tra le parti nella misura dei quattro quinti; - pone la residua frazione di un quinto delle spese di lite a carico di parte opponente e in favore di parte opposta liquidando tale frazione in complessivi Euro 2.800,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge; - pone le spese della consulenza tecnica di ufficio definitivamente a carico delle parti in solido tra loro con ripartizione nei rapporti interni nella misura della metà ciascuno. Così deciso in Viterbo, 15 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 1387 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, trattenuto in decisione all'udienza del 26 aprile 2023 tra Si.Mi. (c.f. (...)), Da.Mi. (c.f. (...)) rappresentati e difesi dall'avv. Ed.Al. ed elettivamente domiciliati presso lo studio in Roma, via (...), giusta procura a margine dell'atto di citazione attori contro AZIENDA Sa.Lo. (P.iva (...)), in persona del Direttore Generale Dott.ssa Da.Da., rappresentata e difesa dall'avv. Al.Be. ed elettivamente domiciliata presso lo studio in Roma, Via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione convenuto contumace Oggetto: responsabilità professionale medica. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, i sig.ri Si.Mi. e Da.Mi., in proprio e in qualità di eredi della loro madre Va.Pr. deceduta il 17.6.2018, convenivano in giudizio la As., in persona del legale rappresentante pro tempore, al fine di sentire accertare e dichiarare la responsabilità della parte convenuta in relazione al decesso di Va.Pr., a causa delle negligenti condotte del personale degli Ospedali di Civita Castellana ("S. Giovanni Decollato Andonsilla") e di Tarquinia, e, per l'effetto, sentirla condannare, altresì, al risarcimento dei danni patrimoniali e non, nella misura indicata o in quella di giustizia, con interessi e rivalutazione dal dì dell'evento fino all'effettivo saldo nonché vittoria dei compensi professionali da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario nell'atto di citazione. A sostegno della domanda avanzata gli attori deducevano: che dopo un primo accesso, in data 20.3.2013, della loro madre, Va.Pr., all'epoca di anni 83, presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale San Giovanni Decollato Andosilla di Civitacastellana in conseguenza di una caduta accidentale in ambito domestico, ove, a fronte degli esami radiologici eseguiti, le veniva diagnosticato "Trauma contusivo anca sinistra. Giorni 5 s.c.", in data 1.4.2013, dato il persistere della sintomatologia algica locale associata a limitazione funzionale articolare, la paziente veniva trasportata in ambulanza presso il Pronto Soccorso del medesimo nosocomio ove, previa esecuzione di radiografia bacino ed anca sinistra, veniva posta diagnosi di "Frattura sottocapitata testa femore sinistro. Giorni 30 s.c."; che, in ragione di detta frattura, in data 4.4.2013, Va.Pr. veniva sottoposta ad intervento chirurgico di endoprotesi non cementata dell'anca sinistra presso lo stesso nosocomio; che, verificato il corretto posizionamento della protesi, la Pr., veniva trasferita presso Casa di cura Villa Immacolata di S. Martino al Cimino per dare seguito della terapia riabilitativa prescritta dal nosocomio di Civita Castellana, vale a dire con deambulazione mediante ausili a carico progressivo; che tuttavia, nonostante le buone condizioni della paziente registrate all'ingresso della casa di cura, non lamentando alcuna compromissione neurologica cognitiva, del comportamento, della comunicazione, del linguaggio e sensoriale, durante il ricovero la stessa lamentava forti dolori all'arto inferiore accompagnati ad impotenza funzionale dello stesso in ragione della quale veniva sottoposta a terapia riabilitativa fuori carico e, successivamente, a nuovo controllo radiologico dal quale emergeva l'affossamento della protesi e la rottura del femore alla fine della protesi stessa, con conseguente trasferimento, in data 6.5.2013 presso il reparto di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale Civile di Tarquinia; che in detto nosocomio, verificato l'affondamento della protesi e la presenza di una nuova frattura alla base dello stelo protesico, provvedevano, in data 9.5.2013, a sottoporre la sig.ra Pr. ad un nuovo intervento chirurgico per la revisione dello stelo protesico ed apposizione di tre cerchiaggi e, in data 15.5.2013, dimessa con prescrizione di terapia farmacologica e divieto di carico sull'arto inferiore sinistro per 30 giorni nonché nuovamente trasferita presso la Casa di Cura Villa Immacolata per il percorso riabilitativo, struttura presso la quale i sanitari verificarono l'iniziale stato di prostrazione della paziente, con lievi segni di deterioramento cognitivo ed eminattenzione spaziale; che, trascorsi 5 giorni dal ricovero presso la struttura riabilitativa, veniva dato atto che "Per cause non note ha nuovamentesviluppato frattura del gran trocantere. Si ricovera per accertamenti e cure", seguendo poi, in data 30.5.2013, presso l'Ospedale Civile di Tarquinia, ulteriore intervento chirurgico per la riduzione della frattura del femore sinistro con fissazione interna, intervento a seguito del quale, benché tecnicamente corretto, non seguirono gli esiti sperati, avendo contratto la paziente grave infezione, diagnosticata a fronte di una consulenza infettivologica eseguita in data 25.6.2013 dalla quale emergeva "Infezione della ferita chirurgica in seguito a reintervento ed applicazione di protesi con placca... la ferita si presenta con margini flogosati e secernente siero...", in conseguenza della quale veniva sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico, eseguito in data 4.7.2013, di asportazione della protesi infetta ed impianto di spaziatore antibiotato dalla cartella clinica del quale emergeva, in data 20.7.2013, diagnosi di "osteomielite del femore e con tamponi ferita positivi per Pseudomonas aeruginosa" con dimissioni in data 2.8.2013 con prescrizione di medicazioni a giorni alterni, uso di tutore in adduzione, possibile assunzione di posizione seduta e controllo clinico il 01.09.2013; che, successivamente, in data 5.9.2013 la paziente veniva ricoverata presso il reparto Ortopedia del "Policlinico A. Gemelli" con diagnosi di "Infezione spaziatore anca sinistra", emergenza che imponeva ai sanitari di sottoporla a due interventi chirurgici: in data 7.9.2013 per la rimozione dello spaziatore infetto, in occasione del quale vennero eseguiti tamponi intraoperatori risultati positivi per Staphilococcus Aureus e Pseudomonas Aeruginosa, l'altro eseguito in data 20.9.2013 per l'impianto di uno spaziatore antibiotato lungo, cementato nella diafisi femorale; che in data 28.9.2013 la Pr. veniva definitivamente dimessa con prescrizione di terapia medica a domicilio in un quadro di definitivo ed irreversibile allettamento per l'impossibilità di eseguire una riprotesizzazione in conseguenza della persistente emergenza settica ormai cronicizzatasi ed evoluta in osteomielite; che la Pr., allettata con deterioramento cognitivo e disturbi comportamentali come diagnosticati nel tempo e con un complesso piano di assistenza domiciliare eseguito dai sanitari della As., i quali si recavano al suo domicilio in media tre volte la settimana, decedeva in data 17.6.2018, con certificato di morte Istat dal quale si evinceva in merito alla "sequenza di condizioni morbose o traumatismi o avvelenamenti che ha condotto a morte" quanto segue: "frattura femore sinistro - infezione Pseudomonas Aeruginosa recidivante - Alzheimer - Collasso Cardio Circolatorio irreversibile" e nella sezione "altri stati morbosi" annotazione di "Allettamento". Ciò premesso parte attrice evidenziava che a fronte della complessa vicenda caratterizzata da esiti abnormi e incompatibili rispetto a quelli auspicabili in conseguenza delle attività poste in essere nella generalità dei casi per risolvere una semplice frattura di femore, erano stati promossi due giudizi ex art. 696 bis c.p.c. e art. 8 L. n. 24 del 2017, l'uno, R.G. n. 1204/2017, ancora in vita la Pr., promosso anche dai figli, odierni attori, al fine di stabilire la sussistenza di inadempimenti qualificati (ivi compresi quelli organizzativi, relativi al cedimento della catena di prevenzione delle infezioni ospedaliere) in capo ai sanitari che la ebbero in cura in diretto nesso causale con i gravi postumi che la medesima lamentava, e l'altro R.G. n. 3579/2018, deceduta quest'ultima e promosso dai soli figli della de cuius, per verificarne la riconducibilità del decesso ai comportamenti colposi, già riconosciuti in capo al personale delle strutture sanitarie facenti capo all'Azienda convenuta all'esito del primo accertamento tecnico, procedimenti conclusisi, nonostante l'affidamento di entrambe le consulenze tecniche d'ufficio al medesimo ctu medico legale, nel secondo e più recente coadiuvato da uno specialista in Ortopedia con incarico peritale collegiale, con esiti tra loro incompatibili e contraddittori. Deducendo che tali discordanti conclusioni avevano compromesso la possibilità di addivenire ad una conciliazione tra le parti, gli attori rappresentavano di aver nuovamente adito l'autorità giudiziaria, a fronte della situazione di stallo creatasi e tenuto conto dell'esito negativo del procedimento di mediazione attivato in vista dell'odierno giudizio in data 27.4.2020, attesa la sussistenza della responsabilità della As. quanto al decesso della sig.ra Pr., ovvero, in subordine, per le gravissime lesioni dalla medesima lamentate e subite che avevano caratterizzato i suo ultimi anni di vita e concludevano, pertanto, chiedendo, iure hereditatis e in proprio, il risarcimento dei danni patrimoniali e non per i danni conseguenti agli inadempimenti dei sanitari dell'Ospedale di Civita Castellana per l'inadeguata procedura chirurgica eseguita (protesi di anca non cementata a fronte di fragilità ossea) e per le improprie indicazioni alle dimissioni (carico progressivo sull'arto operato) e dei sanitari dell'Ospedale di Tarquinia i quali avevano omesso di approntare le cautele imposte per limitare il rischio di contrazione di infezioni. Si costituiva in giudizio la As. contestando tutto quanto dedotto e richiesto dagli attori perché infondato, rappresentando invero che la paziente era stata sottoposta ad un corretto trattamento sanitario tecnico, assistenziale e chirurgico rappresentando l'insorgenza dell'infezione della ferita chirurgica da "Pseudomonas Aeruginosa" un evento imprevedibile avendo le strutture nosocomiali attuato ogni cautela e precauzione, funzionale, strutturale e di metodo, al fine di mantenere costante un'ottimale sanificazione della struttura, dei locali, degli ambienti, dei mezzi e del personale addetto e concludendo, pertanto, con la richiesta di rigetto della domanda attorea, o in subordine con una riduzione del quantum debeatur, con vittoria delle spese di lite. Concessi i termini per le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. all'esito, dato atto delle doglianze, in particolare di parte attrice, in ordine alle contraddizioni emerse nelle relazioni redatte all'esito dei due procedimento già promossi ex art. 696 bis c.p.c. (l'uno, R.G. n. 1204/2017, avente ad oggetto la verifica della responsabilità medica quanto ai trattamenti sanitari riservati alla sig.ra Va.Pr. e l'altro, R.G. n. 3579/2018, volto a verificare se il decesso sopravvenuto della sig.ra Va.Pr. fosse o meno collegato eziologicamente ai trattamenti sanitari ricevuti di cui al precedente proceidmento), pur avendo fatto parte del collegi peritale del secondo procedimento il medesimo medico nominato quale unico ctu, medico legale, nel primo, i componenti del collegio peritale venivano chiamati a comparire per rendere chiarimenti e, in detta sede di udienza, veniva loro conferito incarico integrativo al fine di chiarire i profili di coordinamento tra i risultati delle due consulenze svolte nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. quanto alla valutazione della condotta dei sanitari nell'ambito dell'intervento chirurgico e del postoperatorio e per valutare se, e nel caso, in che percentuale l'incidenza dell'infezione contratta dalla Pr. in ordine al suo decesso anche in termini di concausalità efficiente dovesse ravvisarsi. All'esito del deposito da parte del collegio peritale dell'integrazione della consulenza tecnica d'ufficio, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e, da ultimo, trattenuta in decisione all'udienza del 26 aprile 2023 con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. Ai fini della valutazione della domanda avanzata dagli attori occorre osservare che, posto che questi hanno convenuto in giudizio la sola As. in ragione della asserita responsabilità delle strutture ospedaliere ad essa facenti capo e che ebbero in cura la sig.ra Pr., deceduta in data 17.6.2018, tanto con riferimento all'eventuale responsabilità ascritta alla convenuta per gli errati interventi di natura ortopedica posti in essere nel 2013, in particolare da parte dei sanitari dell'Ospedale di Civita Castellana per l'inadeguata procedura chirurgica eseguita (protesi di anca non cementata a fronte di fragilità ossea) e per le improprie indicazioni alle dimissioni (carico progressivo sull'arto operato), che per il decesso della medesima sig.ra Pr. nel 2018 a causa delle asserite omesse cautele imposte per limitare il rischio di contrazione di infezioni da parte dei sanitari dell'Ospedale di Tarquinia, la natura della responsabilità dedotta è contrattuale. Invero i principi che governano l'accertamento della responsabilità nell'ambito di un rapporto professionale medico, sono quelli derivanti dal rapporto contrattuale (o "da contatto") che si instaura anche di mero fatto con l'affidamento del paziente alle cure della struttura sanitaria, dando luogo ad un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che può ben essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico dell'ente, accanto a quelli di tipo latu sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico adeguato alle prestazioni da fornire, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze. La responsabilità dell'ente nei confronti del paziente, nella sua natura così individuata, può dunque conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico e ne consegue che l'onere probatorio è ripartito tra le parti nel senso che chi invoca la responsabilità della struttura sanitaria è onerato dalla prova dell'esistenza del rapporto professionale, o contratto, e dell'allegazione dell'inadempimento in ragione della specifica prestazione dedotta, mentre sulla struttura grava l'onere di provare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che il mancato perseguimento del risultato sia stato determinato da un evento imprevedibile e imprevisto (cfr. Cass. n. 10297/04; Cass. 8826/2007; Cass. n. 13953/2007). In virtù della natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, costituisce quindi onere della stessa provare la correttezza dell'operato del proprio personale sanitario secondo gli imposti criteri di diligenza e perizia, con la conseguenza che, ove sussista incertezza sull'operato, l'inadempimento deve essere accertato in base alla regola dell'onere probatorio; ricade, invece, a carico del paziente l'onere della prova del nesso causale, con i criteri della probabilità logica, generalmente fornita per presunzioni e mediante prova di fatti secondari. Nella prospettiva dell'accertamento, dunque, la casualità civile è retta dalle medesime regole che presiedono alla verifica del nesso di causalità nel giudizio penale atteso che ciò che muta è lo standard probatorio necessario per l'affermazione della responsabilità; ed invero, mentre nel campo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", stante la diversità dei valori in discussione e l'equivalenza delle posizioni delle parti contendenti nel processo civile (cfr. Cass. S.U. n. 580/2008; Cass. n. 21619 del 2007). Sul fronte della colpa, la responsabilità medica postula la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività sanitaria, tra i quali quello della diligenza, che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività, essendo tenuto il medico alla diligenza del debitore qualificato prevista dall'art. 1176, secondo comma, c.c. e, dunque, al rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica. Tale natura di responsabilità contrattuale è quella poi scelta dal legislatore con la riforma attuata dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie", entrata in vigore il 1 aprile 2017 e applicabile, dunque, sempre al caso di specie tenuto conto che l'evento dedotto dell'exitus si è verificato successivamente all'entrata in vigore della legge c.d. Gelli. In particolare, all'art. l'art. 7 della L. n. 24 del 2017 ha inquadrato la responsabilità della struttura ospedaliera quale responsabilità contrattuale, in ragione dell'avvenuta stipulazione del contratto atipico di spedalità, mediante l'acquisizione del consenso, anche implico (accettazione) del paziente in ragione del quale, per l'effetto, la struttura e la A. di riferimento risponderà ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c, avendo invece codificato e chiarito, diversamente, in relazione alla responsabilità del medico, una "decontrattualizzazione", con natura della responsabilità attribuibile a quest'ultimo di natura extracontrattuale o aquiliana, salvo l'ipotesi della sussistenza di un pregresso contratto d'opera professionale stipulato con il paziente. Inoltre, il rapporto tra paziente e la struttura sanitaria esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto, sicché l'inadempimento della struttura genera responsabilità contrattuale esclusivamente nei confronti dell'assistito, che può essere fatta valere dai suoi congiunti "iure hereditario", senza che questi ultimi invece, possano agire a titolo contrattuale "iure proprio" per i danni da loro patiti. In particolare, non è configurabile, in linea generale, in favore di detti congiunti, un contratto con effetti protettivi del terzo (Cass., n. 14615/2020). Pertanto, mentre per i danni invocati iure hereditatis (danno biologico terminale), in virtù della natura contrattuale della struttura sanitaria, costituisce onere del personale sanitario provare la correttezza del proprio operato secondo gli imposti criteri di diligenza e perizia, con la conseguenza che, ove sussista incertezza sull'operato, l'inadempimento deve essere accertato in base alla regola dell'onere probatorio, per i danni invocati "iure proprio" da parte attrice, la responsabilità della struttura sanitaria è qualificabile come extracontrattuale (Cass., n.21404/2021) (danno da perdita parentale). Ciò posto, tali essendo le coordinate normative ed interpretative sulla base delle quali va ricercata la soluzione del caso in esame, la posizione processuale delle parti deve essere valutata secondo quanto di seguito precisato. Ebbene, risulta provato dalla documentazione in atti, la sussistenza del rapporto di prestazione professionale medica presso le strutture ospedaliere di Civita Castellana e Tarquinia, riferibile all'Azienda Sa.Lo. e parimenti l'effettuazione degli interventi chirurgici narrati da parte attrice. Tuttavia, dalla documentazione in atti non risulta sufficientemente provato il nesso causale che lega l'evento (peggioramento delle condizioni di vita della Pr. e successivo decesso) con la condotta tenuta dai sanitari. Invero, all'esito del procedimento R.G. n. 3579/2018, cui è seguita consulenza tecnica d'ufficio di integrazione dell'elaborato peritale disposta in questo procedimento, nell'ambito della procedura chirurgica, nonostante siano state rilevate condotte negligenti da parte dei sanitari, è stato accertato che queste non hanno avuto conseguenze rispetto all'ulteriore lamentato decorso, non ponendosi in rapporto eziologico diretto né con quanto poi vissuto dalla paziente, né con il decesso della stessa. In particolare, le mancanze ravvisate, e individuate nella mancata diagnosi iniziale di frattura sottocapitata del femore sinistro non rilevata al primo accesso al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Civita Castellana avvenuto in data 20.3.2013, evidenziata, invece, solo al successivo accesso in pronto soccorso del 1.4.2013, e la circostanza che "sarebbe stata buona pratica medica impiantare una protesicementata alla luce del riscontro della complicanza intraoperatoria", rispetto all'applicazione di un'artoprotesi non cementata, sono state ritenute non determinanti o incidenti sull'evoluzione successiva della situazione della paziente considerato che il collegio dei ctu ha concluso nel senso che "Non si ritiene che il ritardo nell'esecuzione dell'intervento dovuto alla mancata iniziale diagnosi abbia al fine arrecato maggior danno alla paziente" e che "Riguardo alla cementazione o meno, non risultano precise indicazioni nelle principali linee guida nè dati univoci nella recente letteratura internazionale. Nel caso in esame è stato utilizzato un impianto rivestito di idrossiapatite che consente una maggiore osteointegrazione, ma sia per l'età che per l'insorta complicanza intraoperatoria, sarebbe stata buona pratica utilizzare una protesi cementata. Si ritiene opportuno precisare che dalla analisi della documentazione sanitaria visionata, l'aver utilizzato una protesi non cementata non è da considerare causa dei successivi interventi chirurgici, dato che le indagini radiografiche post operatorie e quelle eseguite il 13/04/2013 presso Villa Immacolata mostrano una protesi normoposizionata e priva di complicazioni" e altresì che "Durante il ricovero presso Villa Immacolata, in data 30/04/13 viene effettuato un esame radiografico che mostra una frattura periprotesica in sede diafisaria e per tale motivo la paziente è stata trasferita all'Ospedale di Tarquinia. Nella cartella clinica di Villa Immacolata non viene citata alcuna causa di suddetta frattura, mentre nella cartella clinica dell'Ospedale di Tarquinia viene citata nel frontespizio "caduta accidentale" e nel foglio di anamnesi si riporta "riferisce caduta accidentale ... femore sx..". Non è possibile, pertanto, poter accertare con assoluta certezza la causa che ha determinato la frattura: tale tipologia di frattura, è bene precisare, richiede una causa traumatica che, nel caso di persona anziana, può essere anche di lieve entità, come ad esempio una manovra forzata e/o incongrua, il semplice scivolare da una sedia. Tale frattura comporta comunque una instabilità della protesi e l'intervento chirurgico di revisione protesica e sintesi appare adeguato e correttamente eseguito" (cfr. pag. 5 e 6 elaborato peritale del 7.11.2019 depositato nel procedimento R.G. n. 3579/2018) e che in sede di consulenza integrativa gli stessi componenti del collegio peritale, dott. A.B., medico legale, e dott. M.C., specialista in ortopedia, hanno precisato che "Quanto alla condotta dei sanitari riguardo gli interventi di natura ortopedica cui venne sottoposta la signora Va.Pr. si ribadisce che nonostante non siano state sempre osservate le buone regole di prudenza e diligenza con particolare riferimento alla mancata diagnosi iniziale di frattura sottocapitata del femore sinistro, sia la mancata cementazione della protesi di anca in occasione dell'intervento chirurgico del 04.04.2003 non riteniamo che tali mancanze possono aver influito sul decorso post operatorio e sugli iniziali esiti invalidanti accertati in occasione del primo accertamento tecnico né al successivo decesso" (cfr. pag. 2 elaborato peritale depositato in data 22.12.2021), avendo invero i ctu chiarito che "la verosimilecontraria conclusione cui il dottor B. era giunto in occasione del primo accertamento tecnico n.d.r. R.G. n. 1204/2017 circa il riconoscimento della responsabilità addebitata ai sanitari per tale peculiare aspetto, essa fu dovuta al solo studio dei documenti e cartelle cliniche e non anche delle immagini radiografiche acquisite solo in occasione del secondo accertamento tecnico" dalle quali è invece emerso il corretto posizionamento della protesi. Se dunque non può ascriversi alcuna responsabilità a parte convenuta con riferimento agli interventi in ambito ortopedico cui è stata sottoposta la de cuius, complessivamente correttamente eseguiti e, laddove registrate mancanze, ininfluenti rispetto alle condizioni poi scaturite in capo alla paziente e non in nesso causale con le conseguenze lamentate, relativamente all'infezione da "pseudomonas aeruginosa multiresistente", tutte e tre le perizie hanno confermato l'origine nosocomiale della stessa tuttavia senza concludere nel senso della determinazione dell'insorgenza in ragione di una condotta dei sanitari colpevole o comunque non conforme alle linee guida per prevenirla. In particolare, le risultanze cui alla consulenza svolta nell'ambito del procedimento R.G. n. 1204/2017 che l'aveva individuata come "una possibile complicanza del trattamento chirurgico di revisione protesica eseguita presso l'Ospedale di Tarquinia", tuttavia, già nel 2017, sottolineando che lo stato cachettico in cui versava la paziente fosse indipendente dai postumi della frattura trattata e che "Le cause dell'insorgenza, durante il ricovero presso I'U.O. di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di Tarquinia, di infezione da Pseudomonas Arginosa rientra nelle infezioni nosocomiali (Le infezioni ospedaliere sono la complicanza più frequente e grave dell'assistenza sanitaria. Si definiscono così infatti le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell'ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione). Essa si è verificata indipendentemente dal contegno tenuto dai medici viterbesi e da considerarsi una possibile complicanza del trattamento chirurgico di revisione protesica eseguito" (cfr. pag. nn. 16, 17 elaborato peritale dott. B. dell'11.11.2017). Anche le risultanze di cui alla consulenza collegiale disposta nel procedimento R.G. n. 3579/2018, pur chiarendo l'importanza dell'insorgenza del quadro infettivo e della circostanza che la paziente era stata sottoposta ad ulteriori e necessari interventi chirurgici, ha altresì precisato che "come si evince dalla analisi delle cartelle cliniche dell'Ospedale di Civitacastellana e di Tarquinia, in occasione degli interventi chirurgici eseguiti risulta essere stata somministrata profilassi antibiotica preoperatoria. Ciò in accordo con le principali lineee guida (Società I.O., Scottish Intercollegiate Guidelines Network, Infectious Disease Society of America, National Institute for Health and Care Excellence), che evidenziano come lo scopo della profilassi antibiotica sia quello di ridurre l'incidenza di infezione del sito chirurgico; non rappresenta un tentativo di sterilizzare i tessuti, ma di ridurre la crescita batterica secondaria alla eventuale contaminazione intraoperatoria e a un livello che possa essere contenuta dalle difese immunitarie del paziente. La sopraggiunta infezione ha determinato la necessità di ulteriori interventi ma le successive patologie riportate nelle osservazioni di parte attrice risultano indipendenti dalle fratture trattate presso gli Ospedali di Civitacastellana e Tarquinia, come già affermato nella precedente relazione peritale del Dott.B." (cfr. pag. 14 e 15 del 7.11.2019 depositato nel procedimento R.G. n. 3579/2018). Anche nella relazione integrativa redatta in questo giudizio è stato evidenziato che "l'infezione da "Pseudomonas aeruginosa" è una tipica infezione nosocomiale che si contrae nella maggior parte dei casi in ambiente ospedaliero. Si tratta di un patogeno opportunista che colpisce soprattutto persone con difese immunitarie o barriere fisiche (pelle o mucose) compromesse. Detti postumi che tuttavia a fronte della successiva infausta evoluzione del quadro clinico debbono più correttamente inquadrarsi nell'ambito della inabilità temporanea assoluta protrattasi dal giorno della contrazione dell'infezione fino al decesso che dunque deve essere posto il rapporto eziologico diretto con la detta infezione Dalla documentazione presente agli atti non è possibile stabilire in termini percentuali l'incidenza dell'infezione contratta dalla sig.ra Va.Pr. in ordine al suo decesso" (cfr. relazione integrativa depositata in data 22.12.2021); tuttavia la circostanza che tale infezione abbia natura nosocomiale non implica che la stessa sia insorta per una condotta colposa, commissiva od omissiva, dei sanitari, essendo anzi emerso dalle consulenze svolte l'esclusione di tale condotta colpevole, trattandosi invero di una delle possibili complicanze del trattamento chirurgico cui è stata sottoposta la de cuius, e della quale risulta contrastata l'insorgenza mediante la somministrazione di profilassi antibiotica preoperatoria in accordo con le principali linee guida evidenzianti come lo scopo della profilassi antibiotica sia quello di ridurre l'incidenza di infezione del sito chirurgico, e ciò tenuto conto che proprio la circostanza che dalla analisi delle cartelle cliniche dell'Ospedale di Civitacastellana e di Tarquinia risulti che in occasione degli interventi chirurgici eseguiti sia stata somministrata la terapia prevista per ridurre l'incidenza dell'infezione del sito chirurgico dimostrano che i sanitari abbiano posto in essere tutte le condotte previste al fine di prevenire dette infezioni, considerato che il mero riferimento ad una infezione di origine nosocomiale non è sufficiente per ritenere dimostrato che tale infezione sia derivata da omissioni del personale sanitario, essendo compreso nel novero delle infezioni nosocomiali ogni infezione contratta in ambito ospedaliero, senza che per detta ragione possa presumersi un'automatica violazione, da parte dei medici o del personale sanitario, di regole di diligenza, prudenza, o in generale di regole cautelari che nel caso di specie risultano rispettate per come accertato dai consulenti tecnici d'ufficio. Deve al riguardo poi anche considerarsi che nel consenso informato consegnato e sottoscritto per l'intervento eseguito nel luglio 2013, come del resto per quello dell'intervento del maggio 2013, (cfr. doc. n. 11 seconda parte fascicolo parte attrice) si legge, infatti, che costituiscono complicanze e rischi generici dell'intervento di rimozione protesi e posizionamento spaziatore proprio le infezioni, indicate al primo posto nelle possibili complicanze dell'intervento, in un ordine che può trovare giustificazione nella frequenza statistica di verificazione, non potendosi dunque ravvisare per tutto quanto sopra, negligenze professionali, né nesso causale tra la condotta, omissiva o commissiva, dei sanitari quanto all'insorgenza delle infezioni e alla conseguente compromissione delle capacità della paziente e ai postumi invalidanti dalla stessa sofferti né con riferimento al successivo decesso della stessa avendo invero parte convenuta dato prova di aver altresì adottato anche gli strumenti organizzativi generali idonei a prevenire le infezioni ospedaliere, come evincibile dalla documentazione depositata in atti (cfr. allegati memorie istruttorie ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. parte convenuta). Ciò posto, alla luce della documentazione in atti e degli elaborati dei consulenti d'ufficio, le condizioni della paziente e il successivo decesso non risultano in nesso causale con la condotta dei sanitari in ordine alla quale non sono state ravvisate negligenze rilevanti per il caso in esame, con conseguente rigetto della domanda attorea. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in base al Da.Mi. n. 55 del 2014 e s.m.i. secondo lo scaglione di riferimento per il valore della causa come dichiarato, e con applicazione dei valori inferiori ai medi considera la ridotta attività di trattazione e istruttoria espletata, seguono la soccombenza e vengono pertanto poste a carico delle parti attrici. Le spese della ctu collegiale integrativa, già liquidate con separati decreti, vengono poste definitivamente a carico delle parti attrici. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta la domanda di parte attrice; - condanna gli attori, Si.Mi. e Da.Mi., alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, As., in persona del Direttore Generale pro tempore, liquidandole in complessivi Euro 18.500,00, oltre spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; - pone le spese della ctu integrativa definitivamente a carico di parte attrice. Così deciso in Viterbo il 13 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott.ssa Fiorella Scarpato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1119/2020 del R.G.A.C., avente ad oggetto INTERMEDIAZIONE MOBILIARE, pendente TRA Ma.Ca., (nata a B. l'(...) e ivi residente, via S.G. n. 40), E Si.Co. (nato a V. il (...) e residente a B., via S.G. n. 40), elettivamente domiciliati in Viterbo, piazza (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Ca., dal quale sono entrambi rappresentati e difesi come da mandato in calce all'atto di citazione ATTORI E Ba. S.P.A., IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T., elettivamente domiciliata in Milano, via (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Ca. del foro di Milano, dal quale è rappresentata e difesa come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE I sig.ri Ma.Ca. e Si.Co. adivano il Tribunale di Viterbo rassegnando le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale dichiarare 1) che il rapporto di investimento è stato instaurato dalla sola Ca.Ma. ( e non anche dal sig. C.S., cointestatario del conto titoli) e che quindi la stessa è la sola titolare dei titoli azionari Mo. (...) in cui sono state convertite le obbligazioni Mo. acquistate e quindi è titolare essa sola della conseguente pretesa risarcitoria. 2) Dichiarare l'inefficacia del contratto di investimento 18/01/2011 e per l'effetto ordinare alla banca convenuta la ripetizione a favore della sig.ra Ca.Ma. delle somme versate pari ad Euro 50.000,00, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere dalla data di acquisto; In via subordinata: 3) Condannarela banca convenuta al risarcimento a favore della sig.ra Ca.Ma. dei danni subiti pari alla differenza tra il prezzo di acquisto ed il valore attuale delle azioni. In ogni caso con vittoria di spese e compensi professionali". A fondamento della domanda allegavano: che la sig.ra Ca., impiegata a tempo indeterminato all'epoca quale cassiera in un supermercato, già da anni correntista di Mo., disponendo di alcune somme depositate sul conto corrente provenienti da un risarcimento da sinistro stradale si recava presso la Filiale di Orvieto, ove intratteneva il predetto rapporto, per richiedere indicazioni per l'investimento della somma di 50.000 euro; che a tal fine sottoscriveva in data 28.10.2010 un questionario Mo. ove tuttavia venivano riportate affermazioni contradditorie in relazione alla esperienza, indicata come "media" laddove al successivo punto 6 dichiarava di non aver mai investito negli ultimi 3 anni alcuna somma (neppure in titoli di Stato), e dichiarava di conoscere "ad esempio che il capitale investito in titoli azionari subisce generalmente maggiori variazioni fino alla possibile perdita dell'intero capitale, rispetto all'investimento in titoli obbligazionari e che l'investimento diversificato consente di attenuare i potenziali rischi connessi"; che ancora sotto il profilo della adeguatezza dichiarava di avere l'obiettivo di dare stabilità al capitale nel breve e medio periodo anche a fronte di un rendimento contenuto; che ancora in merito all'orizzonte temporale tra i quattro periodi prospettati, la stessa indicava il secondo "di breve medio termine 2-3 anni"; che ancora quanto al rischio riferiva "minimo: voglio ridurre al minimo il rischio di perdita in conto capitale" mentre in relazione alla consistenza del suo patrimonio dichiarava che risultava essere esclusivamente quello oggetto di deposito presso Mo. (di entità ben nota all'Istituto di circa Euro 150.000); che con il supporto di consulenza ed intermediazione finanziaria della Filiale di Orvieto Agenzia 2 in data 18.1.2011 acquistava Euro 50.000 di obbligazioni Mo. con scadenza 2020 codice (...) codice (...); che tali prodotti venivano depositati sul conto titoli (...) della filiale di Orvieto cointestato a Ca.Ma. e C.S., il quale ultimo prendeva parte alla controversia soltanto per confermare la integrale proprietà di detti titoli in capo alla signora Ca.Ma., dalla quale era già separato all'atto di acquisto; che dalla scheda prodotto di tale strumento finanziario il titolo emesso dalla stessa Ba., risultava composto da Obbligazioni e Titoli di Stato, denominato sotto la voce strumento "ordinarie" con una classe sintetica di rischio "5 elevata"; che dalla legenda delle classi di rischio di Mo., allegata all'estratto dei prodotti finanziari, si evinceva che la classe 5 elevata rappresentava il rischio più alto che un investitore, alla luce del suo investimento era disposto ad affrontare; che in calce all'ordine di acquisto la banca attestava che si trattava di una "operazione adeguata con il profilo dichiarato dall'investitore", laddove ben diverso era il profilo di rischio; che tale contraddittorietà emergeva sia in relazione alla conoscenza ed esperienza del settore, sia alla situazione finanziaria, sia agli obiettivi di investimento anche sotto il profilo temporale, avendo il titolo acquistato una scadenza a 9 anni, e alla propensione al rischio manifestate dal cliente; che, ancora, nell'ordine il cliente dichiarava di essere stato avvertito dalla banca della sussistenza del conflitto di interessi, trattandosi evidentemente dell'acquisto presso Mo. di titoli emessi dallo stesso istituto; che tale avvertimento, pur corretto, evidenziava ulteriormente la partecipazione della Banca alla scelta dell'investimento poi operata dal cliente; che tali circostanze dimostravano la sussistenza di un comportamento dell'istituto in palese violazione degli oneri di diligenza, correttezza e trasparenza sanciti dagli articoli 1175, 1176 e 1375 del codice civile; che la sig.ra Ca. era un consumatore inesperto del mercato degli investimenti, che si era rivolta alla banca ove intratteneva da anni il rapporto di conto corrente per un investimento del tutto occasionale; che le direttive Consob succedutesi nel tempo prescrivevano una compiuta indagine da parte dell'intermediario sulla conoscenza ed esperienza del settore dell'investimento, sotto il profilo della dimestichezza con specifici strumenti, della sua situazione finanziaria, degli obiettivi di investimento sotto il profilo temporale, le preferenze in materia di rischio, l'entità del rischio che il cliente avrebbe intesto assumere e la finalità dell'investimento; che ancora la banca aveva l'obbligo di inserire nei set informativi appositi confronti con prodotti semplici, noti e a basso rischio; che ancora sussistevano specifici obblighi circa la profilatura dell'investitore, nonché la scelta dei prodotti palesemente violati dalla Banca; che Mo. aveva altresì violato l'obbligo di trasmettere alla Ca., ai fini della più consapevole definizione dell'operazione di investimento, informazioni in merito alle reali caratteristiche del prodotto ed in particolare alla modalità di smobilizzo, con evidenziazione espressa delle eventuali difficoltà di liquidazione connesse al funzionamento dei mercati di scambio e dei conseguenti effetti in termini di costi e tempi di esecuzione della liquidazione; che la violazione di tali obbligazioni era fonte di responsabilità di natura contrattuale; che in ogni caso ai sensi dell'art. 23, comma 6, T.U.F. nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e quelli accessori, spettava ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta, con una evidente onere della prova in capo alla convenuta; che i titoli acquistati nel 2011 dalla Ca. con lettera del 2.8.2017 erano stati convertiti, da parte dell'Istituto, in azioni Mo., del valore nominale di Euro 50.000,00 e oggetto di una enorme svalutazione come testimoniava il prospetto titoli in data 20.1.2020 che evidenziava un valore di Euro 11.392,52 e quello del 10.3.2020 che evidenziava un valore di Euro 9.330,25; che pertanto era evidente il grave nocumento che la sig.ra Ca. aveva subito in relazione a tale inappropriato, inadeguato e non dovuto investimento. Nella resistenza di Ba. la causa, all'esito delle articolazioni istruttorie, in ragione della sua natura documentale, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e, quindi, trattenuta in decisione all'udienza dell'8.2.2023, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. La domanda di inefficacia dell'ordine di acquisto del 18.1.2011 di obbligazioni Mo. con scadenza 2020, per l'importo di Euro 50.000, codice (...) codice (...), è infondata. La sig.ra Ca. allega a fondamento della stessa sostanzialmente la violazione da parte di Mo. s.p.a. sia degli obblighi informativi sulla stessa gravanti che dei canoni di correttezza e buona fede. Tuttavia, se in linea di principio l'invalidità del contratto ne determina sempre l'inefficacia, quest'ultima può ricorrere a prescindere dalla prima ed è, tuttavia, riconducibile ad un fatto esterno al negozio, coevo o successivo ad esso che ne impedisce la produzione degli effetti. Nella concreta fattispecie se in relaziona alla invalidità la Ca. non ha allegato una causa di nullità e/o annullabilità del contratto, la dedotta violazione degli obblighi informativi e comportamentali non rappresenta una causa di inefficacia dell'atto. Discorso diverso per ciò che concerne la domanda subordinata di risarcimento dei danni la quale è parzialmente fondata. La sig.ra Ca. in data 28.10.2010 compilava il questionario Mo., e cioè un documento attraverso il quale la Banca profila il cliente e raccoglie informazioni necessarie alla offerta di un prodotto che sia adeguato al singolo investitore. Nel suddetto questionario, al di là di ogni valutazione sull'errore, dedotto dalla Ca. nel corso del giudizio, circa l'effettivo titolo di studi (la sola licenza media e non già la laurea), l'attrice, pur affermando di conoscere la differenza tra azioni e obbligazioni, nonché rispetto a queste ultime delle caratteristiche proprie delle cd. obbligazioni strutturate e ancora di avere una esperienza media in materia di investimenti, dichiarava tuttavia di non aver effettuato alcun investimento negli ultimi tre anni in azioni, in titoli ovvero in obbligazioni anche strutturate. Ancora nel profilo della adeguatezza affermava che la finalità dell'investimento era quella di "Dare stabilità al capitale nel breve/medio periodo anche a fronte di un rendimento contenuto", indicando un orizzonte temprale medio basso, cioè di secondo livello, e di essere disposta a sopportare un rischio: "Minimo: voglio ridurre al minimo il rischio di perdita in conto capitale" aspettandosi una sostanziale stabilità dei redditi. A tale profilatura seguiva in data 18.1.2011 l'acquisto delle obbligazioni Mo. per Euro 50.000 ove si dava atto del conflitto di interessi, con classe di rischio "ELEVATA" e, tuttavia, ritenuta "adeguata con il profilo dichiarato dall'investitore". Ebbene sia l'art. 21 del T.U.F. che gli artt. 39 e 40 del regolamento COSOB n. 16190 del 29.10.2007, impongono all'intermediario finanziario rispetto ai clienti non professionali, degli obblighi di informazione e di condotta molto stringenti, sotto tale ultimo profilo imponendo l'art. 40 del regolamento di consigliare uno strumento finanziario che "soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all'investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all'operazione o alla gestione del suo portafoglio", con l'ulteriore specificazione che singole operazioni adeguate isolatamente potrebbero non esserlo se effettuate con una frequenza che "non è nel migliore interesse del cliente". Nella concreta fattispecie l'offerta da parte di Mo. di proprie obbligazioni, sia pure nel dichiarato conflitto di interessi, con un orizzonte temporale di 9 anni, rischio elevato, unitamente alla natura subordinata delle stesse, di cui peraltro non vi è traccia nell'ordine di acquisto, rappresentano una palese violazione degli obblighi sulla stessa gravanti se solo si considera il basso profilo della Ca. risultante dal questionario Mo. compilato solo 3 mesi prima: l'attrice non aveva investito nei tre anni precedenti nemmeno in titoli di Stato e, verosimilmente, non lo aveva mai fatto prima; aveva un orizzonte temporale non superiore a quattro anni; si aspettava una sostanziale stabilità; era disposta a correre un rischio Minimo. Se dalla inconciliabilità tra il profilo del cliente e il prodotto acquistato emerge una grave violazione degli obblighi informativi gravanti su Mo., non risulta peraltro in alcun modo esplicitata nemmeno la natura subordinata delle obbligazioni che la Ca. andava ad acquistare e, cioè, la circostanza che il pagamento delle cedole, così come il rimborso del capitale, in caso di particolari difficoltà finanziarie dell'emittente, sarebbe stato successivo alla completa soddisfazione degli altri creditori invece non subordinati. Né può avere alcuna rilevanza la circostanza allegata da Mo. circa i successivi acquisti in titoli effettuati dalla attrice, così come quella del diverso profilo risultante dai questionari Mo. compilati nei mesi successivi dalla Ca., fermo restando in ogni caso che l'intermediario non è esonerato da tali obblighi pur a fronte di un investitore aduso ad operazioni finanziare a rischio elevato e risultanti anche dalla sua condotta pregressa (Cfr. Cass. n. 35789/2022). E non può che ulteriormente stigmatizzarsi la condotta tenuta dall'istituto di credito che, in violazione anche dei canoni di correttezza e buona fede, nell'allegare in comparsa che al momento dell'acquisto di tali obbligazioni da parte della Ca. "era palese e manifesta a tutti (investitori e non) la situazione di conclamata crisi finanziaria e patrimoniale di M.", ha tuttavia consigliato tale prodotto ad un cliente con una bassa propensione al rischio. La violazione degli obblighi di informazione, nonché di correttezza e buona fede configura un inadempimento contrattuale che dà diritto ex art. 1218 c.c. al risarcimento del danno e, pur non potendosi quest'ultimo considerare in re ipsa, deve ritenersi sussistente il nesso di causalità in relazione alla effettuazione di una scelta non consapevole da parte dell'investitore che, pertanto, non può subirne gli effetti pregiudizievoli. Il danno patito dalla Ca., derivante dalla avvenuta conversione forzosa delle obbligazioni acquistate in azioni della banca, è pertanto costituito dalla perdita economica subita, in ragione del valore di mercato delle azioni ricevute, sensibilmente più basso rispetto al capitale investito. Se in punto di quantificazione il danno è "pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento del relativo acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria" (cfr. Cass. 29353/2018), tuttavia, "ove l'intermediario sia condannato a risarcire il danno cagionato al cliente per avere dato corso a un ordine di acquisto di titoli ad alto rischio in violazione degli obblighi informativi su di lui gravanti, senza che sia pronunciata anche la risoluzione del contratto di negoziazione, si deve tenere conto che l'investitore resta in possesso dei titoli, sicché, in applicazione del criterio generale della "compensatio lucri cum damno", dalla liquidazione va decurtato il valore residuo dei titoli acquistati - così come risultante dalle quotazioni ufficiali al momento della decisione -, nonché l'ammontare delle cedole nel frattempo riscosse" (Cass. 17948/2020). In mancanza di cifre certe inerenti a tali ultimi dati (azioni e cedole) il danno va riconosciuto, in forma generica, nei limiti della differenza tra il capitale investito di Euro 50.000 e il valore delle azioni alla data di notifica della citazione, così come richiesto in domanda, al netto delle cedole riscosse durante tale intervallo temporale; su tale importo sono poi dovuti gli interessi al tasso legale a decorrere dalla domanda. Le spese di lite, ivi comprese quelle di mediazione obbligatoria, seguono il principio della soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 come in dispositivo (scaglione da Euro 26.000 ad Euro 52.000). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: A) accerta la responsabilità contrattuale di Ba. s.p.a. in relazione all'ordine di acquisto del 18.1.2011 di obbligazioni Mo. con scadenza 2020, per l'importo di Euro 50.000, codice (...) codice (...) effettuato da Ca.Ma.; B) condanna Mo. s.p.a. a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, a Ca.Ma., la differenza di valore tra la somma investita e quella delle azioni alla data del 26.5.2020, al netto delle cedole riscosse in tale arco temporale, oltre interessi legali dalla domanda; C) condanna la Ba. s.p.a. alla refusione delle spese di lite che liquida nella misura complessiva di Euro 7.093,80, di cui Euro 593,50 per spese esenti ed Euro 6.500 per compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Viterbo il 30 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott. Eugenio Maria Turco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al R.G.N. 1102/2021 avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo e pendente TRA (...) ((...)), (...) ((...)), (...) ((...)), (...) ((...)) e F.R. DI (...) S.R.L. ((...)), tutti rappresentati e difesi dall'Avv. (...), come da procura in atti OPPONENTI E (...) ((...)) con l'Avv. (...) come da procura in atti OPPOSTA CONCLUSIONI: all'udienza di precisazione delle conclusioni del 02.03.2023 tenutasi in modalità telematica le parti hanno trasmesso le seguenti note scritte: parte opponente: "Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, - preliminarmente e pregiudizialmente, dichiarare la carenza di legittimazione passiva in capo ai signori Pamela Lattanzi, (...), (...) e (...) ed alla F.R. di (...) S.r.l. e, per l'effetto, revocare e porre nel nulla, nonché dichiarare privo di ogni effetto giuridico, il Decreto Ingiuntivo n. 132/2021, emesso dal Tribunale di Viterbo, per i motivi di cui in narrativa; - nel merito, dichiarare che nulla risulta dovuto dagli odierni opponenti in ordine alla fattura n. 116/e del 30/06/2020 ed ai lavori di cui al punto n. 1, 2 e 3 del contratto di appalto del 27/05/2015, poiché già saldati dal Condominio di (...) in Vetralla e, per l'effetto, revocare e porre nel nulla, nonché dichiarare privo di ogni effetto giuridico il Decreto Ingiuntivo n. 132/2021, emesso dal Tribunale di Viterbo, per i motivi di cui in narrativa; - condannare, altresì, la (...) ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria, ricorrendone, nel caso di specie, tutti i presupposti. - il tutto con vittoria di spese, competenze e onorari di giudizio"; parte opposta: "Voglia il Tribunale adito, contraiis reiectis, preso atto della concessione della provvisoria esecuzione del DI opposto: nel merito: respingere ogni avversa domanda perché infondata in fatto e diritto; condannare gli opponenti in solido tra loro al pagamento delle spese di lite, oltre accessori fiscali, con interessi e rivalutazione dal di della pronuncia al saldo effettivo". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Il Tribunale di Viterbo in data 2.2.2021 emetteva, su ricorso della Società (...) (di seguito (...) snc), decreto ingiuntivo n. 132/2021 nei confronti degli odierni opponenti per euro 40.000,00. Tanto in ragione del mancato pagamento della fattura n. 116/2020 per 39.753,46, emessa dalla (...) snc in relazione a lavori straordinari eseguiti sul Condominio "(...)" come da contratto di appalto del 27.5.2015. Avverso l'indicato provvedimento monitorio, gli odierni istanti hanno proposto opposizione deducendo, in via preliminare, il loro difetto di legittimazione passiva. Ciò perché, secondo gli opponenti, il titolo in esame poteva essere formato esclusivamente nei confronti del condominio debitore, in persona dell'amministratore pro-tempore, e, solo successivamente, in caso di mancato pagamento, nei confronti dei singoli condomini nei limiti dei loro millesimi di proprietà. Inoltre, aggiungevano, il creditore non avrebbe potuto agire nei confronti dei singoli condomini in regola con i pagamenti, se con dopo l'escussione degli altri condomini per come stabilito dall'art. 63, co. 2, disp. att., c.c. Le opponenti (...) e (...), inoltre, deducevano un ulteriore difetto di legittimazione passiva, rappresentando, infatti, di avere ceduto l'immobile di loro proprietà nel marzo 2019, prima della richiesta del decreto ingiuntivo oggi opposto. Quanto al merito parte opponente chiedeva, in ogni caso, la revoca del decreto evidenziando che l'importo dei lavori oggetto di appalto di euro 48.972,00 era stato regolarmente saldato, mentre la somma contenuta nel decreto opposto riguardava l'esecuzione di lavori eseguiti extra capitolato, non contabilizzati, né approvati dall'assemblea condominiale. Costituendosi in giudizio, parte opposta ha contestato le prospettazioni di parte opponente deducendo la corretta individuazione dei soggetti legittimati passivamente, avendo l'appaltatrice regolarmente provveduto ad escutere preventivamente il Condominio avendo prima richiesto al condominio ed ai singoli condomini - con esito negativo - il pagamento di quanto dovuto, per come emergeva dalle note trasmesse dal legale della (...) il 28.7.2018 e 30.12.2020 (doc. nn.4 e 9 in fascicolo monitorio). Quanto al merito deduceva che le opere eseguite ed oggetto della fattura n. 116/2020, riguardavano opere extra capitolato concordate tra le parti con modifica contrattuale per un ulteriore importo di euro 39.753,46. Nel corso del processo, concessa la provvisoria esecuzione al decreto opposto, sulla base della documentazione depositata, rimessa la causa sul ruolo per l'acquisizione del fascicolo monitorio (Cass. SSUU n. 14475/2015) all'udienza del 13.07.2023 la causa veniva trattenuta in decisione. L'opposizione è fondata. Quanto ai preliminari rilievi relativi alla legittimazione passiva di parte opponente, appare opportuno premettere alcune argomentazioni. Nel caso, come quello in esame, di crediti sorti nei confronti di un condominio, il comune percorso seguito dal creditore per la tutela del proprio credito - affidato in genere alla richiesta di emissione di un decreto monitorio nei confronti del condominio nella persona del suo amministratore - non impedisce che lo stesso creditore possa, in ogni caso, agire direttamente anche nei confronti dei singoli condomini per il credito vantato. A tal riguardo, esistono, però, alcune limitazioni dettate in favore dei condomini che si vedrebbero altrimenti esposti per pagamenti relativi ad importi superiori a quelli derivanti dalla rispettiva quota millesimale di proprietà: 1) la prima limitazione è contenuta nell'art. 63, co. 2, disp. att., c.c. norma che stabilisce che " i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini". In tal caso, pertanto, sarà onere del creditore escutere preventivamente i condomini morosi nei pagamenti, potendo, individuare questi ultimi sulla base del disposto dell'art. 63 co.1 disp. CC che prevede l'obbligo per l'amministratore di comunicare "ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi"; 2) la seconda limitazione si ricava dai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità che ha stabilito - in relazione alla fase esecutiva - che l'atto di precetto eventualmente notificato al singolo condomino e sulla base di decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio "sarà inefficace per la richiesta dell'importo eccedente la quota millesimale dell'intimato " , laddove questi dimostri in concreto la misura di detta quota, ma conserverà la sua efficacia nei limiti di essa"(Cass. 22856/2017). Il caso in esame riguardava un decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio e poi posto in esecuzione nei confronti del singolo condomino. In conseguenza di tale principio, può legittimamente ritenersi che in relazione alla formazione del titolo nei confronti dei singoli i condomini per un credito riguardante l'intero condominio, il creditore, potrà certamente agire nei confronti del singolo condomino, ma, in ogni caso, nei limiti della rispettiva quota millesimale di quest'ultimo. Per tale ragione è di assoluto rilievo, al fine della quantificazione, come per il caso in esame, del credito verso ogni condomino, che siano indicate le rispettive quote millesimali, non potendosi altrimenti emettere un decreto ingiuntivo nei confronti del singolo condomino in relazione all'intero importo del debito riguardate l'intero condominio. Su tale aspetto, come visto, la Suprema Corte ha stabilito limiti che in ogni caso potranno essere fatti valere anche nella fase esecutiva ritenendo inefficace il precetto per la somma superiore a quella di pertinenza del singolo condomino. Per tale ragione nel corso del giudizio era stata emessa ordinanza (1) sollecitando, invano, le parti su tale aspetto, perché altrimenti non ci sarebbe stato modo di quantificare il credito. Ciò posto, in merito alla preventiva escussione dei condomini morosi richiesta dall'art. 63 disp. Att. cc, di tale attività non v'è stata idonea allegazione. Con riguardo a tale aspetto giova rilevare che in merito al caso in esame, l'indicato principio è stato espressamente richiamato dalle parti nel contratto di appalto (doc. 1 fascicolo monitorio) ove nell'art. 13 era stabilito che "ai sensi e per gli effetti dell'art. 63 co. II disp. Att. CC per i pagamenti relativi ai lavori eseguiti, è escluso il vincolo di solidarietà tra i partecipanti al condominio e l'appaltatore è tenuto nel caso di mancato e/o ritardato pagamento di assumere tramite l'amministrazione condominiale i dati personali dei morosi e relativi importi ed attivare eventuali azioni esclusivamente verso i singoli condomini inadempienti; pertanto l'appaltatore dovrà agire "pro quota "prima nei confronti dei condomini morosi. solo nel caso in cui sia impossibile soddisfarsi sul patrimonio di questo ultimi potrà successivamente rivolgersi ai condomini in regola". A fronte di tale inequivoca statuizione parte opposta a riprova dell'adempimento della preventiva escussione "nei confronti dei condomini morosi" ha operato un riferimento (2) a due documenti presenti nel fascicolo monitorio (all. 4 e 9) che, nell'inerzia delle parti, è stato acquisito d'ufficio: a) la nota datata 23.7.2018 con la quale il legale della (...) richiedeva il pagamento dell'intera somma al condominio, non potendo, pertanto, tale atto essere inteso quale preventiva escussione nei confronti dei condomini morosi, non risultando, infatti, tale richiesta rivolta ai singoli condomini risultati morosi sulla base delle informazioni trasmesse dall'amministratore; b) la nota datata 30.12.2020 trasmessa sempre dal legale della (...) alla srl (...), oltretutto per l'intero importo di euro 36.139,00 iva esclusa (con iva 39.753,00 oggi contenuta nel decreto ingiuntivo). Anche tale nota non può in alcun modo costituire prova della preventiva escussione dei condomini morosi, difettando in atti la presenza della documentazione proveniente dall'amministratore del condominio e rilasciata ex art. 63 co. 1 disp. att cc, attestante la composizione del condominio con la individuazione di tutti gli eventuali soggetti morosi. Pertanto, seppur ammessa in astratto, la legittimazione passiva degli odierni opponenti, la mancanza di prova circa la preventiva escussione dei condomini morosi, non legittimava l'emissione del decreto ingiuntivo. Per tali ragioni l'opposizione può essere accolta in ragione dell'accoglimento del preliminare rilievo, con esonero per questo giudice dall'esame delle ulteriori questioni. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo (calcolo spese: parametro da 26mila a 52mila euro, valori prossimi ai medi tre fasi di legge). PQM Il Tribunale di Viterbo, definitivamente pronunciando, così provvede: 1. accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo 132/2021 per le ragioni espresse in motivazione; 2. condanna la Società (...) snc (...) alla rifusione delle spese di lite in favore di parte opponente, spese che si liquidano in complessivi euro 4.000,00 oltre IVA, CPA e 15%. Così deciso in Viterbo, 14 luglio 2023. (1) Ord. 17.12.2021 "rilevato che, in ogni caso, all'esito del presente giudizio, potranno eventualmente determinarsi - ove sussistenti - le rispettive obbligazioni dei singoli condomini sulla base delle allegazioni delle parti anche delle quote millesimali" (2) Comparsa conclusionale pag. 7 "Quanto alla avversa eccezione circa la mancata preventiva riscossione in capo al Condominio in persona dell'Amministratore, anticipatamente rispetto ai singoli condomini, è dimostrato documentalmente (con il ricorso per ingiunzione) che il pagamento è stato sollecitato con note legali del 28 luglio 2018 (DOC.4 in fascicolo monitorio) e del 30 dicembre 2020 (DOC.9 in fascicolo monitorio). Note che sono rimaste del tutto disattese da parte del Condominio, con la conseguenza che ogni singolo condomino resta obbligato solidalmente al pagamento", solidarietà, che come si è visto, era esclusa dallo stesso art. 13 del contratto.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott.ssa Fiorella Scarpato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 508/2021 del R.G.A.C., avente ad oggetto SOMMINISTRAZIONE, pendente TRA (...), (nata in Colombia il (...) e residente a Celleno, (...)), elettivamente domiciliata in Viterbo, viale (...), presso lo studio degli avv.ti (...), dai quali è rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, come da mandato in calce all'atto di citazione di primo grado APPELLANTE E (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso la sede legale della società, rappresentata e difesa dall'avv. (...), come da procura in calce alla comparsa di costituzione in primo grado APPELLATA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di appello ritualmente notificato alla controparte (...) impugnava la sentenza n. 566/2020 pubblicata il 6/8 ottobre 2020, non notificata, con la quale il giudice di pace di Viterbo in parziale accoglimento della domanda di risarcimento danni dalla stessa proposta nei confronti della (...) s.p.a. condannava tale società alla corresponsione in suo favore della somma di Euro 300. A fondamento dell'impugnazione allegava la non correttezza della decisione laddove aveva escluso dal risarcimento la somma di Euro 4.256, pari al costo da essa appellante sostenuto per l'acquisto e la manutenzione del dearsinificatore, allegando sul punto che ai sensi dell'art. 1223 c.c. aveva diritto a tale voce di danno, anche in considerazione della circostanza che l'eventuale acquisto di acqua potabile per il lungo arco temporale di oltre tre anni avrebbe avuto un costo assai maggiore e pari a circa Euro 8.760 all'anno. Resisteva la (...) la quale in via incidentale chiedeva a sua volta la riforma della sentenza di primo grado censurando la decisione del giudice che aveva dichiarato l'inammissibilità della chiamata in causa della regione Lazio, con conseguente diritto, nel caso di accoglimento delle pretese della controparte, ad essere manlevata e garantita dall'ente da ogni conseguenza dannosa. La causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 14 dicembre 2022 con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Benché la (...) nella sua corposa comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale di ben 35 pagine alleghi di riproporre tutti i motivi già esposti in primo grado (pag. 4 della comparsa) ivi compreso il difetto di giurisdizione del g.o., tuttavia, nelle conclusioni, tace su tale ultima eccezione. Ebbene sul punto non può non evidenziarsi che ai fini della corretta individuazione dell'autorità giudiziaria competente nell'ambito delle controversie in tema di sistema idrico deve aversi riguardo ai fatti allegati a sostegno della domanda, con la conseguenza che laddove l'utente contesti la misura del canone dovuto ad un comune per la somministrazione di acqua ad uso domestico, essendo in contestazione soltanto l'entità della tariffa e quindi il quantum, è competente il giudice ordinario (Cass. S.U. n. 24306/2010; Cass. S.U. n. 752 del 1999). La stessa giurisprudenza amministrativa (Tar Lazio n. 723 del 2008) ha ulteriormente chiarito che la domanda con la quale l'utente del servizio pubblico di erogazione dell'acqua, contestando l'importo preteso per la fornitura dal gestore del servizio in base ad una determinata tariffa, ne richieda la riduzione in applicazione di una diversa tariffa, introduce una controversia relativa al rapporto individuale di utenza, e spetta pertanto alla giurisdizione del giudice ordinario. Rientrano invece nella giurisdizione del g.a. le controversie relative ai provvedimenti di determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato in quanto relative ad atti aventi una incidenza solo indiretta sul regime delle acque (Tar Lombardia sentenza n. 2141 del 2016). Da ultimo sul tema e a ulteriore conferma dei principi appena enunciati è intervenuta la Cass. S.U. n. 32780 del 2018 la quale, nel giudizio di impugnazione di una sentenza emessa proprio da questo Tribunale in sede di appello, prodotta tra i documenti della (...) s.p.a. quale precedente a sé favorevole, ha nuovamente ribadito che "Ai fini del riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici - siano essi dati o meno in concessione - occorre distinguere tra la sfera attinente all'organizzazione del servizio e quella attinente, invece, ai rapporti di utenza, sicché, in ipotesi di azione risarcitoria proposta nei confronti dell'ente gestore del servizio energetico e/o proprietario della rete, se il danno lamentato dall'utente è il riflesso dell'organizzazione del servizio stesso, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo (ai sensi delle lettere "c" ed "o" dell'art. 133, comma 1, del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104), mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario se non si controverte dell'esercizio o del mancato esercizio del potere amministrativo o, comunque, di comportamenti anche mediatamente riconducibili all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni o da soggetti ad essi equiparati, e l'utente proponga l'azione risarcitoria con riferimento ai danni derivanti dal cattivo funzionamento dell'erogazione e chieda la condanna del convenuto a provvedere alla soluzione tecnica dell'inconveniente". Precisamente il discrimen tra giurisdizione amministrativa e ordinaria in questa materia è costituito dall'inerenza della controversia ad una situazione di potere della P.A., laddove quella avente ad oggetto rapporti individuali di utenza non vede coinvolta la P.A. come autorità. Nella concreta fattispecie la sig.ra (...) nel lamentare che per il periodo dal gennaio 2013 al 2016 si erano susseguite una serie di ordinanze comunali che avevano vietato l'uso dell'acqua domestica perché ritenuta non potabile, e che la (...) non aveva adempiuto alla obbligazione sulla stessa gravane e rappresentata dalla fornitura di acqua ideona ad uso umano, chiedeva che fosse risarcito il danno nella misura di Euro 500 nonché al rimborso, sempre a tale titolo, dell'importo di oltre Euro 4.000 corrisposto per l'installazione e manutenzione dell'impianto di dearsenificazione. Così formulata la domanda non può che essere di competenza del giudice ordinario, in quanto non viene affatto messa in discussione la tariffa e le sue modalità di determinazione, bensì, l'inesatto adempimento da parte di (...) per un certo lasso temporale. Precisamente la sig.ra (...) nel chiedere il risarcimento del danno ha semplicemente esercitato una azione di natura contrattuale, fondata invero sul presupposto del parziale inadempimento da parte della (...) ai suoi obblighi contrattuali, primo tra tutti, quello di fornire acqua idonea all'uso umano. Tanto premesso l'appello proposto dalla sig.ra (...) è infondato. L'appellante lamenta che il giudice di pace avrebbe liquidato a titolo di risarcimento la somma di Euro 300 non ritenendo rimborsabile il costo per l'acquisto e la manutenzione del dearsinificatore. Se l'acquisto di tale sistema trova ragionevole giustificazione nel divieto di utilizzo dell'acqua ad uso umano per quattro anni, dal gennaio 2013 al dicembre 2016, e rappresenta una forma di risarcimento per equivalente, è pur vero che la sig.ra (...) non solo avrebbe potuto acquistare acqua in bottiglia a costi certamente inferiori, come affermato dal giudice di primo grado, ma, in realtà, ben avrebbe potuto utilizzare la fontanella pubblica messa a disposizione dalla (...) s.p.a. anche nel comune di Celleno. Sul punto invero non può non rilevarsi che a fronte della allegazione in primo grado da parte della (...) della predisposizione di tale sistema di erogazione alternativo anche per il comune di Celleno e ad uso gratuito, in relazione alla quale peraltro vi è riscontro nel documento datato 3 dicembre 2012 (allegato n. 37/G), la (...) in prima udienza dinnanzi al giudice di pace si limitava contestare genericamente tutte le difese della (...) s.p.a., non depositava memorie integrative, e contestava tale circostanza del tutto tardivamente soltanto in sede di scritti conclusivi. Se allora tanto l'installazione quanto l'uso gratuito della fontanella deve ritenersi dimostrato ex art. 115 c.p.c., chiaramente, non può non tenersi presente che tale sistema di approvvigionamento di acqua per il singolo utente rappresenta per lo stesso una attività certamente ulteriore e più onerosa in termini di tempo, avendo lo stesso diritto all'erogazione di acqua potabile direttamente presso l'utenza domestica. Per la quantificazione di tale danno non può che procedersi in via equitativa, e considerando che il rifornimento presso la fontanella era gratuito, lo stesso può essere quantificato nella misura pari ad 1/3 del costo di acquisto presso un supermercato. A fronte allora di una media stimata di 3 litri a persona e un costo di Euro 0,20 centesimi a litro la sig.ra (...) avrebbe diritto a titolo di risarcimento danni alla somma di Euro 292 (Euro 0,20x 3 litri x 365 giorni x 4 anni x 1/3). Sul punto sebbene l'appellante alleghi nell'atto di impugnazione di essere convivente con altre tre persone non solo non risulta depositato lo stato di famiglia, pur indicato tra i documenti facenti parte del fascicolo di parte di primo grado, ritirato dall'avv. Riccardo Catini il 19 febbraio 2021 e non depositato nel grado di appello, ma peraltro è la stessa sig.ra (...) che nell'atto di citazione di primo grado a pagina 4 dichiara di essere una persona sola. Se laddove l'appellante si fosse rifornita di acqua acquistandola al supermercato avrebbe speso per i quattro anni la somma complessiva di Euro 876 e tenuto conto della circostanza che la bolletta dell'acqua è calcolata in quota parte anche sui consumi, il risarcimento secondo il criterio equitativo ex art. 1223 c.c. sopra indicato e pari ad Euro 292 è satisfattivo del danno subito, sicché la somma di Euro 300 indicata dal giudice di primo grado deve ritener congrua. La scelta della sig.ra (...) di installare un dearsinificatore, i cui costi superano di oltre 13 volte il risarcimento come sopra determinato, non può essere fatta gravare sul debitore che, laddove come nella fattispecie non dolosamente inadempiente, dovrà rispondere ex art. 1225 c.c. dei soli danni prevedibili e tali non possono essere considerati gli ingenti costi di acquisto di un sistema di depurazione privato. Va altresì respinto l'appello incidentale proposto dalla (...) s.p.a. Tale società si duole del rigetto della richiesta di chiamata in causa della Regione Lazio nei cui confronti la stessa aveva formulato domanda di manleva, lamentando sul punto anche l'omesso esame e valutazione della corposa documentazione dalla stessa prodotta (oltre 40 allegati). Sul punto, tuttavia, la decisione del giudice di prime cure non può che essere confermata. La (...) s.p.a. sia in primo grado che nella lunga comparsa con appello incidentale ha infatti allegato la non imputabilità dell'inadempimento e la violazione, invece, da parte della regione Lazio degli obblighi normativamente sulla stessa gravanti, anche di fonte comunitaria, e in base ai quali sarebbe stato compito istituzionale di tale ente, prima in via d'urgenza in veste di commissario straordinario (in forza dell'OPCM del 28.1.2011) e poi in via ordinaria, procedere alla realizzazione degli impianti di potabilizzazione e di dearsenificazione, a fronte peraltro di una convenzione in base alla quale essa (...) aveva soltanto un diritto di uso delle infrastrutture, laddove invece gli interventi di potabilizzazione spettavano alla regione che non vi aveva provveduto tempestivamente. Dal tenore complessivo della comparsa emerge che la (...) s.p.a. lamenti sostanzialmente, da un lato, il non corretto esercizio dei poteri autoritativi della Regione e dall'altro, l'inesatto adempimento da parte della Regione degli obblighi sulla stessa gravanti e aventi fonte nel rapporto concessorio esistente. Tuttavia, entrambe le questioni non possono che esulare dalla giurisdizione del g.o. in quanto in relazione al primo profilo, alla luce di quanto sopra affermato, viene messo in discussione il non corretto esercizio del potere discrezionale della p.a. e, sotto il secondo profilo, in quanto in tema di concessione dei servizi pubblici (e tale può essere qualificato quello con la (...) s.p.a.) l'art. 133 c.p.a. afferma la competenza del G.A. sulle controversie in materia, eccetto quelle meramente patrimoniali e quelle in cui, nemmeno mediatamente, sia esercitato un potere funzionale posto in essere mediante il procedimento amministrativo di cui alla legge n.241/90. Alla luce di tali considerazioni di alcun rilievo sono le sentenze, pur pronunciate da questo Tribunale, e inerenti all'opposizione di (...) s.p.a. alle ordinanze ingiunzione emesse dalla regione Lazio in ragione del superamento dei valori di arsenico, trattandosi di diversa questione che esula dal rapporto contrattuale con il singolo utente e che peraltro è attratta alla competenza del giudice ordinario in ragione della normativa di cui alla legge n. 689 del 1981. In ragione del rigetto di entrambe le impugnazioni le spese di lite sono integralmente compensate tra le parti, a carico delle quali sussistono tuttavia i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, TUSG. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: A) rigetta l'appello proposto da (...); B) rigetta l'appello incidentale proposto da (...) s.p.a.; C) compensa le spese di lite del presente grado; D) dà atto della sussistenza a carico sia dell'appellante principale che di quello incidentale dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater TUSG. Così deciso in Viterbo il 26 giugno 2023 Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 864 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuto in decisione all'udienza del 22 giugno 2022 tra CONDOMINIO (...) (c.f. (...)), in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore (...) S.r.l.s., con sede in Roma Via (...), in persona del suo A.U. e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (...) ed elettivamente presso il suo in Roma, Via (...), giusta procura alle liti rilasciata in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data 14.9.2022 attrice contro (...) S.r.l. (c.f. e p.Iva (...)) in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in forza di delega allegata alla comparsa di costituzione e risposta dagli Avv.ti (...) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio di quest'ultimo in Viterbo, Via (...) convenuta Conclusioni delle parti: come in atti a verbale dell'udienza del 22 giugno 2022 celebrata a trattazione scritta da intendersi qui riportate e trascritte Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...), in persona dell'amministratore pro tempore, conveniva in giudizio (...) S.r.l., società costruttrice della medesima (...) sito in Monterosi (VT) via (...) s.n.c. deducendo: che parte convenuta era ancora condomina con il più alto numero di millesimi in quanto proprietaria di numerose unità immobiliari; che (...) era disciplinata dal regolamento approvato all'unanimità nel corso dell'assemblea tenutasi il 24 febbraio 2012 redatto a seguito della transazione intervenuta tra la convenuta e gli altri comunisti all'esito di giudizio promosso da un cospicuo numero di questi dinnanzi al Tribunale di Roma, R.G. n. 36211/2009 nei confronti della medesima (...) S.r.l. e della (...) S.p.A. al fine anche di sentir accertare la nullità, inesistenza ed inefficacia del precedente regolamento predisposto dalla società costruttrice; che il predetto nuovo regolamento, dopo l'approvazione, era stato trascritto presso i RR.II. così acquisendo natura contrattuale; che nell'accordo transattivo prima, e nella trasfusione dello stesso nel nuovo regolamento della (...) poi, erano stati previsti una serie di obblighi a carico della (...) S.r.l. a favore della (...) e di ciascuno dei singoli partecipanti alla stessa, nello specifico previsti all'art. 5, lett. D); che nulla di quanto previsto nell'art. 5 lett. D) era stato realizzato dalla convenuta a nulla valsi i solleciti e le richieste reiterate negli anni. Ciò premesso parte attrice concludeva chiedendo che parte convenuta venisse condannata ad adempiere agli obblighi assunti, quale società costruttrice e venditrice del (...), nei confronti della (...) e di ciascuno dei singoli partecipanti alla stessa indicati all'art. 5 , lettera D) del regolamento e in particolare che il Tribunale adito disponesse che (...) S.r.l. fosse condannata "1) a realizzare, a sue cura e spese e in tempi ragionevoli la recinzione e la completa chiusura delle aree e dei fondi proprie della (...) nel (...), delimitando, con appo-sita recinzione continua e chiusa il perimetro dei comparti già edificati "B" e "C" ed eventuali altri, i parcheggi e le zone a verde per i residenti, nonché la "strada Comunale Valle di Santa Maria" nel tratto interno all'area del Comprensorio, in modo da creare nel Comprensorio una prima isola residenziale; 2) a predisporre, a realizzare ed ad attivare in tempi ragionevoli e previo rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, completamente a sue cura e spese, sulla Strada di Valle di Santa Maria nel punto del suo tratto al confine a monte del Comprensorio, come indicato con la lettera "K" ed evidenziato in colore celeste nella planimetria allegata sub "A": 2a) un accesso pedonale e carrabile all'isola della (...), chiuso con un cancello in ferro zincato verniciato e, all'interno del Comprensorio, con un sistema di sbarramento ad aste mobili in prossimità della portineria come appresso, entrambi assistiti nelle manovre da congegni elettromeccanici azionabili dalla portineria e dai residenti con telecomando e con videocitofono dalle; loro unità abitative; 2b) una attigua postazione di portineria e guardina, della grandezza di almeno mq. 35 e dotata di servizi igienici, aria condizionata e WC, costruita in cemento armato e muratura, munita di monitor e videoterminali collegati alle telecamere e ai sensori di videosorveglianza del Comprensorio ; 2c) un servizio di portineria, guardiania e vigilanza con presidio fisso combinato con guardie particolari giurate armate di notte ed operatori non armati di giorno, ubicato nella detta postazione di portineria e guardina all'ingresso del Comprensorio, servizio operativo tutti i giorni dell'anno 24 ore su 24 ed insopprimibile, affidato a primario istituto di vigilanza e così articolato: - piantonamento fisso armato, con orario 21.00 - 6.00 per 365 giorni all'anno, effettuato con particolare guardia giurata, con a disposizione autovettura di servizio da utilizzare in caso di emergenze; - piantonamento fisso non armato, con orario 21.00 - 6.00 per 365 giorni all'anno, effettuato con operatore regolarmente inquadrato secondo il vigente CCNL di categoria (multi servizi) con a disposizione autovettura di servizio da utilizzare in caso di emergenze', con vittoria delle spese di lite. Si costituiva in giudizio (...) S.r.l. eccependo l'improcedibilità della domanda attesa l'assenza del preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, trattandosi parte attrice, in realtà, di un supercondominio; deduceva, altresì, che analogo giudizio, pendente in fase istruttoria dinnanzi al Tribunale di Roma, R.G. n. 26173/2017, era stato già proposto da numerosi condomini e, considerata l'identità delle cause, chiedeva disporsi la sospensione ex art. 295 c.p.c. dell'odierno giudizio in attesa della definizione di quello richiamato. Nel merito deduceva l'infondatezza delle domande attoree in fatto e in diritto rilevando che le obbligazioni assunte da (...) S.r.l. con l'atto di transazione e trasfuse nel Regolamento consistevano, essenzialmente, nella realizzazione di un campo da golf a 27 buche, nella realizzazione di un campo pratica, in interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinaria all'interno di tutte le singole proprietà private nonché negli interventi descritti nell'avversario atto di citazione e che dette obbligazioni erano state già tutte e prontamente realizzate, come del resto evincibile dalla consulenza tecnica d'ufficio già svolta nel procedimento pendente innanzi al Tribunale di Roma. Con riferimento particolare alla portineria deduceva di aver provveduto a far installare una postazione provvisoria munita di collegamento citofonico con tutte le unità immobiliari nonché un impianto di video sorveglianza mentre la (...) aveva deliberato, proprio su indicazione della S.r.l. (...), di dar corso a un servizio di vigilanza organizzato anche con ronda notturna, evidenziando che, in ogni caso, nel Regolamento della (...) non era indicato un termine preciso, del resto ivi indicato con l'espressione "in tempi ragionevoli" considerato che il tutto era legato alla sdemanializzazione della Strada comunale Valle di Santa Maria e al rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per la realizzazione delle opere. Ciò premesso, ritenendo le domande proposte inammissibili, non essendo stata ex adverso proposta alcuna fissazione del termine ex art. 1183 c.c. e non avendo ancora provveduto gli organi amministrativi competenti a procedere alla necessaria sdemanializzazione della Strada comunale pretendendo, anzi, l'immediata riapertura della via al pubblico transito a fronte dell'avvenuta realizzazione di un sistema di sbarramento da parte della (...) S.r.l. - disposizione alla quale la società non aveva potuto che adeguarsi, risultando invero all'attualità l'impianto di sbarramento installato ma non posto in funzione -, e considerato che, anche con riferimento alle previste caratteristiche della portineria, in mancanza di detta sdemanializzazione, questa non poteva realizzarsi non potendo detta portineria insistere su aree del Comune di Monterosi - ciò precludendo allo stato qualunque richiesta di autorizzazione a ciò finalizzata -, concludeva chiedendo che il Tribunale adito, atteso che alcun inadempimento poteva ascriversi alla convenuta essendo state già puntualmente eseguite tutte le opere che non necessitavano di specifici provvedimenti amministrativi allo stato non emessi non per fatto o colpa imputabile alla società convenuta, previa sospensione ex art. 295 c.p.c. dell'odierno giudizio in attesa della definizione di quello pendente dinanzi al Tribunale di Roma (R.G. 26173/2017), rigettasse "per improcedibilità, inammissibilità e infondatezza nel merito le domande tutte ex adverso proposte con l'atto di citazione fatto notificare in data 27/3/2019; con vittoria di spese, competenze ed onorari del procedimento'. Ritenendo insussistente il necessario rapporto di pregiudizialità giuridica/dipendenza tra l'odierna causa e quella pendente innanzi al Tribunale di Roma, in quanto quest'ultimo giudizio volto all'accertamento della responsabilità ex art. 1669 c.c. del costruttore-venditore (...) S.r.l. e quello odierno alla condanna della medesima società ad obblighi di fare rispetto a quelli assunti nel Regolamento di (...), non veniva disposta la sospensione ex art. 295 c.p.c. e venivano invece assegnati i termini a parte attrice per la presentazione della domanda di mediazione. Successivamente, rigettata l'istanza di improcedibilità avanzata da parte convenuta quanto al corretto espletamento della procedura di mediazione e concessi i richiesti termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa ritenuta l'inammissibilità delle prove orali articolate da parte convenuta, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e, all'udienza del 22 giugno 2022, celebrata a trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. L'eccezione avanzata da parte convenuta di improcedibilità della domanda attorea per tardiva attivazione del procedimento di mediazione rispetto al termine assegnato dal giudice è infondata e deve essere pertanto rigettata. Invero, come già osservato nel corso del giudizio, pur essendo stata promossa la procedura per impulso di parte attrice in data 21.11.2019, e dunque ben oltre il termine di 15 giorni decorrente dal 13.9.2019 concesso con ordinanza del 12.9.2019 - termine decorrente dalla comunicazione del provvedimento, avvenuta, appunto, in data 13.9.2019 -, questa risulta conclusasi entro il termine massimo stabilito dalla legge per l'esperimento. In particolare, con riferimento alla valutazione delle conseguenze relative al mancato rispetto del termine di 15 giorni stabilito dal giudice per l'introduzione del procedimento di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n.28/2010 e s.m.i., si ritiene di aderire, nell'ampio dibattito sorto tra i giudici di merito, all'indirizzo giurisprudenziale a tenore del quale il termine in questione, attesa la mancanza di espressa previsione legislativa, non può ritenersi perentorio, considerando detta soluzione maggiormente in linea con i principi volti a garantire un'effettiva tutela giurisdizionale dei diritti delle parti evitando che preclusioni e/o impedimenti non espressamente previste dalla legge possano minare una siffatta tutela, dovendosi invece, nel caso come quello in esame, ritenersi osservata la condizione di procedibilità in ragione della circostanza che la domanda di mediazione è stata avanzata e si è conclusa entro il termine di cui all'art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (il quale fissa in tre mesi il periodo massimo di durata del procedimento di mediazione), termine questo da ritenersi, invece, perentorio (cfr. Corte d'Appello di Milano, Sez. I, sentenza del 2806-2017) e, nel caso di specie risultato rispettato essendosi il procedimento concluso entro il tempo massimo previsto, vale a dire - nell'ipotesi di cui è causa -, entro tre mesi decorrenti dalla scadenza di quello fissato dal giudice, dunque entro tre mesi dal 28.9.20219 (13.9.2019 + 15 giorni) con procedimento, infatti, concluso con verbale negativo in data 19.12.2019. Ciò posto la domanda di parte attrice è infondata e non può trovare accoglimento. Invero, le doglianze attoree in ordine al mancato rispetto degli obblighi assunti dalla convenuta nel Regolamento della (...) approvato dall'assemblea in data 24.12.2012, come specificamente indicati nell'atto di citazione, non hanno trovato conforto probatorio atteso che parte convenuta ha in parte dimostrato per tabulas l'assolvimento degli stessi e in parte rappresentato, senza che dette circostanze venissero smentite, che la non completa o non esatta esecuzione di alcuni obblighi non è dipesa da suo fatto o colpa. Nello specifico, mediante il deposito della relazione finale di cui alla consulenza tecnica d'ufficio svoltasi nel giudizio, R.G. n. 26173/2017, (in particolare relativa al comparto C della (...), risultando, dall'esame della documentazione messa a disposizione, edificati i comparti B e C), e della cui bontà quanto alle conclusioni e agli accertamenti ivi compiuti, risalenti al maggio 2019, non vi è motivo di dubitare (cfr. all n. 3 fascicolo parte convenuta), è emerso che le recinzioni previste risultano completate così come l'accesso pedonale e carrabile, così come il collegamento citofonico nelle unità immobiliari e l'impianto di videosorveglianza (come documentato anche fotograficamente), nonché risulta predisposto un servizio di vigilanza nell'interno del comparto, organizzato anche con servizio di ronda notturna (cfr. all nn. 6 e 7 fascicolo parte convenuta). Con riferimento poi specificamente alla chiusura della strada di Valle di S. Maria "con un cancello di ferro zincato verniciato e con un sistema di sbarramento..." e all'attigua 2 portineria, la circostanza che tali interventi, in parte già realizzati con una portineria con postazione provvisoria e mediante la realizzazione di un sistema di sbarramento la cui evoluzione in struttura fissa o attivazione del funzionamento dipendono dalle autorizzazioni amministrative legate alla sdemanializzazione della strada comunale indicata, non sono state contestate da controparte che non ha neanche provveduto al deposito delle memorie istruttorie richieste. Inoltre, le asserzioni di parte convenuta hanno trovato conferma documentale tenuto conto del deposito in atti della diffida inviata dal Comune di Monterosi per la riapertura della strada in questione e contestuale rimozione di tutti gli impedimenti all'accesso, avendo invero affermato (...) S.r.l. di essersi dovuta adeguare a tale disposizione lasciando l'impianto di sbarramento realizzato installato e tuttavia non in funzione e ciò per non contravvenire a quanto stabilito dall'amministrazione comunale. Né parte attrice, al fine di adempiere all'onere di specifica contestazione a fronte delle difese supportate da idonea documentazione di parte convenuta, ha contestato che l'assenza di tali autorizzazioni debba ascriversi a inefficienza o inadempimento della parte convenuta o che la portineria, con le caratteristiche previste nel Regolamento di (...) doveva essere realizzata in una posizione non interferente con la sdemanializzazione della strada e senza le necessarie autorizzazioni amministrative o che non veritiera è stata l'allegazione della predisposizione di una postazione provvisoria. Alla luce di quanto sopra complessivamente valutato la domanda di parte attrice non può che essere rigettata. Le spese di lite, liquidate in base al D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. con riferimento ai valori dello scaglione indeterminato di modesta complessità e in prossimità dei minimi di scaglione per la semplicità delle questioni trattate e la ridotta attività compiuta, seguono la soccombenza e devono pertanto porsi a cario di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta la domanda di parte attrice; - condanna parte attrice alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, liquidandole in complessivi Euro 3.900,00, oltre spese generali forfettarie al 15%, Iva e cpa come per legge. Così deciso in Viterbo, 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il TRIBUNALE DI VITERBO SEZIONE CIVILE in persona del GIUDICE - dott. (...), ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile n. RG (...) promossa da: (...) con l'avv. Ma.FI. del foro di Spoleto; ATTORE contro (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. (...) CONVENUTA Avente per oggetto: nullità/indebito. MOTIVI DELLA DECISIONE Ai fini della succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione si osserva quanto segue. Le domande dell'attore si fondano sul mutuo ipotecario del 12/07/2006 (notaio dott. (...)) concesso per Euro 70.000,00 al tasso nominale del 5%, previo iniziale pre-ammortamento e salva "opzione" per il tasso variabile. Egli ha dedotto la nullità del contratto sotto il duplice profilo: a) della pattuizione di interessi oltre la soglia di cui alla legge 108/1996; b) della indeterminatezza delle condizioni economiche, stante l'erronea indicazione dell'ISC. Il perito ha accertato la conformità alla soglia di periodo del 7,950%, sia dei tassi corrispettivi che di quelli moratori. L'attore non ha contestato tali risultanze, anzi espressamente rinunciando all'"eccezione" di nullità sul punto (v. precisazione delle conclusioni). È invece persistente la contesa sull'indeterminatezza delle "condizioni economiche". Richiamando la perizia stragiudiziale in atti, l'attore ha invocato la sostituzione al tasso legale ex art. 117 TUB, deducendo che l'ISC effettivamente applicato è pari al 5,39% ed è pertanto maggiore di quello del 5,27% dichiarato nel contratto. La circostanza trova parziale ed apparente conferma nell'accertamento peritale, laddove l'ISC/TAEG viene individuato nella misura del 5,31%. In particolare, richiamando l'art. 2, II comma del DM 8/7/1992 (con riferimento alle "altre spese contemplate nel contratto"), il CTU ha incluso nel computo anche l'imposta sostitutiva (v, relazione peritale - dott. (...). Tale ricostruzione è però contestata dalla banca, che osserva come l'inclusione dell'imposta sostitutiva sia stata espressamente prevista soltanto nelle disposizioni (del 2009) successive alla stipula del contratto. Assorbente, peraltro, appare il rilievo per cui, come ritenuto dalla più recente giurisprudenza (v. da ultimo Trib. Napoli, 12/2/2021), ormai largamente maggioritaria, l'eventuale difformità nell'ISC è di per sé insuscettibile di determinare la nullità contrattuale. La fattispecie, infatti, non è infatti riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 117 TUB che riguarda, singolarmente, gli interessi e le condizioni praticate; l'ISC, per contro, non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Soltanto nelle difese conclusive, totalmente difformi dal contenuto delle precedenti memorie processuali, l'attore ha poi invocato la disciplina generale dei-consumatore, di derivazione comunitaria. Tali difese presuppongono l'indagine sulla qualità di consumatore del mutuante, che non è stata oggetto di previa allegazione. Si nota, peraltro, che la sanzione di nullità, per la violazione dell'obbligo informativo del consumatore sul costo complessivo del finanziamento, è stata introdotta soltanto con l'art. 125 bis TUB che, a tacer d'altro, risulta comunque inapplicabile ratione temporis; sotto altro profilo, inoltre, appare evidente che la marginalità delle scostamento - pari allo 0,04% soltanto - non può ritenersi idonea all'alterazione della capacità del consumatore di valutare la portata dell'impegno finanziario. L'indeterminatezza delle condizioni contrattuali, dapprima riferita soltanto alla "erronea indicazione del ISC/TAEG", è stata dall'attore estesa alla mancanza del piano di ammortamento e, comunque, del valore della singola rata, che non risulta indicata nel contratto. In proposito va rammentata la rilevabilità officiosa della causa di nullità diversa da quella aggetto di allegazione, essendo la domanda di nullità "pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio" (v. Cass. 154 08/2016); la pronuncia di nullità, d'altro canto, postula unicamente che i fatti posti a suo fondamento appartengano già al giudizio (risultando dalle allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti: Cass. S.U. 26242/2014) e che su di essa si sia formato il contraddittorio (v. Cass. 26495/2019). La banca ha negato l'incompletezza della pattuizione, tuttavìa limitandosi a richiamare la documentazione già in atti per sostenere che "le parti hanno concordato un tasso di interesse in misura fissa ed hanno allegato al contratto un piano di ammortamento con l'indicazione analitica del numero delle rate, della scadenza di ogni singola rata, dell'importo di ogni singola rata, della composizione della singola rata suddivisa per quota capitale e quota interessi, del debito residuo dopo il pagamento di ogni singola rata e dell'indicazione, in calce al predetto documento, del costo complessivo dell'operazione, suddiviso per capitale, interessi e spese" (v. da ultimo - memoria di replica). Tuttavia, come già evidenziato dal perito - in replica alle osservazioni del ctp della convenuta - "(...) la copia del contratto di mutuo depositato dalla Banca, che compare come terzo allegato alla comparsa di costituzione e risposta, datato 26/07/2006 (Allegato 8) pochi giorni dopo la stipula, non contiene il piano di ammortamento: gli unici documenti allegati sono la lettera del 03/07/2006 indicante la volontà delle parti di stipulate il finanziamento ipotecario alla data del 12/07/2006 (Allegato "A" del mutuo) nonché il Documento di Sintesi (Allegato "B" del mutuo). Si aggiunga che come di tutta evidenza, il contratto di mutuo (tanto nella copia prodotta dall'Attore che dalla Banca convenuta) NON indica il regime di capitalizzazione degli interessi passivi (semplice o composta)". Dall'esame della documentazione in atti, risulta quindi la mancanza del piano di ammortamento, che è stato redatto solo nel corso del rapporto. Secondo le verifiche effettuate dal CTU, il contratto in sé non contiene parametri univoci per la determinazione delle modalità di restituzione del capitale, essendo possibile differenti computi (v. raffronto tabella 1 e tabella 6): i criteri determinativi del tasso di interesse effettivo, attinenti al regime finanziario ed ai tempi di riscossione degli interessi, non sono stati estrinsecati (nell'atto notarile - o comunque nella documentazione ad esso allegata). Pur risultando priva di fondamento l'elisione integrale degli interessi - tuttora invocata dall'attore su differenti presupposti - va quindi rilevata la nullità parziale del contratto, in relazione alla clausola determinativa dell'interesse corrispettivo ex artt. 1346 e 1418, II comma c.c. (cfr. Cass.16907/2019). Inoltre, secondo quanto evidenziato dal perito, anche in replica alle osservazioni di parte, "il calcolo degli interessi passivi applicato dalla banca è in regime di capitalizzazione composta": in assenza di pattuizione contrattuale, quindi, si configura la violazione dell'art. 1283 c.c.. In conclusione - non essendo di alcun interesse l'astratto dibattito sull'ammortamento ed alla francese, nel riferimento al caso di specie - il debito del va rideterminato mediante applicazione del tasso ex art. 117, VII comma TUB ed in regime di capitalizzazione semplice. La domanda di indebito, non di meno, può trovare accoglimento nei limiti di quanto è stato corrisposto alla data del 5/7/2017, di introduzione del giudizio. È infatti inammissibile la richiesta di ripetizione dei pagamenti effettuati in corso di causa: tale domanda, proponibile in separato giudizio, non si risolve nel semplice ampliamento quantitativo dell'originario petitum ma presuppone l'accertamento dell'entità dei pagamenti successivi, quali fatti certamente nuovi rispetto a quelli introdotti con la citazione (e, comunque, con la memoria ex art. 183, VI comma n. 1 c.p.c.). In base alla tabella n. 6 della relazione peritale, l'importo ripetibile alla data del 30/6/2017 risulta pari ad Euro 16.582,93, su cui competono gli interessi legali dalla domanda sino al saldo. Le spese sono liquidate secondo i parametri di cui al DM 55/2014 e sono parzialmente compensate - nei termini di cui al dispositivo - tenuto conto: a) del rigetto della domanda di nullità dell'intero contratto; b) dell'infondatezza di entrambi i profili di nullità originariamente dedotti dall'attore. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accerta la nullità della clausola determinativa degli interessi nonché l'illegittimità della capitalizzazione degli interessi in relazione al mutuo stipulato in data 12/4/2006 e, per l'effetto, condanna (...) alla restituzione in favore di (...) della somma di Euro 16.582,93, oltre interessi legali dalla domanda sino al saldo; - compensa parzialmente le spese legali, condannando (...) alla refusione della metà delle spese di lite in favore di (...) quale quota che, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, liquida in Euro 272,50 per esborsi ed Euro 2.417,50 per compensi, oltre accessori; - pone a carico di (...) le spese di CTU, come liquidate in corso di causa. Così deciso in Viterbo il 5 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2021.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 3787 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, trattenuto in decisione all'udienza del 25 settembre 2019 promosso da CONDOMINIO VIALE (...) (VITERBO) - Residence (...), in persona dell'amministratore pro tempore (c.f./p.iva (...)), PA.GU. (c.f. (...)), RI.MA. (c.f. (...)), NO.SI. (c.f. (...)), MA.LA. (c.f. (...)) e RI.MI. (c.f. (...)), tutti elettivamente domiciliati in Viterbo, Piazza (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Sa., il quale li rappresenta e difende, giusta delega posta a margine dell'atto di citazione attori contro SOCIETÀ RE. S.r.l. in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. St.Pe. che la rappresenta e difende, anche disgiuntamente, unitamente all'avv. An.Be., giusta delega a margine della memoria ex art. 183 co. 6 n. 3 c.p.c. convenuta e contro SOC. Gi. S.n.c. terza chiamata in causa contumace Oggetto: responsabilità ex art. 1669 c.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, il Condominio di Viale (...) 135/D, Viterbo, nonché i condomini Pa.Gu., Ri.Ma., No.Si., Ma.La. e Ri.Mi. convenivano in giudizio la società Re. S.r.l. al fine di sentirla condannare, ex art. 1669 c.c., al pagamento delle somme necessarie per l'eliminazione dei difetti costruttivi riscontrati in sede di atp, nella misura risultante dal medesimo accertamento o nella misura differente risultante in corso di causa, nonché delle somme necessarie per l'eliminazione dei fenomeni di infiltrazione d'acqua verificatisi nell'unità immobiliare di proprietà di Pa.Gu., in un tempo successivo al deposito dell'atp, e per il suo ripristino, nonché delle somme necessarie per la messa in sicurezza dell'area e del fabbricato in stato di fatiscenza insistenti all'interno del comprensorio condominiale, per mettere in regola l'impianto ascensore, per l'ottenimento dei certificati di abitabilità, tutte somme da quantificarsi in corso di giudizio mediante consulenza tecnica d'ufficio. A sostegno della domanda parte attrice rappresentava: che in data 9.7.2012 le parti attrici avevano promosso atp nei confronti società Re. S.r.l. allo scopo di verificare, nel contraddittorio delle parti, la sussistenza di numerosi vizi e difetti costruttivi emersi successivamente agli acquisti, effettuati dagli istanti fra il 2006 e il 2009, delle unità immobiliari ubicate presso il Residence (...) in Viterbo, Viale (...) 135/D, realizzate dalla predetta società; che quest'ultima, costituitasi in giudizio, aveva chiesto e ottenuto l'estensione del contraddittorio nei confronti della ditta Gi. S.n.c., in quanto diretta esecutrice dei lavori della palazzina, costituitasi anch'essa regolarmente; che all'udienza del 28.11.2012 veniva nominato quale ctu il geom. Re.Bu.; che, a seguito del deposito dell'elaborato tecnico da parte del ctu, si erano verificati nuovi episodi di infiltrazioni d'acqua all'interno dell'unità immobiliare di proprietà di Pa.Gu.; che all'interno della lottizzazione insisteva un'area abbandonata, accessibile a chiunque, con all'interno un fabbricato in stato di degrado tale da arrecare un pregiudizio estetico nonché costituire fonte di pericolo per i fruitori della stessa; che l'impianto ascensore risultava mal funzionante e soggetto a episodi di allagamento; che le predette unità immobiliari erano prive di certificati di abitabilità; che, infine, i tentativi esperiti al fine di dirimere bonariamente la controversia non avevano avuto esito positivo. Si costituiva in giudizio la Società Re. S.r.l., rappresentando: che l'assenza di opere di recinzione, illuminazione, tappetino di usura e arredi nella zona esterna al condominio, nonché del battiscopa e del tappetino di usura nelle zone comuni della lottizzazione, era conseguenza della mancanza di autorizzazioni necessarie per il completamento delle opere di urbanizzazione; che la casa abbandonata insistente sull'area di lottizzazione non era pericolante ed era inaccessibile; che possibile causa dell'allagamento dell'ascensore era la costruzione all'interno del garage del Ma. di un bagno abusivo le cui acque di scarico erano state convogliate nella fognatura della palazzina, passante davanti al medesimo ascensore; concludeva, pertanto, chiedendo in via preliminare l'autorizzazione della chiamata in causa del terzo, Soc. Gi. S.n.c., con differimento dell'udienza, per essere manlevata dalla eventuali conseguenze pregiudizievoli della domanda avanzata da parte attrice e nel merito, in via principale, il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata in fatto e in diritto, e, in subordine, nell'ipotesi di accoglimento anche parziale della domanda attrice, chiedeva che parte convenuta fosse garantita e sollevata dalla società Gi. s.n.c., in forza di contratto di appalto intervenuto tra le parti. Autorizzata la chiamata in causa del terzo, all'udienza fissata il Giudice ne dichiarava la contumacia e concedeva i termini di cui all'art. 183 c.p.c. Successivamente disponeva consulenza tecnica d'ufficio nominando a tal fine il geom. Re.Bu.; all'esito dell'espletata ctu, e dopo una serie di rinvii dovuti alla pendenza di trattative tra le parti e al mancato rinvenimento del fascicolo di causa, l'ausiliario del giudice veniva convocato chiarimenti con conferimento di incarico integrativo. A seguito dell'integrazione della consulenza, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e rinviata per la precisazione delle conclusioni dando atto dell'esito negativo delle trattative pendenti tra le parti; all'udienza del 25 settembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. La domanda proposta dagli attori è parzialmente fondata e merita dunque accoglimento nei limiti di seguito indicati, dando altresì atto che dagli atti di vendita depositati risulta che la società convenuta è anche stata costruttrice degli immobili in oggetto da ciò richiamando parte attrice l'applicabilità al caso di specie della disciplina prevista dall'art. 1669 c.c. Invero, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, se la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente, con la conseguenza che quest'ultimo non acquista la qualità di committente nei confronti del primo e che l'acquirente non può esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione, di natura contrattuale, esclusivamente al committente nel contratto d'appalto, tuttavia, per quanto riguarda l'azione ex art. 1669 c.c., essendo questa di natura extracontrattuale, la stessa è operante non solo a carico dell'appaltatore ed a favore del committente, ma anche a carico del costruttore ed a favore dell'acquirente (cfr. Cass. n. 26574/2017). L'art. 1669 c.c., infatti, "benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto è diretto alla tutela dell'esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata. Conseguentemente, l'azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l'immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest'ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti, i quali possono fruire del termine annuale di decadenza" (cfr. Cass. n. 12304/1993; nello stesso senso e anche con riferimento alla legittimazione attiva dell'amministratore del condominio quanto alle parti comuni dell'immobile cfr. Cass. n. 3146/1998). Risulta, dunque, evidente che, nella fattispecie in esame sussistono, per alcune delle contestazioni mosse da parte attrice, i presupposti per l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 1669 c.c., trattandosi di edificio destinato ad uso abitazione e per sua natura caratterizzato dalla stabilità e durevolezza nel tempo. Sulla base del disposto normativo dell'art. 1669 c.c., inoltre, la responsabilità aggravata prevista dalla norma trova applicazione in presenza di alcuni necessari requisiti. In primo luogo, si richiede che l'evento dannoso sia stato causato da vizio del suolo o da difetto della costruzione. Ebbene, proprio la fattispecie del difetto della costruzione trova luogo nella presente controversia, considerato che la giurisprudenza ha chiarito che non si deve trattare di una semplice difformità rispetto alle pattuizioni negoziali, ma di veri e propri vizi, cioè di discordanze dalle regole dell'arte tra le quali si annoverano sia le deficienze costruttive vere e proprie, vale a dire quelle che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei o non a regola d'arte, che le carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali. Oltre alle cause dei danni, la norma elenca, poi, gli effetti della condotta colpevole del costruttore, precisando che la responsabilità ricorre in tre distinte ipotesi "rovina in tutto o in parte ovvero evidente pericolo di rovina o gravi difetti", risultando l'ultima ipotesi indicata quella di maggior problematica individuazione atteso che, secondo una prima rigorosa interpretazione, i difetti possono considerarsi come "gravi" quando siano tali da pregiudicare la possibilità di quella lunga durata che dovrebbe essere propria della costruzione stessa e che, diversamente, la giurisprudenza più recente ha ampliato la nozione di "gravi" difetti, facendovi rientrare tutte quelle situazioni che, pur non mettendo in pericolo la stabilità totale o parziale dell'edificio, compromettono l'abitabilità ed il godimento del bene evidenziando che "in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 cod. civ. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che (...) incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazione d'acqua e umidità nelle murature" (cfr. Cass. n. 84/2013; nello stesso senso cfr. Cass. n. 21351/2005 per il difetto di copertura dell'edificio). Ebbene, all'esito della consulenza disposta in sede di atp svoltosi tra le stesse parti dell'odierno giudizio, così come all'esito della ctu disposta nell'ambito di questo giudizio, sono stati e evidenziati difetti, vizi e danni conseguenza dell'esecuzione o della mancata completa esecuzione dei lavori riferibili alla convenuta. In particolare, le doglianze avanzate in sede di atp sono state accertate dal consulenze all'uopo incaricato, il quale compiendo i dovuti accertamento con metodologia scevra da vizi ha potuto accertare la sussistenza delle contestazioni mosse quantificando altresì i costi necessari ad ovviarli con particolare riferimento alla presenza di efflorescenze, distacchi di intonaco, crepe, distacco dei frontalini dei balconi, irregolarità dell'impianto delle acque meteoriche, infiltrazioni di acqua e distacco di intonaco nelle camere di singole proprietà immobiliari, funzionamento dell'impianto di illuminazione, riconducendo quanto riscontrato ad una non perfetta realizzazione delle opere a regola d'arte ad eccezione delle doglianze relative alla conservazione del marciapiede perimetrale il cui stato era dovuto all'uso e alla tipologia del materiale, e computando, altresì, gli importi necessari per ovviare a tutte le problematiche accertate in relazione all'esecuzione dei lavori riconducibili alla convenuta nella complessiva somma di Euro 35.932,44 da cui detrarre Euro 200,00 per gli interventi relativi alla conservazione del marciapiede e dunque per Euro 35.732,44 (cfr. elaborato depositato in sede di atp). Successivamente all'incarico conferito nell'ambito di questo giudizio, comprensivo anche della verifica della permanenza dei vizi e danni riscontrati in sede di atp con individuazione di quelli eliminati medio tempore per attività della medesima convenuta, il medesimo ctu incaricato ha potuto constatare la permanenza dei vizi e danni già riscontrati in precedenza nel procedimento R.G. n. 1611/2012 ad eccezione degli interventi da svolgere nell'immobile di proprietà Mi., unità immobiliare censita al sub 17, con riferimento alla quale è stato dato atto della realizzazione degli interventi suggeriti in sede di atp con riferimento al quesito 3 come ivi formulato e dunque dell'eliminazione delle problematiche specificamente riscontrate nella predetta abitazione, con conseguente riduzione degli importi complessivi già computati di ulteriori Euro 1.384,73 e, pertanto, con somma residua pari a Euro 34.347,71. Altresì, con riferimento all'unità immobiliare di proprietà della sig.ra Gu., all'esito della consulenza svolta sono state accertate, con fenomeni successivi a quelli riscontrati in sede di atp, manifestazioni di infiltrazioni della muratura in corrispondenza dell'accesso sui balconi dell'appartamento in questione causate dal non corretto deflusso verso l'esterno delle acque, inconveniente dovuto alla presenza di due pendenze diverse quanto alla pavimentazione del terrazzo risultando non corretta la pendenza del pavimento a ridosso della porta-finestra di accesso al balcone probabilmente per la corrispondenza con un pilastro in cemento armato che ha quindi obbligato la ditta costruttrice alla realizzazione delle due differenti pendenze con stanziamento delle acque meteoritiche a ridosso dell'abitazione e conseguenti infiltrazioni a ridosso dell'appartamento della sig.ra Gu.. L'ausiliario del giudice ha dunque individuato gli interventi da compiere per ovviare alla problematica - vale a dire rimozione delle pendenze oggi presenti e provvedendo al loro rifacimento realizzando un'unica pendenza idonea al deflusso delle acque - quantificandone i costi nell'importo complessivo di Euro 2.648,14, giungendo dunque all'importo complessivo, tenendo conto di quanto sopra detto con riferimento al computo in sede di atp detratti gli interventi già svolti nell'appartamento di proprietà Mi., di Euro 36.995,85. Ciò posto, quanto invece alle contestazioni relative al vano ascensore, relativamente al quale il ctu, pur non riscontrando all'attualità fenomeni di allagamento ha in ogni caso accertato l'effettiva verificazione degli stessi - atteso i segni evidenti di umidità per un'altezza di circa 10 centimetri dovuti allo stanziamento di acqua -, occorre evidenziare che non è stato riscontrato il nesso eziologico tra l'attività di esecuzione lavori riferibili alla convenuta e i disagi e vizi rinvenuti. Invero l'ausiliario del giudice nel rispondere al quesito b) di cui all'incarico conferito in data 1.6.2016, ha evidenziato, diversamente da quanto risultato per il quesito di cui sopra di cui alla lettera a), che non risultano vizi costruttivi cui ricondurre le cause del fenomeno infiltrativo lamentato, dovendosi invece rinvenirsi le cause di questo, con alta probabilità, nella presenza di una vecchia lega il cui sversamento determinerebbe l'allagamento all'interno del vano ascensore. Detta situazione, che sicuramente si riverbera negativamente sulla sicurezza e sulla funzionalità dell'impianto con necessità primaria di ovviare alla problematica problema, i cui costi sono stati ad ogni modo computati dal ctu in Euro 2.552,97, non appaiono pertanto attribuibili all'attività costruttiva della società convenuta alla quale, dunque, non possono ricollegarsi le conseguenze dannose e i relativi oneri per l'eliminazione della problematicità riscontrata. Quanto alle ulteriori domande attoree, relative nello specifico alla regolarità degli immobili compravenduti ai fini del rilascio del certificato di abitabilità/agibilità, si osserva che la richiesta avanzata esula dal thema decidendum fissato dalla stessa parte attrice e individuato nella responsabilità di cui all'art. 1669 c.c. avendo la stessa ad ogni modo, e al di là della qualificazione giuridica delle richieste avanzate che il giudice può sempre correttamente riqualificare, dedotto una responsabilità in capo alla convenuta, fonte di obbligo per quest'ultima di risarcire i danni causati, legata alla necessità di ovviare ai gravi difetti costruttivi che, pur senza influire sulla stabilità dell'edificio, pregiudicano o menomano in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità del medesimo, temi che in alcun modo possono ritenersi attinenti a quello della ottenibilità dei certificati in parola legata invece alla regolarità amministrativa degli immobili. La questione che attinente al rilascio, o alla possibilità, o meno di rilascio del certificato di abitabilità attiene, infatti, ad altro profilo relativo agli obblighi della convenuta nella qualità di venditrice e rispetto al titolo contrattuale per il rapporto venuto in essere tra le diverse parti, attrice, da un lato, e società convenuta, dall'altro. Se, pertanto, i quesiti, anche nell'ottica conciliativa in più occasioni prospettata dalle parti, sono stati posti al ctu al fine di verificare la regolarità degli immobili compravenduti, gli interventi le attività e i costi necessari per il conseguimento delle predette certificazioni (di cui al punto C del quesito predisposto con ordinanza del 1 aprile 2016, come poi integrato successivamente con i chiarimenti richiesti all'ausiliario del giudice in particolare con ordinanza del 17.1.2018), con costi quantificati in complessivi Euro 10.661,43 (Euro 10.268,97 + Euro 392,46), tuttavia l'esito di detta attività peritale non può avere alcuna utilizzabilità ai fini della decisione della causa, neanche con riferimento alla richiesta, tra l'altro avanzata tardivamente - in quanto formulata successivamente allo spirare dei termini di cui all'art. 183, comma 1, n. 1 c.p.c. -, di quantificazione del minor valore degli appartamenti, in particolare della sig.ra Gu., con riferimento alle violazioni eventualmente riscontrate quanto alla corrispondenza del progetto rispetto all'accatastamento e allo stato effettivo dei luoghi e ciò a prescindere dalla ulteriore circostanza che il medesimo ctu, chiamato comunque a rispondere al quesito con la finalità conciliativa già illustrata, ha potuto accertare, quanto all'appartamento di proprietà Si., che le difformità riscontrate tra lo stato dei luoghi e la documentazione prelevata presso gli uffici comunali e all'Agenzia delle Entrate è da attribuirsi alle opere realizzate dall'attuale proprietario, e dunque non dalla società convenuta, e che, invece, con riferimento ai rispettivi appartamento degli altri tre singoli proprietari, non è stato possibile accertare se le discrasie, pur presenti, sono state dovute a opere riferibili alla società Re. S.r.l. o agli interventi compiuti dai singoli proprietari. Con riferimento inoltre alle opere di urbanizzazione, il cui completamento il ctu ha ritenuto necessario per l'ottenimento del certificato di abitabilità/agibilità delle unità immobiliari e che lo stesso ausiliario, trascorso il tempo dall'epoca di svolgimento dell'accertamento tecnico preventivo, ha potuto constatare parzialmente realizzate - pur mancando ancora il completamento di opere complementari e accessorie come quantificate con le precisazioni che si dirà - parimenti deve osservarsi che non possono ritenersi incidenti sulla funzionalità e godimento degli stessi immobili nell'accezione, anche da ultimo ampliata dalla giurisprudenza, di cui all'art. 1669 c.c. (a tal proposito è sufficiente pensare alle voci relative alle panchine da posizionare o alla realizzazione della staccionata rustica), con conseguente esclusione della sua riferibilità alla convenuta sempre rispetto alla domanda avanzata e dedotta da parte attrice. In particolare, oltre alle opere sopra richiamate e comprese nel computo di cui alla relazione integrativa del 29.6.2018 (panchine e staccionata rustica), che ad ogni modo andrebbero escluse dal novero di quelle "risarcibili" in quanto in realtà incomplete rispetto a quanto prospettato nella richiesta protocollata al Comune di Viterbo in data 18.2.2012, si osserva che l'ausiliario del giudice ha anche accertato che all'esecuzione materiale delle opere di urbanizzazione la società convenuta ha potuto provvedere solo a decorrere dalla data del 7.6.2016, vale a dire, all'esito del rilascio del Permesso di Costruire n. P072715 del 14 agosto 2015, e dunque solo in corso di causa, con impossibilità di imputare alla convenuta la mancata esecuzione di dette opere al momento della proposizione della domanda di parte attrice. Dato atto, pertanto, che per tali opere, sia di urbanizzazione primaria che secondaria, non può essere mosso in questo giudizio alcun rimprovero alla società convenuta nonché considerato che dal secondo computo metrico stimato dal ctu, con elaborato depositato del 29.6.2018, e pari a complessivi Euro 32.503,10, si evince che alcune di questi interventi, in particolare quelli relativi al "conglomerato bituminoso" di cui al codice B.01.05.14.a, per l'importo di Euro 4.368,00, e quelli relativi a "ferro tondo, piatto o angolare" di cui al codice A.17.02.01.b, per l'importi di Euro 1.550,00, oggi con importo residuo - essendo in parte stati compiuti gli interventi - pari a Euro 310,00, deve concludersi allora nel senso che devono essere decurtati dal computo metrico di cui all'atp R.G. n. 1611/2012 per le ragioni sopra richiamate (vale a dire la mancanza, all'epoca, del necessario permesso di costruire per poterle realizzare) le somme occorrenti per l'eliminazione dei gravi vizi e difetti riscontrati nelle opere riferibili a parte convenuta per come lamentate da parte attrice, per un importo complessivo pari dunque a Euro 31.077,85 ( Euro 36.995,85 - ( Euro 4.368,00 + 1.550,00)); conseguentemente sono queste ultime le somme che parte convenuta, Società Re. S.r.l., deve essere condannata a corrispondere a parte attrice, ad ognuno per quanto di propria spettanza rispetto ai singoli interventi da realizzare nelle parti comuni del condominio e nei singoli immobili in rispettiva proprietà delle parti attrici, a titolo di risarcimento dei danni ex art. 1669 c.c. Alla luce di tutto quanto sopra le altre domande avanzate da parte attrice non possono invece trovare accoglimento, dando ad ogni modo atto della volontà conciliativa e del clima di collaborazione che il consulente ha in più occasioni riscontrato da entrambe le parti anche con riferimento al completamento delle opere di urbanizzazione e al compimento delle attività e degli adempimenti necessari al conseguimento delle certificazioni amministrative. Occorre da ultimo valutare la domanda di manleva avanzata da parte convenuta nei confronti della società terza chiamata contumace, Gi. S.n.c. Ebbene, considerato che come già evidenziato, la norma di cui all'art. 1669, prevedendo un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale sancita per ragioni e finalità di interesse generale, deve ritenersi applicabile, nonostante la sedes materiae, non soltanto ai rapporti tra committente e appaltatore, ma anche a quelli tra l'acquirente ed il costruttore - venditore (pur in mancanza, tra essi, di un formale negozio di appalto), con la conseguenza che il predetto costruttore non può ritenersi sollevato dalla responsabilità verso l'acquirente qualora l'opera sia stata eseguita (in tutto o in parte), su suo incarico, da un terzo, è anche vero che il venditore-costruttore può agire in via di regresso nei confronti di quest'ultimo terzo, nel caso di specie Gi. S.n.c., ove lo ritenga responsabile, nei propri confronti, della rovina dell'edificio o del difetto della costruzione (cfr. Cass. n. 8109/1997). Nel caso di specie la domanda avanzata dalla convenuta nei confronti della società terza chiamata in causa deve accogliersi considerato che parte convenuta ha dato prova dell'esistenza del contratto di appalto intervenuto tra le parti per la costruzione degli immobili oggetto di causa (cfr. documento 4 fascicolo atp depositato quale all.. 2 fascicolo parte convenuta) e dunque dell'attribuibilità dei difetti e vizi delle opere alla esecuzione della Gi. S.n.c. Le spese di lite seguono la soccombenza e devono dunque, tenuto conto dell'esito del giudizio, porsi a carico di parte convenuta e in favore di parte attrice quanto a quelle sostenute in sede di atp comprensive anche della liquidazione del ctu in quella sede, e, invece, compensarsi nella misura di un mezzo tra le due parti (parte attrice e parte convenuta) quelle relative all'odierno giudizio ponendosi la residua parte di un mezzo, liquidata come in dispositivo, oltre alla metà delle spese di ctp per come documentate, a carico di Re. S.r.l. e in favore di parte attrice; le spese di lite sostenute da parte convenuta devono invece porsi a carico di parte terza chiamata contumace soccombente. Le spese di ctu dell'odierno giudizio, liquidate già con separato decreto, devono invece porsi a carico delle parti in solido tra loro attesa l'utilità dello svolgimento della consulenza per entrambe le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) in parziale accoglimento della domanda attorea condanna parte convenuta, Re. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, al pagamento in favore di parte attrice della somma complessiva di Euro 31.077,85 ex art. 1669 c.c., da ripartirsi come in motivazione tra i diversi soggetti di cui alla parte attrice, rigettando ogni altra domanda; b) condanna Gi. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, a tenere indenne parte convenuta delle somme cui la stessa è stata condannata a corrispondere a parte attrice a titolo di risarcimento ex art. 1669 c.c. di cui alla lettera a); c) condanna parte convenuta Re. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore alla refusione delle spese di lite relative al giudizio di accertamento tecnico preventivo, R.G. n. 1611/2012, (oltre spese di ctu svolta in quella sede come già liquidate con separato decreto e spese di ctp come documentate e queste ultime pari a Euro 600,67), liquidate in complessivi Euro 2.400,00 per compensi, comprensivi di maggiorazione ex art. 4 comma 2 D.M. n. 55/2014, oltre 458,00 per spese esenti, oltre rimborso spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; d) compensa nella misura di un mezzo le spese di lite dell'odierno giudizio tra parte attrice e parte convenuta; e) condanna parte convenuta, Re. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, alla rifusione in favore di parte attrice, della residua parte di un mezzo delle spese di lite dell'odierno giudizio, liquidando quest'ultima frazione in complessivi Euro 3.250,00 per compensi, comprensivi di maggiorazione ex art. 4 comma 2 D.M. n. 55/2014, oltre alla metà delle spese esenti pari a Euro 229,00, e alla metà delle spese documentate di ctp pari a Euro 641,28, oltre rimborso spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; f) condanna Gi. S.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore alla rifusione in favore di Re. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese di lite dell'odierno giudizio liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese generali forfettarie al 15%, iva e cpa come per legge; g) pone definitivamente le spese di ctu dell'odierno giudizio, già liquidate con separato decreto, a carico delle parti in solido tra loro. Così deciso in Viterbo il 14 marzo 2020. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2020.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott. Eugenio Maria Turco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al R.G.n 677/2016 avente ad oggetto risarcimento danni e pendente TRA (...) ((...)) CON L'AVV. AN.PE. ((...)) dal quale è rappresentato e difeso come da procura in atti ATTORE E (...) S.P.A. - FONDO (...) con l'Avv. Gu.MO. dal quale è rappresentata e difesa come da mandato in atti CONVENUTA Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (...) ha citato in giudizio la (...) S.p.A., Fondo (...), al fine di ottenere una sentenza di condanna in suo favore e nei confronti della società convenuta in ragione dei danni subiti - che venivano quantificati in complessivi Euro 79.718,50 - a seguito di un incidente stradale a lui occorso in data 26.4.2014. In merito al dedotto incidente rappresentava che la colpa di tale sinistro era da addebitare in via esclusiva al conducente di un mezzo, rimasto poi ignoto, il quale spostandosi sulla occorsa corsia di marcia per evitare un gruppo di ciclisti, aveva costretto il conducente di una Fiat 500 che precedeva il motoveicolo da lui condotto a frenare in maniera improvvisa. A causa di ciò il Magnani non riuscendo ad evitare l'impatto a causa di tale imprevista ed improvvisa manovra, per evitare l'impatto urtando il veicolo che lo precedeva aveva subito danni alla persona ed al suo motoveicolo. Costituendosi in giudizio parte convenuta ha preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione passiva della (...) non essendo emersa, con certezza, prova che il fatto fosse stato causato da un conducente non identificato. Nel merito si riteneva sussistente un concorso di colpa da parte dello stesso attore nella determinazione causale del fatto. Dopo l'assunzione delle prove testimoniali ammesse e di CTU la causa veniva trattenuta in decisone. Ritiene questo giudice che la domanda sia fondata seppur con i limiti che saranno a breve illustrati in sentenza. In merito alla dinamica dei fatti è stato chiaramente accertato che l'incidente per cui è causa era stato causato - in via prevalente, ma non esclusiva - da un conducente di un veicolo che era rimasto poi sconosciuto. In merito a tale dato - necessario a legittimare la presenza della società convenuta - è stata acquisita rigorosa prova sia attraverso le testimonianze assunte, e di cui a breve si dirà, che attraverso prova documentale. Tali dati istruttori, in maniera inequivoca hanno infatti dimostrato che il principale responsabile del sinistro in esame fosse da individuare nel conducente di una veicolo, rimasto ignoto, che quel giorno, aveva invaso la sua opposta corsia di marcia che poi non si era fermato nonostante l'accaduto. Con riguardo alla dinamica del fatto di assoluto rilievo risulta la testimonianza resa all'udienza del 23.2.17 dal teste (...), testimone diretta dei fatti. Quest'ultima ha appunto riferito che il giorno dell'incidente, mentre si trovava a bordo della sua auto (una fiat 500) sulla Via C., all'improvviso un veicolo che procedeva nell'opposto suo senso di marcia, al fine di superare un gruppo di ciclisti aveva invaso la sua corsia di marcia. Nella indicata circostanza, ha specificato, poi, il teste "ho frenato e decelerato ed il motociclista (...) per evitare di tamponarmi ha tentato di superarmi sulla destra. Confermo che il (...) mi ha superato a destra perché a sinistra c'era il veicolo" E' poi emerso che poco prima del luogo ove era avvenuto il fatto (per i veicoli che procedevano nella direzione del (...)) v'era un leggero dosso. Tale ricostruzione dei fatti - già riferita dalla teste nella immediatezza del fatto agli operatori di PG (cfr Modulo di rilevazione incidente stradale dei Carabinieri intervenuti) certamente dimostra che la conducente del veicolo Fiat 500 aveva frenato in maniera improvvisa e repentina nell'indicata circostanza. La stessa testimonianza, però, non appare in linea con quanto indicato dalla difesa di parte attrice che aveva sostenuto che "il (...).. avvistava infatti il veicolo Fiat 500 che aveva appena trovato riparo sul lato destro della corsia arrestando totalmente la marcia...la cui conducente si era arrestata atterrita dallo spavento sul ciglio destro della strada". Al contrario, come visto, la Fiat 500 non si era posizionata sul lato destro della carreggiata, ma era rimasta nella sua stessa corsia. Ora, dall'istruttoria è emerso, come dato certamente sicuro, che il (...) a sua volta era stato costretto a frenare improvvisamente per evitare l'impatto con la fiat 500 ed a tentare di superare a destra tale veicolo per evitare l'impatto e che il fatto era certamente avvenuto a causa di una condotta gravemente colposa dell'ignoto conducente che proveniva dalla parte opposta. Ammessa la responsabilità dell'ignoto conducente, tale dato, però, non esclude il fatto che una disamina dell'evento debba essere in ogni caso compiuta al fine di verificare se sia stata o meno superata la presunzione di cui all'art. 2054 c.c. ("..in tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, il giudice che abbia in concreto accertato la colpa di uno dei conducenti non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell'altro dall'art. 2054 c.c., comma 2, ma è tenuto ad accertare in concreto se questo ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida irreprensibile" Cass. n. 21228/2016). Orbene, proprio alla luce dei dati istruttori finora esaminati, se da un lato appare evidente la responsabilità del conducente poi rimasto ignoto, dall'altro lato la condotta di guida del (...) non può essere di certo ritenuta "irreprensibile". Ciò considerando come, sia il rispetto di una distanza dal veicolo che lo precedeva e, soprattutto, la tenuta di una velocità di guida adeguata alle condizioni di luogo (la presenza di un dosso poco prima del fatto), avrebbe certamente limitato gli effetti dannosi dell'evento e comunque permesso una meno rovinosa manovra d'emergenza. Tutto ciò anche approfittando dello spazio, seppur limitato, che era rimasto a destra della destra della fiat 500 che tale veicolo che precedeva l'istante era rimasto sulla sua carreggiata e non si era spostata a sinistra come aveva invece indicato l'istante. Tali determinazioni inducono, pertanto, questo giudice a ritenere che nella determinazione dell'evento debba essere ammessa un, seppur lieve, concorso di colpa dell'istante che può essere quantificato nel 15%. In merito alla quantificazione dei danni gli esisti della CTU danno conto di lesioni del danneggiato prodotte a causa dell'urto subito nell'incidente stradale. In particolare di "una frattura composta del corpo-collo astragalo sinistro con interessamento dell'articolazione sotto-astragalica, frattura del cuboide e del 5 metatarso sinistro" (cfr. p. 4, CTU). Con riguardo alle percentuali di invalidità è stata accertata una invalidità permanente del (...) del 10%, mentre con riguardo alla invalidità temporanea la stessa è stata indicata nel 100% per 30 giorni, del 75%: per 20 gironi, del 50%: per 30 giorni e del 25%: per 30 giorni. Ora seguendo le tabelle del Tribunale di Milano per il danno biologico, considerando l'età del (...) al momento del fatto (56 anni) le percentuali di invalidità permanente e temporanea, il danno biologico può essere così liquidato: per invalidità permanente Euro 20.252,00 per invalidità temporanea Euro 6.615,00 somme poi da ridurre in ragione del concorso di colpa. In merito alla richiesta di danno morale, in ragione dell'utilizzo delle tabelle milanesi, la Cassazione aderendo ad una concezione unitaria del danno non patrimoniale ( Cass. civ. n. 26972/2008) ha stabilito che le tabelle milanesi non hanno cancellato il danno morale, bensì hanno provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale da lesione permanente all'integrità fisica, il cd. danno biologico, e del danno derivante dalle lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva, ossia il danno morale. Pertanto tali tabelle, pur mantenendo la distinzione concettuale tra le due specie di danno, hanno provveduto alla "liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale, determinando il valore finale del punto utile al calcolo del danno (ex multis, Cass. civ., n. 5243/2014)". Può quindi ammettersi una liquidazione complessiva di danno non patrimoniale provvedendo ad una liquidazione congiunta in applicazione delle tabelle milanesi. Sempre nell'ipotesi di danno morale che esprime, in ogni caso, una nozione di danno sostanzialmente differente rispetto a quello biologico, oltre alla liquidazione che viene operata utilizzando il sistema tabellare, la stessa liquidazione operata sulla base della tabella può essere aumentata attraverso un ulteriore indice di cd "personalizzazione". Ciò sempre che siano dedotte e provate ".. circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età e condizioni di salute. " (Cass. Civ. sez. III, ord. 30.10.2018, n. 27482). Ebbene di tali ulteriori circostanze non si è data prova alcuna. Pertanto un aumento determinato in ragione della voce personalizzazione non può essere accolto. Possono poi essere liquidate sia le spese mediche sostenute dall'attore (Euro 1.974,44) le quali risultano legate in maniera evidente - in considerazione del periodo e del tipo di interventi - al trauma per il sinistro in esame; sia i danni patrimoniali al motoveicolo provati dal verbale d'intervento dei Carabinieri intervenuti, dal preventivo e dalle foto in atti depositati per un ammontare pari ad Euro 1.905,53. Parte attrice ha chiesto, poi, una dichiarazione di condanna in merito alle spese cd legali stragiudiziali. Orbene in merito a tale domanda appare doveroso menzionare un recente indirizzo giurisprudenziale (Cass.III, 14.2.2019 n. 4306) secondo il quale "in tema di risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, (..) sono comunque dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore, dovendosi altrimenti ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l'art. 24 Cost., e perciò da disapplicare, ove volta ad impedire del tutto la risarcibilità del danno consistito nell'erogazione di spese legali effettivamente necessarie" (Cass. civ., sez. 3°, n. 11154/2015; Cass. civ., sez. 3°, n. 3266/2016; Cass. 6422/2017). Tuttavia, il Collegio ha altresì riconosciuto la possibilità di erogare dette spese attraverso la "fase studio" della tabella delle spese giudiziali, rifacendosi ad una decisone del 2006, la n. 2275. In tal modo si era lasciato aperto il dibattito se le indicate spese dovessero essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o di spese giudiziali. Sul punto le Sezioni unite (SSUU Civ. del 10.07.2017 n. 16990) hanno ritenuto che dette spese - nel solo caso di danno da circolazione stradale - debbano rientrare nella nozione di danno emergente (da non liquidare, quindi, come spese giudiziali)1 trattandosi di un "qualcosa di intrinsecamente diverso rispetto alle spese legali vere e proprie". Ha aggiunto la Corte che in ogni caso il giudice è tenuto a valutare se il danno doveva essere liquidato nella fase amichevole, piuttosto che nel processo secondo una valutazione da compiersi "ex ante cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio" Ora, in merito alla liquidazione del citato danno, trattandosi appunto di danno emergente, proprio considerando i principi delle SSUU la prova di tale danno resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie regole processuali. Non possono, quindi, seguirsi i criteri indicati da parte istante che ha fatto riferimento alle sole tabelle forensi (che, come detto, attengono alla liquidazione delle spese del processo dell'attività stragiudiziale alla quale non sia seguita l'attività processuale), né dirsi assolto tale onere probatorio attraverso il deposito di una proposta di fattura (di Euro 8.000). Alla luce di tanto le uniche allegazioni prodotte riguardano le spese sostenute per le richieste inoltrate alla società assicuratrice, spese che ammontano a circa 100,00 euro. Nessun altra prova è stata fornita. In conclusione, sulla base delle indicate tabelle e della documentazione depositata le somme da liquidare risultano cosi quantificate: danno biologico Euro 20.252,00 per invalidità permanente ed Euro 6.615,00 per invalidità temporanea; spese mediche Euro 1.974,44; danni patrimoniale Euro 1,950,53 danno stragiudiziale Euro 100,00. Complessivamente Euro 30.891,97 da detrarre la somma di Euro 4.633,79 per il concorso colposo, così complessivamente Euro 26.257,21 da riconoscere in favore del (...) per tutte le voci di danno. L'esito della causa ed un riconoscimento di un seppur lieve concorso di colpa esclude in maniera una statuizione ai sensi dell'art. art. 96 c.p.c. e comporta, in ogni caso, una condanna, per parte convenuta, al pagamento delle spese processuali tenendo in considerazione tutti i dati finora espressi può essere determinata in Euro 6.166,00 (valore causa da 26.001 a 52.000 con liquidazione di valori medi Euro 7.254,00 con riduzione fino del 15%). P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo così provvede: 1) dichiara la responsabilità del conducente di un veicolo non identificato nella causazione del sinistro avvenuto a Vetralla il data 26/04/2014 ai danni di (...) e per l'effetto, ritenuto atteso il concorso di parte istante nella misura indicata in sentenza, condanna le (...) S.p.A., quale impresa designata alla gestione del Fondo di (...), al risarcimento dei danni quantificati complessivamente in Euro 26.257,21 secondo le singole voci di danno indicate in sentenza, oltre interessi dalla data del sinistro sino al soddisfo. 2) condanna parte convenuta al pagamento delle spese del processo che si liquidano in complessivi Euro 6.166,00 oltre oneri di legge, somma da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Così deciso in Viterbo il 10 luglio 2019. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 4030 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, trattenuto in decisione all'udienza del 24 ottobre 2018 tra (...), C.F. (...), nato il (...) a (...) nel (...), elettivamente domiciliato in Viterbo, viale (...), presso lo studio dell'avv. Co.Co. il quale lo rappresenta e difende giusta delega a margine dell'atto di citazione attore contro (...), C.F. (...), nato il (...) a (...), elettivamente domiciliata in Viterbo, via I. Garbini n.51, presso lo studio dell'avv. Em.Ma. il quale lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta convenuto Oggetto: deposito Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato il sig. (...) conveniva in giudizio il sig. (...) al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni per la perdita ed il mancato utilizzo dell'imbarcazione marca (...) modello (...), matricola (...), quantificati rispettivamente in Euro 9.000,00 ed Euro 5.250,00. Chiedeva altresì la condanna di controparte al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato in Euro 8.000,00. A fondamento delle proprie domande esponeva che dal 2003 era solito lasciare ogni mese di settembre la propria imbarcazione in deposito presso il rimessaggio del sig. (...) (inizialmente presso Strada (...) e, negli ultimi anni, sul terreno sito in (...), Strada dei (...)) ove quest'ultimo provvedeva a custodirla e manutenerla fino all'inizio della stagione estiva. Ebbene, in data 29.4.2013 parte attrice esponeva di essere stato informato per telefono del furto dell'imbarcazione, del motore sopra montato e degli oggetti in essa contenuti. Dopo tale evento i sig.ri (...) e (...) si presentavano presso la stazione dei Carabinieri di Marta per denunciare l'accaduto: il sig. (...) denunciava il furto del carrello sul quale era stata posizionata la barca in questione. Si costituiva in giudizio controparte che deduceva la carenza di legittimazione passiva, la sua assoluta estraneità dai fatti di causa nonché l'infondatezza in fatto ed in diritto. Il Giudice concedeva i termini di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c. e successivamente istruiva la causa mediante l'escussione dei testi ammessi. All'udienza del 24 ottobre 2018 il Giudice, nuovo assegnatario della causa all'esito del trasferimento ad altre funzioni del precedente magistrato titolare, tratteneva la causa in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. La domanda di parte attrice è fondata nei limiti di seguito indicati. Invero, all'esito della prova per testi nonché in ragione delle risultanze documentali può considerarsi accertato il rapporto intercorso tra le parti caratterizzato sia dalla natura del contratto d'opera che della natura del contratto di deposito. In particolare il teste di parte attrice, (...), compagna non convivente dell'attore, ha riferito che "alla fine di ogni estate prendevamo appuntamento e lo (...) portava l'imbarcazione al rimessaggio" e che anche nel settembre 2012 lo (...) prese in consegna l'imbarcazione in possesso dell'attore e la condusse presso il rimessaggio così come risulta confermata la circostanza che nel mese di maggio di ogni anno l'attore si recava al rimessaggio e concordava con lo (...) i lavori di manutenzione nonché la messa in acqua per l'estate (cfr. verbale udienza 11.11.2015); le stesse circostanze venivano confermate dal teste (...) che, pur dichiarando di non averne conoscenza diretta, affermava di esserne consapevole per averne parlato con il (...) condividendo con lui la passione per la barca (cfr. verbale udienza del 11.11.2015). La circostanza poi della sussistenza del rapporto diretto tra l'attore e l'odierno convenuto e della natura dello stesso, non involgente alcuna società di cui il medesimo (...) ha provato di essere il rappresentante legale e con la quale quest'ultimo ha allegato essere intercorsi il rapporto per la manutenzione della barca e, a mero titolo di cortesia, di ricovero del natante oggetto di furto, è avvalorata anche dalle copie di assegni bancari emessi da (...) in favore di (...), rispettivamente in data 26.9.2007, 24.7.2008, 29.8.2009, 26.7.2010, 20.10.2010, 12.9.2011, 13.10.2012, di importi oscillanti dai Euro 350,00 agli Euro 500,00, depositati in atti. Tale produzione documentale, infatti, oltre a confermare le allegazioni dell'attore in ordine agli effettivi rapporti intercorsi, attesa la compatibilità dei periodi di emissione, con cadenza annuale, e delle somme ivi previste, potendosi individuare un rapporto pluriennale nell'ambito del quale alla cifra per il rimessaggio venivano evidentemente applicate anche ulteriori somme per le attività di manutenzione, consente altresì di ritenere infondata l'eccezione di parte convenuta di carenza di legittimazione passiva essendo provato il rapporto diretto tra le parti e non rinvenendosi in alcun atto o documento prova del rapporto tra l'attore e la società (...) S.r.l. invocata dal convenuto. Oltre a ciò si osserva che quanto sostenuto da (...) al fine di esonerarsi dalla responsabilità legata al contratto di deposito, sia pure misto anche alla prestazione d'opera, è rimasto privo di riscontro probatorio sia quanto alle allegazioni documentali a conforto di un rapporto intercorso con altri soggetti, sia quanto ai riscontri testimoniali, non risultando citati, all'udienza all'uopo fissata, i testi di parte convenuta per l'escussione sui capitoli ammessi, con conseguente decadenza dalla prova testimoniale. Inoltre, parte convenuta non ha argomentato alcuna deduzione in ordine al deposito delle copie degli assegni bancari emessi in suo favore, nulla deducendo neanche quanto ad una possibile causa alternativa dei pagamenti ricevuti. Parimenti prive di pregio le contestazioni relative all'assenza in capo all'attore della titolarità del diritto a richiedere la restituzione del bene, ovvero la restituzione dell'equivalente pecuniario della cosa depositata per non essere il richiedente il proprietario del bene stesso, attesa la consolidata giurisprudenza in ordine al dettato dell'art. 1777 c.c. in base alla quale "Nel contratto di deposito, soggetto attivo dell'obbligazione di restituzione è il depositante, non potendo il depositario esigere la prova della proprietà della cosa depositata; egli, pertanto, è anche soggetto attivo dell'obbligazione sostitutiva di restituzione dell'equivalente pecuniario della cosa depositata, che grava sul depositario in caso di perdita a lui imputabile, non potendo il depositario esimersi dall'adempiere eccependo la mancanza del titolo di proprietà in capo al depositante" (cfr. Cass. n. 6048/2010). Considerati gli obblighi gravanti sul depositario riconducibili alla sua prestazione, consistenti nell'uso della diligenza del buon padre di famiglia e nell'accollo dell'onere della prova che l'evento dannoso eventualmente cagionato alla cosa non è a lui imputabile - obblighi che non vengono meno neanche nel caso di contratto misto e atipico di rimessaggio di un natante in cui la parte si impegna a riparare e manutenere la cosa ed a custodirla verso corrispettivo fino alla consegna (cfr. Cass. n. 22803/2009), come risulta essere nel caso di specie -, e dato atto che non risulta contestato che la barca è stata oggetto di furto all'interno del terreno sito in (...), Strada dei (...), nell'aprile del 2013, e rilevato infine che parte convenuta non ha né allegato né provato - come sarebbe stato uso onere - l'inevitabilità dell'evento, nonostante l'uso della diligenza del buon padre di famiglia, della sottrazione dell'imbarcazione da parte di terzi avendo, anzi, affermato che l'area in cui l'imbarcazione era custodita era recintata ma "assolutamente sprovvista di presidi idonei allo scopo" vigilanza e custodia, deve accogliersi la domanda di parte attrice volta ad ottenere, quale obbligazione sostitutiva di restituzione, l'equivalente pecuniario del bene, essendo imputabile a parte convenuta la perdita del predetto natante e ciò in quanto "In caso di perdita della cosa depositata in seguito a furto, il depositario non si libera della responsabilità "ex recepto" provando di avere usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 cod. civ., e cioè di avere disposto un adeguato servizio di vigilanza, ma deve provare a mente dell'art. 1218 cod. civ. che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile" (cfr. Cass. n. 5736/2009; Cass. n. 6242/1993) e nel caso di specie parte convenuta risulta carente sotto ambedue i profili. Quanto alla quantificazione del danno si ritiene di accogliere le richieste attoree con riferimento al danno patrimoniale volto a rimettere il depositante nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se la restituzione in natura fosse stata eseguita, vale a dire il valore del natante, definito in buono stato di conservazione, comprensivo di motore, così come stimabile dalla documentazione in atti, che si ritiene di porre a fondamento delle determinazioni odierne in ragione della verosimiglianza dei valori di mercato nonché considerate le contestazioni generiche avanzate sul punto da parte convenuta. Si ritiene, pertanto, di individuare tale valore nella somma complessiva di Euro 8.000,00 ritenuto congrua per tutto quanto sopra, oltre rivalutazione monetaria e interessi compensativi dalla domanda alla decisione definitiva trattandosi di debito di valore. Devono invece rigettarsi le altre domande risarcitorie avanzate da parte attrice tanto a titolo di danni patrimoniali per il mancato utilizzo, già per il solo fatto di non aver dato dell'esborso economico sostenuto in concreto, tanto a titolo di danni non patrimoniali. Con riferimento al risarcimento di quest'ultima voce di danno deve invero precisarsi come, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, consacrato nelle sentenze a Sezioni Unite dell'11.11.2008 n. 26972-26975, il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c. L'art. 2059 c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile che si ricavano dall'art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione non giustificata di interessi meritevoli di tutela. L'art. 2059 c.c. è dunque norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela. Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente a reato; altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali; al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, conseguentemente, al di fuori delle ipotesi tipizzate, deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Ebbene, nel caso di specie non vi sono elementi per poter ritenere provata né una condotta penalmente rilevante, né la lesione di valori costituzionalmente tutelati, per come sopra specificato, e pertanto la relativa domanda di risarcimento di danno non patrimoniale non merita accoglimento non essendo stata rinvenuta una lesione, giuridicamente apprezzabile, diversa dal mero disagio, oltre a dover anche evidenziare che detti danni non risultano neanche provati da parte attrice. Le spese di lite, liquidate in dispositivo in base al decisum, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) accoglie la domanda di parte attrice nei limiti di cui in parte motiva e per l'effetto condanna (...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 8.000,00 oltre rivalutazione e interessi compensativi dalla domanda alla sentenza e con interessi corrispettivi sulla somma così ottenuta decorrenti dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; b) condanna (...) alla refusione delle spese di lite in favore di parte attrice liquidate in complessivi Euro 3.014,00, di cui Euro 2.800,00 per compensi e Euro 214,00 per spese esenti, oltre spese forfetarie generali al 15%, iva e cpa come per legge. Così deciso in Viterbo il 23 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale ordinario di Viterbo Il Giudice, Dr.ssa Maria Carmela Magarò, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 1342 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2012 e rimessa in decisione all'udienza del 15.01.19, vertente TRA (...), elettivamente domiciliato in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'Avv. Se.Bu., che lo rappresenta e difende in virtù di delega in atti, unitamente e disgiuntamente agli avv. Pa.Pa. e Al.Ma. PARTE OPPONENTE E (...), elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'Avv. An.Ma., che la rappresenta e difende in virtù di delega in atti, unitamente e disgiuntamente all'avv. Ma.Me. e all'avv. Pa.Ag. PARTE OPPOSTA OGGETTO: opposizione a precetto RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Omesso lo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132 c.p.c., si ripercorrono succintamente le domande e le eccezioni proposte, prima di procedere alla stesura della motivazione. Con atto di citazione notificato il 14.04.2015 (...) citava in giudizio (...) proponendo opposizione avverso l'atto di precetto notificatogli il 31.03.2015, con il quale la stessa chiedeva il pagamento della somma di Euro 122.918,06 quale importo dovuto dal S. a titolo di mantenimento del figlio (...), così come stabilito dal decreto n. 789/2015 del Tribunale per i Minorenni di Milano, calcolato a far data dalla domanda e detratte le somme dallo stesso già corrisposte (400 euro mensili). Rilevava l'opponente che il decreto indicato, nel condannarlo al pagamento di Euro 3.000,00 mensili a titolo di mantenimento del figlio (...), non aveva stabilito una decorrenza dalla data della domanda, per cui l'importo doveva ritenersi dovuto a partire dalla relativa pronuncia. Deduceva altresì che il decreto, oggetto di impugnazione innanzi alla Corte di Appello di Milano, indicava un importo a suo carico da ritenersi incongruo alla luce della situazione economica delle parti e in particolare delle differenze retributive nel periodo intercorrente tra la domanda e la pronuncia. Tanto premesso chiedeva la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo nonché accertarsi che nulla era dovuto alla Signora S. e dichiararsi il precetto inefficace. Si costituiva in giudizio C.S. deducendo di aver nel frattempo proceduto a notificare un pignoramento presso il datore di lavoro del S. per il recupero della somma dovuta; che la Corte di Appello di Milano aveva già respinto l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo; al decreto del Tribunale dei Minorenni doveva applicarsi la disciplina generale di cui all'art. 445 c.c. quanto alla decorrenza, non essendo diversamente specificato nel provvedimento; le ragioni poste a fondamento della quantificazione dell'assegno di mantenimento in Euro 3.000,00 mensili erano, oltre alla differente capacità reddituale dei genitori, anche la necessità di un trattamento per (...) non inferiore a quello riservato agli altri figli del S., anche tenendo conto dei problemi di salute del minore. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda avanzata dall'opponente e in via subordinata la condanna dello stesso, in via riconvenzionale, a corrispondergli la somma di Euro 122.978,06 a titolo di assegno di mantenimento del figlio da giugno 2011 fino alla data di pronuncia del decreto n. 789/2015, oltre al pagamento delle spese liquidate. Con ordinanza del 22.07.2015 il Giudice istruttore rigettava la richiesta di sospensione del titolo. Instaurato il contraddittorio, venivano precisate le conclusioni, quindi la causa veniva rimessa in decisione. L'opposizione deve essere respinta. Preliminarmente si rileva che "l'opposizione a precetto, con la quale si contesta alla parte istante il diritto di procedere ad esecuzione forzata quando questa non è ancora iniziata, rientra, come tutte le cause di opposizione al processo esecutivo, tra i procedimenti ai quali non si applica, neppure con riguardo ai termini relativi ai giudizi di impugnazione, la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, ai sensi degli artt. 3 della L. 7 ottobre 1969, n. 742 e 92 dell'ordinamento giudiziario. (Cass. Civ. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22484 del 22/10/2014) Deve pertanto essere stralciato quanto depositato da parte opposta tardivamente con la memoria del 20.10.2015, non potendo essere utilizzato ai fini della decisione. In punto di diritto deve precisarsi che per costante giurisprudenza, così come previsto dall'art. 445 c.c., "in materia di assegno di mantenimento per i figli, la relativa domanda proposta da uno dei genitori nei confronti dell'altro, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da quella della sentenza." (Sez. 1, Sentenza n. 10119 del 02/05/2006). Nel caso di specie non può ritenersi valga a derogare a tale principio l'espressione di rito utilizzata dal Tribunale dei Minorenni "da corrispondersi entro il giorno 5 di ogni mese", essendo la stessa chiaramente diretta a regolare la ordinata corresponsione di quanto dovuto pro futuro, senza escludere la decorrenza del provvedimento dal momento della domanda, come previsto per legge. Quanto alle deduzioni dell'opponente relativamente alle maggiori o minori differenze reddituali nei vari periodi individuati nelle more del giudizio innanzi al Tribunale dei Minorenni, si precisa che tutto quanto attiene agli eventuali fatti estintivi del credito antecedenti la formazione del titolo giudiziale è deducibile soltanto nel relativo giudizio, ovvero nel giudizio di impugnazione e pertanto coperto dal titolo in sede di opposizione a precetto. Deve altresì chiarirsi che le contestazioni avanzate dall'opponente in relazione ai criteri di quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio utilizzati dal Tribunale dei Minorenni costituiscono censure che non possono essere sollevate nel presente giudizio, dovendo formare oggetto esclusivamente dei motivi di appello avverso il decreto, che qui viene in rilievo in quanto posto a fondamento del precetto. Nel giudizio di opposizione all'esecuzione, l'indagine del Giudice è infatti limitata all'accertamento dell'esistenza e validità del titolo esecutivo e delle eventuali cause che ne abbiano successivamente determinato l'inefficacia o l'invalidità. Orbene il decreto del Tribunale dei Minorenni n. 789/2015 è stato reclamato innanzi alla Corte d'Appello di Milano, la quale, con decreto n. 2786/2015 del 29.10.15, successivamente all'intimazione del precetto opposto, ha parzialmente riformato il provvedimento impugnato determinando in Euro 1.500 mensili l'assegno di mantenimento per il figlio a carico del S. per le mensilità da luglio 2012 a giugno 2014, confermando per il restante periodo ( giugno 2011 - giugno 2012 e da luglio 2014 in poi) l'assegno di Euro 3.000 mensili. Successivamente il S. presentava ricorso alla Corte di Cassazione lamentando l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Suprema Corte rigettava il ricorso con ordinanza 1258/2017, ritenendo che la Corte d'Appello avesse avuto "piena considerazione del reddito percepito da entrambe le parti, della variabilità di esso, dell'entità elevata delle spese necessarie alla cura e alla crescita di (...) in considerazione delle sue condizioni di salute e dell'elevato tenore di vita goduto nel corso della convivenza dei suoi genitori, che egli ha diritto a mantenere tendenzialmente costante anche dopo la loro separazione." Deve pertanto rilevarsi che quanto statuito dalla Corte d'Appello di Milano in merito alla determinazione dell'assegno di mantenimento per i periodi sopra indicati è ormai passato in giudicato e costituisce titolo per agire nei confronti del S. (Cass. Civ. Sez. III, Sent. N. 6072/2012). Peraltro, con riferimento all'eventuale riduzione dell'assegno di mantenimento la giurisprudenza ha precisato che il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, in regime di separazione, comporta che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi d'irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione (Cass. Sez. 1, sent. n. 28987 del 10/12/2008; Sez. 6 - 1,ord. n.13609 del 04/07/2016; Sez. 6 - 1,ord. n. 25166 del 24/10/2017). Ne discende che troveranno applicazione le statuizioni contenute nel decreto della Corte d'appello, che prevedono la riduzione dell'assegno di mantenimento anche per alcuni periodi pregressi. Nel procedimento di opposizione a pignoramento presso terzi rg.e. n. 475/15 la creditrice, tenendo conto di tale statuizione, precisava il credito nella minor somma di Euro 85.700 per il periodo giugno 2011-febbraio 2015. A tale somma dovranno essere aggiunte le spese liquidate nel giudizio di primo grado pari ad Euro 3000, nonché le spese relative all'atto di precetto di complessivi Euro 895,92, per un totale complessivo di Euro 89.595,92. Pertanto il decreto precetto dovrà essere dichiarato efficace per tale minore importo, oltre agli interessi successivi a scalare, dalle singole scadenze al saldo. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza, con la precisazione che le medesime vengono liquidate secondo i parametri individuati con D.M. n. 55 del 2014, tenendo conto del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e della complessità delle questioni trattate, con esclusione dei compensi per la fase istruttoria che non ha avuto luogo. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Rigetta l'opposizione e conferma l'efficacia del precetto opposto limitatamente alla somma di Euro 89.595,92 oltre agli interessi successivi a scalare, dalle singole scadenze al saldo; - Condanna parte opponente a rifondere alla parte opposta le spese del presente giudizio, che liquida nella somma di Euro 8.000,00, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Viterbo il 23 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Viterbo, sezione civile, in persona del G.U. dott.ssa Fiorella Scarpato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 10012/2011 del R.G.A.C., avente ad oggetto FORNITURA, pendente TRA (...) S.R.L., IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T., (p. iva (...)), elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Si.Se., dal quale è rappresentata e difesa come da mandato a margine dell'atto di citazione OPPONENTE E (...) A.S., IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T., elettivamente domiciliata in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Ri.Po., dalla quale è rappresentata e difesa, unitamente all'avv. Pi.Ro. del foro di Bolzano, come da mandato a margine del ricorso ex art. 633 c.p.c. OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto n. 234/2010 il Tribunale di Viterbo - sezione distaccata di Civita Castellana in data 15.10.2010 ingiungeva alla (...) s.r.l. di pagare in favore della (...) a.s. la somma di Euro 28.816,71, oltre interessi moratori e spese a titoli di corrispettivo per la fornitura di carta alimentare. Avverso tale titolo proponeva opposizione la (...) s.r.l. allegando: la nullità della procura ad litem in ragione dell'illeggibilità della sottoscrizione del soggetto che l'aveva conferita in rappresentanza della società; la carenza di legittimazione attiva della (...) a.s. avendo essa opponente intrattenuto rapporti con altra società straniera e precisamente la (...) a.s.; la presenza di vizi nella merce fornita che essa opponente avrebbe dovuto utilizzare per realizzare in collaborazione con il gruppo (...) involucri per il confezionamento dell'intera produzione di pane, pizza, dolci e prodotti da forno surgelati a marchio "(...)" e "(...)" rappresentandone la fornitrice esclusiva; il fallimento del progetto a causa dei vizi della carta fornita dalla società opposta che si e rivelata inadeguata e non conforme all'uso per il quale era stata acquistata rilasciando a seguito della cottura con gli alimenti in essa contenuti evidentissime macchie di colore scuro con conseguenti potenziali interazioni organolettiche con i cibi; l'interruzione del progetto con il gruppo (...) a causa di tali vizi con conseguente enorme danno. Chiedeva pertanto, previo accertamento dell'inadempimento della (...) a.s., la nullità del decreto ingiuntivo, nonché la condanna della controparte al risarcimento del danno rappresentato dalla perdita dell'affare commerciale di notevoli proporzioni con il Gruppo (...), e quindi quale perdita di chance. Nella resistenza della (...) la causa istruita a mezzo interrogatorio formale e prova per testi, anche in forma delegata sia al Tribunale di Lodi che presso la Repubblica Ceca, veniva quindi riservata in decisione all'udienza dell'11 luglio 2018 con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. In via preliminare va rigettata l'eccezione di nullità della procura per illeggibilità della firma del relativo sottoscrittore. Sebbene come correttamente rilevato dalla società opponente la firma apposta a margine del ricorso non sia leggibile tuttavia dal documento n. 7 allegato dalla (...) s.a. e cioè dall'estratto del registro commerciale esistente presso il tribunale di Hradrec Kraoleve emerge inequivocabilmente il nome del presidente del consiglio di amministrazione e peraltro è specificamente previsto che lo stesso è autorizzato a rappresentare la società in modo autonomo potendovi in alternativa i due membri del consiglio soltanto insieme, e nella concreta fattispecie la firma apposta è unica. Sotto tale profilo invero la giurisprudenza ha ormai da tempo chiarito con orientamento granitico che la mera illeggibilità della firma non è sufficiente per determinare la nullità della procura laddove sia possibile verificare attraverso il controllo nel registro delle imprese l'idoneità del titolare della carica sociale e i suoi poteri (Cass. n. 16581/2005) e comunque nel caso in cui il titolare sia identificabile tramite i documenti di causa (Cass. n. 7179/2015), come avvenuto nella concreta fattispecie in cui è stato depositato l'estratto del registro delle imprese ceche. Ma altrettanto infondata è l'eccezione di carenza di legittimazione attiva della (...) s.a. pur sempre sollevata dalla (...) s.r.l. Quest'ultima lamenta di aver avuto rapporti commerciali con altra società straniera e precisamente con la (...) a.s., risultando questa unica intestataria delle fatture poi azionate con il ricorso per decreto ingiuntivo e che l'opposta pur affermando l'intervenuta scissione non avrebbe tuttavia fornito prova di tale vicenda societaria. Sempre dall'estratto del registro commerciale presente presso il tribunale di Hradrec Kraoleve e depositato al documento n. 7 dalla (...) s.a. emerge in maniera inequivocabile che la società (...) si è scissa dando vita a tre diverse società di cui una è costituita proprio dalla odierna opposta. E di tale vicenda successoria si dà atto altresì nell'estratto del registro commerciale inerente alla (...), che risulta iscritta soltanto a decorrere dall'1 maggio 2008, ove si attesta che la stessa è nata a seguito della scissione della società (...). Ancora nella dichiarazione collettiva della (...) e (...) si dà atto che il credito vantato dalla prima nei confronti della odierna opponente viene ad essere ceduto alla società (...) a.s. Peraltro che della vicenda successoria la (...) fosse informata già prima dell'introduzione del presente giudizio emerge chiaramente dalla lettera del 24.2.2009 e dalla integrale corrispondenza che vi è stata tra le due parti in causa e che dimostra come l'opponente fosse consapevole dell'avvenuta successione. Né la (...) nelle memorie ex art. 183, coma VI, c.p.c. ha contestato in maniera specifica l'avvenuta scissione e/o la sua opponibilità ad essa opponente limitandosi a ribadire il difetto di legittimazione attiva della (...) s.a. in base alle stesse ragioni addotte nell'atto di citazione. Per altro verso a fronte della avvenuta cessione quanto meno del credito e pertanto della successione nel lato attivo del rapporto con conseguente definitiva individuazione del creditore l'eccezione risulta essere meramente dilatoria. Nel merito l'opposizione è infondata. Sicuramente priva di rilievo alcuno è l'eccezione di insufficienza della fattura, quale documento fiscale di formazione unilaterale, a costituire prova del credito. Premesso che la stessa è invero elemento sufficiente all'emissione del decreto ingiuntivo nella concreta fattispecie la (...), pur rivestendo la qualità di convenuto sostanziale non ha mai negato specificamente di aver stipulato un contratto di compravendita con la controparte ovvero di aver ricevuto la merce, bensì ha lamentato la non conformità della stessa con ciò implicitamente riconoscendo di averla ricevuta sulla base peraltro di ordini dalla stessa inviati con la conseguenza che l'eccezione sul punto è priva di pregio. Ciò posto la vicenda merita una breve ricostruzione. Tra le parti in causa intercorrevano ben tre forniture. Precisamente con un primo ordine di prova la (...) richiedeva carta per alimenti avente determinate caratteristiche e precisamente che il prodotto fosse resistente alle alte temperature per l'importo di Euro 1.386,39 come da fattura del 26 luglio 2005. A seguito della verifica positiva del materiale per l'utilizzo che si sarebbe dovuto fare con il Gruppo (...) nell'aprile del 2006 la Polciarta effettuava due distinti ordinativi per un totale di Euro 18.951,36 a fronte dei quali venivano emesse due fatture, rispettivamente il 7.4.2006 e il 15.6.2006 che venivano anche esse regolarmente pagate. Infine nel mese di ottobre del 2006 veniva consegnato in tre momenti temporali diversi la medesima tipologia di materiale come da fattura n. (...) del 6 ottobre 2006 di Euro 15.704,64 (integralmente pagata), fattura n. (...) del 14 settembre 2006 per Euro 12.292,14 e fattura n. (...) del 14 novembre 2006 per Euro 16.524,57 entrambe oggetto del presente giudizio. Secondo la prospettazione della (...) la stessa nel corso dell'anno 2004 veniva contatta dal Gruppo (...) di Terni al fine di verificare congiuntamente la possibilità di immettere sul mercato un nuovo tipo di prodotto e precisamente un incarto idoneo al confezionamento, surgelamento, trasporto e stoccaggio di alimenti in tutte le condizioni di uso, ivi compresa l'utilizzabilità in forno e per la cottura dei cibi. In base agli accordi intercorsi qualora le prove della confezione avessero dato esito positivo il gruppo (...) avrebbe riconosciuto alla (...) s.r.l. l'esclusiva nella produzione dei predetti incarti divenendo così fornitrice unica del gruppo (...) di involucri per il confezionamento dell'intera produzione di pane, pizza, dolci e prodotti da forno surgelati a marchio (...) e (..). Proprio in ragione di tale collaborazione commerciale la società opponente aveva richiesto una prima fornitura a titolo di campione alla (...) snc in qualità di rappresentante per l'Italia della odierna opposta, quella del giugno 2005 cui seguivano i due ordinativi di giungo 2006 e di ottobre/novembre 2006. Sempre secondo quanto affermato dalla (...) tuttavia la carta fornita sarebbe stata viziata in quanto non conforme all'uso cui era destinata, in quanto mentre quella ricevuta quale campione non si era modificata durante le prove di congelamento e successiva cottura al forno, invece, successivamente era emerso che la stessa sottoposta a trattamento di cottura unitamente agli alimenti in essa contenuti presentava evidentissime macchi di colore scuro con conseguenti potenziali interazioni organolettiche con i cibi e/o eventuali cessioni di sostanze tossiche rendendo così impossibile la commercializzazione degli alimenti. Ebbene premesso che effettivamente dalle dichiarazioni rese dal sig. (...), dipendente del gruppo (...), nel periodo oggetto di causa, è emerso che vi erano dei problemi e precisamente che "la prima fornitura di prova aveva ad oggetto carta anonima e come ho già detto andava bene, la seconda fornitura, quella effettiva per poter mettere il prodotto in commercio, aveva la carta stampata e come ho appena detto ha subito cominciato a crearci dei problemi", tuttavia, si ritiene che la (...) sia decaduta dalla garanzia per vizi in ragione della tardività della denuncia tempestivamente dedotta dalla società opposta. L'art. 1495 c.c. prevede infatti rigidi termini di decadenza e prescrizione per l'esercizio delle cd. azioni edilizie stabilendo la decadenza del compratore nell'ipotesi di omessa denunzia entro il termine perentorio di otto giorni dalla scoperta. Sotto tale profilo non bisogna tuttavia confondere due aspetti: quello della prova dell'esistenza di una denuncia, a prescindere dalla sua forma, e quello ben diverso della sua tempestività. La comunicazione di cui all'art. 1495 c.c. non richiede speciali formalità potendo essere effettuata con qualsiasi mezzo idoneo di trasmissione, quale può essere anche il telefono (Cfr. Cass. n. 5142/2003) né, per essere rituale, secondo la giurisprudenza, richiede indicazioni puntuali circa la natura e la causa dei vizi, essendo sufficiente una generica iniziale individuazione che valga a mettere sull'avviso il venditore (Cfr. Cass. n. 9184/2004). Tuttavia pur non dovendo essere analitica deve comunque presentare il requisito della univocità e, quindi, riferirsi, sia pure sinteticamente e genericamente, ad un vizio, non essendo pertanto sufficiente la manifestazione di dubbi e perplessità sulla idoneità della merce. Peraltro a fronte dell'eccezione di tardività di tale comunicazione sollevata dal venditore sarà onere probatorio dell'acquirente provare di aver denunciato tempestivamente i vizi della cosa venduta, e cioè entro il brevissimo termine di otto giorni dalla loro scoperta (Cfr. Cass. n. 1031/2000). Nella fattispecie oggetto del presente giudizio il sig. S. (sentito presso il Tribunale di Lodi) quale rappresentante Italiano della società opposta ha affermato che all'epoca aveva ricevuto delle foto dei sacchetti che presentavano delle macchie e che le aveva prontamente girate alla (...) s.a., senza tuttavia nulla riferire in ordine alla tempistica; né di diverso tenore sono state le dichiarazioni rese da (...) socia del primo teste della società che fungeva da rappresentante italiana della (...) la quale ha soltanto collocato temporalmente la denuncia a fine 2007 e in seguito alla grossa fornitura dello stesso anno. In mancanza allora di una collocazione temporale precisa e considerata la brevità del termine di soli otto giorni previsto dall'ar.t 1495 c.c. la denuncia di cui sopra non può che considerarsi inesorabilmente tardiva. Ma in realtà la denuncia sarebbe ugualmente tardiva anche laddove si volesse per ipotesi ritenere che la stessa sia pervenuta alla venditrice dopo otto giorni dalla scoperta avvenuta a novembre del 2007. Ed invero premesso che come dichiarato sai dai riferimenti italiani della (...) s.a. che dagli stessi sig. (...) e (...), sentiti a mezzo rogatoria comunitaria, oggetto delle tre forniture è sempre stata la medesima tipologia di carta con le stesse caratteristiche e qualità e, tuttavia, come evidenziato dalla (...), nella mail del 21 maggio 2007 (doc. 22 parte opponente) indirizzata alla (...) l'incaricato del gruppo (...) testualmente affermava che "come puoi notare il problema delle macchie scure sull'incarto persiste". Se allora già a maggio del 2007 la (...) aveva contezza del vizio resta davvero priva di plausibile ragione la scelta della opponente di acquistare ancora a novembre dello stesso anno e senza essere sicura di aver risolto le problematiche già ampiamente manifestatesi, una fornitura della stessa tipologia di carta per il notevole importo di oltre Euro 30.000, salvo poi a denunziare soltanto in relazione a quest'ultima vizi già esistenti e per di più già riscontrati a seguito della seconda fornitura. In realtà tale mail può far presumibilmente ritenere che il vizio dalla stessa evidenziato fosse imputato dalle stesse parti coinvolte nell'affare, e cioè la (...) e il Gruppo (...), non già alle caratteristiche intrinseche della carta bensì verosimilmente ad un successivo processo di lavorazione della stessa riferibile alla (...) con la conseguenza che anche laddove la denuncia si volesse considerare tempestiva in realtà può escludersi la sua riferibilità alla (...) s.a. Né per altro verso nella concreta fattispecie si può ritenere sussistente un riconoscimento del vizio da parte del venditore che ai sensi dell'art. 1495, comma II, c.c. sanerebbe la denuncia tardivamente effettuata. Il riconoscimento di cui alla norma consiste in una dichiarazione di scienza relativa alla sussistenza di un fatto produttivo di conseguenze giuridiche negative per il dichiarante (Cfr. Cass. n. 4893/2003). La giurisprudenza a tal proposito ha chiarito che non vi è un riconoscimento rilevante ex art. 1495 c.c. quando il venditore pur ammettendo l'esistenza del vizio, la imputi a comportamento del compratore o di terzi, ovvero a caso fortuito, successivi alla vendita o alla consegna (Cfr. Cass. n. 8226/1990). Il riconoscimento che è tale anche quando il venditore ammetta che la cosa presenta caratteristiche che non solo la rendano ma che la possano rendere inidonea all'uso cui è destinata non richiede forme determinate ma tuttavia deve essere univoca e convincente. Nel caso di specie dalle dichiarazioni rese dal sig. M., diretto di produzione della (...) s.a., presso il Tribunale distrettuale di Trtnov (quale autorità richiesta della prova) tra la seconda e la terza fornitura è decorso circa un anno senza che la (...) avesse mai denunciato alcunché. Per altro verso non può qualificarsi quale riconoscimento giuridicamente rilevante la circostanza che la società opposta a seguito del reclamo, come dichiarato dal teste (...), forniva un campione di carta con maggiore resistenza ai grassi, senza più ricevere alcuna risposta. Ed invero la fornitura non già della medesima tipologia di carta (presuntivamente priva di difetti) bensì di altra tipologia a fronte peraltro della circostanza chiarita dal teste che pima del reclamo essa opposta non conosceva l'uso della carta, avendo soltanto ricevuto un ordine ben preciso ed a priori individuato, non può rappresentare un riconoscimento del vizio in quanto la società venditrice non ha provveduto a sostituire il sostanzioso ordine, composto di diverse tonnellate di carta, bensì ha fornito alla opponente un campione di una carta diversa ritendo che questa altra carta, prodotta con modalità diverse e avente quindi caratteristiche diverse, fosse più idonea allo scopo di cui aveva contezza solo in sede di reclamo. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 come in dispositivo senza tener conto soltanto delle somme impiegate dalla società opposta per la traduzione giurata del verbale di testimonianza resa in Repubblica Ceca trattandosi di attività svolta d'ufficio dalla cancelleria e pertanto inutile ai fine del giudizio così come le spese sostenute dai testi residenti in Repubblica Ceca in quanto soltanto a seguito di sollecitazione da parte di questa autorità giudiziaria la (...) richiedeva l'audizione presso il loro stato di residenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: A) rigetta l'opposizione proposta dalla (...) s.r.l. e pertanto dichiara la definitiva esecutività del decreto ingiuntivo n. 234/2010 emesso dal Tribunale di Viterbo- sezione distaccata di Civita Castellana il 15.10.2010; B) condanna l'opponente alla refusione delle spese di lite che liquida nella misura complessiva di Euro 6.300 per compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Viterbo il 20 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Caterina Mastropasqua, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di primo grado iscritto al n. 859 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2011, trattenuto in decisione all'udienza del 27 giugno 2018 tra (...), (c.f (...)) quale erede di (...) deceduto, elettivamente domiciliata in Canepina via (...), presso lo studio dell'avv. (...) il quale la rappresenta e difende giusta procura in atti attore contro (...) elettivamente domiciliato in Viterbo, via (...), presso lo studio dell'avv. Ce.Ga. quale lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla citazione passiva convenuto nonché nei confronti di (...) e (...) elettivamente domiciliati in Viterbo, Viale (...), presso lo studio dell'avv. Al.Ze. la quale li rappresenta e difende giusta delega allegata alla comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20.3.2018 Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) premetteva: di essere intestatario a tempo indeterminato di alcuni terreni siti in (...), tenuta comunale San Savino, soggetti ad uso civico del Comune di Marta, dell'estensione di circa 68 ettari e con ivi insistenti fabbricati rurali; di essersi obbligato a venderli, una volta affrancati, al sig. (...) mediante scrittura del 19.9.2005 nella quale il prezzo veniva concordato in Euro 1.291.000,00 e veniva altresì stabilito che la stipula del contratto definitivo sarebbe stata rinviata al completamento della pratica di legittimazione o affrancazione dei terreni gravati dall'uso civico; che essendo stato il promissario acquirente immesso immediatamente nel possesso dei terreni de quibus era stato contestualmente redatto tra le parti un contratto di affitto di azienda per la durata di 4 anni e con canone di Euro 45.000,00; che, successivamente, in data 31.8.2006, le parti avevano convenuto che qualora non fosse stato possibile stipulare il definitivo per la vendita di terreni e fosse stato necessario altro contratto di affitto, il canone per il nuovo affitto sarebbe stato assorbito nella somma di Euro 75.000,00 versata nell'occasione dal (...); che con successiva scrittura privata del 24.7.2007, sostitutiva in toto delle precedenti, l'attore aveva ceduto i predetti terreni al convenuto per il prezzo di Euro 1.291.000,00 dandosi atto tra le parti, all'interno della richiamata scrittura, che il prezzo fino a quel momento versato dal (...) era pari a Euro 263.000,00 e stabilendo che all'affrancazione avrebbe provveduto il medesimo acquirente (...); che successivamente il convenuto provvedeva a versare altre somme per il complessivo importo di Euro 624.421,00 senza tuttavia provvedere all'affrancazione. Tutto ciò premesso parte attrice chiedeva, in via principale, che venisse dichiarata la nullità del contratto in quanto avente ad oggetto beni gravati da uso civico nonché in quanto carenti dell'allegata certificazione di destinazione urbanistica chiedendo altresì che venisse dichiarato non ripetibile quanto già corrisposto dal (...) in acconto sul prezzo in ragione dell'uso dei beni medio tempore avuto; in via subordinata chiedeva che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento di parte convenuta, non avendo questo provveduto tempestivamente alle pratiche di affrancazione dei fondi né versato le somme previste nel contratto, e chiedeva, infine, il risarcimento dei danni arrecati ai fondi e agli immobili in conseguenza del mutamento dello stato dei luoghi. Si costituiva in giudizio (...) chiedendo il rigetto della domanda attorea evidenziando come la mancata affrancazione era stata determinata dalla mancata consegna dei documenti necessari da parte del (...); contestava altresì il diritto alla restituzione dei terreni invocata dall'attore così come la sussistenza dei danni in capo all'azienda agricola, ai capannoni e alle piante situate sui terreni e chiedeva la restituzione delle somme versate. Su richiesta delle parti la causa veniva trattenuta in decisione limitatamente alla questione relativa alla validità del contratto e alle sue conseguenze. Veniva dunque emessa, dal precedente Giudice assegnatario della causa, sentenza non definitiva di dichiarazione di nullità del contratto di vendita del 24.7.2007 intervenuto tra (...) e (...) - atteso che i beni immobili gravati da usi civici non possono essere oggetto di cessione prima della loro affrancazione secondo il disposto degli artt. 11, 12 e 21 della L. n. 1766 del 1927 - con condanna del convenuto alla riconsegna dei terreni oggetto del contratto in favore dell'attore e condanna altresì dell'attore alla restituzione al convenuto della somma di Euro 624.421,00 oltre interessi dalla domanda al saldo; la causa veniva dunque rimessa sul ruolo istruttorio al fine di consentire la valutazione delle somme da versare da parte del convenuto in favore dell'attore a titolo di indennità per l'occupazione dei fondi nonché per l'eventuale risarcimento dei danni in conseguenza dell'utilizzazione dei beni oggetto del contratto di compravendita dichiarato nullo. Veniva dunque disposta consulenza tecnica d'ufficio con le finalità sopra indicate. Medio tempore avverso la sentenza veniva proposto gravame; la Corte d'appello di Roma, sospesa l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, all'esito del giudizio, rigettata l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata per la prima volta in quella sede, nonché quella di difetto di legittimazione attiva del (...) a richiedere la restituzione dei terreni oggetto del contratto dichiarato nullo, sul rilevo sia della sussistenza dell'interesse ex art. 1421 c.c. nonché di quello ad assicurare il ripristino della situazione di fatto anteriore, ciò non pregiudicando le pretese delle parti nei confronti dell'ente titolare del demanio civico, confermava la sentenza di primo grado ad eccezione dell'importo dovuto dal (...) in favore del (...) individuato nella minor somma di Euro 578.061,00 decurtando invero dall'originario importo cui era stato condannato alla restituzione in primo grado, la somma di Euro 46.360,00 concordata tra le parti per la cessione delle attrezzature agricole non oggetto della dichiarazione di nullità. veniva altresì aperto subprocedimento per la trattazione del sequestro conservativo richiesto dal convenuto in corso di causa. Rigettata la richiesta di sospensione del giudizio avanzata in ragione della pendenza dell'impugnazione della sentenza non definitiva innanzi alla Corte di Cassazione, non essendo stati ravvistati i presupposti di cui all'art. 295 c.p.c., la causa venia rinviata per il prosieguo della trattazione dall'odierno giudice, nuovo assegnatario della causa in virtù del provvedimento presidenziale di ridistribuzione delle cause del ruolo di altro magistrato destinato ad altre funzioni. Veniva dunque dato atto della prosecuzione del giudizio ex art. 302 c.p.c., all'esito del decesso del (...) avvenuto in data 20.1.2017, da parte della sig.ra (...), vedova del de cuius; rilevata l'esistenza di altri chiamati all'eredità dell'attore, figli nati dal primo matrimonio, veniva disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi. Costituitisi in giudizio gli stessi rappresentavano di non aver mai accettato l'eredità del proprio padre e di avervi, successivamente alla citazione pervenuta, formalmente rinunciato e chiedevano di essere estromessi dal giudizio. La causa, dando atto che le altre parti nulla opponevano all'estromissione richiesta, essendo esaurita l'istruttoria, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 27 giugno 2018 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. Ciò posto occorre preliminarmente darsi atto che il Tribunale in composizione monocratica con sentenza non definitiva ha dichiarato di nullità del contratto di vendita del 24.7.2007 intervenuto tra (...) e (...) condannando il convenuto alla riconsegna dei terreni oggetto del contratto in favore dell'attore e condannando altresì l'attore alla restituzione al convenuto della somma di Euro 624.421,00 oltre interessi dalla domanda al saldo; detta sentenza, oggetto di gravame, è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Roma, ferma nel resto, condannando (...) alla restituzione in favore di (...) della minor somma di Euro 578.061,00 oltre interessi dalla domanda al saldo; il ricorso in cassazione proposto dal (...) avverso la sentenza di appello è stato rigettato. Giova osservare, al riguardo, che la sentenza non definitiva è idonea ad espletare effetti vincolanti nei confronti del giudice che l'ha emessa, al quale è fatto divieto di discostarsi dall'accertamento in essa contenuto all'atto della pronuncia in sede di sentenza definitiva sui temi decisori dipendenti dall'accertamento medesimo. Le questioni decise con sentenza non definitiva, anche solo implicitamente, siccome costituenti il presupposto logico necessario di quelle espressamente affrontate, non possono essere pertanto decise diversamente all'atto della pronuncia della sentenza definitiva; in caso contrario la sentenza sarebbe infatti affetta dal vizio di violazione del giudicato interno. Ciò posto, occorre in primo luogo dichiarare la carenza di legittimazione di (...) e di (...), dando atto che l'integrazione del contraddittorio disposto nei loro confronti è stato in ogni caso effettuato correttamente. Invero, come noto, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa legitimatio ad causam si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 cod. civ.) non al semplice chiamato all'eredità, bensì (in via esclusiva) all'erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per l'acquisto di tale qualità, nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius, occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione (cfr. Cass. n. 13751/2006). Tuttavia è stato parimenti precisato che la parte che procede alla riassunzione ha l'onere di individuare i chiamati all'eredità rispetto ai quali sussistono, in tesi se non dispone di precisi riscontri documentali, le condizioni legittimanti l'accettazione dell'eredità. I chiamati all'eredità, per il solo fatto di aver ricevuto ed accettato la predetta notifica, non assumono la qualità di erede, ma hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di "legitimatio ad causam", così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la predetta riassunzione. In particolare è stato evidenziato che la legittimazione può essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta - o conoscibile con l'ordinaria diligenza - alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc). La funzione dell'istituto è, infatti, quella di proseguire il giudizio, mettendo i controinteressati in condizione di venire a conoscenza della lite e di svolgervi le proprie difese, ivi inclusa quella avente ad oggetto l'eventuale sopravvenuta carenza della loro legittimazione o del loro interesse a contraddire. Allorché, pertanto, il venir meno del titolo non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell'atto, la riassunzione è da ritenere regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta allo stato degli atti (cfr. cass. n. 21227/2014). In tal caso, viene a gravare sui convenuti in riassunzione l'onere di dimostrare il contrario e, se del caso, di chiarire la loro posizione in tempo utile. Ciò vale in particolar modo nei casi come quello in esame, in cui la causa debba essere riassunta nei confronti degli eredi della parte defunta, ed il venir meno della qualità di erede dipenda da una libera scelta dell'interessato, qual è la rinuncia all'eredità, non ancora esternata alla data della notificazione dell'atto di riassunzione (cfr. Cass. n. 21287/2011). Ebbene nell'ipotesi di specie, all'esito della disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soggetti eredi del de cuius ad onere della parte più diligente da parte del giudice, la sig.ra (...), quale erede del defunto (...), ha provveduto a notificare in data 21.11.2017 ai figli del primo matrimonio di quest'ultimo, atto di citazione; dall'esame della documentazione in atti si evince che (...) e (...) hanno rinunciato all'eredità in data 29.1.2018 e, pertanto, in data successiva alla notificazione dell'atto. Conseguentemente regolare e valida è l'integrazione del contraddittorio nei loro confronti; tuttavia gli stessi hanno prontamente eccepito che il titolo a succedere era venuto a mancare per l'intervenuta rinuncia con effetti retroattivi visto l'art. 521 c.p.c. Deve dunque dichiararsi che il titolo a succedere degli stessi è venuto meno con conseguente difetto di legittimatio ad causam in capo a (...) e (...). Destituite di fondamento, al contrario, le doglianze in ordine alla carenza di legittimazione in capo a (...), erede legittima del de cuius, tra l'altro unica erede a seguito dell'intervenuta rinuncia da parte dei figli del primo matrimonio del (...), e ciò visto il disposto di cui all'art. 110 c.p.c. La stessa, conseguentemente, è ben legittimata a subentrare nella posizione processuale del defunto e dunque a veder realizzati gli esisti del giudizio, parzialmente definito con la sentenza non definitiva emessa nel 2012, così come quelli dell'odierna statuizione. Né le sue personali qualità, coltivatrice, imprenditrice agricola o meno, in possesso o meno dei beni, così come il momento dell'unione matrimoniale con il de cuius, successiva al contratto dichiarato nullo, possono incidere sulla sua legittimazione in quanto derivante validamente dal subentro, nella qualità, nella posizione processuale del de cuius, atteso che la disposta restituzione dei terreni ad uso civico "mira esclusivamente ad assicurare il ripristino della situazione di fatto anteriore" (cfr. Cass. S.U. n. 10732/2003; Cass. n. 1940/2004; Cass. n. 8489/2005) e cioè a garantire il ripristino della situazione di fatto precedente al rapporto privatistico avente ad oggetto il trasferimento, dichiarato nullo, del predetto bene, ovvero a determinare la situazione in conformità alle conseguenze della statuizione emanata. Né tale ripristino può pregiudicare le pretese delle parti o nei confronti delle parti da parte dell'ente titolare del demanio civico che, non essendo parte necessaria del presente giudizio, potrà provvedere a regolare le vicende del terreno in questione rispetto alla propria specifica posizione come e se lo riterrà opportuno, evenienze che alcun riflesso, se non indiretto e comunque non oggetto di valutazione in questa sede, possono avere sulla posizione delle parti nell'odierno giudizio. Ciò posto, quanto all'ammontare delle somme da versare da parte del convenuto (...) a titolo di occupazione dei fondi, tra l'atro pacificamente ancora in atto, e alla domanda di risarcimento dei danni dovuto all'utilizzazione dei beni oggetto del contratto dichiarato nullo, si ritiene di condividere le conclusioni rassegnate dal ctu nella relazione depositata in data 11 dicembre 2013 in risposta al quesito di cui all'ordinanza del 24.9.2012, così come modificato con ordinanza 2.5.2013, in quanto appaiono tratte a seguito dei più opportuni accertamenti e di una accurata disamina e si presentano condotte con corretti criteri e con iter logico coerente. Il consulente invero, con l'ausilio anche di dottore agronomo e forestale della provincia di Viterbo, ha provveduto, una volta identificati immobili e terreni rilevandone le caratteristiche morfologiche e pedo-agronomiche, a determinarne il valore locatizio da utilizzare quale indennità dell'occupazione senza titolo perpetrata dal convenuto e stimandola, tanto per i terreni che per i fabbricati, in complessivi Euro 34.129,62 annui (di cui Euro 29.329,62 per i terreni e fabbricati asserviti al fondo, e Euro 4.800,00 per il fabbricato adibito ad uso abitativo). Tale somma, confermata all'esito delle osservazioni delle parti con controdeduzioni analitiche specifiche e condivisibili, deve dunque considerarsi il quantum annuo cui fare riferimento per il risarcimento del pregiudizio subito dalla perdita di disponibilità del bene in quanto individuato rapportandolo al c.d. canone (o reddito) locatizio teorico ritraibile per beni della stessa tipologia e consistenza. Nella fattispecie, è anche pacifico che parte convenuta è entrata nel possesso dei beni in data 19.9.2005 e che all'attualità i beni non sono stati ancora restituiti e che, pertanto, la predetta annualità di indennità di occupazione deve essere corrisposta dal settembre 2005 all'attualità. L'importo annuale così individuato può ben essere preso a parametro del dovuto annualmente; in tal senso invero non colgono nel segno le doglianze di parte convenuta in ordine alla liquidazione da parte del ctu con valutazione rispetto ai prezzi correnti alla data di deposito dell'elaborato peritale e ciò sia tenendo conto che parte convenuta nulla ha dedotto a sostegno della tesi di un significativo discostamento nel tempo del valore individuato dal ctu e sia considerando che l'occupazione si è protratta anche anni successivamente al deposito della perizia e che, pertanto, l'eventuale e presumibile minor somma dovuta per gli anni passati si compenserebbe comunque con quella presumibilmente maggiore per i periodi successivi al dicembre 2013. All'importo annuale così determinato in conto capitale deve essere, inoltre, aggiunto, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, un ulteriore importo, per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. Quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre applicare il criterio elaborato nella sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite 17.2.1995 n. 1712 da applicarsi anno per anno sul canone annuale di Euro 34.129,62. In applicazione di tale criterio, al fine del calcolo degli interessi la somma capitale annuale, come sopra determinata, deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza alla data dell'occupazione abusiva anno per anno, e sulla somma così ottenuta, ciascuna progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ISTAT fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Vale a dire: importo canone devalutato al settembre 2005 Euro 28.656,27, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2005) all'attualità Euro 40.560,04 di cui dovuti 4 mesi e pari a Euro 10.140,01; importo canone devalutato al gennaio 2006 Euro 28.777,08, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2006) all'attualità Euro 39.329,14; importo canone devalutato al gennaio 2007 Euro 29.220,57, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2007) all'attualità Euro 38.177,96; importo canone devalutato al gennaio 2008 Euro 30.043,68, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2008) all'attualità Euro 37.558,44; importo canone devalutato al gennaio 2009 Euro 30.500,11, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2009) all'attualità Euro 36.870,06; importo canone devalutato al gennaio 2010 Euro 30.914,51, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2010) all'attualità Euro 36.353,65; importo canone devalutato al gennaio 2011 Euro 30.572,27, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2011) all'attualità Euro 34.491,06; importo canone devalutato al gennaio 2012 Euro 32.597,54, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2012) all'attualità Euro 34.988,45; importo canone del 2013 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza (31.12.2013) all'attualità Euro 35.565,47; importo canone del 2014 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 35.259,02; importo canone del 2015 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 35.088,37; importo canone del 2016 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 34.882,58; importo canone del 2017 Euro 34.129,62, rivalutato con interessi dalla scadenza all'attualità Euro 34.574,33; importo canone del 2018 Euro 34.129,62. All'esito di detto computo la somma complessivamente dovuta a titolo di indennizzo per l'occupazione è pari a Euro 477.408,16. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c. Non può invece trovare accoglimento l'ulteriore domanda risarcitoria avanzata da parte attrice considerato che dagli accertamenti del ctu non sono risultati sussistere danni ai beni, fabbricati e terreni, né in tal senso è stata ritenuta, all'esito dei sopralluoghi, la realizzazione della nuova via di accesso. Parimenti destituite di fondamento le contestazioni di parte convenuta in ordine non solo al parametro di riferimento dell'indennità annuale, sulla quale già il precedente giudice ha provveduto ritenendo non necessario chiamare a chiarimenti il ctu per aver lo stesso già risposto alle osservazioni dedotte dai rispettivi consulenti di parte, ma anche la richiesta di computare nei rispettivi rapporti dare avere le somme percepite dal (...) a titolo di Pac per l'importo di Euro 53.507,59 oltre interessi. Invero l'elemento è stato tardivamente introdotto nell'ambito del giudizio, solo all'udienza del 26.3.2014, pur trattandosi di somme riferite ad anni anche precedenti all'introduzione dell'odierno giudizio. Quanto alla richiesta compensazione tra le somme dovute reciprocamente dalle parti la stessa viene rimessa a queste ultime trovando l'una somma titolo nella sentenza non definitiva emessa da questo tribunale nel 2012, così come parzialmente riformata dalla corte d'appello di Roma con sentenza confermata in sede di ricorso per Cassazione. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza e devono compensarsi, visto l'esito complessivo della lite, nella misura dei 1/5 e porsi i residui 4/5 a carico di parte convenuta, con distrazione degli stessi in favore dei procuratori di parte attrice dichiaratisi antistatari e per le rispettive fasi del giudizio svolte atteso l'avvicendamento nella difesa della parte attrice all'esito del decesso di (...) e della costituzione in giudizio della di lui erede con altro difensore. Le spese di lite dei sig.ri (...) e di (...) devono invece compensarsi tra le parti attesa la dichiarazione di carenza di legittimazione ad causam in ragione dell'intervenuta rinuncia all'eredità del de cuius (...) successivamente all'evocazione in giudizio. Le spese di ctu, attesa l'utilità degli accertamenti per entrambe le parti; (...)-(...) e (...) devono invece porsi a carico delle parti in solido tra loro, con riparto interno dei rapporti al 50%. P.Q.M. Il Tribunale di Viterbo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando e dato atto della sentenza non definitiva n. 695/2012 già pronunciata, parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza 1796/2014 con rigetto del gravame proposto innanzi alla Corte di Cassazione, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - dichiara il difetto di legittimazione di (...) e di (...); - rigetta l'eccezione di difetto di legittimazione di (...); - condanna parte convenuta (...) al pagamento a titolo di indennità di occupazione in favore della parte attrice della somma di Euro 477.408,16, oltre interessi dalla sentenza al saldo; - rigetta ogni altra domanda; - compensa le spese di liti di (...) e di (...); - compensa le spese dell'intero giudizio tra parte attrice, (...), erede di (...), e (...), nella misura di 1/5; - pone la residua parte dei 4/5 a carico di parte convenuta (...) liquidando tale ultima frazione nella complessiva somma di Euro 42.000,00, di cui Euro 985 a titolo di spese esenti e Euro 41.015,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15%, iva e cpa come per legge, di cui Euro 34.015,00 oltre accessori, da distrarsi in favore del procuratore costituito S.B. e Euro 7.000,00 oltre accessori, da distrarsi in favore del procuratore costituito (...); - pone le spese di ctu, già liquidate con separato decreto a carico delle parti in solido con riparto nei rapporti interni al 50%. Così deciso in Viterbo il 12 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2019.
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